Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Tuesday, December 24, 2024

GRICE ITALO A-Z R RU

 

 Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi, verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma.   Nel mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già  Nerone fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato, austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava, per timore, di passare inosservato, tanto  più si parlava di lui. Le chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle voci,  Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro, una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio. 

 

Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele – la scuola di Fanza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Pideura, Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu gravium” costituisce la II parte.  Si dice faentino e tale è considerato dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R. prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica. Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo  Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il  principio del baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso, che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche Registrazione del convegno per lui, Fidio, C.  Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti, che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli  G.  Rossini, Convegno di studi torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni,  Baro-metro di Torricelli, Equazione di Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. E. Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library  

 

Grice e Rucellai: la ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta – scuola fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli.  Quando comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai, Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca.   BELLA VITA E DEGLI SCBITTI     DI     ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.     BELLA VITA     DEGLI SCRITTI     DI     OfiAZIO EICA80LI RUCELLAI     STUDIO CMTICO  DEL PROF. AUGUSTO ALFANI   gia alooio  del R. Istitnto Superiore di Fireoze.     FIRENZE,   TIPOGRAFIA BARBARA.   Tia Faenza, 'N« 66.  X872.     ProprieiA letteraria.     Agl' Illustbi Pbofbssobi     AUGUSTO CONTI E LUIGI PERKI.     Non crediate che io dedichi a voi questo  libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al  vostro patrocinio, come un padre che ve-  dendo il suo caro figlio sul punto di escire  dalla vita delle mura domestiche, per entrare  in quella pubblica della citta e della patria,  Io affida sicuro a cittadino illustre, onorato,  provetto, perche gli agevoli col suo nome la  via, e col consiglio suo Io diriga e protegga;  io Io dedico a voi come cosa che vi appar-  tiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi ne  foste bene i consiglieri sapientemente aniore-  voli, que' due che in mezzo alle non lievi dif-  ficolta m' incoraggiaste e mi ajutaste a com-  batterle e a superarle. E, anzi, io posso  affermare con sicurta che questo libro debba   M769508     VI AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRl.   a voi piu che a me la sua vita, dovendo io  appunto alia vostra scienza, alle vostre insti-  tuzioni e ai voatri consigli, se datomi agli  studj prediletti della filosofia ho potuto pro-  seguire non vanamente nel difficile cammino  e in queste ardue discipline, per le quali  ora meglio che mai riconosco altri ingegni  che non il mio poverissimo esser richiesti  sempre, e particolarmente oggi che la filo-  sofia vera, questa prima nutrice della ra-  gione umana, questa ultima consolatrice di  lei o desolata dal dubbio, o da' contrasti af-  franta non vinta, e con ogni sorta di mezzi  ingratamente assalita, per sostituire in sua  vece una larva pericolosa a cui si da noma  di scienza, e che invero non e altro se non  la cupa e colpevole generatrice di una Co-  mune di Parigi, e delle negazioni piu spudo-  rate e micidiali coUe quali, sotto i nostri  occhi medesimi, per un falso giudizio di li-  berta si permette di insultare scherzevolmente  il buon senso e la coscienza degli uomini.   Siffatti contrasti ed errori io appena in,-  travedeva (non li poteva discernere chiara-  mente) quando negli anni primi della gioventu.     AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. VII   quantunque innamorato della filosofia, ma-  neggiava la riga e il compasso, e piu per rar  gione di metodo che per intenzione di scelta  studiava le scienze superiori esatte e le na-  tural!, utili quelle, e necessarie queste al filo-  sofo che voglia conoscere tutto I'uomo e le  leggi vera dell' universe.   lo li ricordo, sapete, quegli anni! AUora  che il velo del disinganno che ricuopre le  malizie umane o non 6 punto soUevato a'no-  stri occhi, o n' e appena : allora che i pro-  blemi e le questioni piu gravi della filosofia  intomo a Dio, all' uomo ed al mondo le si  risolvono piu col cuore e col linguaggio ma-  terno, giammai ingannatore, che non col se-  vere e spesso arido sillogizzar delle scuole ; e  tutto ci sembra piano, evidente; e le risposte  piu ardue ci sembrano le risposte piu naturali,  perche appunto dettate dalla voce infallibile  della natura. In quegli anni le negazioni si ten-  gono e si combattono non come negazioni  vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi  scolastici, e la possibility, che le divengano  terribilmente reali, e guastino la sovrana ar-  monia tra la verita e 1' intelletto, ci par le     VIII AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI.   miglia Montana. Ma pur troppo, andando in-  nanzi, ogni giorno che passa e un fiore che  cade dall' albero delle illusioni della vita ; e  noi scorgiamo sempre piu farsi reale e tre-  menda la guerra al vero, le sue armonie mi-  nacciate dalla superbia di ragione delirante,  e dair odio piu spietatamente beffardo. E  come difficile non esser feriti dalla punta  awelenata del dubbio! come difficile non ri-  manere sorpresi e colti dalle astute carezze  di quella ingannevole Armida, che si fece in-  trodurre nelle nostre tende a promettere le  sue grazie e favori a quei che disertassero  I'antica bandiera, che e poi la bandiera del-  r onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese  loro ambizione ! quanti minacciano di restarvi,  chiuse le orecchie alia voce della loro co-  scenza e della verity !   La quale voi, benemeriti, m' insegnaste a  venerare e difendere efficacemente (ed oh!  r avessi imparato bene) colle armi di non ef-  fimera scienza, le cui parole e i di cui pro-  nunziati sentii sempre lietamente rispondere  a' palpiti primi del mio cuore, a' miei primi  sospiri religiosi, alia voce medesiraa di mia     AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. IX   madre che m' insegnava, dandomene essa la  prima e col fatto 1' esempio, ad onorare Dio,  ad amare 1' umanita, a rispettare me stesso.   La vostra filosofia insomma sentii essere  veramente la filosofia; e quel prime amore  che mi fece cercarla quasi inconsapevolmente,  giovanetto ancora, pote con voi divenire nel-  r anima mia fortissimo e consapevole, e ad essa  attrarmi potentemente, stupito di tante sue  bellezze sublimi, che voi dottamente mi rive-  laste, perche alia mia volta anch'io, salendo  una cattedra, insegnassi que' medesimi veri,  e scoprissi quelle medesime bellezze e il loro  amore ai giovani intelletti che la patria e la  Prowidenza mi avrebbero poscia affidati. Ac-  costandosi a questo ufficio santo e terribile  insieme, non puo 1' anima non esser compresa  di alta trepidazione : si tratta dell'avvenire  di uomini, si tratta dell' avvenire della pa-  tria, che noi dobbiam preparare.   Dedicando a voi questo libro, io voglio,  egregi professori, darvi pur anco un pegno  che in tale ufficio solenne, nel mio insegna-  mento, seguitero le orme vostre ed i vostri  precetti ; e che sempre a conforto e guida vi     X AD iUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI.   avro innanzi al pensiero, illustri propugnatori  della verita e del bene.   N^ voi, io spero, sgradirete il ricordo che  vi testimonia perenne la gratitudine mia, ne  sdegnerete di conservare la memoria di me,  discepolo vostro, e di ajutarmi ancora, fatto  da voi ad altri maestro. E cosi legati tutti,  professori e discenti, nel vincolo di reciproco  affetto, i nostri studj e le nostre fatiche sa-  ranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo  del bene, e dalla prosperita della patria.   Tutto vostro devotissimo   AuGusTo Alfani.     Firenze, l« gennaio 1872.     SOMMAEIO DEL VOLUME.     Spbcchio begli sceitti bditi e tnbditi di Obazio Rioa-   SOLI RUCELLAT , Pag. XIX   Introduzione 3   Firmamento dei cieli e firmamonto del pensiero. — Armonie  loro. — Orazio Ricasoli Rucollai e il socolo decimosettimo. — Quegli  h specchio delle condizioni di quosto in Firenze. — E pero si spiega  r ammirazione grande per il Rucellai de' suoi contemporanei. —  Divisione generale di questo libro. — Suo fine e importanza.   Capitolo Prima. — Il Sbcolo Decimosettimo 7   Scrittori del Rucellai. — II marchese Carlo Rinuccini. — Anton  Maria Salvini. — II canonico Domenico Moreni. — II Tiraboschi.   — II Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. —  Necessity di ritesser la vita del Rucellai per il proposito nostro.   — Difficolt^ pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del  secolo decimosettimo. — fe un secolo di contrasti politici e morali.   — Contrasti nelle arti, nolle lettere, nella filosofia.   Capitolo Secondo, — Dblla vita di Orazio Ricasoli Ru-  cellai 20   Nascita del Rucellai. — Suoi parenti. — Antichit^ e nobilti delle  due famiglie Ricasoli e Rucellai. — Loro attinenze con le glorie  politiche e letterarie deir Italia. — I Ricasoli, i Rucellai ed i Me-  dici. — P erch^ Orazio piucch^ Ricasoli appellino gli scrittori col  nome materno de' Rucellai. -- Questi e le dottrine platoniche. —  L' Accademia Platonica istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. —  Intendimenti di questo. — Suoi scritti. — Platonismo cristiano di lui  e de'snoi accademici. — Si nominano. — Bernardo Rucellai. — Sue  qnalita, opere, preg  i di esse. — Fa parte dell' Accademia Platonica.   — L' accoglie ne' suoi Orti, onde essa piglia il nome di Accademia  degll Orti Oricellari. — Figli e nipoti di Bernardo platonici. — Con-  giura contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia. — Gli Orti     XIV SOMMARIO DEL VOLUME.   menide o d* uno eterno. — Anassimandro o dell' infinito. — Necessity  deir Infinite. — II finito non e privazlonc di questo. — Cartesio, o  1' idea dell' infinito prova della sua realty. — Dato 1' uomo finito,  conyien ammettere rente infinito. — E questo secondo argomento il  Rucellai tiene per piiistringente di quello del Cartesio. — Ma si I'uno  che I'altro sono argomenti probabili. — Anassimandro o della luce. —  Galileo. — II Rucellai non nega I'influsso degli astri sul mondo e le  cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t- La Genesi, sant'Agostino,  Dante e 1' opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. — Platone,  la luce e 1' anima dell' universe. — Ma e tutto un pud easere. —  Anassimandro o de'colori. — Zenone ed altri filosofi. — Si conchiude  coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di Socrate. — La fede.   Gapitolo Nono, — Esposizionb del timeo di Platone  nk' Dialoghi di Orazio Ricasoli Rucellai . . Pag. 157   Ammirazione del Rucellai pel Timeo di Platone. — Opinione e  scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. — Trinie-  gisto. — II Rucellai non e dualista, come Platone. — Fine della  creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Nell'ordine dell' uni-  verse si legge il verbo di Die. — Gli archetipi eterni. — Platone  manca della fede, e pero nell' attinenza di causality tra Die e il  mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme.  — La mente umana e le idee. — Loro natura. — II Rucellai combatte  Aristotele. — Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Die ; ne Dio  e I'anima di esse. — Ma e sua legge. — Ne I'amere, per se, e anima  deir universe. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima  del mondo. — £, pel Rucellai, le Spirito Santo.   Ga/pitolo Decimo. — (Segue) il TIMEO. Dell'anime razio-   NALI 173   Quesiti. — Natura dell' anima razionale. — Non e particella  deir anima universale. — fe intiera e perfetta da sh, — In che il  Rucellai si discosta qui da Platone. — Spirituality dell' anima. — Per-  fezione maggiore negli spiriti angelici. — Immortalita. — Argomenti  dl ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa  alia questione dell' immortality. — Passe di questo filosofo. — Altre  prove d' immortalita.   Gapitolo Decimoprimo. — Breve cenno sullb aemonichb pro-  poRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli  Rucellai 187   Oggetto di questo trattato del Rucellai. — Suono. — Ordine. —  Armenia. — Proporzione. — Passo dell' autore. -- Platone e le     SOMMARIO DEL VOLUME.     XV     proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverso. — Anco pel Ra-  cellai tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L* armonia e  ranima univorsale platonica. — II corpo umano e le armoniche pro-  porzioni. — La materia. — Gindizio del Rucellai sn questa parte  delle dottrine platoniche.   Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del trattato BELLA   PROVVIDENZA NBI DlALOOHI FILOSOFIOI DI ObAZIO Ki-   GAsoLi Rucellai Pag. 199   Importanza di questo trattato. — Meglio che in ogni altro  scritto del Rucellai si fa qui palese la natura del suo ftlosofare. —  Prove di ci6. — Obiezioni di Epicuro e risposte. — L*ordine dell'uni-  yerso e argomento del Provvedere di Dio. — Questi e la natura. —  Essa non e per al che una voce generica. — II Case. — Si combatte.  — Gli atomi. — Si nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eter-  nity. — Si confuta V accozzamento fortuito di quelli. — Galileo. —  La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eli-  minazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il Rucellai. — Dio  non informa il mondo come anima corpo. — V esempio del sole. —  Marsilio Ficino. — La fedo. — Creazione ex nihilo, — Ragioni pro-  babili. — Ripete V autore : fine della creazione il buono. — II Vero  Bene. — I beni del mondo han ragione di mezzo, di fine no.   Ga/pitolo Decimoterzo. — {Segue) La esposizionb del trat-  tato DELLA PROVVIDENZA DI OrAZIO RiOASOLI Ru-  CBLLAI 218   Dei mall. — Necessity di questi nel mondo. — I veri mali. —  La morte non h un male. — E cosl la poverty, la perdita delle  ricchezze, le ingiuste persecuzioni ec. — I mali occasione e stru-  meiito di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del done della ra-  gione. — Sua natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prc-  destinazione. — Liberti e fato. — Passo dell'Autore su questo punto.  -> Epilogo delle probability ragionevoli intorno V esistenza di Dio  provvidente. — Rifugio nella fede. — Conclusione.   Capitolo Decimoquarto, — Esposizionb bblla psioolooia e  della morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio  RiOASOLi Rucellai 246   II detto di Socrate e quello di Talete. — Fatti intemi: psi-  cologici e moral!. — Notee te ipeum, ~ Dell* anima in generate. —     XVI SOMMiRIO DEL VOLUME.   Galileo. — fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. —  Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Ru-  cellai alia parte morale. — Qui h aristotelico. — Riepilogo. — La ra-  gione ed il senso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. —  Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del senso. — Apprez-  zamento di essi. — La vera scienza morale e il timore di Dio. —  L' anima nmana, perche ragionoTole, h capace del timore di Dio, e,  perd, di virtti. — Anche qui il Rucellai e mistico. — Operazioni del-  r anima e della Tolonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La  vera felicitd,. — tl la vera virtti. — Stoicismo. — Aristotele. —  Virtii cardinali. — Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tir-  tii. — Applicazione delle yirtCi alia societa umana. — Fine di essa.   — Doveri. — Diyisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata  intorno lo donne. — Conclusione.   Capitolo Becimoquinto ed ultimo, — Ossbbvazioni oeitichb  SULLA FiLOsoFiA DI Obazio Rioasoli Ruoellai. Pag. 281   Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del  Rucellai. — II professor Palermo ha giudicato Vlmperfetto imper-  fottamente. — Perche. — Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e  le sue qualita. — Scetticismo. — Tradizionalismo. — Bruno. — Cam-  panella. — Galileo e il suo metodo di osservazione esterna. — I suoi  scolari e TAccademia del Cimento. — Metaftsica galileiana. — Som-  mi capi di essa nei Dialoghi dei Maesimi Siatemi. — II Cartesio e  r osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. — II  sensualismo di Loke. — Eclettismo del Rucellai. — Suo probabilismo.   — Si provano riandando la sua filosofta. — La seconda Accadomia. —  Cicerone. — La fede. — Differenza tra' iilosofl del Medio Evo e il  Rucellai. — Questi e il Galileo. — Nel metodo 11 Rucellai apparente-  mente e moderno. — Perche. — Intende solo negativamente Taforisma  socratico. — Ed e sempre probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa  difetto la speculazione. — E per6 riesce eclettico. — Breve riscon-  tro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell* univer-  se, e nel Timeo, — Platone, tl Cristianesimo e Galileo. — Carte-  sio. — Teorica della cognizione. — Teorica del volere. — Liberty e  fato. — Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina-  zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e Cousin. — Aristotile.   — Platone. ~ Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtd.   — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola Epicnrea e il Rucel-  lai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa-  dri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei tre obietti  della filosofia il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo  stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi del Rucellai sono  un' ultima conferma della nostra Conclusione.     SOMMARIO DEL VOLUME. XVII   APPENDICE,  ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   DI ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI.   Ottavk. -=— Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin-   cipessa di Toscana Pag. 323   SONBTTI 324   Della Gobte e del eigibo di Roma 326   da' DIA.LOGHI FILOSOFICI.  ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. — H TimeO.   Delle idee 344   Sopra ranima del Mondo 373   Se V Amore sia Y anima del Mondo 379   Dell' immortality delP anima 435   PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A PsiCO-   LOGIA 451   ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. — Offizi   delta facoltd deUa ragione 456     SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E INBDITI     DI     ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.     Brose edUe,   s   CoNTRO I SoFiSTi. — Intomo a' Principj universali della Na-  tura, — 16 Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre  tomi del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore.  Quest! pure sono stati pubblicati con una Prefazione del Chia-  rissimo Prof. Palermo nel volume III del Manoscritti Palatini  di Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1868, e precedono i noye della  Provvidenza.   Della Provvidenza. — 16 Dialoghi filosofici, pubblicati insieme  con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia per cura del  Prof. TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze 1868. — Nove dei  quali Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal  Prof. Francesco Palermo nel volume III dei Manoscritti Pala-  tini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana. Firenze.  Quattro di questi dialoghi furono pure pubblicati dal Sig. Ca-  nonico Domenico Moreni, coi tipi del Magheri in Firenze  nel 1823, e che corrispondono a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3,  de' Manoscritti {Trattato della Provvidenza). E quelli stampati  dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al Numero 1-9 de' me-  desimi manoscritti.   Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal  Sig. LuiGi FiACCHi nella bella Collezione degli Opuscoli Scien-     XX SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI   tifici e Letterarj, Volume XIX, pag. 33, e che io ho riprodotto  ora per intiero, perch^ 6 per eleganza di stile e ricc?iezza di  concetti moraji pregevolissimo.   DiscoRSO CONTRO IL Freddo Positivo. — Lo pubblic6 il Canonico  DoMENico MoRENi insieme con altre cose del Rucellai, del  Bonaventuri e d' altri, nel 1822 co'tipi del Magheri. Firenze. —  « Questo discorso, avverte il Moreni nella Prefazione, pag. XIX  e XX, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo  Dati dei 6 aprile 1666 a Ottavio Falconieri, manoscritto nella  Magliabechiana alia pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato  Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva I, fu da lul re-  citato in un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e trat-  tenimento del famoso Cardinale Delfino^ che trovavasi allora  di passaggio per Firenze. Eccone di essa I'articolo: — Io mi  era scordato di dare a V. S. Illustrissima avviso dell'Accade-  mia. II Sig. Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a de-  sinare, e subito disse di voler partire il lunedi, sicchd poco  luogo restava per fare Accademia. Sabato sera essendo bene  allindata T Accademia. si fece Adunanza privata, ma pero nu-  nierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il Sig. Principe  Leopoldo dalla casa li vicina del Sig. Duca Salviati, dov'era  alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse  r Accademia assai galantemente. Discorse mirabilmente il  Sig. Prior Rucellai, sostenendo che il freddo fosse privazione  di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, man-  tenendo il freddo positivo e reale. »   Traduzione della Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. —  Ad Quintum Fratrem. —- Trovasi nella raccolta fatta dal Ca-  nonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti del  Rucellai, Buonaventuri ed altri; pubblicata co'tipi del Magheri,  in Firenze nel 1822.   Di questa medesima parte de'Dialoghi filosofici del Rucel-  lai, I'egregio Parroco Luigi Razzolini pubblico qualche anno  indietro V Argomento e qualche Capitolo, cio^ quello intito-  lato: Della Morale; Della cognizione delVuomo e degli stru-  menti e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV anima  razionale, e Degli Officj per la Societd umana,   Se non che ora questa raccolta non trovasi piii vendibile,  Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non  ho dubitato percio di porre nella mia Antologia di cose ine-  dite del Rucellai anche un brano sulla Facoltd delV Anima  razionale, quasi considerandolo come inedito.     DI ORAZIO BICASOLI BUCELLAI. XXI   Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del Si-  GNOR Desiderio Montemagni (ossia del Timido) nel 1651. —  Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Colle-  zione degli Opuscoli scientifici e letterarj, Tomo XXI, pag. 59  e segg. — L' autografo della medesima si trova in un mano-  scritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia  appartenuto alia Biblioteca dei Padri Serviti di Firenze, se-  gnato di N« 1422.   CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta nelV Accodemia della  Ci*U8ca Vanno 1602, — Fu pubblicata nel Volume I, parte III  delle Prose Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723.  A questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo Panciatichi fatta  la Contraccicalata, che il Biscioni pel primo pubblico con  ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel pubblico  » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si faceva una le-  » zione in burla, che si chiamava Cicalata ; contra la quale  » un altro Accademico, montato in bugnola, ne faceva una che  i» si chiamava Contraccicalata, di cui al pubblico non c' S se  » non questa. »   RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall' Ornato (Conte Ferdinando Del  Maestro), delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca  a* di 26 giugno d652, — Non ha indicato il Moreni donde la  ricavasse per pubblicarla, come face nelle Prose e rime del  Rticellai, del Buonaventuri e d'altri,   Aroomento e descrizioni prehesse dal Rucellai alla Presa  d' ArgOf e gli Amori di Linceo e di Ipermestra, — Dramma  teatrale di Giovanni Andrea Moniglia, parte prima. Firenze,  stamperia Arcivescovile 1689. — Quest* argomento e descrizione  del Rucellai trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche  del Moniglia, starapata dalla tipografia Granducale nel 1689,  Firenze; tantoch^ qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Pas-  serini, bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere il  Rucellai fatte queste descrizioni in prosa, e premesse a quel  dramma, dedusse erroneamente esser lui V autore del dramma  stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi del Moniglia.   Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. — Sta in appendice  ai Dialoghi filosqfici della Prowidenza che del Rucellai ha  pubblicati il Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868.  Pag. 405 e segg. Questa lettera scrisse T Autore da Varsavia   b     XXII SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI   il 7 maggio 1635, allora che trovavasi la in qualita d*ainba-  sciatore della Corte Toscana presso Vladislao quarto.   Lettehe Fahiliari:   a) A Monsignor Giacomo AUoviti, — Lettere cinque, pub-  blicate dal Canonico Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio  di Lettere d'Orazio Rucellai e di testitnonianze autorevoli in  lode e difesa deW Accademia della Crusca, Firenze, nella  stamperia Magheri, 1826. «Di queste lettere come delle se-  guenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali, dice il Moreni (Ibid.  Pag. YIII. Ai benigni lettori) ritroyansi in Oderzo nella im-  mensa epistolare raccolta con grande studio e diligenza da  pill anni assembrata dal Chiarissimo Sig. Conte Giulio Ber-  nardino Tomitano, il quale con quella sua solita cordialita.  che in pochi altri e si leale, ad un mio cenno, senza por  mente egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece  avere di esse una diligentissima copia, da lui medeslmo fatta,  clie in nulla si discosta dal loro originate. ]>   b) A Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella  quale combatte gli atomi frigorifici positivi, contro i quali ei  fece e lesse pure un discorso neir Accademia della Crusca. Si  trova nella raccolta medesima del Moreni di sopra menzionata.   c) A Monsignor Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. —  Sono 29 lettere nelle quali il Rucellai discorre de*suoi com-  ponimenti filosofici a quel patrizio veneto, che alia sua voita  inviava al Rucellai i proprj. Stanno nella medesima coUezione  fatta dal Moreni.   d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli originali di queste  4 lettere sono in uno dei volumi di lettere scritte al Redi, che  con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblio-  teca Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid.   e) A Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei Me-  dicL — Gli discorre del disegno, della disposizione ed ordina-  mento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta la data del maggio 1665,  soiitta di villa; estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla  Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e pubblicata nel suo  Avvertimento al volume terzo dei Manoscritti Palatini di Firenze,  da lui ordinati ed esposti, e dove ha pubblicato pure quei  Dialoghi del Rucellai che ho accennati piu sopra.     m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. XXIII     Poesie edite.     Il Filosofo Rucellai al Filosofo Magalotti. — Sono trentasei  terzine a mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella  sua raccolta a c. 174, citata piii volte di sopra. L*autografo  io no so dove trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella  Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^ 31-7. VII. sotto il  titolo di Poesie manoscritte di diversi autori del secolo XVII.   Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte  del Torrigiani. Sono in numero di otto. Trovansi stampate come  sopra, COS! la copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale.   Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli  altri, dal Codice Magliabechiano citato, e comincian cosi:   4) ft Corte albergo di regi, ove si vedo) (Pag' 141.)   2) « Con benigne maniere, uniche e sole » (Pag. 142.)   3) «Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.)   4) « Di picciol furto un poverel sovente » (Pag. 143.)'   5) « D'ostro, e d* oro vestito, e altero il volto » (Id.)   6) « La bella verita ch* ove s' apprende » (Pag. 144.)   7) a Che il reo costume a volo erger si scerna » (Id.)   8) «Dunque tema non ha chi di natura:^ (Pag. 145.)   9) (icRagion che intenta a' maliziosi modi» (Id.)   10) ((Quella, che scende dall'Empiree soglio) (Pag. 146.)   11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge» (Id.)   12) ({ Misere pecorelle a cui nel cielo » (Pag. 147.)   Non potersi comprendere Iddio che con la fede, quani'unque   L* OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI   CI t. — Sono dodici Sonetti, pubblicati dal signor Fiacchi,  nella collezione degli Opuscoli scientifici e letter ari. Firen-  ze 1816, volume XXI, dalla pagina 68 fino alia 74. Non sono  stati estratti dal Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss,  di diversi autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che  si trovano tra quelli editi dal Fiacchi, e quelli manoscritti in     XXrV SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI   quel Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati:  ma b pill che probabile siano stati tolti dalF original e, che si  conserva presso gli eredi. Questi sonetti incominciano:   1) c Oltre i Gonfin de' miseri raortali »   2) ft Nella piu cupa eternita si ascose )»   3)    4) dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel rapia »   SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena de'Pazzi. — Tre Sonetti,  stampati nella Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi  essi non so di certo; credo, al solito, nella biblioteca privata  degli Eredi. Una copia d nella Magliabechiana, ora Nazionale,  nel Codice Manoscritto No 347. VII. col titolo di Poesie mano-  scritte di diversi autori del secolo XVII. Incominciano :   1)    II quarto, pubblicato col quinto, come s' 6 detto, dal Ore-  scimbeni, incomincia:   «c Nel giorno che costei si bella nacque »   II quinto :   « Quella che dal mio cor non parte mai »   Felice annunzio a una lettera amorosa. — (Vedi Moreni. ibid.,  a c. 140.)   cc Vanne, che serbi i miei pensieri ascosi »     XXVI SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI   Si detestano gli abusi del seoolo.— (Vedi Moreni, ibid. Sonetto,  a c. 140.)   « Vasti flutti solcai di speme iniida »   VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. — SonC^to,   ibid. Incomincia:   ((Piango'l mio tempo, e dell'eta fugace»   In risposta a un sonetto morale del Graziani. — Sonetto, ibid.,  a c. 136.   «Non toglie i pregi al cielo e non depreda)>   La Divina disposizione sempre giovevole, anche talora paia il  OONTRARio. — Altri due Sonetti, ibid., a c. 135:   1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce i»   2) « Fra tj^nti prodi ormai viver recesso »   Stimoli di penitenza destati nella volontA non aiutata da' sen-  si. — Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II primo verso e:   « Occbi piangete. Mirerovvi ancora »   Suo AMORE DA VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la  censura il Dati, e che fu pubblicato dal Fiacchi nel Vol. XI degli  Opuscoli scientifici e letterari, pag. 64. Incomincia:   «Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo»   Non si ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra  citato, n6 1' ho potuto trovare altrove. L' autografo poi sari,  come degli altri, nella Biblioteca degli Eredi.     Prose inedite.     Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli Rucellai. — Gia  sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui pongo il conte-  nuto de* quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine, e  1 due codici della Biblioteca Ricasoli) avvertendo subito che     DI ORAZIO RICASOLI RTCELLAI. XXVII   le Villeggiature Albana e Tiburtina non si ritrovano die in  queste ultimi due.   Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia). — £ un volume in-4o  slegato, di pag. 788, senz' indice, e in carattere minutissimo.  Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi in-  torno a' principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposi-  zione del Timeo di Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito  quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi  suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49 Dialogbi.   Codice Manoscritto, anch* esso Copia, nella Magliabechiana. —  Sono nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola,  e miniature e arme Rucellai in frontespizio. Erano per 1' in-  nanzi di propneta della signora Maria Settimanni, moglie del  signor marcbese Dante Catellini Da Oastiglione, e da essa gli  acquisto poi il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26mag-  gio 1815. Questi Dialogbi sono dedicati al signor marcbese Co-  simo Da Castiglione.   Questo codice contiene i Dialogbi su i principii naturali  deir universe (16) come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della  Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le  Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia indicazione e  numerazipne dei Volumi.   1» Codice Manoscritto della Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son  dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma cor-  retta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi sulle opi-  nioni dei filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' uni-  verse (16), poi la Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo,  (15 dialogbi) Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeg-  giatura Albana, (2 dialogbi e il Proemio) ossia ai Dialogbi  deir Anirna, della Notomia, e per ultimo, alia Villeggiatura Ti-  burtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due Argoraenti  e due Dialogbi). Questo Codice fu rivisto e corretto da Anton  Maria Salvini.   2" Codice Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi  come I'autografo, percb^ corretto di mano dell' Autore. Son  14 volumi in-4o, legati essi pure in pelle, e scritti sufficiente-  mente bene. Qui I'ordine ^ alquanto diverse; imperoccb6 i  Dialogbi della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8  e 9, ciofe dope quelli della Filosofia naturale antica, (16 Dia-  logbi) e il Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume senza  Dumero col titolo di Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe     XXVIII SPECCHIO DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI   evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due  Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi) e Tiburtina come  nel Codice antecedenteraente descritto. (Proem., 2 argomenti  e 2 dialoghi). — Per piii ample notizie veggasi il mio capitolo  intitolato Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio  Ricasoli Rucellai,     PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. — Libello del Stg. PHoT   Orazio Rucellai. — Una copia di questo scritto inedito fu da  me ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di  State. Di questo scritto incomplete nissuno fin qui avea fatto  parola, forse perchfe sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo  r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice.     DiscoRSO SULLA FoRTUNA. — Lo lesse il Rucellai in una Adunanza  tenuta dall' Accademia della Crusca ai 20 febbraio 1654, in  onore del Principe Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Sve-  zia, come risulta dal Diario del Buonmattei. £ inedito presso  gli eredi, e penso che sia quelle incorporate tra' Dialoghi filo-  sofici nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della Filo-  sofia Morale.     Le lodi di San Zanobi, Vescovo, protettore dell' Accademia  DELLA Crusca. Discorso recitato dal Rucellai in un' Adunanza  solenne che detta Accademia celebro in onore di quel santo,  nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come ricavasi a pag. 89  e segg. del Diario di Benedetto Buonmattei allora segretario.  £ inedito presso gli eredi, ma da me non potuto leggere.     Invettiva contro il collega Tommaso Segni. — Anco questa e  inedita presso gli Eredi ; ne ho potuto consultarla, e solamente  ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa  menzione il Moreni, a pag. XVI della sua Prefazione alle Prose  e poesie del Rucellai, Buonaventuri ed altri.     CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di essasitrova  nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158, ed un' altra nella  MagUabechiana Codice Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con  altra del figlio Luigi Ricasoli Rucellai. Trovasi pure nella Pa-  latina*     m OBAZIORICASOLI RUCBLLAI. XXIX   Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita il signor LuiGi Passe-  RiNi nella sua Genealogia e Storia della Famiglia Ricasoli.  Firenze, Tip. Cellini, 1861, dove discorre di Orazio Rucellai,  a pag. 86, e che dice pubblicato a Firenze nella Raccolta delle  Prose fiorentine, parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma  io non V ho rinvenuto, e percio ritengo come inedito anche esso  nella Biblioteca degli Eredi.   ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR OrAZIO RiCASOLI   Rucellai, nella stia Ambasceria di Corte Cesarea e di Po-  Ionia dal principio di gennaio al giugno 1635. — Questa rac-  colta con le lettere del suddetto Rucellai, e delle quali ne pub-  blico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Ar-  chivio degli Eredi; e pero non potute esaminare da me.   Lettere Familiari — Sette di queste indirizzate al suo Serenissimo  Principe trovai in una cassetta nella Biblioteca Palatina, che  a^eva per titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta,  c furon levate, come molte di altri uomini illustri, dair Archivio  centrale di State, nella occasione della Gran Raccolta de'roa-  noscritti Galileiani e degli Accademici del Gimento.   Altre tre Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio uni-  versale mediceo, Filza 1013, Anni 1631-1641, dirette al Granduca  Ferdinando II dal Rucellai, di Roma, negU anni 1638-39-40.   AxTRA Lettera inedita di Orazio Rucellai rinvenni nella Filza  Medicea, dal 1640 al 1650, pacco 2°, datata da Roma li 24 lu-  glio 1649, e colla quale ei domanda al Granduca nuove dila-  zioni per la Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias 5488).     Poesie medite.     L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che era il signor Prior  Orazio Rucellai, dopo aver cenato alio stravizzo fatto dalla me-  desima Accademia, presenta un meraoriale ai Provveditori della  Gena, chiedendoli il solito tribute del Cacio.   Sotto questo titolo dice il signor Passerini che si trovano  pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle  quali e nella Magliabechiana, nel solito Codice, Poesie ec,, VII,     XXX SPECCHIO DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI   347, e comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho  potute trovare stainpate, e per do le ho poste qui tra le inedite.   Alla Serenissima Margherita d* Orleans, Principessa di Tosca-  NA. — Per un maizolino di fiori donatole il giortio di Santa  Margherita, dal Stgiwor Prior Orazio Rucellai. — Sono in co-  pia quattro Ottave che si trovano nel solito codice magliabe-  chiano sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi, del se-  colo XVII, YII, 347, pag. 198.   In morte oella donna amata. — Un Sonetto inedito che trovasi  con altri editi nel medesimo Codice Magliabechiano YII, 347.  Poesie di diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia :   « Quello che sola ai miei pansier risponde »   Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c. 213.   « Non di vostra beltk caduca e frale >   Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico che Dio  creasse le anime particolari degli uomini, degli avanzi  dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, ibid, a pag. 214  che comincia:   « Con eteme faville il sommo Sole »   Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI OCCHI DELLA sua DONNA.   — Vedi ibid., a c. 212. Incomincia questo Sonetto:   « Orabra il sonno d di morte, i sensi atterra »   Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti inediti, ibid., che fan  corpo cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano :   1) ((Come aguzza il gran fabbro, e con qual lima))   2) « Se alla ministra del Motor Sovrano ))   3) (( Nasca talun senza mirar la luce )»   Desiderio dell'anima d*unirsi a Dio,— Sonetto, ibid., a c. 218.  Comincia :   « Padre del ciel che le bell* alme accogli t>     DI OBAZIO RICASOLI BUCELLAI. XXXI   Nel Codice Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie  Diverse piacevpli VIII. Var. 363, si trovano scherzi immorali  del RuCELLA.1. Come pure neiraitro Codice superiormente ci-  tato se ne trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro  Imperfetto.   Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi del Rucellai trovansi  ricopiati pure in altri Codici manoscritti come p. es. nel Libro  Valerii Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e nel Codice Ma-  gliabechiano, 6, II, III, 209.     DELIA VITA E DE6LI SCRITTI     DI     ORAZIO RICASOLI RUCELLAI,     Introduzione.     SoMMARio. — Firmamento dei cieli, e firnianionto del pensiero. — Armonie  loro. — Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo decimosottimo. — Quegli  e specchio delle condizioni di qaosto in Firenze. — E pero si spiega  r ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. —  Dirisione generale di questo libro. — Sao fine e importanza.     Come accade nel firmamento dei cieli, cosi, o let-  tore benevolo, mi sembra accadere nel firmamento del  pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi  regnare nelF ordinata misura de' corpi celesti non dis-  somiglia punto da quest' altra armonia che le idee, o  le stelle dell' anima, compongono tra se nel loro or-  dinamento stupendo. Ond' ^ che in quella guisa me-  desima che anco un astro il piii piccolo, 1' occhio  deir osservatore de' cieK scopre ed afferma talora ne-  cessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non al-  trimenti nella storia del pensiero umano sovente uno  scrittore, un filosofo, pur de' non grandi, lo ritrovia-  mo, studiandolo, quasi anello logico, se non necessario,  tra due etd. e du§ scuole che si succedono, tra' filosofi  maggiori di quell' et^ stessa. Cosi, per esempio, in un  tempo di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e  di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^ un uomo  il quale specchi in se nella loro schiettezza i pensieri  e le disposizioni diverse della societa civile in mezzo  alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia la immagine  vera di que' contrast! che ingegni piii chiari e piii va-     4 IKTR0I)U2I0NE.   lorosi di lui allora combattono; quest' uomo, anco  de' non grandi, acquistera senza dubbio per tal fatto  importanza non lieve nella storia del pensierq e della  civilt^, perch^ appunto ei potra nella Storia rappre-  sentare veramente il suo tempo ; egli, se vogliamo con-  servare il paragone, sara un anello logico di quel si-  stema di astri intellettuali che compongono Y armonia  spirituale dell' universo. Potrei, volendo, recar qui per  la mia asserzione testimonianze storiche a dovizia;  ma non lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che  notissime cose, e cadrei nel superfluo.   Orazio Ricasoli Rucellai, del quale imprendo a di-  scorrere, non ^, giova dichiararlo tin d' ora, un gigante  tra' pensatori, e neppur grande ; egli 6 un astro minora,  e nulla pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran  forza speculativa e una potenza straordinaria d' inge-  gno. Forse egli era nato uomo di alti spiriti ; ma infetto  anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata la filo-  Sofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi  affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a sofifrire; poichd,  come scrive il Guasti nel suo Lorenzo Panciatichij era  il pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato.   E appunto, credo, perchd il Rucellai ci apparisce  cosl e nella filosofia e nelle lettere; appunto perch^  respird que'miasmi, e le inclinazioni diverse del suo  tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi  scritti ; io son d' avviso ch' egli acquisti per noi pitl im-  portanza come quello che valga a rappresentarci fe-  delmente quel secolo nel quale fiori, e riproduca le con-  dizioni reali del pensiero filosofico e del civile consorzio  in mezzo al quale viveva. E se questo d vero, come in  progresso dimostrero, la cagione e ragione della stima  e ammirazione grandissima de' suoi contemporanei, che  lo ritenner quasi come un mezz' oracolo, ^ spiegata e     INTRODUZIONE. 5   almeno in parte giustificata. Come Orazio Rucellai, cosi  quel valenti eruditi contemporanei sentivaao dentro di  se ripercosse le molteplici disposizioni del tempo, e  tutta la violenza delle correnti contrarie che urtavano  per trascinare ciascuna seco la navicella delle lor menti.   II Rucellai, che ^ alia testa di loro, vuol dominare  la furia de' corsi, e in parte riesce ; ma poi quasi in-  consapevolmente ei segue cogli altri or questa or  quella fiumana; egli e come un prisma sulle cui faccie  riflettonsi i colori molteplici dell' iride filosofica di quel-  r et^. Egli e insomma il rappresentante del suo tempo  in Firenze, perch^ raccoglie in s^ stesso tutte le  opinioni opposte che v' erano allora e tenta conci-  liarle; e, altresi, perche questa conciliazione ha pitl del-  r accademico che dell' intimamente speculativo ; specu-  lazione che, salvo le scienze naturali, era molto fiacca  a quei tempi nella sua patria.   Dimostrato questo, apparir^ anco pitl quella impor-  tanza che a me sembra avere questo libro, come quello  che avr^ mirato ad aggiungere un po' di luce alia  storia del pensiero di quel secolo; a presentare un tra-  passo anco pitl intimo tra due et^ che si succedono.   E per arrivarvi, nulla di meglio che gettare uno  sguardo al viver civile del secolo decimosettimo, esa-  minarne attentamente le condizioni politiche e morali,  vederne lo stato delle lettere e delle scienze; poich^  tutti insieme questi risultamenti dell' attivit^ umana, e  non tra di loro sconnessi o separati, valgono a rappre-  sentarcela. Noi considereremo quindi il Rucellai in  quello stato de' tempi suoi, e vedremo come la sua vita  vi si svolga, e nelle varie manifestazioni a quelli esatta-  mente risponda. E man mano che la critica seguir^ la  esposizione delle sue opere filosofiche e letterarie, delle  quali stimo opportuno ofifrire come appendice e docu-     6 INTRODUZIONE.   mento al libro una Antologia^ avremo occasione di  veder cose singolari e di non lieve importanza. Con  questo mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi  im uomo, di cui nissuna Storia della filosofia, ch'io mi  sappia, ha fatto sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto  del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a strin-  ger viepitl i legami del pensiero fra due epoche della  filosofia, e di avere additato come unione tra esse un  mio illustre concittadino.   Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^ un ingegno straor-  dinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo  tempo. D'altra parte le menti straordinarie, appunto  perche tali, volano sempre innanzi al lor secolo, supe-  rano coi loro intendimenti le condizioni de'contempo-  ranei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo  che mori, fiorente il Rucellai, non rappresenta quel se-  colo, perche ancora dominava 1' inquisizione, e le anti-  che scuole e le dispute del Peripato fiaccavano Tali  agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta  futura, le future generazioni, quando la liberta del  pensiero avr^ rotto i vincoli della servitii, e I'astro-  logia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran dato luogo  al libero esame della ragione.   L' uomo che pure non sordo alle sublimi dottrine  del Vecchio d' Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse,  dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero  al servigio dell' antica scuola, e quando, secondo 1' er-  rore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra  loro la fede e la ragione, sara pronto per la fede di  far getto della ragione sua, piuttostochd investigarne  con libero esame 1' accordo, questi, non grande ingegno,  sar^ del suo tempo la immagine. E Orazio Rucellai ^  senza dubbio quest' uomo.     I     Capitolo Primo.   IL SECOLO DECIMOSETTIMO.     SoMMABio. -- Scrittori flel Rucellai. — II marchese Carlo Rinnccini. —  Aoton Maria Salvini. — II canonico Pomenico Moreni. — II Tirabo-  schi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. —  Necessita di ritesser la vita del Rucollai per il proposito nostro.   — Difficolta pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del  secolo decimosettimo. — fe un secolo di eontrasti politici e morali.   — Contrasti nelle arti, nelle lettere, nella filosofia.     Che han scritto del Rucellai sono varj, contempora-  nei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la  vita deir uomo ne scrissero o lodi, o cenni necrologici,  o per la scienza ne toccarono di sfuggita.   II marchese Carlo Rinuccini, accademico della Cru-  sca sotto il nome di lAetOy disse le lodi del Rucellai nel-  r Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta nella  sala terrena del palazzo del duca Strozzi, a'di 11 set-  tembre 1698, e ce lo riferisce il Diario stesso delFAc-  cademia, ove leggesi :  Quest' elogio perd  non e a noi pervenuto, ossivvero sar^, come tant'al-  tre cose di importanza maggiore, sepolto in qualche  libreria privata de'nostri Signori fiorentini.   L' Orazione in morte del Eucellai scritta da Anton  Maria Salvini, non d che una bella sequela di lodi del-  I'uomo e dell'opere sue, un rimpianto solenne per la  perdita dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo  scrittore jpropone ad esempio imitabile di virtii e di  dottrina. H canonico Moreni ha discorso dell'Imper-  fetto nelle prefazioni a quella parte di scritti che ha  pubblicati di lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano  a darci un' idea dell' uomo, non valgono a mostrarcelo,  come vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e molto  meno ci chiariscono del come e del quanto quei tempi  potessero sulla vita e sulle dottrine di esso.   Cosi il Tiraboschi nel volume ottavo della sua Storia  delta Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6re-  nealogia della famiglia Ricasoli, e il prof. Turrini nella  sua Prefazione ai JDidoghi Filosofici del Rucellai sulla  Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi  a mo' di biogralia, per guisa che anco in essi 1' atti-  nenze dei tempi colla vita e coU'opere letterarie e  scientifiche del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade  di rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti  han toccato del platonismo di questo seguace ed amico  del Galileo, ma Than fatto di volo, encomiandone la  purezza del dettato e la ricchezza feconda dell' idioma  sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che  giova riconoscere che per 1' intendimento loro, questi  cenni o que' tratti bastano all' uopo, n^ pud da' lettori  ricercarsi di piii.   Ma 'per il fine che mi sono prefisso, apparisce al-     IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 9   tresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere piil  completamente la vita di lui, per quanto mi d oggi  concesso. Dico cosi, imperocche molti documenti pre-  ziosi, che potrebbero assai illuminare questa storia  e la mente del critico non mi ^ stato eoncesso di esa-  minare.   Non parlo qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede  signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una  delle quali, in quattordici tomi manoscritti, ^ come  autografo, perch^ corretta di mano del RuceUai; che  questi Dialoghi anzi mi consent! (e glie ne rendo  pubbliche grazie) di esaminare minutamente per con-  frontarli coUe copie che sono nella Biblioteca Nazio-  nale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad altri do-  cumenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze  e scritti minori che si trovano altrove sventuratamente,  e che tanto lume avrebbero potuto recare al soggetto.   Non pertanto cercheremo nel tessere questa bio-  gralia del RuceUai di riempire, quanto e piii possi-  bile, il vuoto che la mancanza di documenti lascia,  con indagini indirette, e col raziocinio; e quelle che  abbiamo tra mano bastera, credo, all' intento. Ma  prima di seguire il nostro scrittore nella via della  8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio in cui  egli fiorisce, e ricordiamone intanto i caratteri e le  quaUt^ pill generali, ch6 le particolari noteremo via  via procedendo. I ricordi del passato quando non si  restringono a una cronaca arida e secca acquistano  un pregio indipendente daU' importanza degli avveni-  menti che ci rammemorano. Come il piil piccolo vaso  e r utensile piii umile coperto dalla ruggine del tempo  diventano ne' nostri musei 1' oggetto prezioso di una  grande curiosity ; cosi f atti pur semplici, ritrovati nella  distanza dei secoli col loro carattere reale e native,     10 CAPITOLO PRIMO.   acquistano un pregio singolare, e anche un certo at-  traimento per colui che studia la storia con un  po' di immaginazione e di critica, e che nelle sue ri-  cerche e letture ha per canone e guida la massima  morale di non ritenere per indifferente nulla di cid  che 6 umano.   Che ^ mai pertanto il secolo decimosettimo? Si dice  generahnente che esso appartiene all' et^ moderna;  che la servitil del Medioevo e scomparsa; che la imi-  tazione del Rinascimento ^ tramontata : Bacone, Car-  tesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed  hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero, ma  solamente in parte ; imperocche essi, sorgendo, trovino  da sgombrare dal cielo del pensiero nubi ancor dense,  e questo non fanno ne posson fare in un attimo, sib-  bene gradatamente. Le inveterate abitudini, le antiche  affezioni, le tendenze ormai radicate non si cancel-  lano, non si mutauo a un tratto; ci vuole la espe-  rienza longanime, si richiede un conllitto inevitabile  tra il vecchio ed il nuovo, che trovansi Y uno dinanzi  aU' altro. Ed ecco il perche, non altrimenti che nella  natura accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e  dell'azione e sempre vauo cercare quelle divisioni  recise che si trpvano nelle matematiche. Si direbbe  che la storia del pensiero e un sorite, in cui ogni  conclusione posteriore ritiene a suo termine medio e  necessario la conseguenza dell' argomento immediata-  mente anteriore.   Ed infatti il secolo decimosettimo, a chi ben lo  riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciasche-  duna delle molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio  un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io parlo dell'Italia  principalmente) scissa in molte parti, e pero debole;  deboU adimque ordinariamente anco gli animi, o forti     IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 11   di fortezza apparente e non propria: essa, T Italia,  teatro a' litigi tra' piccoli, a guerre tra' grandi prepo-  tenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra di  pascoli eletti. Principi italiani, mentre la madre comuue  era in servitii, non pure non amare di unirsi in lega  tra lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni  e veleni per mania di possedimento. Amore di guerra,  gelosia di acquistare territoriuzzi italiani a danno di  principe italiano compagno; non generosity, non altezza  d' animo, non dolce superbia di procurare od almeno  di preparare all' Italia quell' onorata condizione che  al suo glorioso nome si conviene, regnavano in quei  tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi  le successioni de' principi hanno luogo rapidissime, e  cosi ad ogni istante I'ltalia ci presenta un aspetto  nuovo, mentre si trova costretta a sottostare a idee  nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In  meno di'settant' anni tra duchi, dogi, papi ella ne  vede sorgere e sparire novanta, e insieme ad essi vede  sparire e risorgere contrasti a dismisura; e se per un  momento arride U sereno della pace, gli ^ per rendere  agli occhi degli uomini piil fosco il tempo di gara che  ne succede. II gran politico e gran raggiratore del  decimoterzo Luigi favoreggia intanto il duca di Nevers  6 lo vuole ad ogni costo porre in possesso di un' ere-  dita, la quale assicura alia Francia il punto piil con-  siderevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna ed  anche Carlo Emanuele gli muovono contro, e nel 1630  la terra di Mantova e posta  a sacco dagli Spagnoli.  Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e il Mon-  ferrato rimangono al duca di Nevers; Alba, Torino e  alcune altre terre alia Savoja, la quale alia sua volta  ^ costretta a cedere Pinerolo. Ma Richelieu non h  sodisfatto; egli vuole stremata la potenza d' Austria e     12 CAPITOLO PRIMO.   di Spagna, in Italia precipuamente ; e contro la Ger-  mania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, con-  fisca la Lorena, e, collegati essendo la Francia, la  Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra  agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi prediles-  sero sempre la pace, trovossi pure travolta nella comune  ruina; e se i primi anni di regno scorsero a Ferdi-  nand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e  della fame, non mancarono poi a turbarlo gli orrori,  non gravi meno, della guerra contro i Francesi prima,  poi contro Urbano VIII, che pari al Cardinale di  Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire  i Barberini suoi nipoti, vuol togliere ad Odoardo Far-  nese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di Castro  e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi legalmente  la faccenda, il cardinale Barberini assalta il feudo di  Castro, e se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese,  passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del  Papa, e sparge dovunque spavento e terrore. Ferdi-  nando II, riuscitagli vana una conciliazione, trascinato  dalle insolenze de' Barberini e dalle controversie onde  tormentavalo la corte di Roma, si mette in punto di  guerra, e per f arsi sicuro all' interno, esilia quanti re-  ligiosi ed ecclesiastici vi sono nativi delle Romagne,  e col cognato sconfigge le armi del Papa, il quale cede  alia forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato.  E cosi di questo passo per tutto il secolo e per tutta  la Italia andarono le cose; e i popoli si vendevano, e si  lasciavano vendere quantunque se ne dolessero, mentre  e dissensi e contrasti e debolezze e frodi e vilt^ co-  stituivano allora la totality di quel fantasma volubile  che si chiama anc'oggi politica.   E di tal fatta, e non altrimenti, le condizioni mo-  rali. Che, pur restringendoci alia Toscana, noi vediamo     IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 13   i suoi principi altalenare tra il bene ed il male conti-  novamente. Or ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati, or  aUe cortigiane; e Ferdinando 11, uomo prudente, ma non  sempre coraggioso, cade nella pusillanimity. E mentre  dianzi ti si mostra superiore alle minaccie del governo  di Roma, vedi poi che lascia, durante il suo regno, radi-  care negli ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdi-  zione politica, pel quale vanno in breve vieppiii sper-  dute le antiche consuetudini deUa repubblica, e le  ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell' Inquisi-  zione abbandonare il disegno di erigere un monumento  a Galileo. E nel medesimo tempo (come vedrem--o poi  pill particolarmente) ama e protegge gli studi, colti-  vandoli, e in essi trova conforto o distrazione agli  affanni politici e famigliari; e a chi gli dimostra  come, facendo egli ammaestrare il popolo, sarebbero  venuti a mancare artigiani e servitori, risponde com-  piacersi assai piii d' esser principe d' uomini che  di bestie.   Che se dalle Corti si viene a' nobili e si scende al  popolo, noi assistiamo a' contrasti medesimi, alle me-  desime scene di discordie, di debolezze, d' immorality.  Ogni privilegio ^ pe' nobili, oppressione 6 pel popolo;  inani per i primi le leggi, eccessivamente rigorose al  secondo*; impedito il popolo di portar armi, padrone  di cingeme quando e quant' e' vuole il signore e di ac-  cerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi d'insolentir  sopra i deboli. Indi le vendette, i tradimenti, e quella  riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore;  d veramente una societa ingiusta senza grandensea, pas-  sionata senza generosita, dove niuna esaltazione, ma  ragionamento e calcolo e frode e intrighi indecorosi  predominano. E pjsrfino nel vestire servility e contrasto  di gusti si fanno palesi. Sono state tante (dice il Ri-     14 CAPITOLO PRIMO.   nuccini ne'suoi Bicordi Storicl) le vanita del vestire  che in questo secolo sono seguite, che si rende impos-  sibile di poterle non solamente narrar tutte, ma anco  la maggior parte di esse: tuttavia non lascia egli di  notarne qualcuna, prima degli uoraini, poi delle donne ;  dopo di che in generale ha detto, che    E quest' eclettismo esteriore era non altro se non  un riflesso dell' interno eclettismo e contrasto di  quelle menti e di quelle volonta, sicch6 i medesimi  uomini, come, per esempio, il Rucellai nostro co' suoi  amici, avresti veduti a un' ora portare impettiti e gravi  il vestito ricamato di seta nera e con frange e con  nastri rasati, ad un' altr' ora coraparire al pubblico in  farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a meno che  accadesse quella volubility e imitazione servile delle  mode di Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti  quegli animi del pensare francese. Imperocch^ le guer-  re, la letteratura e le dispute clericali di quella na-  zione occupavano gi^ gl' intelletti italiani; e il nostro  paese che, come nota il Guasti, aveva mandate Leo-  nardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti e le  lettere, tornava a scuola dai discepoli, tutto trovando  ne' Francesi grande, a cominciare dal re. II quale,  per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze  quelle pensioni, che il monaco Mabillon rifiutava, e il  Dati e il Viviani soUecitavano. (Scritti varj di LO-  RENZO Panciatichi, pag. XIII-XIV.)   Se entriamo nel sacrario delle arti, delle lettere e  delle scienze, noi vediamo riflesse le condizioni mede-     IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 15   sime di contrasto, e di fare spensierato, che le politiche  e le morali condizioni ci offriroiio. Alcuni artisti si  buttavano all' esagerato, al teatrale, sostituendo al  vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti violenti  anco negli affetti pacati, panni svolazzanti anco in sale  chiuse, riputando triviality la naturalezza; sicch^ i  michelagnoleschi fanno Veneri cLe sembran Ercoli,  e si presta culto alia me'diocrit^, si segue il tra-  viamento.   E Lodovico Caracci che tenta in Bologna coUo  studio di veri capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori,  riesce a fondare una scuola che ha per carattere  r eclettismo, stimando arte suprema accordare non  solo ma fondere quanto i grandi artisti avevan di  mejglio ; ne egli ne i suoi cugini sepper mai all' eclet-  tismo aggiungere il pensiero ispiratore, preferendo,  come dice lo stesso Cantil (Storia Universale, vol. XVII,  pag. 816), di avvicinarsi ai fenomeni della natura e  supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori  di loro scuola fecero riazione contro questa infelic^  idea. II cavaliere d'Arpino proclama I'idealismo, ma  condannando i marinisti materiali della pittura, di-  venta egli il Marini della pittura stessa per la ricerca  affettata dell'ideale. A Guide Reni che vagheggia il  soave, si contrappone il Guercino che si d^ a' ga-  gliardi contrasti di luce e d'ombra: alia facility del  Berrettini la creazione fiera del Rosa. Matteo Roselli  contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto,  corretto, il secondo smorfioso alquanto, e coloritore  con non abbastanza armonia. Cosi nella scultura e  neir architettura, le quali pure ci presentano piil ca-  dute spensierate che creazioni e voli generosi, contrasti,  esagerazioni ; e 1' alito dell' affetto che spira ne' rozzi  tentativi del trecento, non ritrovi in esse ora piiH ; n^     18 CAPITOLO PRIMO.   vecchio viiol trovare un accordo, un legame, un'ar-  monia. Intendimento quant' altro mai salutare e gene-  roso, ma che appunto per esser concepito da menti  ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o con-  traffatto, e piucch^ il nuovo farlo sgorgare natural-  mente dall' antico, e ajutarne, quasi a mo' di levatrice,  il parto desiderate, trascurano inesperti e loro mal-  grado il primo per il secondo, o il secondo pel primo. E  un eclettismo quello che esce dalle mani di questi  uomini; 6 la figura mostruosa che Orazio ci dipinge  nel principio della sua Arte Poetica.   Or bene, in quel secolo abbiamo da un lato Pla-  tone ed il neoplatonismo, dall' altro Aristotele e 1' ipse  dixit de' suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui  il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma  volont^ del tutto esaminare ; qua la tirannica preten-  sione del tutto imporre e far accoglier per fede; da  una parte la liberty,, spesso sconfinata, del Bruno e  del Campanella, dall' altra parte 1' inquisizione pronta  a tai'pare le ali, se vogliam temerarie, di quegli ardi-  mentosi sfidatori del cielo.   In una parola noi siamo sempre con un piede nel  Medioevo, con 1' altro nella Riforma. Ella 6 questa  che si combatte una vera guerra da giganti, nella  quale le intelligenze di coloro che non son ingegni po-  tenti, si debbono trovare in baUa di impulsi diversi,  che, come dissi, se ne disputano ad ogni istante il  dominio.   A larghissimi tratti noi abbiam vedute come in  ispecchio le condizioni politiche, morali e intellettuali  di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro pre-  Hininare noi reputassimo di non potere arrivare a cono-  scere determinatamente 1' uomo di cui teniamo discor-  so, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La     IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 19   vita di ogni individuo ^ un problema, per risolvere il  quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa  vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la civUtlt d' un  secolo viene sempre essenzialmente espressa dal tutto  insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme  e gradi di cultura proprie o particolari a ciascuno de-  gli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 in-  somnia lo specchio della vita interna dell' individuo in  mezzo agli uomini del suo tempo.     Capitolo Secondo.   BELLA VITA DI ORAZIO RICA SOLI RUCELLAI.     SoMicARio. — Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU  delle due famiglie Ricasoli e Racellai. — Loro attinenze con le glorie  politiche e letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Me-  dici. — Perch^ Orazio piacchd Ricasoli appellino gli scrittori col  nome materno de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. —  L' Accademia Platonica istituita da Gosimo e Marsilio Ficino. —  Intendimenti di questo. — Saoi scritti. — Platonismo cristiano di lui  e de*8aoi accademici. — Si nominano. — Bernardo Racellai. — Sue  qualiti, opere, pregi di esse. — Fa parte deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche  nella teorica dei sacrifizii, e non nega che le anime  umane vengan giu da una certa parte del cielo, e vi  risalgano, e agli angeli assegna un tenuissimo corpo;  dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo  e le emanazioni alessandrine ci possono spiegare. Gli  6 per cio che 1' Accademia istituita dal nostro Marsilio  piii che Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per  un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo  dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo alessan-  drino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come  da una certa mistura di dottrine e di forme aristote-  liche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fonda-  tori e continuatori di essa.   I quali furono in grandissimo numero, contempo-  ranei ed amici del Ficino, come egli, distinguendoli in  tre classi, scrive a Martino Uranio, e li nomina tutti.  Fra i primi che meritano speciale menzione sono (scrive  il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti, che Mar-  silio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il  di lui Acate, il quale per tutta la vita fu il confidente  de'suoi pensieri piU riposti, e il confortatore delle  sue amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di  Ercole, che egli consultava in tutte le difficoM filolo-     BELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI EUCELLAL 2.5   giche, che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con som-  mo conforto lo vide poi in eta matura piil propenso  alia filosofia platonica: Giorgio Antonio Vespucci, Fran-  cesco Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti,  tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli, e Ber-  nardo Rucellai, i quali ultimi tre andavano ogni giomo  a tenergli compagnia quando desinava, e con essi con-  versava, ora scherzando piacevolmente, ora trattando  gravi argomenti di filosofia. Bernardo, antenato illu-  stre di Orazio Rucellai, era uomo di sublime e grave  ingegno, a niuno secondo per civile prudenza, casto  nel parlare, aflFezionato a' costumi antichi, e nulla non  v' era in lui che non fosse veramente patrizio o sena-  torio. La sua vita politica ci dimostra com' egli sostenne  sempre le cariche piU rilevanti, ambascerie importan-  tissime, e sebbene stretto per sangue alia famiglia  Medicea, non fu tra i suoi amici, e seppe ad essa mo-  strarsi spesse fiate contrario. Egli fu chiarissimo let-  terato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua  del Lazio seppero mantenere in onore grande, come  ce ne attesta la sua Orazione: De auxilio Typherna-  tibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello  Pisano ; il De Bello Italico, in cui si descrive la storia  della venuta di Carlo VIll in Italia, e il Bellum Me-  diolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma che  voile dedicate al suo figlio Palla, nel qual libro, illu-  strando Sesto Rufo e Public Vittore, raccolse quanto  si trova negli antichi scrittori intorno alle antichit^ di  Roma, e quanto ^ proprio a dare una idea di quella  regina delle nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.)  Lo stile del Rucellai e piano ed elegante, ed Erasmo  da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi Apoftegmi,  ebbe a dire che niuno meglio di lui »' era mai avvi-  cinato a Sallustio.     26 CAPJTOLO SECONDO.   Fattosi strada coUa sua dottrina, Bernardo fu dunque  chiamato a coinporre la schiera eletta delFAccademia  ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fioren-  tino risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli  Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel 1492, il  quale, come abbiamo notato, avea ampliato e protetto  sempre V Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i ban-  chetti solenni co'quali Platone era solito di celebrare  il suo di natalizio ; i componenti di essa poterono an-  cora per due anni, ospitati e protetti dal cardinale  Giovanni e da Piero de' Medici, far le loro adunanze  in quel portico novello di Atene, quale era divenuta la  Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggeri-  menti e per esempio di Lorenzo, scrittore e poeta Ita-  liano gentile, e dello stesso Marsilio, il quale dettava  un elogio italiano dell' Alighieri, e traduceva il libro  De Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle  disputazioni filosofiche. Per.la qual cosa ebbe grande van-  taggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero  lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante e del Boc-  caccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della  dolcezza fu indubbiamente il Poliziano. Se non che  nel 1494 cacciati, per la debolezza vergognosa di Piero  figlio di Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e  posti dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se  voile continuare i suoi studi diletti, fu costretto ad  abbandonare Firenze e la villa, e ricovrarsi nella ru-  stica solitudine del suo Montevecchio. E quei sapienti  che gli facevan corona dovetter lasciare il noto asilo,  il luogo memorando de'loro divini convegni!   Ma la grand' anima del Ficino spird sempre nel  petto di quegli amici e discepoli le sublimi dottrine e  le belle virtil ; e Bernardo Rucellai diede ad essi cortese  ospitaUt^ nella sua casa in Firenze, e poi nel suo giar-     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 27   dino, sul principio del secolo decimosesto, donde 1' Ac-  cademia platonica prese nome d' Accademia degli Orti  Oricellarj. Quivi convennero principal! Niccolo Ma-  chiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni,  Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio Brucioli, Gio-  vanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Gio-  vanni Canacci, i due Francesco da Diacceto, I'uno  detto il Nero, Y altro il Faona^zo dal color delle vesti,  Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e Niccold  Martelli, Giovanni Cavalcanti e il Martini, i quali due  ultimi il Ficino chiamd nel 1499 esecutoridel suo te-  stamento; e per tacere di molti altri, i figli di Ber-  nardo Rucellai.   In questo giardino veramente platonico si addita  ancora il luogo, dove quei dotti uomini si radunavano,  e dove sur un cartello di porfido sta scritto: Ave  Hospes. Quelle volte e quei viali risuonarono di voci  sapienti, e il Diacceto vi leggeva i suoi Libri sul Bello,  il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito  Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T Alamanni il  Trattato della Coltivazione. L' amore delle dottrine Pla-  toniche divenne fin d'allora viepiii tradizionale nella  famiglia de' Rucellai, che lo serbarono sempre come  una gloria superba, quasi depositarii di preziosa re-  liquia, ereditata con tante altre grandezze da tempi  pill fortunati e migliori. E dopo due anni il ritorno  de' Medici in Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi  figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino,  non furono men gloriosi ed ardenti seguaci delle ve-  stigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il  Poliziano e Pico della Mirandola, ormai spenti, do-  verono a questi esser modelli sublimi, immortali, so-  vrattutto Bernardo. Leone X e il Machiavelli fu-  rono condiscepoli di Giovanni, il Diacceto maestro a     28 CAPITOLO SECONDO.   lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe anch'esso anima  platonica, come conservaronla tale Palla e il nipote.  E li pure all' ombra di quegli Orti, in quell' atmosfera  piena di vita e di scienza, die mano Giovanni al suo  poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere,  a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le api stesse,  ronzando d'intorno al poeta per libare il succo dei  fieri, se gli posassero talvolta sulla penna, infonden-  dovi quella dolcezza che tanta spirano i versi suoi.  L'Accademia degli Orti col sacrofuocodella scienza e  delle lettere nutriva ancora e conserva va quelle non meno  sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegna-  menti del Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* di-  vine speculazioni platoniche non poterono rimanersene  privi di frutto. L'oppressore cardinale Giulio dei Medici  pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ar-  dente gioventii fiorentina, la quale correva volentieri ad  udirli. Fu allora che la quieta stanza di Sofia videsi  trasformata in sede di una congiura a danno del de-  spota, alia quale presero parte moltissimi, tra cui i  due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto. Sventura-  tamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la  grand' anima sua per mano del carnefice, e molti altri  niigravano in esilio forzato, I'Accademia Platonica fii  sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) prose-  guire le sue adunanze in quegli orti di sapienza e di  pace. De'Rucellai, quantunque amici di liberty, pur  legati strettamente alia famiglia de' Medici in paren-  tela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella  congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di Palla,  quando nel 1527, unico superstite de'figli di Bernardo,  mostratosi dalla parte dei Medici, allorchd furono ri-  cacciati dalla citt^, videsi invaso il palazzo, guaste e  ftirate le suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 29   bensi, che, ristaurata la potenza medicea, veduto il  nuovo Duca della Repubblica andare a poco a poco  erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione  accordatagli, si oppose unico poi nel 1537 all'elezione  del nuovo despota, morto Alessandro, e dichiard do-  versi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ; che  Cosimo de' Medici fu proclamato il Secondo Duca. II  giardino stette in propriety de'Rucellai fino al 1573;  dopo il qual tempo passd venduto, per mena certa-  mente de' Medici, per sei mila ducati a Bianca Cap-  pello, che di luogo consacrato alle sovrane armonie  della scienza platonica, mutollo in sede di delizie e di  volutta a' cortigiani medicei. Ed ora questo gran mo-  numento ricco di tante memorie e propriety di una  nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la quale, cu-  rando il decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme  per abbellirlo, e farvi miglioramenti notevoli.   Se pero 1' Accademia degli Orti non pote daDa  congiura in poi radunarsi, e gli Orti stessi furono con  pensiero ingeneroso venduti, la tradizione platonica  non si spense guari, nd si poteva. Troppi erano gli  uomini grandi, il cuore de' quali batteva per le idee  del divino Ateniese; troppo viva era in essi la me-  moria del Ficino e di Bernardo ; troppo cdnsone ormai  le platoniche divinazioni al sentimento italiano, rispon-  denti troppo alia bellezza del cielo che aUe pendici  di Firenze, alia torre di Arnolfo, e a Italia tutta divi-  namente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi plato-  nici tutti legano i tempi di Bernardo e dei figli ai  tempi del platonico Orazio. Ma pur nella famiglia me-  desima de'Rucellai questa fiamma si conserve viva  sempre, e se un uomo tra essi debole o degenere potd  r avidity del danaro preferire al glorioso possedimento  di quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto     30 CAPITOLO SECONDO.   dair altrui minacce, i piii di loro dovettero deplorare  sififatta perdita; mentre, contemperate dalF indirizzo  dei tempi, predilessero sempre le dottrine della illustre  Accademia. E 1' avo matemo di Orazio Rucellai, cul-  tore del neoplatonismo, conobbe Torquato Tasso ancor  giovane a Napoli, e il Tasso, platonico in certi punti,  ricorda quell' avo con parole di molta lode e di molta  familiarita nel suo Dialogo che ha per titolo : II Gon-  eaga o del piacere onesto. (Dialoghi del Tasso, per cura  di Cesare Guasti, Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60).   Ed 6 a questo punto che comparisce sulla scena della  vita Orazio nostro, di animo nobile, d'ingegno elevate,  il quale doveva come riunire in s^ e nell' opere sue la  tradizione neoplatonica custodita gelosamente nel seno  deDa famiglia materna. II conservarsi, come tesoro  santo^ r amore delle dottrine dell' Ateniese e del Ficino  da' Rucellai, le case dei quali furono teatro in cui i  piii dotti si raccolsero sempre, non pud da noi non  risguardarsi come un' occasione, un motivo intrinseco  dell' indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno  come un elemento sostanziale che doveva concorrere  insieme con altri, e potentemente, a informare lo spi-  rito scientifico e letterario di lui. Un Ricasoli infatti  diede a Orazio la vita; ma i Rucellai ne informaron  la mente, in quella guisa medesima che coUe sostanze  di Monsignor Delia Casa ereditd, come scrive il Casotti,  il suo spirito, la sua virtii. (Elogio del Rucellai).   Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo dire fin  d' ora che il Rucellai nostro, ammiratore e seguace  delle dottrine platoniche, dovS sognare sovente i deli-  ziosi sapienti convegni nell' avito giardino, e pitl d' ogni  altro dolersi che quel monumento di virtii e di dot-  trina non potesse piii, fatto albergo ai disordini di  Bianca Cappello, e poi di un cardinale de' Medici, ispi-     BELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 31   rare nell' animo siio il forte volere, i gravi pensieri,  che quei liberi ingegni vi aveano raccolti e maturati.  Nondimeno egli, il Rucellai, per far rivivere quell' avite  conversazioni, e perpetuare cosi la tradizione domestica,  raduner^ nelle stanze della sua casa i celebri eruditi  del tempo suo, e dietro le orme de' suoi parenti, ascol-  terh e detter^ precetti di sapienza e di virtti, non po-  tendoli ancora di liberty. Ch^ in luogo della voce sde-  gnosa del Diacceto, degli Alamanni e del Buondelmonti,  che nel sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava  minacciando i fautori del dispotisDio, gli oppressori  dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle stanze del  Rucellai, uomo di corte insieme con dotti uomini di cor-  te, si udiranno parole di dottrina, rime d'amore, rim-,  proveri pur anco ai costumi guasti della Corte e del  Clero ; ma non saranno piii, no, gli energici avvisi del  Machiavelli e degli altri per trattener la caduta di  una liberty che vedevano precipitare ; saranno i timidi  lamenti di un bene irremissibilmente perduto, deboK  querele di uomini curvati sotto il gravame della ser-  vittl, proteste inconsapevoli talora, sommesse sempre,  perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e  munifici protettori delle scienze,'non sono tali da con-  sentire si grande temerity, e il tribunale 6 la ad im-  paurire gli intelletti, e a tarpare le libere ali del pen-  siero e della coscienza.   Cosi i motivi generali esteriori ed intrinseci del-  I'avviamento educative e scientifico del Rucellai ap-  parvero a me, ed io credo pure al leggitore, distinti.  Vediamone ora lo svolgimento successive nel cammino  della sua vita.     Capitolo Terzo.     (Segue) DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI.     Somf ABio. — Prima edacazione e istrazione del Bacellai. — Fa segnace  del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne* suoi scritti. — Abitudini sue  e motteggi de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli  Rncellai. — La Corte Toscana e il Bucellai. — Suo cortigianesimo  e suo disprezzo della Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su  questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica  a Vienna «^'Varsavia.     II 'signer Luigi Passerini che piii largamente di ogni  altro s' intrattenne suUa vita del Rucellai (Genealogia  della Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e  segg.) discorrendo della prima educazione di lui ci dice  che  Ma i nomi di quegli uomini  chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate che su  tutte le opere del Rucellai abbiamo fatto, n^ altre ri-  cerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd  che Galileo fu udito dal Rucellai, e questo possiamo  asserire con sicurt^ piena. Imperocche il signer Pas-  serini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio sopra  quelle che il nostro scrittere nel suo Discorso centre il  Freddo Positive dice in principio, e che ^ prezzo del-  r opera rammentare.  Questo e qualche  altro passo delle opere sue, provano essere stato il  Rucellai discepolo del Galilei, non gia nel significato  ristretto che si suol dare a questa parola, ma in quanto  egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del  Galileo la esposizione delle dottrine di lui; e a questi  passi si appoggiano il Nelli, il professor Palermo, il  conte Mamiani ed altri che ne favellarono.    e  pone in nota che cio ricavasi da alcuni frammenti di  oi)ere del medesimo esistenti nella sua libreria. E il  professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con  sicurezza piu che discepolo, amico del Galilei V Imper-  fetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada,  aUora che discorre di lui, e si maraviglia, e a ragione,  che il Tiicaboschi, laddove nel tomo ottavo della sua  Storia della Letteratura italiana si trattiene a parlare   3     34 CAPITOLO TERZO.   del Rucellai, nol collochi tra' piii solenni filosofi di quel  fioritissimo secolo, in cui \isse 1' immortal Galileo di  lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai  dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823, pag. xxi.  Firenze.)   E le dottrine del gran filosofo poteron davvero an-  ch'esse ed efficacemente sull' animo del nostro scrittore,  come su di uomo tenero amico della verity. Galileo infatti  aveva trovato nella selva opaca il vello d'oro: egli  aveva ritornato a vita sotto un certo rispetto il me-  todo di SoCrate e lo aveva riconsegnato alle intelligenze  stanche ormai di servire ciecamente all' autorita di  Aristotele. Ecco il perch^ il Rucellai vedi abbracciare  del Galileo le teorie con animo aperto. Ed ei pud  dirsi che dififerisce dagli altri segi\aci del Galileo  e che li supera in questo ; gli altri svolgon le dottrine  metodiche del Galileo nell' osservazione dei fatti este-  riori e delle loro leggi ; mentre che il Rucellai si pro-  pone di svolgere quel metodo stesso in ogni disciplina  filosofica, cio6 anche nella osservazione dell' uomo in-  teriore; quantunque nelle conseguenze della sua lilo-  sofia seguiti piii il probabilismo accademico, come ve-  dremo in progresso.   n Rucellai dov6 avere altri maestri e di rettorica e  di filosofia, e compiere nella sua gioventii studj ordi-  nati; e di cio fan testimonio le opere sue eruditissime,  e nello stile e nella lingua adorne di tante bellezze.  Oltrediche era questo il costume de' ricchi e de' no-  bili di que' secoli ; che allora, come ne ricorda il buon  Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino  di nobilt^ forniti e al di sopra degli altri, tanto piii  e'si credeano in debito ad esempio ancora, ed eccita-  mento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe virtii,  e colle lettere, ben persuasi che senza il di loro cor-     DELLA VITA DI OEAZIO RICASOLI RUCELLAI. 35   redo, soccorso e accoppiamento, niente o assai poco  ella nello spirito signoreggiar suole o suUa opinione  degli uomini. D Rucellai educate fin da giovanetto  da' suoi genitori e maestri nel sentiero della scienza  e della virtii, fu quanto e piii di altri compreso di cid,  e la verity di questa sentenza tradusse egregiamente  in atto nella sua vita fino all' estremo; si che il Ma-  galotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la morte  di lui, mestamente scriveva a Luigi Del Riccio. (Let-  tere Familiari, tomo II, pag. 28)    A dieci anni fu decorato delle divise equestri del-  rOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del pa-  dre, ebbe il Priorato di Firenze, istituito dal suo avo  Giuliano nel 1589; e nel 1656 i cavaKeri di quell' Or-  dine lo elessero gran Contestabile nella solenne adu-  nanza tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria Felice  de' nobili Altoviti, egregia donna, e dalla quale ebbe  nove figU, tra cui Luigi il maggiore, che seguendo le  orme del padre fu anch' esso, • giusta ne dice Salvino  Salvini ne' Fasti Consolari dell' Accademia Fiorentina,  e secondo che ne porgono argomento sicuro gli scritti  eruditi di lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento  non meno delle accademie che delle corti dei principi.   Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti della mente  quelle del cuore, fu caro a quanti lo conobbero, vene-  rate anco da' grandi, e mite senza che cio vietasse a  lui di essere nelle sue poesie e cicalate acuto e pun-  gente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi  genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora, fino  a sapere di eccessiva misticit^ nei suoi scritti.   Ebbe sua dimora in Firenze; pero talfiata recossi     36 CAPITOLO TERZO.   e abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e spesso,  dopo le politiche incombenze a Vienna e in Polonia, ri-  tiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta villa  al PoggiaJe, ne' dintorni di San Casciano. Le sue abi-  tudini come d' uomo che vuole stare in una custodia di  cristallo, meticolose sempre e, come a dire, scettica-  mente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma  pur verace riflesso del suo carattere, de' suoi scritti e  del suo tempo, e pero mi ci fermo. Tanto era della sua  salute eccessivamente riguardoso, che certi suoi inco-  modi e certe curiose precauzioni per questi, diedero  ansa ai motteggi e alle canzonature poetiche de'suoi  amici accademici, non disdette neppure da Luigi suo  figlio, e accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive  di lui motteggiato dal Panciatichi:    E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore brillo,  a Panciatichi deride cosi il Bucellai:   « Pupilletto,  Vezzosetto,  Caro Orazio RuceUai,  Gioiellino degli amici,  E splendor deUe morici,  Dimmi 3e io son cotto,  filosofo mio dotto,  Tu che trovasti,  Tu che redasti   Fralle cose paterne indite e rare  Le pillole che fanno indovinare. »     BELLA YITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 37   Dalle quali ultime espressioni ricavasi conferma  ancor di quello che nel precedente capitolo andava  accennando, sul trasmettersi quasi per tradizione cia-  scun de' Rucellai di padre in figlio, iino ad Orazio, la  dottrina platonica.   E delle medesime sofisticherie ragiona quasi sul  serio il figlio Luigi'nella Cicalata della Ipocondria:  i Ditemi un poco, egli esclama, quella difficoM di re-  spirare che tiene sempre sospetto d' asma il nostro filo-  sofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato)  pud ella essere altro che 1' ipocondria pettorale ; la  quale mentre impedisce V esalazione di quelle si vive  favilluzze, gli mantiene sempre piena di filosofia la  lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio  genitore, con cui le piii difficili cose del Timeo spiega  si chiaramente, A daU'emorroidale prodotta; ond'egli,  che bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi soprav-  vegnenti spiriti vigore ed impulsi all' intelletto, ad ora  ad ora 1' emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via  non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal suo gran  panegirista (il Panciatichi) fu chiamato   (( Gioiellino degli amici  E splendor delle morici. »   Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl acuti che  alle sue abitudini legate si fecero: e con cid intanto il  lettore^ si far^ meglio un' idea di quel che allora erano  I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati  snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo D' una  che per febbre deliri motteggia da capo il Panciatichi  il nostro Orazio cosi:   « Malan che il ciel vi dia^  Sto male, ho le petecchie, ho quel sudore     38 CAPITOLO TERZO.   Che di luglio uccideva il mio Priore.*     Solamente sdraiato sugli marraori   Queir omazzo attendea V alba deir jomo,   Quand' ecco in un istante >   Di strida e d' ululati,   Di singulti e latrati   Himbomba Parione,*   E corron le persone   A casa V Imperfetto   Che faceva all' amor col cataletto.   Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia   II Priapo * volo della sporcizia,     * Per dichiarazione di questi versi giova recare alcune parole  di Luigi Rucellai nella Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno prov-  vidente si dee reputare mio padre, diligentissimo Ipocondriaco, al  quale venne, poche settimane sono, in villa, una specie di gran-  chio nella penna, che debilitando quelle sue dita, ferme gliene  tenne e inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo  d' improvviso accidente d' apoplessia, acciocch^ col mote non gii  piovesse nuovamente flussione, mando tosto a cercare del medico  tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile nella medesima po-  situra la mano e le dita per aria, finche il medico non vi arrive  che gli die licenza di muoverle. » E appresso : «E per certo s'udi-  rebbero piu rade, o forse non mai, le scalmane, se tosto che 1' iio-  mo dal natural temperamento si sente fuori, alia prima gocciola  di sudore, anche d' agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e  fino quando gli sudano le tempie per rnangiare il marinate, o al-  tra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar le mosche da  tavola. i>   * Strada in Firenze^ ove era il palazzo Ricasoli^ convertito oggi  in Locanda.   * II Biscio7ti nella stampa annoto : « Si crede foss% un ple-  beo. » Ma neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna : « Vo-  gliono alcuni che in quel tempi si denominasse Razzullo il poi  famosissimo dott. Francesco Redi. »   * II Priapo della sporcizia, in lingua Jonadattica, il Priore della  Sporta, convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo  ricordato anche nella Controccicalata. II Panzacchi, che forse ^  questo Priore, praticava molto in casa del march. Corsini ; dove,  oltre gli altri divertimenti che le brigate ne traevano da lui, uno     DELL A VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 39   Che appunto colla barba veneranda,   Facea le fregagioni   A certi suoi malati vagabond!   Che pativano un po'di mal di pondi.   Che c' 6 e che non c' fe ?   Chi ha mal ? che cosa 6 stato ?   Grida il Priore : Oiin6 !   lo son, che son spacciato.   \r 6 cascata la gocclola.   Che gocciola, Signore?   Gocciola di sudore,'   Gocciola amara e tetra   Che alia mia tomba incavera la pietra.*   Deh! cantatemi tutti I'Epicedio!   Sudai di luglio e non c' e piii rimedio. »     E via di questo gusto canzonature sopra canzona-  ture, che io debbo tralasciare per non digredir troppo  dal pill importante. II riferito per6 credo basti a di-  pingere, tolta 1' esagerazione, il carattere di questo     era il farlo predicare : nella qual funzione faceva e diceva cose  stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i si-  gnori Corsini adunata una buona conversazione al loro giardino  vicino alia porta al Prato, e volendo far predicare questo frate su  quelle parole del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo  fatto accomodare una grande asse sopra un vivaio o tinozza d'acqua;  fattolo quivi sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe  molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et videhitis m.e; nei  ripetere Taltra parte del testoi Modicum et non videhitis me ; gli  fu tratta di subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell' acqua,  tutto quanto vi si tiiffo. Accorsero i servitori a trarnelo, e lo con-  dussero in una stanza a rasciugare : ed alcun gentiluomo fu nel-  1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad intendere che era stata  una disgrazia dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti.  In nota agli Scritti varj- del Panciatichi.)   * Vedi di sopra la nota alle parole quel sudore ec.   * Scherza su quel verso :   Gutta caval lapidem, non vi, sed scepe cadendo.     40 CAPITOLO TERZO.   uomo, le esitanze e i timori del quale per la salute  rassomigliano alquanto agli scrupoli ed ai timori in-  cessanti di trasmodare che nelle opere scritte di lui  trapelano ogni momento; e a farci meglio conoscere le  consuetudini spensierate di quella et^ della quale giova  veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere  que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a sapere, se  quello fosse un ridere consolato, od un amaro sorri-  dere. (GUASTI, Ibid.)   Come i suoi antenati, cosl Orazio entro presto nella  Corte, e a dieci anni fu ascritto tra' paggi ; e fin da  quel giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto  il governo di Cosimo II. II quale, quantunque di ottima  indole e di buone intenzioni, non poteva per la mal  ferma salute aver grandi cure del govemo. II Ru-  cellai perd dovette incominciar a nausearsi fin d'al-  lora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosi-  mo U, per distrarsi dal fastidio del governo, riempi  di nani e di buflbni e di lusso spagnolesco, se-  guendo cosi le misere inclinazioni di un tempo ancora  piii misero e ostile alia liberty dello speculare e del  vivere. E piii ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi  del fare artificioso dei Principi e delle Corti, quando,  morto Cosimo II, e Ferdinando II destinato a succe-  dergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato,  le due principesse Gristina di Lorena e Maddalena  d' Austria tennero per ben sette anni le redini del  govemo toscano. Amministrando con femminil legge-  rezza, incorsero in gravissimi errori. Tra questi non  pot^ loro perdonarsi V aver allontanato dal consiglio e  dal governo il Segretario di Stato Curzio Picchena,  uomo di probity sperimentata e di costumanze severe,  al quale le aveva Cosimo raccomandate ; sostituendo  in sua vece Valerio Cioli, uomo raggiratore, avido,     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 41   menzognero, che presto pose le finanze e tutta V am-  ministrazione in disordine.   E fu pure per i mali consigli del Cioli se le due  donne, con grave danno della Toscana s'indussero a  rinunziare in favor del Papa il Ducato di Urbino, il  quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Ro-  vere unica erede del morto Duca Federigo, e pro-  messa sposa a Ferdinando II, doveva come patrimonio  della moglie (deplorevoie uso del tempo) tornare alia  casa Medicea. Deboli, incerte, pusillanimi queste due  principesse avevano troppi e spesso ingiusti riguardi  verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine di cittadini,  soverchiamente privilegiato, lo fecero montare in tanta  baldanza, che impunemente opprimendo la plebe, la  eccitava a tali vendette e delitti, cui le leggi piii non  potevano impedire. Ed 6 naturale ! tirannia nemica di  liberty ^ sempre generatrice esecrata di licenza e  delitti.   Ma cid nondimeno, in tanto contrasto di grandezza  e di miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di  liberty,, il Rucellai pur disgustato, lo vediamo anziche  allontanarsene, continuar I'abitudini di famiglia, pro-  seguir nella Corte, e sotto il reggimento di Ferdinando,  salito al trono nel 1627, diventa r suo gentiluomo di  camera. Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri let-  terati del tempo, sempre piii ligio al Granduca; ne  dico cid a caso ; cM alcune lettere ''di lui ritrovate da  me fra le carte di Ferdinando II e del cardinale Leo-  poldo ce ne oiBFrono prova manifesta. Biasimera poi  con nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani;  dispregier^ con isdegni generosi quelle catene dorate  ma pesanti sempre, e il contrasto dei tempi ve-  dremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle azioni  del nostro lilosofo. Ma intanto ei si piega, ei fa getto     42 CAPITOLO TEBZO.   della indipendenza del suo spiiito, cotanto necessaria  soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima la Corte e  i cortigiani, non tocca ne biasima punto il malo go-  vemo, si i vizi particolari del govemante; d questo un  biasimo come di famiglia grande ma quasi privata;  ne la patria sua ricorda mai, e non ha mai un pen-  siero per essa ; sembra quasi Y abbia dimenticata, o  non sappia che ella ^ in servitu; solamente la Corte,  TAccademia e la villa formano il mondo del nostro  filosofo.   Mi si permetta in grazia dell' opportunita, ch'io  tolga da un de' capitoli prossimi, qualcuna delle sue  parole servili inverso il Granduca; indi alcune altre  che contro la corte ed i principi lancia sdegnato  ne'suoi sonetti, e giudichi il lettore s'io sia, nelle  mie aflfermazioni, fuori del vero.      E nell' occasione della nascita d' un suo figlio, pur  di Roma un anno dopo, il 10 dicembre 1639, (V. Gar-  teggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo  padrone serenissimo cosi :     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 43      E in altre lettere scritte al granduca medesimo per  domandargli favori, poich^ sembra in certi momenti  ii suo patrimonio abbia sofferto gravi avarie, e per  rendergli grazie dei soccorsi somministratigli, arriva  a dire che la sua vita medesima ^ a Ferdinando ob-  bligata per legge di natura. Ed io non so dove pe-  scarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr' uomo  mai che piii fedelmente di lui mi narri colla sua pro-  pria bocca inconsapevolmente le tristi condizioni di  quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto grade della  cortigianeria, ^ la negazione di quel che gli antichi  con aurea parola chiamavano umano decora ! quantun-  que la generale consuetudine di parole tanto serviH  togliesse loro gran parte dell' abiezione che a noi sem-  brano avere.   Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi nell'uomo,     44 CAPITOLO TERZO.   e Tuomo che li spiega. II Rucellai, dopo quelle ligie  proteste di servitil par ti diventi a un tratto un altro  uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro  i Principi e contro le Corti:   « La beUa verita, ch' ove s' apprende  Puo far d' alte virtii feraci i regni.  Ma con lume piu vivo entro s* accende  Gli uinili alberghi e ne' piu pari ingegni,   Non sopra eccelse raura unqua risplende.  Dove il mentire e 1' adular s' ingegni,  Anzi la vista a' regnatori offende,  Quasi infausta nemica a' lor disegni.   L' inclita Maesta temano i regi,  Non cangi all' opre lor specchio si fine,  E sembrin macchie impure ilor bei fregi.   Quelle ch' usan chiamar virtu divine,  Arti fian di malizia, e gli alti pregi  Di lor gloria maggior frodi e rapine. »   Comunque Ferdinando II, e a buon diritto, fece  del Rucellai giovine ancora assai conto, e nell' eta di  30 anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die  a sostenere le due ambascerie, a cui ho accennato di  sopra, e la prima nel 1635 a marzo per Vienna, ap-  presso rimperatore Ferdinando per rallegrarsi del-  r elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei  Romani, come ne attestano i documenti che si trovano  nel nostro Archivio Centrale di Stato (FU^a Medicea,  n** 4389) ; 1' altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per  condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte  del Cardinale suo fratello, e per trattare il matrimo-  nio della principessa Anna dei Medici col principe  Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due lega-  zioni ei diede prova di molto sapere e di altrettanta  cortesia, e le letter e stesse dei Principi e degli amba-  sciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano     DELLA VITA DI 0RA2I0 RICASOLI RtJCELLAI. 45   quanto il Rucellai fosse stimato e gradito, e pel suo  sapere e gentilezza di maniere ammirato da tutti.  Sicchd il Tartaglini ambasciatore del Granduca a  Vienna scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli  segretario di Stato ebbe a dire: (FiUa Medicea,n'*4^S8d)   E al cavalier Poltri nel 17  marzo 1635 il medesimo Tartaglini aggiungeva:    Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discor-  rendo dell' opere del RuceUai, campo di vedere quanto  ei fosse nella ragion civile versato ed accorto, e quanto  giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali te-  nevano allora gli alti ufficj del governo portavano a  lui, che Lorenzo Magalotti per la sua prudenza qualifi-  cava come V uomo piu esperto a f of mare il more di un  principe.     Capitolo Quarto.     {Segue) DELLA VITA DI ORAZIO RlCASOLl RUCELLAI.     SoMMARio. — Ufftcj del Rucellai nella corte di Ferdinando II. — Qnalita  di qaesto principe. — £ di Leopoldo. — Benemerenze di essi nella  protezione e cultara degli stadj. — Si restituisce a vita V Accadeniia  Platonica. — Si fonda TAccademia del Gimento. — II Rucellai poeta,  letterato o filosofo. — Lodi a lui de^contemporanei e dei posteriori.   — II Rovai. — II Redi. — II Crescimbeni. — II Moreni. — II Pal-  lavicini. — .Uffiicj del Rucellai nell* Accademia della Crusca. — Eser-  cizio di versione da* classici antichi introdotto dal Rucellai nel-  r Accademia. — Se e quanto il Rucellai conobbe il greco. — II  Jlucellai e i suoi Dialoghi filosofici. — L* elogio a lui del SaMni. —  L* Accademia in sua casa. — Materia e disegno de* suoi DialoghL   — Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e co* principi. — I quali  r ajutano sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, — mo-  ral!. — Rassegnazione sua. — II Rucellai e Cosimo III. — Questi  non e, come generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e  e letterarj. — Morte del Rucellai. — Si chiude con lui V etk del  Rinascimento. — Onori al merito di quest' uomo prodigati anche dai  posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro.     Tornava, pertanto, il Rucellai dalla missione poli-  tica sulla fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di  gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e dedicandosi  pure senza interruzione a' suoi studj, a' quali trovava,  giova ricordarlo, impulso grande ed esempio ne'molti  eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il  Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti deUe due  reggenti Cristina di Lorena, madre di Cosimo 11, e  Maddalena d' Austria sua moglie, le quali avevano em-     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 47   pita la corte di lusso e di intrighi, tolto alia giustizia  il suo corso con le immunity e gli asiK delle chiese,  tento ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli  era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee  felici, e seguitd ora piti ed ora meno le orme spesso non  imitabili degli avi suoi, e alia prndenza non seppe  costantemente unire il coraggio, tuttavia delle scienze,  delle lettere e delle arti fu quanto e piii de'suoi pre-  decessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd  distrazione, proteggendole regalmente e promovendo  soprattutto le scienze esatte e le naturali. L' Emi-  tiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in parte  pure esageratamente) attribuisce questa protezione ad  un fine politico e la spiega cosi :  E Leopoldo fratello a lui mi-  nore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza  e per I'amore di essa. E il conversare frequente col  Galileo Io rese esperto a schivare up. servile ossequio al  Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza  e della geometria criterio alia liberty dell' intelletto;     J     BELLA VITA DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 49   e la filosofia naturale del Galileo e della sua scuola  trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori ar-  dent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono  a mantenere in vita e in vigore le Accademie toscane,  dove ridioma nostro potd almeno trovar salute dal  contagio generale del tempo, e le scienze naturali uno  incremento grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa  vantare come questa di Ferdinando e di Leopoldo,  tanto viva operosit^ di scienza e di lavoro letterario,  destata per impulso di questi due principi.   E Leopoldo, il quale sebbene avesse anco nelle fac-  cende governative la plena fiducia del fratello, che del  consiglio e dell' opera di lui sempre si valse, pure non  avendo in mano la somma delle cose, che tutta era  nel Granduca riposta, trovava piti largo campo per  promuovere e favorire le lettere, le arti e le scienze.  Difatti benemerito del nostro splendido robusto e  gentile idioma con animo appassionato e caldo facili-  tava e sollecitava i lavori del Vocabolario, accudiva  alle pubblicazioni di vari testi di lingua. Arricchiva  di nuove collezioni la GaUeria di Firenze, che da lui  riconosce molto del suo presente splendore. Rifondava,  e questa fu delle prime sue cure, sulF esempio del vec-  chio Cosimo, Y Accademia Platonica, perch^ Dante e  Petrarca fossero illustrati a seconda di quella filosofia;  e sebbene il ritorno all' idee platoniche non fosse vera-  mente un favorire la tendenza degli intelletti in quel-  r etib, n^ un avvantaggiare la filosofia Galileiana (Vedi  Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat. Esp.^ Fi-  renze, 1841, pag. 60), era pure un forte attacco, co-  munque indiretto, alle dottrine scolastiche fatte da  lungo tempo cibo quotidiano ed unico della nume-  rosa mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo  indiretto sarebbesi meritato Leopoldo da qualunque in-     50 CAPITOL QUARTO.   genuo e libero storico il nome di Benemerito, quando  anche non vi avesse aggiunto tutto cid che voile ope-  rare a promuovere direttamente la nuova Filosofia del-  rUniverso. Nell'avvantaggiare le lettere, la filosofia e le  scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di associarsi  agli uomini che pitl si erano in quelle varie discipline  segnalati; cosi nel favorire lo studio della lingua nativa  conveniva cogli Accademici deUa Crusca a pubbHcare  opere poetiche o testi di lingua, radunava presso di s^  i Dati, i Rucellai, i Redi, i Magalotti a richiamare la  filosofia di Platone; istituiva a bella posta una con-  grega in sua casa a raccogliere, pubblicare e ristam-  pare le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli e  dei matematici antichi nuovamente illustrati e di-  chiarati.   E anco lo stupendo concetto di fondare un' Acca-  demia destinata espressamente alia Filosofia sperimen-  tale, si deve in particjolar modo alia gran mente del  principe Leopoldo, il quale voile nel 1657 stabilire  delle regolari Adunanze, nelle quali sotto i suoi occhi  la nuova filosofia sperimentale, gi^ nelle domestiche  mura promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con  Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili Magalotti,  OKva, Bellini, Redi, molti dei quali fregiarono indi le  famose University di Pisa, di Firenze, di Siena, inaugu-  ratori sovrani di quella Riforma proclamata dal Ga-  lileo e dal Torricelli.   