Grice e
Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di
Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere
encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra
Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e
cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di
Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla
moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi,
verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari
in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma. Nel
mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare
interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già Nerone
fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla
bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per
parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato,
austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava,
per timore, di passare inosservato, tanto più si parlava di lui. Le
chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta
leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava
presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono
colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel
territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente
credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e
parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è
una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle
voci, Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico
della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere
maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro,
una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie
Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a
threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of
Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio.
Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la
natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele – la scuola di Fanza -- filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Pideura,
Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a
GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei
giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera colge
l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da
vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più
strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e
fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo
devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e
nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli
di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di
Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua
abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del
gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale.
Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde
l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e
telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il
baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da
vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica
attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione,
viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento
effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a
760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la II parte. Si dice faentino e tale è considerato
dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua
morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un
secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole
rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero
genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino,
risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R.
prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in
Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il
fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del
padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare
Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne
che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla
Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo
documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare
la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica.
Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei
e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col.
mo Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato
io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra
le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma,
a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do
parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate
in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello
e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi
di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo
prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo
che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e
continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che
ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE
PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo
studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del
Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico,
ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto
mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono
molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la
tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato,
crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE
DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi
va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol
parlare. Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in
un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè
un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un
Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la
penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima
di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto,
d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il
Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per
tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma,
Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita
delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente
la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della
meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De
motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il principio del baro-metro, costruendo quello
che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto
torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che
l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE
SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in
onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di
misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro
illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali
dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da
Torricelli. La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre
associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani
nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con
la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso
Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè
il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso
presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta
ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano. Per il
gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di
Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.
Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi
confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro
fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una
sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò
dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è
scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede,
il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per
la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di
Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della
superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso,
che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio
che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro
singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno
che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel
settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera
una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la
corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente
a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo
riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie
geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco
che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza
del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di
almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche
Registrazione del convegno per lui, Fidio, C. Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca
Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti,
che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio.
Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli G. Rossini, Convegno di studi torricelliani in
occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua
faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Baro-metro di Torricelli, Equazione di
Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. E. Torricelli,
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista
Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The
Swimming-Pool Library
Grice e Rucellai: la ragione
conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta – scuola
fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Crusca.
Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni
meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha
uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò
non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo
ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla
meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli. Quando comincia a comporre i dialoghi presero
persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche
questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo
al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo
fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve
gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano
a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo
gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che
discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti.
Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma
linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo
avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro
e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran
ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio
per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella
sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando
III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato
priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché
lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione
della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di
celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai, Tommaso Buonaventura,
Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca.
BELLA VITA E DEGLI SCBITTI DI
ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
BELLA VITA DEGLI SCRITTI DI
OfiAZIO EICA80LI RUCELLAI
STUDIO CMTICO DEL PROF. AUGUSTO
ALFANI gia alooio del R. Istitnto Superiore di Fireoze. FIRENZE,
TIPOGRAFIA BARBARA. Tia Faenza,
'N« 66. X872. ProprieiA letteraria. Agl' Illustbi Pbofbssobi AUGUSTO CONTI E LUIGI PERKI. Non crediate che io dedichi a voi
questo libro per cerimonia : no ; io 1'
affido invece al vostro patrocinio, come
un padre che ve- dendo il suo caro
figlio sul punto di escire dalla vita
delle mura domestiche, per entrare in
quella pubblica della citta e della patria,
Io affida sicuro a cittadino illustre, onorato, provetto, perche gli agevoli col suo nome
la via, e col consiglio suo Io diriga e
protegga; io Io dedico a voi come cosa
che vi appar- tiene, poiche se io ne fui
1' autore, voi ne foste bene i
consiglieri sapientemente aniore- voli,
que' due che in mezzo alle non lievi dif-
ficolta m' incoraggiaste e mi ajutaste a com- batterle e a superarle. E, anzi, io
posso affermare con sicurta che questo
libro debba M769508 VI AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRl. a voi piu che a me la sua vita, dovendo
io appunto alia vostra scienza, alle
vostre insti- tuzioni e ai voatri
consigli, se datomi agli studj
prediletti della filosofia ho potuto pro-
seguire non vanamente nel difficile cammino e in queste ardue discipline, per le
quali ora meglio che mai riconosco altri
ingegni che non il mio poverissimo esser
richiesti sempre, e particolarmente oggi
che la filo- sofia vera, questa prima
nutrice della ra- gione umana, questa
ultima consolatrice di lei o desolata
dal dubbio, o da' contrasti af- franta
non vinta, e con ogni sorta di mezzi
ingratamente assalita, per sostituire in sua vece una larva pericolosa a cui si da
noma di scienza, e che invero non e
altro se non la cupa e colpevole
generatrice di una Co- mune di Parigi, e
delle negazioni piu spudo- rate e
micidiali coUe quali, sotto i nostri
occhi medesimi, per un falso giudizio di li- berta si permette di insultare
scherzevolmente il buon senso e la
coscienza degli uomini. Siffatti
contrasti ed errori io appena in,-
travedeva (non li poteva discernere chiara- mente) quando negli anni primi della
gioventu. AD AUGUSTO CONTI E LUIGI
FERRI. VII quantunque innamorato della
filosofia, ma- neggiava la riga e il
compasso, e piu per rar gione di metodo
che per intenzione di scelta studiava le
scienze superiori esatte e le na-
tural!, utili quelle, e necessarie queste al filo- sofo che voglia conoscere tutto I'uomo e
le leggi vera dell' universe. lo li ricordo, sapete, quegli anni!
AUora che il velo del disinganno che
ricuopre le malizie umane o non 6 punto
soUevato a'no- stri occhi, o n' e appena
: allora che i pro- blemi e le questioni
piu gravi della filosofia intomo a Dio,
all' uomo ed al mondo le si risolvono
piu col cuore e col linguaggio ma-
terno, giammai ingannatore, che non col se- vere e spesso arido sillogizzar delle scuole
; e tutto ci sembra piano, evidente; e
le risposte piu ardue ci sembrano le
risposte piu naturali, perche appunto
dettate dalla voce infallibile della
natura. In quegli anni le negazioni si ten-
gono e si combattono non come negazioni
vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le
divengano terribilmente reali, e
guastino la sovrana ar- monia tra la
verita e 1' intelletto, ci par le
VIII AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. miglia Montana. Ma pur troppo, andando
in- nanzi, ogni giorno che passa e un
fiore che cade dall' albero delle
illusioni della vita ; e noi scorgiamo
sempre piu farsi reale e tre- menda la
guerra al vero, le sue armonie mi-
nacciate dalla superbia di ragione delirante, e dair odio piu spietatamente beffardo.
E come difficile non esser feriti dalla
punta awelenata del dubbio! come
difficile non ri- manere sorpresi e
colti dalle astute carezze di quella
ingannevole Armida, che si fece in-
trodurre nelle nostre tende a promettere le sue grazie e favori a quei che
disertassero I'antica bandiera, che e
poi la bandiera del- r onesta ! E quanti
restarono a' lacci che tese loro
ambizione ! quanti minacciano di restarvi,
chiuse le orecchie alia voce della loro co- scenza e della verity ! La quale voi, benemeriti, m' insegnaste
a venerare e difendere efficacemente (ed
oh! r avessi imparato bene) colle armi
di non ef- fimera scienza, le cui parole
e i di cui pro- nunziati sentii sempre
lietamente rispondere a' palpiti primi
del mio cuore, a' miei primi sospiri
religiosi, alia voce medesiraa di mia
AD AUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. IX
madre che m' insegnava, dandomene essa la prima e col fatto 1' esempio, ad onorare
Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare
me stesso. La vostra filosofia insomma
sentii essere veramente la filosofia; e
quel prime amore che mi fece cercarla
quasi inconsapevolmente, giovanetto
ancora, pote con voi divenire nel- r
anima mia fortissimo e consapevole, e ad essa
attrarmi potentemente, stupito di tante sue bellezze sublimi, che voi dottamente mi
rive- laste, perche alia mia volta
anch'io, salendo una cattedra,
insegnassi que' medesimi veri, e
scoprissi quelle medesime bellezze e il loro
amore ai giovani intelletti che la patria e la Prowidenza mi avrebbero poscia affidati.
Ac- costandosi a questo ufficio santo e
terribile insieme, non puo 1' anima non
esser compresa di alta trepidazione : si
tratta dell'avvenire di uomini, si
tratta dell' avvenire della pa- tria,
che noi dobbiam preparare. Dedicando a
voi questo libro, io voglio, egregi
professori, darvi pur anco un pegno che
in tale ufficio solenne, nel mio insegna-
mento, seguitero le orme vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi X AD iUGUSTO CONTI E LUIGI FERRI. avro innanzi al pensiero, illustri
propugnatori della verita e del bene. N^ voi, io spero, sgradirete il ricordo
che vi testimonia perenne la gratitudine
mia, ne sdegnerete di conservare la
memoria di me, discepolo vostro, e di
ajutarmi ancora, fatto da voi ad altri
maestro. E cosi legati tutti, professori
e discenti, nel vincolo di reciproco
affetto, i nostri studj e le nostre fatiche sa- ranno benedette da Dio, e coronate dal
trionfo del bene, e dalla prosperita
della patria. Tutto vostro
devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze, l« gennaio 1872. SOMMAEIO DEL VOLUME. Spbcchio begli sceitti bditi e tnbditi di
Obazio Rioa- SOLI RUCELLAT , Pag.
XIX Introduzione 3 Firmamento dei cieli e firmamonto del
pensiero. — Armonie loro. — Orazio
Ricasoli Rucollai e il socolo decimosettimo. — Quegli h specchio delle condizioni di quosto in
Firenze. — E pero si spiega r
ammirazione grande per il Rucellai de' suoi contemporanei. — Divisione generale di questo libro. — Suo
fine e importanza. Capitolo Prima. — Il
Sbcolo Decimosettimo 7 Scrittori del
Rucellai. — II marchese Carlo Rinuccini. — Anton Maria Salvini. — II canonico Domenico Moreni.
— II Tiraboschi. — II Passerini. — II
Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. —
Necessity di ritesser la vita del Rucellai per il proposito nostro. — Difficolt^ pel difetto di docnmenti. —
Condizioni generali del secolo
decimosettimo. — fe un secolo di contrasti politici e morali. — Contrasti nelle arti, nolle lettere, nella
filosofia. Capitolo Secondo, — Dblla
vita di Orazio Ricasoli Ru- cellai
20 Nascita del Rucellai. — Suoi
parenti. — Antichit^ e nobilti delle due
famiglie Ricasoli e Rucellai. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie deir Italia. — I
Ricasoli, i Rucellai ed i Me- dici. — P
erch^ Orazio piucch^ Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de' Rucellai. -- Questi e le
dottrine platoniche. — L' Accademia
Platonica istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. — Intendimenti di questo. — Suoi scritti. —
Platonismo cristiano di lui e de'snoi
accademici. — Si nominano. — Bernardo Rucellai. — Sue qnalita, opere, preg i di esse. — Fa parte dell' Accademia
Platonica. — L' accoglie ne' suoi Orti,
onde essa piglia il nome di Accademia
degll Orti Oricellari. — Figli e nipoti di Bernardo platonici. —
Con- giura contro i Medici, e
sbandamento dell' Accademia. — Gli Orti
XIV SOMMARIO DEL VOLUME. menide
o d* uno eterno. — Anassimandro o dell' infinito. — Necessity deir Infinite. — II finito non e privazlonc
di questo. — Cartesio, o 1' idea dell'
infinito prova della sua realty. — Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. — E questo
secondo argomento il Rucellai tiene per
piiistringente di quello del Cartesio. — Ma si I'uno che I'altro sono argomenti probabili. —
Anassimandro o della luce. — Galileo. —
II Rucellai non nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t-
La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1'
opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. — Platone, la luce e 1' anima dell' universe. — Ma e
tutto un pud easere. — Anassimandro o
de'colori. — Zenone ed altri filosofi. — Si conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di
Socrate. — La fede. Gapitolo Nono, — Esposizionb del timeo di
Platone nk' Dialoghi di Orazio Ricasoli
Rucellai . . Pag. 157 Ammirazione del
Rucellai pel Timeo di Platone. — Opinione e
scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. — Trinie- gisto. — II Rucellai non e dualista, come
Platone. — Fine della creazione, il
buono. — Obiezione e risposta. — Nell'ordine dell' uni- verse si legge il verbo di Die. — Gli
archetipi eterni. — Platone manca della
fede, e pero nell' attinenza di causality tra Die e il mondo cade in errori. — La mente divina forma
di tutte le forme. — La mente umana e le
idee. — Loro natura. — II Rucellai combatte
Aristotele. — Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Die ; ne
Dio e I'anima di esse. — Ma e sua legge.
— Ne I'amere, per se, e anima deir
universe. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — £, pel Rucellai, le Spirito
Santo. Ga/pitolo Decimo. — (Segue) il
TIMEO. Dell'anime razio- NALI 173 Quesiti. — Natura dell' anima razionale. —
Non e particella deir anima universale.
— fe intiera e perfetta da sh, — In che il
Rucellai si discosta qui da Platone. — Spirituality dell' anima. —
Per- fezione maggiore negli spiriti
angelici. — Immortalita. — Argomenti dl
ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione dell' immortality. — Passe di
questo filosofo. — Altre prove d'
immortalita. Gapitolo Decimoprimo. —
Breve cenno sullb aemonichb pro-
poRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli Rucellai 187
Oggetto di questo trattato del Rucellai. — Suono. — Ordine. — Armenia. — Proporzione. — Passo dell' autore.
-- Platone e le SOMMARIO DEL
VOLUME. XV proporzioni armoniche. — II medesimo e il
diverso. — Anco pel Ra- cellai tatto e
armonia. — I tre regni della natura. — L* armonia e ranima univorsale platonica. — II corpo umano
e le armoniche pro- porzioni. — La
materia. — Gindizio del Rucellai sn questa parte delle dottrine platoniche. Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del
trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI
FILOSOFIOI DI ObAZIO Ki- GAsoLi
Rucellai Pag. 199 Importanza di questo
trattato. — Meglio che in ogni altro
scritto del Rucellai si fa qui palese la natura del suo ftlosofare.
— Prove di ci6. — Obiezioni di Epicuro e
risposte. — L*ordine dell'uni- yerso e
argomento del Provvedere di Dio. — Questi e la natura. — Essa non e per al che una voce generica. — II
Case. — Si combatte. — Gli atomi. — Si
nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eter- nity. — Si confuta V accozzamento fortuito di
quelli. — Galileo. — La creazione. — Si
ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eli-
minazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il Rucellai. — Dio non informa il mondo come anima corpo. — V
esempio del sole. — Marsilio Ficino. —
La fedo. — Creazione ex nihilo, — Ragioni pro-
babili. — Ripete V autore : fine della creazione il buono. — II
Vero Bene. — I beni del mondo han
ragione di mezzo, di fine no. Ga/pitolo
Decimoterzo. — {Segue) La esposizionb del trat-
tato DELLA PROVVIDENZA DI OrAZIO RiOASOLI Ru- CBLLAI 218
Dei mall. — Necessity di questi nel mondo. — I veri mali. — La morte non h un male. — E cosl la poverty,
la perdita delle ricchezze, le ingiuste
persecuzioni ec. — I mali occasione e stru-
meiito di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del done della ra- gione. — Sua natura. — Malizia e ragione. —
Libero arbitrio e prc- destinazione. —
Liberti e fato. — Passo dell'Autore su questo punto. -> Epilogo delle probability ragionevoli
intorno V esistenza di Dio provvidente.
— Rifugio nella fede. — Conclusione.
Capitolo Decimoquarto, — Esposizionb bblla psioolooia e della morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di
Orazio RiOASOLi Rucellai 246 II detto di Socrate e quello di Talete. —
Fatti intemi: psi- cologici e moral!. —
Notee te ipeum, ~ Dell* anima in generate. —
XVI SOMMiRIO DEL VOLUME.
Galileo. — fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. — Studio proficuo de' suoi strumenti. —
Notomia. — Proemio del Ru- cellai alia
parte morale. — Qui h aristotelico. — Riepilogo. — La ra- gione ed il senso. — Loro contrarieta nel
riconoscere il bene. — Tre sorte di beni
; dell' anima, della fortuna e del senso. — Apprez- zamento di essi. — La vera scienza morale e
il timore di Dio. — L' anima nmana,
perche ragionoTole, h capace del timore di Dio, e, perd, di virtti. — Anche qui il Rucellai e
mistico. — Operazioni del- r anima e
della Tolonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La vera felicitd,. — tl la vera virtti. —
Stoicismo. — Aristotele. — Virtii cardinali.
— Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tir- tii. — Applicazione delle yirtCi alia societa
umana. — Fine di essa. — Doveri. —
Diyisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno lo donne. — Conclusione. Capitolo Becimoquinto ed ultimo, —
Ossbbvazioni oeitichb SULLA FiLOsoFiA DI
Obazio Rioasoli Ruoellai. Pag. 281
Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del Rucellai. — II professor Palermo ha giudicato
Vlmperfetto imper- fottamente. — Perche.
— Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e
le sue qualita. — Scetticismo. — Tradizionalismo. — Bruno. — Cam- panella. — Galileo e il suo metodo di
osservazione esterna. — I suoi scolari e
TAccademia del Cimento. — Metaftsica galileiana. — Som- mi capi di essa nei Dialoghi dei Maesimi
Siatemi. — II Cartesio e r osservazione
interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. — II sensualismo di Loke. — Eclettismo del
Rucellai. — Suo probabilismo. — Si
provano riandando la sua filosofta. — La seconda Accadomia. — Cicerone. — La fede. — Differenza tra'
iilosofl del Medio Evo e il Rucellai. —
Questi e il Galileo. — Nel metodo 11 Rucellai apparente- mente e moderno. — Perche. — Intende solo
negativamente Taforisma socratico. — Ed
e sempre probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. — E per6 riesce
eclettico. — Breve riscon- tro di tal
fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell* univer- se, e nel Timeo, — Platone, tl Cristianesimo
e Galileo. — Carte- sio. — Teorica della
cognizione. — Teorica del volere. — Liberty e
fato. — Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina- zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e
Cousin. — Aristotile. — Platone. ~
Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtd. — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola
Epicnrea e il Rucel- lai. — Teologia
razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa- dri. — La Fede. — Si conchiude che nello
studio dei tre obietti della filosofia
il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo stile - e la natura de' personaggi ne'
Dialoghi del Rucellai sono un' ultima
conferma della nostra Conclusione.
SOMMARIO DEL VOLUME. XVII
APPENDICE, ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE DI ORAZIO RICA80L1
BdCELLAI. Ottavk. -=— Alia Serenissima
Margherita d'Orleans, Prin- cipessa di
Toscana Pag. 323 SONBTTI 324 Della Gobte e del eigibo di Roma 326 da' DIA.LOGHI FILOSOFICI. ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. — H TimeO. Delle idee 344 Sopra ranima del Mondo 373 Se V Amore sia Y anima del Mondo 379 Dell' immortality delP anima 435 PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A
PsiCO- LOGIA 451 ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. —
Offizi delta facoltd deUa ragione
456 SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E
INBDITI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. Brose edUe, s
CoNTRO I SoFiSTi. — Intomo a' Principj universali della Na- tura, — 16 Dialoghi filosofici che
comprendono i primi tre tomi del Codice
manoscritto, corretto di mano deirAutore.
Quest! pure sono stati pubblicati con una Prefazione del Chia- rissimo Prof. Palermo nel volume III del
Manoscritti Palatini di Firenze, coi
tipi di M. Cellini, 1868, e precedono i noye della Provvidenza.
Della Provvidenza. — 16 Dialoghi filosofici, pubblicati insieme con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia
per cura del Prof. TuRRiNi, coi tipi Le
Monnier. Firenze 1868. — Nove dei quali
Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei
Manoscritti Pala- tini di Firenze, coi
tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana. Firenze. Quattro di questi dialoghi furono pure
pubblicati dal Sig. Ca- nonico Domenico
Moreni, coi tipi del Magheri in Firenze
nel 1823, e che corrispondono a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de' Manoscritti {Trattato della Provvidenza).
E quelli stampati dal Sig. Prof. Palermo
corrispondono al Numero 1-9 de' me-
desimi manoscritti.
Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig. LuiGi FiACCHi nella bella Collezione
degli Opuscoli Scien- XX SPECCHIO
DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e
Letterarj, Volume XIX, pag. 33, e che io ho riprodotto ora per intiero, perch^ 6 per eleganza di
stile e ricc?iezza di concetti moraji
pregevolissimo. DiscoRSO CONTRO IL
Freddo Positivo. — Lo pubblic6 il Canonico
DoMENico MoRENi insieme con altre cose del Rucellai, del Bonaventuri e d' altri, nel 1822 co'tipi del
Magheri. Firenze. — « Questo discorso,
avverte il Moreni nella Prefazione, pag. XIX
e XX, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo Dati dei 6 aprile 1666 a Ottavio Falconieri,
manoscritto nella Magliabechiana alia
pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato
Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva I, fu da lul re- citato in un'Accademia a bella posta fatta in
ossequio e trat- tenimento del famoso
Cardinale Delfino^ che trovavasi allora
di passaggio per Firenze. Eccone di essa I'articolo: — Io mi era scordato di dare a V. S. Illustrissima
avviso dell'Accade- mia. II Sig.
Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a de- sinare, e subito disse di voler partire il lunedi,
sicchd poco luogo restava per fare
Accademia. Sabato sera essendo bene
allindata T Accademia. si fece Adunanza privata, ma pero nu- nierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il
Sig. Principe Leopoldo dalla casa li
vicina del Sig. Duca Salviati, dov'era
alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r Accademia assai galantemente. Discorse
mirabilmente il Sig. Prior Rucellai,
sostenendo che il freddo fosse privazione
di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, man- tenendo il freddo positivo e reale. » Traduzione della Prima Lettera del Libro
primo di Cicerone. — Ad Quintum Fratrem.
—- Trovasi nella raccolta fatta dal Ca-
nonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti del Rucellai, Buonaventuri ed altri; pubblicata
co'tipi del Magheri, in Firenze nel
1822. Di questa medesima parte
de'Dialoghi filosofici del Rucel- lai,
I'egregio Parroco Luigi Razzolini pubblico qualche anno indietro V Argomento e qualche Capitolo, cio^
quello intito- lato: Della Morale; Della
cognizione delVuomo e degli stru- menti
e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV anima razionale, e Degli Officj per la Societd
umana, Se non che ora questa raccolta
non trovasi piii vendibile, Vedizione
essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia
Antologia di cose ine- dite del Rucellai
anche un brano sulla Facoltd delV Anima
razionale, quasi considerandolo come inedito. DI ORAZIO BICASOLI BUCELLAI. XXI Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato
in bcamo del Si- GNOR Desiderio
Montemagni (ossia del Timido) nel 1651. —
Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Colle- zione degli Opuscoli scientifici e letterarj,
Tomo XXI, pag. 59 e segg. — L' autografo
della medesima si trova in un mano-
scritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia appartenuto alia Biblioteca dei Padri Serviti
di Firenze, se- gnato di N« 1422. CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta
nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno 1602,
— Fu pubblicata nel Volume I, parte III
delle Prose Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723. A questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo
Panciatichi fatta la Contraccicalata,
che il Biscioni pel primo pubblico con
ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel pubblico » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si
faceva una le- » zione in burla, che si
chiamava Cicalata ; contra la quale » un
altro Accademico, montato in bugnola, ne faceva una che i» si chiamava Contraccicalata, di cui al
pubblico non c' S se » non questa.
» RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall'
Ornato (Conte Ferdinando Del Maestro),
delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca
a* di 26 giugno d652, — Non ha indicato il Moreni donde la ricavasse per pubblicarla, come face nelle
Prose e rime del Rticellai, del
Buonaventuri e d'altri, Aroomento e
descrizioni prehesse dal Rucellai alla Presa
d' ArgOf e gli Amori di Linceo e di Ipermestra, — Dramma teatrale di Giovanni Andrea Moniglia, parte
prima. Firenze, stamperia Arcivescovile
1689. — Quest* argomento e descrizione
del Rucellai trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche del Moniglia, starapata dalla tipografia
Granducale nel 1689, Firenze; tantoch^
qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Pas-
serini, bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere il Rucellai fatte queste descrizioni in prosa, e
premesse a quel dramma, dedusse
erroneamente esser lui V autore del dramma
stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. —
Sta in appendice ai Dialoghi filosqfici
della Prowidenza che del Rucellai ha
pubblicati il Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e segg. Questa lettera scrisse T
Autore da Varsavia b XXII SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E
INEDITI il 7 maggio 1635, allora che
trovavasi la in qualita d*ainba-
sciatore della Corte Toscana presso Vladislao quarto. Lettehe Fahiliari: a) A Monsignor Giacomo AUoviti, — Lettere
cinque, pub- blicate dal Canonico
Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio
di Lettere d'Orazio Rucellai e di testitnonianze autorevoli in lode e difesa deW Accademia della Crusca,
Firenze, nella stamperia Magheri, 1826.
«Di queste lettere come delle se-
guenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali, dice il Moreni (Ibid. Pag. YIII. Ai benigni lettori) ritroyansi in
Oderzo nella im- mensa epistolare
raccolta con grande studio e diligenza da
pill anni assembrata dal Chiarissimo Sig. Conte Giulio Ber- nardino Tomitano, il quale con quella sua
solita cordialita. che in pochi altri e
si leale, ad un mio cenno, senza por
mente egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece avere di esse una diligentissima copia, da
lui medeslmo fatta, clie in nulla si
discosta dal loro originate. ]> b) A
Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella quale combatte gli atomi frigorifici
positivi, contro i quali ei fece e lesse
pure un discorso neir Accademia della Crusca. Si trova nella raccolta medesima del Moreni di
sopra menzionata. c) A Monsignor
Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. —
Sono 29 lettere nelle quali il Rucellai discorre de*suoi com- ponimenti filosofici a quel patrizio veneto,
che alia sua voita inviava al Rucellai i
proprj. Stanno nella medesima coUezione
fatta dal Moreni. d) A Monsignor
Francesco Redi, — Gli originali di queste
4 lettere sono in uno dei volumi di lettere scritte al Redi, che con gli alUi manoscritti del mcdesimo son
passati alia Biblio- teca Laurenziana.
Le ha pubblicate il Moreni, ibid. e) A
Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei Me-
dicL — Gli discorre del disegno, della disposizione ed ordina- mento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta la
data del maggio 1665, soiitta di villa;
estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla
Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e pubblicata nel suo Avvertimento al volume terzo dei Manoscritti
Palatini di Firenze, da lui ordinati ed
esposti, e dove ha pubblicato pure quei
Dialoghi del Rucellai che ho accennati piu sopra. m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. XXIII Poesie edite. Il Filosofo Rucellai al Filosofo
Magalotti. — Sono trentasei terzine a
mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di
sopra. L*autografo io no so dove
trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^
31-7. VII. sotto il titolo di Poesie
manoscritte di diversi autori del secolo XVII.
Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto.
Trovansi stampate come sopra, COS! la
copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale.
Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli altri, dal Codice Magliabechiano citato, e
comincian cosi: 4) ft Corte albergo di
regi, ove si vedo) (Pag' 141.) 2) « Con
benigne maniere, uniche e sole » (Pag. 142.)
3) «Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente »
(Pag. 143.)' 5) « D'ostro, e d* oro
vestito, e altero il volto » (Id.) 6) «
La bella verita ch* ove s' apprende » (Pag. 144.) 7) a Che il reo costume a volo erger si
scerna » (Id.) 8) «Dunque tema non ha
chi di natura:^ (Pag. 145.) 9)
(icRagion che intenta a' maliziosi modi» (Id.)
10) ((Quella, che scende dall'Empiree soglio) (Pag. 146.) 11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge»
(Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel
cielo » (Pag. 147.) Non potersi
comprendere Iddio che con la fede, quani'unque
L* OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. — Sono dodici Sonetti, pubblicati dal
signor Fiacchi, nella collezione degli
Opuscoli scientifici e letter ari. Firen-
ze 1816, volume XXI, dalla pagina 68 fino alia 74. Non sono stati estratti dal Codice Magliabechiano
intitolato Poesie Mss, di diversi
autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che si trovano tra quelli editi dal Fiacchi, e
quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO
DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI quel
Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati: ma b pill che probabile siano stati tolti
dalF original e, che si conserva presso
gli eredi. Questi sonetti incominciano:
1) c Oltre i Gonfin de' miseri raortali » 2) ft Nella piu cupa eternita si ascose
)» 3)
4) dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel rapia » SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena
de'Pazzi. — Tre Sonetti, stampati nella
Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi
essi non so di certo; credo, al solito, nella biblioteca privata degli Eredi. Una copia d nella
Magliabechiana, ora Nazionale, nel
Codice Manoscritto No 347. VII. col titolo di Poesie mano- scritte di diversi autori del secolo XVII.
Incominciano : 1) II quarto, pubblicato col quinto, come s' 6
detto, dal Ore- scimbeni,
incomincia: «c Nel giorno che costei si
bella nacque » II quinto : « Quella che dal mio cor non parte mai
» Felice annunzio a una lettera
amorosa. — (Vedi Moreni. ibid., a c.
140.) cc Vanne, che serbi i miei
pensieri ascosi » XXVI SPBCCHIO DEGLI
SCRITTI EDITI E INEDITI Si detestano
gli abusi del seoolo.— (Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c. 140.)
« Vasti flutti solcai di speme iniida »
VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. — SonC^to, ibid. Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta
fugace» In risposta a un sonetto morale
del Graziani. — Sonetto, ibid., a c.
136. «Non toglie i pregi al cielo e non
depreda)> La Divina disposizione
sempre giovevole, anche talora paia il
OONTRARio. — Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce
i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver
recesso » Stimoli di penitenza destati
nella volontA non aiutata da' sen- si. —
Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II primo verso e: « Occbi piangete. Mirerovvi ancora » Suo AMORE DA VECCHio. — Sonetto della
Tramoggia, a cui fece la censura il
Dati, e che fu pubblicato dal Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli scientifici e letterari, pag. 64.
Incomincia: «Ardo bencb'abbia il crin
canuto gelo» Non si ritrova manoscritto
nel Godice Magliabechiano sopra citato,
n6 1' ho potuto trovare altrove. L' autografo poi sari, come degli altri, nella Biblioteca degli
Eredi. Prose inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio
Ricasoli Rucellai. — Gia sappiamo di
essi quali son pubblicati. Or qui pongo il conte- nuto de* quattro manoscritti (cio^,
Magliabechiano, Palatine, e 1 due codici
della Biblioteca Ricasoli) avvertendo subito che DI ORAZIO RICASOLI RTCELLAI. XXVII le Villeggiature Albana e Tiburtina non si
ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia).
— £ un volume in-4o slegato, di pag.
788, senz' indice, e in carattere minutissimo.
Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi in- torno a' principii naturali delle cose, (16
Dialogbi); T esposi- zione del Timeo di
Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito
quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49
Dialogbi. Codice Manoscritto, anch*
esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono
nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme Rucellai in frontespizio.
Erano per 1' in- nanzi di propneta della
signora Maria Settimanni, moglie del
signor marcbese Dante Catellini Da Oastiglione, e da essa gli acquisto poi il signor Vincenzo Follini
Bibliotecario, a'di 26mag- gio 1815.
Questi Dialogbi sono dedicati al signor marcbese Co- simo Da Castiglione. Questo codice contiene i Dialogbi su i
principii naturali deir universe (16)
come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della
Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia
indicazione e numerazipne dei
Volumi. 1» Codice Manoscritto della
Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son
dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma
cor- retta e leggibilissima. Comprendono
in 1° i Dialogbi sulle opi- nioni dei
filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' uni- verse (16), poi la Provvidenza (16 Dialogbi),
indi il Timeo, (15 dialogbi)
Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeg- giatura Albana, (2 dialogbi e il Proemio)
ossia ai Dialogbi deir Anirna, della
Notomia, e per ultimo, alia Villeggiatura Ti-
burtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due Argoraenti e due Dialogbi). Questo Codice fu rivisto e
corretto da Anton Maria Salvini. 2" Codice Manoscritto in detta
Biblioteca. — Puo considerarsi come
I'autografo, percb^ corretto di mano dell' Autore. Son 14 volumi in-4o, legati essi pure in pelle, e
scritti sufficiente- mente bene. Qui
I'ordine ^ alquanto diverse; imperoccb6 i
Dialogbi della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e 9, ciofe dope quelli della Filosofia
naturale antica, (16 Dia- logbi) e il
Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume senza Dumero col titolo di Musiche proporzioni, (9
Dialogbi) e cbe XXVIII SPECCHIO DBGLI
SCBITTI EDITI E INEDITI evidentemente
va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due
Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi) e Tiburtina come nel Codice antecedenteraente descritto.
(Proem., 2 argomenti e 2 dialoghi). —
Per piii ample notizie veggasi il mio capitolo
intitolato Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli Rucellai, PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. —
Libello del Stg. PHoT Orazio Rucellai.
— Una copia di questo scritto inedito fu da
me ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete nissuno
fin qui avea fatto parola, forse perchfe
sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo
r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice. DiscoRSO SULLA FoRTUNA. — Lo lesse il
Rucellai in una Adunanza tenuta dall'
Accademia della Crusca ai 20 febbraio 1654, in
onore del Principe Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Sve- zia, come risulta dal Diario del Buonmattei.
£ inedito presso gli eredi, e penso che
sia quelle incorporate tra' Dialoghi filo-
sofici nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della Filo- sofia Morale. Le lodi di San Zanobi, Vescovo, protettore
dell' Accademia DELLA Crusca. Discorso
recitato dal Rucellai in un' Adunanza
solenne che detta Accademia celebro in onore di quel santo, nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come
ricavasi a pag. 89 e segg. del Diario di
Benedetto Buonmattei allora segretario.
£ inedito presso gli eredi, ma da me non potuto leggere. Invettiva contro il collega Tommaso Segni.
— Anco questa e inedita presso gli Eredi
; ne ho potuto consultarla, e solamente
ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa menzione il Moreni, a pag. XVI della sua
Prefazione alle Prose e poesie del
Rucellai, Buonaventuri ed altri.
CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di essasitrova nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158,
ed un' altra nella MagUabechiana Codice
Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con
altra del figlio Luigi Ricasoli Rucellai. Trovasi pure nella Pa- latina*
m OBAZIORICASOLI RUCBLLAI. XXIX
Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita il signor LuiGi Passe- RiNi nella sua Genealogia e Storia della
Famiglia Ricasoli. Firenze, Tip.
Cellini, 1861, dove discorre di Orazio Rucellai, a pag. 86, e che dice pubblicato a Firenze
nella Raccolta delle Prose fiorentine,
parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma
io non V ho rinvenuto, e percio ritengo come inedito anche esso nella Biblioteca degli Eredi. ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR
OrAZIO RiCASOLI Rucellai, nella stia
Ambasceria di Corte Cesarea e di Po-
Ionia dal principio di gennaio al giugno 1635. — Questa rac- colta con le lettere del suddetto Rucellai, e
delle quali ne pub- blico una come
saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Ar-
chivio degli Eredi; e pero non potute esaminare da me. Lettere Familiari — Sette di queste
indirizzate al suo Serenissimo Principe
trovai in una cassetta nella Biblioteca Palatina, che a^eva per titolo Autograft Italiani, Non
hanno soprascritta, c furon levate, come
molte di altri uomini illustri, dair Archivio
centrale di State, nella occasione della Gran Raccolta de'roa- noscritti Galileiani e degli Accademici del
Gimento. Altre tre Lettere inedite da
me ritrovate nel carteggio uni- versale
mediceo, Filza 1013, Anni 1631-1641, dirette al Granduca Ferdinando II dal Rucellai, di Roma, negU
anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita
di Orazio Rucellai rinvenni nella Filza
Medicea, dal 1640 al 1650, pacco 2°, datata da Roma li 24 lu- glio 1649, e colla quale ei domanda al
Granduca nuove dila- zioni per la
Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias 5488). Poesie medite. L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che
era il signor Prior Orazio Rucellai,
dopo aver cenato alio stravizzo fatto dalla me-
desima Accademia, presenta un meraoriale ai Provveditori della Gena, chiedendoli il solito tribute del
Cacio. Sotto questo titolo dice il
signor Passerini che si trovano
pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana, nel solito
Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO
DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI 347, e
comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare stainpate, e per do le ho
poste qui tra le inedite. Alla
Serenissima Margherita d* Orleans, Principessa di Tosca- NA. — Per un maizolino di fiori donatole il
giortio di Santa Margherita, dal Stgiwor
Prior Orazio Rucellai. — Sono in co- pia
quattro Ottave che si trovano nel solito codice magliabe- chiano sotto il titolo di Poesie manoscritte
di diversi, del se- colo XVII, YII, 347,
pag. 198. In morte oella donna amata. —
Un Sonetto inedito che trovasi con altri
editi nel medesimo Codice Magliabechiano YII, 347. Poesie di diversidel secolo XVil a pag. 208
e;209. Incomincia : « Quello che sola
ai miei pansier risponde » Amor
Platonico. — Sonetto, ibid, a c. 213. «
Non di vostra beltk caduca e frale >
Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico che Dio creasse le anime particolari degli uomini,
degli avanzi dell'anima UNIVERSALE DEL
MONDO. — Sonetto, ibid, a pag. 214 che
comincia: « Con eteme faville il sommo
Sole » Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI
GLI OCCHI DELLA sua DONNA. — Vedi
ibid., a c. 212. Incomincia questo Sonetto:
« Orabra il sonno d di morte, i sensi atterra » Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti
inediti, ibid., che fan corpo cogli
altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano : 1) ((Come aguzza il gran fabbro, e con qual
lima)) 2) « Se alla ministra del Motor
Sovrano )) 3) (( Nasca talun senza
mirar la luce )» Desiderio dell'anima
d*unirsi a Dio,— Sonetto, ibid., a c. 218.
Comincia : « Padre del ciel che
le bell* alme accogli t> DI OBAZIO
RICASOLI BUCELLAI. XXXI Nel Codice
Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli VIII. Var. 363, si trovano
scherzi immorali del RuCELLA.1. Come
pure neiraitro Codice superiormente ci-
tato se ne trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro Imperfetto.
Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi del Rucellai trovansi ricopiati pure in altri Codici manoscritti
come p. es. nel Libro Valerii
Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e nel Codice Ma- gliabechiano, 6, II, III, 209. DELIA VITA E DE6LI SCRITTI DI
ORAZIO RICASOLI RUCELLAI, Introduzione. SoMMARio. — Firmamento dei cieli, e
firnianionto del pensiero. — Armonie
loro. — Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo decimosottimo. — Quegli e specchio delle condizioni di qaosto in
Firenze. — E pero si spiega r
ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. — Dirisione generale di questo libro. — Sao
fine e importanza. Come accade nel
firmamento dei cieli, cosi, o let- tore
benevolo, mi sembra accadere nel firmamento del
pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi regnare nelF ordinata misura de' corpi
celesti non dis- somiglia punto da
quest' altra armonia che le idee, o le
stelle dell' anima, compongono tra se nel loro or- dinamento stupendo. Ond' ^ che in quella
guisa me- desima che anco un astro il
piii piccolo, 1' occhio deir osservatore
de' cieK scopre ed afferma talora ne-
cessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non al- trimenti nella storia del pensiero umano
sovente uno scrittore, un filosofo, pur
de' non grandi, lo ritrovia- mo,
studiandolo, quasi anello logico, se non necessario, tra due etd. e du§ scuole che si succedono,
tra' filosofi maggiori di quell' et^
stessa. Cosi, per esempio, in un tempo
di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^
un uomo il quale specchi in se nella
loro schiettezza i pensieri e le
disposizioni diverse della societa civile in mezzo alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia
la immagine vera di que' contrast! che
ingegni piii chiari e piii va- 4
IKTR0I)U2I0NE. lorosi di lui allora
combattono; quest' uomo, anco de' non
grandi, acquistera senza dubbio per tal fatto
importanza non lieve nella storia del pensierq e della civilt^, perch^ appunto ei potra nella Storia
rappre- sentare veramente il suo tempo ;
egli, se vogliamo con- servare il
paragone, sara un anello logico di quel si-
stema di astri intellettuali che compongono Y armonia spirituale dell' universo. Potrei, volendo,
recar qui per la mia asserzione
testimonianze storiche a dovizia; ma non
lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che notissime cose, e cadrei nel superfluo. Orazio Ricasoli Rucellai, del quale imprendo
a di- scorrere, non ^, giova dichiararlo
tin d' ora, un gigante tra' pensatori, e
neppur grande ; egli 6 un astro minora,
e nulla pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran forza speculativa e una potenza straordinaria
d' inge- gno. Forse egli era nato uomo
di alti spiriti ; ma infetto anch' egli
di quel miasma ond'era ammorbata la filo-
Sofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a
sofifrire; poichd, come scrive il Guasti
nel suo Lorenzo Panciatichij era il
pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato. E appunto, credo, perchd il Rucellai ci
apparisce cosl e nella filosofia e nelle
lettere; appunto perch^ respird
que'miasmi, e le inclinazioni diverse del suo
tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi scritti ; io son d' avviso ch' egli acquisti
per noi pitl im- portanza come quello
che valga a rappresentarci fe- delmente
quel secolo nel quale fiori, e riproduca le con- dizioni reali del pensiero filosofico e del
civile consorzio in mezzo al quale
viveva. E se questo d vero, come in
progresso dimostrero, la cagione e ragione della stima e ammirazione grandissima de' suoi
contemporanei, che lo ritenner quasi
come un mezz' oracolo, ^ spiegata e
INTRODUZIONE. 5 almeno in parte giustificata. Come Orazio
Rucellai, cosi quel valenti eruditi
contemporanei sentivaao dentro di se
ripercosse le molteplici disposizioni del tempo, e tutta la violenza delle correnti contrarie
che urtavano per trascinare ciascuna
seco la navicella delle lor menti. II
Rucellai, che ^ alia testa di loro, vuol dominare la furia de' corsi, e in parte riesce ; ma
poi quasi in- consapevolmente ei segue
cogli altri or questa or quella fiumana;
egli e come un prisma sulle cui faccie
riflettonsi i colori molteplici dell' iride filosofica di quel- r et^. Egli e insomma il rappresentante del
suo tempo in Firenze, perch^ raccoglie
in s^ stesso tutte le opinioni opposte
che v' erano allora e tenta conci-
liarle; e, altresi, perche questa conciliazione ha pitl del- r accademico che dell' intimamente
speculativo ; specu- lazione che, salvo
le scienze naturali, era molto fiacca a
quei tempi nella sua patria. Dimostrato
questo, apparir^ anco pitl quella impor-
tanza che a me sembra avere questo libro, come quello che avr^ mirato ad aggiungere un po' di luce
alia storia del pensiero di quel secolo;
a presentare un tra- passo anco pitl
intimo tra due et^ che si succedono. E
per arrivarvi, nulla di meglio che gettare uno
sguardo al viver civile del secolo decimosettimo, esa- minarne attentamente le condizioni politiche
e morali, vederne lo stato delle lettere
e delle scienze; poich^ tutti insieme
questi risultamenti dell' attivit^ umana, e
non tra di loro sconnessi o separati, valgono a rappre- sentarcela. Noi considereremo quindi il
Rucellai in quello stato de' tempi suoi,
e vedremo come la sua vita vi si svolga,
e nelle varie manifestazioni a quelli esatta-
mente risponda. E man mano che la critica seguir^ la esposizione delle sue opere filosofiche e
letterarie, delle quali stimo opportuno
ofifrire come appendice e docu- 6
INTRODUZIONE. mento al libro una
Antologia^ avremo occasione di veder
cose singolari e di non lieve importanza. Con
questo mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia della
filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto
sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto
del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a strin- ger viepitl i legami del pensiero fra due
epoche della filosofia, e di avere
additato come unione tra esse un mio
illustre concittadino. Orazio Kucellai,
lo ripeto, non ^ un ingegno straor-
dinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo. D'altra parte le menti straordinarie,
appunto perche tali, volano sempre
innanzi al lor secolo, supe- rano coi
loro intendimenti le condizioni de'contempo-
ranei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori, fiorente il Rucellai, non
rappresenta quel se- colo, perche ancora
dominava 1' inquisizione, e le anti- che
scuole e le dispute del Peripato fiaccavano Tali agli spiriti ; Galileo rappresenta,
inaugurandola, 1' eta futura, le future
generazioni, quando la liberta del
pensiero avr^ rotto i vincoli della servitii, e I'astro- logia ed il Sarsi e il cieco discepolato
avran dato luogo al libero esame della
ragione. L' uomo che pure non sordo
alle sublimi dottrine del Vecchio d'
Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse,
dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando,
secondo 1' er- rore di alcuni dell'et^
sua, egli reputera ostili fra loro la
fede e la ragione, sara pronto per la fede di
far getto della ragione sua, piuttostochd investigarne con libero esame 1' accordo, questi, non
grande ingegno, sar^ del suo tempo la
immagine. E Orazio Rucellai ^ senza
dubbio quest' uomo. I Capitolo Primo. IL SECOLO DECIMOSETTIMO. SoMMABio. -- Scrittori flel Rucellai. — II
marchese Carlo Rinnccini. — Aoton Maria
Salvini. — II canonico Pomenico Moreni. — II Tirabo- schi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II
Mamiani e il Centofanti. — Necessita di
ritesser la vita del Rucollai per il proposito nostro. — Difficolta pel difetto di docnmenti. —
Condizioni generali del secolo
decimosettimo. — fe un secolo di eontrasti politici e morali. — Contrasti nelle arti, nelle lettere, nella
filosofia. Che han scritto del
Rucellai sono varj, contempora- nei a
lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la vita deir uomo ne scrissero o lodi, o cenni
necrologici, o per la scienza ne toccarono
di sfuggita. II marchese Carlo
Rinuccini, accademico della Cru- sca
sotto il nome di lAetOy disse le lodi del Rucellai nel- r Adunanza pubblica che in onore di esso fu
fatta nella sala terrena del palazzo del
duca Strozzi, a'di 11 set- tembre 1698,
e ce lo riferisce il Diario stesso delFAc-
cademia, ove leggesi : Quest'
elogio perd non e a noi pervenuto,
ossivvero sar^, come tant'al- tre cose
di importanza maggiore, sepolto in qualche
libreria privata de'nostri Signori fiorentini. L' Orazione in morte del Eucellai scritta da
Anton Maria Salvini, non d che una bella
sequela di lodi del- I'uomo e dell'opere
sue, un rimpianto solenne per la perdita
dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo
scrittore jpropone ad esempio imitabile di virtii e di dottrina. H canonico Moreni ha discorso
dell'Imper- fetto nelle prefazioni a quella
parte di scritti che ha pubblicati di
lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano
a darci un' idea dell' uomo, non valgono a mostrarcelo, come vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e
molto meno ci chiariscono del come e del
quanto quei tempi potessero sulla vita e
sulle dottrine di esso. Cosi il
Tiraboschi nel volume ottavo della sua Storia
delta Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6re- nealogia della famiglia Ricasoli, e il prof.
Turrini nella sua Prefazione ai JDidoghi
Filosofici del Rucellai sulla
Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi a mo' di biogralia, per guisa che anco in
essi 1' atti- nenze dei tempi colla vita
e coU'opere letterarie e scientifiche
del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade
di rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti han toccato del platonismo di questo seguace
ed amico del Galileo, ma Than fatto di
volo, encomiandone la purezza del
dettato e la ricchezza feconda dell' idioma
sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per 1' intendimento
loro, questi cenni o que' tratti bastano
all' uopo, n^ pud da' lettori ricercarsi
di piii. Ma 'per il fine che mi sono
prefisso, apparisce al- IL SECOLO
DECIMOSETTIMO. 9 tresi manifesto come
sia cosa necessaria il ritessere piil
completamente la vita di lui, per quanto mi d oggi concesso. Dico cosi, imperocche molti
documenti pre- ziosi, che potrebbero
assai illuminare questa storia e la
mente del critico non mi ^ stato eoncesso di esa- minare.
Non parlo qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due
copie, una delle quali, in quattordici
tomi manoscritti, ^ come autografo,
perch^ corretta di mano del RuceUai; che
questi Dialoghi anzi mi consent! (e glie ne rendo pubbliche grazie) di esaminare minutamente
per con- frontarli coUe copie che sono
nella Biblioteca Nazio- nale e Palatina
in Firenze ; ma io alludo ad altri do-
cumenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori che si trovano altrove
sventuratamente, e che tanto lume
avrebbero potuto recare al soggetto.
Non pertanto cercheremo nel tessere questa bio- gralia del RuceUai di riempire, quanto e piii
possi- bile, il vuoto che la mancanza di
documenti lascia, con indagini
indirette, e col raziocinio; e quelle che
abbiamo tra mano bastera, credo, all' intento. Ma prima di seguire il nostro scrittore nella
via della 8ua vita, penetriamo un
istante nel consorzio in cui egli
fiorisce, e ricordiamone intanto i caratteri e le quaUt^ pill generali, ch6 le particolari
noteremo via via procedendo. I ricordi
del passato quando non si restringono a
una cronaca arida e secca acquistano un
pregio indipendente daU' importanza degli avveni- menti che ci rammemorano. Come il piil
piccolo vaso e r utensile piii umile
coperto dalla ruggine del tempo
diventano ne' nostri musei 1' oggetto prezioso di una grande curiosity ; cosi f atti pur semplici,
ritrovati nella distanza dei secoli col
loro carattere reale e native, 10
CAPITOLO PRIMO. acquistano un pregio
singolare, e anche un certo at-
traimento per colui che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che
nelle sue ri- cerche e letture ha per
canone e guida la massima morale di non
ritenere per indifferente nulla di cid
che 6 umano. Che ^ mai pertanto
il secolo decimosettimo? Si dice
generahnente che esso appartiene all' et^ moderna; che la servitil del Medioevo e scomparsa; che
la imi- tazione del Rinascimento ^
tramontata : Bacone, Car- tesio, Galileo
sono apparsi di gia suir orizzonte, ed
hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero, ma solamente in parte ; imperocche essi,
sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo
del pensiero nubi ancor dense, e questo
non fanno ne posson fare in un attimo, sib-
bene gradatamente. Le inveterate abitudini, le antiche affezioni, le tendenze ormai radicate non si
cancel- lano, non si mutauo a un tratto;
ci vuole la espe- rienza longanime, si
richiede un conllitto inevitabile tra il
vecchio ed il nuovo, che trovansi Y uno dinanzi
aU' altro. Ed ecco il perche, non altrimenti che nella natura accade, cosi uell' ordine storico del
pensiero e dell'azione e sempre vauo
cercare quelle divisioni recise che si
trpvano nelle matematiche. Si direbbe
che la storia del pensiero e un sorite, in cui ogni conclusione posteriore ritiene a suo termine
medio e necessario la conseguenza dell'
argomento immediata- mente
anteriore. Ed infatti il secolo
decimosettimo, a chi ben lo riguardi in
s^ stesso e nelle manifestazioni di ciasche-
duna delle molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io
parlo dell'Italia principalmente) scissa
in molte parti, e pero debole; deboU
adimque ordinariamente anco gli animi, o forti IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 11 di fortezza apparente e non propria: essa, T
Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a
guerre tra' grandi prepo- tenti,
riaperta ad armenti stranieri, come terra di
pascoli eletti. Principi italiani, mentre la madre comuue era in servitii, non pure non amare di unirsi
in lega tra lore, travagliarsi invece
tra loro stessi con inganni e veleni per
mania di possedimento. Amore di guerra,
gelosia di acquistare territoriuzzi italiani a danno di principe italiano compagno; non generosity,
non altezza d' animo, non dolce superbia
di procurare od almeno di preparare all'
Italia quell' onorata condizione che al
suo glorioso nome si conviene, regnavano in quei tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag.
620.) Quivi le successioni de' principi
hanno luogo rapidissime, e cosi ad ogni
istante I'ltalia ci presenta un aspetto
nuovo, mentre si trova costretta a sottostare a idee nuove, a nuovi capricci de' suoi principi
nuovi. In meno di'settant' anni tra
duchi, dogi, papi ella ne vede sorgere e
sparire novanta, e insieme ad essi vede
sparire e risorgere contrasti a dismisura; e se per un momento arride U sereno della pace, gli ^ per
rendere agli occhi degli uomini piil
fosco il tempo di gara che ne succede.
II gran politico e gran raggiratore del
decimoterzo Luigi favoreggia intanto il duca di Nevers 6 lo vuole ad ogni costo porre in possesso di
un' ere- dita, la quale assicura alia
Francia il punto piil con- siderevole
dell' alta Italia. La Germania, la Spagna ed
anche Carlo Emanuele gli muovono contro, e nel 1630 la terra di Mantova e posta a sacco dagli Spagnoli. Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e
il Mon- ferrato rimangono al duca di
Nevers; Alba, Torino e alcune altre
terre alia Savoja, la quale alia sua volta
^ costretta a cedere Pinerolo. Ma Richelieu non h sodisfatto; egli vuole stremata la potenza d'
Austria e 12 CAPITOLO PRIMO. di Spagna, in Italia precipuamente ; e
contro la Ger- mania presta ajuti a
Gustavo Adolfo di Svezia, con- fisca la
Lorena, e, collegati essendo la Francia, la
Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi
prediles- sero sempre la pace, trovossi
pure travolta nella comune ruina; e se i
primi anni di regno scorsero a Ferdi-
nand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della fame, non mancarono poi a turbarlo gli
orrori, non gravi meno, della guerra contro
i Francesi prima, poi contro Urbano
VIII, che pari al Cardinale di Francia
nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire
i Barberini suoi nipoti, vuol togliere ad Odoardo Far- nese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj
di Castro e Ronciglione. E mentre in
Roma trattasi legalmente la faccenda, il
cardinale Barberini assalta il feudo di
Castro, e se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese, passa col suo esercito, per la Toscana, negli
Stati del Papa, e sparge dovunque
spavento e terrore. Ferdi- nando II,
riuscitagli vana una conciliazione, trascinato
dalle insolenze de' Barberini e dalle controversie onde tormentavalo la corte di Roma, si mette in
punto di guerra, e per f arsi sicuro
all' interno, esilia quanti re- ligiosi
ed ecclesiastici vi sono nativi delle Romagne,
e col cognato sconfigge le armi del Papa, il quale cede alia forza e al diritto, restituendo al
Farnese il ducato. E cosi di questo
passo per tutto il secolo e per tutta la
Italia andarono le cose; e i popoli si vendevano, e si lasciavano vendere quantunque se ne
dolessero, mentre e dissensi e contrasti
e debolezze e frodi e vilt^ co-
stituivano allora la totality di quel fantasma volubile che si chiama anc'oggi politica. E di
tal fatta, e non altrimenti, le condizioni mo-
rali. Che, pur restringendoci alia Toscana, noi vediamo IL SECOLO DECIMOSETTIMO. 13 i suoi principi altalenare tra il bene ed il
male conti- novamente. Or ligi alia
Spagna, or al Papa, or ai frati, or aUe
cortigiane; e Ferdinando 11, uomo prudente, ma non sempre coraggioso, cade nella pusillanimity.
E mentre dianzi ti si mostra superiore
alle minaccie del governo di Roma, vedi
poi che lascia, durante il suo regno, radi-
care negli ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdi- zione politica, pel quale vanno in breve
vieppiii sper- dute le antiche
consuetudini deUa repubblica, e le
ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell' Inquisi- zione abbandonare il disegno di erigere un
monumento a Galileo. E nel medesimo
tempo (come vedrem--o poi pill
particolarmente) ama e protegge gli studi, colti- vandoli, e in essi trova conforto o
distrazione agli affanni politici e
famigliari; e a chi gli dimostra come,
facendo egli ammaestrare il popolo, sarebbero
venuti a mancare artigiani e servitori, risponde com- piacersi assai piii d' esser principe d'
uomini che di bestie. Che se dalle Corti si viene a' nobili e si
scende al popolo, noi assistiamo a'
contrasti medesimi, alle me- desime
scene di discordie, di debolezze, d' immorality. Ogni privilegio ^ pe' nobili, oppressione 6
pel popolo; inani per i primi le leggi,
eccessivamente rigorose al secondo*;
impedito il popolo di portar armi, padrone
di cingeme quando e quant' e' vuole il signore e di ac- cerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi
d'insolentir sopra i deboli. Indi le
vendette, i tradimenti, e quella
riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza
grandensea, pas- sionata senza
generosita, dove niuna esaltazione, ma
ragionamento e calcolo e frode e intrighi indecorosi predominano. E pjsrfino nel vestire servility
e contrasto di gusti si fanno palesi.
Sono state tante (dice il Ri- 14
CAPITOLO PRIMO. nuccini ne'suoi Bicordi
Storicl) le vanita del vestire che in
questo secolo sono seguite, che si rende impos-
sibile di poterle non solamente narrar tutte, ma anco la maggior parte di esse: tuttavia non lascia
egli di notarne qualcuna, prima degli
uoraini, poi delle donne ; dopo di che
in generale ha detto, che E quest'
eclettismo esteriore era non altro se non
un riflesso dell' interno eclettismo e contrasto di quelle menti e di quelle volonta, sicch6 i
medesimi uomini, come, per esempio, il
Rucellai nostro co' suoi amici, avresti
veduti a un' ora portare impettiti e gravi
il vestito ricamato di seta nera e con frange e con nastri rasati, ad un' altr' ora coraparire al
pubblico in farsetto e in pianelle. N^
poteva essere a meno che accadesse
quella volubility e imitazione servile delle
mode di Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti quegli animi del pensare francese. Imperocch^
le guer- re, la letteratura e le dispute
clericali di quella na- zione occupavano
gi^ gl' intelletti italiani; e il nostro
paese che, come nota il Guasti, aveva mandate Leo- nardo e r Alamanni a portar suUa Senna le
arti e le lettere, tornava a scuola dai
discepoli, tutto trovando ne' Francesi
grande, a cominciare dal re. II quale,
per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon
rifiutava, e il Dati e il Viviani
soUecitavano. (Scritti varj di LO- RENZO
Panciatichi, pag. XIII-XIV.) Se
entriamo nel sacrario delle arti, delle lettere e delle scienze, noi vediamo riflesse le
condizioni mede- IL SECOLO
DECIMOSETTIMO. 15 sime di contrasto, e
di fare spensierato, che le politiche e
le morali condizioni ci offriroiio. Alcuni artisti si buttavano all' esagerato, al teatrale,
sostituendo al vero r artificioso, il
forzato al semplice ; gesti violenti
anco negli affetti pacati, panni svolazzanti anco in sale chiuse, riputando triviality la naturalezza;
sicch^ i michelagnoleschi fanno Veneri
cLe sembran Ercoli, e si presta culto
alia me'diocrit^, si segue il tra-
viamento. E Lodovico Caracci che
tenta in Bologna coUo studio di veri
capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori,
riesce a fondare una scuola che ha per carattere r eclettismo, stimando arte suprema accordare
non solo ma fondere quanto i grandi
artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i
suoi cugini sepper mai all' eclet- tismo
aggiungere il pensiero ispiratore, preferendo,
come dice lo stesso Cantil (Storia Universale, vol. XVII, pag. 816), di avvicinarsi ai fenomeni della
natura e supplire al genio colle
rimembranze. Percio i migliori di loro
scuola fecero riazione contro questa infelic^
idea. II cavaliere d'Arpino proclama I'idealismo, ma condannando i marinisti materiali della
pittura, di- venta egli il Marini della
pittura stessa per la ricerca affettata
dell'ideale. A Guide Reni che vagheggia il
soave, si contrappone il Guercino che si d^ a' ga- gliardi contrasti di luce e d'ombra: alia
facility del Berrettini la creazione
fiera del Rosa. Matteo Roselli contrasta
con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto,
corretto, il secondo smorfioso alquanto, e coloritore con non abbastanza armonia. Cosi nella
scultura e neir architettura, le quali
pure ci presentano piil ca- dute
spensierate che creazioni e voli generosi, contrasti, esagerazioni ; e 1' alito dell' affetto che
spira ne' rozzi tentativi del trecento,
non ritrovi in esse ora piiH ; n^ 18
CAPITOLO PRIMO. vecchio viiol trovare
un accordo, un legame, un'ar- monia.
Intendimento quant' altro mai salutare e gene-
roso, ma che appunto per esser concepito da menti ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato
o con- traffatto, e piucch^ il nuovo
farlo sgorgare natural- mente dall'
antico, e ajutarne, quasi a mo' di levatrice,
il parto desiderate, trascurano inesperti e loro mal- grado il primo per il secondo, o il secondo
pel primo. E un eclettismo quello che
esce dalle mani di questi uomini; 6 la
figura mostruosa che Orazio ci dipinge
nel principio della sua Arte Poetica.
Or bene, in quel secolo abbiamo da un lato Pla- tone ed il neoplatonismo, dall' altro
Aristotele e 1' ipse dixit de' suoi
seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui
il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la
tirannica preten- sione del tutto
imporre e far accoglier per fede; da una
parte la liberty,, spesso sconfinata, del Bruno e del Campanella, dall' altra parte 1'
inquisizione pronta a tai'pare le ali,
se vogliam temerarie, di quegli ardi-
mentosi sfidatori del cielo. In
una parola noi siamo sempre con un piede nel Medioevo, con 1' altro nella Riforma. Ella 6
questa che si combatte una vera guerra
da giganti, nella quale le intelligenze
di coloro che non son ingegni po- tenti,
si debbono trovare in baUa di impulsi diversi,
che, come dissi, se ne disputano ad ogni istante il dominio.
A larghissimi tratti noi abbiam vedute come in ispecchio le condizioni politiche, morali e
intellettuali di questo secolo ;
imperocch^ senza questo lavoro pre-
Hininare noi reputassimo di non potere arrivare a cono- scere determinatamente 1' uomo di cui teniamo
discor- so, e i suoi scritti, e la
storica importanza di essi. La IL
SECOLO DECIMOSETTIMO. 19 vita di ogni
individuo ^ un problema, per risolvere il
quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la
civUtlt d' un secolo viene sempre
essenzialmente espressa dal tutto
insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a
ciascuno de- gli ordini sociali che in
esso si comprendevano ; 6 in- somnia lo
specchio della vita interna dell' individuo in
mezzo agli uomini del suo tempo.
Capitolo Secondo. BELLA VITA DI
ORAZIO RICA SOLI RUCELLAI. SoMicARio.
— Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie Ricasoli e Racellai. —
Loro attinenze con le glorie politiche e
letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Me- dici. — Perch^ Orazio piacchd Ricasoli
appellino gli scrittori col nome materno
de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Gosimo e
Marsilio Ficino. — Intendimenti di
questo. — Saoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. — Si nominano. —
Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere,
pregi di esse. — Fa parte deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei sacrifizii, e non nega che
le anime umane vengan giu da una certa
parte del cielo, e vi risalgano, e agli
angeli assegna un tenuissimo corpo;
dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci possono
spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia
istituita dal nostro Marsilio piii che
Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per
un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo
alessan- drino, trasformati entrambi
cosi dal cristianesimo come da una certa
mistura di dottrine e di forme aristote-
liche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fonda- tori e continuatori di essa. I quali furono in grandissimo numero,
contempo- ranei ed amici del Ficino,
come egli, distinguendoli in tre classi,
scrive a Martino Uranio, e li nomina tutti.
Fra i primi che meritano speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti,
che Mar- silio chiamava 1' Eroe e amico
unico e i fiorentini il di lui Acate, il
quale per tutta la vita fu il confidente
de'suoi pensieri piU riposti, e il confortatore delle sue amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il
nome di Ercole, che egli consultava in
tutte le difficoM filolo- BELLA VITA
DI ORAZIO RICASOLI EUCELLAL 2.5 giche,
che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con som- mo conforto lo vide poi in eta matura piil
propenso alia filosofia platonica:
Giorgio Antonio Vespucci, Fran- cesco
Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti,
tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli, e Ber- nardo Rucellai, i quali ultimi tre andavano
ogni giomo a tenergli compagnia quando desinava,
e con essi con- versava, ora scherzando
piacevolmente, ora trattando gravi
argomenti di filosofia. Bernardo, antenato illu- stre di Orazio Rucellai, era uomo di sublime
e grave ingegno, a niuno secondo per
civile prudenza, casto nel parlare,
aflFezionato a' costumi antichi, e nulla non
v' era in lui che non fosse veramente patrizio o sena- torio. La sua vita politica ci dimostra com'
egli sostenne sempre le cariche piU
rilevanti, ambascerie importan- tissime,
e sebbene stretto per sangue alia famiglia
Medicea, non fu tra i suoi amici, e seppe ad essa mo- strarsi spesse fiate contrario. Egli fu
chiarissimo let- terato, scrittore di
storie. uno di coloro che la lingua del
Lazio seppero mantenere in onore grande, come
ce ne attesta la sua Orazione: De auxilio Typherna- tibus (idferendo, modello di perfetto latino
; il De Bello Pisano ; il De Bello
Italico, in cui si descrive la storia
della venuta di Carlo VIll in Italia, e il Bellum Me- diolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma
che voile dedicate al suo figlio Palla,
nel qual libro, illu- strando Sesto Rufo
e Public Vittore, raccolse quanto si
trova negli antichi scrittori intorno alle antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a dare una idea di
quella regina delle nazioni. (Passerini,
Curiosita Storiche.) Lo stile del
Rucellai e piano ed elegante, ed Erasmo
da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi Apoftegmi, ebbe a dire che niuno meglio di lui »' era
mai avvi- cinato a Sallustio. 26 CAPJTOLO SECONDO. Fattosi strada coUa sua dottrina, Bernardo
fu dunque chiamato a coinporre la schiera
eletta delFAccademia ficiniana; e
nelproferire il suo nome, in ogni cuore fioren-
tino risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel
1492, il quale, come abbiamo notato,
avea ampliato e protetto sempre V
Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i ban-
chetti solenni co'quali Platone era solito di celebrare il suo di natalizio ; i componenti di essa
poterono an- cora per due anni, ospitati
e protetti dal cardinale Giovanni e da
Piero de' Medici, far le loro adunanze
in quel portico novello di Atene, quale era divenuta la Villa a Careggi, frammettendo sempre, per
suggeri- menti e per esempio di Lorenzo,
scrittore e poeta Ita- liano gentile, e
dello stesso Marsilio, il quale dettava
un elogio italiano dell' Alighieri, e traduceva il libro De Monarchia^ le letterarie discipline in
mezzo alle disputazioni filosofiche.
Per.la qual cosa ebbe grande van-
taggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante
e del Boc- caccio, e chi raggiunse V
apice dell' eleganza e della dolcezza fu
indubbiamente il Poliziano. Se non che
nel 1494 cacciati, per la debolezza vergognosa di Piero figlio di Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i
Medici, e posti dalla plebe a sacco i
loro palagi, il Ficino, se voile
continuare i suoi studi diletti, fu costretto ad abbandonare Firenze e la villa, e ricovrarsi
nella ru- stica solitudine del suo Montevecchio.
E quei sapienti che gli facevan corona
dovetter lasciare il noto asilo, il
luogo memorando de'loro divini convegni!
Ma la grand' anima del Ficino spird sempre nel petto di quegli amici e discepoli le sublimi
dottrine e le belle virtil ; e Bernardo
Rucellai diede ad essi cortese ospitaUt^
nella sua casa in Firenze, e poi nel suo giar- DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
27 dino, sul principio del secolo
decimosesto, donde 1' Ac- cademia
platonica prese nome d' Accademia degli Orti
Oricellarj. Quivi convennero principal! Niccolo Ma- chiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso
Alamanni, Piero del Riccio detto il
Crinito, Antonio Brucioli, Gio- vanni
Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Gio-
vanni Canacci, i due Francesco da Diacceto, I'uno detto il Nero, Y altro il Faona^zo dal color
delle vesti, Giovanni Corsini,
Cristoforo Landino, Piero e Niccold
Martelli, Giovanni Cavalcanti e il Martini, i quali due ultimi il Ficino chiamd nel 1499 esecutoridel
suo te- stamento; e per tacere di molti
altri, i figli di Ber- nardo
Rucellai. In questo giardino veramente
platonico si addita ancora il luogo,
dove quei dotti uomini si radunavano, e
dove sur un cartello di porfido sta scritto: Ave Hospes. Quelle volte e quei viali risuonarono
di voci sapienti, e il Diacceto vi
leggeva i suoi Libri sul Bello, il
Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T
Alamanni il Trattato della Coltivazione.
L' amore delle dottrine Pla- toniche
divenne fin d'allora viepiii tradizionale nella
famiglia de' Rucellai, che lo serbarono sempre come una gloria superba, quasi depositarii di
preziosa re- liquia, ereditata con tante
altre grandezze da tempi pill fortunati
e migliori. E dopo due anni il ritorno
de' Medici in Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il
nipote Cosimino, non furono men gloriosi
ed ardenti seguaci delle ve- stigia
pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il
Poliziano e Pico della Mirandola, ormai spenti, do- verono a questi esser modelli sublimi,
immortali, so- vrattutto Bernardo. Leone
X e il Machiavelli fu- rono condiscepoli
di Giovanni, il Diacceto maestro a 28
CAPITOLO SECONDO. lui di filosofia e di
eloquenza. Ebbe anch'esso anima
platonica, come conservaronla tale Palla e il nipote. E li pure all' ombra di quegli Orti, in
quell' atmosfera piena di vita e di
scienza, die mano Giovanni al suo poema
suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le
api stesse, ronzando d'intorno al poeta
per libare il succo dei fieri, se gli
posassero talvolta sulla penna, infonden-
dovi quella dolcezza che tanta spirano i versi suoi. L'Accademia degli Orti col sacrofuocodella
scienza e delle lettere nutriva ancora e
conserva va quelle non meno sacro della
liberty e della repubbUca ; e i liberi insegna-
menti del Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* di- vine speculazioni platoniche non poterono
rimanersene privi di frutto. L'oppressore
cardinale Giulio dei Medici pesava suU'
anima libera di quei platonici, come suU'ar-
dente gioventii fiorentina, la quale correva volentieri ad udirli. Fu allora che la quieta stanza di
Sofia videsi trasformata in sede di una
congiura a danno del de- spota, alia
quale presero parte moltissimi, tra cui i
due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto. Sventura- tamente scoperta, mentre quest' ultinlo
spirava la grand' anima sua per mano del
carnefice, e molti altri niigravano in
esilio forzato, I'Accademia Platonica fii
sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) prose- guire le sue adunanze in quegli orti di
sapienza e di pace. De'Rucellai,
quantunque amici di liberty, pur legati
strettamente alia famiglia de' Medici in paren-
tela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di
Palla, quando nel 1527, unico superstite
de'figli di Bernardo, mostratosi dalla
parte dei Medici, allorchd furono ri-
cacciati dalla citt^, videsi invaso il palazzo, guaste e ftirate le suppellettili, e la vita in
pericolo. Quel Palla DELLA VITA DI
ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 29 bensi,
che, ristaurata la potenza medicea, veduto il
nuovo Duca della Repubblica andare a poco a poco erigendosi in assoluto signore, pentitosi
della protezione accordatagli, si oppose
unico poi nel 1537 all'elezione del
nuovo despota, morto Alessandro, e dichiard do-
versi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ; che Cosimo de' Medici fu proclamato il Secondo
Duca. II giardino stette in propriety
de'Rucellai fino al 1573; dopo il qual
tempo passd venduto, per mena certa-
mente de' Medici, per sei mila ducati a Bianca Cap- pello, che di luogo consacrato alle sovrane
armonie della scienza platonica, mutollo
in sede di delizie e di volutta a'
cortigiani medicei. Ed ora questo gran mo-
numento ricco di tante memorie e propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la
quale, cu- rando il decoro di questo
luogo, ha speso ingenti somme per
abbellirlo, e farvi miglioramenti notevoli.
Se pero 1' Accademia degli Orti non pote daDa congiura in poi radunarsi, e gli Orti stessi
furono con pensiero ingeneroso venduti,
la tradizione platonica non si spense
guari, nd si poteva. Troppi erano gli
uomini grandi, il cuore de' quali batteva per le idee del divino Ateniese; troppo viva era in essi
la me- moria del Ficino e di Bernardo ;
troppo cdnsone ormai le platoniche
divinazioni al sentimento italiano, rispon-
denti troppo alia bellezza del cielo che aUe pendici di Firenze, alia torre di Arnolfo, e a Italia
tutta divi- namente sorride. II Casa, lo
Speroni, il Patrizi plato- nici tutti
legano i tempi di Bernardo e dei figli ai
tempi del platonico Orazio. Ma pur nella famiglia me- desima de'Rucellai questa fiamma si conserve
viva sempre, e se un uomo tra essi
debole o degenere potd r avidity del
danaro preferire al glorioso possedimento
di quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto 30 CAPITOLO SECONDO. dair altrui minacce, i piii di loro
dovettero deplorare sififatta perdita;
mentre, contemperate dalF indirizzo dei tempi,
predilessero sempre le dottrine della illustre
Accademia. E 1' avo matemo di Orazio Rucellai, cul- tore del neoplatonismo, conobbe Torquato
Tasso ancor giovane a Napoli, e il
Tasso, platonico in certi punti, ricorda
quell' avo con parole di molta lode e di molta
familiarita nel suo Dialogo che ha per titolo : II Gon- eaga o del piacere onesto. (Dialoghi del
Tasso, per cura di Cesare Guasti, Tip.
Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6 a
questo punto che comparisce sulla scena della
vita Orazio nostro, di animo nobile, d'ingegno elevate, il quale doveva come riunire in s^ e nell'
opere sue la tradizione neoplatonica
custodita gelosamente nel seno deDa
famiglia materna. II conservarsi, come tesoro
santo^ r amore delle dottrine dell' Ateniese e del Ficino da' Rucellai, le case dei quali furono teatro
in cui i piii dotti si raccolsero
sempre, non pud da noi non risguardarsi
come un' occasione, un motivo intrinseco
dell' indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno come un elemento sostanziale che doveva
concorrere insieme con altri, e
potentemente, a informare lo spi- rito
scientifico e letterario di lui. Un Ricasoli infatti diede a Orazio la vita; ma i Rucellai ne
informaron la mente, in quella guisa
medesima che coUe sostanze di Monsignor
Delia Casa ereditd, come scrive il Casotti,
il suo spirito, la sua virtii. (Elogio del Rucellai). Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo
dire fin d' ora che il Rucellai nostro,
ammiratore e seguace delle dottrine
platoniche, dovS sognare sovente i deli-
ziosi sapienti convegni nell' avito giardino, e pitl d' ogni altro dolersi che quel monumento di virtii e
di dot- trina non potesse piii, fatto
albergo ai disordini di Bianca Cappello,
e poi di un cardinale de' Medici, ispi-
BELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 31 rare nell' animo siio il forte volere, i
gravi pensieri, che quei liberi ingegni
vi aveano raccolti e maturati. Nondimeno
egli, il Rucellai, per far rivivere quell' avite conversazioni, e perpetuare cosi la tradizione
domestica, raduner^ nelle stanze della
sua casa i celebri eruditi del tempo
suo, e dietro le orme de' suoi parenti, ascol-
terh e detter^ precetti di sapienza e di virtti, non po- tendoli ancora di liberty. Ch^ in luogo della
voce sde- gnosa del Diacceto, degli
Alamanni e del Buondelmonti, che nel
sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava
minacciando i fautori del dispotisDio, gli oppressori dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle
stanze del Rucellai, uomo di corte
insieme con dotti uomini di cor- te, si
udiranno parole di dottrina, rime d'amore, rim-, proveri pur anco ai costumi guasti della
Corte e del Clero ; ma non saranno piii,
no, gli energici avvisi del Machiavelli
e degli altri per trattener la caduta di
una liberty che vedevano precipitare ; saranno i timidi lamenti di un bene irremissibilmente perduto,
deboK querele di uomini curvati sotto il
gravame della ser- vittl, proteste
inconsapevoli talora, sommesse sempre,
perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e munifici protettori delle scienze,'non sono
tali da con- sentire si grande temerity,
e il tribunale 6 la ad im- paurire gli
intelletti, e a tarpare le libere ali del pen-
siero e della coscienza. Cosi i
motivi generali esteriori ed intrinseci del-
I'avviamento educative e scientifico del Rucellai ap- parvero a me, ed io credo pure al leggitore,
distinti. Vediamone ora lo svolgimento
successive nel cammino della sua vita. Capitolo Terzo. (Segue) DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl
RUCELLAI. Somf ABio. — Prima
edacazione e istrazione del Bacellai. — Fa segnace del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne*
suoi scritti. — Abitudini sue e motteggi
de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. — La Corte Toscana e il Bucellai. —
Suo cortigianesimo e suo disprezzo della
Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su
questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii
largamente di ogni altro s' intrattenne suUa
vita del Rucellai (Genealogia della
Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima educazione di
lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate
che su tutte le opere del Rucellai
abbiamo fatto, n^ altre ri- cerche
diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd
che Galileo fu udito dal Rucellai, e questo possiamo asserire con sicurt^ piena. Imperocche il
signer Pas- serini si appoggi, come noi,
nell' afifermar cio sopra quelle che il
nostro scrittere nel suo Discorso centre il
Freddo Positive dice in principio, e che ^ prezzo del- r opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere sue, provano essere
stato il Rucellai discepolo del Galilei,
non gia nel significato ristretto che si
suol dare a questa parola, ma in quanto
egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di lui;
e a questi passi si appoggiano il Nelli,
il professor Palermo, il conte Mamiani
ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni
frammenti di oi)ere del medesimo
esistenti nella sua libreria. E il
professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del
Galilei V Imper- fetto. E il canonico
Moreni batte la medesima strada, aUora
che discorre di lui, e si maraviglia, e a ragione, che il Tiicaboschi, laddove nel tomo ottavo
della sua Storia della Letteratura
italiana si trattiene a parlare 3 34 CAPITOLO TERZO. del Rucellai, nol collochi tra' piii solenni
filosofi di quel fioritissimo secolo, in
cui \isse 1' immortal Galileo di lui
maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823,
pag. xxi. Firenze.) E le dottrine del gran filosofo poteron
davvero an- ch'esse ed efficacemente
sull' animo del nostro scrittore, come
su di uomo tenero amico della verity. Galileo infatti aveva trovato nella selva opaca il vello
d'oro: egli aveva ritornato a vita sotto
un certo rispetto il me- todo di SoCrate
e lo aveva riconsegnato alle intelligenze
stanche ormai di servire ciecamente all' autorita di Aristotele. Ecco il perch^ il Rucellai vedi
abbracciare del Galileo le teorie con
animo aperto. Ed ei pud dirsi che
dififerisce dagli altri segi\aci del Galileo
e che li supera in questo ; gli altri svolgon le dottrine metodiche del Galileo nell' osservazione dei
fatti este- riori e delle loro leggi ;
mentre che il Rucellai si pro- pone di
svolgere quel metodo stesso in ogni disciplina
filosofica, cio6 anche nella osservazione dell' uomo in- teriore; quantunque nelle conseguenze della
sua lilo- sofia seguiti piii il probabilismo
accademico, come ve- dremo in
progresso. n Rucellai dov6 avere altri
maestri e di rettorica e di filosofia, e
compiere nella sua gioventii studj ordi-
nati; e di cio fan testimonio le opere sue eruditissime, e nello stile e nella lingua adorne di tante
bellezze. Oltrediche era questo il
costume de' ricchi e de' no- bili di
que' secoli ; che allora, come ne ricorda il buon Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil
erano eglino di nobilt^ forniti e al di
sopra degli altri, tanto piii e'si
credeano in debito ad esempio ancora, ed eccita- mento altrui, di viemaggiormente nobilitarla
coUe virtii, e colle lettere, ben
persuasi che senza il di loro cor-
DELLA VITA DI OEAZIO RICASOLI RUCELLAI. 35 redo, soccorso e accoppiamento, niente o
assai poco ella nello spirito
signoreggiar suole o suUa opinione degli
uomini. D Rucellai educate fin da giovanetto
da' suoi genitori e maestri nel sentiero della scienza e della virtii, fu quanto e piii di altri
compreso di cid, e la verity di questa
sentenza tradusse egregiamente in atto
nella sua vita fino all' estremo; si che il Ma-
galotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la morte di lui, mestamente scriveva a Luigi Del
Riccio. (Let- tere Familiari, tomo II,
pag. 28) A dieci anni fu decorato
delle divise equestri del- rOrdine di
Santo Stefano; a sedicirimasto privo del pa-
dre, ebbe il Priorato di Firenze, istituito dal suo avo Giuliano nel 1589; e nel 1656 i cavaKeri di
quell' Or- dine lo elessero gran
Contestabile nella solenne adu- nanza
tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria Felice
de' nobili Altoviti, egregia donna, e dalla quale ebbe nove figU, tra cui Luigi il maggiore, che
seguendo le orme del padre fu anch'
esso, • giusta ne dice Salvino Salvini
ne' Fasti Consolari dell' Accademia Fiorentina,
e secondo che ne porgono argomento sicuro gli scritti eruditi di lui, lo splendore della patria, e
1' ornamento non meno delle accademie
che delle corti dei principi. Orazio
RuceUai pari av^ndo alle doti della mente
quelle del cuore, fu caro a quanti lo conobbero, vene- rate anco da' grandi, e mite senza che cio
vietasse a lui di essere nelle sue
poesie e cicalate acuto e pun- gente, e
dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi
genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora, fino a sapere di eccessiva misticit^ nei suoi
scritti. Ebbe sua dimora in Firenze;
pero talfiata recossi 36 CAPITOLO
TERZO. e abitd in Roma, dove aveva
possedimenti, e spesso, dopo le
politiche incombenze a Vienna e in Polonia, ri-
tiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San Casciano. Le
sue abi- tudini come d' uomo che vuole
stare in una custodia di cristallo,
meticolose sempre e, come a dire, scettica-
mente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso del suo carattere, de'
suoi scritti e del suo tempo, e pero mi
ci fermo. Tanto era della sua salute
eccessivamente riguardoso, che certi suoi inco-
modi e certe curiose precauzioni per questi, diedero ansa ai motteggi e alle canzonature poetiche
de'suoi amici accademici, non disdette
neppure da Luigi suo figlio, e
accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive
di lui motteggiato dal Panciatichi:
E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore brillo, a Panciatichi deride cosi il Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto,
Caro Orazio RuceUai, Gioiellino
degli amici, E splendor deUe
morici, Dimmi 3e io son cotto, filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite e rare Le pillole che fanno indovinare. » BELLA YITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 37 Dalle quali ultime espressioni ricavasi
conferma ancor di quello che nel
precedente capitolo andava accennando,
sul trasmettersi quasi per tradizione cia-
scun de' Rucellai di padre in figlio, iino ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie ragiona quasi
sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata
della Ipocondria: i Ditemi un poco, egli
esclama, quella difficoM di re- spirare
che tiene sempre sospetto d' asma il nostro filo- sofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente
appellato) pud ella essere altro che 1'
ipocondria pettorale ; la quale mentre
impedisce V esalazione di quelle si vive
favilluzze, gli mantiene sempre piena di filosofia la lingua e il petto? Cosi la vivezza
dell'Imperfetto, mio genitore, con cui
le piii difficili cose del Timeo spiega
si chiaramente, A daU'emorroidale prodotta; ond'egli, che bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi
soprav- vegnenti spiriti vigore ed
impulsi all' intelletto, ad ora ad ora
1' emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal
suo gran panegirista (il Panciatichi) fu
chiamato (( Gioiellino degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl
acuti che alle sue abitudini legate si
fecero: e con cid intanto il lettore^ si
far^ meglio un' idea di quel che allora erano
I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo
D' una che per febbre deliri motteggia
da capo il Panciatichi il nostro Orazio
cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho quel
sudore 38 CAPITOLO TERZO. Che di luglio uccideva il mio Priore.* Solamente sdraiato sugli marraori Queir omazzo attendea V alba deir jomo, Quand' ecco in un istante > Di strida e d' ululati, Di singulti e latrati Himbomba Parione,* E corron le persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, * Per dichiarazione di questi versi giova
recare alcune parole di Luigi Rucellai
nella Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno prov- vidente si dee reputare mio padre,
diligentissimo Ipocondriaco, al quale
venne, poche settimane sono, in villa, una specie di gran- chio nella penna, che debilitando quelle sue
dita, ferme gliene tenne e inabili a
scrivere per due momenti ; onde esso temendo
d' improvviso accidente d' apoplessia, acciocch^ col mote non gii piovesse nuovamente flussione, mando tosto a
cercare del medico tre miglia lontano ;
e intanto tenne immobile nella medesima po-
situra la mano e le dita per aria, finche il medico non vi arrive che gli die licenza di muoverle. » E appresso
: «E per certo s'udi- rebbero piu rade,
o forse non mai, le scalmane, se tosto che 1' iio- mo dal natural temperamento si sente fuori,
alia prima gocciola di sudore, anche d'
agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per
rnangiare il marinate, o al- tra cosa
acetosa, proibisse il far vento per cacciar le mosche da tavola. i> * Strada in Firenze^ ove era il palazzo
Ricasoli^ convertito oggi in
Locanda. * II Biscio7ti nella stampa
annoto : « Si crede foss% un ple- beo. »
Ma neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna : « Vo- gliono alcuni che in quel tempi si
denominasse Razzullo il poi famosissimo
dott. Francesco Redi. » * II Priapo
della sporcizia, in lingua Jonadattica, il Priore della Sporta, convento e spedale dei frati di San
Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche
nella Controccicalata. II Panzacchi, che forse ^ questo Priore, praticava molto in casa del
march. Corsini ; dove, oltre gli altri
divertimenti che le brigate ne traevano da lui, uno DELL A VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
39 Che appunto colla barba
veneranda, Facea le fregagioni A certi suoi malati vagabond! Che pativano un po'di mal di pondi. Che c' 6 e che non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son, che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh! cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio.