Orazio Rucellai fioriva in mezzo a quegli uomini  grandi, ed emulo della loro operosita e di operosita  esempio ad essi costante, nei rumori della Oorte schi-  vando Tozio coltivo sempre come nelle mura dome-  stiche la morale e gli studj, ed ivi al pari del Redi  trovo mezzi e pascolo airansietli irrequieta del sue  spirito filosofico. Venuto presto in fama di molto sa-     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 51   pere, il Granduca e Leopoldo non potevano non pren-  derlo in considerazione alta, e oltre le missioni politi-  che, che sopra mentovammo, gli affidarono la dire-  zione degli studj del principe Francesco, e nel 1657  la sopraintendenza della Biblioteca Lanrenziana, che  insieme alia Galleria veniva con regia profiisione ar-  ricchita. Le piii illustri Accademie fecero a gar^ per  ascriverlo tra loro, e prima la Fiorentina della quale  fa consolo nel 1653. E anche dell' Accademia della  Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe  piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando in ci6 la mo-  destia di Socrate e la moderazione di Pittagora, giu-  sta ne scrive Anton Maria Salvini, essere chiamato in  essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in  matita rossa corretto con midolla di pane, col motto :  per ammenda,   Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato, e filo-  sofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contempo-  ranei famoso, come le lodi di essi a lui prodigate fan  fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo  a lui versi richiedevan sovente come da alcune lettere  sue in risposta a loro ricavasi.   Egli, il Rucellai, scrisse rime di amore, filosofiche  sociali, religiose, ed anche disoneste ; scrisse cicalate e  panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente questa mi-  schianza di contradittorj non potra a meno di colpire  la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le  qualita morali e anzi gli scrupoli che, come nel fisico,  cosi nel morale assalivano di continuo il nostro filosofo.  Perch^ mai egli a lato di poesie che ti discorrono  soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza,  che ti lodano la verginit^ di santa Maria Maddalena,  • osa porre lubrici scherzi, immorali canzoni? Questo e  un primo problema che fra poco risolveremo. Intanto     1     52 CAPITOLO QUARTO.   vogliamo finir di vedere in qual conto cospicuo e come  letterato e poeta e filosofo lo tenessero i suoi contem-  poranei, e anche i ppsteriori vicini a noi; indi ridur-  remo coUa critica al suo giusto valore le lodi.   Francesco Rovai amico, a quel che sembra, di Ora-  zio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli  una sua canzone in morte d' un barone Bettino Rica-  soli, cosi gli parla:   « Dillo tu che sublime  Sovra Eliconia ascendi,  Orazio amato, e vai per i' aure a volo,  Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi  Alcun giammai segno di piaga im prime  Suir Apollineo stuolo ;  Dical tua cetra i cui sonori carmi  Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi. )»   E il Redi, pur amico del Rucellai, e scrittore for-  bitissimo di lingua nostra, pote dire di lui, che  E per tacer  d' altri, il Crescimbeni neir Arcadia dice che :  E nel se-  condo volume della Volgar Poesia, aggiunge che :      DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 53   Ed anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi,  nelle sue invettive, e nelle sue cicalate, apparve a que-  gK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono pro-  fusamente, ora ammirando Y eleganza del dettato, or  il brio e le facezie di che le andava adornando. E il  canonico Panciatichi, con lettera in data di Parigi  de' 24 ottobre 1670, volendo esaltare la gran perizia che  aveva nella nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi  dice :  Da che si vede com' era egli tenuto per lette-  rato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a  tutti i suoi contemporanei, superiore.   E il cardinale Pallavicino che quantunque, come  dice il Giudici, se la piccasse un po' troppo per mo-  dello di stile, pure ne ^ di certo maestro, in questo  modo scrivendo al Rucellai de' suoi componimenti giu-  dicava: (1666)    E veramente il Rucellai si mostra qui, come nella  versione di molte altre cose latine fatta man mano  ne' suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio  conoscitore, non senza difetti che faremo poi notare  aver esse comuni col tempo; il tempo poi questa co-  noscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^ del  Rinascimento non era ancora spirata, e dovea anzi  chiudersi col nostro Filosofo. II quale, come quel che  piii d' ogni altro de'suoi contemporanei ea; ^ro/i2550 si     DELL A VITA DI ORAZIO BICASOLI RUCELLAI. 55   occupo nella filosofia di Platone doveva (e naturale  arguirlo) il greco conoscere profondamente, e piil che  non il latino. Se non che noi restiamo su tal punto  tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio ch'ei ne  avesse una notizia non troppo grande, e che per la  versione e interpretazione del testo si servisse di tra-  duzioni gia fatte dagli anteriori neoplatonici, dal Fi-  cino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente  nella massima parte le teorie e le dottrine del divino  Filosofo spiega ed illustra, cogl' intendimenti di Mar-  siho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non di  radissimo, di ricondurre al suo verace e legittimo va-  lore i pensieri deirAteniese; ne una parola greca ne'quat-  tordici volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta,  molto meno una frase ; e se v' ^ una parola greca § logos  scritta italianamente. E vero che percorrendo le sue  lettere, ne troviamo una principalmente diretta di villa  al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre  cose :  E piil volte di aver letto sul testo or  quella or questa cosa, di sua propria voce conferma  ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo assevera  aver per questo riscontrato tutti quanti i testi mighori  ed esaminato (perd) qualunque de' piii reputati in-  terpreti e piii autorevoli. Ma come ognun vede, questi     56 CAPITOLO QUARTO.   passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti che  contro; e ad avvalorarli vo'recare qualche espressione  che ho trovato nella difesa del signor Tommaso Segfii,  com' accademico detto 1' Ardito, contro le accuse da-  tegli dal Kucellai, in uno di quei soliti finti batti-  becchi di quegli Accademici.   In questa difesa mentre si ricava la conferma che  il Rucellai studid sempre e profondamente le Mate-  matiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi Dialoghi  sulle armoniche proporzioni, e ch' ei dettd rime lubri-  che, v'^ pur conferma del nostro pensiero sulla poca  scienza sua del greco. Tra le altre cose egli, il Segni,  dice al Rucellai:    Entrasti dopo cio nella mia traduzione della corn-  media di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so  che mio fine. A questo non ti rispondo perch^ io non  t' intendo ; se tu ti dichiari megHo, ci sar^ la risposta  anche per questo, non dubitare. Questa commedia si  recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche  cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non sarai impe-  dito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 57   biasimo la scienza, non ti alterare, che io so benissimo  che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio che possa  fare un giovane nohile come tu se'; ma infatti vuoi  sapere a cid che ti serve, giacch^ io non veggo che tu  sappi coUegare insieme quattro periodi, che provino e  concludano mai nulla ; e non hasta sap*er quattro pro-  posizioni, e poi volere orare alia presenza di cosi dotta  Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare,  e leggere gli autori buoni, e leggergli nella lor lingua^  non si fidare dei trdduUori. >   V 6 un proverbio latino che dice : in vino Veritas.  ed h in questo modo in realta; or credo non men vero  rimanga il proverbio temperato cosi: in ludo Veritas;  poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri  scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche e spensie-  rate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova  il Rucellai avendo realmente scritto rime iramorali,  araico del Giraldi, e conosciuto profondamente le ma-  tematiche; e I'accusa del Rucellai stesso intorno alia  nullita del merito nella versione di Plauto fatta dal  Segni, della quale, per fermo, come di nessun pregio  non si fece da' contemporanei e posteriori letterati  menzione mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in  chiaro della non grande esperienza del nostro Filosofo  intorno al greco, fa molto, perchd ci spiega come pitl  che le vere dottrine platoniche, le interpretazioni neo-  platoniche accettasse e trasformasse nel suo lavoro  scientifico. E perch^ su questo punto non mi rima-  nesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi del  Timeo, tradotti dal Rucellai, col testo, e indi con le  traduzioni latine anteriori; e cid mi servi di riprova  irrefragabile.   Nel 1650 il nostro Rucellai era nominato dal-  r Accademia membro della Deputazione del Vocabo-     58 CAPITOLO QUARTO.   lario, e prendeva a fare lo spc^lio delle Lettere di  Monsignor Delia Casa, e delle storie del Machiavelli.  Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da una lettera  scritta da lui al cardinale Leopoldo.   Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e i discorsi  accademici, venne egli in alta venerazione presso i con-  temporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo, antono-  masticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un  oracolo, sicch^ ei fu della rinnovata Accademia Plato-  nica r anima e il duce, in quella guisa che il Ficino due  secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi filosofici di  lui  E basta leggere le  lettere che il Rucellai scriveva in risposta al Cardi-  nale Delfino, per vedere come in riverbero, in qual  alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi dell' Im-  perfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e  tutti quei grandi eruditi, che convenivano in sua casa  ad ascoltarne lettura. Imperocch^ la casa de' Rucellai  era una vera e propria Accademia. II Rucellai, come  abbiam detto sopra, dovea ricordarsi degli Orti di sua  famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora la  voce dell'avo Bernardo e di quei grandi sostenitori  delle dottrine Platoniche e della liberty. Egli aveva  perduto que' luoghi memorandi ; gli dovea risospirare,  e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder  quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi figliuoli,  e con illustre schiera di dotti, intento a favellare del-  r uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste adunanze  fa parola appunto il Tiraboschi nell' ottavo volume della  sua Storia, dove discorrendo del fiore in che allora, nel  secolo decimosettimo, erano le Accademie fiorentine  pubbliche e private, dice che tra quest' ultime, celebre  singolarmente fu quella del prior Orazio Rucellai; e  riferisce le parole di Lorenzo Magalotti, il quale in     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. .59   una lettera indirizzata a Luigi Del Riccio incitalo a  procurare che non si abolisca quell' istituto, e si ral-  legra che egli abbia si buoni assegnamenti per farlo  sussistere, cioe il Salvini, il Lorenzini e rAverani.   E anco il Negii appella a questa riunione di let-  terati {Storia degli Scrittori Fiorentini) dicendo:    Ma il Salvini, nelP Elogio al Filosofo^ ci dipinge a  colori vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i  suoi modi e le dotte adunanze, e le erudite conver-  sazioni.   E, magnificata indi il Salvini la gentilezza e vigoria  deir idioma nostro, soggiunge pitl sotto :    E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui  tosto piti ampiamente, la materia e il disegno.^    Di questi dialoghi, in numero di sessantacinque, sono  stati pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno  la Filosofia antica della natura, esclusa la platonica, e  il trattato della Provvidenza; * per il che sarebbe desi-  derabile vederli pubblicati per intero ed ordinatamente.   Era ben naturale adunque che il Rucellai, di si vasta  erudizione e di tante belle qualita adorno, riscuotesse  Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi  d' allora, e tutti si attribuissero a ventura ed onore di  potersi chiamare suoi amici. Talche una lunga schiera  de'piii segnalati uomini del tempo vediamo f ar corona  all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia  neoplatonica, all' ultimo figlio del Rinascimento filoso-  fico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due Falconieri e  il Filicaia sono in continua corrispondenza di affetto  e di scienza con lui, e si legati in amicizia che niun  di lore ardisce porre un' opera in luce senza aver prima  consultato gli altri per averne le critiche, e fatte su quelle  le opportune correzioni. E Lorenzo Magalotti pone tal-  volta ne'suoi scritti dialogici a interlocutore principale  il nostro Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto     * Vedi : Indice delV opere del Rucellai.     64 CAPITOLO QUAETO.   delta neve e sul Bibollimento del sangue^ secondo i pen-  sieri del Galileo; in quella guisa medesima che il Ru-  cellai scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui gli  apre Y animo suo, e dimostra la sfiducia grande ne' suoi  proprj lavori, e minaccia di gettare al fuoco i suoi dia-  loghi filosofici e si pente de'trascorsi di gioventii.  11 Filicaia gli dedica un sonetto in sua lode, e il  Redi ne discorre, encomiandolo nel suo Ditirambo. II  Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo,  parlando di una lettera di esso, dice che  e Monsignor Gia-  como Altoviti amante delle belle arti, il marchese  Vincenzo Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonac-  corsi, il Magiotti, il primo de' suoi interlocutori, e uno  di quelli che composero, come si esprime il GaUleo, il.  suo triumvirato, tutti li vediamo in corrispondenza  d' affetto e scientifica col nostro filosofo ; il quale nelle  sue lettere, dimostrasi deferente a tutti, e modestissi-  mo, e quasi trepidante ogni volta che a qualcuno di  loro invia, richiesto, qualche suo filosofico componimen-  to. E le lodi riguarda sempre come eccesso di bont^  deir animo di quei che gliele fanno, non mai effetto  de' meriti proprj, mentre egli trova sempre che lodare  negli scritti degli altri. E i principi govemanti lo ve-  nerarojio anch' essi con reverenza ed affetto speciale ;  e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi  aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come ab-  biamo gia veduto superiormente.   Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile, soUecita  dal Principe Leopoldo con lettera del 28 aprile 1653  soccorsi profittevoU per i disastri economici della sua     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 65   casa, afline di potere con piii quiete e piCi comodamente  esercitare in qualche trattenimento studioso gli scarsi  talenti ch' ei si ritrova. A questo decadimento delle  sostanze del Rucellai, accenna pure il Panciaticlii nella  sua Contraccicalata alia Cicalata sulla lingua lonadat-  tica (1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : « Sov-  vegnati del viaggio da par tuo clie tu facesti in mia com-  pagnia a Pisa, Lucca ec, quando tu gridasti il Meschini^  (gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo  revisore generale, per quanto io intendo, delle tue posses-  sioni) perche ti lasciava andare coUe gomite rotte ec... >   Oltrediche egli fu pure da morali traversie angu-  stiato molto talora; come quando ei seppe ucciso in  rissa un de' suoi cari figli, Giuliano, in casa d' una cor-  tigiana, del quale eccesso il vino non sembra essere  state r ultima cagione. A questo fatto egli accenna in  una delle sue lettere (Firenze 8 settem'bre 1668) al Pa-  triarca d'Aquileia, dove spicca in tutta la sua pienezza  e r affetto di padre, la mitezza sua e il sentimento re-  ligioso che dominavalo tutto.      Questo scriveva I'onorando vecchio pochi anni avanti  la morte sua, sollecitata fors' anco da questi colpi della  sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni  incomprensibili della Provvidenza divina, di cui si bene  favelld ne' suoi libri. E anche da Cosimo III ebbe a  soffrire dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante,  succeduto che fu a Ferdinando, nel 1670, di onorare     DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 67   il Kucellai, confermandolo nella carica di gentiluomo  di Camera, a poco a poco lo allontand dalla Corte.   Perd da alcuni storici (come il Maffei) si 6 detto  e si dice ancora che Cosimo III non fu troppo tenero  ma anzi ostile alle lettere ed alle scienze filosofiche,  e che percio era ben naturale s' allontanasse dalla  Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6 per  lo meno esagerazione, ed una conferma che preso  per alcune cagioni I'uomo in dispetto, spariscono troppo  spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti  veri che a scemare la bruttezza del quadro sarebbe  giusto considerare. 11 liglio primogenito di FerdinandoII  quantunque meschinamente bigotto, e inabile a gene-  rosi pensieri in politica, pure non solamente la teolo-  gia, come dice il Canttl, (Storia Universale, vol. 17,  pag. 766) ma favori anzi ed amd le scienze e le let-  tere, e a persuadersene basterebbe gettare uno sguardo  sul grandissimo carteggio ch'egli e il suo segretario  privato canonico Basetti ebbero con tutti i primi uo-  mini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo vo-  luminoso epistolario trovasi nell' Archivio centrale in  Firenze, e tra le altre vi si ammirano lettere dell' Au-  tore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz.   Sarebbe anzi desiderabile che qualche studioso pren-  desse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne  traesse ad utility della scienza e a vantaggio di quel  principe quella luce che finora non h comparsa fuori,  ed ^ per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri.  Non possiamo dunque alia cagione supposta attribuire  Tallontanamento del Rucellai dalla corte; sibbene forse  la salute vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III  di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo.  II Rucellai infatti moriva poco tempo dopo che si fu  allontanato dalla Corte Medicea. Ma la morte trovoUo     68 CAPITOLO QUARTO.   col volto ridente, come Socrate, e con costanza se-  rena. Egli moriva nell'et^ di TOanni il 16 febbraio 1674,  stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi e degli  amici, la piii bella e confortevole benedizione ad  un'anima che lascia la prigione del corpo. Cristiano,  ebbe pure i conforti soavi di quella religione, in nome  della quale ei filosofava con afietto di innamorato, e  pieno di fiducia di vedere svelata nell' eternity a' suoi  sguardi la verity, la bont^ e la bellezza infinita.   L'avello de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio  nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ;  e col richiudersi di quella lapide si cliiuse insieme il pe-  riodo del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero  le opere di lui, monumento prezioso; perche un giomo  se ne imparasse la importanza vera, che pur troppo  non ravvisarono (n^ lo potevano) i suoi contemporanei.  Tuttavia i Dialoghi del Rucellai ne furono pascolo a  quegli uomini colti anco appresso.E Anton Maria Salvini,  poco dopo la morte del loro autore scriveva a Lorenzo  Adriani ragguagliandolo delle veglie che si facevano  allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca,  per la nuova edizione del Vocabolario: Leguntur in  hoc eruditorum hominum codu scriptiones varied cdque  pulcherrimce, ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi  quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico  philosophiam fere amplexus est universam. Huitis  contentum scribendi laborem nee aetas extrema tardavit^  qui jamdudum vita functus, magni sui, atque operis  desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure:   se, di piti, si consideri  che frammiste a queste lubriche che si attribuiscono al  nostro Priore, si leggono di suo, firmate, poesie one-  stamente amorose ; e che nella sua Cicalata in quartine  fatta in lode del Cacio Lodigianoy non certo in sospetto  di apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e riconosciuta  da lui che ne fa menzione negli altri suoi scritti, egli  si compiace d' incastrarvi non pochi equivoci disonesti ;  io credo che la critica imparziale non potr^. rispar-  miare al Filosofo Platonico la non troppo onorifica pa-  ternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo  visto un suo amico medesimo Tommaso Segni, accade-  mico, quantunque in istato di esagerazione e di fin-  zione burlevole, pure accennare a questo peccato del  Rucellai nella sua difesa contro un' accusa data a lui  da quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti .deplora poi  queste sue giovanili leggerezze e le riprova.   Ma per non stare troppo sulle generality, e adden-  trarsi alquanto invece nell' analisi delle sue poesie, in-  comincieremo dal notare come il Rucellai nei suoi so-  netti filosofici discorrendo della Provvidenza divina,  conformemente alle dottrine neoplatoniche e al domma  cristiano, asserisce non potersi comprendere Dio che     DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 75   con la Fede, quantunque le opere di sua Provvidenza  od il mondo, ch^ e, per usare la frase de' sapienti ri-  petuta dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice  vivo di Dio, dimostrino chiaramente che e' c' 6. A prima  vista si scorge qui la sua grande sfiducia nelle forze  delPumana ragione, che reputa da sola insufficiente  a levarsi oltre la sfera del mondo, per discorrere col  suo lume naturale dell'Ente Infinito e dei suoi attri-  buti divini. Sentesi qui una tal qual'aura di scet-  ticismo, che gli antichi sistemi risuscitati dal rinasci-  mento, e tra loro combattentisi, dovevano aver iinito  con ingenerare in quegP intelletti spossati, nelle menti  di quei filosofi allora che si stava compiendo la piti  grande delle rivoluzioni intellettuali, e la riforma si  veniva mano mano estendendo.   Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme del Ficino  a professare che Religione e Filosofia son sorelle, e la  prima la maggiore; anzi -poich^ filosofia ^ Simore e stu-  dio di verity e di sapienza, e Dio solo ^ principio di  sapienza e fontana di verity, ne consegue che legittima  filosofia non sia altro che la vera religione. Quindi se  la fede non ^ I'unico fondamento della scienza, pur  n'6 engine grande e primaria; e per di piti, mediante  la sola fede noi ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Pla-  tone scriva nel Timeo che dell' eterna essenza non si  puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e che ^ al-  I'uomo nascosta, iinche pero, aggiugne Ficino- e il  Rucellai in sentenza cristiana, Iddio stesso non riveli  s6 alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il  Ficino venne a dichiarare che voleva piuttosto credere  divinamente che sapere umanamente, professando la  fede divina essere infinitamente piti certa della sapienza  degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere  sempre confermata dalla scienza vera (Epist. lib. V,     76 CAPITOLO QUINTO.   p. 1.), esister nel mondo invisibile le cose vere, e nel  mondo visibile rombi?a solamente della verity; cosi il  Rucellai non isdegna, ma ama la filosofia; pur come  i neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bes-  sarione, voleva unita alia religione e dipendente da  questa, perche da se sola incapace, la filosofia, a farci  comprendere Dio, che essendo Verity perfetta e il sommo  Bene (Cfr. Platone nel Fedro) noi mortali non possiamo  per le natural! vie afferrarlo, o non riusciamo ad averdi  esso che una nozione o rappresentazione analogica,  guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe le cose belle,  vere e buone di quaggiti.   Questi concetti fondamentali intorno la compren-  sione di Dio per I'umano intelletto, il Rucellai voile  esporceli in quattordici sonetti, ne' quali, in sostanza,  e'non fa che riprodurre quelle esclamazioni e quelle  espressioni di maraviglia che di tratto in tratto ritro-  viamo ne' suoi Dialoghi filosofici delta Provviden^a^  magnificando le opere della creazione ed i portenti che  Ella n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose  dell'universo ha fatte e ordinate; ed e questo, a dir  vero, non altro che questo il concetto che sotto varj  aspetti ei ci viene difiusamente ripresentando.   Infatti egli professa che   « A quel sovrano ed invisibil nume  Nostro intelletto non puo mai trar Y ali, »   imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista   « Per jiffisaiie in quell' eterno lume.  Ivi fermare il guardo lian per costume  Sol r angeliche menti ed imniortali. »   {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di Diversi, p. 234.)  E passando via via in rassegna i regni della natura,     DELLE POESIE DI 0BA2I0 RICASOLI RUCELLAI. 77   minerale, vegetabile ed animale, ascende iino all' uomo  di cui dice: (Sonetto 34 loc. cit. pag. 239.)   (.o7t (I Dialoghi della Frovviden^a^ edit, dal  Turrini; Le Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica  deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola  mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben? dal Rucellai.   II Petrarca infatti, questo Raffaello nell' arte della  poesia, con generoso ardimento tolse, per cosi dire,  nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo  contemplava, V archetipo della beUezza perfetta, anima-  trice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla  terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di una realty  non inane nd effimera, nel volto divinizzato di Laura :   « E in umil donna alia belta divina. *   Personificando in costei vero e buono, bellezza e  virtil, realizzava I'idea, ideal^zzava la reaM. Era un  connubio divino che il poeta deU' amore cristiano can-  tava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso, da cui     DELLE POESIE DI OBAZIO RIGASOLI BUCELLAI. 87   fa il filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla  religione, eccitato dalla cavalleria. La religione inal-  zava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva  rispettabile da disprezzata che ell' era. La cavalleria  la rendeva anmiirabile, ispiratrice delParti e delle  virtii militari : i trovatori, eccitatrice delle arti di pace  e della poesia; i poeti italiani, divina, potente su i  destini dell' uomo cui conduce alia virtii per la strada  deUa bellezza. II Petrarca non canta perd un amore  che non sente, nd le lodi di una donna che ei non  conosce. Egli conosce, ammira, desidera, ama Laura  e per essa risale al cielo; egli conserva, armoneggia  ed innalza 1' elemento cristiano dei trovatori e dei  poeti italiani nell'ideale platonico del bene e della  virttl. fi veramente un' armonia divina, che incomincia  dal cuore del poeta, si avviva sul volto della donna  amata, per avere il suo compimento 1^ dove senza velo  e confine si ammirano le eteme figlie di Dio!   U Rucellai ha piena la mente di queste idee ; egli  ama secondo il concetto platonico e petrarchesco, e  questa teoria egli pure, mi si passi la frase, viene per-  sonificando in dieci sonetti, dei quali piii che la met^  rimangono inediti ancora ; ond' io credo mio debito di  dame qui un saggio, ma senza potere affermare in  qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o  immaginaria, quantunque dall'esame loro mi paia piii  probabile che in gioventii e per donna vera.   Egli in uno de' sonetti inediti si rivolge alia donna  amata con questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma  pur delicatamente vestiti:   oc Non di vostra belta caduca e frale,  Amo quel fuoco vil che i sensi accende,  Ma pill a dentro sen va Talma e comprende  Un bello incorruttibiie, immortale.     88 CAPITOLO QUINTO.      Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale  Da be* yoaif occhi nn non so che risplende,  C*ha deiretemo, e luminosa rende  Qadia forma ch' k in voi breve e mortale.   Non quel che srnonta in un baleno, e fugge  False lustro di ben vo cercand' io  Che pria ne abbaglia, e poi ne accende e strugge.   Ma sj di raggio in raggio a quel rn'invio  Sol che non ha chi lo ricopra e adugge,  E contempl^do voi, mi volgo a Dio. »   In yerit^ che noi dimentichiamo il seicento qui^  come pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammen-  tano troppo 11 Petrarca, imitato talvolta dal Rucellai  diremo quasi con plagio. Per esempio, in questo se-  guente, pure inedito, in morte della sua amata, e adomo  indubitatamente di gusto delicatissimo: (C(mL Magliab.  Foesie di Diversi, VII, n* 3).   Quella che dal mio cor non parte mai.  Bench^ vederla agli occhi miei sia tolto,  Spesso tra 1 sonno. con pietade ascolto  Dirmi : non pianger pih ch* hai pianto assai.   Son vivi in ciel di queste luci i rat,  Che vedesti languir, misero e stolto,  E bench^ spirto dal suo vel disciolto.  Son quella e t*amo pur quanto t'amai.   Dal tribute mortal libera e franca  Quest' alma attende alle celesti porte  La tua, ch' k senza me di viver stanca.   Deh! vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte  Qoder V immenso ben che mai non manea,  Che un breve corso di continua morte. it   Mi si confessi giusto: chi non sente qui Tanima del  Petratca che inspira? chi dal seicento non ritoma per  questi yersi alle pure regioni del trecento, ed oblia i tra-  scorsi scapestrati di quella et^? Non ti par egli ad ogni  espressione ti ritomi sulle labbra quel lamento diyino :   « khimh \ terra h fatto il suo bel viso  Che solea far del cielo  E del bel di lassb fede tra noi ? »     DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 89   E come in questo, cosi negli altri sonetti di amore,  de' quali a maggiore conferma di quel che vo espo-  nendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola An-  tologia degli scritti del Rucellai, i concetti platonici  chiaramente tralucono. Ad illustrazione dei medesimi  io preferirei invece di riportarmi alle parole stesse dal  Rucellai adoperate intorno V Amore nel dialogo decimo  deUa Fromidenza, modello di eloquenza e di stile, e  che valgono a compiere a maraviglia le osservazioni  premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui troppo,  nol fo, e rimando il lettore a quello scritto gi^ edito,  potendo in questa guisa da se medesimo ritrovare tosto  la verita di quanto io venni dichiarando su questo im-  portante subietto.   Io chiudo per6 ripetendo che questi versi del Ru-  cellai nulla per il pensiero tenendo del seicento, ti  riconducono a' giomi pill belli della italiana poesia, e ti  legano quasi il trecento col secolo dell' Achillini, del  Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in  questi versi d' amore trar volesse la musa Petrarchesca,  soffocata, per cosi dire, in quella gravosa atmosfera.   Non cosi riguardo alle figure, alle imagini ed alio  stile, dir si pud di tutte le altre poesie esaminate fin  qui nel loro contenuto o materia. II diffuso e il cica-  leggio accademico trovi sovente frammisto al forte e  robusto pensiero; troppo uso di mitologia, che giudichi  abuso, e che ti accenna una volta di piil 1' et^ del ri-  nascimento imitatrice esagerata dell' antico non aver  ancora finito il suo tempo.   Non di rado accanto ad un' immagine mite, delicata  e serena, un' altra immagine tronfia, rigogliosa e  syentata, tolta a prestito dalla scuola Mariniana ; come,  per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon  Rucellai confessa di amare sempre, e dice nientedi-     90 CAPITOLO QUINTO.   meno che arde qucA Etna, senza pensare che neanche  le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se c'erano, avrebber  potuto spengerlo con tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo  soggiunge che arde qucd dgno, senza riflettere alia  sconcezza di quelF animale colle penne abbruciaccliiate  sul dorso.   Ma in generale nello stile si modera, ed appartiene,  credo, alia seconda maniera di poetare, alia quale noi  accennammo in principio di questo Capitolo. Percid  quelli de' suoi contemporanei, i quali erano imbevuti  deir aria medesima respirata dal Rucellai, ma perd non  eccessivamente viziati, levaronlo a' terzi cieli, pur come  illustre poeta, e il medesimo Redi, il piii puro di tutti,  ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai abbiamo,  dopo il discorso, un criterio sicuro per ricondurre gli  encomj al lor giusto valore, e per conchiudere che  Orazio Ricasoli Rucellai fu poeta piti imitatore che  originale ; che nel loro contenuto molteplice e contrario  le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore, ritraggono  fedeli il secolo nel quale egli fiori, i contrasti del  tempo nel quale egli visse; e che se talvolta sorretto  dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese  a duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad altezze  non comuni; piii spesso perd ei non potd non la-  sciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei,  e non precipitare con essi nel vano, nel lubrico, nel-  r eccessivo.     Capitolo Sesto.   delle prose letterarie e scientifiche  di orazio rica soli rucellai.     SoxirABio. — La Prosa nel seicento. — Anche in essa il Rucellai veriflca  il nostro concetto. — Contrast! nella natura diversa di questi scritti  letterarj, — Si noverano. — Invettiva all' Ornato (conte Ferdiuaodo  Del Maestro) e air Ardito (Toramaso Segni). — Discorso del Rnoellai  nel rendere rArciconsolato. — Cicalata sulla lingua lonadattlca. —  Scherzo in lode delF Uccello. — Elogio di san Zanobi. — Versione  della Lett&ra di Cicerone ad Quintum Fratrem. — Critica. — Discorso  della Fortuna. — I) suo discorso contro il Freddo Positivo, — Rie-  pilogo di questo discorso. — Segue il metodo del Galilei.— Lettero  familiari e politiche. — Osservazioni. — Suo libello sulla pianta e  rigiro della Corte di Roma. — Disegno di questo scritto. — Giudizio.   Nei suoi discorsi, nelle sue prose letterarie e scien-  tifiche obbedisce egli il Rucellai alia medesima legge,  verifica il nostro concetto?   £ bene ricordare che anco la prosa di quel tempi  fu viziata ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, im-  perocch^ gli uomini come pensano, scrivono; come ri-  flettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I  professori d' eloquenza, i predicatori, gli accademici ed  i filosofi mostrarono allora vergogne rettoriche da fare  sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. (GIUDICI,  StoTia della letteratura itcdiana, Vol. II, pag. 261.) Tut-  tavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e  religiose del tempo, gi^ a lungo discorse di sopra, cosi     92 CAPITOLO SESTO.   nelle prose avemmo in quel secolo un contrasto, e non  sempre sconsolante, specialmente in Toscana.   II DaviJa nelle guerre civili di Francia, il Benti-  voglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il car-  dinale Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento,  il Galileo e i suoi numerosi discepoU, il Redi, il Dati,  e molti altri si tennero lontani dalle stramberie di di-  zione del secolo, ed alcuni sono splendido testimonio  deir indipendenza del pensiero italistno, che sorge ani-  moso ed affronta ogni genere di persecuzioni.   Leggendo le prose del Rucellai varie e diverse per  natura, assai bene troviamo riconfermato il giudizio  nostro sulla intima e profonda rispondenza de' tempi  air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della  Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e chiacchiera  in bugnola, e finge inveire contro questo e quell' Ac-  cademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un verbo,  con quell' ardore col quale oggi un deputato fa e svolge  un' interpellanza per cogliere in fallo il paziente mini-  stro ; tesse 1' elogio di san Zanobi, il protettore del-  r Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici dei  Granduchi, incensa nelle sue lettere Cardinali, sdruc-  ciola al solito in indecenze e in equivoci; e poi in  quelle stesse lettere ragiona gravemente di studj, e  di scienza ; in quelle stesse Accademie svolge con gran  dovizia di dottrina ed acume di riflessione subietti  filosofici, facendo tesoro delle tradizioni scientifiche, de-  gl ' insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del Ci-  mento ; traduce nel nostro idioma la lettera moralis-  sima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e mette  in mostra come i pi'egi cosi i difetti pericolosi di al-  cune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende, non  la risparmia neppure alia Gorte di Roma, svelando di  essa i rigiri, in un suo scritto iuedito ed incomplete,     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 93'   ma dotto per riflessioni di diritto e politiche, ritro-  vato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio  Centrale di Firenze.   Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad alcuno,  come le sue poesie contro le Corti, o se si, indubita-  tamente in segreto a qualche fido amico suo, perch^  seegliloavesse resopubblico, sono certochene avremmo  notizia da' contemporanei, non foss' altro per le mo-  lestie a ctd egli sarebbe andato incontro.   Si vede tosto come questa diversity di soggetti sia  iin accenno non dubbio di quel contrasto di opinioni,  che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui do-  veva aver luogo in quel tempo, in cui, come abbiam  tante volte ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ul-  timo sforzo contro il nuovo che sorgeva in Europa, e  che ormai era impossibile arrestare nel suo moto ve-  loce e potente. Del resto, oltre agli scritti accennati qui  nel loro concetto generico, e che specificainente no-  minerd nell'indice delle opere del Rucellai, sembra  esser stato egli I'autore di qualche altro scritto impor-  tante, smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo esatta  contezza, giacente in biblioteche private. Ma contentia-  moci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti.   Era uso, per esercizio di lingua, che gli Accade-  mici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e  delle impertinenze a vicenda, e in queste finte batta-  glie non ^ da dire quanto volentieri s' impelagassero.   D Rucellai, quantunque mite per natura, non ri-  mase perd dietro ad alcuno nella fierezza delle sue in-  vettive, tanto che in una di esse, in risposta all' accusa  datagU dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del  Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con riso-  nanti periodi accuso Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo  nel 22 maggio 1652, come colpevole della pigra len-     94 CAPITOLO SESTO.   tezza in cui erano caduti gli Accademici nell' adempi-  mento degli obblighi loro con tanto discapito e ver-  gogna deir Accademia), fu giudicato aver troppo ecce-  duto, e che di tante villanie dovesse con pena condegna  pagare il fio. (V. Diario del Buonmattei, segretario.)   E davvero questa replica ^ ingegnosissima e cu-  riosa, e fatta con arte fina di molto, e ci fa senapre  piii lamentare che ingegni si eletti stremassero in  quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la  lingua di questo scritto son veramente ammirabili, se  tu eccettui al solito una tal quale tendenza al tronfio,  e quel dondolare il dettato per troppo desiderio di leg-  giadria, difetto del tempo rimproverato anco al Bartoli.  Ed ^ percid tanto piii notevole come di frasi esage-  rate e di paroloni riprenda accortamente V avversario,  egli che vivea nel seicento, e non immune da' secenti-  smi, e lo richiami al puro e soave idioma toscano con  tanta religiosa osservanza da'maggiori custodito. E  per dare un' idea del suo fare nelF invettiva, riferisco  qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna  di considerazione. Dopo avere ben bene rimbeccato  I'accusatore, e dimostrato che invece di torti egli,  r ImperfettOy aveva ragioni da vendere, e meriti da  mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disa-  domo, vile, calunniatore e macchinatore della rovina  dell' Accademia, cosi finisce a lui rivolgendosi :  II lettore sente di quanto  veleno sian ripiene quelle parole, e come per la qua-  nta sua questo scritto sia modello, tanto che lo stesso  Omato si dolse anche in progresso perche la piil bella  cosa che avesse a que' di fatta il prior Rucellai, I'avesse  fatta contro di lui.   Di altra sua invettiva, fiera atroce e sanguinosa,  come place chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo     96 CAPTTOLO SESTO.   perch^ la difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo  il Salvini, di alta reputazione, e contro cui quest* ac-  cusa del Rucellai era diretta, ci attesta essere stata  scritta dal Priore Imperfetto. E da'titoli di usurpor  tore, di sfacdatOj di stravagmite, di infamatore, che pos-  sono formare la corona del piii famoso malvivente, e  coi quali il Segni apostrofa il nostro Orazio, si rileva  che egli non doveva anco in questa accusa avere scar-  seggiato di epiteti, tutt' altro che accademici, in quelle  sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria del-  rintelligenza, indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi per-  tanto che occupati quegli uomini, o per giuoco, o sul  serio, a tirarsela giti senza misericordia e spesso, in  quelle adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e fingevano di ridere ; come  vuolsi che stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo  al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al  nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ? Se riscuo-  tevansi talvolta contro il vieto e malo governo che di  lor si faceva, erano come i garriti di scolaretti che  dicon male, quando non sente, del loro maestro se-  vero, in quella stanza, su quella panca, e non altro;  che anzi quando il maestro ritoma, si chetano e ne  hanno pitl soggezione di prima.   Non m' intratterro a parlare del discorso del Rucel-  lai, recitato nel 1651, nel rendere P arciconsolato in  mano del Timido (Desiderio Montemagni) e pubblicato  dal Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli scientifici  (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi in un  manoscritto miscellaneo della Magliabechiana, segnato  N. 1422.   E un discorso di non molta importanza, e, come  possiamo immaginarci, pieno di comphmenti, di scuse, di  proteste, di nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe,     DELLE PROSE DI ORAZIO RICAS0>LI RUCELLAI. 97   e il Rucellai pitl d' ogni altro per la qualita modesta,  anche troppo, dell' animo suo. fi scritto anche questo  in ottima lingua, ma con il solito vizio del tempo, il  diffuso, ed un po' di quel rigoglio accademico.   E neppure, se non per aggiunger prova alia mia  prima asserzione che 6 come la stregua a cui ricon-  durre ogni mio discorso, io m' intratterrd con lunghe  parole ad esaminare una sua cicalata suUa lingua  lonadattica, che trovasi nelle Frose Florentine (Parte  prima, Vol. I, Venezia, 1730) e la cui contraccicalata  fu letta nella Accademia della Crusca la sera dello  Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un accenno di  quel che si tratta, per mostrar anco qui quanto allora,  pur negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si co-  prisse, quasi inconsapevolmente, di nomi pomposi la  nullity delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cer-  casse ogni strada per ridere, e come il Rucellai par-  tecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in ogni  verso se ne facesse 1' immagine. Tra le molte e molti-  formi accademie che spuntavano come 1' erba sul suolo  d' Italia, e precipuamente in Toscana, in Firenze, vi  era quella de' Mammagnuccoli, capitanata da Paolo  Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile). Erano una  conversazione di galantuomini (Nota del Minucci alia  stanza 26, cantare 3** del Malmantile) i quali facevano  professione di sapere il conto loro in ogni cosa, e par-  ticolarmente nel giuocare, e nello spender bene il loro  danaro, e d' essere il fiore della reale e onorata scapi-  gliatura. Avevano un loro capo che si chiamava I'Abate,  dal quale erano gastigati quando facevano qualche  errore nel giuocare o nello spendere; ma pero tutto  era in galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa  r Abate, dove si giuocava a giuochi piii di spasso che  di vizio; e si facevano aitre allegrie di cene, di me-   7     98 CAPITOLO SESTO.   rende ed altri passatempi. Costoro erano tutte persone  gravi e quiete e della piti riguardevole civilta, e percio  la loro conversazione si bramava da molti che v' inter-  venivano ; sebbene non fosse ammesso a quella veruno  che non avesse provata prima la sua dabbenaggine, e  non fosse stato riconosciuto dall' Abate e da altri suoi  consiglieri meritevole d'esser ammesso : la quale dabbe-  naggine in un certo loro gergo equivaleva a furberia.  Perch^ vi era anche un gergo o parlare furbesco, noto  solo agli adepti, che riconosceva per padre il Burchiello;  ed era pure in grand' uso fra loro la lingua lonadat-  tica, cosi detta per ironica ampoUosit^, quasi composta  dell' ionico e dell' attico dialetto, la quale da quel gergo  difFeriva, non essendo composta di parole che avessero  in qualche modo analogia con le parole vere delle cose  che si volevano significare, ma di vocaboh che del vero  vocabolo avevano le prime lettere. Or appunto sulla  origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chia-  mato dagli stessi Accademici scioperatissimo, intess^  una cicalata il nostro Rucellai, plena, a dir vero, di  gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il riso, se  .dalle considerazioni fatte di sopra, e che sorgono nella  mente spontanee, non ci fosse piii sovente che mai  trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano, loda-  vano, e sorridevano, e come ! quando per esempio, in-  vece di dire: ioho mangiato una minestra di miglio bril-  lata, leggevasi: io ho mangiato una minestra di miUe  prelati; voi avete della rosa sotto il coUare, per dire  della roccia; per il Dante della Beatrice, il Damo della  Bea; la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arci-  duca, ec. Or mi si dica: non par egh quasi impossibile  uno stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che  sale in bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza  su tali puerilita; e quel medesimo uomo illustrar poi     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 99   le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate  novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la ragione di  ci5 non trovassimo noi nella condizione dei tempi che  aveva preso sopravvento su lui, di certo saremmo  tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni  fisiologi, in qualche oncia di cerveDo che egli avesse  di meno, al di sotto cioe del peso de jure, per secemer  le idee, e per fare ordinate le digestioni dei proprj  ragionamenti.   Dicesi anche, e il Passerini ed altri ne fanno men-  zione, che il Rucellai voile pure in prosa dar saggio  delle sue debolezze erotiche, e della sua ability negli  equivoci, in uno scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho  fatto ricerca, ma non mi e stato dato   imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu  Giovanni Andrea Moniglia ; e il Rucellai non fece che  gli argomenti e le descrizioni in prosa di ciascun atto ;  descrizioni assai vivaci, quantunque sempre un po' ver-  bose, e nelle quali egli dimostra una cognizione vasta  e minuta della raitologia.   Che egli poi fosse, come si dice, assai padrone del  latino e delle bellezze di quella lingua apprezzatore  autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi  dialoghi filosofici fa sovente di squarci di classici, e  argomento sicuro la Traduzione della prima Lettera  del libro 1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superior-  mente notata. Ed io ho detto gi^ come questo esercizio,  si proficuo per ogni rispetto, introdusse il Rucellai nel  suo secondo Arciconsolato (1650) tra gli Accademici  della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccita-  menti non andaron delusi. Se devo dar pero il mio giu-  dizio intorno a questa versione, sembrami che in mezzo  a' molti pregi, come la scelta di soggetto morale, la  lingua, la fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di  una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro  ciceroniano, e di quel Lei invece del tu adoperato, che  ti divien quasi ridicolo, una volta che pensi esser tra-  duzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico Mo-  reni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia  scusa, vuole giustificare in cio il Rucellai, notando  come appaia che egli con si fatto signorile tratta-  mento abbia qui voluto conservare la stessa sostenu-  tezza, che Cicerone uso col fratello suo in questa seria,  e quasi rimproverante lettera ;  come  se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del  linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non piuttosto nella  gravita del concetti che possono manifestarsi propria-  mente anco col dolce tUy appellativo con il quale il  Casa monsignore, e il Moreni canonico si rivolgevano a  Dio stesso nelle loro pregliiere, senza credere, io penso,  di mancare a lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come  questa fosse una tra le altre curiose debolezze del  prior Rucellai, che viveva in quel tempo come di  grandi imprese, cosi di stravaganze e di capricci fe^  condissimo. Voglio riportar qui due soli versi della  fine di quella lettera, e che mi si dica se non par di  vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno diuanzi  vestito con seta, nastri e rasi, e fare mutatis mutan-  dis un complimento galante a una signora di cono-  scenza che incontra, mentre lo stesso monsignor Della  Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella  facilissimamente (ecco le parole) se penser^ che io, cui  sopra di ogni altro ha premuto sempre in dar. gusto,  mi ritrovi di continuo con esso lei e intervenga a tutti  i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che io la pre-  ghi ad avere ogni possibil cura della sua salute, s' ella  vuole che io e tutti i suoi godiamo la stessa, e le  bacio le mani. >   E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne va  Via pe' suoi fatti.   Del resto, se questa traduzione imita si brutto co-  stume, allora assai in yoga anco nella Francia, dove  appunto nelle Orazioni di Cicerone, traducevasi la  parola Quirites col francese Messieurs ; ^ poi precipua-  mente pregevole per il fine morale per cui essa fu  fatta, ed d anco questa una lodevole espiazione per le  mende di disonesta dalle quali non serbossi immune.     102 CAPITOLO SKSTO.   scrivendo, il nostro filosofo. Quantunque di non grande  importanza a prima giunta, ptir mi sembra che questi  fatti sieno, a chi gli osserva con occhio imparziale, di  lume e di prova sempre maggiore, e prendano qui per  noi un' importanza che altrimenti non avrebbero. Non  siamo neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo  gi^ qual possa esser la natura della via che ci tocca  ancora a percorrere, e quale la m^ta. Piii c' inoltriamo,  e r orizzonte nostro si dilata, ed i colori della pittura  che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti de-  ciso, determinato e perfetto. Dallo stato fisico, fisiolo-  gico e morale noi ci avviciniamo sempre piCi all'in-  tellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi  vogliamo cogliere il pensiero del pensiero nel Rucellai,  come filosofo della natura, dell' uomo, e di Dio.   Ed infatti, senza por mano ancora alia sua mac-  china filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi piii spic-  cato il pensiero filosofico di lui, abbiamo non piii tanto  il letterato e 1' accademico, quanto il ragionatore.   Quantunque, come di altri e accaduto, un suo di-  scorso sulla Fortuna sia rimasto inedito, pure siamo  in grado di ten^er parola del concetto che dovea infor-  marlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche,  dove appunto della fortuna discorre. Ed aggiungo anzi  che non sarei lontano dal credere che questo discorso  sulla Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel  corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo soggetto  ritrovasi. Comunque, e da notarsi che questo discorso  egli lesse a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accade-  mia che fu pubbKcamente tenuta nella Sala de' Bona  del Palaz zo Pitti, per onorare il principe Giovanni  Adolfo, fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo  allora era Lorenzo Magalotti (intimo del Rucellai) come  ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da quello     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 103   un elegante proeraio, discorse poi V Imperfetto della  Fortuna con sottigliezza, novita ed erudizione piii che  ordinaria (Vedi MORENI, Prose, pag. XX in nota),  mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo Speroni,  e molti altri la fortuna non esser che nome vano in se  stessa, e invece sotto tal nome cui il volgo o pensa-  tori traviati diedero corpo e figura, nascondersi I'ese-  cuzione del volere divino; e combattendo il caso contro  Epicuro, e recando a sostegno de' suoi pensamenti i  pitl celebrati autori antichi e contemporanei.   Conforme poi alle teoriche Galileiane e coUe leggi  del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del  Rucellai contro il Freddo positivo. Discorso ingegnosis-  simo per argomenti di prova, e, secondo il Dati, mi-  rabUe (Vedi Dati, Lett, a pag. 69), che il nostro  prior Orazio recito in un' Accademia fatta a bella  posta in ossequio e trattenimento del famoso cardi-  nale Delfino, patriarca di Aquileia, il quale trovavasi  allora di passaggio in Firenze, e a cui il Rucellai, lo  vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne fanno fede  le lettere indirizzatesi scambievolmente. Non e qui  ufficio nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo  sul valore reak delle ragioni addotte dal Rucellai in  appoggio della sua tesi: vogliamo solamente presentare  il disegno di questo suo lavoro, per dimostrare come  nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo  cercasse di rinvenire armonia con quelle medesime  verity dimostrate dalla filosofia moderna, in tutto se-  guitasse il metodo inaugurato dal Galileo, con cui si  rapidi progressi pot6 fare la scien za fisica, che fu sola-  mente allora creata. Egli dunque voile provare il freddo  essere privazione di calore, contro lo Smarrito (il Dati)  e il SoUecito (il Capponi) che fortemente mantenevano  il freddo essere positivo e reale.     104 CAPITOLO SESTO.   Si fatta questione, ne ricorda il Moreni, (Prose ecc,  pag. XXI) comincio a ventilarsi nell'Accademia del  Cimento con grave dissenso di vari insigni soggetti,  che la coraponevano, in tal materia, e che tento  di risolvere il dottor Giuseppe Del Papa con la sua  celebre lettera a Francesco Redi, sostenendo che il  freddo non e che una sempKce privazione, ed un  mero discacciamento del caldo, e non gi^ una sostanza  positiva e reale come pare la volesse il Dati, versato  assai, del resto, in cose naturali e di fisica. E il Ru-  cellai, con grande compiacenza, premette come  Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco con  gli altri elementi nascerne il moto, e dal moto le ge-  nerazioni.   > E non solamente per eccitare il caldo nei nostri  sensi vuolsi il moto, ma lo stropicciamento dei calori-  fici con le parti sensibili.   > Tutti gli atomi, che non sono calorifici dicogli sieno  frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il mede-  simo essere il freddo privazione del caldo.   > Le cose lisce appajon piil fredde delle rozze, per-  ch^ si turano i passi agli stropicciamenti degli atomi,  uscendo e entrando pe' nostri pori.   > Ci par freddo il piede, essendo nel letto, e non  la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e conoscia-  mo in comparazione del pii\ caldo.   > 11 secco e il buio, che sono privazioili, non forman  patimenti, come fa il freddo.   > Si vede, che del fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato  assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir  del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel ghiaccio  ch' 6 una minima parte e un accidente dell' acqua.   > L' umido e il caldo esser cosa vera e sostanziale,  ma il secco e il freddo esser di loro la privazione.   > Dicono il freddo aver azione e moto come si vede  nelle sperienze del caldo e del freddo e delli agghiac-  ciamenti ecc. >   Scorgesi qui, io diasi,.applicato nella sua pienezza  il metodo del Galilei, ed una prova novella percid di  quel contrasto di pensieri e dottrine che andiamo man  mano riscontrando nel nostro filosofo.   Che se innanzi di passare alia esposizione e all' esame     106 CAPITOLO SESTO.   diretto dei suoi pensieri filosofici intorno all'uomo, al-  r universe e a Dio, vogliamo ancor piii vedere quanta  rispondenza ci sia tra lui e la sua eta, non dobbiamo  che gettare uno sguardo, ancorch^ rapido, non tanto  sulle sue lettere, quanto sopra il suo breve, incom-  pleto, ma pure importante scritto che porta per ti-  tolo: Pianta della Corte e del Rigiro di Roma. Son  dodici pagine in 4*, divise in due capitoli, il secondo  dei quali non terminato.   Le lettere del prior Rucellai pertanto non destano,  per verity, in generale grande interesse, imperocche  scarse di numero le conosciute, e non aventi una qua-  lit^ scientifica; ma o accennino all' invio di scritti  scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o  sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi padroni ;  nondimeno esse servono a chiarirci alcun po' delle  relazioni sue con i dotti contemporanei, e delle qua-  lit^ deiranimo suo, e del tempo in cui alcuni lavori  filosofici furono da esso scritti, e dell' ordine da asse-  gnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica, manife-  sta nell' uomo nostro accorgimento non comune e cono-  scenza profonda del cuore umano.   Stando alia numerazione delle lettere familiari,  data dal canonico Moreni, esse non sarebbero in numero  minore di cento; ma pubblicate non ne abbiamo che 36;  e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier Cesare Guasti, ne  ho potute ritrovare alcune altre, 8 o 10, di poco conto  perd, inedite, nella Biblioteca Palatina tra gli Autografi,  e nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze. Quelle  edite, come bene giudicd il Moreni stesso, {Prefae,  alle Led., pag. VIII) quasi che sempre conservano un  non so che di grave e di eloquente, e mai sempre  appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir  il vero, in qualche parte scorgesi, ed in special guisa     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 107   in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una monotonia  di sentimenti e di idee, altresi in lui inevitabili, per-  dxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie  e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente su di uu  medesimo soggetto. Ed aggiungo che per istile, che a  lettera si convenga, troppa contorsione e ridondanza  di period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi,  a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e manife-  stare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pen-  sieri. Nello stile adunque ritrae del secolo, e nei pen-  sieri anco talora ; sicche quando egli scende al faceto  fiorentino, vedi cid farsi da lui con isforzo, e non con  quella tanta facilita che riscontri nella propriety del  dettato, giustamente encomiata dal Moreni e da altri.  Sul contenuto di queste lettere sarebbe superfluo in-  trattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro cam-  mino ne abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per  illustrare V uomo, gli atti e V opere sue letterarie e  filosofiche. E neppure minutamente ci fermeremo nelle  politiche, delle quali assai duolci di non avere che due  tre, mentre e probabile che altre piii ne giac-  ciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora  Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo rag-  guagUa dello stato di Vienna e di Polonia, ed esa-  mina le condizioni interne ed intemazionali di quei  paesi, e piil specialmente le quaUt^ di quei principi.  Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vin-  coli al pensiero e di animi proni all' adulazione dei  potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti  malvagi, dimostrisi indocile a questo difetto, sicche  dimentichiam volentieri le piaggerie al suo Granduca,  e le eccessive proteste di devozione e di servitii, e  conyeniamo anche una volta col Magalotti che lo ap-  pello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi     • *■     I     108 CAPITOLO SESTO.   Palermo, Manoscr. Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento).  Se non che confrontando le date, rincrudelisce la piaga,  dappoich^ osservisi come le piil libere o meno serve  di queste lettere scrivesse piii giovane, le piCl ligie piil  vecchio ; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle  pure di liberi sensi deteriorasse, o per timore di per-  dere protezione, o per altra causa di debolezza li ta-  cesse, sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo prin-  cipe altrimenti da quelle che avrebbe desiderate.   Ed infatti chi ha letto in quali termini il Rucellai  protestasse a Ferdinand© II dei Medici e ad ogni prin-  cipe la servitii sua e de' suoi figli, pud scorgere il di-  vario profondo che v' ha nelle condizioni dell' animo  suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al Poltri, da  Varsavia, intorno alle qualita del re Vladislao, presso  cui era stato dal Granduca inviato in legazione straor-  dinaria :   Noi vediam qui come il Rucellai sembri assoluta-  mente sciolto da qualunque legame, e non guardando  in viso a persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto  piti gU dispregi in un Re il quale preferisca V utile  proprio al bene del popol suo, o questo solamente ri-  cerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio  vantaggio. Lo che dimostra bene quanto rettamente  pensasse intorno ai doveri di un principe il Rucellai,  e quanto, conoscendo le bugiarde apparenze delle corti,  egli di certo avesse bramosia di smascherarle ad uti-  lity dei soggetti; e cid vedesi piu ampiamente nella  parte morale dei suoi dialoghi; ma il volere rimaneva  pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una  volta che ritornato in patria lasciavasi vincere da  miUe riguardi che un uomo dabbene ma debole co-     110 CAPITOLO SESTO.   stringono, se non altro, a rimanersene muto di fronte  a ogni abuso.   Dove poi nel Rucellai piil si vede spiccare quel  conflitto di sentimenti si 6, rho gi^ detto, nel suo  scritto su Roma. Non giova riandare le condizioni po-  Utiche ^ religiose d' Italia e della Toscana principal-  mente in quel tempo; ch^ ci sembra sufficientemente  aver chiarito tal punto. Giova pero averle in mente  ora coUe quality morali del filosofo, per apprezzare  in lui, amico di Principi e di Cardinali, quella liberta  di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni giogo,  sfidare il passato ed il presente, protestando contro  certi non lodevoli usi della Curia Romana.   Si; protestava di fatto il filosofo, e la sua co-  scienza sapeva bene distinguere, quantunque scrupolo-  samente cattolico, il principio dagli uomini, la bont^  di un' istituzione ed i vizi di chi la sostiene ; se non  che apparisce che egli non avesse coraggio di pub-  blicare tale protesta, e fors'anco quello di termi-  narla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna  e dall'animo. Sono i due sentimenti che contrastano  in un medesimo uomo, il sentimento del vero, il senti-  mento del timore, e il secondo sciaguratamente prevale.   Nel V Capitolo pertanto, il Rucellai, con ampiezza  di vedute dimostra : come V tiguaglianjsa di tutte le con-  dizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu sem-  pre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon  premio solamente dei meriti e delle virtu, E nel secondo:  come tutti i Governi ove s' intruda V avarizia e V ambi-  zione rovinano, e quello di Boma con esse piu che mai  si sostiene, E per giungere aUa dimostrazione della  prima tesi egU osserva, come la Repubblica universale  di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto origi-  nario quel misto perfetto dei tre stati, monarchico,     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. Ill   aristocratico e democratico, reputato per la forma piii  durabile e meglio ordinata • di tutti i governi, dove  ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e  che r uno stato di essa ben corrisponde, e serve di  correggimento all' eccesso dell' altro. Ella d questa, si  Bcorge tosto, la teoria stessa di Cicerone e del Ma-  chiavelli riprodotta nel suo genuino significato, 1' ac-  cordo della quale pero coll' indole della vita del Ru-  cellai tutto intento al servizio di un principe assoluto,  sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non avessimo  la via a spiegarlo nelle ragioni tante volte, discorse.   E soggiunge  E ponendo in rafironto cio che di Roma discorre     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 113   Quinto Cicerone al fratello, con quello che era Roma  in quei di, e alia stretta somiglianza delle due Rome  guardando, soggiunge (notisi, di grazia, perche qui si  ritorna all' antico) che egli ha voluto registrar cid in  questo luogo perche si conoscc che o sia la postura  del cielo, o sia pure la necessity dei medesimi fini negli  ultimi tempi della Repubblica romana, forse come oggi  adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti  conformi, influiscono similmente negli animi la stessa  maniera e inclinazione di costumi, e nell'una e nel-  r altra etade s' introdussero e stabihrono nella Corte  di Roma contro la virtil e contro la piet^ della sua  primiera istituzione, tutte quelle arti che piii si pro-  ducono dair opere della malizia, che dalla carita e  dalla devozione. Si pud dunque concludere, che la  macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra  r estremo del vizio, non sopra 1' eccesso della virtii,  perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto  gli uomini sono piti nemici, tanto piii usano tra loro  atti di confidenza, e piii liberty di tratto.   > E le destre che sogliono essere testimonii di fede,  sono in loro violate dall'inganno, e dalla malizia di  farsela 1' un V altro a tempo, e con vantaggio, e quegli  solamente 6 stimato piii valent' uomo, che pu6 piti.  Quindi avviene che qualunque e reputato uom di valore  nelle altre regioni del mondo, venendo a Roma si per-  de, trovandosi in una diflerente scuola da quelle, ove  s'apprende ad esser soggetto grande con le virtuose  azioni. Quei dunque, che si mette a vivere in questa  Corte non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto  se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui.  Ceda perd alio stile del paese, mantengasi per sd nel-  I'arti virtuose, ma assuefaccia I'animo educato ne'buoni  costumi a non si scandalezzar de' pessimi. >     8 i   i     114 CAPITOLO SESTO.   Se il Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma,  credo che avrebbe potuto scriver in questo modo ; piii  liberamente, non giudico. Egli seguita sempre su questo  piede, ed e cosa ammirabile, senza intaccar mai i  principj, guardando ai vizi degli uomini, e dando cosi  una lezione a noi che gli uni cogli altri tramescolando,  condanniamo con maliziosa leggerezza i primi in un  co' secondi, dimenticandoci o fingendoci di dimenticare  i canoni piii elementari di logica, per non dire di buon  senso e di buona fede.   Ambizione, interesse private, ipocrisia, inganno ed  invidia, ecco adunque, per cosi dire, i fili conduttori  nell' intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi  s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo centre,  dappoiche fu distrutto quel principio d' ordine nell'ar-  monia dei tre elementi dello stato perfetto, e incomin-  ciossi a misurare V ability degli uomini, non dai me-  riti dalle virtii, ma si daU- interesse e dal genio di  chi comanda.   Ognuno cerca per aggiungere il suo talento di tener  quella via che stima pitl opportuna, di tener dietro a  quel flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche  ognuno s'infinge per quel che non ^, e si maschera  dell' estremo contrario di quel ch' e' si sente dentro  nella sua propria natura.    La virtii dunque nella Corte di Roma sempre  adonesta gli avanzamenti quantunque non abbia parte  nell' avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e  una Roma reale; e il Rucellai ve le descrive a mera-  viglia con una vigoria di concetti e di immagini, che  sembra il Frate Ferrarese avergli in certi dati mo-  menti spirata in petto la disdegnosa anima sua.   lo rimando, a persuadersene meglio, il lettore alia  fine di questo libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero e  per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur  bastevole perchi^ ci facciamo un' idea chiara dell' animo  del Rucellai intomo al govemo di Roma, che si fon-  dava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse pri-  vate. E tanto egli era cattolico e distinguevabene  religione da uomini di Chiesa, che questo primo capi-  tolo fa terminare cosi:    II secondo capitolo e breve, non compiuto, e in-  sieme importantissimo, in quantochd volendo provare  come tutti i governi ova s' intruda 1' avarizia e 1' am-  bizione rovinano al contrario di quelle di Roma; il  Rucellai stabilisce essi vizj essere il tossico che la  giustizia distributiva corrompe e distrugge, e i fatti  antichi e modemi lo confermano, seguendo le teorie  deir Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno  alia nobilt^, espone in un modo determinato come  questa giustizia distributiva, senza la quale riman ca-  davere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato,  intenda ad uguagliare gli uomini sotto le leggi della  virtii, la quale solamente pud esser base di differenza  tra gF individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il  capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in brevissime pa-  gine col solito vigore di argomenti, coUa solita leggia-  dria del dettato; ma rimane qui, come si vede, al  principio, almeno in questa copia, I'originale della  quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse con altre  cose smarrito o nascosto.   Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra mo-  dema che spira, e la coscienza deU' uomo per la forza  oltrepotente del vero distrigata un istante daUo scru-  polo e dal timore, protestare contro i vizj o le loro  sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che  il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil a soste-  gno di quel ch' io scrissi in principio, e che d come il  perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il mio librc'     * Ad eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sor-  gere, per avventura. sulP autenticit^ di questo scritto, riporto qui     DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAl. 117   Qui il Rucellai non 6 piil I'uoino del Medioevo e  del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio all' autorit^;  e il filosofo modemo che evitando gli eccessi del Bruno,  riprova gli scandali del chiericato, ne condanna, per  ainore della religione che ei professa, gli abusi; e in-  namorato del vero e della virtil, al pari di Platone,  richiama con severe e giuste rampogne a tornare  nella via smarrita lo stesso sacerdote, il quale, im-  merso talvolta nello interesse mondano, posterga i  principj deir Evangelio, egli del Vangelo e della carit^  cattolico banditore.     in nota, come a confronto, cio che trovo scritto dal Rucellai stesso,  nel suo trattato della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. —  « Ed io vi replico esser verissimo die tutte le cose che si fanno  fannosi per divino volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto in-  fallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma dagli uomini per lo li-  bero volere le cose si deterrainano, come dianzi si disse. E siami  lecito, signor Elea. far qui riflessione sopra cio che avete mentovato  di Roma; come Roma antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon  costume e alia virtii diquegli animi, si feo padrona del mondo; ma  degenerando da' suo' principii si spense, perchfe cosi voile la divina  predeterminazione per mezzo del libero arbitrio mal guidato dagli  Qomini. E questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la po-  verty e su I'esempio del mondo anch' essa signora divenne, mutando  costurai pill che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado  de'vizii piii licenziosi degli uoraini la religione sostiene loro, non  essi la religione sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^  ella k forte braccio e onnipotente della Provvidenza divina. »     Capitolo Settimo.   J   DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.     SoMUARio. — Come ci condurremo quind' innanzi nel nostro lavoro. —  10 Esposizione de'Dialoghi filosofici. — 20 Critica. — Perche si preter-  mettera la critica minuziosa delle dottrine filosofiche del Bucellai. —  lucertezza del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo  e pero che son parte di mente matura. — Quattro codici manoscritti  de* Dialoghi, e qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole  del prof. Palermo. — Una lettera del Rucellai al Granduca, intorno  air ordine di quest! Dialoghi. — Noi segniamo, neir esporli, questo  ordine. — Si riporta, e perche, V intero Preambolo ad essi del Bu-  cellai.     Quando nei precedent! capitoli si e discorso della  vita e degli scritti minori di questo filosofo, dopo aver  dato uno specchio generale delle condizioni intellettuali,  politiche e morali d' Italia nel secolo decimosettimo ; a  ciascun argomento facemmo precedere sempre una de-  scrizione pitl particolareggiata di esse, secondo che  appunto il subietto nostro particolare esigeva. Venendo  ora a discorrere dei Dialoghi filosofici di lui, stimiamo  meglio invertire quest' ordine, senza recar percio verun  pregiudizio alia chiarezza e alio sviluppo logico della  dimostrazione. Imperocchd di gia con sufficiente am-  piezza abbiamo tracciate certe linee che della figura  ci somministrano un disegno abbastanza determinate,  sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci resti che  colorirla piii e piii, e ridurla a compimento maggiore.     DIAL06HI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 119   E pero la nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo  lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di  que'Dialoghi con critica e precauzione, adoprando in  ci5 il finqui messo in sodo con evidenza da altri; ne  esporremo con qualche larghezza il conteniito, come di  un' argomentazione e de' dati di un problema farebbesi,  e indi, fermatili bene, procureremo di scioglierlo, rivol-  gendoci ad un esame piii accurato ed attento delle  diverse opinioni filosofiche che combattevansi allora, e  ponendo in chiara luce quel che veramente il Kucellai  ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali  intendimenti e criterj, ed il posto precise, per conse-  guenza, che gli si spetta nella storia del pensiero ita-  liano. Ne questo disegno esclude aflfatto che man mano  si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacon-  tran de' punti cardinali che servono a qualificare il suo  metodo e il suo sistema, noi possiamo farli rilevare,  e notarli, e raccomandarli alia considerazione del leg-  gitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscon-  tro alle loro sorgenti generali, apparseci nell' esame del  pensiero di quel tempo, e queste e quelle ricondurci  sicuri al punto d' onde muovemmo, e che nel cammino  ci servi sempre come il centro di un circolo serve ai  punti della sua circonferenza.   Aggiungasi che pel fine e intendimento nostro non  importa guari intrattenersi minutamente sulla critica  delle dottrine di questo filosofo, bastandoci, a mostrarne  il suo eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione  su que' punti che lo appalesano piii, e indi non ci  venga attribuito a soperchio se oltre I'appendice di  cose scelte letterarie, scientifiche e morali, nello svi-  luppo di questa parte del libro intrecciamo la cita-  zione di varj e non brevi pezzi di questi Dialoghi, che  pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto trattisi qui     120 CAPITOLO SETTIMO.   di esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior  parte degli scritti del quale sono inediti, come puo rica-  varsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso inoltre  di rispanniare ai lettori quella lunga fatica che ho do-  vuta spendere io nello scorrere tutti da cima a fondo  questi Dialoghi, che pel diffuso stancano spesso; ed  infine riferendo qui nel mio Hbro le cose pitl impor-  tanti di questi, mentre lo pongono, risolvono, sto per  dire, o almeno agevolano di assai la risoluzione del pro-  blema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrat-  tenersi sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel  secolo XVII col Rucellai, il quale chiude il ciclo del Rina-  scimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei suoi  libri su cio ; come ad altri altre cose ; io per me che con-  sidero il Rucellai da un punto di vista meramente sto-  rico e ne noto, per tal rispetto, Y importanza, non son  tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di  trasformazioni e trapassi che le dottrine platoniche su-  birono dair origine loro conosciuta fino aH^ Imperfeito;  lavoro del resto della somma importanza e di grandis-  sima utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto  e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di acquietarmi  nella speranza che questo augurio trover^ sollecito il  suo compimento feKce.   E per primo il tempo preciso in cui questi dialoghi  farono scritti, non possiamo determinare a puntino,  malgrado che nolle sue lettere il Rucellai accenni ad  alcuni di essi che aveva allora, mentre scriveva, com-  piuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si  scorge (e del resto per noi piii importante), d che tutti  questi Dialoghi sono parto della sua mente matura,  imperocch^ solamente dal 1665 in poi troviamo da lui  uomo adulto fatto cenno agli amici ed al Principe di  questi lavori scientifici, intomo ai quali indefessamente     DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 121   aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavo-  rarvi. Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro  filosofo a messer Giacomo Altoviti, al Patriarca Delfino  ed al Redi, nelle quali fa menzione or di questo or di  quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano  ricopiato 1' avea ad essi e ad altri amici o illustri perso-  naggi per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chia-  rissimo professore Palermo nel Vol. Ill, dei Manoscritti  palatini^ daro intorno a questi dialoghi un qualche cen-  no, e verrd con un brano di let^era scritta dal Rucellai  al granduca Ferdinando II, nel maggio del 1665, a sta-  biUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a  conoscere il disegno che I'autore aveva architettato  intorno quest' oper a, che per mala ventura rimase in-  compiuta.   Delle quattro copie di questi Dialoghi filosofici da me  tutte esaminate con diligenza, la Palatina, la Maglia-  bechiana, e quelle che si conservano nella libreria pri-  vata dei Ricasoli Firidolfi, le piii emendate sono queste  ultimo due, copie entrambe, la prima in dodici tomi  nella massima parte corretta e aggiustata dall' autore,  e che per6 fa citata dagli accademici della Cru  sca  come r originale. La seconda in quattordici tomi appar-  teneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi accon-  cio di sua mano gli sbagli propri del copista. Gi^ discor-  rendo della vita scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill),  avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento  acui egli mirava principalmente con questo scritto; ma  era al disegno materiale ^ non inutile il far seguire il  preambolo del Rucellai, nel quale espone ampiamente  il concetto primo di essi.   Nel primo esemplare della libreria Ricasoli, pertanto,  i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre  viDeggiature.     124 CAPITOLO SETTIMO.   che eseguird volentieri. Le invio il preambolo, onde si  ricava 1' ordine e la distinzione di tutto il mio propo-  nimento. Dipoi ho stimato bene lasciare il primo Dia-  logo contro i sofisti, che serve solamente per introdu-  zione alle varie opinioni de' Filosofi intorno ai principii  della natura, non essendo ripulito ; e mando il secondo  dialogo sopra I'opinione di Talete Milesio, che tenne  r acqua per principio universale di tutte le cose ; pro-  posizione non molto difficile a esser trattata. Appresso,  saltando il numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non  pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora  ho messo mano, sopra V opinione d' Aristarco Samio,  le trasmetto i tre primi Dialoghi sopra il Timeo di  Platone, dei quattordici che ne ho imbastiti; paren-  domi che questi trattino, sopra tutti gli altri, cose  molto malagevoli a spiegarsi. Delia prima villeggia-  t ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialo-  ghi innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia  d' Aristotele, che non ho ancora cominciato. (Vedi con-  ferma nella Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove  si rileva che questo trattato della Provvidenza va dopo  il Timeo) E appresso ne vengono sedici dialoghi sopra  r opinione d' Epicuro, che ho messo insieme, ma non  ancora bene ridotti ; e diciotto contro il medesimo Epi-  curo, della Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma  non messi al polito. Della seconda Villeggiatura, «h'^  r Albana, dov'entrano dialoghi della natura dell'anima  vegetativa e della sensitiva, compresa da molti dialoghi  di notomia, gli ho tutti distesi, ma non rivisti; e ne  ho da fare due di pianta sopra Tanima ragionevole.  Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale  contiene materie morali, ne ho fatti parecchi, ma ne  avrei da fare altrettanti. Vero e che ho repertoriato  ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene inter-     DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 125   rotta spesso e dalle cure familiari, e dai disastri della  casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto  mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo termine. Ci  trover^ delle cassature e delle rimesse, qualche errore  d' ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori  che intendano. > Cio nella lettera. Ma il suo propo-  sito, negli otto anni che sopravvisse, non gli venne  fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni dialoghi  senza 1' ultima mano, alcuni ammezzati, e quali poco  nulla fuori il disegno. E quanto alia lor disposizione,  parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo,  non fosse in tutto fermata. Poiche nell' originale i dia-  loghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi  gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel dialogo XXII  si rammenta il Timeo, come discorso dinanzi; e il  Timeo vuol prima di sd i quattro dialoghi intorno alle  matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi  sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il Timeo; e  nella copia Palatina il Timeo senz' altro avanti ai  Dialoghi contro Epicuro.   lo pure nel discorrere terrd quell' ordine come il  pitl logico e naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi  meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante,  pure bastano a costituire un importante e quasi com-  piuto edificio, e a rappresentarci intiero il sistema ed  il metodo di questo filosofo toscano.   N^ ^ meno utile, com' ho gi^ detto, premettere  qui per intiero il preambolo cheva in testa ad essi  dialoghi, e che ci dimostra con maggiore chiarezza  r obietto principale e nobilissimo loro. fi un' orazione  toccante quant' altra mai e di bellissima lingua, che  varr^ a riposare, ricreandola, la mente del leggitore, il  quale pure da essa potra fin dai primi periodi rilevare  la natura deUa filosofia che il Rucellai vuole insegnarci.     126 CAPITOLO. SETTIMO.    Dietro alia meditazione dunque della virtii, io mi  ridussi, siccome voi vedete, sotto '1 benigno, e saluti-  fero cielo di questo novello Tusculo, dove 1' orribile  rammemorazione sfuggendo, e' rischi della mortifera  pestilenza, che poc'anzi incominciata a Napoli, o per  la corruzione dell' aere, o pe' venti, che dalle parti  Orientali soffiando, seco ne la portaro, s' e nella citta  di Roma miserabilmente appigliata, nulla dimora parve  agli occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta  di questa, ne cotanto in si spaventosi tempi per le  nostre speculazioni appropriata. Vennemi qui subito in  mente di quelle cotanto feconde, che M. TuUio ci fece  gi^ sopra di questa virtii in quelle torbide congiunture  delle soUevazioni civili, e si al medesimo m' accinsi,  forse con troppo animo, anch'io per I'amenita, e per  le solitudini di queste ville, desiderosamente cercan-     128 CAPITOLO SETTIMO.   dola. Ora nel levare, ch'io feci degli occhi al cielo,  mi ricordai di quanto ne ammonisce il nostro Poeta:   « Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,  Mostrandovi le sue bellezze eterne. »   > Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo  nostro Emispero, e oltre agli stupori, che di lassii in  varie guise agli occhi nostri lampeggiano, volt^mi a  basso, e posi mente alle innumerabili creature, onde  si vede la terra a maraviglia ripiena. Qui considerai  con qual ordine, e magistero elle sono dalla virtuosa,  e poderosa mano guidate della Provvidenza suprema,  ch' elle paion fatte tutte per noi, e come dalla loro  ingegnosa architettura apprese lo intelletto umano i  piii industriosi esempli, e coll' imitazione della natura  fecesi maestro dell' arti, talmentech^ i' mi rimasi sic-  come attonito a prima vista, e adombrato da una virtii  si grande, che da 1' essere a tutte quante le cose, e  reputaila in ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle  nostre meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per  ricordanza quel che il Timeo ne insegna, cioe, le in-  finite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile,  essere lo specchio di quelle piii perfette, e piii rag-  guardevoli, che sono nel mondo intelligibile raccolte  insieme, anzi nello intelletto divino per guisa, che sov-  venendomi di que' versi :   « Quanto per mente, e per occhio si gira  Con tant' ordine fe', ch' esser non puote  Senza gustar di lui, chi eio rimira; »   mi fissai in esso quel piii, e credei senz' alcun fallo  da si ammirabili e da si ben regelate fatture, qualche  sembianza della ragione universale agevolmente com-  prendere, di maniera che io pensai di accenderne in  me un certo lume pitl spiritoso, e piii vivo per addi-  tame a voi le forme pitl simili nella virttl, e con esso     DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 129   lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena  i' volli ne' segreti profondarmi della natura, e di Iddio,  ch' io immantenente rimessi 1' animo, e quanto pitt nel  pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl, ch'egli  hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e vie  piii di riverenza esser degni, ch' agl' intelletti de' mor-  tal! in verun conto proporzionali ; anzi e' mi parve mi-  racolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed  abbracciare coll' inmiaginazione 1' ampiezza di una tal  macchina, non che noi dobbiamo intendere con qual  concerto ella si govemi, e lo spirito, che dentro la  muove, e impercio Dante, che in prima ne invitd alia  contemplazione del cielo, ce ne modera poi I'ardi-  mento, dicendo :   « Perche appressando s^ al suo desire  Nostro intelletto si profonda tanto,  Che retro la memoria non puo ire. »    riflessione veramente proporzionata  ad un uomo; 1' altra e d' Apollo, o di chiunque si sia :  € Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al fa-  moso Tempio di Delfo ; proposizione divero, e ammae-  stramento degno di un Dio: e '1 medesimo Socrate, il  piii savio per awentura di tutti gli uomini, a tai fonda-  menti appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco  dagli studj meno che utili delle cose naturaU, in  ch' e' conobbe poco, q nulla potersene approfittar  r uomo, tutto alia cognizion di sd stesso si diede, ciod  a dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe per irrepro-  bahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel giovevole  dell' intelligenza umana. Verremo pertanto con amen-  due le sopraddette proposizioni i nostri presenti trat-  tati regolando ; ravviseremo in prima la fallacia della  Filosofia naturale, onde molti si danno a credere d'in-  tendere quel che per Io pitl e' non son capaci d' inten-  dere. Quindi al frutto discenderemo delle morali, fa-  cendoci dalla costituzione dell' Uomo, e delle quality,  e degli strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con  tal ordine procedendo, dalle azioni pitl brutali de'sensi,  riconoscendo voi stessi, salir potrete di grade in grade  alle pitl sublimi dell' intelletto ed all'altezza gloriosa  della virttt, onde 1' uomo s' illumina, e conservasi tanto  piii simile a Dio. Incomincieremo percid domani a di-  scorrere; e perch^ le giornate, che son lunghe, e Tore  calde ne obbligano a qualche lodevol trattenimento, a  niuno piii profittevole repute potersi donare il tempo,  nd scegliersi materia che pitt di questa all' et^ vostra     132 CAPITOLO SETTIMO.   sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi go-  dono le nostre vite sicura franchigia in questo aere  salubre dalla pestilenziosa mortality., che Roma atro-  cemente distrugge; nelle cui miserie ogni tribunale, ed  ogni pill fruttifero studio senza giudici, e senza con-  tradittori rimaso, e si senza maestri, o discepoli, ogni  arte, e ogni Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati  uomini in tutte le pitl nobili professioni sotto si pu-  rissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono; dove  noi in conversando con loro, ed or I'uno, or I'altro  scegliendo per si deliziose gite de' tesori di questa, e  di queir altra scienza per bocca loro faremo raccolta,  e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e 'n fra  gli altri D. Raffaello Magiotti, che con esso noi qui  ^ dimora, fia il nostro Socrate sapientissimo in tutti i  discorsi, il quale ben sapete essere insigne e nell'uno  e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino, maestro perfetto  di Geometria, ed esimio in tutte le antiche, e modeme  fildsofiche speculazioni, il cui chiarissimo ingegno in  si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi le spe-  rienze convincono, e V evidenza delle ragioni. >     Capitolo Ottavo.   ESPOSIZIONE DEI DIALOGHI FILOSOFICI   DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI   INTORNO A' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO.   SoxMABio. — Qaal concetto abbia della scienza il Bucellai, e soe diiferenze  da Flatonc. — Quali erano, secondo il Rucellai, i fondamenti del sapero,  i criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj passivi delFuni-   ^ verso. — NecessittL, noli ' esaminarle, di spogliarsi da qualunque precon-  cetto. — Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc unum  scio quod nihil scio. » — Sfiducia del Bucellai nelle forze dell* umana  ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si scorge  qui fin da* primi passi ; e la fede come ancora di certezza, e di salate. —  Talete Milesio o dell'acqua. — Anassimene o dell* aria. — Graclito  del fuoco. — Galileo. — Empedocle o i quattro elementi. — Par-  menide o d*uno eterno. — Anassimandro o dell* infinite. — Necessity  deirinfinito. — II finite non e privazionc di questo. — Cartesio, o  Tidea dell'infinito prova della sua realty. — Dato ruomo finito,  convien ammettere l*ente infinite. — E questo secondo argomento il  Bucellai tiene per piti stringente di quelle del Gartesio. — Ma si 1* nne  che Taltre sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.—  Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse degli astri sal mendo e le  cose umane ; combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino,  Dante e 1* opinioni di Anassimandro e Galilee suUa luce. — Platooe,  la luce e 1* anima dell* universe. — Ma ^ tutte un pud easere. —  Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed altri filesofi. — Si conchiude  coll* « Hoc unum ado quod nihil ado » di Sucrate. — La fede.   11 Rucellai, come tutti i filosofi, vuole esaminare i  tre obietti della scienza, Fuomo, runiverso, Dio. In-  comincia daj mondo, passando in rassegna le opinioni  degli antichi intomo a' principj di esso naturali, guidato  dall' aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dal-  r autorita. E sul punto di prender le mosse per questo     134 CAPITOLO OTTAVO.   viaggio, egli infrena, per cosi dire, i destrieri della  fantasia, perchd questa non lascisi traviare dalle ap-  parenze, e pel troppo desio di sapere, non cada in  presunzione smodata, ne, giusta V ammonimento plato-  nico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia con-  fusa colla opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo  di quella appresso colore che vogliono intendere tutto  alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello pure che  non d da loro, n^ a' proprj intelletti proporzionale. E  a ragione Socrate discorrendo della opinione che, al  contrario della scienza, giudica le cose per quel che a  lei dettano le immagini e il sogno, chiamavala una  certa demenis^a dell' anima, imperciocch^ mentr' ella  s' ingegna di giungere al vero, fa si che V intelligenza  prevarichi, e per lo piii determini il falso ; anzi, se pure  il vero determina, cio fa ella per caso, talmentech^ se  scienza fosse 1' opinione, la scienza consisterebbe in ap-  porsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi sapienti  della Grecia (detta da Diodoro Siculo la scuola del ge-  nere. umano) aprirono una via maestra, la dialettica,  per la quale il naturale discorso, non a benefizio di na-  tura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione.   il notorio come nella dottrina di Platone si distin-  guesse la fede, la scienza e 1' opinione, e come secondo  Platone la scienza consiste nel giungere agli univer-  sali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile  delle cose ; essenza intelligibile delineata coUa defini-  zione^ e secondo cui si pud giudicare con certezza delle  cose stesse. La opinione invece consiste in un giudizio  piii meno probabile secondo le apparenze deUe cose,  piuttostochd secondo Fidea loro. La fede 6 un giudizio  secondo Fautorit^.   Ora il Rucellai pone queste distinzioni platoniche,  ma senza seguime la dottrina, perchd quantunque egli     INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 135   pure ponga la scienza nel conoscer le cose in s^ stesse  mediante le idee, nega che si possa mai giungere alia  certezza se non mediante la fede ; talch^ la scienza  per lui diviene scienza o certezza nella fede ; da sd  sola non 6 che opinione piii o men probabile, o doxa,  EgU esclude solamente le matematiche, le quali, a  parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in  tal parte com'egli si allontani da Platone, il quale  anzi poneva le matematiche in secondo luogo, dando  il prime luogo alia scienza delle essenze o degli arche-  tipi etemi, e alia scienza che vi conduce, ciod aUa  dialettica. Finalmente vuol notarsi che, secondo Pla-  tone, la sola fisica non pud uscire dai confini della  probabilita : mentre che pel Rucellai non pud uscirne  la metafisica e la fisica, ma soltanto la matematica.   A Jeracio poi, sofista interlocutore, che esaltando  la autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara  infalUbile, e i dettami di lui come oracoli, si che as-  severi tutto per la dialettica e perd per Aristotele po-  ter sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle  anche di sopra, il sacerdote Magiotti, guidator de' dia-  loghi, oppone che quantunque il filosofo di Stagira sia  grande, e dette abbia grandissime verity, pur le cose  da lui proferite non son tutte vere; e soggiunge come  r eccesso della fiducia proveniente dalla logica meni  a disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello  che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e che il pic-  colo seno deUe menti nostre non cape; quantunque  il discorso per quest' arte si elevi all' alta contempla-  zione divina ; ma altro, pel Rucellai, d contemplare e  il toccar coUa mente le cose superiori, altro d lo in-  tenderle ed aveme possesso.    Di guisa che anco pel Rucellai la filosofia sa-  rebbe scienza delle ragioni supreme delle cose. Ma  ognuno di gi^ si accorge della sfiducia che il filo-  sofo fiorentino sperimenta e professa intomo alle  forze deUa umana ragione ; intravede subito che mal-  grado abbia il Rucellai presi a guida i due noti afo-  rismi sulla indagine della verity, pure nel suo procedere  innanzi ha sempre tese le orecchie alia placida armo-  nia della sua fede, in cui spesso lo vedremo quietarsi,  a mano a mano che egli procede tra i rumori discor-  danti delle opinioni e del dubbio. Vuole avvertirsi an-  cora come il Rucellai non distingua quello che i Platonici  tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ; anzi quello  che d pur necessario distinguere secondo la verita dei  fatti, cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristo-  tele. La dialettica di Platone d la scienza dell' idee  archetipe o universali, a cui si giunge per contempla-  zione, discemendo Fidentico e il diverso. Invece la  logica d'Aristotele espone le leggi formali del nostro  pensiero. Quindi mentre la logica di Aristotele, consi-  derata da s^ sola, pud servire anco al sofista, la dia-  lettica di Platone no, perch^ consiste nel cogliere la  genuina idea delle cose. Si pud errare secondo i Pla-  tonici, ma perchd non si contempla bene abbastanza,     INTORNO a' PBINCIPJ DELL' UNIVEBSO. 137   come si pud errare dal fisico non osservando con esat-  tezza i fatti ; ma la contemplazione come 1' osserva-  zione non possono per s6 medesime condurre all' errore.  E tanto poi ^ voro di questa sfiducia del Rucellai  che per bocca del Magiotti, in quel tempo nel quale il  Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio ri-  portava una non piil udita vittoria sulle scoperte del-  Tanima, dice:  E conchiude  queste che io con Toce militare, ma significativa, chia-  mevQi parole di consegna, dicendo che la vera filosofia  non consiste nell'imparar molte cose, nel saper tutte  r arti ; ma e' la riduce solamente alia cognizione di sd     138 CAPJTOLO OTTAVO.   stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di So-  crate : « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi  dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni, dice con-  sistere la giusta maniera per ritrovare la vera ragione  delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri.   Sfiducia adunque o fiducia limitatissima nelle forze  della umana ragione, la consapevolezza della propria  ignoranza, 1' universale consentimento, I'esame, e so-  prattutto la Fede^ sono le Encore di salute dell' umano  sapere, i fondamenti di esso per il Rucellai ; V auto-  rit^ umana una riprova probabile di verity, Y autorit^  religiosa il porto dove ogni tempesta del dubbio si  calma, ed ogni nube d' ignoranza sparisce. Vediamo  intanto com' egli osservi questi criterj, ed applichi que-  sto metodo alle indagini sue. ,   Deposta qualunque maniera di anticipate giudizio  a favore piil di una che d' un' altra opinione, e di che  prega caldamente gli ascoltatori, il Rucellai, col Ma-  giotti, si fa da'primi principj che gli antichi opinanti  attribuirono alle cose natural!, non dal lore principio  agente, cio^ dalla Cagion Primaria, dispositrice di tutte  le cose, increata e senz' altre origini che da sh stessa ;  imperciocch^ di questa per quella guisa che ne hanno  speculate i grandi uomini, faveller^ in piii appropriate  luogo ; ma dai principj materiali che essi appellano  causa passiva, conciossiachd dalla cagion prima rice-  vono tutti la lore impressione. Ed in sedici Dialoghi,  ch' io chiamo fisid, (e, si noti, non gi^ nel significato  di scienza sperimentale, come oggi si prende, ma nel-  r altro antico di speculazione filosofica intorno ai prin-  cipj delle cose), riferisce le molteplici e diverse opinioni  intorno a cio professate dagli antichi filosofi, con que-  sto intendimento che cio^, mostrando le ragioni appa-  renti che militano a favore di questa e di quella sen-     INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 139   tenza si fra di loro contrarie, e facendo si che, una  per Tina a tutte quelle opinioni, per le ragioni proba-  bili clie le sostengono, inclinino gli ascoltatori; se ne  deduca per conclusione finale la verity di quello afo-  risma socratico, e, come il gran Vecchio faceya, cosi  noi in quella specie di scettico ondeggiamento, lo po-  niamo a base e a pietra angolare del nostro sapere.  Ella ^ questa, come ognuno si accorge, del trattato  filosofico del Rucellai una parte negativa.   E di Talete Milesio per prime discorre, come di  quello che pensd incominciamento universale della  natura esser I'acqua, in cui gli sembrd tutte le cose  si disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua assottiglian-  dosi in yapori finissimi aria si facesse, e pigliando  corpo visibile se ne formassero le materie piii dure,  divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi,  perch^ osservo tutte le semenze delle cose esser umide,  tutte le diverse specie e composti degli umidi fossero  sotto il genere puro, semplice e universale dell' acqua,  e il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per man-  tenersi, perch^ non la quantita e 1' eccesso dell' umido,  ma la quality, in proporzione di loro essere, ^ quella  che le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il  Magiotti, come anche Zenone, il capo e maestro degli  Stoici, tenesse per fermo che Iddio per s^ in ogni na-  tura convertisse I'acqua, e che egli come virtii proli-  fica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque  I'acqua era creduta da lui il cominciamento materiale e  passive del tutto, perciocch^' Zenone osservd ogni misto  nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella  quale ^ manifesto al sense che predomina 1' umido; e  sembra di piti al Rucellai ricavarsi dalla stessa Genesi  la prima generazione dei corpi misti e viventi farsi  dalla virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni     140 CAPITOLO OTTAVO.   de' primi dottori della Chiesa, san Giovanni Crisostomo,  Agostino, Procopio, seguiti dal Pererio, il luogo del  Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si tra-  sportava sopra le acque, espUcano cosi, cio^ che una  virtii divina e vitale disponeva le ^cque alia conce-  zione e generazione delle cose. Adunque (dice il Ru-  cellai) tennero anch'egUno che Domeneddio, primo  agente, si valesse dell'acqua, si come prima e co-  mune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le  diverse forme.   E accennate con precisione altre fra le opinioni di  Talete e Zenone intomo all' altre cose deUa natnra, e  osservato come Talete negasse il vuoto, e come Zenone  quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai  nostri sensi s' acconciano, espone il nostro filosofo la  dottrina di Anassimene, seguita poi da Diogene, che  fa deir aria il principio naturale e causa passiva di  tutte le cose, come quella che d per tutto e prima  dell'acqua che di essa componesi, riferendo i dati di  possibilita che dall'aria, come I'acqua, cosi le altre  cose per mezzo di questa divengano, si che per le  ragioni che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice  il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbando-  nando Talete. Pare da non lasciarsi sotto silenzio co-  me il Rucellai prenda un po' all' ingrosso queste anti-  che dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il  primo principio delle cose, acqua, aria, fuoco, non sono  gi^ r aria, 1' acqua e il fuoco quaU appariscono, ma un  intimo e occulto principio che in tutti gli elementi si  tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che a noi  apparisce essere o acqua o aria o fuoco. E qui riferi-  sce pure il pensiero di Anassimene intorno alia strut-  tura dell' universe,  E all' Im-  perfetto che esclama :  il medesimo Magiotti socrMicamente risponde :     Ed Eraclito fu quelle che ebbe si fatta opinione,  cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto  dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose credette esser pez-  zetti e corpusculi di fuoco insieme congiunti.      142 C/LPITOLO OTTAVO.   Mi si conceda fermare il pensiero un poco su que-  sta opinione del Galileo riferita dal Rucellai. Essa, per  quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di Galileo  stesso, ma sembra una ipotesi che il grand' uomo po-  nesse innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal  supposto ci riesce confermato dalle seguenti parole del  Rucellai :  Inoltre 6 molto singols^re che in  questa ipotesi Galileo precedeva i modemi sostenitori  deir unit^ delle forze fisiche. Ma con quanto ritegno il  feujeva! aggiungendo solo che questa non gli pareva piii  inverosimile di tant' altre opinioni spacciate fuori per  vere : e non osava chiamarla, non che vera, verosimile.  II Rucellai aggiunge, come Galileo al padre Campanella,  il quale consigliava il gran matematico a metter fuori  certi suoi pensieri come una nuova e ben fondata filo-  sofia, rispondesse : che non voleva per alcun modo con  cento pitl proposizioni apparenti delle cose naturah  screditare e perdere il vanto di died o dodici sole da  lui ritrovate, e che sapeva per dimostrazioni esser vere.  E tomando al nostro Rucellai, egU argomenta con que-  sto tutte le cose farsi per via del moto o del caldo, poi-  ch^ il caldo si produce dal moto, e il moto si eccita dal  fuoco (materia sottilissima che 6 per V aria e penetra  per tutto) e anche la stessa terra, come anco i modemi  pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo  lo impulso onde salgano i vapori per I'aria. Dichiara  indi, esponendone le probability, come Parmenide, per  render conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa  sopra una maniera costante di rappresentarsi le cose.     INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 143   tenesse anch' egli il fuoco etereo principio della natura,  perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco  il quale riconosce in un modo espresso quattro ele-  menti, la terra, Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco,  come agente della produzione, esercita secondo lui la  parte principale. E il Magiotti ne illustra si bene la  ragionevolezza dell' opinione, che i suoi interlocutori  abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito, nella sen-  tenza di Empedocle sono costretti di convenire. E que-  sto artificio dialettico, si stupendamente adoperato da  Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le di-  verse opinioni, senza esprimere una conclusione positiva,  e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucel-  lai in questi dialoghi, all' obietto che ho dichiarato.   E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo del-  r unico principio, ciod dell' una eternOy dice, iUustrando  i concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser  possibile, che ogni cpsa esistente e una ed identica,  che pure cid che esiste non ha punto principio, che  egU 6 invariabile, indivisibile, e che ogni movimento  8 cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantun-  que abbia egli ben presupposto un principio unico, im-  mobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si conven-  gono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non  si pud negare che non ci lasci luogo Parmenide a sa-  lire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ super-  lativa e assoluta, che non ammette in sd stessa diversity  anco insensibile, e un' immobility perfetta, semplicissi-  ma e mai sempre costante ad un modo che in s^ non  abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei tutti i  moti e tutte le operazioni dell' universe si tacciano, ed  abbiano essere e vita.   Scende poi al sistema di Anassimandro che ripone  nell' infinite il principio delle cose, e al figUo Luigi,     144 CAPITOLO OTTAVO.   che dice dell' infinito essere impresa vana il farellare,  poicM non potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei  non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che  gli ingegni umani non sono adequati a tutti i possibiliy  e che percid il non comprendere una cosa non ^ per  noi prova che la non ci sia; come anche in questo  caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci  sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la prima inda^  gine a noi mortali rana riuscirebbe, la seconda e age-  volissima ad effettuarsi, per modo che sia giocoforza  il confessar3 che per necessity T infinito ci sia. Da  questa conclusione del Rucellai, apparisce come egli  attribuisse forae alia ragione la capacity di giungere  alia certezza solamente in qualche cosa. In qual cosa?  Nell' aflfermare che Dio c' d, che c' ^ il mondo, e che  noi esistiamo ; negando poi alia ragione di poter sa-  pere per sd sola, fuorch^ con opinioni probabili, quel  che siano le cose del mondo, e I'uomo, e Dio.   Ma per quello che riguarda le dottrine di Anas-  simandro, il Rucellai ricorda come quel filosofo di-  cesse che 1' infinito e la sostanza prima, contenente  tutto in s6 stessa, e in cui avvengono e produconsi  i cangiamenti perpetui delle cose; come dall' infi-  nito si dividono i contrarj per un continue movi-  mento, nello stesso modo che essi ritornano a lui.  Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a  cangiamento, ma d immutabile egli stesso. E cosi si  confonde 1' infinito agente colla materia per Anassi-  mandro, e, come per lui, anco per altri filosofi an-  tichi e recenti. Mentre il Rucellai, quantunque dica  r infinito non potersi intendere, perch^ non ha propor-  zione col finite, e quindi doversi contentare di assoggd-  tare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei lo distingue bene  e ferma il finito non esser privazione dell' infinito, sib-     J     INTORNO A' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 145   bene solamente il nulla infinite o finite ^ incompatibile  coU' Ente infinite, si come Y Ente finite o infinite ^ in-  cenipatibile eel nulla infinite. E ci5 dimestra cen ele-  ganti parele ; ceme pure dimestra centre Anassimandre,  scerdandesi alquante dell'intendimente negative a cui  mira in questi DicHoghi eel sue metede di successiva  eliminaziene, dimestra, ie dice, geemetricamente la  impessibilit^ che 1' infinite asselute si cemunichi alle  cese finite e che ci siane due infiniti, applicande alia  dimestraziene la terza prepesiziene del trattate di Ga-  lilee su i meti unifermi. E in sentenza platenica seg-  giunge pei ceme tutte le cese finite e le lere perfezieni  si staccane dall' infinite, cied da quel perfettissimi esem-  plari etemalmente lecati nella mente di Die, createre  perd della materia dal nulla, e che raccoglie nell' atte  prime, ciee nel prime cencette dell' epere sue, una virtii  seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di tutte le  cose fatte, quante in petenza di farsi.    Vedesi con quanta chiarezza il nostre neeplatonice  ricordi ed accelga i pensieri dell' Ateniese, contempe-  rati sempre dal Cristianesime, e cen quelle stile che  e degno di si alte dottrine le renda accessibili ad ogni  intelletto, pregio invere da tenerne cento in une scrit-  tore di materie filesefiche. E stabilita la necessity, del-  1' infinite, soggiunge : Che e' si vegga V universe muta-   10     146 CAPITOLO OTTAVO.   bile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell' infinite,  questo ^ chiaro. Adunque come s' intend' ella ? E a  Luigi che risponde : oh ! questo noi non glielo sappiam  dire, cosi (prego si avverta) discorre:    e questo vale  che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un ente, e che  questo ente ^ limitato.  E anche in quel che con discorso metafisico  applicato a naturali proposizioni 6 venuto provando,  conchiude che non v'§ da riporre certezza, ma sola-  mente ritenerlo come probabile; e pero meglio sti-  mare di rifugiarsi nella fede che le cose razionalmente  probabili illumina di verita, e conchiudere anco una  volta col detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so,  che nulla io so,   Ne'quattro dialoghi suUa luce (9-12) meramente  fisici, egli riporta le dottrine di Anassimandro e pro-  fessa, esponendole, le opinioni del Galileo con trepida-  zione per timore di guastare cid che dice il grand' uo-  mo a cui professa venerazione, e dichiara tutto cid che  di buono dice intomo al sole e sua natura essere del  filosofo illustre.   E anzi tutto ^ notevole questo passo in cui si  esprime per guisa da non lasciar dubbio che egli crede  agrinflussi degli astri sulle cose terrene:  E nel dialogo sopra Xenofane,  (dial. 16) detto chiaro che egli ha per impresa impossi-  bile e vana Y astrologia, conclude che mentre non puo  negare V influsso fisico degli astri, sulle cose della na-  tura, e anco sull'uomo che della natura fa parte, ag-  giunge pero che a voler fare 1' astrologo, vuolsi sapere     INTORNO a' principj dell' universo. 149   e accorgimento non ordinario, jBnezza e malizia inge-  gnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^ giovevole a  interessare e prendere gli animi, di cui si predicono  gli avvenimenti ; nulladimeno da chiunque fa si fatto  mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno senza  dubbio di nota questo, perch6 distacca il Rncellai dal  Rinascimento, che trovava appunto spiegazione del ri-  sorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea stessa  della civiM e della filosofia Platonica e Aristotelica,  e precisamente nel loro concetto intomo al mondo.  Qual infatti era esso concetto? Quello di un movi-  mento circolare, concetto antichissimo, che noi ritro-  viamo anche nell' liidia. Platonici e Aristotelici imma-  ginavansi il mondo siccome una vastissima sfera, ma  pur limitata, che avendo in se molte sfere concentri-  che, girasse intorno a se e ad esse, e per modo che  il ritorno periodico della tale o tal'altra posizione degli  astri nel cielo si congiungesse ad un periodico rina-  scere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che  quelli esercitavan su questi.   Lo che invero pu6 essere una tra le altre- ca-  gioni che spiegano la fede che quel filosofi ed eruditi  del Rinascimento avevano del doversi rinnovellare in  ItaHa gli antichi sistemi, le antiche civilt^ per definire  con essi i loro problemi intorno al triplice obietto della  filosofia.   La luce pertanto in modo vario e per mille ma-  niere d^ 1' essere, per Anassimandro, a tutte quante le  creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al  nulla. II sole ^ il fonte primiero della luce, ma non  I'unico, come ne confermano parecchie esperienze, ed  essa 6 una cosa da se, che in gran dovizia ritrovasi  nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che  Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel fuoco e la     150 CAPITOLO OTTAVO.   dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso,  forma i colori nelle sensibili cose, ^ Y elixir vUtB della  natura, e in tutte le cose rinviensi, ed d secondo il  Galileo (che pur qui il Rucellai chiama principQ de'filo-  sofi, e scorta e direttore dei suoi discorsi) 1' ultima ed  estrema espansione della natura.  E qui cita molti esempi addotti dal  gran fisico e matematico per dimostrare che in tutte  le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo  che questa sostanza gli d parso chiamarla cosi o cosi  dai filosofi. E il Rucellai tiene come Platone, Galileo  e Descartes gli atomi, che come il tutto cosi 1' etere o  il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col  Magiotti che il definire gli atomi, rotondi, o acuti, o  piramidali, d parlare per ipotesi, non perche dessi gli  abbiano visti. Comunque, e dal vedere come Galileo  provi col fatto ogni cosa esser permista o vivificata  dalla luce cominciamento naturale di esse, e dall' os-  servare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai  Santi Padri, ben deduce potersi commendare in questo     INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNI VERSO. 151   senso quella proposizione platonica che assegna 1' anima  universale del mondo, e come per quest' anima egli in-  tender dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento  erudito :  E santo Agostino, quel sottilissimo ingegno, nelle  sue Confessioni : QueUa liice soUilissima sopra ogni cosa,  alimentata da vivificante colore, quarito tempo ignorai  che f OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino  a che agli occhi miei annebbiaii non rifulse U lume  eterno del Vero! La qual luce alia bellezza ed alio     152 CAPITOLO OTTAVO.   spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di  quel primo ed ineffabil lume, che etemalmente e senza  fine risplende; di cui elia d qua tra noi la piii fami-  glievole immago. Che irapero fu detto 1' eterno Fattore:  Luce della luce, e fontana di lume. Ed in altro luogo:  Delia luce Egli la luce, e '1 giorno.   > E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acu-  tezza, si andava rivolgendo per Tanimo dicendo: Ma  che pro dunque a me ne veniva, che tu, Signore e Dio  mio, Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un  corpo tcde? Oh! quanti sentimenti al nostro proposito  trar si possono da queste scritture! Percio duirque si  puo credere, con essa luce (come piii attiva, piii sem-  plice e piii pura, e impero, come principio, pitl alle  divine cose somigliante) si dessc, per mano del Sovrano  artefice, il cominciamento e 1' omamento a tutto il  mondo visibile ; locandopoi quella per la maggior parte,  come in sua miniera, nel sole. II che viemaggiormente  si autentica dal nostro medesimo divin Poeta, in quei  versi :   « Lo ministro maggior della natura,  Che del valor del cielo il mondo imprenta,  E col suo lume il tempo ne misural »   > Cosi dunque, avendosi la luce, a cagione di sua  purissima natura, non dico per la pitl simile tra le cose  visibili, ma almanco per la meno dissimigliantiB alia  divina sostanza ; puossi commendare in cid quella pro-  posizione Platonica. Perchd Platone, col lume solo della  natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione:  ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la materia,  per render meno discrepante e meno discorde I'am-  mirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi  all'uno e all' altra confacevoli va regolando la diffe-  renza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo     INTOBNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 153   Compositore, e quale attaccatura, e per qua'mezzi,  possa darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandun-  que alcun dato avesse a quelle intelletto perspicacissimo  ad esplicare quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio  id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la  luce, ed ecco la luce; egli, non giungendo tant' oltre al  lume della Fede, conformando tal sentenza a'proprj  Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il  quale, coll'occhio della sua divina Mente, se ne giva  yagando, e riguardando in qua e in 1^ sopra il chaos ;  e che secondo gli esemplari e le idee perfettissime, in  essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle  cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa facesse la luce,  che ebbe dall'eterno Motore (quantunque Egli in sd  stesso sia mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi pri-  mieri, cio6 a dire dall' atto primo V attivit^ e il moto,  ond'ella avesse la mano (come principio della natura  e anima dell' universe) in tutte le formazioni e nella  perpetuity delle produzioni, che ad ora ad ora si rin-  novellano nella materia. Che appunto disse il Timeo,  Iddio col valore di sua somma onnipotenza, senza mezzi,  aver creato 1' anime, gli spiriti e gl' intelletti univer-  sali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua divina  natura conformi ; aUe quab* desse la cura e '1 disegno,  sotto la sua assistenza come Architetto sovrano, di  formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse  locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non compren-  diamo quale sia quell' anima universale, che egli inten-  deva per collegatrice delle cose divine coUe naturaU,  possiamo noi, con piU fondamento ancora che non avea  egli, creder che cid sia la luce; la quale fosse da  Dio creata, onde ella desse all' universe sensibile, ad  esempio dell' archetipo, la sua piil bella, visibile e  maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci     154 CAPITOLO OTTAVO.   mirabilmente in acconcio quel luogo di Dante nel  Paradiso:   cDunque nostra veduta, che conviene  Esser alcun de'raggi della Mente,  Di cui tutte le cose son ripiene.»   > Abbiamo per conseguente gran cagione d'immagi-  narci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fer-  mare per vero, la luce essere quel movimento occulto  e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose  viventi ; risvegliato per lo prime impulso nella natura  universale dall' atto primo, che d Iddio. >   j& prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la  ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di opinioni  diverse che il vero le adombrano sempre, e mai per  intiero gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col  corpo. E di questi quattro dialoghi la conclusione non  d percid a dubitarsi che sia identica nella sostanza  alle altre, e confermisi ivi appunto lo scetticismo in  cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura  il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi dialoghi che  noi chiamammo distruttiva.      Uguale d poi la conclusione a cui il Rucellai arriva  dope aver favellato de' colori, ed esposte intomo ad  essi le opinioni dei varj filosofi, e cercato di avvici-  nare, come sempre fa, col modemo 1' antico, Galileo  con Platone. II qual Platone, come Democrito ed Epi-  cure, fa i colori consistere in una fiammella a cui perd  6 necessario il concorso del sole; questo fulgore di  luce riflette variamente dai corpi colorati secondo i  modi varj coi quali i raggi del sole gli feriscono, e  secondo le positure e figure delle superficie dei corpu-  sculi componenti quello o quell' altro oggetto che i  raggi ricevono o ribattono. E come Aristotele, cosi il  Rucellai opina i colori non esser sostanze,ma accidenti,  effetto cioe di luce cadente nei corpi, luce che forma  i colori. Conchiude pero che queste sono opinioni di  filosofi, ma noi non possiamo ritenerle per veri asso-  luti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod  nihil sdo.   Io mi astengo da riferire la esposizione che nel  Biajogo quindicesimo fa il RuceUai delle opinioni in-  tomo al principio passive delle cose professate da Ze-  none, da Archelao, da Filolao Pittagorico, da Prota-  gora, e da Senofane, dope le quali egli conchiude nella  medesima guisa, non senza prima aver magnificato  certe stupende divinazioni di quegli antichi filosofi, e  allettato gli ascoltatori, per bocca del Magiotti, ad  abbracciare ad una ad una le loro opinioni diverse.   Questo viaggio del Rucellai a traverse le varie e  molteplici sentenze de' filosofi intorno al cominciamento  passive del mondo, piii che viaggio, adunque, ti si  rassomiglia all' ondeggiare irrequieto di una nave che     156 CAPITOLO OTTAVO.   sospinta in alto mare, e pur volendo pigliare una dire-  zione a porto sicuro, venti contrarj e tra s^ lottanti  ne la tengono perplessa, mentre nell' animo del pilota  suscitano come una tempesta di dubbj suUa sorte av-  venire del legno ch' e' guida. E uno scetticismo non  disperato no, ma, se m'e lecito la frase, imo scetti-  cismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento  di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento Socratico, la  consapevolezza della propria ignoranza; fondamento  negativo per il Rucellai, in quantochd la fede religiosa  solamente rende certi gli argomenti probabili della  ragione; e che per il Cartesio si converte nella cer-  tezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire  in un fondamento positivo dello scibile umano.     Capitolo Nono.   ESPOSIZIONE DEL TIMEO DI PLATONE  NE' DIALDGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.   SoMMABio. — Ammirazione del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione  e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. — Trime-  gisto. — II Rueellai non e dualista, come Platone. — Fine della  creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuni-  verso si legrge il verbo di Dio. — Gli archetipi eterni. — Platone  manca della fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e il  mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme.  — La mente umana e le idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte  Aristotele, Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio  e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne I'amore, per se, e anima  deiruniverso. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima  del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito Santo.   Del !Bmeo di Platone il Rueellai d^ tutta la strut-  tura, esponendolo, col riprodurne tradotti i punti piU  qualificativi, e commentandoli. Desso,' il nostro filo-  sofo si accosta, direi quasi, con religioso tremore e  come compreso nelP animo di alta maraviglia a questo  monumento divino del genio Ateniese, che pare scriva  dal cielo le cose stupende di lassil agl' intelletti finiti  degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i voli della  mente cerchi infrenare coUa ragione e V esame, pur  non di rado accade che amniiri piii di quel ch' e' di-  scuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla-  . tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la voce del  Galileo. E su' principj della natura discorrendo in sen-  tenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga     158 CAPITOLO NONO.   per universale fondamento ch' e' si dee innanzi tutto   distinguere qudlo che sempre c, da queUo che mai e,  e che ha nascimento ; e come il primo lo comprende  la ragione, 1' opinione per via de' sensi il secondo; vale  a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i sensi, ma  si r animo il pud seguire meditandolo, e raffigurandolo  nelle sue contemplazioni per cagion prima, universale,  assoluta. 11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei  c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni formarsi  delle cose naturali, e la certa verita di come elle siano  non esserci mai chi V aggiunga; dappoich^ il senso non  sia che un vestigio dell' intelletto, e 1' opinione e V im-  maginazione una copia di esso confusa ed abbozzata;  ed i sensi ingannin sovente. Edefinite il divario tra  opinione e scienza, tra senso e intelletto, il Rucellai, sic-  come Platone, riconosce dialetticamente la necessity  di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di  un principio prindpiante della natura, in cui stieno gli  archetipi eterni delle cose create, le quali sono alia lor  volta imagini imperfette di quelli. Onde a ragione Plo-  tino chiama la natura forma di tutte le forme^ ma con  tale infinita disparity, che  Iddio, prin-  cipio principiante di tutte le cose, eccetto della materia  eterna per Platone, ma pel Rucellai anco di questa (nel     ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 159   che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria  alia fede piil che ei la stimi contraria alia ragione stessa)  infuse nel mondo create o formato grimpulsi della sua  conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove  sulla ragione dell'origine dello universo, opera bellissima  e imagine di qualche cosa di etemo, discorre, dimostra  esser lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi  a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo Agostino,  aver egli medesimo confessato ch' e' conviene credere  per intendere, non volere intendere per credere.   N^ si diparte da Platone, anzi concorda con lui il  Rucellai nel dire che fine della creazione fu a Dio per-  fettissimo il buono, e questo per formare con amore  una cosa, la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni pa-  ragone bellissima ;  E nel Paradise, mostrando di scorgere tutte  quante queste cose sublimi nella incomprensibil luce  della Divina Mente:   « Pero che'l ben, ch'6 del voler obietto,  Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella  £ difettivo, cio che 6 li perfetto. »   > Per lo che vien dimostrando anch'egli che questa  copia non giugne a gran via alia perfezione del suo  originale. >   E, come Dante, recasi qui pur David a sostegno  della dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi  enumera, come Platone fa, i principali e piii sovrani  attributi di Dio, in cui stanno gli archetipi etemi  delle cose, e dice come nella creazione, prima di tutti  cominciamento universale di qualunque sua fattura   11     162 CAPITOLO NONO.   formo egli i cieli nel suo intelletto ; con che interpreta]  il Rucellai aver voluto David, come Platone, signi-  ficare che avanti di creare le cose fuori di s^, Iddio  avesse ingenerato oft aitemo in s^ medesimo I'idea di  quella fabbrica che poi fece, e con la formasfione dei  cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligi-  bile, il mondo archetipo eterno, in sentenza stessa pla-  tonica. E come beUo cred il mondo, perche la perfe-  zione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione  assdluta del buono, ambedue contenute in unit^ per-  fetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi  lo creo dunque anche buono, formandolo con armonica  proporzione, daUa discordanza riducendolo a conso-  nanza, dal disordine alFordine. E le forme che non  riescono buone e belle, non per colpa di Dio, ma per  vizio della natura si trovan nel mondo, e sono occa-  sione a lui eterno Facitore per ispargere, dice Platone,  suir universo i suoi beni. II quale, soggiunge il Ma-  giotti, piii che e' pud si studia farci comprendere que-  sta creazione del mondo.    Onde il poeta :   « Nel suo profondo vidi che s* interna  Legato con amore in un volume  Cio che per I'universo si squadema. »   > Ed il Petrarca ben distingue 1' idea dalP esemplare  in quel sonetto maraviglioso che incomincia:   c In qual parte del cielo, in qualMdea,  Era Tesempio onde natura tolse  Quel bel viso leggiadro, in che ella volse  Mostrar quaggiu quanto lassii potea. >   II qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma il Ru-  cellai non consente, che per divino privilegio o per me-  rito dell' amma universcde che da Dio fatta immortale lo  informa, sia anch' egli, quantunque continuamente mo-  rendo, immortale.   E ascendendo piii particolarmente alle idee, agU ar-  chetipi etemi, egli, il Rucellai col Ficino dichiara, co-  me Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma  di tutte le forme, idea di tutte le idee, le quali tutte  in s6 le comprende, idee a cui le sensibili forme si  rassomighano come le ombre ai corpi.  La  idea dunque di ciascheduna cosa, bench^ in riguardo  al nostro intendimento di diverse cose paia composta  (ei soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e  e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e ferma ed     164 CAPITOLO NONO.   etema, possedendole tutte insieme,    Ed oltre convenire in questo intendimento, il Ru-  cellai, a conforto di esso, le ragioni di dotti antichi e  di santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo  stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe. Ed e degno  di considerazione cio; imperocchd quantunque appa-  rentemente egli esca qui fuori un po' del suo consueto  e sistematico probabilismo, pure in realta vi rimane;  ch^ questo vero non in quanto la mente umana lo  ritrova e proferisce si 6 vero, e da accogliersi con  certezza, sibbene perch^ gliene viene conferma inM-  libile dall' autorit^ dei Ubri santi.   Perd come le idee diverse dalle opinioni, le intel-  ligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime     BSPOSIZIONB DEL TIMEO, EC. 165   notizie intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai  un mistero e con rAlighieri ripete:   aPero Ih donde vegna lo intelletto  Per le prime notizie uomo non cape  E del primo appetibile V affetto. »   E s' intrattiene a provare ancora piuttosto come  esse idee riseggano in Dio, e le cose a somiglianza di  quelle si facciano.   « le cose tutte quante   Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma  Che r universo a Dio fa somigliante.   Qui veggion Y alte creature 1' orma  Deir eterno valore il quale ^ fine  Al quale ^ fatta la toccata norma.   Neir ordine ch'io dico sdho accline  Tutte nature per diverse sorti,  Pill al principio loro e men vicine*   Onde si muovono a diversi Porti  Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna  Con istinto a lei dato che la porti. »      Evidentemente scorgiamo noi qui come il Rucelki  rigetti la opinione che lo intelletto umano sia tanquam  tabfda rasa^ in cui si venga a scriver man mano, e pur  senza sottoscriversi alia teoria della Eeminiscen^a nel  senso platonico, ammetta invece la umana mente illu-  strata da un lume supemo impresso in essa "da Dio,  quantunque poi non sia ben chiaro sul come cio av-  venga, e anzi. reputi questo un mistero, come detto  abbiamo di sopra. Ci6 che puo dirsi per i passi gi^  riferiti o per altri che giova per brevity tacere, si ^  questo, che per lui la partecipazione delFidee eterne  all' intelletto umano ^ fatta non per immediata intui-  zione^ ma per impressione, Perocch^ egli dica che le  idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stam-  pati da Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese nella  strada che mena al conoscimento perfetto delle idee,  che sono nella mente eterna, asserendo egli pure essere  a cid necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio  del cerchio, cui V animo nostro vuol sapere che sia.      Del rimanente il Rucellai, come Platone e i neopla-  tonici del suo tempo, in questa parte e cosi anche nelle  altre del suo lavoro filosofico, ritiene e professa il prin-  cipio I'occasione della cognizione venire da' sensi,  che la suscitano, e la fanno ricordare alia mente, in  questo significato perd che le notizie prime siano state  impresse in essa da principio dalla onnipotenza e prov-  videnza divina.   Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei quali  venne formate il mondo, si discorre dell' anima di esso  secondo Platone, di cui riferisce il Rucellai testual-  mente i concetti, senza metter (com' e' dice) in que-  stione se cid sia vero o no. Ed io credo poter far gra-  zia al lettore ed a me di questa lunghissima e diffusa  esposizione, che non ^, come altrettali, al mio soggetto.  E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che  ammettono il mondo da s^ essere o governarsi (natu-  ralismo) o Dio stesso essere (panfeismo), che il Rucellai  condanna e beff'eggia, ammettendo determinatissima-  mente la creazione ex nihilOy secondo il concetto cri-  stiano, e la fede. Belle pagine invero son quelle, e dove  si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudi-  zione immensa che irradid la mente di questo filosofo  fiorentino ; se non che la h null' altro che erudizione ;  mentre valore speculative, propriamente tale, invano     168 CAPTTOLO NONO.   pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando  un altro ragionamento del Rucellai preso da Ermegisto  nella sostanza, e col quale egli svolge pitl e piil il suo  pensiero sulla creazione del mondo fatta da Dio.   c Tutte quante le cose che si apprendon co' sensi,  (egli dice) fatte sono, e tutto di si fanno e fannosi non  generate da per s^ ma da altri. Adunque qualcuno ci  ha da essere, che generate le abbia, il quale generate  non sia, e delle generate cose piil antico: e delle cose  generate nd uno pu6 esser piA vecchio di quelle che  generate non ^. Ma il Facitore h piii potente di lore,  e unico e solo in verita, sa ogni cosa perch^ niuno a  lui va innanzi. Le generate cose visibili sono, egli in-  visibile, e pero fa a fine di rendersi visibile, per lo  che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la  appellazione di Dio, di Fattore, di Padre. Dio per V on-  nipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la  bont^, ond' E^li opera, n^ ci ha cosa di mezzo fra il  genitore e il generato, n^ altro fiiori di questi due:  uno per propria natura la natura dell' altro riguarda  mai sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevol-  mente uniti in guisa perd che I'uno preceda e 1' altro  seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malage-  vole si 6 vero disdicevole alia divina maest^ ; la  costituzione di tutte le cose ridonda in gloria unica a  Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo, niente di  deforme precede; siflEatte passioni seguono solamente  le operazioni create. Delia generazione la perseveranza  fa pigliar piede al male, e per tal cagione istitui Dio  con la corruzione loro la mutazione delle cose, come  una certa purga via via di essa generazione, e cosi per  mezzo di una continua mortality, conservasi perpetua  al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua propria natura,  e questa si d il buono, e il buono d quella virttl onde     ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 169   tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio gene-  rate si § cio^ dal buono, che ^ quelle che pud e fa ogni  cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra la  mutability, in tutto quanto il mondo la vita e il moto, a  simigiianza dell' agricoltore cbe sparge i semi nel  grembo della terra, in un luogo appropriate il grano, in  un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro altra sorta di  seme, il medesimo dove riannesta, e dove peta le viti,  e altre maniere di frutti, nelle stesso mode fa Iddio. >   E se il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1' anima  del mondo, preva il Rucellai in altri Dialoghi, e so-  stiene come Egli sia mente Creatrice e Prevvidente in  quelle, senza infermarlo, come fa anima cerpe, nd tra-  mescolandosi con esse perch^ egli immense nen pud  esser circescritto da termini, senza cessar d' esser Die ;  perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto stare, che ^ il  mondo. Iddio crea, e la sua mente divina gli 6 legge ;  imperocchd essa in un medesimo punto pensa, ceno-  sce perfettissimamente e delibera impermutabilmente  con sapienza infinita, e con immutabile ennipetenza, e  tutto ipso facto, senza replica, a quelle ebbedisce, e  perd legge si ^ la mente divina.    come ritratto e immagine  del suo facitore, ma non gi^ reputd che Iddio anima  fosse del mondo, quantunque anima di ragione dotata  e fabbricata dal maestro etemo delle sovrane intellet-  tuali cose e divine assegnasse all' universo. >   La mente divina pertanto 6 pel Rucellai legge im-  permutabile all' universo, e concorda in ci6 che ne  dice Cicerone: Legem video sapientissimorum fuisse  sentendam, neque hominum ingeniis excogitatam, neque  sdtum aliquod esse populorum sed cetemum quiddam  quod universum mundum regeret imperandij prohihen-  dique sapientia. Ita principem legem illam et ulti-  mam mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis  aut vetantis Dei, vita autem est cum mente divina et  ratio est recta summi Jovis ; ergo divina mens summa  lex est  Insomma 1' anima dell' universo d pel Rucellai   lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la Provvi-   denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver-   tendo come Platone nella graduazione degli enti per   r universo e nello spiegare la formazione del mondo   sensibile e spirituale siasi accostato alia dottrina della   creazione, e conchiude sovente com' egli abbia davvero   avuto a logger la Genesi.   E tanto e' crede probabile cid, che espressamente  in un Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla  creazione dell' universo con quel di Platone, per ve-  dere a luogo a luogo dove elle si rassembrano, e dove  egli, Platone, abbia fallato. In che appunto noi abbia-  mo una nuova testimonianza di fatto degli intendimenti  filosofici del nostro Neoplatonico. Egli accetta da Pla-  tone le sue dottrine finch^ armoneggiano colla Teolo-  gia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in que-  sto sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo     172 CAPITOLO NONO.   palesemente discordi, se ne diparte, e alia rivelazione  intieramente si appiglia. Or questo studio comparativo  tra i testi biblici sulla creazione e quei di Platone che  vi si approssimano, e importantissimo a chi voglia,  come ho accennato innanzi, vedere gli estremi svolgi-  menti del neoplatonismo nel secolo^decimosettimo.   Si fa il Rucellai un ultimo quesito, se cioe in sen-  tenza platonica I'Amore sia anima del mondo, o la  parte pitl nobile opitl sovrana di essa. E teologica-  mente discorre di Dio sommo Bene e sommo Amore,  della Trinity dapprima, indi dell' amore necessario e  dell' amore libero, quelle nelle cose insensibili, nella  madre natura e negli animali bruti ; questo nelle crea-  ture intelligenti, per le quali esso non ^ che un.con-  cordamento tendente alia perfezione della divina uniti;  e percio disse Platone, amore essere quell' armonia  e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia  Concordia ed all' uno, E in questo senso deve intendersi  ammetter egli 1' amore come anima del mondo, e por-  zione piii perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa  due Veneri generatrici di due amori, naturale 1' uno,  divino 1' altro, entrambi maestri di tutte le arti e di  tutte le operazioni.      Capitolo Decimo.   {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI.      SoMMABio. — Qaesiti. — Natura deir anima razionale. — Non e particeUa  deiranima uniyersale. — & intiera e perfetta da sd. — In che il  Rncellai si discosta qai da Platone. — Spiritualitd. deiranima. — Per-  fezione maggiore negli spiriti angelici. — Immortality. — Argomenti  di ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa  alia questione deUMmmortalitll. — Passo di questo filosofo. — Altre  prove d' immortality.   Intomo a questo argomento il Bucellai si propone  di vedere se sieno da per loro le anime razionali ovvero  porzioni dell' anima universale; in che erri Platone, a   ft   differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume  della fede ne persuadono, e con Socrate e col divino  lilosofo e con molti altri maestri di sovrano lume an-  corch^ Gentili, che le anime nostre sono immortaU.  E per primo si studia di dimostrare la natura di que-  ste anime, e come non sieno particelle dell' anima uni-  versale, possedendo 1' anima nostra invece una sua  propria sostanza, ed essendo una certa essenza intel-  lettuale da s6, che si forma semplicemente dall'intel-  letto divino, come ammette Platone,    £ da notare qui come si avveri quel che abbiamo  avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo nostro s' in-  gegni di ridurre a vera sentenza in conformity del Cri-  stianesimo le parole di Platone, che per contrario, nel  Timeo, sostiene I'anime particolari essere particelle della  universale. E dice poi Platone (continua il Rucellai)  r anime esser fatte per le cose celesti e immortali, e per-  ch6 r uomo si faccia imitatore di Dio, servendosi per ci6  anco dei sensi, tra' quali il piii degno e il piA umano,  la vista e I'udito. Nel che, soggiunge egli, discorda  alquanto la verity nostra perch^elle sono create da  Dio di ugual perfezione di mano in mano in quel punto  che fornita di fare tutta la struttura del feto nelFutero  matemale, il corpo ne divengS; capace, messoinsieme  con tutti quanti i suoi organi ben che teneri e male  abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^ vi ha  anima comune onde le nostre razionali porzioni sieno  di essa in alcun modo. E della differenza tra questa  e quelle e tra quelle e le anime dei bruti lungamente  favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti  probabili di ragione, a precetti di fede religiosa. E il  contrasto interne dell' uomo che proviene dalla Ubert^  del volere e da' sensi e il supremo e invincibile argo-  mento a sostegno della spirituality dell' anima umana,  e della sua gran diflferenza con ogni altra che Platone  ponga nel mondo, o che negli animali ci sia. Stabihsce  quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la perfezione  maggiore degli spiriti angelici, chiamati da Platone     SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 175   Demoni, o Dii, percM immagini pitl perfette che Panime  nostre dell' idea eterna; e afferma non potersi dare ac-  costamento di termine tra il corporeo e lo incorporeo,  r immateriale e 1' incomposto, 1' anima insomma, la  quale sebbene non si veda n^ si tocchi, pur si mani-  festa che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili, giusta ne dice pure Platone. Confessa pero al solito che in  somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incor-  poreo e delle operazioni lore, come della immortality  non vi ^ da aspettarsi mai prove convincenfi^ oltre  queUe delta nostra infcHlibiLe cattolica doUrina, perche  eUe non sono da noi^ ma si bene favellare se ne puote  e trovarci da proporre molte verosimiglianjs^e e proba-  bilUa. Nondimeno con tutti gli argomenti che adopera  Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' no-  stri il Ficino e indi anco il Cartesio, di cui espone ed  ammette, temperandola col neoplatonismo, la dottrina  della cognizione, e le cui ragioni sulla immortality  paiono anco al Rucellai ben fondate, egli vien dimo-  strando man mano la spiritualita e immortality del-  r anima con discorso vivace e stringente, e ribattendo  con arguta confutazione gli argomenti in contrario,  specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei quali  su cio cadde Tertulliano, e rilevando le contradizioni  frequenti di quella intelligenza.   Non repute inutile pertanto a questo punto rife-  rire ci5 che il Rucellai per bocca del sacerdote Ma-  giotti, dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio,  teorica della cognizione che egli connette stretto con  quella della immortality, e se ne vale come argo-  mento, sempre s'intende, probabile, coll' uniformarsi  intieramente alia fede.  Confesso bene, che il volere riconoscere del tutto  dair idee, ch' e' chiama innate, e che esse ci sieno, non  che dell' essenza, dice solamente dell' esistenza divina,  r ho per intraprendimento troppo ardito, e da non se  ne uscire con onore, chi volesse, seguitando Renato, col  proprio intelletto giungere a si sovrane cose, senza gli  anticipati giudicj dell' immaginazione, percM io per me  non so ritrovare modo da figurarmi come cio segua:  impercid che avendo noi si fattamente impastate le  parti intelligibiU con le sensibili, la maniera di distin-  guere totalmente le loro operazioni 1' una senza I'altra,  cio^ a dire quella dell' intelletto senza quella del senso,  io non mi rincuoro di rinvenirla. >   La opposizione che fa il nostro autore alia dot-  trina del Cartesio sull'idea innata di Dio ^ notevole  molto, perch^ viene ad escludere in lui la dottrina  delle intuizioni ontologiche o anche ideali, che ab-  biano per obietto Iddio e gli esemplari etemi.  Scintilla della divinity si pud dire, che sia non so-  lamente quel lume di conoscere le cose esteme per via  de' sensi, il che hanno parimente gl' irrazionali, ma di  pill quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio  deir intelletto, e della mente astratto da' sensi, pe r il  quale ci si apre la strada al raziocinio, e al discorso,  con cui noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose  non sono comech' esse ne facciano la scala per soUe-  varvisi sopra alquanto. Per lo che disse Plotino nel-  r ordine della cognizione 1' ultimo grado tiene il senso,  il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la  linea retta, V intelletto la circolare, rivolgendosi in sd  stesso, e pero 1' anima per la vegetazione, per il senso,  e per V immaginazione si affaccia fuori di s^, ma per  e' moti deir intelletto si rende capace di riflessione in  8^ stessa, e cotale operazione si maravigliosa del  conoscere di conoscere, 6 presa da molti filosofi, anche     180 CAFITOLO DECnCO.   di pit! acuto intendere, per grande argomento dell' im-  mortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare  che sia non le avere innate in noi le idee dell' esisten-  za, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine  delle medesime idee, passare ad avere plena notizia  dell'essere una cosa cogitante che non pud essere  distesa, e perd essere incorporea e poi di essere insieme  una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere cor-  porea, onde se ne ricavi essere 1' uomo fatto di due  •cose totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo  stare senza 1' altra, possa ricevere la posizione cogi-  tante da per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima in-  corporea, e perd immortale. Ma si bene questi lumi  di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che  annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi medesimi  talento d'avvedersi ch'e' ci sieno i principj di molte  e molte cose, le quali -noi ci accorghiamo avere molto  pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi  di giugnere a capire per possedere in verun mode  scienza di loro intera e perfetta, e non avendo in noi  r intero della perfezione delle cose di cui noi cono-  schiamo i principj, da' quali ci sentiamo abili a cono-  scere piti, bench^ piii non arriviamo a conoscere : adun-  que trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo  acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1  potere da queste grossolane membra mortali, e da  questi organi, che noi abbiamo limitati, ed angusti, i  quali paran la vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto  ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando  che sia, I'adempunento del conoscere 1' intero delle cose,  di cui noi scorghiamo i primi semi, e lampeggiare le  scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile,  che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le anime nostre  destinate sieno, spogliate e libere da questa gravosa     SEGUE IL TIMED. — DELL'ANIME RAZIONALI. 181   soma corporea; e qui si addice meglio la considera-  zione che Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illu-  sione massime in certi principj e fondamenti, che si  scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una  mole di pitl alta architettura che none quella, che  alia nostra veduta si concede. Impercid che se 1' anima  per s^, e per sua propria natura avesse terminate le  vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a que' soli  principj, ne s' imm^ginerebbe piii oltre di quelli im-  mensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina, creden-  dosi che quello che gliele impedisce fusse il suo ultimo  fine; imperciocche quando uno vivendo racchiuso in  una angusta spelonca, condottovi da lontane parti di  notte al bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, .  ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra,  certo ^ ch'egli s' immaginerebbe qualche alta e gran  fabbrica dimorarvi sopra all' occhio del giorno, e non  indamo si forti fondamenti esservi stati sotterrati, o  che almeno alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si  fatto uomo cotanto stolido non fosse, o ch'entro vel  ponessero di nascita, che impercid non avendo per  innanzi veduto altra cosa finora di li si facesse a cre-  dere che quelle pareti, e quelle volte fossero i termini  estremi del mondo. Cid verisimilmente succede alle  bestie, le quali non hanno talento di credere che ci  sia da sapere piii di quello che elle sanno. >   Ma pitl il Rucellai si compiace d' intrattenersi  nella prova a posteriori della esistenza di Dio e  della immortality dell' anima umana, e in cid pure  si vale dei vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi,  come e precipuamente di quello che ricavasi dall'or-  dine del mondo, e dall' indefinito desiderio di beni in-  siti in noi, e della sempre incompleta soddisfazione che  i beni finiti della terra e dei sensi ci recano. E s' in-     182 CAPITOLO DECIMO.   trattiene molto pur qui, ma assai piii nel trattato della   Prowiden^a^ come vedremo fra breve, a discorrere di   questa natura di beni, e in che il vero bene consista,   seguendo in tutto le traccie neoplatoniche e stoiche, e   come i beni di fortuna son tali solamente in quanto   s' indirizzano al conseguimento della virtii, in che sta   il vero bene. Or facendosi cid appunto per la ragione,   mediante la quale si arriva alia bonta, alia giustizia ec.   e questi essendo attributi di natura sempiterna, ne   viene che Fuomo abbia I'anima immortale. E come   questo, cosi molti altri argomenti verosimili e proba-   bili della immortality dell' anima, reca il Rucellai a so-   stegno di essa, di Platone, di Socrate, di Pittagora, di   Cicerone e di Seneca, il qualp ultimo par talrolta   r ammetta, tal'altra no; ma io credo non essere neces-   sario fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo   com'egli, il nostro filosofo, cerchi corroborare quanto   piii pud con argomenti probabUi della ragione quello   che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini   ritiene per fede, e d i rilevare com' egli faccia anco qui   uno sfoggio vastissimo di erudizione nel recare gran-   dissima copia delle opinioni de' piii antichi e se-   gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li   reca, li rimprovera o corregge in quel ch' essi hanno   di non razionale, o di contrario alia fede, come la pa-   lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di Platone,   ossivvero ne interpreta ciiriosamente le frasi, come il   demons di Socrate, per esempio, nel quale vuol ravvi-   sare I'Angelo Custode dei cristiani.   E finalmente ritorna il Rucellai a discorrere della  cosmologia, della formazione cioe del mondo e figura  sua in sentenza platonica, rigettando pero come detto  si 6 la eternity della materia, e dove pu5, a sostegno  delle dottrine platoniche, riportandone i detti di Ga-     SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 183   lileo e questi con quelle conciliando, come contro la  incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il brano, e avremo  terminato 1' esposizione del Timeo.   Imperf. — Nascemi nell' intelletto una nuova oppo-  sizione da farvi procedendo secondo V ordine platonico,  e estraendoci dalla fede. Convien supporre la materia  informe per s6 discordante e de'contrarj compostaes-  sere eterna, altrimenti se creata fosse da Dio, potries-  segli apporre che egli avesse errato tirando i prin-  cipj tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe  mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade.   Biionac, — Avea mestiero di ridurre all' unitade i  contrarj, acciocche permanendo uno, e perfetto huni-  versale, essi operassero di lor natura i loro effetti spe-  ciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben sotto le debite regole e proporzioni  tra loro ridotti per tal maniera che non isvariassero  dair ordine dato loro e mantenessero perpetue le spe-  cie, mentre di mano in mano si rifiniscono gli individui.   Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da con-  trarj, e cid ^ d' uopo per la corruzione de' composti,  riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma  opera la proporzione, e la analogia ch' egli ebbero per  lo componimento, e per hunit^ del tutto ; richiaman-  doli via via mai sempre al rifacimento di quelle cose  individuali che periscono per mantenere nel loro de-  bito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento  solo nulla si genererebbe giammai. E o vero sarebbe  r universe una cosa tutta, una, soda e ferma, con la  figura solamente esteriore che ritonda gli assegna il  Timeo^ e allora fuori che nella grandezza, che diffe-  renza fareste voi da esso a una palla di Travertine?  si pure se da principio senza contrarj create avesse  tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e     184 CAPITOLO DECIMO.   le.stesse in perpetuo impermutabile stato, senza che  n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che  come udiste si ^. dichiarato molto bene il Ficino.   Mag, — Oh come bene si B&k un bellissimo luogo,  che io vi verrd dicendo a cotesto alto concetto, che,  avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessa-  rio che la creazione dell' Universo si facesse dei con-  trarj a volere la perpetuity de' moti e delle genera-  zioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor  medie proporzionali per renderlo uniforme e si somi-  glievole all' unitade del mondo archetipo !   Impercid che egli h certo, che senza Tarmonia ri-  maneva tra detti contrarj la materia informe e scom-  pigliata e disordinati moti, e senza le contrariety, re-  staya il mondo senza operamento che sia, e senza il  fruttifero movimento per le generazioni disfacendosi,  e rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^ qtiando  non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1' universo  tutto, ma di qualunque altra gioia piii dura, pit! pre-  ziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore reche-  rebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe in lui, a  petto a quello che ci si scorge, con le continue fabbri-  che che ci si formano per mezzo delle corruzioni e  delle generazioni, senza perder mai un minimo che  di sua intera pienezza e di sue alte e basse maravi-  gliose strutture? Come ben dunque si affi^ a codesto  concetto quel pensiero non punto meno alto, che pone  il nostro Linceo in bocca al Segredo contro V incorrut-  tibilit^ peripatetica de'cieli, riputando viepiil nobile  e di piii pregio la terra per la generazione e corru-  zione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sareb-  bero, n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili  fossero, avvertendo alle tante e si belle mutazioni, che  in quella si fanno di pitl sovrano e ingegnoso magi-     SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 185   stero, che se ozioso si stesse ancorchd di qualunque pit!   pregiata e speziosa materia fosse composta. Perchi§   altro (die' egli nei Massimi Sistemi) verrebbe essa ad   essere salvo, che una vasta solitudine di arida e spessa   arena, e si infruttifera e vana, o una massa di dia-   spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan-   tissimo saria sempre un corpaccio inutile, con quella   differenza ch'^ tra un animal vivo e un morto, e il   medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli altri orbi,   potrebbe dirsi, e vien poi seguendo con una maravi-   gliosissima e bella riflessione, che se il popolo chiama   preziose le pietre, le gemme e V oro, e vilissima la terra,   cio awenire per la dovizia di questa e carestia di   quelle. Imperd che dove della terra ce ne avesse   penuria chi non ispenderebbe una soma di diamanti   e di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so-   lamente tanta in un piccol vaso da piantare un gelso-   mino, un arancio, ivi veggendoli nascere, crescere e   produrre si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e   saporiti? E il volgo loda un belUssimo diamante (dice   egli) perch^ all'acqua pura si rassomiglia, e poi per   dieci botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual   cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat-   tori della corruttibilit^ si meriterebbero che un capo   di Medusa gli cangiasse in statue durissime; e vera-   mente non quality e attribute di piil valore si dona   dalla scuola peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto,   la corruttibilita e generazione togliendo loro, il cui di-   scorso si accoppia mirabilmente con la interpretazione   del Ficino, ch' espone lo altissimo concetto platonico,   dove chiaramente si ricorda che anche Platone ebbe   per piCi nobile e per piii ammirabile, anzi per neces-   saria la struttura dell' universe sensibile con muta-   menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti     186 CAPITOLO DECIMO.   dalla generazione e corruzione, che se stabile, neghit-  toso e fermo senza moto si dimorasse ancor che d'oro  e' fosse, o di qualunque pit! preziosa gemma di sua in-  definita grandezza come verbigrazia sarebbe state, se  di una cosa stessa e senza contrarj lo architetto supremo  fabbricato lo avesse. E perd il divino filosofo,'^nch' elli  antepone la corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei pia-  neti e degli astri a quello incorruttibile che per ac-  crescer loro pregio assegno loro poi dopo Aristotile di  sua propria immaginazione, avvenga che egli avesse  bevuto suo prime latte dalla disciplina accademica. >     Capitolo Decimoprimo.   BREVE OENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI  NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.   SoMMABio. — Oggetto di questo trattato del Rucellai. — Suono. — Ordine.  — Armonia. — Proporzione. — Passo dell' autore. — Platone e le  proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverao, — Anco pel Ru-  cellai tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e  Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano e le armoniche pro-  porzioni. — La materia. — Giudizio del Rucellai su questa parte  delle dottrine platoniche.   E'prende inoltre, il Rucellai, in nove Dialoghi  a di-  scorrere delle proporzionalita armoniche, delle ragioni  musiche in genere e delle loro applicazioni all' aniina  platonica, aggiungendo, egli dice, molte cose e ripe-  tendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^  di essa riferisce Marsilio Ficino, egli pronunzid. E si  rif^ da certi principj universali esposti nel trattato suo  della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto  dair autore, dove si trovano tre dialoghi sopra la ma-  tematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd  dell'umano sapere; i quali principj ne condurranno age-  volmente a tutte le cose particolari di questa armonia.   Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per varj  modi, increspamenti e vibrazioni alle orecchie; e se-  condo la intensity di forza della causa produttrice il  suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto, ed ha  ragione Aristotile allorchd dice, che il suono troppo     188 GAPITOLO DECIMOPBIMO.   acnto muove assai il senso in breve tempo, e il grave  quando 6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a  somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qual-  che parte con la sua punta, a un tratto la ci punge,  se a bell'agio, piega solamente e avvalla un poco la  parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le ca-  gioni che il Mersennio, (maestro di musica che il Ru-  cellai dta spesso e cui segue) non che i piii celebrati  maestri all'acutezza e gravity di suoni attribuiscono  e il nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza  o density, sottigliezza ec, insomma proporzionalita :  ritenendo pur con Democrito che da'corpi sonori escano  minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammet-  tendo, come Democrito fa, ch' essi sieno queUi che for-  mano il suono.   Discorre elegante delle somiglianze tra il suono,  la luce e gli eflfetti loro, e delle loro diversity, sem-  pre fisicamente.  E mi sia lecito di far a meno di esporre  tutto cid di cui il nostro autore, seguendo le tradizioni  pittagorica e platonica su tal proposito, ampiamente fa-  veUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche  guisa destare interesse per uno storico della musica.     BREVE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 189   come quello in che si fa tesoro degli svolgimenti suc-  cessivi della scienza dell' armonia dagli antichi fino  al Galileo (del quale apprezza ed accoglie le analoghe  scoperte) per noi d un fuor d' opera, e ce ne possiamo  passare senza il menomo pregiudizio. Piuttosto io ri-  ferisco qui il concetto della fine di questo trattato delle  Musiche Proporzioni, che assommando i concetti gene-  rali qui esposti, d altresi ponte tra le due rive, tra il  trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima  platonica.  Qui dunque ritomando a'primi principj della pro-  porzione, postavi innanzi e con tanto sapere avvertita  dair accademico nostro Linceo, convien restare ragione-  volmerite convinto, tutti i primi element! della geometria  e tutte le proporzioni che in essa si contengono essere  gli elementi primi altresi della sapienza universale.  Onde Iddio a tutte sue infinite e maravigliose opere  si volse, e perd in qualunque scienza e naturale e in-  tellettuale trovansi si fatte proporzioni, si come i primi  fondamenti di tutto lo scibile.   > Platone pertanto s' immagind che 1' anima (univer-  sale) toccasse il medesimo, cioe 1' intelletto, e mente di-  vina ricettacolo perfettissimo ed unico delle infinite  idee, le quali per V unit^ perfetta di colui che oft ceterno  le concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esem-  plare dell' universe sensibile ch' ella dico si dirami  poscia nel diverse che viene a significar la materia per  s^ varia, disordinata e incomposta, di cui il visibile  mondo crear volea, per la qual cosa a fine di fabbri-  carlo ornato, e maravigliose e si degno delle mani  perfette onde egli uscio, coUegare il voUe per quanto  per lo suo difetto e' poteva patire e assimigliarlo al-  r unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non  altra maniera ci adopero che la mentovata armonia,  la quale tratta dall'uno perfetto si venisse scompar-     BREVE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 191   tendo con musiche proporzioni, tra loro tendenti al-  runisono, onde la varieta divenisse per merito loro  talmente bene ordinata e perfetta, che dalla moltitu-  dine per la commensurabilita loro fosse atta a richia-  marsi nell' uno ; impercio fe' agguaglio dell' anima a un  triangolo, il cui angolo superiore toccasse il medesimo,  e allargandosi poscia co' lati nel diverso, questi venisse  proporzionevolmente digradando, come ne spose il Ti-  meo, nelle duple e triple, e si parimente nelle sesquial-  tere, e sesquiterze proporzioni; laonde per I'ordine  perfetto -e per lo regolato movimento, che la fabbrica  di questo universe ricevette da quest' anima armoniz-  zante all' imitazione dell' Idee in una Idea sola identi-  ficate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi  per quanto era in lui, e s' immedesimasse nell' uno,  cio6 a dire, in quell' unit^ ch'egli ha tutto insieme  senza dargliene un aJtro compagno, e a lui somiglie-  vole, la qual' anima mercd di suo toccamento con esso  il Medesimo il mantenga uno, perpetuo, immutabile, e  si ne'suoi movimenti ordinate che immobile resti nel  suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno,  awenga che di sua natura e per difetto della materia  mutevole, e forse mortale, movibile e diverse nel no-  vero vario e senza novero delle sue membra. >   E infatti il Rucellai ammirando 1' universe, ritrova  tutto armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di  dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo,  nei loro giri costantemente ordinati, nella vegetazione,  negli organi degli animali, nei sensi dell'uomo, nelle  sue intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^,  ma sibbene nella varieta sublime dello universe, que-  ste armoniche proporzioni sono, ch6 nel variarsi con-  cordemente 1' universale componimento con i definiti  armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza     192 CAPITOLO DECIMOPRIMO.   e requisono armonioso e la commensurabilit^ corri-  spondente di tutte le parti 1' una coll' altra, vi si rivede  in somma e singolar perfezione, a modo che seppero  r uno appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto  e del grave i maestri migliori nel genere non solamente  pill perfetto molteplice e delle duple e delle triple, e  si nel superparticolare, e delle sesquialtere e delle  sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha sa-  puto conoscere e misurare la madre natura sotto il  Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici  si trovano le consonanze aggiustate con limitati inter-  stizj deH' arte :    Indi affine di dilucidar meglio come, in sentenza  platonica, debba intendersi che la simetria, I'armo-  nia e il moto sieno anima dell' universo, e qual  natura Platone attribuisca a quest' anima universale,  il Buonaccorsi riassume i principj platonici circa la  costruzione dell' universo, e dimostra che Platone an-  corch' e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole,  pure non le attribuisce gli effetti della ragione, che  negli esseri propriamente razionali osserviamo.    E continuando il Rucellai ad illustrare questi con-  cetti deir Ateniese, osserva come in siffatte applica-  zioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo  pitl che noi faccia lo stesso Ficino (piii metafisico di  Platone talvolta) egli si rende intelligibile, aggiungendo  pure come se a quel filosofo fossero state note tant'altre  consonanze minori che dopo'diluiper buone accettate  si sono, e molte eziandio delle irrazionali, che al su-  premo Compositore razionali saranno, avrebbe dichia-  rato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte  in questa fabbrica dell' universo e delle anime umane ;  le quali soggette anch' esse alia misura, all' armonia,  se travalichino i confini di essa, malvagie divengono.   Discorre quindi della fabbrica del corpo umano e     BREYE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 197   delle sue parti, e, per incidenza, della materia, e dice  che noi la materia la appelleremo madre e ricettacolo  di quelle cose che generate e visibili sono, non terra  ne aria ec, per guisa che il Dafinio osservi esser sot-  t' altre parole questa la sentenza di Aristotele circa  la materia; e il Rucellai risponda:    Perd il Magiotti soggiunge:   € Eisponderanno i platonici su' loro altissimi fonda-  menti metafisici che la materia 6 qualcosa perch6 la  sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo attacca-  mento speciale e sua dependenza dallo intelligibil  mondo nella mente divina, cio^ a dire, ha sua idea  particolare per sd, ond'ella ^ simulacro ed immagine  ancorch^ visibile non sia, nd per noi e per la nostra  veduta, ^ necessario che tutte le cose che sono fatte  sieno, o che non le veggendo non abbiano a essere ; e     198 CAPITOLO DECIMOPRIMO.   se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento  insieme dei quattro elementi, le forme sole degli ele-  menti e non la materia da s^ avrebbero il loro esem-  plare, e V idee loro per entro il ricettacolo della mentc  divina. >   A cui infine VImperfetto:    lo non credo necessario seguitar passo passo il Ru-  cellai nel commento che fa a questa parte del Timeo  di Platone, avendo, parmi, citato quel che di piii im-  portante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto ri-  chiedesi altro di quel che ho stimato far qui ed ho  fatto, di un trattato che non h se non una prolissa  esposizione e dichiarazione delle opinioni platoniche in  queir argomento : opinioni che noi abbiamo visto in  qual conto e' le tenga il Rucellai e com' e' le consideri  nella massima parte qual una sublime poesia del filo-  sofo atenieie, piuttostoch^ teoriche le quali nolle loro  particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla  esperienza.     Capitolo Decimosecondo.   ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELIA PROVVIDENZA  NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.   SoMMARio. — Importanza di questo trattato. — Meg^lio che in ogni altro  scritto del Bucellai si fa qui palese la natura del suo filogofare. —  Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e risposte. — L'ordine deirani-  Terso e argomento del Provvedere di Dio. — Qaesti e la natura. —  Essa non h per »i che una voce generica. — II Caso. — Si combatte.  — 611 atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eter-  nita. — Si confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. — Galileo. —  La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eli-  minazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il Bucellai. — Dio  non informa il mondo come anima corpo. — L* esempio del sole. —  Marsilio Ficino. — La fedo. — Creazione ex nihilo. — Bagioni pro-  babili. — Bipete Tautore: fine della creazione il buono. — II Yero  Bene. — I beni del mondo ban ragione di mezzo, di fine no.   Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni altro scritto  filosofico del Bucellai, ritroviamo delineati gl'intendi-  menti di lui, questo si ^ della Frowidema, dove ra-  gionando in sedici dialoghi contro Epicure, il quale  nega il provvedere etemo di Dio, espone in termini  netti e precisi la natura e il metodo del suo proprio  filosofare, e le tentate armonie, e il rifugio nella fede  e nell'autorit^ religiosa, e la grande sfiducia nelle forze  deir umana ragione, e il probabilismo, non la certezza,  degli argomenti che essa, la ragione, secondo lui nelle  questioni seinpre ne somministra. E siffattamente cid  accade, che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte  filosofica da lui scritta, quelle di questa sola ne ba-     200 CAPITOLO DECIMOSECONDO.   sterebbe a persuaderci della verity della tesi nostra :  imperocch^ come in una sintesi tutti gli element! qua  si ritrovano che costituiscono tutte le parti del suo filo-  sofare. Egli qui si propone di votare la dialettica fare-  tra contro I'empie e stolte proposizioni d'Epicuro, che  dairordine dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di  vedere, divisando co' lumi soli del ragionevole e natu-  rale discorso, se Teterno provvedimento nell'essere uni-  versale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quan-  tunque argomenti solidi in sostegno di essa egli, il  Rucellai, ne rechi ed anzi dichiari che cid meditando  con una qualche scintilla di ragione, si passi molto  avanti, pure finisce poi in un  e quasi pianta al  raggio di sole egli sorride al lume infallibile della  fede divina.   E come negli altri dialoghi, la scelta degli in-  terlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoi-  ch6 anco in questi abbiamo il sacerdote Magiotti che  fa da Socrate, e a terminare il trattato, il Nicheo, il  quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma  sopra d'ogni altra nella teologia, in cui, giusta ne  dice il Magiotti stesso, ha saputo la pitl giovevol parte  riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione  delle sacre lettere e la perizia delle lingue ; e che udito  discorrere VImperfetto e gli altri della Prowidenza^ e  contro r ateismo, e il sospetto di Guidobaldo Trifonio  che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad  acquietar I'intelletto naturalmente ragionandone, quan-  tunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con  s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che in chiaro  si scerne coU'occhio purissimo della fede, esclama:    E se dopo si accomoda ai     ^     ESPOSIZIONE DEL TEATTATO BELLA PR0T7IDENZA, EC. 201   loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teolo-  gico piu che di ragione, e a quel discorso il Trifonio,  che la facea qui, pur credente, da avversario e sofistaj  conchiude :      Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo  trattato della Protwidenza (e con esso ogni altro trat-  tato filosofico del Eucellai) nol saprei meglio di cosi:   poich^  il Rucellai non solo consideri la Frovvidmsa in gene-  rale sibbene anco in particolare, il provvedere diDio  nel mondo e nelP uomo.   E di fatto egli a favellare di Bio vuole unito il con-  cento sublime della natura; e qui, Platonico a tutta  prova nel tratteggiare il dramma del dialogo, dove egli  ha un' arte di dire e di rappresentare raffinatissima,  apre il cuore con respiro tranquillo all' armonie dei  luoghi deliziosi, e li presso la rinomata fontana di Bel-  vedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella  apertura, meditando per la chiarezza dell'aere I'am-  piezza e gli stupori del cielo, e per le pianure di Eoma  le varie bellezze della terra, le quali del Provvedere  etemo recheranno contro Epicuro i piii potenti ar-  gomenti. I quali, sull'ordine dell' universe posando,  devono esser per il Eucellai riprova, non prova, di  quest' arte divina nel mondo, perocch^ con I'occhio  acutissimo della fede egli scorge chiarissimo Iddio e  le sue miracolose operazioni a pro nostro. Questa ri-  prova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto     202 CAPITOLO DECmOSECONDO.   a modo Socratico, di un credente, non rindagine di  un filosofo, il quale coUa ragione solamente a guida  osservi, induca, argomenti e conchiuda; non valendosi  come tale, dei dettami della fede, e facendo conto che  e'non vi siano.   Alia domanda infatti se col naturale raziocinio alle  prove si perviene di Dio provvidente, il Magiotti ri-  sponde  E co'medesimi argomenti di san Tom-  maso, e dei Padri e de'filosofi cristiani, corroborati fin  dov'e'pud dalle dottrine di Platone e de'filosoli gen-  tili, ribatte le opinioni di Epicure e di Lucrezio cen-  tre il Provvedere di Dio, sia che dicano la natura di-  vina eterna e beata godere in sd perpetua pace e  tranquillity, lontana e disgiunta per lungo intervallo  dalle cose nostre, e da' benefizj non poter esser presa;  a cui il Rucellai risponde che anche Iddio, perche Iddio  e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore,  che tanto si § a dire avere infinite carit^ e benefi-  cenze, senza alcuno intendimento di premio, esercitan-     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 203   dolo a diritta ragione: sia che altri ostacoli ne re-  chino in mezzo al suo cammino, egli considerando la  natura di Dio, e Y ordine sublime delF universe e del  microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando rinnova  Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio provve-  dendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non po-  trebbe in un tempo stesso badare a tante faccende,  sostenere la soma dell'universo; soggiunge:  E al sostituire che gli epicurei voglion  fare della natura a Dio, in cotal guisa risponde :   Combatte indi il fortuito e fortunoso accozzamento  degli atomi secondo Epicure; n§ in cid pure discostasi  da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in  contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che non  essendo noi la misura di tutte le cose che sono, ancor  che alcune di esse si scontrino inutili o dannose e far  centre percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo  non conoscendone i fini e 1' ordinamento. Dope di che  seguitando, com' egli dice, le sue prohdbilita interne alia  Provvidenza, viene dal generale al particolare, esami-  nandola nei varj regni della natura," minerale, vege-  tale, animale ed umano. E continua a combattere il  case, e la insipienza sua e I'agitazione disordinata  degli atomi. a formare lo inestimabile ordine e con-     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROYYIDENZA, EC. 205   cento di questo teatro dell' uni verso e la perfezione di  sue opere e di suo movimento. I quali atomi se in sen-  tenza di Platone etemi chiamar si possono, quantun-  que il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio,  il Kucellai sebbene ritenga che esistano con Epicuro  e Platone, nega pero che si possano appellare come  tali, cioe eterni, doYC dice :  E riguardo al case con-  chiude con Galileo ch' e' non sa quel che sia e in qual  maniera possa operare si ordinatamente ; e confessar  dunque si dee, eziandio per via di ragion naturale, che  r alto e supremo artefice, e non il case, sia quelle che  il formi, regga e addirizzi in tutte quante 1' opere^sue.  E la geometria dell' universe ^ come Sole che fuga     206 CAPITOLO DECIMOSECONDO.   le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk  sapienza universale, come argutamente chiamoUa il  GaKleo stesso, dopo che Platone aveva chiamato Diogeo-  metrizzante in tutte le opere della sua infinita sapienza.  Le quali al postutto pitl che parlare al nostro intel-  letto lo abbagliano di loro luce infinita, ed il loro lin-  guaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche  poco nulla intendiamo, studiando, salvo che la nostra  socratica proposizione :   Perd noi possiamo sempre indagare se fra le cose del  mondo visibili, ci venga fatto di ritrovare questa natura  questo reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E  di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio  del mondo. E siccome il meglio di tutto ^ Tuomo,  vedasi se V uomo 6 da tanto, da volgere tutte le mac-  chine deir universo, a suo senno, remossa in prima la  opinione che gli angeli dei cristiani o i demoni di Pla-  tone e di Socrate, i quali primi non altro sono, per i  credenti, che esecutori o iniziatori degli ordini e degli  awisi di Dio e di sue grazie dispensatori ; e i secondi  non altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose  manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli; cid h uno  sporre le cagioni seconde sotto lo indirizzo e I'onni-  potente braccio della primaria, la quale assista e go-  verni tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha  meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio, ministro subor-  dinato si 6 della divina volenti; la volenti divina,  che da s6, o per mezzi subordinati amministra con  tanto ordine tutte le cose, essa si h che ha in mano  il provvedimento e reggimento dell' universo, come  interpreta-il nostro Tullio; n^ ^ convenevole a noi stre-  mare per tal modo la di lui infinita onnipotenza, la  sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per  dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor forza e     ESPOSIZIONE DEL TBATTATO BELLA PROVYIDENZA, EC. 207   potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia combina-  zione eventuale degli atomi e alle stravaganze inco-  stanti e disordinate che il caso farebbe da s$, se e' non  se gli desse si alto e sapientissirao sopraintendere.  Impero 5 fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia  quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga.   E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel presup-  posto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e  toccare egli le cose tangibili sia un gran punto e un  grande argomento a pro d' Epicure negatore della Prov-  videnza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo che  io stimo opportune di riferire per intero, perch^ sem-  brami un punto importantissimo.      Molteplici e varie poi sono le quistioni che a mano  a mano mette in campo e risolve il filosofo nostro su  questo soggetto, ma io credo potervi sorvolare, ferman-  domi alle principali; come questa anco nel Timeo ra-  gionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo  diriga e lo muova e a lui provveda come 1' anima al  corpo nostro, a un dipresso come la pensarono i  Greci, i quali tennero Dio anima del Mondo, tra' quali  Aristotele e Crisippo della setta stoica. Al che si op-  pone con forza il Rucellai dimostrando I'assurdo in  cui cadrebbesi, cio ammesso; come fece appunto di  sopra nel Timeo, discorrendo di questa medesima  ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade  nel Panteismo, n^, come Platone, nel dualismo, ma  con la Creazione distinto fa Dio dal mondo, quan-  tunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E con-  trp il Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti,  guardando principalmente agli attributi divini, e co-  m'essi disconvengano e siano anzi contrarj alle qua-  lit^ deU'universo e della materia, che imperfetta e  non etema e mutabile si ^ all' incontro di Dio eterno,  immutabile e perfezione assoluta, il quale se ^ tutte  le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di  lui I'universo non sarebbe mai state, n^ senza di lui  sarebbero al presente nd al future, non d gi^ vero che  tutte le cose e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole  il quale percuote nelle cose e le cose illuminate il sole  non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^ tutte le  cose per lui sono, e senza lui non sono, ma desse non     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 211   sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta fabbricate  sono, dov' egli perfettissimo si e. E in somma come  dice del sole Marsilio Ficino : Sol est imtar Dei, aspectu  ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita  et latissima absque detrimento sui, 6b exuberantem boni-  totem largitatemque suam cunctis sese libentissinie lar-  ffiens, causa conservatioque, et excitatio omnium quce  nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta viden-  tur, hujus aute^n prcesentia reviviscere. Simigliante defi-  nizione, piii altamente levandosi, pud farsi di Dio, e  perd: Deus est omnia, ma non le cose sono Iddio.      E il Trifonio in altro Dialogo dopo queste proposi-  zioni soggiunge:  Ma il Rucellai qui si discosta, ab-  bandona ed avversa anche Platone, come lo ha ab-  bandonato sempre dove cose contrarie alia fede pro-  fessa; egli dice per il Magiotti:   E come la materia, cosi gli atomi non possono es-  sere eterni. Imperocch^ se il mondo in tutte le sue  parti ^ imperfetto e corruttibile, come vorremmo che  nei suoi componenti primarj sia eterno e senza man-  camento? Delia stessa natura e il composto che sono  i componenti suoi. E molto meno poi se noi volgeremo  r occhio a quel che veramente sia quest' eternity.  Impero dunque pongo da un lato si fatti argomenti,  accorgendomi bene che mi si replicherebbe da qual-  cheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con gli incendj  varie volte avvenuti nel mondo le buone arti essersi  spente e ritornata la ruvidezza e I'ignoranza de'se-  coli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i hbri  arsi e divampati, e si nell' acque affogate le memorie  deir istorie preterite ; molte essersene deteriorate, se  non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata  di quelle che noi non sapevamo che mai state fossero,  altre restaurate le quali erano divenute peggiori ; n^  percio aversi prova sicura che niuna nata ne sia dai  suo' primi principj ; impercio che esser puote che di  1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e che ad ora  ad ora si perdano, e ad ora ad ora si rinnoveUino,  tornando a maggiore o a minore perfezione gU ingegni  e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo  conto, naturalmente favellando, quantunque noi abbia-  mo per fede con sicurezza irrefragabile gli anni della  creazione del mondo : mentre di cotanto pitl forza sono  le altre che addotte si sono, per render con tanto piii  vaUde ragioni convinti colore che, per sola miscredenza  o miUanteria d' ingegni o mahgni o di soperchio vivaci,     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PEOVVIDENZA, EC. 215   pongono difficult^ eziandio alle cose piil chiare secondo  r ordine della natura, perch^ 1' hanno sottoposte i no-  stri maestri all' autorit^ della fede. >   Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo nihitf che  dal nulla non si fa altro che nidla; che perd Cice-  rone: erit aliquod quod ex nihilo oriatur aut in nihi-  lum suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit unquam?  € 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del  mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio siccome  le idee di tutte le cose che f urono, che sono e che sa-  ranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza infi-  nita : ma il mondo sensibile e la materia F ha fatto  1* artefice sovrano a quegli esemplari dal nulla : n^ dee  ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e infinite.  E come gli uomini dal nulla possono far anch' essi  qualcosa, come di trar fuori da quelle una nuova  forma, a maggior forza Dio infinitamente onnipotente  dee poter fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi  dobbiamo restar persuasi che sia cosi; come quantun-  que sia impossibile a intender che sia eternita 6 del  pari impossibile a restar persuaso com' ella non sia,  perchd voltandoci indietro per la graduazione d' innu-  merabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza di giungere  ad un principio non principiato ed eterno. E se Dio  che onnipotente si ^, pu6 adoperar gl' impossibili a  noi, quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia gl' im-  possibili limitargli ch' a lui possibili sono, quantunque  r uomo non giunga a capirli, e di quel che egli afier-  ma non abbia voluto convincercene con argomenti, ma  8i d' autorita proferire? Imperocche Iddio voglia merito  da noi, e per intiera fede ; anzi fortiticandocela con si  chiari esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec-     E qui superfluo che io rintessa quelle che dice il  Rucellai intomo al fine per cui Dio provvide alia bel-  lezza della donna; poiche gi^ sufficientemente V ho  chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore secondo il no-  stro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della  reminiscenza Platonica, e della creazione ab ceterno  dell'anime, la quale dottrina di Platone ei vuol con-  ciliata con quello che ne insegna la fede mentre ri-  getta la tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito  ampiamente a suo luogo. Ne basti pertanto osservare:  1° com' egli, il Rucellai, per bocca del prete Magiotti,  a torto, e troppo tolga all' intelligenza e alia raziona-  lit^ delle donne, in compenso delle quali privazioni  dice aver Iddio dato loro appo I'uomo la raccoman-  dazione della bellezza; sendo esse, pur razionali, ani-  mali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto man-  chevoli a petto agli uomini che non a torto disse quel  savio infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli  e '1 meglio delle sensibili, la natura donnesca essere  stata locata; 2** come il nostro filosofo in sentenza pla-  tonica e petrarchesca le bellezze della donna, raggio  delle divine, abbia il supremo Provvidente create agli  uomini come gradino per ascendere a sollevarsi alle  bellezze infinite.     Capitolo Decimoterzo.   {Segue)   LA ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA   Dl ORAZIO RlCASOLl RUCELLAL   SoMMARio. — Dei mali. — Necessita di questi nel mondo. — I yeri mali. —  La morte non e un male. — £ cosl la poverty, la perdita delle  riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. — I mali occasione e stru-  mento di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del dono della ra-  gione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e pro-  destinazione. — Liberta e fato. — Passo dell'Autore su questo punto.  — Epilogo delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio  provvidente. — Bifugio nel la fede. — Conclusione.   Intricata e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13  aflfronta e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'me-  desimi intendimenti, la quale d necessaria a risolversi  per chiunque favelli di provvidenza; la questione del  male nel mondo, che egli reputa, come i beni, dipen-  dere da essa. E prima di tutto, con a maestro e duce  Platone, che dei veri beni e veri mali divinamente  discorre, pone la necessity de' mali nel mondo;   e al signor Elea che obietta veder noi il giusto esser  oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e 1' ingiusto  trasportato nelle regioni della felicity, sicch^ Dio mo-  strarsi o non provvidente o non equo, risponde  Per la qual cosa facciamo esamine un poco sopra  di questi mali si gravi che non sono in poter nostro  di ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde,  dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a dependere  quel giudizio, che con tanta franchezza forma Epicuro,  dell'essere Iddio a tal cagione o non giusto, o vero  non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte  le cose piii terribile alPuomo, dico dallo spaventoso  accidente della morte, che indifferentemente e alP im-  provviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque  et^ cade sopra noi viventi mortali. E, quantunque per  lo lume vivissimo della fede Y immortality dell' anime  nostre ne sia manifesta, pure non di meno, poich^ si  risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue  opinioni vestiamoci, supponendo con falsa dottrinach'elle  mortali esser potessero: imperd che in tal caso ezian-  dio male non h la morte, nd che Iddio provvidente  non sia, si come egli ebbe per indubitabile, cid dee es-  sere argomento. Dicamisi un poco: quando bene I'anima  mortale si fosse, che torto riceve T uomo dove prima  o poi egli adempia il termine a lui prescritto del vi-  vere, posto anch'egli come le altre cose caduche e finite  a discrezione degli accidenti fortuiti che provengono  dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ ga-  stigamento d' Iddio, ancor che provvedente, la morte  degli uomini chiamar si dee: imperd che non piti ra-  gione ha di dolersi morendo colui ch' h stato ingene-  rato a condizione di ritomare a quelle ch' egli era anzi  che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe chi non fii  mai, dolendosi perche ingenerato non fue ; con cio sia     222 CAPITOLO DECIMOTERZO.   cosa che a colui che non ^, non manca mai nulla; n6  ha desiderj o bisogni, n^ passioni o diletti se non quello  che ^; e il mancamento e il dispiacere di esser man-  chevole non da altro si deriva, salvo che dove non si  conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^ dolersi  puote ed esser misero se non colui che abbia senso.  Adunque non altro la morte si ^ che ritornare a non  essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar  franco da ogni tormento, si come era prima che fosse.  E poi ; che ^ il nostro vivere perch' e' s' abbia V uomo  ad atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non  giungono a vivere un di intiero, de' quali chi arriva alle  venti ore di vita pud chiamarsi decrepito : e ch' ^ di  piii nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela  morte ne finisse del tutto, si come tiene stoltamente  Epicure, cid fora ricondurci a'nostri principii: cheim-  pero lamentarsi non gli si conviene di torto alcuno.     > E quei mali che accompagnano la morte (la quale  ^ un punto di tempo si momentaneo che non tocca i  vivi e non s' appartiene ai morti) o non sono che una  necessity alio scioglimento che si fa di tutte le parti  sensibili a poco a poco, accid che si come passo passo  si andd formando, cosi lentamente a suo disfacimento  venga il composto: quindi le malsanie avanti le debo-  lezze provengono d'anno in anno secondo il vigore e  il temperamento che loro piii o meno fii conceduto da  vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per  ben mille sofferenze cagionate dall'ambizione o dal-  r avarizia si smenomano la vita loro, mal servendosi  e consumando gli strumenti datine per nostra conser-  vazione ! >   E indi il nostro scrittore passa a discorrere degK al-     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 223   tri mali, la poverty, la perdita delle facolt^, i disfavor!  de' principi, le infermiii,, le servM, gli esilj, le ingiurie,  le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la  perdita delle provincie, e de' reami interi a' Re che giu-  stamente li posseggono ; e di nuovo il giusto oppresso,  ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve la questione^  mostrando come cid non dal caso n^ da Dio, si da noi  stessi molte volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del  vivere, e come alcune cose che a noi sembrano mali,,  Iddio a fine di bene ce le mandi.    Convione pero dire che il Rucellai scendendo a par-  lare de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo  stoico, per dirla pi^ conformemente alia quality della  £ua dottrina, troppo mistico, sicch^, a m,o' d' esempio,   15     21! 6 CAPITOLO DECIMOTERZO.   discorrendo della poverty e del suo contrario, la ric-  chezza, mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa  come germe e fondamento di felice tranquillity, troppo  invero questa dispregi e condanni, sbagliandone Tabuso  con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori  dispensati sovente a' men degni, e de' dispregi a chi  invece onori avrebbe meritato per le sue virt^.   La provvidenza divina, dice I'autore nostro, die al-  I'uomo i mali, e lo sottopose al dolore, in quanto intendi-  mento suo si fii quello di renderlo perfetto e agevolargli  le vie a scuotere il giogo dei sensi e si indurargli sotto  quello dell' anima razionale. Adunque il dolore patir si  pud, ed ^ dono del prowedere supremo; con cid sia cosa  che a gloriosi trionfi ne mena, la sicurezza e la liberta  ne conserva dell' animo, e ne fa esser gli uomini sopra  gli uomini, anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori  agli Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis quo anteceda-  tis deum : ipse extra patientiam malorum est : vos su-  pra patientiam. Iddio per renderne degni di sua alta  beneficenza, perfetti ci vuole negli atti della ragione,  in cui sopra gl' irrazionali privilegiati ci ha : e gU uo-  mini di virtii bramosi, anticipatameate apparecchian-  dovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti essere  esposti e si aspettarseli, per conseguire i doni dell' one-  sto e la turpitudine viziosa iscansare.   L' infelicity, in qualunque modo ella ne accada,  la pill fedele maestra si d ddl' adoperar ragionevole ;  perchd essa e quel fuoco onde si alluma la luce, quasi  che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e  rendesi degno degli infiniti beni della Provvidenza  Divina.   Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato, il Rucel-  lai s' intrattiene a discorrere del dono della ragione e  della liberty, che il Prowedere etemo ha fatto agU     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVYIDENZA, EC. 227   uomini, si che essi si distinguano dai bniti, e per ul-  timo riepiloga contro Epicure gli argomenti gi^ espressi,  sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel mondo.   E nella prima questione egK definisce la ragione  alia peripatetica, e com' egli dice, vendendo le descri-  zioni per definizioni, e gli effetti per le cagioni, impe-  rocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso,  molto meno si pu6 giungere a sapere quel che sia la  ragione di cotanto piii pregio e piii sovranamente pro-  dotta.      232 CAPITOLO DECIHOTERZO.   E indi lungamente discorre della malizia cui la ra-   gione raffina, e de' mali usi che di questa fa Tuomo; e   mentre questi acerbamente condanna il Bucellai, come   prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella   difende come dono sqxiisito e stupendo dell'Etemo Prov-   veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre-   glare, o tenere in non cale; e conclude con V aggua-   glio del sole dicendo r    o per varie vie si disperdono? Qual colpa la ragione   ci ha, se fluttuando per furiosi turbini di violente pas-   sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e confiisa si   rende la cognizione del vero? Perch^ accagionare la   ragione, se le varie facce che ci si volgono davanti   de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo-   strano falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi   negli oggetti che noi miriamo? Non i raggi della ra-     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROYVIDENZA, EC 233   gione, ma si la materia ov' essi percuotono, trasforma   sua purissima luce in variati colon; onde quello che   per s^ d lucido e puro, torbido, o si vero di tinte non   sue colorato rassembra ? E perch' essi da luce proven-   gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione ne   rendouo, ma s) rea distinzione e mentita, che abbaglia   e delude in noi V elezione, rivolta i talenti in malizia,   seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere quel   che non d; ond' ella allettata da immagini false, ivi si   studia di giugnere, e si adoprando astutamente il male^   perfeziona le qperazioni viziose: per la qual cosa   Marsilio Ficino, corona della patria nostra, disse divi-   namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda   lumen reddit opacum, facUque colorem ex lumine, sic   corpus circa animam reddit ex inteUigeniia sensum. Non   h dunque colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem-   pre chiarissimo, ma di noi che tortamente il guardiamo^   con frapponimenti che ingannano e insozzano i suoi   riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non per suo,   ma si per nostro difetto. II sole, dice il prefato autore,   trapassa di presente per la chiarit^ de'cristalli, che   non parano, o rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne   tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed opachi si ab-   batta, inetti a imbevere la luce, voglionci replicate   pcrcussioni de'raggi suoi, che pria gli riscaldino, ac-   cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa   a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai vivificanti deUa ra-   gione umana, ch'6 pur favilla della divina, per la purity   e.trasparenza degli organi intemi, passano agevolmente   a {ax lume all'occhio dell' anima; ma se le tenebre   de' sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene   fiannosi loro innanzi, non perdono que' raggi loro luci-   dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o il   lume della ragione dall' occhio mentale smarriscesi, poi-     234 CAPITOLO DECIMOTEEZO.   ch6 esse gliele tengono, o vuolci tempo e atti iterati di  loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, lique-  facciano e si consumino quelle grossezze, anzi ch' e' pas-  sino a rendere sinceri all' anima gli oggetti dell' im-  maginativa e veridica V elezione della volont^; cosi  come non ^ colpa del sole se suo' rai non s' insinuano  si di leggieri per la durezza e asperity della terra, n^  anche ^ colpa della ragione se suo' lumi trovano I'opa-  cit^ degli affetti che gli ribatte, e si presta loro I'imper-  fezione de' suo' inform! aspetti, per falsificame la luce.  Impercid, signor Elea, la colpa tutta e di noi, e V uomo  quando usa bene la ragione, e I'ottimo di tutti gli  animali, quando male, e pessimo di tutti. Che poi  I'usino pochi per lo nostro naturale iucitamentode'sensi,  non d colpa della ragione, n6 cid si dee apporre al  j)rovedimento divino: ma noi proprii ne semo i colpe-  voli, impercio che la ragione n' 6 data, accio che  I'uomo, come buon villano, il campo del cuor suo di-  ligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi  e quello che mal cresce, ricida; e con imperio d'animo  debbia governare tutte le corporal! parti; se cid non  adempie, d! lui fallo si ^. non del dono della ragione,  n^ del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si  vagliano di tal beneficio. Con tutto che tant! e tanti  scialacquino i patrimonii, perde forse merito lor padre  di cotanto utile lasciato loro? Quanti sono che, vo-  lendo far male, giovarono altrui, e ben lor nacque ? e  come non si dee saper grado di cio a' primi, cosi n^  meno averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa  d'un principe, che di una alcuna nobile e salutevole  vivanda regalo ne facesse, lamentare ci volessimo, per-  ch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposi-  zione di noi medesimi, o pe'rei condimenti, onde cu-  cinata I'avessimo.     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 235   Elea. — Non hanno colpa i principi se di qualche  loro grazia male ci venga, perch^ essi saper non po-  teano che cid ne dovesse accadere ; ma il provveditore  etemo non puote scusarsi di non antivedere le cose  avvenire. Era dunque migliore, o non darci la ragione,  o si levarci Y elezione dell' operare, che damela per  male servircene. >   E con questo si scende a risolvere Taltra quistione  importante del libero arbitrio dell' uomo, ch.e, appunto  dal malo uso ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso  e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso,  o in quelle ferree di una cieca ed irrevocabile neces-  sity,. Difende il Rucellai la liberty d' elezione nell'uomo,  della quale ad esso solamente fu fatto dono tra gli  animali quaggiiH, perch^ e ragionevole appunto, e ac-  corda questa liberty colla predestinazione, invadendo  cosi, mi sembi^a, un campo che piii che suo, 6 di  teologizzante, mentre invero assai debolmente ragiona  della liberty in s6 filosoficamente considerata. In so-  stanza la predestinazione puossi invero accordare con  la liberty, purch6 si badi al concetto di questa medesima  predestinazione. Ch' d ella mai inf atti ? Iddio in cui il  passato e il futuro s' immedesima nell' eterno presente,  non puo, umanamente parlando, non prevedere ogni  azione dell' uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se  non che quell' idea di tempo che nelle due parole s' in-  chiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e  nella successione del tempo ; ond' 6 che la liberty umana  in nulla rimane impedita; imperocchd non perch^ Iddio  prevede che I'uomo determina, impercid egli deter-  mina; ma perche I'uomo 6 per determinare di suo  arbitrio, inipero Iddio, che ha cognizione infallibile,  prevede ; c e, se 1' uomo fosse per determinare il contra-  rio, Iddio previsto 1' avrebbe, si come colui che errar     236 CAPITOLO DECIMOTEBZO.   non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della  determinazione 6 libero, ancor che Dio lo preveda; ma  r atto dell' esecuzione non ^ libero, e perd Iddio o il  permette o lo predetermina o toglie ch' e' non awenga,  perch^ cosi predetermino.   > Ond' ^ che Iddio pone Fanima razionale per entro  la corporale materia, accio che la parte inferiore alia  superiore ingaggi battaglia, e con questa gli nomini  da per loro prodi si facciano contro gli empiti degli  appetiti espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo  ci6 ne' sentimenti piii che umani di Pittagora e di  Plato, i quali col barlume della natura nell'infinita  beneficienza di Dio ragguardando, ben si awiddero  il merito della sublime condizione deiranime non esser  merito bastevole per lo godimento di quella; e si da  questi astri immaginati, ove secondo loro Iddio le te-  neva in serbanza, con la viziata natura della materia  vile mischiandole, le lasciava in suo arbitrio, accio che  col divino talento della ragione sapessero di proprio  volere i vizii vincere e far si che i sensi servi fossero  e instrumento della ragione, non questa instrumento  di queUi; per lo cui merito o le stelle piCi luminose  o' Campi Elisi per lor felice magione dopo morte asse-  gnarono ; ma, altrimenti oprando, da' corpi umani la  trasmigrazione davano dell' anime in que' delle bestie  i cui costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero.  Imperciocch^ la ragione non d essa il merito d«' bene-  ficj divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio  ne porge loro, bene usandola, a meritevoli farsene. E  perch^ pugna forte la natura della materia corporea  contro a' dettami della ragione, n^ Iddio vuol per mi-  racolo perfezionar la materia, quindi nasce il libero  arbitrio in si fatto contrasto di due contrarj stimoli,  il, quale, dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria:     ESPOSIZIONE DEL TBATTATO BELLA PROVVIBENZA, EC. 237   e perch^ a nostra imperfetta natura sono piii i vizi  che le virtudi conformi, non volendo Iddio fame oprar  bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non  sarebbono appo di lui, ne viene che il minor numero  se ne approfitti: e per6 la ragione nulladimeno d  prowedimento sovrano datone a dar regola al nostro  libero arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne  vagliano. Adunque il farsi meritevole de' beni di Dio  non in aver la ragione consiste, ma nel volerla spon-  taneamente adoprare, potendo fare il contradio.   Imperf. — In somma ell' d una proposizione molto  difficile a intendersi questo libero arbitrio, com' egli  stia collegato con la predeterminazione di Dio.   Mag. — Udite piii innanzi e con piii chiarezza. Cid  che sono per deliberare ed eleggere gli uomini, il vide  Iddio ab aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo,  no '1 determind; il predisse, non V ordind. >   E indi il Rucellai combatte la necessity che gli stoici  affermano darsi nel nostro acconsentimento, che non  altrimenti spontaneo sia ma risultante dalle cagioni  antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti  che ad agire ne stimolano dimostra col senso comune,  e coir esperienza, esser bensi cagioni prossime e parti-  colari, non principali ed universali, e come lo accon-  sentimento e la deliberazione nasca da noi si come il  principle del moto alia trottola il d^ chi la tira, ma  il volgersi in giro per merito si ^ di sua propensione e  figura.   E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo sog-  giace senza che quelle contrarii il libero arbitrio di  questo. Fato, il quale non d che volere divino, pare al  Bucellai che nominar si debban le morti repentine, e  ogni e qualunque altro accidente nel qual cagion pros-  sima particolare non si ravvisa che a quella innanzi     238 CAPITOLO DECIMOTEBZO.   ne disponga, ma che immediate e all' improwiso dalla  cagione universale discenda, laonde niuna libera deter-  minazione di nostro ai:bitrio luogo ci abbia.    E riepilogando, il nostro filosofo dice, cadendo poi  nel suo solito probabilismo :  Per la qual cosa a ragione fu chiamato il fato;  inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decre-  turn, quod singula 5wo ordine loco et tempore firmiter  reddit. E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza  divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas  omnia videndi, sciendi^ et gubemandi indivisa stipata  et uniter juncta ; ma il fato lo pongono partitamente  nelle cose particolari: la provvidenza ^ in Dio solo lo-  cata, e a lui solo sta in petto: il fato h il decreto e   16     242 CAPITOLO DECIMOTERZO.   resecuzione di essa applicata alle cose speciali. La  provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle cose di-  scende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato,  si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity al tempo:  Providentiam rerum omnium jundim esse fatum per  distributionem singtdarum? Seriem nexumque eausarum  in ordine in loco in tempore. E di queste cause si  prevale secondo lor virtii o dote data loro da Dio.   Pendentem a divino consilio seriem ordinemque causarum  chiama il fato Pico della Mirandola. Ma le cagioni se-  conde 1' adopera per quel modo ch' elleno usate sono di  adoperarsi, e percio delle libere determinazioni nostre  mosse dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, se-  condo che bene o male deliberiamo; il cui effetto segue  o non segue secondo la predeterminazione divina ; e noi  degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o irragionevoli,  abbiamo il merito e il demerito. Che iraperd per divino  provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro  libero arbitrio, da' cui moti bene o male regolati la  virtii o il vizio ne risulta, quantunque non se ne adem-  piano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente favellando,  la predeterminazione e prescienza delle cose col nostro  libero arbitrio coUegare si puote, cui la ragione so-  prasti ; e perd non n'^ data indamo come altri vana-  mente si presuppone.   Elea. — Oh quanto malagevole si 6 il poter fermare  ci6 con tutte quante le argute ragioni addottene dal  nostro Magiotti, autenticate eziandio daU'autorit^ di  grand! uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma  in somma poi non provano!   Mag. — Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che quantun-  que non rintendiamo possa essere anzi abbia del ve-  risixnile che si fiatta coUegazione si dia, e che noi non     ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROVVIDENZA, EC. 243   giunghiamo a poter provare il contradio; impercid che  chi 6 colui che osa senza forza di manifeste dimostra-  zioni contradire a' proprj sentimenti ? II libero arbitrio  noi ce '1 sentiamo in noi da per noi : che gli effetti poi  di esso dipendano da piii alta cagione, cio eziandio  n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e continuato  sperimento. Come dunque volere affermare che tale  collegamento non ci abbia? Adunque acquietamci, senza  negare o affermare sopra il modo come e'si sia col  nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che nulla io so :  che d'intorno a qualunque cosa noi non intendiamo  per lo piii vero e indubitabile d' ogni scienza che sia. >   E col riassunto delle probability ragionevoli intorno  all' esistenza e al provedere eterno di Dio, si compie  questo trattato, eliminando sul bel prime 1' opinione di  Epicure che la speranza e il timore siano i due fat-  tori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir meglio,  riducendo questa proposizione al sue giusto valore, che  e la speranza e il timore di Dio, il quale nolle opere  sue e nell'arte sua divina si manifesta, non sono da  fantasmi o da immaginazione.   E conchiude il Magiotti :      E il signer Giovanni Nicheo Dalmatino, che soprag-  giugne, abbiam visto in principio della Esposizione  con quali parole si rivolga, domandato, a chi cerca  altri argoraenti sull' esistenza e prowidenza di Dio, e  •come dope aver detto che grandiose segno di tal ve-  rita si ^ V universal consentimento in tale credenza,  che equivale a un dettame di natura, si rifugia in  argomento di teologia rivelata e conchiude :    Al che tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ra-  gion di loro, chiuse le ali, si riposa timorosa e tran-  quilla, come Colombo, nel nido securo di una religiosa  credenza.     Capitolo Decimoquarto.   ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE  NET DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.   SoMMARio. — II detto di Socrate e quelle di Tale to. — Fatti interni:  psicologici e morali. — Nosce te ipsum. — Dell' anima in generale. —  Galileo. — t presunzione voler comprendere quel che Taninia sia.—  Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rn-  cellai alia parte morale. — Qui e aristotelico.— Riepilogo. — Lara-  gione ed il scnso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. —  Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del sense. — Apprez-  zamento di essi. — La vera scienza morale e il timore di Dio. —  L' anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e,  pero, di Tirttj. — Anche qui il Rucellai e mistico. — Operazioni del-  r anima e della volonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La  vera felicita. — iJ la vera virtu. — Stoicismo. — Aristotele. —  A^irtii cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle vir-  tu. — i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa.  — Doveri. — Divisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata  intorno le donne. — Goudusione.   Fin qui ^ stato un discorso per il regno della natura  sensibile, e per il regno della natura divina. Accompa-  gnato apparentemente il Kucellai dalla voce di So-  crate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di  questi due regni, ma le ragioni delP esser loro non im-  pard con certezza, si discopri col lume incerto dell'in-  telletto come probabili, perche la loro certezza sola-  mente la fede ci manifesta, e il probabilismo (che  infine non d se non uno scetticismo) razionalmente fayel-  lando, si fu la conclusione delsuo lunghissimo esame:  probabilismo e scetticismo, io ripeto, che come per in-     ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 247   canto tramutossi in evidenza, allorch^ V autoriU di-  vina sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi  raggio di sole, penetrando disciolse.   Or la guida del Eucellai muta, e come Virgilio al  limitare del Paradiso ced6 V ufficio di condottiero per  Dante a Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare  della coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^  luogo, perche serva di guida al Filosofo nell' esame dei  fatti interiori, psicologici, io dico, e morali. In un mo-  desto preambolo accenna egli a tutto cio; e nella Vil-  leggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il se-  condo de' quali diviso in 31 capitoli, discorre della  psicologia e antropologia, molto imperfettamente per 6,  si che non ha importanza, abbozzo piii che discorso,  6 percio anch' io spendo poche parole in compendiarla,  per quel tanto che al mio ufficio sodisfi e non piCi.   Badare, egli dice, agli antidoti contro le malattie  deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si consegue anzi  tutto, conoscendo bene s6 stessi. Nosce te ipsum; co-  noscendo cio^ intieramente gli organi nostri, sede del-  r inteUetto e dell' altre potenze dell' Anima, e impa-  rando a tener bene d' accordo i due movimenti contrari  sotto le leggi del dovere. E cid, applicando pure la  scienza della Natura a correggimento dell' Animo, af-  fine di conseguire quella felicity espressa in quelle pa-  role :    E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma  congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva e ragione-  vole, giova dire le opinioni che in antico si ebbero  della sede di queste potenze, cio^ della natura del-  r Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima ve-  getativa, indi della sensitiva, e per ultimo della ragio-  nevole, ossia dell' anima in questi tre aspetti diversi.  Poscia il filosofo si propone di far riflessione siccome     248 CAPITOLO DECIMOQUABTO.   rUomo per mezzo dalle quality eccelse dell'anima  deve istruire s^ stesso neUe virtii morali, per conse-  guire il bene perfetto, che spesso in oggetti onnina-  meirte ad esse contrari noi andiamo cercando.   D disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede  con discorso naturale della mente, e giusta il buon  metodo: 1' Uomo ^ problema a s^ stesso; ogni sosprro,  ogni movimento, ogni pensiero, ogni volizione 6 un  complesso di fatti che TUomo produce e che avendo  in s^ del misterioso vuol sapere di essi il perche.  L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli  compie degli atti agevolmente, ma quegli atti li dire-  sti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore gran-  dezza, la lore portentosit^ !   Egli si vuole conoscere e ne ha tutto il diritto. E  *a che sapere delle cose che lo circondano, se ignora  Tessere proprio?   Ei vuol saper com'^, chi ^, dov'^, dov'andr^; ^  ben naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di  scienza, di amore, di infinite, se poi, come a Tantalo,  ella dovesse formare a me uno strumento d' un eterno  martirio? A che fomirmi di tanti organi stupendi,  di tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio  volere in me stesso tanti abili ministri di arte e di in-  gegno; a che questa ragione, questo volere, s'io son  condannato come un organismo di cera a restarmene  immobile, o, come macchina, a muovermi senza sa-  peme il come e il perche? Oh! dunque rUomobiso-  gna conosca sd stesso, il sue corpo, la sua anima, le  facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun che.  Questa sentenza del conoscer s^ stesso e adunque la  base del verace sapere. Obbediamola, e, guidati da  essa, studiamoci.   L' anima, lo abbiamo veduto, ^ di piii sorte; quindi     ESPOSIZIOn/ BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 249   conviene vedere prima dell' anima in generale. II Ga-  lileo interrogato che fosse quest' anima naturale, ri-  spose : non lo so. Tutte le definizioni date dagli antichi  suir anima si accordano a dire che essa ^ un movi-  mento. Ma pero il movimento ^ un effetto, dice il Ru-  cellai col Galileo, e resta sempre a sapersi quel che  r anima sia veramente. Chi produce questo effetto nel  mondo? chi ^ I'origine di questo moto universale?  Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo  etemo colla materia, sibbene dee ritenersi eterno con  Dio ; ^ egli dunque Dio stesso, che 6 anima dell' Uni-  verse, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo? fi  presunzione il rinvenire se questo moto sia veramente  r anima del Mondo e percid dobbiamo starcene quieti  a quello che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non  andar pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol  saper pitl innanzi della verity, va a caccia della bugia.  E qui invero si ferma il Rucellai quasi scoraggiato  della ricerca, per passare all' esame di cid che si vede,  e di cid che si tocca, cio6 della fabbrica esteriore del-  rUomo, osservando come dalla fabbrica dei diversi  ingegni e deUe varie maestranze degli organi dei corpi  che vivono. argomentare si puo la quality delle anime  che quelli informano ; sicche giovi discorrere della no-  tomia, non ad uso della medicina o physice, come  avrebbero detto gli scolastici, ma si all' esame del-  r operazioni dell' anima sensitiva e della ragionevole,  cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni a'quaH son  formate quelle parti e quegli organi, e 1' ordinamento  loro sotto il regime volontario dell' anima umana o ra^  gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il Ru-  cellai i pill dotti Naturalisti del tempo, e soprattutto  il dottissimo medico di Firenze Rodrigo de Castro, il  quale fii autore del libro SuUe Meteore del corpo     250 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malin-  cuore, ch' io gli risparmi la descrizione di questo trat-  tato, che del rimanente non contiene in s6 altra im-  portanza tranne quella di essere basato sulle cause  finali e d' essere informato al principio universale del-  r ordine e della proporzione. E questo ^ tutto quello  cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 Rucellai;  poco importante, come ognun vede, ed imperfettissimo,  e che era forse per lui un abbozzo di un lavoro pii  compiuto e a cui come ad altri manco al filosofo nostro  11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco.   Reputo piuttosto, come quello che merita piii, di  intrattenermi con alquanta maggiore larghezza sul trat-  tato delle facolta interne e morali, nella Villeggiatura  Tiburtina compreso, che quantunque imperfetto an-  cli' esso, pure per natura sua e all' obietto nostro gio-  vevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il  Proemio, pubblicato dal signer Fiacchi, come ho avver-  tito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814)  ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene risotto-  porlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM  oltre a designare in esso quel che intende contengano  i suoi dialoghi sulla morale, d come uno specchio  fedele della qualita loro e del sistema, ed agevola la  strada alia critica nostra.   Pboemio alla Villeggiatura Tiburtina.    