» E via di questo gusto canzonature
sopra canzona- ture, che io debbo
tralasciare per non digredir troppo dal
pill importante. II riferito per6 credo basti a di- pingere, tolta 1' esagerazione, il carattere
di questo era il farlo predicare :
nella qual funzione faceva e diceva cose
stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i si- gnori Corsini adunata una buona conversazione
al loro giardino vicino alia porta al
Prato, e volendo far predicare questo frate su
quelle parole del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto accomodare una grande asse sopra un vivaio
o tinozza d'acqua; fattolo quivi sopra
salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe
molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte del testoi Modicum et
non videhitis me ; gli fu tratta di
subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell' acqua, tutto quanto vi si tiiffo. Accorsero i
servitori a trarnelo, e lo con- dussero
in una stanza a rasciugare : ed alcun gentiluomo fu nel- 1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad
intendere che era stata una disgrazia
dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota agli Scritti varj- del
Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota
alle parole quel sudore ec. * Scherza
su quel verso : Gutta caval lapidem,
non vi, sed scepe cadendo. 40
CAPITOLO TERZO. uomo, le esitanze e i
timori del quale per la salute
rassomigliano alquanto agli scrupoli ed ai timori in- cessanti di trasmodare che nelle opere
scritte di lui trapelano ogni momento; e
a farci meglio conoscere le consuetudini
spensierate di quella et^ della quale giova
veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a
sapere, se quello fosse un ridere
consolato, od un amaro sorri- dere.
(GUASTI, Ibid.) Come i suoi antenati,
cosl Orazio entro presto nella Corte, e
a dieci anni fu ascritto tra' paggi ; e fin da
quel giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque
di ottima indole e di buone intenzioni,
non poteva per la mal ferma salute aver
grandi cure del govemo. II Ru- cellai
perd dovette incominciar a nausearsi fin d'al-
lora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosi- mo U, per distrarsi dal fastidio del governo,
riempi di nani e di buflbni e di lusso
spagnolesco, se- guendo cosi le misere
inclinazioni di un tempo ancora piii
misero e ostile alia liberty dello speculare e del vivere. E piii ancora dov^ 1' animo suo
disgustarsi del fare artificioso dei
Principi e delle Corti, quando, morto
Cosimo II, e Ferdinando II destinato a succe-
dergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato, le due principesse Gristina di Lorena e
Maddalena d' Austria tennero per ben
sette anni le redini del govemo toscano.
Amministrando con femminil legge- rezza,
incorsero in gravissimi errori. Tra questi non
pot^ loro perdonarsi V aver allontanato dal consiglio e dal governo il Segretario di Stato Curzio
Picchena, uomo di probity sperimentata e
di costumanze severe, al quale le aveva
Cosimo raccomandate ; sostituendo in sua
vece Valerio Cioli, uomo raggiratore, avido,
DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 41 menzognero, che presto pose le finanze e
tutta V am- ministrazione in disordine. E fu pure per i mali consigli del Cioli se
le due donne, con grave danno della
Toscana s'indussero a rinunziare in
favor del Papa il Ducato di Urbino, il
quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Ro- vere unica erede del morto Duca Federigo, e
pro- messa sposa a Ferdinando II, doveva
come patrimonio della moglie
(deplorevoie uso del tempo) tornare alia
casa Medicea. Deboli, incerte, pusillanimi queste due principesse avevano troppi e spesso ingiusti
riguardi verso la nobilt^ ; il perche
codesto ordine di cittadini,
soverchiamente privilegiato, lo fecero montare in tanta baldanza, che impunemente opprimendo la
plebe, la eccitava a tali vendette e
delitti, cui le leggi piii non potevano
impedire. Ed 6 naturale ! tirannia nemica di
liberty ^ sempre generatrice esecrata di licenza e delitti.
Ma cid nondimeno, in tanto contrasto di grandezza e di miseria, di virtii e di vizio, di
dispotismo e di liberty,, il Rucellai
pur disgustato, lo vediamo anziche
allontanarsene, continuar I'abitudini di famiglia, pro- seguir nella Corte, e sotto il reggimento di
Ferdinando, salito al trono nel 1627,
diventa r suo gentiluomo di camera.
Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri let-
terati del tempo, sempre piii ligio al Granduca; ne dico cid a caso ; cM alcune lettere ''di lui
ritrovate da me fra le carte di
Ferdinando II e del cardinale Leo- poldo
ce ne oiBFrono prova manifesta. Biasimera poi
con nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani; dispregier^ con isdegni generosi quelle
catene dorate ma pesanti sempre, e il
contrasto dei tempi ve- dremo qui pure
riflettersi nei pensieri e nolle azioni
del nostro lilosofo. Ma intanto ei si piega, ei fa getto 42 CAPITOLO TEBZO. della indipendenza del suo spiiito, cotanto
necessaria soprattutto a un iSlosofo. E
poi se biasima la Corte e i cortigiani,
non tocca ne biasima punto il malo go-
vemo, si i vizi particolari del govemante; d questo un biasimo come di famiglia grande ma quasi
privata; ne la patria sua ricorda mai, e
non ha mai un pen- siero per essa ;
sembra quasi Y abbia dimenticata, o non
sappia che ella ^ in servitu; solamente la Corte, TAccademia e la villa formano il mondo del
nostro filosofo. Mi si permetta in grazia dell' opportunita,
ch'io tolga da un de' capitoli prossimi,
qualcuna delle sue parole servili
inverso il Granduca; indi alcune altre
che contro la corte ed i principi lancia sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il lettore s'io
sia, nelle mie aflfermazioni, fuori del
vero. E nell' occasione della
nascita d' un suo figlio, pur di Roma un
anno dopo, il 10 dicembre 1639, (V. Gar-
teggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo padrone serenissimo cosi : DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
43 E in altre lettere scritte al
granduca medesimo per domandargli
favori, poich^ sembra in certi momenti
ii suo patrimonio abbia sofferto gravi avarie, e per rendergli grazie dei soccorsi
somministratigli, arriva a dire che la
sua vita medesima ^ a Ferdinando ob-
bligata per legge di natura. Ed io non so dove pe- scarmi servility maggiori di queste, n6 qual'
altr' uomo mai che piii fedelmente di
lui mi narri colla sua pro- pria bocca
inconsapevolmente le tristi condizioni di
quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto grade della cortigianeria, ^ la negazione di quel che gli
antichi con aurea parola chiamavano
umano decora ! quantun- que la generale
consuetudine di parole tanto serviH
togliesse loro gran parte dell' abiezione che a noi sem- brano avere.
Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi nell'uomo, 44 CAPITOLO TERZO. e Tuomo che li spiega. II Rucellai, dopo
quelle ligie proteste di servitil par ti
diventi a un tratto un altro uomo,
allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d' alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili alberghi e ne' piu pari
ingegni, Non sopra eccelse raura unqua
risplende. Dove il mentire e 1' adular
s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori
offende, Quasi infausta nemica a' lor
disegni. L' inclita Maesta temano i
regi, Non cangi all' opre lor specchio
si fine, E sembrin macchie impure ilor
bei fregi. Quelle ch' usan chiamar
virtu divine, Arti fian di malizia, e
gli alti pregi Di lor gloria maggior
frodi e rapine. » Comunque Ferdinando
II, e a buon diritto, fece del Rucellai
giovine ancora assai conto, e nell' eta di
30 anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho
accennato di sopra, e la prima nel 1635
a marzo per Vienna, ap- presso
rimperatore Ferdinando per rallegrarsi del-
r elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei Romani, come ne attestano i documenti che si
trovano nel nostro Archivio Centrale di
Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1'
altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per
condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del Cardinale suo fratello, e per trattare il
matrimo- nio della principessa Anna dei
Medici col principe Reale {FU^a Medicea,
n° 4795). In queste due lega- zioni ei
diede prova di molto sapere e di altrettanta
cortesia, e le letter e stesse dei Principi e degli amba- sciatori toscani presso quelle due Corti
addimosfcrano DELLA VITA DI 0RA2I0
RICASOLI RtJCELLAI. 45 quanto il
Rucellai fosse stimato e gradito, e pel suo
sapere e gentilezza di maniere ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini ambasciatore del
Granduca a Vienna scrivendo di lui, il 9
marzo 1635, al ball Cioli segretario di
Stato ebbe a dire: (FiUa Medicea,n'*4^S8d)
E al cavalier Poltri nel 17 marzo
1635 il medesimo Tartaglini aggiungeva:
Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discor- rendo dell' opere del RuceUai, campo di
vedere quanto ei fosse nella ragion
civile versato ed accorto, e quanto
giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali te- nevano allora gli alti ufficj del governo
portavano a lui, che Lorenzo Magalotti
per la sua prudenza qualifi- cava come V
uomo piu esperto a f of mare il more di un
principe. Capitolo
Quarto. {Segue) DELLA VITA DI ORAZIO
RlCASOLl RUCELLAI. SoMMARio. — Ufftcj
del Rucellai nella corte di Ferdinando II. — Qnalita di qaesto principe. — £ di Leopoldo. —
Benemerenze di essi nella protezione e
cultara degli stadj. — Si restituisce a vita V Accadeniia Platonica. — Si fonda TAccademia del Gimento.
— II Rucellai poeta, letterato o
filosofo. — Lodi a lui de^contemporanei e dei posteriori. — II Rovai. — II Redi. — II Crescimbeni. —
II Moreni. — II Pal- lavicini. —
.Uffiicj del Rucellai nell* Accademia della Crusca. — Eser- cizio di versione da* classici antichi
introdotto dal Rucellai nel- r
Accademia. — Se e quanto il Rucellai conobbe il greco. — II Jlucellai e i suoi Dialoghi filosofici. — L*
elogio a lui del SaMni. — L* Accademia
in sua casa. — Materia e disegno de* suoi DialoghL — Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e
co* principi. — I quali r ajutano
sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, — mo- ral!. — Rassegnazione sua. — II Rucellai e
Cosimo III. — Questi non e, come
generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte del Rucellai. — Si
chiude con lui V etk del Rinascimento. —
Onori al merito di quest' uomo prodigati anche dai posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con
questo libro. Tornava, pertanto, il
Rucellai dalla missione poli- tica sulla
fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di
gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e dedicandosi pure senza interruzione a' suoi studj, a'
quali trovava, giova ricordarlo, impulso
grande ed esempio ne'molti eruditi
fiorentini del tempo e negli stessi principi, il Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti
deUe due reggenti Cristina di Lorena,
madre di Cosimo 11, e Maddalena d'
Austria sua moglie, le quali avevano em-
DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 47 pita la corte di lusso e di intrighi, tolto
alia giustizia il suo corso con le
immunity e gli asiK delle chiese, tento
ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli
era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e seguitd ora piti ed ora meno le
orme spesso non imitabili degli avi
suoi, e alia prndenza non seppe costantemente
unire il coraggio, tuttavia delle scienze,
delle lettere e delle arti fu quanto e piii de'suoi pre- decessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni
cercd distrazione, proteggendole
regalmente e promovendo soprattutto le
scienze esatte e le naturali. L' Emi-
tiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in parte pure esageratamente) attribuisce questa
protezione ad un fine politico e la
spiega cosi : E Leopoldo fratello a lui
mi- nore di et^ non fu di certo minore a
lui per scienza e per I'amore di essa. E
il conversare frequente col Galileo Io
rese esperto a schivare up. servile ossequio al
Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della geometria criterio alia liberty dell'
intelletto; J BELLA VITA DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI.
49 e la filosofia naturale del Galileo
e della sua scuola trovo HI esso e nel
Granduca due propugnatori ar- dent! ed
^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita e in vigore le Accademie
toscane, dove ridioma nostro potd almeno
trovar salute dal contagio generale del
tempo, e le scienze naturali uno
incremento grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa vantare come questa di Ferdinando e di
Leopoldo, tanto viva operosit^ di
scienza e di lavoro letterario, destata
per impulso di questi due principi. E
Leopoldo, il quale sebbene avesse anco nelle fac- cende governative la plena fiducia del
fratello, che del consiglio e dell'
opera di lui sempre si valse, pure non
avendo in mano la somma delle cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo
campo per promuovere e favorire le
lettere, le arti e le scienze. Difatti
benemerito del nostro splendido robusto e
gentile idioma con animo appassionato e caldo facili- tava e sollecitava i lavori del Vocabolario,
accudiva alle pubblicazioni di vari
testi di lingua. Arricchiva di nuove
collezioni la GaUeria di Firenze, che da lui
riconosce molto del suo presente splendore. Rifondava, e questa fu delle prime sue cure, sulF
esempio del vec- chio Cosimo, Y
Accademia Platonica, perch^ Dante e
Petrarca fossero illustrati a seconda di quella filosofia; e sebbene il ritorno all' idee platoniche non
fosse vera- mente un favorire la
tendenza degli intelletti in quel- r
etib, n^ un avvantaggiare la filosofia Galileiana (Vedi Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat.
Esp.^ Fi- renze, 1841, pag. 60), era
pure un forte attacco, co- munque
indiretto, alle dottrine scolastiche fatte da
lungo tempo cibo quotidiano ed unico della nume- rosa mediocrity; e per questi fatti e per
questo colpo indiretto sarebbesi
meritato Leopoldo da qualunque in- 50
CAPITOL QUARTO. genuo e libero storico
il nome di Benemerito, quando anche non
vi avesse aggiunto tutto cid che voile ope-
rare a promuovere direttamente la nuova Filosofia del- rUniverso. Nell'avvantaggiare le lettere, la
filosofia e le scienze ebbe sempre in
costume Leopoldo di associarsi agli
uomini che pitl si erano in quelle varie discipline segnalati; cosi nel favorire lo studio della
lingua nativa conveniva cogli Accademici
deUa Crusca a pubbHcare opere poetiche o
testi di lingua, radunava presso di s^ i
Dati, i Rucellai, i Redi, i Magalotti a richiamare la filosofia di Platone; istituiva a bella posta
una con- grega in sua casa a
raccogliere, pubblicare e ristam- pare
le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli e dei matematici antichi nuovamente illustrati
e di- chiarati. E anco lo stupendo concetto di fondare un'
Acca- demia destinata espressamente alia
Filosofia sperimen- tale, si deve in
particjolar modo alia gran mente del
principe Leopoldo, il quale voile nel 1657 stabilire delle regolari Adunanze, nelle quali sotto i
suoi occhi la nuova filosofia
sperimentale, gi^ nelle domestiche mura
promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili
Magalotti, OKva, Bellini, Redi, molti
dei quali fregiarono indi le famose
University di Pisa, di Firenze, di Siena, inaugu- ratori sovrani di quella Riforma proclamata
dal Ga- lileo e dal Torricelli. Orazio Rucellai fioriva in mezzo a quegli
uomini grandi, ed emulo della loro
operosita e di operosita esempio ad essi
costante, nei rumori della Oorte schi-
vando Tozio coltivo sempre come nelle mura dome- stiche la morale e gli studj, ed ivi al pari
del Redi trovo mezzi e pascolo
airansietli irrequieta del sue spirito
filosofico. Venuto presto in fama di molto sa- DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
51 pere, il Granduca e Leopoldo non
potevano non pren- derlo in
considerazione alta, e oltre le missioni politi- che, che sopra mentovammo, gli affidarono la
dire- zione degli studj del principe
Francesco, e nel 1657 la sopraintendenza
della Biblioteca Lanrenziana, che
insieme alia Galleria veniva con regia profiisione ar- ricchita. Le piii illustri Accademie fecero a
gar^ per ascriverlo tra loro, e prima la
Fiorentina della quale fa consolo nel
1653. E anche dell' Accademia della
Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando
in ci6 la mo- destia di Socrate e la
moderazione di Pittagora, giu- sta ne
scrive Anton Maria Salvini, essere chiamato in
essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla di pane,
col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato,
e filo- sofo, e in queste tre qualita
riusci a' suoi contempo- ranei famoso,
come le lodi di essi a lui prodigate fan
fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da
alcune lettere sue in risposta a loro
ricavasi. Egli, il Rucellai, scrisse
rime di amore, filosofiche sociali,
religiose, ed anche disoneste ; scrisse cicalate e panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente
questa mi- schianza di contradittorj non
potra a meno di colpire la riflessione
del lettore; molto piii se egli ricordi le
qualita morali e anzi gli scrupoli che, come nel fisico, cosi nel morale assalivano di continuo il
nostro filosofo. Perch^ mai egli a lato
di poesie che ti discorrono soavemente
dell' anima, dell' amore, della Provvidenza,
che ti lodano la verginit^ di santa Maria Maddalena, • osa porre lubrici scherzi, immorali
canzoni? Questo e un primo problema che
fra poco risolveremo. Intanto 1 52 CAPITOLO QUARTO. vogliamo finir di vedere in qual conto
cospicuo e come letterato e poeta e
filosofo lo tenessero i suoi contem-
poranei, e anche i ppsteriori vicini a noi; indi ridur- remo coUa critica al suo giusto valore le
lodi. Francesco Rovai amico, a quel che
sembra, di Ora- zio, e cantore delle
Muse egli pure, indirizzandogli una sua
canzone in morte d' un barone Bettino Rica-
soli, cosi gli parla: « Dillo tu
che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi.
)» E il Redi, pur amico del Rucellai, e
scrittore for- bitissimo di lingua
nostra, pote dire di lui, che E per
tacer d' altri, il Crescimbeni neir
Arcadia dice che : E nel se- condo volume della Volgar Poesia, aggiunge
che : DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 53 Ed anco come letterato
accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue
invettive, e nelle sue cicalate, apparve a que-
gK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono pro- fusamente, ora ammirando Y eleganza del
dettato, or il brio e le facezie di che
le andava adornando. E il canonico
Panciatichi, con lettera in data di Parigi
de' 24 ottobre 1670, volendo esaltare la gran perizia che aveva nella nostra lingua la duchessa di
Vitry, cosi dice : Da che si vede com' era egli tenuto per
lette- rato e scrittore in gran conto, e
a molti, se non a tutti i suoi
contemporanei, superiore. E il
cardinale Pallavicino che quantunque, come
dice il Giudici, se la piccasse un po' troppo per mo- dello di stile, pure ne ^ di certo maestro,
in questo modo scrivendo al Rucellai de'
suoi componimenti giu- dicava:
(1666) E veramente il Rucellai si
mostra qui, come nella versione di molte
altre cose latine fatta man mano ne'
suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio conoscitore, non senza difetti che faremo poi
notare aver esse comuni col tempo; il
tempo poi questa co- noscenza delle
antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^ del
Rinascimento non era ancora spirata, e dovea anzi chiudersi col nostro Filosofo. II quale, come
quel che piii d' ogni altro de'suoi
contemporanei ea; ^ro/i2550 si DELL A
VITA DI ORAZIO BICASOLI RUCELLAI. 55
occupo nella filosofia di Platone doveva (e naturale arguirlo) il greco conoscere profondamente, e
piil che non il latino. Se non che noi
restiamo su tal punto tra il si e '1 no,
e ci nasce anche il dubbio ch'ei ne avesse
una notizia non troppo grande, e che per la
versione e interpretazione del testo si servisse di tra- duzioni gia fatte dagli anteriori
neoplatonici, dal Fi- cino pr^cipuamente
; molto piii che neoplatonicamente nella
massima parte le teorie e le dottrine del divino Filosofo spiega ed illustra, cogl'
intendimenti di Mar- siho, di Plotino e
di Giamblico, n^ si cnra, se non di
radissimo, di ricondurre al suo verace e legittimo va- lore i pensieri deirAteniese; ne una parola
greca ne'quat- tordici volumi de'suoi
Dialoghi ti ^ dato trovare scritta,
molto meno una frase ; e se v' ^ una parola greca § logos scritta italianamente. E vero che percorrendo
le sue lettere, ne troviamo una
principalmente diretta di villa al Redi,
il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre
cose : E piil volte di aver letto
sul testo or quella or questa cosa, di
sua propria voce conferma ue' Dialoghi,
e nel prime Dialogo sul Timeo assevera
aver per questo riscontrato tutti quanti i testi mighori ed esaminato (perd) qualunque de' piii
reputati in- terpreti e piii autorevoli.
Ma come ognun vede, questi 56
CAPITOLO QUARTO. passi vengono piii in
conferma de' nostri sospetti che contro;
e ad avvalorarli vo'recare qualche espressione
che ho trovato nella difesa del signor Tommaso Segfii, com' accademico detto 1' Ardito, contro le
accuse da- tegli dal Kucellai, in uno di
quei soliti finti batti- becchi di
quegli Accademici. In questa difesa
mentre si ricava la conferma che il
Rucellai studid sempre e profondamente le Mate-
matiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi Dialoghi sulle armoniche proporzioni, e ch' ei dettd
rime lubri- che, v'^ pur conferma del
nostro pensiero sulla poca scienza sua
del greco. Tra le altre cose egli, il Segni,
dice al Rucellai: Entrasti dopo
cio nella mia traduzione della corn-
media di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti rispondo perch^
io non t' intendo ; se tu ti dichiari
megHo, ci sar^ la risposta anche per
questo, non dubitare. Questa commedia si
recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non
sarai impe- dito da' tuoi gravissimi
studj delle Mattematiche ; nou DELLA
VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 57
biasimo la scienza, non ti alterare, che io so benissimo che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio
che possa fare un giovane nohile come tu
se'; ma infatti vuoi sapere a cid che ti
serve, giacch^ io non veggo che tu sappi
coUegare insieme quattro periodi, che provino e concludano mai nulla ; e non hasta sap*er
quattro pro- posizioni, e poi volere
orare alia presenza di cosi dotta
Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e leggergli nella
lor lingua^ non si fidare dei trdduUori.
> V 6 un proverbio latino che dice :
in vino Veritas. ed h in questo modo in
realta; or credo non men vero rimanga il
proverbio temperato cosi: in ludo Veritas;
poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche
e spensie- rate un barlume di verity
sempre traluce. E lo prova il Rucellai
avendo realmente scritto rime iramorali,
araico del Giraldi, e conosciuto profondamente le ma- tematiche; e I'accusa del Rucellai stesso
intorno alia nullita del merito nella
versione di Plauto fatta dal Segni,
della quale, per fermo, come di nessun pregio
non si fece da' contemporanei e posteriori letterati menzione mai. Ora io ripefco che I'esser
venuti in chiaro della non grande
esperienza del nostro Filosofo intorno
al greco, fa molto, perchd ci spiega come pitl
che le vere dottrine platoniche, le interpretazioni neo- platoniche accettasse e trasformasse nel suo
lavoro scientifico. E perch^ su questo
punto non mi rima- nesse dubbiQ veruao,
io voUi confrontare i passi del Timeo,
tradotti dal Rucellai, col testo, e indi con le
traduzioni latine anteriori; e cid mi servi di riprova irrefragabile. Nel 1650 il nostro Rucellai era nominato
dal- r Accademia membro della
Deputazione del Vocabo- 58 CAPITOLO
QUARTO. lario, e prendeva a fare lo
spc^lio delle Lettere di Monsignor Delia
Casa, e delle storie del Machiavelli.
Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da una lettera scritta da lui al cardinale Leopoldo. Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e
i discorsi accademici, venne egli in
alta venerazione presso i con-
temporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo, antono- masticamente chiamavanlo, e consultavanlo
come un oracolo, sicch^ ei fu della
rinnovata Accademia Plato- nica r anima
e il duce, in quella guisa che il Ficino due
secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi filosofici di lui E
basta leggere le lettere che il Rucellai
scriveva in risposta al Cardi- nale
Delfino, per vedere come in riverbero, in qual
alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi dell' Im- perfetto; e come il Delfino, cosi il
Magalotti, il Dati e tutti quei grandi
eruditi, che convenivano in sua casa ad
ascoltarne lettura. Imperocch^ la casa de' Rucellai era una vera e propria Accademia. II
Rucellai, come abbiam detto sopra, dovea
ricordarsi degli Orti di sua famiglia;
doveva udire in cuor suo potente ancora la
voce dell'avo Bernardo e di quei grandi sostenitori delle dottrine Platoniche e della liberty.
Egli aveva perduto que' luoghi memorandi
; gli dovea risospirare, e in qualche
modo farli rivivere. E' mi sembra veder
quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi figliuoli, e con illustre schiera di dotti, intento a
favellare del- r uomo, dell' uni verso e
di Dio ! E di queste adunanze fa parola
appunto il Tiraboschi nell' ottavo volume della
sua Storia, dove discorrendo del fiore in che allora, nel secolo decimosettimo, erano le Accademie
fiorentine pubbliche e private, dice che
tra quest' ultime, celebre singolarmente
fu quella del prior Orazio Rucellai; e
riferisce le parole di Lorenzo Magalotti, il quale in DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI.
.59 una lettera indirizzata a Luigi Del
Riccio incitalo a procurare che non si
abolisca quell' istituto, e si ral-
legra che egli abbia si buoni assegnamenti per farlo sussistere, cioe il Salvini, il Lorenzini e
rAverani. E anco il Negii appella a
questa riunione di let- terati {Storia
degli Scrittori Fiorentini) dicendo:
Ma il Salvini, nelP Elogio al Filosofo^ ci dipinge a colori vivacissimi il fare di lui, e le sue
relazioni, e i suoi modi e le dotte
adunanze, e le erudite conver-
sazioni. E, magnificata indi il
Salvini la gentilezza e vigoria deir
idioma nostro, soggiunge pitl sotto :
E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e il
disegno.^ Di questi dialoghi, in
numero di sessantacinque, sono stati
pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della natura, esclusa la
platonica, e il trattato della
Provvidenza; * per il che sarebbe desi-
derabile vederli pubblicati per intero ed ordinatamente. Era ben naturale adunque che il Rucellai, di
si vasta erudizione e di tante belle
qualita adorno, riscuotesse Tammirazione
de'dotti suoi contemporanei e principi
d' allora, e tutti si attribuissero a ventura ed onore di potersi chiamare suoi amici. Talche una lunga
schiera de'piii segnalati uomini del
tempo vediamo f ar corona all' illustre
seguace di Galileo, al cultore della filosofia
neoplatonica, all' ultimo figlio del Rinascimento filoso- fico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due
Falconieri e il Filicaia sono in
continua corrispondenza di affetto e di
scienza con lui, e si legati in amicizia che niun di lore ardisce porre un' opera in luce senza
aver prima consultato gli altri per
averne le critiche, e fatte su quelle le
opportune correzioni. E Lorenzo Magalotti pone tal- volta ne'suoi scritti dialogici a
interlocutore principale il nostro
Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto * Vedi : Indice delV opere del Rucellai. 64 CAPITOLO QUAETO. delta neve e sul Bibollimento del sangue^
secondo i pen- sieri del Galileo; in
quella guisa medesima che il Ru- cellai
scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui gli apre Y animo suo, e dimostra la sfiducia
grande ne' suoi proprj lavori, e
minaccia di gettare al fuoco i suoi dia-
loghi filosofici e si pente de'trascorsi di gioventii. 11 Filicaia gli dedica un sonetto in sua
lode, e il Redi ne discorre,
encomiandolo nel suo Ditirambo. II
Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo, parlando di una lettera di esso, dice
che e Monsignor Gia- como Altoviti amante delle belle arti, il
marchese Vincenzo Capponi, il Dati, il
Pallavicino, il Buonac- corsi, il Magiotti,
il primo de' suoi interlocutori, e uno
di quelli che composero, come si esprime il GaUleo, il. suo triumvirato, tutti li vediamo in
corrispondenza d' affetto e scientifica
col nostro filosofo ; il quale nelle sue
lettere, dimostrasi deferente a tutti, e modestissi- mo, e quasi trepidante ogni volta che a
qualcuno di loro invia, richiesto,
qualche suo filosofico componimen- to. E
le lodi riguarda sempre come eccesso di bont^
deir animo di quei che gliele fanno, non mai effetto de' meriti proprj, mentre egli trova sempre
che lodare negli scritti degli altri. E
i principi govemanti lo ve- nerarojio
anch' essi con reverenza ed affetto speciale ;
e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi aver egli avuto alcuni disastri in famiglia
come ab- biamo gia veduto superiormente. Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile,
soUecita dal Principe Leopoldo con
lettera del 28 aprile 1653 soccorsi
profittevoU per i disastri economici della sua DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
65 casa, afline di potere con piii
quiete e piCi comodamente esercitare in
qualche trattenimento studioso gli scarsi
talenti ch' ei si ritrova. A questo decadimento delle sostanze del Rucellai, accenna pure il
Panciaticlii nella sua Contraccicalata
alia Cicalata sulla lingua lonadat- tica
(1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : « Sov- vegnati del viaggio da par tuo clie tu
facesti in mia com- pagnia a Pisa, Lucca
ec, quando tu gridasti il Meschini^ (gia
somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo revisore generale, per quanto io intendo,
delle tue posses- sioni) perche ti
lasciava andare coUe gomite rotte ec... >
Oltrediche egli fu pure da morali traversie angu- stiato molto talora; come quando ei seppe
ucciso in rissa un de' suoi cari figli,
Giuliano, in casa d' una cor- tigiana,
del quale eccesso il vino non sembra essere
state r ultima cagione. A questo fatto egli accenna in una delle sue lettere (Firenze 8 settem'bre
1668) al Pa- triarca d'Aquileia, dove
spicca in tutta la sua pienezza e r
affetto di padre, la mitezza sua e il sentimento re- ligioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi
anni avanti la morte sua, sollecitata
fors' anco da questi colpi della
sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza divina, di
cui si bene favelld ne' suoi libri. E
anche da Cosimo III ebbe a soffrire
dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante,
succeduto che fu a Ferdinando, nel 1670, di onorare DELLA VITA DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
67 il Kucellai, confermandolo nella
carica di gentiluomo di Camera, a poco a
poco lo allontand dalla Corte. Perd da
alcuni storici (come il Maffei) si 6 detto
e si dice ancora che Cosimo III non fu troppo tenero ma anzi ostile alle lettere ed alle scienze
filosofiche, e che percio era ben
naturale s' allontanasse dalla Corte
quei che le coltivavano. In questo vi 6 per
lo meno esagerazione, ed una conferma che preso per alcune cagioni I'uomo in dispetto,
spariscono troppo spesso dalla memoria e
dagU occhi quei lineamenti veri che a
scemare la bruttezza del quadro sarebbe
giusto considerare. 11 liglio primogenito di FerdinandoII quantunque meschinamente bigotto, e inabile a
gene- rosi pensieri in politica, pure
non solamente la teolo- gia, come dice
il Canttl, (Storia Universale, vol. 17,
pag. 766) ma favori anzi ed amd le scienze e le let- tere, e a persuadersene basterebbe gettare
uno sguardo sul grandissimo carteggio
ch'egli e il suo segretario privato
canonico Basetti ebbero con tutti i primi uo-
mini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo vo- luminoso epistolario trovasi nell' Archivio
centrale in Firenze, e tra le altre vi
si ammirano lettere dell' Au- tore
delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz.
Sarebbe anzi desiderabile che qualche studioso pren- desse quelle filze neglette in accurata
disamina, e ne traesse ad utility della
scienza e a vantaggio di quel principe
quella luce che finora non h comparsa fuori,
ed ^ per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta
attribuire Tallontanamento del Rucellai
dalla corte; sibbene forse la salute
vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III
di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo. II Rucellai infatti moriva poco tempo dopo
che si fu allontanato dalla Corte
Medicea. Ma la morte trovoUo 68
CAPITOLO QUARTO. col volto ridente,
come Socrate, e con costanza se- rena.
Egli moriva nell'et^ di TOanni il 16 febbraio 1674, stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi
e degli amici, la piii bella e
confortevole benedizione ad un'anima che
lascia la prigione del corpo. Cristiano,
ebbe pure i conforti soavi di quella religione, in nome della quale ei filosofava con afietto di
innamorato, e pieno di fiducia di vedere
svelata nell' eternity a' suoi sguardi
la verity, la bont^ e la bellezza infinita.
L'avello de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in
Firenze ; e col richiudersi di quella
lapide si cliiuse insieme il pe- riodo
del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche
un giomo se ne imparasse la importanza
vera, che pur troppo non ravvisarono (n^
lo potevano) i suoi contemporanei.
Tuttavia i Dialoghi del Rucellai ne furono pascolo a quegli uomini colti anco appresso.E Anton
Maria Salvini, poco dopo la morte del
loro autore scriveva a Lorenzo Adriani
ragguagliandolo delle veglie che si facevano
allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova edizione del Vocabolario:
Leguntur in hoc eruditorum hominum codu
scriptiones varied cdque pulcherrimce,
ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi
quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est universam.
Huitis contentum scribendi laborem nee
aetas extrema tardavit^ qui jamdudum
vita functus, magni sui, atque operis
desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste lubriche che si attribuiscono
al nostro Priore, si leggono di suo,
firmate, poesie one- stamente amorose ;
e che nella sua Cicalata in quartine
fatta in lode del Cacio Lodigianoy non certo in sospetto di apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e
riconosciuta da lui che ne fa menzione
negli altri suoi scritti, egli si
compiace d' incastrarvi non pochi equivoci disonesti ; io credo che la critica imparziale non potr^.
rispar- miare al Filosofo Platonico la
non troppo onorifica pa- ternity di
quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo
visto un suo amico medesimo Tommaso Segni, accade- mico, quantunque in istato di esagerazione e
di fin- zione burlevole, pure accennare
a questo peccato del Rucellai nella sua
difesa contro un' accusa data a lui da
quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti .deplora poi queste sue giovanili leggerezze e le
riprova. Ma per non stare troppo sulle
generality, e adden- trarsi alquanto
invece nell' analisi delle sue poesie, in-
comincieremo dal notare come il Rucellai nei suoi so- netti filosofici discorrendo della
Provvidenza divina, conformemente alle
dottrine neoplatoniche e al domma
cristiano, asserisce non potersi comprendere Dio che DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
75 con la Fede, quantunque le opere di
sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per
usare la frase de' sapienti ri- petuta
dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice
vivo di Dio, dimostrino chiaramente che e' c' 6. A prima vista si scorge qui la sua grande sfiducia
nelle forze delPumana ragione, che
reputa da sola insufficiente a levarsi
oltre la sfera del mondo, per discorrere col
suo lume naturale dell'Ente Infinito e dei suoi attri- buti divini. Sentesi qui una tal qual'aura di
scet- ticismo, che gli antichi sistemi
risuscitati dal rinasci- mento, e tra
loro combattentisi, dovevano aver iinito
con ingenerare in quegP intelletti spossati, nelle menti di quei filosofi allora che si stava
compiendo la piti grande delle
rivoluzioni intellettuali, e la riforma si
veniva mano mano estendendo. Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme
del Ficino a professare che Religione e
Filosofia son sorelle, e la prima la
maggiore; anzi -poich^ filosofia ^ Simore e stu- dio di verity e di sapienza, e Dio solo ^
principio di sapienza e fontana di
verity, ne consegue che legittima
filosofia non sia altro che la vera religione. Quindi se la fede non ^ I'unico fondamento della
scienza, pur n'6 engine grande e primaria;
e per di piti, mediante la sola fede noi
ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Pla-
tone scriva nel Timeo che dell' eterna essenza non si puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e
che ^ al- I'uomo nascosta, iinche pero,
aggiugne Ficino- e il Rucellai in
sentenza cristiana, Iddio stesso non riveli
s6 alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il Ficino venne a dichiarare che voleva
piuttosto credere divinamente che sapere
umanamente, professando la fede divina
essere infinitamente piti certa della sapienza
degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere sempre confermata dalla scienza vera (Epist.
lib. V, 76 CAPITOLO QUINTO. p. 1.), esister nel mondo invisibile le cose
vere, e nel mondo visibile rombi?a
solamente della verity; cosi il Rucellai
non isdegna, ma ama la filosofia; pur come
i neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bes- sarione, voleva unita alia religione e
dipendente da questa, perche da se sola
incapace, la filosofia, a farci
comprendere Dio, che essendo Verity perfetta e il sommo Bene (Cfr. Platone nel Fedro) noi mortali non
possiamo per le natural! vie afferrarlo,
o non riusciamo ad averdi esso che una
nozione o rappresentazione analogica,
guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe le cose belle, vere e buone di quaggiti. Questi concetti fondamentali intorno la
compren- sione di Dio per I'umano
intelletto, il Rucellai voile esporceli
in quattordici sonetti, ne' quali, in sostanza,
e'non fa che riprodurre quelle esclamazioni e quelle espressioni di maraviglia che di tratto in
tratto ritro- viamo ne' suoi Dialoghi filosofici
delta Provviden^a^ magnificando le opere
della creazione ed i portenti che Ella
n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e
questo, a dir vero, non altro che questo
il concetto che sotto varj aspetti ei ci
viene difiusamente ripresentando.
Infatti egli professa che « A
quel sovrano ed invisibil nume Nostro
intelletto non puo mai trar Y ali, »
imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista « Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. » {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di
Diversi, p. 234.) E passando via via in
rassegna i regni della natura, DELLE
POESIE DI 0BA2I0 RICASOLI RUCELLAI. 77
minerale, vegetabile ed animale, ascende iino all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc. cit. pag.
239.) (.o7t (I Dialoghi della
Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le
Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica
deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben?
dal Rucellai. II Petrarca infatti,
questo Raffaello nell' arte della
poesia, con generoso ardimento tolse, per cosi dire, nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone
guardando lo contemplava, V archetipo
della beUezza perfetta, anima- trice di
amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla
terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di una realty non inane nd effimera, nel volto divinizzato
di Laura : « E in umil donna alia belta
divina. * Personificando in costei vero
e buono, bellezza e virtil, realizzava
I'idea, ideal^zzava la reaM. Era un
connubio divino che il poeta deU' amore cristiano can- tava, sostenuto da quelle medesime ali
amoroso, da cui DELLE POESIE DI
OBAZIO RIGASOLI BUCELLAI. 87 fa il
filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria. La
religione inal- zava ad uguagHanza la
donna; come redenta, la faceva
rispettabile da disprezzata che ell' era. La cavalleria la rendeva anmiirabile, ispiratrice delParti
e delle virtii militari : i trovatori,
eccitatrice delle arti di pace e della
poesia; i poeti italiani, divina, potente su i
destini dell' uomo cui conduce alia virtii per la strada deUa bellezza. II Petrarca non canta perd un
amore che non sente, nd le lodi di una
donna che ei non conosce. Egli conosce,
ammira, desidera, ama Laura e per essa
risale al cielo; egli conserva, armoneggia
ed innalza 1' elemento cristiano dei trovatori e dei poeti italiani nell'ideale platonico del bene
e della virttl. fi veramente un' armonia
divina, che incomincia dal cuore del
poeta, si avviva sul volto della donna
amata, per avere il suo compimento 1^ dove senza velo e confine si ammirano le eteme figlie di
Dio! U Rucellai ha piena la mente di
queste idee ; egli ama secondo il
concetto platonico e petrarchesco, e
questa teoria egli pure, mi si passi la frase, viene per- sonificando in dieci sonetti, dei quali piii
che la met^ rimangono inediti ancora ;
ond' io credo mio debito di dame qui un
saggio, ma senza potere affermare in
qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o immaginaria, quantunque dall'esame loro mi
paia piii probabile che in gioventii e
per donna vera. Egli in uno de' sonetti
inediti si rivolge alia donna amata con
questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma
pur delicatamente vestiti: oc
Non di vostra belta caduca e frale, Amo
quel fuoco vil che i sensi accende, Ma
pill a dentro sen va Talma e comprende
Un bello incorruttibiie, immortale.
88 CAPITOLO QUINTO. ■ Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale Da be* yoaif occhi nn non so che
risplende, C*ha deiretemo, e luminosa
rende Qadia forma ch' k in voi breve e
mortale. Non quel che srnonta in un
baleno, e fugge False lustro di ben vo
cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi
ne accende e strugge. Ma sj di raggio
in raggio a quel rn'invio Sol che non ha
chi lo ricopra e adugge, E contempl^do
voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che
noi dimentichiamo il seicento qui^ come
pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammen- tano troppo 11 Petrarca, imitato talvolta dal
Rucellai diremo quasi con plagio. Per
esempio, in questo se- guente, pure
inedito, in morte della sua amata, e adomo
indubitatamente di gusto delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di Diversi, VII, n* 3). Quella che dal mio cor non parte mai. Bench^ vederla agli occhi miei sia
tolto, Spesso tra 1 sonno. con pietade
ascolto Dirmi : non pianger pih ch* hai
pianto assai. Son vivi in ciel di
queste luci i rat, Che vedesti languir,
misero e stolto, E bench^ spirto dal suo
vel disciolto. Son quella e t*amo pur
quanto t'amai. Dal tribute mortal
libera e franca Quest' alma attende alle
celesti porte La tua, ch' k senza me di
viver stanca. Deh! vieni, o mio fedel,
c\\*k miglior sorte Qoder V immenso ben
che mai non manea, Che un breve corso di
continua morte. it Mi si confessi
giusto: chi non sente qui Tanima del
Petratca che inspira? chi dal seicento non ritoma per questi yersi alle pure regioni del trecento,
ed oblia i tra- scorsi scapestrati di
quella et^? Non ti par egli ad ogni
espressione ti ritomi sulle labbra quel lamento diyino : « khimh \ terra h fatto il suo bel viso Che solea far del cielo E del bel di lassb fede tra noi ? » DELLE POESIE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
89 E come in questo, cosi negli altri
sonetti di amore, de' quali a maggiore
conferma di quel che vo espo- nendo
aggiungo alcuni in appendice nella piccola An-
tologia degli scritti del Rucellai, i concetti platonici chiaramente tralucono. Ad illustrazione dei
medesimi io preferirei invece di
riportarmi alle parole stesse dal
Rucellai adoperate intorno V Amore nel dialogo decimo deUa Fromidenza, modello di eloquenza e di
stile, e che valgono a compiere a
maraviglia le osservazioni premesse. Ma
poich6 ci dilungheremmo qui troppo, nol
fo, e rimando il lettore a quello scritto gi^ edito, potendo in questa guisa da se medesimo
ritrovare tosto la verita di quanto io
venni dichiarando su questo im- portante
subietto. Io chiudo per6 ripetendo che
questi versi del Ru- cellai nulla per il
pensiero tenendo del seicento, ti
riconducono a' giomi pill belli della italiana poesia, e ti legano quasi il trecento col secolo dell'
Achillini, del Marini e del Preti!
Sembra F ultimo respiro che in questi
versi d' amore trar volesse la musa Petrarchesca, soffocata, per cosi dire, in quella gravosa
atmosfera. Non cosi riguardo alle
figure, alle imagini ed alio stile, dir
si pud di tutte le altre poesie esaminate fin
qui nel loro contenuto o materia. II diffuso e il cica- leggio accademico trovi sovente frammisto al
forte e robusto pensiero; troppo uso di
mitologia, che giudichi abuso, e che ti
accenna una volta di piil 1' et^ del ri-
nascimento imitatrice esagerata dell' antico non aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite,
delicata e serena, un' altra immagine
tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a
prestito dalla scuola Mariniana ; come,
per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon Rucellai confessa di amare sempre, e dice
nientedi- 90 CAPITOLO QUINTO. meno che arde qucA Etna, senza pensare che
neanche le Guardie del f uoco (oggi
Fompieri) se c'erano, avrebber potuto
spengerlo con tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo soggiunge che arde qucd dgno, senza
riflettere alia sconcezza di quelF
animale colle penne abbruciaccliiate sul
dorso. Ma in generale nello stile si
modera, ed appartiene, credo, alia
seconda maniera di poetare, alia quale noi
accennammo in principio di questo Capitolo. Percid quelli de' suoi contemporanei, i quali erano
imbevuti deir aria medesima respirata
dal Rucellai, ma perd non eccessivamente
viziati, levaronlo a' terzi cieli, pur come
illustre poeta, e il medesimo Redi, il piii puro di tutti, ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai
abbiamo, dopo il discorso, un criterio
sicuro per ricondurre gli encomj al lor
giusto valore, e per conchiudere che
Orazio Ricasoli Rucellai fu poeta piti imitatore che originale ; che nel loro contenuto molteplice
e contrario le sue poesie, nonch^ nella
forma esteriore, ritraggono fedeli il
secolo nel quale egli fiori, i contrasti del
tempo nel quale egli visse; e che se talvolta sorretto dalle ali poderose di un grande intelletto
che ei prese a duce, il Petrarca, seppe
farsi soUevare ad altezze non comuni;
piii spesso perd ei non potd non la-
sciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non precipitare con essi nel vano, nel
lubrico, nel- r eccessivo. Capitolo Sesto. delle prose letterarie e scientifiche di orazio rica soli rucellai. SoxirABio. — La Prosa nel seicento. —
Anche in essa il Rucellai veriflca il
nostro concetto. — Contrast! nella natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all'
Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e
air Ardito (Toramaso Segni). — Discorso del Rnoellai nel rendere rArciconsolato. — Cicalata sulla
lingua lonadattlca. — Scherzo in lode
delF Uccello. — Elogio di san Zanobi. — Versione della Lett&ra di Cicerone ad Quintum Fratrem.
— Critica. — Discorso della Fortuna. —
I) suo discorso contro il Freddo Positivo, — Rie- pilogo di questo discorso. — Segue il metodo
del Galilei.— Lettero familiari e
politiche. — Osservazioni. — Suo libello sulla pianta e rigiro della Corte di Roma. — Disegno di
questo scritto. — Giudizio. Nei suoi
discorsi, nelle sue prose letterarie e scien-
tifiche obbedisce egli il Rucellai alia medesima legge, verifica il nostro concetto? £ bene ricordare che anco la prosa di quel
tempi fu viziata ugualmente che la
poesia; cio ^ chiaro, im- perocch^ gli
uomini come pensano, scrivono; come ri-
flettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli
accademici ed i filosofi mostrarono
allora vergogne rettoriche da fare
sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. (GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana, Vol. II,
pag. 261.) Tut- tavia, come nel pensiero
e nelle condizioni poUticlie e religiose
del tempo, gi^ a lungo discorse di sopra, cosi 92 CAPITOLO SESTO. nelle prose avemmo in quel secolo un
contrasto, e non sempre sconsolante,
specialmente in Toscana. II DaviJa
nelle guerre civili di Francia, il Benti-
voglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il car- dinale Pallavicino nelle Storie del Concilio
di Trento, il Galileo e i suoi numerosi
discepoU, il Redi, il Dati, e molti
altri si tennero lontani dalle stramberie di di- zione del secolo, ed alcuni sono splendido
testimonio deir indipendenza del pensiero
italistno, che sorge ani- moso ed
affronta ogni genere di persecuzioni.
Leggendo le prose del Rucellai varie e diverse per natura, assai bene troviamo riconfermato il
giudizio nostro sulla intima e profonda
rispondenza de' tempi air uomo, e dell'
uomo a' suoiscritti. Accademico della
Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e chiacchiera in bugnola, e finge inveire contro questo e
quell' Ac- cademico, e cicaleggia sur un
nome o sopra un verbo, con quell' ardore
col quale oggi un deputato fa e svolge
un' interpellanza per cogliere in fallo il paziente mini- stro ; tesse 1' elogio di san Zanobi, il
protettore del- r Accademia; discorre
sulla Fortuna, fa panegirici dei
Granduchi, incensa nelle sue lettere Cardinali, sdruc- ciola al solito in indecenze e in equivoci; e
poi in quelle stesse lettere ragiona
gravemente di studj, e di scienza ; in
quelle stesse Accademie svolge con gran
dovizia di dottrina ed acume di riflessione subietti filosofici, facendo tesoro delle tradizioni
scientifiche, de- gl ' insegnamenti del
Galileo e dell' esperienze del Ci- mento
; traduce nel nostro idioma la lettera moralis-
sima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e mette in mostra come i pi'egi cosi i difetti
pericolosi di al- cune Corti d' Europa,
e quello che piil sorprende, non la
risparmia neppure alia Gorte di Roma, svelando di essa i rigiri, in un suo scritto iuedito ed
incomplete, DELLE PROSE DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. 93' ma dotto per
riflessioni di diritto e politiche, ritro-
vato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad
alcuno, come le sue poesie contro le
Corti, o se si, indubita- tamente in segreto
a qualche fido amico suo, perch^
seegliloavesse resopubblico, sono certochene avremmo notizia da' contemporanei, non foss' altro
per le mo- lestie a ctd egli sarebbe
andato incontro. Si vede tosto come
questa diversity di soggetti sia iin
accenno non dubbio di quel contrasto di opinioni, che tanto nel suo paese, quanto nella mente
di lui do- veva aver luogo in quel
tempo, in cui, come abbiam tante volte
ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ul-
timo sforzo contro il nuovo che sorgeva in Europa, e che ormai era impossibile arrestare nel suo
moto ve- loce e potente. Del resto,
oltre agli scritti accennati qui nel
loro concetto generico, e che specificainente no- minerd nell'indice delle opere del Rucellai,
sembra esser stato egli I'autore di
qualche altro scritto impor- tante,
smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo esatta contezza, giacente in biblioteche private. Ma
contentia- moci di quel che c' d, ne
ritomiamo a' lamenti. Era uso, per
esercizio di lingua, che gli Accade- mici
della Crusca fingessero di darsi delle accuse e
delle impertinenze a vicenda, e in queste finte batta- glie non ^ da dire quanto volentieri s'
impelagassero. D Rucellai, quantunque
mite per natura, non ri- mase perd
dietro ad alcuno nella fierezza delle sue in-
vettive, tanto che in una di esse, in risposta all' accusa datagU dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando
del Maestro, (il quale con frasi
arditissime, e con riso- nanti periodi
accuso Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo
nel 22 maggio 1652, come colpevole della pigra len- 94 CAPITOLO SESTO. tezza in cui erano caduti gli Accademici
nell' adempi- mento degli obblighi loro
con tanto discapito e ver- gogna deir
Accademia), fu giudicato aver troppo ecce-
duto, e che di tante villanie dovesse con pena condegna pagare il fio. (V. Diario del Buonmattei,
segretario.) E davvero questa replica ^
ingegnosissima e cu- riosa, e fatta con
arte fina di molto, e ci fa senapre piii
lamentare che ingegni si eletti stremassero in
quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la lingua di questo scritto son veramente
ammirabili, se tu eccettui al solito una
tal quale tendenza al tronfio, e quel
dondolare il dettato per troppo desiderio di leg- giadria, difetto del tempo rimproverato anco
al Bartoli. Ed ^ percid tanto piii
notevole come di frasi esage- rate e di
paroloni riprenda accortamente V avversario,
egli che vivea nel seicento, e non immune da' secenti- smi, e lo richiami al puro e soave idioma
toscano con tanta religiosa osservanza
da'maggiori custodito. E per dare un'
idea del suo fare nelF invettiva, riferisco
qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna di considerazione. Dopo avere ben bene
rimbeccato I'accusatore, e dimostrato
che invece di torti egli, r ImperfettOy
aveva ragioni da vendere, e meriti da
mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disa- domo, vile, calunniatore e macchinatore della
rovina dell' Accademia, cosi finisce a
lui rivolgendosi : II lettore sente di
quanto veleno sian ripiene quelle
parole, e come per la qua- nta sua
questo scritto sia modello, tanto che lo stesso
Omato si dolse anche in progresso perche la piil bella cosa che avesse a que' di fatta il prior
Rucellai, I'avesse fatta contro di
lui. Di altra sua invettiva, fiera
atroce e sanguinosa, come place
chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo
96 CAPTTOLO SESTO. perch^ la
difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo
il Salvini, di alta reputazione, e contro cui quest* ac- cusa del Rucellai era diretta, ci attesta
essere stata scritta dal Priore
Imperfetto. E da'titoli di usurpor tore,
di sfacdatOj di stravagmite, di infamatore, che pos- sono formare la corona del piii famoso
malvivente, e coi quali il Segni
apostrofa il nostro Orazio, si rileva
che egli non doveva anco in questa accusa avere scar- seggiato di epiteti, tutt' altro che
accademici, in quelle sproloquio
smarrito, e dove davvero la vigoria del-
rintelligenza, indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi per- tanto che occupati quegli uomini, o per
giuoco, o sul serio, a tirarsela giti
senza misericordia e spesso, in quelle
adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e
fingevano di ridere ; come vuolsi che
stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo
al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ?
Se riscuo- tevansi talvolta contro il
vieto e malo governo che di lor si
faceva, erano come i garriti di scolaretti che
dicon male, quando non sente, del loro maestro se- vero, in quella stanza, su quella panca, e
non altro; che anzi quando il maestro
ritoma, si chetano e ne hanno pitl
soggezione di prima. Non m' intratterro
a parlare del discorso del Rucel- lai,
recitato nel 1651, nel rendere P arciconsolato in mano del Timido (Desiderio Montemagni) e
pubblicato dal Fiacchi nella sua
coUezione d'opuscoli scientifici (T. XXI,
pag. 59) e il cui autografo trovasi in un
manoscritto miscellaneo della Magliabechiana, segnato N. 1422.
E un discorso di non molta importanza, e, come possiamo immaginarci, pieno di comphmenti, di
scuse, di proteste, di nullita ec. ec,
come ognuno soleva fexe, DELLE PROSE
DI ORAZIO RICAS0>LI RUCELLAI. 97 e
il Rucellai pitl d' ogni altro per la qualita modesta, anche troppo, dell' animo suo. fi scritto
anche questo in ottima lingua, ma con il
solito vizio del tempo, il diffuso, ed
un po' di quel rigoglio accademico. E
neppure, se non per aggiunger prova alia mia
prima asserzione che 6 come la stregua a cui ricon- durre ogni mio discorso, io m' intratterrd
con lunghe parole ad esaminare una sua
cicalata suUa lingua lonadattica, che
trovasi nelle Frose Florentine (Parte
prima, Vol. I, Venezia, 1730) e la cui contraccicalata fu letta nella Accademia della Crusca la sera
dello Stravizzo del 10 settembre 1667.
Daro un accenno di quel che si tratta,
per mostrar anco qui quanto allora, pur
negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si co- prisse, quasi inconsapevolmente, di nomi
pomposi la nullity delle cose, dei
concetti, degli uomini, e si cer- casse
ogni strada per ridere, e come il Rucellai par-
tecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in ogni verso se ne facesse 1' immagine. Tra le molte
e molti- formi accademie che spuntavano
come 1' erba sul suolo d' Italia, e
precipuamente in Toscana, in Firenze, vi
era quella de' Mammagnuccoli, capitanata da Paolo Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile).
Erano una conversazione di galantuomini
(Nota del Minucci alia stanza 26,
cantare 3** del Malmantile) i quali facevano
professione di sapere il conto loro in ogni cosa, e par- ticolarmente nel giuocare, e nello spender
bene il loro danaro, e d' essere il
fiore della reale e onorata scapi-
gliatura. Avevano un loro capo che si chiamava I'Abate, dal quale erano gastigati quando facevano
qualche errore nel giuocare o nello spendere;
ma pero tutto era in galanteria. Le loro
adunanze si facevano in casa r Abate,
dove si giuocava a giuochi piii di spasso che
di vizio; e si facevano aitre allegrie di cene, di me- 7
98 CAPITOLO SESTO. rende ed
altri passatempi. Costoro erano tutte persone
gravi e quiete e della piti riguardevole civilta, e percio la loro conversazione si bramava da molti che
v' inter- venivano ; sebbene non fosse
ammesso a quella veruno che non avesse
provata prima la sua dabbenaggine, e non
fosse stato riconosciuto dall' Abate e da altri suoi consiglieri meritevole d'esser ammesso : la
quale dabbe- naggine in un certo loro
gergo equivaleva a furberia. Perch^ vi
era anche un gergo o parlare furbesco, noto
solo agli adepti, che riconosceva per padre il Burchiello; ed era pure in grand' uso fra loro la lingua
lonadat- tica, cosi detta per ironica
ampoUosit^, quasi composta dell' ionico
e dell' attico dialetto, la quale da quel gergo
difFeriva, non essendo composta di parole che avessero in qualche modo analogia con le parole vere
delle cose che si volevano significare,
ma di vocaboh che del vero vocabolo
avevano le prime lettere. Or appunto sulla
origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chia- mato dagli stessi Accademici scioperatissimo,
intess^ una cicalata il nostro Rucellai,
plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e
che desterebbe sovente il riso, se
.dalle considerazioni fatte di sopra, e che sorgono nella mente spontanee, non ci fosse piii sovente
che mai trattenuto. E anche qui i
Principi intervenivano, loda- vano, e
sorridevano, e come ! quando per esempio, in-
vece di dire: ioho mangiato una minestra di miglio bril- lata, leggevasi: io ho mangiato una minestra
di miUe prelati; voi avete della rosa
sotto il coUare, per dire della roccia;
per il Dante della Beatrice, il Damo della
Bea; la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arci- duca, ec. Or mi si dica: non par egh quasi
impossibile uno stranissimo cozzo
questo, di vedere un uomo che sale in
bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza
su tali puerilita; e quel medesimo uomo illustrar poi DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
99 le pagine del divino Platone, e
filosofare quasi Socrate novello, giusta
lo chiama il Salvini? Se la ragione di
ci5 non trovassimo noi nella condizione dei tempi che aveva preso sopravvento su lui, di certo
saremmo tentati di ritrovarla, per
segtdre la teorica di alcuni fisiologi,
in qualche oncia di cerveDo che egli avesse
di meno, al di sotto cioe del peso de jure, per secemer le idee, e per fare ordinate le digestioni dei
proprj ragionamenti. Dicesi anche, e il Passerini ed altri ne
fanno men- zione, che il Rucellai voile
pure in prosa dar saggio delle sue
debolezze erotiche, e della sua ability negli
equivoci, in uno scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho fatto ricerca, ma non mi e stato dato imperocch^ autore di questo come di altri
drammi fu Giovanni Andrea Moniglia ; e
il Rucellai non fece che gli argomenti e
le descrizioni in prosa di ciascun atto ;
descrizioni assai vivaci, quantunque sempre un po' ver- bose, e nelle quali egli dimostra una
cognizione vasta e minuta della
raitologia. Che egli poi fosse, come si
dice, assai padrone del latino e delle
bellezze di quella lingua apprezzatore
autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di
classici, e argomento sicuro la
Traduzione della prima Lettera del libro
1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superior-
mente notata. Ed io ho detto gi^ come questo esercizio, si proficuo per ogni rispetto, introdusse il
Rucellai nel suo secondo Arciconsolato
(1650) tra gli Accademici della Crusca ;
e come il suo desiderio ed i suoi eccita-
menti non andaron delusi. Se devo dar pero il mio giu- dizio intorno a questa versione, sembrami che
in mezzo a' molti pregi, come la scelta
di soggetto morale, la lingua, la
fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di
una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del tu
adoperato, che ti divien quasi ridicolo,
una volta che pensi esser tra- duzione
dalla lingua del Lazio. II buon Canonico Mo-
reni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio il Rucellai,
notando come appaia che egli con si
fatto signorile tratta- mento abbia qui
voluto conservare la stessa sostenu-
tezza, che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e quasi rimproverante lettera ; come
se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non
piuttosto nella gravita del concetti che
possono manifestarsi propria- mente anco
col dolce tUy appellativo con il quale il
Casa monsignore, e il Moreni canonico si rivolgevano a Dio stesso nelle loro pregliiere, senza
credere, io penso, di mancare a lui di
rispetto. Deve dirsi pertanto come
questa fosse una tra le altre curiose debolezze del prior Rucellai, che viveva in quel tempo come
di grandi imprese, cosi di stravaganze e
di capricci fe^ condissimo. Voglio
riportar qui due soli versi della fine
di quella lettera, e che mi si dica se non par di vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno
diuanzi vestito con seta, nastri e rasi,
e fare mutatis mutan- dis un complimento
galante a una signora di cono- scenza
che incontra, mentre lo stesso monsignor Della
Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella facilissimamente (ecco le parole) se penser^
che io, cui sopra di ogni altro ha
premuto sempre in dar. gusto, mi ritrovi
di continuo con esso lei e intervenga a tutti
i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che io la pre- ghi ad avere ogni possibil cura della sua
salute, s' ella vuole che io e tutti i
suoi godiamo la stessa, e le bacio le
mani. > E Cicerone fatta la
reverenza d'uso, se ne va Via pe' suoi
fatti. Del resto, se questa traduzione
imita si brutto co- stume, allora assai
in yoga anco nella Francia, dove appunto
nelle Orazioni di Cicerone, traducevasi la
parola Quirites col francese Messieurs ; ^ poi precipua- mente pregevole per il fine morale per cui
essa fu fatta, ed d anco questa una
lodevole espiazione per le mende di
disonesta dalle quali non serbossi immune.
102 CAPITOLO SKSTO. scrivendo,
il nostro filosofo. Quantunque di non grande
importanza a prima giunta, ptir mi sembra che questi fatti sieno, a chi gli osserva con occhio
imparziale, di lume e di prova sempre
maggiore, e prendano qui per noi un'
importanza che altrimenti non avrebbero. Non
siamo neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo gi^ qual possa esser la natura della via che
ci tocca ancora a percorrere, e quale la
m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte
nostro si dilata, ed i colori della pittura
che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti de- ciso, determinato e perfetto. Dallo stato
fisico, fisiolo- gico e morale noi ci
avviciniamo sempre piCi all'in-
tellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi vogliamo cogliere il pensiero del pensiero
nel Rucellai, come filosofo della
natura, dell' uomo, e di Dio. Ed
infatti, senza por mano ancora alia sua mac-
china filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi piii spic- cato il pensiero filosofico di lui, abbiamo
non piii tanto il letterato e 1'
accademico, quanto il ragionatore.
Quantunque, come di altri e accaduto, un suo di- scorso sulla Fortuna sia rimasto inedito,
pure siamo in grado di ten^er parola del
concetto che dovea infor- marlo,
argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto della fortuna discorre. Ed
aggiungo anzi che non sarei lontano dal
credere che questo discorso sulla
Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo
soggetto ritrovasi. Comunque, e da
notarsi che questo discorso egli lesse
a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accade-
mia che fu pubbKcamente tenuta nella Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per onorare il principe
Giovanni Adolfo, fratello al re Gustavo
di Svezia. Arciconsolo allora era
Lorenzo Magalotti (intimo del Rucellai) come
ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da quello DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
103 un elegante proeraio, discorse poi
V Imperfetto della Fortuna con
sottigliezza, novita ed erudizione piii che
ordinaria (Vedi MORENI, Prose, pag. XX in nota), mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo
Speroni, e molti altri la fortuna non
esser che nome vano in se stessa, e
invece sotto tal nome cui il volgo o pensa-
tori traviati diedero corpo e figura, nascondersi I'ese- cuzione del volere divino; e combattendo il
caso contro Epicuro, e recando a
sostegno de' suoi pensamenti i pitl
celebrati autori antichi e contemporanei.
Conforme poi alle teoriche Galileiane e coUe leggi del suo metodo sperimentale e condotto il
discorso del Rucellai contro il Freddo
positivo. Discorso ingegnosis- simo per
argomenti di prova, e, secondo il Dati, mi-
rabUe (Vedi Dati, Lett, a pag. 69), che il nostro prior Orazio recito in un' Accademia fatta a
bella posta in ossequio e trattenimento
del famoso cardi- nale Delfino,
patriarca di Aquileia, il quale trovavasi
allora di passaggio in Firenze, e a cui il Rucellai, lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne
fanno fede le lettere indirizzatesi
scambievolmente. Non e qui ufficio
nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte dal
Rucellai in appoggio della sua tesi:
vogliamo solamente presentare il disegno
di questo suo lavoro, per dimostrare come
nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle
medesime verity dimostrate dalla
filosofia moderna, in tutto se- guitasse
il metodo inaugurato dal Galileo, con cui si
rapidi progressi pot6 fare la scien za fisica, che fu sola- mente allora creata. Egli dunque voile
provare il freddo essere privazione di
calore, contro lo Smarrito (il Dati) e
il SoUecito (il Capponi) che fortemente mantenevano il freddo essere positivo e reale. 104 CAPITOLO SESTO. Si fatta questione, ne ricorda il Moreni,
(Prose ecc, pag. XXI) comincio a
ventilarsi nell'Accademia del Cimento
con grave dissenso di vari insigni soggetti,
che la coraponevano, in tal materia, e che tento di risolvere il dottor Giuseppe Del Papa con
la sua celebre lettera a Francesco Redi,
sostenendo che il freddo non e che una
sempKce privazione, ed un mero
discacciamento del caldo, e non gi^ una sostanza positiva e reale come pare la volesse il
Dati, versato assai, del resto, in cose
naturali e di fisica. E il Ru- cellai,
con grande compiacenza, premette come
Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco con gli altri elementi nascerne il moto, e dal
moto le ge- nerazioni. > E non solamente per eccitare il caldo
nei nostri sensi vuolsi il moto, ma lo
stropicciamento dei calori- fici con le
parti sensibili. > Tutti gli atomi,
che non sono calorifici dicogli sieno
frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il mede- simo essere il freddo privazione del
caldo. > Le cose lisce appajon piil
fredde delle rozze, per- ch^ si turano i
passi agli stropicciamenti degli atomi,
uscendo e entrando pe' nostri pori.
> Ci par freddo il piede, essendo nel letto, e non la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e
conoscia- mo in comparazione del pii\
caldo. > 11 secco e il buio, che
sono privazioili, non forman patimenti,
come fa il freddo. > Si vede, che
del fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato
assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel
ghiaccio ch' 6 una minima parte e un
accidente dell' acqua. > L' umido e
il caldo esser cosa vera e sostanziale,
ma il secco e il freddo esser di loro la privazione. > Dicono il freddo aver azione e moto
come si vede nelle sperienze del caldo e
del freddo e delli agghiac- ciamenti
ecc. > Scorgesi qui, io
diasi,.applicato nella sua pienezza il
metodo del Galilei, ed una prova novella percid di quel contrasto di pensieri e dottrine che
andiamo man mano riscontrando nel nostro
filosofo. Che se innanzi di passare
alia esposizione e all' esame 106 CAPITOLO
SESTO. diretto dei suoi pensieri
filosofici intorno all'uomo, al- r
universe e a Dio, vogliamo ancor piii vedere quanta rispondenza ci sia tra lui e la sua eta, non
dobbiamo che gettare uno sguardo,
ancorch^ rapido, non tanto sulle sue
lettere, quanto sopra il suo breve, incom-
pleto, ma pure importante scritto che porta per ti- tolo: Pianta della Corte e del Rigiro di
Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in
due capitoli, il secondo dei quali non
terminato. Le lettere del prior
Rucellai pertanto non destano, per
verity, in generale grande interesse, imperocche scarse di numero le conosciute, e non aventi
una qua- lit^ scientifica; ma o
accennino all' invio di scritti
scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi
padroni ; nondimeno esse servono a
chiarirci alcun po' delle relazioni sue
con i dotti contemporanei, e delle qua-
lit^ deiranimo suo, e del tempo in cui alcuni lavori filosofici furono da esso scritti, e dell'
ordine da asse- gnarsi loro; e qualcuna
di esse, diplomatica, manife- sta nell'
uomo nostro accorgimento non comune e cono-
scenza profonda del cuore umano.
Stando alia numerazione delle lettere familiari, data dal canonico Moreni, esse non sarebbero
in numero minore di cento; ma pubblicate
non ne abbiamo che 36; e io, coU'aiuto
del chiarissimo cavalier Cesare Guasti, ne
ho potute ritrovare alcune altre, 8 o 10, di poco conto perd, inedite, nella Biblioteca Palatina tra
gli Autografi, e nell'Archivio Centrale
di Stato in Firenze. Quelle edite, come
bene giudicd il Moreni stesso, {Prefae,
alle Led., pag. VIII) quasi che sempre conservano un non so che di grave e di eloquente, e mai
sempre appaiono scritte con facility di
stile. Se non che, per dir il vero, in
qualche parte scorgesi, ed in special guisa
DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 107 in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una
monotonia di sentimenti e di idee,
altresi in lui inevitabili, per- dxh
quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie
e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo che per
istile, che a lettera si convenga,
troppa contorsione e ridondanza di
period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e
manife- stare, tutt' altro che in una
Accademia, i proprj pen- sieri. Nello
stile adunque ritrae del secolo, e nei pen-
sieri anco talora ; sicche quando egli scende al faceto fiorentino, vedi cid farsi da lui con
isforzo, e non con quella tanta facilita
che riscontri nella propriety del
dettato, giustamente encomiata dal Moreni e da altri. Sul contenuto di queste lettere sarebbe
superfluo in- trattenersi, dappoich^
lungo il corso del nostro cam- mino ne
abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per
illustrare V uomo, gli atti e V opere sue letterarie e filosofiche. E neppure minutamente ci
fermeremo nelle politiche, delle quali
assai duolci di non avere che due tre,
mentre e probabile che altre piii ne giac-
ciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo
rag- guagUa dello stato di Vienna e di
Polonia, ed esa- mina le condizioni
interne ed intemazionali di quei paesi,
e piil specialmente le quaUt^ di quei principi.
Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vin- coli al pensiero e di animi proni all'
adulazione dei potenti, fino a
encomiarne le ingiustizie e gli abiti
malvagi, dimostrisi indocile a questo difetto, sicche dimentichiam volentieri le piaggerie al suo
Granduca, e le eccessive proteste di
devozione e di servitii, e conyeniamo
anche una volta col Magalotti che lo ap-
pello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi • *■
I 108 CAPITOLO SESTO. Palermo, Manoscr. Pal.^ Vol. Ill,
Avvertiinento). Se non che confrontando
le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^
osservisi come le piil libere o meno serve
di queste lettere scrivesse piii giovane, le piCl ligie piil vecchio ; quasi coll' affievolirsi del vigor
dell' et^, quelle pure di liberi sensi
deteriorasse, o per timore di per- dere
protezione, o per altra causa di debolezza li ta- cesse, sentendoli uguali, ossivvero scrivesse
al suo prin- cipe altrimenti da quelle
che avrebbe desiderate. Ed infatti chi
ha letto in quali termini il Rucellai
protestasse a Ferdinand© II dei Medici e ad ogni prin- cipe la servitii sua e de' suoi figli, pud
scorgere il di- vario profondo che v' ha
nelle condizioni dell' animo suo in quel
tempo, e quando cosi scriveva al Poltri, da
Varsavia, intorno alle qualita del re Vladislao, presso cui era stato dal Granduca inviato in legazione
straor- dinaria : Noi vediam qui come il Rucellai sembri
assoluta- mente sciolto da qualunque
legame, e non guardando in viso a
persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto
piti gU dispregi in un Re il quale preferisca V utile proprio al bene del popol suo, o questo
solamente ri- cerchi, perch6 appunto gli
^ via ad ottenere il proprio vantaggio.
Lo che dimostra bene quanto rettamente
pensasse intorno ai doveri di un principe il Rucellai, e quanto, conoscendo le bugiarde apparenze
delle corti, egli di certo avesse
bramosia di smascherarle ad uti- lity
dei soggetti; e cid vedesi piu ampiamente nella
parte morale dei suoi dialoghi; ma il volere rimaneva pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben
lieve, una volta che ritornato in patria
lasciavasi vincere da miUe riguardi che
un uomo dabbene ma debole co- 110
CAPITOLO SESTO. stringono, se non
altro, a rimanersene muto di fronte a ogni
abuso. Dove poi nel Rucellai piil si
vede spiccare quel conflitto di
sentimenti si 6, rho gi^ detto, nel suo
scritto su Roma. Non giova riandare le condizioni po- Utiche ^ religiose d' Italia e della Toscana
principal- mente in quel tempo; ch^ ci
sembra sufficientemente aver chiarito
tal punto. Giova pero averle in mente
ora coUe quality morali del filosofo, per apprezzare in lui, amico di Principi e di Cardinali,
quella liberta di pensiero che sembra
scuotere a un tratto ogni giogo, sfidare
il passato ed il presente, protestando contro
certi non lodevoli usi della Curia Romana. Si; protestava di fatto il filosofo, e la
sua co- scienza sapeva bene distinguere,
quantunque scrupolo- samente cattolico,
il principio dagli uomini, la bont^ di
un' istituzione ed i vizi di chi la sostiene ; se non che apparisce che egli non avesse coraggio di
pub- blicare tale protesta, e fors'anco
quello di termi- narla, sebbene tante
verita gli piovessero dalla penna e
dall'animo. Sono i due sentimenti che contrastano in un medesimo uomo, il sentimento del vero,
il senti- mento del timore, e il secondo
sciaguratamente prevale. Nel V Capitolo
pertanto, il Rucellai, con ampiezza di
vedute dimostra : come V tiguaglianjsa di tutte le con- dizioni degli uomini, alle pretensioni di
Boma fu sem- pre giovevole, sinche le
dignita e le grandezse furon premio
solamente dei meriti e delle virtu, E nel secondo: come tutti i Governi ove s' intruda V
avarizia e V ambi- zione rovinano, e
quello di Boma con esse piu che mai si
sostiene, E per giungere aUa dimostrazione della prima tesi egU osserva, come la Repubblica
universale di Roma ebbe per suo sostegno
nel suo istituto origi- nario quel misto
perfetto dei tre stati, monarchico,
DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. Ill aristocratico e democratico, reputato per la
forma piii durabile e meglio ordinata •
di tutti i governi, dove ella si
mantiene nella sua bene accordata armoida, e
che r uno stato di essa ben corrisponde, e serve di correggimento all' eccesso dell' altro. Ella
d questa, si Bcorge tosto, la teoria
stessa di Cicerone e del Ma- chiavelli
riprodotta nel suo genuino significato, 1' ac-
cordo della quale pero coll' indole della vita del Ru- cellai tutto intento al servizio di un
principe assoluto, sarebbe per noi
sempre un eninuna, dove non avessimo la
via a spiegarlo nelle ragioni tante volte, discorse. E soggiunge
E ponendo in rafironto cio che di Roma discorre DELLE PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI.
113 Quinto Cicerone al fratello, con
quello che era Roma in quei di, e alia
stretta somiglianza delle due Rome guardando,
soggiunge (notisi, di grazia, perche qui si
ritorna all' antico) che egli ha voluto registrar cid in questo luogo perche si conoscc che o sia la
postura del cielo, o sia pure la
necessity dei medesimi fini negli ultimi
tempi della Repubblica romana, forse come oggi
adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi, influiscono similmente negli animi
la stessa maniera e inclinazione di
costumi, e nell'una e nel- r altra etade
s' introdussero e stabihrono nella Corte
di Roma contro la virtil e contro la piet^ della sua primiera istituzione, tutte quelle arti che
piii si pro- ducono dair opere della
malizia, che dalla carita e dalla
devozione. Si pud dunque concludere, che la
macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra r estremo del vizio, non sopra 1' eccesso
della virtii, perche qua e talmente
raffinata la fraude, che quanto gli
uomini sono piti nemici, tanto piii usano tra loro atti di confidenza, e piii liberty di
tratto. > E le destre che sogliono
essere testimonii di fede, sono in loro
violate dall'inganno, e dalla malizia di
farsela 1' un V altro a tempo, e con vantaggio, e quegli solamente 6 stimato piii valent' uomo, che
pu6 piti. Quindi avviene che qualunque e
reputato uom di valore nelle altre
regioni del mondo, venendo a Roma si per-
de, trovandosi in una diflerente scuola da quelle, ove s'apprende ad esser soggetto grande con le
virtuose azioni. Quei dunque, che si
mette a vivere in questa Corte non basta
che e' sia letterato e sapiente, quanto
se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda perd alio stile del paese, mantengasi
per sd nel- I'arti virtuose, ma
assuefaccia I'animo educato ne'buoni
costumi a non si scandalezzar de' pessimi. > 8 i
i 114 CAPITOLO SESTO. Se il Bianchi Giovini avesse scritto il
rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto
scriver in questo modo ; piii
liberamente, non giudico. Egli seguita sempre su questo piede, ed e cosa ammirabile, senza intaccar
mai i principj, guardando ai vizi degli
uomini, e dando cosi una lezione a noi
che gli uni cogli altri tramescolando,
condanniamo con maliziosa leggerezza i primi in un co' secondi, dimenticandoci o fingendoci di
dimenticare i canoni piii elementari di
logica, per non dire di buon senso e di
buona fede. Ambizione, interesse
private, ipocrisia, inganno ed invidia,
ecco adunque, per cosi dire, i fili conduttori
nell' intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo
centre, dappoiche fu distrutto quel
principio d' ordine nell'ar- monia dei
tre elementi dello stato perfetto, e incomin-
ciossi a misurare V ability degli uomini, non dai me- riti dalle virtii, ma si daU- interesse e dal
genio di chi comanda. Ognuno cerca per aggiungere il suo talento
di tener quella via che stima pitl
opportuna, di tener dietro a quel flip
che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche
ognuno s'infinge per quel che non ^, e si maschera dell' estremo contrario di quel ch' e' si
sente dentro nella sua propria natura. La virtii dunque nella Corte di Roma
sempre adonesta gli avanzamenti
quantunque non abbia parte nell'
avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e
una Roma reale; e il Rucellai ve le descrive a mera- viglia con una vigoria di concetti e di
immagini, che sembra il Frate Ferrarese
avergli in certi dati mo- menti spirata
in petto la disdegnosa anima sua. lo
rimando, a persuadersene meglio, il lettore alia fine di questo libro, 1^ dove ho riprodotto
per intiero e per la prima volta qtiesto
libello incompleto, ma pur bastevole
perchi^ ci facciamo un' idea chiara dell' animo
del Rucellai intomo al govemo di Roma, che si fon- dava, secondo lui, sopra Y ambizione e V
interesse pri- vate. E tanto egli era
cattolico e distinguevabene religione da
uomini di Chiesa, che questo primo capi-
tolo fa terminare cosi: II
secondo capitolo e breve, non compiuto, e in-
sieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova s' intruda 1'
avarizia e 1' am- bizione rovinano al
contrario di quelle di Roma; il Rucellai
stabilisce essi vizj essere il tossico che la
giustizia distributiva corrompe e distrugge, e i fatti antichi e modemi lo confermano, seguendo le
teorie deir Alighieri professate nel De
Monarchia. Intorno alia nobilt^, espone
in un modo determinato come questa
giustizia distributiva, senza la quale riman ca- davere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni
stato, intenda ad uguagliare gli uomini
sotto le leggi della virtii, la quale
solamente pud esser base di differenza
tra gF individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in
brevissime pa- gine col solito vigore di
argomenti, coUa solita leggia- dria del
dettato; ma rimane qui, come si vede, al
principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse
con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo
scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra mo- dema che spira, e la coscienza deU' uomo per
la forza oltrepotente del vero
distrigata un istante daUo scru- polo e
dal timore, protestare contro i vizj o le loro
sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil
a soste- gno di quel ch' io scrissi in
principio, e che d come il perno su cui
gira, pud dirsi, e consiste il mio librc'
* Ad eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sor- gere, per avventura. sulP autenticit^ di
questo scritto, riporto qui DELLE
PROSE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAl. 117
Qui il Rucellai non 6 piil I'uoino del Medioevo e del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio
all' autorit^; e il filosofo modemo che
evitando gli eccessi del Bruno, riprova
gli scandali del chiericato, ne condanna, per
ainore della religione che ei professa, gli abusi; e in- namorato del vero e della virtil, al pari di
Platone, richiama con severe e giuste
rampogne a tornare nella via smarrita lo
stesso sacerdote, il quale, im- merso
talvolta nello interesse mondano, posterga i
principj deir Evangelio, egli del Vangelo e della carit^ cattolico banditore. in nota, come a confronto, cio che trovo
scritto dal Rucellai stesso, nel suo
trattato della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. — « Ed io vi replico esser verissimo die tutte
le cose che si fanno fannosi per divino
volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto in- fallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma
dagli uomini per lo li- bero volere le
cose si deterrainano, come dianzi si disse. E siami lecito, signor Elea. far qui riflessione
sopra cio che avete mentovato di Roma;
come Roma antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon costume e alia virtii diquegli animi, si feo padrona
del mondo; ma degenerando da' suo'
principii si spense, perchfe cosi voile la divina predeterminazione per mezzo del libero
arbitrio mal guidato dagli Qomini. E
questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la po- verty e su I'esempio del mondo anch' essa
signora divenne, mutando costurai pill
che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado de'vizii piii licenziosi degli uoraini la
religione sostiene loro, non essi la
religione sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^ ella k forte braccio e onnipotente della
Provvidenza divina. » Capitolo
Settimo. J DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. SoMUARio. — Come ci
condurremo quind' innanzi nel nostro lavoro. —
10 Esposizione de'Dialoghi filosofici. — 20 Critica. — Perche si preter- mettera la critica minuziosa delle dottrine
filosofiche del Bucellai. — lucertezza
del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo e pero che son parte di mente matura. —
Quattro codici manoscritti de* Dialoghi,
e qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole del prof. Palermo. — Una lettera del Rucellai
al Granduca, intorno air ordine di
quest! Dialoghi. — Noi segniamo, neir esporli, questo ordine. — Si riporta, e perche, V intero
Preambolo ad essi del Bu- cellai. Quando nei precedent! capitoli si e
discorso della vita e degli scritti
minori di questo filosofo, dopo aver
dato uno specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia nel secolo
decimosettimo ; a ciascun argomento
facemmo precedere sempre una de-
scrizione pitl particolareggiata di esse, secondo che appunto il subietto nostro particolare
esigeva. Venendo ora a discorrere dei
Dialoghi filosofici di lui, stimiamo
meglio invertire quest' ordine, senza recar percio verun pregiudizio alia chiarezza e alio sviluppo
logico della dimostrazione. Imperocchd
di gia con sufficiente am- piezza
abbiamo tracciate certe linee che della figura
ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci
resti che colorirla piii e piii, e
ridurla a compimento maggiore.
DIAL06HI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 119 E pero la nostra mente condurr^ quind'
innanzi il suo lavoro cosi: stabilito
Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi
con critica e precauzione, adoprando in
ci5 il finqui messo in sodo con evidenza da altri; ne esporremo con qualche larghezza il
conteniito, come di un' argomentazione e
de' dati di un problema farebbesi, e
indi, fermatili bene, procureremo di scioglierlo, rivol- gendoci ad un esame piii accurato ed attento
delle diverse opinioni filosofiche che
combattevansi allora, e ponendo in
chiara luce quel che veramente il Kucellai
ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali intendimenti e criterj, ed il posto precise,
per conse- guenza, che gli si spetta
nella storia del pensiero ita- liano. Ne
questo disegno esclude aflfatto che man mano
si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacon- tran de' punti cardinali che servono a
qualificare il suo metodo e il suo
sistema, noi possiamo farli rilevare, e
notarli, e raccomandarli alia considerazione del leg- gitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di
riscon- tro alle loro sorgenti generali,
apparseci nell' esame del pensiero di
quel tempo, e queste e quelle ricondurci
sicuri al punto d' onde muovemmo, e che nel cammino ci servi sempre come il centro di un circolo
serve ai punti della sua
circonferenza. Aggiungasi che pel fine
e intendimento nostro non importa guari
intrattenersi minutamente sulla critica
delle dottrine di questo filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo eclettismo e scetticismo, di fermar Y
attenzione su que' punti che lo
appalesano piii, e indi non ci venga
attribuito a soperchio se oltre I'appendice di
cose scelte letterarie, scientifiche e morali, nello svi- luppo di questa parte del libro intrecciamo
la cita- zione di varj e non brevi pezzi
di questi Dialoghi, che pitl fanno all'
uopo. Imperocche appunto trattisi qui
120 CAPITOLO SETTIMO. di esporre
i pensieri filosofici d' un autore, la maggior
parte degli scritti del quale sono inediti, come puo rica- varsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso
inoltre di rispanniare ai lettori quella
lunga fatica che ho do- vuta spendere io
nello scorrere tutti da cima a fondo
questi Dialoghi, che pel diffuso stancano spesso; ed infine riferendo qui nel mio Hbro le cose
pitl impor- tanti di questi, mentre lo
pongono, risolvono, sto per dire, o
almeno agevolano di assai la risoluzione del pro- blema ; lasciando poi a chi avesse in animo
d' intrat- tenersi sull' ultimo sviluppo
che ebbe il platonismo nel secolo XVII
col Rucellai, il quale chiude il ciclo del Rina- scimento in Firenze, di recare piii attenta
anahsi nei suoi libri su cio ; come ad
altri altre cose ; io per me che con-
sidero il Rucellai da un punto di vista meramente sto- rico e ne noto, per tal rispetto, Y
importanza, non son tenuto a quel lavoro
di paragone, a quello studio di
trasformazioni e trapassi che le dottrine platoniche su- birono dair origine loro conosciuta fino aH^
Imperfeito; lavoro del resto della somma
importanza e di grandis- sima utiKt^, e
che io auguro all' Italia si faccia presto
e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di acquietarmi nella speranza che questo augurio trover^
sollecito il suo compimento feKce. E per primo il tempo preciso in cui questi
dialoghi farono scritti, non possiamo
determinare a puntino, malgrado che
nolle sue lettere il Rucellai accenni ad
alcuni di essi che aveva allora, mentre scriveva, com- piuti, o si accingeva a distendere. Quel che
bene si scorge (e del resto per noi piii
importante), d che tutti questi Dialoghi
sono parto della sua mente matura,
imperocch^ solamente dal 1665 in poi troviamo da lui uomo adulto fatto cenno agli amici ed al
Principe di questi lavori scientifici,
intomo ai quali indefessamente
DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 121 aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva
ora a lavo- rarvi. Omettendo di citare le
lettere scritte dal nostro filosofo a
messer Giacomo Altoviti, al Patriarca Delfino
ed al Redi, nelle quali fa menzione or di questo or di quel soggetto filosofico trattato da lui, e
che man mano ricopiato 1' avea ad essi e
ad altri amici o illustri perso- naggi
per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chia- rissimo professore Palermo nel Vol. Ill, dei
Manoscritti palatini^ daro intorno a
questi dialoghi un qualche cen- no, e
verrd con un brano di let^era scritta dal Rucellai al granduca Ferdinando II, nel maggio del
1665, a sta- biUre 1' ordine (un po'
incerto nelle diverse copie) e a
conoscere il disegno che I'autore aveva architettato intorno quest' oper a, che per mala ventura
rimase in- compiuta. Delle quattro copie di questi Dialoghi
filosofici da me tutte esaminate con
diligenza, la Palatina, la Maglia-
bechiana, e quelle che si conservano nella libreria pri- vata dei Ricasoli Firidolfi, le piii emendate
sono queste ultimo due, copie entrambe,
la prima in dodici tomi nella massima
parte corretta e aggiustata dall' autore,
e che per6 fa citata dagli accademici della Cru sca
come r originale. La seconda in quattordici tomi appar- teneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini
vi accon- cio di sua mano gli sbagli
propri del copista. Gi^ discor- rendo
della vita scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill), avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo
intendimento acui egli mirava
principalmente con questo scritto; ma
era al disegno materiale ^ non inutile il far seguire il preambolo del Rucellai, nel quale espone
ampiamente il concetto primo di
essi. Nel primo esemplare della
libreria Ricasoli, pertanto, i Dialoghi
in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre
viDeggiature. 124 CAPITOLO
SETTIMO. che eseguird volentieri. Le
invio il preambolo, onde si ricava 1'
ordine e la distinzione di tutto il mio propo-
nimento. Dipoi ho stimato bene lasciare il primo Dia- logo contro i sofisti, che serve solamente
per introdu- zione alle varie opinioni
de' Filosofi intorno ai principii della
natura, non essendo ripulito ; e mando il secondo dialogo sopra I'opinione di Talete Milesio,
che tenne r acqua per principio
universale di tutte le cose ; pro-
posizione non molto difficile a esser trattata. Appresso, saltando il numero di 25 dialoghi gik fatti,
ma non pienamente corretti, e due o tre
a' quali non ancora ho messo mano, sopra
V opinione d' Aristarco Samio, le
trasmetto i tre primi Dialoghi sopra il Timeo di Platone, dei quattordici che ne ho imbastiti;
paren- domi che questi trattino, sopra
tutti gli altri, cose molto malagevoli a
spiegarsi. Delia prima villeggia- t ura,
che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialo-
ghi innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia d' Aristotele, che non ho ancora cominciato.
(Vedi con- ferma nella Trovvidensa^ Le Monnier,
pag. 188, dove si rileva che questo
trattato della Provvidenza va dopo il
Timeo) E appresso ne vengono sedici dialoghi sopra r opinione d' Epicuro, che ho messo insieme,
ma non ancora bene ridotti ; e diciotto
contro il medesimo Epi- curo, della
Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma
non messi al polito. Della seconda Villeggiatura, «h'^ r Albana, dov'entrano dialoghi della natura
dell'anima vegetativa e della sensitiva,
compresa da molti dialoghi di notomia,
gli ho tutti distesi, ma non rivisti; e ne
ho da fare due di pianta sopra Tanima ragionevole. Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1'
ultima, la quale contiene materie
morali, ne ho fatti parecchi, ma ne
avrei da fare altrettanti. Vero e che ho repertoriato ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi
viene inter- DIALOGHI DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. 125 rotta spesso e
dalle cure familiari, e dai disastri della
casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo
termine. Ci trover^ delle cassature e
delle rimesse, qualche errore d'
ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio nella lettera. Ma il
suo propo- sito, negli otto anni che
sopravvisse, non gli venne fomito;
lasciando, come si ^ detto, alcuni dialoghi
senza 1' ultima mano, alcuni ammezzati, e quali poco nulla fuori il disegno. E quanto alia lor
disposizione, parrebbe anche questa,
aggiunge il professor Palermo, non fosse
in tutto fermata. Poiche nell' originale i dia-
loghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel
dialogo XXII si rammenta il Timeo, come
discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima
di sd i quattro dialoghi intorno alle
matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il
Timeo; e nella copia Palatina il Timeo
senz' altro avanti ai Dialoghi contro
Epicuro. lo pure nel discorrere terrd
quell' ordine come il pitl logico e
naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi
meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a costituire un importante e
quasi com- piuto edificio, e a
rappresentarci intiero il sistema ed il
metodo di questo filosofo toscano. N^ ^
meno utile, com' ho gi^ detto, premettere
qui per intiero il preambolo cheva in testa ad essi dialoghi, e che ci dimostra con maggiore
chiarezza r obietto principale e
nobilissimo loro. fi un' orazione
toccante quant' altra mai e di bellissima lingua, che varr^ a riposare, ricreandola, la mente del
leggitore, il quale pure da essa potra
fin dai primi periodi rilevare la natura
deUa filosofia che il Rucellai vuole insegnarci. 126 CAPITOLO. SETTIMO. Dietro alia meditazione dunque della
virtii, io mi ridussi, siccome voi
vedete, sotto '1 benigno, e saluti- fero
cielo di questo novello Tusculo, dove 1' orribile rammemorazione sfuggendo, e' rischi della
mortifera pestilenza, che poc'anzi
incominciata a Napoli, o per la
corruzione dell' aere, o pe' venti, che dalle parti Orientali soffiando, seco ne la portaro, s' e
nella citta di Roma miserabilmente
appigliata, nulla dimora parve agli
occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta di questa, ne cotanto in si spaventosi tempi
per le nostre speculazioni appropriata.
Vennemi qui subito in mente di quelle
cotanto feconde, che M. TuUio ci fece
gi^ sopra di questa virtii in quelle torbide congiunture delle soUevazioni civili, e si al medesimo m'
accinsi, forse con troppo animo, anch'io
per I'amenita, e per le solitudini di
queste ville, desiderosamente cercan-
128 CAPITOLO SETTIMO. dola. Ora
nel levare, ch'io feci degli occhi al cielo,
mi ricordai di quanto ne ammonisce il nostro Poeta: « Chiamavi il cielo, e intorno vi si
gira, Mostrandovi le sue bellezze
eterne. » > Percid mi misi a guardar
fiso d' intorno a questo nostro
Emispero, e oltre agli stupori, che di lassii in varie guise agli occhi nostri lampeggiano,
volt^mi a basso, e posi mente alle
innumerabili creature, onde si vede la
terra a maraviglia ripiena. Qui considerai
con qual ordine, e magistero elle sono dalla virtuosa, e poderosa mano guidate della Provvidenza
suprema, ch' elle paion fatte tutte per
noi, e come dalla loro ingegnosa
architettura apprese lo intelletto umano i
piii industriosi esempli, e coll' imitazione della natura fecesi maestro dell' arti, talmentech^ i' mi
rimasi sic- come attonito a prima vista,
e adombrato da una virtii si grande, che
da 1' essere a tutte quante le cose, e
reputaila in ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle nostre meditazioni ; imperocche mi si fe'
innanzi per ricordanza quel che il Timeo
ne insegna, cioe, le in- finite
bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile, essere lo specchio di quelle piii perfette, e
piii rag- guardevoli, che sono nel mondo
intelligibile raccolte insieme, anzi
nello intelletto divino per guisa, che sov-
venendomi di que' versi : «
Quanto per mente, e per occhio si gira
Con tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi fissai in esso quel piii, e credei senz'
alcun fallo da si ammirabili e da si ben
regelate fatture, qualche sembianza
della ragione universale agevolmente com-
prendere, di maniera che io pensai di accenderne in me un certo lume pitl spiritoso, e piii vivo
per addi- tame a voi le forme pitl
simili nella virttl, e con esso
DIALOGHI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 129 lei mettervi sulla via maestra del vivere ;
ma appena i' volli ne' segreti
profondarmi della natura, e di Iddio,
ch' io immantenente rimessi 1' animo, e quanto pitt nel pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la
virttl, ch'egli hanno in s6, vincere
ogni sentimento umano, e vie piii di
riverenza esser degni, ch' agl' intelletti de' mor- tal! in verun conto proporzionali ; anzi e'
mi parve mi- racolo, che noi possiamo
cogli occhi distinguere, ed abbracciare
coll' inmiaginazione 1' ampiezza di una tal
macchina, non che noi dobbiamo intendere con qual concerto ella si govemi, e lo spirito, che
dentro la muove, e impercio Dante, che
in prima ne invitd alia contemplazione
del cielo, ce ne modera poi I'ardi-
mento, dicendo : « Perche
appressando s^ al suo desire Nostro
intelletto si profonda tanto, Che retro
la memoria non puo ire. » riflessione
veramente proporzionata ad un uomo; 1'
altra e d' Apollo, o di chiunque si sia :
€ Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al fa- moso Tempio di Delfo ; proposizione divero, e
ammae- stramento degno di un Dio: e '1
medesimo Socrate, il piii savio per
awentura di tutti gli uomini, a tai fonda-
menti appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco dagli studj meno che utili delle cose
naturaU, in ch' e' conobbe poco, q nulla
potersene approfittar r uomo, tutto alia
cognizion di sd stesso si diede, ciod a
dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe per irrepro- bahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel
giovevole dell' intelligenza umana.
Verremo pertanto con amen- due le
sopraddette proposizioni i nostri presenti trat- tati regolando ; ravviseremo in prima la
fallacia della Filosofia naturale, onde
molti si danno a credere d'in- tendere
quel che per Io pitl e' non son capaci d' inten- dere. Quindi al frutto discenderemo delle
morali, fa- cendoci dalla costituzione
dell' Uomo, e delle quality, e degli
strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con
tal ordine procedendo, dalle azioni pitl brutali de'sensi, riconoscendo voi stessi, salir potrete di
grade in grade alle pitl sublimi dell'
intelletto ed all'altezza gloriosa della
virttt, onde 1' uomo s' illumina, e conservasi tanto piii simile a Dio. Incomincieremo percid
domani a di- scorrere; e perch^ le giornate,
che son lunghe, e Tore calde ne
obbligano a qualche lodevol trattenimento, a
niuno piii profittevole repute potersi donare il tempo, nd scegliersi materia che pitt di questa all'
et^ vostra 132 CAPITOLO SETTIMO. sia confacevole ; oltre che in si calamitosi
tempi go- dono le nostre vite sicura
franchigia in questo aere salubre dalla
pestilenziosa mortality., che Roma atro-
cemente distrugge; nelle cui miserie ogni tribunale, ed ogni pill fruttifero studio senza giudici, e
senza con- tradittori rimaso, e si senza
maestri, o discepoli, ogni arte, e ogni
Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati
uomini in tutte le pitl nobili professioni sotto si pu- rissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si
sono; dove noi in conversando con loro,
ed or I'uno, or I'altro scegliendo per
si deliziose gite de' tesori di questa, e
di queir altra scienza per bocca loro faremo raccolta, e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e
'n fra gli altri D. Raffaello Magiotti,
che con esso noi qui ^ dimora, fia il
nostro Socrate sapientissimo in tutti i
discorsi, il quale ben sapete essere insigne e nell'uno e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino,
maestro perfetto di Geometria, ed esimio
in tutte le antiche, e modeme
fildsofiche speculazioni, il cui chiarissimo ingegno in si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi
le spe- rienze convincono, e V evidenza
delle ragioni. > Capitolo
Ottavo. ESPOSIZIONE DEI DIALOGHI
FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI INTORNO A' PRINCIPJ DELL'
UNIVERSO. SoxMABio. — Qaal concetto
abbia della scienza il Bucellai, e soe diiferenze da Flatonc. — Quali erano, secondo il
Rucellai, i fondamenti del sapero, i
criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj passivi delFuni- ^ verso. — NecessittL, noli ' esaminarle, di
spogliarsi da qualunque precon- cetto. —
Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc unum scio quod nihil scio. » — Sfiducia del
Bucellai nelle forze dell* umana
ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si
scorge qui fin da* primi passi ; e la
fede come ancora di certezza, e di salate. —
Talete Milesio o dell'acqua. — Anassimene o dell* aria. — Graclito del fuoco. — Galileo. — Empedocle o i quattro
elementi. — Par- menide o d*uno eterno.
— Anassimandro o dell* infinite. — Necessity
deirinfinito. — II finite non e privazionc di questo. — Cartesio, o Tidea dell'infinito prova della sua realty. —
Dato ruomo finito, convien ammettere
l*ente infinite. — E questo secondo argomento il Bucellai tiene per piti stringente di quelle
del Gartesio. — Ma si 1* nne che Taltre
sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.— Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse
degli astri sal mendo e le cose umane ;
combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1* opinioni di Anassimandro e Galilee
suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima
dell* universe. — Ma ^ tutte un pud easere. —
Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed altri filesofi. — Si
conchiude coll* « Hoc unum ado quod
nihil ado » di Sucrate. — La fede. 11
Rucellai, come tutti i filosofi, vuole esaminare i tre obietti della scienza, Fuomo, runiverso,
Dio. In- comincia daj mondo, passando in
rassegna le opinioni degli antichi
intomo a' principj di esso naturali, guidato
dall' aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dal- r autorita. E sul punto di prender le mosse
per questo 134 CAPITOLO OTTAVO. viaggio, egli infrena, per cosi dire, i
destrieri della fantasia, perchd questa
non lascisi traviare dalle ap- parenze,
e pel troppo desio di sapere, non cada in
presunzione smodata, ne, giusta V ammonimento plato- nico, 0, per dir meglio, di Socrate, la
scienza sia con- fusa colla opinione; o,
peggio ancora, questa pigli luogo di
quella appresso colore che vogliono intendere tutto alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello
pure che non d da loro, n^ a' proprj
intelletti proporzionale. E a ragione
Socrate discorrendo della opinione che, al
contrario della scienza, giudica le cose per quel che a lei dettano le immagini e il sogno, chiamavala
una certa demenis^a dell' anima,
imperciocch^ mentr' ella s' ingegna di
giungere al vero, fa si che V intelligenza
prevarichi, e per lo piii determini il falso ; anzi, se pure il vero determina, cio fa ella per caso,
talmentech^ se scienza fosse 1'
opinione, la scienza consisterebbe in ap-
porsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi sapienti della Grecia (detta da Diodoro Siculo la
scuola del ge- nere. umano) aprirono una
via maestra, la dialettica, per la quale
il naturale discorso, non a benefizio di na-
tura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione. il notorio come nella dottrina di Platone si
distin- guesse la fede, la scienza e 1'
opinione, e come secondo Platone la
scienza consiste nel giungere agli univer-
sali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ; essenza intelligibile delineata
coUa defini- zione^ e secondo cui si pud
giudicare con certezza delle cose
stesse. La opinione invece consiste in un giudizio piii meno probabile secondo le apparenze deUe
cose, piuttostochd secondo Fidea loro.
La fede 6 un giudizio secondo
Fautorit^. Ora il Rucellai pone queste
distinzioni platoniche, ma senza seguime
la dottrina, perchd quantunque egli
INTORNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 135
pure ponga la scienza nel conoscer le cose in s^ stesse mediante le idee, nega che si possa mai
giungere alia certezza se non mediante
la fede ; talch^ la scienza per lui diviene
scienza o certezza nella fede ; da sd
sola non 6 che opinione piii o men probabile, o doxa, EgU esclude solamente le matematiche, le
quali, a parer suo, ci recan certezza.
Ma ^ notabile anche in tal parte
com'egli si allontani da Platone, il quale
anzi poneva le matematiche in secondo luogo, dando il prime luogo alia scienza delle essenze o
degli arche- tipi etemi, e alia scienza
che vi conduce, ciod aUa dialettica.
Finalmente vuol notarsi che, secondo Pla-
tone, la sola fisica non pud uscire dai confini della probabilita : mentre che pel Rucellai non pud
uscirne la metafisica e la fisica, ma
soltanto la matematica. A Jeracio poi,
sofista interlocutore, che esaltando la
autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara infalUbile, e i dettami di lui come oracoli,
si che as- severi tutto per la
dialettica e perd per Aristotele po- ter
sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle anche di sopra, il sacerdote Magiotti,
guidator de' dia- loghi, oppone che
quantunque il filosofo di Stagira sia
grande, e dette abbia grandissime verity, pur le cose da lui proferite non son tutte vere; e
soggiunge come r eccesso della fiducia
proveniente dalla logica meni a
disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e
che il pic- colo seno deUe menti nostre
non cape; quantunque il discorso per
quest' arte si elevi all' alta contempla-
zione divina ; ma altro, pel Rucellai, d contemplare e il toccar coUa mente le cose superiori, altro
d lo in- tenderle ed aveme possesso. Di guisa che anco pel Rucellai la filosofia
sa- rebbe scienza delle ragioni supreme
delle cose. Ma ognuno di gi^ si accorge
della sfiducia che il filo- sofo
fiorentino sperimenta e professa intomo alle
forze deUa umana ragione ; intravede subito che mal- grado abbia il Rucellai presi a guida i due
noti afo- rismi sulla indagine della verity,
pure nel suo procedere innanzi ha sempre
tese le orecchie alia placida armo- nia
della sua fede, in cui spesso lo vedremo quietarsi, a mano a mano che egli procede tra i rumori
discor- danti delle opinioni e del dubbio.
Vuole avvertirsi an- cora come il
Rucellai non distingua quello che i Platonici
tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ; anzi quello che d pur necessario distinguere secondo la
verita dei fatti, cio^ tra dialettica di
Platone e logica d'Aristo- tele. La
dialettica di Platone d la scienza dell' idee
archetipe o universali, a cui si giunge per contempla- zione, discemendo Fidentico e il diverso.
Invece la logica d'Aristotele espone le
leggi formali del nostro pensiero.
Quindi mentre la logica di Aristotele, consi-
derata da s^ sola, pud servire anco al sofista, la dia- lettica di Platone no, perch^ consiste nel
cogliere la genuina idea delle cose. Si
pud errare secondo i Pla- tonici, ma
perchd non si contempla bene abbastanza,
INTORNO a' PBINCIPJ DELL' UNIVEBSO. 137
come si pud errare dal fisico non osservando con esat- tezza i fatti ; ma la contemplazione come 1'
osserva- zione non possono per s6 medesime
condurre all' errore. E tanto poi ^ voro
di questa sfiducia del Rucellai che per
bocca del Magiotti, in quel tempo nel quale il
Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio ri- portava una non piil udita vittoria sulle
scoperte del- Tanima, dice: E conchiude
queste che io con Toce militare, ma significativa, chia- mevQi parole di consegna, dicendo che la vera
filosofia non consiste nell'imparar
molte cose, nel saper tutte r arti ; ma
e' la riduce solamente alia cognizione di sd
138 CAPJTOLO OTTAVO. stesso, e a
quella vera e irreprobabil proposizione di So-
crate : « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni,
dice con- sistere la giusta maniera per
ritrovare la vera ragione delle cose, e
non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri.
Sfiducia adunque o fiducia limitatissima nelle forze della umana ragione, la consapevolezza della
propria ignoranza, 1' universale
consentimento, I'esame, e so- prattutto
la Fede^ sono le Encore di salute dell' umano
sapere, i fondamenti di esso per il Rucellai ; V auto- rit^ umana una riprova probabile di verity, Y
autorit^ religiosa il porto dove ogni
tempesta del dubbio si calma, ed ogni
nube d' ignoranza sparisce. Vediamo
intanto com' egli osservi questi criterj, ed applichi que- sto metodo alle indagini sue. , Deposta qualunque maniera di anticipate giudizio a favore piil di una che d' un' altra
opinione, e di che prega caldamente gli
ascoltatori, il Rucellai, col Ma-
giotti, si fa da'primi principj che gli antichi opinanti attribuirono alle cose natural!, non dal lore
principio agente, cio^ dalla Cagion
Primaria, dispositrice di tutte le cose,
increata e senz' altre origini che da sh stessa ; imperciocch^ di questa per quella guisa che
ne hanno speculate i grandi uomini,
faveller^ in piii appropriate luogo ; ma
dai principj materiali che essi appellano
causa passiva, conciossiachd dalla cagion prima rice- vono tutti la lore impressione. Ed in sedici
Dialoghi, ch' io chiamo fisid, (e, si
noti, non gi^ nel significato di scienza
sperimentale, come oggi si prende, ma nel-
r altro antico di speculazione filosofica intorno ai prin- cipj delle cose), riferisce le molteplici e
diverse opinioni intorno a cio
professate dagli antichi filosofi, con que-
sto intendimento che cio^, mostrando le ragioni appa- renti che militano a favore di questa e di
quella sen- INTORNO a' PRINCIPJ DELL'
UNIVERSO. 139 tenza si fra di loro
contrarie, e facendo si che, una per
Tina a tutte quelle opinioni, per le ragioni proba- bili clie le sostengono, inclinino gli
ascoltatori; se ne deduca per
conclusione finale la verity di quello afo-
risma socratico, e, come il gran Vecchio faceya, cosi noi in quella specie di scettico
ondeggiamento, lo po- niamo a base e a
pietra angolare del nostro sapere. Ella
^ questa, come ognuno si accorge, del trattato
filosofico del Rucellai una parte negativa. E di Talete Milesio per prime discorre, come
di quello che pensd incominciamento
universale della natura esser I'acqua,
in cui gli sembrd tutte le cose si
disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua assottiglian- dosi in yapori finissimi aria si facesse, e
pigliando corpo visibile se ne
formassero le materie piii dure,
divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi, perch^ osservo tutte le semenze delle cose
esser umide, tutte le diverse specie e
composti degli umidi fossero sotto il
genere puro, semplice e universale dell' acqua,
e il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per man- tenersi, perch^ non la quantita e 1' eccesso
dell' umido, ma la quality, in
proporzione di loro essere, ^ quella che
le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il Magiotti, come anche Zenone, il capo e
maestro degli Stoici, tenesse per fermo
che Iddio per s^ in ogni na- tura
convertisse I'acqua, e che egli come virtii proli- fica di tutte le cose nell' acqua risedesse :
adunque I'acqua era creduta da lui il
cominciamento materiale e passive del
tutto, perciocch^' Zenone osservd ogni misto
nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale ^ manifesto al sense che predomina 1'
umido; e sembra di piti al Rucellai
ricavarsi dalla stessa Genesi la prima
generazione dei corpi misti e viventi farsi
dalla virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni 140 CAPITOLO OTTAVO. de' primi dottori della Chiesa, san Giovanni
Crisostomo, Agostino, Procopio, seguiti
dal Pererio, il luogo del Genesi, ove si
dice che lo spirUo del Signore si tra-
sportava sopra le acque, espUcano cosi, cio^ che una virtii divina e vitale disponeva le ^cque
alia conce- zione e generazione delle
cose. Adunque (dice il Ru- cellai)
tennero anch'egUno che Domeneddio, primo
agente, si valesse dell'acqua, si come prima e co- mune materia passiya, ove s' imprimessero
tutte le diverse forme. E accennate con precisione altre fra le
opinioni di Talete e Zenone intomo all'
altre cose deUa natnra, e osservato come
Talete negasse il vuoto, e come Zenone
quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano, espone il nostro
filosofo la dottrina di Anassimene,
seguita poi da Diogene, che fa deir aria
il principio naturale e causa passiva di
tutte le cose, come quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i
dati di possibilita che dall'aria, come
I'acqua, cosi le altre cose per mezzo di
questa divengano, si che per le ragioni
che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice
il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbando- nando Talete. Pare da non lasciarsi sotto
silenzio co- me il Rucellai prenda un
po' all' ingrosso queste anti- che
dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il primo principio delle cose, acqua, aria,
fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e
il fuoco quaU appariscono, ma un intimo
e occulto principio che in tutti gli elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che
a noi apparisce essere o acqua o aria o
fuoco. E qui riferi- sce pure il
pensiero di Anassimene intorno alia strut-
tura dell' universe, E all'
Im- perfetto che esclama : il medesimo Magiotti socrMicamente risponde
: Ed Eraclito fu quelle che ebbe si
fatta opinione, cio^ dal fuoco
incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto
dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose credette esser pez- zetti e corpusculi di fuoco insieme
congiunti. 142 C/LPITOLO
OTTAVO. Mi si conceda fermare il
pensiero un poco su que- sta opinione
del Galileo riferita dal Rucellai. Essa, per
quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di Galileo stesso, ma sembra una ipotesi che il grand'
uomo po- nesse innanzi ragionando cogli
amici e di^cepoU. II qnal supposto ci
riesce confermato dalle seguenti parole del
Rucellai : Inoltre 6 molto
singols^re che in questa ipotesi Galileo
precedeva i modemi sostenitori deir
unit^ delle forze fisiche. Ma con quanto ritegno il feujeva! aggiungendo solo che questa non gli
pareva piii inverosimile di tant' altre
opinioni spacciate fuori per vere : e
non osava chiamarla, non che vera, verosimile.
II Rucellai aggiunge, come Galileo al padre Campanella, il quale consigliava il gran matematico a
metter fuori certi suoi pensieri come
una nuova e ben fondata filo- sofia,
rispondesse : che non voleva per alcun modo con
cento pitl proposizioni apparenti delle cose naturah screditare e perdere il vanto di died o
dodici sole da lui ritrovate, e che
sapeva per dimostrazioni esser vere. E
tomando al nostro Rucellai, egU argomenta con que- sto tutte le cose farsi per via del moto o
del caldo, poi- ch^ il caldo si produce
dal moto, e il moto si eccita dal fuoco
(materia sottilissima che 6 per V aria e penetra per tutto) e anche la stessa terra, come anco
i modemi pensano, dice il Magiotti,
riceve dal fuoco suo intemo lo impulso
onde salgano i vapori per I'aria. Dichiara
indi, esponendone le probability, come Parmenide, per render conto dell' apparenza dei sensi, la
quale basa sopra una maniera costante di
rappresentarsi le cose. INTORNO a'
PRINCIPJ DELL' UNIVERSO. 143 tenesse
anch' egli il fuoco etereo principio della natura, perd anche la terra. E cosi di Empedocle di
Agrigenfco il quale riconosce in un modo
espresso quattro ele- menti, la terra,
Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco,
come agente della produzione, esercita secondo lui la parte principale. E il Magiotti ne illustra
si bene la ragionevolezza dell'
opinione, che i suoi interlocutori
abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito, nella sen- tenza di Empedocle sono costretti di
convenire. E que- sto artificio
dialettico, si stupendamente adoperato da
Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le di- verse opinioni, senza esprimere una conclusione
positiva, e maestrevolmente, parmi,
seguito del pari dal Rucel- lai in
questi dialoghi, all' obietto che ho dichiarato. E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo
del- r unico principio, ciod dell' una
eternOy dice, iUustrando i concetti di
lui, che il non essere non potrebbe esser
possibile, che ogni cpsa esistente e una ed identica, che pure cid che esiste non ha punto
principio, che egU 6 invariabile,
indivisibile, e che ogni movimento 8
cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantun- que abbia egli ben presupposto un principio
unico, im- mobile, eterno, tali
attributi non d^ poi cui si conven-
gono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo
Parmenide a sa- lire un po' piii in su,
e a presupporre un' unit^ super- lativa
e assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un' immobility perfetta,
semplicissi- ma e mai sempre costante ad
un modo che in s^ non abbia movimento
alcuno, avvegnachd per lei tutti i moti
e tutte le operazioni dell' universe si tacciano, ed abbiano essere e vita. Scende poi al sistema di Anassimandro che
ripone nell' infinite il principio delle
cose, e al figUo Luigi, 144 CAPITOLO
OTTAVO. che dice dell' infinito essere
impresa vana il farellare, poicM non
potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei
non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i
possibiliy e che percid il non
comprendere una cosa non ^ per noi prova
che la non ci sia; come anche in questo
caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la
prima inda^ gine a noi mortali rana
riuscirebbe, la seconda e age- volissima
ad effettuarsi, per modo che sia giocoforza
il confessar3 che per necessity T infinito ci sia. Da questa conclusione del Rucellai, apparisce
come egli attribuisse forae alia ragione
la capacity di giungere alia certezza
solamente in qualche cosa. In qual cosa?
Nell' aflfermare che Dio c' d, che c' ^ il mondo, e che noi esistiamo ; negando poi alia ragione di
poter sa- pere per sd sola, fuorch^ con
opinioni probabili, quel che siano le
cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per
quello che riguarda le dottrine di Anas-
simandro, il Rucellai ricorda come quel filosofo di- cesse che 1' infinito e la sostanza prima,
contenente tutto in s6 stessa, e in cui
avvengono e produconsi i cangiamenti
perpetui delle cose; come dall' infi-
nito si dividono i contrarj per un continue movi- mento, nello stesso modo che essi ritornano a
lui. Tutto ci6 che d contenuto nell'
infinito va soggetto a cangiamento, ma d
immutabile egli stesso. E cosi si
confonde 1' infinito agente colla materia per Anassi- mandro, e, come per lui, anco per altri
filosofi an- tichi e recenti. Mentre il
Rucellai, quantunque dica r infinito non
potersi intendere, perch^ non ha propor-
zione col finite, e quindi doversi contentare di assoggd- tare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei lo
distingue bene e ferma il finito non
esser privazione dell' infinito, sib-
J INTORNO A' PRINCIPJ DELL'
UNIVERSO. 145 bene solamente il nulla
infinite o finite ^ incompatibile coU'
Ente infinite, si come Y Ente finite o infinite ^ in- cenipatibile eel nulla infinite. E ci5
dimestra cen ele- ganti parele ; ceme
pure dimestra centre Anassimandre,
scerdandesi alquante dell'intendimente negative a cui mira in questi DicHoghi eel sue metede di
successiva eliminaziene, dimestra, ie
dice, geemetricamente la impessibilit^
che 1' infinite asselute si cemunichi alle
cese finite e che ci siane due infiniti, applicande alia dimestraziene la terza prepesiziene del
trattate di Ga- lilee su i meti
unifermi. E in sentenza platenica seg-
giunge pei ceme tutte le cese finite e le lere perfezieni si staccane dall' infinite, cied da quel
perfettissimi esem- plari etemalmente
lecati nella mente di Die, createre perd
della materia dal nulla, e che raccoglie nell' atte prime, ciee nel prime cencette dell' epere
sue, una virtii seminale e ideale, ceme
direbbe Platene, di tutte le cose fatte,
quante in petenza di farsi. Vedesi con
quanta chiarezza il nostre neeplatonice
ricordi ed accelga i pensieri dell' Ateniese, contempe- rati sempre dal Cristianesime, e cen quelle
stile che e degno di si alte dottrine le
renda accessibili ad ogni intelletto,
pregio invere da tenerne cento in une scrit-
tore di materie filesefiche. E stabilita la necessity, del- 1' infinite, soggiunge : Che e' si vegga V
universe muta- 10 146 CAPITOLO OTTAVO. bile, variabile e in tutto diverse
dall'essere dell' infinite, questo ^
chiaro. Adunque come s' intend' ella ? E a
Luigi che risponde : oh ! questo noi non glielo sappiam dire, cosi (prego si avverta) discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un
ente, e che questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso
metafisico applicato a naturali
proposizioni 6 venuto provando,
conchiude che non v'§ da riporre certezza, ma sola- mente ritenerlo come probabile; e pero meglio
sti- mare di rifugiarsi nella fede che
le cose razionalmente probabili illumina
di verita, e conchiudere anco una volta
col detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so, che nulla io so, Ne'quattro dialoghi suUa luce (9-12)
meramente fisici, egli riporta le
dottrine di Anassimandro e pro- fessa,
esponendole, le opinioni del Galileo con trepida- zione per timore di guastare cid che dice il
grand' uo- mo a cui professa venerazione,
e dichiara tutto cid che di buono dice
intomo al sole e sua natura essere del
filosofo illustre. E anzi tutto
^ notevole questo passo in cui si
esprime per guisa da non lasciar dubbio che egli crede agrinflussi degli astri sulle cose
terrene: E nel dialogo sopra
Xenofane, (dial. 16) detto chiaro che
egli ha per impresa impossi- bile e vana
Y astrologia, conclude che mentre non puo
negare V influsso fisico degli astri, sulle cose della na- tura, e anco sull'uomo che della natura fa
parte, ag- giunge pero che a voler fare
1' astrologo, vuolsi sapere INTORNO
a' principj dell' universo. 149 e
accorgimento non ordinario, jBnezza e malizia inge- gnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^
giovevole a interessare e prendere gli
animi, di cui si predicono gli
avvenimenti ; nulladimeno da chiunque fa si fatto mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno
senza dubbio di nota questo, perch6
distacca il Rncellai dal Rinascimento,
che trovava appunto spiegazione del ri-
sorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea stessa della civiM e della filosofia Platonica e
Aristotelica, e precisamente nel loro
concetto intomo al mondo. Qual infatti
era esso concetto? Quello di un movi-
mento circolare, concetto antichissimo, che noi ritro- viamo anche nell' liidia. Platonici e
Aristotelici imma- ginavansi il mondo
siccome una vastissima sfera, ma pur
limitata, che avendo in se molte sfere concentri- che, girasse intorno a se e ad esse, e per
modo che il ritorno periodico della tale
o tal'altra posizione degli astri nel
cielo si congiungesse ad un periodico rina-
scere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che quelli esercitavan su questi. Lo che invero pu6 essere una tra le altre-
ca- gioni che spiegano la fede che quel
filosofi ed eruditi del Rinascimento
avevano del doversi rinnovellare in
ItaHa gli antichi sistemi, le antiche civilt^ per definire con essi i loro problemi intorno al triplice
obietto della filosofia. La luce pertanto in modo vario e per mille
ma- niere d^ 1' essere, per
Anassimandro, a tutte quante le
creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte primiero della
luce, ma non I'unico, come ne confermano
parecchie esperienze, ed essa 6 una cosa
da se, che in gran dovizia ritrovasi
nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel
fuoco e la 150 CAPITOLO OTTAVO. dissero la quintessenza piii fina e piU lata
di esso, forma i colori nelle sensibili
cose, ^ Y elixir vUtB della natura, e in
tutte le cose rinviensi, ed d secondo il
Galileo (che pur qui il Rucellai chiama principQ de'filo- sofi, e scorta e direttore dei suoi discorsi)
1' ultima ed estrema espansione della
natura. E qui cita molti esempi addotti
dal gran fisico e matematico per
dimostrare che in tutte le cose c'^
mistura di luce o etere, o fuoco, secondo
che questa sostanza gli d parso chiamarla cosi o cosi dai filosofi. E il Rucellai tiene come
Platone, Galileo e Descartes gli atomi,
che come il tutto cosi 1' etere o il
faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col
Magiotti che il definire gli atomi, rotondi, o acuti, o piramidali, d parlare per ipotesi, non perche
dessi gli abbiano visti. Comunque, e dal
vedere come Galileo provi col fatto ogni
cosa esser permista o vivificata dalla
luce cominciamento naturale di esse, e dall' os- servare come ci6 sembri confermato dal Genesi
e dai Santi Padri, ben deduce potersi
commendare in questo INTORNO a'
PRINCIPJ DELL' UNI VERSO. 151 senso
quella proposizione platonica che assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima
egli in- tender dovesse la luce. Odasi,
di grazia, il ragionamento erudito
: E santo Agostino, quel sottilissimo
ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa
liice soUilissima sopra ogni cosa,
alimentata da vivificante colore, quarito tempo ignorai che f OSS' ella cagione delV ornamento delV
universo ! Fino a che agli occhi miei
annebbiaii non rifulse U lume eterno del
Vero! La qual luce alia bellezza ed alio
152 CAPITOLO OTTAVO. spirito,
sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di
quel primo ed ineffabil lume, che etemalmente e senza fine risplende; di cui elia d qua tra noi la
piii fami- glievole immago. Che irapero
fu detto 1' eterno Fattore: Luce della
luce, e fontana di lume. Ed in altro luogo:
Delia luce Egli la luce, e '1 giorno.
> E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acu- tezza, si andava rivolgendo per Tanimo
dicendo: Ma che pro dunque a me ne
veniva, che tu, Signore e Dio mio,
Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un corpo tcde? Oh! quanti sentimenti al nostro
proposito trar si possono da queste
scritture! Percio duirque si puo
credere, con essa luce (come piii attiva, piii sem- plice e piii pura, e impero, come principio,
pitl alle divine cose somigliante) si
dessc, per mano del Sovrano artefice, il
cominciamento e 1' omamento a tutto il
mondo visibile ; locandopoi quella per la maggior parte, come in sua miniera, nel sole. II che
viemaggiormente si autentica dal nostro
medesimo divin Poeta, in quei versi
: « Lo ministro maggior della
natura, Che del valor del cielo il mondo
imprenta, E col suo lume il tempo ne
misural » > Cosi dunque, avendosi la
luce, a cagione di sua purissima natura,
non dico per la pitl simile tra le cose
visibili, ma almanco per la meno dissimigliantiB alia divina sostanza ; puossi commendare in cid
quella pro- posizione Platonica. Perchd
Platone, col lume solo della natura,
giunse a fare una si maravigliosa graduazione:
ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la materia, per render meno discrepante e meno discorde
I'am- mirabil concetto e fabbrica del
mondo ; mentre co'mezzi all'uno e all'
altra confacevoli va regolando la diffe-
renza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo INTOBNO a' PRINCIPJ DELL' UNIVERSO.
153 Compositore, e quale attaccatura, e
per qua'mezzi, possa darsi tra loro. E
imper6 mi cred' io, quandun- que alcun
dato avesse a quelle intelletto perspicacissimo
ad esplicare quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia
fatta la luce, ed ecco la luce; egli,
non giungendo tant' oltre al lume della
Fede, conformando tal sentenza a'proprj
Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il quale, coll'occhio della sua divina Mente, se
ne giva yagando, e riguardando in qua e
in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli
esemplari e le idee perfettissime, in
essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa
facesse la luce, che ebbe dall'eterno
Motore (quantunque Egli in sd stesso sia
mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi pri-
mieri, cio6 a dire dall' atto primo V attivit^ e il moto, ond'ella avesse la mano (come principio della
natura e anima dell' universe) in tutte
le formazioni e nella perpetuity delle
produzioni, che ad ora ad ora si rin-
novellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua somma onnipotenza,
senza mezzi, aver creato 1' anime, gli
spiriti e gl' intelletti univer- sali,
siccome sostanze prime, e viepitl alia sua divina natura conformi ; aUe quab* desse la cura e
'1 disegno, sotto la sua assistenza come
Architetto sovrano, di formare tutte le
cose pitl materiaU e corporee, ove esse
locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non compren- diamo quale sia quell' anima universale, che
egli inten- deva per collegatrice delle
cose divine coUe naturaU, possiamo noi,
con piU fondamento ancora che non avea
egli, creder che cid sia la luce; la quale fosse da Dio creata, onde ella desse all' universe
sensibile, ad esempio dell' archetipo,
la sua piil bella, visibile e
maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci 154 CAPITOLO OTTAVO. mirabilmente in acconcio quel luogo di Dante
nel Paradiso: cDunque nostra veduta, che conviene Esser alcun de'raggi della Mente, Di cui tutte le cose son ripiene.» > Abbiamo per conseguente gran cagione
d'immagi- narci, ancorch^ nol possiamo
con prove infallibili fer- mare per
vero, la luce essere quel movimento occulto
e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso
nella natura universale dall' atto
primo, che d Iddio. > j&
prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di
opinioni diverse che il vero le
adombrano sempre, e mai per intiero
gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi la
conclusione non d percid a dubitarsi che
sia identica nella sostanza alle altre,
e confermisi ivi appunto lo scetticismo in
cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi
dialoghi che noi chiamammo
distruttiva. Uguale d poi la
conclusione a cui il Rucellai arriva
dope aver favellato de' colori, ed esposte intomo ad essi le opinioni dei varj filosofi, e cercato
di avvici- nare, come sempre fa, col
modemo 1' antico, Galileo con Platone.
II qual Platone, come Democrito ed Epi-
cure, fa i colori consistere in una fiammella a cui perd 6 necessario il concorso del sole; questo
fulgore di luce riflette variamente dai
corpi colorati secondo i modi varj coi
quali i raggi del sole gli feriscono, e
secondo le positure e figure delle superficie dei corpu- sculi componenti quello o quell' altro
oggetto che i raggi ricevono o
ribattono. E come Aristotele, cosi il
Rucellai opina i colori non esser sostanze,ma accidenti, effetto cioe di luce cadente nei corpi, luce
che forma i colori. Conchiude pero che
queste sono opinioni di filosofi, ma noi
non possiamo ritenerle per veri asso-
luti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod nihil sdo.
Io mi astengo da riferire la esposizione che nel Biajogo quindicesimo fa il RuceUai delle
opinioni in- tomo al principio passive
delle cose professate da Ze- none, da
Archelao, da Filolao Pittagorico, da Prota-
gora, e da Senofane, dope le quali egli conchiude nella medesima guisa, non senza prima aver
magnificato certe stupende divinazioni
di quegli antichi filosofi, e allettato
gli ascoltatori, per bocca del Magiotti, ad
abbracciare ad una ad una le loro opinioni diverse. Questo viaggio del Rucellai a traverse le
varie e molteplici sentenze de' filosofi
intorno al cominciamento passive del
mondo, piii che viaggio, adunque, ti si
rassomiglia all' ondeggiare irrequieto di una nave che 156 CAPITOLO OTTAVO. sospinta in alto mare, e pur volendo
pigliare una dire- zione a porto sicuro,
venti contrarj e tra s^ lottanti ne la
tengono perplessa, mentre nell' animo del pilota suscitano come una tempesta di dubbj suUa
sorte av- venire del legno ch' e' guida.
E uno scetticismo non disperato no, ma,
se m'e lecito la frase, imo scetti-
cismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento
Socratico, la consapevolezza della
propria ignoranza; fondamento negativo
per il Rucellai, in quantochd la fede religiosa
solamente rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte
nella cer- tezza della coscienza del
proprio pensiero, vale a dire in un
fondamento positivo dello scibile umano.
Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL
TIMEO DI PLATONE NE' DIALDGHI DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. SoMMABio. —
Ammirazione del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo.
— Plotino. — Trime- gisto. — II Rueellai
non e dualista, come Platone. — Fine della
creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuni- verso si legrge il verbo di Dio. — Gli
archetipi eterni. — Platone manca della
fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e il mondo cade in errori. — La mente divina forma
di tutte le forme. — La mente umana e le
idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte
Aristotele, Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne
I'amore, per se, e anima deiruniverso. —
Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito
Santo. Del !Bmeo di Platone il Rueellai
d^ tutta la strut- tura, esponendolo,
col riprodurne tradotti i punti piU
qualificativi, e commentandoli. Desso,' il nostro filo- sofo si accosta, direi quasi, con religioso
tremore e come compreso nelP animo di
alta maraviglia a questo monumento
divino del genio Ateniese, che pare scriva
dal cielo le cose stupende di lassil agl' intelletti finiti degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i
voli della mente cerchi infrenare coUa
ragione e V esame, pur non di rado
accade che amniiri piii di quel ch' e' di-
scuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla- . tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la
voce del Galileo. E su' principj della
natura discorrendo in sen- tenza
platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga 158 CAPITOLO NONO. per universale fondamento ch' e' si dee
innanzi tutto distinguere qudlo che
sempre c, da queUo che mai e, e che ha
nascimento ; e come il primo lo comprende
la ragione, 1' opinione per via de' sensi il secondo; vale a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i
sensi, ma si r animo il pud seguire
meditandolo, e raffigurandolo nelle sue
contemplazioni per cagion prima, universale,
assoluta. 11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie
opinioni formarsi delle cose naturali, e
la certa verita di come elle siano non
esserci mai chi V aggiunga; dappoich^ il senso non sia che un vestigio dell' intelletto, e 1'
opinione e V im- maginazione una copia
di esso confusa ed abbozzata; ed i sensi
ingannin sovente. Edefinite il divario tra
opinione e scienza, tra senso e intelletto, il Rucellai, sic- come Platone, riconosce dialetticamente la
necessity di un Principio primo delle
cose, o come i Teologi, di un principio
prindpiante della natura, in cui stieno gli
archetipi eterni delle cose create, le quali sono alia lor volta imagini imperfette di quelli. Onde a
ragione Plo- tino chiama la natura forma
di tutte le forme^ ma con tale infinita
disparity, che Iddio, prin- cipio principiante di tutte le cose, eccetto
della materia eterna per Platone, ma pel
Rucellai anco di questa (nel
ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 159
che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria alia
ragione stessa) infuse nel mondo create
o formato grimpulsi della sua
conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione dell'origine dello universo,
opera bellissima e imagine di qualche
cosa di etemo, discorre, dimostra esser
lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo
Agostino, aver egli medesimo confessato
ch' e' conviene credere per intendere,
non volere intendere per credere. N^ si
diparte da Platone, anzi concorda con lui il
Rucellai nel dire che fine della creazione fu a Dio per- fettissimo il buono, e questo per formare con
amore una cosa, la quale e' voleva che
riuscisse oltre ogni pa- ragone
bellissima ; E nel Paradise, mostrando
di scorgere tutte quante queste cose
sublimi nella incomprensibil luce della
Divina Mente: « Pero che'l ben, ch'6
del voler obietto, Tutto s' accoglie in
lei, e fuor di quella £ difettivo, cio
che 6 li perfetto. » > Per lo che
vien dimostrando anch'egli che questa
copia non giugne a gran via alia perfezione del suo originale. > E, come Dante, recasi qui pur David a
sostegno della dottrina platonica,
laddove il Cantore de' Salmi enumera, come
Platone fa, i principali e piii sovrani
attributi di Dio, in cui stanno gli archetipi etemi delle cose, e dice come nella creazione,
prima di tutti cominciamento universale
di qualunque sua fattura 11 162 CAPITOLO NONO. formo egli i cieli nel suo intelletto ; con
che interpreta] il Rucellai aver voluto
David, come Platone, signi- ficare che
avanti di creare le cose fuori di s^, Iddio
avesse ingenerato oft aitemo in s^ medesimo I'idea di quella fabbrica che poi fece, e con la
formasfione dei cieli neW intelletto^
volersi indicare il mondo intelligi-
bile, il mondo archetipo eterno, in sentenza stessa pla- tonica. E come beUo cred il mondo, perche la
perfe- zione assoluta del bello
?ibbraccia anche la perfezione assdluta
del buono, ambedue contenute in unit^ per-
fetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con
armonica proporzione, daUa discordanza
riducendolo a conso- nanza, dal
disordine alFordine. E le forme che non
riescono buone e belle, non per colpa di Dio, ma per vizio della natura si trovan nel mondo, e
sono occa- sione a lui eterno Facitore
per ispargere, dice Platone, suir universo
i suoi beni. II quale, soggiunge il Ma-
giotti, piii che e' pud si studia farci comprendere que- sta creazione del mondo. Onde il poeta : « Nel suo profondo vidi che s* interna Legato con amore in un volume Cio che per I'universo si squadema. » > Ed il Petrarca ben distingue 1' idea
dalP esemplare in quel sonetto
maraviglioso che incomincia: c In qual
parte del cielo, in qualMdea, Era
Tesempio onde natura tolse Quel bel viso
leggiadro, in che ella volse Mostrar
quaggiu quanto lassii potea. > II
qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma il Ru-
cellai non consente, che per divino privilegio o per me- rito dell' amma universcde che da Dio fatta
immortale lo informa, sia anch' egli,
quantunque continuamente mo- rendo,
immortale. E ascendendo piii
particolarmente alle idee, agU ar-
chetipi etemi, egli, il Rucellai col Ficino dichiara, co- me Platone ne insegna, la Mente Divina esser
forma di tutte le forme, idea di tutte
le idee, le quali tutte in s6 le
comprende, idee a cui le sensibili forme si
rassomighano come le ombre ai corpi.
La idea dunque di ciascheduna
cosa, bench^ in riguardo al nostro
intendimento di diverse cose paia composta
(ei soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e
ferma ed 164 CAPITOLO NONO. etema, possedendole tutte insieme, Ed oltre convenire in questo intendimento,
il Ru- cellai, a conforto di esso, le
ragioni di dotti antichi e di santi ne
adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo
stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe. Ed e degno di considerazione cio; imperocchd quantunque
appa- rentemente egli esca qui fuori un
po' del suo consueto e sistematico
probabilismo, pure in realta vi rimane;
ch^ questo vero non in quanto la mente umana lo ritrova e proferisce si 6 vero, e da
accogliersi con certezza, sibbene perch^
gliene viene conferma inM- libile dall'
autorit^ dei Ubri santi. Perd come le
idee diverse dalle opinioni, le intel-
ligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime BSPOSIZIONB DEL TIMEO, EC. 165 notizie intelligibili si attacchinO a noi, ^
pel Eucellai un mistero e con rAlighieri
ripete: aPero Ih donde vegna lo
intelletto Per le prime notizie uomo non
cape E del primo appetibile V affetto.
» E s' intrattiene a provare ancora
piuttosto come esse idee riseggano in
Dio, e le cose a somiglianza di quelle
si facciano. « le cose tutte
quante Hann' ordine tra loro, e questa
6 forma Che r universo a Dio fa
somigliante. Qui veggion Y alte
creature 1' orma Deir eterno valore il
quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata
norma. Neir ordine ch'io dico sdho
accline Tutte nature per diverse
sorti, Pill al principio loro e men
vicine* Onde si muovono a diversi
Porti Per lo gran mar dell' Essere e
ciascuna Con istinto a lei dato che la
porti. » Evidentemente scorgiamo noi
qui come il Rucelki rigetti la opinione
che lo intelletto umano sia tanquam
tabfda rasa^ in cui si venga a scriver man mano, e pur senza sottoscriversi alia teoria della
Eeminiscen^a nel senso platonico,
ammetta invece la umana mente illu- strata
da un lume supemo impresso in essa "da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro sul come
cio av- venga, e anzi. reputi questo un
mistero, come detto abbiamo di sopra.
Ci6 che puo dirsi per i passi gi^
riferiti o per altri che giova per brevity tacere, si ^ questo, che per lui la partecipazione
delFidee eterne all' intelletto umano ^
fatta non per immediata intui- zione^ ma
per impressione, Perocch^ egli dica che le
idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stam- pati da Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese
nella strada che mena al conoscimento
perfetto delle idee, che sono nella
mente eterna, asserendo egli pure essere
a cid necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio del cerchio, cui V animo nostro vuol sapere
che sia. Del rimanente il Rucellai,
come Platone e i neopla- tonici del suo
tempo, in questa parte e cosi anche nelle
altre del suo lavoro filosofico, ritiene e professa il prin- cipio I'occasione della cognizione venire da'
sensi, che la suscitano, e la fanno
ricordare alia mente, in questo
significato perd che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla
onnipotenza e prov- videnza divina. Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei
quali venne formate il mondo, si
discorre dell' anima di esso secondo
Platone, di cui riferisce il Rucellai testual-
mente i concetti, senza metter (com' e' dice) in que- stione se cid sia vero o no. Ed io credo
poter far gra- zia al lettore ed a me di
questa lunghissima e diffusa
esposizione, che non ^, come altrettali, al mio soggetto. E cosi pure della esposizione di quel sistemi
falsi che ammettono il mondo da s^
essere o governarsi (natu- ralismo) o
Dio stesso essere (panfeismo), che il Rucellai
condanna e beff'eggia, ammettendo determinatissima- mente la creazione ex nihilOy secondo il
concetto cri- stiano, e la fede. Belle
pagine invero son quelle, e dove si
appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudi- zione immensa che irradid la mente di questo
filosofo fiorentino ; se non che la h
null' altro che erudizione ; mentre
valore speculative, propriamente tale, invano 168 CAPTTOLO NONO. pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo
recando un altro ragionamento del
Rucellai preso da Ermegisto nella
sostanza, e col quale egli svolge pitl e piil il suo pensiero sulla creazione del mondo fatta da
Dio. c Tutte quante le cose che si
apprendon co' sensi, (egli dice) fatte
sono, e tutto di si fanno e fannosi non
generate da per s^ ma da altri. Adunque qualcuno ci ha da essere, che generate le abbia, il quale
generate non sia, e delle generate cose
piil antico: e delle cose generate nd
uno pu6 esser piA vecchio di quelle che
generate non ^. Ma il Facitore h piii potente di lore, e unico e solo in verita, sa ogni cosa perch^
niuno a lui va innanzi. Le generate cose
visibili sono, egli in- visibile, e pero
fa a fine di rendersi visibile, per lo
che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di Padre.
Dio per V on- nipotenza, Fattore per
I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond'
E^li opera, n^ ci ha cosa di mezzo fra il
genitore e il generato, n^ altro fiiori di questi due: uno per propria natura la natura dell' altro
riguarda mai sempre, e V efficiente e '1
fatto sono vicendevol- mente uniti in
guisa perd che I'uno preceda e 1' altro
seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malage- vole si 6 vero disdicevole alia divina maest^
; la costituzione di tutte le cose ridonda
in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che
fa, nieijte di reo, niente di deforme
precede; siflEatte passioni seguono solamente
le operazioni create. Delia generazione la perseveranza fa pigliar piede al male, e per tal cagione
istitui Dio con la corruzione loro la
mutazione delle cose, come una certa
purga via via di essa generazione, e cosi per
mezzo di una continua mortality, conservasi perpetua al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua
propria natura, e questa si d il buono,
e il buono d quella virttl onde
ESPOSIZIONE DEL TIMEO, EC. 169
tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio gene- rate si § cio^ dal buono, che ^ quelle che
pud e fa ogni cosa. Iddio nel cielo
semind V immortality, in terra la
mutability, in tutto quanto il mondo la vita e il moto, a simigiianza dell' agricoltore cbe sparge i
semi nel grembo della terra, in un luogo
appropriate il grano, in un altre Torzo,
e in quelle e in quell' altro altra sorta di
seme, il medesimo dove riannesta, e dove peta le viti, e altre maniere di frutti, nelle stesso mode
fa Iddio. > E se il mondo nen 6 Die,
neppure Die ^ 1' anima del mondo, preva
il Rucellai in altri Dialoghi, e so-
stiene come Egli sia mente Creatrice e Prevvidente in quelle, senza infermarlo, come fa anima
cerpe, nd tra- mescolandosi con esse
perch^ egli immense nen pud esser
circescritto da termini, senza cessar d' esser Die ; perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto stare,
che ^ il mondo. Iddio crea, e la sua
mente divina gli 6 legge ; imperocchd
essa in un medesimo punto pensa, ceno-
sce perfettissimamente e delibera impermutabilmente con sapienza infinita, e con immutabile
ennipetenza, e tutto ipso facto, senza
replica, a quelle ebbedisce, e perd
legge si ^ la mente divina. come
ritratto e immagine del suo facitore, ma
non gi^ reputd che Iddio anima fosse del
mondo, quantunque anima di ragione dotata
e fabbricata dal maestro etemo delle sovrane intellet- tuali cose e divine assegnasse all' universo.
> La mente divina pertanto 6 pel
Rucellai legge im- permutabile all'
universo, e concorda in ci6 che ne dice Cicerone:
Legem video sapientissimorum fuisse
sentendam, neque hominum ingeniis excogitatam, neque sdtum aliquod esse populorum sed cetemum
quiddam quod universum mundum regeret
imperandij prohihen- dique sapientia.
Ita principem legem illam et ulti- mam
mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis
aut vetantis Dei, vita autem est cum mente divina et ratio est recta summi Jovis ; ergo divina
mens summa lex est Insomma 1' anima dell' universo d pel
Rucellai lo Spirito Santo, che e Luce
ed Amore, d la Provvi- denza, o I'Arte
divina. E va egli man mano avver- tendo
come Platone nella graduazione degli enti per
r universo e nello spiegare la formazione del mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia
dottrina della creazione, e conchiude
sovente com' egli abbia davvero avuto a
logger la Genesi. E tanto e' crede
probabile cid, che espressamente in un
Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla
creazione dell' universo con quel di Platone, per ve- dere a luogo a luogo dove elle si
rassembrano, e dove egli, Platone, abbia
fallato. In che appunto noi abbia- mo
una nuova testimonianza di fatto degli intendimenti filosofici del nostro Neoplatonico. Egli
accetta da Pla- tone le sue dottrine
finch^ armoneggiano colla Teolo- gia
cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in que- sto sense ultimo d'interpretarle; e dove le
vede troppo 172 CAPITOLO NONO. palesemente discordi, se ne diparte, e alia
rivelazione intieramente si appiglia. Or
questo studio comparativo tra i testi
biblici sulla creazione e quei di Platone che
vi si approssimano, e importantissimo a chi voglia, come ho accennato innanzi, vedere gli estremi
svolgi- menti del neoplatonismo nel
secolo^decimosettimo. Si fa il Rucellai
un ultimo quesito, se cioe in sen- tenza
platonica I'Amore sia anima del mondo, o la
parte pitl nobile opitl sovrana di essa. E teologica- mente discorre di Dio sommo Bene e sommo
Amore, della Trinity dapprima, indi
dell' amore necessario e dell' amore
libero, quelle nelle cose insensibili, nella
madre natura e negli animali bruti ; questo nelle crea- ture intelligenti, per le quali esso non ^
che un.con- cordamento tendente alia
perfezione della divina uniti; e percio
disse Platone, amore essere quell' armonia
e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed all' uno, E in questo senso deve
intendersi ammetter egli 1' amore come
anima del mondo, e por- zione piii
perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa
due Veneri generatrici di due amori, naturale 1' uno, divino 1' altro, entrambi maestri di tutte le
arti e di tutte le operazioni. Capitolo Decimo. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME
RAZIONALI. • SoMMABio. — Qaesiti. — Natura deir anima
razionale. — Non e particeUa deiranima
uniyersale. — & intiera e perfetta da sd. — In che il Rncellai si discosta qai da Platone. —
Spiritualitd. deiranima. — Per- fezione
maggiore negli spiriti angelici. — Immortality. — Argomenti di ragione probabili. — Cartesio e la sua
teorica dell' idee connessa alia questione
deUMmmortalitll. — Passo di questo filosofo. — Altre prove d' immortality. Intomo a questo argomento il Bucellai si
propone di vedere se sieno da per loro
le anime razionali ovvero porzioni dell'
anima universale; in che erri Platone, a
ft differenza del nostro
credere; e quali motivi senza lume della
fede ne persuadono, e con Socrate e col divino
lilosofo e con molti altri maestri di sovrano lume an- corch^ Gentili, che le anime nostre sono
immortaU. E per primo si studia di
dimostrare la natura di que- ste anime,
e come non sieno particelle dell' anima uni-
versale, possedendo 1' anima nostra invece una sua propria sostanza, ed essendo una certa
essenza intel- lettuale da s6, che si
forma semplicemente dall'intel- letto
divino, come ammette Platone, £ da
notare qui come si avveri quel che abbiamo
avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo nostro s' in- gegni di ridurre a vera sentenza in
conformity del Cri- stianesimo le parole
di Platone, che per contrario, nel
Timeo, sostiene I'anime particolari essere particelle della universale. E dice poi Platone (continua il
Rucellai) r anime esser fatte per le
cose celesti e immortali, e per- ch6 r
uomo si faccia imitatore di Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi, tra' quali il piii degno e il
piA umano, la vista e I'udito. Nel che,
soggiunge egli, discorda alquanto la
verity nostra perch^elle sono create da
Dio di ugual perfezione di mano in mano in quel punto che fornita di fare tutta la struttura del
feto nelFutero matemale, il corpo ne
divengS; capace, messoinsieme con tutti
quanti i suoi organi ben che teneri e male
abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^ vi ha anima comune onde le nostre razionali
porzioni sieno di essa in alcun modo. E
della differenza tra questa e quelle e
tra quelle e le anime dei bruti lungamente
favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti probabili di ragione, a precetti di fede
religiosa. E il contrasto interne dell'
uomo che proviene dalla Ubert^ del
volere e da' sensi e il supremo e invincibile argo- mento a sostegno della spirituality dell'
anima umana, e della sua gran
diflferenza con ogni altra che Platone
ponga nel mondo, o che negli animali ci sia. Stabihsce quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la
perfezione maggiore degli spiriti angelici,
chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. —
DELL'ANIME RAZIONALI. 175 Demoni, o
Dii, percM immagini pitl perfette che Panime
nostre dell' idea eterna; e afferma non potersi dare ac- costamento di termine tra il corporeo e lo
incorporeo, r immateriale e 1'
incomposto, 1' anima insomma, la quale
sebbene non si veda n^ si tocchi, pur si mani-
festa che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili, giusta ne dice pure
Platone. Confessa pero al solito che in
somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incor- poreo e delle operazioni lore, come della
immortality non vi ^ da aspettarsi mai
prove convincenfi^ oltre queUe delta
nostra infcHlibiLe cattolica doUrina, perche
eUe non sono da noi^ ma si bene favellare se ne puote e trovarci da proporre molte
verosimiglianjs^e e proba- bilUa.
Nondimeno con tutti gli argomenti che adopera
Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' no- stri il Ficino e indi anco il Cartesio, di
cui espone ed ammette, temperandola col
neoplatonismo, la dottrina della
cognizione, e le cui ragioni sulla immortality
paiono anco al Rucellai ben fondate, egli vien dimo- strando man mano la spiritualita e
immortality del- r anima con discorso
vivace e stringente, e ribattendo con
arguta confutazione gli argomenti in contrario,
specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei quali su cio cadde Tertulliano, e rilevando le
contradizioni frequenti di quella
intelligenza. Non repute inutile
pertanto a questo punto rife- rire ci5
che il Rucellai per bocca del sacerdote Ma-
giotti, dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette
stretto con quella della immortality, e
se ne vale come argo- mento, sempre
s'intende, probabile, coll' uniformarsi
intieramente alia fede. Confesso
bene, che il volere riconoscere del tutto
dair idee, ch' e' chiama innate, e che esse ci sieno, non che dell' essenza, dice solamente dell'
esistenza divina, r ho per
intraprendimento troppo ardito, e da non se
ne uscire con onore, chi volesse, seguitando Renato, col proprio intelletto giungere a si sovrane
cose, senza gli anticipati giudicj dell'
immaginazione, percM io per me non so
ritrovare modo da figurarmi come cio segua:
impercid che avendo noi si fattamente impastate le parti intelligibiU con le sensibili, la
maniera di distin- guere totalmente le
loro operazioni 1' una senza I'altra,
cio^ a dire quella dell' intelletto senza quella del senso, io non mi rincuoro di rinvenirla. > La opposizione che fa il nostro autore alia
dot- trina del Cartesio sull'idea innata
di Dio ^ notevole molto, perch^ viene ad
escludere in lui la dottrina delle
intuizioni ontologiche o anche ideali, che ab-
biano per obietto Iddio e gli esemplari etemi. Scintilla della divinity si pud dire, che sia
non so- lamente quel lume di conoscere
le cose esteme per via de' sensi, il che
hanno parimente gl' irrazionali, ma di
pill quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir intelletto, e della mente astratto da'
sensi, pe r il quale ci si apre la strada
al raziocinio, e al discorso, con cui
noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose
non sono comech' esse ne facciano la scala per soUe- varvisi sopra alquanto. Per lo che disse
Plotino nel- r ordine della cognizione
1' ultimo grado tiene il senso, il sommo
V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la
linea retta, V intelletto la circolare, rivolgendosi in sd stesso, e pero 1' anima per la vegetazione,
per il senso, e per V immaginazione si
affaccia fuori di s^, ma per e' moti
deir intelletto si rende capace di riflessione in 8^ stessa, e cotale operazione si
maravigliosa del conoscere di conoscere,
6 presa da molti filosofi, anche 180
CAFITOLO DECnCO. di pit! acuto
intendere, per grande argomento dell' im-
mortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate in noi le idee
dell' esisten- za, ed essenza di Dio, e
non da quQsta per I'ordine delle
medesime idee, passare ad avere plena notizia
dell'essere una cosa cogitante che non pud essere distesa, e perd essere incorporea e poi di
essere insieme una cosa distesa, e non
cogitante, e perd essere cor- porea,
onde se ne ricavi essere 1' uomo fatto di due
•cose totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la
posizione cogi- tante da per s^, cio6 a
dire la mente, e 1' anima in- corporea,
e perd immortale. Ma si bene questi lumi
di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi
medesimi talento d'avvedersi ch'e' ci
sieno i principj di molte e molte cose,
le quali -noi ci accorghiamo avere molto
pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a capire per possedere in verun
mode scienza di loro intera e perfetta,
e non avendo in noi r intero della
perfezione delle cose di cui noi cono-
schiamo i principj, da' quali ci sentiamo abili a cono- scere piti, bench^ piii non arriviamo a
conoscere : adun- que trovandosi in noi
le misure proporzionate, e lo acume per
arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1
potere da queste grossolane membra mortali, e da questi organi, che noi abbiamo limitati, ed
angusti, i quali paran la vista all'
occhio dell' anima: egli ^ molto
ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere 1'
intero delle cose, di cui noi scorghiamo
i primi semi, e lampeggiare le scintille,
il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile,
che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le anime nostre destinate sieno, spogliate e libere da questa
gravosa SEGUE IL TIMED. — DELL'ANIME
RAZIONALI. 181 soma corporea; e qui si
addice meglio la considera- zione che
Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illu-
sione massime in certi principj e fondamenti, che si scorgono bene e fermamente stabiliti a
sostenere una mole di pitl alta
architettura che none quella, che alia
nostra veduta si concede. Impercid che se 1' anima per s^, e per sua propria natura avesse
terminate le vie del sapere, quieterebbe
s^ medesima a que' soli principj, ne s'
imm^ginerebbe piii oltre di quelli im-
mensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina, creden- dosi che quello che gliele impedisce fusse il
suo ultimo fine; imperciocche quando uno
vivendo racchiuso in una angusta
spelonca, condottovi da lontane parti di
notte al bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, . ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con
archi sopra, certo ^ ch'egli s'
immaginerebbe qualche alta e gran
fabbrica dimorarvi sopra all' occhio del giorno, e non indamo si forti fondamenti esservi stati
sotterrati, o che almeno alcuna volta
stata vi fosse ; se pero un si fatto
uomo cotanto stolido non fosse, o ch'entro vel
ponessero di nascita, che impercid non avendo per innanzi veduto altra cosa finora di li si
facesse a cre- dere che quelle pareti, e
quelle volte fossero i termini estremi
del mondo. Cid verisimilmente succede alle
bestie, le quali non hanno talento di credere che ci sia da sapere piii di quello che elle sanno.
> Ma pitl il Rucellai si compiace d'
intrattenersi nella prova a posteriori
della esistenza di Dio e della
immortality dell' anima umana, e in cid pure
si vale dei vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi, come e precipuamente di quello che ricavasi
dall'or- dine del mondo, e dall'
indefinito desiderio di beni in- siti in
noi, e della sempre incompleta soddisfazione che i beni finiti della terra e dei sensi ci
recano. E s' in- 182 CAPITOLO
DECIMO. trattiene molto pur qui, ma
assai piii nel trattato della
Prowiden^a^ come vedremo fra breve, a discorrere di questa natura di beni, e in che il vero bene
consista, seguendo in tutto le traccie
neoplatoniche e stoiche, e come i beni
di fortuna son tali solamente in quanto
s' indirizzano al conseguimento della virtii, in che sta il vero bene. Or facendosi cid appunto per
la ragione, mediante la quale si arriva
alia bonta, alia giustizia ec. e questi
essendo attributi di natura sempiterna, ne
viene che Fuomo abbia I'anima immortale. E come questo, cosi molti altri argomenti
verosimili e proba- bili della
immortality dell' anima, reca il Rucellai a so- stegno di essa, di Platone, di Socrate, di
Pittagora, di Cicerone e di Seneca, il
qualp ultimo par talrolta r ammetta,
tal'altra no; ma io credo non essere neces-
sario fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo com'egli, il nostro filosofo, cerchi
corroborare quanto piii pud con
argomenti probabUi della ragione quello
che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini ritiene per fede, e d i rilevare com' egli
faccia anco qui uno sfoggio vastissimo
di erudizione nel recare gran- dissima
copia delle opinioni de' piii antichi e se-
gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li reca, li rimprovera o corregge in quel ch'
essi hanno di non razionale, o di
contrario alia fede, come la pa-
lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di Platone, ossivvero ne interpreta ciiriosamente le
frasi, come il demons di Socrate, per
esempio, nel quale vuol ravvi- sare
I'Angelo Custode dei cristiani. E
finalmente ritorna il Rucellai a discorrere della cosmologia, della formazione cioe del mondo e
figura sua in sentenza platonica,
rigettando pero come detto si 6 la
eternity della materia, e dove pu5, a sostegno
delle dottrine platoniche, riportandone i detti di Ga- SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI.
183 lileo e questi con quelle
conciliando, come contro la
incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il brano, e avremo terminato 1' esposizione del Timeo. Imperf. — Nascemi nell' intelletto una nuova
oppo- sizione da farvi procedendo
secondo V ordine platonico, e
estraendoci dalla fede. Convien supporre la materia informe per s6 discordante e de'contrarj
compostaes- sere eterna, altrimenti se creata
fosse da Dio, potries- segli apporre che
egli avesse errato tirando i prin- cipj
tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe
mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all'
unitade i contrarj, acciocche permanendo
uno, e perfetto huni- versale, essi
operassero di lor natura i loro effetti spe-
ciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben
sotto le debite regole e proporzioni tra
loro ridotti per tal maniera che non isvariassero dair ordine dato loro e mantenessero perpetue
le spe- cie, mentre di mano in mano si
rifiniscono gli individui. Imperf, — Operano
i contrarj naturalmente da con- trarj, e
cid ^ d' uopo per la corruzione de' composti,
riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli
ebbero per lo componimento, e per hunit^
del tutto ; richiaman- doli via via mai
sempre al rifacimento di quelle cose
individuali che periscono per mantenere nel loro de- bito pieno le specie, altrimenti se fosse un
elemento solo nulla si genererebbe
giammai. E o vero sarebbe r universe una
cosa tutta, una, soda e ferma, con la
figura solamente esteriore che ritonda gli assegna il Timeo^ e allora fuori che nella grandezza,
che diffe- renza fareste voi da esso a una
palla di Travertine? si pure se da
principio senza contrarj create avesse
tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e 184 CAPITOLO DECIMO. le.stesse in perpetuo impermutabile stato,
senza che n^ una giammai se ne
riformasse di nuovo, di che come udiste
si ^. dichiarato molto bene il Ficino.
Mag, — Oh come bene si B&k un bellissimo luogo, che io vi verrd dicendo a cotesto alto
concetto, che, avete detto signor
Gioseppo intorno all'esser necessa- rio
che la creazione dell' Universo si facesse dei con- trarj a volere la perpetuity de' moti e delle
genera- zioni, e ch' essi armonizzati
fossero con esso le lor medie
proporzionali per renderlo uniforme e si somi-
glievole all' unitade del mondo archetipo ! Impercid che egli h certo, che senza
Tarmonia ri- maneva tra detti contrarj
la materia informe e scom- pigliata e disordinati
moti, e senza le contrariety, re- staya
il mondo senza operamento che sia, e senza il
fruttifero movimento per le generazioni disfacendosi, e rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^
qtiando non di marmo lustro, o di
porfido si fosse 1' universo tutto, ma
di qualunque altra gioia piii dura, pit! pre-
ziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore reche- rebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe
in lui, a petto a quello che ci si
scorge, con le continue fabbri- che che
ci si formano per mezzo delle corruzioni e
delle generazioni, senza perder mai un minimo che di sua intera pienezza e di sue alte e basse
maravi- gliose strutture? Come ben
dunque si affi^ a codesto concetto quel
pensiero non punto meno alto, che pone
il nostro Linceo in bocca al Segredo contro V incorrut- tibilit^ peripatetica de'cieli, riputando
viepiil nobile e di piii pregio la terra
per la generazione e corru- zione che in
essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sareb-
bero, n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle
mutazioni, che in quella si fanno di
pitl sovrano e ingegnoso magi- SEGUE
IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. 185
stero, che se ozioso si stesse ancorchd di qualunque pit! pregiata e speziosa materia fosse composta.
Perchi§ altro (die' egli nei Massimi
Sistemi) verrebbe essa ad essere salvo,
che una vasta solitudine di arida e spessa
arena, e si infruttifera e vana, o una massa di dia- spro, o quando bene si fosse un adamante
sfavillan- tissimo saria sempre un
corpaccio inutile, con quella
differenza ch'^ tra un animal vivo e un morto, e il medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli
altri orbi, potrebbe dirsi, e vien poi
seguendo con una maravi- gliosissima e
bella riflessione, che se il popolo chiama
preziose le pietre, le gemme e V oro, e vilissima la terra, cio awenire per la dovizia di questa e
carestia di quelle. Imperd che dove
della terra ce ne avesse penuria chi
non ispenderebbe una soma di diamanti e
di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so- lamente tanta in un piccol vaso da piantare
un gelso- mino, un arancio, ivi
veggendoli nascere, crescere e produrre
si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e saporiti? E il volgo loda un belUssimo
diamante (dice egli) perch^ all'acqua
pura si rassomiglia, e poi per dieci
botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual
cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat- tori della corruttibilit^ si meriterebbero
che un capo di Medusa gli cangiasse in
statue durissime; e vera- mente non
quality e attribute di piil valore si dona
dalla scuola peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto, la corruttibilita e generazione togliendo
loro, il cui di- scorso si accoppia
mirabilmente con la interpretazione del
Ficino, ch' espone lo altissimo concetto platonico, dove chiaramente si ricorda che anche Platone
ebbe per piCi nobile e per piii
ammirabile, anzi per neces- saria la
struttura dell' universe sensibile con muta-
menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti 186 CAPITOLO DECIMO. dalla generazione e corruzione, che se
stabile, neghit- toso e fermo senza moto
si dimorasse ancor che d'oro e' fosse, o
di qualunque pit! preziosa gemma di sua in-
definita grandezza come verbigrazia sarebbe state, se di una cosa stessa e senza contrarj lo
architetto supremo fabbricato lo avesse.
E perd il divino filosofo,'^nch' elli
antepone la corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei pia- neti e degli astri a quello incorruttibile
che per ac- crescer loro pregio assegno
loro poi dopo Aristotile di sua propria
immaginazione, avvenga che egli avesse
bevuto suo prime latte dalla disciplina accademica. > Capitolo Decimoprimo. BREVE OENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMABio. — Oggetto di questo trattato del
Rucellai. — Suono. — Ordine. — Armonia.
— Proporzione. — Passo dell' autore. — Platone e le proporzioni armoniche. — II medesimo e il
diverao, — Anco pel Ru- cellai tatto e
armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano
e le armoniche pro- porzioni. — La
materia. — Giudizio del Rucellai su questa parte delle dottrine platoniche. E'prende inoltre, il Rucellai, in nove
Dialoghi a di- scorrere delle proporzionalita armoniche,
delle ragioni musiche in genere e delle
loro applicazioni all' aniina platonica,
aggiungendo, egli dice, molte cose e ripe-
tendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di essa riferisce Marsilio Ficino, egli
pronunzid. E si rif^ da certi principj
universali esposti nel trattato suo
della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi
sopra la ma- tematica), che egli prova
con Galileo esser Vabhicd dell'umano
sapere; i quali principj ne condurranno age-
volmente a tutte le cose particolari di questa armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per
varj modi, increspamenti e vibrazioni
alle orecchie; e se- condo la intensity
di forza della causa produttrice il
suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto, ed ha ragione Aristotile allorchd dice, che il
suono troppo 188 GAPITOLO
DECIMOPBIMO. acnto muove assai il senso
in breve tempo, e il grave quando 6
soperchio in piii tempo lo muove poco, a
somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qual- che parte con la sua punta, a un tratto la ci
punge, se a bell'agio, piega solamente e
avvalla un poco la parte ch' e' tocca,
ch' altri non se . ne sente. E le ca-
gioni che il Mersennio, (maestro di musica che il Ru- cellai dta spesso e cui segue) non che i piii
celebrati maestri all'acutezza e gravity
di suoni attribuiscono e il nostro
filosofo accetta, sono la figura, la radezza
o density, sottigliezza ec, insomma proporzionalita : ritenendo pur con Democrito che da'corpi
sonori escano minutissimi corpicciuoli
od atomi, non pero ammet- tendo, come
Democrito fa, ch' essi sieno queUi che for-
mano il suono. Discorre elegante
delle somiglianze tra il suono, la luce
e gli eflfetti loro, e delle loro diversity, sem- pre fisicamente. E mi sia lecito di far a meno di esporre tutto cid di cui il nostro autore, seguendo
le tradizioni pittagorica e platonica su
tal proposito, ampiamente fa- veUa
ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche guisa destare interesse per uno storico della
musica. BREVE CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI,
EC. 189 come quello in che si fa tesoro
degli svolgimenti suc- cessivi della
scienza dell' armonia dagli antichi fino
al Galileo (del quale apprezza ed accoglie le analoghe scoperte) per noi d un fuor d' opera, e ce ne
possiamo passare senza il menomo
pregiudizio. Piuttosto io ri- ferisco
qui il concetto della fine di questo trattato delle Musiche Proporzioni, che assommando i
concetti gene- rali qui esposti, d altresi
ponte tra le due rive, tra il trattato
in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima platonica.
Qui dunque ritomando a'primi principj della pro- porzione, postavi innanzi e con tanto sapere
avvertita dair accademico nostro Linceo,
convien restare ragione- volmerite
convinto, tutti i primi element! della geometria e tutte le proporzioni che in essa si
contengono essere gli elementi primi
altresi della sapienza universale. Onde
Iddio a tutte sue infinite e maravigliose opere
si volse, e perd in qualunque scienza e naturale e in- tellettuale trovansi si fatte proporzioni, si
come i primi fondamenti di tutto lo
scibile. > Platone pertanto s'
immagind che 1' anima (univer- sale)
toccasse il medesimo, cioe 1' intelletto, e mente di- vina ricettacolo perfettissimo ed unico delle
infinite idee, le quali per V unit^
perfetta di colui che oft ceterno le
concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esem- plare dell' universe sensibile ch' ella dico
si dirami poscia nel diverse che viene a
significar la materia per s^ varia,
disordinata e incomposta, di cui il visibile
mondo crear volea, per la qual cosa a fine di fabbri- carlo ornato, e maravigliose e si degno delle
mani perfette onde egli uscio, coUegare
il voUe per quanto per lo suo difetto e'
poteva patire e assimigliarlo al- r
unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non altra maniera ci adopero che la mentovata
armonia, la quale tratta dall'uno
perfetto si venisse scompar- BREVE
CENNO SULLE ARMONICHE PROPORZIONI, EC. 191
tendo con musiche proporzioni, tra loro tendenti al- runisono, onde la varieta divenisse per
merito loro talmente bene ordinata e
perfetta, che dalla moltitu- dine per la
commensurabilita loro fosse atta a richia-
marsi nell' uno ; impercio fe' agguaglio dell' anima a un triangolo, il cui angolo superiore toccasse
il medesimo, e allargandosi poscia co'
lati nel diverso, questi venisse
proporzionevolmente digradando, come ne spose il Ti- meo, nelle duple e triple, e si parimente
nelle sesquial- tere, e sesquiterze
proporzioni; laonde per I'ordine
perfetto -e per lo regolato movimento, che la fabbrica di questo universe ricevette da quest' anima
armoniz- zante all' imitazione dell'
Idee in una Idea sola identi- ficate
insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi per quanto era in lui, e s' immedesimasse
nell' uno, cio6 a dire, in quell' unit^
ch'egli ha tutto insieme senza dargliene
un aJtro compagno, e a lui somiglie-
vole, la qual' anima mercd di suo toccamento con esso il Medesimo il mantenga uno, perpetuo,
immutabile, e si ne'suoi movimenti
ordinate che immobile resti nel suo
tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno,
awenga che di sua natura e per difetto della materia mutevole, e forse mortale, movibile e diverse
nel no- vero vario e senza novero delle
sue membra. > E infatti il Rucellai
ammirando 1' universe, ritrova tutto
armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di
dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri costantemente ordinati, nella
vegetazione, negli organi degli animali,
nei sensi dell'uomo, nelle sue
intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^, ma sibbene nella varieta sublime dello
universe, que- ste armoniche proporzioni
sono, ch6 nel variarsi con- cordemente
1' universale componimento con i definiti
armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza 192 CAPITOLO DECIMOPRIMO. e requisono armonioso e la commensurabilit^
corri- spondente di tutte le parti 1'
una coll' altra, vi si rivede in somma e
singolar perfezione, a modo che seppero
r uno appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri migliori nel genere non
solamente pill perfetto molteplice e
delle duple e delle triple, e si nel
superparticolare, e delle sesquialtere e delle
sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha sa- puto conoscere e misurare la madre natura
sotto il Maestro di Gappella Supremo^ e
dove da' nostri musici si trovano le
consonanze aggiustate con limitati inter-
stizj deH' arte : Indi affine
di dilucidar meglio come, in sentenza
platonica, debba intendersi che la simetria, I'armo- nia e il moto sieno anima dell' universo, e
qual natura Platone attribuisca a quest'
anima universale, il Buonaccorsi
riassume i principj platonici circa la
costruzione dell' universo, e dimostra che Platone an- corch' e' voglia 1' anima universale che sia
ragionevole, pure non le attribuisce gli
effetti della ragione, che negli esseri
propriamente razionali osserviamo. E
continuando il Rucellai ad illustrare questi con- cetti deir Ateniese, osserva come in siffatte
applica- zioni deU'armoniche proporzioni
all' anima dell' universo pitl che noi
faccia lo stesso Ficino (piii metafisico di
Platone talvolta) egli si rende intelligibile, aggiungendo pure come se a quel filosofo fossero state
note tant'altre consonanze minori che
dopo'diluiper buone accettate si sono, e
molte eziandio delle irrazionali, che al su-
premo Compositore razionali saranno, avrebbe dichia- rato di sicuro la divina mane averle
adoperate tutte in questa fabbrica dell'
universo e delle anime umane ; le quali
soggette anch' esse alia misura, all' armonia,
se travalichino i confini di essa, malvagie divengono. Discorre quindi della fabbrica del corpo
umano e BREYE CENNO SULLE ARMONICHE
PROPORZIONI, EC. 197 delle sue parti,
e, per incidenza, della materia, e dice
che noi la materia la appelleremo madre e ricettacolo di quelle cose che generate e visibili sono,
non terra ne aria ec, per guisa che il
Dafinio osservi esser sot- t' altre
parole questa la sentenza di Aristotele circa
la materia; e il Rucellai risponda:
Perd il Magiotti soggiunge: €
Eisponderanno i platonici su' loro altissimi fonda- menti metafisici che la materia 6 qualcosa
perch6 la sua forma informe 6 invisibile
anch' essa suo attacca- mento speciale e
sua dependenza dallo intelligibil mondo
nella mente divina, cio^ a dire, ha sua idea
particolare per sd, ond'ella ^ simulacro ed immagine ancorch^ visibile non sia, nd per noi e per
la nostra veduta, ^ necessario che tutte
le cose che sono fatte sieno, o che non
le veggendo non abbiano a essere ; e
198 CAPITOLO DECIMOPRIMO. se la
non fosse nulla per s6 ma un solo componimento
insieme dei quattro elementi, le forme sole degli ele- menti e non la materia da s^ avrebbero il
loro esem- plare, e V idee loro per
entro il ricettacolo della mentc divina.