Per modo che fatta questa pausa di parecchie  ore di tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni alia  vista e alia mente quell' ammirabile opera dell' Onni-  potente mano di Dio con le indefinite specie che ne  giungono a un tratto agli occhi e alia fantasia di si  varie e leggiadre particolari sue creature, che tutto il  corpo universale del mondo con si stupenda conso-  nanza e armonia compongono insieme. Per lo che alio  scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di  cose, che annoverare e distinguere non si ponno in  un' occhiata sola, e di si diverse tinte e lumeggiamenti,  onde si scorge tutta la terra colorata e distinta; chi  non rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse  di giorno in giorno per lungo corso di anni osservate  e vedute, e perdutone con I'uso quotidiano degli oc-  chi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6 in-  tervenuto a me stamattina su lo spuntare dell' Alba,  in questa nostra uscita per andarcene a Tivoli da  Nemi partendoci. Perch^ al primo raggio lucente, che  in un attimo si distese con 1' illuminazione della terra  e del cielo dall' uno all' altro orizzonte : io non potetti  far di meno in quel subito di non rimanere strabilito  da tali e si maravigliose bellezze, che mi vennero di  presente a ingombrar le palpebre come di cosa nuova  e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente  a piii subUmi e piii nobili considerazioni. Impero  dunque quantunque volte meco pensando riguardo alia  lucidezza del cielo, e alia vaghezza della terra, io rin-  nuovo subito tra me stesso le usate riflessioni avver-  tendo con quante diverse situazioni e riverberi di luce  questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti vari colori  da essa dipinto venga questo nostro Emispero, variato  per ben mille vaghe maniere di lumi e d' ombre. Va-  gheggio con sommo diletto quante positure difformi vi     252 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti  che lo disagguagUano nella rotondit^ sua: osservo di  quante maniere sia divisato da una banda di boschi  verdissimi, dair altra di amene campagne, e di campi  aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri;  scorgo dove acque nitidissime che a guisa di tante  vene serpeggiando e correndo lo irrigano, dove Tam-  piezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora  ad ora con tempi ordinati alle prode; e insomma in-  numerabili differenze di cose che in qua e 1^ dissemi-  nate si mirano; le quali avvegnachS per difetto della  capacity nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur  tuttavia elle sono ordinate e disposte con ammirabile  simmetria dalla madre natura e da colui che la guida.  Laonde se 1' ordine altro non d che una composizione  di pill cose insieme adattate e accomodate a' lor luo-  ghi prescritte con sommo e alto sapere dall' opportu-  nity dei siti, e da' tempi in che esse s' addicano, e se  bellezza e compiacenza veruna de' sensi nostri dar non  si puote senz' ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spia-  cevole, per6 spiacevole e brutto si ^ peych^ ^ disordi-  nato ed a caso; confessare pur mi conviene che nella  confusione di si leggiadre e dilettevoli composizioni e  disposizioni, ordine maraviglioso e misura e propoB-  zione vi sia, comecch^ da' vostri occhi non se ne di-  scema cosi perfettamente la distinzione.   > Dalla bella vista dunque di co^ varie ed alte  maraviglie, le quali noi in viaggiando con la conside-  razione godiamo stamane ; mi si leva eziandio con gran  diletto il pensiero alia contemplazione delle altre cose  belle, le quaH presentemente non ci si rappresentano  all' occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle  diversity* de' pesci del mare con tante dissimili figure,  e co'lor proprii colori; delle bestie della terra d'inde-     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 253   finito numero, che niuna si rassomiglia alia sembianza  dell' altra, e '1 simile degli augelletti svolazzanti per  r aria ; ma che direm noi della maestria industriosa  per la quale con si differenti e si minute fabbriche e  ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e quali pic-  ciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di essi con  finissimo lavoro, ciascuno a varie ed ammirabili ope-  razioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga  a un tratto preso dalla beltade e leggiadria delle  donne, che creature ragionevoli sono, facendo refles-  sione con qua' proporzioni corrispondenti di vari linea-  ment! si bene innestati insieme sia formata una fac-  cia delicata e gentile? e con qual tenerezza e delica-  tura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e con  che elegante artifizio fuori dalle labbra con dolci moti  balenando un riso aggradevole, I'alme ammalii con  soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato  non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali scappando  in un attimo dalle loro ardenti pupille ne feriscono i  cuori e 1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove  Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma contempliamo  altresi la variety dell'effigie degli uomini, la robu-  stezza delle membra loro con si nobile proporzione  scolpite dal Maestro Sovrano, e la destrezza e la di-  spostezza in tutte quante le azioni, e il valore che av-  vezzandosi egli acquistano per combattere talora e  farci stare ogni piti temuta fiera? e finalmente tutte  quelle cose che la natura di miracoloso ha in essi lo-  cato sopra g? irrazionali anche nelle parti corporee.  Per guisa che se Y uomo solo e per natura e per dono  di ragione dilettasi e conosce quel che 1' ordine sia,  e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte le cose visi-  bili e apparent!, appagandovi entro la reflessione, il  che non dimostrano di conoscere n6 pigliame alcun     254 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   diletto gli altri animali; e se cotanto maravigliose cose  noi risguardiamo nelle parti che hanno gli uomini a  comune co' bruti, e nelF artifiziosa composizione degli  organi loro, fatti apposta dalla natura per le opera-  zioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno architetto ;  di quanta maggiore ammirazione c' ingombrerem noi  se trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio al-  r animo, cio6 da' miracoli delle cose che si veggiono o  che veder si possono, a quelle che si fanno entro a  quegli organi per oi)era di ragione, e che dall'intel-  letto solamente comprender si possono? Molto piii  avremo diletto e consolazione senza alcun fallo nella  bellezza, nella impermutabilit^ e fermezza loro, e si  nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni buone,  nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e nei giudicj  retti della porzione interiore dove consiste V operar  ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell' onesto co-  tanto reputato da' filosofi, e per cui 1' uomo non a torto  merita il nome di saggio.   > Ora per quella maniera che i lineamenti del volto  e le proporzioni delle parti corporee, e la loro conve-  nienza insieme compongono quel vago aggregate che  per maestria della natura fa risplendere e piacere co-  tanto il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti  per r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa della ra-  gione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli  azioni, dagli atti dell' intelletto e dai lodevoli costumi  trainee fuori 1' ordine, la simmetria e la bellezza del-  r animo di piiH eccellente perfezione senza veruno ag-  guaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi  savi anche di bello posero nome all' onesto, a differenza  del suo contrario che essi addimandarono turpe, cioe  deforme veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di  modo che restiamo pure persuasi come nella stessa     ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 255   guisa che la bianchezza delle cami, I'oro inanellato  de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi  moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore e la vi-  vacity spiritosa di due nerissime piipille che ne pas-  sano da un lato all' altro senza accorgercene per mezzo  del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e di-  ligenti fattezze bene accoppiate, e disposte in un volto  dalla natura spesse volte piu ad una femmina favore-  vole che all' ^Itra, son tutte cose che il rendono bello  ed adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare  con sommo piacimento e dilettazione da chiunque si  sia. Maggiormente senza verun paragone dee muoverci  e dilettare la candidezza della mente e de' costumi, la  vivezza e '1 lume chiarissimo dell' intelletto, la grazia  e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity &  il decoro delle azioni che sono i lineamenti perfetti che  forma il magistero accurato della ragione, e fa bella  e ragguardevole un' anima, e rendela amabile e aggra-  devole e nobile e gentile e sopra tutte le altre in gran-  dissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la vera  bellezza che si appfeUa dai sapienti onest^, il che non  pud fare giammai la bellezza di un volto corporale  ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo  stimolo vehemente de' sensi ; dove all' eccelsa maravi-  glia dell' altra con altrettanta violenza si risentono le  parti superiori e le facoM piii preclare dell' anima,.  cioe a dire I' intelletto, e la mente, conciossiache quelle  bellezze che all' onest^ si appartengono, sono d' intera,^  e non corruttibile fattura; dove 1' altre caduche sono,  e transitorie, e le riguarda solamente con dilettazione  la porzione sensibile.   > Ecco perch^ gl'irrazionali, che non hanno misure  da cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello  che il senso detta loro, e che e presente, n^ del pas-     256 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   sato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma I'liomo  con la ragione intende alia conseguenza delle cose, a'prin-  cipj, alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate pa-  ragona la simiglianza delle present!, e a queste appoggia  r investigazione e la conoscenza dell' avvenire, e per tal  via esamina e considera e quasi dispone tutto il corso  della sua vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo  savio s' immagina cha 1' eccellenza del bello con giusta  misura sia collocato. Per tale attitudine e inclinazione  a noi soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bra-  mosia della cognizione e della scienza; e perciocche  (come abbiam dimostrato sin qui) delle naturali ope-  razioni, di quelle eziandio che tutto giomo da noi si  scorgono e che noi adoperiamo o per diletto o per V uso  del vivere, non ci e lecito o possibile di rinvenire i  principj loro; n^ le loro speciali cagioni ancorche gli  occhi nostri apertamente le mirino; a tale intenzione  nel cominciamento de' nostri discorsi proposi quellasen-  tenza di Socrate ;   parendomi sempre piti evidente noi non potere ad altra  scienza rivolgerci che alia cognizione di noi stessi, e  di noi alia notizia di quelle porzioni che quantunque non  si veggiano, si adoperano e regolansi da noi medesimi,  e riduconsi a quella perfetta bellezza, che risplende  viepiii e con pitl verita all' occhio delle nostre menti,  che quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual  cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni soUecitudine  neir investigazione del vero, intomo a quello ci driu-  scibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora, in quel  buono cosi sublime, il cui esemplare, il cui ammirabil  ritratto dalla Divina mente staccandosi, ne f u si alta-  mente nell' anima impresso, cio^ il lume della ragione  dalla cui accurata meditazione arrivasi con I'intelletto  e con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto;     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 257   prima a conoscere quale veramente e' sia, e vagheg-  giarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con I'eser-  cizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi  proviamo a qual segno ci muove e ne innamora quel-  r ordinamento si ben tirato di parti perfettamente lo-  cate a' lor luoghi della belta corporale onde sfa villa  quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati  filosofanti rag^o appellarono della Divina PulcritudiQe;  che dovrebbe operare in noi, a che amore, a che con-  solazione destarci quell' armonia si perfetta di conve-  nienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre  e si ammirabili della heliA dell' onesto? il quale piil  accertatamente nominar si puote non raggio solamente  ma vivo e ben condotto ritratto di quell' originale eterno  della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti  i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1' infinite e  sommo sapere d' ogni altra sapienza in una perfezione  unica e infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza  e modestia sola degli ornamenti arroge qualcosa di piii  alia bellezza corporea, dove la falsificazione e '1 liscio  la sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e in-  tegrity de'costumi gentili e delle maniere con I'orna-  mento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili, fanno  piii bella e pitl vaga 1' onesto dell' animo, e rccanle piti  chiaro splendore che non fa la gloria vana e I'osten-  tazione e 1' ambizione, la quale eziandio con le dignita  e con esso gli onori non meritati di piil alto grade  adultera e guasta e corrompe i bei lineamenti del-  r anima. E qui rammemoriamoci per paragone delle  belle giovani di Marino che non accattano i rossetti  dair arte per farsi belle e leggiadre, ma serbano intatto  quel finissimo velo di candide e lucide carni federate  di rose, le quali non col cinabro o col bianco ma so-  lamente coir acqua fresca ravvivano, a difierenza delle   17     258 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   nostre bellezze di Eoma, che false si veggiono e di-  pinte co' lisci, e affatturate e guaste con V affettazione  degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni.  Ma per maggior riprova di quanto i' vi propongo, pas-  siamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo  onesto col bello, e rimarremo sicuramente convinti esser  di gran lunga pitl leggiadro 1' onesto che il bello. Ecco:  il bello e la bellezza dei corpi sono nomi universaK  che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose,  come s' 6 a tutte quelle tanto naturali, quanto fabbri-  cate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione  di misure e di proporzioni che tirino gli occhi di cia-  scuno a guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon  solamente segue nel rimirare una vaga e bella faccia  femminea, ma un cavallo o altro animale eziandio, che  nella sua specie sia ben formate dentro alle sue de-  bite proporzioni, le quali dal loro sesto naturale non  escono punto n^ poco; il simile d'una bella pianta,  d'una selva ben posta e ben ordinata, che vi diletta  senza scorgerne il perche ; e infine tutte quelle belle  cose, che noi abbiamo con tanto nostro piacimento  ammirate, e nel tutto generalmente e nelle parti sue  ciascuna da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo  essere, bench^ ella sia parimente porzione della bellezza  del tutto insieme : nel medesimo mode delle cose per-  fezionate dell' Arte il piii per imitazione della natura,  belle ci convien dirle, e per tali celebrarle ; come delle  pitture e delle sculture addiviene, delle fabbriche ma-  gnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre fatture  ben fatte di mano in mano secondo la qualita loro e  secondo I'ordine, la simmetria e '1 componimento spe-  ciale che loro s' addice per 1' uso a che elle hanno a  servire, e per la mostra che elle hanno a fare. Ma  nella stessa guisa che nella leggiadria e nella vaghezza     ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 259   delle opere della natura, noi ammirato abbiamo V alto  intendimento di chi 1' ha fatte ; n6 piil n^ meno nel-  r artifizio e lavoro di quelle fabbricate dall' arte, non  ci dimentichiamo di lodare la maestria e '1 lavoro di  colui che meglio I'abbia sapute ridurre a fine: e come  nel maestro della natura noi veneriamo Y infinite e  onnipotente sapere le sue opere contemplando; cosi  dobbiamo non tq,nto lodare la mano degli artefici, quanto  riconoscere di essi I'ingegno e Tintendere che da quella  infinita sapienza piglia il suo lume primiero, ed ammi-  rare viepitl I'intelletto e la ragione di quelle che opera,  che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella  bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo, non ^ ve-  ramente titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia  mente e alFingegno del lavorante; e pero anche la  bellezza delle corporali cose non 6 attribute che pro-  priamente a' corpi belli si richieda, ma all' intendi-  mento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se  delle cose naturali favelliamo, e alia ragione infusa  nell' uomo, che 6 parimente cosa divina, se discorriamo  delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello  non per rispetto al corpo dov' egli e introdotto, ma per  rispetto alia mente di chi con istudio e diligente ap-  plicazione lo conduce a fine; la lode che si da per  usanza a una cosa bella non cade appropriatamente  sopra la cosa, che riceve sua perfezione d' altronde, e  non trae essa da sd medesima le sue prerogative del  bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello  ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza che noi  tanto commendiamo nella cosa bella, non ha essa il  merito di esser tale, come I'ha chi bella I'ha fatta.   > Quanto dunque ci convien confessare che sia piii  bella la bellezza dell' animo che la bellezza dei corpi?  perch^ se questa dei corpi, la quale con iscalpello o     260 CAPITOLO DECIMOQUAETO.   altra manuale maestranza si forma entro materia gros-  solana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo  il componimento suo e la maestria dalla prima Idea  deir Architetto, ha in se un non so che del Divino;  quella degli animi che si perfeziona e adornasi di gen-  tili e saggi costumi, di azioni e pensieri prudenti, e  di atti tutti ragionevoli, quanto pitl veramente pud dirsi  neir opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina,  essendo 1' operante e 1' opera tutta insieme in s6 stessa  della medesima condizione, e perd tanto piii maravi-  gliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi; perche  con la ragione, che e scintilla di Divinita, non si abbel-  lisce materia vile e terrena, ma si purifica e si perfe-  ziona un' anima, che ^ della mano divina creatura  tanto perfetta facendosi leggiadra e pura dalla belta  dell' onesto, che sottraendola fuori dalle macchie fan-  gose de' sensi corporei, nella sua prima divina sem-  bianza la riconduce.   > L' Onesto impercid da grandi uomini si distin-  gue in due sorter Tuna consiste nella grandezza e  eccellenza dell' animo che e bellezza vigorosa, e da  uomo grande e di alti e generosi sentimenti dov' abbia  modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta nella confor-  mazione col dovere e nella moderazione, e nella mo-  destia per cui rifulge la continenza, I'umilt^ e la  temperanza che sono le virttl, le quali formano nella  pill ben misurata proporzione i lineamenti e le fat-  tezze di questo bello, che si chiama onesto. Con esso  s'impara a non temere, per fare il giusto, di niente  che sia; a dispregiare con fortezza le cose umane, dove  iia di mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna  che possa all' uomo intervenire; non bramare se non  il diritto, e deUberare con ottimo cuore e con ben  ponderata ragione tutte le cose che s'hanno da fare     ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 261   e da dire, e da cui derivar non ne possa n6 penti-  mento proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce  fuori da tutte le azioni umane quel non so che di  vago e di maraviglioso che si chiama Giudicio, il quale  puo chiamarsi la grazia e '1 compimento della beM  deirOnesto; si come la gentilezza e '1 nobile porta-  mento e '1 moto vivace degli occhi e delle membra,  la grazia si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda  nella bellezza dei corpi. Tutte quante le operazioni  dunque giuste, ragionevoH e ben temperate dalla pru-  denza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid  decorose e belle; come le ingiuste e fuori di ragione  disconvenevoli, senza decoro e deformi. Per la qual  cosa da dubitare non 6 che le virttl non sieno le piti  aggradevoli ed ammirabili parti e piii delicate di quel  belle che chiamasi onesto, si come i vizj del turpe e  deforme. Ma per quel modo che la vaghezza corporale  difficilmente dura e mantiensi senza la sanity e sejiza  una ben formata complessione ; cosi la leggiadria e la  belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V avvenenza  dei costumi e del tratto e delle amabili maniere, di  rado si conserva senza una buona e sana mente, e  senza la robustezza di una ben ferma e retta inten-  zione ; percioc^h^ quel tutto insieme che noi scorghiamo  nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo  indizio (egli ^ vero) e la prima raccomandazione per  giudicar poi con le debite riprove, che 1' onesto sia  vera, stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile,  incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia Fargo-  mento pitl forte di si fatta riprova, e con piil pre-  stezza si rinvenga, se 6 sincero quel non so che il  quale spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o  che abbia veramente Y eccellenza in s6 del bello e del  maraviglioso che si richiede all' onesto, tutto consiste     262 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   nell' osservare se il modo di contenersi in tutte le  azioni sia al maggior segno differente dall' operare irra-  gionevole; e di vero che quel bello che da noi si ap-  pella decoro, gravita e avvenenza di costumi, il quale  lampeggia fuori del portamento d' un uomo savio, tira  r appro vazione di tutti coloro i quali hanno nell'or-  dine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e  de' fatti buon gusto, e tutto il compiacimento loro; per  lo splendore e *1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro  di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tin-  telligenza e 1 giudicio si 6, e se cotanto si lodano e  approvansi le attitudini e moti del corpo e la di lui  dispostezza che vagUono alle azioni corporee; molto  pill i movimenti e le attitudini ben regolate dell' animo  che servono alle opere della ragione, nelle quali avve-  gnach^ tutti gli onesti uomini, come dicono i Franzesi  per dar loro quel giusto titolo che meritano le per-  sone veramente di garbo, non abbiano tutti i medesimi  talenti, solamente che in ciascun di loro stia sempre  ferma la mente retta, e invariabile 1' uso della ragioue,  non si toglie loro la venust^ dell' onesto, non altrimenti  che non perdono la grazia e la bellezza delle attitu-  dini corporali quegli che in esse non siano abili alle  medesime cose, imperciocch^ altri sono agili al corse,  altri sono isciolti nel danzare, altri nel maneggiare un  corsiero, e altri forti e robusti in varie operazioni della  ginnastica; ma in somma qualunque cosa che noi ado-  priamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu  garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno coUe forze  e con la destrezza del corpo ; ma fermisi insomma per  proporzione infallibile e universale che 1' onesto ha per  compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil  sradicarsi, e dove non d virtii non d perfetta onesto,  ma solo sembianza d' onesto. L' onesto dunque ^ bel-     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 263   lezza vera, costante e incorruttibile, non solamente  generica, ma particolare eziandio; percioccM e bella  la virtil in genere, che d T aggregate di tutte le bel-  lezze insieme deU'onest^; ma tutti gli atti virtuosi,  ciascuna opera di ragione, e tutte le sue facolt^ da  per se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa  miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti si appella;  e insomma tutto quello che ci muove al dovere, che  ci sprona al convenevole, e che ne indirizza per le vie  dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri   Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che si  chiama dai filosofi morali onesto, il quale d^ la forma  perfetta agli animi nel modo che il bello visibile abbel-  lisce le fattezze dei corpi; per lo che non reputo in  questo luogo che sia alieno dalla materia proposta     264 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   discorrere dell' utile il qnale, a' detta di molti, vien  giudicato 1' opposto dell' onesto, che tanto s'^ dire turpe  e deforme; ma essi scambiano i termini e nomi, per-  ciocch^ quello che onesto non ^, utile non si puo dire,  il quale presso gli stolti ha tale la sembianza per la  cupidigia loro, che utile lo credono perch^ si studiano  di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar  piii innanzi se dannoso sia a sd e al prossimo; percioc-  che oltre al male, che da essi altrui pud prodursi o  col torre il loro, o col fare lor cosa che sia ingiuriosa  o spiacevole, ridonda anche in biasmo e in inquietu-  dine e in gravi pericoli di chi 1' usa e di chi lo cerca  con aspettativa mal pensata di trame profitto, perch^  utility, vera e stabile dar non si puote, dove non sia  congiunto 1' onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e  onesto; ne onesto si d^ mai che utile non sia. Ora  facciamo un po' avvertenza, vi prego, in che grado  stiano amendue 1' uno con 1' altro, e per qual maniera  possano far lega insieme. Aflfermero primieramente con  Marco TuUio, che il vero onesto con I'util vero sono  in istrettissima confederazione, non potendosi trovar  cosa effettivamente giovevole che onesta non sia. Im-  perciocch^ quello, che dagli uomini poco savi utile  falsamente si presuppone, e quello che ^ veramente  contrario all' onesto, non utile anzi detrimento e disu-  tile nominar si dee. Erran pero colore che reputan que-  sta sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti  soveichi dell'amor proprio e dell'interesse, imperciocche  dove sia cosa contraria al dovere, ancorch^ paia che  metta conto di conseguirla, ci ^ la turpitudine, con  esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v -  runa r^aniera che sia, perch^ senza 1' onesto util vero  non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1' e^cellenza  dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non perche egli     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 265   e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponen-  dosi tal nome e tal riguardo air utile che util sia con-  giunto col diritto e coll' onesta ; anzi 1' util vero dege-  nererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il fine  di quello si preferisse al fine delP onesto. E percid  r onesto sola ne ha da indurre a operare senza far  considerazione all' utility, se non secondariamente a  voler che essa non isvarj e non s' allontani dall' one-  sto, il quale quantunque per nostre sregolate passioni  e' ci paresse contrario al nostro utile, sempre com' egli  d onesto, utilissimo si ^. E per ci6 niuna cosa ^ gio-  vevole che non sia onesta, diceva Socrate, perch^ quello  f:he onesto non e, non puo mai utile divenire, sconvol-  gasi quanto si voglia I'ordine dell a natura.   > E quale utility si pud egli mai trovare dove si  oscuri lo splendore e '1 nome d' uomo giiisto, e da  bene? E chi ^ colui che recar ci possa tanto giova-  uiento ohe ci torni con to scapitare per esso la buona  fama, la giustizia e la fede ? Perch^ s' hann' eghno a  trascurare le cose giuste e oneste per acquistar ric-  chezze e potenze, che utile vero dir non si possono,  qualunque volta perd elle non s' indirizzino ed eserci-  tinsi a questo fine dell' onesta e della virttl, con le  quali pill 1' operar ragionevole abhia lustro, e facciasi  riconoscere quando le faculty e le grandezze sono ret-  tamente e gloriosamente applicate ? Chi non ha questa  mira nel maneggiare i beni della fortuna facendoli ser-  vire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi bestia, o in  forma d' uomo govemarsi da bestia. E chiunque afferma  che la cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria  contravvenendo alia giustizia, possano util cosa chia-  marsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6  mai trovarsi utility dove segue o dee seguire rimorso  di coscienza o pentimento o dove sovrastar pericoli?     266 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   Pud bene nominarsi padre della patria Giulio Cesare  da' cittadini impauriti; perche egli non sar§, mai altro  che un parricida. II comandare agli altri, che dee  sostenersi su la base della gloria e dell' amore de' sud-  diti, come pud esser utile, dove in iscambio si vegga  su '1 bilico deir odio e della mala fama ? Ecco la bella  e gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a  finire; rimase tra le coltella ucciso in Senato. Ecco  dove termino la tirannia usurpata in Atene lor patria  da' Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal  valore e dalla sagacity di Aristogitone e d'Armodio.  E per addurre esempi moderni, dove pard la gran-  dezza e la potenza del generate Valdestain che non  temeva di chi glieH potesse torre ? Si convert! in tra-  dimento del quale pagd il fio in Egra con sua propria  strage; e di si fatti casi e negli antichi e ne' presenti  secoli ne raccontano in grandissima dovizia tutte quante  le istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con  pericolo, e con rimordimento interiore, ma vuol esser  riguardato dalla stima dei saggi e dall' amore de'buoni,  il quale solamente d giusta retribuzione dell' onesto;  senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giam-  mai, n6 utilita puo dirsi quello acquisto che sia gio-  vevole ad uno e all' altro no; anzi anche le oneste cose  disoneste si fanno, dove V utile di qualcheduno possa  patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener  la parola, ma perde sua prerogativa, come cid porti  pregiudizio a chi ella si mantiene; per esempio (come  i poeti fingono) non fu cosa onesta che il Sole man-  tenesse la parola a Fetonte. E veridicamente parlaudo  fu cosa fuori di tutti i termini dell' onesta, e giunse  alia scelleraggine che Erode mantenesse la parola a  Erodiade. Concludasi dunque che non si da onesto che  non sia utile, nd util vero senza 1' onesto, rimanendo     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 267   chiaramente persuasi che 1' onest§, sia quel nome gene-  rico che significa in una parola sola la proporzione e  r armonia di tutte le operazioni ragionevoli, e di tutte  le faculta ben guidate dell'animo; per quella guisa,  che il nome della bellezza ne spiega con un sol voca-  bolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte  le parti, di tutti i lineamenti d'un corpo bello; come  di tutte le altre cose che piacciono nel genere loro ; e  siccome da tutte le cose belle particolari ne risulta  questo nome universale che beltade si appella; cosi da  un ben misurato accompagnamento di tutte le virtii  morali, e di tutti quanti gh atti virtuosi, si raccoglie  insieme questo nome generale, che onesto si chiama;  il quale vuol dire e abbraccia, si in genere, come in  particolare tutte quante le beUezze delFanimo. Quello  dunque che riguarda e s' aspetta in genere alia virtii  morale, e alia sua perfezione dicesi onesto; e percio  da questo universale potremo nella presente villeggia-  tura e nolle consuetegite che andremo facendo, potremo,  dico, favellare della virtti morale, e delle sue -pit belle  parti, esamingtndo i precetti e gli ammaestramenti di  essa, che sono le pitl speciose prerogative della bel-  lezza deir animo. Per questa via impareremo a cono-  scer noi stessi, e quali strumenti dati ne sieno dal  Maestro Etemo per conseguire si nobile ornamento,  pel quale noi ci sottragghiamo dalla sembianza di bruti,  e ci accostiamo con la figura interiore alia simiglianza  di Dio. >   E un di pill far rilevare al leggitore come il no-  stro autore si mostri qui nella morale Peripatetico,  aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti  nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non nel me-  diocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella giusta mi-     268 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   sura, oltre la quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfe-  zione, ^ un trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo bre-  vemente i quattro dialoghi intomo alia morale, per  indi venire alia cons^guenza del sillogismo di cui ab-  biamo dato le premesse, o alia risoluzione del problema  da noi posto in campo.   Gli uomini, egli dice nell' argomento del Dialogo 1%  ban dunque anima vegetativa, sensitiva e ragionevole,  di cui le potenze sono, memoria, intelletto e volonta.  L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole.  Sovente la parte concupiscibile c iraocibile, come am-  mette anco Platone, le quali ha dato in servigio della  ragione, si trovano a contrast© coUa ragione stessa,  e traviano la volonta ; e 1' atto, anzi che virtuoso, e  allora vizioso.   Imperocch^ la ragione fondi i suoi motivi suUa  costanza dei beni, e stimi beni anco i mali preseuti,  che pero menano a futura felicita; e gli appetiti in-  vece si curino solamente de'beni presenti, guidino poi  partecipino al male. I beni degli appetiti sono pure  obietto della ragione che gl'indirizza a sano e giusto  fine, subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e  si diverse apprensioni della ragione e degli appetiti  si deriva la contrarieta tra loro nel riconoscere il bene;  onde secondo dove aderisca la volenti, formasi la virtil  ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non che, giusta  la sentenza aristotelica, dir si conviene come i beni  sieno di tre sorta: beni deiraninna, della fortuna, e  del sense. •   E beni dell'anima si chiamano quelli che ritro-  viamo in noi, e che da noi stese* dipendono, come sono  le virtii, e la retta intcnzione, i quali, come nel trat-  tato della Provviderzo osservammo, non ci possono  esser dati n6 tolti, se non da noi medesimi.     ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 269   Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di  noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati, e ci ven-  gono tolti, come le ricchezze, gli onori, il pQtere; i  quali son beni non veri e fermi, se non s' indirizzano  a beni deiranimo e all'opre della virtii.   Beni del sense, per ultimo, sono quelli che noi  abbiamo a comune co'bruti, e solamente dir si pos-  sono beni, in quanto dalla natura si bramano per man-  tenimento del vivere e della propagazione e conserva-  zione della specie, e terminano ciascuno col termine  della propria vita.   Nel resto i beni del sense, dice il Eucellai, sono  d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^  e sul piacere, n^ in altro case beni possono divenire,  salvoch^ quando per abito virtuoso, vinti e mortificati  tutti gli aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso  s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii, sentendone  godimento eziandio nella parte inferiore. E nel V Dia-  logo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil vera e  meglio fondata filosolia dell'uomo.   E dove sta questa vera apprensione della scienza  dell'uomo? Udite la risposta teologica e mistica che  egli ne d^: Nel timore di Dio, imperocch^ appunto d  intendimento della filosofia morale cristiana insegnare  altrui operar bene e non far male, affine di conseguire  la felicity vera che 6 il Paradise, e sfuggire il gastigo,  la pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad  ammettere anche i filosofi gentili, quando aflFermavano  il bene consistere nella felicity e nel godimento del  sommo Bene. Or la felicity, non la d^ che Dio, e il ti-  more e I'Amore di lui ci ammaestrano a viver bene  per conseguirla, perche tutti quanti i beni veri dipen-  dono da Lui. Initium sapientice timor Domini.   Voi scorgete qui tosto il nosce te ipsum filosofico     270 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   innestato alia religione, alia fede, e ad essa conse-  gnato, perche non si diparta da quella via che deve  eondurre il Rucellai alia meta prefissa. Intanto dalla  cognizione dell' uomo , egli dice , e dei suoi istru-  menti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli  irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa e sen-  sitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la  ragionevole. E quest' anima che per il Rucellai, de-  finendola, consiste in un moto continuo e ordinate che  ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo la somma  di tre anime ; sibbene 1' anima umana ha tre doti, della  ragione principalmente in s^ stessa, e poi anco quella  del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale  in cui tutte quante le facolta e le potenze dell' uomo  consistono. Dotata poi la ragionevole di libertgb, giusta  quelle che dimostrd il Rucellai nella Prowiden0a, d in-  finitamente superiore, incomparabilmente piil perfetta  deir altre due che ne' bruti si trovano, e per essa  I'uomo e capace di atti virtuosi o viziosi di imputa-  zioni morali, di premio o di pena.   Imperocch^ il moto sensibile (Capo 3°, Dialogo !•)  e il moto ragionevole dell' anima umana non vadan  sempre d' accordo, e la vita morale sia soggetta a delle  continue perturbazioni, nolle quali I'uomo ha dovere  di obbedire al moto ragionevole della mente. Ha il  dovere ! perchd 1' uomo ha questo dovere ? d' onde la  legge ? Esiste ella questa legge che ha forza di imporsi  a tutti gli uomini, con sanzione etema, infinita? II Ru-  cellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non  ritraesi un argomento che abbia valore di prova.   Egli ^ mistico senza dubbio, ^ tradizionalista, pur  senza addarsene: e mentre accenna a seguire il di-  scorso naturale della mente, or con questo o con quel  filosofo antico, egli non fa altro che commentare quel     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 271   che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la ragione  al servigio della fede. Cos' 6 pertanto questa mente al  cui moto ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha signi-  ficati diversi, ma secondo Platone, cui segue, 6 quella  generale consulta e ricettacolo in cui sono comprese  tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod  memoria, intelletto e volont^. La prima conserva gli  oggetti acquistati co'sensi, i quali oggetti si porgono  innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto  gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto ragguaglio.  La ragione vi discute e giudica, e poi la volont^ in  seguito a giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la  volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e con-  cupiscibile, che inviano spiriti sottilissimi ma corporei  a produrre i varj movimenti necessarj.   Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ;  in quanto da' sensi posson esser ad essa presentati gli  oggetti imperfettamente o per vizio naturale. E, se  non errare, pud rimaner dubitosa ed incerta; indi  I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che  venga scambiata per la vera scienza. Ufficio dunque  della ragione si 6 di far in modo che 1' intelletto sia  sgombro di passioni, n^ deve cosi subito, e come alia  cieca, prestar fede ai sensi, fontana inesauribile di er-  rori, a chi non esamini bene e non tenga come a sal-  vaguardia quel detto di san Paolo: Video aliam le-  gem in membris meis repugnantem legi mentis mece,  E, di vero, dalle facoM ragionevoli si discerne la dif-  ferenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi  quali atti secondi meglio riflettesi, e si pesa col giu-  dizio il valore e la differenza dell' onesto e del dilet-  tovole, e principalmente la diversity del huono e del  reo. Imperciocchd il godimento del bene o il patimento  del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui il Eucellai     272 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   si e proposto di seguire le orme, non stiano rispettiva-  mente nel piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi;  ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione;  felicity vera e perd immanchevole ; mentre tutti gli  altri beni di quaggiii, lo dissero stupendamente gli  stoici, ci possono venir meno, e a quella vera felicita,  cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo,  in quanto ban capacity, indirizzati a lor fini, di divenir  beni ancb' essi. La vera felicita pertanto, checche ne  dica Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene  sommo, cbe il Rucellai filosofo teologo, trova nel Pa-  radiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non esclude  il Rucellai con gli stoici che possano i veri beni go-  dersi, operando secondo virtil ottima e per sempre;  virtu che si acquista con la saviezza della ragione, e  con gli abiti buoni e con tenere essa in freno gli appe-  titi siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo cocchio,  E la virtu ottima che e elk mai? Risponde per lui Ari-  stotile, del quale accetta la definizione non che le clas-  sificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.)  ^ abito per elezione che si contiene nel mezzo per  Tappunto fra due estremi: il vizio e operazione di-  spregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro e  che il ridurre la propria natura all' operare ragioBe-  vole. Distinguonsi poi virtil primarie nell' uomo, o, come  si dice, cardinali, e secondarie, le quali dipendono dalle  prime. Le virtil cardinali, come per Aristotele, cosi per  il Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la tem-  peranza e la fortezza.   La prima, secondo Platone, ^ la misura di tutte le  altre, ^ V occhio diritto della morality, la vera scoria  neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa  con somma finezza tutti quanti gli oggetti che deside-  rare si debbono, o vero sfuggire. Ad essa si riducono.     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 273   per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6 questa misura,  stando in mano di lei il vero compasso proporzionale  per il quale si misurano tutti i fini.   La Giustizia dispensa suo diritto a ciascuno si degli  utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo  i gradi dei meriti, della dignity e delle virti\ che egli  hanno, e questa distinguesi, come Aristotile e Cicerone  fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la  commutativa parla della dottrina del cambio, che,  come afferma, toglie in massima parte dal Davanzati.   La fortezza, che ne insegna sopra ogni cosa di su-  perar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni  e non temer di minaccie, n^ di rischi, nd di morte  a pro della religione, della patria e della reputazione.   La temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smo-  derata cupidigia, ed d il vero antidote contro 1' ambi-  zione e contro I'interesse soperchio ; e tutte queste virtii  primarie manchevoli sono, n6 possono esser vere virttl  senza il concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro.   E siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la me-  diocrity, che e difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra  due eccessi, od estremi, ciascuna di esse virtii ha i  saoi estremi in&a i quaU riseggono. Ed io li accenno,  ma non mi ci trattengo.   Estremi della prudenza sono, (pure secondo Aristo-  tile) la malizia e la stupidita; della giustizia, 1' avari-  zia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity e co-  dardia; della temperanza, gli estremi viziosi di tutte  r altre. Dalle quali tutte, e in fra i rispettivi estremi  di esse, discendono o stanno le virtii secondarie.  Accosto alia prudenza, e come sue figlie, si trovano  la perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza,  la dissimulazione (in buon sense), 1' industria ; V astu-  zia, la circospezione, la sincerity, la segretezza, la   18     274 CAPITOLO DECIMOQUAETO.   fedeM; alle quali tutte comspondono vizj; impe-  rocchd dalla circospezione sia agevole cosa cadere nel  vizio della sospensione, della suspicacia, come poi e  agevole dall' accortezza cadere nella astuzia in mal  sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode,  tradimento, irresoluzione, stupidity, taciturnity, finzio-  ne, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella  procace loquacity, e nel sofisma, dalla prontezza nel-  rimprudenza o inconsideratezza.   Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia sono:   Liberality — - Parsimonia — - Beneficenza — (Jenero-  sit^ — Magnanimita — Magnificenza.   Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, dive-  nendo — Ambizione — Ladrocinio — Vanagloria — La-  scivia — Superbia — Prodigality,.   Altre virtil secondarie — • Ragionevoli rimunera-  zioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana  della fede e della speranza.   La Parsimonia sta a dirimpetto della Liberalita.  Son due atti virtuosi. — Vizio ^ la Sordidezza.   Altre yirtt seguaci della Giustizia sono:   Severity, Rigore da un lato, e Equity, e Misericordia  da un altro. — Eccessi di equity e di rigore. — Ti-  rannie — Vendette ■— GrudeltS, ec.   Degli Atti virtuosi che seguono la Fortezza.   Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il Valore del  cuore e della mano.   Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia — Indo-  lenza — Furie — Ferocia.   Dall' altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la  Pazienza ragionevole — la Mansuetudine.   Vi0j. — Timidity, — ViM — Codardia.   Al^e virtu seguaci della Giustizia. — Costanza -  Fermezza — Lmpermutabilit^.     ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 275   Vi^ij. — Ostinazione — Pertinacia, Perfidia.   Virtu. — Facility di cedere al dovere. — Piacevo-  lezza del tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro —  Modestia.   Visj. — Alterigia, Vanagloria ec.   Virtu. — Emulazione.   ViiSfio. —■ Competenza — Mormorazione — Falsity —  Calunnia — Superbia ec.   Degli Atti virtuosi che seguono la Temperanza.   Veramente tutti gli atti virtuosi surriferiti accom-  pagnano altresi la Temperanza, perch^ atto virtuoso  non si d^ se la temperanza non moderi I'impeto na-  turale. Perd tra gli atti piiH confiacevoli ad essa sono  da annoverarsi quelli che rattengono gl'impeti della  concupiscenza o Fingordigia della gola.   Virtit. — Castit^, — Pudicizia — Pudore — OnestS,  — Ingegno — Digiuno — Astinenza — • Sobriety.   Vi0j opposti. — Eccessivo rossore, e Libidine, Lasci-  via, Adulter)' e Ubriachezza ec.   Questo per le virtiH in s6 considerate. Or siccome la  virtCl solamente 6 base della society, umana, e n' ^ il  cemento, bisogna veder di esse 1' applicazione nel con-  sorzio civile, e discorrere con Marco Tullio degli Officj  per la society, umana medesima. La quale d da na-  tura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto gli Uomini per  gli Uomini. E Iddio, poi, diede a tutti il libero arbi-  trio, accio niuno di noi potesse conseguir lui senza noi  stessi, e senza 1' educazione cristiana, e senza gli ammae-  stramenti spirituali e senza i divini precetti, insegna-  tici da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che  Uomini sono; e gli Angioli per la stessa maniera (ag-  giiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie  agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni niun utile o  giovamento recar ne possano in verun conto che sia.     276 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo questa,  ne io so davvero dove e come si applichi filosofica-  mente il Nosce te ipsum!   Proseguiamo :    Gli ufficii, come Cicerone, divide il Eucellai in  necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla  provvidenza, i secondi dal nostro volere.   Sono dessi differenti secondo i gradi e le combina-  zioni delle persone, e, al solito, si distinguono in do-  veri verso Dio, verso gh altri e verso noi medesimi,  dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio  sono necessari; il prime d di gratitudine, impiegando  in cid le potenze tutte delle quali ci ha forniti, e con-  formando la nostra volenti a' suoi decreti, alle ispira-  zioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza  alle sue leggi.   La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono pure doveri  verso Dio stesso, i quali sono il fondamento di tutti  gli altri. Accenna indi profusamente il Eucellai i do-  veri verso gli altri, i primi dei quali sono i doveri     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 277   conjugali, sendo per primo la society parentale. E ri-  corda come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna,  e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come  debba esser tra essi rispetto, discrezione e compati-  mento ; e amare ugualmente i figli, come i figli amare,  rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia scelta  della moglie, ecco qui coaa ne dice il prete Magiotti,  e che io stimo non inopportuno di riferire, in quanto  che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna,  si sia potuto e si possa argomentar sempre o compro-  vare il grado di civiM de'popoli e del consorzio  umano in ciascun' eta, e in questo caso pur ne ab-  biamo riscontro, etarei quasi per dire matematico.   € Io son prete, (dice adunque il Magiotti;, e circa  al prendersi mogli e mariti non me ne intendo e non  oserei dame alcun mio parere, massime in concor-  renza dei buoni consigli e de'giovevoli ammaestra-  menti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non  mentovare il Laberinto di Messer Giovanni Boccaccio,  il quale dalle donne ammartellato anzi che no, fu del  povero compassionevol sesso troppo rabbioso mordi-  tore. Egli e pero bene aver per ricordo che al tempo  d' oggi piii Elene si trovano che Penelopi al moo-  do; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL gra-  ziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia  nella mente per le migliori; imperciocch^ se bella ed  avvenente e' 1' ottiene, sembragli averla debita altrui e  ch'ella non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e  acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in ornament!  novelli, e nel rigirare il marito per piacere agli altri ;  anzi, che peggio si 6, ella si tien per prudente, e vuolsi  subito meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di  alle novelle, alle contese, alle grida, e allora le par di  esser saggia quand' ella non fa a mo' d' altri. Donna     278 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   savia adunque, o di rado, o non si d^ mai, e tutto che  con difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio  avviso credo che sia se ha qualche specie in lore di  Prudenza, dov' elle abbiano poco conoscimento, perche  queste sono atte a reggersi, non si dando mai caso  che elle sieno buone a reggere altrui; e nolle donne,  ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna ne han  r uso, che a tal fine definille un Uomo di senno, che  la natura femminea 6 posta tra 1' estremo peggior del-  r Uomo e r eccesso miglior delle bestie. Niuno dunque  si lasci svolgere cosi alia prima dalla vaghezza o dalla  novit^ del soggetto, o vero dall' allegria e dalle solen-  nit^ delle nozze, imperciocchd dopo il fatto non ci e  rimedio, e cotali belle apparenze usansi ad arte, per  far rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK  con lieto animo alle fatiche perpetue e alia schiavitu-  dine eterna del matrimonio ; anzi la natura medesima,  per soccorrere in esse a mancamento del sesso e farle  in qualcosa aggradevoli, le ripuli, le liscid, e raffazio-  noUe al di fuori, e si dono loro la grazia e gli altri  arredi del bello; qualunque impero d tenuto a impac-  ciarsi in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste  di quel che sono le donne ; e del suo mestiere goda  come per trastullo se la sorte gliela da bella, n^ s'ini-  magini, perche ella si chiami compagna, di poterne  trar frutto d' amica, ma la consideri come soggetta, e  per dolce maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a  non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e  r aver la moglie di grossa pasta, e di scarso intendi-  mento ; difettose insomma (si come io dissi) elle hanno  da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole a sof-  ferire i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone  ne le mandi, ned' e poi il comportarle si malagevole,  -atteso che donne elle sono, e tenere di cuore, e il via-     ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 279   colo di quando in quando matrimoniale rinnovella e  rinfresca Tamore, e serve di buon condimento alle  imperfezioni loro e ne addolcisce la noia. >   Si occupa inoltre de' doveri tra i parenti e gli agnati,  tra servi e padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperoc-  chd r osservanza di questi doveri privati si riversi  anche sul pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei  sudditi, e de' govemanti. Intomo a' quali molto ritrae  del platonico, e discorre con molta severitit tanto per i  prindpi eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli uomini.   Tocca infine i doveri per elezione, che tanta bene^  volenza conciliano, e intesse come iin piccolo galateo  sulla data di quelle di Monsignor suo parente, e cui  dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei  modi e negli scritti. E accennato alia forza dell' abito,  termina questo trattato della morale del Rucellai, im-  perfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^ egK  prometta qui di discorrere in progresso de'tempera-  menti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia avuto  o volenti tempo di dargli compimento, e d' emen-  dare il gi^ fatto.   Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del  quesito, e a porre in tutta evidenza il problema di cui  dobbiam dare la soluzione. Agevole a trarsi pur que-  sta; imperocchd non trattasi di andar per il sofistico  e il lambiccato : ma si da' fatti lampanti formulare il  principio, e porre questo in attinenza con le condizioni  generali e particolari del tempo, del quale lo scrittore  ^ riverbero indubitato.   La critica che potremmo fare alia teorica morale  del Rucellai si acchiude in poche parole; imperocchS  sia manifesto che egli, piil che neUe altre parti della  fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia ragione umana.  Infatti egli trascura di porre in luce la legge naturale,     280 CAPITOLO DECIMOQUARTO.   di cui pur parlano si altamente gli stessi dottori sco-  lastici, come san Tommaso, san Bonaventnra e il  Suarez, per tutto sostenersi all'autorita della legge  divina, cio^ del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo  egli piiH ecletticamente che con ordine interiore di con-  cetti, non sa bene accordare quel suo tradizionalismo  con certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice  la virttt consistere neU'operare secondo ragione: ma  potrebbe osservarsi che quando la ragione non ha cri-  terio di ragione in se medesima speculativamente, non  pud averlo nemmeno praticamente. II Eucellai rende  immagine anco su ci6 de' suoi tempi; ma in che senso  diciamo tal cosa h bene sia definito. Le menti, a quei  tempi, erano agitate dai dubbi, e il nostro autore dice  in piii luoghi come i dubbi combattessero pur la sua  mente. L' esame dubitativo fuor d' Italia condusse molti  a terminare nel dubbio; in Italia colore che accolsero  r esame dubitativo terminarono i piii nel riparo della  Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i filosofi e  i teologi non tradizionalisti, e che non accolsero F esame  dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene;  giacch^ questi ammettevano certezza razionale e verita  preliminari alia Teologia, quantunque neUa Teologia  ponessero il sommo della sapienza; invece i tradmo-  ncdisti, come oggi li chiamano, alia ragione ricusarono  la capacity di riposarsi nel vero e nel certo, che solo  ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Palla-  vicini, il Suarez, san Tommaso, san Bonaventura con  sant' Agostino affermano esser nella ragione la legge  naturale del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda  la legge Divina positiva ; il Eucellai, per lo contrario,  parla di san Paolo e del Vangdo, e della legge natu-  rale non tiene gran conto, bench^ aUa sfuggita Taccenni.     CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA FILOSOFIA  DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAL   SouMABio. — Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri  del Rucellai. — II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto imper-  fettamente. — Perche. — Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e  le sue qualita. — Scetticisrao. — Tradizionalismo. — Bruno. — Cam-  panella. — Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I suoi  scolari e rAccademia del Cimento. — Metafisica galileiana. — Som-  mi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi. — II Cartesio e  1' osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. — II  sensualismo di Loke. — Eclettismo del Rucellai. — Suo probabilismo.   — Si provano riandando la sua filosofla. — La seconda Accadomia. —  Cicerone. — La fede. — Differenza tra' filosofi del Medio Evo e il  Rucellai. — Questi e il Galileo. — Nel metodo il Rucellai apparente-  mente h moderno. — Perche. — Intende solo negativaraente Taforisma  socratico. — Ed e semj)re probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa  difetto la speculazione. — E pero riesce eclettico. — Breve riscon-  tro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell' univer-  se, e nel Tim^o, — Platone, il Cristianesimo e Galileo. — Carte-  sio. — Teorica della cognizione. — Teorica del volere. — Liberta e  fato, — Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina-  zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e Cousin. — Aristotile.   — Platone. — Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtti.   — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola Epicurea e il Rucel-  lai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa-  dri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei ' tre pbietti  della filosofia il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo  stile - e la natura de* personaggi ne' Dialoghi del Rucellai sono  i;n' ultima conferma della nostra Conclusione.   n problema ^ posto, adunque, in termini chiari,  fatta che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche  del Rucellai ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di     282 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   risolverlo, e la via ci ^ molto agevolata; diro di piii,  che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi rag-  giunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio  continovo. Imperocch^, riepilogando, noi ponemmo que-  sto per principio, che il Rucellai specchiaVa in s^ Tim-  magine del suo tempo in Firenze. E ad esso volgendoci,  lo vedemmo significare per la storia un potente contrasto  di elementi di un' et^ che periva sotto la mole della  sua grandezza e un' et^ giovane e superbamente bella,  che conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori.  E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a tutte le  potenze della nuova in opposizione fortissima. Ed io  allora volli condurre il lettore all' esame della vita del  Rucellai e delle sue opere letterarie; e questo contra-  sto manifestossi, credo, chiaro al lettore stesso, come  si era mostrato a me dopo la lettura diligente di quegU  scritti dimenticati, o non curati a dovere.   FilosoJla e autorita religiosa, gravity di discussioni  scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche; pu-  rezza di stile e d' immagini, verbosity ed esagerazione  di confronti ; timore soperchio di aver che fare col  Tribunale dell' Inquisizione, e contro la Corte di Roma  pagine sanguinose ; vita di cortigiano ossequente e rime  e lettere contro la corte ed i re ; lodi della castita e  verginit^ di Protettori e di SanfS, e scherzi equivoci  e sonetti immorali; tutto cio nel Rucellai, come pre-  cisamente nella comune degli uomini del seicento, scor-  gevasi in quel trapasso dalla fine del Rinascimento  alia Riforma, dal mondo antico al mondo moderno. Un  eclettismo inconciliato nei costumi, nella vita, negli  scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e il Rucellai questo  eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini,  nella vita sua civile, letteraria e morale.   Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283   maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar  pure inumi, nella vita, negli  scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e il Rucellai questo  eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini,  nella vita sua civile, letteraria e morale.   Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283   maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar  pure in esso que' medesimi contrasti ; nondimeno, pre-  venuti, li notammo man mano, per guisa che, finito  I'esame, supponessimo pur compiuta la nostra fatica.  Ma se nel mio pensiero ed in queUo del leggitore questa  conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^  necessario definirla, e in un disegno piil raccolto con-  centrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo  osservato lungo la via ; in quel modo medesimo che un  pittore, percorsa una vasta campagna, la raccoglie poi  tutta su di piccola tela, senza toglierne parte alcuna  alio sguardo di chi la voglia fedelmente conoscere.   Non a torto pertanto (ce ne siam fatti certi) io  comparai il nostro filosofo a un prisma, suUe cui fac-  cie si distinguevano i molteplici raggi del pensiero del  tempo suo ; e in che sta, per me, veramente 1' impor-  tanza storica di questo scrittore ; per guisa che ognuno  il quale non lo consideri, giudicandolo, in tutti i suoi  aspetti, b ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pit-  tura destituita di valore, od almeno imperfetta. In  questo ultimo scoglio sembrami, io lo dico coUa do-  vuta deferenza, abbia urtato il professore Francesco  Palermo, 1' egregio ordinatore dei Manoscritti Palatini  in Firenze ; il quale del Rucellai ha pubblicato con un  lungo avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici  dialoghi sulla filosofia naturale antica, e quegli altri  sedici sulla Provvidenza. In quell' avvertimento, bello  davvero del rimanente, d^ il concetto e il dise-  gno deU' opera intiera, e la natura di essi Dialoghi  chiama fruUo di Galileo,  (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del   Galilei detto dal Rucellai, a buon diritto, il sapientis-   simo Socrate, come quello che ritomava le menti al-   r esame del mondo esterno e del mondo intemo, me-   diante il discorso della ragione, gli assiomi naturali ed i   fatti sensibili, ond' e' poteva finalmente creare la fisica,   e r Accademia del Cimento ingigantirla dietro le orme   di lui, con Benedetto Castelli, il Cavalieri, il Torricelli,   il BoreUi, il Viviani, il Eedi, il Cassini e moltissimi altri,   i quali, secondando la inclinazione del tempo coll' isti-   tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso-   fia del lore Maestro alle scienze naturali, le conferma-   rono Bulla strada di progresso indefinito, e le scienze   universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel   canoni del metodo Galileiano, sviluppati ampiamente   nei saggi del Cunento, accliiudevansi verity, profonde,   le quali non potevano a meno di partorire quegK effetti   stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il concetto,   il fine ed i mezzi di una filosofia che tutto comprende.   Cio6, che riconosce le somme verity naturali nell' Anima   umana; che adopra la geometria per raggiungere la   verity ideale e reale, n6 trascura, anzi esige, 1' uso   diligente della esperienza, e indi del ragionamento a   cogliere la evidenza: e infine non 6 spregiatrice, come   molte iilosofie meschinamente altere, dell' autorit^.,   mentre la servitii dell' autorit^ stessa rigetta, e la vuole   sottoposta essa pure all' esperienza ed al nostro giudizio.   Ma la filosofia del Galilei e de' suoi scolari gene-   ralmente risguardava, giova averlo fisso, il metodo e   la sua applicazione particolare alle scienze naturali:   a che sticettamente questi si attennero. Ne con cid   dire, io intendo negare contenersi nei libri del Galilei   19     290 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   sparsa una metafisica, come lamentava ilLibri, il quale,  nella sua storia delle Matematiche, si duole altamente  del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo  Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi, inclinerei  anch'io a creder davvero col Puccinotti (11 JSoem ed  altri scriU% Tip. Le Monnier 1864), che valesse a vin-  cere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^ dairAcca-  demia Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Gali-  leo che dimostro la necessity di dividere fisica da meta-  fisica, e i Umiti veri deUa ragione, la fede religiosa  nelle scienze soprannaturaK, la matematica nelle natu-  ral!. C!ome Platone, il vero ed il bello professd Galileo  per una medesima cosa, nella medesima guisa che il  false ed il brutto.   E nella giomata prima dei DioHoghi dei Massimi  sistemiy il Galileo comprese i sommi capi della Meta-  fisica, che possono qui compendiarsi in due massimi  corollarii, siccome avverte il Pucciuotti sopra citato.   Prima. Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya  in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere  divine essere infinite volte infinite: la mente umana  la piii eccellente opera di Die : in essa concreate al-  cune verity primitive, come preziose gemme nei loro  incastri, la di cui luce, per il terrene abitacolo in cui  ella ^ posta, § da velami e da caligini oscurata. La  pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale,  e parte disseminata tramezzo alle naturali cose. L'intel-  letto consegue con la intensivit^ i soprannaturali neUa  lor piena luce per mezzo della rivelazione e della fede:  i naturali, colla dimostrazione matematica; e onde con  questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le  menti con piii sollecitudine e costanza e pienezza veg-  gano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo  temperi e assottigli quanto piil pud que' velami e quelle     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFU DEL RUCELLAL 291   caligini di falsity,, che partono dai fermenti e dalle  passioni della sua materia: ed ecco il fondamento della  morale, e il culto necessario e il merito insieme della  virtii umana.   Secondo. Per le verity naturali la mente umana pro-  cede allo'stesso modo, solamente traendone la dimo-  strazione, non dalla metafisica, ma dalle matematiche.  Ch^ la geometria cammina anch' essa grandissimi spazi,  e trascorre la vastit^ delle opere della natura, e con-  tiene nelle sue dimostrazioni la necessity de' suoi veri;  riverberando in certo modo e scoprendo quelle mate-  matiche leggi, coUe quali Y etemo intendimento tem-  pera 6 govema 1' universe. Ma la geometria, con le sue  mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre a immense  intervallo da quanto resta ancora a investigarsi ed  intendersi nella natura: epperd si reca allato per sua  aiutatrice e ministra la esperienza, la quale, tentando  effetti e cagioni, e le attinenze lore, prepara la serie  deUe probabilitS;, che la matematica disnebbia colla  dimostrazione ; presentandole come verity e leggi natu-  ral! alio intelletto, il quale, ove le trovi rispondenti ai  tipi concreati delle soprannaturali gi^ disnebbiate dalla  metafisica, ossia dalla religione, e se ne nutre e se  ne bea.   Ma la moltitudine degli intelligibili nell' universe d  immensurabile, e questa che il solo Creatore vede per  numero, peso e misura in un sempKce intuito, 1' uomo  non percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi  e pericoli, di conclusione in conclusigne. Onde la neces-  sity della modestia e della pazienza nell' investigare e  nell'operare degli uomini, nel raccorre ed intendere  le veritd, nella fisica del mondo.   Comunque, il Cartesio animato come Bacone (cbe  pel dispregio alle tradizioni incappd in alcuni errori)     292 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   e Galileo daU'istesso desiderio di universale riforma,  inaugurando piil precipuamente il metodo di osserva-  zione interna, devesi a lui il compimento dei mezzi e  gl' istrumenti per la vera filosofia, Tesperienza e la spe-  culazione. La quale ultima per il Cartesio recata invero  all' eccesso, chiuso il pensiero in se stesso, n^ riguar-  dando piU alle sue attinenze reali, porto ad errori il  filosofo illustre, e porse occasione a scuole diverse arbi-  trarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il Malebranche, in  quella guisa stessa che dall' empirismo di Bacone scop-  pid il sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio  dair esame, e per esso istitui un metodo, e indi tento  un ordinamento generale di tutte le scienze; se non  che, ponendo il dubbio non solo di ogni istruzione rice-  vuta, ma pur anche del valore delle fiacoM umane,  eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' alge-  bra e della geometria de' suoi tempi. (CONTI, Op, cit^  vol. II, pag. 354.) Lo si deduce chiaro dal suo discorso  sul metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico  che la Francia abbia prodotto, spinto dalla filosofia  cartesiana, o meglio dalla parte negativa di essa, il  dubbio, si rifugid nel misticismo, e con esso la sua  filosofia, ond' e' ritornava alle intuizioni Platoniche, e  preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini.   Tali erano i principali sistemi che allora signoreg-  giavano il mondo della filosofia, disputandosi il primaU)  deir autorit^, e tra loro contrastandosi.   Orazio Rucellai ebbe cognizione di tutti questi ele-  menti, da' quali esci faori 1' et§. moderna: se non che  non dotato di molta vigoria di speculazione, o per for-  marne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo  filosofare or I'uno or I'altro seguitd riuscendo eclet-  tico, e per5 speculativamente scettico una seconda volta.  Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la sostanza     OSSERYAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 293   della critica, con la quale io do termine a questo  libro.   La filosofia del Rucellai ammette, lo vedemmo, una  prima divisione generale per rapporto al metodo; ciod  negativa e costruttiva^ e si nell'una come neU'altra  non esce il filosofo da' termini del probabilismo, egual-  mente che la seoonda Accademia, guidata da Filone  che fu il primo neoplatonico di Alessandria; la quale  riconoscendo la natura assoluta del vero, ammetteva  solo come verosimili le dottrine che ne derivavano. Ad  illustrare la qualitit filosofica del Rucellai, si prenda  in esempio Cicerone. Questo grand' uomo in alcune  parti della sua dottrina sembra tenere dell' Accademia  Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura del mondo  e di Dio afferma con probabilita anzichd con certezza.  Ma le probabilitli di Cicerone si ristringono alle deter-  minazioni di problemi che il Paganesimo e 1' estremo  corrompimento e infiacchimento della filosofia greca  ai suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone  non pone in dubbio mai 1' evidenza dei supremi assiomi  della ragione ; non in dubbio mai la veracity del testi-  monio della coscienza psicologica e morale; non in  dubbio mai la validity del metodo dialettico e logico;  n^ in dubbio mai la conoscenza che Dio e, ed h distinto  dal mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge natu-  rale eterna e i doveri e i diritti che ne derivano. Ma  il Rucellai non fa come il GiureconsultoJRomano; egli  se ne sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del pro-  babile, e ritiene essa, la ragione, non potergli dare di  pill. E, lo ripeto, questo h naturale; imperocchd nello  svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire  che fra tante autorit^ opposte, la mente di lui si sen-  tisse quasi smarrita, e che egli, come molti altri, dubi-  tasse della ragione appunto, perch^ si palesava con     294 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   sistemi tanto contraij, e si rifuggisse nella fede del  sovrannaturale, sostenendo incapace la ragione a farci  conoscere la verity.   Gontro i sofisti, pertanto, ei ripete ed accoglie qiial  principio di metodo la proposizione socratica; ma  non sa derivarne, come Socrate, il suo mondo intelli-  gibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare, perche  sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di Platone;  ma si contenta di meno assai, sapendo bene di sa-  pere per fede, che egli stabilisce come unico fonda-  mento di assoluta certezza, con tal divario nell'inten-  dimento da' filosofi cristiani o dottori del Medio Evo ;  che, cio6, mentre essi ponevano la filosofia come pre-  liminare certo della teologia, sicchd d' ambedue si  faceva un' unica sapienza, accordando la ragione col-  I'autoritii (Vedi Beductio artium ad Theologiam di  san Bonaventura, e le prime questioni delle due Somnie  di san Tommaso e il Gerzone De octdo); il Rucellai,  invece, dichiara la filosofia seienza dei probabili, che  delle ultimo ragioni, alle quali conduce, possiamo sem-  pre comecch^ sia dubitare.   II Rucellai poi h moderno apparentemente nel  metodo, la osservazione, la induzione e 1' esame per  fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei  f^ftti, e giungere al possedimento del vero.   Galileo suo maestro osservava, provava, sperimen-  tava, induceva, riprovava nel mondo dei fenomeni, e  creava cosi la fisica ; e diceva sapientemente : il ten-  tar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e ab-  batteva V alchimia e quel castelli incantati d' ogni si-  stema a priori ; riconduceva la ragione al suo posto,  e facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose,  dove temerariamente se n' era salita, la riakava nel  fatto, poicM nell' ordine stia la grandezza e la perfe-     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 295   zione degli esseri. II Rucellai batte la strada del Ga-  lilei, ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il  metodo, ma a qual fine ? con quali intendimenti ? Per  arrivare con Galileo alia certezza naturale delle cose ?  Mi sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filo-  sofico contenga la risposta genuina e sicura. Notisi  frattanto, o meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni  dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, il Rucellai  protesta di voler affidarsi alia sua ragione, di volere  starsi all' esame dei fatti sia esterni che intemi nel  suo discorso filosofico, e di non accettar ciecamente la  autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e  ripete a ogni passo che non si deve formar giudizj  sopra quelle che pare a noi, ma e'fa mestieri esami-  nare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asseri-  sce a ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj  sta la verace maniera per trovar la ragione delle cose,  e non nell' affidarsi alia sola Sbuiorith dei Maestri ; che  d percid necessario deporre nelle questioni qualunque  maniera di anticipati giudizii a favore piiH d' una che  d' un' altra opinione, sia d'Aristotile, o di Platone, o di  Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd  r apprensione fa in noi grandissima forza, anzi iegli d  molto malagevole lo spogUarsene, quando ci si 6 fatto  r abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', coti-  tro i Sofisti). II lettore vede che qui tutto in apparenza  precede direttamente ; che il filosofo, nel metodo este-  riore, ^ seguace del Cartesio e del Galileo, oh' egli e in-  somnia un moderno. E, voglio avvertirlo, non intendo  chiamar filosofo moderno chi d' ogni autorita e sprez-  zatore, imperocchd allora bisognerebbe non fosse piil  uomo, essendo pur essa, I'autoritii, un elemento essen-  ziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh altri fecero  getto di quella ; chd anzi studiava il nostro matematico e     296 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   Platone e Aristotile, e da tutti, siccome Socrate, avea  ambizione di intendere, e I'autorM ragionevole di essi  fomivagli sussidio a conoscere la verity.   Se non che il Rucellai, che professa di seguire queste  onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di  esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si diparte. II  suo metodo ed il suo esame non 6 che un istrumento  per la vittoria della fede. In che modo ? Gik prima di  porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la  natura esteriore cio^, la nmana e la divina, ha determi-  nato in mente sua il punto preciso a cui egli vuole arri-  vare, non per teoremi razionali, ma secondo la fede sol-  tanto; e guai altrimenti, con tanta sfiducia in che e'tiene  le forze della ragione ! Egli ha detto : — Queste sono le ve-  rity inf allibili di nostra fede, alia quale io mi piego inte-  ramente : la umana ragione, pud ella, nel suo procedere,  condurmi alle medesime verity ? riesce ella a darmene  una riprova certa o soltanto probabile? Esaminiamo!—  Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo  per* scoprire la verita, come per il Galileo, per il Car-  tesio, e pe' filosofi moderni ; il Rucellai questa verita  nell'ordine degK enti la conosce per fede; il suo esa-  me razionale non ha per obietto di mostrare la potenza  della ragione, o anche 1' accordo di questa con la fede;  ma in lui e palesemente la preoccupazione di mostrar  coUa ragione la impotenza della ragione a dame cer-  tezza, per concludere poi a favore della fede che la  certezza pu6 venirci solo da questa, e che si accordano  con essa le massime probability razionali. In un tal  quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano  i Didloghi del Rucellai al Saggio del La Mennais Sulh  Indifferensa, ed in un altro rispetto ne dissomigUano.  Qual somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio  provare, come il Rucellai, la impotenza della ragione     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 297   a faxci conoscere con certezza la verity, certezza che  solo vien dalla fede. In che la dissomiglianza ? 11 La  Mennais afferma che la nostra ragione da s^ sola si  contraddice di necessity ; il Rucellai, per contrario, af-  ferma che la ragione pu6 giungere a dottrine piU o  meno probabili, e, come probabUi, in armonia coUa  certezza della fede. Che la ragione non si reputi ca-  pace da lui di giungere alia certezza, egli lo mostra  da cima a fondo ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia  naturale, e nella morale non arriva colF esame e colla  riflessione che a ragioni probabili piii o meno. Orazio  Bicasoli Bucellai, la sentenza socratica quesf uno to So  che nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano  per il suo metodo de' probabili alio scetticismo ; in  quella guisa medesima ch' ei la rid^ col suo eclettismo.  E tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socra-  tico in tutta la parte de' suoi Dialoghi, la quale si  comprende nella Villeggiatura Tusculana, che pur le  dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie  filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente sperimen-  tali fisiche, non professa guari come certe, ma come  tra le probabili le piii probabili, sulla scienza del  Mondo, e, come tali, da non escludere che altre in pro-  gresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il Timeo  di Platone, cosi nel trattato della Frowidenza^ che  chiude la Villeggiatura Tusculana, ei si restringe sem-  pre nel solito probabilismo, quantunque parlando del  Provvedere eterno, o dell' Arte divina nel mondo,  mostri credere fermamente ch'ella esiste ed opera in  esse ; ma le ragioni ed i fatti ritiene nient' altro che  come barlumi di quel vero, il quale per la fede reli-  giosa sfavilla alle menti che credono. E molto effica-  cemente della liberty egli discorre, facendo tesoro  degli argomenti recati in campo da'piH reputati filo-     298 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   sofi in sostegno di essa; ma con le riserye consnete  della Seconda Accademia, e considerando la ragione  come regina se non spodestata del regno intellettual/B  dell' Uomo, pur di ben misera autorit^ e ginrisdizione  sovr' esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd  di evidenza per lui, Bicchd per esse la ragione ritorni  sovrana, e siano del sapere i primordj sicuri. Nelle  morali verity poi lascia egli quel suo metodo dei pro-  babili e afferma con sicurezza ; ma queste affermazioni  non procedono da evidenza di ragione, bensi apparisce  chiaro che esse procedono dalla dottrina del Cristia-  nesimo intorno ai fini soprannaturali, ed ai precetti  per conseguirli ; tanto che le dottrine platoniche, ari-  stoteliche, ec, servono solo di raflEronto al catechismo.   Questo sia detto pel metodo della filosofia nelle  opere del Rucellai ; su che io stimo aver discorso ba-  stevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha avuto  occasione di fare da se, con qualche ampiezza, de' Dior  loghi filosofici di lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile per-  suadersene, che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclet-  tico, e pero dit mano di nuovo alio scetticismo, ripro-  ducendo cosi pure per la centesima volta le condizioni  del pensiero in quel secolo, ed espirando inalterata  I'atmosfera filosofica del suo tempo.   Vuole avvertirsi come i tre punti cardinali, a dir  cosi, del suo filosofare dovevan condurre»il Rucellai  all' eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy cer-  tezza per la fede ; secondo, cdmputo delle razionaU pro-  bability in sostegno della fede; ter^o, esclusione del-  r autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare,  secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche non avendo  il Rucellai piena fiducia nella ragione, escludendo le  particolari autorita dei filosofi, doveva naturalmente  ridursi a cercare i dati del suo cdmputo di probabi-     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 299   lita nelle opinioni varie di tutte le scuole, tentan-  done un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure e  Cartesio, Galileo e il Tradizionalismo, tali erano le  scuole principali che disputavansi il terreno in quel  secolo. Lo abbiamo veduto. II Rucellai ve le trova, ne  apprende gli intendimenti, ne tenia un accordo; diro  con frase piil viva, e che il lettore mi consentir^, ne  immagina una confederazione, con a capo, perche sfi-  duciato della ragione, la fede.   II Rucellai, pertanto, che ritraeva in tutto del  sue tempo, in cui la forza speculativa degl'Italiani  era svanita, e non lievemente svanita, di questa vi-  goria di speculazione non era pur egli a dovizia for-  nito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto  e generoso, a formar ciod questa sintesi, e comporre  un' armonia si sovrana. Era dunque inevitabile che in  queste armonie tentate ei si smarrisse, riuscendo in-  vece a una fantasmagoria di accordi, cioe ad un eclet-  tismo di quei vari elementi, di quelle dottrine diverse,  e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio scetticismo,  poiche r eclettisrao sia di questo una forma partico-  lare. E dico cid, distinguendo le intenzioni dalla essenza  speculativa d' un sistema. L' eclettico, per le inten-  zioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole opporsi  alio scetticismo: ma e scettico speculativamente, giacch^,  negando che la ragione abbia potuto mai produrre con  un criterio intrinseco suo, una dottrina non esclusiva  di sostanziali verity, crede che la filosofia si divida  tutta in sistemi particolari ed erronei, dal cui ricuci-  mento possa derivare la dottrina plena, o almanco la  dottrina massimamente probabile. Indi apparisce chiaro  che, quantunque V eclettico dica valersi d' un criterio  interiore od anche della coscienza, principalmente si  vale di im criterio esteriore o storico; poichd altri-     300 CAPITOLO BECIMOQUINTO ED ULTIMO.   menti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non im-  pugnerebbe la tradizione della filosofia vera, n6 la por-  rebbe necessariamente divisa in brani od in sistemi  erronei. Va bene che lo studio dei sistemi giova, bensi  come aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio  interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi  cimancasse. L'eclettico risponderd, forse:  Ma in tal caso, soggiungiamo  noi, se un criterio interiore vi ha sicuro, gli eclettici  ban torto dicendo che tutta la storia della filosofia h  una storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo  venire dal ricucirli insieme. Anche il tradizionalista  nelle intenzioni sue e dommatico, ma h scettico specu-  lativamente, poich^ non ammette razionale certezza.  Le quali cose ho volute notare per la natura del mio  soggetto, a far vedere cio^ che, filosoficamente consi-  derato, il Rucellai partecipa dei dubbj del suo tempo,  e che egli cerca rifugio dai dubbj dommaticamentenel  tradizionalismo, eniditamente nell' ecclettismo. Qual'^  infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed  a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si espongono  le dottrine de' piii antichi filosofi intorno a'principj  universali della natura, e che formano, ho detto, la  parte negativa del suo filosofare, il Rucellai non acr  cenna ad alcun sistema suo particolare intorno al prin-  cipio materiale dell' Universe, e solamente riducendo  al nulla e destituendo d'ogni valore di verity tutti  quei sistemi ritornati a vita dal Rinascimento, intona,  pud dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo  della nostra filosofia. Bensi noi ci accorgiamo di leg-  gieri come egli in quelle pagine stesse distingua bene,  del pari che Galileo e la scuola moderna, la scienza  metafisica dell' universe stesso dalla filosofia naturale  dalla fisica: progresso grande, invero, questo;unpe-     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 301   rocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e presso i Peri-  patetici formava parte integrale della filosofia la fisica.  o filosofia naturale, diversa assai dalla scienza meta-  fisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica  di Aristotile e di Platone, intendendo essi questa ap-  punto non come scienza tutta di esperimenti esteriori  (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia nel senso  che le diamo oggi ; vale a dire la scienza dell' ordine  mondano in relazione colPanima umana e con Dio;  sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima,  come r ultimo punto a cui la fisica menasse. Comunque,  la confusione della fisica coUa metafisica era in que' se-  coli giunta al colmo, cagionando que' conflitti e quel-  r eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili,  ognivolta gli obietti loro per natura ed essenza distinti  si mischiano. Ed i fisici che volevano farla da meta-  fisici, ponendosi a ricercare nell' ordine degli enti esterni  le leggi che governavangli, presumevano trovarne ap-  che i fini, invadendo per cotal guisa il terreno della  metafisica, con indicibile danno della scienza e del suo  stesso incremento. Ma il Rucellai, riconoscendo tutto  cio per la benefica influenza delle dottrine e del me-  todo Galileiano, sfugge i pericoU di queste confusioni  peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per obietto di  studio 6 d' investigazioni alia fisica, la quale intende  ne' termini stessi del suo maestro, riprovando nel fatto  del suo scetticismo, e del senso negative con cui in  questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella na-  turale filosofia architettata a priori o con induzioni ed  esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate  a vita e seguite, qual piii qual meno, da alcune scuole  del tempo suo. Tantochfe del medesimo Platone ei  rigetta le opinioni intomo alia formazione del Mondo,  come quelle che non si fondamentano sulle solide basi     304 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   relazioni di dipendenza dell' una parte dall'altra, e im-  plicitamente combattuto 1' errore di quei che V uomo  dicono operare in tale e in tal modo, col tale o tal  organo, perch6 ha quell' organo, non perchd questo  I'abbia avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto  capitalissimo nel quale il Rucellai, pur non escendo dal  suo probabilismo, segue la filosofia modema, n^ cade  nolle negazioni che delle cause finali si era &tto prima  di lui, e si faceva anche al suo tempo.   Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe recar  qui nuovamente le parole del nostro Scrittore, dove di  queste ragioni finali delle cose tutte dichiara la sua  credenza. N6 stard guari piii oltre a ricordare come  il Rucellai ancora dissenta da Platone che ammette  r Anima dell' Universo, mentre si adopera a scusarne  r errore, e a conciliare tal dottrina, interpetrandola  benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con  quelle religiose della Prowiden0a.   Come il lettore ricorder^, il Rucellai passando in  rassegna i yarj sistemi antichi della filosofia naturale,  pose avanti il concetto che Platone ayesse potuto in-  tendere di assegnare al mondo per anima sua la luce,  che per Galileo ^ a tutte le cose frammista, ed e la  estrema espansione della natura e in essa tutto risol-  versi di tutto cid che 6 nel mondo con la rarefazione.     N6 di cid abbiamo osservato esser pago il Kucellai,  che nel Timeo si fa varj altri quesiti intorno a quanto di  diverso dal fin qui detto potrebbe immaginarsi aver Pla-  tone opinato suUa natura delP anima universale, come,  per esempio. se abbia potuto creder esser quella Iddio  stesso, o TAmore. Indi dal primo supposto piglia le mosse  a confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle  dottrine stesse Platoniche e de' piCi reputati filosofi del  suo tempo, da'quali toglie gli argomenti probabili in  difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal  vedere che per tutto e seme di amore, nelle cose inor-  ganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da  considerare i fini della creazione, si domanda se per  anima dell' universe Platone possa aver tenuto I'amore,  come quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose  che per il loro difetto dal loro ordine deviano, e, libero,  le creature ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i sup-  posti spiega affermando che Dio non si deve confon-  dere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi  anima in un corpo ; che Y amore puo, ma non come  essere vivente, ritenersi per anima universale, sibbene  e Dio stesso, h il suo amore, o lo Spirito Santo, il  quale, virtii vivifica, e legge impermutabile infinita ha  valso air ora della creazione, e varra in perpetuo.   E a questo sense crede il Rucellai poter ridursi,  cristianeggiandolo, il pensiero del filosofo greco, della  cosmologia del quale ricorda alcune sentenze da cui  puo arguirsi che 1' amore abbia egli considerate se  non come 1' anima intera del mondo, almanco come il  fiore d'essa, che consiste nel medesimo; quell' amore  che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec,   20     306 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   altro non 6 nel suo concetto divino che la provTiden-  za, o lo spirito che di s^ tutto riempie 1' iini verso.   E quest' accordo tra Platone e la fede in tal su-  bietto palesemente dimostra aver tentato il Rucellai  ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali abbando-  nandosi spesso a mistici voli, si compiace rinvenire  questa profonda armonia tra il precetto di fede e il  pensiero del filosofo pagano, il quale, per lui, (ed ^ in  fatto), piii d' ogni altro nell' errore della gentility av-  vicinossi all' idea vera di Dio e de' suoi divini attri-  buti, quasi davvero gli si fosse in parte svelato.   E per concludere sull' opinione del Rucellai intomo  al mondo, resterebbe a ricordarsi del come egU ap-  plichi le armoniche proporzioni aU'anima dell' universo,  e in qual modo, altresi, riconosca I'importanza delle  matematiche nello studio di esso, e quanto potuto abbia  su di lui la benefica tradizione Platonica in questo  argomento. i] agevole in brevi parole sodisfare a que-  st' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro scrit-  tore, discorso delle matematiche, esponga neUa sua  verity r applicazione che 1' Ateniese fa di esse aU'ani-  ma Platonica, senza as^entirvi, non ammettendo Tanima  universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo  la intelligenza geometrizzante divina, il numero, V ar-  monia, dia lode a Pittagora, Platone e a Galileo che  fecero base dello studio del mondo le matematiehe, e  continui la tradizione perenne, chiamando con essi la  scienza delle quantity Vabbkcl di ogni sapere.   E come Platone, cosi il Rucellai, che ne illustra il  Timeo^ dall'anima universale passa a discorrere del-  1' anime razionali e della loro immortality.   II lettore ha tenuto dietro all' esposizione di questi  argomenti, n^ vale qui, anco in succinto, ritornare  sopr' essi pid. Certo, il nostro filosofo, ritagliando pur     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 307   qui dalle teorie platoniche sull'anima tutto quello che  alle dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti  di Flatone sulla natura ed immortalitS; di quella ac-  cetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di  Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi del Ficino  e de' neoplatonici del secolo decimoquinto, e anco del  Cartesio, contemperati da quello che la fede cristiana  ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili  assorgano alio splendore della certezza. Ch^ col lume  della ragione solamente nelle prove dell' immortality  dichiard anche qui nmi esservi da aspettarsi mai prove  convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot--  trina, percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se  ne puote, e trovarci da proporre molte verosimiglianze e  probability. E dove dell' idee parla, tenta (lo vedemmo)  un accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK  s' inalza la mente umana e le idee innate del Cartesio.  Imperocchd e' rigetta 1' opinione aristotelica, tor-  nata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo intel-  letto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga  a Bcriver man mano, e, pur senza sottoscriversi alia  teoria della reminiscenza nel sense platonico, ammette  invece la mente umana illustrata da un lume supemo  impresso in essa da Dio, quantunque poi non sia ben  chiaro del come cid avvenga, e anzi reputi questo un  mistero, nel tempo che Platone ammette chiara e de-  terminata la cognizione delle idee eterne. Non esclude  la relazione obiettiva di queste, e accostasi alia teo-  rica delle idee secondo il Cartesio, temprandola col  suo neoplatonismo, e combatte il Gassendi, non esclu-  dendo per6 quel che gli sembra contenere di buono,  fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e un po' di  1^ si puo venire a un terzo ripiego di verosimiglianze.  E in fatti ritiene come probabile che Iddio creando     308 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   ranima e infondendo in essa il lume delle idee, queste  per la nebbia del corpo e de' sensi yengano ad essere  alquanto nel loro fulgore offuscate, e i nuvoli della  materia parino la vista all' occhio deiranima, per modo  che anche da tal fatto del conoscimento imperfetto at-  tuale delle idee e delle cose arguir si possa Tadem-  pimento per noi del conoscere intiero in altro luogo  che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che in questa  teoria della cognizione e in quest' accordi e' non riesca  ben chiaro a determinar cosa pensi ; e che il suo pro-  babilismo assuma qui la qualita dell' esitazione e della  incertezza, e che in questa e'faccia pur altalenare la  mente del critico. Causa al certo non secondaria di  tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben diverse  dalla semplice erudizione , che mentre al probabilismo  suo pud dar la quality di erudite, non vale ad aggiun-  gere vigoria a quelle intelligenze spossate da' contrasti  di si diverse dottrine.   Che se dall' intendere dell' uomo passiamo al vole-  re, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai  ogni obiezione della scuola epicurea e determinista, la  quale niega la liberta umana, avemmo luogo di riscon-  trare anco qui il neoplatonico cristiano, il quale, fa-  cendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dal-  r antiche scuole fino a' suoi tempi a sostegno di essa  si recarono, manifesta 1' ampia erudizione della sua  mente da un lato, e dall' altro il suo intendimento di  una sintesi delle opinioni diverse, come per esempio  quella della liberty e quella del fato, lo stoicismo e  r epicureismo, del libero arbitrio e della predestina-  zione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvi-  denza. Cio che preme di notare si d in primo luogo:  che alle varie facolta dell' anima non fa corrispondere  altrettante anime, e, come a- dire, giusta il pensiero     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 309   platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva,  radice della conoscenza e del volere ; sibbene pur am-  mettendo queste distinzioni, le considera come quality  di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il corpo  deiruomo venne formato. In secondo luogo: che il  Rucellai ponendo in sodo, con tutti gli argomenti pro7  babili de' quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio  umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, pre-  cisamente come Platone faceva, e la possibility per  r uomo di tendere al conseguimento del bene perfetto  e della perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio  alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene persuasi,  e riandar col pensiero principalmente i due be'Dia-  loghi che nel trattato della Provvidenza si trovano,  dove del dono della ragione, e della liberty e del fato  discorre. Come in principio della esposizione della sua  psicologia e filosofia morale osservammo, giova ram-  mentarci qui esser questa la parte piil manchevole e  imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente al-  r intendimento mio, che ^ quello di dimostrare il suo  eclettismo, e V applicazione mancata in lui del Nosce  te ipsum. Vuolsi avvertire qui come succedesse al Ru-  cellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque  siaperaltririspetti la diversita d'ingegno, d'inchnazioni  e di successi dall' uno all' altro. II Cousin, cosi nelle  sue Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra  sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti di Cartesio  la necessity, dell' osservazione interiore o dello studio  della coscienza umana ;sicche parrebbe ch' egli lo studio  de' sistemi avesse dovuto subordinare a questo esame  interiore, e al criterio della coscienza. Ma invece lo  studio storico de' sistemi ^ V intendimento eclettico ed  espresso del Cousin che reputa trovare in essi la in-  tegrita della filosofia. Similmente il Rucellai ripete il     310 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   Nosce te ipsum di Socrate ad ogni istante; ma in fatto  poi si vale piCi eruditamente dei sistemi che non del-  r esame interioi:^. E come la interpetrazione negativa  del questo io so che nierUe to so valse al Rucellai d'im-  pulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad  una speculazione spontanea; cosi la parte dubitativa  negativa delle dottrine cartesiane servi d' impulse  al Cousin per il suo Edettismo.   Ed infatti, lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^  cui il medesimo Rucellai guarda e passa, nella parte  morale, senza dimenticare la stregua infallibile de' suoi  ragionamenti, le verita della fede, egli non voltando  le spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di  Aristotile e degli stoici cerca studiosamente di con-  ciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione  della virtii e nella classificazione degli ofBcj umani.  Si pud dire anzi che egli non abbia fatto che seguir  passo passo or questo or quel sistema e quel metodo;  che il suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia  piuttosto uno specchio delle sottili distinzioni di quelle  virtii e di quel doveri, che Cicerone viene nei suoi  libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in  mente quali fossero intomo la morale o la teorica del-  r operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della  Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore e mal-  levadore della Legge morale. La qual legge, imposta  al volere deiranima, da Platone stesso riconosciuta  e per la prima volta dimostrata immortale, riducesi  alia pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Ar-  chetipo sommo, ciod a conformare le nostre azioni alle  idee, anteponendo all' amore dei beni sensibili quello  del buono assoluto. La virtii d una ; ma comprende in  se quattro elementi, che corrispondono alle quattro  virtti conosciute da noi sotto il nome di cardinal!, sa-     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 311   pienza (sofia), coraggio o costanza, temperanza e pro-  bity giustizia. L' applicazione della legge morale  non gi^ alia volontS; degl' individui, ma a quella del  popoli e delle nazioni, costituisce la politica nel senso  di Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a s6 stesso,  allorch^ distinti nello stato i tre ordini, ottimati o  sapienti, guerrieri ed operai, questi faceva servi, non  punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore,  quando, per esempio, pigliando a massima che 1' utile  non dev' essere un diritto esclusivo e che dalla society  umana vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegit-  tima, ne inferiva la comunanza dei beni e delle donne.  Per Aristotile il bene morale ^ la felicitit, il bene as-  soluto e la beatitudine perfetta che comprende V atti-  vit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' ope-  rare umano ^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa  raggiungere la felicity, che ^ la somma dei godimenti.  II bene finite non § che un accostamento al bene as-  soluto: desso bene s'identifica col fine, e perd la ri-  cerca del bene e del fine si unificano. II mezzo per-  tanto di conseguir questo bene, ossia la felicity, § la  Yirtti. La quale consiste nell' evitare i due estremi  del vizio, come la vilta e la superbia, tenendoci nel  giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h  la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno tra  loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or bene, ognun vede  subito come la base su cui si fonda la giustizia d  per Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce  Platone.   Imperciocchd Aristotile parta dallo studio del-  rUomo e dei fatti sociali, e sia guidato, come Pla-  tone, dall'ideale del bene assoluto, ed essere divino;  ma pero il suo ideale 6 il tipo perfetto della virtd,  cio^ la beatitudine, che • comprende attivita perfetta e     312 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   godimento i)erfetto ; mentre 1' ideale Platonico contiene  r unita perfetta, assoluta, e percio il niodo di render  giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di  nniiicarli il piii possibile.   E infine quail erano gl' intendimenti degli Stoici?  € Insegnano (riepiloga il Paysio nella sua SL deUa  FUosofia) che ogni male ed ogni bene ^ solo apparente  o relativo, tranne il vizio che d un male vero e posi-  tivo, e la virtii che ha in se un valore assoluto. La  virtii ^ una sola, un solo il vizio, e tutte le buone  azioni fra loro, come fra loro le cattive, sono equi-  valenti ; ma la virtti si esercita in quattro modi  principalmente, colla prudenza, col coraggio o for-  tezza d'animo, colla temperanzia e colla giustizia;  e dicasi lo stesso del vizio, le cui forme stamio  negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj  opposti.   > La virtii che consiste nel vivere secondo la legge  della ragione bene ordinata come il yizio (^ una con-  seguenza della ragione disordinata o pervertita, che  non sa vincere le cattive inclinazioni, sradicare gli af-  fetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero  vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici chiamato apatia^  nel quale 1' animo senz' essere insensibile, e pero libero  da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa tur-  bare la pace interna. Questa la mercede alia virtd  promessa, questo il premio accordato al sofo o saggio,  r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e agli errori  dello stoicismo, che qui non giova rimettere in mo-  stra, ognuno scorge nel sistema un germe di nobiK  dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare in lui il  sentimento della propria dignity dagli Stoici (s(^-  giunge il Paysio giustamente) portato fino all'or-  goglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 313   menzogneri disdegna, e i inali pcggiori non cura, anzi  disfida.   » Si fractus illabatur orbis  Impavidum ferient ruince. »   (HoRAT., lib. Ill, od.S.)   Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del Ru-  ceUai, non che sparsi poi in tutti gli altri, preci-  puamente nel trattato della Provvidenza divina, noi  ritroviamo predominare quest! tre sistemi da me rian-  dati di volo, e del quali egli cerco, tolto da ciascuno  il non buono, T accordo, subordinandolo sempre, s' in-  tende, ai principj della morale cristiana che irraggia  e vivifica V umana coscienza. Pone egli, con Aristotile,  mezzo della felicity la virtii che sta tra due estremi ;  con che non dee intendersi il mediocre, sebbene la  giusta misura oltre la quale e un trasmodare. La ra-  gione, egli dice poi con Platone, fonda i suoi motivi  sulla costanza de' beni, e con gli Stoici stima beni  anco i mali present!, che perd menano a felicity. E  distingue con Aristotile tre sorta di beni, ieWAnima,  della fortuna e del senso^ e che nel definir giusto la  natura di quest! beni, e aggiunge quale tra essi costitui-  sce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia morale che ^,  dice egli, la pii\ vera e megliofondata filosofia deU'Uomo.  La quale null'altro 6 alia per fine che il timore di  DiOj in che sta il vero mezzo di conseguire la vera  felicity, ciod il Paradise, che equivarrebbe al possesso  del Bene sommo, assoluto di Platone. Qui il Rucellai  segue addirittura le credenze religiose, alle quali vuol  ricoUegati i sistemi di morale antica rivissuti ne' con-  temporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui par-  rebbe escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine,  a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi fiate il  filosofo nostrp vada ripetendo che la virtil dee eserci-     314 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   tarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell' esercizio  di essa debba Y Uomo ritrovare quaggiii la vera feli-  city. Pero quantunque il Rucellai abbia posto a fon-  damento della morale la libertlL umana, siccome ve-  demmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^ del percM  della Legge morale ragiona, cbe ha fondamento nel  divino e trae dalla mente eterna la sua forza, la sua  sanzione : invece li pone come postulati necessarj e gia  consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi, quan-  tunque non manchi di distinguere tra legge divina e  naturale, e tra naturale e positiva.   Nella divisione poi delle rirtii e nell' analisi di esse  e degli opposti loro, segue Aristotile, Cicerone e  san Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo  stabilire il fine della Society umana, cbe riconosce nel  Bene comune, nell' utile coordinato all' onesto : ond' 6  ch' ei tiene per principal fondamento dell' umano con-  sorzio e regolatrice degli Uffizj umani la giustimy e  poi le altre virtii, cbe insieme a tutte le loro compa-  gne secondarie definisce con san Tommaso, come que-  st! le avea alia sua volta definite con Cicerone e con  Aristotile.   E nel dividere gH ufficj stessi dell' uomo, segue il  Rucellai Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi  non fa cbe ripetere in compendio tutto cid cbe il giu-  reconsulto romano lascid scritto intorno a sifiiatto ar-  gomento, temperandolo sempre con 1' insegnamento  cristiano. In conclusione, come nel tempo suo anco  nolle questioni supreme morali riscontravasi un con-  trasto di dottrine, la platonica, 1' aristotelica, la stoica,  la epicurea, la cristiana; cosi negli scritti morali del  Rucellai tutti questi diversi elementi ritrovansi in un  singolare eclettismo riuniti. E bo detto ancbe la scuda  epicureaj e non a case; imperoccb^ il Rucellai stesso     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 315   non escluda che pure i beni del senso ordinatamente  goduti sieno fonte di felicity, e mezzo al conseguimento  del vero bene; nel che scorgesi tosto bensi la diflfe-  renza tra lo intendimento Epicureo e quelle di lui ;  poich^ mentre Epicure e i suoi seguaci nei beni del  senso ordinatamente goduti fanno consistere il vero  fine della natura umana; il Rucellai tempera e cor-  regge tale dottrina, restituendo a' beni sensibili il va-  lore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di  mezzo al raggiungimento del fine supremo dell' uomo,  che 6, giusta Platone e il Cristianesimo, il Bene Sommo,  Iddio.   Proferendo questa parola, entriamo finalmente nei  penetrali della teologia : esaminiamo brevemente se pur  in essa il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di  che, dato un rapido sguardo alio stile e a' personaggi  de' suoi Dialoghi, avrd terminate.   Come Platone, cosi il Rucellai riguarda Dio ente  eterno, infinite, beato in sd e finalita suprema, nella  cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre  Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a Dio la  materia, egli, il Rucellai, col Cristianesimo si scosta  qui dall' insegnamento platonico, e professa Dio crea-  tore ex nihilo, tomando poi con V Ateniese e Pittagora  a considerarlo com' eterno geometrizzante, ordinatore  e provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte  divina che si manifesta nel Monde trae argomenti pro-  babili dell' esistenza del supremo Facitore, non esclu-  dendo perd affatto la possibility della prova a priori^  quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' in-  finite argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sem-  pre a cardine de'suoi ragionamenti le verity della fede.   E nel passare in esame il trattato sue della Prov-  videnza, credo il lettore abbia veduto il Rucellai far     316 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro  r Epicureismo, specialmente della filosofia de' Padri del  Cristianesimo, sovrattutto dove discorre del mali e del-  r origin loro, dimostrando come di veri mali sia sola-  mente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero  arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo e prowi-  dente per sua natura, non possa essere origine di male  vero ; mentre quello che a noi nella natura sembra  male, o ^ limit e naturale delle cose, siccome la morte,  e pero non e male in s6 ; ovveramente 6 del fatto, che  giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine o Tor-  dinamento, e in tal caso egli e questo un errore delle  nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come ve-  desi, ha seguito Platone, e gli Stoici, e la tradizione uni-  versale cristiana. Ma per 6, ricordiamoci anco una volta,  egli, affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara  di non potere escire da' limiti del probabilismo, e di  esser necessario lo starsi a quel che la Fede ce ne  disvela, imperocch^ V uomo che colla sua ragione  sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa  iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter Die e  nel provarne la sua esistenza ; Cristiano nell' ammet-  terlo come Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni  di ragione ; mistico e tradizionalista ne' suoi intendi-  menti e nel suo metodo reale, generalmente seguito  nell'intiera opera sua.   Egli e dunque il Rucellai nell' esame de' tre obietti  deUa filosofia, V Universe, 1' Uomo, Dio, una seconda  volta scettico filosoficamente, poich^ egli non esce dal-  r eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato) 1' eclettico,  sfiduciato dal contrasto turbinoso delle opinioni e de'si-  stemi diversi, abbia perduto ogni stima nel criterio in-  teriore della coscienza, che ei reputa incapace da sola  a riconquistare le regioni della verity ; ma pur bramoso     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA BEL RUCELLAI. 