> A cui infine VImperfetto: lo non credo necessario seguitar passo
passo il Ru- cellai nel commento che fa
a questa parte del Timeo di Platone,
avendo, parmi, citato quel che di piii im-
portante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto ri- chiedesi altro di quel che ho stimato far qui
ed ho fatto, di un trattato che non h se
non una prolissa esposizione e
dichiarazione delle opinioni platoniche in
queir argomento : opinioni che noi abbiamo visto in qual conto e' le tenga il Rucellai e com' e'
le consideri nella massima parte qual
una sublime poesia del filo- sofo
atenieie, piuttostoch^ teoriche le quali nolle loro particolarit^ abbiano un fondamento sul reale
e sulla esperienza. Capitolo Decimosecondo. ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELIA
PROVVIDENZA NEI DIALOGHI FILOSOFICI DI
ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. SoMMARio. —
Importanza di questo trattato. — Meg^lio che in ogni altro scritto del Bucellai si fa qui palese la
natura del suo filogofare. — Prove di
ci5. — Obiezioni di Epicaro e risposte. — L'ordine deirani- Terso e argomento del Provvedere di Dio. —
Qaesti e la natura. — Essa non h per »i
che una voce generica. — II Caso. — Si combatte. — 611 atomi. — Si nega ad essi, contro
Platono ed Epicure, la eter- nita. — Si
confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza
di Dio; prove per eli- minazione. —
Obiezione e risposta. — Galileo e il Bucellai. — Dio non informa il mondo come anima corpo. — L*
esempio del sole. — Marsilio Ficino. —
La fedo. — Creazione ex nihilo. — Bagioni pro-
babili. — Bipete Tautore: fine della creazione il buono. — II Yero Bene. — I beni del mondo ban ragione di
mezzo, di fine no. Se v' ^ libro nel
quale, pitl che in ogni altro scritto
filosofico del Bucellai, ritroviamo delineati gl'intendi- menti di lui, questo si ^ della Frowidema,
dove ra- gionando in sedici dialoghi
contro Epicure, il quale nega il
provvedere etemo di Dio, espone in termini
netti e precisi la natura e il metodo del suo proprio filosofare, e le tentate armonie, e il
rifugio nella fede e nell'autorit^
religiosa, e la grande sfiducia nelle forze
deir umana ragione, e il probabilismo, non la certezza, degli argomenti che essa, la ragione, secondo
lui nelle questioni seinpre ne
somministra. E siffattamente cid accade,
che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte
filosofica da lui scritta, quelle di questa sola ne ba- 200 CAPITOLO DECIMOSECONDO. sterebbe a persuaderci della verity della
tesi nostra : imperocch^ come in una
sintesi tutti gli element! qua si
ritrovano che costituiscono tutte le parti del suo filo- sofare. Egli qui si propone di votare la
dialettica fare- tra contro I'empie e
stolte proposizioni d'Epicuro, che dairordine
dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di
vedere, divisando co' lumi soli del ragionevole e natu- rale discorso, se Teterno provvedimento
nell'essere uni- versale si ravvisi, ed
attiene il proposito ; e poi quan-
tunque argomenti solidi in sostegno di essa egli, il Rucellai, ne rechi ed anzi dichiari che cid
meditando con una qualche scintilla di
ragione, si passi molto avanti, pure
finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume
infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli
in- terlocutori conferma pur qui la sua
natura, dappoi- ch6 anco in questi
abbiamo il sacerdote Magiotti che fa da
Socrate, e a terminare il trattato, il Nicheo, il quale fondatissimo in tutte le scienze pitl
gravi, ma sopra d'ogni altra nella
teologia, in cui, giusta ne dice il
Magiotti stesso, ha saputo la pitl giovevol parte riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi,
Tesposizione delle sacre lettere e la
perizia delle lingue ; e che udito
discorrere VImperfetto e gli altri della Prowidenza^ e contro r ateismo, e il sospetto di Guidobaldo
Trifonio che fosse assai malagevole di
trovare argomenti ad acquietar
I'intelletto naturalmente ragionandone, quan-
tunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che
in chiaro si scerne coU'occhio purissimo
della fede, esclama: E se dopo si
accomoda ai ^ ESPOSIZIONE DEL TEATTATO BELLA
PR0T7IDENZA, EC. 201 loro desiderj e ne
discorre, egli e un discorso teolo- gico
piu che di ragione, e a quel discorso il Trifonio, che la facea qui, pur credente, da avversario
e sofistaj conchiude : Ond'io soggiungo che se dovessi definir
questo trattato della Protwidenza (e con
esso ogni altro trat- tato filosofico
del Eucellai) nol saprei meglio di cosi:
poich^ il Rucellai non solo
consideri la Frovvidmsa in gene- rale
sibbene anco in particolare, il provvedere diDio nel mondo e nelP uomo. E di fatto egli a favellare di Bio vuole
unito il con- cento sublime della
natura; e qui, Platonico a tutta prova
nel tratteggiare il dramma del dialogo, dove egli ha un' arte di dire e di rappresentare
raffinatissima, apre il cuore con
respiro tranquillo all' armonie dei
luoghi deliziosi, e li presso la rinomata fontana di Bel- vedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di
si bella apertura, meditando per la
chiarezza dell'aere I'am- piezza e gli
stupori del cielo, e per le pianure di Eoma
le varie bellezze della terra, le quali del Provvedere etemo recheranno contro Epicuro i piii
potenti ar- gomenti. I quali,
sull'ordine dell' universe posando,
devono esser per il Eucellai riprova, non prova, di quest' arte divina nel mondo, perocch^ con
I'occhio acutissimo della fede egli
scorge chiarissimo Iddio e le sue
miracolose operazioni a pro nostro. Questa ri-
prova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto 202 CAPITOLO DECmOSECONDO. a modo Socratico, di un credente, non
rindagine di un filosofo, il quale coUa
ragione solamente a guida osservi, induca,
argomenti e conchiuda; non valendosi
come tale, dei dettami della fede, e facendo conto che e'non vi siano. Alia domanda infatti se col naturale
raziocinio alle prove si perviene di Dio
provvidente, il Magiotti ri- sponde E co'medesimi argomenti di san Tom- maso, e dei Padri e de'filosofi cristiani,
corroborati fin dov'e'pud dalle dottrine
di Platone e de'filosoli gen- tili,
ribatte le opinioni di Epicure e di Lucrezio cen- tre il Provvedere di Dio, sia che dicano la
natura di- vina eterna e beata godere in
sd perpetua pace e tranquillity, lontana
e disgiunta per lungo intervallo dalle
cose nostre, e da' benefizj non poter esser presa; a cui il Rucellai risponde che anche Iddio,
perche Iddio e'sia, 6 forza che e'sia
sommo e infinite bene ed amore, che
tanto si § a dire avere infinite carit^ e benefi- cenze, senza alcuno intendimento di premio,
esercitan- ESPOSIZIONE DEL TRATTATO
BELLA PROVVIDENZA, EC. 203 dolo a
diritta ragione: sia che altri ostacoli ne re-
chino in mezzo al suo cammino, egli considerando la natura di Dio, e Y ordine sublime delF
universe e del microcosmo, li supera e
ne trionfa. E quando rinnova Epicuro con
Lucrezio la difficoM che Dio provve-
dendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non po- trebbe in un tempo stesso badare a tante
faccende, sostenere la soma
dell'universo; soggiunge: E al
sostituire che gli epicurei voglion fare
della natura a Dio, in cotal guisa risponde :
Combatte indi il fortuito e fortunoso accozzamento degli atomi secondo Epicure; n§ in cid pure
discostasi da quel ch' era state dagli
anteriori filosofi allegato in
contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che non essendo noi la misura di tutte le cose che
sono, ancor che alcune di esse si
scontrino inutili o dannose e far centre
percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo
non conoscendone i fini e 1' ordinamento. Dope di che seguitando, com' egli dice, le sue
prohdbilita interne alia Provvidenza,
viene dal generale al particolare, esami-
nandola nei varj regni della natura," minerale, vege- tale, animale ed umano. E continua a
combattere il case, e la insipienza sua
e I'agitazione disordinata degli atomi.
a formare lo inestimabile ordine e con-
ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PROYYIDENZA, EC. 205 cento di questo teatro dell' uni verso e la
perfezione di sue opere e di suo
movimento. I quali atomi se in sen-
tenza di Platone etemi chiamar si possono, quantun- que il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo
da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga
che esistano con Epicuro e Platone, nega
pero che si possano appellare come tali,
cioe eterni, doYC dice : E riguardo al
case con- chiude con Galileo ch' e' non
sa quel che sia e in qual maniera possa
operare si ordinatamente ; e confessar
dunque si dee, eziandio per via di ragion naturale, che r alto e supremo artefice, e non il case, sia
quelle che il formi, regga e addirizzi
in tutte quante 1' opere^sue. E la
geometria dell' universe ^ come Sole che fuga 206 CAPITOLO DECIMOSECONDO. le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB
C delk sapienza universale, come
argutamente chiamoUa il GaKleo stesso,
dopo che Platone aveva chiamato Diogeo-
metrizzante in tutte le opere della sua infinita sapienza. Le quali al postutto pitl che parlare al
nostro intel- letto lo abbagliano di
loro luce infinita, ed il loro lin-
guaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche poco nulla intendiamo, studiando, salvo che
la nostra socratica proposizione : Perd noi possiamo sempre indagare se fra le
cose del mondo visibili, ci venga fatto
di ritrovare questa natura questo
reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E
di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E siccome il meglio di tutto ^
Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da
volgere tutte le mac- chine deir
universo, a suo senno, remossa in prima la
opinione che gli angeli dei cristiani o i demoni di Pla- tone e di Socrate, i quali primi non altro
sono, per i credenti, che esecutori o
iniziatori degli ordini e degli awisi di
Dio e di sue grazie dispensatori ; e i secondi
non altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli;
cid h uno sporre le cagioni seconde
sotto lo indirizzo e I'onni- potente
braccio della primaria, la quale assista e go-
verni tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio,
ministro subor- dinato si 6 della divina
volenti; la volenti divina, che da s6, o
per mezzi subordinati amministra con
tanto ordine tutte le cose, essa si h che ha in mano il provvedimento e reggimento dell' universo,
come interpreta-il nostro Tullio; n^ ^
convenevole a noi stre- mare per tal
modo la di lui infinita onnipotenza, la
sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor
forza e ESPOSIZIONE DEL TBATTATO
BELLA PROVYIDENZA, EC. 207 potenza,
anzi, che piil schernevole si ^, alia combina-
zione eventuale degli atomi e alle stravaganze inco- stanti e disordinate che il caso farebbe da
s$, se e' non se gli desse si alto e
sapientissirao sopraintendere. Impero 5
fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia
quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel
presup- posto dell'incorporeo, e del non
potere esser tocco e toccare egli le
cose tangibili sia un gran punto e un
grande argomento a pro d' Epicure negatore della Prov- videnza, rispondesi per mezzo del Magiotti
questo che io stimo opportune di
riferire per intero, perch^ sem- brami
un punto importantissimo. Molteplici
e varie poi sono le quistioni che a mano
a mano mette in campo e risolve il filosofo nostro su questo soggetto, ma io credo potervi
sorvolare, ferman- domi alle principali;
come questa anco nel Timeo ra- gionata,
se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo
diriga e lo muova e a lui provveda come 1' anima al corpo nostro, a un dipresso come la pensarono
i Greci, i quali tennero Dio anima del
Mondo, tra' quali Aristotele e Crisippo
della setta stoica. Al che si op- pone
con forza il Rucellai dimostrando I'assurdo in
cui cadrebbesi, cio ammesso; come fece appunto di sopra nel Timeo, discorrendo di questa
medesima ipotesi. Ond' ^ che egli, per
il Cristianesimo non cade nel Panteismo,
n^, come Platone, nel dualismo, ma con
la Creazione distinto fa Dio dal mondo, quan-
tunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E con- trp il Panteismo rinnuova spesso i suoi
argomenti, guardando principalmente agli
attributi divini, e co- m'essi
disconvengano e siano anzi contrarj alle qua-
lit^ deU'universo e della materia, che imperfetta e non etema e mutabile si ^ all' incontro di
Dio eterno, immutabile e perfezione
assoluta, il quale se ^ tutte le cose, e
perd Iddio d 1' universe in quanto senza di
lui I'universo non sarebbe mai state, n^ senza di lui sarebbero al presente nd al future, non d gi^
vero che tutte le cose e 1' universe
Iddio sieno ; e come il sole il quale
percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^
tutte le cose per lui sono, e senza lui
non sono, ma desse non ESPOSIZIONE
DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 211
sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta fabbricate sono, dov' egli perfettissimo si e. E in
somma come dice del sole Marsilio Ficino
: Sol est imtar Dei, aspectu ante omnia
venerandus: est amplificatio qucedam subita
et latissima absque detrimento sui, 6b exuberantem boni- totem largitatemque suam cunctis sese
libentissinie lar- ffiens, causa
conservatioque, et excitatio omnium quce
nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta viden- tur, hujus aute^n prcesentia reviviscere.
Simigliante defi- nizione, piii altamente
levandosi, pud farsi di Dio, e perd:
Deus est omnia, ma non le cose sono Iddio.
E il Trifonio in altro Dialogo dopo queste proposi- zioni soggiunge: Ma il Rucellai qui si discosta, ab- bandona ed avversa anche Platone, come lo ha
ab- bandonato sempre dove cose contrarie
alia fede pro- fessa; egli dice per il
Magiotti: E come la materia, cosi gli atomi
non possono es- sere eterni. Imperocch^
se il mondo in tutte le sue parti ^
imperfetto e corruttibile, come vorremmo che
nei suoi componenti primarj sia eterno e senza man- camento? Delia stessa natura e il composto
che sono i componenti suoi. E molto meno
poi se noi volgeremo r occhio a quel che
veramente sia quest' eternity. Impero
dunque pongo da un lato si fatti argomenti,
accorgendomi bene che mi si replicherebbe da qual- cheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con
gli incendj varie volte avvenuti nel
mondo le buone arti essersi spente e
ritornata la ruvidezza e I'ignoranza de'se-
coli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i hbri arsi e divampati, e si nell' acque affogate
le memorie deir istorie preterite ;
molte essersene deteriorate, se non del
tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non sapevamo che mai state
fossero, altre restaurate le quali erano
divenute peggiori ; n^ percio aversi
prova sicura che niuna nata ne sia dai
suo' primi principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e
che ad ora ad ora si perdano, e ad ora
ad ora si rinnoveUino, tornando a
maggiore o a minore perfezione gU ingegni
e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque
noi abbia- mo per fede con sicurezza
irrefragabile gli anni della creazione
del mondo : mentre di cotanto pitl forza sono
le altre che addotte si sono, per render con tanto piii vaUde ragioni convinti colore che, per sola
miscredenza o miUanteria d' ingegni o
mahgni o di soperchio vivaci,
ESPOSIZIONE DEL TRATTATO DELLA PEOVVIDENZA, EC. 215 pongono difficult^ eziandio alle cose piil
chiare secondo r ordine della natura,
perch^ 1' hanno sottoposte i no- stri
maestri all' autorit^ della fede. >
Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo nihitf che dal nulla non si fa altro che nidla; che perd
Cice- rone: erit aliquod quod ex nihilo
oriatur aut in nihi- lum suhifo occidat?
Quis hoc phisicus dixit unquam? € 11
Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del
mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio siccome le idee di tutte le cose che f urono, che
sono e che sa- ranno e di tutte le
possibili ad una onnipotenza infi- nita
: ma il mondo sensibile e la materia F ha fatto
1* artefice sovrano a quegli esemplari dal nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e
infinite. E come gli uomini dal nulla
possono far anch' essi qualcosa, come di
trar fuori da quelle una nuova forma, a
maggior forza Dio infinitamente onnipotente
dee poter fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo restar persuasi che sia cosi; come
quantun- que sia impossibile a intender
che sia eternita 6 del pari impossibile
a restar persuaso com' ella non sia,
perchd voltandoci indietro per la graduazione d' innu- merabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza
di giungere ad un principio non
principiato ed eterno. E se Dio che
onnipotente si ^, pu6 adoperar gl' impossibili a noi, quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia
gl' im- possibili limitargli ch' a lui
possibili sono, quantunque r uomo non
giunga a capirli, e di quel che egli afier-
ma non abbia voluto convincercene con argomenti, ma 8i d' autorita proferire? Imperocche Iddio
voglia merito da noi, e per intiera fede
; anzi fortiticandocela con si chiari
esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec- E qui superfluo che io rintessa quelle che
dice il Rucellai intomo al fine per cui
Dio provvide alia bel- lezza della
donna; poiche gi^ sufficientemente V ho
chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore secondo il no- stro filosofo ; e siccome qui si rannoda la
teorica della reminiscenza Platonica, e
della creazione ab ceterno dell'anime,
la quale dottrina di Platone ei vuol con-
ciliata con quello che ne insegna la fede mentre ri- getta la tavola rasa dei Peripatetici, io ne
ho riferito ampiamente a suo luogo. Ne
basti pertanto osservare: 1° com' egli,
il Rucellai, per bocca del prete Magiotti,
a torto, e troppo tolga all' intelligenza e alia raziona- lit^ delle donne, in compenso delle quali
privazioni dice aver Iddio dato loro
appo I'uomo la raccoman- dazione della
bellezza; sendo esse, pur razionali, ani-
mali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto man- chevoli a petto agli uomini che non a torto
disse quel savio infra Io stremo
peggiore deUe nature ragionevoli e '1
meglio delle sensibili, la natura donnesca essere stata locata; 2** come il nostro filosofo in
sentenza pla- tonica e petrarchesca le
bellezze della donna, raggio delle
divine, abbia il supremo Provvidente create agli uomini come gradino per ascendere a
sollevarsi alle bellezze infinite. Capitolo Decimoterzo. {Segue)
LA ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA Dl ORAZIO RlCASOLl RUCELLAL SoMMARio. — Dei mali. — Necessita di questi
nel mondo. — I yeri mali. — La morte non
e un male. — £ cosl la poverty, la perdita delle riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. — I mali
occasione e stru- mento di bene. — II
dolore. — La infelicita. — Del dono della ra-
gione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e pro- destinazione. — Liberta e fato. — Passo
dell'Autore su questo punto. — Epilogo
delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio provvidente. — Bifugio nel la fede. —
Conclusione. Intricata e ritale
questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13 aflfronta
e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'me- desimi intendimenti, la quale d necessaria a
risolversi per chiunque favelli di
provvidenza; la questione del male nel
mondo, che egli reputa, come i beni, dipen-
dere da essa. E prima di tutto, con a maestro e duce Platone, che dei veri beni e veri mali
divinamente discorre, pone la necessity
de' mali nel mondo; e al signor Elea
che obietta veder noi il giusto esser
oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e 1' ingiusto trasportato nelle regioni della felicity,
sicch^ Dio mo- strarsi o non provvidente
o non equo, risponde Per la qual cosa
facciamo esamine un poco sopra di questi
mali si gravi che non sono in poter nostro
di ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a
dependere quel giudizio, che con tanta
franchezza forma Epicuro, dell'essere
Iddio a tal cagione o non giusto, o vero
non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile alPuomo, dico dallo
spaventoso accidente della morte, che
indifferentemente e alP im- provviso, e
d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque
et^ cade sopra noi viventi mortali. E, quantunque per lo lume vivissimo della fede Y immortality
dell' anime nostre ne sia manifesta,
pure non di meno, poich^ si risponde a
Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue
opinioni vestiamoci, supponendo con falsa dottrinach'elle mortali esser potessero: imperd che in tal
caso ezian- dio male non h la morte, nd
che Iddio provvidente non sia, si come
egli ebbe per indubitabile, cid dee es-
sere argomento. Dicamisi un poco: quando bene I'anima mortale si fosse, che torto riceve T uomo
dove prima o poi egli adempia il termine
a lui prescritto del vi- vere, posto
anch'egli come le altre cose caduche e finite
a discrezione degli accidenti fortuiti che provengono dalle seconde cagioni? Per modo che non pena
n^ ga- stigamento d' Iddio, ancor che
provvedente, la morte degli uomini
chiamar si dee: imperd che non piti ra-
gione ha di dolersi morendo colui ch' h stato ingene- rato a condizione di ritomare a quelle ch'
egli era anzi che ingenerato fosse, di
quelle che avrebbe chi non fii mai,
dolendosi perche ingenerato non fue ; con cio sia 222 CAPITOLO DECIMOTERZO. cosa che a colui che non ^, non manca mai
nulla; n6 ha desiderj o bisogni, n^
passioni o diletti se non quello che ^;
e il mancamento e il dispiacere di esser man-
chevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^
dolersi puote ed esser misero se non
colui che abbia senso. Adunque non altro
la morte si ^ che ritornare a non
essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima
che fosse. E poi ; che ^ il nostro
vivere perch' e' s' abbia V uomo ad
atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non giungono a vivere un di intiero, de' quali
chi arriva alle venti ore di vita pud
chiamarsi decrepito : e ch' ^ di piii
nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela
morte ne finisse del tutto, si come tiene stoltamente Epicure, cid fora ricondurci a'nostri
principii: cheim- pero lamentarsi non
gli si conviene di torto alcuno. >
E quei mali che accompagnano la morte (la quale
^ un punto di tempo si momentaneo che non tocca i vivi e non s' appartiene ai morti) o non sono
che una necessity alio scioglimento che
si fa di tutte le parti sensibili a poco
a poco, accid che si come passo passo si
andd formando, cosi lentamente a suo disfacimento venga il composto: quindi le malsanie avanti
le debo- lezze provengono d'anno in anno
secondo il vigore e il temperamento che
loro piii o meno fii conceduto da
vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per ben mille sofferenze cagionate dall'ambizione
o dal- r avarizia si smenomano la vita
loro, mal servendosi e consumando gli
strumenti datine per nostra conser-
vazione ! > E indi il nostro
scrittore passa a discorrere degK al-
ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA PROVVIDENZA, EC. 223 tri mali, la poverty, la perdita delle
facolt^, i disfavor! de' principi, le
infermiii,, le servM, gli esilj, le ingiurie,
le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la perdita delle provincie, e de' reami interi
a' Re che giu- stamente li posseggono ;
e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto
esaltato; e vi risponde, e risolve la questione^ mostrando come cid non dal caso n^ da Dio, si
da noi stessi molte volte dipenda, e
dalla nostra ingiustizia del vivere, e
come alcune cose che a noi sembrano mali,,
Iddio a fine di bene ce le mandi.
Convione pero dire che il Rucellai scendendo a par- lare de'mali particolarmente, e'si dimostri
troppo stoico, per dirla pi^
conformemente alia quality della £ua
dottrina, troppo mistico, sicch^, a m,o' d' esempio, 15
21! 6 CAPITOLO DECIMOTERZO.
discorrendo della poverty e del suo contrario, la ric- chezza, mentre, e a ragione, encomia quella
virtuosa come germe e fondamento di
felice tranquillity, troppo invero
questa dispregi e condanni, sbagliandone Tabuso
con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori dispensati sovente a' men degni, e de'
dispregi a chi invece onori avrebbe
meritato per le sue virt^. La
provvidenza divina, dice I'autore nostro, die al- I'uomo i mali, e lo sottopose al dolore, in
quanto intendi- mento suo si fii quello
di renderlo perfetto e agevolargli le
vie a scuotere il giogo dei sensi e si indurargli sotto quello dell' anima razionale. Adunque il
dolore patir si pud, ed ^ dono del
prowedere supremo; con cid sia cosa che
a gloriosi trionfi ne mena, la sicurezza e la liberta ne conserva dell' animo, e ne fa esser gli
uomini sopra gli uomini, anzi, come
Seneca tenne, uguali o superiori agli
Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis quo anteceda- tis deum : ipse extra patientiam malorum est
: vos su- pra patientiam. Iddio per
renderne degni di sua alta beneficenza,
perfetti ci vuole negli atti della ragione,
in cui sopra gl' irrazionali privilegiati ci ha : e gU uo- mini di virtii bramosi, anticipatameate
apparecchian- dovisi, debbono gaiamente
a tutti i patimenti essere esposti e si
aspettarseli, per conseguire i doni dell' one-
sto e la turpitudine viziosa iscansare.
L' infelicity, in qualunque modo ella ne accada, la pill fedele maestra si d ddl' adoperar
ragionevole ; perchd essa e quel fuoco
onde si alluma la luce, quasi che
spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e rendesi degno degli infiniti beni della
Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato,
il Rucel- lai s' intrattiene a
discorrere del dono della ragione e
della liberty, che il Prowedere etemo ha fatto agU ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA
PROVYIDENZA, EC. 227 uomini, si che
essi si distinguano dai bniti, e per ul-
timo riepiloga contro Epicure gli argomenti gi^ espressi, sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua
divina nel mondo. E nella prima
questione egK definisce la ragione alia
peripatetica, e com' egli dice, vendendo le descri- zioni per definizioni, e gli effetti per le
cagioni, impe- rocch^ se non si pu6
arrivare alia cognizione del senso,
molto meno si pu6 giungere a sapere quel che sia la ragione di cotanto piii pregio e piii
sovranamente pro- dotta. 232 CAPITOLO DECIHOTERZO. E indi lungamente discorre della malizia cui
la ra- gione raffina, e de' mali usi
che di questa fa Tuomo; e mentre questi
acerbamente condanna il Bucellai, come
prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo
dell'Etemo Prov- veditore; n^'perchd Tuomone
abusa,il dono devesi spre- glare, o
tenere in non cale; e conclude con V aggua-
glio del sole dicendo r o per
varie vie si disperdono? Qual colpa la ragione
ci ha, se fluttuando per furiosi turbini di violente pas- sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida
e confiisa si rende la cognizione del
vero? Perch^ accagionare la ragione, se
le varie facce che ci si volgono davanti
de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo- strano falsificati e varj da quel che sono i
suo'lumi negli oggetti che noi miriamo?
Non i raggi della ra- ESPOSIZIONE DEL
TRATTATO DELLA PROYVIDENZA, EC 233
gione, ma si la materia ov' essi percuotono, trasforma sua purissima luce in variati colon; onde
quello che per s^ d lucido e puro,
torbido, o si vero di tinte non sue
colorato rassembra ? E perch' essi da luce proven- gono, ed alterati ne sono i riverberi,
distinzione ne rendouo, ma s) rea
distinzione e mentita, che abbaglia e
delude in noi V elezione, rivolta i talenti in malizia, seduce la vista dell' anima ed aguzzala in
yedere quel che non d; ond' ella
allettata da immagini false, ivi si
studia di giugnere, e si adoprando astutamente il male^ perfeziona le qperazioni viziose: per la
qual cosa Marsilio Ficino, corona della
patria nostra, disse divi- namente in
simil proposito: Sicut miopia terrena a coda
lumen reddit opacum, facUque colorem ex lumine, sic corpus circa animam reddit ex inteUigeniia
sensum. Non h dunque colpa del lume
ragionevole, per s6 mai sem- pre
chiarissimo, ma di noi che tortamente il guardiamo^ con frapponimenti che ingannano e insozzano
i suoi riverberi, si che ei non ci si
mostra bene, non per suo, ma si per
nostro difetto. II sole, dice il prefato autore, trapassa di presente per la chiarit^
de'cristalli, che non parano, o
rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne
tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed opachi si ab- batta, inetti a imbevere la luce, voglionci
replicate pcrcussioni de'raggi suoi,
che pria gli riscaldino, ac- cendangli
ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai
vivificanti deUa ra- gione umana, ch'6
pur favilla della divina, per la purity
e.trasparenza degli organi intemi, passano agevolmente a {ax lume all'occhio dell' anima; ma se le
tenebre de' sensi brutaU e la
materiality delle passion! terrene
fiannosi loro innanzi, non perdono que' raggi loro luci- dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e
per6 o il lume della ragione dall'
occhio mentale smarriscesi, poi- 234
CAPITOLO DECIMOTEEZO. ch6 esse gliele
tengono, o vuolci tempo e atti iterati di
loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, lique- facciano e si consumino quelle grossezze,
anzi ch' e' pas- sino a rendere sinceri
all' anima gli oggetti dell' im-
maginativa e veridica V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s'
insinuano si di leggieri per la durezza
e asperity della terra, n^ anche ^ colpa
della ragione se suo' lumi trovano I'opa-
cit^ degli affetti che gli ribatte, e si presta loro I'imper- fezione de' suo' inform! aspetti, per
falsificame la luce. Impercid, signor
Elea, la colpa tutta e di noi, e V uomo
quando usa bene la ragione, e I'ottimo di tutti gli animali, quando male, e pessimo di tutti. Che
poi I'usino pochi per lo nostro naturale
iucitamentode'sensi, non d colpa della
ragione, n6 cid si dee apporre al
j)rovedimento divino: ma noi proprii ne semo i colpe- voli, impercio che la ragione n' 6 data,
accio che I'uomo, come buon villano, il
campo del cuor suo di- ligentemente
lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi
e quello che mal cresce, ricida; e con imperio d'animo debbia governare tutte le corporal! parti; se
cid non adempie, d! lui fallo si ^. non
del dono della ragione, n^ del domatore
sovrano, perch^ molt! pravamente si
vagliano di tal beneficio. Con tutto che tant! e tanti scialacquino i patrimonii, perde forse merito
lor padre di cotanto utile lasciato
loro? Quanti sono che, vo- lendo far
male, giovarono altrui, e ben lor nacque ? e
come non si dee saper grado di cio a' primi, cosi n^ meno averne odio a' secondi. FoUe discorso
saria, sa d'un principe, che di una
alcuna nobile e salutevole vivanda
regalo ne facesse, lamentare ci volessimo, per-
ch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposi- zione di noi medesimi, o pe'rei condimenti,
onde cu- cinata I'avessimo. ESPOSIZIONE DEL TRATTATO BELLA
PROVVIDENZA, EC. 235 Elea. — Non hanno
colpa i principi se di qualche loro
grazia male ci venga, perch^ essi saper non po-
teano che cid ne dovesse accadere ; ma il provveditore etemo non puote scusarsi di non antivedere le
cose avvenire. Era dunque migliore, o
non darci la ragione, o si levarci Y elezione
dell' operare, che damela per male
servircene. > E con questo si scende
a risolvere Taltra quistione importante
del libero arbitrio dell' uomo, ch.e, appunto
dal malo uso ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso e rimesso nelle mani volubili della fortuna e
del caso, o in quelle ferree di una
cieca ed irrevocabile neces- sity,.
Difende il Rucellai la liberty d' elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono
tra gli animali quaggiiH, perch^ e
ragionevole appunto, e ac- corda questa
liberty colla predestinazione, invadendo
cosi, mi sembi^a, un campo che piii che suo, 6 di teologizzante, mentre invero assai debolmente
ragiona della liberty in s6
filosoficamente considerata. In so-
stanza la predestinazione puossi invero accordare con la liberty, purch6 si badi al concetto di
questa medesima predestinazione. Ch' d
ella mai inf atti ? Iddio in cui il
passato e il futuro s' immedesima nell' eterno presente, non puo, umanamente parlando, non prevedere
ogni azione dell' uomo, e in tanto
prevede, egli predestina; se non che
quell' idea di tempo che nelle due parole s' in- chiude non vale per Iddio, si per noi che
finiti siamo e nella successione del
tempo ; ond' 6 che la liberty umana in
nulla rimane impedita; imperocchd non perch^ Iddio prevede che I'uomo determina, impercid egli
deter- mina; ma perche I'uomo 6 per
determinare di suo arbitrio, inipero
Iddio, che ha cognizione infallibile,
prevede ; c e, se 1' uomo fosse per determinare il contra- rio, Iddio previsto 1' avrebbe, si come colui
che errar 236 CAPITOLO
DECIMOTEBZO. non puote nelle sue
previsioni. Adunque I'atto della
determinazione 6 libero, ancor che Dio lo preveda; ma r atto dell' esecuzione non ^ libero, e perd
Iddio o il permette o lo predetermina o
toglie ch' e' non awenga, perch^ cosi
predetermino. > Ond' ^ che Iddio
pone Fanima razionale per entro la
corporale materia, accio che la parte inferiore alia superiore ingaggi battaglia, e con questa gli
nomini da per loro prodi si facciano
contro gli empiti degli appetiti
espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo
ci6 ne' sentimenti piii che umani di Pittagora e di Plato, i quali col barlume della natura
nell'infinita beneficienza di Dio
ragguardando, ben si awiddero il merito
della sublime condizione deiranime non esser
merito bastevole per lo godimento di quella; e si da questi astri immaginati, ove secondo loro
Iddio le te- neva in serbanza, con la
viziata natura della materia vile
mischiandole, le lasciava in suo arbitrio, accio che col divino talento della ragione sapessero di
proprio volere i vizii vincere e far si
che i sensi servi fossero e instrumento
della ragione, non questa instrumento di
queUi; per lo cui merito o le stelle piCi luminose o' Campi Elisi per lor felice magione dopo
morte asse- gnarono ; ma, altrimenti
oprando, da' corpi umani la
trasmigrazione davano dell' anime in que' delle bestie i cui costumi brutali piii a' vizi loro si
confacessero. Imperciocch^ la ragione
non d essa il merito d«' bene- ficj
divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli
farsene. E perch^ pugna forte la natura
della materia corporea contro a' dettami
della ragione, n^ Iddio vuol per mi-
racolo perfezionar la materia, quindi nasce il libero arbitrio in si fatto contrasto di due
contrarj stimoli, il, quale, dov'e'si
volge, all'un di loro d^ lavittoria:
ESPOSIZIONE DEL TBATTATO BELLA PROVVIBENZA, EC. 237 e perch^ a nostra imperfetta natura sono
piii i vizi che le virtudi conformi, non
volendo Iddio fame oprar bene di
potenza, perch^ i meriti degni meriti non
sarebbono appo di lui, ne viene che il minor numero se ne approfitti: e per6 la ragione
nulladimeno d prowedimento sovrano
datone a dar regola al nostro libero
arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne
vagliano. Adunque il farsi meritevole de' beni di Dio non in aver la ragione consiste, ma nel
volerla spon- taneamente adoprare,
potendo fare il contradio. Imperf. — In
somma ell' d una proposizione molto
difficile a intendersi questo libero arbitrio, com' egli stia collegato con la predeterminazione di
Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con
piii chiarezza. Cid che sono per
deliberare ed eleggere gli uomini, il vide
Iddio ab aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo, no '1 determind; il predisse, non V ordind.
> E indi il Rucellai combatte la
necessity che gli stoici affermano darsi
nel nostro acconsentimento, che non
altrimenti spontaneo sia ma risultante dalle cagioni antecedenti per fatality impermutabile. E gli
oggetti che ad agire ne stimolano
dimostra col senso comune, e coir
esperienza, esser bensi cagioni prossime e parti- colari, non principali ed universali, e come
lo accon- sentimento e la deliberazione
nasca da noi si come il principle del
moto alia trottola il d^ chi la tira, ma
il volgersi in giro per merito si ^ di sua propensione e figura.
E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo sog- giace senza che quelle contrarii il libero
arbitrio di questo. Fato, il quale non d
che volere divino, pare al Bucellai che
nominar si debban le morti repentine, e
ogni e qualunque altro accidente nel qual cagion pros- sima particolare non si ravvisa che a quella
innanzi 238 CAPITOLO
DECIMOTEBZO. ne disponga, ma che
immediate e all' improwiso dalla cagione
universale discenda, laonde niuna libera deter-
minazione di nostro ai:bitrio luogo ci abbia. E riepilogando, il nostro filosofo dice,
cadendo poi nel suo solito probabilismo
: Per la qual cosa a ragione fu chiamato
il fato; inJuerens rebus mobUibus
immobUe promdentim decre- turn, quod
singula 5wo ordine loco et tempore firmiter
reddit. E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et
potestas omnia videndi, sciendi^ et
gubemandi indivisa stipata et uniter
juncta ; ma il fato lo pongono partitamente
nelle cose particolari: la provvidenza ^ in Dio solo lo- cata, e a lui solo sta in petto: il fato h il
decreto e 16 242 CAPITOLO DECIMOTERZO. resecuzione di essa applicata alle cose
speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio
e il fato nelle cose di- scende da Dio ;
e perd la provvidenza h prima del fato,
si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity al tempo: Providentiam rerum omnium jundim esse fatum
per distributionem singtdarum? Seriem
nexumque eausarum in ordine in loco in
tempore. E di queste cause si prevale
secondo lor virtii o dote data loro da Dio.
Pendentem a divino consilio seriem ordinemque causarum chiama il fato Pico della Mirandola. Ma le
cagioni se- conde 1' adopera per quel
modo ch' elleno usate sono di
adoperarsi, e percio delle libere determinazioni nostre mosse dagli. impulsi o degli appetiti o della
ragione, se- condo che bene o male
deliberiamo; il cui effetto segue o non
segue secondo la predeterminazione divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o
irragionevoli, abbiamo il merito e il
demerito. Che iraperd per divino
provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male
regolati la virtii o il vizio ne
risulta, quantunque non se ne adem-
piano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente favellando, la predeterminazione e prescienza delle cose
col nostro libero arbitrio coUegare si
puote, cui la ragione so- prasti ; e
perd non n'^ data indamo come altri vana-
mente si presuppone. Elea. — Oh
quanto malagevole si 6 il poter fermare
ci6 con tutte quante le argute ragioni addottene dal nostro Magiotti, autenticate eziandio
daU'autorit^ di grand! uomini, le quali
son belle si e appariscenti, ma in somma
poi non provano! Mag. — Egli ^
sufficiente lo 'ntendere che quantun-
que non rintendiamo possa essere anzi abbia del ve- risixnile che si fiatta coUegazione si dia, e
che noi non ESPOSIZIONE DEL TRATTATO
DELLA PROVVIDENZA, EC. 243 giunghiamo a
poter provare il contradio; impercid che
chi 6 colui che osa senza forza di manifeste dimostra- zioni contradire a' proprj sentimenti ? II
libero arbitrio noi ce '1 sentiamo in
noi da per noi : che gli effetti poi di
esso dipendano da piii alta cagione, cio eziandio n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e
continuato sperimento. Come dunque
volere affermare che tale collegamento
non ci abbia? Adunque acquietamci, senza
negare o affermare sopra il modo come e'si sia col nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che
nulla io so : che d'intorno a qualunque
cosa noi non intendiamo per lo piii vero
e indubitabile d' ogni scienza che sia. >
E col riassunto delle probability ragionevoli intorno all' esistenza e al provedere eterno di Dio,
si compie questo trattato, eliminando
sul bel prime 1' opinione di Epicure che
la speranza e il timore siano i due fat-
tori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir meglio, riducendo questa proposizione al sue giusto
valore, che e la speranza e il timore di
Dio, il quale nolle opere sue e
nell'arte sua divina si manifesta, non sono da
fantasmi o da immaginazione. E
conchiude il Magiotti : E il signer
Giovanni Nicheo Dalmatino, che soprag-
giugne, abbiam visto in principio della Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi
cerca altri argoraenti sull' esistenza e
prowidenza di Dio, e •come dope aver
detto che grandiose segno di tal ve-
rita si ^ V universal consentimento in tale credenza, che equivale a un dettame di natura, si
rifugia in argomento di teologia
rivelata e conchiude : Al che tutti s'
acquetano, come vedemmo, e la ra- gion
di loro, chiuse le ali, si riposa timorosa e tran- quilla, come Colombo, nel nido securo di una
religiosa credenza. Capitolo Decimoquarto. ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA
MORALE NET DIALOGHI FILOSOFICI DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. SoMMARio. — II detto
di Socrate e quelle di Tale to. — Fatti interni: psicologici e morali. — Nosce te ipsum. —
Dell' anima in generale. — Galileo. — t
presunzione voler comprendere quel che Taninia sia.— Studio proficuo de' suoi strumenti. —
Notomia. — Proemio del Rn- cellai alia
parte morale. — Qui e aristotelico.— Riepilogo. — Lara- gione ed il scnso. — Loro contrarieta nel riconoscere
il bene. — Tre sorte di beni ; dell'
anima, della fortuna e del sense. — Apprez-
zamento di essi. — La vera scienza morale e il timore di Dio. — L' anima umana, perche ragionevole, ecapace
del timore di Dio,e, pero, di Tirttj. —
Anche qui il Rucellai e mistico. — Operazioni del- r anima e della volonta. — Errore e dubbio. —
Buono e reo. — La vera felicita. — iJ la
vera virtu. — Stoicismo. — Aristotele. —
A^irtii cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle
vir- tu. — i\.pplicazione delle virtti
alia societa umana. — Fine di essa. —
Doveri. — Divisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno le donne. — Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso per il regno
della natura sensibile, e per il regno
della natura divina. Accompa- gnato
apparentemente il Kucellai dalla voce di So-
crate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due regni, ma le ragioni delP esser
loro non im- pard con certezza, si
discopri col lume incerto dell'in-
telletto come probabili, perche la loro certezza sola- mente la fede ci manifesta, e il probabilismo
(che infine non d se non uno
scetticismo) razionalmente fayel- lando,
si fu la conclusione delsuo lunghissimo esame:
probabilismo e scetticismo, io ripeto, che come per in- ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E DELLA
MORALE, EC. 247 canto tramutossi in
evidenza, allorch^ V autoriU di- vina
sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi
raggio di sole, penetrando disciolse.
Or la guida del Eucellai muta, e come Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V ufficio di
condottiero per Dante a Beatrice, cosi
il detto Socratico sul limitare della
coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^
luogo, perche serva di guida al Filosofo nell' esame dei fatti interiori, psicologici, io dico, e
morali. In un mo- desto preambolo accenna
egli a tutto cio; e nella Vil-
leggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il se- condo de' quali diviso in 31 capitoli,
discorre della psicologia e
antropologia, molto imperfettamente per 6,
si che non ha importanza, abbozzo piii che discorso, 6 percio anch' io spendo poche parole in
compendiarla, per quel tanto che al mio
ufficio sodisfi e non piCi. Badare,
egli dice, agli antidoti contro le malattie
deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si consegue anzi tutto, conoscendo bene s6 stessi. Nosce te
ipsum; co- noscendo cio^ intieramente
gli organi nostri, sede del- r inteUetto
e dell' altre potenze dell' Anima, e impa-
rando a tener bene d' accordo i due movimenti contrari sotto le leggi del dovere. E cid, applicando
pure la scienza della Natura a
correggimento dell' Animo, af- fine di
conseguire quella felicity espressa in quelle pa- role :
E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva
e ragione- vole, giova dire le opinioni
che in antico si ebbero della sede di
queste potenze, cio^ della natura del- r
Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima ve- getativa, indi della sensitiva, e per ultimo
della ragio- nevole, ossia dell' anima
in questi tre aspetti diversi. Poscia il
filosofo si propone di far riflessione siccome 248 CAPITOLO DECIMOQUABTO. rUomo per mezzo dalle quality eccelse
dell'anima deve istruire s^ stesso neUe
virtii morali, per conse- guire il bene
perfetto, che spesso in oggetti onnina-
meirte ad esse contrari noi andiamo cercando. D disegno di queste parti si ^ chiaro, e
precede con discorso naturale della
mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo
^ problema a s^ stesso; ogni sosprro,
ogni movimento, ogni pensiero, ogni volizione 6 un complesso di fatti che TUomo produce e che
avendo in s^ del misterioso vuol sapere
di essi il perche. L'Uomo 6 un creatore
finite di cose indefinite; egli compie
degli atti agevolmente, ma quegli atti li dire-
sti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore gran- dezza, la lore portentosit^ ! Egli si vuole conoscere e ne ha tutto il
diritto. E *a che sapere delle cose che
lo circondano, se ignora Tessere
proprio? Ei vuol saper com'^, chi ^,
dov'^, dov'andr^; ^ ben naturale ! A che
darmi questa sete insaziabile di
scienza, di amore, di infinite, se poi, come a Tantalo, ella dovesse formare a me uno strumento d' un
eterno martirio? A che fomirmi di tanti
organi stupendi, di tante facoltS,
prodigiose; a che sottoporre al mio volere
in me stesso tanti abili ministri di arte e di in- gegno; a che questa ragione, questo volere,
s'io son condannato come un organismo di
cera a restarmene immobile, o, come
macchina, a muovermi senza sa- peme il
come e il perche? Oh! dunque rUomobiso-
gna conosca sd stesso, il sue corpo, la sua anima, le facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun
che. Questa sentenza del conoscer s^
stesso e adunque la base del verace
sapere. Obbediamola, e, guidati da essa,
studiamoci. L' anima, lo abbiamo
veduto, ^ di piii sorte; quindi
ESPOSIZIOn/ BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 249 conviene vedere prima dell' anima in
generale. II Ga- lileo interrogato che
fosse quest' anima naturale, ri- spose :
non lo so. Tutte le definizioni date dagli antichi suir anima si accordano a dire che essa ^ un
movi- mento. Ma pero il movimento ^ un
effetto, dice il Ru- cellai col Galileo,
e resta sempre a sapersi quel che r
anima sia veramente. Chi produce questo effetto nel mondo? chi ^ I'origine di questo moto
universale? Platone reputa etemo questo
moto, ed erra stimandolo etemo colla
materia, sibbene dee ritenersi eterno con
Dio ; ^ egli dunque Dio stesso, che 6 anima dell' Uni- verse, d egli Dio il moto che 6 anima del
Mondo? fi presunzione il rinvenire se
questo moto sia veramente r anima del
Mondo e percid dobbiamo starcene quieti
a quello che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non andar pitl oltre in quest' indagine,
imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi
della verity, va a caccia della bugia. E
qui invero si ferma il Rucellai quasi scoraggiato della ricerca, per passare all' esame di cid
che si vede, e di cid che si tocca, cio6
della fabbrica esteriore del- rUomo,
osservando come dalla fabbrica dei diversi
ingegni e deUe varie maestranze degli organi dei corpi che vivono. argomentare si puo la quality
delle anime che quelli informano ;
sicche giovi discorrere della no- tomia,
non ad uso della medicina o physice, come
avrebbero detto gli scolastici, ma si all' esame del- r operazioni dell' anima sensitiva e della
ragionevole, cio^ Metaphysice ;
esaminando cio6 i /?ni a'quaH son
formate quelle parti e quegli organi, e 1' ordinamento loro sotto il regime volontario dell' anima
umana o ra^ gionevole. E nel suo
trattato d' anatomia segue il Ru- cellai
i pill dotti Naturalisti del tempo, e soprattutto il dottissimo medico di Firenze Rodrigo de
Castro, il quale fii autore del libro
SuUe Meteore del corpo 250 CAPITOLO
DECIMOQUARTO. Umano. L' egregio lettore
mi permetter^, e non a malin- cuore, ch'
io gli risparmi la descrizione di questo trat-
tato, che del rimanente non contiene in s6 altra im- portanza tranne quella di essere basato sulle
cause finali e d' essere informato al
principio universale del- r ordine e
della proporzione. E questo ^ tutto quello
cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 Rucellai; poco importante, come ognun vede, ed
imperfettissimo, e che era forse per lui
un abbozzo di un lavoro pii compiuto e a
cui come ad altri manco al filosofo nostro
11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come quello che merita
piii, di intrattenermi con alquanta
maggiore larghezza sul trat- tato delle
facolta interne e morali, nella Villeggiatura
Tiburtina compreso, che quantunque imperfetto an- cli' esso, pure per natura sua e all' obietto
nostro gio- vevolissimo, ed incomincio
pertanto dal riportame il Proemio,
pubblicato dal signer Fiacchi, come ho avver-
tito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene
risotto- porlo all' attenzione del
letterato e del filosofo, percM oltre a
designare in esso quel che intende contengano
i suoi dialoghi sulla morale, d come uno specchio fedele della qualita loro e del sistema, ed
agevola la strada alia critica
nostra. Pboemio alla Villeggiatura
Tiburtina. Per modo che fatta questa
pausa di parecchie ore di tenebre, egli
h ben ragione ch' e' ci ritorni alia
vista e alia mente quell' ammirabile opera dell' Onni- potente mano di Dio con le indefinite specie
che ne giungono a un tratto agli occhi e
alia fantasia di si varie e leggiadre
particolari sue creature, che tutto il
corpo universale del mondo con si stupenda conso- nanza e armonia compongono insieme. Per lo
che alio scoprimento di si belle
varietadi e di tante sorte di cose, che
annoverare e distinguere non si ponno in
un' occhiata sola, e di si diverse tinte e lumeggiamenti, onde si scorge tutta la terra colorata e
distinta; chi non rimarrebbe attonito e
stupefatto, se non 1' avesse di giorno
in giorno per lungo corso di anni osservate
e vedute, e perdutone con I'uso quotidiano degli oc- chi, la maraviglia? Tutto questo per
I'appunto 6 in- tervenuto a me
stamattina su lo spuntare dell' Alba, in
questa nostra uscita per andarcene a Tivoli da
Nemi partendoci. Perch^ al primo raggio lucente, che in un attimo si distese con 1' illuminazione
della terra e del cielo dall' uno all'
altro orizzonte : io non potetti far di
meno in quel subito di non rimanere strabilito
da tali e si maravigliose bellezze, che mi vennero di presente a ingombrar le palpebre come di cosa
nuova e non piii veduta, e ipsofatto
aprironmi altresi la mente a piii subUmi
e piii nobili considerazioni. Impero
dunque quantunque volte meco pensando riguardo alia lucidezza del cielo, e alia vaghezza della
terra, io rin- nuovo subito tra me
stesso le usate riflessioni avver- tendo
con quante diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti
vari colori da essa dipinto venga questo
nostro Emispero, variato per ben mille
vaghe maniere di lumi e d' ombre. Va-
gheggio con sommo diletto quante positure difformi vi 252 CAPITOLO DECIMOQUARTO. si rinvengano di piani, di valli, di colline
e di monti che lo disagguagUano nella
rotondit^ sua: osservo di quante maniere
sia divisato da una banda di boschi
verdissimi, dair altra di amene campagne, e di campi aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura
che spiri; scorgo dove acque nitidissime
che a guisa di tante vene serpeggiando e
correndo lo irrigano, dove Tam- piezza
dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora
ad ora con tempi ordinati alle prode; e insomma in- numerabili differenze di cose che in qua e 1^
dissemi- nate si mirano; le quali
avvegnachS per difetto della capacity
nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur
tuttavia elle sono ordinate e disposte con ammirabile simmetria dalla madre natura e da colui che
la guida. Laonde se 1' ordine altro non
d che una composizione di pill cose
insieme adattate e accomodate a' lor luo-
ghi prescritte con sommo e alto sapere dall' opportu- nity dei siti, e da' tempi in che esse s'
addicano, e se bellezza e compiacenza veruna
de' sensi nostri dar non si puote senz'
ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spia-
cevole, per6 spiacevole e brutto si ^ peych^ ^ disordi- nato ed a caso; confessare pur mi conviene
che nella confusione di si leggiadre e
dilettevoli composizioni e disposizioni,
ordine maraviglioso e misura e propoB-
zione vi sia, comecch^ da' vostri occhi non se ne di- scema cosi perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie
ed alte maraviglie, le quali noi in
viaggiando con la conside- razione
godiamo stamane ; mi si leva eziandio con gran
diletto il pensiero alia contemplazione delle altre cose belle, le quaH presentemente non ci si
rappresentano all' occhio : lasciamo da
un lato il far ricordanza delle
diversity* de' pesci del mare con tante dissimili figure, e co'lor proprii colori; delle bestie della
terra d'inde- ESPOSIZIONE BELLA
PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 253
finito numero, che niuna si rassomiglia alia sembianza dell' altra, e '1 simile degli augelletti
svolazzanti per r aria ; ma che direm
noi della maestria industriosa per la
quale con si differenti e si minute fabbriche e
ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e quali pic- ciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di
essi con finissimo lavoro, ciascuno a
varie ed ammirabili ope- razioni
adattato? Qual'S si stolido che non rimanga
a un tratto preso dalla beltade e leggiadria delle donne, che creature ragionevoli sono, facendo
refles- sione con qua' proporzioni
corrispondenti di vari linea- ment! si
bene innestati insieme sia formata una fac-
cia delicata e gentile? e con qual tenerezza e delica- tura risplendano a chi le mira le fattezze
loro; e con che elegante artifizio fuori
dalle labbra con dolci moti balenando un
riso aggradevole, I'alme ammalii con
soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali
scappando in un attimo dalle loro
ardenti pupille ne feriscono i cuori e
1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma
contempliamo altresi la variety
dell'effigie degli uomini, la robu-
stezza delle membra loro con si nobile proporzione scolpite dal Maestro Sovrano, e la destrezza
e la di- spostezza in tutte quante le
azioni, e il valore che av- vezzandosi
egli acquistano per combattere talora e
farci stare ogni piti temuta fiera? e finalmente tutte quelle cose che la natura di miracoloso ha in
essi lo- cato sopra g? irrazionali anche
nelle parti corporee. Per guisa che se Y
uomo solo e per natura e per dono di
ragione dilettasi e conosce quel che 1' ordine sia, e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte
le cose visi- bili e apparent!,
appagandovi entro la reflessione, il che
non dimostrano di conoscere n6 pigliame alcun 254 CAPITOLO DECIMOQUARTO. diletto gli altri animali; e se cotanto
maravigliose cose noi risguardiamo nelle
parti che hanno gli uomini a comune co'
bruti, e nelF artifiziosa composizione degli
organi loro, fatti apposta dalla natura per le opera- zioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno
architetto ; di quanta maggiore
ammirazione c' ingombrerem noi se
trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio al- r animo, cio6 da' miracoli delle cose che si
veggiono o che veder si possono, a
quelle che si fanno entro a quegli
organi per oi)era di ragione, e che dall'intel-
letto solamente comprender si possono? Molto piii avremo diletto e consolazione senza alcun
fallo nella bellezza, nella
impermutabilit^ e fermezza loro, e si
nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni buone, nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e
nei giudicj retti della porzione
interiore dove consiste V operar
ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell' onesto co- tanto reputato da' filosofi, e per cui 1'
uomo non a torto merita il nome di
saggio. > Ora per quella maniera che
i lineamenti del volto e le proporzioni
delle parti corporee, e la loro conve-
nienza insieme compongono quel vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e
piacere co- tanto il bello, e'l
leggiadro ne' corpi; non altrimenti per
r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa della ra- gione e per lo suo alto magistero dalle
convenevoli azioni, dagli atti dell'
intelletto e dai lodevoli costumi
trainee fuori 1' ordine, la simmetria e la bellezza del- r animo di piiH eccellente perfezione senza
veruno ag- guaglio che sia; laonde con
giustissimo titolo gli antichi savi
anche di bello posero nome all' onesto, a differenza del suo contrario che essi addimandarono
turpe, cioe deforme veramente e fuori d'
ogni regola e misura. Di modo che
restiamo pure persuasi come nella stessa
ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 255 guisa che la bianchezza delle cami, I'oro
inanellato de' capelli, la grazia d' un
riso che esce con vezzosi moti da una
leggiadrissima bocca, il fulgore e la vi-
vacity spiritosa di due nerissime piipille che ne pas- sano da un lato all' altro senza accorgercene
per mezzo del cuore, e le guance di rose
e le altre nobili e di- ligenti fattezze
bene accoppiate, e disposte in un volto
dalla natura spesse volte piu ad una femmina favore- vole che all' ^Itra, son tutte cose che il
rendono bello ed adomo, e fannolo
riguardare, ammirare ed amare con sommo
piacimento e dilettazione da chiunque si
sia. Maggiormente senza verun paragone dee muoverci e dilettare la candidezza della mente e de'
costumi, la vivezza e '1 lume
chiarissimo dell' intelletto, la grazia
e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity & il decoro delle azioni che sono i lineamenti
perfetti che forma il magistero accurato
della ragione, e fa bella e ragguardevole
un' anima, e rendela amabile e aggra-
devole e nobile e gentile e sopra tutte le altre in gran- dissimo pregio, ed estimazione; e questa si h
la vera bellezza che si appfeUa dai
sapienti onest^, il che non pud fare
giammai la bellezza di un volto corporale
ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo vehemente de' sensi ; dove all'
eccelsa maravi- glia dell' altra con
altrettanta violenza si risentono le
parti superiori e le facoM piii preclare dell' anima,. cioe a dire I' intelletto, e la mente,
conciossiache quelle bellezze che all'
onest^ si appartengono, sono d' intera,^
e non corruttibile fattura; dove 1' altre caduche sono, e transitorie, e le riguarda solamente con
dilettazione la porzione sensibile. > Ecco perch^ gl'irrazionali, che non
hanno misure da cio, non si muovono n6
si appagano se non di quello che il
senso detta loro, e che e presente, n^ del pas- 256 CAPITOLO DECIMOQUARTO. sato del fiituro fanno verun conto. che sia.
Ma I'liomo con la ragione intende alia
conseguenza delle cose, a'prin- cipj,
alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate pa- ragona la simiglianza delle present!, e a
queste appoggia r investigazione e la
conoscenza dell' avvenire, e per tal via
esamina e considera e quasi dispone tutto il corso della sua vita, appressandosi al vero, la
dove Tuomo savio s' immagina cha 1'
eccellenza del bello con giusta misura
sia collocato. Per tale attitudine e inclinazione a noi soli conceduta, tutti quanti siamo
tirati alia bra- mosia della cognizione
e della scienza; e perciocche (come
abbiam dimostrato sin qui) delle naturali ope-
razioni, di quelle eziandio che tutto giomo da noi si scorgono e che noi adoperiamo o per diletto o
per V uso del vivere, non ci e lecito o
possibile di rinvenire i principj loro;
n^ le loro speciali cagioni ancorche gli
occhi nostri apertamente le mirino; a tale intenzione nel cominciamento de' nostri discorsi proposi
quellasen- tenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi non potere
ad altra scienza rivolgerci che alia
cognizione di noi stessi, e di noi alia
notizia di quelle porzioni che quantunque non
si veggiano, si adoperano e regolansi da noi medesimi, e riduconsi a quella perfetta bellezza, che
risplende viepiii e con pitl verita all'
occhio delle nostre menti, che quell'
altra all* occhio corporale non fa. Per la qual
cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni soUecitudine neir investigazione del vero, intomo a quello
ci driu- scibile di aggiugnerlo, che in
quel bello dimora, in quel buono cosi
sublime, il cui esemplare, il cui ammirabil
ritratto dalla Divina mente staccandosi, ne f u si alta- mente nell' anima impresso, cio^ il lume
della ragione dalla cui accurata
meditazione arrivasi con I'intelletto e
con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto; ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA
MORALE, EC. 257 prima a conoscere quale
veramente e' sia, e vagheg- giarlo con
sommo deaio, per indi imitarlo con I'eser-
cizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne innamora
quel- r ordinamento si ben tirato di
parti perfettamente lo- cate a' lor
luoghi della belta corporale onde sfa villa
quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina
PulcritudiQe; che dovrebbe operare in
noi, a che amore, a che con- solazione
destarci quell' armonia si perfetta di conve-
nienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il
quale piil accertatamente nominar si
puote non raggio solamente ma vivo e ben
condotto ritratto di quell' originale eterno
della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1'
infinite e sommo sapere d' ogni altra
sapienza in una perfezione unica e
infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge
qualcosa di piii alia bellezza corporea,
dove la falsificazione e '1 liscio la
sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e in- tegrity de'costumi gentili e delle maniere
con I'orna- mento solo delle scienze, e
dell'arti pitl nobili, fanno piii bella e
pitl vaga 1' onesto dell' animo, e rccanle piti
chiaro splendore che non fa la gloria vana e I'osten- tazione e 1' ambizione, la quale eziandio con
le dignita e con esso gli onori non
meritati di piil alto grade adultera e
guasta e corrompe i bei lineamenti del-
r anima. E qui rammemoriamoci per paragone delle belle giovani di Marino che non accattano i
rossetti dair arte per farsi belle e
leggiadre, ma serbano intatto quel
finissimo velo di candide e lucide carni federate di rose, le quali non col cinabro o col
bianco ma so- lamente coir acqua fresca
ravvivano, a difierenza delle 17 258 CAPITOLO DECIMOQUARTO. nostre bellezze di Eoma, che false si
veggiono e di- pinte co' lisci, e
affatturate e guaste con V affettazione
degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di quanto i' vi
propongo, pas- siamo di grazia a pitl
precisa simiglianza di questo onesto col
bello, e rimarremo sicuramente convinti esser
di gran lunga pitl leggiadro 1' onesto che il bello. Ecco: il bello e la bellezza dei corpi sono nomi
universaK che tornan bene, e s'
applicano a innumerabili cose, come s' 6
a tutte quelle tanto naturali, quanto fabbri-
cate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli
occhi di cia- scuno a guardarle, a
lodarle ad ammirarle; e cionon solamente
segue nel rimirare una vaga e bella faccia
femminea, ma un cavallo o altro animale eziandio, che nella sua specie sia ben formate dentro alle
sue de- bite proporzioni, le quali dal
loro sesto naturale non escono punto n^
poco; il simile d'una bella pianta,
d'una selva ben posta e ben ordinata, che vi diletta senza scorgerne il perche ; e infine tutte
quelle belle cose, che noi abbiamo con
tanto nostro piacimento ammirate, e nel
tutto generalmente e nelle parti sue
ciascuna da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo essere, bench^ ella sia parimente porzione
della bellezza del tutto insieme : nel
medesimo mode delle cose per- fezionate
dell' Arte il piii per imitazione della natura,
belle ci convien dirle, e per tali celebrarle ; come delle pitture e delle sculture addiviene, delle
fabbriche ma- gnifiche e dei palagi, e
di tante e tante altre fatture ben fatte
di mano in mano secondo la qualita loro e
secondo I'ordine, la simmetria e '1 componimento spe- ciale che loro s' addice per 1' uso a che
elle hanno a servire, e per la mostra
che elle hanno a fare. Ma nella stessa
guisa che nella leggiadria e nella vaghezza
ESPOSIZIONE DELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 259 delle opere della natura, noi ammirato
abbiamo V alto intendimento di chi 1' ha
fatte ; n6 piil n^ meno nel- r artifizio
e lavoro di quelle fabbricate dall' arte, non
ci dimentichiamo di lodare la maestria e '1 lavoro di colui che meglio I'abbia sapute ridurre a
fine: e come nel maestro della natura
noi veneriamo Y infinite e onnipotente
sapere le sue opere contemplando; cosi
dobbiamo non tq,nto lodare la mano degli artefici, quanto riconoscere di essi I'ingegno e Tintendere
che da quella infinita sapienza piglia
il suo lume primiero, ed ammi- rare
viepitl I'intelletto e la ragione di quelle che opera, che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere
che quella bellezza del lavoro, che noi
cotanto lodiamo, non ^ ve- ramente
titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero
anche la bellezza delle corporali cose
non 6 attribute che pro- priamente a'
corpi belli si richieda, ma all' intendi-
mento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia
ragione infusa nell' uomo, che 6
parimente cosa divina, se discorriamo
delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e
introdotto, ma per rispetto alia mente
di chi con istudio e diligente ap-
plicazione lo conduce a fine; la lode che si da per usanza a una cosa bella non cade
appropriatamente sopra la cosa, che
riceve sua perfezione d' altronde, e non
trae essa da sd medesima le sue prerogative del
bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza
che noi tanto commendiamo nella cosa
bella, non ha essa il merito di esser
tale, come I'ha chi bella I'ha fatta.
> Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza dell' animo che la bellezza
dei corpi? perch^ se questa dei corpi,
la quale con iscalpello o 260
CAPITOLO DECIMOQUAETO. altra manuale
maestranza si forma entro materia gros-
solana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria dalla prima
Idea deir Architetto, ha in se un non so
che del Divino; quella degli animi che
si perfeziona e adornasi di gen- tili e
saggi costumi, di azioni e pensieri prudenti, e
di atti tutti ragionevoli, quanto pitl veramente pud dirsi neir opera e nelF operante, tutta insieme
cosa divina, essendo 1' operante e 1'
opera tutta insieme in s6 stessa della
medesima condizione, e perd tanto piii maravi-
gliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi; perche con la ragione, che e scintilla di Divinita,
non si abbel- lisce materia vile e
terrena, ma si purifica e si perfe-
ziona un' anima, che ^ della mano divina creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura
dalla belta dell' onesto, che
sottraendola fuori dalle macchie fan-
gose de' sensi corporei, nella sua prima divina sem- bianza la riconduce. > L' Onesto impercid da grandi uomini si
distin- gue in due sorter Tuna consiste
nella grandezza e eccellenza dell' animo
che e bellezza vigorosa, e da uomo
grande e di alti e generosi sentimenti dov' abbia modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta
nella confor- mazione col dovere e nella
moderazione, e nella mo- destia per cui
rifulge la continenza, I'umilt^ e la
temperanza che sono le virttl, le quali formano nella pill ben misurata proporzione i lineamenti e
le fat- tezze di questo bello, che si chiama
onesto. Con esso s'impara a non temere,
per fare il giusto, di niente che sia; a
dispregiare con fortezza le cose umane, dove
iia di mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare
se non il diritto, e deUberare con
ottimo cuore e con ben ponderata ragione
tutte le cose che s'hanno da fare
ESPOSIZIONE DELIA PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 261 e da dire, e da cui derivar non ne possa n6
penti- mento proprio, n^ detrimento
altrui; onde traluce fuori da tutte le
azioni umane quel non so che di vago e
di maraviglioso che si chiama Giudicio, il quale puo chiamarsi la grazia e '1 compimento della
beM deirOnesto; si come la gentilezza e
'1 nobile porta- mento e '1 moto vivace
degli occhi e delle membra, la grazia si
e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda
nella bellezza dei corpi. Tutte quante le operazioni dunque giuste, ragionevoH e ben temperate
dalla pru- denza e delle altre virttl
convenevoli sono, e percid decorose e
belle; come le ingiuste e fuori di ragione
disconvenevoli, senza decoro e deformi. Per la qual cosa da dubitare non 6 che le virttl non
sieno le piti aggradevoli ed ammirabili
parti e piii delicate di quel belle che
chiamasi onesto, si come i vizj del turpe e
deforme. Ma per quel modo che la vaghezza corporale difficilmente dura e mantiensi senza la
sanity e sejiza una ben formata
complessione ; cosi la leggiadria e la
belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V avvenenza dei costumi e del tratto e delle amabili
maniere, di rado si conserva senza una
buona e sana mente, e senza la
robustezza di una ben ferma e retta inten-
zione ; percioc^h^ quel tutto insieme che noi scorghiamo nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^
il primo indizio (egli ^ vero) e la
prima raccomandazione per giudicar poi
con le debite riprove, che 1' onesto sia
vera, stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia
Fargo- mento pitl forte di si fatta
riprova, e con piil pre- stezza si
rinvenga, se 6 sincero quel non so che il
quale spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o che abbia veramente Y eccellenza in s6 del
bello e del maraviglioso che si richiede
all' onesto, tutto consiste 262
CAPITOLO DECIMOQUARTO. nell' osservare
se il modo di contenersi in tutte le
azioni sia al maggior segno differente dall' operare irra- gionevole; e di vero che quel bello che da
noi si ap- pella decoro, gravita e
avvenenza di costumi, il quale lampeggia
fuori del portamento d' un uomo savio, tira
r appro vazione di tutti coloro i quali hanno nell'or- dine, nella fermezza e nella moderazione de'
detti e de' fatti buon gusto, e tutto il
compiacimento loro; per lo splendore e
*1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro
di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tin- telligenza e 1 giudicio si 6, e se cotanto si
lodano e approvansi le attitudini e moti
del corpo e la di lui dispostezza che
vagUono alle azioni corporee; molto pill
i movimenti e le attitudini ben regolate dell' animo che servono alle opere della ragione, nelle
quali avve- gnach^ tutti gli onesti
uomini, come dicono i Franzesi per dar
loro quel giusto titolo che meritano le per-
sone veramente di garbo, non abbiano tutti i medesimi talenti, solamente che in ciascun di loro
stia sempre ferma la mente retta, e
invariabile 1' uso della ragioue, non si
toglie loro la venust^ dell' onesto, non altrimenti che non perdono la grazia e la bellezza delle
attitu- dini corporali quegli che in
esse non siano abili alle medesime cose,
imperciocch^ altri sono agili al corse,
altri sono isciolti nel danzare, altri nel maneggiare un corsiero, e altri forti e robusti in varie
operazioni della ginnastica; ma in somma
qualunque cosa che noi ado- priamo con
1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu
garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno coUe forze e con la destrezza del corpo ; ma fermisi
insomma per proporzione infallibile e universale
che 1' onesto ha per compagna mai sempre
la virttl, nh puote dalla virtil
sradicarsi, e dove non d virtii non d perfetta onesto, ma solo sembianza d' onesto. L' onesto dunque
^ bel- ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E
BELLA MORALE, EC. 263 lezza vera,
costante e incorruttibile, non solamente
generica, ma particolare eziandio; percioccM e bella la virtil in genere, che d T aggregate di
tutte le bel- lezze insieme deU'onest^;
ma tutti gli atti virtuosi, ciascuna
opera di ragione, e tutte le sue facolt^ da
per se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti
si appella; e insomma tutto quello che
ci muove al dovere, che ci sprona al
convenevole, e che ne indirizza per le vie
dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che
si chiama dai filosofi morali onesto, il
quale d^ la forma perfetta agli animi
nel modo che il bello visibile abbel-
lisce le fattezze dei corpi; per lo che non reputo in questo luogo che sia alieno dalla materia
proposta 264 CAPITOLO DECIMOQUARTO. discorrere dell' utile il qnale, a' detta di
molti, vien giudicato 1' opposto dell'
onesto, che tanto s'^ dire turpe e
deforme; ma essi scambiano i termini e nomi, per- ciocch^ quello che onesto non ^, utile non si
puo dire, il quale presso gli stolti ha
tale la sembianza per la cupidigia loro,
che utile lo credono perch^ si studiano
di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso sia a sd e al
prossimo; percioc- che oltre al male,
che da essi altrui pud prodursi o col
torre il loro, o col fare lor cosa che sia ingiuriosa o spiacevole, ridonda anche in biasmo e in
inquietu- dine e in gravi pericoli di
chi 1' usa e di chi lo cerca con
aspettativa mal pensata di trame profitto, perch^ utility, vera e stabile dar non si puote,
dove non sia congiunto 1' onesto, e 1'
utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto;
ne onesto si d^ mai che utile non sia. Ora
facciamo un po' avvertenza, vi prego, in che grado stiano amendue 1' uno con 1' altro, e per
qual maniera possano far lega insieme.
Aflfermero primieramente con Marco
TuUio, che il vero onesto con I'util vero sono
in istrettissima confederazione, non potendosi trovar cosa effettivamente giovevole che onesta non
sia. Im- perciocch^ quello, che dagli
uomini poco savi utile falsamente si
presuppone, e quello che ^ veramente
contrario all' onesto, non utile anzi detrimento e disu- tile nominar si dee. Erran pero colore che
reputan que- sta sorta d' utile al pari
dell' onesto, delusi dagli affetti
soveichi dell'amor proprio e dell'interesse, imperciocche dove sia cosa contraria al dovere, ancorch^
paia che metta conto di conseguirla, ci
^ la turpitudine, con esso la qualv^
cosa utile accoppiar non si pud per v -
runa r^aniera che sia, perch^ senza 1' onesto util vero non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1'
e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e'
sia utile, non perche egli
ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 265 e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto,
anteponen- dosi tal nome e tal riguardo
air utile che util sia con- giunto col
diritto e coll' onesta ; anzi 1' util vero dege- nererebbe dall' onesta che seco dimora,
qualora il fine di quello si preferisse
al fine delP onesto. E percid r onesto
sola ne ha da indurre a operare senza far
considerazione all' utility, se non secondariamente a voler che essa non isvarj e non s' allontani
dall' one- sto, il quale quantunque per
nostre sregolate passioni e' ci paresse
contrario al nostro utile, sempre com' egli
d onesto, utilissimo si ^. E per ci6 niuna cosa ^ gio- vevole che non sia onesta, diceva Socrate,
perch^ quello f:he onesto non e, non puo
mai utile divenire, sconvol- gasi quanto
si voglia I'ordine dell a natura. >
E quale utility si pud egli mai trovare dove si
oscuri lo splendore e '1 nome d' uomo giiisto, e da bene? E chi ^ colui che recar ci possa tanto
giova- uiento ohe ci torni con to
scapitare per esso la buona fama, la
giustizia e la fede ? Perch^ s' hann' eghno a
trascurare le cose giuste e oneste per acquistar ric- chezze e potenze, che utile vero dir non si
possono, qualunque volta perd elle non
s' indirizzino ed eserci- tinsi a questo
fine dell' onesta e della virttl, con le
quali pill 1' operar ragionevole abhia lustro, e facciasi riconoscere quando le faculty e le grandezze
sono ret- tamente e gloriosamente
applicate ? Chi non ha questa mira nel
maneggiare i beni della fortuna facendoli ser-
vire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi bestia, o in forma d' uomo govemarsi da bestia. E chiunque
afferma che la cupidigia, I'avarizia, 1'
ambizione e la vana^loria contravvenendo
alia giustizia, possano util cosa chia-
marsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire
rimorso di coscienza o pentimento o dove
sovrastar pericoli? 266 CAPITOLO
DECIMOQUARTO. Pud bene nominarsi padre
della patria Giulio Cesare da' cittadini
impauriti; perche egli non sar§, mai altro
che un parricida. II comandare agli altri, che dee sostenersi su la base della gloria e dell'
amore de' sud- diti, come pud esser
utile, dove in iscambio si vegga su '1
bilico deir odio e della mala fama ? Ecco la bella e gloriosa utility, di Giulio Cesare dove
ell' andd a finire; rimase tra le
coltella ucciso in Senato. Ecco dove
termino la tirannia usurpata in Atene lor patria da' Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono
oppressi dal valore e dalla sagacity di
Aristogitone e d'Armodio. E per addurre
esempi moderni, dove pard la gran- dezza
e la potenza del generate Valdestain che non
temeva di chi glieH potesse torre ? Si convert! in tra- dimento del quale pagd il fio in Egra con sua
propria strage; e di si fatti casi e
negli antichi e ne' presenti secoli ne
raccontano in grandissima dovizia tutte quante
le istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma
vuol esser riguardato dalla stima dei
saggi e dall' amore de'buoni, il quale
solamente d giusta retribuzione dell' onesto;
senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giam- mai, n6 utilita puo dirsi quello acquisto che
sia gio- vevole ad uno e all' altro no;
anzi anche le oneste cose disoneste si
fanno, dove V utile di qualcheduno possa
patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la parola, ma perde sua prerogativa, come cid
porti pregiudizio a chi ella si
mantiene; per esempio (come i poeti
fingono) non fu cosa onesta che il Sole man-
tenesse la parola a Fetonte. E veridicamente parlaudo fu cosa fuori di tutti i termini dell'
onesta, e giunse alia scelleraggine che
Erode mantenesse la parola a Erodiade.
Concludasi dunque che non si da onesto che
non sia utile, nd util vero senza 1' onesto, rimanendo ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E DELLA
MORALE, EC. 267 chiaramente persuasi
che 1' onest§, sia quel nome gene- rico
che significa in una parola sola la proporzione e r armonia di tutte le operazioni ragionevoli,
e di tutte le faculta ben guidate
dell'animo; per quella guisa, che il
nome della bellezza ne spiega con un sol voca-
bolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte le parti, di tutti i lineamenti d'un corpo
bello; come di tutte le altre cose che
piacciono nel genere loro ; e siccome da
tutte le cose belle particolari ne risulta
questo nome universale che beltade si appella; cosi da un ben misurato accompagnamento di tutte le
virtii morali, e di tutti quanti gh atti
virtuosi, si raccoglie insieme questo
nome generale, che onesto si chiama; il
quale vuol dire e abbraccia, si in genere, come in particolare tutte quante le beUezze
delFanimo. Quello dunque che riguarda e
s' aspetta in genere alia virtii morale,
e alia sua perfezione dicesi onesto; e percio
da questo universale potremo nella presente villeggia- tura e nolle consuetegite che andremo
facendo, potremo, dico, favellare della
virtti morale, e delle sue -pit belle
parti, esamingtndo i precetti e gli ammaestramenti di essa, che sono le pitl speciose prerogative
della bel- lezza deir animo. Per questa
via impareremo a cono- scer noi stessi,
e quali strumenti dati ne sieno dal
Maestro Etemo per conseguire si nobile ornamento, pel quale noi ci sottragghiamo dalla
sembianza di bruti, e ci accostiamo con
la figura interiore alia simiglianza di
Dio. > E un di pill far rilevare al
leggitore come il no- stro autore si
mostri qui nella morale Peripatetico,
aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non
nel me- diocre, com' altri ne voUer
dedurre, si nella giusta mi- 268
CAPITOLO DECIMOQUARTO. sura, oltre la
quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfe-
zione, ^ un trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo bre- vemente i quattro dialoghi intomo alia
morale, per indi venire alia cons^guenza
del sillogismo di cui ab- biamo dato le
premesse, o alia risoluzione del problema
da noi posto in campo. Gli
uomini, egli dice nell' argomento del Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa, sensitiva e
ragionevole, di cui le potenze sono,
memoria, intelletto e volonta. L' uomo
cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole.
Sovente la parte concupiscibile c iraocibile, come am- mette anco Platone, le quali ha dato in
servigio della ragione, si trovano a
contrast© coUa ragione stessa, e
traviano la volonta ; e 1' atto, anzi che virtuoso, e allora vizioso. Imperocch^ la ragione fondi i suoi motivi
suUa costanza dei beni, e stimi beni
anco i mali preseuti, che pero menano a
futura felicita; e gli appetiti in- vece
si curino solamente de'beni presenti, guidino poi partecipino al male. I beni degli appetiti
sono pure obietto della ragione che
gl'indirizza a sano e giusto fine,
subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e si diverse apprensioni della ragione e degli
appetiti si deriva la contrarieta tra
loro nel riconoscere il bene; onde
secondo dove aderisca la volenti, formasi la virtil ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non
che, giusta la sentenza aristotelica,
dir si conviene come i beni sieno di tre
sorta: beni deiraninna, della fortuna, e
del sense. • E beni dell'anima
si chiamano quelli che ritro- viamo in
noi, e che da noi stese* dipendono, come sono
le virtii, e la retta intcnzione, i quali, come nel trat- tato della Provviderzo osservammo, non ci
possono esser dati n6 tolti, se non da
noi medesimi. ESPOSIZIONE DELIA
PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 269 Beni
della fortuna quelli sono che stan fuora di
noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati, e ci ven- gono tolti, come le ricchezze, gli onori, il
pQtere; i quali son beni non veri e
fermi, se non s' indirizzano a beni
deiranimo e all'opre della virtii. Beni
del sense, per ultimo, sono quelli che noi
abbiamo a comune co'bruti, e solamente dir si pos- sono beni, in quanto dalla natura si bramano
per man- tenimento del vivere e della
propagazione e conserva- zione della
specie, e terminano ciascuno col termine
della propria vita. Nel resto i
beni del sense, dice il Eucellai, sono
d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni possono
divenire, salvoch^ quando per abito
virtuoso, vinti e mortificati tutti gli
aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii,
sentendone godimento eziandio nella
parte inferiore. E nel V Dia- logo
dichiara che la filosoila morale, ^ la piil vera e meglio fondata filosolia dell'uomo. E dove sta questa vera apprensione della
scienza dell'uomo? Udite la risposta
teologica e mistica che egli ne d^: Nel
timore di Dio, imperocch^ appunto d
intendimento della filosofia morale cristiana insegnare altrui operar bene e non far male, affine di
conseguire la felicity vera che 6 il
Paradise, e sfuggire il gastigo, la
pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando
aflFermavano il bene consistere nella
felicity e nel godimento del sommo Bene.
Or la felicity, non la d^ che Dio, e il ti-
more e I'Amore di lui ci ammaestrano a viver bene per conseguirla, perche tutti quanti i beni
veri dipen- dono da Lui. Initium
sapientice timor Domini. Voi scorgete
qui tosto il nosce te ipsum filosofico
270 CAPITOLO DECIMOQUARTO.
innestato alia religione, alia fede, e ad essa conse- gnato, perche non si diparta da quella via
che deve eondurre il Rucellai alia meta
prefissa. Intanto dalla cognizione dell'
uomo , egli dice , e dei suoi istru-
menti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa
e sen- sitiva, ma non si aggiunge loro
come neU'uomo la ragionevole. E quest'
anima che per il Rucellai, de-
finendola, consiste in un moto continuo e ordinate che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo
la somma di tre anime ; sibbene 1' anima
umana ha tre doti, della ragione
principalmente in s^ stessa, e poi anco quella
del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui tutte quante le facolta e le potenze
dell' uomo consistono. Dotata poi la
ragionevole di libertgb, giusta quelle
che dimostrd il Rucellai nella Prowiden0a, d in- finitamente superiore, incomparabilmente piil
perfetta deir altre due che ne' bruti si
trovano, e per essa I'uomo e capace di
atti virtuosi o viziosi di imputa- zioni
morali, di premio o di pena. Imperocch^
il moto sensibile (Capo 3°, Dialogo !•)
e il moto ragionevole dell' anima umana non vadan sempre d' accordo, e la vita morale sia
soggetta a delle continue perturbazioni,
nolle quali I'uomo ha dovere di obbedire
al moto ragionevole della mente. Ha il
dovere ! perchd 1' uomo ha questo dovere ? d' onde la legge ? Esiste ella questa legge che ha forza
di imporsi a tutti gli uomini, con
sanzione etema, infinita? II Ru- cellai
non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non
ritraesi un argomento che abbia valore di prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^
tradizionalista, pur senza addarsene: e
mentre accenna a seguire il di- scorso
naturale della mente, or con questo o con quel
filosofo antico, egli non fa altro che commentare quel ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA
MORALE, EC. 271 che la rivelazione gli
ha dato a credere. !fe la ragione al
servigio della fede. Cos' 6 pertanto questa mente al cui moto ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell'
ha signi- ficati diversi, ma secondo
Platone, cui segue, 6 quella generale
consulta e ricettacolo in cui sono comprese
tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria, intelletto e volont^. La prima
conserva gli oggetti acquistati
co'sensi, i quali oggetti si porgono
innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto
ragguaglio. La ragione vi discute e
giudica, e poi la volont^ in seguito a
giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la
volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e con- cupiscibile, che inviano spiriti sottilissimi
ma corporei a produrre i varj movimenti
necessarj. Se non che. pur nel giudizio
la mente pu6 errare ; in quanto da'
sensi posson esser ad essa presentati gli
oggetti imperfettamente o per vizio naturale. E, se non errare, pud rimaner dubitosa ed incerta;
indi I'opinione, che potendo esser
falsa, ^ pericolo che venga scambiata
per la vera scienza. Ufficio dunque
della ragione si 6 di far in modo che 1' intelletto sia sgombro di passioni, n^ deve cosi subito, e
come alia cieca, prestar fede ai sensi,
fontana inesauribile di er- rori, a chi
non esamini bene e non tenga come a sal-
vaguardia quel detto di san Paolo: Video aliam le- gem in membris meis repugnantem legi mentis
mece, E, di vero, dalle facoM
ragionevoli si discerne la dif- ferenza
nell' anima degli atti secondi dai primi: coi
quali atti secondi meglio riflettesi, e si pesa col giu- dizio il valore e la differenza dell' onesto
e del dilet- tovole, e principalmente la
diversity del huono e del reo.
Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui
il Eucellai 272 CAPITOLO
DECIMOQUARTO. si e proposto di seguire
le orme, non stiano rispettiva- mente
nel piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi;
ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd immanchevole ; mentre
tutti gli altri beni di quaggiii, lo
dissero stupendamente gli stoici, ci
possono venir meno, e a quella vera felicita,
cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity, indirizzati a lor
fini, di divenir beni ancb' essi. La vera
felicita pertanto, checche ne dica
Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe il Rucellai filosofo teologo,
trova nel Pa- radiso. Ma ancbe di qua,
in questa vita, non esclude il Rucellai
con gli stoici che possano i veri beni go-
dersi, operando secondo virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della
ragione, e con gli abiti buoni e con
tenere essa in freno gli appe- titi
siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo cocchio, E la virtu ottima che e elk mai? Risponde per
lui Ari- stotile, del quale accetta la
definizione non che le clas- sificazioni
di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per elezione che si contiene nel
mezzo per Tappunto fra due estremi: il
vizio e operazione di- spregiatrice
della ragione. L' atto virtuoso non altro e
che il ridurre la propria natura all' operare ragioBe- vole. Distinguonsi poi virtil primarie nell'
uomo, o, come si dice, cardinali, e
secondarie, le quali dipendono dalle
prime. Le virtil cardinali, come per Aristotele, cosi per il Cristianesimo, sono la prudenza, la
giustizia, la tem- peranza e la
fortezza. La prima, secondo Platone, ^
la misura di tutte le altre, ^ V occhio
diritto della morality, la vera scoria
neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa con somma finezza tutti quanti gli oggetti
che deside- rare si debbono, o vero
sfuggire. Ad essa si riducono.
ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA MORALE, EC. 273 per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6
questa misura, stando in mano di lei il
vero compasso proporzionale per il quale
si misurano tutti i fini. La Giustizia
dispensa suo diritto a ciascuno si degli
utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo i gradi dei meriti, della dignity e delle
virti\ che egli hanno, e questa
distinguesi, come Aristotile e Cicerone
fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la commutativa parla della dottrina del cambio,
che, come afferma, toglie in massima
parte dal Davanzati. La fortezza, che
ne insegna sopra ogni cosa di su- perar
s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni e non temer di minaccie, n^ di rischi, nd di
morte a pro della religione, della
patria e della reputazione. La
temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smo- derata cupidigia, ed d il vero antidote
contro 1' ambi- zione e contro
I'interesse soperchio ; e tutte queste virtii
primarie manchevoli sono, n6 possono esser vere virttl senza il concorso e '1 sussidio 1' una dell'
altra tra loro. E siccome la virtd ^ il
giusto mezzo, non la me- diocrity, che e
difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra
due eccessi, od estremi, ciascuna di esse virtii ha i saoi estremi in&a i quaU riseggono. Ed io
li accenno, ma non mi ci trattengo. Estremi della prudenza sono, (pure secondo
Aristo- tile) la malizia e la stupidita;
della giustizia, 1' avari- zia, la
trascuraggine ; della fortezza, temerity e co-
dardia; della temperanza, gli estremi viziosi di tutte r altre. Dalle quali tutte, e in fra i
rispettivi estremi di esse, discendono o
stanno le virtii secondarie. Accosto
alia prudenza, e come sue figlie, si trovano
la perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon sense), 1'
industria ; V astu- zia, la circospezione,
la sincerity, la segretezza, la 18 274 CAPITOLO DECIMOQUAETO. fedeM; alle quali tutte comspondono vizj;
impe- rocchd dalla circospezione sia
agevole cosa cadere nel vizio della
sospensione, della suspicacia, come poi e
agevole dall' accortezza cadere nella astuzia in mal sense presa, nella malizia, nella
simulazione, frode, tradimento,
irresoluzione, stupidity, taciturnity, finzio-
ne, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla
prontezza nel- rimprudenza o
inconsideratezza. Gli atti virtuosi che
seguono la Giustizia sono: Liberality —
- Parsimonia — - Beneficenza — (Jenero-
sit^ — Magnanimita — Magnificenza.
Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, dive- nendo — Ambizione — Ladrocinio — Vanagloria —
La- scivia — Superbia —
Prodigality,. Altre virtil secondarie —
• Ragionevoli rimunera- zioni e
retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana
della fede e della speranza. La
Parsimonia sta a dirimpetto della Liberalita.
Son due atti virtuosi. — Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia
sono: Severity, Rigore da un lato, e
Equity, e Misericordia da un altro. —
Eccessi di equity e di rigore. — Ti-
rannie — Vendette ■— GrudeltS, ec.
Degli Atti virtuosi che seguono la Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il
Valore del cuore e della mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia —
Indo- lenza — Furie — Ferocia. Dall' altro lato abbiamo seguaci della
fortezza : la Pazienza ragionevole — la
Mansuetudine. Vi0j. — Timidity, — ViM —
Codardia. Al^e virtu seguaci della
Giustizia. — Costanza - Fermezza —
Lmpermutabilit^. ESPOSIZIONE DELIA
PSICOLOGIA E DELLA MORALE, EC. 275
Vi^ij. — Ostinazione — Pertinacia, Perfidia. Virtu. — Facility di cedere al dovere. —
Piacevo- lezza del tratto. —
Moderazione, Gravity, Decoro —
Modestia. Visj. — Alterigia,
Vanagloria ec. Virtu. —
Emulazione. ViiSfio. —■ Competenza —
Mormorazione — Falsity — Calunnia —
Superbia ec. Degli Atti virtuosi che
seguono la Temperanza. Veramente tutti
gli atti virtuosi surriferiti accom-
pagnano altresi la Temperanza, perch^ atto virtuoso non si d^ se la temperanza non moderi
I'impeto na- turale. Perd tra gli atti
piiH confiacevoli ad essa sono da
annoverarsi quelli che rattengono gl'impeti della concupiscenza o Fingordigia della gola. Virtit. — Castit^, — Pudicizia — Pudore —
OnestS, — Ingegno — Digiuno — Astinenza
— • Sobriety. Vi0j opposti. — Eccessivo
rossore, e Libidine, Lasci- via, Adulter)'
e Ubriachezza ec. Questo per le virtiH
in s6 considerate. Or siccome la virtCl
solamente 6 base della society, umana, e n' ^ il cemento, bisogna veder di esse 1'
applicazione nel con- sorzio civile, e
discorrere con Marco Tullio degli Officj
per la society, umana medesima. La quale d da na- tura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto gli
Uomini per gli Uomini. E Iddio, poi,
diede a tutti il libero arbi- trio,
accio niuno di noi potesse conseguir lui senza noi stessi, e senza 1' educazione cristiana, e
senza gli ammae- stramenti spirituali e
senza i divini precetti, insegna- tici
da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli per la stessa
maniera (ag- giiinge il buon Bucellai)
se noi non diamo le orecchie agli ajuti
loro, alle loro savie persuasioni niun utile o
giovamento recar ne possano in verun conto che sia. 276 CAPITOLO DECIMOQUARTO. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo
questa, ne io so davvero dove e come si
applichi filosofica- mente il Nosce te
ipsum! Proseguiamo : Gli ufficii, come Cicerone, divide il
Eucellai in necessarj e per ele^ione. I
primi vengono imposti dalla provvidenza,
i secondi dal nostro volere. Sono dessi
differenti secondo i gradi e le combina-
zioni delle persone, e, al solito, si distinguono in do- veri verso Dio, verso gh altri e verso noi
medesimi, dei quali ultimi pero non
discorre. I doveri verso Dio sono
necessari; il prime d di gratitudine, impiegando in cid le potenze tutte delle quali ci ha
forniti, e con- formando la nostra
volenti a' suoi decreti, alle ispira-
zioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono
pure doveri verso Dio stesso, i quali
sono il fondamento di tutti gli altri.
Accenna indi profusamente il Eucellai i do-
veri verso gli altri, i primi dei quali sono i doveri ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA
MORALE, EC. 277 conjugali, sendo per
primo la society parentale. E ri- corda
come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna,
e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra essi rispetto, discrezione e
compati- mento ; e amare ugualmente i
figli, come i figli amare, rispettare,
aiutare i genitori. E intomo alia scelta
della moglie, ecco qui coaa ne dice il prete Magiotti, e che io stimo non inopportuno di riferire,
in quanto che dalla stima in che si d
tenuto e si tiene la donna, si sia
potuto e si possa argomentar sempre o compro-
vare il grado di civiM de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur
ne ab- biamo riscontro, etarei quasi per
dire matematico. € Io son prete, (dice
adunque il Magiotti;, e circa al
prendersi mogli e mariti non me ne intendo e non oserei dame alcun mio parere, massime in
concor- renza dei buoni consigli e
de'giovevoli ammaestra- menti e fedeli
di messer Lodovico Ariosto, per non
mentovare il Laberinto di Messer Giovanni Boccaccio, il quale dalle donne ammartellato anzi che
no, fu del povero compassionevol sesso
troppo rabbioso mordi- tore. Egli e pero
bene aver per ricordo che al tempo d'
oggi piii Elene si trovano che Penelopi al moo-
do; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL gra- ziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno
s' effigia nella mente per le migliori;
imperciocch^ se bella ed avvenente e' 1'
ottiene, sembragli averla debita altrui e
ch'ella non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in
ornament! novelli, e nel rigirare il
marito per piacere agli altri ; anzi,
che peggio si 6, ella si tien per prudente, e vuolsi subito meschiar nei consigli; senza che, e'
si d tutto di alle novelle, alle
contese, alle grida, e allora le par di
esser saggia quand' ella non fa a mo' d' altri. Donna 278 CAPITOLO DECIMOQUARTO. savia adunque, o di rado, o non si d^ mai, e
tutto che con difetti bisogni averle, il
meno dannoso per mio avviso credo che
sia se ha qualche specie in lore di
Prudenza, dov' elle abbiano poco conoscimento, perche queste sono atte a reggersi, non si dando mai
caso che elle sieno buone a reggere
altrui; e nolle donne, ancorchd in esse
sia la ragione, poche o niuna ne han r
uso, che a tal fine definille un Uomo di senno, che la natura femminea 6 posta tra 1' estremo
peggior del- r Uomo e r eccesso miglior
delle bestie. Niuno dunque si lasci
svolgere cosi alia prima dalla vaghezza o dalla
novit^ del soggetto, o vero dall' allegria e dalle solen- nit^ delle nozze, imperciocchd dopo il fatto
non ci e rimedio, e cotali belle
apparenze usansi ad arte, per far
rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle fatiche perpetue e alia
schiavitu- dine eterna del matrimonio ;
anzi la natura medesima, per soccorrere
in esse a mancamento del sesso e farle
in qualcosa aggradevoli, le ripuli, le liscid, e raffazio- noUe al di fuori, e si dono loro la grazia e
gli altri arredi del bello; qualunque
impero d tenuto a impac- ciarsi in si
fatta rete, pigli innanzi le misure giuste
di quel che sono le donne ; e del suo mestiere goda come per trastullo se la sorte gliela da
bella, n^ s'ini- magini, perche ella si
chiami compagna, di poterne trar frutto
d' amica, ma la consideri come soggetta, e
per dolce maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a non recalcitrare al marito. Percid la jAtL
sicura si e r aver la moglie di grossa pasta,
e di scarso intendi- mento ; difettose
insomma (si come io dissi) elle hanno da
essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole a sof- ferire i difetti che elle hanno, pregando Dio
che buone ne le mandi, ned' e poi il
comportarle si malagevole, -atteso che
donne elle sono, e tenere di cuore, e il via- ESPOSIZIONE BELLA PSICOLOGIA E BELLA
MORALE, EC. 279 colo di quando in
quando matrimoniale rinnovella e
rinfresca Tamore, e serve di buon condimento alle imperfezioni loro e ne addolcisce la noia.
> Si occupa inoltre de' doveri tra i
parenti e gli agnati, tra servi e
padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperoc-
chd r osservanza di questi doveri privati si riversi anche sul pubblico, ed inline de' doveri di
cittadini, dei sudditi, e de' govemanti.
Intomo a' quali molto ritrae del
platonico, e discorre con molta severitit tanto per i prindpi eletti daDio, quanta per quelli
eletti dagli uomini. Tocca infine i
doveri per elezione, che tanta bene^
volenza conciliano, e intesse come iin piccolo galateo sulla data di quelle di Monsignor suo
parente, e cui dimostra avere
attentamente esaminato e ritratto nei
modi e negli scritti. E accennato alia forza dell' abito, termina questo trattato della morale del
Rucellai, im- perfetto nel contenuto e
nel disegno, imperciocch^ egK prometta
qui di discorrere in progresso de'tempera-
menti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia avuto o volenti tempo di dargli compimento, e d'
emen- dare il gi^ fatto. Sufficiente perd invero a chiarirci i
termini del quesito, e a porre in tutta
evidenza il problema di cui dobbiam dare
la soluzione. Agevole a trarsi pur que-
sta; imperocchd non trattasi di andar per il sofistico e il lambiccato : ma si da' fatti lampanti
formulare il principio, e porre questo
in attinenza con le condizioni generali
e particolari del tempo, del quale lo scrittore
^ riverbero indubitato. La
critica che potremmo fare alia teorica morale
del Rucellai si acchiude in poche parole; imperocchS sia manifesto che egli, piil che neUe altre
parti della fillosofia, qui non d^ U
giusto valore alia ragione umana.
Infatti egli trascura di porre in luce la legge naturale, 280 CAPITOLO DECIMOQUARTO. di cui pur parlano si altamente gli stessi
dottori sco- lastici, come san Tommaso,
san Bonaventnra e il Suarez, per tutto
sostenersi all'autorita della legge
divina, cio^ del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo egli piiH ecletticamente che con ordine
interiore di con- cetti, non sa bene
accordare quel suo tradizionalismo con
certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice la virttt consistere neU'operare secondo
ragione: ma potrebbe osservarsi che quando
la ragione non ha cri- terio di ragione
in se medesima speculativamente, non pud
averlo nemmeno praticamente. II Eucellai rende
immagine anco su ci6 de' suoi tempi; ma in che senso diciamo tal cosa h bene sia definito. Le
menti, a quei tempi, erano agitate dai
dubbi, e il nostro autore dice in piii
luoghi come i dubbi combattessero pur la sua
mente. L' esame dubitativo fuor d' Italia condusse molti a terminare nel dubbio; in Italia colore che
accolsero r esame dubitativo terminarono
i piii nel riparo della Fede. Ma
dobbiamo distinguere da costoro i filosofi e
i teologi non tradizionalisti, e che non accolsero F esame dubitativo, come il Pallavicini nel suo
TrattaJto del bene; giacch^ questi
ammettevano certezza razionale e verita
preliminari alia Teologia, quantunque neUa Teologia ponessero il sommo della sapienza; invece i
tradmo- ncdisti, come oggi li chiamano, alia
ragione ricusarono la capacity di
riposarsi nel vero e nel certo, che solo
ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Palla- vicini, il Suarez, san Tommaso, san
Bonaventura con sant' Agostino affermano
esser nella ragione la legge naturale
del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda
la legge Divina positiva ; il Eucellai, per lo contrario, parla di san Paolo e del Vangdo, e della
legge natu- rale non tiene gran conto,
bench^ aUa sfuggita Taccenni.
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.
OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA FILOSOFIA
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAL
SouMABio. — Opportunita della critica. — Importanza storica dei
libri del Rucellai. — II professor
Palermo ha giudicato VTmperfetto imper-
fettamente. — Perche. — Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e le sue qualita. — Scetticisrao. —
Tradizionalismo. — Bruno. — Cam-
panella. — Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I
suoi scolari e rAccademia del Cimento. —
Metafisica galileiana. — Som- mi capi di
essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi. — II Cartesio e 1' osservazione interna. — Spinoza e
Malebranche. — Bacone. — II sensualismo
di Loke. — Eclettismo del Rucellai. — Suo probabilismo. — Si provano riandando la sua filosofla. —
La seconda Accadomia. — Cicerone. — La
fede. — Differenza tra' filosofi del Medio Evo e il Rucellai. — Questi e il Galileo. — Nel metodo
il Rucellai apparente- mente h moderno.
— Perche. — Intende solo negativaraente Taforisma socratico. — Ed e semj)re probabilista. —
Accordi tentati. — Gli fa difetto la
speculazione. — E pero riesce eclettico. — Breve riscon- tro di tal fatto nei suoi Dialoghi su'
Principii passivi dell' univer- se, e
nel Tim^o, — Platone, il Cristianesimo e Galileo. — Carte- sio. — Teorica della cognizione. — Teorica
del volere. — Liberta e fato, —
Stoicismo ed epicureismo. — Libero arbitrio e predestina- zione. — Psicologia e morale. — II Rucellai e
Cousin. — Aristotile. — Platone. —
Stoicismo. — Cristianesimo. — Divisione delle virtti. — Cicerone. — San Tommaso. — La Scuola
Epicurea e il Rucel- lai. — Teologia
razionale. — Platone e il nostro scrittore. — I Pa- dri. — La Fede. — Si conchiude che nello
studio dei ' tre pbietti della filosofia
il Rucellai e eclettico. — La forma esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne'
Dialoghi del Rucellai sono i;n' ultima
conferma della nostra Conclusione. n
problema ^ posto, adunque, in termini chiari,
fatta che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche del Rucellai ne' precedenti capitoli. Ora e
tempo di 282 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED
ULTIMO. risolverlo, e la via ci ^ molto
agevolata; diro di piii, che dopo il
cammino gia fatto, sembrami quasi rag-
giunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo. Imperocch^, riepilogando, noi
ponemmo que- sto per principio, che il
Rucellai specchiaVa in s^ Tim- magine
del suo tempo in Firenze. E ad esso volgendoci,
lo vedemmo significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che periva sotto la
mole della sua grandezza e un' et^
giovane e superbamente bella, che
conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a
tutte le potenze della nuova in
opposizione fortissima. Ed io allora
volli condurre il lettore all' esame della vita del Rucellai e delle sue opere letterarie; e
questo contra- sto manifestossi, credo,
chiaro al lettore stesso, come si era
mostrato a me dopo la lettura diligente di quegU scritti dimenticati, o non curati a
dovere. FilosoJla e autorita religiosa,
gravity di discussioni scientifiche e
leggerezza di cicalate accademiche; pu-
rezza di stile e d' immagini, verbosity ed esagerazione di confronti ; timore soperchio di aver che
fare col Tribunale dell' Inquisizione, e
contro la Corte di Roma pagine
sanguinose ; vita di cortigiano ossequente e rime e lettere contro la corte ed i re ; lodi
della castita e verginit^ di Protettori
e di SanfS, e scherzi equivoci e sonetti
immorali; tutto cio nel Rucellai, come pre-
cisamente nella comune degli uomini del seicento, scor- gevasi in quel trapasso dalla fine del
Rinascimento alia Riforma, dal mondo
antico al mondo moderno. Un eclettismo
inconciliato nei costumi, nella vita, negli
scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e il Rucellai questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle
abitudini, nella vita sua civile,
letteraria e morale. Or nello scorrere
che abbiamo fatto il suo lavoro
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283 maggiore, senza intrattenersi a lungo via
via a rilevar pure inumi, nella vita,
negli scritti, nell' arte, neUa
letteratura ; e il Rucellai questo
eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e
morale. Or nello scorrere che abbiamo
fatto il suo lavoro OSSERVAZIONI
SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 283
maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure in esso que' medesimi contrasti ;
nondimeno, pre- venuti, li notammo man
mano, per guisa che, finito I'esame,
supponessimo pur compiuta la nostra fatica.
Ma se nel mio pensiero ed in queUo del leggitore questa conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia,
anzi ^ necessario definirla, e in un
disegno piil raccolto con- centrare con
linee brevi e distinte quel che abbiamo
osservato lungo la via ; in quel modo medesimo che un pittore, percorsa una vasta campagna, la
raccoglie poi tutta su di piccola tela,
senza toglierne parte alcuna alio
sguardo di chi la voglia fedelmente conoscere.
Non a torto pertanto (ce ne siam fatti certi) io comparai il nostro filosofo a un prisma, suUe
cui fac- cie si distinguevano i
molteplici raggi del pensiero del tempo
suo ; e in che sta, per me, veramente 1' impor-
tanza storica di questo scrittore ; per guisa che ognuno il quale non lo consideri, giudicandolo, in
tutti i suoi aspetti, b ne falsa il vero
suo essere, o ne fa una pit- tura
destituita di valore, od almeno imperfetta. In
questo ultimo scoglio sembrami, io lo dico coUa do- vuta deferenza, abbia urtato il professore
Francesco Palermo, 1' egregio ordinatore
dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il
quale del Rucellai ha pubblicato con un
lungo avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici dialoghi sulla filosofia naturale antica, e
quegli altri sedici sulla Provvidenza.
In quell' avvertimento, bello davvero
del rimanente, d^ il concetto e il dise-
gno deU' opera intiera, e la natura di essi Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal Rucellai, a buon diritto,
il sapientis- simo Socrate, come quello
che ritomava le menti al- r esame del
mondo esterno e del mondo intemo, me-
diante il discorso della ragione, gli assiomi naturali ed i fatti sensibili, ond' e' poteva finalmente
creare la fisica, e r Accademia del
Cimento ingigantirla dietro le orme di
lui, con Benedetto Castelli, il Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il Viviani, il Eedi, il Cassini e
moltissimi altri, i quali, secondando
la inclinazione del tempo coll' isti-
tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso- fia del lore Maestro alle scienze naturali,
le conferma- rono Bulla strada di
progresso indefinito, e le scienze
universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo Galileiano, sviluppati
ampiamente nei saggi del Cunento,
accliiudevansi verity, profonde, le
quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il
concetto, il fine ed i mezzi di una
filosofia che tutto comprende. Cio6,
che riconosce le somme verity naturali nell' Anima umana; che adopra la geometria per
raggiungere la verity ideale e reale,
n6 trascura, anzi esige, 1' uso
diligente della esperienza, e indi del ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6
spregiatrice, come molte iilosofie
meschinamente altere, dell' autorit^.,
mentre la servitii dell' autorit^ stessa rigetta, e la vuole sottoposta essa pure all' esperienza ed al
nostro giudizio. Ma la filosofia del
Galilei e de' suoi scolari gene-
ralmente risguardava, giova averlo fisso, il metodo e la sua applicazione particolare alle scienze
naturali: a che sticettamente questi si
attennero. Ne con cid dire, io intendo
negare contenersi nei libri del Galilei
19 290 CAPITOLO DECIMOQUINTO
ED ULTIMO. sparsa una metafisica, come
lamentava ilLibri, il quale, nella sua
storia delle Matematiche, si duole altamente
del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi,
inclinerei anch'io a creder davvero col
Puccinotti (11 JSoem ed altri scriU%
Tip. Le Monnier 1864), che valesse a vin-
cere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^ dairAcca- demia Platonica fiorentina. Imperocche fu
prime Gali- leo che dimostro la
necessity di dividere fisica da meta-
fisica, e i Umiti veri deUa ragione, la fede religiosa nelle scienze soprannaturaK, la matematica
nelle natu- ral!. C!ome Platone, il vero
ed il bello professd Galileo per una
medesima cosa, nella medesima guisa che il
false ed il brutto. E nella
giomata prima dei DioHoghi dei Massimi
sistemiy il Galileo comprese i sommi capi della Meta- fisica, che possono qui compendiarsi in due
massimi corollarii, siccome avverte il
Pucciuotti sopra citato. Prima.
Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya
in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte infinite: la
mente umana la piii eccellente opera di
Die : in essa concreate al- cune verity
primitive, come preziose gemme nei loro
incastri, la di cui luce, per il terrene abitacolo in cui ella ^ posta, § da velami e da caligini
oscurata. La pienezza di cotesti veri e
in parte nel soprannaturale, e parte
disseminata tramezzo alle naturali cose. L'intel- letto consegue con la intensivit^ i soprannaturali
neUa lor piena luce per mezzo della
rivelazione e della fede: i naturali,
colla dimostrazione matematica; e onde con
questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e costanza e
pienezza veg- gano e profittino di tali
verity,, 6 mestieri che V uomo temperi e
assottigli quanto piil pud que' velami e quelle OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFU DEL RUCELLAL
291 caligini di falsity,, che partono
dai fermenti e dalle passioni della sua
materia: ed ecco il fondamento della
morale, e il culto necessario e il merito insieme della virtii umana. Secondo. Per le verity naturali la mente
umana pro- cede allo'stesso modo,
solamente traendone la dimo- strazione,
non dalla metafisica, ma dalle matematiche.
Ch^ la geometria cammina anch' essa grandissimi spazi, e trascorre la vastit^ delle opere della
natura, e con- tiene nelle sue
dimostrazioni la necessity de' suoi veri;
riverberando in certo modo e scoprendo quelle mate- matiche leggi, coUe quali Y etemo intendimento
tem- pera 6 govema 1' universe. Ma la
geometria, con le sue mille e mille
conclusioni ottenute, 6 sempre a immense
intervallo da quanto resta ancora a investigarsi ed intendersi nella natura: epperd si reca
allato per sua aiutatrice e ministra la
esperienza, la quale, tentando effetti e
cagioni, e le attinenze lore, prepara la serie
deUe probabilitS;, che la matematica disnebbia colla dimostrazione ; presentandole come verity e
leggi natu- ral! alio intelletto, il
quale, ove le trovi rispondenti ai tipi
concreati delle soprannaturali gi^ disnebbiate dalla metafisica, ossia dalla religione, e se ne
nutre e se ne bea. Ma la moltitudine degli intelligibili nell'
universe d immensurabile, e questa che
il solo Creatore vede per numero, peso e
misura in un sempKce intuito, 1' uomo
non percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi e pericoli, di conclusione in conclusigne.
Onde la neces- sity della modestia e
della pazienza nell' investigare e
nell'operare degli uomini, nel raccorre ed intendere le veritd, nella fisica del mondo. Comunque, il Cartesio animato come Bacone
(cbe pel dispregio alle tradizioni
incappd in alcuni errori) 292
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. e
Galileo daU'istesso desiderio di universale riforma, inaugurando piil precipuamente il metodo di
osserva- zione interna, devesi a lui il
compimento dei mezzi e gl' istrumenti
per la vera filosofia, Tesperienza e la spe-
culazione. La quale ultima per il Cartesio recata invero all' eccesso, chiuso il pensiero in se
stesso, n^ riguar- dando piU alle sue
attinenze reali, porto ad errori il
filosofo illustre, e porse occasione a scuole diverse arbi- trarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il
Malebranche, in quella guisa stessa che
dall' empirismo di Bacone scop- pid il
sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio
dair esame, e per esso istitui un metodo, e indi tento un ordinamento generale di tutte le scienze;
se non che, ponendo il dubbio non solo
di ogni istruzione rice- vuta, ma pur
anche del valore delle fiacoM umane,
eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' alge- bra e della geometria de' suoi tempi. (CONTI,
Op, cit^ vol. II, pag. 354.) Lo si
deduce chiaro dal suo discorso sul
metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico che la Francia abbia prodotto, spinto dalla
filosofia cartesiana, o meglio dalla
parte negativa di essa, il dubbio, si
rifugid nel misticismo, e con esso la sua
filosofia, ond' e' ritornava alle intuizioni Platoniche, e preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini. Tali erano i principali sistemi che allora
signoreg- giavano il mondo della
filosofia, disputandosi il primaU) deir
autorit^, e tra loro contrastandosi.
Orazio Rucellai ebbe cognizione di tutti questi ele- menti, da' quali esci faori 1' et§. moderna:
se non che non dotato di molta vigoria
di speculazione, o per for- marne
I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo
filosofare or I'uno or I'altro seguitd riuscendo eclet- tico, e per5 speculativamente scettico una
seconda volta. Spiego quest' ultima
frase, in che ripongo la sostanza
OSSERYAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 293 della critica, con la quale io do termine a
questo libro. La filosofia del Rucellai ammette, lo
vedemmo, una prima divisione generale
per rapporto al metodo; ciod negativa e
costruttiva^ e si nell'una come neU'altra
non esce il filosofo da' termini del probabilismo, egual- mente che la seoonda Accademia, guidata da
Filone che fu il primo neoplatonico di
Alessandria; la quale riconoscendo la
natura assoluta del vero, ammetteva solo
come verosimili le dottrine che ne derivavano. Ad illustrare la qualitit filosofica del
Rucellai, si prenda in esempio Cicerone.
Questo grand' uomo in alcune parti della
sua dottrina sembra tenere dell' Accademia
Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura del mondo e di Dio afferma con probabilita anzichd con
certezza. Ma le probabilitli di Cicerone
si ristringono alle deter- minazioni di
problemi che il Paganesimo e 1' estremo
corrompimento e infiacchimento della filosofia greca ai suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi
Cicerone non pone in dubbio mai 1'
evidenza dei supremi assiomi della
ragione ; non in dubbio mai la veracity del testi- monio della coscienza psicologica e morale;
non in dubbio mai la validity del metodo
dialettico e logico; n^ in dubbio mai la
conoscenza che Dio e, ed h distinto dal
mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge natu- rale eterna e i doveri e i diritti che ne
derivano. Ma il Rucellai non fa come il
GiureconsultoJRomano; egli se ne sta,
sfiduciato della ragione, nel gretto del pro-
babile, e ritiene essa, la ragione, non potergli dare di pill. E, lo ripeto, questo h naturale;
imperocchd nello svolgimento della
rifiessione filosofica, dovea seguire
che fra tante autorit^ opposte, la mente di lui si sen- tisse quasi smarrita, e che egli, come molti
altri, dubi- tasse della ragione
appunto, perch^ si palesava con 294
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.
sistemi tanto contraij, e si rifuggisse nella fede del sovrannaturale, sostenendo incapace la
ragione a farci conoscere la
verity. Gontro i sofisti, pertanto, ei
ripete ed accoglie qiial principio di
metodo la proposizione socratica; ma non
sa derivarne, come Socrate, il suo mondo intelli- gibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare,
perche sorretto dag? insegnamenti di
Galileo e di Platone; ma si contenta di
meno assai, sapendo bene di sa- pere per
fede, che egli stabilisce come unico fonda-
mento di assoluta certezza, con tal divario nell'inten- dimento da' filosofi cristiani o dottori del
Medio Evo ; che, cio6, mentre essi
ponevano la filosofia come pre- liminare
certo della teologia, sicchd d' ambedue si
faceva un' unica sapienza, accordando la ragione col- I'autoritii (Vedi Beductio artium ad
Theologiam di san Bonaventura, e le
prime questioni delle due Somnie di san
Tommaso e il Gerzone De octdo); il Rucellai,
invece, dichiara la filosofia seienza dei probabili, che delle ultimo ragioni, alle quali conduce,
possiamo sem- pre comecch^ sia
dubitare. II Rucellai poi h moderno
apparentemente nel metodo, la
osservazione, la induzione e 1' esame per
fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del
vero. Galileo suo maestro osservava,
provava, sperimen- tava, induceva,
riprovava nel mondo dei fenomeni, e
creava cosi la fisica ; e diceva sapientemente : il ten- tar r essenze aver egli per impresa
impossibile ; e ab- batteva V alchimia e
quel castelli incantati d' ogni si-
stema a priori ; riconduceva la ragione al suo posto, e facendola ridiscendere da quelle altezze
pericolose, dove temerariamente se n'
era salita, la riakava nel fatto, poicM
nell' ordine stia la grandezza e la perfe-
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAL 295 zione degli esseri. II Rucellai batte la
strada del Ga- lilei, ne accoglie quasi
religiosamente i pijecetti ed il metodo,
ma a qual fine ? con quali intendimenti ? Per
arrivare con Galileo alia certezza naturale delle cose ? Mi sembra che la lunga esposizione del suo
lavoro filo- sofico contenga la risposta
genuina e sicura. Notisi frattanto, o
meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni
dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, il Rucellai protesta di voler affidarsi alia sua ragione,
di volere starsi all' esame dei fatti
sia esterni che intemi nel suo discorso
filosofico, e di non accettar ciecamente la
autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che non si deve formar
giudizj sopra quelle che pare a noi, ma
e'fa mestieri esami- nare le cose,
avanti di pronunziar sentenzia ; e asseri-
sce a ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione
delle cose, e non nell' affidarsi alia
sola Sbuiorith dei Maestri ; che d
percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati giudizii a favore piiH
d' una che d' un' altra opinione, sia
d'Aristotile, o di Platone, o di
Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione fa in noi grandissima forza,
anzi iegli d molto malagevole lo
spogUarsene, quando ci si 6 fatto r
abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', coti- tro i Sofisti). II lettore vede che qui tutto
in apparenza precede direttamente ; che
il filosofo, nel metodo este- riore, ^
seguace del Cartesio e del Galileo, oh' egli e in- somnia un moderno. E, voglio avvertirlo, non
intendo chiamar filosofo moderno chi d'
ogni autorita e sprez- zatore,
imperocchd allora bisognerebbe non fosse piil
uomo, essendo pur essa, I'autoritii, un elemento essen- ziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh
altri fecero getto di quella ; chd anzi
studiava il nostro matematico e 296
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.
Platone e Aristotile, e da tutti, siccome Socrate, avea ambizione di intendere, e I'autorM
ragionevole di essi fomivagli sussidio a
conoscere la verity. Se non che il
Rucellai, che professa di seguire queste
onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si
diparte. II suo metodo ed il suo esame
non 6 che un istrumento per la vittoria
della fede. In che modo ? Gik prima di
porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la nmana e la divina,
ha determi- nato in mente sua il punto
preciso a cui egli vuole arri- vare, non
per teoremi razionali, ma secondo la fede sol-
tanto; e guai altrimenti, con tanta sfiducia in che e'tiene le forze della ragione ! Egli ha detto : —
Queste sono le ve- rity inf allibili di
nostra fede, alia quale io mi piego inte-
ramente : la umana ragione, pud ella, nel suo procedere, condurmi alle medesime verity ? riesce ella a
darmene una riprova certa o soltanto
probabile? Esaminiamo!— Vedete pertanto
che questo esame non h un mezzo per*
scoprire la verita, come per il Galileo, per il Car- tesio, e pe' filosofi moderni ; il Rucellai
questa verita nell'ordine degK enti la
conosce per fede; il suo esa- me
razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o anche 1' accordo di questa
con la fede; ma in lui e palesemente la
preoccupazione di mostrar coUa ragione
la impotenza della ragione a dame cer-
tezza, per concludere poi a favore della fede che la certezza pu6 venirci solo da questa, e che si
accordano con essa le massime
probability razionali. In un tal quale
rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi del Rucellai al Saggio del La
Mennais Sulh Indifferensa, ed in un
altro rispetto ne dissomigUano. Qual
somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare, come il Rucellai, la impotenza della
ragione OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA
DEL RUCELLAI. 297 a faxci conoscere con
certezza la verity, certezza che solo
vien dalla fede. In che la dissomiglianza ? 11 La Mennais afferma che la nostra ragione da s^
sola si contraddice di necessity ; il
Rucellai, per contrario, af- ferma che
la ragione pu6 giungere a dottrine piU o
meno probabili, e, come probabUi, in armonia coUa certezza della fede. Che la ragione non si
reputi ca- pace da lui di giungere alia
certezza, egli lo mostra da cima a fondo
ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia
naturale, e nella morale non arriva colF esame e colla riflessione che a ragioni probabili piii o
meno. Orazio Bicasoli Bucellai, la
sentenza socratica quesf uno to So che
nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio
scetticismo ; in quella guisa medesima
ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E
tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socra- tico in tutta la parte de' suoi Dialoghi, la
quale si comprende nella Villeggiatura
Tusculana, che pur le dottrine stesse
del Galileo, dove si accennano teorie
filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente sperimen- tali fisiche, non professa guari come certe,
ma come tra le probabili le piii
probabili, sulla scienza del Mondo, e,
come tali, da non escludere che altre in pro-
gresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il Timeo di Platone, cosi nel trattato della
Frowidenza^ che chiude la Villeggiatura
Tusculana, ei si restringe sem- pre nel
solito probabilismo, quantunque parlando del
Provvedere eterno, o dell' Arte divina nel mondo, mostri credere fermamente ch'ella esiste ed
opera in esse ; ma le ragioni ed i fatti
ritiene nient' altro che come barlumi di
quel vero, il quale per la fede reli-
giosa sfavilla alle menti che credono. E molto effica- cemente della liberty egli discorre, facendo
tesoro degli argomenti recati in campo
da'piH reputati filo- 298 CAPITOLO
DECIMOQUINTO ED ULTIMO. sofi in
sostegno di essa; ma con le riserye consnete
della Seconda Accademia, e considerando la ragione come regina se non spodestata del regno
intellettual/B dell' Uomo, pur di ben
misera autorit^ e ginrisdizione sovr'
esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd di evidenza per lui, Bicchd per esse la
ragione ritorni sovrana, e siano del
sapere i primordj sicuri. Nelle morali
verity poi lascia egli quel suo metodo dei pro-
babili e afferma con sicurezza ; ma queste affermazioni non procedono da evidenza di ragione, bensi
apparisce chiaro che esse procedono
dalla dottrina del Cristia- nesimo
intorno ai fini soprannaturali, ed ai precetti
per conseguirli ; tanto che le dottrine platoniche, ari- stoteliche, ec, servono solo di raflEronto al
catechismo. Questo sia detto pel metodo
della filosofia nelle opere del Rucellai
; su che io stimo aver discorso ba-
stevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha avuto occasione di fare da se, con qualche
ampiezza, de' Dior loghi filosofici di
lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile per-
suadersene, che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclet- tico, e pero dit mano di nuovo alio
scetticismo, ripro- ducendo cosi pure
per la centesima volta le condizioni del
pensiero in quel secolo, ed espirando inalterata I'atmosfera filosofica del suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre punti cardinali,
a dir cosi, del suo filosofare dovevan
condurre»il Rucellai all' eclettismo.
Quei tre punti consistono : primOy cer-
tezza per la fede ; secondo, cdmputo delle razionaU pro- bability in sostegno della fede; ter^o,
esclusione del- r autorit^ del tale o
del tal altro filosofo particolare,
secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche non avendo il Rucellai piena fiducia nella ragione,
escludendo le particolari autorita dei
filosofi, doveva naturalmente ridursi a
cercare i dati del suo cdmputo di probabi-
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 299 lita nelle opinioni varie di tutte le
scuole, tentan- done un accozzo.
Aristotile e Platone, Epicure e
Cartesio, Galileo e il Tradizionalismo, tali erano le scuole principali che disputavansi il terreno
in quel secolo. Lo abbiamo veduto. II
Rucellai ve le trova, ne apprende gli
intendimenti, ne tenia un accordo; diro
con frase piil viva, e che il lettore mi consentir^, ne immagina una confederazione, con a capo,
perche sfi- duciato della ragione, la
fede. II Rucellai, pertanto, che
ritraeva in tutto del sue tempo, in cui
la forza speculativa degl'Italiani era
svanita, e non lievemente svanita, di questa vi- goria di speculazione non era pur egli a
dovizia for- nito, per riuscire ad
aggiungere intendimento si alto e
generoso, a formar ciod questa sintesi, e comporre un' armonia si sovrana. Era dunque
inevitabile che in queste armonie
tentate ei si smarrisse, riuscendo in-
vece a una fantasmagoria di accordi, cioe ad un eclet- tismo di quei vari elementi, di quelle
dottrine diverse, e perd, lo ripeto,
desse mano di nuovo alio scetticismo,
poiche r eclettisrao sia di questo una forma partico- lare. E dico cid, distinguendo le intenzioni
dalla essenza speculativa d' un sistema.
L' eclettico, per le inten- zioni sue, ^
tutt' altro che scettico, anzi vuole opporsi
alio scetticismo: ma e scettico speculativamente, giacch^, negando che la ragione abbia potuto mai
produrre con un criterio intrinseco suo,
una dottrina non esclusiva di
sostanziali verity, crede che la filosofia si divida tutta in sistemi particolari ed erronei, dal
cui ricuci- mento possa derivare la
dottrina plena, o almanco la dottrina
massimamente probabile. Indi apparisce chiaro
che, quantunque V eclettico dica valersi d' un criterio interiore od anche della coscienza,
principalmente si vale di im criterio esteriore
o storico; poichd altri- 300 CAPITOLO
BECIMOQUINTO ED ULTIMO. menti, se
fiducia avesse nel criterio interiore, non im-
pugnerebbe la tradizione della filosofia vera, n6 la por- rebbe necessariamente divisa in brani od in
sistemi erronei. Va bene che lo studio
dei sistemi giova, bensi come aiuto, n^
potrebbe giovare, quando nn criterio
interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd,
forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro,
gli eclettici ban torto dicendo che
tutta la storia della filosofia h una
storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli insieme. Anche il
tradizionalista nelle intenzioni sue e
dommatico, ma h scettico specu-
lativamente, poich^ non ammette razionale certezza. Le quali cose ho volute notare per la natura
del mio soggetto, a far vedere cio^ che,
filosoficamente consi- derato, il
Rucellai partecipa dei dubbj del suo tempo,
e che egli cerca rifugio dai dubbj dommaticamentenel tradizionalismo, eniditamente nell'
ecclettismo. Qual'^ infatti la sua
dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed
a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si espongono le dottrine de' piii antichi filosofi intorno
a'principj universali della natura, e
che formano, ho detto, la parte negativa
del suo filosofare, il Rucellai non acr
cenna ad alcun sistema suo particolare intorno al prin- cipio materiale dell' Universe, e solamente
riducendo al nulla e destituendo d'ogni
valore di verity tutti quei sistemi
ritornati a vita dal Rinascimento, intona,
pud dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci
accorgiamo di leg- gieri come egli in
quelle pagine stesse distingua bene, del
pari che Galileo e la scuola moderna, la scienza metafisica dell' universe stesso dalla
filosofia naturale dalla fisica: progresso
grande, invero, questo;unpe-
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 301 rocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e
presso i Peri- patetici formava parte
integrale della filosofia la fisica. o
filosofia naturale, diversa assai dalla scienza meta- fisica del mondo, alia quale ben piCi
avvicinasi la fisica di Aristotile e di
Platone, intendendo essi questa ap-
punto non come scienza tutta di esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia
nel senso che le diamo oggi ; vale a
dire la scienza dell' ordine mondano in
relazione colPanima umana e con Dio;
sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse.
Comunque, la confusione della fisica
coUa metafisica era in que' se- coli
giunta al colmo, cagionando que' conflitti e quel- r eteme dispute che nelle scienze rendonsi
inevitabili, ognivolta gli obietti loro
per natura ed essenza distinti si
mischiano. Ed i fisici che volevano farla da meta- fisici, ponendosi a ricercare nell' ordine
degli enti esterni le leggi che
governavangli, presumevano trovarne ap-
che i fini, invadendo per cotal guisa il terreno della metafisica, con indicibile danno della
scienza e del suo stesso incremento. Ma
il Rucellai, riconoscendo tutto cio per
la benefica influenza delle dottrine e del me-
todo Galileiano, sfugge i pericoU di queste confusioni peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^
per obietto di studio 6 d' investigazioni
alia fisica, la quale intende ne'
termini stessi del suo maestro, riprovando nel fatto del suo scetticismo, e del senso negative con
cui in questa parte intende 1' aforisma
socfatico, quella na- turale filosofia
architettata a priori o con induzioni ed
esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da
alcune scuole del tempo suo. Tantochfe
del medesimo Platone ei rigetta le
opinioni intomo alia formazione del Mondo,
come quelle che non si fondamentano sulle solide basi 304 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. relazioni di dipendenza dell' una parte
dall'altra, e im- plicitamente
combattuto 1' errore di quei che V uomo
dicono operare in tale e in tal modo, col tale o tal organo, perch6 ha quell' organo, non perchd
questo I'abbia avuto a quel fine. Ed
ecco percid un altro punto capitalissimo
nel quale il Rucellai, pur non escendo dal
suo probabilismo, segue la filosofia modema, n^ cade nolle negazioni che delle cause finali si era
&tto prima di lui, e si faceva anche
al suo tempo. Ma di ci6 basti: ch^
inutile ripetizione sarebbe recar qui
nuovamente le parole del nostro Scrittore, dove di queste ragioni finali delle cose tutte
dichiara la sua credenza. N6 stard guari
piii oltre a ricordare come il Rucellai
ancora dissenta da Platone che ammette r
Anima dell' Universo, mentre si adopera a scusarne r errore, e a conciliare tal dottrina,
interpetrandola benignamente, coll'
insegnamento fisico galileiano e con
quelle religiose della Prowiden0a.
Come il lettore ricorder^, il Rucellai passando in rassegna i yarj sistemi antichi della
filosofia naturale, pose avanti il
concetto che Platone ayesse potuto in-
tendere di assegnare al mondo per anima sua la luce, che per Galileo ^ a tutte le cose frammista,
ed e la estrema espansione della natura
e in essa tutto risol- versi di tutto
cid che 6 nel mondo con la rarefazione.
N6 di cid abbiamo osservato esser pago il Kucellai, che nel Timeo si fa varj altri quesiti
intorno a quanto di diverso dal fin qui
detto potrebbe immaginarsi aver Pla-
tone opinato suUa natura delP anima universale, come, per esempio. se abbia potuto creder esser
quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal
primo supposto piglia le mosse a
confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi
reputati filosofi del suo tempo,
da'quali toglie gli argomenti probabili in
difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle
cose inor- ganiche, organiche, negli
animali e neiruomo, e da considerare i
fini della creazione, si domanda se per
anima dell' universe Platone possa aver tenuto I'amore, come quello che, necessario, tira a
ricongiunger le cose che per il loro
difetto dal loro ordine deviano, e, libero,
le creature ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i sup- posti spiega affermando che Dio non si deve
confon- dere col mondo, ne ponsare che
egli vi si trovi quasi anima in un corpo
; che Y amore puo, ma non come essere
vivente, ritenersi per anima universale, sibbene e Dio stesso, h il suo amore, o lo Spirito
Santo, il quale, virtii vivifica, e
legge impermutabile infinita ha valso
air ora della creazione, e varra in perpetuo.
E a questo sense crede il Rucellai poter ridursi, cristianeggiandolo, il pensiero del filosofo
greco, della cosmologia del quale ricorda
alcune sentenze da cui puo arguirsi che
1' amore abbia egli considerate se non
come 1' anima intera del mondo, almanco come il
fiore d'essa, che consiste nel medesimo; quell' amore che appresso i cristiani, in Dante, in
Petrarca ec, 20 306 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. altro non 6 nel suo concetto divino che la
provTiden- za, o lo spirito che di s^
tutto riempie 1' iini verso. E quest'
accordo tra Platone e la fede in tal su-
bietto palesemente dimostra aver tentato il Rucellai ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali
abbando- nandosi spesso a mistici voli,
si compiace rinvenire questa profonda
armonia tra il precetto di fede e il
pensiero del filosofo pagano, il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii d' ogni altro nell' errore della
gentility av- vicinossi all' idea vera
di Dio e de' suoi divini attri- buti,
quasi davvero gli si fosse in parte svelato.
E per concludere sull' opinione del Rucellai intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi del come
egU ap- plichi le armoniche proporzioni aU'anima
dell' universo, e in qual modo, altresi,
riconosca I'importanza delle matematiche
nello studio di esso, e quanto potuto abbia
su di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in brevi parole
sodisfare a que- st' oggetto,
rammentandosi come egU, il nostro scrit-
tore, discorso delle matematiche, esponga neUa sua verity r applicazione che 1' Ateniese fa di
esse aU'ani- ma Platonica, senza
as^entirvi, non ammettendo Tanima
universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza geometrizzante divina, il
numero, V ar- monia, dia lode a
Pittagora, Platone e a Galileo che
fecero base dello studio del mondo le matematiehe, e continui la tradizione perenne, chiamando con
essi la scienza delle quantity Vabbkcl
di ogni sapere. E come Platone, cosi il
Rucellai, che ne illustra il Timeo^ dall'anima
universale passa a discorrere del- 1'
anime razionali e della loro immortality.
II lettore ha tenuto dietro all' esposizione di questi argomenti, n^ vale qui, anco in succinto,
ritornare sopr' essi pid. Certo, il
nostro filosofo, ritagliando pur
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 307 qui dalle teorie platoniche sull'anima tutto
quello che alle dottrine del
Cristianesimo contrasta, gli argomenti
di Flatone sulla natura ed immortalitS; di quella ac- cetta ed espone, e cosi di Socrate, di
Pittagora e di Cicerone, de' Dottori e
de' Padri, come poi del Ficino e de'
neoplatonici del secolo decimoquinto, e anco del Cartesio, contemperati da quello che la fede
cristiana ne insegna, onde dal grado di
argomenti probabili assorgano alio
splendore della certezza. Ch^ col lume
della ragione solamente nelle prove dell' immortality dichiard anche qui nmi esservi da aspettarsi
mai prove convincenti^ oltre quelle
della nostra infalUbile cattolicd dot--
trina, percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre molte
verosimiglianze e probability. E dove
dell' idee parla, tenta (lo vedemmo) un
accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la mente umana e le idee innate del
Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1'
opinione aristotelica, tor- nata, tra'
moderni, in vita da Condillac, che lo intel-
letto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza
sottoscriversi alia teoria della
reminiscenza nel sense platonico, ammette
invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio, quantunque poi non
sia ben chiaro del come cid avvenga, e
anzi reputi questo un mistero, nel tempo
che Platone ammette chiara e de-
terminata la cognizione delle idee eterne. Non esclude la relazione obiettiva di queste, e accostasi
alia teo- rica delle idee secondo il
Cartesio, temprandola col suo
neoplatonismo, e combatte il Gassendi, non esclu- dendo per6 quel che gli sembra contenere di
buono, fino a dire che ritagliando un
po' di qu^ e un po' di 1^ si puo venire
a un terzo ripiego di verosimiglianze. E
in fatti ritiene come probabile che Iddio creando 308 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. ranima e infondendo in essa il lume delle
idee, queste per la nebbia del corpo e
de' sensi yengano ad essere alquanto nel
loro fulgore offuscate, e i nuvoli della
materia parino la vista all' occhio deiranima, per modo che anche da tal fatto del conoscimento
imperfetto at- tuale delle idee e delle
cose arguir si possa Tadem- pimento per
noi del conoscere intiero in altro luogo
che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che in questa teoria della cognizione e in quest' accordi
e' non riesca ben chiaro a determinar
cosa pensi ; e che il suo pro- babilismo
assuma qui la qualita dell' esitazione e della
incertezza, e che in questa e'faccia pur altalenare la mente del critico. Causa al certo non
secondaria di tutto ci5 le deboli ali
del suo speculare, ben diverse dalla
semplice erudizione , che mentre al probabilismo suo pud dar la quality di erudite, non vale
ad aggiun- gere vigoria a quelle
intelligenze spossate da' contrasti di
si diverse dottrine. Che se dall'
intendere dell' uomo passiamo al vole-
re, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni obiezione della scuola epicurea e
determinista, la quale niega la liberta
umana, avemmo luogo di riscon- trare anco
qui il neoplatonico cristiano, il quale, fa-
cendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dal- r antiche scuole fino a' suoi tempi a
sostegno di essa si recarono, manifesta
1' ampia erudizione della sua mente da
un lato, e dall' altro il suo intendimento di
una sintesi delle opinioni diverse, come per esempio quella della liberty e quella del fato, lo
stoicismo e r epicureismo, del libero
arbitrio e della predestina- zione,
siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvi-
denza. Cio che preme di notare si d in primo luogo: che alle varie facolta dell' anima non fa
corrispondere altrettante anime, e, come
a- dire, giusta il pensiero
OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI. 309 platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la
intellettiva, radice della conoscenza e
del volere ; sibbene pur am- mettendo
queste distinzioni, le considera come quality
di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il corpo deiruomo venne formato. In secondo luogo: che
il Rucellai ponendo in sodo, con tutti
gli argomenti pro7 babili de' quali puo
disporre, la liberty dell' arbitrio
umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, pre- cisamente come Platone faceva, e la
possibility per r uomo di tendere al
conseguimento del bene perfetto e della
perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene
persuasi, e riandar col pensiero
principalmente i due be'Dia- loghi che
nel trattato della Provvidenza si trovano,
dove del dono della ragione, e della liberty e del fato discorre. Come in principio della esposizione
della sua psicologia e filosofia morale
osservammo, giova ram- mentarci qui
esser questa la parte piil manchevole e
imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente al- r intendimento mio, che ^ quello di
dimostrare il suo eclettismo, e V
applicazione mancata in lui del Nosce te
ipsum. Vuolsi avvertire qui come succedesse al Ru- cellai quello che poi succedette al Cousin,
qualunque siaperaltririspetti la
diversita d'ingegno, d'inchnazioni e di
successi dall' uno all' altro. II Cousin, cosi nelle sue Lezioni di storia della filosofia, come
in ogni altra sua opera, sempre ripete
per gl'insegnamenti di Cartesio la
necessity, dell' osservazione interiore o dello studio della coscienza umana ;sicche parrebbe ch'
egli lo studio de' sistemi avesse dovuto
subordinare a questo esame interiore, e
al criterio della coscienza. Ma invece lo
studio storico de' sistemi ^ V intendimento eclettico ed espresso del Cousin che reputa trovare in
essi la in- tegrita della filosofia.
Similmente il Rucellai ripete il 310
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. Nosce
te ipsum di Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi si vale piCi eruditamente dei sistemi che
non del- r esame interioi:^. E come la
interpetrazione negativa del questo io
so che nierUe to so valse al Rucellai d'im-
pulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte
dubitativa negativa delle dottrine
cartesiane servi d' impulse al Cousin
per il suo Edettismo. Ed infatti,
lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^
cui il medesimo Rucellai guarda e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua
infallibile de' suoi ragionamenti, le
verita della fede, egli non voltando le
spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente
di con- ciliare insieme, giusta pud
vedersi nella definizione della virtii e
nella classificazione degli ofBcj umani.
Si pud dire anzi che egli non abbia fatto che seguir passo passo or questo or quel sistema e quel
metodo; che il suo, piCi che un
trattato, anco incomplete, sia piuttosto
uno specchio delle sottili distinzioni di quelle virtii e di quel doveri, che Cicerone viene
nei suoi libri enumerando. Imperciocchd
il leggitore abbia in mente quali
fossero intomo la morale o la teorica del-
r operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore
e mal- levadore della Legge morale. La
qual legge, imposta al volere deiranima,
da Platone stesso riconosciuta e per la
prima volta dimostrata immortale, riducesi
alia pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Ar- chetipo sommo, ciod a conformare le nostre
azioni alle idee, anteponendo all' amore
dei beni sensibili quello del buono
assoluto. La virtii d una ; ma comprende in
se quattro elementi, che corrispondono alle quattro virtti conosciute da noi sotto il nome di
cardinal!, sa- OSSERVAZIONI SULLA
FILOSOFIA DEL RUCELLAL 311 pienza
(sofia), coraggio o costanza, temperanza e pro-
bity giustizia. L' applicazione della legge morale non gi^ alia volontS; degl' individui, ma a
quella del popoli e delle nazioni,
costituisce la politica nel senso di
Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a s6 stesso, allorch^ distinti nello stato i tre ordini,
ottimati o sapienti, guerrieri ed
operai, questi faceva servi, non punto
mostravasi alia corruzione dei tempi superiore,
quando, per esempio, pigliando a massima che 1' utile non dev' essere un diritto esclusivo e che
dalla society umana vogliono eliminarsi
i sospetti di prole illegit- tima, ne
inferiva la comunanza dei beni e delle donne.
Per Aristotile il bene morale ^ la felicitit, il bene as- soluto e la beatitudine perfetta che
comprende V atti- vit^ perfetta e il
godimento perfetto. Base dell' ope- rare
umano ^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa raggiungere la felicity, che ^ la somma dei
godimenti. II bene finite non § che un
accostamento al bene as- soluto: desso
bene s'identifica col fine, e perd la ri-
cerca del bene e del fine si unificano. II mezzo per- tanto di conseguir questo bene, ossia la
felicity, § la Yirtti. La quale consiste
nell' evitare i due estremi del vizio,
come la vilta e la superbia, tenendoci nel
giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno
tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or
bene, ognun vede subito come la base su
cui si fonda la giustizia d per
Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone.
Imperciocchd Aristotile parta dallo studio del- rUomo e dei fatti sociali, e sia guidato,
come Pla- tone, dall'ideale del bene
assoluto, ed essere divino; ma pero il
suo ideale 6 il tipo perfetto della virtd,
cio^ la beatitudine, che • comprende attivita perfetta e 312 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. godimento i)erfetto ; mentre 1' ideale
Platonico contiene r unita perfetta,
assoluta, e percio il niodo di render
giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl' intendimenti degli
Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio
nella sua SL deUa FUosofia) che ogni
male ed ogni bene ^ solo apparente o
relativo, tranne il vizio che d un male vero e posi- tivo, e la virtii che ha in se un valore
assoluto. La virtii ^ una sola, un solo il
vizio, e tutte le buone azioni fra loro,
come fra loro le cattive, sono equi-
valenti ; ma la virtti si esercita in quattro modi principalmente, colla prudenza, col coraggio
o for- tezza d'animo, colla temperanzia
e colla giustizia; e dicasi lo stesso
del vizio, le cui forme stamio negli
otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti.
> La virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata come il yizio (^
una con- seguenza della ragione disordinata
o pervertita, che non sa vincere le
cattive inclinazioni, sradicare gli af-
fetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici
chiamato apatia^ nel quale 1' animo
senz' essere insensibile, e pero libero
da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa tur- bare la pace interna. Questa la mercede alia
virtd promessa, questo il premio
accordato al sofo o saggio, r apatia.
Frammezzo alle contraddizioni e agli errori
dello stoicismo, che qui non giova rimettere in mo- stra, ognuno scorge nel sistema un germe di
nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo
e destare in lui il sentimento della
propria dignity dagli Stoici (s(^-
giunge il Paysio giustamente) portato fino all'or- goglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che
i beni OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA
DEL RUCELLAI. 313 menzogneri disdegna,
e i inali pcggiori non cura, anzi
disfida. » Si fractus illabatur
orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del
Ru- ceUai, non che sparsi poi in tutti
gli altri, preci- puamente nel trattato
della Provvidenza divina, noi ritroviamo
predominare quest! tre sistemi da me rian-
dati di volo, e del quali egli cerco, tolto da ciascuno il non buono, T accordo, subordinandolo
sempre, s' in- tende, ai principj della
morale cristiana che irraggia e vivifica
V umana coscienza. Pone egli, con Aristotile,
mezzo della felicity la virtii che sta tra due estremi ; con che non dee intendersi il mediocre,
sebbene la giusta misura oltre la quale
e un trasmodare. La ra- gione, egli dice
poi con Platone, fonda i suoi motivi
sulla costanza de' beni, e con gli Stoici stima beni anco i mali present!, che perd menano a
felicity. E distingue con Aristotile tre
sorta di beni, ieWAnima, della fortuna e
del senso^ e che nel definir giusto la
natura di quest! beni, e aggiunge quale tra essi costitui- sce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia
morale che ^, dice egli, la pii\ vera e
megliofondata filosofia deU'Uomo. La
quale null'altro 6 alia per fine che il timore di DiOj in che sta il vero mezzo di conseguire
la vera felicity, ciod il Paradise, che
equivarrebbe al possesso del Bene sommo,
assoluto di Platone. Qui il Rucellai
segue addirittura le credenze religiose, alle quali vuol ricoUegati i sistemi di morale antica
rivissuti ne' con- temporanei : tantoch^
pur lo Stoicismo che qui par- rebbe
escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi
fiate il filosofo nostrp vada ripetendo
che la virtil dee eserci- 314
CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO. tarsi
ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell' esercizio di essa debba Y Uomo ritrovare quaggiii la
vera feli- city. Pero quantunque il
Rucellai abbia posto a fon- damento
della morale la libertlL umana, siccome ve-
demmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^ del percM della Legge morale ragiona, cbe ha fondamento
nel divino e trae dalla mente eterna la
sua forza, la sua sanzione : invece li
pone come postulati necessarj e gia
consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi, quan- tunque non manchi di distinguere tra legge
divina e naturale, e tra naturale e
positiva. Nella divisione poi delle
rirtii e nell' analisi di esse e degli
opposti loro, segue Aristotile, Cicerone e
san Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo stabilire il fine della Society umana, cbe
riconosce nel Bene comune, nell' utile
coordinato all' onesto : ond' 6 ch' ei
tiene per principal fondamento dell' umano con-
sorzio e regolatrice degli Uffizj umani la giustimy e poi le altre virtii, cbe insieme a tutte le
loro compa- gne secondarie definisce con
san Tommaso, come que- st! le avea alia
sua volta definite con Cicerone e con
Aristotile. E nel dividere gH
ufficj stessi dell' uomo, segue il
Rucellai Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi non fa cbe ripetere in compendio tutto cid
cbe il giu- reconsulto romano lascid
scritto intorno a sifiiatto ar- gomento,
temperandolo sempre con 1' insegnamento
cristiano. In conclusione, come nel tempo suo anco nolle questioni supreme morali riscontravasi
un con- trasto di dottrine, la
platonica, 1' aristotelica, la stoica, la
epicurea, la cristiana; cosi negli scritti morali del Rucellai tutti questi diversi elementi
ritrovansi in un singolare eclettismo
riuniti. E bo detto ancbe la scuda
epicureaj e non a case; imperoccb^ il Rucellai stesso OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI.
315 non escluda che pure i beni del
senso ordinatamente goduti sieno fonte
di felicity, e mezzo al conseguimento
del vero bene; nel che scorgesi tosto bensi la diflfe- renza tra lo intendimento Epicureo e quelle
di lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi
seguaci nei beni del senso ordinatamente
goduti fanno consistere il vero fine
della natura umana; il Rucellai tempera e cor-
regge tale dottrina, restituendo a' beni sensibili il va- lore e V ufficio che ad essi si compete, vale
a dire di mezzo al raggiungimento del
fine supremo dell' uomo, che 6, giusta
Platone e il Cristianesimo, il Bene Sommo,
Iddio. Proferendo questa parola,
entriamo finalmente nei penetrali della
teologia : esaminiamo brevemente se pur
in essa il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo alio stile e a'
personaggi de' suoi Dialoghi, avrd
terminate. Come Platone, cosi il
Rucellai riguarda Dio ente eterno,
infinite, beato in sd e finalita suprema, nella
cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a
Dio la materia, egli, il Rucellai, col
Cristianesimo si scosta qui dall'
insegnamento platonico, e professa Dio crea-
tore ex nihilo, tomando poi con V Ateniese e Pittagora a considerarlo com' eterno geometrizzante,
ordinatore e provvidente, e da questo
attribute di Dio, dall' Arte divina che
si manifesta nel Monde trae argomenti pro-
babili dell' esistenza del supremo Facitore, non esclu- dendo perd affatto la possibility della prova
a priori^ quelle, per esempio, del
Cartesio, che dall' idea dell' in-
finite argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sem- pre a cardine de'suoi ragionamenti le verity
della fede. E nel passare in esame il
trattato sue della Prov- videnza, credo
il lettore abbia veduto il Rucellai far
316 CAPITOLO DECIMOQUINTO ED ULTIMO.
tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro r Epicureismo, specialmente della filosofia
de' Padri del Cristianesimo, sovrattutto
dove discorre del mali e del- r origin
loro, dimostrando come di veri mali sia sola-
mente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo
e prowi- dente per sua natura, non possa
essere origine di male vero ; mentre
quello che a noi nella natura sembra
male, o ^ limit e naturale delle cose, siccome la morte, e pero non e male in s6 ; ovveramente 6 del
fatto, che giudichiamo esser male,
sconosciuto a noi il fine o Tor- dinamento,
e in tal caso egli e questo un errore delle
nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come ve- desi, ha seguito Platone, e gli Stoici, e la
tradizione uni- versale cristiana. Ma
per 6, ricordiamoci anco una volta,
egli, affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere escire da' limiti del
probabilismo, e di esser necessario lo
starsi a quel che la Fede ce ne disvela,
imperocch^ V uomo che colla sua ragione
sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter
Die e nel provarne la sua esistenza ;
Cristiano nell' ammet- terlo come
Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni
di ragione ; mistico e tradizionalista ne' suoi intendi- menti e nel suo metodo reale, generalmente
seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque il Rucellai nell' esame de'
tre obietti deUa filosofia, V Universe,
1' Uomo, Dio, una seconda volta scettico
filosoficamente, poich^ egli non esce dal-
r eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato) 1' eclettico, sfiduciato dal contrasto turbinoso delle
opinioni e de'si- stemi diversi, abbia
perduto ogni stima nel criterio in-
teriore della coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della verity ; ma
pur bramoso OSSERVAZIONI SULLA
FILOSOFIA BEL RUCELLAI. 317 di questa,
si pone a sceglier tra le tante teorie quel
che gli pare sufficiente a ricostituirsela innanzi gli oc- chi, formosa piil ch' e' pud, affine di
sottrarsi alia de- solazione del
nulla. Se il Rucellai abbia vissuto in
un' et^ di contrasti, vide il lettore
diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del
suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale che raen- tre giustifica in parte almeno il suo errore,
stabilisce il punto di vista importante
sotto il quale si pud con- siderare
quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disci- phne filosofiche, agli studiosi delle leggi
con le quali il pensiero umano si svolge
nelle vicende de' secoli. Un' ultima
considerazione. Essa risguarda la strut-
turade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma este- riore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando
anco in que- sta un triplice riscontro
della verita del soggetto propostomi, e,
fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre
dopo il gia osservato superiormente, riandare anche per capi, le condizioni della lingua e
letteratura del tempo. Noi le abbiam
presenti, e basta esaminare la forma
esteriore e lo stile de' Dialoghi del Rucellai, per- chd sia evidente la rispondenza tra le prime
e i secondi. Qual' e infatti la forma
de' suoi scritti filosofici ? II
dialogizzare socratico, forma prediletta nell' antichita, risuscitata in Italia fin dal trecento dal
nostro Pe- trarca. Quella forma
preferita pur anco dal Galileo, siccome
la piii acconcia a dar calore di vita alle dot-
trine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come es- seri animati. II Eucellai, anch'egli
ammiratore delle dottrine platoniche, e
seguace almeno esteriormente del metodo
di Socrate e del Galileo in quel secolo, oltre
dettar le opere sue nella lingua volgare, predilige ac- conciarle a quella forma cosi semplice, come
efficace, e che tanto bene opponevasi
anco in cid al fare irto 318 CAPITOLO
DECIMOQUINTO ED ULTIMO. e disarmonioso
de' Peripatetic! eccessivi e della Scola-
stica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli Aver- roisti), la quale, per cosi dire, gelava il
pensiero in quelle forme secche ed
incadaverite, e rendeva gravosa la
scienza destituendola di ogni attraimento ; con che non vogliaino offendere la temperanza de'
libri di san Tommaso, pur nelle forme
sillogistiche. Imperciocch^ la scienza
sia non un che morto, ed astratto, ma par-
landoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo, della vita divina e delle loro relazioni, debba
esser anzi su- premamente viva, ed adoma
di bellezza giovanile, per- ch6 sia
quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese,
ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell'
anima dell' universo che nelle sue
poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo battere ad ogni istante di palpiti sovrumani
e rispon- dere alle celesti armonie, e
Iddio come sole intelligi- bile
scaldare, fecondandoli, i germi preziosi di quella mente, dove sorrise perenne la primavera del
bello. Orazio Rucellai commosso da
questi concenti divini, voile nell'opere
sue imitare Platone e la sua arte; e,
per dir vero, nelle sue platoniche descrizioni, nel- r introdurre il discorso suUe diverse materie
con abba- stanza facility, e saper man
mano socraticamente pro- cedere nella
risoluzione dei varj quesiti imita bene il
Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua pur qui compa- riscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd
tu incontri, per esempio,uninterlocutore
che senzainterruzioniperpren- der fiato
e per rompere la monotonia prosegue per lun-
ghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una
cattedra; e le immagini e le frasi
ritraggono talora di quel colorito che i
tempi seco portavano, come ho avuto luogo di
fare osservare per le poesie e per le prose letterarie OSSERVAZIONI SULLA FILOSOFIA DEL RUCELLAI.
319 di lui. Con tutto cid la lingua d
tersissima e ricca, e in generale lo
stile allettevole e ripieno di pure bel-
lezze : e ti 6 dato in questi Dialoghi ammirare delle voci preziose, sicch^ il filosofo italiano pud
trovar qui, come nei Dialoghi stupendi
del Tasso, e nell'opere volgari di
Monsignor Piccolomini, la genuina favella dottri- nale, anzich^ pescarla ne'libri
stranieri. E la natura diversa de'
personaggi adoperati dal Rucellai e un'
ultima conferma delle nostre persuasioni.
Infatti basta a tutti ricordare chi pone a maestro e man- tenitore principale de'suoi Dialoghi
iilosofici. fi il Ma- giotti, un
neoplatonico vero, e seguace delle dottrine fisi- che del Galilei; ma sacerdote, e
soverchiamente inclinato al
tradizionalismo, per guisa che laragione destituisca del suo legittimo valore, e criterio supremo
della verity pro- fessi solamente la
fede rivelata. E gli altri poi, credenti
tutti, fingono di tenere o da Epicuro, o da Cartesio, o da Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo
figlio, per il quale precipuamente
questi Dialoghi furono scritti,fa il Eucel-
lai rappresentare la parte fanciulla della ragione sola, che cerca liberarsi dai dubbi che
I'assalgano; dubbi che vengono passo
passo fugati dagli altri coll' autorit^ di
Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro
argomenti probabili, per trovar quindi V
intera pace deir anima nella certezza
evidente della verity della fede. Come
vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la na- tura del filosofare del Eucellai, il suo
metodo, il suo fine, e dimostrano essi
pure quant' io non andassi errato
definendo la filosofia o il probabilismo filosofico del Eu cel- lai : un viaggio alia fede e colla fede per
la natura e per la ragione. Concludendo, io dico che in quella guisa che
nel consorzio civile del secolo XVII,
pure nel Eucellai 320 CAPITOLO
DECIMOQUINTO ED ULTIMO, trovammo i
contrasti delle abitudini, de' pensieri e delle
dottrine, giusta che ce ne fecero testimonianza e la sua vita, e le sue poesie, e le sue prose
letterarie e scien- tifiche, ed infine i
suoi Dialoghi filosofici. Che percio
egli vale meglio di ogni altro a rappresentarci il suo tempo, le quality costitutive di esso in
Firenze, imper- ciocche mentre tutti gli
altri, chi ad una piuttosto che ad un'
altra opinione assentiva, chi un sistema piutto- sto che un altro seguitava, o nella fisica, o
nella filo- sofia; il Eucellai che
chiude V eik del Rinascimento, tien
dietro a tutti, e da tutti trae a comporre Tedi- fizio suo, i cui materiali concilia
ecletticamente con la verity della fede
che gli fa da cemento : e, altresi,
perch^ questa conciliazione ha piil dell' accademico che deir intimamente speculative; speculazione,
che salvo le scienze naturali, era molto
fiacca a que' tempi nella sua
patria. Sembranmi chiare le premesse,
legittima la conclu- sione ; per il che
io dovrei aprir 1' animo alia speranza
di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio illustre Con- cittadino reso onore vanamente. II benevolo
lettore che mi accompagnd lunghesso la
via, non serapre, a dir vero, amena e
leggiadra, giudichera : e il suo giudizio,
qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sa- piente e amorevole a nuove e maggiori
fatiche, delle quali sar^ sempre mio
fine la Verita ed il suo Amore*
APPENDICE. ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. ai
OTTAVB. ALLA SERENISSIMA
MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di
Toscana. Per un mazxolino di Fiori
donatole il giomo di Santa Mar^herita
dal Priore Orazio Rucellai,
Quando lacrime sparge il di nascente
Dal sen delPalba in rngiadoso nembo,
Ghiare conche eritree del mar iremente
Teti gli appresta, e le raccoglie in grembo. Poi spiega il Sol dal lucido ori'ente De'raggi onde si veste aurato lembo, E con alta virtii di sue faville Ragnna in perle Talbeggianti stille. Ma non tutte del mar Palta Reina Accolse in Bh le prezi'ose prede; Oh! a te di quella inargentata brina Tatto cosperso il bianco sen si vede, E 1 sol degli occhi tuoi le tempra, e
a£&na In piii pregiate e chiare
perle, e cede Quel cbe risplende con
eterni ardori A te, donna reale, i primi
onori. Or qual pegno al tuo nome in si
bel giomo Bender potr6 d* ossequioso
affetto? Questo di bianchi e casti fiori
adomo Ficciol fascio odoroso al Regio
petto 324 ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE Ahi non s^ aggaaglia, ch' il
falgor d^ intorno Fa parer negro ogni
piu cbiaro oggetto; Qual sotto a'rai del
sol smonta e s'imbrana YergogDando di se
1' argentea Luna. Dun^ue h vano tentar
I'alto pensiero, Che seguir non lo puo
mio stato umile, Ma pur conMo troppo
ardito, e spero Che lo mio buon voler
non prenda a vile QuelPeccelsa bonta
nota alFImpero, Che pur suole aggradir
dono servile, Se un timido rossor
purpuree rose In fra ^1 candor di questi
fiori ascose. SONETTI. Si querela che il sonno tenga troppo
chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di morte, i sensi
atterra, E gran parte di vita alPuom
ritoglie, Che quasi dal suo vel Talma
discioglie, E n'insogna le vie per gir
sotterra. Sonno s* altrui dk pace, a me
fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli
occhi togUe, L^ dove amor del Paradiso
accoglie II piii bel raggio che
risplenda in terra. Ben a giusta ragion
lagnar si vole Questo mio cor, ch^in
preda al sonno oppresso Scorge in si
lunga notte il suo bel sole; Se 1
Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui
la fronda, si di lei si duole Che 1
batter gli occhi suoi fusse si spesso.
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 325
Sentimenti amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier
risponde, E i sensi del mio cor penetra
e intende, Talor tra 1 sonno a
consolarmi scende Fercbe tregua il mio
duol non aye altronde. iDdi lace si
pura in me trasfonde, Cbe quasi senza
vel V alma comprende : Quantu e la su di
bello, e come splende Quel Yolto in Giel
che poca terra asconde. Dicemi:
apprendi che caduca e frale Nel mondo
ogni bellezza a morte fugge, E contro
morte il sospirar non vale. Ogni cosa
col tempo il tempo strugge, Ma se miri
il mio ben fatto immortale, Non ha chi
lo contrasti, o chi V adugge.
Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico, che Dio creasse V anime particolari degli uomini dagli avanzi
delVanima uni- versale del mondo. Con eterne faville il sommo sole Suo divino valor nel moudo accese, E quelPalta ragion dal Ciel discese, Ghe spirto infuse a cosi vasta mole. Ma percb6 si belF opra adempir vuole, I preziosi avanzi in man riprese, E vostr^ alma gentil formarne intese Con divine virtudi al mondo sole. E se mille anni, e mille altri compose Spiriti accesi da si ardente zelo, Qualche raggio piu vivo in voi nascose. E 'n porgervi natura il mortal velo Tanta cbiarezza e leggiadria ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa e
Gielo. 326 ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE Desiderio che ha Vanima
d*unirsi a Dio, Padre del Giel, che le
beiralme accogli Quasi figlie smarrite
entro al tuo seno, Dall^ atre nubi a
lucido sereno Teco r inalzi su gli
empire! sogli, Dal tenebroso carcere
ritogli La mia, cli^e mai si presso a
venir meno, £ di questo mortal limo
terreno La man che pria vestiUa or ne la
spogli. Se col tuo sangue ricomprar
yolesti Da rio seryaggio i miseri
mortali, Gosi gran somma anco a mio pro
spendesti; Da si caduchi ben, si grayi
mail Per gir lieta a goder beni
celesti, Tu sol puoi darle il volo,
impennar Tali. DELIA CORTE E DEL
RIGIRO DI ROMA LIBELLO DEL PRIORE ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. L* ngniaglianza di tutte le condizioni
degli uomini alle pretensioni di Roma fa
sempre giovevole, sincbe le digniti e le grandezze fiiron premio solamente de'meriti e delle yirth, Capitolo Peimo. La costituzione di questa Repubblica
universale di Roma si forma dal concorso
di tutte le Nazioni cattoliche, e dal- r
aMuenza continua de' pretendenti, i quali, gonfiando le rele delle proprie speranze, qua si trasportano da
qualunque re- gione del mondo. Ebbe per
suo sostegno nel suo originario
Institute quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Ari- m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 327 stocratico e Democratico, reputato per la
forma piti dura- bile, e meglio ordinata
di tutti i govemi, dov' ella si man*
tiene nella sua bene accordata armonia, e che runo stato di essa ben corrisponde e serve di
correggimenio alP eccesso deir
altro. Nel Papa risplende la Maest^ del
primo, che ha in s^ la plenitudine dell*
autorita Ec^lesiastica indipendentemente
da ogni altro fuori che da Cristo, di modo che niuno, ne -il Collegio stesso de' cardinali contradice
a quel che e' deli- bera, se non per
ragion di consiglio; ne' cardinali, come
senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo officio,
dove i Papi con esso loro consultassero
gli afifari maggiori di Santa Ghiesa;
staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et assicurate dalle passioni, e da
genj; ma T auto- rita maggiore del Sacro
Collegio si conosce nelPInterregno,
rendendo i cardinali venerabili a ognuno la voce attiva e passiva che egli hanno al papato negli
altri ordini del Clero universale, si
de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sa-
cerdoti, e de'religiosi; come altresi nella moltitudine innu- merabile de' pretendenti si considera lo stato
popolare, impe- rocche egli avevano
grandissima parte nell'elezione de'Papi;
a' vescovi apparteneva dare il lor voto per le discordie di Religione, e per la riforma de'costumi
Ecclesiastici nella celebrazione de'
Concilii, e dal concorso di essi insieme con
1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti De- creti. II Clero poi aveva il gius dell'
elezione de' vescovi, e questi, quasi
sto per dire, indipendentemente reggevano gli
affari spirituali e temporali delle lor chiese: masopra ogni altra cosa, che fa riguardevole e stimabile
il comune del popolo h, che ciascuno, di
qualunque qualita o condizione, e
ngualmente abile a divenire Principe, Padrone di Roma, e capo di questa Repubblica, perche la
Provvidenza Divina, che la sostiene, a
tutta 1' umana generazione benignamente
sguardando, h volta con pari misura al bene comune di tutti; appresso di Lei solo le tenebre
dell'ignoranza e de'vizi, e la chiarezza
della virtu ne distinguono, dove, quantoanoi. 328 ANTOLOGU DI COSE INEDITE roscurita e lo splendore del.sangue, la
poverty e le ric- chezze
disagguagliano. Era danque ben dovere
che la Bepubblica generale di tntti i
Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo
ugualmente di tutti i Gattolici, e fin
tanto cbe ella si mantenne nel vigore
del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi priyati non guastaron questi ordini, e non
isconcertarono U temperamento di cosi
ottimo e profitteyol governo, qual
requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli stati degli uomini tanto celebrata a Roma,
per costitnirla una patria veramente
comune? Cosi invano si sforzavano le due
Ministre del mondo, dico la natura e la sorte, di dar talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o
un yil me- stiero, e si ad un soggetto
di concetti bassi, e di peDsieri oscuri
cbiarissimo nascimento, percbe in Roma si uguaglia- yano gli uomini, yeggendosi taluno col mezzo
della yirtu d^ infima miseria a stato
reale eleyarsi. Altri, per lo contra-
rio, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevis- simi spazi yenire al nulla, e perdersi ben
tosto fra la cali- gine della propria
ignoranza, per guisa cbe con I'opere
solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita accattate dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di
qualunquepiu degna prerogatiya, essere
ascritto a quel sagrosanto Senato, e
diyenire Vicario di Cristo, e Principe di si gran condizione. Ma a poco a poco una tale ottima
instituzione traligno ancb' ella in
abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe coman-
dano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel Reg- gimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli
affetti, e 1' util pri- yato si mise
sotto il pubblico bene. La potesta dello stato
maggiore assorbi la forza, e sconyolse le operazioni degli stati minori; ruppersi quelle bilancie cbe
teneyano equipon- derato il goyemo, e
rimase confusa in loro la distinzione
de' pesi, si cbe delle tre forme sopraccennate altro non ci resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe
la parity degli stati nella Corte di
Roma senza il pareggiamento de' meriti h
dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAT. 329 plebei, cbe s* inalzano indegnamente ad
uguagliarsi co^ nobili, non da' nobili,
cbe contro a ragione si yengono a pareggiare
co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa cbe lo splendor e della stirpe non conyiene cbe abbia yantaggio
sopra la nobilta de' costumi, e degli
ornamenti delP animo cbe illu- strano ancbe
i piu yili; cosi non debbono pareggiarsi que-
st! con quelli, quando con 1* azioni virtuose e grandi non si solleyino dalla bassezza di lor natali. Ecco
come si sono smarrite le yere yestigia
della yirtu cb' erano tanto piii cal-
cate in Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareg- giavano tra lore gli ingegni, allorche gli
uomini eziandio di piccol essere avean
questo unico mezzo di farsi grandi, e
che il saper solamente e '1 yalor degli ignobili era prefe- rito alia dappocaggine, e alPignoranza de'
nobili. Ma per- cbe oggi si misurano le
abilita degli uomini non da' meriti, o
dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal genio di cbi coman- da, imperciocche gli ignoranti e plebei sono
di numero molto maggiore, perde
notabilmente la condizione delle fami-
glie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di cbi porta gli stimoli dell' onore dalla nascita e
dalla educazione : cosi presero
yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e
le buone arti, e la reputazione, assodate prima con 1' esem- pio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero
a spegnersi del tutto con 1'
accrescimento, e con la stima di questi. Per
tal via si sono tolti dall'uso comune di Roma tutti i ter- mini dell' onore, restan priye d'ogni fede le
promesse et i giuramenti, e dismisersi
insensibilmente il yalor dell' animo e i
sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e
ben collegate tra loro le conyersazioni
civili. E perche all' abito clericale
non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada, sottentrano piu
ageyolmente nell' usanza degli uomini le
occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente per-
fidia, yiepiu da temere cbe non e se affrontata ed aperta. Gobi col dominio degli infimi resta come del
tutto abolita la coscienza dell' uomo
onorato e da bene, e yiziaronsi ancbe i
nobili, percb6 con I'uguaglianza delle fortune indistinta- 330 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE mente si miscbiarono i sangui e si
corruppero gli animi, lasciandosi
yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli
onesti titoli della pazienza e della
Legge divina, cbe per ogni altra cosa di-
spregiano, d' ogni generosity si spogliarono, ond' egli hanno convertito in altrettanta vilti d' animo 1'
antico sperimen- tato valore. Per la
qual cosa non ci essendo tra gli uomini
altro tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i manca- menti della parola, se non prendersi
(cavallerescamente par- lando) V un
dell' altro soddisfazione con V arme, perche que- 8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e
confermati sempre yiepiu i mancamenti, e
gli inganni dalla continiia impunita cbe
e' godono senza legge civile o cavalleresca venina. L' interesse dunque si e lo intendimento
primario e la scorta de' pretensori, e dove
I'uomo studia al giiadagno, per lo pill
studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \in- coli deir amicizie non li coUega qua in Roma
la similitiidine delle nature, o delle
virtti, o vero un desiderio reciproco
I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una mutua speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per
mezzo dell' altro, e dove quelle la
fortuna buona o contraria non ba forza per
dislegarle, come non ebbe parte nell'unirle insieme; queste la sorte quasi sempre le annoda, et ad
arbitrio suo le discio- glie. Cbi viene
dunque a pretendere a Roma, ricerca sopra-
tutto la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova aper- tura, quivi s'ingegna di concatenare i suoi
in guisa tale, cbe 1' altro si pensi di
migliorare per mezzo di quegli le
condizioni de' proprii ; lo spendere offizii per motivo di me- riti, e di magnanimita di cuore, non e piu in
uso, ne le dimostrazioni di generosita
ban credenza ; e se talora se ne vede
qualcbe atto apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro qualcbe occulto interesse cbe gli da
fondamento, e lo muove; altrimenti cbi
si fonda sull'aura e corre dietro alle voci,
senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane in poco d' ora agevolmente cbiarito. La
speranza di compia- cere ad un fautore
potente, il reputare cui si favorisce per
mezzo efficace a qualunque intendimento privato, fanno ope- DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 331 rare con caldezza, e chi sapra in Roma
rinvenir questo filo, et attaccarcisi
con proporzione, avra vantaggio notabile nelle
fabbriche de'proprii concetti.