317   di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel  che gli pare sufficiente a ricostituirsela innanzi gli oc-  chi, formosa piil ch' e' pud, affine di sottrarsi alia de-  solazione del nulla.   Se il Rucellai abbia vissuto in un' et^ di contrasti,  vide il lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del  suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale che raen-  tre giustifica in parte almeno il suo errore, stabilisce  il punto di vista importante sotto il quale si pud con-  siderare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disci-  phne filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali  il pensiero umano si svolge nelle vicende de' secoli.   Un' ultima considerazione. Essa risguarda la strut-  turade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma este-  riore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando anco in que-  sta un triplice riscontro della verita del soggetto  propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre  dopo il gia osservato superiormente, riandare anche  per capi, le condizioni della lingua e letteratura del  tempo. Noi le abbiam presenti, e basta esaminare la  forma esteriore e lo stile de' Dialoghi del Rucellai, per-  chd sia evidente la rispondenza tra le prime e i secondi.   Qual' e infatti la forma de' suoi scritti filosofici ? II  dialogizzare socratico, forma prediletta nell' antichita,  risuscitata in Italia fin dal trecento dal nostro Pe-  trarca. Quella forma preferita pur anco dal Galileo,  siccome la piii acconcia a dar calore di vita alle dot-  trine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come es-  seri animati. II Eucellai, anch'egli ammiratore delle  dottrine platoniche, e seguace almeno esteriormente del  metodo di Socrate e del Galileo in quel secolo, oltre  dettar le opere sue nella lingua volgare, predilige ac-  conciarle a quella forma cosi semplice, come efficace,  e che tanto bene opponevasi anco in cid al fare irto     318 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.   e disarmonioso de' Peripatetic! eccessivi e della Scola-  stica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli Aver-  roisti), la quale, per cosi dire, gelava il pensiero in  quelle forme secche ed incadaverite, e rendeva gravosa  la scienza destituendola di ogni attraimento ; con che  non vogliaino offendere la temperanza de' libri di san  Tommaso, pur nelle forme sillogistiche. Imperciocch^  la scienza sia non un che morto, ed astratto, ma par-  landoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo, della  vita divina e delle loro relazioni, debba esser anzi su-  premamente viva, ed adoma di bellezza giovanile, per-  ch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti.  Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese, ne'cui 2)ia?o^M  tu senti spirare quell' anima dell' universo che nelle  sue poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo  battere ad ogni istante di palpiti sovrumani e rispon-  dere alle celesti armonie, e Iddio come sole intelligi-  bile scaldare, fecondandoli, i germi preziosi di quella  mente, dove sorrise perenne la primavera del bello.  Orazio Rucellai commosso da questi concenti divini,  voile nell'opere sue imitare Platone e la sua arte;  e, per dir vero, nelle sue platoniche descrizioni, nel-  r introdurre il discorso suUe diverse materie con abba-  stanza facility, e saper man mano socraticamente pro-  cedere nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il  Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua pur qui compa-  riscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd tu incontri, per  esempio,uninterlocutore che senzainterruzioniperpren-  der fiato e per rompere la monotonia prosegue per lun-  ghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come  se si trovasse in una scuola, sur una cattedra; e le  immagini e le frasi ritraggono talora di quel colorito  che i tempi seco portavano, come ho avuto luogo di  fare osservare per le poesie e per le prose letterarie     OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 319   di lui. Con tutto cid la lingua d tersissima e ricca, e  in generale lo stile allettevole e ripieno di pure bel-  lezze : e ti 6 dato in questi Dialoghi ammirare delle voci  preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come  nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere volgari  di Monsignor Piccolomini, la genuina favella dottri-  nale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri.   E la natura diversa de' personaggi adoperati dal  Rucellai e un' ultima conferma delle nostre persuasioni.  Infatti basta a tutti ricordare chi pone a maestro e man-  tenitore principale de'suoi Dialoghi iilosofici. fi il Ma-  giotti, un neoplatonico vero, e seguace delle dottrine fisi-  che del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente inclinato  al tradizionalismo, per guisa che laragione destituisca del  suo legittimo valore, e criterio supremo della verity pro-  fessi solamente la fede rivelata. E gli altri poi, credenti  tutti, fingono di tenere o da Epicuro, o da Cartesio, o da  Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale  precipuamente questi Dialoghi furono scritti,fa il Eucel-  lai rappresentare la parte fanciulla della ragione sola,  che cerca liberarsi dai dubbi che I'assalgano; dubbi che  vengono passo passo fugati dagli altri coll' autorit^ di  Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd,  io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro argomenti  probabili, per trovar quindi V intera pace deir anima  nella certezza evidente della verity della fede. Come  vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la na-  tura del filosofare del Eucellai, il suo metodo, il suo fine,  e dimostrano essi pure quant' io non andassi errato  definendo la filosofia o il probabilismo filosofico del Eu cel-  lai : un viaggio alia fede e colla fede per la natura e  per la ragione.   Concludendo, io dico che in quella guisa che nel  consorzio civile del secolo XVII, pure nel Eucellai     320 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO,   trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e delle  dottrine, giusta che ce ne fecero testimonianza e la sua  vita, e le sue poesie, e le sue prose letterarie e scien-  tifiche, ed infine i suoi Dialoghi filosofici. Che percio  egli vale meglio di ogni altro a rappresentarci il suo  tempo, le quality costitutive di esso in Firenze, imper-  ciocche mentre tutti gli altri, chi ad una piuttosto che  ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piutto-  sto che un altro seguitava, o nella fisica, o nella filo-  sofia; il Eucellai che chiude V eik del Rinascimento,  tien dietro a tutti, e da tutti trae a comporre Tedi-  fizio suo, i cui materiali concilia ecletticamente con la  verity della fede che gli fa da cemento : e, altresi,  perch^ questa conciliazione ha piil dell' accademico che  deir intimamente speculative; speculazione, che salvo  le scienze naturali, era molto fiacca a que' tempi nella  sua patria.   Sembranmi chiare le premesse, legittima la conclu-  sione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia speranza  di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio illustre Con-  cittadino reso onore vanamente. II benevolo lettore che  mi accompagnd lunghesso la via, non serapre, a dir  vero, amena e leggiadra, giudichera : e il suo giudizio,  qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sa-  piente e amorevole a nuove e maggiori fatiche, delle  quali sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore*     APPENDICE.     ANTOLOGIA DI COSE INEDITE     DI     ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.     ai     OTTAVB.     ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS,  Frincipessa di Toscana.   Per un mazxolino di Fiori donatole il giomo di Santa Mar^herita   dal Priore Orazio Rucellai,   Quando lacrime sparge il di nascente  Dal sen delPalba in rngiadoso nembo,  Ghiare conche eritree del mar iremente  Teti gli appresta, e le raccoglie in grembo.  Poi spiega il Sol dal lucido ori'ente  De'raggi onde si veste aurato lembo,  E con alta virtii di sue faville  Ragnna in perle Talbeggianti stille.   Ma non tutte del mar Palta Reina  Accolse in Bh le prezi'ose prede;  Oh! a te di quella inargentata brina  Tatto cosperso il bianco sen si vede,  E 1 sol degli occhi tuoi le tempra, e a£&na  In piii pregiate e chiare perle, e cede  Quel cbe risplende con eterni ardori  A te, donna reale, i primi onori.   Or qual pegno al tuo nome in si bel giomo  Bender potr6 d* ossequioso affetto?  Questo di bianchi e casti fiori adomo  Ficciol fascio odoroso al Regio petto     324 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Ahi non s^ aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno  Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto;  Qual sotto a'rai del sol smonta e s'imbrana  YergogDando di se 1' argentea Luna.   Dun^ue h vano tentar I'alto pensiero,  Che seguir non lo puo mio stato umile,  Ma pur conMo troppo ardito, e spero  Che lo mio buon voler non prenda a vile  QuelPeccelsa bonta nota alFImpero,  Che pur suole aggradir dono servile,  Se un timido rossor purpuree rose  In fra ^1 candor di questi fiori ascose.     SONETTI.     Si querela che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi   della sua Donna,   Ombra il sonno e di morte, i sensi atterra,  E gran parte di vita alPuom ritoglie,  Che quasi dal suo vel Talma discioglie,  E n'insogna le vie per gir sotterra.   Sonno s* altrui dk pace, a me fa gaerra,  Che '1 vivo lume a quei begli occhi togUe,  L^ dove amor del Paradiso accoglie  II piii bel raggio che risplenda in terra.   Ben a giusta ragion lagnar si vole  Questo mio cor, ch^in preda al sonno oppresso  Scorge in si lunga notte il suo bel sole;   Se 1 Poeta, che gih, d' Apollo istesso  Segui la fronda, si di lei si duole  Che 1 batter gli occhi suoi fusse si spesso.     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 325     Sentimenti amorosi in morte di sua Donna,   Qaella che sola ai miei pensier risponde,  E i sensi del mio cor penetra e intende,  Talor tra 1 sonno a consolarmi scende  Fercbe tregua il mio duol non aye altronde.   iDdi lace si pura in me trasfonde,  Cbe quasi senza vel V alma comprende :  Quantu e la su di bello, e come splende  Quel Yolto in Giel che poca terra asconde.   Dicemi: apprendi che caduca e frale  Nel mondo ogni bellezza a morte fugge,  E contro morte il sospirar non vale.   Ogni cosa col tempo il tempo strugge,  Ma se miri il mio ben fatto immortale,  Non ha chi lo contrasti, o chi V adugge.     Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico, che Dio creasse  V anime particolari degli uomini dagli avanzi delVanima uni-  versale del mondo.   Con eterne faville il sommo sole  Suo divino valor nel moudo accese,  E quelPalta ragion dal Ciel discese,  Ghe spirto infuse a cosi vasta mole.   Ma percb6 si belF opra adempir vuole,  I preziosi avanzi in man riprese,  E vostr^ alma gentil formarne intese  Con divine virtudi al mondo sole.   E se mille anni, e mille altri compose  Spiriti accesi da si ardente zelo,  Qualche raggio piu vivo in voi nascose.   E 'n porgervi natura il mortal velo  Tanta cbiarezza e leggiadria ripose,  Cbe ben traspare in voi cbe cosa e Gielo.     326 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE     Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio,   Padre del Giel, che le beiralme accogli  Quasi figlie smarrite entro al tuo seno,  Dall^ atre nubi a lucido sereno  Teco r inalzi su gli empire! sogli,   Dal tenebroso carcere ritogli  La mia, cli^e mai si presso a venir meno,  £ di questo mortal limo terreno  La man che pria vestiUa or ne la spogli.   Se col tuo sangue ricomprar yolesti  Da rio seryaggio i miseri mortali,  Gosi gran somma anco a mio pro spendesti;   Da si caduchi ben, si grayi mail  Per gir lieta a goder beni celesti,  Tu sol puoi darle il volo, impennar Tali.     DELIA CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA   LIBELLO   DEL PRIORE ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.     L* ngniaglianza di tutte le condizioni degli uomini alle pretensioni di  Roma fa sempre giovevole, sincbe le digniti e le grandezze fiiron  premio solamente de'meriti e delle yirth,   Capitolo Peimo.   La costituzione di questa Repubblica universale di Roma  si forma dal concorso di tutte le Nazioni cattoliche, e dal-  r aMuenza continua de' pretendenti, i quali, gonfiando le rele  delle proprie speranze, qua si trasportano da qualunque re-  gione del mondo. Ebbe per suo sostegno nel suo originario  Institute quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Ari-     m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 327   stocratico e Democratico, reputato per la forma piti dura-  bile, e meglio ordinata di tutti i govemi, dov' ella si man*  tiene nella sua bene accordata armonia, e che runo stato  di essa ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso  deir altro.   Nel Papa risplende la Maest^ del primo, che ha in s^  la plenitudine dell* autorita Ec^lesiastica indipendentemente  da ogni altro fuori che da Cristo, di modo che niuno, ne  -il Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' deli-  bera, se non per ragion di consiglio; ne' cardinali, come  senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il  quale farebbe perfettamente il suo officio, dove i Papi con  esso loro consultassero gli afifari maggiori di Santa Ghiesa;  staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben  purgate et assicurate dalle passioni, e da genj; ma T auto-  rita maggiore del Sacro Collegio si conosce nelPInterregno,  rendendo i cardinali venerabili a ognuno la voce attiva  e passiva che egli hanno al papato negli altri ordini del  Clero universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sa-  cerdoti, e de'religiosi; come altresi nella moltitudine innu-  merabile de' pretendenti si considera lo stato popolare, impe-  rocche egli avevano grandissima parte nell'elezione de'Papi;  a' vescovi apparteneva dare il lor voto per le discordie di  Religione, e per la riforma de'costumi Ecclesiastici nella  celebrazione de' Concilii, e dal concorso di essi insieme con  1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti De-  creti. II Clero poi aveva il gius dell' elezione de' vescovi, e  questi, quasi sto per dire, indipendentemente reggevano gli  affari spirituali e temporali delle lor chiese: masopra ogni  altra cosa, che fa riguardevole e stimabile il comune del  popolo h, che ciascuno, di qualunque qualita o condizione, e  ngualmente abile a divenire Principe, Padrone di Roma, e  capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina,  che la sostiene, a tutta 1' umana generazione benignamente  sguardando, h volta con pari misura al bene comune di tutti;  appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi, e  la chiarezza della virtu ne distinguono, dove, quantoanoi.     328 ANTOLOGU DI COSE INEDITE   roscurita e lo splendore del.sangue, la poverty e le ric-  chezze disagguagliano.   Era danque ben dovere che la Bepubblica generale di  tntti i Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse  differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo ugualmente  di tutti i Gattolici, e fin tanto cbe ella si mantenne nel  vigore del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi  priyati non guastaron questi ordini, e non isconcertarono  U temperamento di cosi ottimo e profitteyol governo, qual  requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli  stati degli uomini tanto celebrata a Roma, per costitnirla  una patria veramente comune? Cosi invano si sforzavano  le due Ministre del mondo, dico la natura e la sorte, di dar  talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o un yil me-  stiero, e si ad un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri  oscuri cbiarissimo nascimento, percbe in Roma si uguaglia-  yano gli uomini, yeggendosi taluno col mezzo della yirtu  d^ infima miseria a stato reale eleyarsi. Altri, per lo contra-  rio, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevis-  simi spazi yenire al nulla, e perdersi ben tosto fra la cali-  gine della propria ignoranza, per guisa cbe con I'opere  solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita accattate  dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di qualunquepiu  degna prerogatiya, essere ascritto a quel sagrosanto Senato,  e diyenire Vicario di Cristo, e Principe di si gran condizione.   Ma a poco a poco una tale ottima instituzione traligno  ancb' ella in abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe coman-  dano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel Reg-  gimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli affetti, e 1' util pri-  yato si mise sotto il pubblico bene. La potesta dello stato  maggiore assorbi la forza, e sconyolse le operazioni degli  stati minori; ruppersi quelle bilancie cbe teneyano equipon-  derato il goyemo, e rimase confusa in loro la distinzione  de' pesi, si cbe delle tre forme sopraccennate altro non ci  resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe la parity degli  stati nella Corte di Roma senza il pareggiamento de' meriti  h dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 329   plebei, cbe s* inalzano indegnamente ad uguagliarsi co^ nobili,  non da' nobili, cbe contro a ragione si yengono a pareggiare  co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa cbe lo splendor e  della stirpe non conyiene cbe abbia yantaggio sopra la  nobilta de' costumi, e degli ornamenti delP animo cbe illu-  strano ancbe i piu yili; cosi non debbono pareggiarsi que-  st! con quelli, quando con 1* azioni virtuose e grandi non si  solleyino dalla bassezza di lor natali. Ecco come si sono  smarrite le yere yestigia della yirtu cb' erano tanto piii cal-  cate in Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareg-  giavano tra lore gli ingegni, allorche gli uomini eziandio  di piccol essere avean questo unico mezzo di farsi grandi,  e che il saper solamente e '1 yalor degli ignobili era prefe-  rito alia dappocaggine, e alPignoranza de' nobili. Ma per-  cbe oggi si misurano le abilita degli uomini non da' meriti,  o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal genio di cbi coman-  da, imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero  molto maggiore, perde notabilmente la condizione delle fami-  glie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di cbi  porta gli stimoli dell' onore dalla nascita e dalla educazione :  cosi presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e  le buone arti, e la reputazione, assodate prima con 1' esem-  pio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero a spegnersi  del tutto con 1' accrescimento, e con la stima di questi. Per  tal via si sono tolti dall'uso comune di Roma tutti i ter-  mini dell' onore, restan priye d'ogni fede le promesse et i  giuramenti, e dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo  e i sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo  ben nato, e si pure mantengono in creanza e ben collegate  tra loro le conyersazioni civili. E perche all' abito clericale  non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi  largo con la spada, sottentrano piu ageyolmente nell' usanza  degli uomini le occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente per-  fidia, yiepiu da temere cbe non e se affrontata ed aperta.  Gobi col dominio degli infimi resta come del tutto abolita  la coscienza dell' uomo onorato e da bene, e yiziaronsi ancbe  i nobili, percb6 con I'uguaglianza delle fortune indistinta-     330 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   mente si miscbiarono i sangui e si corruppero gli animi,  lasciandosi yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi  yestendo il manto sacerdotale sotto gli onesti titoli della  pazienza e della Legge divina, cbe per ogni altra cosa di-  spregiano, d' ogni generosity si spogliarono, ond' egli hanno  convertito in altrettanta vilti d' animo 1' antico sperimen-  tato valore. Per la qual cosa non ci essendo tra gli uomini  altro tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i manca-  menti della parola, se non prendersi (cavallerescamente par-  lando) V un dell' altro soddisfazione con V arme, perche que-  8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati sempre  yiepiu i mancamenti, e gli inganni dalla continiia impunita  cbe e' godono senza legge civile o cavalleresca venina.  L' interesse dunque si e lo intendimento primario e la scorta  de' pretensori, e dove I'uomo studia al giiadagno, per lo  pill studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \in-  coli deir amicizie non li coUega qua in Roma la similitiidine  delle nature, o delle virtti, o vero un desiderio reciproco  I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una mutua  speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per mezzo dell' altro,  e dove quelle la fortuna buona o contraria non ba forza per  dislegarle, come non ebbe parte nell'unirle insieme; queste  la sorte quasi sempre le annoda, et ad arbitrio suo le discio-  glie. Cbi viene dunque a pretendere a Roma, ricerca sopra-  tutto la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova aper-  tura, quivi s'ingegna di concatenare i suoi in guisa tale,  cbe 1' altro si pensi di migliorare per mezzo di quegli le  condizioni de' proprii ; lo spendere offizii per motivo di me-  riti, e di magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le  dimostrazioni di generosita ban credenza ; e se talora se ne  vede qualcbe atto apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro  qualcbe occulto interesse cbe gli da fondamento, e lo muove;  altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre dietro alle voci,  senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane  in poco d' ora agevolmente cbiarito. La speranza di compia-  cere ad un fautore potente, il reputare cui si favorisce per  mezzo efficace a qualunque intendimento privato, fanno ope-     DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 331   rare con caldezza, e chi sapra in Roma rinvenir questo filo,  et attaccarcisi con proporzione, avra vantaggio notabile nelle  fabbriche de'proprii concetti.   L' importanza e dunque conoscer le cose nelle lor prime  cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere le cifre degli animi,  le quali molte volte altro significano neU'interno, di quel  che indicano altrui i caratteri esterni. Per tal conto e neces-  aario lo informarsi de'fini particolari, e de'pubblici, delle  nature, de^ temper am enti e de^ genii, delle dependenze e degli  odii occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori, che  vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si ancora delle  sostanze e delle fortune loro, perche si antiveggouo per  questa via di molti successi, e sono tanti sentieri aperti agli  avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi per i quali, quando  la via maestra e chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' tra-  ghetti e per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per  lo dritto. Pero si vede che lo interesse affina gli ingegni,  e come suol far la virtu, insegna anch' egli a superar le pas-  sioni, e molti atti di avvedimento e d'industria, che v61ti  a fine d^ onore e di gloria sarebbon virtuosi, si adulterano  per la corrotta e maculata intenzione, a che incamminati  sono; la soUecitudine, la vigilanza, la destrezza e le altre  operazioni migliori delFanima usate ad esser ministre per  qualificar le azioni buone, servono per render piu fraudo-  lenti i pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir am-  bizione, delP invidia, che sono 1 sensi piu comuni di quel  che pretendono a Eoma, i quali usando il bene male, e  valendosi della piu oculata prudenza per giungere dove essi  bramano, avviene che molti si chiamin grand' uomini e  saggi, cio argumentandosi dall' operazione de' mezzi, che di-  rebbonsi misleali, pigliandosi la riprova da' fini. Per questo  i vizii in mano a costoro peggiorano quel piu, con cio sia  che non solo sono prodotti dal senso, ma camminano sotto  sembianza d' una simulata virtu, e sono regolati dalla finezza  e dal discorso dell' intelletto.   Ma odasi cio che dice di Eoma Quinto Cicerone #al fra-  tello quando e'chiedeva il Consolato : «Fissatevi (diceva egli)     332 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   nell'animo queste tre cose, e dite da per voi stesso: loson  uomo nuovo; domando il Consolato; e, quel che e piii nota-  bile, questa Roma e mescolata di varie nazioni, dove sirag-  ^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi.  Qui si ha da patire V arroganza di molti, la perfidia di molti,  la malevoglienza e la superbia di molti, e di molti pure gli  odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa di mestieri  un gran consiglio e una grand' arte a voler vivere tra' tanti  uomini, e tra tante sorte di mali per ischivar le offese, per  ischivar le bugie e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed  e malagevole ad un uomo solo adattarsi a tanta variety di  costumi, di discorsi e di volont^, massime che in questo  fuor di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la peca-  nia e' regali, ciascheduno della virtii si dimentica, e della  dignita. » Sin quidisse Quinto al fratello; il che ho voluto  registrare in questo luogo, accio si conosca che o sia la  positura del Cielo, o si pure la necessita de' medesimi fini,  negli ultimi tempi della Repubblica Romana (forse come  oggi) adulter ati e guasti, hanno come posto i temperamenti  conformi; influiscono similmente negli animi la stessa ma-  niera e inclinazione di costumi, e nell' una e nelP altra  etade s' introdussero e stabilironsi nella Corte di Roma  contro la virtu e contro la pieta della sua primiera institu-  zione, tutte quelle arti che piu si producono dall' opera della  malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo dunque  concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appog-  giata sopra I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della  virtu; perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto  gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano tra loro atti di  confidenza, e piu liberta di tratto. E le destre che sogliono  essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno,  e dalla malizia di farsela I'un I'altro a tempo e con van-  taggio, e quegli solamente e stimato piu valent' uomo, che  puo pi^. Quindi avviene che qualunque e reputato uomo di  valore nell'altre region! del mondo, venendo a Roma, si  perde, trovandosi in una differente scuola da quelle, ove  s' apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni.     DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 333   Quei dunque che si mette a vivere in questa Corte, non  basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene  il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda pero alio stile  del paese, mantengasi nelP arti virtuose, ma assuefaccia  r animo educato ne* buoni costumi a non si scandalizzare  da' pessimi.   Molti giungono a Roma, e se di eubito e all' improvviso  loro precipitano addosso similisorte di mali, si perturbano  e sovente escono de' termini, e yi ruinan sotto; ma se loro  si da punto di tempo, il far passaggio dalla virtu al vizio  e molto piu agevole, che non e quello da' vizii alle virtu,  perche son mali che feriscono solamente le opinioni accre-  ditate nel mondo, e trapelano cosi ad ora ad ora nella con-  suetudine e negli animi nostri che altri non se ne avvede ;  e, guastandosi poscia, appaiono con 1' uso men disgustevoli,  ci si fa il callu, perdecisi la faccia, e non tan to si smarrisce  lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo.  Questo si e il vero modo di spegner le leggi, di 6ontaminar  la religione, di tor via la vergogna, perche non si ha timore  dell' infamia. L'autoritk resta senza un minimo fondamento,  6 gli esempli e le memorie migliori si dimentican tutte.   Cosi la fortuna ha deformato la faccia bellissima della  virtu. Ognun t' offerisce la vita, il sangue, la roba, quando  il bisogno h discosto ; ma quando s' appressa, non che gli  amici, i piii cari parenti mutano faccia, e di presente si  rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e  quegli che tra tanti cattivi vogliono esser buoni, perdono  il credito, e sono come sciocchi e timidi biasimati. Eoma  finalmente e commercio, dove si spacciano mercanzie di  grand' importanza, le quali stanno esposte alia forza della  pecunia, che vince tutto, e insieme a chi sa meglio romper  la fede, e con piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti  all' ambizione e al^util proprio donatisi, cercan tirarsi in-  nanzi per quella via, che lor piii torni in acconcio, non  riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle distri-  buzioni di Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per una  stessa cosa, quindi deriva I'invidia e conseguentemente     334 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   r odio tra' concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su I'oppres-  oione degli altri, e niuno conseguisce una cosa, che non paia  ad nn altro di perderla, onde si nutriscono sempre i disgn-  sti, e qua di continuo sta accesa una guerra civile di com-  petitori, la quale, se fusse in sua liberta e non raflrenata  dalle cautele, che lo stesso interesse mette in ciascuno di  non gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte,  sollevazioni perpetue, e tale effrenato stimolo metterebbe  r arme in mano a ciascuno per cavar V anima alP altro, ma  cosi resta il fuoco del? odio racchiuso e coperto in ognano  dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero altro suonano le  parole di quel cbe sentano i cuori. L'apparenza deWoltie  totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza  delle promesse non corrispondono gli effetti, ed armasi la  fraude dove non puo apertamente impugnar la spada lo  sdegno. Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo  clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano, perche dove lo  interesse e la cupidita signoreggia, la virtu vi perde il sno  luogo, ed e minor male per la sussistenza del governo di  Eoma la simulazione e V inganno, postovi dalla necessita del  suo fondamento, che Y impeto scoperto delF ira, instrumento  abile a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo,  dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o si vero e  forza per men reo partito lasciar correre questi mezzi per  arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intri-  gato di tante insidiose e fallibili vie, niuna che si tenga  da uno pu6 servire di norma e d' esempio aU' altro; le me-  desime scorgono gli uni al papato, e gli altri alia propria  ruina; e sin quelle della virtu e del vizio ne menano sovente  ad uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso ci fanno la mag-  gior parte^ e le congiunture son quelle che apron molte  volte il cammino, e ne guidano a lieto fine; percio si scor-  gono gran variety di maniere et infiniti imitamenti di virtu,  e di costumi varii per accomodarsi alle opportunity de' tempi,  e a quello che altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti  gli nomini s* ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che  non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V avaro si vedra     DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 335   talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter  poi torre con piu dovizia V altrui; il superbo e *1 vendica-  tivo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di sommis-  sione ed umilta, per serbar a suo luogo di vendicarsi e di  esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso e sagace cerca di  far lo stordito, e a bello studio si lascer^ volgere a tutti i  genj per apparire altrui facile, e troppo credulo e buono.  Alcnni sMmmaginano che il dare ad intendere di essere  santo sia il vero modo di tirarsi innanzi ; pero si fingono di  stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto for-  mano V instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il man-  tello deUa pieta e degli scrupoli, le azioni d^ ognuno cen-  surano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto specie di  bene scoccano a tempo colpi da maestro, che coll^ acume di  una sola parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vo-  gliono, anzi con un sogghigno che ti fanno talora^ e col  tacere, accreditano un^opinione maligna contro a qualche-  duno, e non fanno manco male collo star cheti e col celare  la verity, che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono,  che della lode istessa si vagliono per ruinar la fortuna di  qualcheduno, onde saggiamente di loro disse Tacito: pesH-  mum inimicorum genus laudantisl   Tali sono le maschere varie di Roma^ dov' ognun cerca  infingersi di verso da quel che egli e, rifuggendo per meglio  coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro  nella sua propria natura. Per tal maniera gli uomini tra-  vestono, non ispogliano, le passioni, e da essi i difetti si  palliano per non lasciarsi appostare, non si vincono per  emendarsene. Di qui e, per quanto io m' avviso, che Roma  si dica teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte  persone contraffatte da quel ch'elle sono; chi e d'un par-  tite, a un tratto diviene sviscerato dell' altro, e, secondo che  vuol la fortuna, si veggiono tuttodi cambiare varie sorte di  scene, I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le  sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h piu tenero di  se stesso, tanto h piu crudele nel tiranneggiare altrui. Questi  h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le mac-     336 ANT0L06U DI COSE INEDITE   chine, e apre tante sorte di vie, le qaali si trovano tatte  piene d^ impedimenti e di spine, fnor che quella della mo-  neta, o pure d' accomodarsi ai genj di chi govema.   Di queste, la prima non e battata per tatti, e chi ne  ha 1 modo diviene superbo, imperciocche gli pare di poter  soperchiare gli egoali, e riescon costoro per la maggior parte  ignoranti, perche fidandosi nella forza di loro ricchezze non  fanno procaccio di altri mezzi per rendersi degni, e rade  volte accade che Domenedio accoppj negli uomini i beni della  fortana e quegli dell'animo.   Alia seconda, di seguire i genj, e piu acconcia la gente  d' animo e di nascita vile, che non sono gli uomini ben nati,  e virtuosamente educati, percio quegli ban piu vantaggio  nel prender le inclinazioni de' Principi, i quali, per quanto  amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico, aborrisconla  in privato, perche lor reca soggezione ; pero scelgono per  loro domestici uomini entranti, prosuntuosi e arditi, e so-  yente yiziosi, in essi confidano, scuoprono i lor pensieri, e  le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che  non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con le persone moraK;  quegli dunque piu agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia,  e con essa montano piu presto in altezza, e torniam dunque  a dire, che nella corruzion de'costumi e utile si de'plebei,  ma notabil danno de' nobili la parity degli stati tanto ce-  lebrata a Roma.   Imperciocche salendo in gran posto la gente bassa, e  condizione mutando, non lascian i vizi da privato, ma pi-  glian ben tosto quegli de' grandi, e le virtii non V imparan  mai; e come e costume degli infimi esser nelle avversitadi  abietti, e nella prosperita insolenti, cosi essi, come da prima  a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon  imperiosamente comandano. £cco perche la nobilt^ si co^  rompe, conciossiache dove innanzi, premiandosi sol la virtiir  con essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio  de* plebei, oggi per avanzarsi conviene che s' awiliscan coi  vizi i buoni costumi, e corrompasi la coscienza de' nobili;  ma chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s' ingegni nelle cose     DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. 337   lecite e oneste di andare a' versi di chi governa, non ci si  abbandona poi talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che  si dee; andra penetrando le inclinazioni, e con quelle pro-  curera si di confarsi, ma insieme studiando di acquistare  stima d* uomo da bene, e concetto per la virtu, non perche  questa debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo vir-  tuoBO almeno ne adonesti V avanzamento, a lui se ne ascriva  la gloria e '1 merito ; dove quando si viene innanzi senza  virtu, tutto s' attribuisce alia sola fortuna, e sovente volte  rinalzamento di questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro  demeriti alio splendore della dignita medesima, che indebi-  tamente loro e stata concessa; questi esaltati ricevon ap-  pena che un applauso lieve del volgo, che e guidato dagli  eventi, e lasciasi abbagliar la vista dal lampeggiar deir or-  pello; ma il meritevole, benche dispregiato e negletto, ha  per se il partito de'savi, che col paragone della prudenza  discernono anco per entro alia rozzezza e alia oscurita dello  state la purita perfetta e la chiarezza delP oro.   Gran forza e quella della verita, che finalmente non ha  paura della bugia, e si schermisce da se contro Pingiuria  de' tempi, e contro alia malignita degli uomini, ne e mai  pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati  da' giudizi vani de* piii ; la virtu rifulge eziandio dentro alle  tenebre, ne s' imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e  in mezzo alle sordidezze della poverta la fortuna contraria.  Ella si fa conoscere, e place eziandio ne'nemici, non che  negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a  gradi maggiori, il biasimo torna addosso a chi dovea avan-  zarlo, e non a chi riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il  credito d* un uom meritevole avesse a dipendere dal capriccio  d' un Principe molte volte poco prudente, e che gli s' avesse  a rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi co-  loro che non hanno meriti^ e percio ne anche reputazione,  quando bene sono aggranditi, perche troppo ben si discerne  quel che ne dona la virtii, da quelle che ne comparte la  sorte, la quale puo ben rendere gli uomini miseri, ma non  gli pu6 gia render indegni; anzi essa molte volte sostiene   22     338 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   gli non degni per non gli lasciare in preda alio scheme e  alia lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non  abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli altri;posson ben  essere ugaali i gradi degli onori tra gli uomini tanto buoni,  quanto cattivi, ma saranno sempre disugnali que' della glo-  ria ; nb perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et  allora acquistin potenza, posson mai con gli uomini savii  gareggiar di virtii, avvenga che e' si trovino in bassissimo  stato. La virtu dunque nella Corte di Roma sempre ado-  nesta gli avanzamenti, quantunque non abbia parte nel-  r avanzare. Ma la fortuna e quella che distribuisce le grazie,  la quale sul bel principio fa pomposa mostra de' doni suoi,  e pare che ella si faccia altrui innanzi col viso lieto e col  grembo aperto, ma di subito poi cambia faccia, e vuol ven-  der carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e colui  che abbandona la propria quiete dietro alle sue fallaci lu-  singhe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben eh' ei  possiede, per gir dietro ad un' ombra d' un meglio dubbioso.  fi vero che alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella  riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar  gli uomini ad esser pari e superiori de' Re; ma quel che ella  dona ad una famiglia, sel fa pagare a gran costo della roba,  del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una  ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta pericolano.   Laonde mi sembra su le rive del Tevere fiorire piu che  in altro clima quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti  favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e fertili posses-  sioni della fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono frutti  di varie sorte, e non meno degli amari e velenosi, che dei  saporiti e soavi, di quegli che porgono altrui salute, di  quelli che danno la morte. Alle cui radici anelano i pret«n-  denti ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli  idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro de' posti migliori;  quindi s'odono tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi  essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza:  e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il dibattito, e I'an-  sieta di colore, che stanno a gola aperta bramando che ca-     DI ORAZIO RICASOLI RDCELLAI. 339   schi loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena  giunto con piu improntitudine degli altri romper la calca,  et accostarsi di subito a pi^ del tronco, V uno, che non paia  sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non  se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi far largo, e  finalmente ognuno si studia con que' modi ch' e' puo di pas-  sar oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s' inerpica sopra. Quel-  r altro il prende di dietro, e s' ingegna di trarlo a basso,  6 per tal modo tra tanti contrasti e tra le scosse dell' al-  bero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui che  a pena v' arriva cade un porno de' piu delicati e salubri ; a  coloro che piu lo sbattevano, cadono in mano le foglie, a  molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende, che  percuote chi si era fatto piu innanzi, e con furia ricac-  cialo indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo qualche  frutto sustanzievole, quando, gia ritiratisi indietro, pareva  di loro ogni speranza fuggita. Ne piu ne meno avvengono  gli accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare  gli eventi, ne si puo ben giudicare il punto cattivo, o '1 buono ;  ogni voce, ogni atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli  attrista^ gli allegra; ora le speranze si risuscitano, ora si  moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna, e si trova alia  fine sgarito ; questi con la pertinacia la vince, e in cotsll  guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli  uomini, fortuneggiando in Roma tra venti contrarii, sono in  qua e la da varii flutti e da varii casi sempre vacillando  menati. Impercio accade che alcuni gia con le membra ca-  scanti e deboli tornano ad esser da capo, e pur ritengon  viva la loro ostinata ambizione, e andando invano per tutta  la lor vita dietro alia gloria e agli onori, inonorati rovi-  nano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad  alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni regola, ond'ella  si voglia acciuffar pe' capelli, riesce vana et inutile, perche  d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge,  e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul, che cerca I'Asine,  getta nelle mani un Regno, et Assalon, che va dietro al  Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso.     340 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Quant o e bella Roma, quanto e ella appariscente a chi  la uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto  ingegnosa e colma d' industria, quanto e devota e santa,  quanto e benigna e cortese, quanto di tesori doviziosa e  prodiga a chi la vede nel frontespizio, e nella superficie di  fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con superbi edificii,  testimonii marayigliosi deir antica grandezza, delP onnipo-  tenza Bomana ; qua V abbondanza delle statue e de^ marnii  fanno sin oggi risplendere la maestria e Greca e Latina.  Qua i giardini vincono quegli dell' Esperia e gli Orti favo-  losi d' Armida ; le fontane paion fiumi volanti per 1' aria e  tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle  sontuosita de' Persiani. Se le devozioni isguardiamo, qua  tutti Yocaboli di pieta, titoli di carita, ammaestramenti di  pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'mar-  tiri, qua raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi  marayigliosi, che fanno fede di religione ben fondata; qua  tutti gli aruesi piu sacri e piu yemerabili, si della nascita,  si della vita, si della morte di Cristo rifuggiti a mettersi  in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di questa chi ne  siede al governo, se non il Vicario di Cristo? Chi ode i  complimenti e le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli  accoglimenti de' cortigiani, incontra subito maniere dolci e  aggradevoli, parole significanti stima ed affetto. La casa,  via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma  in preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la sommissione  assoggettisce altrui, si contrasta tuttodi non il prime, ma  r ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol essere piu immeri-  tevole, piu servitdre, piu minimo di tutti gli altri. Chi non  esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie  e '1 patrocinio de' graiidi ? Chi considera le ricompense che  ci sono, i premii proposti, 1' entrate grossissime a vita, che  non si sa onde si vengano, il dominio sopra di esse negli  altrui stati, che i Principi proprii non ci posson metier la  mano, le dignita eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter  comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno  puo giugnere? Qual altrettanto maggiore invito possono havere     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 341   g\i stranieri per correre a si belle, a si pregiate fortune ?  Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con atten-  ziono a quel che e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori,  nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova  ben il contrario di quanto ella fa pompa di fuori. Le delizie  di Rama sono il piu delle volte veleno ; sino i giardini, e  le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu  superbe e piu maestose sono oggi guaste, e rotte, e minac-  cian sempre rovine. L' arti e' costumi che ci s' adoprano son  molto poco conformi a' titoli di santit^ e agli abiti ond'essi  rifulgono ; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano espo-  sti al culto e alle visite de' Pellegrini, e servon nel resto  per istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le pas-  sioni e gli affetti sregolati de' grandi, e sin Tautorita  apostolica la fanno far gioco alia potesta temporal e e agli  interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e le cor-  tesi maniere, che son' elleno altro che parole senza signi-  ficato bfferte, e sembianti senza affetti, e una vana signifi-  cazione di onore p'osta nell' apparenza de' volti e vana, in  quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali talora si hanno  in dispregio ; bugie le quali bene spesso si rivolgono in tra-  dimenti, e infine un capitale di finzioni e di lusinghe in  diritto ad un grosso e disorbitante guadagno, se i premii,  le facolta immense, e le grandezze, queste si dispensano ad  arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello che faceva star  bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad arricchir6 smo-  deratamente una sola famiglia? Qua finalmente sotto la for-  malita de'nomi e dell'abito esterho e sotto speciose voci  si nascondon le occulte Industrie; sotto le lodi delle virtu  si usano di nascosto i vizii, pero in Roma si sostengono le  opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si  fa caso degli errori superficiali, e gastigansi con severitii  le parole ne'poveri e neMisgraziati per tener in piede i  piu grossi, e far godere V impunitade a' maggiori. Per tal  via co' riti e coUe formule, co' titoli, co' vestiti, con le Con-  gregazioni, co' solennizzamenti si tesse un ordine bene ag-  ^ustato, che forma il ritratto apparente di Roma, signifi-     342 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   cante altrui quello ch'ella dovrebbe essere, non quelle cVella  e, dentro alia quale si cela un disordine, e un caoa di fini,  di speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident!  impensati, d'odii, di finte amicizie, di gelosie, di martelli,  d' invidie, di beni, di mali che non s' intendono, non hanno  riscontro, e tengon le menti degli uomini mai sempre so-  spese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre mesti, sem-  pre astratti da loro stessi, e si per la continua apprensione  di loro medesimi favellare come matti perche non ritrovan  mai il bandolo in gual posto si dieno dell' amicizie, dei fa-  vori, delle speranze, e delle paure nelle quali e' si trovano  martirizzati in ogni tempo su la ruota della foriuna, gui-  data dall' ambizione e dalP interesse, dove sta fondato e si  regge questo governo di Roma. Per la qual cosa egli e  molto ragionevol di credere, che la divina onnipotenza lasci  correre questi vizii e queste macchie nel rigiro di essa,  perche a quest' ombra riluca quel piii la verity infallibile  della sua Chiesa e I'autorita ben fondata conceduta all'al-  tissimo ministerio del suo vicario in terra, a fine di far co-  noscere che e' ne ha dato il reggimento a uomini che hanno  il libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni  mortali e terrene, benche non errare nel maneggio delle cose  celestiali e divine ; e cio contro 1' ereticale nequizia, che pre-  sume temerariamente controvertere, per li abusi della corte  de' preti, la potesta che e data loro miracolosamente da Dio.   Come tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano,  e quello di Boma con esse piti che mai si sostiene.   Capitolo Secondo.   Con r occasione del primo Capitolo mi vien in acconcio  di far meco medesimo considerazione, per qual maniera il go-  verno di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de' pretendefUi  si regge su' fondamenti dell' interesse e dell' ambizione, pur si  sostenga e viva, mentre tutte le altre forme di Stati, dove  s' introducono si fatti vizii, per quella guisa che apertamente        DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 343   dimostrano gli esempli antichi e moderni, cosi agevolmente  si spengono, imperciocche essi vizii sono il tossico che la  giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale  riman cadavero, e impercio senz'anima e senza vita ogni  Stato. Egli h dunque in prima da sapere che lo intendi-  mento della giustizia distributiva si e d^uguagliare gli uo-  mini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi  delle fortune, e solo V uno dalF altro distinguer secondo che  i beni delFanimo, non quelli del corpo, fauno gli uni piii  degli altri rilucere. Questa tende ad abbassare la superchie-  vole baldanza de^ ben avventurati e de' ricchi, e soUevare  altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si mi-  nuisce il soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i  danni, ed arrogesi al poco di chi e uomo prode, ma dal-  Vingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i  grandi non sono della sorte seguaci, anzi essi correggono  i difetti di quella, e fannola divenir premio della virtii; im-  perciocche non ci e cosa che maculi i cuori di ruggine peg-  giore, quanto il ferire gli uomini nella stima di lor mede-  simi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor  proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali, che si fa o per  ragion di ricchezze, o per genio, e non per motive di virtu,  che e un contrassegno lucidissimo impresso nelP anime, che  distingue gli uomini V uno dall^ altro, produce sovente che,  per uno che si grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore  che si sveglia in quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti  che si destano in tanti e tauti altri: e siccome, difiPerenziando  le persone a capriccio, agevolmente si spingono gli uomini  alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel merito,  si accrescono negli altri gli stimoli alVoperar virtuoso et  onesto. Per tal modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e  i piu degni premiandosi, s' uguagliano quelle bilancie, che  conservano in equilibrio i governi, tolte le quali tutto si  confonde e disordinasi, conciosiacosache si destano le invi-  die, e quindi a tempo e a luogo tutte le sollevazioni civili.  E questo perche non ci ha favilla che nodrisca e accenda  sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi e de' saggi, quanto     344 ANT0L06IA DI COSE INEDITE   il vedersi oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL PercHe  messer Domeneddio ha messe le differenze delle facolta e  della potenza tra gli uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio  della giustizia distributiva, BOYvenendo i mono ai piii biso-  gaosi, e dal fango il pregio della virtu sollevando; anzi  perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^ titoli  e le dignitli, che dispareggiano J gradi, senza misura sono  dannevoli, dove postergati i rigaardi di chi e piii degno di  piacimento si scompartiscono, e per inclinazione de* grandi;  e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli, ma eziandio gli  atti semplici d^ apparenza e di stima mal ripartiti parto-  riscon de' mali nel consorzio civile ; e viepi^ d^ ogni altra  cosa cnoce a chi merita veggendosi, o per trascuraggine di  mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar  senza ragione da quel grado, ov' ei fu una volta debitamente  locato ; imperocche e nemica mortale la nostra natora di tor-  nare indietro, e *1 piu possente affetto che h in noi e il  pregio in ciascuno di se medesimo, il quale com' egli e in  minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma  dov' egli h offeso senza ragione accendesi un' esca, e risve-  gliansi si fatte scintille, che dov'elle havessero libero il  campo, o le congiunture V aprissero, s' allargherebbon ben-  tosto in un gravissimo et inestinguibile incendio.     DA' DIALOGHI FILOSOFICI.     IL TIMEO.   Delle idee.     Dafinio. — Scusatemi, a interrogare per questa volta io  voglio essere il primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni  cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli?   Buonaccorsi. — Quella che si fa dal proponimento primario  nella mente dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, don-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 345   que, volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo  sensibile della natura nella materia, non parye degna cosa  a Platone che quella penetrar dovesse nel segreto di si alta  mente a contemplare quegli originali eterni ; onde e' pre-  suppone che per via delPanima se le ne faccia vedere co-  testi esempi.   Imperfetto. — II medesimd appunto intese il Petrarca, ne e  vero? e'ldistinse in quel suo maraviglioso sonetto, che qua-  lunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana sa per lo  senno a mente:   «In qnal parte del Ciel, in quale Idea  £ra V esempio onde Natura tolse  Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse  Mostrar quaggiti quanto lassu potea? >   Insomma e' dicono il vero, e' fu grandissimo Platonico.   JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa il  Timco dairidee agli esempi.   Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor Gioseppe, di  dame piii ohiaramente ad intendere il valore di queste Idee,  onde voi siete state richiesto.   Buonaccorsi, — Avete ragionato si dottamente, che a me  non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incomin-  ciato ordine, quanto avete detto voi con esso 1' autorita di  qualche valent' uomo e del medesimo Platone in varj luoghi  di altri Dialoghi, che ne favellano ; e avvenga che io avessi  stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna  fidanza di potere internarmi tant' oltre per andare del vero  alia radice, e per recare lumi maggiori ai nostri intelletti ,  come di cose che troppo in su, ch' essi non vanno^ hanno la  residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino ne ammonisce)  h degna cosa si alti principii udire, e udendogli ammirar-  gli, e ammirandogli stimarsi beato nel riconoscere il loro  autore. Pregovi ben, Don RaflFaello, a soccorrermi di quando  in quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice in-  gegno nuove cose da dire vi suggeriscano : ma per dare  autorita a quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo  intelligibile, e all' Idee che si contengono in grembo a Dio,     346 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   ascoltate, di grazia, come tutto cio in due versi mette Boe-  zio nel suo libro De Consolatione:   c Tu cuncta superno   DucM ah exemplOf pidchrum pulcherrimiu ipee  Mundum tnente gerens aimilique imagine format. »   Qui dunque ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io  non vi niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita  rivelata fosse disceso, il quale aperte meglio le.vie della  mente gli avesse, e ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse  rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appro-  priata definizione delle divine * quality ; ma non pertanto  egli e di somma lode meritevole, avendo per nn certo 1am-  peggiare solamente di natura, e in forza (siami lecito dir  cosi) di piu che umana immaginazione favellato di quelle  con tanto decoro e si al vero approssimatosi e toccolo in  molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presen-  temente de^ lumi soprannaturali ch' egli ebbe dalla legge  Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiu-  stino Martire attesta, filosofo molto celebre della Scuola  Platonica. Ma il proferire molte di si fatte proposizioni,  ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura per timore degli  Atoniesi e delle rigorose pene delPAreopago, contro chiuD-  que rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno alia loro reli-  gionC; quelle medesime procuro avvedutamente di farsele  proprie, e sotto gli oscuri velami delle filosofiche specula-  zioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il mede-  simo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura  d' Iddio, dicendo come poco anzi vi recitai : « Primiera-  mente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e  che non e generato, e quello che e generato, e voramente  mai non e; > che ci6 da Mose e^ ricavasse, cui Iddio appa-  rendo la prima volta disse: « Io sono quello che sono. » E  mandandolo agli Ebrei comand6gli che dicesse loro ecu le  stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. »   E il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che quello che  parimente in un altro luogo mette Platone : « Certamente  Io stesso Dio, come suonan le antiche parole, comprende il     m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 347   principio, il fine e il mezzo di tutte le cose, > per « quelle  antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non  ebbe in animo far di lei menzione, sapendo quanto quella  dottrina a' Greci contraria fosse. E parve al detto Santo non  altrimenti potersi intendere  con-  ciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da  altri storici Mose essere stato il piii antico legislatore ; anzi  quando egli le leggi promulgo, i Greci non avere ancora le  lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne  piu, ne meno, onde noi al presente favelliamo, crede san Giu-  stino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia tratte  tradotto dal Santo, e cosi dal greco a noi portate: « Che  Iddio in principio fece il cielo e la terra ; e che la terra era;  pero non ancora visibile e fabbricata. > Dove il santo filo-  sofo giudica quel detto da Mose « che la terra era > es-  sersi inteso per la terra che prima era; impercio che aveva  detto Mose :  e della medesima similmente detto avea: «Fece Iddio  il cielo e la terra; » stimo che volesse intendere quella se-  condo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere stata  creata sensibile.   Per la qual cosa non a caso favella il nostro filosofo ve-  ramente divino, ed e degno di somma commendazione, mas-  sime ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a diffe-  renza di lui mesce insieme e confonde le superne e divine  cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la  materia e con Tuniverso sensibile. Dove il divino nostro  filosofo il valore riconoscendo sovra il natural corso ammi-  rabile di colui, pe '1 quale et a cui tutte le cose vivono, di  somma reverenza esser degno, e si egli solo essere di sa-  pienza e di potenza infinita capace, con singolar riguardo  in ver cotanta perfezione , le distingue nella sua immagina-  tura e trova la via che le cose di sopra adoperino in quelle  di sotto senza permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi.  con r acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine  di atti succedevoli nelP infinite, le differenze di gradi e la  variety dell' Idee nel Medesimo, e la moltitudine nell' unitade,     348 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   senza Tanita disgiangere, senza diversificare il Medesimo  e senza t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta  deir iQfinito. Con le cui sottilissime considerazioni di cose  incompatibili fra loro, e si impossibili secondo lo nostro  compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli sopranna-  turali della infinita onnipotenza diyina, e se non co* termini  nostri corti e finiti renderne bene intendenti di si alte ma-  raviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo bagliore  alle tenebre di nostra ignoranza, che si alto splendore da  per se non patisce, accio che quindi staccandoci dalle cose  inferiori spicchiamo un volo piu in su, che conceduto ne sia  a formare giudicio di un Dio, delP Autore della natura, della  Primaria Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui sola-  mente possibill sono.   Viene, dunque, e cosi favella il Ficino a interpretazione  de' sentiraenti platonici intorno all' Idee, che la mente divina  e forma di tutte le forme, e Idea di tutte quante V Idee, la  quale in se tutte le comprende. Ora, perch^ la* forma ter-  mine si chiama e mi sura, misura e termine alle cose do-^  nando; il Sommo Bene, la Divina Mente (aflterma Plotino)  come forma di tutte le forme, e misura e termine di qua-  lunque cosa che sia, il che autentica mirabilmente il nostro  autore nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e  misura dell* universe cose che sono.   Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i  generi che piglia e abbraccia in se tutte le forme, tutte  quante le specie visibili delP universo, con esso gli individui  ancora.   Luigi, — r mi sarei presupposto che I'ldea universale  fusse il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si ten-  gono e sparte per V aere, e per6 fuori della Mente Divina di-  morare, e che da esse tutte le speciali cose pigliano Pes-  senza loro.   Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee,  in se non comprende coteste si fatte Idee, comunque se le  figurino o le scuole nella guisa che voi dite, o qualunque  altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e starmi     m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 349   a pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Af-  fermo bene che cio il nostro filosofo iu alcun modo non  tenne, siccome da vari luoghi apertamente si ritrae, ne sono  in quella sovrana Mente le forme delle sensibili cose, ma  si bene le Idee delle forme, come che da lui merce dell' Idee  queste abbiano 1' esser loro. Impero che V Idea mancando  di tutte le Idee, la forma mancherebbe di fcutte quante le  forme, e fiiiirebbesi il mondo, nello stesso modo dove non  si trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rom-  pendosi, il vasajo non ne farebbe piu. Per questo ne av-  vertisce Marsilio, che le forme, sostanze non sono, ma si  iniinagini solamente delle vere sostanze e queste sono le  Idee, cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre  a' corpi. E Alcinoo a piu distinto spiegamento : L' Idea ri-  spetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per rispetto al mondo  sensibile Tesemplare; rispetto a se stessa Tessenza. Di ma-  niera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e cor-  poreo riseggono, ne tra loro si confondono, come le forme  su la materia; per lo che tra V Idee della Mente Divina e  le mondane forme, yerun' altra simiglianza non ci ha, salvo  che quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e  molto piii divario senza paragone tra quegli infiniti origi-  nali e perfetti di vera e incorrotta sostanza, che nelP alto  segreto di sua mente il Supremo Artefice riposti tiene, i  quali per via di disegni ed esempi dalla natura si copiano,  che e' non e infra una tela dipinta e un uomo vero e di  carne viva. Con cio sia cosa che questi quantunque tra loro  diversissimi, pur tutta via alia materia universale riferen-  dosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual similitudine ci puo  egli entrare tra la Divina Essenza infinita e perfetta com-  parata con essa la materia abitacolo di tutti i difetti, di  tutti i mali V L' Idea dunque di ciascheduna cosa, benche in  riguardo al nostro intendere di diverse cose paja composta  8 da movimenti vaij distratta in qua e la; in Dio elP e una  sola, 6 semplice e ferma ed eterna, possedendole tutte in-  sieme ristrette e present!, che pe' nostri fallaci giudicj ven-  gono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle sensi-     350 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   bill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto volanti a  caso fuori di Dio, perche noi non siamo atti a concepire  com' elle riseggono in Dio ; ma non mai fuori di Dio proferi  Platone ch' elle si dimorassero, mentre e' disse poc' anzi:  Lui nel fare il mondo avere imitato un esempio eterno e  non generato : e poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo si-  migliante a se stesso. Per qual modo dunque fuori della  Divina Mente potea un esempio eterno trovarsi, e come ras-  sembrar lui, se gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero  fuor di Lui? Fermisi dunque su '1 presupposto platonico  ch' e' ci sono le Idee, ed essere nella Divina sua Mente;  impero che quale osera mai affermare che Iddio alcuna cosa  abbia fatto, la quale prima col suo alto intendere esatta-  mente riconosciuta non abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti  di farla, erano appresso di lui si fatte cognizioni anticipa-  tamente al mondo creato e queste quelle sono, che dal Timeo  appellansi Idee. Ma odasi di grazia Alcinoo che sopra cio  lo comenta : « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e  perfetti, e quindi gli esempi eterni parimente di tutte le  cose che dalla natura si fanno dependenti dal principio esem-  plare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in que-  sto luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si come dianzi vi si  accenno.   Bafinio. — Sono considerazioni altissime (egli e vero) di  quel finissimo ingegno, ma io le ho piuttosto per immagi-  nazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne  della Divina. Impercio che da Dio si opera in an istante, e  non con atti disgiunti e temporalmente.   Buonaccorsi. — Da Dio si opera in uno stante, non ve '1  saprei contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter  ed instantaneo dinanzi & lui (come poco fa si ragiono), e nel  suo infinito indivisibile tutti gli atti, che differenti e innu-  merabili sono appresso di noi, i quali per nostra imperfe-  zione d'intervalli di tempo abbiamo mestiere per pensare,  nonche per adoprare, appresso di Lui e un atto unico e  solo, e permanente, e impermutabile; e a volere che lesae  opere temerarie non fieno ed a caso, conviene abbiano in-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 351   nanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali  da noi due operazioni separate si giudicano, 1' una innanzi  all'altra; ma in lui in un istesso punto si accozzano senza  differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea pri-  maria si e, dalla quale si abbracciano in s^, e contengonsi  tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta ragione potette  intendere il nostro filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san  Giustino martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, >  come sopra memorato abbiamo; ma che tale precognizione  per r Idea antecedente all' opera pigliar si debba, cio ne  viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall' acu-  tissimo Vescovo Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio,  Qual vero religioso potra negare le Idee, o non professarle  per vere? Certamente nessuno il quale non ardisse afFer-  mare che le cose che da Dio sono, non abbiano motivo  ond' elle sieno, n^ da lui sostenimento ricevano, e cho quello  che per lui si fa, senza conoscimento o ragione si faccia;  che sarebbe un volere ch' egli operasse quanto egli adopera  sconsideratamente e senza badarvi; le quali cose essendo  fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e necessario di  confessare I'ldee. E nello stesso luogo riferisce cio che  spiega Varrone, che la favola di Minerva, nata dal cervello  di Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in una perfetta e  intera sapienza si ragunano nella mente divina. Ma questo  e poetico ritrovamento, dove con verita infallibile la sa-  pienza che ha sua sede nella mente divina pare che questo  accennar voglia, mentre cosi parla essa medesima di suo  nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altis-  simo uscii fuori e primogenita sono di tutte quante le crea-  ture. »   Anzi dove dal santo Vescovo medesimo s' interpreta quel  luogo di san Giovanni, testimone si veritiero delle cose so-  prano:  s' intende cio delle  medesime Idee, per tal modo discorrendola: « Quello che per  esso fatto fue e vita; intendesi in Lui, nella qual vita vide  tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi fecele si come  e' le vide, non fuori di se stesso veggendole, ma dentro se     352 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   stesso e per si fatta maniera annoveio tutte le cose che  e' face. >   Che avete voi da ridire signor Dafinio verso un vera-  cissimo maestro Cattolico?   Dafinio, — lo oppongo a fine d' imparare, non per con-  tradirvi.   MagioUi. — Eccomi in vostro aiuto,^ signor Gioseppe, con  un liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa  convenienza alP Idee. Da esso si fattamente si descrive la  sapienza con la quale il sommo Motore fe^ il tutto. « Onde  viene la sapienza, e quale e il luogo deir intelligenza ? Ella  e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e occulta per infino  a gli uccelli del Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce  sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti  i confini del mondo, e tutto quello ch^ e sotto il cielo riguarda.  Quando egli dava il tratto a^ venti, quelli posando come  ancora Pacque a certa misura; quando sua legge impo-  neva e suo or dine alle pioggie, e assegnava la via alle  sonanti procelle, alP ora egli la vedeva, la contava, la rego-  lava, e investigavala. » Al qual fine dal nostro Dante si  nomina Iddio,   « Golni che mai non vide cosa nuova ; »   perche tutte avanti che fatte fossero vedute le avea per  entro 1' infinito comprendimento della sua Divina Sapienza,  nella quale -sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita  conserva delle sue perfettissime Idee. Parv' egli ch' e' torni  bene a quella anticipata cognizione delF Intelletto Divino,  a quel? unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui  esemplare rimirandolo, esso formo tutte quante le cose  di qua?   Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete recato, signor Ma-  giotti, adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si  adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni esplicato  da sant' Agostino : ma dee ora tirarsi innanzi il ragionamento  co'nostri autori Platonici, i quali sopra cotali fondamenti     DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 353   di yerita debbono giustamente acquistar gran fede. Che  queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi: « Owero Pin-  telletto e egli Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale  inteude in lui; onde le cognizioni eterne e immobili nella  Divina Mente, e quests Pldee sono, misure giustissime e  perfette delP eterno potere, ch' egli cape solamente, e scorge  in se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se  dunque vero h che lo intelletto sia diverse daU'opinione  vera, anche lo intelligibile sar^ dalP opinabile differente ; e  pero sarannoci le intelligibili cose diverse dalle opinabili,  che viene a dire le prime notizie intelligibili, siccome si hanno  le prime delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo inten-  dere si fatto attaccamento non h da uomo come la Divina  nostra Commedia nel Purgatorio:   « Per5, la onde vegna lo intelletto  Dalle prime notizie, nomo non sape  E de*primi appetibill TafTetto.*   Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto primario bellissimo,  conviensi che lo intelligibile oggetto di lui bellissimo sia,  ma niuna cosa piu di lui ^ bella, perche sempre intende se  stesso e le sue cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. >  Paionvi cose astratte e metafisiche n' e vero ? Ma cotauto  eccelsa materia di ragionare avendo tra mano, ed essendo  sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro  intendere simiglianti proposizioni, quanto ch' elle nell' ampio  albergo soggiornano di quella Mente Sovrana    Sopra simiglianti considerazioni astratte e inesplica-  bili si yiene da Jamblico alia formazione continua dell' Uni-  verso conformandosi alP intenzione Platonica: «Iddio forma  il mondo e riformalo, non per via di celestiali movimenti,  non per mezzo deUa materia mondana, ma con esso V intel-  ligenza per merito dell' anima sempiterna che a lui ha dato.»  Ecco che per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor  Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: « Perche nella  Potenza Divina non sempre vegliano e operano a un mode  le ragioni seminali generative negli esempli formal!, si  come alcune altre viepiu immobili che precedono le semi-  nali, coadiutrici di esse; ne adiviene che la potenza di amen-  due queste ragioni, ch6 in sostanza le Idee sono, e dope le  Idee gli esempi eterni, vada innanzi alPuniversa genera-  zione che nel mondo sensibile di continuo si fa; dopo que-  ste gli influssi adoperano, e le celesti quality, si come il  moto, e in ultimo la faculty della materia. > Laonde Trime-  gisto in si fatto proposito anche piu chiaramente : « Iddio e  pieno di tutte le Idee, e spargendo le qualita nella sfera  maggiore (cosi chiama la materia) stando egli in sua fer-  mezza stabile, dalla sua piti somma altezza in questo mondo  nostro sensibile semind le Idee, la detta sfera. circondando  delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. »   Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il detto di  Jamblico : « II mondo, essendo opera di Dio, conviene per si  fatta guisa da lui fabbricato sia, che a qualche Idea esem-  plare di esso nel suo edificare riguardato abbia, allor ch'egli  con maravigliosa provvidenza per propria bonti alia strut-  tura s' accinge di cotanta macchina. »   Dafinio, — Questi sono pensieri che meno difficili ne paiono,  perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle menti nostre     DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. 355   sperimentiamo questi atti disgiunti, anzi che ad alcun' opera  uoi ci mettiamo. Venendogli dunque alia Divina Mente appli-  cando, non e malagevole il cosi figurarsegli; ma immaginan-  doci poi la Divina Potehza con quelle alte e ineflfabili  prerogative d' infinite, di unit^, di eternita, di stability  impertnutabile che alia soprana eccellenza di sua condizione  vengono richieste, volerle assugettire a distinzioni di tal  fatta, e a misure che si affanno a noi, e si considerare  P Idee innumerabili e infinite, e poi che elle in una Idea sola  s' immedesimino, e che il numero dell' unitade (se pero nu-  mero chiamare si dee) non si alteri con la moltitudine, qui  e dove nostro apprendimento vacilla.   Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la cdsa con gli  esempli piu chiara, iiditene uno, che ne mette molto pro-  porzional mente Ploti"no :      MagiottL — Piui appropriatamente, per quanto i' m' av-  viso, torna al paragone del mare il vasto Oceano del tutto,  che unico e anch'egli (come Platone afferma) per I'ordine  6 per I'armonia, la quale dalle forme senza novero ch'egli  ha in se, e di tante ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza  insieme ; e come 1' onde del mare non sono altro che il mare,  cosi le forme nel mondo non sono altro che il mondo.     356 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Di maniera che merce di questa armania rendesi il mondo  a Dio simiglievole, che per cio il nostro filosofo, piu innanzi  favellando, Iddio generate lo chiama; ma non altramente  deir agitato mare, e da' soffi de' venti in yarie guise trasfor-  mato e commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini o  divariamenti quella perfetta concordanza e unione che nel-  r infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima impercio che  le forme varie sono di lor natura locate nella materia, avve-  gna che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con  le forme; ma la materia per se stessa di contrarii e con-  posta; per modo che, e forme vegetabili, e forme sensibili,  e forme ragionevoli, e di altra guisa in questo visibil mondo  si rappresentano ; ne deir ordine armonico puo tanto il va-  lore, che tra di esse qual piu e qual meno a quel supremo  esemplare non venga a rassomigliarsi ; talmente che differ-  mita considerabile ci ha non che nolle spezie, negH indi-  vidui loro, ancorche di quell' unica, perfetta e non mai per-  mutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri;  che per cio, come le onde marine, le quali piu variate, e di  colore sono^ e di profondita, e di grandezza, e svariatamente  corrono allido; anche le forme in questo mar profondo del-  r universo valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che  in Dio sono, per lui sono, e a lui tutte sono sempre ugaal-  mente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali  che d'una sola ragione pare abbiano da essere, le qnali  nolle ragionevoli creature sono vestigii piu adattatamente im-  pressi entro la corporale materia, della suprema ragione,  per quanto a quella Divina Norma,' ch' e senza mendo, vie  piu che le altre rassembrino; pur tutta via si divariano  sovente volte e stravolgonsi da gli affetti soperchievoli e  dalle smoderate corporali perturbazioni, dalle quali ad ora  ad ora sregolando si viene lor bene ordinato adoprare,  ch' esse te le scompongono, e traggon fuori dalla loro for-  mosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o  meno alia bella divina sembianza si vengono accostando, e  non serbano uguali, e mai sempre a un modo le loro doti  sovrane. Perche tal verita insegao Beatrice con savio am-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 357   maestramento al nostro Dante nel suo entrare del Pa-  radiso:      Adunque non ^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove  si scolpiscano via via insegnando loro cose nuove, e non  piii da essi udite e vedute; ma le notizie prime di tutte le  cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di  mano in mano si risvegliano che vi dormivano, e in ispe-  zialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi Geometrici, P ono  concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi dire a lieva  Tordine di que' primi semi, ' gli uomini delle scienze di tntte  quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono.     DI OflAZIO RICASOLI RUCELLAI. 367   Imperfetto, — Si; vol ci sponeste, Don Raffaello, con grande  evidenza alonni giorni fa : come i primi element! geometrici  sono lo A^ B, C di tutta la sapienza universale £ino alia  Divina.   MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve ne mostrai,  se Yoi ne avete ricordanza; ma di questa sapienza infinita  che e in Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne  ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento per-  fetto, imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte  quante le cose virtu acquistano, e pregio di bonta, e di  sapere, e per ta^ragione e utili si chiamano, e dilettevoli,  e saggie, e si tali ne riescono a chinnque acconciamente  assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma senza simi-  gliante conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da  qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d' intendere, e che  buona, o giovevole noi giudichiamo, niuna utility, nessuna  ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio  non per altro adiviene, se non perche uscendo le nostre  menti dalla vera sedia della ragione, alia contemplazione di  quella superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chia-  rezza ci addirizziamo. Per la qual cosa tal cognizione age-  volmente si scambia, secondo le varie torbe apprensioni, e  le torbid^ iuclinazioni de gli uomini da'proprii affetti mal  consigliati; che altri questo dono divino sel credono nella  voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell' ambizione lo si figu-  rano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e prosuntuosa  curiositade; e a pena che i veri filosofanti nella sapienza e  nella verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo  temerariamente del proprio senno pavoneggiandosi, piii oltre  del licito e del possibile si traviano, e nella soperchia luce  si acciecano. Egli e dunque manifesto che ogni anima.ugual-  mente la saviezza desidera ed il buono, e, per conseguirlo,  fa tutto quello ch'Ella sa, secondo perd i bugiardi o veri  oggetti che se le parano davanti ; ma ci6 tutto consiste nel  saperlo rettamente riscegliere e ravvisare, il quale in somma  non altrove che nella meditazione di Dio st^ riposto: dalla  cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sa-     368 ANTOLOGU DI COSE INEDITE   pienza quelle prime faville nell^ anima nostra discendono,  le quali, come si e detto, Idee seconde si chiamauo da Pla-  tone, tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame  lume tra il vero e lo iatelletto, dove con esso il guardo  interno disappassijonatamente vi ci fissiamo, e con quello  ardente, e ben regolato amore, che      Ma siffatte purissime scintille del divin fulgore noi non le   abbiamo in noi da per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle   corporali passioni vi si accendono alcuna volta, e con esse   si permischiano, ancorche accoppiamenti sieno mal messi   insieme, e come abbozzi per un certo modo di quelle, pur   tuttavia per difetto della materia ov' elle si rinvoltano,   come delle chimere addiviene, delle abbarbagliate immagi-   nazioni e de' sogni, non mai alia verity delle scienze ne   menano, ma sempre a fallaci e stravolte opinioni, che dal   vero ne discostano, e concetti ne formano di la da ogni   regola di ragione; e di qui procede che invece di recarlume,   torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia bella chiarezza del-   rintelletto; che il buono, e il vero, quanto a sua intenzione   appetisce, e cio imperciocche V immaginazione male s^ in-   forma da quelle passioni, che fuori del sentiero battuto   del vero senza ch^ ella se ne accorga te la ritorcono e te la   disviano.   « lo veggio ben si come gi& lisplende   Nello intelletto tno retema lace,  Che Yista sola sempre amore accende ;  E s'oltra cosa nostro amor seduce,  Non e, se non di quella alcun vestigio  Mal conosciuto, che quiri trainee. »   BttorMCcorsi, — Si disse quel sublime ingegno ch'e dellft  Poesia Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire  ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente V uomo ottene-  brate avendo le lucidissime e vivacl potenze dell^ anima  da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi troppo  in cotanta fulgidezza per lo soperchievole abbagliamento se  gli cansa il vedere, o si veramente le ali del intelletto nostro     DI OBAZIO BICASOLI BUGELLAI. 369   cui solamente si alte ragioni stanno esposte, dalla pania  delle terrene voglie invischiate trovandosi, non si ponno stac-  care, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per quanto nostra mente  procnri di pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di  meno seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la  strada manca, e invece di aggiagnerle si perdon di vista  quel piii. Per lo che dal vero sciontifico deviandosi^ alia fal-  lacie si donano gli uomini, e hannole per reali e per vere; e  88 per caso ad alcuna verita pervengono (il che di rado  accade per si£fatte Tie) cio succede a simiglianza de' ciechi  (come chiaramente Platone nel Sesto della EeptMlica) cui  viene a sorte camminato pe '1 diritto, a differenza di que-  gli che giran girano per quella o per quell* altra via, e mai  non ne vengono a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e  le cagioni delle cose vere, con lo intelletto e non con esso  i sensi comprendersi per quello che veramente elle sono ; e  conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare,  6 amare il loro sovranissimo Autore. H che esplica il filo-  sofo oiostro nel Convivio^ con la sua usata ammirabil ma-  niera : « L* animo della Divina Bellezza innamorato allor che  e' gusta pe '1 suo verso, e intende le ragioni divine, non piu  i simulacri ma le cose vere in se stesso partorisce, e parto-  rite nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza richiama  ad alta voce la ragione dietro a' sensi sviata; per tal modo  divenendo I'uomo familiare di Dio e vie piii immortale  degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle Idee,  la notizia vera delle cose che sono ne risulta, non tanto  esse riconoscendo da Dio, ma ancora da noi medesimi, non  come cognizioni impresse con esso lo studio ne gli animi  nostri, ma si per la reminiscenza nella nostra mente resu-  scitate quelle che generate vi furono con esso noi per me-  rito della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio  corporeo bruttate vi erano e cancellate, senza lo ripulimento  delle studiose contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali  del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo  che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a falso lume si veg-  giono, e totalmente dal vero diversi.   %4     370 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Luigi, — Come sarebbe a dire?   MagioUi. — Come, verbigrazia, alia nostra vista per alcun  mezzo trasparente si ma gi*ossolano o mal pnlito qnalcbe  oggetto passando, che per esso sua immagine si stravolga  e sformi, tuttp altro da quel che e' ci rassembra e' lo giu-  dichiamo ; o pnre come nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli  per r aere sereno, da noi scorta talora, la quale, o per lo  risguardamento uostro mal situato, o vero per la grossezza  de^ vapori si da lungi sguardandola in figura di Lione o di  Drago, o s'in forma d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie  sembianze, cui, se awicinare potessimo le pupille, tutta neb-  bia confusa, informe e indistinta per awentura parrebbeci,  e che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o  si veramente dove un alcuno schizzo casuale o d' inchiostro  o di altra tintura, il quale da presso non e salvo che sca-  rabocchio sformato, un ben ordinato disegno di regolati  lineamenti tal volta da discosto ci sembra ; tale per le stesse  ragioni all' occhio della mente e dello intelletto gli oggetti  non di rado intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma  non altramente che non h mancamento del Sole, se varia-  mente ci paiono le cose da quelle che elle sono in varii  luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra diversa materia;  cosi non h difetto di quella pura semenza di luce, che nel-  Panima nostra fa lume, e riluce ugualmente ad ognnno,  ma si de* mezzi, ond' ella trapassa, o delle corporali pareti,  ond' ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti  si o no aUa lor vera veduta si guardino^ imperci6 che tatto  sta nel pigliare il verso e '1 vero diritto per giustamente  scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati gli organiele  vie per cui passano le spezie da qualunque intasamento de  gli affumicati vapori, che in alto levano gli affetti piu bassi  e piu irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di  f uliginose fumicazioni, le quali spesso da' varii accendimenti  de' sensi vi si tramandano. In si fatto modo per 1' use de' saggi  ammaestramenti, e con la continua disciplina delle medita-  zioni scientifiiche, e con esso lo incamminamento ben gui-  dato della ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la     DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 371   lucidezza delP immaginativa, che non s' intorbidi e render  possa le immagini vere e reali, e non isformate, ed impure  all' acume delle luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero  filo la chiarezza di que'raggi divini scorgano e intendano  le cose, come in fatto stesso elle sono^ al loro etemo prin-  cipio Yolgendosi, e da quello riconoscendole con perfetta  contemplazione.   Imperfetto. — Di vero, che i luoghi ne piii degni, ne piu  proprj esser ponno a fame co' suoi veri lumi discernere le  beUezze della divina sapienza, ch' e V idea universale (come  si e ^etto piu e piu volte) di tutte le cose che sono ; ira-  percio che convien farsi dall' amore verso Iddio, e dall' ado-  rare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima di  tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la vista a fine d' inten-  derla con soperchievole bramosia, e con ismoderato ardi-  mento. E' vuol essere amore filiale, nel modo che il figliuolo  r occbio al padre contegnoso rivolge e rimesso, e non gliene  squaderna in faccia prosontuosamente e senza la dovuta  venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove  con r intelletto non si puote pervenire.   BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu dottrinale per  ammaestrarne nel divino conoscimento, in quella lettera che  Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio  Ficino con la sua solita sottigliezza ed acume. Ivi egli dice  che V animo nostro non ha via di capire V Idee che sono  nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre  cose, e in quarto luogo, la scienza non ne abbia, e nel  quinto finalmente ch' e' non apprenda il mezzo per il quale  una cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo;  per esempio, 1' animo nostro e mosso alia scienza di sapere  quel che sia il Cerchio: primieramente bisogna sapere questo  nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria defini-  zione, e che a lui solo si convenga; terzo, s' immagini di-  segnata essa figura circolare awertendo, ch'essa il vero  cerchio non e, ma solamente la sua immagine; quarto si rap-  presenti alia mente la forma del medesimo Cerchio, cioe il  di lui esemplare generate con esso lui ; quinto, con si fatta     372 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   elevazione di mente trapassi a coatemplare Fldea del me-  desimo, quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile ap-  prensione vera e scientifica quale e colui che aspirare possa  in questa vita, se non se V animo umano, con la filosofia, di  8U0 caduco corporale meditando la morte, come di tntti  suo* sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi  a Dio ; che impero Pico della Mirandola nega la mente del-  r uomo potere intendere le Idee, se non giunto a simile stato  sublime, ch' h V ultimo grado della perfezione contemplativa;  e nel Htneo, come averete udito, dice Platone agli Dii appar-  tenersi dMntendere le Idee, e a quegli uomini pochi, come  si 6 a que^ soli, i quali merce della filosofia si sollievano al*  Taltissime speculazioni d'Iddio.   Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino io)i quali  dimenticatisi, non che di qualunque altra cosa, dell'essere  vivi, tutti alle potenze superiori dannosi in preda, e abban-  donano le inferiori^ che viene a dire datisi alia contempla-  tiva, perdono affatto Tuso della vita attiva.   Dafinio. — Si vede che io non sono di cotesti che voi  dite ; impercio che riconosco bene tutte queste proposizioni  Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi:  ma son modi, per arrivare a intendere le Idee, malagevoli  molto, e assai piu che non e la materia medesima delle  Idee; m' e nondimeno di alto rilevamento e di sommo di-  letto V udirli, e sentomi vostra merc^ cr;escer V ali per al-  zarmi vie piu che io per me valevole non sarei, di modo  che eziandio che io non giunga a intendere, posso dirvi,  signer Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Bea-  trice Io nostro Poeta:   « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io. »   Luigi. — Io sto cheto perche io credo ch' e' nasca da me  e invidio agli esimj vostri talenti che dalla volgare schiera  degli uomini vi traggon fuori.   • MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si  alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo sempre con  maggiore evidenza la proposizione di Socrate, che si fatte     DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 373   materie sovrane dalla nostra caduca condizione in tutto e  per tutto s'ignorano.   BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si favella,  ampla e malagevole, e per6 la mente ci 'si affatica a pen-  sarci, nonche la lingua nel proferire tante e si varie pro-  posizioni che non averebbe mai fine; e pero vi prego^ Don  Raffaello^ dite un po' voi, lasciandomi in tanto ripigliar lena.     (Segue) IL TIMEO.     Sopra VAnima del Mondo,     MagioUi. — Se il mondo Dio si e, tutt^ insieme unico e  intero, come si fanno a credere foUemente costoro; que-  st' altre Deit^, onde favellato abbiamo, che assegnarono i piu  de' Gentili a tutti gli operamenti generici delP uni verso,  Dii interi non saranno, ma porzioni di Dio^ e la terra che  e parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per tal modo sa-  rebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del mondo grandis-  sime, che inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del  Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci, che non mai  vi si liquefanno, le quali sarebbon membra divine a sif-  fatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare che  Iddio non fosse altrimenti impassibile. E non che le soprad-  dette regioni, ma tutte le minuzie del mondo, s^ egli e Dio,  saranno particelle di Dio ; laonde qualunque parte che Tuomp  e gli altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacri-  legamente una parte di Dio. Ogni fiore che si colga, ogni  erba che si divella, qualunque barba che si diradichi di sot-  terra, BB,rk uno strappare le viscere, dilacerare le membra  della divina sostanza^ e qualsisia cosa che nelPuniverso si  corrompa e guasti, corromperassi una parte di Dio. E tali  cose posson pensarsi non che raccontarsi senza vergogna?     374 ANTOLOGIA DI COSE ^NEDITE   E per5 divinamente il nostro sublime Filosofo nella Bepub-  hlica : Quel che e uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio,  per qual maniera anche con la immaginazione si puo egli  dividere in parti?   Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio V essere di  Dio, senza cho niuno V abbia veduto, e sappia come e qnale  e^ si sia, e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio,  perche e' non e a quel modo che noi immaginati ci siamo;  se quello ch* e Dio fosse e dovesse essere nel modo che dite  Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi  ch' e' sia tale ?   Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben nel Cielo si  puo immaginare, ma non gia qui tra noi; noi possiamo  bene e dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra imma-  ginazione piu perfetto di quel che noi possiamo compren-  dere, e non crederlo ne figurarcelo gia mai con quelle imper-  fezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero  quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo quel principio  supremo che senz'aver avuto principio, ha dato principio  a tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed  egli a niuna; il perfetto di tutti i perfetti, cui nulla si pnote  aggiungere ne torre, Toriginale primario di tutte le cose  buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte  le sapienti, intelligibili e razionali cose, le quali non son  parte di Lui, ne della sua propria essenza, ma copie, ab-  bozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben messi insieme, di  lui; quel che pu5 cio ch* e' vuole, e nulla ci ha che possa  sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di  senso umano, ne puo patire per avvenimento che sia, per-  che ogni avvenimento per lui viene, o da esso si puote im-  pedire : e impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che  vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne  tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine, perche e infinito, in-  forme, ne da verun luogo puo essere circoscritto, ne si ferma  per cosa che lo trattenga, ne ha movimento di luogo, o di  agitazione, ne si fa gia mai in conto, o per modo veruno,  non e il medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 375   dissimile, ne uguale, n^ disuguale, perche niuna cosa il mi-  sura ned' e per novello ne per antico, ne in tempo, ma sem-  pre senza tempo, non generato giammai, ne si genera al  presente, n^ fu mai, ne fatto e ora, ne si far^, ned' ^, ne  dope sara, ne e partecipe di sostanza, perche egli e solo e  V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene'  rato, e tempo preterito, U sard e si fard e future, egli e e  si genera e si fa, e presente, che son misure di tempo, ed  egli non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha  veramente niun nome che appropriatamente gli torni, niuna  defiinizione che gli si addica, ne di lui si puo concepire da  noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e  perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne agguagliarlo  con parole mortali^ ne pensare, ne cognoscersi, ne da nes-  suno ente che sia formarsene concetto, o aver sense, o lume  81 chiaro, che vi aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si  stende. Egli e insomma V ottimo di tutte quante le cose che  sond, ma e* non e niuna delle cgse per ottinie ch^ elle ci  paiano, perche egli e sopra 1' essenza di tutte. E se Iddio  non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi  si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce, si come il meglio  di tutto queUo ch* e, perche ogni cosa per lui e ? E pero  Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe essere di altra  maniera.   Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose visi-  bill e il piu perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo,  impercio che chi fa, chi produce, e si smisuratamente adopra  tante e si meravigliose operazioni, come fa Tuniverso, e  quale con maggior ragione e sapere di esso?   Magiotti. — Non puote essere il meglio e il piu perfetto,  quello dove giungono le misure del quanto e dove i nostri  sensi si allargano, cui competa il nome sovrant) di Dio; ma  ha da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli  argomenti umani e dove niuno puo alzar le vele con la  navicella del proprio ingegno, perche di cotesto non si puo  andar piu in la, ne anche da i compassi infiniti della menta  divina, conciossia cosa che essendo egli infinito, infiniti e     376 ANTOLOGU DI COSE INEDITE   senza termine sono gli attributi che a Ini si convexigono.  ne dalla nostra immaginazioiie si pQ6 sapere cotanto adden-  tro, per modo che niente ci ha da coireggere come saocede  negli sbagli e ne' difetii del mondo, che per hi reita, e nud-  yagit^ natnrale della materia, a otta a otta danno in fnori,  n^ con esso V oirdine di chi lo regola pii6 ammendarsi in  gnisa, che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per  la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e, n^ qnel peifet-  tissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente  dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed assolnta di an  Dio, qaantnnqne riesca ai nostri occhi 1' nniverso a. ammi-  rabile, e qnanto a noi la pin beUa, la piu perfetta cosa che  sia, per merito del magistero sovrano che lo fabbrico, e che  veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omii-  potenza Divina; laonde con somma saviezza disse Plotino:  « dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e  dove la perfezione intera non sia, non si pao dare V nltono  fine il qnale per sna incommensnrabiliia divenga infinito;  e U mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche  a cagione deUa materia patisce; > e pero, dice il Ficino, «gK  e indivisibile, e sottoposto a diseioglimenti contimii, e come  di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga con-  ginnto, il quale di sua natora perfettissimo' sia, ed intero,  e da se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte  le'misore, e di totte le immaginazioni deDe cose finite: im-  percio che il sommo di totte qoante le cose e cosi alto, che  vince la nostra vedota, e da qoesto solamente deesi credere  che abbia il mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e  qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli  ha, in come lavoro dell' etemo motore, che impero si rag-  goardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e  opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia perche  e' sia Dio.   Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de' sopraddetti  filosofi fosse egli Iddio, Terrebbed a oscire d' inconyenienti  molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che  non si ammette in modo alcono da venmo filosofante, o che     DI ORAZIO EICASOLI BUCELLAI. 377   81 diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il paziente  insieme, di una stessa dignitade e potenza, il che non pa6  tomar mai alia ragione de'piii esperti contemplativi; dove  se Iddio e la materia fosser tutta una, sarebbe una Deitit  sola etema, cio^ il mondo medesimo.   Buofiaccorsi. — Tutto il ragionamento precedente del nostro  Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi della filosofia,  cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la materia, di  difetti sarebbe pieno e di errori, che non si deve presup-  porre di un Dio^ ne puo essere una medesima sostanza fatta  di due cose contrarie assolute, onde immedesimare si potes-  sero in un solo soggetto e le condizioni ottime di Dio e le  prave quality della materia.   ImpefeMo. — Parmi aver letto, e non mi ricordo dove, che  Iddio h non Ente, e si altresi la materia e non ente ; adun-  que che contrariety ci sarebb^egli se ci6 vero fosse?   Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chia-  mano il primo Ente, e veramente non Ente per rispetto a  gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e  non ente, perch* ella h inferiore a gli Enti ; » ora considerate  s' e' sono Iddio e la materia veramente contrarii. Ma con  altro argomento risponde Alcinoo, e di vero con somma sa-  viezza, contro V opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo  (die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo,  di materia e di forma composto sarebbe, e perd non saria  semplice come all' essere di Dio vien richiesto, ne imper6  principio per s^, solo, increato, come Iddio esser conviene.  Ora non potendo esser corpo, non puote in veruna ragione  essere Iddio V universo corporeo. »   MotgiotU, — Gli Stoici dividono la natura universale in due  parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta  si e. Nella prima la virtii della vita e del sense consistere ;  la materia per s^ infingarda, e oziosa nella seconda; ne  Y una poter stare senza V altra nell* Universo: ma non puo  gill essere il medesimo quello che adopera, e quelle in cui si  adopera, come se tutta una avesse da essere il vasaio che  il fango, e il fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto     378 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   delirio che reputano queste due diversissime cose il mede-  simo Iddio e il mondo; TArtefice e la fabbrica! La mate-  ria, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da Dio  e ordinarsi di continao talmente, cbe a Dio sta Tordinarla  stabilmente. E la materia da lui ricevere la sospinta, e or-  dinarsi mobilmente ricevendo da Dio la sua tempera secondo  gV iutervalli de^ tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il  quale quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo  essere, sempre si ricarica, se no finirebbe il suo movimento  6 non andrebbe piu; nello stesso modo la materia di sua  natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel di-  sordine del Caos, perche via via col suo disfacimento ella  quanto a se vi ritorna, ma di presente il maestro eterno la  ritempera e la rimette su Tordine, e falla camminare com-  postamente per via delle continue generazioni, e di mano in  mano ch'Ella va a perdere sue forme, riformandola per  mezzo di quegli esempi eterni, e cio si fa per rispetto a Dio  infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente  secondo la materia, riformandosi di continuo essa materia.   Luigi, Che cosa e egli dunque questo Universo che anima  tutte quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, no-  drisce, accrescele e crea ? tutte quante in oh le riceve e sep-  pelliscele, e di tutte ugualmente e Padre, perche del mede-  simo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo disfannosi}  s' e' non e Iddio onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose  €he sono hanno T essere loro?   MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono,  ma r intelletto Divino e Padre del Mondo (dice il medesimo  autore) e la materia Madre : e V ornamento del Mondo, e  prole Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la  prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi ammirabili per  cui ella si concepisce, e come ella si fa, e per questo pren-  diamo errore, stimando il nostro occhio e i no&tri sensi mi-  sure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo. £  pero non e il mondo Dio, ma per V onnipotenza di Dio egli  6 quel che egli e ; noi scorghiamo gli efifetti e non la cagio-  ne, e come detto si e, gli pigliamo ignorantemente da quella     DI OBAZIO EICASOLI RUCELLAI. 379   in iscambio, facendoci a credere con somma demenzia che  quel che e fuori della nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e  per se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente  o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e coloi che regge e  governa, e che formo la natura.     {Segue) IL TIMEO.   Se VAmore sia V anima del Mondo,   Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere pro Tribunal!,  e discorrete altamente come h nostro uso.   MagioUi. — £cco fatta Tobbedienza, e ricomincio a dire,  essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima in-  torno alia sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile,  e air Idee, si come alti esemplari del nostro sensibile, e delle  forme che questo adomano. E si parimente avendo discorso  sopra r opinione dell^ anima universale e quanto i sentimenti  di Platone si accostino in molte parti alia nostra verity, mi  6 venuto in amore di ragionare parimente co^ sentimenti  Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima  del mondo, o la porzione piu nobile e piu sovrana di essa,  e cio in seguimento del proposito tenuto sin qui. Sommo e  infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene, impercio che  di essenza perfettissima egli e, e anche oggetto di infinito  amore, e insieme di godimento infinite, e di perfetta bea-  titudine a chi lo possiede, si come eziandio sommo e asso-  luto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque il  conosce, e non V ha in s^. Ora perche egli e sommo e in-  finito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e per6  Iddio solo nella sua eterna mente il concepisce e intende,  cio^ egli solo cape s^ stesso. Questo concetto dunque, questa  cognizione ch^ egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto  primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto divino, come     380 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile  ed etemale, che tanto si e a dire 11 discorso eminente e non  errante che fa Iddio sopra *1 suo essere divino, ottimo e  inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo infinito me-  rito di sua perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il  Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per il quale yiene  constituita la persona prima del Padre correspettiva e di-  stinta dalla seconda che e il suo £gliuolo, in tutto e per  tutto uguale a lui. Da questo atto poscia di cognlzione e  d' intendimento sovrano che fa Iddio di questo bene etemo  ch^egli possiede in s^ stesso, subito ch* e conceputo dal  Padre per oggetto di beneficenza infinita, a misura di sue  altissimo valore infinitamente V ama, e quindi procede quello  ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione di esso  infinito bene, per la cui strabondevole fecondit^ sparges! pel  Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile  carit^, dalle cui fruttlficanti faville tutte le cose che sono  hanno essere* e vita. E simigliante infinito Amore proce-  dente da amendue le altre persone, 11 Divino Spirito si e, il  quale secondo la verita nostra h la terza Divina Persona in  essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari,  e dal nostro Poeta Teologo altamente espostoci nel Pa-  radlso. Canto X:   « Guardando nel sao Figlio con 1* Amore  Che rnno e Taltro eternal mente spira,  Lo primo ed ineffablle Yalore, >   per cui le scintille di suo fuoco amoroso, cioe a dire le  divine grazie si spandono di sua Providenza onnipotente e  benefica per tutti quanti gli ordini della natura. Per le me-  desime scintille poi prese fuoco eziandio ogni altro amore,  imperciocche innumerabili amori si accesero nella natura  universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come  bene ne awertisce 11 medesimo Divino Poeta, perche esso  amore aperse 11 varco della creazione deirUniverso alio  sparglmento de' suoi benl portati su le all della sua arden*  tissima carlt^, de* quali egli era infinitamente ripieno, sola-     DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 381   mente per diffondergli altrui, che egli non era in nessun  conto bisognevole.   c Non per avere a s& di bene acqaisto,  Gh'esser non pu6, ma perchd suo splendore  Potesse risplendendo dir: snssisto;   In saa eternitii, di tempo faore,  Faor d*ogni altro comprender come i piacque,  S*aperse in nuovi amor Tetemo Amore.   N& prima, qnasi torpente, si giacque,  Ch^ nh prima ne poscia precedette  Lo discorrer di Dio sovra queste acque. »   Qaesto amore, dunque, raccendendosi con iscintille senza  novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro  piu o meno direttamente a riamare e adorare il bene in-  £nito, secondo ch^ esse piu o men chiaro il rafQgurano e se-  ,condo le proporzioni e disposizioni, ch^elle hanno piti o  meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui per diritto filo,  o per via di varii e moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi,  o si pure stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la  positura mal situata de* proprii affetti, non in Lui, ma in  altre creature erroneamente te gli fermino.   Luigi. — Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio  conto ricerca piu esatta ospressione.   MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite  bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui non sia, e che  non discenda da Lui, e intanto il bene e bene, in quanto egli  b comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infini-  tamente comunicabile convien che sia^ e per6 tutti i beni,  che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si  spicchino da questo unico infinite bene, e dove non sieno  riordinati a Lui. Per la qual cosa non ci hanno beni in noi,  nh fuori di noi, se non gli spande il supremo benefattore  Iddio come miniera e principio di tutti i beni.   c Dunque air essenzia, ov* e tanto avYantaggio  Che ciascun ben che fuor di lei si trova  Altro non h che di suo lame un raggio, »     382 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   canta il medesimo nostro Poeta. Vero e ch'essi si adnl-  terano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni,  qnalanque volta secondo il loro diritto non si rivolgano, e  se si torcono non si riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo  per cni fassi penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le  cose create, salvo che lo spargimento delle faville di qnesto  ardentissimo primo Amore da iai procedente e ugnale a lui, le  quali in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle  ne sieno secondo loro capaci : cioe questo desiderio, questo ap-  petite ch* e innestato nella natura universale di finire beni si  grandi, pe* quali ella si mantenga viva e perpetua. Imperd  merce di questo amore primiero fontana di tutti gli amon  accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte di creature o  vegetabili; o sensibili, che sono semi della sua profonda  e inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa  carita; e percio Tamano, e si Tamano di voglia siccome quelle  che accese ne sono ad una cieca obbedienza della sua vo-  lonta cotanto loro giovevole per la loro prima conservagione;  e Tamano gli individui loro, ancor che per avventura non  sappian di amarlo, conciossia cosa che intendimento e^non ab-  biano da conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e ge-  neri loro, e se non questi, hallo e V ama e V adora la madre  natura, ch* h il genere.di tutti i generi, la quale accendesi al-  Tesecuzione del suo altissimo provvedere, divenendo in qaesta  bassa circonferenza ministra della Divinitade. Ma tali beni  che dall^ infinite e sommo bene si diramano parrebbero quasi  beni finiti, e terminabili, se non ci fosse anche a chi comn-  nicare i beni etemi nel loro essere intero e perfetto, che  sono i veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene:  per lo che tra le cose note a noi, appresso V intelligenze sa-  periori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente  quel che elle amano, adorandolo a vise aperto, hannoci gli  uomini, i quali ci rassembrano capaci dello sfogo della di-  vina bont^ intorno a gli eterni beni ; e di ragione debbono  e dovrebbono amarlo sopra ogni cosa che sia, avendone co-  tanta arra ne'beni sparsi per V universe, e tanti e si be'raggi  per riconoscerlo, scorgendolo manifesto nella bellezza del     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 383   tntto e nolle bellezze tante e si varie di esso; e quando  e'non fosse altro, conoscono per alto privilegio di averne la  cognizione, e la bramosia cui h credibile che sia data, perche  Iddio gli abbia fatti degni eziandio di ricevergli, il che non  si ravvisa negli irrazionali che hanno i desiderii loro, e loro  affetti^ e passioni Dei primi moti solamente, dove gli uomini  hanno ne gli atti secondi lumi da distinguere e scerre il  meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragio-  nevoli adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli  per volonta. Di maniera che le razionali creature debbono  accendersi, e '1 possono spontaneamente, al riconoscimento  e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie di-  vine^ e alia gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera  che essi beni non piu beni sarebbero in noi se non piglias-  simo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa  primo Amore, e non si riconoscessero da noi, e desiderassersi  con piena liberta di volere e con atti riflessi corrispondenti  a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che  le razionali creature hanno virtii di distinguere e deside-  rare questi beni per mezzo di quest o amore scambievole tra  Dio e noi, il quale da lui per venire a noi si diparte, e ac-  cendesi in noi per ritomare a lui, talmente che amore dee  essere in noi un ripercotimento di Amore, e un rivolgimento  e un ricongiungimento continue con esso le cose divine,  e un concordamento tendente alia perfezione della divina  unitade. E per cio Amore, disse Platone, h quelParmOnia  e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concor-  dia ed aU'uno; per guisa che nolle creature dotate di ra-  gione si eccita il lume del conoscimento e le faville di  amore verso il sommo bene, e di tutti i beni che si driz-  zano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo amore  e di questo fuoco divino, qualunque volta la parte inferiore  non recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi  non ofiFuschino la bella luce della ragione. Impercio che i  principali movimenti delPanima sono Pintelletto e la vo-  lenti, e le altre potenze sono o a questi, o per questi. L' in-  telletto ha per oggetto il vero, la volenti ha per oggetto il     384 ANTOLOOU DI GOSE INEDITE   bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si pu6 conse-  gaire perfettamente da loro, quindi molte fiate V amore del  vero e del buono si lascia in noi traviare dalle opinioni  e dai sensi, e scambia poscia il vero dal falso, il bnono dal  reo. e non al sommo bene, ma si follemente rivolgesi al-  trove. Ma saviamente lo c'insegna Platone nel Fedro, di-  cendo cosi: «Che in noi sono due faculty, le quali hanno  gran forza o potere di guidarci a lor senno : V una si e la  cupiditib innestata in noi, di quel che piil ci diletta : V altra  una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste al-  cuna Yolta convengono insieme, alcuna altra contrastano e  tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando  r opinione sotto la scorta della ragione ne conduce a quel  che veramente h V ottimo, tale si e la virtu vera e F adoperar  ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli  ne travia, e in noi imperiosamente comanda, qnesta chiamasi  cupidigia, che muta nomi, seconda a quale effetto ella stol-  tamente ne mena. E tale si e quell' amore malusato e tra-  sportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle solo,  il quale all* ottimo ne insegna la via.»   BuotMccorsu — Con chiarissima distinzione considerate  avete, Don Baffaello, i movimenti di questo prime amore, e  quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ;  impercio che primo amore convien chiamarlo; con ci6 sia cosa  che tutti i moti nel mondo, e negli ordini vaij delle creature,  tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono  impulsi di quell' amore, ch' h V origine impero di tutti gli  amori. Ecco la natura percb^ si muov' ella alle generazioni  se non per amore, ed essa nel suo universal movimento non  erra? e se ragione e al mondo, come tiene il nostro filosofo,e  non si regge e governa a caso, come la nostra verita il vieta  di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a  ricongiugnere le cose, che per loro difetto dal loro ordine  si deviano; per lo che nasce spesso il tumultuoso combai-  timento di quelle che fuori di ogni loro dovuto luogo a.  trovano ; cosi talora e co* venti, e co' turbini, o con le tem-  peste, o co'folgori, tutte impetuosamente si commuovono.     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 385   ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E percio essendo tratte  fuori dalla loro natural positura s' infuriano per ritornarci  e per ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello  che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne meno le razio-  nali creature si muovono con tutti i lor moti, quali essi  sieno, o buoni, o mali, sempre per amore; se buoni per  amore alia virtu o alia bellezza degli animi, che gli addi-  rizza alia divina pulcritudine ; onde il Poeta:   « Che mentre il segui al sommo ben tMnvia; »   se mali, perche scambiando gli oggetti che gV inducono ad  amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le  vie non vere,   « Immagini di ben segnendo false. »   Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo i diletti carnali,  e via via di tutti i vizj e falli degli uomini, fino 1' ambi-  zione, anzi Tira, gli odj, e si le malevoglienze, le male-  dicenze, e le vendette medesime nascono da amore per levarsi  d'intomo cio, che impedisce loro di godere quel che egli  amano ; il che acutamente ci ammaestra san Tommaso, che  intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il  bene che noi amiamo; ma non di meno in si fatte passioni  d^ amore, non mai i mortali si satollano, impercio che anche  conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto del-  V amor loro non consegmscono, ancor che e' si pensino di  trovarloci entro.   Impero V amor vero e reale scorge gli uomini alia sa-  pienza e all* amor divino. L* amore stravolto da* sensi, e  che tormina nolle cose corporee, ha solamente per fine se  stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e  utile, sodisfacendo in tutto per quanto e* puo ai corporali  appetiti. Per la qual ragione dicesi amor proprio, il quale  da regola a* movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che  non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta nostro sovra-   25     386 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   no, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al dicias-  settesimo Canto.   « Ne Creator, ne creatura mai,  Comincid ei, figlinol, fu senza amore,  natural e o d'animo; e ta '1 sai.   Lo natural fu sempre senza errore;  Ma Taltro puote errar per malo obbiotto,  per troppo, o per poco di vigore.   Mentre ch'egli e ne*primi ben diretto  E ne* second! s^ stesso misura,  Esser non pu5 cagion di mal diletto ;   Ma quando al mal si torce, o con piii cura,  con men che non dee, corre nel bone.  Contra 11 Fattore adovra sua fattura.   Quinci comprender puoi, ch' esser convione  Amor sementa in voi d' ogni virtute  £ d^ogni operazion che merta pene. »   E piu abbasso^ nel medesimo Canto, strettamente al nostro  proposito:   « Amor nasce in tre modi in vostro limo.   te chi, per esser suo vicin soppresso  Spera eccellenza, e sol per questo brama  Ch*el sia di sua grandezza in basso messo.   I) chi podere, grazia, onore e fama  Teme di perdor perch' altri sormonti,  Onde si attrista si, che '1 contrario ama;   Ed 6 chi per ingiuria par ch'adonti  Si, che si fa della vendetta ghiotto;  E tal conyien, che il male altrui impronti. »   Per lo che riconoscesi manifesto che anche il desiderar male,  e il far male altrui, nasce da amore, come detto si e, ma  da amor soverchio di se medesimo, impero che la volontft  non puote per alcun modo che sia amare semplicemente il  male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in altri a  fine sempre e per amore del proprio bene, ch' essa s' imma-  gina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corpo-  rei; conciosiache e' non intendono gli uomini, e non sanno  aprir le ale, onde salgano in alto a questo primo amore, ne     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 387   sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo  e ardente, il quale dissemina ampiamente le sue lucidissime  scintille per lo tutto a conservazione e vita del tutto, e alia  ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino  facitore, come detto avete : ma lo stravolgimento nasce in noi  dal mal giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della  vista dell'anime nostre, per entro le sensibili vestimenta  che ne ricoprono, e nascondonne il purissimo lume, lascian-  done a pena che un mal distinto bagliore, e tutte le bel-  lezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne' volti  risplendono di bella donna, sono riflessi e specchi della bel-  lezza suprema; e colui il quale riguardando con amore in  essi, ivi i raggi ferma della vista amorosa, e non sa alzargli  al lor perfettissimo originale, ne va errato a guisa di quello,  che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello  s' immaginasse nel cielo; il che appunto ne awertisce Mar-  silio nostro, che la belta e un certo atto, vivacita e grazia  che risplende ne' corpi per lo raggio della sua prima Idea,  e consiste nelV ordine, nella proporzione e nel lume, qualita  e sembianze che si possono agevolmente guastare, e trasfi-  gurarsi, riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza e  incorporea, e qualunque ama solamente i corpi non ama  vero oggetto di amore, ne bellezza sincera, per cio che que-  sta riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la pro-  porzione dalla Divina sapienza. Per la qual cosa (die' egli)  cbiunque ama il lume del Sole, non dee amar quel corpo  dove batte il Sole, ma riferire suo amore al Sole medesimo,  ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; imper-  cio che lo splendore del Volto Divino che nelle cose belle  rifulge h T universale della bellezza, e Tappetito che a  quella si volge e 1' universale amore, e quindi nasce poi U  particolare amore a particolare bellezza ; e percio scambiano  di leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso  adombrato dalla luce chiarissima, che lo indora.   Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti il soccorso ap-  punto del signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene  I'ombre del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo     388 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   veruno, ma e legge della natura e di Dio, che gli uomini,  e le donne, anziche gli uomini eziandio tra loro scambie-  volmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno  della virtu ch' e figura e immagine vera di Dio, e non termi-  nino I'amor loro con esso Tappetito nelle forme corporee  apparenti, conciossiache questo amore sia anzi awersario  d'Amore, si come quello che dalle bellezze dell' Idee ne ri-  torce il guardo alia deformita della materia, e ivi si ferma.   Dafinio, — Ma lo appetite che voi dite non e egli parte  di amore?   MagioUi, — Son faville scappate fuori dal fuoco dell' amor  vero, che si appigliano nella pece o nel ferro, i quali pero  ne scottano i sensi e arroventano il cuore, benche ciecLi  afPatto di luce; impero che amando le corporali bellezze,  come loro ultimo fine, non si amano come Architetture di-  vine, e percio ancor che in esse in fatto stesso amino Iddio,  come fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore,  non sanno di amarlo, e amandolo, il disamano, perche in-  vece di ordinare T amore a lui, amano quelle, si come in-  centivi non all' amor divino, ma all' amor proprio e alle  proprie volutta; e per tal modo spengono nella corporalita  materiale, non che la fiamma del vero e lecito Amore, ma  il lume della ragione. Amar dunque si dee con amore (ne  ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal guisa che cio  sia venerare la sapienza e temere dell' onnipotenza divina  con ammirazione di lui ; e questo si e amare con vera dot-  trina d' amore, impero che con ragione rammemoraci nel  Fedro, che la faccia bellissima della Sapienza, dove si po-  tesse con esso gli occhi riguardare, all'ora altri si accorge-  rebbe che cosa sia veramente amore.   Seguitiamo, dunque, il discorso, e si repetiamo, come  questo Amor primo, onde tutti gli amanti si accendono, e  razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse,  il quale portandosi sopra 1' acque, fu ministro della creazione  di tutte quante le cose, riducendole alia prospettiva dell' es-  sere; e che parimente per via delle inspirazioni accende e  volge i cuori delle ragionevoli ai loro supremo benefattore ;     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 389   ed e insomma la terza persona della Trinity ; essendo Iddio  Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spi-  rito Santo per I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo  ordina e dispone, e come Spirito Santo sparge la vita e con-  serva, e tutti richiama al loro Autore, che pero Dante fa-  vellandone neir Inferno, ne le distingue con evidenza:   « Giustizia mosse il mio alto fattore :  Fecemi la divina potestate,  La somma sapYenza e il primo amore.  Dinanzi a me non fur cose create,  Se non eterne, ed io eterno duro: »   con quel che segue.   Ma ora adattiamo un poco al nostro vero Timmagina-  zione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pen-  sieri elle si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa  cosa a udire come il nostro Autore a tanta verity avvici-  nato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare, signor Gio-  seppe, cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa  errar non potete (come fare' io) nel referirlaci, e nel met-  terla con esso la nostra in agguaglio.   Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la vostra modestia  mi suggerisce, ma per darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don  Raffaello carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso  Maestro a repetere il medesimo, che detto si e ; come Iddio  e sommo e infinito bene, V occhio della cui alta mente in  se risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^  e a simiglianza di specchio purissimo e tersissimo, ella  piglia in se, e rende con que'divini reflessi Timmagini in-  finite ed eterne della sua infinita Sapienza; e queste se-  condo lui so no intelletto divino, il quale comprende in sh  tutta insieme 1' Architettura perfettissima dell' intelligibil  mondo, con tutte quante le Idee delle cose possibili a farsi  da una onnipotenza infinita, le quali fornite perfettamente  di fare dalla sua infinita sapienza si ragunano, e disegnansi  nel ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indi-  visibile insieme congiunte, dimorano in una idea «ola, di che     390 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   altre volte ragionato si e in proposito dell' Idee: la cuiin-  finita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll con occhio  desioso e benefico, giacche per se tutta la possiede e non  pu6 contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc  il primo amore, come pur voi diceste, il quale voile Orfeo  essere stato locato nel seno del Gaos nato innanzi al mondo,  appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di  gran consiglio. Per lo che Parmenide si lascio intendere,  Iddio innanzi a tutte le altre Delta aver conceputo Amore.  Nel Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi tra-  smesso dalla Divina Sapienza alia formazione e armonizza-  mento delPuniverso, da esso amore la bellezza ricevendo e  r ordine.   Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo onde Iddio inco-  minciando da se ordina questo filo, secondo lo intendimento  platonico ?   Buonaccorsi. — Volendo la Provvidenza suprema, e questo  sommo e infinito bene comunicare, e mettere in opera i  frutti della sua infinita bonta, e non avendo nulla fuori di  se, delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del-  1' intelligibil mondo, la creazione del mondo sensibile, per la  cui e£Fettuazione dispose valersi di questo Amore.   Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me capire la sen-  tenza platonica intorno alia nascita di questo amore.   Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina Mente, cioe il  suo perfettissimo intelletto si rivolga a Dio come sommo benC;  onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata,  e dallo splendore di quel raggio accendesi eziandio una viva  cupidita di propagare fuori di se si maravigliosa luce, e qae-  sta alta e ardente cupidita del sommo bene amore si e.  Adunque la mente ch' e accesa accostasi a Dio, e accostaD-  dosi riceve le forme prime divine^ che sono la bontii, la  sapienza e la bellezza infinita del sommo bene ; e per tal  maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono,  6 che esser possono per lui, ed esse pitturc sono le Idee  infinite del Mondo Archetipo, le quali nel mondo corporeo  aveva determinato con fabbrica piu massiccia imitare; e     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 391   qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli animi razionali  (come si disse) ragioni e notizie; ma nella materia immagini  e forme ; queste impercio rifulgouo nella Divina mente con  raggio lucidissimo; nell'anima in modo men chiaro; nel  mondo in gaisa molto piu oscura. Per la qual cosa, awer-  tisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di mettere  ordinatamente in filo le intelligibili cose, e trovarvi qual-  che attaccatura per le sensibili per quella via pero ch' ei  puo, che Tunita divina sia termine dal quale ogni e qua-  lunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura senza confu-  sione e senza moltitudine; la mente poi e una certa molti-  tudine ordinatissima dell' Idee stabile e eterna : la ragione  dell' anima, moltitudine di notizie e di argomenti, mobile  si ma ordinata ; 1' opinione una moltitudine d' immagini di-  sordinate, e mobili: I'unita non solamente unisce le parti  deU'anima tra loro, e con tutta I'anima, ma eziandio tutta  I'anima unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione;  la medesima anima in quanto ella riluce per lo raggio della  mente divina, le Idee di tutte le cose per la mente con atto  stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesi-  ma, le ragioni universali delle cose considera; in quanto  ella risguarda i cor pi, le particolari forme rivolta alia sede  deir opinione, e si le immagini delle cose mobili ricevute  pe' sensi ; in quanto ella declina totalmente alia materia,  usa la natura per istrumento col quale muove essa materia  e formala, onde le generazioni, e gli augumenti, e i contrarii  loro procedono. Innanzi dunque che la mente da Dio rice-  vesse le Idee, a lui si accosto, e avanti che si accostasse era  la fiamma accesa di quello appetito del buono, e del bello  cotanto perfetto nella sua essenza, e prima che si accen-  desse aveva il divino raggio ricevuto per conoscere la per-  fezione di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo in-  tendimento illuminasse, gia esso desiderio ardente al riguar-  damento di lui medesimo si era rivolto : ora, come dice Ficino,  il primo voltamento a Dio del divino intelletto e '1 nascimento  d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la bellezza si e  perfetta, primo raggio della Divina bonta, alia quale di pre-     392 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel  lame, onde il me' che si potea in questo mondo visibile im-  presse restassero, e adorne ; per si fatta maniera traendola  fuori della confusione del Gaos ; che impero fa saggiamente  creduto per entro al Caos essere stato locate Amore, accio  che con la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse  maneggiabile la materia corporea e dura, alia perfezione  conducendola di si bell' opera, e si perche le tenebre da lei  discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine  che fa essere 1' uni verso opera degna di chi 1' ha fatto.  Ch'fe egli altro dunque questo amore secondo Platone, se  non quell' auima universale, o la porzione primaria e piu  perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla natura del Medesimo  avere avuto suo cominciamento, e poi a intenzione di farla  confacevole e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Di-  verse? Laonde della natura di questo e di quelle essere  stata insiememente composta; impercio te la veste della  luce corporea, la quale e' cre6 innanzi a ogni cosa del mondo,  come si e detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del  mondo platonico non essere salvo che amore, cioe a dire  quell' appetite universale, quel caldo vivifico disseminate  nella natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime,  muove tutte quante le cose alia generazione continua, onde  di mano in mano che per la naturale mortalita di tutte le  cose inferiori gl' individui periscono, merce di esse amore  rifacendosi, conservansi eternalmente le specie lore, e man-  tiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio av-  viso Marco Tullio nelle Questioni Accademiche, quando disse:  Ex mtmdi ardore motus omnis oritur: is autem ardor non dlieno  impulsu, sed sua sponte movetur; animus sit necesse est, ex quo ef-  ficitur animantem esse mundum, Eccovi dunque in questo ardore  del mondo che anima il mondo, essere chiarissimamente spie-  gato amore. Per la qual cosa non a torto s' immagino il di-  vine filosofo esserci due Veneri, con esse distinguendo le  operazioni intelligibili dalle sensibili in quanto alia fattura  dell' universe ; ed esser genitrici di questi due amori, natu-  rale e divine; la prima Venere tutta adorna del divine fill-     DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 393   gore, lo sparge alia seconda Venere; la prima suUe ali del  'prime amore e rapita air in su a riguardare la bellezza di  Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pi-  gliandone, il me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si  rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al simile che riu-  scir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi mondani, aiutata  a cio da quell' amore, che nell'anima universale risiede, e  da gli stimoli alia natura, e per tal via da questa Venere  seconda raccolgonsi e trasfondonsi le scintille, che schizzan  fuori dal divino fuoco amoroso in tutti i corpi del mondo,  i quali per merito di quel lume riescono belli secondo la  capacita loro, e accendonsi di un ardentissimo appetite a  tutte quante le generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto  sail Trimegisto) ch' egli affermo proferirsi dalla voce del  Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata questo co-  mandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe  cose che sono, le quali opere mie sono : col quale fiato amo-  roso e benefice impresse nella natura e razionale e irra-  zionale gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo  alto volere. In prova di che Platone nel Convivio esplica cosi:  Iddio nel creare il mondo avere innestato in qualunque delle  cose da lui create una tale amorosa concupiscenza, che aspi-  rando ad una certa simiglianza e congiugnimento venis-  sero con simili impulsi propagandosi a conservarsi perpetue :  e pitt abbasso seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende  d' Amore) e cotanto ammirando, si ritrova in tutte quante  le cose, che si contengono nell' ampio giro della natura uni-  versale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature, e  umane, e divine, e pero egli e grande, e molta, anzi tutta  1' intera efficacia, in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che  per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di  tutte quante le piii vaghe leggiadrie e bellezze e avvenenze  che dar si possono, e si di tutte le grazie, e di ogni qual-  sisia desiderio e generazione ; e in somma 1' adornamento  piu perfetto degli uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli  essere 1' istessa cosa che 1' anima dell' universe, come altresi  ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima favellando :     394 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et  sapientissimam, virtutem esse genitricem subservire fabricatori  Deo? Ora questa Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti  che amore? Anzi, per rendere tanto maggiormente palese  come per tutte le divine cose e piu alte amore si spande,  eccovi citato il Divinissimo Poeta nostro favellando del Pa-  radiso :   « In questo miro ed angelico templo,  Che solo amore e lace lia per confine, »   e piu innanzi:   « Ricomincio: noi semo usciti fuore  Pel maggior corpo al ciel eh' e pura luce;   Luce intellettual piena d' amore,  Amor di vero ben pien di letizia,  Letizia che trascende ognl dolzore. »   Di modo che e' si vede e nelle cose naturali e nelle umane,  e piu di ogni altro luogo e piu puramente nelle cose divine,  essere sparse amore.   Imperfetto, — lo ho notato quel che dice Trimegisto che  mi ha fatto stupire, e sembrami, ch* e^ sia il crescUe et  multiplicate et replete terram secondo la divina favella.   Buonaeeorsi, — E pero quando il vero e vero, cioe quelle  che ci par vero e veramente vero, gl'ingegni di piu alto  acume ci danno sovente dentro eziandio col lume naturale.  Ma ritornando a questo Divino Amore, raccogliendo insieme  tutto il discorso, puo dirsi che per merito di questo amore  primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fat-  ture deir Universe, accese di si fatte faville, si volgano e  amino Dio ; le divisibili alP indivisibility suprema ansiosa-  mente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e  uniformita; le discordi all'armonia; le sparse e disgiunte al  lore piu desiderabile ricongiugnimento; le multiplici e nume-  rabiH alia perfezione dell' uno, cioe a dire conspirano tutte  air unita delP Universe, come il simulacro piu perfetto che  mostrar si possa a' nostri occhi del mondo divino ; per tal     Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 395   modo insomma, anche le cose indefinitamente difformi al  Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni innanzi si dipar-  tono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e  quindi desiderosamente a quello si studiano di far ritorno,  si come a lore unico perfetto e sommo bene, il quale repu-  tano tutti quanti i Platonici esser posto nel centre di que-  sto circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi si  partono, ed a lui si ripercuetone qualunque volta per la  colpa degli impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e  corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via pren-  dane fuori del giro piu perfetto della ragione.   Dafinio, — Qui correrebbe piu bene 1' esempie del  Sole constituite, secondo la sentenza Gopernicana, nel  mezzo del nestre sistema, che quindi spandende i raggi per  tutto illumina piu agevolmente tutte le cose, che per al-  tra via.   MagioUL — Non impediamo al signer Gioseppe il corse  del ragionamento, che e materia melto difficile.   Btionaccorsi. — E per cio quanto bene disse Apuleje, cen-  siderande anch' egli essere una sfera d' infinita retendit^  V essenza del tutte, nel cui centre risedesse il divine Sole  ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto  quello ch' e, e si spandende i raggi di quell' infinite amore  alia cemunicaziene de' sue' boni, essi vie piu adoperassero  perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in  mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle piu lontane. Cor-  pora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de Deo  capere, multoque minus qua ah illis sunt secunda, et ad hcec  usque terrena pro intervallorum modo ; ita Deum per omnia  permeare !   Magiotti, — Ma Dante, in cui al mio parere si trova ogni  cosa, le ci esprime con evidenza grande, e nel prime del  Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche meglio:   « La gloria di Colui, che tutto move,  Per r iiniverso penetra, e risplende  In una parte piiif e meno altrove.   Nel ciel che piil della sua luce prende ec. »     396 ANTOLOGIA DI COSE INEDITB   E poi nel ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de' Beati,  vien poi alle cose sensibili:        414 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   che vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore,  che volge cioh la intelligenza, la quale ama il suo Crea-  tore, e ardendo d^amore da lui si parte e ritorna a lui:  il che applica Dante, si come per amoro tiitte le cose  create da Dio si partono, e a lui ritornano, a) moto del-  I'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel Paradise:   ^ « £ questo cielo non ha altro dove   Che la mente divina, in che s' accende  L*amor che il volge e la virtti ch'ei piove. »   E dimostra poi che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com-   preso, il quale non e se non luce ed amore, per il quale   tutti i movimenti si ordinano de gli altri Cieli, e poi il   moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della natura,   il che si ricava dal resto di quel che dice il medesimo   Poeta :   c Luce ed amor d' un cerchio lui comprende,   Si come questo gli altri; e quel precinto   Colui che il cinge solamente intende.   Non e suo moto per altro distinto;   Ma gli altri son misurati da questo,   Si come diece da mezzo e da quinto.»   Ghe vuol dire, come questo Amore onde arde lo Empireo,  senza aver moto da altri che da Dio, mubve qualunque  altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli  salvo che quelle operazioni che assegna il divino filosofo  air anima del mondo ? Per si fatta dunque ragione, hen  confessar si dee che amore sia veramente 1' anima del-  r universe.   Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V Areopagita mede-  simo : « amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene in  bene si rivolge; in quanto Iddio e atto di tutte le cose, e  quelle aumenta, dicesi bene; in quanto le abbella e fa leg-  giadre, dicesi bellezza; si come bene, crea, regge, e provede;  si come bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. »   Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava di sapere,  in qual modo stessero in Dio e congiugnessersi insieme  bonta e bellezza, e che legamento fosse tra loro.     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 415   MagioUL — La bonta infinita di tutte le cose h Iddio solo ;  la belta e raggio di Dio sparso in que cerchi che intorno  a Dio, come centro loro, si volgono. D Sommo Bene e la so-  pra eminente essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si  e che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante  prima nella mente sovrana, quindi nelP anima dell' universe,  e nolle altre razionali anime, indi nella natura e nella ma-  teria, e la perfezione interna genera quasi sempre la per-  fezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza pro-  duce, e si pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di  bonta; laonde per merito di questa belt^ esteriore T interna  bonta alletta ad amare, e qualunque ama la bellezza se-  condo il dovere, essa ne conduce gli amanti ad amar la bon-  tade; per lo che con giusta ragione da Platone amore si  appella (come che in sostanza e' sia desiderio di bellezza),  bellissimo, e ottimo, e per cio donatore di tutti i beni  a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le  spezie di tutte quante le cose. Ecco nella mente divina di-  pigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore;  neir anima poi la ragione, nella natura i semi, e nella ma-  teria le forme, nolle quali cose esso splendore viene di cer-  chio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^  dove la divina bonta adopera immediatamente, le cose per-  fettissime sono:   V Fer6 se 11 caldo amor la chiara vista  Delia prima yirtu dispone e SiegDa,  Tutta la perfezion quivi s' acquista. »   Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose  desiderano, come detto si e, e nella cui possessione tutte  si abbellano, tutte si contentano, e quindi 1' amore in qua-  lunque creatura si accende, concedendo Iddio lume del vero  a gli animali razionali, e fuoco di carita, il quale va sem-  pre crescendo, come il Poeta stesso :   « Lo raggio della grazia, onde s' accende  Yerace amore, e che poi cresue amando. »     416 . ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   E in un altro luogo, ec.   « Perch e s' accrescera ci6 che ne dona  Di gratuito lame il sommo Bene;  Lume che a lui yeder ne condiziona: »   il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo  mantenendo vivo col vero amore questo lame della grazia,  finche chiamati siamo a lui per goderloci a occhi veggenti.  Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino sole sem-  pre a tutte le cose con la sua presenza da conforto, vita  e perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio  se sopra tutto PUniverso spandere.   Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre principii del  mondo, signori di tre ordini, Iddio, la mente, e ranima,  cui rispondono le spezie divine; idea, ragioni e semi.  Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e esse con la  bellezza loro richiamino la mente in Dio; le ragioni in-  tomo alia mente, perche elle si conducano per la mente  nelFanima, e si addirizzino Tanima alia mente. I semi  circa all' anima, impero ch^ mediante V anima passino  nella natura, e dalla natura con V ordine e con 1' armooia  si richiamino alle operazioni dell' anima. Per lo medesimo  ordine poi dalla natura nella materia discendono le forme;  ma queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali  pure da esse prendono il diritto loro, e con esso T ordine  deir anima alP Idee, e per queste all' unita prima si vadano  accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il  sistema Platonico per cui si coUegano le cose divine ed  eterne, con le temporali e sensibili; e quindi da qaesti  quattrp circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza  che si rivolgono piu o meno lungi al centro ch' e Iddio :  e'l primo amore da tali splendori acceso, da moto e atti-  tudine a tutte quante ie operazioni dell' universo, o vege-  tabili, o sensibili, o razionali ; le Idee, le ragioni, e' semi, che  per via di quest' amore, di quest' Anima universale discen-  dono nella natura, e secondo il luogo dove discendendo si  posano, mutan nome, sono ie cose vere, ma le forme poacia     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 417   de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere. Ora chiun-  que queste attentamente rigaarda, puote ammirare ed amar  quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi il divino fulgore,  e per esso sale ad amare Iddio stesso; e come diceste, si-  gner Grioseppe, niuno amatore amando si satolla per qua-  lunque conseguimento qua tra noi di ogni bellezza che sia,  impercio che quel che e' vorrebbe non conseguisce, 1' occulto  sapore della Divinita gli amanti non assaggiano, quantun-  que ne sentano suavissimo odore, che gli alletta ad amarlo.  E cosi per questa fragranza si appetisce il sapore nascoso,  ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in che, che e^ si  sia. Quel, fulgore della Divinita che risplende nel corpo bello  costrigne gli amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come  statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa del-  r originale, e pero non veramente la materia corporea si ama,  come di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa  riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella cosa amata  (dice Marsilio) perche in quelP atto amoroso senza saperlo  appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si  avveggono di lasciare se medesimi, e non si trasformano in  quel che e' vorrebbono; percio che vogliono, e non sanno  quel che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma  del corpo alia bellezza delP animo, non usa bene la dignita  di amore ; conci6 sia cosa che la belta corporale sia splen-  dore neir omamento di colori e di linee che agevolmente si  cancellano e oscuransi; quella delPanima risplende nella  consonanza delle scienze e de' costumi, che sono imitamenti  piu al vivo della divina sembianza. Lo splendore del volto  divino nelle sopraddette cose e 1' universale della bellezza,  I'appetito che a quelle si volge e I'uni versale di amore, e quindi  si deriva poi il particolare amore a particolar bellezza, la  quale nella convenienza deUe parti con esso i nostri occhi,  che la mirano in un modo a questo, e in un mode a quelle  consiste, e nella approvazione che da noi se ne fa col de-  siderarne V acquisto, nasce il particolare amore, che per ci6  scambiano tal volta gli uomini, se non ci badano diligente-  mente, o che non abbiano le vere seste ne gli occhi lore,   97     418 ANT0L06U DI COSE INEPITE   la bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal lame. Per lo che  Delia mente delF uomo e situato da Dio un eterno amore di  vedere e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU  della particolare, sed essa non ci abbarbaglia i sensi, ci  moviamo alle virtu e appetiamo la sapienza, che sono i pin  be' ritratti di Dio e di piu perfetta maniera. Per guisa che  Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L' animo dell' Uomo  desidera intendere le cose divine, riguardando in qneUe  che a lui sono piu propinque, e a tal cagione amore se-  condo lui e interpetre e mezzano per far trasvolare le  umane alle divine cose, e far discendere le divine a noi; » il  che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim divina aA nos,  e quindi con somma ragione appellasi amore un mezzo tra  le cose mortali e le immortali. II raggio di qualunque bel-  lezza (come bellezza e\V e) discende innanzi da Dio, poi  trapassa nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima,  come per materia di vetro, e dall^ anima passa nel corpo,  preparato a ricevere tal raggio, e da esso corpo formoso  trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti fine-  stre, e da essi penetrando negli occhi, che in quelli riscon-  trano, per quegli ferisce V anima e acceudevi lo appetite, e  r anima ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il  refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il ricondace a quel-  le alto luogo, onde il primo raggio discese pe' gradi del corpo  della cosa bella ed amata alia bellezza dell' anima di essa  cosa amata, di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ul-  timo a Dio, ch'e lo splendor primario, e Pe tutto insieme  di ogni bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu  forza gli occhi di accendere i cuori, che le altre belle fat-  tezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno  h invitato a penetrare fin entro alle bellezze dell' anima, e  qaindi risalire a Dio, e non terminare lo appetito sola-  mente nella superficie corporea? Udite il Petrarca com'e'fa-  vella quando e'ragiona de gli occhi:   « P«r divina bellezza indarno mira  Chi g\i occhi di costei gia mai non vide  Gome soayemente ella gli gira.»     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 419   E nelle canzoni Degli Occhi:   « Gontar porria quel che le due divine  Luci sentir mi fanno. »   E nell^ ultima :      e quel che segue, sempre discorrendo sopra gli effetti am-^  mirabili di questo Giove per lo giovamento e beneficenza  ch' e' rende al tutto, ma per via di questo amore di que-  st' anima dell'universo; laonde amore, ch'e della sostanza  di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e il lume piu puro  dell' anima, o e T anima stessa del mondo, la quale ordina,     424 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   unisce, e mantiene immortale la natura delle cose mortali,  perche per se morendo tutte, sua merce tutte si ringiovani-  scono e si si risuscitano ; cosi per virtu di quest' anima univer-  sale, dico di questo ferventissimo amore dal Medesimo, cioe dal  sommo bene^ tanti bem al Diverso comunicabili si fanno, e  quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano,  e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal Diverso nel Mede-  simo, con perpetua amorosa circolazione ritornano, e percio  o r anima del mondo e ripiena di amore, o T amore e  r anima egli del mondo, come mirabilmente disse Torquato  Tasso, in quel suo sonetto esplicando in pochi versi quasi  tutta la nostra dottrina.   « Amore alma e del mondo amore h mente  Che volge in ciel per corso obliquo il sole,  E degli erranti Dei Palte carole  Bende al celeste suon veloci o lento.   L^aria, ]' acqua, la terra, il foco ardente  Misto a' gran membri dellMmmensa mole  Nudre il suo spirto, e s' uom s' allegra, o duole  Ei n' e cagiono, o speri anco o pavente.   Pur, benche tutto crei, tutto governi  E per tutto risplenda, e 'n tutto spiri,  Fiti spiega in noi di sua possanza Amore;   E, disdegnando i cerchi alti, e supemi,  Fosto ha la reggia sua ne* dolci giri  Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core. »   Amore e dunque esso 1' anima dell' universo, perche qua-  lunque desiderio che si accende in tutte quante le crea-  ture di ogni sorta ch' elle si sieno, quale appetito che sia il  quale regna nel tutto e nelle sue parti e si nelle specie e  negli individui del mondo, ha suo primo impulso da quelle  incentivo sovrano che ci muove ed eccita al godimento del  buono perfetto, conciosiacosa che tutti i beni comparativi,  che veramente beni sono, dal superlativo del sommo bene ne  piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano,  e pigliano i mali per beni, cio non da amore, che non erra  nel suo fine, ma nasce da noi, e dalla nostra imperfetta e  cieca natura, i quali scompigliando co' fiati delle disordiaate     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 425   passioni quelle faville, te le deviano dal vero riflesso loro,  cioe dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavilla-  rono da prima, scambiandolo col falso bene, che bene ci  rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle ter-  rene cose, ed in queste fermando il pensiero non come mali,  ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia  esserci noi troppo distesamente dilungati dal filo ; ma se  amore e veramente I'Anima dell' Universo, o Fanima di  quest' anima, sara stata simile proposizione parte princi-  pale, e molto ben fondata, e non digressione dell' incomin-  ciato ragionamento.   Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi par'egli che il  concetto di quest' Anima universale, di questo amore, che da  moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso  le parti, e svegliale a gli appetiti delle generazioni, e della  conservazione di tutte le spezie, e dell' universo medesimo, sia  una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole,  del quale poco fa discorse si altamente il nostro Magiotti ?   MagioUu — E quello che ha proferito con si sovrano ra-  gionamento il signor Gioseppe, e spezialmente la difinizione  cotanto sottile ed arguta ch'egli ha seco medesimo pen-  sato intorno alia differenza che dar si possa tra questo  amore, e 1' anima del mondo, quanto perfettamente si adatta  al divino spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter es-  sere per awentura questo amore quella porzione del-  1' Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e il  fiore per cosi dire di essa Anima. Ora se Platone non imbrat-  tasse per un certo modo la sua anima con esso il componi-  mento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo  amore del Medesimo solamente fatto, che ci averebb'egli  da ridire, perche e' non fosse tutt' una col nostro divino  spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini  delle Creature, delle celestiali grazie e degli aiuti soprani ?  Quanto poco e mancato a Platone a non dir tutto vero?   Dafinio, — A questo modo Platone con altri vocaboli avra  quasi senza errare intesa e espostane la Trinity ; se e' 1' ha  fatto per proprio lume, ell' e intelligenza piu che da uomo.     426 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da  non potersi intendere salvo cbe su '1 fondamento del cre-  dere, e chi presume piii oltre e matto, come disse il nostro  Dante:    Puossi egli dir piu? Ma e' non sep-  pero perfezionare questi Platonici il concetto intero delle  tre persone e un solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, imper-  cio che, come bene osserva il cardinale Bessarione, seppe  Plato ne riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo  divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la  sua infinita sapienza, siccome figliolo seco coetemo ed ngaale,  e come della medesima natura chiam5 la divina sostanza  col vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi  a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima deir universo  al divino spirito, facendola staccare si dalla sustanza del  Medesimo ; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose  e corporee, te la permiscbi5 nel suo componimento, e per-  cio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al suo  Divino intelletto; e questo impercio cbe tra due cose tra  se per si grande intervallo distanti, e di disuguaglianza  infinita, reputo convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette  capire che la Divinitli pura ed intera tra le cose corpo-  rali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se diffe-  renti e lontane, senza patire macchia o difetto, e percio  stimo r anima composta dell' uno e delP altro, accio che  fosse mezzana per traportare la ragione ad armon^zzare  e perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a  conoscere che la purita, semplicita e chiarezza perfetta,  quale ella e in Dio, non teme ombra, o contaminamento da  veruna cosa che sia. Periculum status sui Deo nuUum est,  disse Tertulliano.   Buonaccorsi. — V noto che Ermete si approssima alia verita  nostra piii che    cioe a dire dell' essere divino, e della TrinitJi delle persone.  Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante,  nel Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch' esprima bene, e  nel quale discorrendo della Trinitib specifica in ultimo lo  Spirito Santo:   « Nella profonda e chiara snsslstenza  Dell* alto lume parremi tre giri  Di tre colon e d'una contenenza:     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 429   E run dairaltro, come Iri da Iri,  Parea reflesso, e il terzo parea fuoco  Che quinci e qaindi egualmente si spiri. »   Con esso il ben fondato appoggio della fede, che si con-  tenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire  cose altissime intorno ietlla Trinita ; ma gli altri che fon-  dano il loro sapere tutto su lo intendere, salgano pure in  su quanto si vogliano, che ognun di loro in qualche parte  vacilla; impercio che non ha si gran seno la nostra com-  prensione.   MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto piglia equi-  voco, e non si dichiara bene in quel suo elevatissimo pre-  supposto, e Platone non resta capace che un Dio possa  adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e  all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde e^ s^ immagina  quest' anima composta del Medesimo e del Diverso, e sva-  ria dalla verita, che in noi s^innesta per grazia e per  merito della fede.   Imperfetto, — Ma che vuol dire che la Genesi ancora mette  che Iddio spendesse sei giorni neUa creazione dell' Universo,  e il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete,  non s' incominci6 egli a computare dopo la creazione, cioe a  dire I'ordine successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la  cui misura sono le revoluzioni quotidiane del Sole? e poi  sempre sete venuto affermando per cosa indubitabile che  Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di  tempi, e di differenze, e di atti nel suo adoperare, contrario  a quelle che pone il Timeo.   BuonaccorsL — Iddio con sua onnipotente mano opera in  uno istante, dico col suo Verbo onnipotente nel modo che  ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo  Architettore col Verbo, non con le mani, ha fabbricato il  mondo. II suo Verbo dunque con un atto solo indivisibile  per5 e' fa tutto.   Imperfetto. — Ora dunque che cosa vuol' ella dire la Ge-  nesi cental divisione di giorni, che suppongono atti diversi?  Ella ne pone pure una verita infallibile ? E poi dice che Iddio     430 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   si riposasse: puo capire in un Dio la fatica, la lassezza e  perci5 V aver uopo di quieto ? Saracci sotto qualche mistero.   Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non perche Dio operi  con atti distinti, ma perche delP ubo de gli atti distinti ab-  bisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua  e cotanto immensa di un Dio ; e pero la Scrittura, e per av-  ventura Dio medesimo nella creazione del mondo, e del  tempo, si accomodo al nostro modo, e alle misure che ca-  piamo noi.   Dafinio, — Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto  pel medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali  sono le alte condizioni dell' onnipotenza divina, e per tale  effetto le assegnasse le nostre a farci intendere il suo mo' di  operare.   Magiotti. — Non dico ch' e' non possa essere, ma e' non e  in verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a  quello che si arriva solamente con la iidata scorta della  grazia e del lume divino, che per Y acquisto di una tal ye-  rita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non si puo gia  mai acquistare per natura, o per istudio. £' giunse pur  troppo innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma  non potette, ne seppe dare il suo legittimo e giusto peso  alia divina onnipotenza, e per quanto e' si alzasse con le  misure, non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie;  e pero ne parla il filosofo nostro come s' ella avesse biso-  gno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con ordine  il mondo, e farlo vivere vita perpetua, quasi Iddio disa-  giare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio, quando  dovesse adoprare da se, ne gli bastasse il vigore del suo  divino sermone quando disse  per stabilir di pianta in  un attimo I'Universo intero, si come e'fe', e si farlo cam-  minare con ragione in virtu di quell' editto irrevocabile che  e impermutabile legge ed eterna della sua volonta. Cam-  bise, Xerse e Dario, come considera Apulejo, standosene  come serrati in un Tempio nella Citta capitale de' loro reami  a render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti'  mabile e autorevoie la loro potenza, faceano abbidire pron-     DI ORAZIO BICASOLI RUCELLAI. 431   tamente, e senza disdetta veruna le leggi loro per Tam-  piezza de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna  ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava  piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio immobile e  perfetto per sua natura possa, senza muoversi, con an volger  di ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se  con un tocco di tromba una moltitudine ne gli eserciti di  presente, ciascuno per ciascuno, si mette all' opera di quello  gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli or-  dini del loro generale, e pure le leggi de gli uomini imper-  fette sono e mutabili a capriccio dei Principi, e o per ribel-  lione de'popoli alterar si possono, o perche non da tutti  s' intendano ; e la voce sonora della Divina parola non si  ha da udire per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non  variano, e che sono di infinita luce e chiarezza, come affer-  mano i sacri proverbi : mandatum Domini lucema est, et lex  lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir possono alterazione o  dubbiezza ; hassi a mettere in disputa s' essi s' odano a un  tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla natura e da  tutte le minime parti del tutto, senza ch'egli si abbia a  muovere dal suo altissimo Trono per farle eseguire ? e che  perci6 se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per  ministro subordinato, come si e V anima del mondo, accio  che ella vada ad ogni minima particella di esso portandole  gli ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di potenza,  di augustissima specie, Genitore delP immortalita e la virtu  stessa di tutte quante le virtu, la cui legge sola h perfetta,  e impermutabile, per cui tutti quanti i semi fanno le spe-  cial! operazioni loro nelle nature diverse di tutte le cose ; e i  Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre stelle, con le loro  speciali revoluzioni si volgono per la medesima con tanto  ordine, e regola bene armonizzata e distinta? Non perche  dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di atti diversi,  ma a maggiore intelligenza nostra, la Sacra Scrittura di-  vise in piu atti un atto solo del divino adoprare^ e in piu  tempi la sua operazione instantanea, dicendo che Iddio e  il suo alto intendimento conobbe di far cosa buona, e co«-     432 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   nosciutala delibero con esso la volont^, e deliberatala col  suo Verbo e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa,  nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio  dovean credere, e non erano atti ad intendere, essendo ne-  cessarie si fatte misure a noi per capire quel che non e  da noi.   Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per qual ragione  noi abbiamo da a£fermare che Platone non Tabbia fatto al  medesimo fine, con diverso modo dal nostro.   Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor che Divino vera-  mente chiamar si debba, parlando cose che il tacere e bello,  non poteva senza lume soprannaturale, onde ha privilegiato  solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^ per quanto  e' si sollevasse alle piu alte cime, non poteva mai, dico, si  a dentro penetrare, come noi facciamo con la fede, nella co-  gnizione imperscrutabile della divina onnipotenza ; e si cam-  minava, e vi saliva tentoni, e non era atto a spiccare nn  volo sicuro si come riesce a noi illustrati da si chiaro fiil-  gore. E poi Platone non averebbe formata Tanima infe-  riore, come si h detto, rendendone per ragione ch'ella do-  vesse mescolarsi dove non conveniva si permischiasse Iddio,  e perche in somma non capiva benissimo qnello che vera-  mente fosse Iddio; imper6 egli reputo necessaria qnesta  anima fatta si da Dio^ ma disseparata da lui per la forma*  zione del mondo, non potendo rimaner capace che la so-  vrana parity della divina essenza dovesse mettersi in risico  di macolarsi in fra le cose nostre inferiori, e cio      e impossibile scorgere cosi per V appnnto il vero, si come  egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^ mortali se ne spanda  il lustro ed una vivace splendenza.   Dafinio, — Se Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di  una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da capire Pla-  tone ingegno divino?   Buonaccorsi, — E per questo convien confessare che ana  si ampia materia, a si alta, che si distende in vie piii largo,     DI ORAZIO RICASDLI RUCELLAI. 433   ed immenso spazio, ohe il seno non e delle menti nostre,  avendo colmo, per grande e spazioso ch' (b' fosse, quello del  nostro divino filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere  UQ tal concetto tutto insieme, e ben verisimile che glie ne  scappasse fuori qualche particella, ancor che atta ad ogni  capacita, introducendovela sola, nel mpdo che poche goc-  ciole di acqua son quelle che fanno traboccare il vaso quando  egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta mente Platonica  quanto ella poteva di si larga e strabondevole e infinita  materia; ma perche essa mente era finita, non la potette  capire e rattener tutta ; o si pure egli e ragionevole di cre-  dere, ch' egli avesse lette e studiate le sacre pagine di si  alta proposizione, e per farsela sua fosse constretto a mutar  qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse quello, e si  abbatte a dire il vero, ma non giunse poi tant^oltre a un  gran pezzo quanto Platone, e il meglio 11 tolse da lui.   Imperfetto, — Egli e certo che la verita si fa lume da  Be, ma e cosi grande e cosi lucido ^ suo spandimento, ch' ella  ne abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra  quel luogo del Vangelo: per Verhum Dei facta sunt omnia, in  questa maniera ? Inveniuntur ista et in libris Philosophorum,  et quia unigenitum habet Deus per quern facta sunt omnia, illud  potuerunt videre quid est^ sed viderunt de longe.   MagiottL — Anzi, tutto il contrario, impercioche per qual  maniera ci6 sia, o ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no,  e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che  piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un V altro con un  sottilissimo confine. Ita .... finitima sunt falsa veris, disse  Marco TuUio; e Dante:   € Cos! parlar conviensi al vostro ingegno,  Perocche solo da sensato apprende  Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. >   E pill abbasso:    lo fo dunque conto che il moto  non sia altro che questo, e pero secondo il declive che  le cose incontrano, per varie sorte di canali e secondo le  forze e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto  all'altra, nasconne tante varieta di moti nella natura, e  air insu, e all' ingiu, e pe' lati, e non V ho per cosa sopran-  naturale, e che quindi poi ne vengano gV impulsi alle sensibili  cose : ma egli e che noi altri uomini abbiamo questo mode  di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una  cosa, o noi siamo cotanto temerarj che, perch6 noi non V in-  tendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo nna  cagione sopra naturale, senza sapere quelche ella si sia per  quietarci nella nostra insaziabile curiositade ; tratto di cote-  ste cose del moto, perche in che modo stieno i movimenti  delP anima imraortale e di sovrana fattura, ancor che io vi  opponga per mantenere il discorso, e investigare meglio il  vero; io so e credo quel che io debbo credere; ma che da  noi si possa giugnere col nostro intendere per le vie cbe  voi fate, oh ! questo io T ho quasi per impossibile.   MagioUi. — Ma quando fosse quel che voi dite, pur ci  vorrebbe un geometra perfettissimo, e sopra le cose nostre  inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria  fabbricare e situare questi canali e queste vie col loro debito  declive maggiore, o minore, e posto a^ lor luoghi si ordina-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 439   tamente, e dato a tutte le variety degli umori che vi deb-  bono scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non solamente  nell' universe, ma anche nel microscomo camminar si veg-  gono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne, e tanti  moti di vita non cessar mai finche e^n6n si muore. Ma pure  dope morte finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si  scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma  perduto il raoto, adunque, questi movimenti maravigliosi non  hanno 1' impulso loro dal declive, quantunque forse il declive  gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e pero e' convien cre-  dere cbe r anima abbia sospinta, e con altra forza sospinga  e muova le cose, che con quella cbe voi dite ; e s' ella venisse  d* onde voi mi date ad intendere, le maestranze apparec-  cbiate con ordine, e con regola cotanto eaatta, non sarieno  da cagione corporea, ma da cagione intellettuale e divina,  cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che  adatta si maravigliosamente e dispone le cose a pigliare il  moto ed operare con tant^ proporzione e virtu.   Bafinio. — Anche le anime vegetative, e le sensitive ave-  ranno a vostra detta il loro movimento da Dio. Adunque  anch* esse immortali saranno ?   Magiotti. — In sentenza platonica (contradicendo per6 in  qualche piccola parte a Platone) egli e assai agevole a  sopire la vostra dificult^, impercio che si come le anime  razionali adoperano in virtu di quel moto, vita, e azione,  innestato dal Supremo Arteiice per entro la sustanza loro  perfetta, intera e incorporea per impulso di forza infinita;  cosi il moto loro (come detto si e) e si la vita e 1' azione  loro viene a essere perpetua e immortale ; ma nell' anime  irrazionali, le quali pare che Platone abbia anch' esse per  immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il  lor moto, la lor vita, e la loro azione dall' anima univer-  sale riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione  con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova addirsi alia  disposizione varia de' temperamenti e degli organi che  hanno da muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta,  o la sensibilita con esso la vegetabilita insieme congiunta;     440 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   imperocche esso movimento delF anima universale da sospinta  alia disposizione delle parti official! de^ corpi, e inducevi la  vegetazione, e^ sensi per il modo che noi veggiamo ; e que-  8ta puo cbiamarsi sustanza mliteriale, e corporea, perche  quest' anima vegetabile, e sensibile, non e anima da s^ senza  essi organi, e disposizioni che concorrono insieme all' azione  6 alia vita, e mancando e morendo gli individui, e disfacen-  dosi la struttura de gli organi loro, esso moto, e azione,  cbe ha Purto si bene ordinato dalla ragione e dal movi-  mento dell' anima del mondo, finisce di esser anima propria,  e rimane nell'universale componimento dell'anima del mondo.  Ma ne anche ^ difficile il rispondervi nella vera nostra dot-  trina: impercio che l6 anime razionali ricevono I'impres-  sione de'moti loro dalla forza infinita della mano divina,  quando ella le crea sustanziali, e incorporee, allor che finito  di fare il feto, informano il suo corpo, e perche il moto,  la vita^ e le azioni loro sono totalmente nell' anima, e dalla  disposizione di esse membra organali anzi ricevono impe-  din^ento e contradizione, che sveltezza e sussidio a' lor moti  divini. Essa anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha  fuori di essi piu libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio,  anche morendo i corpi, ella vive immortale. Le anime ve-  getative poi, e )o sensibili corporee sono si come detto  si e; concio sia che la parte della vita e dell' azione loro  consiste nell' attitudine e positura corporale organica, e  ne' temperament! varj degli umori composti insieme, e parte  nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo e disposizione  atta a riceverlo, tra '1 temperamento degli umori, tra la  disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro  per un modo o per 1' altro dal moto assegnato alia natura da  Dio ; e percio esse anime per tal maniera ricevon potenza di  vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la madre natura  per compartirle di raano in mano alle nascenti cose, e succe-  denti V una dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo  moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre della terra, ond' egU  esce, e dagl' impulsi delle operazioni natural!, e fuoco, e aere,  e umidore ne mena seco, e con fluidezza e agib'ta indicibile     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 441   per essi organ! discorrendo in varie guise, rende vivificazione  continua e accrescimento nelle vegetabili creature, e un ecci-  tamento di senso nelle sensibili, per quel sovrano modo che  da noi non s^ intende ; ed essendo esse anime e formandosi per  loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento cor-  poreo che le racchiude; corporali e materiali si chiamano,  perche per se nulla non sono senz' essi corpicelli bene accor-  dati a ricevere il moto nel corpo maggiore dell' individuo.     Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare si e, come  Yoi abbiate a mente tanti e si be' luoghi trovati anche negli  autori di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della  sapienza, e contemplazione di quell* uomo esimio di Socrate,  se ne leggono molti, e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non  solo per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a  far conoscere la necessita del Purgatorio, e del Paradiso, e  deir Inferno ; e avvegna che con qualche differenza da quel  che veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e  come che piii e piu altri ne abbiano scritto con favolose  invenzioni, Socrate ne ha favellato da senno nel punto della  sua morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo  intelletto non va vagando dietro a favole finte. lo so che  questi sono luoghi letti, riletti, e considerati da tutti noi  piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito,  ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io me ne piglio  Tassunto, e vovegli tutti recitare da capo per maggiore  autentica di quelle che ha ragionato si dottamente Don  Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io  vo'contarvi cio che viene ragionando nel Fedone con sin-  golare e sagacissima saviezza, per rendere s^ medesimo per-  suaso dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto  ch'egli era su il morire, assegnando all' anime de gli uomini  luoghi appropriati secondo i meriti fabbricatisi nella vita  di qua; seutite di grazia.     442 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo piii alto  della sua sfera in questa superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi  noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare nelle cavitk della  ten*a, e tale essere queste regioni, dove noi abitiamo, imper-  ci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra super-  ficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da  noi chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che 1' aere non e  ne'confini del cielo; verbigrazia (che so io?) in quella puris-  sima e lucidissima sostan^a che etere si appella; e di quag-  giu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi il  Sole e gli astri, si come anche in questi bassi paesi tante  belle e maravigliose fatture isguardando variate con tanti  e si diversi colori, che in queste nostre abitazioni si perfette  ci paiono, niuna di loro aver che fare con le piu eccelse  ch' e' si vien figurando lassu, ed essere queste imperfettis-  sime e impurissime in agguaglio di quelle, che si vedreb-  bero da chiunque si potesse fermare su Tali in que'su-  perni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son ricavate queste,  che scorgerebbe e quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende  manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione  beUissimi sopra qualunque di queste, che corrono agli occhi  di noi altri mortali abitanti in si fatte concavitadi. £ cio  con molta maggior differenza di quel che si facessero i Pesci  dal fondo del mare, i quali per entro quelle arene e panta-  nose caverne, non avendo volo da alzarsi su la superficie  deir acque, ne vita da reggervi, mirano i raggi del Sole e  delle steUe penetranti giu per lo filo dell' onde tutti an-  nacquati, e adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmagi-  nassero di simiglievole maniera essere veramente le stelle,  e il Sole, quali eglino le scorgono di colaggiu ; cosi e a noi,  che non avendo piurae da travolare sopra quelP etere, abba-  cinati standocene entro V umidore grossolano di questi  vapori, ci crediamo la luce del Sole e le altre cose belle, che  lassti scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di  quel che a noi e conceduto di scernerle. In quelle altissime  piagge, adunque, e le piante, e tutti quanti i germogli, e le  cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e     DI ORAZIO RICASOLT RUCETXAI. 443   Don a mutatnenti suggette e a corruzioni in verun conto  che sia; e le gemme piii preziose di qua, e' Topazii, e' Ru-  bini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di piii  alto pregio, essere la feccia piii impura di quelle che lassii  si ritrovano ; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili  cose essere adorne, e di oro, e di argento, e di altre simi-  glianti chiarissime e lucidissime sopra ogni vostro credere  e conoscimento, che quivi nascono e piii perfettamente si  conservano, per guisa che a vederle e a goderle sia vera-  mente uno spettacolo d' incomparabile godimento^ e beati-  tudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e creature ragio-  nevoli, molte di piii schietto intendimento, che qua tra di  noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP Isole, le quali  non lungi poste da terraferma sono circondate dall'aere,  conciosia cosa che quello, ch'e a noi e alle nostre Pacqua  e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine tutto la ritrovarsi  temperatissimo, e per le stagioni, e per Taure che vi spi-  rano, e vivervi quelle fortunate genti di continuo senza  ammalarsi, e forse senza morire. Di piii giudica che vi si  scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e con esso gli Dei  medesimi convivere gli uomini, e conversare domesticamente.   Imperfetio. — Mi rassembra che Socrate quasi tenga che  tali maravigliose e ragguardevoli regioni sieno i pianeti e  gli astri, dove appunto Platone colloca la dimora delP anime,  assegnata loro quando da Dio dopo V anima universale si  formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo  lunghe peregrinazioni facciano ritorno.   Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per entro tutta  questa gran terra si trovino innumerabili concavita di luo-  ghi circolari, parte piii profondi e parte piii alti, e piii ampi,  e parte che abbiano apertura e spazii eziandio minori di  quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti  questi incontrarsi sotterra scambievolmente tra loro, con  varii andamenti ed uscite ; pe^ quali e grandi acque, dove  caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi  in varii luoghi di esse sotterranee spelonche muoversi e  raggirarsi; e in altre di esse cavity credono che umori fan-     444 ANTOLOGIA DI COSE [NEDITB   gosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn ondeggiando,  a simiglianza di uno qualcbe gran Taso pensile che si agiti  6 muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine  favellando, che \k sotto dimori, la quale per tntta quanta  Tampiezza entro terra trapassa e distendesi, mostra che  da Omero fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e  da molti altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i  fiumi sotterranei concorrono, e indi si spandono, ed esconne  ad innafQare la superficie nostra terrestre in mari, in laghi,  in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con Faria e  co' fiati interiori, come anche col movimento interne di queste  acque, formarsene i venti, i turbini, e terremoti, che scao-  tono la terra; e di tal sorta di acque tiene parimente che  sia Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piri-  flegetonte, e Cocito. Ora essendo per tal maniera disposte  si fatte cose, e sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove  dal suo proprio demone ciascnno si conduce, quivi innanzi  a ogni cosa giudicati sono secondo loro meriti, o demeriti  di chi visse onestamente, e con dirittura di ragione, o di  chi fe' il contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mez-  zana via, valicando Acheronte sopra alcuni carri, perven-  gono alia Palude Acherusia, e quivi si purgano dalle colpe  loro, pene patendo pari aUor falli. Purificati poscia^ asso-  luti rimangono, e ciascun di loro a proporzione delle opere  buone e lodevoli ne riportano condegna mercede. Ma queUi  i quali nella malattia e putredine delle enormita de' delitti  di varie sorte insanabili sono, precipitano nel Tartaro, d'onde  mai non ritornano. Alcuni poi, che peccati avranno com-  messo curabili, ma grandi, per essere prima venuti a pen-  timento, caderanno si nel Tartaro, e condannati sarannovi  per un anno o piu ; ma poi da quell' onde gittati fuori^ quali  per lo Gocito, come i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte,  come i violatori del Padre e della Madre, solamente che pen-  titi e' ne fieno, vengono a galla su la Palude Acherusia, di  dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^ tali che gli hanno  o£fesi, e pregangli a lasciargli varcar la Palude, ed essere  da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 445   a' lor mali; quando che no, nel Tartaro rigettati sono, si  dura pena imponendo loro i Giudici.   Ma gli uomini pii e giusti trasvolano a piu alte regioni,  abitando quelle beate Provincie, e purissime, che abbiam  detto starsi cotanto sopra terra; e parimente quelli, che  avendo in molte loro opere fallito, si sieno dipoi sufficiente-  mente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza  corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore anche piii  belle delle sopramentovate, le cui maravigliose bellezze non  e facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi,  o Simmia, porre ogni studio in questa vita e conseguir la  virtu, e la sapienza, perciocche bellissimo e 'I premio e di  gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho,  sieno a punto in si fatta maniera, non e da uomo di senno  r affermarlo : nulla di meno si convien credere, o che tali  elle sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o  ad esse simiglianti; e conciosia cosa che egli appaja con  tanta verisimilitadine che le anime nostre sieno immortali,  mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragio-  nevole munirsi ed allestirsi a questa peregrinazione, ed  abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza,  della giustizia, della fortezza, della liberty dell'anima, e  della scienza della verita, aspettando il tempo ed apparec-  chiandosi per essere pronto quando ne chiami il fato.» Di  si fatte considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue  degne prerogative aveva poco innanzi Socrate per tal modo  ragionato, quantunque non con certezza indubitabile di affer-  mativa, siccome colui che per altissima immaginazione natu-  rale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ; diceva  bene, che tutto quello, il quale intorno a ci5 si discorre,  saria di animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente  non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso si dipartisse  senz' avere innanzi, con ogni acutezza di ragione, adoperati  tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben  bene fino all' ultimo sforzo del nostro intendere. « Impercio-  ch6 (segue poi) fa di mestieri I'una delle due, o apprendere  in qual modo elle possano essere, o rinvenirne totalmente     446 ANTOLOaiA DI COSE INEDITE   il vero, e dove qaesto conseguir non si possa, appoggiarsi  ad una delle pin forti e piu stabili ragioni umane cbe se  ue abbiano, scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne  debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di  essa portati come sopra un legno de* meno gelosi, valichiamo  per le difficultose tempeste il mare di questa vita, mentre  non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode,  quasi un piu fermo yeicolo che ne conduca; come sarebbe  a dire, qualcbe divina parola, la quale piu sicuramente, e  con minor risico lo ci faccia trapassare ;» la qual divina parola  si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia di udire a noi  introducendone nel Porto della verita, con esso grirrefra-  gabili insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe dite di qne-  sto filosofo esimio, che tanto s' inoltro col lume della natura  solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma piu ezian-  dio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra  vita in quel discorso antecedente al Fedane, dov* e' forma  la propria apologia: ivi dopo aver fatto suo calculo di quel  che torni meglio immaginarsi intorno alia morte, considera  brevemente quello che awerrebbe quando di la non ci fosse  nulla, il che non ammette in verun conto per credibile; e  viene poi discorrendo cosi della beatitudine delle cose di  lit: «S* egli e vero, si come io credo, che la morte sia an pas-  saggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e  vivono i defunti; ci6 h molto piti desiderabile e foi*tanato,  uscendo gli uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che  si annoverano da noi e tengonsi per giudici, per condurci  dinanzi a quegli che veramente Giudici si nominano e gia-  stissimi Giudici sono, i quali temperano colli e correggono  tutti i Giudici fatti qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto,  ed £aco, e Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che  giustamente e fedelmente vissero. E simigliante trasmigra-  zione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi a  conversare con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero  e con tanti e tanti altri santi e valorosi uomini, e un tale  stato non e da anteporre a questo, dove noi oggi dimo-  riamo? Che consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 447   da Palamede, da Ajace figliuolo di Telamone, e da si grand!  soggetti fatti rei a torto per la nequizia de* Giudici nostri,  paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare  savie persone le quali esaminino e conoscano senza errare  chi da yero e sapiente, o chi lo si crede di essere e poi non  sia, 6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni,  e parlare, e conferire insieme i pareri non e ella questa una  scuola di perfetta sapienza? Ne e pericolo che vi si moia,  ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro  per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali. Per la qual  cosa torua conto pigliare gioconda speranza della morte ; e  questo seco medesimo reputare per vero, e per infallibile,  che nulla di 1^ possa intervenire di male a gli uomini da  bene, o vivi, o morti, ne tal cosa per yeruna maniera che  sia da gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile  senza paragone il morire che il yiyere. »   Imperfetto. — Ma della trasmigrazione dell' anime desti-  nate a purgarsi ne'corpi degP irrazionali, io non odo ch'e  ne dica nulla?   MagioUL — Platone ne fayella e nella fine del Timeo, e  da molti altri luoghi si ricaya ch'egli si fatto sentimento  ayea come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui  il quale scorgeya la yerit^ per barlume, riconobbe non so-  lamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci  fossero i premj e le pene, e fino quel terzo luogo per pur-  garsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente  e per estrema foUia hanno osato di mettore in dubbio, accie-  catisi da per loro nel lume della fede, quando si yede che  il lume solo naturale e stato bastante a insegnarlo a'piti  sayj gentili; ma perche senza la yeritk rivelata andavano  tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel  modo dell* essere e fignrarsi simili cose sopra il nostro in-  tendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne giugnes-  sero per V appunto al yero, ma si bene yariando le maniere,  e il concetto, avessero per molto chiaro la proposizione di  esse in uniyersale.   Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come Socrate giu-     448 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   gnesse fino a conoscere che chi mdore senza sacramenti  pericola, e chi con esso i sacramenti si salva ; impercio cbe  nel medesimo Fedone fa awertenza che quegli i quali in-  stituirno i riti e le cerimonie, non essere stati altrimenti  stolti e yili uomini, ma sotto velami di parole aver voluto  significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinn-  que non purgato dalle sagre costumanze discendera air al-  tra vita, esso vi precipiter^ nel fango rinvolto ; ma coloi il  quale fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi  andra per abitare con gli Dei.   Imperfetto, — lo confesso che questo e un gran dire per  uno che la nostra religione non professi.   MagwUi, — Egli e che la verita e una (come piu e piu  volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con  disappassionata bramosia, ne puo arrivare gran parte, per-  ch' ella ne passa d* avanti ; e s' eila non si puo apprendere  per r appunto cosi com' ella e, pur quella luce, awegna che  adombrata e non ben distinta ne disfavilla.   Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la certezza della  fede, e' si cammina con supposti molto fallibili naturalmente  discorrendo, massime in quella si gran differenza che si  stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di  quelli cui non manca se non la parola a parer uomini.   Magiotti. — Per quanto alcune bestie arrivino di lor na-  tura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene, poche o  niuna giungono ad avere T accorgimento e la distinzione,  per debole ch* ella sia, che hanno anche i bambini innanzi  a gli anni della discrezione. E poi di queste s\ difficili pro-  posizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove, altri-  mente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere'  dere, Egli e bene il vero che la divina bonta ha dato a  tutti gli uomini intelletto e ragione, a fine ch^ essi eziandio  da per loro, meditando col lume della natura, acquistino  certi chiarori di sapienza ben fondata, con esso i quali pon-  derando in si fatta materia il concorso delle verisimilitu-  dini per rispetto alio contrarie, che s'oppongono, e che  negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano in maggior     Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 449   copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi,  accio che e' si rendanO piii agevoli a credere, quel che e' non  sono atti ad intcndere. E coloro che si lasciano assorbire  dair ignoranza e trascarano la Divina grazia, e gli instra-  menti dati loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e  acuta contemplazione intorno a si alte cose, o chiuggano  affatto gli occhi, e credano, e se cio non fanno, tal sia di  loro ; impercio che eziandio i piu dotti e sayj gentili, come  avete inteso, hanno talento di pervenirvi ; ora se questi uo-  mini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con  libera conscienza di tenere e pubblicare cio che loro piii  ragionevol parea, hanno si fermamente insegnato altioii  r immortality dell'anime; convien pur confessare che le pro-  babilita grandi ci abbiano e senza paragone in piu novero  e di piu forza che dalla parte ayversa non sono.   Dafinio, — Noi siamo tanto gelosi di questo vivere, che  in dubbio non e gran cosa che gli uomini, come condizione  tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e  per piu vera Timmortalita delPanima che la mortalita; im-  perci6 che a quel tornare a non essere, chi e colui che non  si senta tutto turbare, e raccapricciarsi, meditandoci sopra ?  E pero anzi la passione che la ragione ha dettato loro  questo parere, come piu confacevole alia nostra natural pro-  pensione.   Magiotti. — Un Socrate tanto superiore ad ogni umana  affezione, di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante  le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente del vivere, alia  sola virtti tenendo fisso il pensiero e il volere, si ha da  credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre  lietamente moriva, abbia in questo a fallire? Per la qual  cosa puo sicuramente affermarsi lui aver ci6 giudicato per  forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade.   Dafinio, — Son cose che la fede ce le insegna, e noi dob-  biamo crederle; ma iTho per troppo ardimento farsi a  credere di capirle naturalmente.   Buonaccorsi. — Gnardate se la veritii ci viene tra le mani,  dove noi non ci turiamo gli occhi, e la vogliamo conoscere !   29     450 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   Secondo Platone le anime ritorneranno a'corpi umani; se-  coDdo Porfirio le anime sante non ritorneranno a' mali del  mondo. Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sen-  tenze, che ameudue insieme dicono il vero, quantunque  paia che, ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ;  impercio che V anime non ritorneranno (egli e vero) a' mali  del mondo, ma si bene ritorneranno a'corpi, per essere o  nell' Empireo eternalmente .premiate con esse le membra  corporee, o nell' Inferno punite.   Dafinio, — Gia noi sappiamo manifestamente V immorta-  lity deir anime, e solamente vi ho contradetto, acci6 che,  rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e mara-  vigliose proposizioni, come fatto avete; come altresi accio  che niuno si persuadesse ch' ella si chiara fosse per lame  naturale, che si perdesse o nulla valesse il lume della fede,  nel modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giu-  dizioso pensiero.   MagioUi, — Ed io ho difesa questa verity infalHbile con  si gran copia d' argomenti di probability., che udito avete,  perche non si avesse per impossible, e si tenesse alieno  e lungi da ogni sussidio di naturale ragionevolezza quelle  che noi siamo obbligati di credere; laonde dovesse essere  in gran parte compatibile, come ben fondata su prove au-  tentiche, e per argomenti forti in natural discorso, V opi-  nione d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la morta-  lita: e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato  che le razionali anime immortali sieno, parendomi ora mai  tempo che dal signor Gioseppe si ripigli il filo del Testo  Platonico, secondo la fattura che il Timeo s'immagina di  questa anima universale, da cui pur troppo deviati ci siamo.   Luigi. — Ma dell' anime ragionevoli quali sieno le faculta  loro, a differenza delle sensibili, e quali stromenti ell' ab-  biano per le loro operazioni, avremmo caro di udire.   MagioUi, — Non e tempo a proposito di favellarne adesso,  essendo una materia da se, la quale a suo debito luogo verr&  proposta, concio sia cosa che la dottrina del Timeo, cni  abbiam dato principio, verrebbe presto presto in dimeati-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 451   canza, poiche giunti noi siamo a casa, e il ragionare e an-  dato piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora  ch' e' sono sonate le ventiquattro ; risolviamo quanto prima  di andare a cena, e domattina che riposato avremo e con  gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento d!  quest' anima universale secondo il Teste, e a vo! si appar-  tiene discorrerne, signor Gioseppe.   Buonaccorsi, — Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora,  venitemi prontamente a trovare, che io obbediro ai vostri  comandi, quando vi sia in piacere, perche (come ben sa-  pete) io dormo poco, non avendo fumi di vino da digerire,  che mi vadano in su.     PREAMBULO   ALLA VILLE&&IATURA ALBANA     ALLA PSICOLOGIA.     Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora, e che  ad altri luoghi destinati sieno dal Fautore Eternale, tra  molti e molti argomenti che se ne scernono, quello pare a  me sopra gli altri aver grandissima forza, della inistabilita  degli animi loro, imperciocche della varieta dilettandosi mai  sempre senza costanza veruna, niuno soggiorno ci ha, quan-  tunque soUazzevole e desiderato da loro, il quale allorche  e' vi giungono gli fermi e gli quieti, e noioso in breve loro  non divenga, altrove ben tosto rivolgendo il pensiero. Ecco  noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e piu magnifiche  di Tusculo, alle piu naturali e di niuno artificio di Nemi in  si virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser  questi i piu grati diporti di Diana gli attribuirono, e non  molto andra che anche qui rincrescevole la dimoranza ne  fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi perfetto e non     452 ANTOLOGIA DI COSE INEDITR   mai sazievole godimento aspettando, ma cio indamo, im-  perciocche stabile fennezza non otterremo gia mai, finche  vita avremo : si parimente, di qualunque altro diletto favel-  lando, cui volga I'umana condizione sua cupidigia, quella  nel conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole  cio che pur voile teste, il che ne insegna Lucrezio in que'versi,  favellando degli uomini:   « Haud ita vitam agerenty ut nunc plerumqite videmua:  Quid aibi quiaque velit, nescire, et qucerere semper;  Commutare locum, quasi oniLs deponere posait.  Exit acepe foras magnis ex cedibus iUe,  Esse domi quern pertaesum est, subitoque reventat;  Quippe /oris nihilo melius qui sentiat esse.  Currit, agtns mannas, ad villam prcecipitanteTy  Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans;  Oscitat extemplo, tetigit quom limina villce;  Aut alit in somnum gravis, atque ohlivia qua^t;  Aut etiam properans urbem petit atque revisit.  Hoe se quisque modo fugit : etc, »   cioe a dire, annoiato fin di se stesso si fugge, e da se allon-  tanar si vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta e trasporta  il corpo in qua e in la, sua debita residenza qui non avendo;  solamente lo studio della scienza (non ci ha dubbio alcuno)  ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo solo e degno  pasto e proporzionato delPumano intendimento, si come  cibo divino, conciossia cosa che ha per oggetto e per fine  la verita delle cose.   « lo veggio 1)611 che giammai non si sazia  Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra,  Di faor dal qual nessun vero si spazia, »   disse Dante, adornamento e lume della Poesia Toscana. Ma  egli e ben d' awertire, che il sole per quanto illumina, e si  comprende in un attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno  mirandolo fisso ci abbaglia, e nol possiamo patire, non che  distinguer raggio per raggio. Nelio stesso modo e^ si scorge  a un tratto la chiarezza della verita universale, cioe lo  splendore che ne circumfulge della sapienza divina; ma  chiunque si affisa in lei, perdesi, la vista confondesi, ne si     DI ORAZTO RICASOLl KUCELLAI. 453   possono per alcun modo discernere a un per uno i lumi di  sua infinita virtude, cioh a dire le cagioni special! de'mi-  racoli della natura :   « Molto si mira, e poco si discerne >   disse lo stesso Poeta. Per guisa che ne apparisce (egli e il  vero) un certo bagliore, e abbiamo le imagini delle cose vere  nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate rimangono intra  le caligini onde noi siamo involti, che per una piccola fa-  villa che in noi di quando in quando del vero riluca, ne  aduggia la mente per lo piu una nuvola viepiu grande  del falso. Cio riconobbe Socrate, come che piu altamente  di ogni altro e^ contemplasse quest a lampada accesa, im-  perocche avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila,  e quietandosi anch' egli all' imperfezione dell' umana na-  tura, pronunzio al mondo quella sentenza che noi di-  cemmb da prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra  I'esperienza, dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'ac-  ciiigo solamente alia meditazione di me medesimo, mosso da  quel savio ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d' Apol-  lo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e piu sincera scieiiza^  ove dee studiarsi ciascuno di pervenire, a intendimento di  potersi di se medesimo valere a ragione, usare de' proprj  strumenti per quello a che dati ne furo, e non iscompor 1' or-  dine col quale a perfettissime operazioni gli dispose il Mae-  stro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser com-  poste di corpo e di spirito, e niuna piu soUecita cura per  natural talento porsi da loro, quanto di conservare e 1' uno  6 gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del  proprio individuo ; per la qual cosa elle s' ingegnano di ri-  storargli, e da tutte le corporali infer mit^ di tenerli sani,  solamente a fine di sottrargli da ogni rischio di separa-  zione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno, im-  perocche null' altro per loro s'attende che ad investigare  rimedj contr' a' mali del corpo, ma poi poco o nulla si bada  agli antidoti contro le malattie dell'animo. Di questa arte  nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri esperti noi     454 ANTOLOGIA DI COSE INEPITE   divenissimo, e si come i medici il piu della dottrina loro  nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in  essa fondare e richiesto, cioe nel conoscimento con ogni  studio di noi medesimi. Ma lo intendimento nostro fia al  sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon  sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e gli ordigni  considerano, e lo intrecciamento di tutte le membra, di tutte  le viscere e di qualunque delle piu minime particelle inte-  riori, a fine d' intendere le operazioni yitali ; ma cio e sola-  mente per temperarle e per ricomporle, qualunque volta  stemperare e scomporre si veggiano; dove in questa disci-  plina novella s^insegna la valuta si e la situazione degli  organi in quanto e' servono per canali de' sensi ; ma perche  e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze  deiranima, imparasi eziandio per tal via come mantenere  ben d' accordo due movimenti contrarj sotto le leggi del  dovere, e come P intemperanza deU'uno moderare con la  temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e saluti-  fera scienza della Notomia, adottata con proporzione e a  soccorso della natura, e altresi a correggimento dell' animo,  essa ne fia giovevole per a quella felicita per venire, ove an-  siosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia  corpo sano; percio mirabilmente Platone nel Timeo definisce  la sanit^^ essere una comuae concordia delP anima e del  corpo, cioe quando il corpo e valido e fermo sotto un animo  molto piu valido; ma acciocche in tal materia con debito  ordine io proceda, diro, come in principio mi si parano  innanzi tre operazioni tra se diverse insieme congiunte nel-  V uomo, le quali pure in varie sorte di specie si raffigurano  r una diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle  cose che si nutriscono e crescono, opera la vegetativa  sola, imperocche esse mancano del sentimento ; ne' bruti  la sensitiva insiememente con la vegetativa, essendo che  la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nu-  trisconsi, e di piii hanno sensi; ma agli uomini si dee ar-  rogere la ragionevole, che e la piu perfetta, ond' egli hanno  senso, crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprat-     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 455   tutto gl'informa lo intelletto e la mente. Tali sono quelle  diverse qualitadi o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime  da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme dove elle sono  disgiunte e in oggetti di specie disformi allogate, concios-  siache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma egli h manife-  sto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di  tutte queste operazioni varie, e impero nell' umana natura  esse si riconoscono si per movimenti diversi, ma a una me-  desima e sola forma adattati, cioe a dire come potenze  distinte d'un'anima sola, in quanto che tutte hanno a  essere instrumenti della ragionevole, e sotto di quella ope-  rare: percio (se ben mi torna in mente) dissivi un giorno  esger raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte  le potenze delP universo, e sino trovarsi effigiata in lui  1' imagine della divina mente, la quale allora quel piu ri-  splende, che noi stenebrare la sappiamo da' nugoli degli  aifetti, e tener monda e ben custodita dalle sozzure e dalle  corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza  di questo dir ne conviene (non mi sembra del tutto inutile,  ovvero lontano dalla materia proposta) il venire in ragio-  namento sopra le opinioni che s' ebbero negli antichi secoli  da quel grand' uomini intorno a quest' anima, talmente che  molti 1' assegnarono all' universo, come principio in esso e  cagione del moto, pel quale si trasfondesse e si traducesse  da piu alto cominciamento la virtu seminale nella natura  maestra di tutte le innumerabili generazioni che si fanno  nella materia. Quindi con viepiu agevolezza trarremo argo-  mento di quel che sia 1' anima che essi appellano vegeta-  tiva, e si pure gli organi dove s' attaccano i suoi movimenti  speciali, come e a dire nelle piante; indi trapasseremo alia  sensitiva, dove acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi  trattare, per poter poi, staccati dalle sostanze piti basse,  favellar dell' anima ragionevole e delle quality eccelse ch'ella  ebbe in dote dal. suo Fattore; poscia farem riflessione sic-  come r uomo per mezzo di quelle dee istruire se stesso nella  virtii morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, man-  tiene incorrotta in noi la sembianza della suprema ragione,     456 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   e apreci la via e ne illamina per ritrovare quel bene per-  fetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in  oggetti a lui del tutto contrarj andiamo cercando.     V1LLE6GIATUEA TIBUETINA     DELLA MORALE.     Offizi della facoltd delta ragione.     Luigi, — Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono la  ragione.   Magiotti, — E per cio ad essq, si appartiene di coman-  dare a quella che sta di sotto, e governarla e tenerla a  freno, come compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo  piii sfrenati e senza regola, e percio da questa sotto il suo  comando si conviene all' altra obbedire.   Luigi, — Ma se ella e piena di tumulto e di confusione  recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, men-  tre alia parte razionale diventa molte volte contraria e  rubella.   MagioUi, — Anche questa « atta a divenir ragionevole se  alia ragione obbedisce, e a^suoi savi ricordi; anzi a quella  sovrana dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno,  e valersene a tutte le azioni lecite e lodevoli, che eUa risolve  di fare. Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior  parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i suoi piu prin-  cipali e piii confidenti rainistri; acciocch^ le assistano sic-  come consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette  potenze principali delP anima.   Luigi, — Ma queste quali son elleno ?   Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^; ma dichiara-  tene di grazia qua' sleno veramente gli offizii loro.     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 457   Magiotti. — La memoria conserva nelF archivio e nella  segreteria che ella ha in custodia e sotto sua chiave la  maggior parte degli oggetti varii che le sono cola entro  tramandati da' cinque sensi che detti abbiamo ; per le cui  porte s' intromettono come dispacci di belle e varie no vita  tutte le specie, e immagini esteriori sensibili; e siccome  molte, data loro a pena un' occhiata, yi si ripongono senza  badarci come di non grande importanza; alcune poi di mag-  gior rilievo dall' immaginativa o fantasia, come detto si e,  pongonsi innanzi all'intelletto, dove egli, come dentro uno  specchio ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli  r incumbenza di considerare diligentemente e di intendere  quel che esse sono, recandone poi alia ragione un giusto e  puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco ma-  turamente, e esaminano insieme con aweduto raziocinio e  con ponderate riflessioni se elle son buone o triste; e per  tal modo ne nasce il giudizio, col cui consiglio la volonta  delibera di fame conto o di lasciarle. E percio di si ben  ayvertita deliberazione, e della esecuzione di essa, ne ha la  cura la volonta, la quale firma il decreto di volerle, o di  non le volere secondo la disposizione del sopraccennato con-  siglio supremo.   Luigi, — Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli uomini  nel discorso di questa porzione superiore, voi non ne avete  favellato punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice  pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha ingegno vivo, e  uomo d'ingegno spiritoso; insomma pare che chi non ha  bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi sto-  lido o mentecatto sia.   Magiotti. — L' ingegno, per dir quello che all' improwiso  mi viene ora in mente, crederei che fosse una fabbrica in-  terna dell' uomo, che si forma per mezzo dell' intelletto e  della memoria; e percio giudico che 1' ingegno si risvegli  con agevolezza in una mente doviziosa d' immagini varie,  raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innu-  merabili cose di diversa maniera passate pe' sensi, o dalla  lettura di piu e piii sorte di sentenze, le quali cose abili     458 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra  alia chiarezza dell' intelletto di inventare e di formare di  quelle medesimef accozzandole o innestandole tra loro con  bel modo, nuovi e maravigliosi disegni per entro la mente,  onde ne result! un concetto leggiadro e vivace, il quale  ancorche di piti e piu belle cose altre volte a noi note com-  posto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in  chi Tode; tanto che perche un ingegno produca e fabbri-  cbi da se medesimo, vuolci la memoria che presti delle piu  belle immagini che ella in se contenga, e la fantasia e  r intelletto lucido e distinto il quale le sappia con belP ordin  collegare e attaccare V una con V altra in guisa, che di piii  cose vedute a avute fra mano, se ne concepisca un' altra da  se, nuova e non piu veduta o sentita. £ allora piu belli e  piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto  maggiore raccolta e di piu pregiate cose abbia la memoria  fatta innanzi conserva. Yero e che glMngegni si variano  r uno dall' altro e piu pronti riescono e piu veloci, e vie piu  atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con piu o meno pre-  stezza te gli formano secondo i temperamenti diversi della  corporatura di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti  che salgono dalla porzione inferiore abbiano la lor tempera  fervida e secca; di subito con la vivacita loro da uno moto  e stimolo all' intelletto e alia memoria, che molte volte, senza  dar tempo a veruna ponderazioue degli atti secondi, di pre-  sente alzano moli ingegnose di vari pensieri alti e di spirito ;  e quindi giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si  chiama, il quale non rassembra dissimile a' sogni, impercioc-  che i sogni si formano dormendo di pezzi dalla immagina-  tiva, e lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' inge-  gno stesBO negli uomini appena desti, e a cervello riposato  la roattina al buio, anch' eglino vengono in luce alia mente,  e rappezzansi parimente di varie specie, onde io repute  ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a proposito. E cio  piu o meno vivacemente succede, e piii tosto, o piu tardi,  secondo che la fierezza o agility degli spiriti muova le po-  tenze deH'anima a simiglianti operazioni. e all'ora dicesi        DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 459   deir uomo che egli abbia piu o meno pronto V ingegno. Di  qui parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia  sovente meno giudizio, imperciocche T uno colla sua terape-  ratura minuisce V abilita dell' altro ; essendo che 11 giudizio  Yuole lentezza e flssazione di riflessioni fatte dalla ragione  6 dair intelletto insieme, per esaminar sottilmente e rivedere  11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia operazione ha  duopo dl spiriti meno ferventl, e che vadan di passo e non  corrano con Tali spiegate a dar moto alle loro azionl e  deliberazioni ; e per cio V Ingegno ordinariamente da per se  sapra formare abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte  subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e  accesi a un tratto nella mente soUievano, ma non mai ben  forniti di fare, se '1 giudizio con la su^, esattezza non da  loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si osserva  neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che hanno spirito  piu elevato e piu vivo si veggono fare in un baleno schizzl  di varie figure ciascuna da se atteggiate con si bella pro-  priety ed espression di aflFetti, che sembrano aver moto e  vita; ma al comporne poi una tavola o una storia tutta  insieme, non riescono nel disporle con maestrla a' lor debitl  luoghi, ne' quali tornino bene per esprimere le attitudini e  i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiu-  stata simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano,  perche a cio fare vuolsi attenta applicazione e fermezza,  che e opera dl giudizio, 11 quale mlsuratamente ne forml la  composizione, e piu e piii volte cancelli e rltaccia; ne tal  cosa si puo comporre e mettere insieme In un attimo a  forza di vlvezza d' ingegno, come 1 priml sbozzi si fanno,  obbedendo la mano alia velocity de* mossl fantasmi. Convien  dunque fermar per vera e per indubitabile sentenza, che  quanto piu V uomo con la continuazione dello studio e sotto  una bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia  megllo assodato e fissato 11. giudizio, anche nelle persone  dl spirito e d' ingegno ; cotanto piii chlari e distintl e meglio  perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la dif-  ferenza in tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si     460 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE   scorge; e questo e quello cbe io so immaginarmi intomo  agli nomini d' ingegno, e quel che veramente questo sia, e  che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per affer-  mare quel ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e  se di tal maniera si facciano le operazioni sue, come anche  delle altre facolta delP anima, Y bo per cosa molto oscura e  fallace.   Imperfetto, — Io stimo certo cbe voi abbiate detto quanto  se ne possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente so-  disfatto. Ma tornando alia volonta, questa entro di se puo  dire il si o il no; ma chi eseguisce sotto il suo ordine?   Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si prudente con-  Bulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e  d'uopo cbe la volonta abbia i ministri sotto di lei, a cui  ella dia gli ordini.   Luigi. — Ed essi ministri dove alloggiano ?   Magiotti, — Questi i sopraccapi sono della regione piu  bassa, nella quale comandano i due moti piu principali  sensibili, cbiamati il concupiscibile e V irascibile ; V uno e  r altro promotori e caposquadra di tutti gli affetti dati per  guardia e per satelliti alia ragione, accioccbe eseguiscano  con prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbi-  grazia, i moti del concupiscibile hanno da desiderare e  cercare il conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine  della ragione ba determinato per buono; ovvero ad accen-  dersi il moto dell' irascibile per aborrire e per torsi davanti  quel cbe la ragione col suo consiglio ba giudicato per non  buono.   Imperfetto. — Questi duo adunque (che appetiti si cbia-  mano) in vigor degli ordini eseguiscono quanto la volonta  comanda loro; ma in cbe modo e con quali strumenti  cio fanno?   Magiotti, — Spediscono ciascun di essi numerose scbiere  di spiriti, e di quelli di mano in mano, cbe sono sotto la  condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a  dar sospinta a' movimenti necessarj delle mani, dei piedi e  delle altre membra corporee a fine di pigliare ii possesso     DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 461   di quel che place alia ragione, a per mettere in fuga e di-  scacciare cio che le displace.   Luigi, — Ma come si fanno elleno tante operazlonl la  dentro in si poco spazio?   Magiotti, — Egli e da sapere come queste operazlonl fan-  nosl dagli spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ;  ma le azlonl della mente sono Incorporee come chi le governa  e dispone, e pero gli organi nostri aprono loro gran vie  per Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dun-  quein questa parte inferiore delP anima nostra divers! affetti  6 perturbazionl, secondo la varieta degll oggett! che per via  del sensl se le rappresentano ; subito la parte ragionevole  sommlnistra e prescrive il modo di regolare e modlficare  essi affetti, lasciando bene a nostra disposizione ed arbitrlo  di consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razio-  nale si lascla vincere dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto  irraglonevole le detta, egli e segno che la volonta sprezza  gli ordini della ragione, e f a a modo degli appetlt! disob-  bedienti, dove se ella alia ragione accostandosl e alle sue  savle persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora  essa la volenti regge e fa altresi la porzione inferiore ragio-  nevole divenlre. Vero e che le faculta dell' anlma ragione-  vole non vogliono mai quello che non sia effettivamente  buono, o che da loro per buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”