L' importanza e dunque conoscer le cose nelle lor prime cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere
le cifre degli animi, le quali molte volte
altro significano neU'interno, di quel
che indicano altrui i caratteri esterni. Per tal conto e neces- aario lo informarsi de'fini particolari, e
de'pubblici, delle nature, de^ temper am
enti e de^ genii, delle dependenze e degli
odii occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori, che vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si
ancora delle sostanze e delle fortune
loro, perche si antiveggouo per questa
via di molti successi, e sono tanti sentieri aperti agli avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi
per i quali, quando la via maestra e
chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' tra-
ghetti e per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per lo dritto. Pero si vede che lo interesse
affina gli ingegni, e come suol far la
virtu, insegna anch' egli a superar le pas-
sioni, e molti atti di avvedimento e d'industria, che v61ti a fine d^ onore e di gloria sarebbon
virtuosi, si adulterano per la corrotta
e maculata intenzione, a che incamminati
sono; la soUecitudine, la vigilanza, la destrezza e le altre operazioni migliori delFanima usate ad esser
ministre per qualificar le azioni buone,
servono per render piu fraudo- lenti i
pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir am- bizione, delP invidia, che sono 1 sensi piu
comuni di quel che pretendono a Eoma, i
quali usando il bene male, e valendosi
della piu oculata prudenza per giungere dove essi bramano, avviene che molti si chiamin grand'
uomini e saggi, cio argumentandosi dall'
operazione de' mezzi, che di- rebbonsi
misleali, pigliandosi la riprova da' fini. Per questo i vizii in mano a costoro peggiorano quel
piu, con cio sia che non solo sono
prodotti dal senso, ma camminano sotto
sembianza d' una simulata virtu, e sono regolati dalla finezza e dal discorso dell' intelletto. Ma odasi cio che dice di Eoma Quinto Cicerone
#al fra- tello quando e'chiedeva il
Consolato : «Fissatevi (diceva egli)
332 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
nell'animo queste tre cose, e dite da per voi stesso: loson uomo nuovo; domando il Consolato; e, quel che
e piii nota- bile, questa Roma e
mescolata di varie nazioni, dove sirag-
^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi. Qui si ha da patire V arroganza di molti, la
perfidia di molti, la malevoglienza e la
superbia di molti, e di molti pure gli
odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa di mestieri un gran consiglio e una grand' arte a voler
vivere tra' tanti uomini, e tra tante
sorte di mali per ischivar le offese, per
ischivar le bugie e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed e malagevole ad un uomo solo adattarsi a
tanta variety di costumi, di discorsi e
di volont^, massime che in questo fuor
di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la peca- nia e' regali, ciascheduno della virtii si
dimentica, e della dignita. » Sin
quidisse Quinto al fratello; il che ho voluto
registrare in questo luogo, accio si conosca che o sia la positura del Cielo, o si pure la necessita
de' medesimi fini, negli ultimi tempi
della Repubblica Romana (forse come
oggi) adulter ati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi; influiscono similmente negli animi
la stessa ma- niera e inclinazione di
costumi, e nell' una e nelP altra etade
s' introdussero e stabilironsi nella Corte di Roma contro la virtu e contro la pieta della sua
primiera institu- zione, tutte quelle
arti che piu si producono dall' opera della
malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo dunque concludere, che la macchina del rigiro di
Roma stia appog- giata sopra I'estremo
del vizio, non sopra I'eccesso della
virtu; perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano
tra loro atti di confidenza, e piu
liberta di tratto. E le destre che sogliono
essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno, e dalla malizia di farsela I'un I'altro a
tempo e con van- taggio, e quegli
solamente e stimato piu valent' uomo, che
puo pi^. Quindi avviene che qualunque e reputato uomo di valore nell'altre region! del mondo, venendo
a Roma, si perde, trovandosi in una
differente scuola da quelle, ove s'
apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. DI OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 333 Quei dunque che si mette a vivere in questa
Corte, non basta che e' sia letterato e
sapiente, quanto se gli conviene il
saper ben discernere i vizii altrui. Ceda pero alio stile del paese, mantengasi nelP arti virtuose, ma
assuefaccia r animo educato ne* buoni
costumi a non si scandalizzare da'
pessimi. Molti giungono a Roma, e se di
eubito e all' improvviso loro
precipitano addosso similisorte di mali, si perturbano e sovente escono de' termini, e yi ruinan
sotto; ma se loro si da punto di tempo,
il far passaggio dalla virtu al vizio e
molto piu agevole, che non e quello da' vizii alle virtu, perche son mali che feriscono solamente le
opinioni accre- ditate nel mondo, e
trapelano cosi ad ora ad ora nella con-
suetudine e negli animi nostri che altri non se ne avvede ; e, guastandosi poscia, appaiono con 1' uso
men disgustevoli, ci si fa il callu,
perdecisi la faccia, e non tan to si smarrisce
lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo. Questo si e il vero modo di spegner le leggi,
di 6ontaminar la religione, di tor via
la vergogna, perche non si ha timore
dell' infamia. L'autoritk resta senza un minimo fondamento, 6 gli esempli e le memorie migliori si
dimentican tutte. Cosi la fortuna ha
deformato la faccia bellissima della
virtu. Ognun t' offerisce la vita, il sangue, la roba, quando il bisogno h discosto ; ma quando s'
appressa, non che gli amici, i piii cari
parenti mutano faccia, e di presente si
rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e quegli che tra tanti cattivi vogliono esser
buoni, perdono il credito, e sono come
sciocchi e timidi biasimati. Eoma
finalmente e commercio, dove si spacciano mercanzie di grand' importanza, le quali stanno esposte
alia forza della pecunia, che vince
tutto, e insieme a chi sa meglio romper
la fede, e con piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti all' ambizione e al^util proprio donatisi,
cercan tirarsi in- nanzi per quella via,
che lor piii torni in acconcio, non
riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle distri- buzioni di Roma sempre molti ci pongon 1'
occhio per una stessa cosa, quindi
deriva I'invidia e conseguentemente
334 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE r
odio tra' concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su I'oppres- oione degli altri, e niuno conseguisce una
cosa, che non paia ad nn altro di
perderla, onde si nutriscono sempre i disgn-
sti, e qua di continuo sta accesa una guerra civile di com- petitori, la quale, se fusse in sua liberta e
non raflrenata dalle cautele, che lo
stesso interesse mette in ciascuno di
non gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte, sollevazioni perpetue, e tale effrenato
stimolo metterebbe r arme in mano a
ciascuno per cavar V anima alP altro, ma
cosi resta il fuoco del? odio racchiuso e coperto in ognano dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero
altro suonano le parole di quel cbe
sentano i cuori. L'apparenza deWoltie
totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse non corrispondono gli effetti,
ed armasi la fraude dove non puo
apertamente impugnar la spada lo sdegno.
Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano,
perche dove lo interesse e la cupidita
signoreggia, la virtu vi perde il sno
luogo, ed e minor male per la sussistenza del governo di Eoma la simulazione e V inganno, postovi
dalla necessita del suo fondamento, che
Y impeto scoperto delF ira, instrumento
abile a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo, dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o
si vero e forza per men reo partito
lasciar correre questi mezzi per
arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intri- gato di tante insidiose e fallibili vie,
niuna che si tenga da uno pu6 servire di
norma e d' esempio aU' altro; le me-
desime scorgono gli uni al papato, e gli altri alia propria ruina; e sin quelle della virtu e del vizio
ne menano sovente ad uno stesso confine
; la fortuna e *1 caso ci fanno la mag-
gior parte^ e le congiunture son quelle che apron molte volte il cammino, e ne guidano a lieto fine;
percio si scor- gono gran variety di
maniere et infiniti imitamenti di virtu,
e di costumi varii per accomodarsi alle opportunity de' tempi, e a quello che altri s' immagina viepiu
profittevole. Tutti gli nomini s*
ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che
non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V avaro si vedra DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 335 talora donar del suo, et usar atti di
liberalita, per poter poi torre con piu
dovizia V altrui; il superbo e *1 vendica-
tivo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di sommis- sione ed umilta, per serbar a suo luogo di
vendicarsi e di esercitar V alterigia.
Chi e piu artifizioso e sagace cerca di
far lo stordito, e a bello studio si lascer^ volgere a tutti i genj per apparire altrui facile, e troppo
credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che
il dare ad intendere di essere santo sia
il vero modo di tirarsi innanzi ; pero si fingono di stretta coscienza, e col viso pallido, e col
collo torto for- mano V instituto al di
fuori della lor vita; ma sotto il man-
tello deUa pieta e degli scrupoli, le azioni d^ ognuno cen- surano, tengono mai sempre Farco teso, e
sotto specie di bene scoccano a tempo
colpi da maestro, che coll^ acume di una
sola parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vo- gliono, anzi con un sogghigno che ti fanno
talora^ e col tacere, accreditano
un^opinione maligna contro a qualche-
duno, e non fanno manco male collo star cheti e col celare la verity, che s^ ei rappresentassero il
falso ; e quauti ci sono, che della lode
istessa si vagliono per ruinar la fortuna di
qualcheduno, onde saggiamente di loro disse Tacito: pesH- mum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie di Roma^ dov'
ognun cerca infingersi di verso da quel
che egli e, rifuggendo per meglio
coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella sua propria natura. Per tal maniera gli
uomini tra- vestono, non ispogliano, le
passioni, e da essi i difetti si
palliano per non lasciarsi appostare, non si vincono per emendarsene. Di qui e, per quanto io m'
avviso, che Roma si dica teatro del mondo,
perche compariscono in esso tutte
persone contraffatte da quel ch'elle sono; chi e d'un par- tite, a un tratto diviene sviscerato dell'
altro, e, secondo che vuol la fortuna,
si veggiono tuttodi cambiare varie sorte di
scene, I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h
piu tenero di se stesso, tanto h piu
crudele nel tiranneggiare altrui. Questi
h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le mac- 336 ANT0L06U DI COSE INEDITE chine, e apre tante sorte di vie, le qaali
si trovano tatte piene d^ impedimenti e
di spine, fnor che quella della mo-
neta, o pure d' accomodarsi ai genj di chi govema. Di queste, la prima non e battata per tatti,
e chi ne ha 1 modo diviene superbo,
imperciocche gli pare di poter
soperchiare gli egoali, e riescon costoro per la maggior parte ignoranti, perche fidandosi nella forza di
loro ricchezze non fanno procaccio di
altri mezzi per rendersi degni, e rade
volte accade che Domenedio accoppj negli uomini i beni della fortana e quegli dell'animo. Alia seconda, di seguire i genj, e piu
acconcia la gente d' animo e di nascita
vile, che non sono gli uomini ben nati,
e virtuosamente educati, percio quegli ban piu vantaggio nel prender le inclinazioni de' Principi, i
quali, per quanto amino I'ossequio e la
riverenza nel pubblico, aborrisconla in
privato, perche lor reca soggezione ; pero scelgono per loro domestici uomini entranti, prosuntuosi e
arditi, e so- yente yiziosi, in essi
confidano, scuoprono i lor pensieri, e
le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con
le persone moraK; quegli dunque piu
agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia, e con essa montano piu presto in altezza, e
torniam dunque a dire, che nella
corruzion de'costumi e utile si de'plebei,
ma notabil danno de' nobili la parity degli stati tanto ce- lebrata a Roma. Imperciocche salendo in gran posto la gente
bassa, e condizione mutando, non lascian
i vizi da privato, ma pi- glian ben
tosto quegli de' grandi, e le virtii non V imparan mai; e come e costume degli infimi esser
nelle avversitadi abietti, e nella
prosperita insolenti, cosi essi, come da prima
a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon imperiosamente comandano. £cco perche la
nobilt^ si co^ rompe, conciossiache dove
innanzi, premiandosi sol la virtiir con
essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio de* plebei, oggi per avanzarsi conviene che
s' awiliscan coi vizi i buoni costumi, e
corrompasi la coscienza de' nobili; ma
chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s' ingegni nelle cose DI ORAZIO RICASOLl RUCELLAI. 337 lecite e oneste di andare a' versi di chi
governa, non ci si abbandona poi
talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che
si dee; andra penetrando le inclinazioni, e con quelle pro- curera si di confarsi, ma insieme studiando
di acquistare stima d* uomo da bene, e
concetto per la virtu, non perche questa
debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo vir- tuoBO almeno ne adonesti V avanzamento, a lui
se ne ascriva la gloria e '1 merito ;
dove quando si viene innanzi senza
virtu, tutto s' attribuisce alia sola fortuna, e sovente volte rinalzamento di questi fa spiccar meglio ie
macchie de^ loro demeriti alio splendore
della dignita medesima, che indebi-
tamente loro e stata concessa; questi esaltati ricevon ap- pena che un applauso lieve del volgo, che e
guidato dagli eventi, e lasciasi
abbagliar la vista dal lampeggiar deir or-
pello; ma il meritevole, benche dispregiato e negletto, ha per se il partito de'savi, che col paragone
della prudenza discernono anco per entro
alia rozzezza e alia oscurita dello
state la purita perfetta e la chiarezza delP oro. Gran forza e quella della verita, che
finalmente non ha paura della bugia, e
si schermisce da se contro Pingiuria de'
tempi, e contro alia malignita degli uomini, ne e mai pericolo che i concetti ben fondati de' pochi
restino offuscati da' giudizi vani de*
piii ; la virtu rifulge eziandio dentro alle
tenebre, ne s' imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta la
fortuna contraria. Ella si fa conoscere,
e place eziandio ne'nemici, non che
negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il biasimo torna addosso a
chi dovea avan- zarlo, e non a chi
riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il
credito d* un uom meritevole avesse a dipendere dal capriccio d' un Principe molte volte poco prudente, e
che gli s' avesse a rivoltare la mala
ventura in colpa ! Infelici dicansi co-
loro che non hanno meriti^ e percio ne anche reputazione, quando bene sono aggranditi, perche troppo
ben si discerne quel che ne dona la
virtii, da quelle che ne comparte la
sorte, la quale puo ben rendere gli uomini miseri, ma non gli pu6 gia render indegni; anzi essa molte
volte sostiene 22 338 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE gli non degni per non gli lasciare in preda
alio scheme e alia lor propria ruina,
dove i virtuosi tien bassi, perche non
abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli altri;posson ben essere ugaali i gradi degli onori tra gli
uomini tanto buoni, quanto cattivi, ma
saranno sempre disugnali que' della glo-
ria ; nb perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli
uomini savii gareggiar di virtii,
avvenga che e' si trovino in bassissimo
stato. La virtu dunque nella Corte di Roma sempre ado- nesta gli avanzamenti, quantunque non abbia
parte nel- r avanzare. Ma la fortuna e
quella che distribuisce le grazie, la
quale sul bel principio fa pomposa mostra de' doni suoi, e pare che ella si faccia altrui innanzi col
viso lieto e col grembo aperto, ma di
subito poi cambia faccia, e vuol ven- der carissimo quel che ella offeriece in dono.
Stolto e colui che abbandona la propria
quiete dietro alle sue fallaci lu-
singhe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben eh' ei possiede, per gir dietro ad un' ombra d' un
meglio dubbioso. fi vero che alcuna
volta ell' aggrandisce una casa e quella
riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad esser pari e superiori de' Re;
ma quel che ella dona ad una famiglia,
sel fa pagare a gran costo della roba,
del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta
pericolano. Laonde mi sembra su le rive
del Tevere fiorire piu che in altro
clima quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e
fertili posses- sioni della fortuna, da'
cui sempre verdi rami pendono frutti di
varie sorte, e non meno degli amari e velenosi, che dei saporiti e soavi, di quegli che porgono
altrui salute, di quelli che danno la
morte. Alle cui radici anelano i pret«n-
denti ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro
de' posti migliori; quindi s'odono
tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi
essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il
dibattito, e I'an- sieta di colore, che
stanno a gola aperta bramando che ca-
DI ORAZIO RICASOLI RDCELLAI. 339
schi loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto con piu improntitudine degli altri
romper la calca, et accostarsi di subito
a pi^ del tronco, V uno, che non paia
sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi
far largo, e finalmente ognuno si studia
con que' modi ch' e' puo di pas- sar
oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s' inerpica sopra. Quel- r altro il prende di dietro, e s' ingegna di
trarlo a basso, 6 per tal modo tra tanti
contrasti e tra le scosse dell' al-
bero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui che a pena v' arriva cade un porno de' piu
delicati e salubri ; a coloro che piu lo
sbattevano, cadono in mano le foglie, a
molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende, che percuote chi si era fatto piu innanzi, e con
furia ricac- cialo indietro. Et ad
alcuni vien cadendo da ultimo qualche
frutto sustanzievole, quando, gia ritiratisi indietro, pareva di loro ogni speranza fuggita. Ne piu ne meno
avvengono gli accidenti di Roma; non ci
ha regola per argomentare gli eventi, ne
si puo ben giudicare il punto cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni atto, ogni sospetto gli muove
e perturba, gli attrista^ gli allegra;
ora le speranze si risuscitano, ora si
moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna, e si trova alia fine sgarito ; questi con la pertinacia la
vince, e in cotsll guisa senza riprova
alcuna di quel che abbia av venire, gli
uomini, fortuneggiando in Roma tra venti contrarii, sono in qua e la da varii flutti e da varii casi
sempre vacillando menati. Impercio
accade che alcuni gia con le membra ca-
scanti e deboli tornano ad esser da capo, e pur ritengon viva la loro ostinata ambizione, e andando
invano per tutta la lor vita dietro alia
gloria e agli onori, inonorati rovi-
nano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni
regola, ond'ella si voglia acciuffar pe'
capelli, riesce vana et inutile, perche
d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul,
che cerca I'Asine, getta nelle mani un
Regno, et Assalon, che va dietro al
Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. 340 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Quant o e bella Roma, quanto e ella
appariscente a chi la uiira in un'
occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto
ingegnosa e colma d' industria, quanto e devota e santa, quanto e benigna e cortese, quanto di tesori
doviziosa e prodiga a chi la vede nel
frontespizio, e nella superficie di
fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con superbi edificii, testimonii marayigliosi deir antica
grandezza, delP onnipo- tenza Bomana ;
qua V abbondanza delle statue e de^ marnii
fanno sin oggi risplendere la maestria e Greca e Latina. Qua i giardini vincono quegli dell' Esperia e
gli Orti favo- losi d' Armida ; le
fontane paion fiumi volanti per 1' aria e
tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle sontuosita de' Persiani. Se le devozioni
isguardiamo, qua tutti Yocaboli di
pieta, titoli di carita, ammaestramenti di
pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'mar- tiri, qua raemorie scolpite di virtu
cristiana. Qua Templi marayigliosi, che
fanno fede di religione ben fondata; qua
tutti gli aruesi piu sacri e piu yemerabili, si della nascita, si della vita, si della morte di Cristo
rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo
della sua Ghiesa; e di questa chi ne
siede al governo, se non il Vicario di Cristo? Chi ode i complimenti e le o£ferte, chi da orecchie
alle cerimonie, agli accoglimenti de'
cortigiani, incontra subito maniere dolci e
aggradevoli, parole significanti stima ed affetto. La casa, via rojba, il sangue e la vita non par che
sia propria, ma in preda al servizio et
a'vbleri d'ognuno; la sommissione
assoggettisce altrui, si contrasta tuttodi non il prime, ma r ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol
essere piu immeri- tevole, piu
servitdre, piu minimo di tutti gli altri. Chi non esagera a prima giunta la prontezza degli
amici, le grazie e '1 patrocinio de'
graiidi ? Chi considera le ricompense che
ci sono, i premii proposti, 1' entrate grossissime a vita, che non si sa onde si vengano, il dominio sopra
di esse negli altrui stati, che i
Principi proprii non ci posson metier la
mano, le dignita eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a
che ognuno puo giugnere? Qual
altrettanto maggiore invito possono havere
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 341
g\i stranieri per correre a si belle, a si pregiate fortune ? Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio
con atten- ziono a quel che e Roma
sotterranea, dico sepolta ne' cuori,
nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa pompa di
fuori. Le delizie di Rama sono il piu
delle volte veleno ; sino i giardini, e
le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu superbe e piu maestose sono oggi guaste, e
rotte, e minac- cian sempre rovine. L'
arti e' costumi che ci s' adoprano son molto
poco conformi a' titoli di santit^ e agli abiti ond'essi rifulgono ; le Reliquie e' luoghi santi a
pena restano espo- sti al culto e alle
visite de' Pellegrini, e servon nel resto
per istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le pas- sioni e gli affetti sregolati de' grandi, e
sin Tautorita apostolica la fanno far
gioco alia potesta temporal e e agli
interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e le cor- tesi maniere, che son' elleno altro che
parole senza signi- ficato bfferte, e
sembianti senza affetti, e una vana signifi-
cazione di onore p'osta nell' apparenza de' volti e vana, in quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali
talora si hanno in dispregio ; bugie le
quali bene spesso si rivolgono in tra-
dimenti, e infine un capitale di finzioni e di lusinghe in diritto ad un grosso e disorbitante guadagno,
se i premii, le facolta immense, e le
grandezze, queste si dispensano ad
arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello che faceva star bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad
arricchir6 smo- deratamente una sola
famiglia? Qua finalmente sotto la for-
malita de'nomi e dell'abito esterho e sotto speciose voci si nascondon le occulte Industrie; sotto le
lodi delle virtu si usano di nascosto i
vizii, pero in Roma si sostengono le
opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si fa caso degli errori superficiali, e
gastigansi con severitii le parole
ne'poveri e neMisgraziati per tener in piede i
piu grossi, e far godere V impunitade a' maggiori. Per tal via co' riti e coUe formule, co' titoli, co'
vestiti, con le Con- gregazioni, co'
solennizzamenti si tesse un ordine bene ag-
^ustato, che forma il ritratto apparente di Roma, signifi- 342 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE cante altrui quello ch'ella dovrebbe essere,
non quelle cVella e, dentro alia quale
si cela un disordine, e un caoa di fini,
di speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident! impensati, d'odii, di finte amicizie, di
gelosie, di martelli, d' invidie, di
beni, di mali che non s' intendono, non hanno
riscontro, e tengon le menti degli uomini mai sempre so- spese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre
mesti, sem- pre astratti da loro stessi,
e si per la continua apprensione di loro
medesimi favellare come matti perche non ritrovan mai il bandolo in gual posto si dieno dell'
amicizie, dei fa- vori, delle speranze,
e delle paure nelle quali e' si trovano
martirizzati in ogni tempo su la ruota della foriuna, gui- data dall' ambizione e dalP interesse, dove
sta fondato e si regge questo governo di
Roma. Per la qual cosa egli e molto
ragionevol di credere, che la divina onnipotenza lasci correre questi vizii e queste macchie nel
rigiro di essa, perche a quest' ombra
riluca quel piii la verity infallibile
della sua Chiesa e I'autorita ben fondata conceduta all'al- tissimo ministerio del suo vicario in terra,
a fine di far co- noscere che e' ne ha
dato il reggimento a uomini che hanno il
libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni mortali e terrene, benche non errare nel
maneggio delle cose celestiali e divine
; e cio contro 1' ereticale nequizia, che pre-
sume temerariamente controvertere, per li abusi della corte de' preti, la potesta che e data loro
miracolosamente da Dio. Come tutti 1
Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano, e quello di Boma con esse piti che mai si
sostiene. Capitolo Secondo. Con r occasione del primo Capitolo mi vien
in acconcio di far meco medesimo
considerazione, per qual maniera il go-
verno di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de' pretendefUi si regge su' fondamenti dell' interesse e
dell' ambizione, pur si sostenga e viva,
mentre tutte le altre forme di Stati, dove
s' introducono si fatti vizii, per quella guisa che apertamente DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 343 dimostrano gli esempli antichi e moderni,
cosi agevolmente si spengono,
imperciocche essi vizii sono il tossico che la
giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman cadavero, e impercio senz'anima e senza
vita ogni Stato. Egli h dunque in prima
da sapere che lo intendi- mento della
giustizia distributiva si e d^uguagliare gli uo- mini sotto le leggi della virtu, pareg^iare
in loro gli eccessi delle fortune, e
solo V uno dalF altro distinguer secondo che
i beni delFanimo, non quelli del corpo, fauno gli uni piii degli altri rilucere. Questa tende ad
abbassare la superchie- vole baldanza
de^ ben avventurati e de' ricchi, e soUevare
altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si mi- nuisce il soperchio alia fortuna mal
adattata, e rifannosi i danni, ed
arrogesi al poco di chi e uomo prode, ma dal-
Vingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi
essi correggono i difetti di quella, e
fannola divenir premio della virtii; im-
perciocche non ci e cosa che maculi i cuori di ruggine peg- giore, quanto il ferire gli uomini nella
stima di lor mede- simi, che e la piu
potente passione che ne domini, delF amor
proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali, che si fa o per ragion di ricchezze, o per genio, e non per
motive di virtu, che e un contrassegno
lucidissimo impresso nelP anime, che
distingue gli uomini V uno dall^ altro, produce sovente che, per uno che si grati£chi, mille se ne
offendono, e Pamore che si sveglia in
quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti
che si destano in tanti e tauti altri: e siccome, difiPerenziando le persone a capriccio, agevolmente si
spingono gli uomini alia impazienza e a^
rancori ; cosi, distinguendoli pel merito,
si accrescono negli altri gli stimoli alVoperar virtuoso et onesto. Per tal modo gastigandosi i viziosi,
e i migliori e i piu degni premiandosi,
s' uguagliano quelle bilancie, che conservano
in equilibrio i governi, tolte le quali tutto si confonde e disordinasi, conciosiacosache si
destano le invi- die, e quindi a tempo e
a luogo tutte le sollevazioni civili. E
questo perche non ci ha favilla che nodrisca e accenda sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi
e de' saggi, quanto 344 ANT0L06IA DI
COSE INEDITE il vedersi oltrepassare
soggetti facoltosi e ignorantL PercHe
messer Domeneddio ha messe le differenze delle facolta e della potenza tra gli uomini, affine di
lasciar loro 1' arbitrio della giustizia
distributiva, BOYvenendo i mono ai piii biso-
gaosi, e dal fango il pregio della virtu sollevando; anzi perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza
amatori, e^ titoli e le dignitli, che
dispareggiano J gradi, senza misura sono
dannevoli, dove postergati i rigaardi di chi e piii degno di piacimento si scompartiscono, e per inclinazione
de* grandi; e non pare le retribuzioni
piu sustanzievoli, ma eziandio gli atti
semplici d^ apparenza e di stima mal ripartiti parto- riscon de' mali nel consorzio civile ; e
viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi
merita veggendosi, o per trascuraggine di
mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una
volta debitamente locato ; imperocche e
nemica mortale la nostra natora di tor-
nare indietro, e *1 piu possente affetto che h in noi e il pregio in ciascuno di se medesimo, il quale
com' egli e in minima parte deteriorato
et offeso, sempre dispiace; ma dov' egli
h offeso senza ragione accendesi un' esca, e risve- gliansi si fatte scintille, che dov'elle
havessero libero il campo, o le
congiunture V aprissero, s' allargherebbon ben-
tosto in un gravissimo et inestinguibile incendio. DA' DIALOGHI FILOSOFICI. IL TIMEO.
Delle idee. Dafinio. —
Scusatemi, a interrogare per questa volta io
voglio essere il primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni cosa, qual differenza si faccia dairidee agli
Esempli? Buonaccorsi. — Quella che si
fa dal proponimento primario nella mente
dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, don- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 345 que, volendo Iddio che le forme si
stampassero del mondo sensibile della
natura nella materia, non parye degna cosa
a Platone che quella penetrar dovesse nel segreto di si alta mente a contemplare quegli originali eterni ;
onde e' pre- suppone che per via
delPanima se le ne faccia vedere co-
testi esempi. Imperfetto. — II
medesimd appunto intese il Petrarca, ne e
vero? e'ldistinse in quel suo maraviglioso sonetto, che qua- lunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana
sa per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella
volse Mostrar quaggiti quanto lassu
potea? > Insomma e' dicono il vero,
e' fu grandissimo Platonico.
JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa il Timco dairidee agli esempi. Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor
Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad
intendere il valore di queste Idee, onde
voi siete state richiesto. Buonaccorsi,
— Avete ragionato si dottamente, che a me
non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incomin- ciato ordine, quanto avete detto voi con esso
1' autorita di qualche valent' uomo e
del medesimo Platone in varj luoghi di
altri Dialoghi, che ne favellano ; e avvenga che io avessi stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non
abbia veruna fidanza di potere
internarmi tant' oltre per andare del vero
alia radice, e per recare lumi maggiori ai nostri intelletti , come di cose che troppo in su, ch' essi non
vanno^ hanno la residenza loro ;' pur
tutta via (come Plotino ne ammonisce) h
degna cosa si alti principii udire, e udendogli ammirar- gli, e ammirandogli stimarsi beato nel
riconoscere il loro autore. Pregovi ben,
Don RaflFaello, a soccorrermi di quando
in quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice in- gegno nuove cose da dire vi suggeriscano : ma
per dare autorita a quanto discorso
avete sin qui d' intorno al mondo
intelligibile, e all' Idee che si contengono in grembo a Dio, 346 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE ascoltate, di grazia, come tutto cio in due
versi mette Boe- zio nel suo libro De
Consolatione: c Tu cuncta superno DucM ah exemplOf pidchrum pulcherrimiu
ipee Mundum tnente gerens aimilique
imagine format. » Qui dunque
ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io
non vi niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita rivelata fosse disceso, il quale aperte
meglio le.vie della mente gli avesse, e
ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse
rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appro- priata definizione delle divine * quality ;
ma non pertanto egli e di somma lode
meritevole, avendo per nn certo 1am-
peggiare solamente di natura, e in forza (siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione
favellato di quelle con tanto decoro e
si al vero approssimatosi e toccolo in
molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presen- temente de^ lumi soprannaturali ch' egli ebbe
dalla legge Mosaica, nel tempo che
nell'Egitto e'peregrino, come sanGiu-
stino Martire attesta, filosofo molto celebre della Scuola Platonica. Ma il proferire molte di si fatte
proposizioni, ch' e' vi apprese, non
estimando cosa sicura per timore degli
Atoniesi e delle rigorose pene delPAreopago, contro chiuD- que rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno
alia loro reli- gionC; quelle medesime
procuro avvedutamente di farsele
proprie, e sotto gli oscuri velami delle filosofiche specula- zioni la verity Teologica ricoprire. Impercio
dice il mede- simo Santo, quando Platone
esplica nel Tinieo la natura d' Iddio,
dicendo come poco anzi vi recitai : « Primiera-
mente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato,
e voramente mai non e; > che ci6 da
Mose e^ ricavasse, cui Iddio appa- rendo
la prima volta disse: « Io sono quello che sono. » E mandandolo agli Ebrei comand6gli che dicesse
loro ecu le stesse parole : « Colui che
e, mi ha mandate a voi. » E il medesimo
Santo Filosofo soggiugne, che quello che
parimente in un altro luogo mette Platone : « Certamente Io stesso Dio, come suonan le antiche parole,
comprende il m ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 347 principio, il fine e il
mezzo di tutte le cose, > per « quelle
antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in animo far di lei menzione, sapendo
quanto quella dottrina a' Greci
contraria fosse. E parve al detto Santo non
altrimenti potersi intendere con- ciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da
Diodoro, e da altri storici Mose essere
stato il piii antico legislatore ; anzi
quando egli le leggi promulgo, i Greci non avere ancora le lettere ritrovate da poter scrivere le
Storie. E dell' Idee, ne piu, ne meno,
onde noi al presente favelliamo, crede san Giu-
stino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia tratte tradotto dal Santo, e cosi dal greco a noi
portate: « Che Iddio in principio fece
il cielo e la terra ; e che la terra era;
pero non ancora visibile e fabbricata. > Dove il santo filo- sofo giudica quel detto da Mose « che la
terra era > es- sersi inteso per la
terra che prima era; impercio che aveva
detto Mose : e della medesima
similmente detto avea: «Fece Iddio il
cielo e la terra; » stimo che volesse intendere quella se- condo r Idea ch' era avanti nella mente d'
Iddio essere stata creata
sensibile. Per la qual cosa non a caso
favella il nostro filosofo ve- ramente
divino, ed e degno di somma commendazione, mas-
sime ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a diffe- renza di lui mesce insieme e confonde le
superne e divine cose con esso le
inferiori e naturali, e Dio stesao con la
materia e con Tuniverso sensibile. Dove il divino nostro filosofo il valore riconoscendo sovra il
natural corso ammi- rabile di colui, pe
'1 quale et a cui tutte le cose vivono, di
somma reverenza esser degno, e si egli solo essere di sa- pienza e di potenza infinita capace, con
singolar riguardo in ver cotanta
perfezione , le distingue nella sua immagina-
tura e trova la via che le cose di sopra adoperino in quelle di sotto senza permischiamento insieme; e f a
i suoi sforzi. con r acume di sua mente
di adattare le misure e 1' ordine di
atti succedevoli nelP infinite, le differenze di gradi e la variety dell' Idee nel Medesimo, e la
moltitudine nell' unitade, 348
ANTOLOGIA DI COSE INEDITE senza Tanita
disgiangere, senza diversificare il Medesimo
e senza t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir iQfinito. Con le cui sottilissime
considerazioni di cose incompatibili fra
loro, e si impossibili secondo lo nostro
compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli sopranna- turali della infinita onnipotenza diyina, e
se non co* termini nostri corti e finiti
renderne bene intendenti di si alte ma-
raviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo bagliore alle tenebre di nostra ignoranza, che si alto
splendore da per se non patisce, accio
che quindi staccandoci dalle cose
inferiori spicchiamo un volo piu in su, che conceduto ne sia a formare giudicio di un Dio, delP Autore
della natura, della Primaria Cagione, e
delle operazioni eccelse che a Lui sola-
mente possibill sono. Viene,
dunque, e cosi favella il Ficino a interpretazione de' sentiraenti platonici intorno all' Idee,
che la mente divina e forma di tutte le
forme, e Idea di tutte quante V Idee, la
quale in se tutte le comprende. Ora, perch^ la* forma ter- mine si chiama e mi sura, misura e termine
alle cose do-^ nando; il Sommo Bene, la
Divina Mente (aflterma Plotino) come
forma di tutte le forme, e misura e termine di qua- lunque cosa che sia, il che autentica
mirabilmente il nostro autore nel
Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e
misura dell* universe cose che sono.
Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i generi che piglia e abbraccia in se tutte le
forme, tutte quante le specie visibili
delP universo, con esso gli individui
ancora. Luigi, — r mi sarei
presupposto che I'ldea universale fusse
il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si ten- gono e sparte per V aere, e per6 fuori della
Mente Divina di- morare, e che da esse
tutte le speciali cose pigliano Pes-
senza loro. Buonaccorsi, — La
divina mente, come Idea di tutte le idee,
in se non comprende coteste si fatte Idee, comunque se le figurino o le scuole nella guisa che voi
dite, o qualunque altro si sia, ch' io
non vo' perder tempo al presente e starmi
m ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 349
a pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Af- fermo bene che cio il nostro filosofo iu
alcun modo non tenne, siccome da vari
luoghi apertamente si ritrae, ne sono in
quella sovrana Mente le forme delle sensibili cose, ma si bene le Idee delle forme, come che da lui
merce dell' Idee queste abbiano 1' esser
loro. Impero che V Idea mancando di
tutte le Idee, la forma mancherebbe di fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi il mondo, nello stesso
modo dove non si trovasse piu facitore
di vasi, o di essi vasi le forme rom-
pendosi, il vasajo non ne farebbe piu. Per questo ne av- vertisce Marsilio, che le forme, sostanze non
sono, ma si iniinagini solamente delle
vere sostanze e queste sono le Idee, cui
le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a piu distinto
spiegamento : L' Idea ri- spetto a Dio 6
la sua intelligenza ; per rispetto al mondo
sensibile Tesemplare; rispetto a se stessa Tessenza. Di ma- niera che Tldee non sopra alcun fondo
materiale e cor- poreo riseggono, ne tra
loro si confondono, come le forme su la
materia; per lo che tra V Idee della Mente Divina e le mondane forme, yerun' altra simiglianza
non ci ha, salvo che quella, la quale e
da un ritratto air originale ; anzi e
molto piii divario senza paragone tra quegli infiniti origi- nali e perfetti di vera e incorrotta
sostanza, che nelP alto segreto di sua
mente il Supremo Artefice riposti tiene, i
quali per via di disegni ed esempi dalla natura si copiano, che e' non e infra una tela dipinta e un uomo
vero e di carne viva. Con cio sia cosa
che questi quantunque tra loro
diversissimi, pur tutta via alia materia universale riferen- dosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual
similitudine ci puo egli entrare tra la
Divina Essenza infinita e perfetta com-
parata con essa la materia abitacolo di tutti i difetti, di tutti i mali V L' Idea dunque di ciascheduna
cosa, benche in riguardo al nostro
intendere di diverse cose paja composta
8 da movimenti vaij distratta in qua e la; in Dio elP e una sola, 6 semplice e ferma ed eterna,
possedendole tutte in- sieme ristrette e
present!, che pe' nostri fallaci giudicj ven-
gono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle sensi- 350 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE bill forme adiviene, e quasi elle fossero
appunto volanti a caso fuori di Dio,
perche noi non siamo atti a concepire
com' elle riseggono in Dio ; ma non mai fuori di Dio proferi Platone ch' elle si dimorassero, mentre e'
disse poc' anzi: Lui nel fare il mondo
avere imitato un esempio eterno e non
generato : e poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo si- migliante a se stesso. Per qual modo dunque
fuori della Divina Mente potea un
esempio eterno trovarsi, e come ras-
sembrar lui, se gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero fuor di Lui? Fermisi dunque su '1 presupposto
platonico ch' e' ci sono le Idee, ed
essere nella Divina sua Mente; impero
che quale osera mai affermare che Iddio alcuna cosa abbia fatto, la quale prima col suo alto
intendere esatta- mente riconosciuta non
abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti di
farla, erano appresso di lui si fatte cognizioni anticipa- tamente al mondo creato e queste quelle sono,
che dal Timeo appellansi Idee. Ma odasi
di grazia Alcinoo che sopra cio lo
comenta : « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e perfetti, e quindi gli esempi eterni
parimente di tutte le cose che dalla
natura si fanno dependenti dal principio esem-
plare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in que- sto luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si
come dianzi vi si accenno. Bafinio. — Sono considerazioni altissime
(egli e vero) di quel finissimo ingegno,
ma io le ho piuttosto per immagi-
nazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne della Divina. Impercio che da Dio si opera in
an istante, e non con atti disgiunti e
temporalmente. Buonaccorsi. — Da Dio si
opera in uno stante, non ve '1 saprei
contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter ed instantaneo dinanzi & lui (come poco
fa si ragiono), e nel suo infinito
indivisibile tutti gli atti, che differenti e innu- merabili sono appresso di noi, i quali per
nostra imperfe- zione d'intervalli di
tempo abbiamo mestiere per pensare,
nonche per adoprare, appresso di Lui e un atto unico e solo, e permanente, e impermutabile; e a
volere che lesae opere temerarie non
fieno ed a caso, conviene abbiano in-
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 351
nanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali da noi due operazioni separate si giudicano,
1' una innanzi all'altra; ma in lui in
un istesso punto si accozzano senza
differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea pri- maria si e, dalla quale si abbracciano in s^,
e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e
pero non senza molta ragione potette
intendere il nostro filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san Giustino martire)quel luogo della Genesi: «
Che la terra era, > come sopra
memorato abbiamo; ma che tale precognizione
per r Idea antecedente all' opera pigliar si debba, cio ne viene con aperta sentenza dichiarato e
rinforzato dall' acu- tissimo Vescovo
Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio,
Qual vero religioso potra negare le Idee, o non professarle per vere? Certamente nessuno il quale non
ardisse afFer- mare che le cose che da
Dio sono, non abbiano motivo ond' elle
sieno, n^ da lui sostenimento ricevano, e cho quello che per lui si fa, senza conoscimento o
ragione si faccia; che sarebbe un volere
ch' egli operasse quanto egli adopera
sconsideratamente e senza badarvi; le quali cose essendo fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e
necessario di confessare I'ldee. E nello
stesso luogo riferisce cio che spiega
Varrone, che la favola di Minerva, nata dal cervello di Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in
una perfetta e intera sapienza si
ragunano nella mente divina. Ma questo e
poetico ritrovamento, dove con verita infallibile la sa- pienza che ha sua sede nella mente divina
pare che questo accennar voglia, mentre
cosi parla essa medesima di suo
nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altis- simo uscii fuori e primogenita sono di tutte
quante le crea- ture. » Anzi dove dal santo Vescovo medesimo s'
interpreta quel luogo di san Giovanni,
testimone si veritiero delle cose so-
prano: s' intende cio delle medesime Idee, per tal modo discorrendola: «
Quello che per esso fatto fue e vita;
intendesi in Lui, nella qual vita vide
tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi fecele si come e' le vide, non fuori di se stesso
veggendole, ma dentro se 352
ANTOLOGIA DI COSE INEDITE stesso e per
si fatta maniera annoveio tutte le cose che
e' face. > Che avete voi da
ridire signor Dafinio verso un vera-
cissimo maestro Cattolico? Dafinio,
— lo oppongo a fine d' imparare, non per con-
tradirvi. MagioUi. — Eccomi in
vostro aiuto,^ signor Gioseppe, con un
liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa convenienza alP Idee. Da esso si fattamente
si descrive la sapienza con la quale il
sommo Motore fe^ il tutto. « Onde viene
la sapienza, e quale e il luogo deir intelligenza ? Ella e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e
occulta per infino a gli uccelli del
Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce
sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti i confini del mondo, e tutto quello ch^ e
sotto il cielo riguarda. Quando egli
dava il tratto a^ venti, quelli posando come
ancora Pacque a certa misura; quando sua legge impo- neva e suo or dine alle pioggie, e assegnava
la via alle sonanti procelle, alP ora
egli la vedeva, la contava, la rego-
lava, e investigavala. » Al qual fine dal nostro Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; » perche tutte avanti che fatte fossero vedute
le avea per entro 1' infinito
comprendimento della sua Divina Sapienza,
nella quale -sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita conserva delle sue perfettissime Idee. Parv'
egli ch' e' torni bene a quella
anticipata cognizione delF Intelletto Divino,
a quel? unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui esemplare rimirandolo, esso formo tutte
quante le cose di qua? Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete
recato, signor Ma- giotti, adducendone
cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si
adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni esplicato da sant' Agostino : ma dee ora tirarsi
innanzi il ragionamento co'nostri autori
Platonici, i quali sopra cotali fondamenti
DI ORAZIO RICASOLI BUCELLAI. 353
di yerita debbono giustamente acquistar gran fede. Che queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi:
« Owero Pin- telletto e egli Iddlo, o
veramente una cosa si e, la quale inteude
in lui; onde le cognizioni eterne e immobili nella Divina Mente, e quests Pldee sono, misure
giustissime e perfette delP eterno
potere, ch' egli cape solamente, e scorge
in se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se dunque vero h che lo intelletto sia diverse
daU'opinione vera, anche lo intelligibile
sar^ dalP opinabile differente ; e pero
sarannoci le intelligibili cose diverse dalle opinabili, che viene a dire le prime notizie
intelligibili, siccome si hanno le prime
delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo inten- dere si fatto attaccamento non h da uomo come
la Divina nostra Commedia nel
Purgatorio: « Per5, la onde vegna lo
intelletto Dalle prime notizie, nomo non
sape E de*primi appetibill
TafTetto.* Soggiunge poscia : « Essendo
lo intelletto primario bellissimo,
conviensi che lo intelligibile oggetto di lui bellissimo sia, ma niuna cosa piu di lui ^ bella, perche
sempre intende se stesso e le sue
cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. > Paionvi cose astratte e metafisiche n' e vero
? Ma cotauto eccelsa materia di
ragionare avendo tra mano, ed essendo
sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro intendere simiglianti proposizioni, quanto
ch' elle nell' ampio albergo soggiornano
di quella Mente Sovrana Sopra
simiglianti considerazioni astratte e inesplica- bili si yiene da Jamblico alia formazione continua
dell' Uni- verso conformandosi alP
intenzione Platonica: «Iddio forma il
mondo e riformalo, non per via di celestiali movimenti, non per mezzo deUa materia mondana, ma con
esso V intel- ligenza per merito dell'
anima sempiterna che a lui ha dato.»
Ecco che per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: «
Perche nella Potenza Divina non sempre
vegliano e operano a un mode le ragioni
seminali generative negli esempli formal!, si
come alcune altre viepiu immobili che precedono le semi- nali, coadiutrici di esse; ne adiviene che la
potenza di amen- due queste ragioni, ch6
in sostanza le Idee sono, e dope le Idee
gli esempi eterni, vada innanzi alPuniversa genera- zione che nel mondo sensibile di continuo si
fa; dopo que- ste gli influssi adoperano,
e le celesti quality, si come il moto, e
in ultimo la faculty della materia. > Laonde Trime- gisto in si fatto proposito anche piu
chiaramente : « Iddio e pieno di tutte
le Idee, e spargendo le qualita nella sfera
maggiore (cosi chiama la materia) stando egli in sua fer- mezza stabile, dalla sua piti somma altezza
in questo mondo nostro sensibile semind
le Idee, la detta sfera. circondando
delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. » Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il
detto di Jamblico : « II mondo, essendo
opera di Dio, conviene per si fatta
guisa da lui fabbricato sia, che a qualche Idea esem- plare di esso nel suo edificare riguardato
abbia, allor ch'egli con maravigliosa
provvidenza per propria bonti alia strut-
tura s' accinge di cotanta macchina. »
Dafinio, — Questi sono pensieri che meno difficili ne paiono, perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle
menti nostre DI ORAZIO RICASOLl
RUCELLAI. 355 sperimentiamo questi atti
disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi
ci mettiamo. Venendogli dunque alia Divina Mente appli- cando, non e malagevole il cosi figurarsegli;
ma immaginan- doci poi la Divina Potehza
con quelle alte e ineflfabili
prerogative d' infinite, di unit^, di eternita, di stability impertnutabile che alia soprana eccellenza di
sua condizione vengono richieste,
volerle assugettire a distinzioni di tal
fatta, e a misure che si affanno a noi, e si considerare P Idee innumerabili e infinite, e poi che
elle in una Idea sola s' immedesimino, e
che il numero dell' unitade (se pero nu-
mero chiamare si dee) non si alteri con la moltitudine, qui e dove nostro apprendimento vacilla. Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la
cdsa con gli esempli piu chiara,
iiditene uno, che ne mette molto pro-
porzional mente Ploti"no :
MagiottL — Piui appropriatamente, per quanto i' m' av- viso, torna al paragone del mare il vasto
Oceano del tutto, che unico e anch'egli
(come Platone afferma) per I'ordine 6
per I'armonia, la quale dalle forme senza novero ch'egli ha in se, e di tante ragioni, il piu ch' ella
puo le raccozza insieme ; e come 1' onde
del mare non sono altro che il mare,
cosi le forme nel mondo non sono altro che il mondo. 356 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Di maniera che merce di questa armania
rendesi il mondo a Dio simiglievole, che
per cio il nostro filosofo, piu innanzi
favellando, Iddio generate lo chiama; ma non altramente deir agitato mare, e da' soffi de' venti in
yarie guise trasfor- mato e commosso,
non serba anch' egli senza yicissitudini o
divariamenti quella perfetta concordanza e unione che nel- r infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima
impercio che le forme varie sono di lor
natura locate nella materia, avve- gna
che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con le forme; ma la materia per se stessa di
contrarii e con- posta; per modo che, e
forme vegetabili, e forme sensibili, e
forme ragionevoli, e di altra guisa in questo visibil mondo si rappresentano ; ne deir ordine armonico
puo tanto il va- lore, che tra di esse
qual piu e qual meno a quel supremo
esemplare non venga a rassomigliarsi ; talmente che differ- mita considerabile ci ha non che nolle
spezie, negH indi- vidui loro, ancorche
di quell' unica, perfetta e non mai per-
mutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri; che per cio, come le onde marine, le quali
piu variate, e di colore sono^ e di
profondita, e di grandezza, e svariatamente
corrono allido; anche le forme in questo mar profondo del- r universo valicano tutte a diverse rive,
dove le Idee, che in Dio sono, per lui
sono, e a lui tutte sono sempre ugaal-
mente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da essere,
le qnali nolle ragionevoli creature sono
vestigii piu adattatamente im- pressi
entro la corporale materia, della suprema ragione, per quanto a quella Divina Norma,' ch' e
senza mendo, vie piu che le altre
rassembrino; pur tutta via si divariano
sovente volte e stravolgonsi da gli affetti soperchievoli e dalle smoderate corporali perturbazioni,
dalle quali ad ora ad ora sregolando si
viene lor bene ordinato adoprare, ch'
esse te le scompongono, e traggon fuori dalla loro for- mosa e ben proporzionata figura. Per la qual
cosa piii o meno alia bella divina
sembianza si vengono accostando, e non
serbano uguali, e mai sempre a un modo le loro doti sovrane. Perche tal verita insegao Beatrice
con savio am- DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 357 maestramento al nostro
Dante nel suo entrare del Pa-
radiso: Adunque non ^ tavola
rasa nella mente de' fanciulli, dove si
scolpiscano via via insegnando loro cose nuove, e non piii da essi udite e vedute; ma le notizie
prime di tutte le cose impresse ne gli
animi loro, avanti ch' e' nascessero, di
mano in mano si risvegliano che vi dormivano, e in ispe- zialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi
Geometrici, P ono concatenato con 1'
altro, e mettendo per cosi dire a lieva
Tordine di que' primi semi, ' gli uomini delle scienze di tntte quante le cose a poco a poco ricordarsi
farebbono. DI OflAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 367 Imperfetto, — Si; vol ci
sponeste, Don Raffaello, con grande evidenza
alonni giorni fa : come i primi element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza
universale £ino alia Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve
ne mostrai, se Yoi ne avete ricordanza;
ma di questa sapienza infinita che e in
Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne
ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento per- fetto, imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa
dunque tutte quante le cose virtu
acquistano, e pregio di bonta, e di
sapere, e per ta^ragione e utili si chiamano, e dilettevoli, e saggie, e si tali ne riescono a chinnque
acconciamente assaporare le sa, e
drizzale al vero uso; ma senza simi-
gliante conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d'
intendere, e che buona, o giovevole noi
giudichiamo, niuna utility, nessuna
ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non per altro adiviene, se non perche uscendo
le nostre menti dalla vera sedia della
ragione, alia contemplazione di quella
superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chia- rezza ci addirizziamo. Per la qual cosa tal
cognizione age- volmente si scambia,
secondo le varie torbe apprensioni, e le
torbid^ iuclinazioni de gli uomini da'proprii affetti mal consigliati; che altri questo dono divino sel
credono nella voluttSi ritrovare
de'sensi; altri nell' ambizione lo si figu-
rano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e prosuntuosa curiositade; e a pena che i veri filosofanti
nella sapienza e nella verity il
ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo
temerariamente del proprio senno pavoneggiandosi, piii oltre del licito e del possibile si traviano, e
nella soperchia luce si acciecano. Egli
e dunque manifesto che ogni anima.ugual-
mente la saviezza desidera ed il buono, e, per conseguirlo, fa tutto quello ch'Ella sa, secondo perd i
bugiardi o veri oggetti che se le parano
davanti ; ma ci6 tutto consiste nel
saperlo rettamente riscegliere e ravvisare, il quale in somma non altrove che nella meditazione di Dio st^
riposto: dalla cui Idea primaria (torno
a dire) cioe dalla sua infinita sa-
368 ANTOLOGU DI COSE INEDITE
pienza quelle prime faville nell^ anima nostra discendono, le quali, come si e detto, Idee seconde si
chiamauo da Pla- tone, tramandate in noi
dall' Eccelso Manifattore, per fame lume
tra il vero e lo iatelletto, dove con esso il guardo interno disappassijonatamente vi ci fissiamo,
e con quello ardente, e ben regolato
amore, che Ma siffatte purissime
scintille del divin fulgore noi non le
abbiamo in noi da per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle corporali passioni vi si accendono alcuna
volta, e con esse si permischiano,
ancorche accoppiamenti sieno mal messi
insieme, e come abbozzi per un certo modo di quelle, pur tuttavia per difetto della materia ov' elle
si rinvoltano, come delle chimere
addiviene, delle abbarbagliate immagi-
nazioni e de' sogni, non mai alia verity delle scienze ne menano, ma sempre a fallaci e stravolte
opinioni, che dal vero ne discostano, e
concetti ne formano di la da ogni
regola di ragione; e di qui procede che invece di recarlume, torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia
bella chiarezza del- rintelletto; che
il buono, e il vero, quanto a sua intenzione
appetisce, e cio imperciocche V immaginazione male s^ in- forma da quelle passioni, che fuori del
sentiero battuto del vero senza ch^
ella se ne accorga te la ritorcono e te la
disviano. « lo veggio ben si
come gi& lisplende Nello intelletto
tno retema lace, Che Yista sola sempre
amore accende ; E s'oltra cosa nostro
amor seduce, Non e, se non di quella
alcun vestigio Mal conosciuto, che quiri
trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse
quel sublime ingegno ch'e dellft Poesia
Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente
V uomo ottene- brate avendo le lucidissime
e vivacl potenze dell^ anima da^ vapori
sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi troppo in cotanta fulgidezza per lo soperchievole
abbagliamento se gli cansa il vedere, o
si veramente le ali del intelletto nostro
DI OBAZIO BICASOLI BUGELLAI.
369 cui solamente si alte ragioni
stanno esposte, dalla pania delle
terrene voglie invischiate trovandosi, non si ponno stac- care, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per
quanto nostra mente procnri di
pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di
meno seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la strada manca, e invece di aggiagnerle si
perdon di vista quel piii. Per lo che
dal vero sciontifico deviandosi^ alia fal-
lacie si donano gli uomini, e hannole per reali e per vere; e 88 per caso ad alcuna verita pervengono (il
che di rado accade per si£fatte Tie) cio
succede a simiglianza de' ciechi (come
chiaramente Platone nel Sesto della EeptMlica) cui viene a sorte camminato pe '1 diritto, a
differenza di que- gli che giran girano
per quella o per quell* altra via, e mai
non ne vengono a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le cagioni delle cose vere, con lo intelletto
e non con esso i sensi comprendersi per
quello che veramente elle sono ; e
conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare, 6 amare il loro sovranissimo Autore. H che
esplica il filo- sofo oiostro nel
Convivio^ con la sua usata ammirabil ma-
niera : « L* animo della Divina Bellezza innamorato allor che e' gusta pe '1 suo verso, e intende le
ragioni divine, non piu i simulacri ma
le cose vere in se stesso partorisce, e parto-
rite nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza richiama ad alta voce la ragione dietro a' sensi
sviata; per tal modo divenendo I'uomo
familiare di Dio e vie piii immortale
degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle Idee, la notizia vera delle cose che sono ne
risulta, non tanto esse riconoscendo da
Dio, ma ancora da noi medesimi, non come
cognizioni impresse con esso lo studio ne gli animi nostri, ma si per la reminiscenza nella
nostra mente resu- scitate quelle che
generate vi furono con esso noi per me-
rito della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio corporeo bruttate vi erano e cancellate,
senza lo ripulimento delle studiose
contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali
del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a
falso lume si veg- giono, e totalmente
dal vero diversi. %4 370 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Luigi, — Come sarebbe a dire? MagioUi. — Come, verbigrazia, alia nostra
vista per alcun mezzo trasparente si ma
gi*ossolano o mal pnlito qnalcbe oggetto
passando, che per esso sua immagine si stravolga e sformi, tuttp altro da quel che e' ci
rassembra e' lo giu- dichiamo ; o pnre
come nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli
per r aere sereno, da noi scorta talora, la quale, o per lo risguardamento uostro mal situato, o vero per
la grossezza de^ vapori si da lungi
sguardandola in figura di Lione o di
Drago, o s'in forma d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie sembianze, cui, se awicinare potessimo le
pupille, tutta neb- bia confusa, informe
e indistinta per awentura parrebbeci, e
che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o si veramente dove un alcuno schizzo casuale o
d' inchiostro o di altra tintura, il
quale da presso non e salvo che sca- rabocchio
sformato, un ben ordinato disegno di regolati
lineamenti tal volta da discosto ci sembra ; tale per le stesse ragioni all' occhio della mente e dello
intelletto gli oggetti non di rado
intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma
non altramente che non h mancamento del Sole, se varia- mente ci paiono le cose da quelle che elle
sono in varii luoghi mirandole, in
diversi tempi, e sopra diversa materia;
cosi non h difetto di quella pura semenza di luce, che nel- Panima nostra fa lume, e riluce ugualmente ad
ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella
trapassa, o delle corporali pareti, ond'
ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti si o no aUa lor vera veduta si guardino^
imperci6 che tatto sta nel pigliare il
verso e '1 vero diritto per giustamente
scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati gli organiele vie per cui passano le spezie da qualunque
intasamento de gli affumicati vapori,
che in alto levano gli affetti piu bassi
e piu irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di f uliginose fumicazioni, le quali spesso da'
varii accendimenti de' sensi vi si
tramandano. In si fatto modo per 1' use de' saggi ammaestramenti, e con la continua disciplina
delle medita- zioni scientifiiche, e con
esso lo incamminamento ben gui- dato
della ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 371 lucidezza delP immaginativa, che non s'
intorbidi e render possa le immagini
vere e reali, e non isformate, ed impure
all' acume delle luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero filo la chiarezza di que'raggi divini
scorgano e intendano le cose, come in
fatto stesso elle sono^ al loro etemo prin-
cipio Yolgendosi, e da quello riconoscendole con perfetta contemplazione. Imperfetto. — Di vero, che i luoghi ne piii
degni, ne piu proprj esser ponno a fame
co' suoi veri lumi discernere le beUezze
della divina sapienza, ch' e V idea universale (come si e ^etto piu e piu volte) di tutte le cose
che sono ; ira- percio che convien farsi
dall' amore verso Iddio, e dall' ado-
rare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima di tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la
vista a fine d' inten- derla con soperchievole
bramosia, e con ismoderato ardi- mento.
E' vuol essere amore filiale, nel modo che il figliuolo r occbio al padre contegnoso rivolge e
rimesso, e non gliene squaderna in
faccia prosontuosamente e senza la dovuta
venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove con r intelletto non si puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu
dottrinale per ammaestrarne nel divino
conoscimento, in quella lettera che
Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita sottigliezza ed
acume. Ivi egli dice che V animo nostro
non ha via di capire V Idee che sono
nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e in quarto luogo, la scienza non ne
abbia, e nel quinto finalmente ch' e'
non apprenda il mezzo per il quale una
cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia
scienza di sapere quel che sia il
Cerchio: primieramente bisogna sapere questo
nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria defini- zione, e che a lui solo si convenga; terzo,
s' immagini di- segnata essa figura
circolare awertendo, ch'essa il vero
cerchio non e, ma solamente la sua immagine; quarto si rap- presenti alia mente la forma del medesimo
Cerchio, cioe il di lui esemplare
generate con esso lui ; quinto, con si fatta
372 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
elevazione di mente trapassi a coatemplare Fldea del me- desimo, quale ell^ era nella mente di Dio ;
onde a simile ap- prensione vera e
scientifica quale e colui che aspirare possa
in questa vita, se non se V animo umano, con la filosofia, di 8U0 caduco corporale meditando la morte, come
di tntti suo* sensi, da essi per tal
modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio
; che impero Pico della Mirandola nega la mente del- r uomo potere intendere le Idee, se non
giunto a simile stato sublime, ch' h V
ultimo grado della perfezione contemplativa;
e nel Htneo, come averete udito, dice Platone agli Dii appar- tenersi dMntendere le Idee, e a quegli uomini
pochi, come si 6 a que^ soli, i quali
merce della filosofia si sollievano al*
Taltissime speculazioni d'Iddio.
Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino io)i quali dimenticatisi, non che di qualunque altra
cosa, dell'essere vivi, tutti alle
potenze superiori dannosi in preda, e abban-
donano le inferiori^ che viene a dire datisi alia contempla- tiva, perdono affatto Tuso della vita
attiva. Dafinio. — Si vede che io non
sono di cotesti che voi dite ; impercio
che riconosco bene tutte queste proposizioni
Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma son modi, per arrivare a intendere le
Idee, malagevoli molto, e assai piu che
non e la materia medesima delle Idee; m'
e nondimeno di alto rilevamento e di sommo di-
letto V udirli, e sentomi vostra merc^ cr;escer V ali per al- zarmi vie piu che io per me valevole non
sarei, di modo che eziandio che io non
giunga a intendere, posso dirvi, signer
Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Bea- trice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io.
» Luigi. — Io sto cheto perche io credo
ch' e' nasca da me e invidio agli esimj
vostri talenti che dalla volgare schiera
degli uomini vi traggon fuori. •
MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo
sempre con maggiore evidenza la
proposizione di Socrate, che si fatte
DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 373
materie sovrane dalla nostra caduca condizione in tutto e per tutto s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si
favella, ampla e malagevole, e per6 la
mente ci 'si affatica a pen- sarci,
nonche la lingua nel proferire tante e si varie pro- posizioni che non averebbe mai fine; e pero
vi prego^ Don Raffaello^ dite un po'
voi, lasciandomi in tanto ripigliar lena.
(Segue) IL TIMEO. Sopra VAnima
del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio
si e, tutt^ insieme unico e intero, come
si fanno a credere foUemente costoro; que-
st' altre Deit^, onde favellato abbiamo, che assegnarono i piu de' Gentili a tutti gli operamenti generici
delP uni verso, Dii interi non saranno,
ma porzioni di Dio^ e la terra che e
parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per tal modo sa- rebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del
mondo grandis- sime, che inabitabili
sono, ed incolte per la lontananza del
Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci, che non mai vi si liquefanno, le quali sarebbon membra
divine a sif- fatti patimenti
sottoposte^ verrebbero a dimostrare che
Iddio non fosse altrimenti impassibile. E non che le soprad- dette regioni, ma tutte le minuzie del mondo,
s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio
; laonde qualunque parte che Tuomp e gli
altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacri- legamente una parte di Dio. Ogni fiore che si
colga, ogni erba che si divella,
qualunque barba che si diradichi di sot-
terra, BB,rk uno strappare le viscere, dilacerare le membra della divina sostanza^ e qualsisia cosa che
nelPuniverso si corrompa e guasti,
corromperassi una parte di Dio. E tali
cose posson pensarsi non che raccontarsi senza vergogna? 374 ANTOLOGIA DI COSE ^NEDITE E per5 divinamente il nostro sublime
Filosofo nella Bepub- hlica : Quel che e
uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio,
per qual maniera anche con la immaginazione si puo egli dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio
V essere di Dio, senza cho niuno V abbia
veduto, e sappia come e qnale e^ si sia,
e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi
immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio
fosse e dovesse essere nel modo che dite
Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ? Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben
nel Cielo si puo immaginare, ma non gia
qui tra noi; noi possiamo bene e
dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra imma- ginazione piu perfetto di quel che noi
possiamo compren- dere, e non crederlo
ne figurarcelo gia mai con quelle imper-
fezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo
quel principio supremo che senz'aver
avuto principio, ha dato principio a
tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di tutti i
perfetti, cui nulla si pnote aggiungere
ne torre, Toriginale primario di tutte le cose
buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte le sapienti, intelligibili e razionali cose,
le quali non son parte di Lui, ne della
sua propria essenza, ma copie, ab-
bozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben messi insieme, di lui; quel che pu5 cio ch* e' vuole, e nulla
ci ha che possa sopra di lui, e pero
niuno il puote offendere ne e capace di
senso umano, ne puo patire per avvenimento che sia, per- che ogni avvenimento per lui viene, o da esso
si puote im- pedire : e impercio
Parmenide chiama uno il primo Ente che
vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine,
perche e infinito, in- forme, ne da
verun luogo puo essere circoscritto, ne si ferma per cosa che lo trattenga, ne ha movimento di
luogo, o di agitazione, ne si fa gia mai
in conto, o per modo veruno, non e il
medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 375 dissimile, ne uguale, n^ disuguale, perche
niuna cosa il mi- sura ned' e per
novello ne per antico, ne in tempo, ma sem-
pre senza tempo, non generato giammai, ne si genera al presente, n^ fu mai, ne fatto e ora, ne si
far^, ned' ^, ne dope sara, ne e
partecipe di sostanza, perche egli e solo e
V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e
future, egli e e si genera e si fa, e
presente, che son misure di tempo, ed egli
non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente gli
torni, niuna defiinizione che gli si
addica, ne di lui si puo concepire da
noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne
agguagliarlo con parole mortali^ ne
pensare, ne cognoscersi, ne da nes- suno
ente che sia formarsene concetto, o aver sense, o lume 81 chiaro, che vi aggiunga, perche nostra
ragione 1^ non si stende. Egli e insomma
V ottimo di tutte quante le cose che
sond, ma e* non e niuna delle cgse per ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli e sopra 1' essenza di
tutte. E se Iddio non fosse tale, quale
volete voi che fosse questo che da noi
si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce, si come il meglio di tutto queUo ch* e, perche ogni cosa per
lui e ? E pero Iddio e in questo modo, o
non ci potrebhe essere di altra
maniera. Imperfetto, — II meglio
che ci abbia tra tutte le cose visi-
bill e il piu perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio che chi fa, chi produce, e si
smisuratamente adopra tante e si
meravigliose operazioni, come fa Tuniverso, e
quale con maggior ragione e sapere di esso? Magiotti. — Non puote essere il meglio e il
piu perfetto, quello dove giungono le
misure del quanto e dove i nostri sensi
si allargano, cui competa il nome sovrant) di Dio; ma ha da esser quell' ottimo, e perfettissimo
che sdegna gli argomenti umani e dove
niuno puo alzar le vele con la navicella
del proprio ingegno, perche di cotesto non si puo andar piu in la, ne anche da i compassi
infiniti della menta divina, conciossia
cosa che essendo egli infinito, infiniti e
376 ANTOLOGU DI COSE INEDITE
senza termine sono gli attributi che a Ini si convexigono. ne dalla nostra immaginazioiie si pQ6 sapere
cotanto adden- tro, per modo che niente
ci ha da coireggere come saocede negli
sbagli e ne' difetii del mondo, che per hi reita, e nud- yagit^ natnrale della materia, a otta a otta
danno in fnori, n^ con esso V oirdine di
chi lo regola pii6 ammendarsi in gnisa,
che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e,
n^ qnel peifet- tissimo snperlatiyo
infinito, al quale si aggiugne sohunente
dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed assolnta di an Dio, qaantnnqne riesca ai nostri occhi 1'
nniverso a. ammi- rabile, e qnanto a noi
la pin beUa, la piu perfetta cosa che
sia, per merito del magistero sovrano che lo fabbrico, e che veramente in loi si scorgano marayigliose
cose della Omii- potenza Divina; laonde
con somma saviezza disse Plotino: «
dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si pao
dare V nltono fine il qnale per sna
incommensnrabiliia divenga infinito; e U
mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia patisce; > e pero,
dice il Ficino, «gK e indivisibile, e
sottoposto a diseioglimenti contimii, e come
di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga con- ginnto, il quale di sua natora perfettissimo'
sia, ed intero, e da se stesso, e per se
stesso, e come infinito fdori di totte
le'misore, e di totte le immaginazioni deDe cose finite: im- percio che il sommo di totte qoante le cose e
cosi alto, che vince la nostra vedota, e
da qoesto solamente deesi credere che
abbia il mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee
positive, ch'egli ha, in come lavoro
dell' etemo motore, che impero si rag-
goardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia
perche e' sia Dio. Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de'
sopraddetti filosofi fosse egli Iddio,
Terrebbed a oscire d' inconyenienti
molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo
filosofante, o che DI ORAZIO EICASOLI
BUCELLAI. 377 81 diano due principj
eterni, e inereati, V agenie e il paziente
insieme, di una stessa dignitade e potenza, il che non pa6 tomar mai alia ragione de'piii esperti
contemplativi; dove se Iddio e la
materia fosser tutta una, sarebbe una Deitit
sola etema, cio^ il mondo medesimo.
Buofiaccorsi. — Tutto il ragionamento precedente del nostro Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi
della filosofia, cotesto presupposto,
perche Iddio se fosse la materia, di
difetti sarebbe pieno e di errori, che non si deve presup- porre di un Dio^ ne puo essere una medesima
sostanza fatta di due cose contrarie
assolute, onde immedesimare si potes-
sero in un solo soggetto e le condizioni ottime di Dio e le prave quality della materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto, e non mi ricordo
dove, che Iddio h non Ente, e si altresi
la materia e non ente ; adun- que che
contrariety ci sarebb^egli se ci6 vero fosse?
Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chia- mano il primo Ente, e veramente non Ente per
rispetto a gli Enti a' quaU egli e primo
e superiore ; ma la materia e non ente,
perch* ella h inferiore a gli Enti ; » ora considerate s' e' sono Iddio e la materia veramente
contrarii. Ma con altro argomento
risponde Alcinoo, e di vero con somma sa-
viezza, contro V opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo (die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se
Dio fosse corpo, di materia e di forma
composto sarebbe, e perd non saria
semplice come all' essere di Dio vien richiesto, ne imper6 principio per s^, solo, increato, come Iddio
esser conviene. Ora non potendo esser
corpo, non puote in veruna ragione
essere Iddio V universo corporeo. »
MotgiotU, — Gli Stoici dividono la natura universale in due parti, r una che fa, V altra che a farsi
maneggiabile e atta si e. Nella prima la
virtii della vita e del sense consistere ;
la materia per s^ infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y una poter stare senza V altra nell*
Universo: ma non puo gill essere il
medesimo quello che adopera, e quelle in cui si
adopera, come se tutta una avesse da essere il vasaio che il fango, e il fango che il vasaio ; e
costoro danno in si fatto 378
ANTOLOGIA DI COSE INEDITE delirio che
reputano queste due diversissime cose il mede-
simo Iddio e il mondo; TArtefice e la fabbrica! La mate- ria, come affermauo Jamblico e Plotino, avere
Tessere da Dio e ordinarsi di continao
talmente, cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente.
E la materia da lui ricevere la sospinta, e or-
dinarsi mobilmente ricevendo da Dio la sua tempera secondo gV iutervalli de^ tempi, come dall^
Orivuolaio V orivuolo, il quale quando
egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo
essere, sempre si ricarica, se no finirebbe il suo movimento 6 non andrebbe piu; nello stesso modo la
materia di sua natura imperfetta,
cammina di continuo al ritornare nel di-
sordine del Caos, perche via via col suo disfacimento ella quanto a se vi ritorna, ma di presente il
maestro eterno la ritempera e la rimette
su Tordine, e falla camminare com-
postamente per via delle continue generazioni, e di mano in mano ch'Ella va a perdere sue forme,
riformandola per mezzo di quegli esempi
eterni, e cio si fa per rispetto a Dio
infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo
essa materia. Luigi, Che cosa e egli
dunque questo Universo che anima tutte
quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, no- drisce, accrescele e crea ? tutte quante in
oh le riceve e sep- pelliscele, e di
tutte ugualmente e Padre, perche del mede-
simo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo disfannosi} s' e' non e Iddio onnipotente, dalla cui virtCi
tutte le cose €he sono hanno T essere
loro? MagioUi. — L' Universo non e
Padre delle cose che sono, ma r
intelletto Divino e Padre del Mondo (dice il medesimo autore) e la materia Madre : e V ornamento
del Mondo, e prole Divina nelP utero
materiale^ e pero noi scorghiamo la
prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi ammirabili per cui ella si concepisce, e come ella si fa, e
per questo pren- diamo errore, stimando
il nostro occhio e i no&tri sensi mi-
sure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo. £ pero non e il mondo Dio, ma per V onnipotenza
di Dio egli 6 quel che egli e ; noi
scorghiamo gli efifetti e non la cagio-
ne, e come detto si e, gli pigliamo ignorantemente da quella DI OBAZIO EICASOLI RUCELLAI. 379 in iscambio, facendoci a credere con somma
demenzia che quel che e fuori della
nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per
se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e
coloi che regge e governa, e che formo
la natura. {Segue) IL TIMEO. Se VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere
pro Tribunal!, e discorrete altamente
come h nostro uso. MagioUi. — £cco
fatta Tobbedienza, e ricomincio a dire,
essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima in- torno alia sostanza Divina,e poi intorno al
mondo intelligibile, e air Idee, si come
alti esemplari del nostro sensibile, e delle
forme che questo adomano. E si parimente avendo discorso sopra r opinione dell^ anima universale e
quanto i sentimenti di Platone si
accostino in molte parti alia nostra verity, mi
6 venuto in amore di ragionare parimente co^ sentimenti Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso
veramonte o V anima del mondo, o la
porzione piu nobile e piu sovrana di essa,
e cio in seguimento del proposito tenuto sin qui. Sommo e infinito bene e Iddio; il sommo e infinito
bene, impercio che di essenza
perfettissima egli e, e anche oggetto di infinito amore, e insieme di godimento infinite, e di
perfetta bea- titudine a chi lo
possiede, si come eziandio sommo e asso-
luto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque il conosce, e non V ha in s^. Ora perche egli e
sommo e in- finito bene, e oggetto
altresi d^ intendimentp infinito, e per6
Iddio solo nella sua eterna mente il concepisce e intende, cio^ egli solo cape s^ stesso. Questo
concetto dunque, questa cognizione ch^
egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto
primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto divino, come 380 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE sopra si b mentovato, il quale e la sapienza
impermutabile ed etemale, che tanto si e
a dire 11 discorso eminente e non errante
che fa Iddio sopra *1 suo essere divino, ottimo e inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per
lo infinito me- rito di sua perfezione e
bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il
Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per il quale yiene constituita la persona prima del Padre
correspettiva e di- stinta dalla seconda
che e il suo £gliuolo, in tutto e per
tutto uguale a lui. Da questo atto poscia di cognlzione e d' intendimento sovrano che fa Iddio di
questo bene etemo ch^egli possiede in s^
stesso, subito ch* e conceputo dal Padre
per oggetto di beneficenza infinita, a misura di sue altissimo valore infinitamente V ama, e
quindi procede quello ardentissimo primo
amore equivalente alia perfezione di esso
infinito bene, per la cui strabondevole fecondit^ sparges! pel Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e
inestingoibile carit^, dalle cui
fruttlficanti faville tutte le cose che sono
hanno essere* e vita. E simigliante infinito Amore proce- dente da amendue le altre persone, 11 Divino
Spirito si e, il quale secondo la verita
nostra h la terza Divina Persona in
essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari, e dal nostro Poeta Teologo altamente
espostoci nel Pa- radlso. Canto X: « Guardando nel sao Figlio con 1* Amore Che rnno e Taltro eternal mente spira, Lo primo ed ineffablle Yalore, > per cui le scintille di suo fuoco amoroso,
cioe a dire le divine grazie si spandono
di sua Providenza onnipotente e benefica
per tutti quanti gli ordini della natura. Per le me- desime scintille poi prese fuoco eziandio
ogni altro amore, imperciocche
innumerabili amori si accesero nella natura
universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come bene ne awertisce 11 medesimo Divino Poeta,
perche esso amore aperse 11 varco della
creazione deirUniverso alio sparglmento
de' suoi benl portati su le all della sua arden* tissima carlt^, de* quali egli era
infinitamente ripieno, sola- DI
OBAZIO RICASOLI RUCELLAI. 381 mente per
diffondergli altrui, che egli non era in nessun
conto bisognevole. c Non per
avere a s& di bene acqaisto,
Gh'esser non pu6, ma perchd suo splendore Potesse risplendendo dir: snssisto; In saa eternitii, di tempo faore, Faor d*ogni altro comprender come i
piacque, S*aperse in nuovi amor Tetemo
Amore. N& prima, qnasi torpente, si
giacque, Ch^ nh prima ne poscia
precedette Lo discorrer di Dio sovra queste
acque. » Qaesto amore, dunque,
raccendendosi con iscintille senza
novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro piu o meno direttamente a riamare e adorare
il bene in- £nito, secondo ch^ esse piu
o men chiaro il rafQgurano e se- ,condo
le proporzioni e disposizioni, ch^elle hanno piti o meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui
per diritto filo, o per via di varii e
moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi,
o si pure stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de* proprii affetti, non
in Lui, ma in altre creature
erroneamente te gli fermino. Luigi. —
Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio
conto ricerca piu esatta ospressione.
MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui
non sia, e che non discenda da Lui, e
intanto il bene e bene, in quanto egli b
comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infini- tamente comunicabile convien che sia^ e per6
tutti i beni, che beni da noi si
appellano, beni non sono, dove non si
spicchino da questo unico infinite bene, e dove non sieno riordinati a Lui. Per la qual cosa non ci
hanno beni in noi, nh fuori di noi, se
non gli spande il supremo benefattore
Iddio come miniera e principio di tutti i beni. c Dunque air essenzia, ov* e tanto
avYantaggio Che ciascun ben che fuor di
lei si trova Altro non h che di suo lame
un raggio, » 382 ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE canta il medesimo nostro Poeta.
Vero e ch'essi si adnl- terano sovente
da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni,
qnalanque volta secondo il loro diritto non si rivolgano, e se si torcono non si riordinino a lui. Ora
qaale e il veicolo per cni fassi
penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le
cose create, salvo che lo spargimento delle faville di qnesto ardentissimo primo Amore da iai procedente e
ugnale a lui, le quali in quelle si
appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle
ne sieno secondo loro capaci : cioe questo desiderio, questo ap- petite ch* e innestato nella natura
universale di finire beni si grandi, pe*
quali ella si mantenga viva e perpetua. Imperd
merce di questo amore primiero fontana di tutti gli amon accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte
di creature o vegetabili; o sensibili,
che sono semi della sua profonda e
inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di
voglia siccome quelle che accese ne sono
ad una cieca obbedienza della sua vo-
lonta cotanto loro giovevole per la loro prima conservagione; e Tamano gli individui loro, ancor che per
avventura non sappian di amarlo,
conciossia cosa che intendimento e^non ab-
biano da conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e ge- neri loro, e se non questi, hallo e V ama e V
adora la madre natura, ch* h il
genere.di tutti i generi, la quale accendesi al- Tesecuzione del suo altissimo provvedere,
divenendo in qaesta bassa circonferenza
ministra della Divinitade. Ma tali beni
che dall^ infinite e sommo bene si diramano parrebbero quasi beni finiti, e terminabili, se non ci fosse
anche a chi comn- nicare i beni etemi
nel loro essere intero e perfetto, che
sono i veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V
intelligenze sa- periori, che Tamano,
impercio che sanno perfettamente quel
che elle amano, adorandolo a vise aperto, hannoci gli uomini, i quali ci rassembrano capaci dello
sfogo della di- vina bont^ intorno a gli
eterni beni ; e di ragione debbono e
dovrebbono amarlo sopra ogni cosa che sia, avendone co- tanta arra ne'beni sparsi per V universe, e
tanti e si be'raggi per riconoscerlo,
scorgendolo manifesto nella bellezza del
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 383
tntto e nolle bellezze tante e si varie di esso; e quando e'non fosse altro, conoscono per alto privilegio
di averne la cognizione, e la bramosia
cui h credibile che sia data, perche
Iddio gli abbia fatti degni eziandio di ricevergli, il che non si ravvisa negli irrazionali che hanno i
desiderii loro, e loro affetti^ e
passioni Dei primi moti solamente, dove gli uomini hanno ne gli atti secondi lumi da distinguere
e scerre il meglio dal peggio ; che pero
disse Salustio filosofo : Grirragio-
nevoli adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di maniera che le razionali
creature debbono accendersi, e '1
possono spontaneamente, al riconoscimento
e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie di- vine^ e alia gratitudine di sna infinita
beneficenza ; impera che essi beni non
piu beni sarebbero in noi se non piglias-
simo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da noi,
e desiderassersi con piena liberta di
volere e con atti riflessi corrispondenti
a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le razionali creature hanno virtii di
distinguere e deside- rare questi beni
per mezzo di quest o amore scambievole tra
Dio e noi, il quale da lui per venire a noi si diparte, e ac- cendesi in noi per ritomare a lui, talmente
che amore dee essere in noi un
ripercotimento di Amore, e un rivolgimento
e un ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente alia perfezione
della divina unitade. E per cio Amore,
disse Platone, h quelParmOnia e quell'
ordine che richiama le cose discordanti alia Concor- dia ed aU'uno; per guisa che nolle creature
dotate di ra- gione si eccita il lume
del conoscimento e le faville di amore
verso il sommo bene, e di tutti i beni che si driz- zano a Lui daUa luce splendentissima di
questo primo amore e di questo fuoco
divino, qualunque volta la parte inferiore
non recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione.
Impercio che i principali movimenti
delPanima sono Pintelletto e la vo-
lenti, e le altre potenze sono o a questi, o per questi. L' in- telletto ha per oggetto il vero, la volenti
ha per oggetto il 384 ANTOLOOU DI
GOSE INEDITE bnono, ma perch^ ne V uno
ne V altro qua si pu6 conse- gaire
perfettamente da loro, quindi molte fiate V amore del vero e del buono si lascia in noi traviare
dalle opinioni e dai sensi, e scambia
poscia il vero dal falso, il bnono dal
reo. e non al sommo bene, ma si follemente rivolgesi al- trove. Ma saviamente lo c'insegna Platone nel
Fedro, di- cendo cosi: «Che in noi sono
due faculty, le quali hanno gran forza o
potere di guidarci a lor senno : V una si e la
cupiditib innestata in noi, di quel che piil ci diletta : V altra una tale opinione acquistata cbe brama il
buono. Queste al- cuna Yolta convengono
insieme, alcuna altra contrastano e
tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della ragione ne
conduce a quel che veramente h V ottimo,
tale si e la virtu vera e F adoperar
ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli ne travia, e in noi imperiosamente comanda,
qnesta chiamasi cupidigia, che muta
nomi, seconda a quale effetto ella stol-
tamente ne mena. E tale si e quell' amore malusato e tra- sportato fuori del sentiero del vero amore
ch' e quelle solo, il quale all* ottimo
ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima
distinzione considerate avete, Don
Baffaello, i movimenti di questo prime amore, e
quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio che primo amore convien chiamarlo;
con ci6 sia cosa che tutti i moti nel
mondo, e negli ordini vaij delle creature,
tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine
impero di tutti gli amori. Ecco la
natura percb^ si muov' ella alle generazioni
se non per amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo, come tiene il
nostro filosofo,e non si regge e governa
a caso, come la nostra verita il vieta
di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a ricongiugnere le cose, che per loro difetto
dal loro ordine si deviano; per lo che
nasce spesso il tumultuoso combai-
timento di quelle che fuori di ogni loro dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e co* venti, e co'
turbini, o con le tem- peste, o
co'folgori, tutte impetuosamente si commuovono. DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 385 ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E
percio essendo tratte fuori dalla loro
natural positura s' infuriano per ritornarci
e per ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne
meno le razio- nali creature si muovono
con tutti i lor moti, quali essi sieno,
o buoni, o mali, sempre per amore; se buoni per
amore alia virtu o alia bellezza degli animi, che gli addi- rizza alia divina pulcritudine ; onde il
Poeta: « Che mentre il segui al sommo
ben tMnvia; » se mali, perche
scambiando gli oggetti che gV inducono ad
amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, « Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo
i diletti carnali, e via via di tutti i
vizj e falli degli uomini, fino 1' ambi-
zione, anzi Tira, gli odj, e si le malevoglienze, le male- dicenze, e le vendette medesime nascono da
amore per levarsi d'intomo cio, che
impedisce loro di godere quel che egli
amano ; il che acutamente ci ammaestra san Tommaso, che intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo
vietare il bene che noi amiamo; ma non
di meno in si fatte passioni d^ amore,
non mai i mortali si satollano, impercio che anche conseguendo cio che par loro di volere, il
vero oggetto del- V amor loro non
consegmscono, ancor che e' si pensino di
trovarloci entro. Impero V amor
vero e reale scorge gli uomini alia sa-
pienza e all* amor divino. L* amore stravolto da* sensi, e che tormina nolle cose corporee, ha solamente
per fine se stesso, cioe a dire ama
quello che reputa dargli piacere e
utile, sodisfacendo in tutto per quanto e* puo ai corporali appetiti. Per la qual ragione dicesi amor
proprio, il quale da regola a*
movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che
non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta nostro sovra- 25
386 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
no, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al dicias- settesimo Canto. « Ne Creator, ne creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu senza amore, natural e o d'animo; e ta '1 sai. Lo natural fu sempre senza errore; Ma Taltro puote errar per malo obbiotto, per troppo, o per poco di vigore. Mentre ch'egli e ne*primi ben diretto E ne* second! s^ stesso misura, Esser non pu5 cagion di mal diletto ; Ma quando al mal si torce, o con piii cura, con men che non dee, corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi, ch' esser
convione Amor sementa in voi d' ogni
virtute £ d^ogni operazion che merta
pene. » E piu abbasso^ nel medesimo
Canto, strettamente al nostro proposito: « Amor nasce in tre modi in vostro
limo. te chi, per esser suo vicin
soppresso Spera eccellenza, e sol per
questo brama Ch*el sia di sua grandezza
in basso messo. I) chi podere, grazia,
onore e fama Teme di perdor perch' altri
sormonti, Onde si attrista si, che '1
contrario ama; Ed 6 chi per ingiuria
par ch'adonti Si, che si fa della
vendetta ghiotto; E tal conyien, che il
male altrui impronti. » Per lo che
riconoscesi manifesto che anche il desiderar male, e il far male altrui, nasce da amore, come
detto si e, ma da amor soverchio di se
medesimo, impero che la volontft non
puote per alcun modo che sia amare semplicemente il male, ma si V ama, e il desidera sovente
volte in altri a fine sempre e per amore
del proprio bene, ch' essa s' imma-
gina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corpo- rei; conciosiache e' non intendono gli
uomini, e non sanno aprir le ale, onde
salgano in alto a questo primo amore, ne
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 387
sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e ardente, il quale dissemina ampiamente le
sue lucidissime scintille per lo tutto a
conservazione e vita del tutto, e alia
ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo
stravolgimento nasce in noi dal mal
giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della vista dell'anime nostre, per entro le
sensibili vestimenta che ne ricoprono, e
nascondonne il purissimo lume, lascian-
done a pena che un mal distinto bagliore, e tutte le bel- lezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio
quelle che ne' volti risplendono di
bella donna, sono riflessi e specchi della bel-
lezza suprema; e colui il quale riguardando con amore in essi, ivi i raggi ferma della vista amorosa,
e non sa alzargli al lor perfettissimo
originale, ne va errato a guisa di quello,
che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello s' immaginasse nel cielo; il che appunto ne
awertisce Mar- silio nostro, che la
belta e un certo atto, vivacita e grazia
che risplende ne' corpi per lo raggio della sua prima Idea, e consiste nelV ordine, nella proporzione e
nel lume, qualita e sembianze che si
possono agevolmente guastare, e trasfi-
gurarsi, riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza e incorporea, e qualunque ama solamente i corpi
non ama vero oggetto di amore, ne
bellezza sincera, per cio che que- sta
riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la pro- porzione dalla Divina sapienza. Per la qual
cosa (die' egli) cbiunque ama il lume
del Sole, non dee amar quel corpo dove
batte il Sole, ma riferire suo amore al Sole medesimo, ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi
riverberi ; imper- cio che lo splendore
del Volto Divino che nelle cose belle
rifulge h T universale della bellezza, e Tappetito che a quella si volge e 1' universale amore, e
quindi nasce poi U particolare amore a
particolare bellezza ; e percio scambiano
di leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso adombrato dalla luce chiarissima, che lo
indora. Magiotti. — Yolevaci a' miei
scarsi talenti il soccorso ap- punto del
signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene
I'ombre del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo 388 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE veruno, ma e legge della natura e di Dio,
che gli uomini, e le donne, anziche gli
uomini eziandio tra loro scambie-
volmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno della virtu ch' e figura e immagine vera di
Dio, e non termi- nino I'amor loro con
esso Tappetito nelle forme corporee
apparenti, conciossiache questo amore sia anzi awersario d'Amore, si come quello che dalle bellezze
dell' Idee ne ri- torce il guardo alia
deformita della materia, e ivi si ferma.