 

Grice e Ruffolo: la ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica – la scuola di Cosenza – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Aquileia). Filosofo italiano. Aquileia, Udine, Friuli-Venezia Giulia. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.

 

Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi. Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R. declina l'invito.  Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani romani Rutilii Stoici. R., who came after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from their own history, thereby associating their philosophic principles with patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO; whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial, consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo. Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool Library. Rufo.

 

Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale --  scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.    Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos.  Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la polis  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I  greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di  [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno organico,  a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire  della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza dell’imperium, che sanci-    [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci. La  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo  romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato. Non è più il princeps , cittadino tra  [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  1901, UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.  Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il  re-divino, l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome  [Mommskn. Le drolt pnblic romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature ordinarie.  Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare subentra,  almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla  nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della riforma religiosa  d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei MANI, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gl’uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li lega e li circoscrive materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3 (ì.  I»K  huGGiKKO.  La  filosofia  coniemfor>tnea.DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 1.  La  fortuna  dei  nostri  filosofi.    Con  la  filo- soTia  italiana  vogliamo  rifarci  dalle  origini.  Se  c’è un  paese  che  può  vantare  uno  svolgimento  origi¬ nale  di  pensiero,  dal  Rinascimento  ai  nostri  giorni, questo  è  appunto  l’Italia.  E  nel  tempo  stesso,  sem¬ bra  che  nessun  paese  possa  deplorare,  con  maggior diritto  delTItalia,  il  disconoscimento  più  pieno  della sua  vita  mentale. Il  nostro  Rinascimento  è  in  generale  conosciuto; ma,  dopo,  ci  si  sequestra  dalla  circolazione  del  pen¬ siero  europeo:  Vico  è  lettera  morta  fuori  d’Italia;  e il  secolo  XIX  offre  questa  stranezza,  che  vengono  ele¬ vati  a  fama  europea  scrittori  mediocri  come  l’Hamil- ton,  il  Cousin  e  più  tardi  il  Lotze,  mentre  sono  igno¬ rati  un  Rosmini,  un  Gioberti,  uno  Spaventa,  tre  pen¬ satori  geniali,  che  proseguono  la  tradizione  specula¬ tiva  del  pensiero  europeo,  proprio  quando  sembrava interrotta,  nella  fine  apparente  dell’idealismo  tedesco. Io  non  starò  qui  a  fare  un  ridicolo  processo  agli stranieri  per  averci  dimenticati:  noi  per  i  primi non  ci  siamo  dimostrati  all’altezza  del  nostro  pas¬ sato;  e  le  stesse  condizioni  civili  e  politiche  d’Italia nel  secolo  XIX  hanno  purtroppo  contribuito  alla sprezzante  dimenticanza  Si,  perché  la  circolazione i 350  LA  FILOSOFIA  IT.ALIANA del  pensiero  avviene  in  modo  diverso  nei  tempi  mo¬ derni  che  nel  Rinascimento.  Allora  potevamo,  anche politicamente  schiavi,  dettar  le  leggi  della  cultura agli  stranieri:  allora  infatti  la  vita  del  pensiero  era l’universalismo  astratto,  naturalistico,  che  neutra¬ lizza  le  diflerenze  della  storia:  la  sua  espressione  è il  concetto  della  sostanza  del  Bruno,  l’unità  indiffe¬ rente  degli  opposti.  Nel  secolo  XIX,  invece,  s’inizia un  movimento  profondo  d’individuazione:  è  il  pe¬ riodo  dello  storicismo.  Il  pensiero  non  vive  più astratto  dalla  sua  vita  storica,  e,  fuori  deU’indivi- duazione  politica,  sociale,  morale  d’un  popolo  è nulla,  è  flatus  vocis.  Cosi  si  sono  affermate  la  cultura tedesca,  quella  francese,  quella  inglese:  culture  di popoli  formati.  La  nostra  no.  Noi  avemmo  due  grandi pensatori.  Rosmini  e  Gioberti,  ma  erano  un’antici¬ pazione  sulla  nostra  realtà  storica.  Noi  non  h  cele¬ brammo  che  quando  volemmo  far  la  nostra  stona: il  loro  pensiero  rifulse  di  vivida  luce  nel  1848;  ma diventò  cosa  morta  nel  ’49.  E  l’Italia  che  si  forniò nel  ’fiO  non  fu  rosminiana    giobertiana:  perché? Purtroppo  è  nota  la  decadenza  mentale  e  morale  di quella  nuova  Italia:  la  sua  voce  non  era  più  la  voce generosa  di  Gioberti,  ma  la  molle  cantilena  di  Ma- miani  e  l’accento  rauco  di  Ferrari. Nel  1861,  in  un  corso  di  filosofia,  che  resterà celebre  nella  storia  del  nostro  pensiero,  il  terzo  dei grandi  pensatori  italiani,  Bertrando  Spaventa,  rievo¬ cava  le  glorie  del  nostro  passato,  e  spiegava  a  una folia  d’ignari  lo  svolgimento  originale  del  pensiero italiano  nei  suoi  rapporti  col  pensiero  europeo  :  nella nuova  luce  da  lui  diffusa  sulla  nostra  filosofia.  Bruno e  Campanella  trovavano  il  loro  posto  nella  storia  del pensiero  come  precursori  di  Cartesio,  di  Spinoza  e di  Locke;  Vico,  come  il  geniale  presentimento  di I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 357 Kant;  e  infine,  Galluppi,  Rosmini,  e  Gioberti  rappre¬ sentavano  la  coscienza  via  via  più  compiuta  del kantismo,  come  questo  s’era  svolto  in  Germania  per opera  di  Fichte  e  di  Hegel.  Ma  lo  Spaventa  avver¬ tiva  che  la  caratteristica  dell’ingegno  italiano  in tutti  i  tempi  era  quella  di  es.sere  precursore,  di  avere il  presentimento  delle  nuove  verità,  ma  di  non  sa¬ perle  svolgere,  e  di  falsificarne  perfino  il  senso  e  la portala.  Ma  con  la  rinnovata  coscienza  della  pro¬ pria  storia,  lo  Spaventa  sperava  che  ritalia  risorta allora  a  unità  politica,  potesse  riprendere,  in  una piena  consapevolezza,  il  posto  che  le  spettava  nella cultura.  Ed  egli  stesso  ne  additava  la  via,  con  uno sforzo  tenace,  che  durò  tutta  la  sua  vita,  per  porsi all’altezza  del  movimento  storico,  comprimendo  ogni impulso  del  suo  pensiero  originale  per  rivivere  in¬ tensamente  il  pensiero  altrui;  facendosi  perpetuo scolaro,  per  poter  diventare  il  vero  maestro  degli italiani. Ma  l’Italia  alla  quale  egli  parlava  non  era  in grado  di  capirlo:  ell’era  quella  stessa  Italia  che aveva  pervertito  il  giohertismo  in  una  speculazione flaccida  e  senza  sangue;  la  filosofia  dei  bramani,  come lo  stesso  Spaventa  diceva.  Ond’è  che  il  geniale  hege¬ liano  parve  a  taluni  un  mistico,  ad  altri  un  sovverti¬ tore  della  scolastica;  a  nessuno  quello  che  in  realtà era.  I  falsi  nazionalisti  gli  rimproveravano  il  suo hegelismo;  i  falsi  hegeliani  il  suo  nazionalismo:  in verità  gli  rimproveravano  gli  uni  gli  errori  degli altri:  dalla  doppia  taccia  egli  era  immune:  egli  che sentiva,  si,  italianamente  la  filosofìa,  ma  la  pensava universalmente. Il  primo  insegnamento  dello  Spaventa,  come quello  ilei  suo  granile  conterraneo,  il  De  Sanctis, fu  dunque  infruttuoso;  a  riceverlo,  le  menti  erano LA  FILOSOFIA  ITALIANA impreparate.  Non  cosi  oggi,  che  nella  rinascente  ita¬ lianità.  noi  impariamo  a  vivere  in  comunione  col nostro  passato,  consci  che  ogni  sviluppo  della  vita speculativa  è  possibile  solo  mediante  una  piu  salda continuità  con  la  tradizione  storica.  L’Italia  nostra non  s’è  fatta  net  1860  ma  si  va  facendo  ai  nostri giorni  '  :  quella  stessa  Italia  che  va  conquistando  una posizione  sempre  più  eminente  tra  i  popoli,  afferma la  forza  interiore  di  questa  ascensione  col  rinnova¬ mento  della  sua  coscienza  speculativa.  In  tale  rin¬ novamento.  risorgono  i  nostri  grandi,  Francesco  De .Sanctis.  Bertrando  Spaventa;  attraverso  essi,  noi ci  colleghiamo  al  nostro  passato.  Io  esporrò  breve¬ mente  Tammaestramento  loro  (e  di  quelli  che  pro¬ seguendone  l’opera  hanno  contribuito  con  loro  al presente  risveglio)  su  questo  passato. 2.  Il  Rinascimento  e  Machiavelli.  Gli  albori del  pensiero  moderno  sono  da  ricercare  nell’uma- nismo.  Ivi  la  filologia  già  lascia  intravvedere  il principio  e  l’indirizzo  della  nuova  filosofia;  ivi  già si  accenna  quel  ritorno  all’antico  che  è  invece creazione  del  nuovo.  Sotto  i  colpi  dell’umanismo comincia  il  dissolvimento  della  scolastica,  che  pro¬ segue  poi,  più  rapido,  nel  rinnovamento  della  vita civile  e  politica,  e  della  speculazione  che  l’esprime. Qual  è  il  significato  della  scolastica?  Essa  è  un  con¬ nubio  del  cristianesimo  con  l’aristotelismo.  Il  Dio che  si  era  umanizzato  in  Cristo  si  naturalizza  nella logica  aristotelica:  diviene  l’Ente,  l’oggetto,  nei quadri  della  sillogistica.  11  monumento  della  scola¬ stica  è  la  prova  ontologica  di  Anseimo.  Questo  natu- 1  Queste  parole  sono state  scritte  nel  1911. I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI ralismo  è  già  un grande  progresso:  non  è  il  na¬ turalismo  fisico  dei  presocratici,  non  il  naturalismo ideale  dei  platonici,  ma  è  naturalismo  divino.  Per mezzo  suo  si  svolge  la  contradizione  del  cristiane¬ simo,  con  la  sua  doppia  alTermazione  dell’umanità e  della  divinità  di  Dio.  E  il  nuovo  naturalismo  del Rinascimento,  che  sorge  come  negazione  di  quello scolastico,  contiene  in  realtà  la  doppia  esigenza, nella  sua  unica  aflermazione  della  divinità  e  umanità della  natura.  Con  esso  s’inizia  l’età  veramente umana  della  lìlosofia. Quanto  al  suo  procedimento  speculativo,  la  sco¬ lastica  si  compendia  nei  princìpi  della  sillogistica; la  sua  visione  etica  del  mondo,  poi,  nell  ascetismo e  nel  misticismo:  la  speranza  messianica  implica  la svalutazione  della  realtà  attuale  e  della  vita.  E  il Rinascimento  è  l’antitesi  di  entrambi  gl’indirizzi: esso  è  la  sopravvalutazione  della  vita    quella  che la  libertà  comunale,  gli  attivati  commerci  e  i  rap¬ porti  politici  promovevano  e  intensificavano;  e  in pari  tempo  esso  è  Patteggiamento  nuovo  del  pensiero speculativo,  che  non  ha  una  realtà  fatta  innanzi  a sé,  da  sillogizzare,  ma  crea  la  sua  realtà,  osservando, provando,  inducendo.  Nascono  cosi  due  scienze,  la politica  e  la  fisica,  ambedue  dal  me Essa  è  la  sola  cosa  stabile  ed  eterna:  ogni  volto,  ogni faccia,  ogni  altra  cosa  è  vanità,  è  come  nulla;  anzi è  nulla  tutto  ciò  che  è  fuor  di  questo  uno.  Spinoza non  parlerà  con  maggior  vigore,  ma  a  differenza  di Bruno,  egli  non  indietreggerà  d’un  passo  dalla  po¬ sizione  conquistata.  Il  filosofo  italiano,  come  già Telesio,  e  poi  Campanella,  alterna  il  nuovo  col vecchio:  più  veemente  di  Spinoza,  è  assai  meno coerente,  e  accanto  al  nuovo  Dio  lascia  sussistere l’antico. Più  oscillante  ancora  di  Bruno  è  Campanella, benché  rappresenti  un’esigenza  nuova  del  pensiero .speculativo.  La  difficoltà  del  concetto  di  sostanza  è che  il  pensiero,  naturalizzandosi  nell’oggetto,  non può  spiegare    stesso.  La  sostanza  è  conosciuta  ma non  si  conosce:  come  ciò  è  possibile?  Come  può l’uomo,  un  semplice  modo  o  accidente,  conoscere  la sostanza,  ed  elevarsi  a  Dio,  se  è  semplice  effetto? come  l’effetto  ritorna  alla  causa?  *.  Il  nuovo  pro¬ blema  che  il  concetto  della  sostanza  apre  alla  spe¬ culazione  è  quello  del  conoscere,  e  ad  esso  si  ap¬ punta  il  pensiero  del  frate  di  Stilo. Campanella  è  confusamente  il  Cartesio  e  il  Locke della  iìlosofla  italiana.  Muove  dal  dubbio  scettico  e trova  la  certezza  nella  coscienza  di  sé,  nel  xensusB.  Spatonta,  Saggi  di  critica,  Napoli,  I8882,  p.  Iti. LA  FILOSOFIA ITALIANA abciilus,  ma  d’allra  parte  fonda  la  conoscenza  della natura  sul  semplice  sensus  addilux.  Le  due  esigenze restano  in  lui  inconciliate:  per  avere  una  concilia¬ zione  si  dovrà  giungere  fino  a  Kant.  Ond’è  che  la certezza  delle  cose  esteriori  sembra  a  Campanella ora  uno  sviluppo,  ora  una  caduta,  ora  un  incre¬ mento,  ora  un  limite.  15  l’intonazione  generale  del suo  pensiero  è,  nella  metafisica,  il  razionalismo    la dottrina  delle  primalità  fondata  sul  sensus  abditiis; nella  teoria  del  conoscere  l’empirismo —  la  mera certezza  sensibile  e  la  concezione  dell’intelletto come  semplice  senso  illanguidito. Ma  se  per  questo  verso  egli  fa  un  gran  passo  su Bruno,  gli  resta  poi  di  gran  lunga  indietro  per  la convinzione  e  la  fede  nell’inlinita  presenza  di  Dio nell’universo:  Campanella  è  in  qualche  modo,  e  quasi inconsciamente,  il  filosofo  della  restaurazione  catto¬ lica,  come  fha  definito  lo  Spaventa:  egli,  col  suo  razionalismo,  non  toglie  i  ceppi  alla  scienza,  se  non perché  questa  se  li  rifaccia  da    medesima  e  si  sottometta  liberamente.  Ma  l’entusiasmo  di  Bruno  non troverà  il  suo  riscontro  che  nello  sforzo  tenace  di Galilei.  Con  questo  la  Scolastica,  solo  virtualmente superata  nella  filosofìa  del  Rinascimento,  è  vinta  per sempre.  Il  naturalismo  non  è  più  soltanto  celebrato come  nuova  tendenza  dello  spirito,  ma  è  la  nuova attualità  spirituale:  nella  nuova  scienza  si  umanizza la  natura,  che  non  è  più  la  mera  privazione  degli scolastici,    la  divinità  ancora  trascendente  della speculazione,  ma  è  la  scienza  stessa,  l’atrermazione deU’umanità  concreta  del  mondo    di  quel  mondo che  non  ci  è  estraneo  ma  interiore,  e  che  vive  della stessa  nostra  vita  di  ricerca  e  di  conquista  incessante. I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GlOBEItTI 4.  Vico.    Tra  Machiavelli  e  Vico  corrono  due secoli,  e  ratteggianieiito  mentale  è  profondamente mutato.  All’apparenza  li  direste  vicini,  rivolti  come .sono  tutti  e  due  al  passato,  per  attingere  da  esso  la loro  forza.  Ma  con  che  occhio  diverso  lo  guardano! .Machiavelli  vede  nel  passato  il  mezzo  per  liberare il  presente  dalle  accidentalità  storiche  e  per  contemplar  l’uomo  nell’intimità  della  sua  natura,  delle  sue passioni:  egli  fonda  così  la  politica.  Con  Vico,  il  naturalismo  umano  del  Rinascimento  è  già  sorpassato, e  l’esperienza  storica  non  suggerisce  più  alcuna  distinzione  tra  sostanza  ed  accidente,  ma  la  considerazione  nuova  dello  sviluppo,  dello  spiegamento della  mente  umana:  Vico  fonda  la  storia. Le  due  mentalità  sono  profondamente  diverse. La  tradizione  dei  politici  si  continua  attraverso  il (ìuicciardini,  il  Paruta,  il  Sarpi,  ed  ha  un  lontano rappresentante,  nel  secolo  XVIll,  nell’abate  Galiani. Anche  questi,  come  Vico,  fa  la  critica  del  suo  secolo, e  del  giacobinismo  che  quello  prepara;  ma  la  sua critica  non  preannunzia  il  secolo  seguente;  essa  è quella  del  vecchio  politico,  che,  incapace  d’intendere  le  nuove  aspirazioni  del  giovane,  ha  e.sperienza per  avvertire  le  sue  fanciullaggini  e  sorridere  alle sue  illusioni. La  critica  di  Vico  è  al  contrario  novatrice.  Essa investe  tutto  il  pensiero  del  secolo  XVlll,  il  cartesianismo  e  il  sensismo.  All’universalità  astratta  del primo  che  non  spiega  la  scienza,  perché  vuol  fondarla  sulla  rivelazione  immediata  dell’evidenza.  Vico contrappone  l’intuizione  genetica  delle  cose,  che  le [ P.  un'acuta  osservazione  de!  Croce:  cfr. :  Il  pensiero  del- Vabate  Galiani,  in  Critica,  spiega  nel  loro  farsi,  nel  loro  sviluppo:  e  prelude cosi  allo  storicismo  del  secolo  XIX.  E  mentre  il sensualismo  traeva  dall’esperienza  sensibile  un  motivo  tutto  materialistico.  Vico  svolge,  da  quella stessa  esperienza,  l’universale  fantastico,  la  poesia  e il  linguaggio,  nella  loro  originalità  spirituale:  e  cosi prelude  al  romanticismo.  Queste  geniali  intuizioni sono  comprese  in  un’unità  potente:  è  la  mentalità umana  che  nel  suo  sviluppo  si  afferma  come  dispersa nel  senso  e  nella  fantasia  e  si  unifica  e  si  riflette  nel pensiero.  Vico  perciò  intravvede  una  metafisica  della mente,  una  storia  ideale,  eterna,  per  la  quale  corrono  le  storie  delle  singole  nazioni:  nelle  modificazioni  della  mente  sono  per  lui  da  ricercare  i  momenti  dello  sviluppo  storico.  Ecco  la  grande  originalità  di  Vico:  per  Machiavelli  l’umanità  era  natura, sostanza,  e  perciò  fatale  nel  suo  corso,  nella  .sua  logica  interiore.  Con  Vico  sorge  il  concetto  della  mentalità,  della  provvidenza  immanente  nello  sviluppo delle  nazioni.  In  Machiavelli  c’è  ancora    contro l’apparenza  — l’intuizione  teologica  del  mondo,  e  la tristezza  d’un’attesa  messianica:  l’uomo  è  fatto  trascendente  a    medesimo:  in  Vico  non  più:  nella sua  concezione  storica  l’umanità  è  tutta  spiegata. Ma  pure  quello  stesso  Vico,  che  scrutando  la  storia  di  Roma,  attuava  magnificamente  la  sua  nuova idea,  lasciava  poi  intatto  il  pregiudizio  dell’elezione arbitraria  degli  Ebrei.  Nel  passare  alla  storia  di Roma,  egli  aveva  compiuto  il  suo  grande  sforzo,  e vi  si  era  esaurito,  senza  aver  più  la  forza  di  ripassare alla  storia  degli  Ebrei,  come  osserva  il  Croce  nella sua  bella  monografia  sul  Vico.  Fu  viltà,  fu  pregiudizio?  Forse,  con  più  verità,  fu  un  difetto  intrinseco- dei  sistema:  Vico  non  seppe  uscire  dal  particolarismo  ristretto  delle  unità  nazionali:  mancava  a  lui  il concetto  dell’università  del  particolare,  deiriima- nità  della  nazione,  che  sar.à  l’opera  del  secolo  seguente.  E  perciò  quel  pas.saggio  dai  Romani  agli Ebrei,  che  a  noi  sembra  oggi  cosi  facile,  non  fu  possibile  al  suo  genio. Vico  non  ebbe  mai  il  riconoscimento  che  gli spettava,    in  Italia    fuori,    vivente    dopo morto.  Nel  secolo  nostro  s’impadronirono  della  sua dottrina,  come  vedremo,  i  positivisti,  e  falsificarono nel  modo  più  barocco  la  sua  celebre  formula  della conversione  del  vero  col  fatto.  Rivendicarne  la  me¬ moria  e  perseguirne  la  speculazione  è  stata  l’opera dello  Spaventa,  del  De  Sanctis,  e  più  ancora,  del Croce.  Per  merito  loro  la  profonda  lacuna  della nostra  cultura  è  colmata.  Con  Machiavelli  e  con  Vico noi  possediamo  gli  esponenti  maggiori  della  storia del  nostro  pensiero,  dal  Rinascimento  alle  porte  del secolo  XIX. Vico  con  la  sua  intuizione  di  una  metafìsica  della  mente  umana  è  il  presentimento  del  criticismo,  che  si  svolge  poi  in  Italia nel  secolo  seguente,  per  opera  di  Galluppi,  Rosmini e  Gioberti.  La  posizione  storica  di  questi  pensatori è  stata  fraintesa  generalmente,  e  da  loro  medesimi per  primi,  finché  la  critica  di  Spaventa non  ne  ha  liberato  la  dottrina  dall’involucro  contingente  e  svelata  la  stretta  parentela  con  la  filosofia tedesca. La  spiegazione  del  fraintendimento  ci  è  data dalla  considerazione  dell’ambiente  nel  quale  sorsero e  si  svilupparono  le  nuove  dottrine.  .\I  principio  del secolo  XIX  l’Italia  è  infestata  dal  sensualismo  francese  del  secolo  precedente,  e  la  stessa  filosofia  kan-liunn  non  vi  s’introduce  che  attraverso  reclettismo e  la  psicologia  degli  scozzesi  :  il  valore  sommamente originale  del  nuovo  concetto  della  soggettività  ne vien  completamente  perduto.  Nel  rinnovamento  cattolico,  che  s’inizia  in  questo  stesso  periodo,  il  sensismo  vien  minato  alla  base,  ma  non  già  in  nome  di Kant.  11  sensismo  è,  nelle  sue  ultime  conseguenze, scettico;  è  un  vano  gioco  di  elementi  soggettivi,  che non  fonda  l’oggettività,  il  sapere.  Ma  Kant  — si  sog¬ giunge —  non  è  anch’egli  chiuso  nel  soggettivismo delle  forme  del  senso  e  dell’intelletto?  e  non  va  a finire  del  pari  nello  scetticismo?  Con  questa  critica si  pretende  di  disfarsi  di  Kant,  e  si  cre  *. Sono  curiose  queste  citazioni  vichiane  che  s’in- 1  H.  Arie,  storia  e  fìlosofta,  Firenze,  1884,  p.  *142. 2  pp.  479-480. II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 381 contrailo  presso  i  positivisti;  se  ne  trovano  oltre  che nel  Cattaneo  e  nel  Villari,  nel  Cahelli  e  nellWn- giiilli.  Vico  diviene  un  precursore  del  positivismo, la  sua  formula  della  conversione  del  vero  col  fatto (identità  del  pensiero  e  dell’essere,  come  mentalità, sviluppo)  viene  dai  più  intesa  nel  senso  che  la  ve¬ rità  sta  nel  fatto  e  non  già  nella  mente.  Ma  pure queste  reminiscenze  vichiane  trattengono  i  primi  po¬ sitivisti  dal  cadere  in  una  metafìsica  materialistica. Sono  tutti  assai  prudenti,  anche  perché  non  hanno nulla  da  dire:  il  più  arrischiato  forse  è  l’Angiulli, che  è  d’ingegno  un  po’  più  filosofico  degli  altri;  ma il  suo  programma  positivistico,  pubblicato  nel  1869, non  manifesta  alcun  contenuto  nuovo  di  dottrina. FI  quando  il  positivismo,  per  la  logica  stessa  del suo  movimento,  degenerò  ovunque  nel  materialismo, i  nostri  positivisti  furono  pronti  a  sconfessare  la conseguenza  da  essi  non  voluta  delle  nuove  dottrine. Il  Villari  polemizzò  coi  materialisti  francesi;  il  Gabelli  distinse  un  vecchio  ed  un  nuovo  positivismo, e  manifestò  la  sua  avversione  per  quest’ultimo.  Certo in  questi  pentimenti  c’era  qualcosa  d’ingenuo,  proprio  di  chi  non  sa  valutare  la  portata  di  una  dottrina,  mentre  l’accetta;  e  i  materialisti  francesi  erano più  conseguenti  dei  positivisti  italiani,  nel  negare quelle  idealità  vaghe  che  questi  lasciavano  ancora ondeggiare  al  di  sopra  dei  fatti.  Ma  se  in  ciò  i  nostri erano  meno  filosofi,  erano  poi  più  di  buon  senso nelle  loro  riserve,  perché  dopo  tanti  sforzi  per  liberarsi  da  una  metafìsica  pseudo-idealistica,  non  volevano  trovarsi  impegoiati  in  una  altra  metafìsica,  di tendenze  materialistiche. La  trivialità  di  questa  metafìsica  non  tardò  a  manifestarsi.  Essa  sorgeva  dal  connubio  tra  la  filosofìa e  la  biologia;  e  il  suo  nome  era  il  monismo:  un  nome che  dice  tutto,  anche  più  del  contenuto  di  dottrina con  cui  lo  si  è  voluto  giustilìcare.  I  suoi  fautori  erano medici,  naturalisti,  botanici,  fisici,  e  via  discorrendo. La  loro  opera  sarebbe  certamente  andata  dispersa  se Morselli  non  avesse  avuto  la  felice  idea  di raccoglierla  e  disciplinarla  in  una  Rivista  di  filosofia  scientifica  durata  pochi  anni,  che  resterà  come prezioso  documento  della  mentalità  italiana  sullo scorcio  del  secolo  XIX. Ma  le  esagerazioni  più  stravaganti  del  positivismo  materialistico  si  videro  nella  scuola  di  antropologia,  fondata  da  Cesare  Lomhroso,  notissimo  autore di  libri  in  cui  il  genio  e  la  delinquenza  si  accoppiavano  in  una  felice  coincidentia  oppositorum.  Di  queste  dottrine  non  ci  occuperemo,  perché  son  divenute di  competenza  forense,  e  funestano  le  squallide  aule delle  nostre  Corti  d’Assise.  Accenneremo  soltanto  a una  propaggine  del  positivismo  italiano  che  per opera  specialmente  di  Enrico  Ferri  s’è  innestata nella  dottrina  socialistica.  E  del  Ferri  raccomando la  lettura  d’una  prefazione  a  una  sgrammaticata  traduzione  italiana  deWAntidiiliring  di  Engels,  che  è un  bel  documento  del  livello  di  cultura  del  nostro ex-socialista. Ma  con  tutto  ciò,  del  positivismo  italiano  noi  non avremmo  che  notizie  scarse  e  frammentarie,  se  esso non  fosse  stato  conglobato  e  quasi  condensato  in  una dottrina  unica  da  Roberto  Ardigò.  Di  questo  perciò vogliamo  occuparci  un  po’  più  estesamente. La  filosofìa  dell’Ardigò  ha  quello  stesso  motivo naturalistico  che  abbiamo  osservato  nel  positivismo inglese;  e.ssa  è  l’indiflerenza  tra  il  sensismo  e  il  materialismo,  senza  per  altro  il  rigore  logico  del  Mill e  la  veduta  vasta,  per  quanto  superficiale,  dello Spencer.  Mentre  infatti  fenipirismo  inglese  è  veramente  monistico,  nel  senso  che,  ammesso  il  fatto naturale  della  sensazione,  ritiene  poi  derivata  e  posteriore  la  distinzione  del  soggetto  e  deH’oggetto, l’Ardigó  invece  tradisce  fin  dal  principio  la  sua preoccupazione  dualistica,  propria  del  realismo  ingenuo. Perciò  ammette  come  fondamentale  la  distinzione  del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  dell’autosintesi  e  dell’eterosintesi,  cioè  da  una  parte  fassociazione  dei  dati  psichici  stabili  che  costituiscono  il  me, dall’altra  l’associazione  degli  stati  psichici  accidentali  che  costituiscono  il  non-me.  Questa  è  prova  dcll’inferiorità  della  dottrina  in  quistione  rispetto  alle altre  forme  di  positivismo,  perché  la  distinzione  non fa  che  adombrare  quella  tra  la  materia  e  la  sensazione,  e  giustifica  quell’illusorio  raddoppiamento  del mondo  nella  conoscenza,  che  ad  empiristi  come  l’Avenarius  o  il  Mach  parrebbe  una  vera  mostruosità.  Il termine  comune  di  materia  psichica,  nei  due  campi, del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  non  è  in  effetti  altro  che  un  nome,  che  si  può  trasformare  a piacere  in  un  altro    l’indistinto — ,  che  l’Ardigò pone  a  fondamento  della  realtà. Si  vuole  che  r.\rdigò  abbia  fatto  una  critica  dei-rinconoscibile  di  Spencer,  e  c’è  veramente  uno scritto  suo  su  questo  soggetto;  ma  bisogna  proprio dire  che  egli  sia  andato  in  cerca  della  pagliuzza nell’occhio  del  fratello,  senza  accorgersi  del  trave che  aveva  nel  proprio.  Almeno  il  povero  Spencer  poteva  illudersi  di  veder  Dio  in  quel  suo  inconoscibile,  mentre  nel  caso  dell’indistinto,  nemmeno  questa immaginazione  è  più  possibile.  Con  questo  concetto deir.Ardigò  l’epurazione  degl’inconoscibili,  degl’incoscienti  e  simili  prodotti  del  facile  eclettismo  contemporaneo  è  compiuta,  e  non  resta  che  l'innocua sodilisrazione  (ti  dire  uno,  quando  le  cose,  a  dispetto  del  positivista,  pare  che  vogliano  dire  due. L’indistinto  dell’Ardigò  non  contiene  dunque più  alcuna  traccia  di  Dio.  L’idea  di  Dio  è  del  tutto radiata  dai  quadri  di  questa  filosofia,  e  al  suo  posto subentra  il  nuovo  concetto  deH’inlìnito  o  della  virtualità  permanente  dell’esperienza:  un  concetto  che, come  quello  inilliano  della  possibilità  delle  sensazioni  dimostra,  si.  la  preoccupazione  immanentistica del  positivismo,  ed  è  perciò  da  lodare  nel  movente psicologico  della  sua  formazione,  ma  è  nel  fatto  insufficiente,  come  quello  che  si  travaglia  ancora  nel vecchio  dualismo  aristotelico,  e  dissimula,  nella  sua apparente  facilità,  il  problema  non  risoluto,  e  l’ignoranza  dei  potenti  sforzi  che  la  speculazione  di  venti secoli  ha  compiuto  per  giungere  al  graduale  superamento  di  esso. Questo  cenno  sul  motivo  fondamentale  dell’opera dell’Ardigò  può  bastare,  come  un  saggio  del  suo  pensiero.  Lo  svolgimento  della  dottrina,  secondo  i  criteri  direttivi  dell’empirismo,  è  dato  dal  tentativo  di aggruppare  in  varie  forme  e  in  varie  guise  il  materiale  plastico  della  sensazione:  un  campo  di  ricerche  che  Tempirismo  inglese  aveva  già  da  tempo sfruttato,  e  che  con  l’.Ardigò  non  è  in  grado  di  dar nuovi  frutti.  D.\l  dualismo  si val al  monismo.    Nell'imperversare  delle  dottrine  materialistiche,  molte  voci  modeste  furono  soffocate,  che  forse  in  un  ambiente  più propizio  avrebbero  potuto  esercitare  un’efficacia  maggiore.  La  loro  influenza  sul  pensiero  italiano  fu  assai scarsa,  in  un  tempo  in  cui  il  materialismo  dominava la  vita  sociale  nelle  sue  più  cospicue  manifestazioni. Esse  nondimeno  riuscirono  a  formarsi  un  teatro  più ristretto,  ma  insieme  più  consono  alla  loro  intonazione:  la  cattedra.  E  come  già  in  Francia  lo  spiritualismo  eclettico,  svalutato  dai  nuovi  indirizzi,  si conservava  nella  cerchia  universitaria,  così  nell’Italia  positivistica  e  materialistica  si  ebbe,  nella  seconda  metà  del  secolo  scorso,  un  insegnamento  universitario  con  tendenze  spiritualistiche. Noi  abbiamo  già  accennato  a  quel  dualismo  pla- tonizzante  che  si  delineava  nelle  opere  del  Mamiani, del  Ferri  e  del  Berlini:  come  quello  che,  bilanciato tra  i  due  domini  estranei  del  pensiero  e  dell’essere, naufragava  poi  nello  spiegare  la  mediazione  di  en¬ trambi,  il  conoscere,  esso  non  poteva  riuscir  vinci¬ tore  di  quel  positivismo  che  viveva  nella  medesima dillìcoltà,  e  solo  cercava  di  dissimularla  con  le  sue pòco  fondate  asserzioni.    il  dualismo,  nella  nuova forma  datagli  dal  Bonatelli  o  dal  Cantoni,  per  quanto più  corretto  e  rammodernato,  aveva  migliori  proba¬ bilità  di  successo;  in  fondo  la  difficoltà  restava  iden¬ tica,  e  al  più  veniva  spostata  in  più  remote  regioni. Nella  sua  vita  infaticabile  di  studio  e  di  ricerca, il  Bonatelli  non  riuscì  mai  a  migliorare  la  posizione iniziale  del  suo  pensiero,  che  noi  conosciamo  dal  sag¬ gio:  Pensiero  e  conoscenza  del  1864.    egli,  ispi¬ randosi  a  Lotze,  muove  dal  soggettivismo  empirico della  coscienza  e  invano  si  tortura  per  conseguire l’oggettività  del  conoscere.  Il  pensiero  è  da  lui  ridotto al  semplice  pensato,  alla  mera  forma  indifferente  a ogni  contenuto,  qual’è  quella  della  logica  aristote¬ lica,  e  cosi  fin  dal  principio  gli  è  preclusa  la  via  a concepire  la  relazione  tra  il  pensiero  e  l’essere.  Egli afferma,  si,  che  pensare  è  giudicare,  ma  non  intende il  valore  e  la  portata  di  questa  grande  verità  della G.  DB  Ruggiero,  La  filosofìa  contemporanea. 25 386 LA  FILOSOFIA  ITALIANA lilo.solia  kantiana,  che  è  neutralizzata  dall’intuizione fondamentalmente  platonica  della  sua  dottrina. Di  qui,  se  il  pensiero  è  il  semplice  pensiero,  la certezza  del  reale  non  è  che  un’inferenza,  un’ana¬ logia,  per  cui  noi  interpretiamo  le  cose  esterne  a  noi nei  termini  della  nostra  esperienza  soggettiva.  Ma¬ cho  cos’è  la  realtà  in    stessa?  Ora  è  qualcosa  di simile  ai  reali  di  Lotze,  ora  è  lo  stesso  pensiero  inteso come  norma  ideale  a  cui  tentano  di  adeguarsi  le singole  conoscenze  '.  Soluzioni  deboli,  come  si  vede, perché  col  principio  di  analogia  crediamo  di  muo¬ vere,  ma  in  realtà  non  moviamo  un  passo  fuori  della mera  soggettività;  e  la  norma  ideale,  d’altra  parte, posta  fuori  del  pensiero  attuale,  è  la  mera  oggetti¬ vità,  a  cui  manca  il  ponte  di  passaggio  verso  il  soggetto.  Oggettività  pura  e  semplice,  e  soggettività  pura e  semplice,  dunque:  qui  la  soluzione,  in  fondo,  non fa  che  ridarci  tal  quale  il  problema. Il  platonismo  del  primo  saggio  si  trova  immutato negli  altri;  al  più  si  epura.  Nell’opuscolo  Percezione  e  penniero  è  detto  che  l’oggetto  opera  sul  soggetto,  imprimendo  in  questo  Tinimagine  di    stesso; immagine  che  non  è  per  nulla  sfigurata  e  deformata dalla  passione  del  conoscente,  perché  il  mutamento subito  da  questo  consiste  soltanto  in  ciò,  che  egli conosce  ciò  che  prima  non  conosceva *  *.  La  conoscenza  viene  così  sempre  più  alleggerita  di  quel còmpito  copernicano  che  Kant  aveva  voluto  imporle e  quindi  ridotta  a  una  mera  duplicazione  inesplicabile  di  una  realtà  in    bell’e  fatta.  Il  termine  della speculazione  del  Bonatelli  è,  per  questa  via,  il  capo- [Bonatkixi,  Pensiero  e  conoscenza^  Bologna.   Bonatelli;  Percezione  e  Pensiero  (Atti  del  R.  Istituto Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti,  volgimento  completo  della  tesi  kantiana:  la  forma non  è  più  del  soggetto  ma  appartiene  all’oggetto  in sé,  e  al  soggetto  non  viene  attribuito  che  la  semplice modilicazione  sensibile,  o,  in  altri  termini,  la  materia  11  che  significa,  se  non  mi  sbaglio,  volere ricondurre  la  tesi  dualistica  all’assurdo. Un  altro  dualista  orientato  verso  la  filosofia  di Lotze  è  il  Cantoni,  pur  con  la  sua  vasta,  ma  poco profonda,  cultura  kantiana.  Nel  suo  lodevole  tentativo  di  acclimatare  la  filosofìa  di  Kant  in  Italia,  egli introdusse  quel  famoso  problema  sull’origine  psicologica  dell’apriori  che  ebbe  grande  fortuna  in  Germania  nello  scorso  secolo,  e  che  costituì  per  lungo tempo  il  Capo  dei  Naufragi  di  molti  neo-kantiani. Nell’intento  del  Cantoni,  quel  problema  doveva  salvare  la  critica  dal  mero  soggettivismo  in  cui  pareva l’avesse  chiusa  Kant:  il  riconoscimento  della  formazione  psicologica  dell’apriori  doveva  infatti  segnare il  punto  di  convergenza  della  doppia  azione  del  pensiero  e  della  realtà.  Ma  per  quella  legge  dell’etero- genia  dei  fini,  la  cui  fecondità  è  sorprendente,  la  ricerca  del  Cantoni  era  viziata  precisamente  da  quello stesso  soggettivismo  contro  il  quale  egli  credeva  di combattere.  Come  infatti  si  può  parlare  di  formazione  psicologica  dell’apriori,  tranne  che  questo  non venga  inteso  che  come  il  semplice  apriori  della  coscienza  empirica,  e  non  della  coscienza  e  insieme della  realtà?  Esso  dunque  presuppone  qua  una  coscienza,    una  realtà  bell’e  fatta,  e  dice:  questa  coscienza  nell’appropriarsi  quella  realtà  procede  per gradi;  è  prima  un  mero  aposteriori,  e  si  apriorizza  a poco  a  poco  con  lo  spogliarsi  del  contenuto  sensibile e  col  concepire  la  forma  astratta  delle  cose  che  il pensiero  può  padroneggiare  (concepire  universalmente,  necessariamente)  appunto  perché  è  vuota  di contenuto  Ma  questo,  è  il  falso  apriori  analitico  da cui  Kant  s’era  liberato  nella  sua  critica,  e  che  poi Lotze,  con  un  vero  anacronismo,  aveva  voluto  ripristinare.  Esso  non  regge  se  non  in  quanto  si  pone  il pensiero  da  una  parte  e  il  reale  dall’altra,  e  si  fa  giocare  il  pensiero  con    stesso,  nella  sua  vuota  interiorità.  E  questo  fa  appunto  il  Cantoni,  il  quale,  una volta  fuori  della  buona  via,  parla  di  applicazione delle  categorie  al  reale,  di  una  corrispondenza Ira  quelle  e  questo  con  un  completo  capovolgimento di  tutti  i  principi  fondamentali  del  kantismo. Uno  scrittore  raccolto  e  con  una  simpatica  intonazione  mistica  è  Francesco  Acri,  personalità  assai caratteristica  della  filosofìa  italiana  contemporanea. In  un  periodo  di  grande  rozzezza  spirituale,  quando il  materialismo  regnava  incontrastato,  l’Acri  osava scuotere  il  giogo  della  dittatura  e  affrontare  direttaniente  il  nemico.  Rivolgendosi  ai  naturalisti,  egli  diceva:  voi  con  la  vostra  cellula  credete  di  spiegar tutta  la  vita  della  coscienza,  e  in  realtà  non  spiegate niente;  nella  cellula  nulla  c’è  che  chiarisca  la  medesimezza  della  coscienza,  e  l’unità  sua,  e  la  sua  facoltà  formativa,  e  quella  speculativa,  e  quella  volitiva,  e  nulla  c’è  che  chiarisca  la  più  umile  delle operazioni  sue  E  ricorreva,  per  mostrare  l’impossibilità  di  comporre  l’uno  coi  più,  al  grazioso esempio  deH'aquila  dantesca  che  sembrava  un  unico essere,  ed  era  un’accolta  di  esseri;  e  dava  da  lon- [Cantoni.  E.  Kant,  Milano,  1879,  I,  pp.  209,  21.1,  219. »  /birf..  pp.  330,  334. [Acri.  Videmua  in  aenìgmate,  Bologna. tano  l’illusione  di  dire;  «io,  io»,  nienlre  in  realtà, a  sentirla  da  vicino,  diceva  «  noi,  noi  ». Ma  il  platonismo  di  Acri  riproduce,  in  più sublime  sfera,  la  stessa  dilTicoltà,  e,  in  fondo,  la stessa  illusione  dell’aquila  dantesca.  Poste  le  idee, non  si  spiega  più  il  pensiero;  e  posta  l’intuizione immediata  della  verità  ideale,  riesce  inesplicabile la  rillessione  dell’autocoscienza.  Quindi  invano  cercherà  l’Acri  di  adombrare  con  immagini  poetiche  il principio  della  riflessione,  che  in  realtà  manca  nella sua  filosofìa.  Egli  ricorre  all’esempio  dello  scintillio della  luce  stellare;  ma  questo  esempio  appunto  tradisce  la  difficoltà  del  platonismo;  lo  scintillare  della stella  è  la  mera  apparenza  della  riflessione  ilella luce,  è  l’illusione  soggettiva  della  nostra  visione.  La dottrina  della  coscienza  è  così  la  nota  fuori  posto nella  concezione  dell’Acri;  questi  abbracciamenti tra  Platone  e  Kant,  a  tanti  secoli  di  distanza,  hanno sempre  qualcosa  di  fittizio. Nei  nomi  di  Bonatelli,  di  Cantoni  e  di  Acri  si compendia  l’indirizzo  dualistico  della  filosofia  italiana  della  seconda  metà  del  secolo  XIX.  Più  recentemente  esso  ha  avuto  un  altro  prosecutore  nel  De Sarlo,  fondatore  della  rivista  la  Cultura  filosofica. Questa,  sorta  in  antitesi  col  positivismo  e  con  l’agnosticismo,  e  riprendendo  alcuni  motivi  lotziani,  cerca di  svolgere  c  ravvivare  l’antico  dualismo,  col  porlo in  contatto  con  la  filosofia  europea  contemporanea, e  particolarmente  con  le  nuove  dottrine  gnoseologiche  e  con  le  ricerche  di  psicologia  sperimentale. E  torna  infine  opportuno  parlare  a  questo  punto di  un  pensatore,  che  neH’ultimo  decennio  ha  compiuto  uno  sforzo  notevole  per  conquistare  una  veduta  idealistica  della  realtà:  intendiamo  dire  del Varisco.  Nel  libro  Scienza  e  opinioni  del  1901,  egli  si muove  ancora  nel  campo  della  metafisica  dommatica. Il  mondo  è  da  lui  inteso  come  «  un  insieme  di  elementi  originari  o  monadi  che  operano  gli  uni  sugli altri.  Le  azioni  reciproche  tra  le  monadi  sono  in  effetti  di  due  specie.  Determinano  cioè;  1)  una  variazione  in  ciascuna  monade;  2)  una  variazione  tra  le monadi,  ossia  ne  modificano  raggruppamento  (la  distribuzione  spaziale).  I  fatti  della  prima  specie  sono psichici,  quelli  della  seconda,  fisici  »  '.  Questo  è  il dualismo  della  metafisica  dommatica,  e  consiste  nel considerare  le  relazioni  del  mondo  fisico  come  affatto  fuori  della  monade    mentre  ripugna  alla monadologia  ammettere  azioni  inframonadiche  (le monadi  non  hanno  finestre);  e  una  volta  ammesse, risulta  inconcepibile  la  conoscenza  di  quelle  relazioni,  perché  non  si  comprende  dove  mai  esse  cadano,  se  son  fuori  della  monade. Ma  con  l’approfondire  il  concetto  della  monadologia,  il  Varisco  ha  superato  il  dualismo  della  metafisica  dommatica.  Nel  volume:  /  massimi  problemi il  dualismo  tra  fisi  e  psiche  ha  un  significato  gnoseologico,  nel  senso  che  quella  distinzione  non  è  più tra  due  realtà  estranee  l’una  all  altra,  ma  si  costituisce  nel  dominio  stesso  della  conoscenza.  La  realtà fisica  di  Scienza  e  opinione  diviene  una  psichicità, un  complesso  di  sensibili:  il  soggetto  (la  psichicità dell’antica  posizione),  diviene  l’unità  del  molteplice sensibile.  Su  questa  dualità  originaria,  il  Varisco eleva  la  sua  costruzione.  Da  una  parte  la  realtà dei  sensibili  si  costituisce  secondo  le  sue  leggi;  dall’altra  la  realtà  del  soggetto,  secondo  il  principio dell’unità  di  coscienza.  In  tal  modo  il  dualismo  non [>  B.  V*Bisco,  l  massimi  problemi,  Milano,  dove  è  riassunta  l’antica  dottrina.  Cfr.  ancora  Sciema  e  opinioni,  Homa] è  risoluto;  e  questo  perché  il  Varisco  non  ha  svolto il  concetto  dell’unità  della  coscienza  in  tutla  la  sua portata,  eliminando  quel  residuo  di  aristotelismo che  sta  nel  porre,  di  fronte  alla  coscienza,  dei  sensibili  non  sentiti,  delle  potenze  che  aspettano  di  porsi in  atto.  Insoinma  l’ombra  del  dommatismo,  «Iella  precedenza  di  quei  sensibili  di  fronte  all’atto  dell’auto¬ coscienza  permane  sempre,  e  in  veste  psicologica  si ripresenta  quella  realtà  fìsica  di  Scienza  ed  opinioni, che  il  Varisco  non  ha  mai  veramente  risoluta. Per  superare  il  dualismo,  egli  fa  ricorso  a  un  concetto  della  filosofia  rosminiana,  quello  dell’essere  in universale;  ma  ne  muta  profondamente  il  significato, che  non  è  più  per  lui  trascendentale,  ma  empirico, ed  esprime  soltanto  l’identità  del  pensato,  l’indifTerenza  di  soggetto  e  oggetto;  in  altri  termini,  quella psichicità  primaria  su  cui  deve  fondarsi  la  dualità di  fisi  e  psiche.  11  Varisco  compie  un  notevole  sforzo per  mostrare  come  questo  indifferenziato,  per  un’intima  esigenza,  .si  differenzi:  e  ciò  mostra  che  egli è  bene  addentro  nella  difficoltà  dell’idealismo;  ma non  mi  pare  che  risolva  il  suo  problema,  perché  non veggo  il  principio  della  differenziazione,  il  soggetto. Quel  differenziarsi  è  perciò  ancora  da  lui  inteso  nel senso  della  metafisica  dell’essere  e  non  del  conoscere,  vale  cioè  a  fondare  una  monadologia  e  non una  fenomenologia.  Per  giungere  a  questa  è  necessario  spogliarsi  del  tutto  della  preoccupazione  di  una realtà  fatta,  sia  come  natura,  sia  come  potenza  del pensiero,  e  guardarsi  dall’anticipare  in  qualunque modo  il  mondo  sull’atto  concreto  del  pensare. Già  nella  dottrina  che  il  Varisco  ha  accennato della  personalità,  s’intravvede  il  principio  di  un  approfondimento  dell’idea  del  soggetto.  Riporterò  le seguenti  sue  parole:  «Quando  ciò  di  cui  giudico sono  io  stesso,  il  mio  fare  non  è  più  soltanto  ricostruttivo;  è  veramente  costruttivo.  L’io  nel  senso vero  della  parola,  ossia  l’iinità  dell’autocoscienza ben  diversa  dalla  pura  unità  della  coscienza,  dal soggetto  animale    non  esiste  che  in  quanto  afferma sé  stesso  Bene,  ma  una  volta  inteso  che  riprodurre  è  in  verità,  nel  mondo  della  coscienza,  della realtà  in  fieri,  un  produrre,  bisogna  andare  avanti, approfondire  il  concetto  della  riflessione  creatrice, che  è  il  cardine  della  filosofìa  moderna,  svelare  tutti i  tesori  che  esso  racchiude:  allora  solo  si  vedrà, nella  trasparenza  della  coscienza,  tutta  la  realtà nella  sua  pienezza.  Il  Varisco  invece  si  ferma  a metà:  egli  infravvede,  ma  non  svolge,  il  motivo  fecondo  dell’iilealismo. Il  neo-kantisiiio  ifaliano  è per  molli  rispetfi  benemerito  della  nostra  cultura, per  avere  alacremente  pronio.sso  gli  studi  storici,  che fra  noi  facevano  difetto.  Si  pensi  che  perfino  i  due più  profondi  pensatori  italiani  del  secolo  XIX,  Rosmini  e  Gioberti,  spropositarono  talvolta  nel  modo più  deplorevole  la  storia  del  pensiero,  si  da  falsare la  loro  stessa  posizione  storica  di  fronte  alla  speculazione  moderna.  E  nel  campo  della  storia  della  filosofia  si  sono  specialmeiile  distinti  il  Fiorentino,  il Tocco,  il  Masci,  il  Tarantino,  il  Chiappelli.  ed  altri ancora.  Ma,  quanto  aU’atteggiamento  dottrinale,  il neo-kantLsmo  ha  uno  stretto  rapporta  con  l’indirizzo di  cui  abbiamo  testé  parlato. La  sua  dottrina  si  svolge  infatti  più  specialmente nei  confini  segnati  dall’analitica  trascendentale  di i  Varisco,  /  massimi  problemi,  Kant.  Di  qui.  il  limite  della  sua  forza  speculativa c  dato  dalle  antinomie;  limite  che  si  vuol  poi  supe¬ rare  con  la  dimostrazione  della  vanità  di  ogni  me¬ tafisica.  Ma  con  la  metafisica  il  neo-kantismo  è  co¬ stretto,  suo  malgrado,  a  fare  i  conti,  quando  vuole spiegarsi  quell’apriori  che  esso  accetta  da  Kant.  Non appena  esce  dalla  semplice  distinzione  tra  il  pro¬ blema  della  formazione  empirica  delle  conoscenze  e quello  della  loro  validità,  e  vuol  cercare  di  spiegarsi il  come  e  il  perché  di  quest’ultima,  eccolo  già  alle prese  con  la  metafisica.  Il  valore,  come  abbiamo  già notato,  è  un  concetto  neutro,  bilanciato  tra  il  pen¬ siero  e  l’essere;  la  spiegazione  del  valore  è  dunque il  problema  metafisico  del  rapporto  tra  il  pensiero e  l’essere.  In  che  modo  risolverlo?  Il  neo-kantismo, non  sapendo  vedere  nelle  categorie  altra  cosa  che quel  semplice  fatto  del  valore,  ha  esaurito  già  la  sua provvista,  e  non  può  chiedere  perciò  al  suo  Kant quella  spiegazione  ulteriore;  esso  allora  la  persegui¬ terà  attraverso  la  psicologia,  la  biologia,  e  finirà  col ritrovarsi  in  una  posizione  che  aveva  già  oltrepas¬ sata  con  la  sua  premessa. Questa  dilTicoltà  del  neo-kantismo  si  rivela  nel modo  più  caratteristico  nella  parabola  descritta  dal suo  primo  rappresentante  in  Italia,  il  Fiorentino, che  non  riuscì  a  mantenersi  nella  sua  posizione  ini¬ ziale,  ma,  cedendo  all’urto  delle  nuove  ricerche  bio¬ logiche,  contro  cui  s’era  già  abbattuto  il  neo-kan¬ tismo  tedesco,  fini  col  fraintendere  del  tutto  il  si¬ gnificato  dell’apriori  kantiano,  contaminandolo  di naturalismo  evoluzionistico. Più  fedele  allo  spirito  del  neo-kantismo  è  il  Masci, che  se  ne  può  considerare  oggi  come  il  maggiore rappresentante.  Le  sue  istanze  negative  contro  i fraintendimenti  dei  principi  fondamentali  della 394 LA  FILOSOFIA  ITALIANA filosofia  kantiana  sono  solide,  ma  la  fondazione  posi¬ tiva  di  quegli  stessi  principi    luogo  alla  ditTicoltà già  notata  a  proposito  del  neo  kantismo  in  genere. Giu-stameute  il  Masci  difende  l’apriorità  dello  spazio e  del  tempo,  come  funzioni  spirituali,  dal  psicolo¬ gismo,  che  con  la  semplice  costruzione  delle  rappre¬ sentazioni  'di  spazio  e  tempo  s’illude  di  aver  soddi¬ sfatto  all’esigenza  dell’estetica  trascendentale;  col suo  mosaico  delle  sensazioni  esso  crede  di  costruir la  forma,  invece  la  presuppone  a  ogni  passo.  Né migliori  surrogati  della  deduzione  kantiana  offrono le  ricerche  biologiche  sull’apriori,  che  non  riescono addirittura  a  rendersi  conto  del  problema  di  cui  si tratta. Un  altro  errore  che  si  suol  commettere  nell’interpretazione  di  Kant,  è  quello  di  ridurre  la  realtà  alla mera  rappresentazione;  cosi,  osserva  il  Masci,  si  fa svaporare  il  reale,  mentre,  secondo  i  principi  del kantismo,  la  serie  psichica  non  ha  maggiori  diritti al  riconoscimento  della  serie  fisica.  Ma  esistono  fisi e  psiche  come  due  realtà  per  sé?  Qui  sta  il  problema. K  pare  che  il  Masci  a  un  certo  punto  sia  sulla  via di  risolverlo  secondo  il  criterio  dell’idealismo  assoluto,  col  riconoscere  l’inanità  della  riflessione  che vuol  risalire  a  una  realtà  oltre  l’atto  dell’autocoscienza  *.  Però  non  riesce  a  rendersi  conto  che  al di    di  queU’atto  non  c’è  una  realtà  che  sia  a  noi preclusa  per  la  scarsezza  delle  nostre  facoltà  mentali,  ma  che  non  c’è^ proprio  nulla,  fuori  che  la proiezione  della  nostra  ombra.  E  una  volta  perduto .il  criterio  dell’unità  concreta,  fisi  e  psiche  gli  restano innanzi  come  due  fatti  distinti,  che  egli  pur  sente [Masci,  Il  materialismo  psicofisico,  Napoli] il  bisogno  ili  unificare.  E  concepisce  cosi  il  suo  monismo:  «Non  si  tratta  di  sapere    come  la  materia  genera  il  pensiero,    come  questo  genera le  azioni  materiali.  Porre  cosi  il  problema  è  renderlo  insolubile,  perché  le  idee  di  materia  e  spirito sono  generalizzazioni  unilaterali,  astrazioni  nostre, operate  in  direzioni  opposte,  di  un  processo  che  in realtà  è  unico»'.  E  per  conseguenza  cerca  di  trasferire  quell’unità  in  un  passato  in  cui  psiche  e  tisi erano  indill'erenziate. La  monadologia  da  una  parte  e  il  principio  nuovo dell’autocoscienza  dall’altra  :  questa  a  me  pare  la doppia  esigenza  inconciliata  in  cui  si  travaglia  il pensiero  del  Masci.  E  nella  stessa  ditlicoltà  s’imbatte un  altro  filosofo,  il  Martinetti,  che  vi  resta  impigliato,  benché  faccia  un  grande  sforzo  per  liberarsene,  cercando  di  fondere  la  metafìsica  dell’essere con  la  luelalìsica  del  conoscere.  Come  già  il  Bnirac, egli  concepisce  il  reale  come  una  pluralità  di  monadi,  o  (per  togliere  la  possibilità  di  un  fraintendimento  storico)  di  centri  coscienti  o  unità  sintetiche di  soggetto  oggetto  Ma  questa  pluralità,  realisticamente  intesa,  è  incompatibile  con  la  monadologia. Posta  la  monade,  o  comunque  il  rapporto  soggetto- oggelto,  è  con  ciò  tolta  la  realtà  (nel  significato realistico)  delle  altre  monadi,  la  cui  esistenza  è  possibile  solo  come  iilealilà  nella  monade.  Lo  svolgimento  deH’idealismo  è  consistito  nell’approfondire questo  concetto  nuovo  dell’idealità,  in  cui  s’è  riconosciuta  la  realtà  vera  e  concreta:  così  è  stato  abbattuto  il  vecchio  concetto  del  mondo  come  totalità naturale,  e  s’è  costituito  il  nuovo  concetto  del  mondo come  esperienza  assoluta.  Il  Martinetti  invece  tien fermo  ancora  all’idea  del  mondo  come  un  tutto naturale  e  dissemina  lungo  di  esso  i  suoi  centri  coscienti,  .senza  intendere  che  questo  è  incompatibile col  concetto  nuovo  dell’idealità  che  egli  mostra  di accettare.  Ond’è  che,  malgrado  tutti  gli  sforzi,  egli resta  un  realista,  e,  come  tale,  si  mostra  impigliato in  una  difficoltà  insolubile  allorché  vuol  superare  il disgregamento  dei  principi  coscienti  in  una  unità superiore.  Una  volta  posta  dommaticamente  la  plu- Mabtinetti.  hitroiiuzlone  alla  melathica,  Torino ralità  delle  coscienze,  l’unitù  o  sarà  un  nome,  o  un principio  trascendente,  perché  lo  ripeto,  la  pluralità,  come  tale,  è  fuori  dell’atto  di  coscienza. Dato  questo  residuo  di  dommatismo,  un  vero  superamento  della  metafisica  dell’essere  non  è  più possibile  al  Martinetti,  il  quale  non  riesce  che  a  una conciliazione  apparente  tra  quella  metafisica  e  la nuova  metafisica  del  conoscere,  col  mostrare  che  la stessa  instabilità  dei  centri  coscienti,  per  cui  essi  si sviluppano  e  si  potenziano  in  sintesi  sempre  più  alte, si    nel  campo  del  conoscere  come  processo  delle conoscenze  dalle  forme  più  semplici  e  imlilTerenziate del  senso  alle  sintesi  più  alte  dcH’iiitellelto  e  della ragione.  Qui  non  fa  che  ripro.  Purtroppo  egli  sa  per esperienza  che  la  gente  a  cui  osa  parlare  di  Hegel è  solita  di  prendersi  segretamente  gioco  di  lui,  e allora  conclude:  «che  l’hegelismo  non  si  può  dimostrare  che  ad  un  hegeliano  >  *.  E  allora  insorge più  grave  un  nuovo  problema:  «Come  si  fa  a  diventare  hegeliani?  ».  Qui  le  cose  si  complicano,  una volta  che  non  si  può  diventare  hegeliani  se  già  non si  è  tali.  Ecco  l’antinomia  da  risolvere;  e  l’unica via  possibile  è  di  ammettere  che  hegeliani  si  è  in quanto  si  nasce.  Questa  è  per  lui  una  vera  rivelazione:  egli  finirà  per  convincersi  di  essere  hegeliano per  diritto  divino,  e  dall’alto  di  questa  convinzione  potrà  lanciare  uno  sguardo  di  commiserazione ai  non  eletti,  rassegnarsi  alle  defezioni  dei  suoi scolari,  e  abbandonarsi,  senza  nessuna  preoccupazione  di  essere  inteso  o  compreso,  alle  sue  contemplazioni. La  filosofia  di  Vera  è  appunto  la  contemplazione del  sacerdote  di  Brahma.  Il  termine  a  cui  s’appunta »  A.  Vera,  Inlroduclion  à  la  philosophie  de  Hegel,  Paris, in.  -  l’ideali.smo  assoluto è  l’idea  nella  sua  vuota  universalità,  .senza  più  nessun  contatto  col  mondo  della  vita.  Per  toccarla  bisogna  porsi  al  di  sopra  della  sfera  del  sentimento, abdicare  alla  propria  coscienza  individuale,  e  puri- licarsi  di  tutta  la  propria  contingenza  umana.  Che cosa  credesse  il  Vera  di  conquistare  in  un  tal  modo, è  difiìcile  dire;  non  certo  Puniversale  concreto  di Hegel.  Ed  è  davvero  impressionante  vedere  come  le pagine  piene  di  vita  della  Fenomenologia  o  della Logica,  dove  tutto  il  mondo  della  storia  si  fonde  in una  grandiosa  epopea,  diano  luogo,  per  opera  del sonnolento  hegeliano,  a  un  annacquato  platonismo che  prende  le  idee  per  entità  e  per  mere  rappresentazioni  di  cose,  e  le  dialettizza  in  un  nebuloso  empireo.  Qui  si  compiva  quel  pervertimento  dell’hegelismo  in  una  nuova  metafisica  dell’essere,  assai  peggiore  dell’antica,  perché  cristallizzava  l’idea  nelle cose,  e  deduceva  i  cavalli  dagli  asini,  commisurando la  deduzione  al  grado  progressivo  di  perfezione  delle relative  idee.  Di  fronte  a  una  tale  metafisica  era  la benvenuta  la  reazione  dello  Schopenhauer,  contro cui  pur  sentiva  bisogno  il  Vera  di  protestare. Con  ben  altra  mente  concepiva  l’hegelismo  Spaventa.  Gioberti  aveva  detto,  non  diversamente  da  Hegel  :  pensare  è  creare.  L’idea  del pensiero  come  creazione  è  l’idea  nuova  della  Qlosofla kantiana,  mentre  Cartesio  e  Spinoza  non  erano  giunti che  al  concelto  del  pensare  come  causare.  Ma  Gioberti  s’era  elevato  al  nuovo  principio  tutto  d’un colpo,  per  una  subitanea  esplosione:  egli  aveva intuito  ma  non  provato  la  creazione;  questa  per lui  era  un  fatto,  indeducibile  e  indimostrabile. Eppure  egli  stesso,  in  un  passo  importantissimo  delle  Postume,  aveva  integrato  la  formula  del pensare  =  creare,  con  l’altra  :  provare  è  creare  *.  Il pensiero  prova  l’atto  creativ*o  col  riprodurlo  e  ricrearlo  dentro  di  sé;  ma  riprodurre  è  produrre,  e  ricreare  è  creare.  Ecco  il  nuovo  grande  concetto  della mentalità,  la  quale  non  si  svolge  per  accrescimento  e riproduzione  del  suo  prodotto,  ma  per  creazione  del nuovo:  il  prodotto  stesso  non  esiste  che  in  questo  nuovo  produrre;  l’atto  creativo,  che  in  questo atto  che  lo  ricrea.  A  tale  conclusione  non  era  giunto il  Gioberti,  il  quale,  anzi,  dall’idea  che  provare  è creare  aveva  voluto  inferire  che  la  creazione  è  indimostrabile.  Ma.  poiché  il  carattere  essenziale  della mentalità  è  appunto  il  provare  (in  ciò  la  mente si  distingue  dalla  sostanza  che  si  definisce  soltanto), il  problema  che  la  filosofia  di  Gioberti  apriva  ai  successori  era  :  provare  la  creazione.  Ed  è  questo  appunto  il  problema  di  Spaventa:  «Gioberti  dice:  essere  è  creare,  pensare  è  creare,  creare  è  pensare.  — Questa  identità  bisogna  provare  ». «Creare  è  l’Ente  concreto,  soggiunge  lo  Spaventa,  è  fare,  realizzare,  individuare,  sostanziare, entare,  far  esistere;  è  la  realtà,  l’assoluta  realtà. È  assoluta  realtà,  perché,  per  Gioberti,  Dio  stesso  è creare,  creare    stesso.  Toglieteci  creare  e  avrete il  niente.    Eppure  non  si  ha  mai  il  niente;  giacché togliere  qui  è  pensare;  il  pensare  rimane,  e  ci  è sempre.  Ciò  vuol  dire:  il  creare,  tolto,  rimane;  per¬ ché  il  togliere  stesso  è  creare:  cioè  come  semplice togliere    negare    è  momento  del  creare.  Ora  come si  prova  la  realtà,  il  creare?  » «Il  Pensare  è;  non  può  non  essere.  Il  Pensare prova    stesso:  negare  il  Pensare  è  Pensare.  11  Pen- ,  IV.  Gioberti,  Nuova  ProtoloQla,  6  B.  Spaventa,  La  filosofìa  Italiana  nelle  sue  relazioni  con la  filosofia  europea,  Bari,  1909  (Appendice:  Schizzo  d’una  storia della  logica»  p.  254). 404 LA  FILOSOFIA  ITALIANA inesauribile  ricchezza  è  il  grande  pregio  della  Lo¬ gica  hegeliana.  Essa  spiega  il  processo  originale, creativo,  per  cui  il  pensiero  creando  le  proprie  de¬ terminazioni  crea    medesimo;  è  la  storia  ideale, eterna  del  pensiero,  prospettata  nel  sistema  della scienza.  Sta  qui  il  significato  dell’afTermazione  dello Spaventa,  che  la  spiegazione  del  creare  è  la  logica. Questa  logica,  di  cui  lo  Spaventa  toglie  ad  Hegel, dirò  cosi,  lo  scheletro,  è  da  lui  svolta  nel  suo  ca¬ rattere  più  profondo,  perché  concepita  nel  suo  mo¬ tivo  storico  (cartesiano).  L’interpretazione  delle  tre prime  categorie,  l’essere,  il  non  essere,  il  divenire, costituisce  di  per    sola  il  documento  maggiore della  originalità  dello  Spaventa.  L’essere  è  da  lui  in¬ teso  come  la  posizione  immediata  del  pensiero,  come il  semplice  pensato.  Esso  è  l’assoluto  astratto,  è  il pensiero  che  s’estingue  neH’cssere.  Ma  io  penso  l’es¬ sere,  c  in  quanto  lo  penso,  l’essere  non  è  più  il  sem¬ plice  astratto,  ma  il  mio  astrarre,  il  mio  pensare. Dunque,  per  virtù  stessa  del  pensiero,  l’estinguersi del  pensiero  nell’essere  è  in  verità  un  distinguersi. Per  la  grande  importanza  dell’argomento,  ripeterò  testualmente  il  nostro  autore.  «  Fissando  l’essere —  egli  dice    io  non  mi  distinguo  come  pensiero dall’essere;  io  mi  estinguo  come  pensiero  nell’essere;  io  sono  l’essere.    Ora  questo  estinguersi del  pensare  nell’essere  è  la  contradizione  dell’essere. E  questa  contradizione  è  la  prima  scintilla  della dialettica.    L’essere  si  contradice,  perché  questo estinguersi  del  pensare  nell’essere,    e  solo  cosi  è possibile  l’essere,    è  un  non  estinguersi:  è  distinguersi,  è  vivere.  Pensare  di  non  pensare,  fare  astrazione  dal  pensare,  cioè  fissare  l’essere,  è  pensare;  è astrazione,  cioè  pensare.  »  Questa  contradizione  del pensiero  che  si  estingue  nell’essere,  e  in  quanto  si estingue,  pensa,  e  cioè  si  distingue  e  risorge,  è  il divenire    inteso  come  pensare. «  Essere  e  non  Essere,  in  quanto  inverati  nel  Divenire,  non  sono  più  quel  che  erano  prima  di  essere inverati;  ma  sono  ciascuno  quella  stessa  unità  nella differenza  che  è  il  divenire;  e  in  quanto  tale  unità, sono  davvero,  cioè  attualmente,  distinti.  In quanto  veramente  uno  e  distinti,  si  dicono  appunto inverati;  cioè  momenti  del  divenire». Spaventa,  La  fllos.  Hai.  conseguenza  un’altra  distinzione:  quella  della  verità in    e  della  verità  per  noi,  di  una  metessi  e  di  una mimesi,  nel  linguaggio  giobertiano.  «  Questa  propedeutica,  egli  diceva  alludendo  alla  fenomenologia, che  è  scienza,  e  prova  il  primo  della  scienza,  ci  è solo  in  quanto  ci  siamo  noi,  coscienza  o  spirito  finito:  noi  dobbiamo  elevarci  alla  scienza,  non  siamo immediatamente  scienza.  La  vera  scienza,  invece, ci  è  in    assolutamente;  è  non  solo  umana,  ma  divina;  quando  l’altra  è  solo  umana,  e  non  divina.  È  divina  come  momento  della  vera  scienza,  non  come propedeutica;  Dio  non  ha  bisogno  di  propedeutica  »  *.  Quanti  c.avilli  per  dissimulare  un  passo falso!  In  fondo  qui  Spaventa  è  un  dommatico  della più  bell’acqua,  un  platonico  che  distingue  una  verità in    e  una  verità  per  noi,  mentre  ciò  ripugna  nel modo  più  completo  al  nuovo  idealismo.  La  ragione dell’errore  è  che  allo  Spaventa  manca  del  tutto  una fenomenologia  dell’errore;  quindi  egli  non  riesce a  svolgere  il  concetto  nuovo  della  verità  come  sviluppo,  come  processo,  che  pure  è  nello  spirito  della sua  lìlosotìa;  ma  Unisce  inconsciamente  coll’oggettivarla  in  un  che  di  fatto  e  di  compiuto,  in  una realtà  in  sé.  Qui  c’è  ancora  un  residuo  della  mentalità  del  vecchio  hegeliano,  che  mentre  ammette il  progresso,  il  movimento,  e  simili,  è  condotto  poi, per  la  sua  soverchia  fedeltà  alla  lettera,  a  negare tutte  queste  cose,  allorché  è  giunto  al  culmine  della speculazione. Ma  non  è  qui  che  bisogna  vedere  nella  sua più  grande  vivezza  il  pensiero  di  Spaventa.  Quello stesso  Spaventa  che  affermava  il  carattere  astrattamente  divino  della  scienza,  diceva  poi,  con  quanta maggior  verità!,  che  l’apriori  è  la  stessa  potenza nuova  della  natura,  la  potenza  umana,  la  quale  risulta  e  si  concentra  e  s’individua  da  tutta  la  sparsa attualità  antecedente:  e  perciò  è  insieme  un  assoluto aposteriori'.  Qui  s’intravvede  il  vero  Spaventa,  il pensatore  che  meglio  di  ogni  altro  ha  compreso  la vera  umanità  dell'assoluto,  di  quell’assoluto  che  non è  lontano  da  noi,  ma  ci  è  intimo,  e  non  è  fuori  della nostra  contingenza,  ma  è  questa  stessa  contingenza, sub  specie  aeterni.  Egli  dice:  «  Tutti  coloro  che  fanno ad  Hegel  due  accuse  opposte,  di  relativismo  e  di  assolutismo,  sono  il  trastullo  di  una  illusione  ottica, propria  della  posizione  in  cui  si  mettono;  ciascuna parte  prende  di  mira  nell’assoluto  hegeliano  qiiell’elemento  che  a  lei  fa  male  agli  occhi:  i  semi-soggettivisti,  l’esperienza  (il  fenomeno,  la  manifestazione,  il  divenire);  gli  oggettivisti,  il  pensiero;  nessuna  ha  l’animo  e  la  potenza  di  aflìssarlo  come  quello che  è  veramente,  vale  a  dire  come  ragione  assoluta,  al  di    della  quale,  oltre  e  fuori,  non  vi  ha nulla,  e  il  relativo  e  il  cosi  detto  assoluto  non  sono che  enti  astratti,  e  come  membri  scissi  dall’unità organica  e  viva:  da  un  lato  viene  scambiata  la  relazione  col  relativo  (come  opposto  all’assoluto),  e daH’altro  l’assolutezza  coll’assoluto  (come  opposto  al relativo).  Ai  primi  io  dico:  il  processo  dal  primo pensabile  (dal  puro  essere)  al  pensabile  assoluto  (all'assoluta  soggettività  del  mondo,  come  unità  di  conoscere  e  volere,  di  verità  e  bontà),  e  da  questo come  prima  esistenza,  esteriorità  omogenea  e  indifferente  o  spazio,  all’intimità  o  soggetto  corporeo, *  Scritti  flios.  eli.,  p.  313  (Paolotlismo,  positivismo,  razionalismo). all’animale,  al  senso,  come  senso  umano  o  spirituale, allo  spirito  o  soggetto  assoluto,  questo  processo  non è  un  gioco  vano  del  pensiero  con    stesso,  solamente  nel  mio  intendimento,  o  un  pallido  riflesso di  un  lontano  ed  invisibile  oggetto;  ma,  come  atto infinito,  come  il  pensiero  che  si  determina  in  sé medesimo  e  si  raccoglie  nelle  sue  determinazioni  e si  condensa  e  concentra  e  si  compie  e  pone  come assoluto  pensiero,  è  l’atto  dell’assoluto,  il  suo  intendimento,  la  presenza  sua,  lui  stesso.  Ai  secondi  dico: questo  processo,  appunto  come  produzione,  osservazione  critica  che  il  pensiero  fa  di    stesso,  e  in quanto  il  pensiero,  e  non  altro  che  lui,  principia originalmente  e  investe  sempre  e  conchiude  quella che  si  chiama  comunemente  esperienza,  e  non  si esercita  fuori  e  senza  di  questa  come  in  vuoto  aere; questo  processo  è  non  solo  empiria,  ma  la  vera  e assoluta  empiria;  e  ha  sempre  più  valore  d’ogni frammento  e  articolo  sconnesso  a  cui  si    tal nome. Qui,  pur  con  qualche  reminiscenza  dell’antico schematismo  hegeliano,  c’è  il  pensiero  nuovo,  che concentra  tutta  la  vita  dell’hegelismo.  Di  fronte  al concetto  della  relazione  assoluta,  che  è  quello  stesso del  fenomenizzarsi  della  realtà  nel  pensiero  umano, scompare  ogni  dualità  del  pensiero  in    e  del  pensiero  per  noi,  di  un  processo  della  coscienza  e  di  un processo  della  scienza;  e  in  quanto  la  realtà  non  è il  mero  contingente    il  mero  assoluto,  ma  il  processo  assoluto  del  contingente,  essa  non  è  soltanto una  soluzione  o  una  cosa  bell’e  fatta  e  anticipata senza  problema,    qualcosa  che  si  perseguita  sempre  e  a  cui  non  si  arriva  mai,  un  eterno  problema Spaventa.  Principii  di  etica,  Napoli,  III.  -  l’idealismo  assoluto che  non  è  mai  soluzione,  ma  è  l’eterno  problema che  è  l’eterna  soluzione,  l’assoluta  possibilità  che è  l’assoluta  attualità.  Svolgere  questo  concetto  è  soddisfare  all’esigenza  millenaria  posta    *. Qui,  come  si  vede,  il  Gentile  riprende  e  svolge  il concetto  della  dialettica,  accennato  dallo  Spaventa nel  suo  scritto  sulle  prime  categorie  della  logica  di Hegel:  è  la  dialettica  dell’essere  e  del  pensiero,  che, sola,  a  noi  sembra  feconda  e  rispóndente  allo  spirito  dell’idealismo  post-hegeliano.  L’assoluta  apriorità  della  sintesi,  in  questo  dialettismo,  è  l’assoluta [Gentile.  L’atto  del  pensare  come  atto  paro  (voi.  I  dcl- l’Annuario  della  biblioteca  fllosoOca  di  Palcnno),  immanenza  del  pensiero,  come  atto  puro  o  pensiero concreto.  Come  tale  esso  è  pensiero  nostro;  fuori  di questa  attualità  non  v’è  il  pensiero,  ma  il  pensato, che  è  natura,  materia.  E  il  ritmo  dialettico  del  pensare  è  appunto  il  convertirsi  del  pensiero  in  pensato,  dell’alto  in  fatto,  per  risorgere  poi  eternamente da    medesimo. Questa  dottrina  dell’assoluta  immanenza,  per  cui la  vera  concretezza  è  il  pensiero  attuale,  e  che  perciò nega  esplicitamente  ogni  anticipazione  della  realtà come  potenza  sull’atto  del  pensare,  ed  è  la  più  re¬ cisa  negazione  del  vecchio  concetto  del  mondo  come il  tutto  dell’immaginazione,  è  stata  appena  abbozzata  in  poche  pagine  dal  Gentile.  Ogni  ulteriore discussione  intorno  ad  essa  è  prematura;  bisognerà prima  conoscerla  nel  suo  pieno  svolgimento. Abbiamo  seguito  lo  sviluppo  del  pensiero  italiano  moderno  dalle  sue  origini  fino  ai  tempi  nostri.  Questo sviluppo  non  ha  subito  nessuna  brusca  interruzione come  falsamente  si  è  creduto.  Il  naturalismo  del Rinascimento  precede  e  preannunzia  il  movimento cartesiano,  e  similmente  la  dissoluzione  del  naturalismo,  che  avverrà  in  Germania  per  opera  di Kant  e  dei  suoi  successori,  s’inizia  già  in  Italia col  Vico,  e  prosegue  poi,  a  un  secolo  di  distanza,  col Rosmini  e  col  Gioberti,  che  inconsapevolmente  attuano  l’esigenza  posta  dalla  nuova  metafisica  della mentalità. Sul  cadere  del  primo  cinquantennio  del  XIX  secolo,  il  pensiero  speculativo  italiano,  non  altrimenti da  quello  europeo,  entra  in  un  periodo  di  decadenza:  le  ultime  apparizioni  della  metafisica  sono tenui  c  senza  consistenza,  come  le  ombre  della  caverna  platonica.  Il  positivismo,  in  Italia  come  altrove,  sorge  con  la  giusta  esigenza  di  una  dottrina che  non  vuole  anticipare  col  pensiero  sulla  realtà, ma  finisce  ben  presto  col  falsare  la  sua  premessa  in un  miscuglio  ibrido  di  dottrine  e  in  una  mal  dissimulata  simpatia  per  il  materialismo.  I  suoi  primi  accenni  sono  opera  di  specialisti,  come  il  Cattaneo,  il Cabelli,  il  Villari  ed  altri  ancora:  privi  di  vera  originalità  filosofica,  ma  corretti  nella  loro  povertà;  le sue  ulteriori  esplicazioni  sono  orientate  verso  la scienza  naturale  e  particolarmente  biologica.  Il  rappresentante  maggiore  di  questo  indirizzo  è  .\rdigò  che,  per  il  suo  sforzo  serio  e  tenace  di  pensiero,  pur  senza  dire  quasi  niente  di  nuovo,  eleva il  positivismo  italiano  quasi  all’altezza  di  tutti  i  positivismi  del  mondo. La  rinascita  del  pensiero  speculativo  è  segnata da  un  approfondimento  del  dualismo  tra  il  pensiero e  l’essere,  che  già  si  accennava  nelle  opere  del  Mamiani  e  del  Ferri,  e  per  cui  si  passa  dal  dualismo dommatico  del  Bonatelli,  al  dualismo  gnoseologico del  Varisco.  Il  neo-kantismo,  come  quello  che  non svolge  la  nuova  potenza  dell’apriori,  si  travaglia nello  stesso  problema,  e  non  riuscendo  a  superare la  posizione  della  metafisica  dell’essere,  finisce  col ricadérvi,  annullando  cosi  il  concetto  nuovo  dello spirito,  che  esso  attinge  originariamente  alla  filosofia  kantiana.  F  infine,  librato  sulle  due  metafisiche,  in  una  posizione  incerta,  ma  pure  interessante ed  originale,  il  Martinetti  segna  il  punto  in  cui  la mentalità  del  neo-criticismo  si  volge  verso  l’idealismo  assoluto. .Ma  la  linea  classica  della  metafìsica  italiana  è ripresa  dallo  Spaventa,  che  promuove  l’indirizzo della  filosolia  giobertiana,  con  quella  più  chiara  coscienza  della  sua  vera  natura,  chft  poteva  esser  data dalla  nuova  cultura  hegeliana.  Con  lui  comincia  implicitamente  il  processo  dissolutivo  della  filosofìa  di Hegel,  che  è  in  pari  tempo  costitutivo  di  una  nuova metafisica,  che  mira  a  svolgere  nella  sua  pienezza la  potenza  umana  della  realtà,  l’apriori  kantiano, negando  nel  modo  più  reciso  ogni  trascendenza.  Le tappe  di  questo  cammino  sono  segnate  dal  Croce  e dal  Gentile:  con  essi,  gli  sforzi  della  filosofìa  italiana  convergono  alla  stessa  meta  di  quelli  della lìlosolìa  europea,  verso  una  dottrina  dell’assoluta immanenza,  che,  come  assoluto  idealismo,  sarebbe anche  in  pari  tempo  il  vero  e  assoluto  positivismo. Abbiamo  seguito,  nelle  esplicazioni  originali della  sua  vita,  lo  sviluppo  del  pensiero  contempo¬ raneo.  Nelle  diflerenze  degli  indirizzi  e  delle  cor¬ renti,  il  lettore  avrà  già  potuto  osservare  quell’iden- titù  spirituale  profonda,  che  vince  l’apparente atomismo  delle  dottrine,  e  per  cui  quel  pensiero  è l’unico  pensiero  contemporaneo,  nei  vari  momenti del  suo  corso  vitale. E  sorgono  ora  le  domande:  a  che  mai  esso  tende? È  una  vita  che  si  dissipa  in  un  gioco  senza  scopo, in  una  ridda  di  teorie  di  cui  l’una  vive  della  morte dell’altra,  in  una  rassegnata  attesa  che  suoni  la  pro¬ pria  ora?  O  è  un  momento  di  vita  questa  morte;  e allora  a  che  vive  quella  vita?  Qui  la  facile  sapienza agnostica  si  accontenterebbe  di  rinunziare  a  com¬ prendere  l’intimità  più  profonda  del  pensiero,  col chiamar  vana  la  pretesa  per  cui  noi,  atomi  sperduti neU’immensità  del  pensiero,  vogliamo  erigerci  a  giu¬ dici  del  pensiero:  come  può  un  elemento  trascura¬ bile  adeguarsi  al  tutto?  Ma  a  noi  ripugna  questa dotta  ignoranza.  Noi  abbiamo  la  ferma  coscienza  che il  pensiero  non  è  la  vuota  immensità  che  ci  opprime, perché  al  di  sopra  di  noi,  ma  è  pensiero  nostro,  è l’intimità  di  noi  a  noi  stessi.  La  vastità  non  deve opprimerci,  perché  non  ci  sta  di  fronte  distesa,  ma è  dentro  di  noi  raccolta,  nello  stesso  processo  continuo  della  ricerca,  per  cui  progrediamo  da  una  po¬ sizione  all’altra.  La  storia  del  pensiero  del  mondo non  è  che  la  semplice  storia  psicologica  di  ciascuno di  noi,  che  vive  in    i  momenti  di  quel  pensiero universale. Questa  convinzione  ci  è  di  grande  conforto.  Nella nostra  storia  intima  noi  ricordiamo  mille  sconfitte e  mille  vittorie,  ricordiamo  la  ridda  delle  teorie,  che sembrano  nascere  soltanto  per  perire;  e  nondimeno questo  non  ci  suggerisce  alcuna  considerazione  pes¬ simistica,  perché  la  salda  coscienza  del  nostro  pen¬ siero  attuale  è  coscienza  di  forza,  di  vita  e  non già  di  morte;  e  noi  inneggiamo  perfino  alla  morte perché  sentiamo  che  del  trionfo  su  di  essa  è  mate¬ riata  la  nostra  vita.  Cosi  è  di  tutta  la  storia. Noi  qui  abbiamo  scritto  l’epigrafe  di  molte  dot¬ trine:  è  la  stessa  epigrafe  che  abbiamo  scritta  sui momenti  oltrepassati  della  nostra  vita;  con  la  stessa fiducia  noi  possiamo  renderci  interpreti  della  vita nuova  che  si  concentra  e  s’individua  dalle  varie correnti  del  pensiero  moderno,  perché  sentiamo  che è  la  vita  stessa  che  si  agita  in  noi  e  che  ci    forza di  dominare  i  momenti  di  vita  oltrepassata. La  storia  non  è  fonte  di  pessimismo,  e  neppure di  facile  ottimismo,  ma  di  forza,  di  tenacia,  di  la¬ voro.  Ormai  il  positivismo  è  finito,  il  kantismo  dà gli  ultimi  aneliti,  e  le  improvvisazioni  filosofiche,  che un  tempo  son  parse  le  prime  espressioni  di  una nuova  filosofia,  ci  fanno  appena  sorridere;  erano forse  dei  vagiti;  come  riconoscere  in  essi  le  nostre voci?  A  taluno  parrà  che  noi  parliamo  qui  con troppa  sicurezza.  Ci  si  dirà:  siete  voi  ben  sicuri  di non  essere  dei  tardi  epigoni  di  un  lontano  movi¬ mento  di  pensiero?  ombre  e  non  corpi  vivi?  È  questo il  problema  che  la  storia  deve  risolvere;  e  allora si  vedrà  se  noi    parlo,  s’intende,  in  nome  del nuovo  idealismo,  non  pure  italiano,  ma  europeo  — se  noi,  che  diamo  principio  a  rinnovar  l’antica  tìlosolìa,  siamo  nella  mattina  per  dar  fine  alla  notte,  o pur  nella  sera  per  dar  fine  al  giorno,  come  diceva il  nostro  Bruno. Nella  filosofia  contemporanea  si  compie  la  critica del  movimento  kantiano,  che  culminò  in  Hegel.  Ma questa  critica,  lungi  dall’essere  dissolutrice  come  i suoi  inconsapevoli  ministri  hanno  creduto,  è  la  vera critica  integratrice,  che  comincia  a  colmare  l’abisso tra  Kant  ed  Hegel  e  a  svolgere  i  motivi  nuovi delle  loro  dottrine.  La  filosofia  kantiana,  col  suo concetto  della  cosa  in  sé,  apriva  largo  adito  alla trascendenza  nelle  sue  varie  forme,  che  si  possono compendiare  tutte  nel  dualismo,  non  risoluto,  dell’essere  e  del  pensiero.  Hegel,  negando  questo  dualismo,  e  unificando  la  logica  dell’essere  e  quella del  conoscere,  sopprimeva  virtualmente  l’idea  della trascendenza,  ma  nel  fatto  poi  la  ripristinava  nel seno  stesso  della  nuova  immanenza  da  lui  scoperta: scienza  e  coscienza,  logo  e  natura,  natura  e  spirito; ecco  in  una  veste  nuova  le  antiche  forme  del  dualismo. Nella  decadenza  e  nel  discredito  della  filosofia idealistica  che  comincia  dopo  Hegel,  pare  che  siano naufragate  tutte  le  sue  più  geniali  intuizioni:  il naturalismo  e  il  positivismo  dichiarano  bancarotta della  metafisica,  ed  esaltano  i  fatti,  l’esperienza.  Eppure,  nel  loro  linguaggio  infantile  e  confuso,  essi sono  gli  esponenti  di  quella  stessa  esigenza  nuova, che  aveva  posto  l’hegelismo:  la  negazione  del  trascendente,  l’immanentismo  assoluto.  Nella  storia della  filosofia  ricorre  spesso  questo  tema  immanentistico:  con  Aristotele,  di  fronte  alla  dottrina  delle idee,  con  Bruno  e  Spinoza,  di  fronte  alla  scolastica. Ma  questo  continuo  ricorrere  è  un  continuo  progredire;  cosi  Tultima  sua  apparizione  nel  secolo  XIX non  è  più  quella  di  un’immanenza  puramente  ideale, né  divina,  ma  schiettamente  umana. Ma  se  sotto  questo  aspetto,  come  espressioni  di esigenze  nuove,  il  naturalismo  e  il  positivismo  hanno per  la  storia  un  grande  valore,  lo  stesso  non  può dirsi  del  modo  con  cui  hanno  cercato  di  attuare  il proprio  tema.  Noi  perciò  nel  corso  della  nostra  esposizione,  mentre  abbiamo  accentuato  l’importanza ideale  di  queste  dottrine,  ci  siamo  guardati  con  cura dal  farne  un’ampia  esposizione,  perché  l’ignoranza dei  loro  autori  è  tale,  che  non  sanno  essi  stessi  dove risegga  l’originalità  della  loro  posizione,  e  Uniscono col  dare  un  ricalco  di  temi  oltrepassati,  confusi  insieme  neiribridismo  più  strano.  Ma  il  significato ideale  del  naturalismo,  che  sorge  dalle  scienze  biologiche,  è  questo:  che  vana  è  la  pretesa  di  voler  far del  pensiero  un’entità  vaga  e  nebulosa,  venuta  su  chi sa  come,  a  illuminare  il  mondo  della  materia,  mentre bisogna  indagare  la  genesi  del  pensiero,  se  si  vuol dare  una  spiegazione  vera  e  propria  di  esso.,  E  il significato  del  positivismo  sta  nella  negazione  di ogni  vuota  ideologia,  che  pretenda  fare  a  meno  dei fatti  e  anticipare  in  qualunque  modo  su  di  essi  col pensiero.  Si  tratta  insomma  di  quell’eterno  motivo immanentistico  con  cui  la  cultura  del  secolo  XIX ha  compiuto  la  critica  del  secolo  precedente. Ma  il  significato  ideale  del  naturalismo  e  del  positivismo  sta  soltanto  nei  nuovi  problemi  e  non  già nelle  soluzioni  loro;  perché  il  naturalismo,  nel  suo tentativo  d’indagare  la  genesi  biologica  del  pensiero retrocedeva  al  periodo  pre-cartesiano  della  storia. ]cioè  alla  dottrina  degrinflussi  fìsici  tra  l’anima  e  il corpo;  e  d’altra  parte  il  positivismo,  col  richiamarsi al  fatto  come  a  realtà  assoluta,  ricadeva  in  quella trascendenza,  che  esso  aveva  già  implicitamente  negata.  Il  fatto  porta  con    una  duplice  afTermazione di  trascendenza:  da  un  lato,  nella  fissità  delle  sue  linee,  esso  è  posto  come  trascendente  di  fronte  al  pensiero;  dall’altro,  in  quanto  è  un  complesso  di  determinazioni  finite,  è  trasceso  in  quanto  pensato.  Quindi, una  duplice  incongruità,  della  realtà  naturale  di fronte  al  pensiero  e  viceversa,  e  una  duplice  inesplicabilità  dell’una  per  l’altro.  Come  espressioni  di problemi,  il  naturalismo  e  il  positivismo  conservano un  valore  attuale;  come  soluzioni,  il  primo  va  a finire  nella  deificazione  di    stesso  (ciò  che  se  era grandioso  in  un  Bruno' è  ridicolo  in  un  contemporaneo);  e  il  secondo  ha  per  suo  termine  l’agnosticismo,  cioè  la  propria  sterilità  ed  impotenza. La  contradizione  del  positivismo  sta  nel  dissidio tra  ciò  che  esso  dice  di  fare  e  ciò  che  realmente  fa: sorge  in  nome  dell’immanenza  e  intanto  vive  nella trascendenza,  ora  agnostica,  ora  materialistica.  Questa  è  la  sua  contradizione;  ed  ecco  che  a  risolverla sorgono  le  nuove  filosofìe,  che  tutte  vogliono  porsi come  continuatrici  dell’opera  del  positivismo.  È  notevole  questo  fatto,  che  ogni  pensatore,  il  quale  sia giunto  a  una  visione  concreta  e  immanente  dei  problemi  filosofici,  ha  seniito  il  bisogno  di  battezzare  la sua  filosofia  come  il  vero  positivismo;  ciò  dimostra che  quanto  v’è  di  più  vitale  nell’esigenza  del  positivismo  non  è  quello  che  si  disperde  e  si  annulla  nelle scuole  positivistiche,  ma  è  piuttosto  quel  momento del  nostro  sviluppo  spirituale  che  ci  è  di  sprone  a conquistare  una  visione  immanentistica  della  vita. Ma  l'immanentismo  che  da  principio  sorge  come esplicazione  di  quello  spirito  positivo  che  è  in  tutti i  pensatori  della  seconda  metà  del  secolo  XIX,  è  la più  povera  forma  d’immanentismo:  quella  del  senso, della  coscienza  immediata.  Ed  è  il  tema  più  frequente che  ricorre  in  quel  periodo,  e  che  vale  a  caratterizzarlo  tutto.  Tanto  nella  forma  di  un  empirismo,  come in  un  Mill,  in  un  Mach,  o  in  uno  Schuppe;  o  di  un fenomenismo,  come  in  tutte  le  scuole  neo-kantiane; o  di  un  intuizionismo  come  nella  filosofia  del  Bergson e  in  altre  ancora,  è  sempre  l’identico  motivo  fonda- mentale,  che  si  ripete  su  scale  diverse.  Noi  abbiamo osservato  come  il  principio  dell’esperienza  immediata  si  annulli  da    medesimo,  e  lungi  dal  fondare un’assoluta  immanenza,  è  fatalmente  spinto  verso  il trascendente.  E  il  trascendente,  di  fronte  ad  esso,  è tutto  il  pensiero,  in  quanto  costituisce  un  suo  osi  avviene  che  dalla  cultura  falsamente  soggettivistica  e  individualistica,  per  cui  il  pensare  è  il riuscire  del  concetto,  e  la  vita  è  un  semplice  rischio, si  passa,  in  base  all’esigenza  di  un’intimità  più profonda,  a  una  celebrazione  del  trascendente,  al misticismo,,  che  assume  in  certi  pensatori  un’intonazione  veramente  elevata.  Ma  il  misticismo  non migliora  la  posizione  logica  dei  problemi,  e  determina  invece  il  momento  in  cui  le  esigenze  stesse  del pensiero,  che  si  è  svolto  nei  limiti  di  determinate premesse,  rendono  quelle  premesse  insuflicienti,  ed esprimono  un  bisogno  di  rinnovamento. Cosi  avviene  che  quell’immanentismo  della  vita che  era  nelle  convinzioni  del  pensiero  del  secolo  XIX e  che  non  aveva  potuto  trovare  nel  positivismo  la sua  formulazione  adeguata,  non  riesce  neppure  ad esprimersi  in  questa  litosotìa  dell’esperienza  immediata,  che  anch’essa  sconfina  nella  trascendenza. L'esperienza  storica  dei  secoli  ha  mostrato  che l’attuazione  del  principio  immanentistico  si  compendia  nella  risoluzione  di  due  problemi,  che  in  fondo si  riducono  ad  un  solo:  quello  dell’umanità  della storia  e  quello  del  valore  umano  della  realtà  fisica esteriore.  La  filosofia  che  ora  abbiamo  considerata era  insufficiente  a  risolvere  l’uno  e  l’altro  problema. Il  positivismo  aveva  meccanizzato  lo  sviluppo della  storia,  creando  un  naturalismo,  e  cioè  una  trascendenza,  nel  seno  stesso  deH’umanità,  col  suo  concetto  della  massa  cieca  e  brutale;  e  la  stessa  nuova lìlosofìa  intuizionistica  ed  empiristica  era  incapace di  comprendere  il  valore  della  storia;  la  coscienza, della  storicità  del  reale  è  in  aperta  antitesi  con  una concezione  immediata  della  vita. E  d’altra  parte  il  riconoscimento  dell’umanità del  cosi  detto  mondo  fìsico  non  poteva  esser  dato da  nessuna  delle  due  dottrine:    dal  positivismo,  che non  aveva  neppure  coscienza  del  problema,    dalla filosofìa  deirimmediato,  che  si  mostrava,  già  nella sua  premessa,  come  dualistica,  e  per  cui  la  realtà esteriore,  sia  come  mondo  fìsico,  sia  come  scienza naturale,  costituiva  alcunché  di  trascendente.  Tuttavia  già'  in  questo  campo  si  preparavano  i  germi  di un  rinnovamento.  Con  la  critica  delle  scienze  comincia  infatti,  nel  seno  stesso  della  filosofìa  empiristica,  un  rapido  processo  di  dissoluzione  di  quel naturalismo,  che  aveva  solidificato  i  concetti  delle scienze  empiriche,  rendendoli  quasi  materia  opaca di  fronte  al  pensiero,  mentre  sono  pur  opera  sua. Noi  abbiamo  confutato  questo  indirizzo,  mostrando che  esso  idealmente  non  rappresenta  alcunché  di nuovo  di  fronte  alla  soluzione  kantiana  del  problema della  scienza,  e  che  anzi  è  soltanto  a  mezza  via  tra il  puro  dommatisino  e  Kant,  ciò  che  rende  equivoca la  sua  posizione  e  paradossali  taluni  dei  suoi  assunti, che  invece,  svolti  lino  alla  line,  conterrebbero  dei motivi  profondi  di  verità.  Ma  il  valore  storico  di questa  critica  delle  scienze  è  assai  grande,  quando si  pensi  che  essa  aveva  di  fronte  da  combattere,  non già  Kant,  bensì  quel  naturalismo  e  positivismo  che avevano  reso  la  scienza  impenetrabile  al  pensiero. Così,  avere  riscoperta  l’azione  immanente  dello  spirito  in  quel  campo  che  gli  si  era  reso  del  tutto  estraneo.  e  mostrato  che  il  mondo  della  scienza    che  è  il mondo  stesso  della  natura    rientra  nella  sfera  delTarbitrio  umano;  e  avere  perciò  annullata  quella concezione  rigidamente  meccanica  del  mondo  che non  solo  i  positivisti,  ma  (pare  incredibile!)  perfino i  kantiani  avevano  instaurata:  tutti  questi  sono  meriti  veramente  grandi  di  quel  vasto  movimento  di critica  delle  scienze,  che  si  svolse  sullo  scorcio  del secolo  passato  e  sul  principio  del  nostro. Oosi  s’è  andato  via  via  dissolvendo  quel  concetto del  mondo  come  una  realtà  solidificata  di  fronte  al pensiero,  e  s'è  compreso  sempre  meglio  il  valore  immanente  dell'esperienza,  che  non  è  meramente  ripro¬ duttiva  di  una  cosa  in  sé,  ma  produttiva  di  realtà  e   Louvain,  1911  (in  2  voli.,  l’uno  contenente  i  testi,  l’altro una  ricostruzione  storica  delle  lotte  tra  tomisti  e  averroisti  nel sec.  Xlll). con  le  sue  esigenze  storiografiche,  e  assai  spesso  le falsilica  e  le  perverte.  Non  contenta  di  promuovere  la  conoscenza  dei  lìlosofi  medievali,  essa  ha voluto  copiarli,  reintegrando  una  pretesa  sintesi  scolastica,  creata  dalfimmaginazione  pseudo-storica  di uno  storico  di  valore,  uscito  dalle  sue  file,  Maurizio de  Wulf. Di  fronte  al  preesistente  neo-tomismo,  la  neo-scolastica  ha  voluto  assumersi  il  compito  più  ampio di  ricalcare  non  solamente  le  orme  di  san  Tommaso, ma  anche  quelle  di  altri  dottori,  agostiniani  e  sentisti,  che,  un  tempo  nemici  deH’.’^ngelico,  vengono ora  dal  De  Wulf  scoperti  come  suoi  collaboratori, nell’opera  (da  veri  certosini!)  di  comporre  uno  smisurato  mo.saico  scolastico,  al  quale  è  dato  l’improprio  nome  di  sintesi. Collaboratori  sono  in  certo  c  profondo  signillcato tutti  i  filosofi,  quale  che  sia  la  loro  divisa;  ma  la collaborazione  de  wulfìana  tende  a  sopprimere  1  individualità  d’ogni  singolo  pensatore  e  d’inserirne  le dottrine,  come  materiale  amorfo,  in  una  costruzione anonima,  avulsa  dalla  storia,  perché  non  più  partecipe  della  mobilità  del  divenire,  ma  statica  e  inerte, atta  soltanto  ad  accrescersi  per  successive  sovrapposizioni.  antiche  o  nuove  che  siano.  Scolastica  sarebbe quindi  non  più  una  tisonomia  storica  che  si  trasfor¬ ma,  ma  un  masso  immobile  di  pietra,  che  il  De  Wulf si    cura  di  sottrarre  ad  ogni  movimento,  anche esterno,  col  separare  nettamente  la  scolastica  dall’anti  scolastica,  cioè  col  sostantivare,  in  un’altra unità separata  e  rigida,  tutti  quei  moti  divergenti  e disgregatori,  che  pur  appartengono  allo  stesso  pensiero  medievale  e  che,  inclusi  con  sano  criterio  storico  nella  scolastica,  le  conferirebbero  quella  mobilità  viva  che  appartiene  a  un  vero  organismo. Questo  pregiudizio  più  che  scolastico  falsifica  la Storia  della  filosofia  medievale  del  De  Wulf,  opera immeritainente  celebrata,  perché  non  può  non  suscitare,  nei  critici  meglio  disposti  ad  apprezzare  il  lavoro  altrui,  che  un  senso  di  dispetto  o  di  deplorazione,  al  constatare  come  una  cosi  vasta  e  profonda conoscenza  del  pensiero  medievale  si  falsifichi  e  si annulli,  per  colpa  di  un  testardo  proposito  di  voler trattare  la  storia  con  un  criterio  decisamente  anti¬storico. Pereant  historiae,  purché  sia  salva  la  neo-scola¬ stica:  par  che  il  De  Wulf  ragioni  cosi.  E  in  effetti, separando  scolastica  e  anti-scolastica,  papa  e  anti¬ papa,  nel  cuore  stesso  della  storia  medievale,  dove la  separazione  degli  elementi  organici  è  più  aspra e,  diciamo  pure,  ripugnante,  è  tanto  più  facile  per¬ petuare  la  separazione  in  seguito,  quando  Tanti-sco¬ lastica  diviene  a  sua  volta  un’età  storica,  e  accre¬ scere  la  scolastica  dei  magri  doni  dello  Spirito,  che le  piovono  addosso  di  tanto  in  tanto.  È  sorta  cosi la  neo-scolastica,  quella  scuola  che,  pur  avendo  di fronte  al  neo-tomismo  l’incontestabile  vantaggio  di spaziare  in  un  cielo  storico  incomparabilmente  più vasto  e  di  non  accontentarsi  di  un  san  Tommaso ischeletrito,  mutilo,  custodito  nella  solitudine  e  quasi nel  deserto  dei  secoli,  ha  poi  sùbito  voluto  rinunziare  ai  suoi  privilegi  storici,  facendo  della  storia una  pesante  cappa  di  piombo. Confesso  che  la  lettura  del  corso  del  Mercier  m’è costata  assai  più  fatica  che  non  quella  delle  Somme di  Alessandro  o  di  Tommaso  o  dell’Opus  Oxoniense di  Duns.  La  ragione  è  che  si  trattava  di  una  fatica senza  premio,  che  inaridiva  progressivamente  e  senza recupero  le  proprie  fonti  e  l’energia  della  resistenza. In  fondo,  non  c’è  che  la  struttura  esterna  massiceia,  pesante,  del  tomismo,  senza  lo  spirito  di  Tommaso,  tormentato  dal  problema  insolubile  di  costringere  nelle  forme  aristoteliche  una  materia  ribelle. Il  Mercier  ha  raccattato  nella  storia  quel  poco  che era  compatibile  con  le  sue  premesse  dommatiche: il  criterio  cartesiano  dell’evidenza,  il  problema  della criteriologia,  inteso  come  un’attenuazione  della  cri¬ tica  gnoseologica,  il  pseudo-empirismo  dei  positivisti,  e  sopra  tutto  il  formalismo  della  vecchia  e nuova  logica  analitica.  I..a  criteriologia  forma  il  segreto  della  composizione  di  tutto  il  mosaico:  essa  ripristina  (dopo  Kant)  il  dubbio  cartesiano,  limitato ai  soli  oggetti  della  conoscenza,  dichiarando  illegittimo  il  problema  del  valore  delle  facoltà  conoscitive: un  valore  che  viene  dommaticamente  presupposto. E  del  primo  dubbio  si  sbriga  facilmente  col  riconoscere  l’evidenza  immediata  di  alcuni  principi d’ordine  ideale,  ai  quali  si    cura  di  negare  ogni carattere  sintetico  e  attribuisce  invece  un  valore meramente  analitico,  che  avvalora  la  loro  intatta  oggettività.  Ma  tra  i  princìpi  in  questo  modo  sottratti al  dubbio,  v’è  il  principio  di  causa,  il  cui  valore oggettivo  consente  di  passare,  senza  salti,  dalla  sfera dei  giudizi  ideali  a  quella  dei  giudizi  empirici;  il mondo  della  natura  e  della  scienza  viene  agevolmente rimorchiato  dal  principio  d’identità.  L’ontologia  e la  cosmologia  del  corso  merceriano  procedono  di pari  passo  dalle  premesse  criteriologiche  testé  enunciate;  idealismo  e  positivismo  sono  insieme  saldati dal  concetto  di  causa,  che  vanta  titoli  eguali  presso l’uno  e  presso  l’altro.  E  l’idealismo  salva  la  trascendenza  di  Dio,  l’immortalità  deU’aninia,  la  rivelazione,  con  tutto  il  pesante  bagaglio  della  dommatica  cristiana;  il  positivismo  consente  alla  neo-scolastica  di  modernizzarsi,  di  koketlieren  (direbbero  i tedeschi)  con  le  scienze  della  natura  e  'l’indulgere il  più  ch’è  possibile  al  gusto  dei  tempi. Una  tale  filosofìa  è  criticata  in  quanto  è  esposta; non  si  saprebbe  se  più  deplorare  l’ignoranza  che  vi si  dispiega  di  tutta  la  storia  del  pensiero  moderno o  l’ingenuità  di  certi  passaggi  me'ntali,  quello  p.  es., mediato  dal  principio  di  causa.  Io  rispetto  assai  più il  dommatismo  puro,  lo  schietto  tomismo,  che  nega la  storia  del  pensiero  e  si  chiude  nelle  vecchie  e  venerande  formule;  ma  almeno  non  si  lascia  cosi  facilmente  misurare  dalla  mentalità  moderna  come questa  filo.sofia  che  le  si  accosta  troppo  da  presso, e  si  trastulla  ingenuamente  coi  suoi  problemi.  Il neo,  anteposto  al  suo  nome,  vale  a  designare  null’altro  che  l’infantilità. Il  movimento  neo-scolastico  italiano  sorge  come una  copia  fedele  della  scuola  di  Lovanio.  Nel  1909 il  Gemelli  e  il  Canella  fondano  una  Rivista  di  filosofia  neo-scolastica  sul  modello  della  rivista  belga  ed accettano,  nel  programma,  l’ideologia  merceriana: 11  Mattiussi  lo  spaventava  col  suo  libro:  Il  veleno kantiano  (1914  “),  dove  gli  lasciava  intravvedere  il rischio  di  rinnovare  la  miseria  di  Abelardo,  non  più per  amore  di  una  bella  Eloisa,  ma...  della  filosofia kantiana:  «Noi  pretendiamo,  diceva  l’apocalittico Mattiussi,  che  nell’opera  del  filosofo  di  Koenigsberg dal  principio  alla  fine  ogni  cosa  è  impossibile  e  il disegno  n’è  contradittorio,  che  tutto  è  rovina  e  che qualunque  asserzione  si  ammetta  di  quello  ( sic)  che egli  da    nuovamente  disse,  ne  rimane  tronco  alla radice  dell'essere  conoscitivo  (??);  ed  è  veleno,  del quale  basta  una  goccia  per  dare  la  morte  alla  scienza e  all’intelletto  (!!)>.  E  in  un  altro  suo  scritto.  Il Problema  della  conoscenza,  il  Mattiussi  mostrava  di porre  allo  stesso  livello  la  critica  kantiana  della ragione  e  il  dubbio  merceriano  sull’oggettività  della conoscenza  additando,  nel  dommatismo  puro,  la via  della  salvezza  dell’anima  e  del  corpo. Questa  recrudescenza  di  animosità  da  parte  dei dommatici  derivava  in  gran  parte  dalla  scandalosa impressione  che  sul  loro  animo  aveva  fatto  il  tenta¬ tivo  del  padre  Chiocchetti,  animoso  e  ardente  pensa¬ tore  trentino,  il  quale  s’era  proposto  di  acclimatare negli  ambienti  scolastici  il  sistema  del  Croce.  Tra il  1912  e  il  1914  egli  aveva  infatti  pubblicato  una serie  di  articoli  su  quella  filosofìa,  nella  Rivista  del Gemelli,  facendo  precedere  all’esame  del  pensiero crociano  un  lungo  excursus  storico  sulla  specula¬ zione  tedesca  che  ne  costituiva  il  fondamento. Il  piano  storico  del  lavoro  era  sbagliato,  in  quanto I  Op.  eli.,  VI,  p.  317. >  Ibid.,  VII,  p.  29. 474 APPENDICE che  la  genesi  del  pensiero  del  Croce  si  spiega  rimon¬ tando  non  la  corrente  centrale,  metafisica  (il  Croce direbbe  teologica)  Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Spa- venta;  ma  una  corrente  laterale  che  ha  per  suoi estremi  Vico  e  De  Sanctis.  L’interessamento  del Croce  per  le  grandi  filosofìe  tedesche  interviene  in un  secondo  momento,  come  per  meglio  intonare, storicamente,  un  pensiero  già  in  gran  parte  formato per  via  diversa.  A  ogni  modo,  lo  sforzo  di  volere attribuire  un  interesse  centrale  a  una  filosofia  che ripudia  ogni  centro  fisso  dell’interesse  speculativo, costituiva  pel  Chiocchetti  una  propizia  opportunità per  poter  superare,  insieme  col  Croce,  tutta  la  spe¬ culazione  classica,  e  per  liberarsi,  cosi,  del  pesante fardello  della  storia. Alla  filosofia  crociana  egli  faceva  larghe  e  impor¬ tanti  concessioni:  la  teoria  dell’arte,  dell’ateoreticità dell’errore,  e  principalmente  quella  del  concetto  con¬ creto,  che  culmina  nella  circolarità  creatrice  dello spirito.  Faceva  naturalmente  le  sue  riserve:  «Am¬ mettiamo  anche  noi  un  divenire,  un  progresso,  ma non  possiamo  concepirlo  senza  ricorrere  a  un  prin¬ cipio  che  non  sia  principiato,  perché  personale  nel senso  più  alto  della  parola  ;  un  principio  fine  a  sé stesso  e  fine  del  tutto,  un  (ictus  parus  personale,  dal quale  e  per  il  quale  il  progresso  esiste,  un  centro di  riferimento  di  tutta  l’attività  ».  Moveva  alcune critiche  in  parte  calzanti:  «Il  concetto  di  persona, il  valore  della  persona:  ecco  quello  che  manca,  soprattutto  nella  dottrina  del  Croce,  e  rende  vano  e senza  significato  il  divenire  della  realtà  attraverso le  forme...  Anche  il  concetto  dello  spirito  come  circolo  o  come  ininterrotto  e  ordinato  arricchimento  di attività,  per  avere  un  senso,  dev’essere  concetto  e deve  inchiudere  in    come  elemento  essenziale  il fine  deU’attività  progressiva,  la  persona;  se  no  abbiamo  l’assurdo  del  progresso  in  infìnitum,  checché opponga  il  Croce. Ma  il  vizio  più  grave  che  svaluta  le  adesioni  non meno  delle  critiche,  sta  in  un  fraintendimento,  che non  saprei  spiegarmi  con  motivi  puramente  mentali (ateoreticità  dell’errore,  padre  Chiocchetti!)  :  quello del  concetto  puro  del  Croce  con  Vunìversale  in  re  di san  Tommaso.  In  fondo,  accettando  l’universale  concreto  della  filosofia  moderna,  il  Chiocchetti  non  vi riconosce  che  il  progenitore  scolastico,  dimenticando, 0  mostrando  di  dimenticare,  che  in  esso  c’è  l’appercezione  pura  di  Kant,  la  risoluzione  dell’oggettività naturale,  in  una  parola,  lo  Spirito.  Affermare  che [Individualismo  e  universalismo  fanno  centro  in  Europa,  donde  s’irradia  la  nuova  storia  del  mondo; tutte  le  conquiste  della  civiltà  estraeuropea  sono  infatti  europee  nello  spirito  e  nell’impulso;  l’Africa particolarmente  è  il  supremo  sforzo  e  il  massimo rispltato  della  storia  europea  nel  secolo  XIX.  Questo non  porterà  nome  di  uomo  o  di  popolo,  perché  le massime  creazioni  sono  anonime:  «  il  genio  può  riassumere  l’incoscienza  di  un  popolo,  non  dare  la  propria  fisonomia  alla  sua  coscienza. Il  suo  carattere  ideale  è  chiuso  tra  due  fdosofle, che  rappresentano  il  suo  trionfo  e  la  sua  degradazione:  «Dopo  Tenorrae  abbacinante  filosofia  di  Hegel,  che  riassunse  tutta  l’antichità  e  aperse  l’era  moderna,  la  degradazione  fu  precipitosa;  Hegel  aveva sollevato  il  mondo  nelle  idee,  i  positivisti  distrussero  le  idee  nei  fatti;  la  loro  filosofia  era  la  sola  conveniente  a  una  fase  industriale,  che  isolava  gl’individui  livellandoli  invece  di  unificarli;  l’inconoscibile, del  quale  l’interpretazione  istintiva  è  ideale  e  pregio della  vita,  venne  dichiarato  inutile,  la  storia  cessò di  chiedere  le  rivelazioni  del  passato  ai  grandi  pensieri  per  impararle  dalla  parzialità  dei  piccoli  documenti,  le  leggi  non  furono  che  disposizioni  nelle apparenze  fenomeniche,  la  morale  un  mutare  di  costumi,  le  idee  una  metamorfosi  delle  sensazioni.  La superlicialità  rese  tutto  facile,  e  la  volgarità  parve la  sicurezza  del  reale.  L’uomo,  senza  lo  spasimo  dell’infinito  nel  cuore  e  la  luce  divina  nel  pensiero. I  La  Hiuolta  ideale^  ed.  Laterza,  p.  19. ritliscese  neiranimalità,  ultimogenito  di  una  serie, anziché  primogenito  della  creazione. Contro  questa  degradazione  positivistica  o  industriale,  che  annulla  le  grandi  conquiste  ideali  dello spirito,  e  si  riassume  nell’individualità  nuda  e  atomistica  e  neH'umanità  identica  e  vuota,  e  abbassa  la coscienza  all’inconscio,  la  responsabilità  all’eredità del  passato,  la  creazione  all’associazione,  l’Oriani, echeggiando  alcuni  concetti  dell’idealismo,  si  affer- ina  fautore  di  un  superiore  individualismo,  in  cui  fa consistere  l’originalità  del  pensiero  nio-derno.  Ed enuncia  il  principio  che  l’individuo  non  è  tale  che nell’unità  delle  proprie  antitesi:  sopprimete  in  lui il  temperamento  della  razza,  il  carattere  della  nazione,  la  lìsonomia  della  famiglia,  e  la  sua  originalità si  annebbia.  Ma  l’individualità  vera  non  è  quella che  si  allerma  nell’isolamento  ;  la  grandezza  delrindivi'duo  si  misura  dalla  quantità  delle  anime  che può  assorbire  e  significare:  nessun  individuo  ha niente  da  dire  finché  parla  di    stesso.  E  l’inclusione,  in  esso,  di  un  più  vasto  mondo,  crea  la  sua responsabilità  storica,  momento  negativo  essenziale di  quella  liberazione  e  sublimazione  del  mondo,  che si  compie  nell’alTermazione  piena  di    stesso.  L’individuo  è  la  storicità  vivente:  «bisogna  affermare, esclama  l’Oriani,  che  tutto  quanto  forma  il  nostro spirito  è  un  legato  della  storia  per  le  generazioni future,  quindi  il  nostro  interesse  nel  presente  soltanto  un’eco  del  passato,  che  ridiventerà  voce  ncl-l’avvenire.  Ogni  cooperazione  umana  aumenta  di  responsabilità  crescendo  d’importanza,  giacché  la  superiorità  non  è  che  il  diritto  di  soffrire  più  in  alto, pensando  per  quelli  che  non  pensano,  amando  per quelli  che  non  amano,  lavorando  per  quelli  che  non possono»  E  questa  sublimazione  deH’uinanità  nel-rindividuo,  forma  la  sua  libertà  concreta,  liberatrice,  che  non  discorda  dalla  necessità,  ma  ne  è  la coscienza  immanente. L’affermazione  di  essa  si  compie  attraverso  i  gradi necessari  della  progressiva  complicazione  della  vita umana;  la  famiglia,  la  nazione,  lo  stato,  l’umanità; cioè  attraverso  le  successive  negazioni  della  soggettività,  che  si  riconquista,  integra,  solo  al  termine del  laborioso  pellegrinaggio.  Quindi  nella  famiglia gli  sposi  debbono  sparire  nei  genitori  sacrificandosi alla  devozione  dei  figli;  quindi  nella  società  gl’intere.ssi  individuali  saranno  sempre  subordinati  a  quelli   '.  £  il  solito  pregiudizio  logico-formale,  che  svaluta  il  pensiero  nell’atto  stesso in  cui  intraprende  la  sua  ricerca,  abbassando  le  leggi al  di  sotto  della  massa  caotica  dei  fatti.  E  il  Pareto, non  certamente  a  sua  lode,  ci    un’applicazione esatta  del  suo  principio,  con  l’addensare  prodigiose masse  di  esempi  e  con  lo  svuotarle  in  pretese  leggi ed  insignificanti  uniformità,  che  rappresentano  il residuo  di  una  morta  astrazione.  Egli  vuole  classificare  le  azioni  umane  secondo  i  principi  della  classificazione  detta  naturale  in  botanica  e  in  zoologia; anzi,  neppure  le  azioni  concrete  formano  oggetto della  sua  elaborazione,  ma  gli  elementi  di  quelle azioni;  «Del  pari  (sic)  il  chimico  classifica  i  corpi semplici  e  le  loro  combinazioni,  e  in  natura  si  trovano  mescolanze  di  tali  combinazioni.  Le  azioni concrete  sono  sintetiche;  esse  hanno  origine  da  mescolanze  (!),  in  proporzioni  variabili  (!!),  .  E  lascia  impregiudicato  l’ulteriore  problema  se  siffatto  essere  sia impersonale  (panteismo)  o  personale  (teismo).  Troppo  a  buon  mercato!  Il  compito  di  una  metalisica del  conoscere  comincia  proprio  qui,  dove  il  Varisco si  arresta  perplesso:  ma  egli  è  arrivato  esaurito, con  un  «  essere  indeterminatissimo  »,  proprio  dove l’idealismo  concentra  la  massima  concretezza  dello spirito.  Il  suo  errore  è  comune  a  tutta  la  «metafisica dell’essere  »,  che  vuota  progressivamente,  lungo  la scala  degli  esseri,  i  suoi  concetti,  e  cerca  infine   Cosicché,  mentre  il  Gentile  è  venuto  fuori  dalla tradizione  propriamente  hegeliana,  che  ha  avuto nello  Spaventa  uno  dei  suoi  esponenti  maggiori,  il Croce  ha  subito  solo  rinilusso  indiretto ‘generale’    egli  dice  nella  prefazione  alla  .3'  edizione  della  Logica  (Ifllfi)    è  insieme  annullare  il  concetto  '  statico    del  sistema  fìlosolìco,  surrogandolo  col  concetto  dinamico  delle  semplici    sistemazioni’  storiche  dei  gruppi  «li  problemi,  delle  quali ciò  che  persiste  e  sopravvive  sono  i  singoli  problemi e  le  loro  soluzioni  e  non  già  l’aggregato  e  l’ordinamento  esterno,  che  ubbidisce  ai  bisogni  dei  tempi  e degli  autori  e  passa  con  questi,  o  si  serba  e  si  ammira  solo  per  ragioni  estetiche,  quando  pur  abbia tal  pregio. In  questa  più  recente  fase,  il  Croce  ha  finito  col capovolgere  la  posizione  iniziale  del  suo  pensiero  di fronte  al  problema  storico:  passando  via  via  dalia considerazione  della  storia  come  arte,  a  quella  che ne  fa  una  forma  di  realtà  autonoma,  inferiore  alla filosofìa,  a  quella  deH’identità  e  reciprocità  piena con  la  filosofia,  finalmente  a  quella  della  sopravvalutazione  della  storia  rispetto  alla  pura  filosofìa,  il Croce  ha,  come  si  vede,  descritto  un  ciclo,  nel  quale dobbiamo  riconoscere  che  il  suo  pensiero  si  è  molto arricchito  ed  ha  sempre  meglio  appagato  quell  esigenza  verso  la  concretezza,  che  lo  spronava.  Nella sua  citata  autobiografia  mentale  egli  ci  dice  cl^e  la esigenza  immanentistica  è  ormai  cosi  viva  in  lui, che  gli  fa  immaginare  «non  senza  diletto  >  che abbandonerà  un  giorno  la  filosofìa  nel  significato comune,  per  narrare  la  «  storia  pensata  ».  Ormai  egli ha    preparazione  necessaria  per  il  nuovo  cimento: la  Storia  della  storiografia  italiana  nel  secolo  deci- inonono,  che  egli  va  pubblicando  a  puntate  nella 2'  serie  della  Critica  può  significare  già  un  avviamento  a  questo  indirizzo  *. Ma  per  un  filosofo  l’abbandono  della  filosofia  non può  avere  che  un  significato,  a  sua  volta,  filosofico o  dialettico;  non  certamente  quello  di  un  mero  passaggio  da  una  sfera  di  attività  ad  un  altra.  E  per ora,  quell’abbandono  ci  viene  spiegato  nel  suo  più vero  senso  dall’ultima  monografìa  filosofica  che  il Croce  ha  pubblicato  da  qualche  mese  :  Sulla  filosofia [ Per  la  blbllografla  e  le  discussioni  intorno  al  pensiero del  Croce,  rimando  al  voi.  G.  Casteli.aso,  Introduzione  allo studio  dette  opere  di  B.  Croce,  note  bibllograDche  e  critiche. Bari] teologizzante  e  le  sue  sopravvivenze  (Napoli), (love  i  lilosofì  stessi  vengono  incitati  ad  abbandonare una  folla  di  problemi  insolubili,  eufemisticamente chiamati  problemi  massimi  ed  eterni.  Per  Croce, conforme  al  suo  coerente  immanentismo,  vale  il principio  deirunità  del  problema  con  la  soluzione, secondo  il  quale  un  problema  acquista  carattere  di problema  solo  nel  punto  in  cui  viene  risoluto.  Quindi 1  pretesi  problemi  insolubili,  che  formano  il  tormento  di  tutte  le  filosofie,  sono  in  realtà  non-problemi,  ma  miscugli  ibridi  di  rappresentazioni  e  di concetti,  adeguati  piuttosto  ad  alcune  forme  di  esperienza  religiosa  anziché  alle  esigenze  razionali  dello spirito.  Tra  questi  primeggia  il  problema  della  conoscibilità  del  reale,  del  rapporto  tra  il  pensiero  e l’essere,  in  cui  il  Croce  ci  mostra  la  presenza  di  un interesse  meramente  teologico,  e  cioè  compatibile soltanto  con  una  intuizione  dualistica  del  reale. La  lilosofia  del  Gentile  ha  seguito,  in  quest’ultimo  periodo,  un  inverso  processo  di  sistemazione  e di  accentramento.  Nel  1912,  quando  io  chiudevo, con  una  sommaria  esposizione  dei  suoi  capisaldi,  la r  edizione  della  presente  Storia,  il  pensiero  di  questo  filosofo  era  in  gran  parte  disseminato  nei  suoi lavori  storici;  e  soltanto  una  breve  monografìa. L’alto  del  pensiero  come  atto  puro,  lasciava  presentire  la  peculiarità  di  un  atteggiamento  mentale  del tutto  nuovo.  Da  quel  tempo  in  poi,  il  Gentile  ha lavorato  a  sviluppare  la  sua  dottrina  dell’idealismo attuale,  le  cui  tappe  più  importanti  sono  costituite dal  Sommario  di  pedagogia  come  scienza  filosofica 2  v(}ll.,  Laterza,  1913);  La  riforma  della  dialettica hegeliana  (Messina,  1913);  Teoria  generale  dello  spirilo  come  alto  puro  (Pisa,  1916);  Sistema  di  logica come  teoria  del  conoscere  (Parte  I,  Pisa] appendice Per  ragioni  di  spazio,  sono  costretto  a  sorvolare sulla  fase  preparatoria  e  formativa  di  questa  fìlosolìa,  che  ha  le  sue  tappe  nettamente  segnate  dalla informa  della  dialettica  e  dal  Sommario  di  pedagogia.  Il  primo  libro  ci  spiega  in  che  modo  il  Gentile  sia  riuscito    affatto  indipendentemente  dal Croce    a  rompere  lo  schematismo  hegeliano,  utilizzando  le  importanti  indagini  dello  Spaventa  sulle tre  prime  categorie  della  Logica  di  Hegel.  Una  volta inteso  l’essere,  il  non-essere  e  il  divenire,  non  più come  posizioni  logiche  oggettive  del  reale,  ma  come momenti  della  coscienza,  dove  il  divenire,  sintesi  dei termini  precedenti,  esprime  il  processo  stesso  del sapere,  che  vince  nella  sua  concretezza  i  momenti astratti  e  rig  di  in  cui  l’analisi  lo  decompone  ',  tutta la  sopra-struttura  della  logica  hegeliana  viene  inevitabilmente  sconvolta. Il  Sommario  di  Pedagogia,  nella  sua  introduzione, compie,  in  rapporto  alla  Fenomenologia,  la  stessa istanza  critica  che  la  Riforma  della  dialettica  compie in  rapporto  alla  Logica  di  Hegel.  Il  pensiero  puro, come  non  ha  bisogno  di  percorrere  i  gradi  categorici  dell’essere  (del  conosciuto,  secondo  gli  schemi della  logica  formale)  per  giungere  alla  piena  coscienza  di  sé,  perché  si  afferma  a  priori  come  pensiero  consapevole  e  attuale;  così  non  ha  neppur bisogno  di  attraversare  i  gradi  psicologici  della  conoscenza,  cioè  la  sensazione,  l’intuizione,  ecc.,  perché 1«  1,’csscre  che  Hegel  dovrebbe  mostrare  identico  ai  non- essere  nei  divenire  che  solo  è  reuie,  non  è  i  essere  che  egli definisce  come  l’assoluto  indeterminato  (TassoUito  indeterminato  non  può  essere  che  l’assoluto  indeterminato!);  ma  l’essere del  pensiero  che  deHniscc  e,  in  generale,  pensa:  ed  è,  come vide  Cartesio,  in  quanto  pensa,  ossia  non  essendo  (perché, se  fosse,  ii  pensiero  non  sarchile  iiueiio  che  è,  ossia  un  atto), e  perciò  ponendosi,  divenendo»  [Teoria  generale  della  spirito come  atto  puro,  G.  DE  Huggieho.  T.a  tllosotla  contemporanea. non  può  mutuare  da  altri  che  da  sé,  non  solamente la  sua  forma,  ma  anche  il  suo  contenuto.  Cosi  Gentile  ha  portato  al  suo  estremo  l’idea  implicita in  ogni  fllosoiìa  idealistica,  che  il  pensiero  non  può originarsi  che  da  sé,  mostrando  che  qualunque  dato  o presupjpostc  che  si  voglia  anticipare  alla  sua  attività ha  il  valore  di  cosa  posta  da  quella  stessa  attività.  Di fronte  *al  comune  psicologismo,  tale  istanza  critica culmina  con  l’identificazione  del  pensiero  e  della sensazione,  nel  senso  che  qualunque  esigenza  ideale si  attribuisca  alla  sensazione    fuori  di  ciò  che  ne costituisce  un  dato  irriducibile,  dove  si  rivela  una falsa  posizione  fdosofica    è  un’esigenza  mentale, inclusa  cioè  nell’attualità  del  pensiero. Con  l’efl'ettuata  identificazione,  vien  negata  una fenomenologia  dello  spirito  nel  significato  hegeliano, cioè  come  una  progressiva  deduzione  ed  implicazione di  gradi  spirituali;  ma  viene  nel  tempo  stesso  affermata  una  nuova  fenomenologia  del  sapere  e  della realtà  come  consapevolezza,  che  coincide  con  la  storia  stessa,  nella  concretezza  del  suo  divenire.  L’assoluto  psicologismo  ha  il  valore  di  un  assoluto  storicismo.  Posto  infatti  che  il  pensiero  non  deriva  che da    la  realtà  propria,  e  che  questa  derivazione  è  la sua  efl'ettiva  e  pratica  esplicazione,  il  corso  ideale del  pensiero  non  è  che  la  storia  reale  del  peìisiero stesso  e  quindi  del  mondo. Qui  l’idealismo  gentiliano  si  pone  come  la  negazione  recisa  di  ogni  realtà  che  si  opponga  al  pensiero come  suo  presupposto  e  del  pensiero  stesso  concepito come  realtà  già  costituita  fuori  del  suo  svolgimento, come  sostanza  indipendente  dalla  sua  reale  manifestazione.  La  realtà  dello  spirito  o  delle  cose,  posta fuori  della  soggettività  pensante,  forma  la  così  detta natura,  distinta  dal  pensiero  non  come  oggetto  da Oggetto,  ma  come  oggetto  da  soggetto,  ossia  inclusa e  risoluta  nel  pensiero,  nell’atto  stesso  in  cui  questo la  riconosce  distinta  da  sé,  e  cioè,  pensandola,  la pone,  e  ponendola  la  nega  come  già  posta  o  presupposta.  La  natura  si  svela  cosi  una  realtà  pensata,  un processo  logico  esaurito  e  pietrificato,  capace  tuttavia  di  risollevarsi  all’attualità  spirituale,  in  quanto 10  spirito  lo  pensa  e  l’include  nel  suo  processo,  che ha  un  cominciaraento  spontaneo,  assoluto,  in  quel pensare. Nulla  dunque  è  fuori  dello  spirito,  «  se  Tesser fuori  è  un  riconoscimento,  cioè  un  porre  fuori  mediante  l’attività  del  pensiero.    vale  appellarsi  all’ignoranza,  come  documento  delTirriducihile  esteriorità  di  taluni  fatti  alla  coscienza;  perché  la  stessa ignoranza  non  è  un  fatto  senza  essere  insieme  una cognizione:  cioè  ignoranti  siamo  solo  in  quanto  o noi  stessi  ci  accorgiamo  di  non  sapere,  o  se  n’accorgono  altri;  sicché  l’ignoranza  è  un  fatto,  a  cui l’esperienza  può  appellarsi  solo  poiché  è  conosciuto.  La  coscienza  si  pone  pertanto  come  una  sfera 11  cui  raggio  è  infinito:  come  centro  assoluto  e  immoltiplicabile  nella  cui  unità  converge  la  molteplicità  degli  oggetti,  che  esiste  solo  in  virtù  del  suo riconoscimento.  L’unità  della  coscienza,  del  soggetto,  è  la  pietra  angolare  di  questa  filosofia  :  essa include  non  soltanto  i  cosi  detti  fatti  dell’esperienza  esterna,  incomprensibili  nella  loro  struttura fuori  della  sintesi  mentale;  ma  anche  gli  atti  dell’esperienza  interna  e  dei  soggetti  empirici  umani  o sub-umani,  la  cui  pluralità  è  del  tutto  identica  a quella  degli  oggetti  naturali  e  si  risolve  quindi  nell’unità  dello  spirito  che  attualmente  la  pensa.  Un mondo  ideale  policentrico,  monadistico,  rappresenta per  il  Gentile  un  residuo  di  naturalismo  ingiustificabile,  poiché  non  c’è  esperienza  umana  che  coltra  il mutuo  trascendersi  delle  monadi  e  raccolga  la  loro sparsa  idealità  in  un  principio  unico,  il  quale  ver¬ rebbe  perciò  spostato  all’infinito.  Mentre  invece, l’esperienza  nella  sua  concretezza  esige  l’assoluta immanenza  di  quel  principio,  fuori  del  quale  anche la  pluralità  svanisce.  Il  rapporto  tra  me  e  un  altro soggetto  empirico  non  può  esistere  fuori  della  mia coscienza  che  lo  pone;  se  mai  trascendesse  la  sfera della  coscienza,  ogni  mutua  intelligenza  sarebbe  pre¬ clusa;  ma,  appunto  perciò  l’atto  di  coscienza  che include  l’altro  in  me  e  nel  tempo  stesso  lo  distingue da  me,  costituisce  la  soggettività  più  profonda  in cui  si  risolvono  le  soggettività  empiriche  (l’io  e l’altro)  e che  forma la  comune  radice  di  esse.  Quell’atto  dunque  non  è  mio,  perché  tale  appartenenza significherebbe  già  la  sua  riduzione  al  soggetto  empirico,  ma  è  l’Io,  è  ratTermarsi  concreto  di  un rapporto  nella  forma  della  soggettività  mentale. Gentile    a  questo  Io  il  nome  di  soggetto  assoluto  o  trascendentale;  ad  esso,  a  differenza  dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal Identity,” Mind,  attribuisce  l’identità  universale  e immoltiplicabile,  che  vince  la  sparsa  attualità  del monadismo. Con  questo  concetto,  egli  è  in  grado  di  risolvere le  varie  antinomie  che  hanno  travagliato  il  pensiero di  molti  filosofi,  come  quelle  del  realismo  e  del  nominalismo,  dell’universale  e  dell’individuale,  ecc.  fino alla  recente  vexata  quaestio  della  distinzione  tra l’attività  teoretica  e  l’attività  pratica  e  del  primato dell’una  o  dell’altra.  Nell’attualità  dell’Io  assoluto v’è  la  ragione  unitaria  di  ciò  che  nelle  antinomie  si polarizza,  e  insieme  la  spiegazione  del  modo  con cui  la  polarizzazione  avviene,  quando  lo  spirito, affiorando  alla  superficie,  perde  l’intimo  contatto  con    stessa  e  converte  in  determinazioni  statiche e  rigide  gli  astratti  momenti  della  sua  sintesi  originaria.  Cosi  il  rapporto  del  teoretico  e  del  pratico è  da Gentile  compreso  nell’unità  a  priori  dello  spirito,  che  è  atto  intelligente  o  riflessione  attiva,  cioè unità  dinamica  di  teoria  e  prassi;  mentre  la  difTerenza  nasce  nella  sfera  superficiale  della  coscienza, dove  i  'due  momenti  si  solidificano  in  entità  distinte. Tale  unificazione  spirituale,  per  Gentile,  non  vuol essere  assorbimento  del  molteplice  nell’uno  ed  esta¬ tica  contemplazione  dell’uno,  ma  realizzazione  e comprensione  dell’uno  nel  molteplice,  e  insieme  differenziamento  e  moltiplicazione  dell’uno;  insomma quello  spiegamento  dello  spirito,  che  riconduce  a  sé, alla  propria  identità,  gli  atti  della  sua  reale  esplicazione.  In  questo  principio  è  riposto  il  criterio  dello storicismo  di  Gentile.  Vi  sono  due  modi  di  concepire  la  storia.  In  questa  posizione  si  risolve l’antinomia  storica,  secondo  la  quale  lo  spirito  è affermato  come  storia,  perché  è  svolgimento  dialettico,  ed  è  negato  come  storia,  perché  è  atto  eterno fuori  del  tempo.  E  si  risolve  nel  concetto  del  processo  che  è  unità,  la  quale  si  moltiplica  restando una;  di  una  storia,  perciò,  hleale  ed  eterna,  che non  è  (la  confondere  con  quella  di  VICO,  che  ne lascia  fuori  di    una  che  si  svolge  nel  tempo;  laddove  reterno,  nella  concezione  del  Gentile,  è  lo  stesso tempo  considerato  nella  sua  attualità. Ma  di  fronte  a  questa  molteplicità  vera  e  attuale che  si  esplica  nella  storia,  e  la  cui  concretezza  sta nel  suo  svolgersi  dall’unità  e  nell’unità  dello  spirito, v’è  un’altra  e  diversa  molteplicità,  astrattamente fissata  nell’oggetto  del  pensiero  ed  esistente  indi¬ pendentemente  dall’atto  mentale.  Mentre  la  prima  appartiene  alla  logica  del  pensiero  puro,  1  altra rientra  nella  logica  astratta  del  pensato.  La  differenza  nasce  dalla  dialettica  stessa  del  pensiero;  che, in  quanto  è  atto,  è  dillerenziamento  ed  esplicazione di  sé;  ma  l’atto,  una  volta  compiuto  e  isolato  dalla soggettività  creatrice,  si  converte  in  un  fatto,  cioè si  naturalizza  e  diviene  una  realtà  intelligibile  e non  più  intelligente.  A  questo  pensato  si  appropriano  non  le  categorie  della  dialettica,  che  concer¬ nono  il  pensiero  in  fieri,  ma  quelle  della  logica  formale,  le  quali  determinano  la  struttura  dell’oggetto mentale  come  puro  oggetto. Tuttavia  la  peculiarità  del  processo  spirituale sta  in  ciò  che  in  esso  l’astrattezza  di  quella  posizione  oggettivistica  è  non  solo  negata,  ma  anche allcrmata.  il  pensiero  concreto,  nell’atto  in  cui  nega il  pensato  come  tale,  lo  afferma  come  momento  inseparabile  del  suo  sviluppo.  La  dialettica  viva  dello spirito  sta  in  questo  continuo  naturalizzarsi  e  straniarsi  del  pensiero,  del  soggetto,  nell’oggetto;  e  in questo  riaff  ermarsi  di  sé,  attraverso  la  stessa  oggettivazione,  che  è  risoluzione  dell’oggetto  come  tale  e sua  inclusione  nel  proprio  ciclo. I  Gentile,  Sistema  di  logica  come  teoria  dei  conoscere, Pisa, Conforme  a  queste  premesse,  Gentile  ammette due  logiche,  runa  che  è  grado  all’altra  ;  «Se  dialet¬ tica  diciamo  la  logica  del  concreto,  ossia  del  jjuro conoscere,  che  è  riinità  del  soggetto  e  dell’oggetto, oltre  la  dialettica  bisogna  pure  ammettere,  come grado  alla  stessa  dialettica,  una  logica  dell  astratto, ossia  del  pensiero  in  quanto oggetto,  nel  momento dell’opposizione,  senza  di  cui  non  è  attuabile  l’unità in  cui  il  concreto  risiede  Nel  Sistema  di  logica come  teoria  del  conoscere  Gentile  finora ci  ha  dato  una  logica  del  pensato;  ad  essa  terrà dietro  la dialettica,  cioè  il  sistema  detl’attività  pen¬ sante,  di  cui  non  possediamo  che  i  capisaldi,  già esposti  nelle  pagine  precedenti. La  diflerenza  del  pensiero  e  del  pensato  e  della molteplicità  immanente  all’uno  e  all’altro  vale  anche a  determinare  il  rapporto  tra  le  forme  assolute  ,  e  che >  Donde  la  necessità  di  porre  su  due  plani  ben  distinti  le relazioni  interne  del  pensato  e  le  relazioni  nelt’atto  del  cono¬ scere,  la  relatività  delle  determinazioni  del  reale  e  quella  del momenti  del  processo  conoscitivo,  l’/o  penso  della  logica  kantiana  e  il  soggetto  assoluto  della  metalisica. quindi  una  metafisica  della  mente  deve  seguire  una  via multo  più  indiretta  e  faticosa  per  fondare  la  spiritualità del  reale.  Dalla  Critica  del  Giudizio  di  Kant,  alla  filosofia della  natura  di  Schelling  e  di  Hegel,  via  via  fino  al  con¬ tingentismo  del  Boutroux,  all’evoluzione  creatrice  del Bergson,  al  realismo  dcH’Alexander,  al  neo-hegelismo  del- rHamelin.  è  tutta  una  serie  di  sforzi  per  questa  via  più ardua;  essi  valgono  almeno  a  segnalare  la  presenza  di un  problema  di  cui  l'attualismo  s’é  sbrigato  troppo  a cuor  leggero.  Tutto  ciò  che  formava  oggetto  della  metafisica  dell’essere  non  s’illumina  in  un  fiat  col  porre l’equazione  tra  l’essere  e  Tesser  conosciuto;  cosi  non si  fa  che  porlo  semplicemente  a  foco;  ma  si  tratta  poi di  conoscerlo  clTettivainentc;  se  no,  si  trasferisce  il  mistero  da  una  posizione  all’altra,  senza  accrescere  di  un sul  iota  la  nostra  conoscenza  della  realtà.  Pretendere  di aggiogare  il  mondo  all’atto  del  pensiero,  senza  che  questo si  faccia  concretamente  coscienza,  autorivelazione,  atto del  mondo,  è  un  faticare  per  trascinarsi  dietro  la  propria ombra:  agendo  nihil  agere. Questi  cenni  critici  preludono  a  un  esame  particolareggiato  della  filosofia  di Gentile,  che  io  mi  propongo di  pubblicare  nell’appendice  al  presente  libro,  e  ad  una revisione  della  mia  posizione  idealistica,  di  cui  ho  cominciato  a  dare  qualche  sporadico  saggio  negli  scritti pubblicati  in  questi  ultimi  anni. In  questa  nota  si  fa  cenno  unicamente  dei  libri  che hanno  attinenza  col  testo.  Per  una  bibliografia  più  estesa, cfr.  F.  rKBKBWEG.  Gniiulriss  der  Gescliichle  der  Pliitosoiìhie:  die  Pliil.  seit  lieginn  des  neiinzehnten  Jahr- hitiiderls);  ed.  da Heinze.  Berlino,  litoti. INTRODUZIONE. Sulla  filosofia  contemporanea  in generale,  ampi  ragguagli  si  trovano  nelle  riviste,  come La  critica,  la  Riuista  di  lilosofia,  la  Cultura  filosofica,  la Zeitschrift  fiir  Phitosophie  und  phitosophische  Kritik,  la lievue  de  Métaphysique  et  de  Morale,  il  Mind.  Ufr.  inoltre  Wi.NDELBANU,  Lehrbuch  der  Geschichte  der  Philosophie,  Strassburg,  Tùbingenl;  H.  Hoffdino. Moderne  Philosophen,  Leipz.; Mabtinetti,  Introduzione  alla  metafisica,  Torino;  F.  de  Sablo,  Studi  sulla filosofia  contemporanea,  Roma;  V'illa.  La  psicologia,  Torino;  L’idealismo  moderno, Torino;  Aliotta,  La  reazione  idealistica  contro  la scienza,  Palermo;  su  di  essa,  v.  la  mia  recensione in  Critica. Il  concetto  della  nazionalità  della  filosofia,  da  cui prende  le  mosse  la  nostra  Introduzione,  si  trova  sviluppato  nelle  opere  di  B.  Spaventa.  Cfr.  specialmente:  La filosofia  italiana  nei  suoi  rapporti  con  la  filosofia  europea, Bari. LA  FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe.  Die Philosophie  der  Gegenwart  in  Deutschland,  Leipzig,  Cahitolo  I:  intorno  alla  tlissoluzioni-  tlclPhi-gelismo, J.  H.  Erdmaxn,  Gniiulriss  der  Gesrhichle  der  l‘hilosophie, i-(l.  da  B.  Erdinann,  Berlin.  Per  la  scuola  di  Tu- binga:  F.  G.  Baur,  Die  Tiibinger  Schiile  vnd  ihre  Stelliiny zur  Geyenioart,  Tiibingen;  Zkller,  C.  tiaur  et fècole  de  Tiibitmue.  Ir.  fr.,  Paris; Strauss,  Dos l.ebeit  Jesii.  Tùb.;  Der  alte  iind  tiene  GItinbe,  Leipzig. Un  parallelo  tra  Strauss  e Renan  si trova  nei  Vorlrdge  und  Abhnndiungeii  geschichtlichen Inhalts  dello  Zeller. Sul  materialismo  storico:  K. Marx.  Dos  Kapital,  Krilìb  der  itolitischeii  Oekoiwmie,  ed. dalVEngels  (Hamburg);  ifisère  de  la  pbilosopltie, Paris. ;  F.  Encels,  llerrn  Kngen  Dùhrings  Gmaitilzang der  Wisiseiischnft,  Stuttgart.  In  proposito  I.abriula, Saggi  intorno  ulta  concezione  mnlerialislictt  della,,  storia (3  v(dunii.  Roma;  (!.  Gentile.  La  /i/osoflo  di Murjc,  Pisa;  Croce.  Materialismo  storico  ed  economia  marxista,  Bari.  Sulla  psicologia  dei  po- pedi:  Xeilschrift  far  Vólkerpsgcliologie  and  Spracliaa's- senschaft,  ed.  da  .\1  Lazahls  e  H.  Steinthal, Sul  naturalismo:   BCchneh,  KrafI  and  Staff, Frankfurt  a  M..;  E.  nu  Bois  Reymond,  Die sieben  Weltrdihsel,  la:ipzig,:  sono  le  opere più  significative.  Inoltre:  Duhkixg,  Cursus  der  PliUosophie;  Logik  und  ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz;  Th.  Fechne;h.  Zend-Aiiesta,  Leipzig;  E. Hartmann,  Philosophie  des  Vnbeaaissten,  Berlin;  Kalegorienlehre,  Leipzig;  Drews,  Das  Ich als  Grand-problem  der  Metaphgsik,  Freiburg.  Sul  naturalismo  in  genere,  cfr.  .4.  Lance,  Histoire  da  matèria- lisme,  tr.  fr.,  Paris,  Lotze: Mikrokosmos,  Leipzig,  vedi;  Logik,  Leipzig;  Metaphgsik,  Leipz..  Sul Lotze:  O.  Caspari,  //.  L.  in  seiner  Slellang  za  der  durch Kant  begriindeten  neaesten  geschichte  der  Pbilosophie Breslau;  H.  Schoen,  La  métaphgsigue  de  H.  L., Paris; Wallace,  Lectures  and  Essags,  Oxford (vi  si  parla  del  Lotze  in  appendice); R.,  La  filosofia  dei  valori  in  Germania, Trani (estr.  dalla  Critica). Laas,  Idealismas  und  Positivismus, Berlin,  Schlppe, Erlienntnistheoretische  iMyik,  Bonn, ;  (inindriss  der Erkenntnistheorie  iiiid  l-f>iiik,  Berlin.  Rehmke, l.ehrhiich  der  itUgemeinen  Psiirbolofiie,  Hainlniri!. Leipzig);  Pliilosopbie  ah  Griindiuhseiisfbafl,  Leipzig:  organo  della  cosi  della  illosolia  del  dalo  è  la Xeitschrift  fiir  immanente  Philoxophie. Sulla  teoria  degli  oggelti.  efr.  gli  art.  di  A.  Meinono  nella Xeitschrift  fiir  Phil.  tt.  pliit.  Kritik;  in  particolare:  Veber die  Stellung  der  Geuenstandtheorie  im  Stistem  der  IVi.s- senschaften. Cfr.  inoltre  le  Vntersuchaniien  zar Gegenstandtheorie  iind  Psr/chologie,  ed.  dallo  stesso  Mei- nong.  Circa  roricnlanienlo  generale  della  dottrina,  v.  la relazione  delTHoFLER  al  Congresso  inlernazionale  di Psicologia,  Roma:  Sind  wir  Psiicholoìiisten?. Per l’empirio-criticismo:  R.  .Ave.narius,  l’hitosuphie  ids  Den- ken  der  Welt  gerndss  dem  Prinzip  der  kleinsten  Kraft- masse.  Prolegomenu  zìi  einer  Kritik  der  reinen  Erfahriing. Leipzig  (Berlin);  Kritik  der  reinen  Erfahriing, 2  voli.,  Berlin;  Der  menschiirhe  Wetthegriff, Leipzig.  SiiirAvenarius  v.  il  saggio  del Wundt  in  Philosophische  Stiidien;  un  articolo assai  limpido  è  quello  del  Delacroix.  A.,  in  Renne  de métaph.  et  de  mor.,  Petzoi.dt,  Einfiihrnng  in  die  Philosaphie  der  reinen Erfahriing,  Leipzig;  E.  .Mach.  Die  Prin- zipien  der  Mechanik  in  ihrer  Entinickeliing  hislorisch- kritisch  dargestellt,  Leipzig;  Die  Prinzipien  der Wàrnilehre  historisch-kritisch  entinickelt,  Leipzig; Die  Anaigse  der  Empfìndiingen,  Jena,  Erkenntniss nnd  Irrtnm,  Leipzig.  Cornelius,  Einleiinng  in die  Philosophie,  Leipzig,  Di  tendenze  alOni,  olire l'Helinoltz  e  il  Kirchoff,  è  IL  Hertz:  v.  l’interessante introduzione  ai  suoi  Prinzipien  der  .Mechanik,  Leipzig. Sulla  fìlosolia  dell’illusione:  .A.  Spir,  Pensée  et realité,  tr.  fr..  Lille;  Esqiiisses  de  philosophie  cri- tiqiie,  Paris. Recentemente  H.  Vaihinokr,  Die  Phi¬ losophie  des  Als  Oh,  Berlin. Alb.  Lance,  Geschichle  des  Mnte- rialismiis  nnd  Kritik  seiner  Bedeiitnng  in  der  Gegenwart, Iserlohn,  Leipzig);  O.  Liebmann,  Kant  nnd  die Epigonen,  Stuttgart;  Znr  Analysis  der  Wirklichkeil, Strassburg;  A.  Riehl,  Der  philosophische Kriticismiis  und  seine  liedeutung  fiir  die  positive  Wis- senschdft,  Leipzig.  Sul k.TnIismo  inatemalico-platonizzunte,  H.  Cohen,  Knnts Theorie  der  Erfahrung,  Berlin;  System  der Phiiosophie:  1  parie:  Logik  der  reineii  Erkennlniss.  Berlin:  EtUik  des  reinen  Willens,  Berlin;  recentemente,  Aesthetik  des  reinen  Gefùhls,  Berlin.  Sul  Cohen  v.  il  recente  fase,  dei  Kantstudien, Natorp,  Platos  Ideenlehre,  Leipzig;  Die logischen  Grundlayen  der  exakten  Natunvissenschoften, Leipzig,  Cassirer,  SuhslanzbegriU  und  Funktions- hegritf,  Berlin. Sulla  lllosofla  dei  valori,  oltre  le opere  del  Lotze  cit.:  C.  Siuwart,  l.ogik,  Tiibingen;  Bergmann,  Reine  Logik,  Berlin,  Win- DEi.BANn,  Reitrdge  zur  Lehre  vom  negntiven  Vrteil  (Slniss- hiirger  Abhundliinyen  zur  Philopophie  E.  Zellers  70  Geburtstag,  Kreib.  i.  Br., ;  Prdiudien,  Aufsatze und  Heden  zur  Einleituny  in  die  Phiiosophie,  Freiburg  i-Br.;  Vgm  System  der  Kategorien (Phitos,  Abhandl.  C.  Siywurt  zu  seinem  70  Gehurtstuge gewidmet,  Tiibingen;  Veber  Willensfreiheit,  Tiibingen;  7,um  Regriff  des  Gesetzes  (Rerirht  iiber den  Intern.  Congress  fiir  Phit.,  Heidelberg). H.  Rickert,  Der  Gegenslund  der  Erkennlniss,  ein  Hei- triig  zum  Problem  der  philos.  Transsrendenz,  Freiburg (Tiibingen);  Zwei  Wege  der  Erkenninistheorie.  In  proposito,  v.  il  cit.  mio  scritto:  L(t  filos.  dei  valori  in  Gemi,  Sullo  storicismo,  oltre  i  saggi  del  Windelbaiid:  \\'.  Dilthey,  Einleitung  in  die  Geistesuiissen- srhaflen,  Leipzig;  P.  Barth,  Die  Phiiosophie  der Geschichte  als  Sociologie,  Leipzig;  G.  Simmel,  Die Probleme  der  Geschichtsphilosophie,  Leipzig;  Rickert,  Die  Grenzen  der  naturwissenschaftlichen  Be- griffsbildung.  Eine  logische  Einleitung  in  die  hislori- schen  Wissenschaften,  Freiburg  i-Br.;  S.  Hbs- SEN,  Individuelle  Kausalitàt,  Berlin,  Sulle  scienze sociali:  C.  Bolglé,  Les  Sciences  sociales  en  Allemagne, Paris,  Simmel,  Einleitung  in  die  Moralwissen- schaften,  Berlin;  Phiiosophie  des  Geldes, Stammleh,  WirtschafI  und  Rechi  nach  der  ma- terialistischen  Geschichtsau/fassung,  Halle,  1896  (Leipzig);  Die  Lehre  von  dem  richtigen  Rechte,  Berlin, Sul  movimento  teologico:  \.  Ritschl,  Die  christliche  Lehre  oon  der  Rechfifertigung  und  Versdhnung, Bonn;  W.  Hermann,  Die  Religion In  Verhàltnis  zum  Welferkennen  und  zur  Sitllichkeit, Halle;  sul  Ritschl  e  il  ritschlìanisnio,  v.  le  importanti  osservazioni  del  Boutroux,  Science  et  religion, Paris, Harnack,  L’essenza  del  Cristianesimo,  tr. it.,  Torino,  Sul  neo-kantismo  in  genere,  v.  la  rivista  Kantstudien,  che  si  va  pubblicando  sotto la  direzione  del  Vaihinger  e  ora  anche  del  Bauch. Sulla  psicofisica,  cfr.  Th.  Ribot,  La psgchologie  allemande  conlemporaine,  Paris. Sul psicologismo  cfr.;  Husserl,  Logische  l'ntersucliungen,  Halle;  F.  Brentano,  Psgchologie  vcm empirischen  Standpunkte,  Leipz. (il  secondo  volume,  preannunziato, non  è  stato  poi  pubblicato).  Th Lipps,  Grundtatsacben  des  Seelenlehens,  Bonn; Leitfaden  der  Psgchologie,  Leipzig;  A.  Meinong, Psgchologisch-elhische  Untersuchungen,  Graz,  Ehrenfels,  Sgstem  der  Wertlheorie,  I:  Allgemeine  Wert- Iheorie.  Psgchologie  des  Begehrens;  II:  Grttndzilge  einer Ethik,  Leipzig.  Intorno  a  questa  dottrina,  cfr.  Orestano,  Valori  umani,  Torino, Wundt,  Sgstem  der  Phitosophie, Leipzig;  Einleitung  in  die  Phitosophie,  Leipzig,  Paulsen,  Einleitung  in  die  Philo- sophie,  Berlin;  Sgstem  der  Ethik,  Berlin, Bergmann,  .Sgstem  des  objectioen  Idea- lismus,  Marburg,  Sul  naturalismo:  E.  Haeckel, A'aturliche  .Schopfungsgeschichte,  Berlin; Die  Weltràthsel,  Bonn;  VV.  Ostwald,  Vorle- sungen  ilber  Naturphilosophie,  Leipzig,  Busse.  Geist  und  Kórper,  Seele  und  Leib,  Leipzig,  Nietzsche,  Die  Geburt  der  Tragodie  aus  dem  Geiste der  Mgstik,  Leipzig;  Als  sprach  Zarathustra,  Chem- nitz,  Leipz.,  1891;  Jenseits  uon  Gut  und  Róse, Leipzig,  Sul  Nietzsche  cfr.  il  saggio  del  Berthelot, pubblicato  nel  volume:  Éuolutionnisme  et  Platonisme, Paris,  Sulla  metafisica  del  Irasccndentc:  R. Eucken,  Geschichte  und  Kritik  der  Grundbegri/fe  der  Ge- genwart,  Leipzig,  pubblicato  per  la  terza  volta  col  nuovo  titolo:  Geistige  Stromungen  der  Geyen- G.  R..  La  filosofia  contemporanea.  wart,  Leipzig;  Der  Kampf  um  einen  geisligen  Lebensinhalt, Leipz.;  Ln  visione  della  vita  nei  grandi  pensatori. Ir.  il.,  Torino;  J.  Volkelt,  Erfahrung  and  DenUen, Hamburg  iind  l.eipzig;  Th,  Lippe,  Naturphilosophie (in;  Die  Philosophie  in  Beginn  des  zwanzigsten  Jahrhun- dert.  ed.  dal  Windelband,  Heidelberg:  manca  nella 1*  ediz.);  J.  Cohn,  Allgemeine  Aesthetik,  Leipzig;  Vo- raussetzungen  and  Ziele  des  Erkennens,  Leipzig,  MCnsterbero,  Philosophie  der  Werle,  Leipzig,  LA  FILOSOFIA  FRANCESE. Damiroji, Essai  sur  la  philosophie  en  France,  Paris;  H.  Taine,  Les  philosophes  frangais, Paris:  F-  Ravaisson,  La  philosophie  en France,  Paris,  Boutroux La  philosophie  en  France  depuis  1867  (3°  Congresso  in- ternaz.  di  flios.,  Heidelberg).  Cfr.  inoltre  VAnnée  philo- sophique.  ed.  dal  Pillon,  e  la  Revue  de  métaphsique et  de  morale,  ed.  dal  Léon. Sull’eclettismo:  V.  CousiN,  Fragments philosophiques,  Paris:  del  Joifproy  il  la¬ voro  più  importante  e  significativo  è  la  Préface  à  la  tra- duction  des  esqttisses  de  phil.  morale  de  Dugald  Stewart, Paris;  Ad.  Garnier,  Traité  des  facultés  de  Vàme, 3  voli.,  Paris,  1852;  Ch.  de  Rémusat,  Essai  de  philosophie Paris,  Sulle  dottrine  biologiche  della  scuola eclettica  c’è  un’ampia  rassegna  del  Saisset,  L  àme  et  le corps  (in  Revue  des  deux  Mondes).  Cfr. intorno  all’eclettismo  in  generale  il  mio  scrilterello: L’eclettismo  francese  {Rivista  di  filosofia). —  Sul  positivismo:  A.  Coiute,  Cours  de  philosophie.  positive,  Paris;  E.  LittrA.  A.  Comte  et SI.  Miti,  Paris,  1866;  La  Science  au  point  de  ime  phiio- sophique,  Paris;  A.  Cournot,  Essai  sur  les  fonde- menls  jfe  nos  connaissances,  Paris;  I  raité de  i’enchainement  des  idées  fondamentales  dans  les Sciences  et  dans  l’histoire,  nuova  ediz.  a  cura  di  L. Lévy-Bruhl,  Paris;  H.  Taire,  De  V Intelligence, Paris  Sulla  metafisica  positiveggiante.  E.  Vache- ROT,  La  métaphysique  et  la  Science,  2  voli.,  Paris, Sui  nuovo  spiritualismo:  F.  Ravaisson,  La  phil.  en Frutice  oìt.;  P.  .Ianet,  l.es  cuiises  fìnales,  Paris; Princiiies  de  métaphysiqtie  et  de  psycologie,  in  2  voli., Paris:  c  una  raccolta  di  lezioni  universitarie,  inte¬ ressante  per  valutare  la  mentalità  di  questo  indirizzo. E.  Vacherot,  Le  nouveau  spiritiialisnie,  Paris.  Cfr in  proposito  il  mio  articolo;  Il  nuovo  spiritualismo  fran¬ cese  iliivista  di  filosofìa).  Per  la  filosofia della  libertà:  Ch.  SéCBETAX.  La  philosophie  de  la  liberlé, Paris.  L’articolo  di  P.  Janct  sul  Sé- cretan,  a  cui  si  allude  nel  testo,  fu  pubblicato  nella Renile  des  deux  Mondes  ristampato, con  una  risposta  del  Séeretan,  nel  voi.  cit.  del  J.:  Psych. et  inétaph. Sul  fenomenismo:  Cn.  Renoi'VIEH.  Es- sais  de  crilique  générale:  1.  Logiqiie,  Paris. Psgchotogie  rationelle,  Paris;  IH.  Princ.ipes  de  la  nature, Paris;  Inlroduclion  à  la  philosophie  ana- lytique  de  l'histoire,  Paris;  La  nouvelle  mo¬ nadologie  (in  collaboraz.  con  L.  Prat),  Paris;  Le personalisme,  Paris.  Cfr.  inoltre  VAnnée  philoso- phiqiie,  ed.  dal  Pillon.  dove  sono  raccolti  molti  articoli del  Renouvier  e  dei  suoi  seguaci.- — J.  .1.  (ìolrd.  Le  phénomène,  Paris;  Les  trois  dialectiques  IReniie  de  mét. et  de  mor.;  Philosophie de  la  religion,  Paris,  Boirac,  L'idée  dii  phénoméne, Paris,  Lachelieb,  Dii  fondement  de  l'in- diiclion.  Illùse  de  doctorat,  Paris;  Psychologie  et métaphysique,  in  Rev.  pliilos. Questo  saggio  è stato  poi  ristampato  in  appendice  alla ediz.  del  Fon- deni.  de  l'induct.;  Kssngs  on  some  unsettled  Questions  of  Politicai  Economo,  Lond., : importante  il  saggio  V,  dove  si  parla  della  dottrina  della definizione.  Bradley,  The  Principles  of  Logic,  Lond.;  Bosanquet,  Logic  or  thè  Morphology  of  Knowledge,  Oxford;  Baldwtn,  Thought  and Things: A  stiidg  of  thè  deiielopment  and  meaning  of thought  or  Genetic  Logic,  London. Sulla  psicologia  dell’empirismo:  Tu. Ribot.  La  psgchologie  anglaise.  Paris. Sull’etica:  Mill.  Utilitarianism,  Lond., dal Frasers  Magazine;  Spencer,  Data  of  Ethics.  Cfr.  Guyau,  La  morate  anglaise  “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer,  First  Principles,  Lond. Sullo  Spencer  cfr.  O.  Gaupp,  Spencer,  Stuttgart.  Sulla  dottrina  della  scienza: Maxwell,  Discourse on  moleculs  Scientiflc  Papers,  ed. Niven: Matter  and  motion,  London;  Clifforb,  Lectures  and  Essags,  London. Sul  prammatismo:  Peyrcb,  How  lo  make  our  ideas  clear  (thè Popular  Science  Monthly;  James,  Principles  of  Psychologu,  Boston;  Will  lo  belieue,  New-York, Grice: “He willed that he was an Englishman; he failed!” ;  The  narieties  of  Religious  Experience,  New-ork  and  London;  Pragmatism: A  new nome  for  some  old  ways  of  thinking,  New-York; Dewey,  Studies  in  logicai  Theory,  Chicago.  Per la  letteratura  sul  prammatismo,  cfr.  il  Journal  of  Philosophy,  Psycology  and  Scientiflc  Methods,  ed.  da  Woodbridge.  Per  l’umanismo,  cfr.  Schiller, Études  sur  l  humanisme,  trad.  fr.,  Paris. Sulla LOGISTICA:  Russell,  The  principles  of  mathematics, Cambridge;  L.  Couturat,  Les  principes  des  mafhématiques,  Paris; Hodgson,  Time  and  Space, Lond.;  The  Methaphysic  of  Experiencei, Lond. Quest’opera  non  è  a  nostra  conoscenza  diretta,  ma  ne  abbiamo  avuto  notizia  da  due  articoli,  l’uno  di  Sarlo,  La  metafìsica  dell'esperienza delTHodgson,  Riuista  fllosoflca;  l’altro  di Dauriac,  in  L’année  philosophique. SulThegelismo  inglese: Stirling, The  secret  of  Hegel,  Lond.; Wallace,  Introduction  to  thè  sludy  of  Hegel's  Hhilosophy  Oxford;  E.  Caibd,  Hegel  (Blackwood’s  Phil.  Classic,)  Edinb.-Lond.;  Baillie.  The  oriyin  and significance  of  Hegel’s  Logik,  London;  J.  MacTaooart,  Studies  in  thè  hegelian  dialfclic,  Cambridge;  Studies  in  hegelian  cosmology,  Cambridge. Di  Green,  cfr.  Introduction  to  Hume's  Treatise on  Human  Nature  (nell’ediz.  delle  opere  di  Hume.  a cura  del  Green  e  del  Grose,  Lond.;  Prolegomena to  ethics,  ed.  da  Bradley,  Oxford.  Sul Green,  PARODI,  Vidéalisme  de  J.  H.  G.,  in  lìev.  de métaph.  et  de  mor. Bradley,  Appearance  and Realily.  d  Methaphysical  Essay,  London. Intorno  alla  fìlosofla  della  religione  cfr. .Newman, Ari  essay  in  nid  of  a  Grommar  of  assent,  Lond.;  l.e dèueloppement  du  dogme  chrétien  par  Breinond,  Paris.  L’autobiografla  del  N.  è  stata  tradotta  col  titolo:  Il  cardinale  Newman,  Piacenza; Tyrrel,  La  religion  exterieure,  tr.  fr.,  Paris; Cairo,  The  euolution  of  Religion,  Gifford  Lec- tures,  Glasgow,  Wallace,  Lectures  and  Essays  on  Naturai  Theology  and  Ethics edito  postumo  dal  Caird,  con  una  biografia),  Oxford. Baillie,  An  outline  of  thè  idealistic  construction  of  Experience,  London. Wabd,  Natura- lism  and  agnosticism,  London; The renlm  of  ends,  or  Pluralism  and  Theism,  Cambridge; Rovce,  The  spirit  of  Modem  Philosophy,  Boston;  The  world  and  thè  indinidual,  New-York, LA  FILOSOFIA  ITALIANA.  Spaventa, La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni  con  la  filosofia europea,  Bari;  Fiorentino,  La  filosofia  in  Italia,  Napoli;  G.  Gentile,  La  filosofia in  Italia, pubblicata  uella    serie  della Critica.  Un  ricco  materiale  di  recensioni,  varietà,  documenti  si  trova  ne  La  Critica,  Rivista  di  Letteratura, Storia  e  Filosofia,  diretta  da  Croce. Sul  Rinascimento:  Spaventa,  Saqgi di  crilica,  Napoli; Gentile,  TELESIO,  Bari, e  Storia  della  filosofia  italiana (Vallardi, Milano);  Fazio  Allmaybh,  Galilei  nella  collezione  del  Sandron:  I grandi  Pensatori),  Palermo. Sulla  posizione  storica  di  MACHIAVELLI  non  è  stata  aggiunta  ancora  una  sola  linea  a  quanto ha  detto  Sanctis  nella  sua  Storia  della  letteratura italiana. Di  BRUNO  v.  la  recente  edizione  dei  Dialoghi italiani  cur.  Gentile:  I.  Dialoghi  metafisici,  Bari;  Dialoghi  morali,  Bari, nella  Collana  di Classici  della  filosofia  moderna,  cur.  Croce  e Gentile).  Su  BRUNO,  v.  Spaventa,  Saggi  di critica,  cit.;  inoltre  La  fìlos.  ital.  nelle  sue  relaz.  ecc.,  e Gentile,  G.  fì.  nella  storia  della  cultura,  Palermo. Intorno  a CAMPANELLA,  v.  le  due  opere  testé  citate  di  SPAVENTA.  Fondamentale  è  il  saggio  d’AMABILE, La  congiura,  il  processo  e  la  follia  di CAMPANELLA, Napoli,  Morano,  e  Campanella  nei  castelli di  Napoli,  in  Roma  e  in  Parigi.  Su  GALILEI, cfr.  il  volume  cit.  di  Fazio. Di  Vico  si  va  curando  una  nuova  edizione  completa  delle  opere  nella collezione  del  Laterza  Scrittori  d'Italia.  Nei  Classici della  Filosofia  moderna  è  stata  testé  pubblicata,  a  cura di  Nicolini,  una  edizione  della  Scienza  Nuova,  con ampie  annotazioni  e  un’importante  prefazione.  Su Vico cfr.  Spaventa,  La  filos.  ital.  cit.;  SANCTIS, St.  della  letter.  it.]  recentemente,  Croce,  La  filosofia di  Vico,  Bari,  e  G.  Gentile,  La  prima  fase della  filosofia  di  Vico  nella  Miscellanea  di  studi  in  onore di  F.  Torraca,  Napoli. Di GALLUPPI,  cfr.:  Saggio filosofico  sulla  critiou  della  conoscenza,  Napoli. Vari  accenni  a Galluppi  si  trovano  nelle  opere  di  Spaventa;  v.  inoltre:  Gentile,  Da  Genovesi  a  Galluppi,  Napoli. A.  Rosmini-Serbati,  Nuovo  Saggio sull’origine  delle  idee,  Roma. Intorno  a  R.:  V.  Gioberti,  Degli  errori  filosofici  di  Serbati, Bruxelles;  Spaventa,  Scritti  filosofici,  ed. dal  Gentile,  Napoli;  Gentile,  Rosmini  e  Gioberti,  Pisa. Del  Gioberti  si  può  vedere  La  Nuova Protologia,  curata  dal  Gentile.,  Bari,  nella Collana  di  Classici  della  filos.,  ecc.).  Cfr.  inoltre:  Spaventa,  Im  filosofia  di  Gioberti,  Napoli;  La  filos. ital.  ecc.;  inoltre  il  saggio  cit.  di  Gentile,  R.  e ROVERE,  Del  Rinnovamento  della  filosofia  in  Italia,  Parigi;  Confessioni  di  un  metafisico, Firenze; Ferri,  Essai  sur  l'histoire  de la  philosophie  en  Italie,  Paris;  Il  fenomeno  sensibile  e  la  percezione  esteriore,  ossia i  fondamenti  del  realismo, Lincei; Bf.htini,  Idea  di  una  filosofia  della  vita,  Torino,  Ferrari,  La  filosofia  della  rivoluzione,  Londra. Sul  positivismo:  Cattaneo, Opere  edite  e  inedite,  Firenze;  P.  Villari,  Arte, Storia,  Filosofia,  Firenze;  Gabelli,  L’uomo  e  le scienze  morali,  Milano;  Angiulli,  La  filosofia  e la  ricerca  positiva,  Napoli;  La  filosofia  e  la  scuola, Napoli;  Ardigò,  Opere  filosofiche. SuIl’A.  cfr.:  Marchesini,  La  vita  e  il  pensiero  d’Ardigò,  Milano. Organo  del  positivismo,  dal è  la  Rivista  di  filosofia  scientifica,  edita  da  Morselli.  Cfr. inoltre  la  Rivista  di  filosofia  e  scienze  affini,  editV  da uno  scolaro  d’Ardigò,  iMarchesini.  Questa  rivista s’è  fusa  con  la  Rivista  filosofica  di  Cantoni  in una  Rivista  di  Filosofia  ed  ha  assunto  un  indirizzo  eclettico. Intorno  alla  filosofia  dualistica:  Bonatelli, Pensiero  e  conoscenza,  Bologna;  Percezione  e  Pensiero, Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze,  lettere  ed arti.  Cantoni.  Kant,  La  filosofia  teoretica-,  La  filosofìa  pratica;  La  filosofia  religiosa,  la  critica  del  giudizio  e  le  dottrine minori,  .Milano,  Acri,  Videmus  in  aenigmate,  Bologna. Sarlo,  Studi  sulla  filosofia,  Roma;  I dati  dell’esperienza  psichica,  Firenze;  inoltre  vari  articoli  pubblicati  nella Cultura  filosofica  da  lui  diretta.  B.  Vahisco,  Scienza  e opinioni,  Roma;  I massimi  problemi,  Milano. Recentemente  V'arisco  ha  pubblicato  un  altro  volume: Conosci  te  stesso,  Milano,  di  cui  abbiamo  parlato neH’Appendice.  Sul  kantismo:  Fiorentino,  ELEENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA GENTILE, NAPOLI;  Masci,  Una  polemica  su  Kant,  l’Estetica trascendentale,  e  le  Antinomie,  Napoli;  Le  forme dell’intuizione,  Chieti;  Il  materialismo  psicofisico e  la  dottrina  del  parallelismo  in  psicologia,  Napoli; Martinetti,  Introduzione  alla  metafisica,  Torino,  Suirhegelismo:  Vera.  Iniroduction à  la  philosophie  de  Hegel.  Paris;  La  logique de  Hegel,  Paris; Spaventa,  La  filosofia  di  Gioberti.  Napoli; Saggi  di  critica  filosofica,  politica,  religiosa, Napoli;  Esperienza  e  metafisica, cur.   Jaia,  Torino-Roma;  Scritti  filosofici,  con  note  e  un  discorso  sulla  vita e  sulle  opere  dell’Autore,  cur.  di  Gentile,  Napoli;  Principi  di  etica,  cur. Gentile,  Napoli;  Da  Socrate  a  Hegel,  nuovi  saggi,  cur. Gentile,  Bari;  La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni con  la  filosofia  europea,  cur.  di  Gentile,  Bari;  Logica  e  metafisica,  cur.  Gentile,  Bari. _ Della  Storia  della  letteratura  italiana  di  Sanctis  è  stata  fatta  testé  una  nuova  edizione  cur. Croce  nella  Collana  Scrittori  d'Italia. Sul  marxismo:   Labriola,  Saggi  intorno  alla  concezione  materialistica della  storia:  In  memoria  del  manifesto  dei  comunisti, Roma:  Del  materialismo  storico.  Dilucidazione  preliminare,  Roma:  Discorrendo  di socialismo  e  di  filosofia.  Roma;  Croce. Materialismo  storico  ed  economia  marxistica,  Palermo. Di  Croce  cfr.:  La  filosofia  dello  Spirito.  Estetica,  come  scienza  dell’ESPRESSIONE e  linguistica  generale,  Palermo,  Bari;  Logica  come scienza  del  concetto  puro,  Bari; Filosofia  della Pratica.  Economica  ed  etica,  Bari;  Saggi  filosofici:  Problemi  di  estetica  e  contributi  alla  storia  dell’este¬ tica  italiana,  Bari,  La  filosofia  di Vico, Bari;  v.  inoltre  la  Critica,  cit.  Intorno  a  questa  rivista  sono  sorte  due  collane  di  testi:  Classici  della  filosofia  moderna,  e  Filosofi d’Italia,  per  l’editore  Laterza  di  Bari.  Di  G.  Gentile,  oltre  gli  articoli  che  va pubblicando  in  Critica,  cfr.:  Rosmini  e  Gioberti,  Pisa;  Il  concetto  scientifico  della  pedagogia,  Roma; Dal  Genovesi  al  Galluppi,  Napoli;  Il  concetto  della Storia  della  filosofia,  Pavia dalla  Rivista  filosofica; Il  modernismo  e  i  rapporti  tra  religione  e  filosofia,  Bari;  L’atto  del  pensare  come  atto  puro,  Palermo, Annuario  della  biblioteca  filosofica. Rimando  all’Appendice  per  la  rassegna  bibliografica degli  scritti. NOTA  BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel  testo  abbiamo  generalmente  rispettato  la  cronologia:  ma  evidentemente,  dove  si  parla di  filosofi  contemporanei,  è  il  criterio  dell’esigenza  di pensiero  che  essi  rappresentano  quello  che  decide  del posto  che  spetta  a  ciascuno.  Lo  stesso  criterio  vale  per ciò  che  concerne  i  vari  periodi  dell’attività  fllosoflca  di uno  stesso  pensatore. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la scuola di Meda --  filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both character development and careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.

 

Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.

 

No comments:

Post a Comment