Dafinio, — Ma lo appetite che voi dite non e egli parte di amore?
MagioUi, — Son faville scappate fuori dal fuoco dell' amor vero, che si appigliano nella pece o nel
ferro, i quali pero ne scottano i sensi
e arroventano il cuore, benche ciecLi
afPatto di luce; impero che amando le corporali bellezze, come loro ultimo fine, non si amano come
Architetture di- vine, e percio ancor
che in esse in fatto stesso amino Iddio,
come fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore, non sanno di amarlo, e amandolo, il disamano,
perche in- vece di ordinare T amore a
lui, amano quelle, si come in- centivi
non all' amor divino, ma all' amor proprio e alle proprie volutta; e per tal modo spengono
nella corporalita materiale, non che la
fiamma del vero e lecito Amore, ma il
lume della ragione. Amar dunque si dee con amore (ne ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal
guisa che cio sia venerare la sapienza e
temere dell' onnipotenza divina con
ammirazione di lui ; e questo si e amare con vera dot- trina d' amore, impero che con ragione
rammemoraci nel Fedro, che la faccia
bellissima della Sapienza, dove si po-
tesse con esso gli occhi riguardare, all'ora altri si accorge- rebbe che cosa sia veramente amore. Seguitiamo, dunque, il discorso, e si
repetiamo, come questo Amor primo, onde
tutti gli amanti si accendono, e
razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu
ministro della creazione di tutte quante
le cose, riducendole alia prospettiva dell' es-
sere; e che parimente per via delle inspirazioni accende e volge i cuori delle ragionevoli ai loro
supremo benefattore ; DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. 389 ed e insomma la
terza persona della Trinity ; essendo Iddio
Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spi- rito Santo per I'Amore. Come Padre crea, come
Figliuolo ordina e dispone, e come
Spirito Santo sparge la vita e con-
serva, e tutti richiama al loro Autore, che pero Dante fa- vellandone neir Inferno, ne le distingue con
evidenza: « Giustizia mosse il mio alto
fattore : Fecemi la divina potestate, La somma sapYenza e il primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, Se non eterne, ed io eterno duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero
Timmagina- zione platonica, esaminando
con sollecito studio in qua' pen- sieri
elle si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro Autore a tanta
verity avvici- nato si sia; ma ci6 a voi
si appartiene di fare, signor Gio-
seppe, cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar non potete (come fare' io) nel
referirlaci, e nel met- terla con esso
la nostra in agguaglio. Buonaccorsi, —
Non per la ragione, che la vostra modestia
mi suggerisce, ma per darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don Raffaello carissimo, incominciando anch' io
col nostro eccelso Maestro a repetere il
medesimo, che detto si e ; come Iddio e
sommo e infinito bene, V occhio della cui alta mente in se risguardando concepisce V intendimento di
se medesimo^ e a simiglianza di specchio
purissimo e tersissimo, ella piglia in
se, e rende con que'divini reflessi Timmagini in- finite ed eterne della sua infinita Sapienza;
e queste se- condo lui so no intelletto
divino, il quale comprende in sh tutta
insieme 1' Architettura perfettissima dell' intelligibil mondo, con tutte quante le Idee delle cose
possibili a farsi da una onnipotenza
infinita, le quali fornite perfettamente
di fare dalla sua infinita sapienza si ragunano, e disegnansi nel ricettacolo della sua mente, e ivi in
quella unita indi- visibile insieme
congiunte, dimorano in una idea «ola, di che
390 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
altre volte ragionato si e in proposito dell' Idee: la cuiin- finita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando
egll con occhio desioso e benefico,
giacche per se tutta la possiede e non
pu6 contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur voi diceste, il
quale voile Orfeo essere stato locato
nel seno del Gaos nato innanzi al mondo,
appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di gran consiglio. Per lo che Parmenide si
lascio intendere, Iddio innanzi a tutte
le altre Delta aver conceputo Amore. Nel
Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi tra- smesso dalla Divina Sapienza alia formazione
e armonizza- mento delPuniverso, da esso
amore la bellezza ricevendo e r ordine. Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo
onde Iddio inco- minciando da se ordina
questo filo, secondo lo intendimento
platonico ? Buonaccorsi. —
Volendo la Provvidenza suprema, e questo
sommo e infinito bene comunicare, e mettere in opera i frutti della sua infinita bonta, e non avendo
nulla fuori di se, delibera a quelli
esemplari eterni che detto abbiamo del-
1' intelligibil mondo, la creazione del mondo sensibile, per la cui e£Fettuazione dispose valersi di questo
Amore. Dafinio, — Meglio si
desidererebbe da me capire la sen- tenza
platonica intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina
Mente, cioe il suo perfettissimo
intelletto si rivolga a Dio come sommo benC;
onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore di quel raggio accendesi
eziandio una viva cupidita di propagare
fuori di se si maravigliosa luce, e qae-
sta alta e ardente cupidita del sommo bene amore si e. Adunque la mente ch' e accesa accostasi a
Dio, e accostaD- dosi riceve le forme
prime divine^ che sono la bontii, la
sapienza e la bellezza infinita del sommo bene ; e per tal maniera si dipingono spiritualmente tutte le
cose che sono, 6 che esser possono per
lui, ed esse pitturc sono le Idee
infinite del Mondo Archetipo, le quali nel mondo corporeo aveva determinato con fabbrica piu massiccia
imitare; e DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 391 qaeste Idee sono,
appresso Platone, ne gli animi razionali
(come si disse) ragioni e notizie; ma nella materia immagini e forme ; queste impercio rifulgouo nella
Divina mente con raggio lucidissimo;
nell'anima in modo men chiaro; nel mondo
in gaisa molto piu oscura. Per la qual cosa, awer- tisce sottilmente questo grand' uomo, a fine
di mettere ordinatamente in filo le
intelligibili cose, e trovarvi qual- che
attaccatura per le sensibili per quella via pero ch' ei puo, che Tunita divina sia termine dal quale
ogni e qua- lunque cosa ch' e, e che puo
essere, e misura senza confu- sione e
senza moltitudine; la mente poi e una certa molti- tudine ordinatissima dell' Idee stabile e
eterna : la ragione dell' anima,
moltitudine di notizie e di argomenti, mobile
si ma ordinata ; 1' opinione una moltitudine d' immagini di- sordinate, e mobili: I'unita non solamente
unisce le parti deU'anima tra loro, e
con tutta I'anima, ma eziandio tutta
I'anima unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per
lo raggio della mente divina, le Idee di
tutte le cose per la mente con atto
stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesi- ma, le ragioni universali delle cose
considera; in quanto ella risguarda i cor
pi, le particolari forme rivolta alia sede
deir opinione, e si le immagini delle cose mobili ricevute pe' sensi ; in quanto ella declina totalmente
alia materia, usa la natura per
istrumento col quale muove essa materia
e formala, onde le generazioni, e gli augumenti, e i contrarii loro procedono. Innanzi dunque che la mente
da Dio rice- vesse le Idee, a lui si
accosto, e avanti che si accostasse era
la fiamma accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto nella sua essenza, e prima
che si accen- desse aveva il divino
raggio ricevuto per conoscere la per-
fezione di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo in- tendimento illuminasse, gia esso desiderio
ardente al riguar- damento di lui
medesimo si era rivolto : ora, come dice Ficino, il primo voltamento a Dio del divino
intelletto e '1 nascimento d'Amore; la
grazia poi del mondo Ideale la bellezza si e
perfetta, primo raggio della Divina bonta, alia quale di pre- 392 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte
le forme a quel lame, onde il me' che si
potea in questo mondo visibile im-
presse restassero, e adorne ; per si fatta maniera traendola fuori della confusione del Gaos ; che impero
fa saggiamente creduto per entro al Caos
essere stato locate Amore, accio che con
la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse maneggiabile la materia corporea e dura, alia
perfezione conducendola di si bell'
opera, e si perche le tenebre da lei
discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine che fa essere 1' uni verso opera degna di chi
1' ha fatto. Ch'fe egli altro dunque
questo amore secondo Platone, se non
quell' auima universale, o la porzione primaria e piu perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla
natura del Medesimo avere avuto suo
cominciamento, e poi a intenzione di farla
confacevole e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Di- verse? Laonde della natura di questo e di
quelle essere stata insiememente
composta; impercio te la veste della
luce corporea, la quale e' cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come si e detto : di maniera che ben puo
dirsi 1' anima del mondo platonico non
essere salvo che amore, cioe a dire
quell' appetite universale, quel caldo vivifico disseminate nella natura del tutto, il quale acceso da
quell' Amore prime, muove tutte quante
le cose alia generazione continua, onde
di mano in mano che per la naturale mortalita di tutte le cose inferiori gl' individui periscono, merce
di esse amore rifacendosi, conservansi
eternalmente le specie lore, e man-
tiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio av- viso Marco Tullio nelle Questioni
Accademiche, quando disse: Ex mtmdi
ardore motus omnis oritur: is autem ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte movetur; animus sit
necesse est, ex quo ef- ficitur
animantem esse mundum, Eccovi dunque in questo ardore del mondo che anima il mondo, essere chiarissimamente
spie- gato amore. Per la qual cosa non a
torto s' immagino il di- vine filosofo
esserci due Veneri, con esse distinguendo le
operazioni intelligibili dalle sensibili in quanto alia fattura dell' universe ; ed esser genitrici di questi
due amori, natu- rale e divine; la prima
Venere tutta adorna del divine fill-
DI ORAZIO EICASOLI RUCELLAI. 393
gore, lo sparge alia seconda Venere; la prima suUe ali del 'prime amore e rapita air in su a riguardare
la bellezza di Dio, e cingersi della
purita de'suoi raggi; la seconda pi-
gliandone, il me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al
simile che riu- scir le possa, la divina
pulcritudine ne'corpi mondani, aiutata a
cio da quell' amore, che nell'anima universale risiede, e da gli stimoli alia natura, e per tal via da
questa Venere seconda raccolgonsi e
trasfondonsi le scintille, che schizzan
fuori dal divino fuoco amoroso in tutti i corpi del mondo, i quali per merito di quel lume riescono
belli secondo la capacita loro, e
accendonsi di un ardentissimo appetite a
tutte quante le generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto sail Trimegisto) ch' egli affermo proferirsi
dalla voce del Verbo Divino ad ogni e
qualunque cosa creata questo co-
mandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe cose che sono, le quali opere mie sono : col
quale fiato amo- roso e benefice
impresse nella natura e razionale e irra-
zionale gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo alto volere. In prova di che Platone nel
Convivio esplica cosi: Iddio nel creare
il mondo avere innestato in qualunque delle
cose da lui create una tale amorosa concupiscenza, che aspi- rando ad una certa simiglianza e
congiugnimento venis- sero con simili
impulsi propagandosi a conservarsi perpetue :
e pitt abbasso seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende d' Amore) e cotanto ammirando, si ritrova in
tutte quante le cose, che si contengono
nell' ampio giro della natura uni-
versale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature, e umane, e divine, e pero egli e grande, e
molta, anzi tutta 1' intera efficacia,
in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che
per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e
bellezze e avvenenze che dar si possono,
e si di tutte le grazie, e di ogni qual-
sisia desiderio e generazione ; e in somma 1' adornamento piu perfetto degli uomini e degli Dei, e cio
non si ved'egli essere 1' istessa cosa
che 1' anima dell' universe, come altresi
ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima favellando : 394 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Illam celestem Animam fontem animarum omnium
optimam et sapientissimam, virtutem esse
genitricem subservire fabricatori Deo?
Ora questa Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti che amore? Anzi, per rendere tanto
maggiormente palese come per tutte le
divine cose e piu alte amore si spande,
eccovi citato il Divinissimo Poeta nostro favellando del Pa- radiso :
« In questo miro ed angelico templo,
Che solo amore e lace lia per confine, » e piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh' e pura
luce; Luce intellettual piena d'
amore, Amor di vero ben pien di
letizia, Letizia che trascende ognl
dolzore. » Di modo che e' si vede e
nelle cose naturali e nelle umane, e piu
di ogni altro luogo e piu puramente nelle cose divine, essere sparse amore. Imperfetto, — lo ho notato quel che dice
Trimegisto che mi ha fatto stupire, e
sembrami, ch* e^ sia il crescUe et
multiplicate et replete terram secondo la divina favella. Buonaeeorsi, — E pero quando il vero e vero,
cioe quelle che ci par vero e veramente
vero, gl'ingegni di piu alto acume ci
danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma ritornando a questo Divino Amore,
raccogliendo insieme tutto il discorso,
puo dirsi che per merito di questo amore
primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fat- ture deir Universe, accese di si fatte
faville, si volgano e amino Dio ; le divisibili
alP indivisibility suprema ansiosa-
mente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia; le
sparse e disgiunte al lore piu
desiderabile ricongiugnimento; le multiplici e nume- rabiH alia perfezione dell' uno, cioe a dire
conspirano tutte air unita delP
Universe, come il simulacro piu perfetto che
mostrar si possa a' nostri occhi del mondo divino ; per tal Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 395 modo insomma, anche le cose indefinitamente
difformi al Medesimo si chiamano, dal
quale tutti i beni innanzi si dipar-
tono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a quello si studiano
di far ritorno, si come a lore unico
perfetto e sommo bene, il quale repu-
tano tutti quanti i Platonici esser posto nel centre di que- sto circolo universale; dal qual centre tutti
i divini raggi si partono, ed a lui si
ripercuetone qualunque volta per la
colpa degli impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e corporei da lore dirittura non si divarino, e
altra via pren- dane fuori del giro piu
perfetto della ragione. Dafinio, — Qui
correrebbe piu bene 1' esempie del Sole
constituite, secondo la sentenza Gopernicana, nel mezzo del nestre sistema, che quindi
spandende i raggi per tutto illumina piu
agevolmente tutte le cose, che per al-
tra via. MagioUL — Non impediamo
al signer Gioseppe il corse del
ragionamento, che e materia melto difficile.
Btionaccorsi. — E per cio quanto bene disse Apuleje, cen- siderande anch' egli essere una sfera d'
infinita retendit^ V essenza del tutte,
nel cui centre risedesse il divine Sole
ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di quell'
infinite amore alia cemunicaziene de'
sue' boni, essi vie piu adoperassero
perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle
piu lontane. Cor- pora calestia quanto
Deo finitima sunt, tanto ampUus de Deo
capere, multoque minus qua ah illis sunt secunda, et ad hcec usque terrena pro intervallorum modo ; ita
Deum per omnia permeare ! Magiotti, — Ma Dante, in cui al mio parere
si trova ogni cosa, le ci esprime con
evidenza grande, e nel prime del
Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche meglio: « La gloria di Colui, che tutto move, Per r iiniverso penetra, e risplende In una parte piiif e meno altrove. Nel ciel che piil della sua luce prende ec.
» 396 ANTOLOGIA DI COSE INEDITB E poi nel ventottesimo benche e' favelli
dell' ordine de' Beati, vien poi alle
cose sensibili: 414 ANTOLOGIA DI
COSE INEDITE che vuol dire, come nella
mente divina s' accende 1' amore, che
volge cioh la intelligenza, la quale ama il suo Crea- tore, e ardendo d^amore da lui si parte e
ritorna a lui: il che applica Dante, si
come per amoro tiitte le cose create da
Dio si partono, e a lui ritornano, a) moto del-
I'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel Paradise: ^ « £ questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s' accende L*amor che il volge e la virtti ch'ei piove.
» E dimostra poi che 1' ultimo Cielo
sia dall' Empireo com- preso, il quale
non e se non luce ed amore, per il quale
tutti i movimenti si ordinano de gli altri Cieli, e poi il moto, e )' ordine si regola da tutti gli
ordini della natura, il che si ricava
dal resto di quel che dice il medesimo
Poeta : c Luce ed amor d' un
cerchio lui comprende, Si come questo
gli altri; e quel precinto Colui che il
cinge solamente intende. Non e suo moto
per altro distinto; Ma gli altri son
misurati da questo, Si come diece da
mezzo e da quinto.» Ghe vuol dire, come
questo Amore onde arde lo Empireo, senza
aver moto da altri che da Dio, mubve qualunque
altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli salvo che quelle operazioni che assegna il
divino filosofo air anima del mondo ?
Per si fatta dunque ragione, hen
confessar si dee che amore sia veramente 1' anima del- r universe.
Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V Areopagita mede- simo : « amore e un cerchio huono, il quale
sempre da bene in bene si rivolge; in
quanto Iddio e atto di tutte le cose, e
quelle aumenta, dicesi bene; in quanto le abbella e fa leg- giadre, dicesi bellezza; si come bene, crea,
regge, e provede; si come bello,
illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. »
Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava di sapere, in qual modo stessero in Dio e
congiugnessersi insieme bonta e
bellezza, e che legamento fosse tra loro.
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 415
MagioUL — La bonta infinita di tutte le cose h Iddio solo ; la belta e raggio di Dio sparso in que cerchi
che intorno a Dio, come centro loro, si
volgono. D Sommo Bene e la so- pra
eminente essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si e che da esso sommo bene rifiilge per lo
tutto, penetrante prima nella mente
sovrana, quindi nelP anima dell' universe,
e nolle altre razionali anime, indi nella natura e nella ma- teria, e la perfezione interna genera quasi
sempre la per- fezione di fuori; e pero
la Divina bonta la bellezza pro- duce, e
si pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa belt^
esteriore T interna bonta alletta ad
amare, e qualunque ama la bellezza se-
condo il dovere, essa ne conduce gli amanti ad amar la bon- tade; per lo che con giusta ragione da
Platone amore si appella (come che in
sostanza e' sia desiderio di bellezza),
bellissimo, e ottimo, e per cio donatore di tutti i beni a' mortali. Questo raggio, impero, colora in
quattro cerchi le spezie di tutte quante
le cose. Ecco nella mente divina di-
pigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i
semi, e nella ma- teria le forme, nolle
quali cose esso splendore viene di cer-
chio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera immediatamente,
le cose per- fettissime sono: V Fer6 se 11 caldo amor la chiara vista Delia prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la perfezion quivi s' acquista. » Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale
tutte le cose desiderano, come detto si
e, e nella cui possessione tutte si
abbellano, tutte si contentano, e quindi 1' amore in qua- lunque creatura si accende, concedendo Iddio
lume del vero a gli animali razionali, e
fuoco di carita, il quale va sem- pre
crescendo, come il Poeta stesso : « Lo
raggio della grazia, onde s' accende
Yerace amore, e che poi cresue amando. » 416 . ANTOLOGIA DI COSE INEDITE E in un altro luogo, ec. « Perch e s' accrescera ci6 che ne dona Di gratuito lame il sommo Bene; Lume che a lui yeder ne condiziona: » il che ci sentiremo dentro di noi adivenire,
dove noi andiamo mantenendo vivo col
vero amore questo lame della grazia, finche
chiamati siamo a lui per goderloci a occhi veggenti. Imperci6 che la perpetua invisibil luce del
divino sole sem- pre a tutte le cose con
la sua presenza da conforto, vita e
perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere. Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre principii
del mondo, signori di tre ordini, Iddio,
la mente, e ranima, cui rispondono le
spezie divine; idea, ragioni e semi. Le
Idee da Dio date sono alia mente, perch e esse con la bellezza loro richiamino la mente in Dio; le
ragioni in- tomo alia mente, perche elle
si conducano per la mente nelFanima, e
si addirizzino Tanima alia mente. I semi
circa all' anima, impero ch^ mediante V anima passino nella natura, e dalla natura con V ordine e
con 1' armooia si richiamino alle operazioni
dell' anima. Per lo medesimo ordine poi
dalla natura nella materia discendono le forme;
ma queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse prendono il diritto loro, e con
esso T ordine deir anima alP Idee, e per
queste all' unita prima si vadano
accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose
divine ed eterne, con le temporali e
sensibili; e quindi da qaesti quattrp
circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro
ch' e Iddio : e'l primo amore da tali
splendori acceso, da moto e atti- tudine
a tutte quante ie operazioni dell' universo, o vege- tabili, o sensibili, o razionali ; le Idee,
le ragioni, e' semi, che per via di
quest' amore, di quest' Anima universale discen- dono nella natura, e secondo il luogo dove
discendendo si posano, mutan nome, sono
ie cose vere, ma le forme poacia DI
ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 417 de'corpi
sono piu tosto ombre delle cose vere. Ora chiun- que queste attentamente rigaarda, puote
ammirare ed amar quelle, perche in esse
scorge, e riconoscevi il divino fulgore,
e per esso sale ad amare Iddio stesso; e come diceste, si- gner Grioseppe, niuno amatore amando si
satolla per qua- lunque conseguimento
qua tra noi di ogni bellezza che sia,
impercio che quel che e' vorrebbe non conseguisce, 1' occulto sapore della Divinita gli amanti non
assaggiano, quantun- que ne sentano
suavissimo odore, che gli alletta ad amarlo.
E cosi per questa fragranza si appetisce il sapore nascoso, ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in
che, che e^ si sia. Quel, fulgore della
Divinita che risplende nel corpo bello
costrigne gli amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano
in essa del- r originale, e pero non
veramente la materia corporea si ama, come
di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella
cosa amata (dice Marsilio) perche in
quelP atto amoroso senza saperlo
appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si
trasformano in quel che e' vorrebbono;
percio che vogliono, e non sanno quel
che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza delP animo, non usa
bene la dignita di amore ; conci6 sia
cosa che la belta corporale sia splen-
dore neir omamento di colori e di linee che agevolmente si cancellano e oscuransi; quella delPanima
risplende nella consonanza delle scienze
e de' costumi, che sono imitamenti piu
al vivo della divina sembianza. Lo splendore del volto divino nelle sopraddette cose e 1' universale
della bellezza, I'appetito che a quelle
si volge e I'uni versale di amore, e quindi
si deriva poi il particolare amore a particolar bellezza, la quale nella convenienza deUe parti con esso i
nostri occhi, che la mirano in un modo a
questo, e in un mode a quelle consiste,
e nella approvazione che da noi se ne fa col de- siderarne V acquisto, nasce il particolare
amore, che per ci6 scambiano tal volta
gli uomini, se non ci badano diligente-
mente, o che non abbiano le vere seste ne gli occhi lore, 97
418 ANT0L06U DI COSE INEPITE la
bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal lame. Per lo che Delia mente delF uomo e situato da Dio un
eterno amore di vedere e godere F
universale beltk, e con esso gli stimoU
della particolare, sed essa non ci abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle virtu e appetiamo la sapienza,
che sono i pin be' ritratti di Dio e di
piu perfetta maniera. Per guisa che
Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L' animo dell' Uomo desidera intendere le cose divine,
riguardando in qneUe che a lui sono piu
propinque, e a tal cagione amore se-
condo lui e interpetre e mezzano per far trasvolare le umane alle divine cose, e far discendere le
divine a noi; » il che amava meglio
Cicerone dicendo: maltAerim divina aA nos,
e quindi con somma ragione appellasi amore un mezzo tra le cose mortali e le immortali. II raggio di
qualunque bel- lezza (come bellezza e\V
e) discende innanzi da Dio, poi trapassa
nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per materia di vetro, e dall^ anima
passa nel corpo, preparato a ricevere
tal raggio, e da esso corpo formoso
trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti fine- stre, e da essi penetrando negli occhi, che
in quelli riscon- trano, per quegli
ferisce V anima e acceudevi lo appetite, e
r anima ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il
ricondace a quel- le alto luogo, onde il
primo raggio discese pe' gradi del corpo
della cosa bella ed amata alia bellezza dell' anima di essa cosa amata, di poi alia mente e alU Idea di
quella, e in ul- timo a Dio, ch'e lo
splendor primario, e Pe tutto insieme di
ogni bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le
altre belle fat- tezze deWolti, se non
perche amore che nasce in ciascuno h
invitato a penetrare fin entro alle bellezze dell' anima, e qaindi risalire a Dio, e non terminare lo
appetito sola- mente nella superficie
corporea? Udite il Petrarca com'e'fa-
vella quando e'ragiona de gli occhi:
« P«r divina bellezza indarno mira
Chi g\i occhi di costei gia mai non vide
Gome soayemente ella gli gira.»
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 419
E nelle canzoni Degli Occhi: «
Gontar porria quel che le due divine
Luci sentir mi fanno. » E nell^
ultima : e quel che segue, sempre
discorrendo sopra gli effetti am-^
mirabili di questo Giove per lo giovamento e beneficenza ch' e' rende al tutto, ma per via di questo
amore di que- st' anima dell'universo;
laonde amore, ch'e della sostanza di
Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e il lume piu puro dell' anima, o e T anima stessa del mondo, la
quale ordina, 424 ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE unisce, e mantiene immortale la
natura delle cose mortali, perche per se
morendo tutte, sua merce tutte si ringiovani-
scono e si si risuscitano ; cosi per virtu di quest' anima univer- sale, dico di questo ferventissimo amore dal
Medesimo, cioe dal sommo bene^ tanti bem
al Diverso comunicabili si fanno, e
quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal
Diverso nel Mede- simo, con perpetua
amorosa circolazione ritornano, e percio
o r anima del mondo e ripiena di amore, o T amore e r anima egli del mondo, come mirabilmente
disse Torquato Tasso, in quel suo
sonetto esplicando in pochi versi quasi
tutta la nostra dottrina. «
Amore alma e del mondo amore h mente Che
volge in ciel per corso obliquo il sole,
E degli erranti Dei Palte carole
Bende al celeste suon veloci o lento.
L^aria, ]' acqua, la terra, il foco ardente Misto a' gran membri dellMmmensa mole Nudre il suo spirto, e s' uom s' allegra, o
duole Ei n' e cagiono, o speri anco o
pavente. Pur, benche tutto crei, tutto
governi E per tutto risplenda, e 'n
tutto spiri, Fiti spiega in noi di sua
possanza Amore; E, disdegnando i cerchi
alti, e supemi, Fosto ha la reggia sua
ne* dolci giri Be* bei nostri occhi, e
'1 tempio ha nel mio core. » Amore e
dunque esso 1' anima dell' universo, perche qua- lunque desiderio che si accende in tutte
quante le crea- ture di ogni sorta ch'
elle si sieno, quale appetito che sia il
quale regna nel tutto e nelle sue parti e si nelle specie e negli individui del mondo, ha suo primo
impulso da quelle incentivo sovrano che
ci muove ed eccita al godimento del
buono perfetto, conciosiacosa che tutti i beni comparativi, che veramente beni sono, dal superlativo del
sommo bene ne piovono sopra di noi; e se
gli appetiti nostri si smoderano, e
pigliano i mali per beni, cio non da amore, che non erra nel suo fine, ma nasce da noi, e dalla nostra
imperfetta e cieca natura, i quali
scompigliando co' fiati delle disordiaate
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 425
passioni quelle faville, te le deviano dal vero riflesso loro, cioe dal diritto incamminamento al lor bene,
onde sfavilla- rono da prima,
scambiandolo col falso bene, che bene ci
rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle ter- rene cose, ed in queste fermando il pensiero
non come mali, ma siccome beni gli
bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia
esserci noi troppo distesamente dilungati dal filo ; ma se amore e veramente I'Anima dell' Universo, o
Fanima di quest' anima, sara stata
simile proposizione parte princi- pale,
e molto ben fondata, e non digressione dell' incomin- ciato ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi
par'egli che il concetto di quest' Anima
universale, di questo amore, che da
moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle
generazioni, e della conservazione di
tutte le spezie, e dell' universo medesimo, sia
una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del quale poco fa discorse si altamente il
nostro Magiotti ? MagioUu — E quello
che ha proferito con si sovrano ra-
gionamento il signor Gioseppe, e spezialmente la difinizione cotanto sottile ed arguta ch'egli ha seco
medesimo pen- sato intorno alia
differenza che dar si possa tra questo
amore, e 1' anima del mondo, quanto perfettamente si adatta al divino spirito! poiche (diss'egli) che
credeva poter es- sere per awentura
questo amore quella porzione del- 1'
Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e il fiore per cosi dire di essa Anima. Ora se
Platone non imbrat- tasse per un certo
modo la sua anima con esso il componi-
mento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del Medesimo solamente fatto, che ci
averebb'egli da ridire, perche e' non
fosse tutt' una col nostro divino
spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e
degli aiuti soprani ? Quanto poco e
mancato a Platone a non dir tutto vero?
Dafinio, — A questo modo Platone con altri vocaboli avra quasi senza errare intesa e espostane la
Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio
lume, ell' e intelligenza piu che da uomo.
426 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi intendere salvo cbe su '1
fondamento del cre- dere, e chi presume
piii oltre e matto, come disse il nostro
Dante: Puossi egli dir piu? Ma
e' non sep- pero perfezionare questi
Platonici il concetto intero delle tre
persone e un solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, imper- cio che, come bene osserva il cardinale
Bessarione, seppe Plato ne riconoscere
Iddio come la prima mente, e il suo
divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita sapienza, siccome figliolo seco
coetemo ed ngaale, e come della medesima
natura chiam5 la divina sostanza col
vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima
deir universo al divino spirito,
facendola staccare si dalla sustanza del
Medesimo ; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo
componimento, e per- cio riconobbela
come inferiore e non uguale a Dio, e al suo
Divino intelletto; e questo impercio cbe tra due cose tra se per si grande intervallo distanti, e di
disuguaglianza infinita, reputo
convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette
capire che la Divinitli pura ed intera tra le cose corpo- rali e sensibili a mescolare si avesse,
cotanto tra se diffe- renti e lontane,
senza patire macchia o difetto, e percio
stimo r anima composta dell' uno e delP altro, accio che fosse mezzana per traportare la ragione ad
armon^zzare e perfezionare si vasto ed
alto edificio, e non trapasso a
conoscere che la purita, semplicita e chiarezza perfetta, quale ella e in Dio, non teme ombra, o
contaminamento da veruna cosa che sia.
Periculum status sui Deo nuUum est,
disse Tertulliano. Buonaccorsi.
— V noto che Ermete si approssima alia verita
nostra piii che cioe a dire
dell' essere divino, e della TrinitJi delle persone. Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo
di Dante, nel Paradiso, che mi pare piii
bello^ e ch' esprima bene, e nel quale
discorrendo della Trinitib specifica in ultimo lo Spirito Santo: « Nella profonda e chiara snsslstenza Dell* alto lume parremi tre giri Di tre colon e d'una contenenza: DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 429 E run dairaltro, come Iri da Iri, Parea reflesso, e il terzo parea fuoco Che quinci e qaindi egualmente si spiri.
» Con esso il ben fondato appoggio della
fede, che si con- tenta di non intendere
quel che ella crede, possonsi dire cose
altissime intorno ietlla Trinita ; ma gli altri che fon- dano il loro sapere tutto su lo intendere,
salgano pure in su quanto si vogliano,
che ognun di loro in qualche parte
vacilla; impercio che non ha si gran seno la nostra com- prensione.
MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto piglia equi- voco, e non si dichiara bene in quel suo
elevatissimo pre- supposto, e Platone
non resta capace che un Dio possa adoperare
nella materia senza termini di mezzo alPuno e
all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde e^ s^ immagina quest' anima composta del Medesimo e del
Diverso, e sva- ria dalla verita, che in
noi s^innesta per grazia e per merito
della fede. Imperfetto, — Ma che vuol
dire che la Genesi ancora mette che
Iddio spendesse sei giorni neUa creazione dell' Universo, e il settimo si riposasse? II tempo, come
pure detto avete, non s' incominci6 egli
a computare dopo la creazione, cioe a
dire I'ordine successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane del
Sole? e poi sempre sete venuto
affermando per cosa indubitabile che
Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di atti nel suo
adoperare, contrario a quelle che pone
il Timeo. BuonaccorsL — Iddio con sua
onnipotente mano opera in uno istante,
dico col suo Verbo onnipotente nel modo che
ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha
fabbricato il mondo. II suo Verbo dunque
con un atto solo indivisibile per5 e' fa
tutto. Imperfetto. — Ora dunque che
cosa vuol' ella dire la Ge- nesi cental
divisione di giorni, che suppongono atti diversi? Ella ne pone pure una verita infallibile ? E
poi dice che Iddio 430 ANTOLOGIA DI
COSE INEDITE si riposasse: puo capire
in un Dio la fatica, la lassezza e
perci5 V aver uopo di quieto ? Saracci sotto qualche mistero. Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non
perche Dio operi con atti distinti, ma
perche delP ubo de gli atti distinti ab-
bisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua e cotanto immensa di un Dio ; e pero la Scrittura,
e per av- ventura Dio medesimo nella
creazione del mondo, e del tempo, si
accomodo al nostro modo, e alle misure che ca-
piamo noi. Dafinio, — Ancbe
Platone e Trimegisto V avran detto pel medesimo
fine, non perche e' non avesse a sapere quali
sono le alte condizioni dell' onnipotenza divina, e per tale effetto le assegnasse le nostre a farci
intendere il suo mo' di operare. Magiotti. — Non dico ch' e' non possa
essere, ma e' non e in verun conto
vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a
quello che si arriva solamente con la iidata scorta della grazia e del lume divino, che per Y acquisto
di una tal ye- rita dona Iddio a suo'
fedeli solamente, e non si puo gia mai
acquistare per natura, o per istudio. £' giunse pur troppo innanzi col barlume del suo acutissimo
ingegno; ma non potette, ne seppe dare
il suo legittimo e giusto peso alia
divina onnipotenza, e per quanto e' si alzasse con le misure, non seppe interamente uscire dalle
nostre bilancie; e pero ne parla il
filosofo nostro come s' ella avesse biso-
gno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con ordine il mondo, e farlo vivere vita perpetua, quasi
Iddio disa- giare si avesse, e partirsi
da suo sovrano seggio, quando dovesse
adoprare da se, ne gli bastasse il vigore del suo divino sermone quando disse per stabilir di pianta in un attimo I'Universo intero, si come e'fe', e
si farlo cam- minare con ragione in
virtu di quell' editto irrevocabile che
e impermutabile legge ed eterna della sua volonta. Cam- bise, Xerse e Dario, come considera Apulejo,
standosene come serrati in un Tempio
nella Citta capitale de' loro reami a
render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e autorevoie la loro potenza, faceano
abbidire pron- DI ORAZIO BICASOLI
RUCELLAI. 431 tamente, e senza disdetta
veruna le leggi loro per Tam- piezza de'lor
dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna
ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio
immobile e perfetto per sua natura
possa, senza muoversi, con an volger di
ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli
eserciti di presente, ciascuno per
ciascuno, si mette all' opera di quello
gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli or- dini del loro generale, e pure le leggi de
gli uomini imper- fette sono e mutabili
a capriccio dei Principi, e o per ribel-
lione de'popoli alterar si possono, o perche non da tutti s' intendano ; e la voce sonora della Divina
parola non si ha da udire per tutto e'
suoi decreti, e le sue leggi che non
variano, e che sono di infinita luce e chiarezza, come affer- mano i sacri proverbi : mandatum Domini
lucema est, et lex lux, 6 per cio etemi
sono, n^ patir possono alterazione o
dubbiezza ; hassi a mettere in disputa s' essi s' odano a un tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla
natura e da tutte le minime parti del
tutto, senza ch'egli si abbia a muovere
dal suo altissimo Trono per farle eseguire ? e che perci6 se gli convenga assegnare un' altra
cosa, che se, per ministro subordinato,
come si e V anima del mondo, accio che
ella vada ad ogni minima particella di esso portandole gli ordini ec? Iddio strabondevole di forze e
di potenza, di augustissima specie,
Genitore delP immortalita e la virtu
stessa di tutte quante le virtu, la cui legge sola h perfetta, e impermutabile, per cui tutti quanti i semi
fanno le spe- cial! operazioni loro
nelle nature diverse di tutte le cose ; e i
Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre stelle, con le loro speciali revoluzioni si volgono per la
medesima con tanto ordine, e regola bene
armonizzata e distinta? Non perche
dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di atti diversi, ma a maggiore intelligenza nostra, la Sacra
Scrittura di- vise in piu atti un atto
solo del divino adoprare^ e in piu tempi
la sua operazione instantanea, dicendo che Iddio e il suo alto intendimento conobbe di far cosa
buona, e co«- 432 ANTOLOGIA DI COSE
INEDITE nosciutala delibero con esso la
volont^, e deliberatala col suo Verbo e
col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa,
nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad intendere,
essendo ne- cessarie si fatte misure a
noi per capire quel che non e da
noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni
rinvengo per qual ragione noi abbiamo da
a£fermare che Platone non Tabbia fatto al
medesimo fine, con diverso modo dal nostro. Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor
che Divino vera- mente chiamar si debba,
parlando cose che il tacere e bello, non
poteva senza lume soprannaturale, onde ha privilegiato solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^
per quanto e' si sollevasse alle piu
alte cime, non poteva mai, dico, si a
dentro penetrare, come noi facciamo con la fede, nella co- gnizione imperscrutabile della divina
onnipotenza ; e si cam- minava, e vi
saliva tentoni, e non era atto a spiccare nn
volo sicuro si come riesce a noi illustrati da si chiaro fiil- gore. E poi Platone non averebbe formata
Tanima infe- riore, come si h detto,
rendendone per ragione ch'ella do- vesse
mescolarsi dove non conveniva si permischiasse Iddio, e perche in somma non capiva benissimo qnello
che vera- mente fosse Iddio; imper6 egli
reputo necessaria qnesta anima fatta si
da Dio^ ma disseparata da lui per la forma*
zione del mondo, non potendo rimaner capace che la so- vrana parity della divina essenza dovesse
mettersi in risico di macolarsi in fra
le cose nostre inferiori, e cio e
impossibile scorgere cosi per V appnnto il vero, si come egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^
mortali se ne spanda il lustro ed una
vivace splendenza. Dafinio, — Se
Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di
una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da capire Pla- tone ingegno divino? Buonaccorsi, — E per questo convien
confessare che ana si ampia materia, a
si alta, che si distende in vie piii largo,
DI ORAZIO RICASDLI RUCELLAI. 433
ed immenso spazio, ohe il seno non e delle menti nostre, avendo colmo, per grande e spazioso ch' (b'
fosse, quello del nostro divino
filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere
UQ tal concetto tutto insieme, e ben verisimile che glie ne scappasse fuori qualche particella, ancor che
atta ad ogni capacita, introducendovela
sola, nel mpdo che poche goc- ciole di
acqua son quelle che fanno traboccare il vaso quando egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta
mente Platonica quanto ella poteva di si
larga e strabondevole e infinita
materia; ma perche essa mente era finita, non la potette capire e rattener tutta ; o si pure egli e
ragionevole di cre- dere, ch' egli
avesse lette e studiate le sacre pagine di si
alta proposizione, e per farsela sua fosse constretto a mutar qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse
quello, e si abbatte a dire il vero, ma
non giunse poi tant^oltre a un gran
pezzo quanto Platone, e il meglio 11 tolse da lui. Imperfetto, — Egli e certo che la verita si
fa lume da Be, ma e cosi grande e cosi
lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne
abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra quel luogo del Vangelo: per Verhum Dei facta
sunt omnia, in questa maniera ? Inveniuntur
ista et in libris Philosophorum, et quia
unigenitum habet Deus per quern facta sunt omnia, illud potuerunt videre quid est^ sed viderunt de
longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario,
impercioche per qual maniera ci6 sia, o
ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no,
e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un
V altro con un sottilissimo confine. Ita
.... finitima sunt falsa veris, disse
Marco TuUio; e Dante: € Cos!
parlar conviensi al vostro ingegno,
Perocche solo da sensato apprende
Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia altro che questo, e pero secondo il
declive che le cose incontrano, per
varie sorte di canali e secondo le forze
e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti
nella natura, e air insu, e all' ingiu,
e pe' lati, e non V ho per cosa sopran-
naturale, e che quindi poi ne vengano gV impulsi alle sensibili cose : ma egli e che noi altri uomini abbiamo
questo mode di fare, che quando noi non
giunghiamo a intendere una cosa, o noi
siamo cotanto temerarj che, perch6 noi non V in- tendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che
le assegniamo nna cagione sopra
naturale, senza sapere quelche ella si sia per
quietarci nella nostra insaziabile curiositade ; tratto di cote- ste cose del moto, perche in che modo stieno
i movimenti delP anima imraortale e di
sovrana fattura, ancor che io vi opponga
per mantenere il discorso, e investigare meglio il vero; io so e credo quel che io debbo
credere; ma che da noi si possa giugnere
col nostro intendere per le vie cbe voi
fate, oh ! questo io T ho quasi per impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse quel che voi
dite, pur ci vorrebbe un geometra
perfettissimo, e sopra le cose nostre
inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria fabbricare e situare questi canali e queste
vie col loro debito declive maggiore, o
minore, e posto a^ lor luoghi si ordina-
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 439
tamente, e dato a tutte le variety degli umori che vi deb- bono scorrere, i lor varj pesi a ragione,
come non solamente nell' universe, ma
anche nel microscomo camminar si veg-
gono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne, e tanti moti di vita non cessar mai finche e^n6n si
muore. Ma pure dope morte finiscono,
avvegnache i canali iie' cadaveri si
scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma perduto il raoto, adunque, questi movimenti
maravigliosi non hanno 1' impulso loro
dal declive, quantunque forse il declive
gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e pero e' convien cre- dere cbe r anima abbia sospinta, e con altra
forza sospinga e muova le cose, che con
quella cbe voi dite ; e s' ella venisse
d* onde voi mi date ad intendere, le maestranze apparec- cbiate con ordine, e con regola cotanto
eaatta, non sarieno da cagione corporea,
ma da cagione intellettuale e divina,
cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose
a pigliare il moto ed operare con tant^
proporzione e virtu. Bafinio. — Anche
le anime vegetative, e le sensitive ave-
ranno a vostra detta il loro movimento da Dio. Adunque anch* esse immortali saranno ? Magiotti. — In sentenza platonica
(contradicendo per6 in qualche piccola
parte a Platone) egli e assai agevole a
sopire la vostra dificult^, impercio che si come le anime razionali adoperano in virtu di quel moto,
vita, e azione, innestato dal Supremo
Arteiice per entro la sustanza loro perfetta,
intera e incorporea per impulso di forza infinita; cosi il moto loro (come detto si e) e si la
vita e 1' azione loro viene a essere
perpetua e immortale ; ma nell' anime
irrazionali, le quali pare che Platone abbia anch' esse per immortali, nulla di meno, ancor che mortali
elle sieno, il lor moto, la lor vita, e
la loro azione dall' anima univer- sale
riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova
addirsi alia disposizione varia de'
temperamenti e degli organi che hanno da
muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la vegetabilita
insieme congiunta; 440 ANTOLOGIA DI
COSE INEDITE imperocche esso movimento
delF anima universale da sospinta alia
disposizione delle parti official! de^ corpi, e inducevi la vegetazione, e^ sensi per il modo che noi
veggiamo ; e que- 8ta puo cbiamarsi
sustanza mliteriale, e corporea, perche
quest' anima vegetabile, e sensibile, non e anima da s^ senza essi organi, e disposizioni che concorrono
insieme all' azione 6 alia vita, e
mancando e morendo gli individui, e disfacen-
dosi la struttura de gli organi loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto si bene ordinato dalla ragione e
dal movi- mento dell' anima del mondo,
finisce di esser anima propria, e rimane
nell'universale componimento dell'anima del mondo. Ma ne anche ^ difficile il rispondervi nella
vera nostra dot- trina: impercio che l6
anime razionali ricevono I'impres- sione
de'moti loro dalla forza infinita della mano divina, quando ella le crea sustanziali, e
incorporee, allor che finito di fare il
feto, informano il suo corpo, e perche il moto,
la vita^ e le azioni loro sono totalmente nell' anima, e dalla disposizione di esse membra organali anzi
ricevono impe- din^ento e contradizione,
che sveltezza e sussidio a' lor moti
divini. Essa anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha fuori di essi piu libera 1' azione, il moto,
e la vita; e percio, anche morendo i
corpi, ella vive immortale. Le anime ve-
getative poi, e )o sensibili corporee sono si come detto si e; concio sia che la parte della vita e
dell' azione loro consiste nell' attitudine
e positura corporale organica, e ne'
temperament! varj degli umori composti insieme, e parte nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo
e disposizione atta a riceverlo, tra '1
temperamento degli umori, tra la
disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro per un modo o per 1' altro dal moto assegnato
alia natura da Dio ; e percio esse anime
per tal maniera ricevon potenza di
vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la madre natura per compartirle di raano in mano alle
nascenti cose, e succe- denti V una dopo
1' altra in perpetuo. fi impero che questo
moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre della terra, ond' egU esce, e dagl' impulsi delle operazioni
natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne
mena seco, e con fluidezza e agib'ta indicibile DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 441 per essi organ! discorrendo in varie guise,
rende vivificazione continua e
accrescimento nelle vegetabili creature, e un ecci- tamento di senso nelle sensibili, per quel
sovrano modo che da noi non s^ intende ;
ed essendo esse anime e formandosi per
loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento cor- poreo che le racchiude; corporali e materiali
si chiamano, perche per se nulla non
sono senz' essi corpicelli bene accor-
dati a ricevere il moto nel corpo maggiore dell' individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare
si e, come Yoi abbiate a mente tanti e
si be' luoghi trovati anche negli autori
di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di quell* uomo
esimio di Socrate, se ne leggono molti,
e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non solo
per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far conoscere la necessita del Purgatorio, e
del Paradiso, e deir Inferno ; e avvegna
che con qualche differenza da quel che
veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto
con favolose invenzioni, Socrate ne ha
favellato da senno nel punto della sua
morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando dietro a favole
finte. lo so che questi sono luoghi
letti, riletti, e considerati da tutti noi
piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito, ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io
me ne piglio Tassunto, e vovegli tutti
recitare da capo per maggiore autentica
di quelle che ha ragionato si dottamente Don
Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io vo'contarvi cio che viene ragionando nel
Fedone con sin- golare e sagacissima
saviezza, per rendere s^ medesimo per-
suaso dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all'
anime de gli uomini luoghi appropriati
secondo i meriti fabbricatisi nella vita
di qua; seutite di grazia. 442
ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Ei si fignra
qnesta terra non avere il colmo piii alto
della sua sfera in questa superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare
nelle cavitk della ten*a, e tale essere
queste regioni, dove noi abitiamo, imper-
ci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra super- ficie, 6 sommita di essa, sopra di quella
esser locata, che da noi chiamasi
atmosfera ; anzi piu in su che 1' aere non e
ne'confini del cielo; verbigrazia (che so io?) in quella puris- sima e lucidissima sostan^a che etere si
appella; e di quag- giu da questa bassa
parte dove noi stiamo, veggendosi il
Sole e gli astri, si come anche in questi bassi paesi tante belle e maravigliose fatture isguardando
variate con tanti e si diversi colori,
che in queste nostre abitazioni si perfette
ci paiono, niuna di loro aver che fare con le piu eccelse ch' e' si vien figurando lassu, ed essere
queste imperfettis- sime e impurissime
in agguaglio di quelle, che si vedreb-
bero da chiunque si potesse fermare su Tali in que'su- perni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son
ricavate queste, che scorgerebbe e
quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende
manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione beUissimi sopra qualunque di queste, che
corrono agli occhi di noi altri mortali
abitanti in si fatte concavitadi. £ cio
con molta maggior differenza di quel che si facessero i Pesci dal fondo del mare, i quali per entro quelle
arene e panta- nose caverne, non avendo
volo da alzarsi su la superficie deir
acque, ne vita da reggervi, mirano i raggi del Sole e delle steUe penetranti giu per lo filo dell'
onde tutti an- nacquati, e adombrati, e
confusi; laonde per cio sMmmagi- nassero
di simiglievole maniera essere veramente le stelle, e il Sole, quali eglino le scorgono di
colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo
piurae da travolare sopra quelP etere, abba-
cinati standocene entro V umidore grossolano di questi vapori, ci crediamo la luce del Sole e le
altre cose belle, che lassti
scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In
quelle altissime piagge, adunque, e le
piante, e tutti quanti i germogli, e le
cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e DI ORAZIO RICASOLT RUCETXAI. 443 Don a mutatnenti suggette e a corruzioni in
verun conto che sia; e le gemme piii
preziose di qua, e' Topazii, e' Ru-
bini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di piii alto pregio, essere la feccia piii impura di
quelle che lassii si ritrovano ; e in
somma quelle sovrane regioni di si nobili
cose essere adorne, e di oro, e di argento, e di altre simi- glianti chiarissime e lucidissime sopra ogni
vostro credere e conoscimento, che quivi
nascono e piii perfettamente si conservano,
per guisa che a vederle e a goderle sia vera-
mente uno spettacolo d' incomparabile godimento^ e beati- tudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e
creature ragio- nevoli, molte di piii
schietto intendimento, che qua tra di
noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP Isole, le quali non lungi poste da terraferma sono circondate
dall'aere, conciosia cosa che quello,
ch'e a noi e alle nostre Pacqua e '1
mare, a loro essere 1' Etere : e in fine tutto la ritrovarsi temperatissimo, e per le stagioni, e per
Taure che vi spi- rano, e vivervi quelle
fortunate genti di continuo senza
ammalarsi, e forse senza morire. Di piii giudica che vi si scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e
con esso gli Dei medesimi convivere gli
uomini, e conversare domesticamente.
Imperfetio. — Mi rassembra che Socrate quasi tenga che tali maravigliose e ragguardevoli regioni
sieno i pianeti e gli astri, dove
appunto Platone colloca la dimora delP anime,
assegnata loro quando da Dio dopo V anima universale si formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di
continuo dopo lunghe peregrinazioni
facciano ritorno. Buonaccorsi. — S'
immagina appresso che per entro tutta
questa gran terra si trovino innumerabili concavita di luo- ghi circolari, parte piii profondi e parte
piii alti, e piii ampi, e parte che
abbiano apertura e spazii eziandio minori di
quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente
tra loro, con varii andamenti ed uscite
; pe^ quali e grandi acque, dove
caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di esse sotterranee spelonche
muoversi e raggirarsi; e in altre di
esse cavity credono che umori fan-
444 ANTOLOGIA DI COSE [NEDITB
gosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn ondeggiando, a simiglianza di uno qualcbe gran Taso
pensile che si agiti 6 muova. Dopo cio,
della maggiore e pin ampla voragine
favellando, che \k sotto dimori, la quale per tntta quanta Tampiezza entro terra trapassa e distendesi,
mostra che da Omero fa chiamata il
Baratro profondo sotto terra, e da molti
altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i
fiumi sotterranei concorrono, e indi si spandono, ed esconne ad innafQare la superficie nostra terrestre
in mari, in laghi, in fonti e in fiumi
Tarii disseparandosi, e con Faria e co'
fiati interiori, come anche col movimento interne di queste acque, formarsene i venti, i turbini, e
terremoti, che scao- tono la terra; e di
tal sorta di acque tiene parimente che
sia Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piri- flegetonte, e Cocito. Ora essendo per tal
maniera disposte si fatte cose, e sopra
detti luoghi i morti pervenendo, dove
dal suo proprio demone ciascnno si conduce, quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono secondo loro
meriti, o demeriti di chi visse onestamente,
e con dirittura di ragione, o di chi fe'
il contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mez- zana via, valicando Acheronte sopra alcuni
carri, perven- gono alia Palude
Acherusia, e quivi si purgano dalle colpe
loro, pene patendo pari aUor falli. Purificati poscia^ asso- luti rimangono, e ciascun di loro a
proporzione delle opere buone e lodevoli
ne riportano condegna mercede. Ma queUi
i quali nella malattia e putredine delle enormita de' delitti di varie sorte insanabili sono, precipitano
nel Tartaro, d'onde mai non ritornano.
Alcuni poi, che peccati avranno com-
messo curabili, ma grandi, per essere prima venuti a pen- timento, caderanno si nel Tartaro, e
condannati sarannovi per un anno o piu ;
ma poi da quell' onde gittati fuori^ quali
per lo Gocito, come i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte, come i violatori del Padre e della Madre,
solamente che pen- titi e' ne fieno,
vengono a galla su la Palude Acherusia, di
dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^ tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a lasciargli varcar la
Palude, ed essere da' lor castighi
prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 445 a' lor mali; quando che no, nel Tartaro
rigettati sono, si dura pena imponendo
loro i Giudici. Ma gli uomini pii e
giusti trasvolano a piu alte regioni,
abitando quelle beate Provincie, e purissime, che abbiam detto starsi cotanto sopra terra; e parimente
quelli, che avendo in molte loro opere
fallito, si sieno dipoi sufficiente-
mente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore
anche piii belle delle sopramentovate,
le cui maravigliose bellezze non e
facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e
conseguir la virtu, e la sapienza,
perciocche bellissimo e 'I premio e di
gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera, non e da
uomo di senno r affermarlo : nulla di
meno si convien credere, o che tali elle
sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse simiglianti; e conciosia cosa che
egli appaja con tanta verisimilitadine
che le anime nostre sieno immortali,
mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragio- nevole munirsi ed allestirsi a questa
peregrinazione, ed abbellirsi delli
ornamenti della virtu, cioe della temperanza,
della giustizia, della fortezza, della liberty dell'anima, e della scienza della verita, aspettando il
tempo ed apparec- chiandosi per essere
pronto quando ne chiami il fato.» Di si
fatte considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne prerogative aveva poco innanzi Socrate
per tal modo ragionato, quantunque non
con certezza indubitabile di affer-
mativa, siccome colui che per altissima immaginazione natu- rale, e non per divino soccorso di fede ne
favellava ; diceva bene, che tutto
quello, il quale intorno a ci5 si discorre,
saria di animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso
si dipartisse senz' avere innanzi, con
ogni acutezza di ragione, adoperati
tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino all' ultimo sforzo del nostro
intendere. « Impercio- ch6 (segue poi)
fa di mestieri I'una delle due, o apprendere
in qual modo elle possano essere, o rinvenirne totalmente 446 ANTOLOaiA DI COSE INEDITE il vero, e dove qaesto conseguir non si
possa, appoggiarsi ad una delle pin
forti e piu stabili ragioni umane cbe se
ue abbiano, scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi;
acci6 cbe sopra di essa portati come
sopra un legno de* meno gelosi, valichiamo
per le difficultose tempeste il mare di questa vita, mentre non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben
fondato mode, quasi un piu fermo yeicolo
che ne conduca; come sarebbe a dire,
qualcbe divina parola, la quale piu sicuramente, e con minor risico lo ci faccia trapassare ;»
la qual divina parola si 6 quella, cb' h
toccata per sovrana grazia di udire a noi
introducendone nel Porto della verita, con esso grirrefra- gabili insegnamenti delle sacre carte. Ora,
cbe dite di qne- sto filosofo esimio,
che tanto s' inoltro col lume della natura
solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma piu ezian- dio percbe avea descritto la felicita
de^gpusti nell'altra vita in quel
discorso antecedente al Fedane, dov* e' forma
la propria apologia: ivi dopo aver fatto suo calculo di quel che torni meglio immaginarsi intorno alia
morte, considera brevemente quello che
awerrebbe quando di la non ci fosse nulla,
il che non ammette in verun conto per credibile; e viene poi discorrendo cosi della beatitudine
delle cose di lit: «S* egli e vero, si
come io credo, che la morte sia an pas-
saggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e vivono i defunti; ci6 h molto piti
desiderabile e foi*tanato, uscendo gli
uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e tengonsi per giudici,
per condurci dinanzi a quegli che
veramente Giudici si nominano e gia-
stissimi Giudici sono, i quali temperano colli e correggono tutti i Giudici fatti qua, come s^ ^ o
Minosse, Radamanto, ed £aco, e
Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E
simigliante trasmigra- zione non e da
apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi a
conversare con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero e con tanti e tanti altri santi e valorosi
uomini, e un tale stato non e da
anteporre a questo, dove noi oggi dimo-
riamo? Che consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 447 da Palamede, da Ajace figliuolo di Telamone,
e da si grand! soggetti fatti rei a
torto per la nequizia de* Giudici nostri,
paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano
senza errare chi da yero e sapiente, o
chi lo si crede di essere e poi non sia,
6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i pareri non e
ella questa una scuola di perfetta
sapienza? Ne e pericolo che vi si moia,
ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali.
Per la qual cosa torua conto pigliare
gioconda speranza della morte ; e questo
seco medesimo reputare per vero, e per infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a
gli uomini da bene, o vivi, o morti, ne
tal cosa per yeruna maniera che sia da
gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere.
» Imperfetto. — Ma della trasmigrazione
dell' anime desti- nate a purgarsi
ne'corpi degP irrazionali, io non odo ch'e
ne dica nulla? MagioUL — Platone
ne fayella e nella fine del Timeo, e da
molti altri luoghi si ricaya ch'egli si fatto sentimento ayea come uscito dalla scuola Pittagorica :
ma si come colui il quale scorgeya la
yerit^ per barlume, riconobbe non so-
lamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo
luogo per pur- garsi dalle colpe; il che
eziandio de'cristiani ereticalmente e
per estrema foUia hanno osato di mettore in dubbio, accie- catisi da per loro nel lume della fede,
quando si yede che il lume solo naturale
e stato bastante a insegnarlo a'piti
sayj gentili; ma perche senza la yeritk rivelata andavano tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran
cosa che nel modo dell* essere e
fignrarsi simili cose sopra il nostro in-
tendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne giugnes- sero per V appunto al yero, ma si bene
yariando le maniere, e il concetto,
avessero per molto chiaro la proposizione di
esse in uniyersale.
Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come Socrate giu- 448 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE gnesse fino a conoscere che chi mdore senza
sacramenti pericola, e chi con esso i
sacramenti si salva ; impercio cbe nel
medesimo Fedone fa awertenza che quegli i quali in- stituirno i riti e le cerimonie, non essere
stati altrimenti stolti e yili uomini,
ma sotto velami di parole aver voluto
significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinn- que non purgato dalle sagre costumanze
discendera air al- tra vita, esso vi
precipiter^ nel fango rinvolto ; ma coloi il
quale fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un
gran dire per uno che la nostra
religione non professi. MagwUi, — Egli
e che la verita e una (come piu e piu
volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata bramosia, ne puo arrivare
gran parte, per- ch' ella ne passa d*
avanti ; e s' eila non si puo apprendere
per r appunto cosi com' ella e, pur quella luce, awegna che adombrata e non ben distinta ne disfavilla. Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la
certezza della fede, e' si cammina con
supposti molto fallibili naturalmente
discorrendo, massime in quella si gran differenza che si stima essere tra gli irrazionali e noi, che
ce ne sono di quelli cui non manca se
non la parola a parer uomini. Magiotti.
— Per quanto alcune bestie arrivino di lor na-
tura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene, poche o niuna giungono ad avere T accorgimento e la
distinzione, per debole ch* ella sia,
che hanno anche i bambini innanzi a gli
anni della discrezione. E poi di queste s\ difficili pro- posizioni hannosi da addurre veirisimigliame
e non prove, altri- mente il credere a
che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere'
dere, Egli e bene il vero che la divina bonta ha dato a tutti gli uomini intelletto e ragione, a fine
ch^ essi eziandio da per loro, meditando
col lume della natura, acquistino certi
chiarori di sapienza ben fondata, con esso i quali pon- derando in si fatta materia il concorso delle
verisimilitu- dini per rispetto alio
contrarie, che s'oppongono, e che negano
la immortalita ; quelle ch' e' trovano in maggior Dl ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 449 copia e di piu vif^ore a petto alF altre,
dieno aiuto a' sensi, accio che e' si
rendanO piii agevoli a credere, quel che e' non
sono atti ad intcndere. E coloro che si lasciano assorbire dair ignoranza e trascarano la Divina grazia,
e gli instra- menti dati loro per
esercitarsi in una studiosa, assidua, e
acuta contemplazione intorno a si alte cose, o chiuggano affatto gli occhi, e credano, e se cio non
fanno, tal sia di loro ; impercio che
eziandio i piu dotti e sayj gentili, come
avete inteso, hanno talento di pervenirvi ; ora se questi uo- mini di si sovrano intendimento, e per essere
gentili, con libera conscienza di tenere
e pubblicare cio che loro piii
ragionevol parea, hanno si fermamente insegnato altioii r immortality dell'anime; convien pur
confessare che le pro- babilita grandi
ci abbiano e senza paragone in piu novero
e di piu forza che dalla parte ayversa non sono. Dafinio, — Noi siamo tanto gelosi di questo
vivere, che in dubbio non e gran cosa
che gli uomini, come condizione tanto
per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera Timmortalita delPanima che la
mortalita; im- perci6 che a quel tornare
a non essere, chi e colui che non si
senta tutto turbare, e raccapricciarsi, meditandoci sopra ? E pero anzi la passione che la ragione ha
dettato loro questo parere, come piu
confacevole alia nostra natural pro-
pensione. Magiotti. — Un Socrate
tanto superiore ad ogni umana affezione,
di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente
del vivere, alia sola virtti tenendo
fisso il pensiero e il volere, si ha da
credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva, abbia in questo a fallire?
Per la qual cosa puo sicuramente
affermarsi lui aver ci6 giudicato per
forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio, — Son cose che la fede ce le
insegna, e noi dob- biamo crederle; ma
iTho per troppo ardimento farsi a
credere di capirle naturalmente.
Buonaccorsi. — Gnardate se la veritii ci viene tra le mani, dove noi non ci turiamo gli occhi, e la
vogliamo conoscere ! 29 450 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE Secondo Platone le anime ritorneranno
a'corpi umani; se- coDdo Porfirio le
anime sante non ritorneranno a' mali del
mondo. Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sen- tenze, che ameudue insieme dicono il vero,
quantunque paia che, ognun da se, e
Platone e Porfirio si contradicano ;
impercio che V anime non ritorneranno (egli e vero) a' mali del mondo, ma si bene ritorneranno a'corpi,
per essere o nell' Empireo eternalmente
.premiate con esse le membra corporee, o
nell' Inferno punite. Dafinio, — Gia
noi sappiamo manifestamente V immorta-
lity deir anime, e solamente vi ho contradetto, acci6 che, rispondendomi, ambo venghiate a proforire si
belle e mara- vigliose proposizioni,
come fatto avete; come altresi accio che
niuno si persuadesse ch' ella si chiara fosse per lame naturale, che si perdesse o nulla valesse il
lume della fede, nel modo e per la
stessa ragione ch'e stato il vostro giu-
dizioso pensiero. MagioUi, — Ed
io ho difesa questa verity infalHbile con
si gran copia d' argomenti di probability., che udito avete, perche non si avesse per impossible, e si
tenesse alieno e lungi da ogni sussidio
di naturale ragionevolezza quelle che
noi siamo obbligati di credere; laonde dovesse essere in gran parte compatibile, come ben fondata
su prove au- tentiche, e per argomenti
forti in natural discorso, V opi- nione
d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la morta- lita: e fin qui mi sembra essersi a
sufficienza ragionato che le razionali
anime immortali sieno, parendomi ora mai
tempo che dal signor Gioseppe si ripigli il filo del Testo Platonico, secondo la fattura che il Timeo
s'immagina di questa anima universale,
da cui pur troppo deviati ci siamo.
Luigi. — Ma dell' anime ragionevoli quali sieno le faculta loro, a differenza delle sensibili, e quali
stromenti ell' ab- biano per le loro
operazioni, avremmo caro di udire.
MagioUi, — Non e tempo a proposito di favellarne adesso, essendo una materia da se, la quale a suo
debito luogo verr& proposta, concio
sia cosa che la dottrina del Timeo, cni
abbiam dato principio, verrebbe presto presto in dimeati- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 451 canza, poiche giunti noi siamo a casa, e il
ragionare e an- dato piu oltre che io
non credeva, e sono tre quart! di ora
ch' e' sono sonate le ventiquattro ; risolviamo quanto prima di andare a cena, e domattina che riposato
avremo e con gli spirit! piu quieti,
tirerassi innanzi il ragionamento d!
quest' anima universale secondo il Teste, e a vo! si appar- tiene discorrerne, signor Gioseppe. Buonaccorsi, — Quando sarete desti, e che vi
parra 1' ora, venitemi prontamente a
trovare, che io obbediro ai vostri
comandi, quando vi sia in piacere, perche (come ben sa- pete) io dormo poco, non avendo fumi di vino
da digerire, che mi vadano in su. PREAMBULO
ALLA VILLE&&IATURA ALBANA
ALLA PSICOLOGIA. Che gli
uomini non abbiano qua ferma dimora, e che
ad altri luoghi destinati sieno dal Fautore Eternale, tra molti e molti argomenti che se ne scernono,
quello pare a me sopra gli altri aver
grandissima forza, della inistabilita
degli animi loro, imperciocche della varieta dilettandosi mai sempre senza costanza veruna, niuno soggiorno
ci ha, quan- tunque soUazzevole e
desiderato da loro, il quale allorche e'
vi giungono gli fermi e gli quieti, e noioso in breve loro non divenga, altrove ben tosto rivolgendo il
pensiero. Ecco noi, attediati dalle
bellezze piu deliziose e piu magnifiche
di Tusculo, alle piu naturali e di niuno artificio di Nemi in si virtuosa conversazione venuti semo, che
meritamente esser questi i piu grati
diporti di Diana gli attribuirono, e non
molto andra che anche qui rincrescevole la dimoranza ne fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio
ivi perfetto e non 452 ANTOLOGIA DI
COSE INEDITR mai sazievole godimento
aspettando, ma cio indamo, im-
perciocche stabile fennezza non otterremo gia mai, finche vita avremo : si parimente, di qualunque
altro diletto favel- lando, cui volga
I'umana condizione sua cupidigia, quella
nel conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur voile teste, il che ne insegna
Lucrezio in que'versi, favellando degli
uomini: « Haud ita vitam agerenty ut
nunc plerumqite videmua: Quid aibi quiaque
velit, nescire, et qucerere semper;
Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe foras magnis ex cedibus
iUe, Esse domi quern pertaesum est,
subitoque reventat; Quippe /oris nihilo
melius qui sentiat esse. Currit, agtns
mannas, ad villam prcecipitanteTy
Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat extemplo, tetigit quom limina villce; Aut alit in somnum gravis, atque ohlivia
qua^t; Aut etiam properans urbem petit
atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc,
» cioe a dire, annoiato fin di se
stesso si fugge, e da se allon- tanar si
vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta e trasporta il corpo in qua e in la, sua debita residenza
qui non avendo; solamente lo studio
della scienza (non ci ha dubbio alcuno)
ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo solo e degno pasto e proporzionato delPumano intendimento,
si come cibo divino, conciossia cosa che
ha per oggetto e per fine la verita
delle cose. « lo veggio 1)611 che
giammai non si sazia Nostro intelletto,
se '1 ver non lo illustra, Di faor dal
qual nessun vero si spazia, » disse
Dante, adornamento e lume della Poesia Toscana. Ma egli e ben d' awertire, che il sole per
quanto illumina, e si comprende in un
attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno
mirandolo fisso ci abbaglia, e nol possiamo patire, non che distinguer raggio per raggio. Nelio stesso
modo e^ si scorge a un tratto la
chiarezza della verita universale, cioe lo
splendore che ne circumfulge della sapienza divina; ma chiunque si affisa in lei, perdesi, la vista
confondesi, ne si DI ORAZTO RICASOLl
KUCELLAI. 453 possono per alcun modo
discernere a un per uno i lumi di sua
infinita virtude, cioh a dire le cagioni special! de'mi- racoli della natura : « Molto si mira, e poco si discerne
> disse lo stesso Poeta. Per guisa
che ne apparisce (egli e il vero) un
certo bagliore, e abbiamo le imagini delle cose vere nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate
rimangono intra le caligini onde noi
siamo involti, che per una piccola fa-
villa che in noi di quando in quando del vero riluca, ne aduggia la mente per lo piu una nuvola viepiu
grande del falso. Cio riconobbe Socrate,
come che piu altamente di ogni altro e^
contemplasse quest a lampada accesa, im-
perocche avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila, e quietandosi anch' egli all' imperfezione
dell' umana na- tura, pronunzio al mondo
quella sentenza che noi di- cemmb da
prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra
I'esperienza, dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'ac- ciiigo solamente alia meditazione di me
medesimo, mosso da quel savio
ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d' Apol- lo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e
piu sincera scieiiza^ ove dee studiarsi
ciascuno di pervenire, a intendimento di
potersi di se medesimo valere a ragione, usare de' proprj strumenti per quello a che dati ne furo, e
non iscompor 1' or- dine col quale a
perfettissime operazioni gli dispose il Mae-
stro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser com- poste di corpo e di spirito, e niuna piu
soUecita cura per natural talento porsi
da loro, quanto di conservare e 1' uno 6
gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del proprio individuo ; per la qual cosa elle s'
ingegnano di ri- storargli, e da tutte
le corporali infer mit^ di tenerli sani,
solamente a fine di sottrargli da ogni rischio di separa- zione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini
fanno, im- perocche null' altro per loro
s'attende che ad investigare rimedj
contr' a' mali del corpo, ma poi poco o nulla si bada agli antidoti contro le malattie dell'animo.
Di questa arte nuova di medicina von-ei,
impercio, che maestri esperti noi 454
ANTOLOGIA DI COSE INEPITE divenissimo,
e si come i medici il piu della dottrina loro
nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto, cioe nel
conoscimento con ogni studio di noi medesimi.
Ma lo intendimento nostro fia al sicuro
d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e
gli ordigni considerano, e lo
intrecciamento di tutte le membra, di tutte
le viscere e di qualunque delle piu minime particelle inte- riori, a fine d' intendere le operazioni
yitali ; ma cio e sola- mente per
temperarle e per ricomporle, qualunque volta
stemperare e scomporre si veggiano; dove in questa disci- plina novella s^insegna la valuta si e la
situazione degli organi in quanto e'
servono per canali de' sensi ; ma perche
e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima, imparasi eziandio per tal via come
mantenere ben d' accordo due movimenti
contrarj sotto le leggi del dovere, e
come P intemperanza deU'uno moderare con la
temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e saluti- fera scienza della Notomia, adottata con
proporzione e a soccorso della natura, e
altresi a correggimento dell' animo,
essa ne fia giovevole per a quella felicita per venire, ove an- siosamente aspirano i saggi, cioe a godcre
mente sana ia corpo sano; percio
mirabilmente Platone nel Timeo definisce
la sanit^^ essere una comuae concordia delP anima e del corpo, cioe quando il corpo e valido e fermo
sotto un animo molto piu valido; ma
acciocche in tal materia con debito
ordine io proceda, diro, come in principio mi si parano innanzi tre operazioni tra se diverse insieme
congiunte nel- V uomo, le quali pure in
varie sorte di specie si raffigurano r
una diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose che si nutriscono e crescono, opera la
vegetativa sola, imperocche esse mancano
del sentimento ; ne' bruti la sensitiva
insiememente con la vegetativa, essendo che
la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nu- trisconsi, e di piii hanno sensi; ma agli
uomini si dee ar- rogere la ragionevole,
che e la piu perfetta, ond' egli hanno
senso, crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprat- DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 455 tutto gl'informa lo intelletto e la mente.
Tali sono quelle diverse qualitadi o
moti (che noi dir gli vogliarao) che anime
da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme dove elle sono disgiunte e in oggetti di specie disformi
allogate, concios- siache ciascuna da
loro V essere, la vita ; ma egli h manife-
sto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e impero nell'
umana natura esse si riconoscono si per
movimenti diversi, ma a una me- desima e
sola forma adattati, cioe a dire come potenze
distinte d'un'anima sola, in quanto che tutte hanno a essere instrumenti della ragionevole, e sotto
di quella ope- rare: percio (se ben mi
torna in mente) dissivi un giorno esger
raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte le potenze delP universo, e sino trovarsi
effigiata in lui 1' imagine della divina
mente, la quale allora quel piu ri-
splende, che noi stenebrare la sappiamo da' nugoli degli aifetti, e tener monda e ben custodita dalle
sozzure e dalle corruttele dei sensi.
Ora dunque per piu agevole intelligenza
di questo dir ne conviene (non mi sembra del tutto inutile, ovvero lontano dalla materia proposta) il
venire in ragio- namento sopra le
opinioni che s' ebbero negli antichi secoli
da quel grand' uomini intorno a quest' anima, talmente che molti 1' assegnarono all' universo, come
principio in esso e cagione del moto,
pel quale si trasfondesse e si traducesse
da piu alto cominciamento la virtu seminale nella natura maestra di tutte le innumerabili generazioni
che si fanno nella materia. Quindi con
viepiu agevolezza trarremo argo- mento
di quel che sia 1' anima che essi appellano vegeta- tiva, e si pure gli organi dove s' attaccano
i suoi movimenti speciali, come e a dire
nelle piante; indi trapasseremo alia
sensitiva, dove acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi trattare, per poter poi, staccati dalle
sostanze piti basse, favellar dell'
anima ragionevole e delle quality eccelse ch'ella ebbe in dote dal. suo Fattore; poscia farem
riflessione sic- come r uomo per mezzo
di quelle dee istruire se stesso nella
virtii morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, man- tiene incorrotta in noi la sembianza della
suprema ragione, 456 ANTOLOGIA DI
COSE INEDITE e apreci la via e ne
illamina per ritrovare quel bene per-
fetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo
cercando. V1LLE6GIATUEA
TIBUETINA DELLA MORALE. Offizi della facoltd delta ragione. Luigi, — Nella regione, dunque, di sopra
ha suo trono la ragione. Magiotti, — E per cio ad essq, si appartiene
di coman- dare a quella che sta di
sotto, e governarla e tenerla a freno,
come compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da
questa sotto il suo comando si conviene
all' altra obbedire. Luigi, — Ma se
ella e piena di tumulto e di confusione
recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, men- tre alia parte razionale diventa molte volte contraria
e rubella. MagioUi, — Anche questa « atta a divenir
ragionevole se alia ragione obbedisce, e
a^suoi savi ricordi; anzi a quella
sovrana dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno, e valersene a tutte le azioni lecite e
lodevoli, che eUa risolve di fare.
Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i
suoi piu prin- cipali e piii confidenti
rainistri; acciocch^ le assistano sic-
come consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette potenze principali delP anima. Luigi, — Ma queste quali son elleno ? Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^;
ma dichiara- tene di grazia qua' sleno
veramente gli offizii loro. DI ORAZIO
RICASOLI RUCELLAI. 457 Magiotti. — La
memoria conserva nelF archivio e nella
segreteria che ella ha in custodia e sotto sua chiave la maggior parte degli oggetti varii che le sono
cola entro tramandati da' cinque sensi
che detti abbiamo ; per le cui porte s'
intromettono come dispacci di belle e varie no vita tutte le specie, e immagini esteriori
sensibili; e siccome molte, data loro a
pena un' occhiata, yi si ripongono senza
badarci come di non grande importanza; alcune poi di mag- gior rilievo dall' immaginativa o fantasia,
come detto si e, pongonsi innanzi
all'intelletto, dove egli, come dentro uno
specchio ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza di considerare diligentemente e
di intendere quel che esse sono,
recandone poi alia ragione un giusto e
puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco ma- turamente, e esaminano insieme con aweduto
raziocinio e con ponderate riflessioni
se elle son buone o triste; e per tal
modo ne nasce il giudizio, col cui consiglio la volonta delibera di fame conto o di lasciarle. E
percio di si ben ayvertita deliberazione,
e della esecuzione di essa, ne ha la
cura la volonta, la quale firma il decreto di volerle, o di non le volere secondo la disposizione del
sopraccennato con- siglio supremo. Luigi, — Dell'ingegno pi6 o meno vivace
degli uomini nel discorso di questa
porzione superiore, voi non ne avete
favellato punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha
ingegno vivo, e uomo d'ingegno
spiritoso; insomma pare che chi non ha
bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi sto- lido o mentecatto sia. Magiotti. — L' ingegno, per dir quello che
all' improwiso mi viene ora in mente,
crederei che fosse una fabbrica in-
terna dell' uomo, che si forma per mezzo dell' intelletto e della memoria; e percio giudico che 1'
ingegno si risvegli con agevolezza in
una mente doviziosa d' immagini varie,
raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innu- merabili cose di diversa maniera passate pe'
sensi, o dalla lettura di piu e piii
sorte di sentenze, le quali cose abili
458 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra alia chiarezza dell' intelletto di inventare
e di formare di quelle medesimef
accozzandole o innestandole tra loro con
bel modo, nuovi e maravigliosi disegni per entro la mente, onde ne result! un concetto leggiadro e
vivace, il quale ancorche di piti e piu
belle cose altre volte a noi note com-
posto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in chi Tode; tanto che perche un ingegno produca
e fabbri- cbi da se medesimo, vuolci la
memoria che presti delle piu belle
immagini che ella in se contenga, e la fantasia e r intelletto lucido e distinto il quale le
sappia con belP ordin collegare e
attaccare V una con V altra in guisa, che di piii cose vedute a avute fra mano, se ne
concepisca un' altra da se, nuova e non
piu veduta o sentita. £ allora piu belli e
piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto maggiore raccolta e di piu pregiate cose
abbia la memoria fatta innanzi conserva.
Yero e che glMngegni si variano r uno
dall' altro e piu pronti riescono e piu veloci, e vie piu atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con
piu o meno pre- stezza te gli formano
secondo i temperamenti diversi della
corporatura di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti che salgono dalla porzione inferiore abbiano
la lor tempera fervida e secca; di
subito con la vivacita loro da uno moto
e stimolo all' intelletto e alia memoria, che molte volte, senza dar tempo a veruna ponderazioue degli atti
secondi, di pre- sente alzano moli
ingegnose di vari pensieri alti e di spirito ;
e quindi giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si chiama, il quale non rassembra dissimile a'
sogni, impercioc- che i sogni si formano
dormendo di pezzi dalla immagina- tiva,
e lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' inge- gno stesBO negli uomini appena desti, e a
cervello riposato la roattina al buio,
anch' eglino vengono in luce alia mente,
e rappezzansi parimente di varie specie, onde io repute ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a
proposito. E cio piu o meno vivacemente
succede, e piii tosto, o piu tardi,
secondo che la fierezza o agility degli spiriti muova le po- tenze deH'anima a simiglianti operazioni. e
all'ora dicesi DI ORAZIO RICASOLI
RUCELLAI. 459 deir uomo che egli abbia
piu o meno pronto V ingegno. Di qui
parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia sovente meno giudizio, imperciocche T uno
colla sua terape- ratura minuisce V abilita
dell' altro ; essendo che 11 giudizio
Yuole lentezza e flssazione di riflessioni fatte dalla ragione 6 dair intelletto insieme, per esaminar
sottilmente e rivedere 11 conto a cio
che sovvien loro. La cul savia operazione ha
duopo dl spiriti meno ferventl, e che vadan di passo e non corrano con Tali spiegate a dar moto alle
loro azionl e deliberazioni ; e per cio
V Ingegno ordinariamente da per se sapra
formare abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte subllmi e n(»blli conforml alle specie, che
gli spirltl agili e accesi a un tratto
nella mente soUievano, ma non mai ben
forniti di fare, se '1 giudizio con la su^, esattezza non da loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente
si osserva neU'esempio de'pittorl tra'
quail molti che hanno spirito piu
elevato e piu vivo si veggono fare in un baleno schizzl di varie figure ciascuna da se atteggiate con
si bella pro- priety ed espression di
aflFetti, che sembrano aver moto e vita;
ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non riescono nel disporle con
maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali
tornino bene per esprimere le attitudini e
i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiu- stata simetria) Intorno a quello che slgnificare
elle abbiano, perche a cio fare vuolsi
attenta applicazione e fermezza, che e
opera dl giudizio, 11 quale mlsuratamente ne forml la composizione, e piu e piii volte cancelli e
rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e
mettere insieme In un attimo a forza di
vlvezza d' ingegno, come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo la mano alia velocity de* mossl
fantasmi. Convien dunque fermar per vera
e per indubitabile sentenza, che quanto
piu V uomo con la continuazione dello studio e sotto una bene accurata dlsclpllna negli annl piii
teneri abbia megllo assodato e fissato
11. giudizio, anche nelle persone dl
spirito e d' ingegno ; cotanto piii chlari e distintl e meglio perfezionati vengon gli abbozzi loro
Ingegnosl; onde la dif- ferenza in tantl
e si varj modi da un Ingegno alP altro si
460 ANTOLOGIA DI COSE INEDITE
scorge; e questo e quello cbe io so immaginarmi intomo agli nomini d' ingegno, e quel che veramente
questo sia, e che adoperi nel
ricettacolo della nostra mente. Ma per affer-
mare quel ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera si facciano le operazioni
sue, come anche delle altre facolta delP
anima, Y bo per cosa molto oscura e
fallace. Imperfetto, — Io stimo
certo cbe voi abbiate detto quanto se ne
possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente so- disfatto. Ma tornando alia volonta, questa
entro di se puo dire il si o il no; ma
chi eseguisce sotto il suo ordine?
Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si prudente con- Bulta determinato di volere, o non volere una
cosa, egli e d'uopo cbe la volonta abbia
i ministri sotto di lei, a cui ella dia
gli ordini. Luigi. — Ed essi ministri
dove alloggiano ? Magiotti, — Questi i
sopraccapi sono della regione piu bassa,
nella quale comandano i due moti piu principali
sensibili, cbiamati il concupiscibile e V irascibile ; V uno e r altro promotori e caposquadra di tutti gli
affetti dati per guardia e per satelliti
alia ragione, accioccbe eseguiscano con
prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbi- grazia, i moti del concupiscibile hanno da
desiderare e cercare il conseguimento di
quel cbe la volonta, d' ordine della
ragione ba determinato per buono; ovvero ad accen- dersi il moto dell' irascibile per aborrire e
per torsi davanti quel cbe la ragione
col suo consiglio ba giudicato per non
buono. Imperfetto. — Questi duo
adunque (che appetiti si cbia- mano) in
vigor degli ordini eseguiscono quanto la volonta comanda loro; ma in cbe modo e con quali
strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi
numerose scbiere di spiriti, e di quelli
di mano in mano, cbe sono sotto la
condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle
mani, dei piedi e delle altre membra
corporee a fine di pigliare ii possesso
DI ORAZIO RICASOLI RUCELLAI. 461
di quel che place alia ragione, a per mettere in fuga e di- scacciare cio che le displace. Luigi, — Ma come si fanno elleno tante
operazlonl la dentro in si poco
spazio? Magiotti, — Egli e da sapere
come queste operazlonl fan- nosl dagli
spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ; ma le azlonl della mente sono Incorporee come
chi le governa e dispone, e pero gli
organi nostri aprono loro gran vie per
Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dun- quein questa parte inferiore delP anima
nostra divers! affetti 6 perturbazionl,
secondo la varieta degll oggett! che per via
del sensl se le rappresentano ; subito la parte ragionevole sommlnistra e prescrive il modo di regolare e
modlficare essi affetti, lasciando bene
a nostra disposizione ed arbitrlo di
consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razio- nale si lascla vincere dalP affetto, e qudlo
fa che 11 moto irraglonevole le detta,
egli e segno che la volonta sprezza gli
ordini della ragione, e f a a modo degli appetlt! disob- bedienti, dove se ella alia ragione
accostandosl e alle sue savle
persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora essa la volenti regge e fa altresi la
porzione inferiore ragio- nevole
divenlre. Vero e che le faculta dell' anlma ragione- vole non vogliono mai quello che non sia
effettivamente buono, o che da loro per
buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords:
gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rucellai”
Grice e Ruffolo: la ragione
conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica – la
scuola di Cosenza – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo calabrese. Filosofo italiano.
Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della
seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni
contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza
in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli
vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al
valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di
resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione
Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con
PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso
e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche
ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte
dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III
torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV
torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso
BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV
torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato
e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei
restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far
perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio
e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e
prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S.
dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto.
Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione
della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la
detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua
condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile
causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione,
in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno
spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e
indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e
intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI,
BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’),
GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici
e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri
saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la
“metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della
fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio);
"Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma,
Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone);
“Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola
Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo
specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rufino: la
ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Aquileia). Filosofo italiano. Aquileia,
Udine, Friuli-Venezia Giulia. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tirannio
Rufino.
Grice e Rufo: la
ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ
CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX
IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM
SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte
sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum
ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R.
segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario,
quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a
Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato
d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la
sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta
l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a
Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di
Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del
Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani.
Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare,
politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano
Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio
Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la
quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella
battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare
e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da
guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale
arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la
disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento
delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure,
governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi
di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna
l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno.
Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli
stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa
è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il
tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali
accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa
certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo
nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione
che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era
lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse
un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con
tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è
comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi.
Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R.
declina l'invito. Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria
autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della
filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi
giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in
Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI
Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore
Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio
Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani
Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani
romani Rutilii Stoici. R., who came
after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul
of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related
of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own
plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise
men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from
their own history, thereby associating their philosophic principles with
patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his
desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the
times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO;
whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial,
consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he
neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset
ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque
integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse
noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex
ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo.
Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool
Library. Rufo.
Grice e Ruggiero: la ragione
conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale -- scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano.
Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui
CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista,
senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando
critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina
e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei
valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al
fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al
fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori
italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà
costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno
alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia
greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma
e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari,
Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età
del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea
(Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero
britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari,
Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti
politici”, Felice, Bologna, Cappelli, La
libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La
Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un
ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia
e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e
pathos. Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del
diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza
delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta un processo di
sviluppo dall’interno, ma piuttosto un’opera di lento accrescimento
dall’esterno, che fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare
i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è
di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il
primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto il ricco contenuto
degl’acquisti posteriori. La città è per essi un più saldo organismo che
non la polis dei Greci: il principio della sovranità popolare, come
fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e
presidiato, e, principalmente, le magistrature cittadine vi rivestono
quel carattere e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un
greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della
maggiore coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è
anche il principio della espansione della città in più vaste associazioni
politiche, aventi per base l’autonomia municipale, limitata soltanto
dalle esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse
militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega
latina, aggruppa alcune città sotto l’egemonia romana; che sarà il
modello delle future aggregazioni. Il principio federale è
quello che salva il nucleo della città, pur mirando oltre la sparsa vita
cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa insieme con le
sue conquiste. Il lento processo di assimilazione dei popoli soggiogati
compiuto dalla civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva
dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni e sulla
trasformazione di essi in aggregati municipali autonomi, e solo
militarmente legati a Roma. L’idea del decentramento amministrativo è
certo una delle più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia
tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore anche maggiore che per
noi, perché storicamente l’autonomia municipale è un passo
importantissimo nella formazione del nuovo principio dello stato,
che sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più
minute unità cittadine, confluenti con la loro vita propria nel più vasto
organismo politico. Si forma così una patria communis, che ha sotto
di sé una patria particolare, domus od origo Questa doppia istanza della
vita pubblica, che da una parte favorisce la profonda esigenza del
self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento
subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana.
I greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose colonie, la
vita delle proprie città, non riuscirono tuttavia a trarre dal
particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero
il frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di [Mommsen.
Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi
posero in vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera
e propria; ciò che ne distingue l’opera nettamente da quella dei ROMANI. Il
municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una
delle manifestazioni dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda).
Il periodo sillano rappresenta però ancora un’età di transizione
tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico
particolarismo è quasi vinto, ma ancora non balza fuori la nuova
universalità. Il progresso, lungo questa via, fino all’età di GIULIO (si
veda) Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha contribuito, più che
l’accrescimento diretto del numero dei cittadini, mediante l’estensione
del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre
maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza eccezione, di due
elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO;
indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione
è sollecito per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite
istituzioni romane, le città della provincia sono volontariamente tratte
ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti
inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di
questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni
della religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella
Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come un premio
ambito ciò che pure è suo interesse precipuo di largire. Essa non accorda
a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare
alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che hanno tutte la piena
cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con
diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità verso la
capitale. La più grande forza di attrazione è da Roma esercitata per
mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta
compagine imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani
coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore
di un primo grande disegno organico, a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi
imperiali successori, si svolge un fecondo lavoro, che ha per scopo di
popolare di Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre
patria. Il principio veramente romano che presiede a questo lavoro è
epigrammaticamente espresso dal motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma
se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato
federale sull’unire della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare
avesse stampato nel diritto pubblico i segni del suo genio
precursore, essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante
e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati
municipali di Roma sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia
non sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della
conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo
nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di
Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza nuova di
sé, viene mortificata e depressa da una taccia d’irrimediabile
inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che
attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame
che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella forza dell’imperium,
che sanci- [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli
sotto la potenza militare romana. Piccole città isolate e
sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso carro;
purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si preoccupa della vita che
internamente si svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio
di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma non lo governa; si appaga
di un compito estrinseco di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci.
La sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento
del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli
orientali, presso i quali erano più vive le esigenze della comunione
spirituale dei popoli formanti uno stesso stato. Apollonio di Tiana,
anche quando l’impero aveva portato molto più avanti il lavoro di
unificazione del mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo
romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di
regime s’inizia però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura
fine, non riesce a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di
grazia al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale,
distaccandone il centro dal territorio di Roma e idealizzandolo nella
persona del monarca. La legge cesarea dei municipi comincia col
parificare, in diritto, tutte le città, e col trasformare,
conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più
l’impero stesso, ma la prima delle municipalità dell’impero, e le sue
magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La
figura del monarca si distacca nettamente da quella del magistrato. Non è
più il princeps , cittadino tra [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken
Welt. Berlin. 1901, UI.'p. 110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.]
i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il mondo parificato al suo
cospetto e riceve la propria autorità direttamente dal divino. Questa
idea è affatto nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare
l’attinge all’Oriente e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha
un significato teocratico e mistico, che viene accolto con
diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età
repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da uno spirito di
concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla
all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede viva ed
ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità giuridica
della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il re-divino, l’incarnazione
vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi
ministri, tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,
egli è il re-proprietario, al quale appartengono per diritto proprio le
persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di
concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è un
bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi la vedono
incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si accentra tutta
la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un
senso alla propria riunione sotto un giogo comune e sollevano e
riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui
sono partecipi. GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione
dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per lui
il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono
irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole
dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono,
per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e
amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli
stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia,
subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila
per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno,
che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà
che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta che il
mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale
e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per quel eh’ è
possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che disgrega e
disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare
questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto a lui
la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per portarla a
compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui
vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai più
arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col
proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno
all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio
della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel
tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato.
L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico
tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e
immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino
tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si
guarda accuratamente di legare a questo nome [Mommskn. Le drolt pnblic
romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece
degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi
l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle
milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal
punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia —
sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità
consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il tribunato del
popolo, la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per
via di successive sovrapposizioni di cariche preesistenti, come il
pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere
nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e
poi indefinito, della durata delle cariche stesse. L’impero si
costituisce cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni
repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di suscitare reazioni
popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del
triumvirato, esso ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle
magistrature ordinarie. Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare
subentra, almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del
potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia viene separata in
due parti, imperiale e senatoriale, con diversi magistrati; e al senato
viene attribuita ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non
crede opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà
della corrotta capitale e della lontana provincia anzi che quelle più
tenaci dei municipi 1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la
riassunse Domiziano, per l'opportunità che gli offre questa carica di
influire sulla nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia
si converte gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può
esercitare una preponderante influenza sulla costituzione e sul
funzionamento del senato, che finisce col divenire un passivo strumento
nelle sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien
fermo al principio cardinale della concezione monarchica del suo
grande predecessore, accettando l’idea della divinità dell’imperatore,
pur contraddiente a quella della sovranità popolare, che informa di sé la
nuova carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua
divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori
riserbati agli dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce
la parte più importante della riforma religiosa d’OTTAVIANO. L’influsso
sempre più vivo dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire
questo culto, includendovi l’adorazione dello stesso imperatore
vivente: una trasformazione piena di significato, perché con essa
l’apoteosi si distacca dalla vecchia concezione occidentale della
religione dei MANI, che in un primo tempo aveva giovato ad
accreditarla, e s’innesta nello spirito teocratico
dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero completa e
ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti
particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli il simbolo di
una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un
identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari
delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore
ammaestramento filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza
dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella
conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia,
che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse
a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio
lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento
della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella
vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La
cittadinanza che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti
esprime la nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie
particolari e che gl’uomini accettano quasi come un segno del riscatto
dalla schiavitù del suolo che li lega e li circoscrive materialmente.
Essa è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità
ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare
oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti
spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il
primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme
di consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3
(ì. I»K
huGGiKKO. La filosofia
coniemfor>tnea.DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI 1.
La fortuna dei
nostri filosofi. —
Con la filo- soTia
italiana vogliamo rifarci
dalle origini. Se c’è
un paese
che può vantare
uno svolgimento origi¬ nale
di pensiero, dal
Rinascimento ai nostri
giorni, questo è appunto
l’Italia. E nel
tempo stesso, sem¬ bra
che nessun paese
possa deplorare, con
maggior diritto delTItalia, il
disconoscimento più pieno
della sua vita mentale. Il
nostro Rinascimento è
in generale conosciuto; ma, dopo,
ci si sequestra
dalla circolazione del
pen¬ siero europeo: Vico è lettera
morta fuori d’Italia;
e il secolo XIX
offre questa stranezza,
che vengono ele¬ vati
a fama europea
scrittori mediocri come
l’Hamil- ton, il Cousin
e più tardi
il Lotze, mentre
sono igno¬ rati un
Rosmini, un Gioberti,
uno Spaventa, tre
pen¬ satori geniali, che
proseguono la tradizione
specula¬ tiva del pensiero
europeo, proprio quando
sembrava interrotta, nella fine
apparente dell’idealismo tedesco. Io
non starò qui
a fare un
ridicolo processo agli stranieri per
averci dimenticati: noi
per i primi non
ci siamo dimostrati
all’altezza del nostro
pas¬ sato; e le
stesse condizioni civili
e politiche d’Italia nel
secolo XIX hanno
purtroppo contribuito alla sprezzante dimenticanza
Si, perché la
circolazione i 350 LA FILOSOFIA
IT.ALIANA del pensiero avviene
in modo diverso
nei tempi mo¬ derni
che nel Rinascimento.
Allora potevamo, anche politicamente schiavi,
dettar le leggi
della cultura agli stranieri:
allora infatti la
vita del pensiero
era l’universalismo
astratto, naturalistico, che
neutra¬ lizza le diflerenze
della storia: la sua espressione
è il concetto della
sostanza del Bruno,
l’unità indiffe¬ rente degli
opposti. Nel secolo
XIX, invece, s’inizia un
movimento profondo d’individuazione: è
il pe¬ riodo dello
storicismo. Il pensiero
non vive più astratto
dalla sua vita
storica, e, fuori
deU’indivi- duazione
politica, sociale, morale
d’un popolo è nulla,
è flatus vocis.
Cosi si sono
affermate la cultura tedesca, quella
francese, quella inglese:
culture di popoli formati.
La nostra no.
Noi avemmo due
grandi pensatori. Rosmini e
Gioberti, ma erano
un’antici¬ pazione sulla nostra
realtà storica. Noi
non h cele¬ brammo
che quando volemmo
far la nostra
stona: il loro pensiero
rifulse di vivida
luce nel 1848;
ma diventò cosa morta
nel ’49. E
l’Italia che si
forniò nel ’fiO non fu rosminiana
né giobertiana: perché? Purtroppo è
nota la decadenza
mentale e morale
di quella nuova Italia:
la sua voce
non era più
la voce generosa di
Gioberti, ma la
molle cantilena di Ma-
miani e
l’accento rauco di
Ferrari. Nel 1861, in
un corso di
filosofia, che resterà celebre nella
storia del nostro
pensiero, il terzo
dei grandi pensatori italiani,
Bertrando Spaventa, rievo¬ cava
le glorie del
nostro passato, e
spiegava a una folia
d’ignari lo svolgimento
originale del pensiero italiano nei
suoi rapporti col
pensiero europeo :
nella nuova luce da
lui diffusa sulla
nostra filosofia. Bruno e
Campanella trovavano il
loro posto nella
storia del pensiero come
precursori di Cartesio,
di Spinoza e di
Locke; Vico, come
il geniale presentimento
di I. - DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI 357 Kant; e
infine, Galluppi, Rosmini,
e Gioberti rappre¬ sentavano la
coscienza via via
più compiuta del kantismo,
come questo s’era
svolto in Germania
per opera di Fichte
e di Hegel.
Ma lo Spaventa
avver¬ tiva che la
caratteristica dell’ingegno italiano
in tutti i tempi
era quella di
es.sere precursore, di
avere il presentimento delle
nuove verità, ma
di non sa¬ perle
svolgere, e di
falsificarne perfino il
senso e la portala.
Ma con la
rinnovata coscienza della
pro¬ pria storia, lo
Spaventa sperava che
ritalia risorta allora a
unità politica, potesse
riprendere, in una piena
consapevolezza, il posto
che le spettava
nella cultura. Ed egli
stesso ne additava
la via, con
uno sforzo tenace, che
durò tutta la
sua vita, per
porsi all’altezza del movimento
storico, comprimendo ogni impulso
del suo pensiero
originale per rivivere
in¬ tensamente il pensiero
altrui; facendosi perpetuo scolaro, per
poter diventare il
vero maestro degli italiani. Ma l’Italia
alla quale egli
parlava non era in
grado di
capirlo: ell’era quella
stessa Italia che aveva
pervertito il giohertismo
in una speculazione flaccida e
senza sangue; la
filosofia dei bramani,
come lo stesso Spaventa
diceva. Ond’è che
il geniale hege¬ liano
parve a taluni
un mistico, ad
altri un sovverti¬ tore della
scolastica; a nessuno
quello che in
realtà era. I falsi
nazionalisti gli rimproveravano il suo
hegelismo; i falsi
hegeliani il suo
nazionalismo: in verità gli
rimproveravano gli uni
gli errori degli altri:
dalla doppia taccia
egli era immune:
egli che sentiva, si,
italianamente la filosofìa,
ma la pensava universalmente. Il primo
insegnamento dello Spaventa,
come quello ilei suo
granile conterraneo, il
De Sanctis, fu dunque
infruttuoso; a riceverlo,
le menti erano LA
FILOSOFIA ITALIANA
impreparate. Non cosi
oggi, che nella
rinascente ita¬ lianità. noi
impariamo a vivere
in comunione col nostro
passato, consci che
ogni sviluppo della
vita speculativa è possibile
solo mediante una
piu salda continuità con
la tradizione storica.
L’Italia nostra non s’è
fatta net 1860
ma si va
facendo ai nostri giorni
' : quella
stessa Italia che
va conquistando una posizione
sempre più eminente
tra i popoli,
afferma la forza interiore
di questa ascensione
col rinnova¬ mento della
sua coscienza speculativa.
In tale rin¬ novamento. risorgono
i nostri grandi,
Francesco De .Sanctis. Bertrando
Spaventa; attraverso essi,
noi ci colleghiamo al
nostro passato. Io
esporrò breve¬ mente Tammaestramento loro
(e di quelli
che pro¬ seguendone l’opera
hanno contribuito con
loro al presente risveglio)
su questo passato. 2.
Il Rinascimento e
Machiavelli. Gli albori del
pensiero moderno sono
da ricercare nell’uma- nismo. Ivi
la filologia già
lascia intravvedere il principio
e l’indirizzo della
nuova filosofia; ivi
già si accenna quel
ritorno all’antico che
è invece creazione del
nuovo. Sotto i
colpi dell’umanismo comincia il
dissolvimento della scolastica,
che pro¬ segue poi,
più rapido, nel
rinnovamento della vita civile
e politica, e
della speculazione che
l’esprime. Qual è il
significato della scolastica?
Essa è un
con¬ nubio del cristianesimo
con l’aristotelismo. Il Dio
che si
era umanizzato in
Cristo si naturalizza
nella logica aristotelica: diviene
l’Ente, l’oggetto, nei quadri
della sillogistica. 11
monumento della scola¬ stica
è la prova
ontologica di Anseimo.
Questo natu- 1 Queste
parole sono state scritte
nel 1911. I. - DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI ralismo è
già un grande progresso:
non è il na¬
turalismo fisico dei
presocratici, non il
naturalismo ideale dei platonici,
ma è naturalismo
divino. Per mezzo suo
si svolge la
contradizione del cristiane¬ simo, con
la sua doppia
alTermazione dell’umanità e della
divinità di Dio.
E il nuovo naturalismo del Rinascimento, che
sorge come negazione
di quello scolastico, contiene
in realtà la
doppia esigenza, nella sua
unica aflermazione della
divinità e umanità della
natura. Con esso
s’inizia l’età veramente umana della
lìlosofia. Quanto al suo
procedimento speculativo, la
sco¬ lastica si compendia
nei princìpi della
sillogistica; la sua visione
etica del mondo,
poi, nell ascetismo e
nel misticismo: la
speranza messianica implica
la svalutazione della realtà
attuale e della
vita. E il Rinascimento è
l’antitesi di entrambi
gl’indirizzi: esso è la
sopravvalutazione della vita
— quella che la
libertà comunale, gli
attivati commerci e
i rap¬ porti politici
promovevano e intensificavano; e in
pari tempo esso
è Patteggiamento nuovo
del pensiero speculativo, che
non ha una
realtà fatta innanzi
a sé, da sillogizzare,
ma crea la
sua realtà, osservando, provando, inducendo.
Nascono cosi due
scienze, la politica e
la fisica, ambedue
dal me Essa è
la sola cosa
stabile ed eterna:
ogni volto, ogni faccia,
ogni altra cosa è vanità,
è come nulla;
anzi è nulla tutto
ciò che è
fuor di questo
uno. Spinoza non parlerà
con maggior vigore,
ma a differenza
di Bruno, egli non
indietreggerà d’un passo
dalla po¬ sizione conquistata.
Il filosofo italiano,
come già Telesio, e
poi Campanella, alterna
il nuovo col vecchio:
più veemente di
Spinoza, è assai
meno coerente, e accanto
al nuovo Dio
lascia sussistere l’antico. Più oscillante
ancora di Bruno
è Campanella, benché rappresenti
un’esigenza nuova del
pensiero .speculativo. La difficoltà
del concetto di
sostanza è che il
pensiero, naturalizzandosi nell’oggetto,
non può spiegare sé
stesso. La sostanza
è conosciuta ma non
si conosce: come
ciò è possibile?
Come può l’uomo, un
semplice modo o
accidente, conoscere la sostanza,
ed elevarsi a
Dio, se è
semplice effetto? come l’effetto
ritorna alla causa?
*. Il nuovo
pro¬ blema che il
concetto della sostanza
apre alla spe¬ culazione è
quello del conoscere,
e ad esso
si ap¬ punta il
pensiero del frate
di Stilo. Campanella è
confusamente il Cartesio
e il Locke della
iìlosofla italiana. Muove
dal dubbio scettico
e trova la certezza
nella coscienza di
sé, nel xensusB.
Spatonta, Saggi di
critica, Napoli, I8882,
p. Iti. LA FILOSOFIA ITALIANA abciilus, ma
d’allra parte fonda
la conoscenza della natura
sul semplice sensus
addilux. Le due
esigenze restano in lui
inconciliate: per avere
una concilia¬ zione si
dovrà giungere fino
a Kant. Ond’è
che la certezza delle
cose esteriori sembra
a Campanella ora uno
sviluppo, ora una
caduta, ora un
incre¬ mento, ora un
limite. 15 l’intonazione
generale del suo pensiero
è, nella metafisica,
il razionalismo — la
dottrina delle primalità
fondata sul sensus
abditiis; nella teoria del
conoscere l’empirismo — la
mera certezza sensibile e
la concezione dell’intelletto come semplice senso
illanguidito. Ma se per
questo verso egli
fa un gran
passo su Bruno, gli
resta poi di
gran lunga indietro
per la convinzione e
la fede nell’inlinita
presenza di Dio nell’universo: Campanella
è in qualche
modo, e quasi inconsciamente, il
filosofo della restaurazione
catto¬ lica, come fha
definito lo Spaventa:
egli, col suo
razionalismo, non toglie
i ceppi alla
scienza, se non perché
questa se li
rifaccia da sé
medesima e si
sottometta liberamente. Ma
l’entusiasmo di Bruno
non troverà il suo
riscontro che nello
sforzo tenace di Galilei.
Con questo la
Scolastica, solo virtualmente superata nella
filosofìa del Rinascimento,
è vinta per sempre.
Il naturalismo non
è più soltanto
celebrato come nuova tendenza
dello spirito, ma
è la nuova attualità spirituale:
nella nuova scienza
si umanizza la natura,
che non è
più la mera
privazione degli scolastici, né la divinità
ancora trascendente della speculazione, ma
è la scienza
stessa, l’atrermazione
deU’umanità concreta del
mondo — di
quel mondo che non
ci è estraneo
ma interiore, e
che vive della stessa
nostra vita di
ricerca e di
conquista incessante. I. -
DA MACHIAVELLI A
GlOBEItTI 4. Vico. —
Tra Machiavelli e
Vico corrono due secoli,
e ratteggianieiito mentale
è profondamente mutato. All’apparenza
li direste vicini,
rivolti come .sono tutti
e due al
passato, per attingere
da esso la loro
forza. Ma con
che occhio diverso
lo guardano! .Machiavelli vede
nel passato il
mezzo per liberare il
presente dalle accidentalità
storiche e per
contemplar l’uomo nell’intimità
della sua natura,
delle sue passioni: egli
fonda così la
politica. Con Vico,
il naturalismo umano
del Rinascimento è
già sorpassato, e l’esperienza
storica non suggerisce
più alcuna distinzione
tra sostanza ed
accidente, ma la
considerazione nuova dello
sviluppo, dello spiegamento della mente
umana: Vico fonda
la storia. Le due
mentalità sono profondamente
diverse. La tradizione dei
politici si continua
attraverso il (ìuicciardini, il
Paruta, il Sarpi,
ed ha un
lontano rappresentante, nel secolo
XVIll, nell’abate Galiani. Anche questi,
come Vico, fa
la critica del
suo secolo, e del
giacobinismo che quello
prepara; ma la sua
critica non preannunzia
il secolo seguente;
essa è quella del
vecchio politico, che,
incapace d’intendere le
nuove aspirazioni del
giovane, ha e.sperienza per avvertire
le sue fanciullaggini e
sorridere alle sue illusioni. La
critica di Vico
è al contrario
novatrice. Essa investe tutto
il pensiero del
secolo XVlll, il
cartesianismo e il
sensismo. All’universalità astratta
del primo che non
spiega la scienza,
perché vuol fondarla
sulla rivelazione immediata
dell’evidenza. Vico
contrappone l’intuizione genetica
delle cose, che le
[ P. un'acuta osservazione
de! Croce: cfr. :
Il pensiero del- Vabate
Galiani, in Critica,
spiega nel loro
farsi, nel loro
sviluppo: e prelude cosi
allo storicismo del
secolo XIX. E
mentre il sensualismo traeva
dall’esperienza sensibile un
motivo tutto materialistico. Vico
svolge, da quella stessa
esperienza, l’universale fantastico,
la poesia e il
linguaggio, nella loro
originalità spirituale: e cosi
prelude al romanticismo.
Queste geniali intuizioni sono comprese
in un’unità potente:
è la mentalità umana che
nel suo sviluppo
si afferma come
dispersa nel senso e
nella fantasia e
si unifica e
si riflette nel pensiero.
Vico perciò intravvede
una metafisica della mente,
una storia ideale,
eterna, per la
quale corrono le
storie delle singole
nazioni: nelle modificazioni
della mente sono
per lui da
ricercare i momenti
dello sviluppo storico.
Ecco la grande
originalità di Vico:
per Machiavelli l’umanità
era natura, sostanza, e
perciò fatale nel
suo corso, nella
.sua logica interiore.
Con Vico sorge
il concetto della
mentalità, della provvidenza
immanente nello sviluppo delle nazioni.
In Machiavelli c’è
ancora — contro l’apparenza — l’intuizione teologica
del mondo, e la
tristezza d’un’attesa messianica:
l’uomo è fatto
trascendente a sé
medesimo: in Vico
non più: nella sua
concezione storica l’umanità
è tutta spiegata. Ma
pure quello stesso
Vico, che scrutando
la storia di
Roma, attuava magnificamente la
sua nuova idea, lasciava
poi intatto il
pregiudizio dell’elezione
arbitraria degli Ebrei.
Nel passare alla
storia di Roma, egli
aveva compiuto il
suo grande sforzo,
e vi si era
esaurito, senza aver
più la forza
di ripassare alla storia
degli Ebrei, come
osserva il Croce
nella sua bella monografia
sul Vico. Fu
viltà, fu pregiudizio?
Forse, con più
verità, fu un
difetto intrinseco- dei sistema:
Vico non seppe
uscire dal particolarismo ristretto
delle unità nazionali:
mancava a lui il
concetto dell’università del
particolare, deiriima- nità della
nazione, che sar.à
l’opera del secolo
seguente. E perciò
quel pas.saggio dai
Romani agli Ebrei, che
a noi sembra
oggi cosi facile,
non fu possibile
al suo genio. Vico
non ebbe mai il riconoscimento che
gli spettava, né in
Italia né fuori,
né vivente né
dopo morto. Nel secolo
nostro s’impadronirono della
sua dottrina, come vedremo,
i positivisti, e
falsificarono nel modo più
barocco la sua
celebre formula della conversione del
vero col fatto.
Rivendicarne la me¬ moria
e perseguirne la
speculazione è stata
l’opera dello Spaventa, del
De Sanctis, e
più ancora, del Croce.
Per merito loro
la profonda lacuna
della nostra cultura è
colmata. Con Machiavelli
e con Vico noi
possediamo gli esponenti
maggiori della storia del
nostro pensiero, dal
Rinascimento alle porte
del secolo XIX. Vico con la sua
intuizione di una
metafìsica della mente
umana è il
presentimento del criticismo,
che si svolge
poi in Italia nel
secolo seguente, per
opera di Galluppi,
Rosmini e Gioberti. La
posizione storica di
questi pensatori è stata
fraintesa generalmente, e
da loro medesimi per
primi, finché la
critica di Spaventa non
ne ha liberato
la dottrina dall’involucro contingente
e svelata la
stretta parentela con
la filosofia tedesca. La spiegazione
del fraintendimento ci
è data dalla considerazione dell’ambiente
nel quale sorsero e
si svilupparono le
nuove dottrine. .\I
principio del secolo XIX
l’Italia è infestata
dal sensualismo francese
del secolo precedente,
e la stessa
filosofia kan-liunn non
vi s’introduce che
attraverso reclettismo e la
psicologia degli scozzesi
: il valore
sommamente originale del nuovo
concetto della soggettività
ne vien completamente perduto.
Nel rinnovamento cattolico,
che s’inizia in
questo stesso periodo,
il sensismo vien
minato alla base,
ma non già
in nome di Kant.
11 sensismo è,
nelle sue ultime
conseguenze, scettico; è un
vano gioco di
elementi soggettivi, che non
fonda l’oggettività, il
sapere. Ma Kant —
si sog¬ giunge — non
è anch’egli chiuso
nel soggettivismo delle forme
del senso e
dell’intelletto? e non
va a finire del
pari nello scetticismo?
Con questa critica si
pretende di disfarsi
di Kant, e
si cre *. Sono
curiose queste citazioni
vichiane che s’in- 1
H. Arie, storia
e fìlosofta, Firenze,
1884, p. *142. 2
pp. 479-480. II. -
TRA IL SECOLO
XIX E IL XX
381 contrailo presso i
positivisti; se ne
trovano oltre che nel
Cattaneo e nel
Villari, nel Cahelli
e nellWn- giiilli. Vico
diviene un precursore
del positivismo, la sua
formula della conversione
del vero col fatto
(identità del pensiero
e dell’essere, come
mentalità, sviluppo) viene dai
più intesa nel
senso che la ve¬
rità sta
nel fatto e
non già nella
mente. Ma pure queste
reminiscenze vichiane trattengono
i primi po¬ sitivisti
dal cadere in
una metafìsica materialistica. Sono tutti
assai prudenti, anche
perché non hanno nulla
da dire: il
più arrischiato forse
è l’Angiulli, che è
d’ingegno un po’
più filosofico degli
altri; ma il suo
programma positivistico, pubblicato
nel 1869, non manifesta
alcun contenuto nuovo
di dottrina. FI quando
il positivismo, per
la logica stessa
del suo movimento, degenerò
ovunque nel materialismo, i nostri
positivisti furono pronti
a sconfessare la conseguenza da
essi non voluta
delle nuove dottrine. Il
Villari polemizzò coi
materialisti francesi; il
Gabelli distinse un
vecchio ed un
nuovo positivismo, e manifestò
la sua avversione
per quest’ultimo. Certo in
questi pentimenti c’era
qualcosa d’ingenuo, proprio
di chi non
sa valutare la
portata di una
dottrina, mentre l’accetta;
e i materialisti
francesi erano più conseguenti
dei positivisti italiani,
nel negare quelle idealità
vaghe che questi
lasciavano ancora ondeggiare al di sopra
dei fatti. Ma
se in ciò
i nostri erano meno
filosofi, erano poi
più di buon
senso nelle loro riserve,
perché dopo tanti
sforzi per liberarsi
da una metafìsica
pseudo-idealistica, non volevano
trovarsi impegoiati in
una altra metafìsica,
di tendenze materialistiche. La trivialità
di questa metafìsica
non tardò a
manifestarsi. Essa sorgeva
dal connubio tra
la filosofìa e la
biologia; e il
suo nome era
il monismo: un
nome che dice tutto,
anche più del
contenuto di dottrina con
cui lo si
è voluto giustilìcare.
I suoi fautori
erano medici, naturalisti, botanici,
fisici, e via
discorrendo. La loro opera
sarebbe certamente andata
dispersa se Morselli non
avesse avuto la
felice idea di raccoglierla e
disciplinarla in una
Rivista di filosofia
scientifica durata pochi
anni, che resterà
come prezioso documento della
mentalità italiana sullo scorcio
del secolo XIX. Ma
le esagerazioni più
stravaganti del positivismo
materialistico si videro
nella scuola di
antropologia, fondata da
Cesare Lomhroso, notissimo
autore di libri in
cui il genio
e la delinquenza
si accoppiavano in
una felice coincidentia
oppositorum. Di queste
dottrine non ci
occuperemo, perché son
divenute di competenza forense,
e funestano le
squallide aule delle nostre
Corti d’Assise. Accenneremo
soltanto a una propaggine
del positivismo italiano
che per opera specialmente
di Enrico Ferri
s’è innestata nella dottrina
socialistica. E del
Ferri raccomando la lettura
d’una prefazione a
una sgrammaticata traduzione
italiana deWAntidiiliring di
Engels, che è un
bel documento del
livello di cultura
del nostro ex-socialista. Ma con
tutto ciò, del
positivismo italiano noi
non avremmo che notizie
scarse e frammentarie,
se esso non fosse
stato conglobato e
quasi condensato in una
dottrina unica da
Roberto Ardigò. Di
questo perciò vogliamo occuparci
un po’ più
estesamente. La filosofìa dell’Ardigò
ha quello stesso
motivo naturalistico che abbiamo
osservato nel positivismo inglese; e.ssa
è l’indiflerenza tra
il sensismo e
il materialismo, senza
per altro il
rigore logico del
Mill e la veduta
vasta, per quanto
superficiale, dello Spencer. Mentre
infatti fenipirismo inglese
è veramente monistico,
nel senso che,
ammesso il fatto naturale della
sensazione, ritiene poi
derivata e posteriore
la distinzione del
soggetto e deH’oggetto, l’Ardigó invece
tradisce fin dal
principio la sua preoccupazione dualistica,
propria del realismo
ingenuo. Perciò ammette come
fondamentale la distinzione
del senso interno
e del senso
esterno, dell’autosintesi e
dell’eterosintesi, cioè da
una parte fassociazione
dei dati psichici
stabili che costituiscono
il me, dall’altra l’associazione degli
stati psichici accidentali
che costituiscono il
non-me. Questa è
prova dcll’inferiorità della
dottrina in quistione
rispetto alle altre forme
di positivismo, perché
la distinzione non fa
che adombrare quella
tra la materia
e la sensazione,
e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo
nella conoscenza, che
ad empiristi come
l’Avenarius o il
Mach parrebbe una
vera mostruosità. Il termine
comune di materia
psichica, nei due
campi, del senso interno
e del senso
esterno, non è
in effetti altro
che un nome,
che si può
trasformare a piacere in
un altro —
l’indistinto — , che l’Ardigò pone
a fondamento della
realtà. Si vuole che
r.\rdigò abbia fatto
una critica dei-rinconoscibile di
Spencer, e c’è
veramente uno scritto suo
su questo soggetto;
ma bisogna proprio dire
che egli sia
andato in cerca
della pagliuzza nell’occhio del
fratello, senza accorgersi
del trave che aveva
nel proprio. Almeno
il povero Spencer
poteva illudersi di
veder Dio in
quel suo inconoscibile, mentre
nel caso dell’indistinto, nemmeno
questa immaginazione è più
possibile. Con questo
concetto deir.Ardigò
l’epurazione degl’inconoscibili, degl’incoscienti e
simili prodotti del
facile eclettismo contemporaneo
è compiuta, e
non resta che
l'innocua sodilisrazione (ti dire
uno, quando le
cose, a dispetto
del positivista, pare
che vogliano dire
due. L’indistinto
dell’Ardigò non contiene
dunque più alcuna traccia
di Dio. L’idea
di Dio è
del tutto radiata dai
quadri di questa
filosofia, e al
suo posto subentra il
nuovo concetto deH’inlìnito
o della virtualità
permanente dell’esperienza: un concetto che, come
quello inilliano della
possibilità delle sensazioni
dimostra, si. la
preoccupazione immanentistica
del positivismo, ed è perciò
da lodare nel
movente psicologico della sua
formazione, ma è
nel fatto insufficiente, come
quello che si
travaglia ancora nel vecchio
dualismo aristotelico, e
dissimula, nella sua apparente
facilità, il problema
non risoluto, e
l’ignoranza dei potenti
sforzi che la
speculazione di venti secoli
ha compiuto per
giungere al graduale
superamento di esso. Questo
cenno sul motivo
fondamentale dell’opera
dell’Ardigò può bastare,
come un saggio
del suo pensiero.
Lo svolgimento della
dottrina, secondo i
criteri direttivi dell’empirismo, è
dato dal tentativo
di aggruppare in varie
forme e in
varie guise il
materiale plastico della
sensazione: un campo
di ricerche che
Tempirismo inglese aveva
già da tempo sfruttato, e
che con l’.Ardigò
non è in
grado di dar nuovi
frutti. D.\l dualismo
si val al monismo. —
Nell'imperversare delle dottrine
materialistiche, molte voci
modeste furono soffocate,
che forse in
un ambiente più propizio
avrebbero potuto esercitare
un’efficacia maggiore. La
loro influenza sul
pensiero italiano fu
assai scarsa, in un
tempo in cui
il materialismo dominava la
vita sociale nelle
sue più cospicue
manifestazioni. Esse
nondimeno riuscirono a
formarsi un teatro
più ristretto, ma insieme
più consono alla
loro intonazione: la
cattedra. E come
già in Francia
lo spiritualismo eclettico,
svalutato dai nuovi
indirizzi, si conservava nella
cerchia universitaria, così
nell’Italia positivistica e
materialistica si ebbe,
nella seconda metà
del secolo scorso,
un insegnamento universitario
con tendenze spiritualistiche. Noi abbiamo
già accennato a
quel dualismo pla- tonizzante che si delineava
nelle opere del
Mamiani, del Ferri e
del Berlini: come
quello che, bilanciato tra i
due domini estranei
del pensiero e
dell’essere, naufragava poi nello
spiegare la mediazione
di en¬ trambi, il
conoscere, esso non
poteva riuscir vinci¬ tore
di quel positivismo
che viveva nella
medesima dillìcoltà, e solo
cercava di dissimularla
con le sue pòco
fondate asserzioni. Né il dualismo,
nella nuova forma datagli
dal Bonatelli o
dal Cantoni, per
quanto più corretto e
rammodernato, aveva migliori
proba¬ bilità di successo;
in fondo la
difficoltà restava iden¬ tica,
e al più
veniva spostata in
più remote regioni. Nella sua
vita infaticabile di
studio e di
ricerca, il Bonatelli non
riuscì mai a
migliorare la posizione iniziale del
suo pensiero, che
noi conosciamo dal
sag¬ gio: Pensiero e
conoscenza del 1864.
Là egli, ispi¬ randosi
a Lotze, muove
dal soggettivismo empirico della coscienza
e invano si
tortura per conseguire l’oggettività del conoscere. Il
pensiero è da lui ridotto al
semplice pensato, alla
mera forma indifferente
a ogni contenuto, qual’è
quella della logica
aristote¬ lica, e cosi
fin dal principio
gli è preclusa
la via a concepire
la relazione tra
il pensiero e
l’essere. Egli afferma, si,
che pensare è
giudicare, ma non
intende il valore e
la portata di
questa grande verità
della G. DB Ruggiero,
La filosofìa contemporanea. 25 386 LA FILOSOFIA
ITALIANA lilo.solia kantiana, che
è neutralizzata dall’intuizione fondamentalmente platonica
della sua dottrina. Di
qui, se il
pensiero è il
semplice pensiero, la certezza
del reale non è che
un’inferenza, un’ana¬ logia, per
cui noi interpretiamo
le cose esterne
a noi nei termini
della nostra esperienza
soggettiva. Ma¬ cho cos’è
la realtà in
sé stessa? Ora
è qualcosa di simile
ai reali di
Lotze, ora è
lo stesso pensiero
inteso come norma ideale
a cui tentano
di adeguarsi le singole
conoscenze '. Soluzioni
deboli, come si
vede, perché col principio
di analogia crediamo
di muo¬ vere, ma
in realtà non
moviamo un passo
fuori della mera soggettività;
e la norma
ideale, d’altra parte, posta
fuori del pensiero
attuale, è la
mera oggetti¬ vità, a cui manca
il ponte di
passaggio verso il
soggetto. Oggettività pura
e semplice, e
soggettività pura e semplice,
dunque: qui la
soluzione, in fondo,
non fa che ridarci
tal quale il
problema. Il platonismo del
primo saggio si
trova immutato negli altri;
al più si
epura. Nell’opuscolo Percezione
e penniero è
detto che l’oggetto
opera sul soggetto,
imprimendo in questo
Tinimagine di sé
stesso; immagine che non
è per nulla
sfigurata e deformata dalla passione
del conoscente, perché
il mutamento subito da
questo consiste soltanto
in ciò, che
egli conosce ciò che
prima non conosceva *
*. La conoscenza
viene così sempre
più alleggerita di
quel còmpito copernicano che
Kant aveva voluto
imporle e quindi ridotta
a una mera
duplicazione inesplicabile di una realtà
in sé bell’e
fatta. Il termine
della speculazione del Bonatelli
è, per questa
via, il capo- [Bonatkixi, Pensiero
e conoscenza^ Bologna.
Bonatelli; Percezione e
Pensiero (Atti del
R. Istituto Veneto di
scienze, lettere ed
arti, volgimento completo
della tesi kantiana:
la forma non è
più del soggetto
ma appartiene all’oggetto
in sé, e al
soggetto non viene
attribuito che la
semplice modilicazione
sensibile, o, in
altri termini, la
materia 11 che
significa, se non
mi sbaglio, volere ricondurre la
tesi dualistica all’assurdo. Un altro
dualista orientato verso
la filosofia di Lotze
è il Cantoni,
pur con la
sua vasta, ma
poco profonda, cultura kantiana.
Nel suo lodevole
tentativo di acclimatare
la filosofìa di
Kant in Italia,
egli introdusse quel famoso
problema sull’origine psicologica
dell’apriori che ebbe
grande fortuna in
Germania nello scorso
secolo, e che
costituì per lungo tempo
il Capo dei
Naufragi di molti
neo-kantiani. Nell’intento
del Cantoni, quel problema doveva
salvare la critica
dal mero soggettivismo
in cui pareva l’avesse chiusa
Kant: il riconoscimento della
formazione psicologica dell’apriori
doveva infatti segnare il
punto di convergenza
della doppia azione
del pensiero e
della realtà. Ma per quella
legge dell’etero- genia dei
fini, la cui
fecondità è sorprendente,
la ricerca del
Cantoni era viziata
precisamente da quello stesso
soggettivismo contro il
quale egli credeva
di combattere. Come infatti
si può parlare
di formazione psicologica
dell’apriori, tranne che
questo non venga inteso
che come il
semplice apriori della
coscienza empirica, e
non della coscienza
e insieme della realtà?
Esso dunque presuppone
qua una coscienza,
là una realtà
bell’e fatta, e
dice: questa coscienza
nell’appropriarsi quella realtà
procede per gradi; è
prima un mero
aposteriori, e si
apriorizza a poco a
poco con lo
spogliarsi del contenuto
sensibile e col concepire
la forma astratta
delle cose che il
pensiero può padroneggiare
(concepire universalmente, necessariamente) appunto
perché è vuota
di contenuto Ma questo,
è il falso
apriori analitico da cui
Kant s’era liberato
nella sua critica,
e che poi Lotze,
con un vero
anacronismo, aveva voluto
ripristinare. Esso non
regge se non
in quanto si
pone il pensiero da
una parte e
il reale dall’altra,
e si fa
giocare il pensiero
con sé stesso,
nella sua vuota
interiorità. E questo
fa appunto il
Cantoni, il quale,
una volta fuori della
buona via, parla
di applicazione delle categorie
al reale, di una corrispondenza Ira quelle
e questo con
un completo capovolgimento di tutti
i principi fondamentali
del kantismo. Uno scrittore
raccolto e con
una simpatica intonazione
mistica è Francesco
Acri, personalità assai caratteristica della
filosofìa italiana contemporanea. In un
periodo di grande
rozzezza spirituale, quando il
materialismo regnava incontrastato, l’Acri
osava scuotere il giogo
della dittatura e
affrontare direttaniente il
nemico. Rivolgendosi ai
naturalisti, egli diceva:
voi con la
vostra cellula credete
di spiegar tutta la
vita della coscienza,
e in realtà
non spiegate niente; nella
cellula nulla c’è
che chiarisca la
medesimezza della coscienza,
e l’unità sua,
e la sua
facoltà formativa, e
quella speculativa, e
quella volitiva, e
nulla c’è che
chiarisca la più
umile delle operazioni sue
E ricorreva, per
mostrare l’impossibilità di
comporre l’uno coi
più, al grazioso esempio deH'aquila
dantesca che sembrava
un unico essere, ed
era un’accolta di
esseri; e dava
da lon- [Cantoni. E.
Kant, Milano, 1879,
I, pp. 209,
21.1, 219. » /birf..
pp. 330, 334. [Acri.
Videmua in aenìgmate,
Bologna. tano l’illusione di
dire; «io, io»,
nienlre in realtà, a
sentirla da vicino,
diceva « noi,
noi ». Ma il
platonismo di Acri
riproduce, in più sublime
sfera, la stessa
dilTicoltà, e, in
fondo, la stessa illusione
dell’aquila dantesca. Poste
le idee, non si
spiega più il
pensiero; e posta
l’intuizione immediata della verità
ideale, riesce inesplicabile la rillessione
dell’autocoscienza. Quindi invano
cercherà l’Acri di
adombrare con immagini
poetiche il principio della
riflessione, che in
realtà manca nella sua
filosofìa. Egli ricorre
all’esempio dello scintillio della luce
stellare; ma questo
esempio appunto tradisce
la difficoltà del
platonismo; lo scintillare
della stella è la
mera apparenza della
riflessione ilella luce, è
l’illusione soggettiva della
nostra visione. La dottrina
della coscienza è
così la nota
fuori posto nella concezione
dell’Acri; questi abbracciamenti tra Platone
e Kant, a
tanti secoli di
distanza, hanno sempre qualcosa
di fittizio. Nei nomi
di Bonatelli, di
Cantoni e di
Acri si compendia l’indirizzo
dualistico della filosofia
italiana della seconda
metà del secolo
XIX. Più recentemente
esso ha avuto
un altro prosecutore
nel De Sarlo, fondatore
della rivista la
Cultura filosofica. Questa, sorta
in antitesi col
positivismo e con
l’agnosticismo, e riprendendo
alcuni motivi lotziani,
cerca di svolgere c
ravvivare l’antico dualismo,
col porlo in contatto
con la filosofia
europea contemporanea, e particolarmente con
le nuove dottrine
gnoseologiche e con
le ricerche di
psicologia sperimentale. E torna
infine opportuno parlare
a questo punto di
un pensatore, che
neH’ultimo decennio ha
compiuto uno sforzo
notevole per conquistare
una veduta idealistica
della realtà: intendiamo
dire del Varisco. Nel
libro Scienza e
opinioni del 1901,
egli si muove ancora
nel campo della
metafisica dommatica. Il mondo
è da lui
inteso come «
un insieme di
elementi originari o
monadi che operano
gli uni sugli altri.
Le azioni reciproche
tra le monadi
sono in effetti
di due specie.
Determinano cioè; 1) una variazione
in ciascuna monade;
2) una variazione
tra le monadi, ossia
ne modificano raggruppamento (la
distribuzione spaziale). I
fatti della prima
specie sono psichici, quelli
della seconda, fisici
» '. Questo
è il dualismo della
metafisica dommatica, e
consiste nel considerare le
relazioni del mondo
fisico come affatto
fuori della monade
— mentre ripugna
alla monadologia ammettere azioni
inframonadiche (le monadi non
hanno finestre); e
una volta ammesse, risulta inconcepibile
la conoscenza di
quelle relazioni, perché
non si comprende
dove mai esse
cadano, se son
fuori della monade. Ma
con l’approfondire il
concetto della monadologia,
il Varisco ha
superato il dualismo
della metafisica dommatica.
Nel volume: /
massimi problemi il dualismo
tra fisi e
psiche ha un
significato gnoseologico, nel
senso che quella
distinzione non è più
tra due
realtà estranee l’una
all altra, ma
si costituisce nel
dominio stesso della
conoscenza. La realtà fisica
di Scienza e
opinione diviene una
psichicità, un complesso di
sensibili: il soggetto
(la psichicità dell’antica posizione),
diviene l’unità del
molteplice sensibile. Su questa
dualità originaria, il
Varisco eleva la sua
costruzione. Da una
parte la realtà dei
sensibili si costituisce
secondo le sue
leggi; dall’altra la
realtà del soggetto,
secondo il principio dell’unità di
coscienza. In tal
modo il dualismo
non [> B. V*Bisco,
l massimi problemi,
Milano, dove è
riassunta l’antica dottrina.
Cfr. ancora Sciema
e opinioni, Homa] è
risoluto; e questo
perché il Varisco
non ha svolto il
concetto dell’unità della
coscienza in tutla
la sua portata, eliminando
quel residuo di
aristotelismo che sta nel
porre, di fronte
alla coscienza, dei
sensibili non sentiti,
delle potenze che
aspettano di porsi in
atto. Insoinma l’ombra
del dommatismo, «Iella
precedenza di quei
sensibili di fronte
all’atto dell’auto¬ coscienza permane
sempre, e in
veste psicologica si ripresenta
quella realtà fìsica
di Scienza ed
opinioni, che il Varisco
non ha mai
veramente risoluta. Per superare
il dualismo, egli
fa ricorso a
un concetto della
filosofia rosminiana, quello
dell’essere in universale; ma
ne muta profondamente
il significato, che non
è più per
lui trascendentale, ma
empirico, ed esprime soltanto
l’identità del pensato,
l’indifTerenza di soggetto
e oggetto; in
altri termini, quella psichicità primaria
su cui deve
fondarsi la dualità di
fisi e psiche.
11 Varisco compie
un notevole sforzo per
mostrare come questo
indifferenziato, per un’intima
esigenza, .si differenzi:
e ciò mostra
che egli è bene
addentro nella difficoltà
dell’idealismo; ma non mi
pare che risolva
il suo problema,
perché non veggo il
principio della differenziazione, il
soggetto. Quel
differenziarsi è perciò
ancora da lui
inteso nel senso della
metafisica dell’essere e non del
conoscere, vale cioè
a fondare una
monadologia e non una
fenomenologia. Per giungere
a questa è
necessario spogliarsi del
tutto della preoccupazione di una
realtà fatta, sia
come natura, sia
come potenza del pensiero,
e guardarsi dall’anticipare in
qualunque modo il mondo
sull’atto concreto del
pensare. Già nella dottrina
che il Varisco
ha accennato della personalità,
s’intravvede il principio
di un approfondimento dell’idea
del soggetto. Riporterò
le seguenti sue parole:
«Quando ciò di
cui giudico sono io
stesso, il mio
fare non è
più soltanto ricostruttivo; è
veramente costruttivo. L’io
nel senso vero della
parola, ossia l’iinità
dell’autocoscienza ben
diversa dalla pura
unità della coscienza,
dal soggetto animale —
non esiste che
in quanto afferma sé
stesso Bene, ma
una volta inteso
che riprodurre è
in verità, nel
mondo della coscienza,
della realtà in fieri,
un produrre, bisogna
andare avanti, approfondire il
concetto della riflessione
creatrice, che è il
cardine della filosofìa
moderna, svelare tutti i
tesori che esso
racchiude: allora solo
si vedrà, nella trasparenza
della coscienza, tutta
la realtà nella sua
pienezza. Il Varisco
invece si ferma
a metà: egli infravvede,
ma non svolge,
il motivo fecondo
dell’iilealismo. Il
neo-kantisiiio ifaliano è per
molli rispetfi benemerito
della nostra cultura, per
avere alacremente pronio.sso
gli studi storici,
che fra noi facevano
difetto. Si pensi
che perfino i due
più profondi pensatori
italiani del secolo
XIX, Rosmini e
Gioberti, spropositarono talvolta
nel modo più deplorevole
la storia del
pensiero, si da
falsare la loro stessa
posizione storica di
fronte alla speculazione
moderna. E nel
campo della storia
della filosofia si
sono specialmeiile distinti
il Fiorentino, il Tocco,
il Masci, il
Tarantino, il Chiappelli.
ed altri ancora. Ma,
quanto aU’atteggiamento dottrinale,
il neo-kantLsmo ha uno
stretto rapporta con
l’indirizzo di cui abbiamo
testé parlato. La sua
dottrina si svolge
infatti più specialmente nei confini
segnati dall’analitica trascendentale di i
Varisco, / massimi
problemi, Kant. Di
qui. il limite
della sua forza
speculativa c dato dalle
antinomie; limite che
si vuol poi
supe¬ rare con la
dimostrazione della vanità
di ogni me¬ tafisica.
Ma con la
metafisica il neo-kantismo
è co¬ stretto, suo
malgrado, a fare
i conti, quando
vuole spiegarsi quell’apriori che esso accetta
da Kant. Non appena
esce dalla semplice
distinzione tra il
pro¬ blema della formazione
empirica delle conoscenze
e quello della loro
validità, e vuol
cercare di spiegarsi il
come e il
perché di quest’ultima,
eccolo già alle prese
con la metafisica.
Il valore, come
abbiamo già notato, è
un concetto neutro,
bilanciato tra il
pen¬ siero e l’essere;
la spiegazione del
valore è dunque il
problema metafisico del
rapporto tra il
pensiero e l’essere. In
che modo risolverlo?
Il neo-kantismo, non sapendo
vedere nelle categorie
altra cosa che quel
semplice fatto del
valore, ha esaurito
già la sua provvista, e non può
chiedere perciò al
suo Kant quella spiegazione
ulteriore; esso allora
la persegui¬ terà attraverso
la psicologia, la
biologia, e finirà
col ritrovarsi in una
posizione che aveva
già oltrepas¬ sata con
la sua premessa. Questa dilTicoltà
del neo-kantismo si
rivela nel modo più
caratteristico nella parabola
descritta dal suo primo
rappresentante in Italia,
il Fiorentino, che non
riuscì a mantenersi
nella sua posizione
ini¬ ziale, ma, cedendo
all’urto delle nuove
ricerche bio¬ logiche, contro
cui s’era già
abbattuto il neo-kan¬ tismo tedesco,
fini col fraintendere
del tutto il si¬
gnificato dell’apriori kantiano,
contaminandolo di
naturalismo evoluzionistico. Più fedele
allo spirito del
neo-kantismo è il
Masci, che se ne
può considerare oggi
come il maggiore rappresentante. Le
sue istanze negative
contro i fraintendimenti dei
principi fondamentali della 394 LA
FILOSOFIA ITALIANA filosofia kantiana
sono solide, ma
la fondazione posi¬ tiva
di quegli stessi
principi dà luogo
alla ditTicoltà già notata
a proposito del
neo kantismo in
genere. Giu-stameute il Masci
difende l’apriorità dello
spazio e del tempo,
come funzioni spirituali,
dal psicolo¬ gismo, che
con la semplice
costruzione delle rappre¬ sentazioni 'di
spazio e tempo
s’illude di aver
soddi¬ sfatto all’esigenza dell’estetica
trascendentale; col suo mosaico
delle sensazioni esso
crede di costruir la
forma, invece la
presuppone a ogni
passo. Né migliori surrogati
della deduzione kantiana
offrono le ricerche biologiche
sull’apriori, che non
riescono addirittura a rendersi
conto del problema
di cui si tratta. Un
altro errore che
si suol commettere
nell’interpretazione di Kant,
è quello di
ridurre la realtà
alla mera rappresentazione; cosi,
osserva il Masci,
si fa svaporare il
reale, mentre, secondo
i principi del kantismo,
la serie psichica
non ha maggiori
diritti al riconoscimento della
serie fisica. Ma
esistono fisi e psiche
come due realtà
per sé? Qui
sta il problema. K
pare che il
Masci a un
certo punto sia
sulla via di risolverlo
secondo il criterio
dell’idealismo assoluto, col
riconoscere l’inanità della
riflessione che vuol risalire
a una realtà
oltre l’atto dell’autocoscienza *.
Però non riesce
a rendersi conto
che al di là di queU’atto
non c’è una
realtà che sia
a noi preclusa per
la scarsezza delle
nostre facoltà mentali,
ma che non
c’è^ proprio nulla, fuori
che la proiezione della
nostra ombra. E
una volta perduto .il
criterio dell’unità concreta,
fisi e psiche
gli restano innanzi come
due fatti distinti,
che egli pur sente
[Masci, Il materialismo
psicofisico, Napoli] il bisogno
ili unificare. E
concepisce cosi il
suo monismo: «Non
si tratta di
sapere né come
la materia genera
il pensiero, né
come questo genera le
azioni materiali. Porre
cosi il problema
è renderlo insolubile,
perché le idee
di materia e
spirito sono
generalizzazioni
unilaterali, astrazioni nostre, operate in
direzioni opposte, di
un processo che in
realtà è
unico»'. E per
conseguenza cerca di
trasferire quell’unità in
un passato in
cui psiche e tisi
erano indill'erenziate. La monadologia
da una parte
e il principio
nuovo dell’autocoscienza
dall’altra : questa
a me pare
la doppia esigenza inconciliata
in cui si
travaglia il pensiero del
Masci. E nella
stessa ditlicoltà s’imbatte un
altro filosofo, il
Martinetti, che vi
resta impigliato, benché
faccia un grande
sforzo per liberarsene,
cercando di fondere
la metafìsica dell’essere con la
luelalìsica del conoscere.
Come già il
Bnirac, egli concepisce il
reale come una
pluralità di monadi,
o (per togliere
la possibilità di
un fraintendimento storico)
di centri coscienti
o unità sintetiche di
soggetto oggetto Ma
questa pluralità, realisticamente intesa,
è incompatibile con
la monadologia. Posta la
monade, o comunque
il rapporto soggetto- oggelto, è
con ciò tolta
la realtà (nel
significato realistico)
delle altre monadi,
la cui esistenza
è possibile solo
come iilealilà nella
monade. Lo svolgimento
deH’idealismo è consistito
nell’approfondire questo
concetto nuovo dell’idealità, in
cui s’è riconosciuta
la realtà vera
e concreta: così
è stato abbattuto
il vecchio concetto
del mondo come
totalità naturale, e s’è
costituito il nuovo
concetto del mondo come
esperienza assoluta. Il
Martinetti invece tien fermo
ancora all’idea del
mondo come un
tutto naturale e dissemina
lungo di esso
i suoi centri
coscienti, .senza intendere
che questo è
incompatibile col concetto nuovo
dell’idealità che egli
mostra di accettare. Ond’è
che, malgrado tutti
gli sforzi, egli resta
un realista, e,
come tale, si
mostra impigliato in una
difficoltà insolubile allorché
vuol superare il disgregamento dei
principi coscienti in
una unità superiore. Una
volta posta dommaticamente la
plu- Mabtinetti.
hitroiiuzlone alla melathica,
Torino ralità delle coscienze,
l’unitù o sarà
un nome, o un
principio trascendente, perché
lo ripeto, la
pluralità, come tale,
è fuori dell’atto
di coscienza. Dato questo
residuo di dommatismo,
un vero superamento
della metafisica dell’essere
non è più possibile
al Martinetti, il
quale non riesce
che a una conciliazione apparente
tra quella metafisica
e la nuova metafisica
del conoscere, col
mostrare che la stessa
instabilità dei centri
coscienti, per cui
essi si sviluppano e
si potenziano in
sintesi sempre più
alte, si dà nel
campo del conoscere
come processo delle conoscenze dalle
forme più semplici
e imlilTerenziate del senso
alle sintesi più
alte dcH’iiitellelto e
della ragione. Qui non
fa che ripro.
Purtroppo egli sa per
esperienza che la
gente a cui
osa parlare di
Hegel è solita di
prendersi segretamente gioco
di lui, e allora
conclude: «che l’hegelismo
non si può
dimostrare che ad
un hegeliano >
*. E allora
insorge più grave un
nuovo problema: «Come
si fa a
diventare hegeliani? ».
Qui le cose
si complicano, una volta
che non si
può diventare hegeliani
se già non si
è tali. Ecco
l’antinomia da risolvere;
e l’unica via possibile
è di ammettere
che hegeliani si
è in quanto si
nasce. Questa è
per lui una
vera rivelazione: egli
finirà per convincersi
di essere hegeliano per
diritto divino, e
dall’alto di questa
convinzione potrà lanciare
uno sguardo di
commiserazione ai non eletti,
rassegnarsi alle defezioni
dei suoi scolari, e
abbandonarsi, senza nessuna
preoccupazione di essere
inteso o compreso,
alle sue contemplazioni. La filosofia
di Vera è
appunto la contemplazione del sacerdote
di Brahma. Il
termine a cui
s’appunta » A. Vera,
Inlroduclion à la
philosophie de Hegel,
Paris, in. - l’ideali.smo
assoluto è l’idea nella
sua vuota universalità,
.senza più nessun
contatto col mondo
della vita. Per
toccarla bisogna porsi
al di sopra
della sfera del
sentimento, abdicare alla propria
coscienza individuale, e
puri- licarsi di tutta
la propria contingenza
umana. Che cosa credesse
il Vera di
conquistare in un
tal modo, è difiìcile
dire; non certo
Puniversale concreto di Hegel.
Ed è davvero
impressionante vedere come
le pagine piene di
vita della Fenomenologia
o della Logica, dove
tutto il mondo
della storia si
fonde in una grandiosa
epopea, diano luogo,
per opera del sonnolento hegeliano,
a un annacquato
platonismo che prende le
idee per entità
e per mere
rappresentazioni di cose,
e le dialettizza
in un nebuloso
empireo. Qui si
compiva quel pervertimento
dell’hegelismo in una
nuova metafisica dell’essere,
assai peggiore dell’antica,
perché cristallizzava l’idea
nelle cose, e deduceva
i cavalli dagli
asini, commisurando la deduzione
al grado progressivo
di perfezione delle relative idee.
Di fronte a
una tale metafisica
era la benvenuta la
reazione dello Schopenhauer,
contro cui pur sentiva
bisogno il Vera
di protestare. Con ben
altra mente concepiva
l’hegelismo Spaventa. Gioberti
aveva detto, non
diversamente da Hegel
: pensare è
creare. L’idea del pensiero
come creazione è
l’idea nuova della
Qlosofla kantiana, mentre Cartesio
e Spinoza non
erano giunti che al
concelto del pensare
come causare. Ma Gioberti s’era
elevato al nuovo
principio tutto d’un colpo,
per una subitanea
esplosione: egli aveva intuito
ma non provato
la creazione; questa
per lui era un
fatto, indeducibile e
indimostrabile. Eppure egli stesso,
in un passo
importantissimo delle Postume,
aveva integrato la
formula del pensare =
creare, con l’altra
: provare è
creare *. Il pensiero
prova l’atto creativ*o
col riprodurlo e
ricrearlo dentro di
sé; ma riprodurre
è produrre, e ricreare è
creare. Ecco il
nuovo grande concetto
della mentalità, la quale
non si svolge
per accrescimento e riproduzione del
suo prodotto, ma
per creazione del nuovo:
il prodotto stesso
non esiste che
in questo nuovo
produrre; l’atto creativo,
che in questo atto
che lo ricrea.
A tale conclusione
non era giunto il
Gioberti, il quale,
anzi, dall’idea che
provare è creare aveva
voluto inferire che
la creazione è
indimostrabile. Ma. poiché
il carattere essenziale
della mentalità è appunto
il provare (in
ciò la mente si
distingue dalla sostanza
che si definisce
soltanto), il problema che la filosofia
di Gioberti apriva
ai successori era
: provare la
creazione. Ed è
questo appunto il
problema di Spaventa:
«Gioberti dice: essere
è creare, pensare
è creare, creare
è pensare. — Questa
identità bisogna provare
». «Creare è l’Ente
concreto, soggiunge lo
Spaventa, è fare,
realizzare, individuare, sostanziare, entare, far
esistere; è la
realtà, l’assoluta realtà. È
assoluta realtà, perché,
per Gioberti, Dio
stesso è creare, creare
sé stesso. Toglieteci
creare e avrete il
niente. — Eppure
non si ha
mai il niente;
giacché togliere qui è
pensare; il pensare
rimane, e ci è
sempre. Ciò vuol
dire: il creare,
tolto, rimane; per¬ ché
il togliere stesso
è creare: cioè
come semplice togliere —
negare — è
momento del creare.
Ora come si prova
la realtà, il
creare? » «Il Pensare
è; non può
non essere. Il
Pensare prova sé stesso:
negare il Pensare
è Pensare. 11
Pen- , IV. Gioberti,
Nuova ProtoloQla, 6
B. Spaventa, La
filosofìa Italiana nelle
sue relazioni con la
filosofia europea, Bari,
1909 (Appendice: Schizzo
d’una storia della logica»
p. 254). 404 LA FILOSOFIA
ITALIANA inesauribile
ricchezza è il
grande pregio della
Lo¬ gica hegeliana. Essa
spiega il processo
originale, creativo, per cui
il pensiero creando
le proprie de¬ terminazioni crea
sé medesimo; è
la storia ideale, eterna del
pensiero, prospettata nel
sistema della scienza. Sta
qui il significato
dell’afTermazione dello
Spaventa, che la
spiegazione del creare
è la logica. Questa logica,
di cui lo
Spaventa toglie ad
Hegel, dirò cosi, lo
scheletro, è da
lui svolta nel
suo ca¬ rattere più
profondo, perché concepita
nel suo mo¬ tivo
storico (cartesiano). L’interpretazione delle
tre prime categorie, l’essere,
il non essere,
il divenire, costituisce di
per sé sola
il documento maggiore della originalità
dello Spaventa. L’essere
è da lui
in¬ teso come la
posizione immediata del
pensiero, come il semplice
pensato. Esso è
l’assoluto astratto, è il
pensiero che s’estingue
neH’cssere. Ma io
penso l’es¬ sere, c
in quanto lo
penso, l’essere non
è più il
sem¬ plice astratto, ma
il mio astrarre,
il mio pensare. Dunque, per
virtù stessa del
pensiero, l’estinguersi del pensiero
nell’essere è in
verità un distinguersi. Per la
grande importanza dell’argomento, ripeterò
testualmente il nostro
autore. « Fissando
l’essere — egli dice
— io non mi distinguo
come pensiero dall’essere; io mi estinguo
come pensiero nell’essere;
io sono l’essere.
— Ora questo
estinguersi del pensare nell’essere
è la contradizione
dell’essere. E questa contradizione
è la prima
scintilla della dialettica. —
L’essere si contradice,
perché questo estinguersi del
pensare nell’essere, —
e solo cosi è
possibile l’essere, —
è un non
estinguersi: è distinguersi,
è vivere. Pensare
di non pensare,
fare astrazione dal
pensare, cioè fissare
l’essere, è pensare;
è astrazione, cioè pensare.
» Questa contradizione
del pensiero che si
estingue nell’essere, e
in quanto si estingue,
pensa, e cioè
si distingue e
risorge, è il divenire
— inteso come
pensare. « Essere e
non Essere, in
quanto inverati nel
Divenire, non sono
più quel che
erano prima di
essere inverati; ma sono
ciascuno quella stessa
unità nella differenza che
è il divenire;
e in quanto
tale unità, sono davvero,
cioè attualmente, distinti.
In quanto veramente uno
e distinti, si
dicono appunto inverati; cioè
momenti del divenire». Spaventa, La
fllos. Hai. conseguenza
un’altra distinzione: quella
della verità in sé e della
verità per noi,
di una metessi
e di una mimesi,
nel linguaggio giobertiano.
« Questa propedeutica,
egli diceva alludendo
alla fenomenologia, che è
scienza, e prova
il primo della
scienza, ci è solo
in quanto ci
siamo noi, coscienza
o spirito finito:
noi dobbiamo elevarci
alla scienza, non
siamo immediatamente
scienza. La vera
scienza, invece, ci è in sé
assolutamente; è non
solo umana, ma
divina; quando l’altra
è solo umana,
e non divina.
È divina come
momento della vera
scienza, non come propedeutica; Dio
non ha bisogno
di propedeutica » *. Quanti
c.avilli per dissimulare
un passo falso! In
fondo qui Spaventa
è un dommatico
della più bell’acqua, un
platonico che distingue
una verità in sé
e una verità
per noi, mentre
ciò ripugna nel modo
più completo al
nuovo idealismo. La
ragione dell’errore è che
allo Spaventa manca
del tutto una fenomenologia dell’errore;
quindi egli non
riesce a svolgere il
concetto nuovo della
verità come sviluppo,
come processo, che
pure è nello
spirito della sua lìlosotìa;
ma Unisce inconsciamente coll’oggettivarla in
un che di
fatto e di
compiuto, in una realtà
in sé. Qui
c’è ancora un
residuo della mentalità
del vecchio hegeliano,
che mentre ammette il
progresso, il movimento,
e simili, è
condotto poi, per la
sua soverchia fedeltà
alla lettera, a
negare tutte queste cose,
allorché è giunto
al culmine della speculazione. Ma non è qui
che bisogna vedere
nella sua più grande
vivezza il pensiero
di Spaventa. Quello stesso
Spaventa che affermava
il carattere astrattamente
divino della scienza,
diceva poi, con
quanta maggior verità!, che
l’apriori è la
stessa potenza nuova della
natura, la potenza
umana, la quale
risulta e si
concentra e s’individua
da tutta la
sparsa attualità antecedente: e
perciò è insieme
un assoluto aposteriori'. Qui
s’intravvede il vero
Spaventa, il pensatore che
meglio di ogni
altro ha compreso
la vera umanità dell'assoluto, di
quell’assoluto che non è
lontano da noi,
ma ci è
intimo, e non
è fuori della nostra
contingenza, ma è
questa stessa contingenza, sub specie
aeterni. Egli dice:
« Tutti coloro
che fanno ad Hegel
due accuse opposte,
di relativismo e
di assolutismo, sono
il trastullo di
una illusione ottica, propria della
posizione in cui
si mettono; ciascuna parte prende
di mira nell’assoluto
hegeliano qiiell’elemento che
a lei fa
male agli occhi:
i semi-soggettivisti, l’esperienza
(il fenomeno, la manifestazione, il
divenire); gli oggettivisti,
il pensiero; nessuna
ha l’animo e
la potenza di
aflìssarlo come quello che
è veramente, vale a dire
come ragione assoluta,
al di là
della quale, oltre
e fuori, non
vi ha nulla, e
il relativo e
il cosi detto
assoluto non sono che
enti astratti, e
come membri scissi
dall’unità organica e viva:
da un lato viene scambiata
la relazione col
relativo (come opposto
all’assoluto), e daH’altro l’assolutezza
coll’assoluto (come opposto
al relativo). Ai primi
io dico: il
processo dal primo pensabile (dal
puro essere) al
pensabile assoluto (all'assoluta
soggettività del mondo,
come unità di
conoscere e volere,
di verità e
bontà), e da
questo come prima esistenza,
esteriorità omogenea e indifferente o
spazio, all’intimità o
soggetto corporeo, * Scritti
flios. eli., p.
313 (Paolotlismo, positivismo,
razionalismo). all’animale,
al senso, come
senso umano o
spirituale, allo spirito o
soggetto assoluto, questo
processo non è un
gioco vano del
pensiero con sé
stesso, solamente nel
mio intendimento, o
un pallido riflesso di
un lontano ed
invisibile oggetto; ma,
come atto infinito, come
il pensiero che
si determina in sé
medesimo e si raccoglie nelle
sue determinazioni e si
condensa e concentra
e si compie
e pone come assoluto
pensiero, è l’atto
dell’assoluto, il suo
intendimento, la presenza
sua, lui stesso.
Ai secondi dico: questo
processo, appunto come
produzione, osservazione critica
che il pensiero
fa di sé
stesso, e in quanto
il pensiero, e non altro
che lui, principia originalmente e
investe sempre e
conchiude quella che si
chiama comunemente esperienza,
e non si esercita
fuori e senza
di questa come
in vuoto aere; questo
processo è non
solo empiria, ma
la vera e assoluta
empiria; e ha
sempre più valore
d’ogni frammento e articolo
sconnesso a cui
si dà tal nome. Qui, pur
con qualche reminiscenza
dell’antico schematismo
hegeliano, c’è il
pensiero nuovo, che concentra
tutta la vita
dell’hegelismo. Di fronte
al concetto della relazione
assoluta, che è
quello stesso del fenomenizzarsi della
realtà nel pensiero
umano, scompare ogni dualità
del pensiero in
sé e del
pensiero per noi,
di un processo
della coscienza e
di un processo della
scienza; e in
quanto la realtà
non è il mero
contingente né il
mero assoluto, ma
il processo assoluto
del contingente, essa
non è soltanto una
soluzione o una
cosa bell’e fatta
e anticipata senza problema,
né qualcosa che si perseguita
sempre e a
cui non si
arriva mai, un
eterno problema Spaventa. Principii
di etica, Napoli,
III. - l’idealismo
assoluto che non è
mai soluzione, ma
è l’eterno problema che
è l’eterna soluzione,
l’assoluta possibilità che è
l’assoluta attualità. Svolgere
questo concetto è
soddisfare all’esigenza millenaria
posta *. Qui, come
si vede, il
Gentile riprende e
svolge il concetto della
dialettica, accennato dallo
Spaventa nel suo scritto
sulle prime categorie
della logica di Hegel:
è la dialettica
dell’essere e del
pensiero, che, sola, a
noi sembra feconda
e rispóndente allo
spirito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta
apriorità della sintesi,
in questo dialettismo,
è l’assoluta [Gentile. L’atto
del pensare come
atto paro (voi.
I dcl- l’Annuario della
biblioteca fllosoOca di
Palcnno), immanenza del
pensiero, come atto
puro o pensiero concreto. Come
tale esso è
pensiero nostro; fuori
di questa attualità non
v’è il pensiero,
ma il pensato, che
è natura, materia.
E il ritmo
dialettico del pensare
è appunto il
convertirsi del pensiero
in pensato, dell’alto
in fatto, per
risorgere poi eternamente da sé
medesimo. Questa dottrina dell’assoluta
immanenza, per cui la
vera concretezza è
il pensiero attuale,
e che perciò nega
esplicitamente ogni anticipazione
della realtà come potenza
sull’atto del pensare,
ed è la
più re¬ cisa negazione
del vecchio concetto
del mondo come il
tutto dell’immaginazione, è
stata appena abbozzata
in poche pagine
dal Gentile. Ogni
ulteriore discussione
intorno ad essa
è prematura; bisognerà prima conoscerla
nel suo pieno
svolgimento. Abbiamo seguito lo
sviluppo del pensiero
italiano moderno dalle
sue origini fino
ai tempi nostri.
Questo sviluppo non ha
subito nessuna brusca
interruzione come falsamente si
è creduto. Il
naturalismo del Rinascimento precede
e preannunzia il
movimento cartesiano, e similmente
la dissoluzione del
naturalismo, che avverrà
in Germania per
opera di Kant e
dei suoi successori,
s’inizia già in
Italia col Vico, e
prosegue poi, a
un secolo di
distanza, col Rosmini e col Gioberti,
che inconsapevolmente attuano
l’esigenza posta dalla
nuova metafisica della mentalità. Sul cadere
del primo cinquantennio
del XIX secolo,
il pensiero speculativo
italiano, non altrimenti da
quello europeo, entra
in un periodo
di decadenza: le
ultime apparizioni della
metafisica sono tenui c
senza consistenza, come
le ombre della
caverna platonica. Il
positivismo, in Italia
come altrove, sorge
con la giusta
esigenza di una
dottrina che non vuole
anticipare col pensiero
sulla realtà, ma finisce
ben presto col
falsare la sua
premessa in un miscuglio
ibrido di dottrine
e in una
mal dissimulata simpatia
per il materialismo.
I suoi primi
accenni sono opera
di specialisti, come
il Cattaneo, il Cabelli,
il Villari ed
altri ancora: privi
di vera originalità
filosofica, ma corretti
nella loro povertà;
le sue ulteriori esplicazioni
sono orientate verso
la scienza naturale e
particolarmente biologica. Il
rappresentante maggiore di
questo indirizzo è
.\rdigò che, per
il suo sforzo
serio e tenace
di pensiero, pur
senza dire quasi
niente di nuovo,
eleva il positivismo italiano
quasi all’altezza di
tutti i positivismi
del mondo. La rinascita
del pensiero speculativo
è segnata da un
approfondimento del dualismo
tra il pensiero e
l’essere, che già
si accennava nelle
opere del Mamiani
e del Ferri,
e per cui
si passa dal
dualismo dommatico del Bonatelli,
al dualismo gnoseologico del Varisco.
Il neo-kantismo, come
quello che non svolge
la nuova potenza
dell’apriori, si travaglia nello stesso
problema, e non
riuscendo a superare la
posizione della metafisica
dell’essere, finisce col ricadérvi, annullando
cosi il concetto
nuovo dello spirito, che
esso attinge originariamente alla
filosofia kantiana. F
infine, librato sulle
due metafisiche, in
una posizione incerta,
ma pure interessante ed originale,
il Martinetti segna
il punto in
cui la mentalità del
neo-criticismo si volge
verso l’idealismo assoluto. .Ma
la linea classica
della metafìsica italiana
è ripresa dallo Spaventa,
che promuove l’indirizzo della filosolia
giobertiana, con quella
più chiara coscienza
della sua vera
natura, chft poteva
esser data dalla nuova
cultura hegeliana. Con
lui comincia implicitamente il
processo dissolutivo della
filosofìa di Hegel, che
è in pari
tempo costitutivo di
una nuova metafisica, che
mira a svolgere
nella sua pienezza la
potenza umana della
realtà, l’apriori kantiano, negando nel
modo più reciso
ogni trascendenza. Le tappe
di questo cammino
sono segnate dal
Croce e dal Gentile:
con essi, gli
sforzi della filosofìa
italiana convergono alla
stessa meta di
quelli della lìlosolìa europea,
verso una dottrina
dell’assoluta immanenza,
che, come assoluto
idealismo, sarebbe anche in
pari tempo il
vero e assoluto
positivismo. Abbiamo
seguito, nelle esplicazioni
originali della sua vita,
lo sviluppo del
pensiero contempo¬ raneo. Nelle
diflerenze degli indirizzi
e delle cor¬ renti,
il lettore avrà
già potuto osservare
quell’iden- titù spirituale profonda,
che vince l’apparente atomismo delle
dottrine, e per
cui quel pensiero
è l’unico pensiero contemporaneo, nei
vari momenti del suo
corso vitale. E sorgono
ora le domande:
a che mai
esso tende? È una
vita che si
dissipa in un
gioco senza scopo, in
una ridda di
teorie di cui
l’una vive della
morte dell’altra, in una
rassegnata attesa che
suoni la pro¬ pria
ora? O è
un momento di
vita questa morte;
e allora a che
vive quella vita?
Qui la facile
sapienza agnostica si accontenterebbe di
rinunziare a com¬ prendere
l’intimità più profonda
del pensiero, col chiamar
vana la pretesa
per cui noi,
atomi sperduti neU’immensità del
pensiero, vogliamo erigerci
a giu¬ dici del
pensiero: come può
un elemento trascura¬ bile adeguarsi
al tutto? Ma
a noi ripugna
questa dotta ignoranza. Noi
abbiamo la ferma
coscienza che il pensiero
non è la
vuota immensità che
ci opprime, perché al
di sopra di
noi, ma è
pensiero nostro, è l’intimità
di noi a
noi stessi. La
vastità non deve opprimerci, perché
non ci sta di fronte
distesa, ma è dentro
di noi raccolta,
nello stesso processo
continuo della ricerca,
per cui progrediamo
da una po¬ sizione
all’altra. La storia
del pensiero del
mondo non è che
la semplice storia
psicologica di ciascuno di
noi, che vive
in sé i
momenti di quel
pensiero universale. Questa
convinzione ci è
di grande conforto.
Nella nostra storia intima
noi ricordiamo mille
sconfitte e mille vittorie,
ricordiamo la ridda
delle teorie, che sembrano
nascere soltanto per
perire; e nondimeno questo non
ci suggerisce alcuna
considerazione pes¬ simistica, perché
la salda coscienza
del nostro pen¬ siero
attuale è coscienza
di forza, di
vita e non già
di morte; e
noi inneggiamo perfino
alla morte perché sentiamo
che del trionfo
su di essa
è mate¬ riata la
nostra vita. Cosi
è di tutta
la storia. Noi qui
abbiamo scritto l’epigrafe
di molte dot¬ trine:
è la stessa
epigrafe che abbiamo
scritta sui momenti oltrepassati
della nostra vita;
con la stessa fiducia noi
possiamo renderci interpreti
della vita nuova che si concentra
e s’individua dalle
varie correnti del pensiero
moderno, perché sentiamo
che è la vita
stessa che si
agita in noi
e che ci
dà forza di dominare
i momenti di
vita oltrepassata. La storia
non è fonte
di pessimismo, e
neppure di facile ottimismo,
ma di forza,
di tenacia, di la¬
voro. Ormai il
positivismo è finito,
il kantismo dà gli
ultimi aneliti, e
le improvvisazioni filosofiche,
che un tempo son
parse le prime
espressioni di una nuova
filosofia, ci fanno
appena sorridere; erano forse
dei vagiti; come
riconoscere in essi
le nostre voci? A
taluno parrà che
noi parliamo qui
con troppa sicurezza. Ci
si dirà: siete
voi ben sicuri
di non essere dei
tardi epigoni di
un lontano movi¬ mento
di pensiero? ombre
e non corpi
vivi? È questo il
problema che la
storia deve risolvere;
e allora si vedrà
se noi —
parlo, s’intende, in
nome del nuovo idealismo,
non pure italiano,
ma europeo — se
noi, che diamo
principio a rinnovar
l’antica tìlosolìa, siamo
nella mattina per
dar fine alla
notte, o pur nella
sera per dar
fine al giorno,
come diceva il nostro
Bruno. Nella filosofia contemporanea
si compie la
critica del movimento kantiano,
che culminò in
Hegel. Ma questa critica,
lungi dall’essere dissolutrice
come i suoi inconsapevoli
ministri hanno creduto,
è la vera critica
integratrice, che comincia
a colmare l’abisso tra
Kant ed Hegel
e a svolgere
i motivi nuovi delle
loro dottrine. La
filosofia kantiana, col
suo concetto della cosa
in sé, apriva
largo adito alla trascendenza nelle
sue varie forme,
che si possono compendiare tutte
nel dualismo, non
risoluto, dell’essere e
del pensiero. Hegel,
negando questo dualismo,
e unificando la
logica dell’essere e
quella del conoscere, sopprimeva
virtualmente l’idea della trascendenza, ma nel fatto
poi la ripristinava
nel seno stesso della
nuova immanenza da
lui scoperta: scienza e
coscienza, logo e
natura, natura e
spirito; ecco in una
veste nuova le
antiche forme del
dualismo. Nella decadenza e
nel discredito della
filosofia idealistica che comincia
dopo Hegel, pare
che siano naufragate tutte
le sue più
geniali intuizioni: il naturalismo e
il positivismo dichiarano
bancarotta della metafisica, ed
esaltano i fatti,
l’esperienza. Eppure, nel
loro linguaggio infantile
e confuso, essi sono
gli esponenti di
quella stessa esigenza
nuova, che aveva posto
l’hegelismo: la negazione
del trascendente, l’immanentismo assoluto.
Nella storia della filosofia
ricorre spesso questo
tema immanentistico: con
Aristotele, di fronte
alla dottrina delle idee,
con Bruno e
Spinoza, di fronte
alla scolastica. Ma questo
continuo ricorrere è un continuo
progredire; cosi Tultima
sua apparizione nel
secolo XIX non è
più quella di
un’immanenza puramente ideale, né
divina, ma schiettamente
umana. Ma se sotto
questo aspetto, come
espressioni di esigenze nuove,
il naturalismo e
il positivismo hanno per
la storia un
grande valore, lo
stesso non può dirsi
del modo con
cui hanno cercato
di attuare il proprio
tema. Noi perciò
nel corso della
nostra esposizione, mentre
abbiamo accentuato l’importanza ideale di
queste dottrine, ci
siamo guardati con
cura dal farne un’ampia
esposizione, perché l’ignoranza dei loro
autori è tale,
che non sanno
essi stessi dove risegga
l’originalità della loro
posizione, e Uniscono col
dare un ricalco
di temi oltrepassati,
confusi insieme neiribridismo
più strano. Ma
il significato ideale del
naturalismo, che sorge
dalle scienze biologiche,
è questo: che
vana è la
pretesa di voler
far del pensiero un’entità
vaga e nebulosa,
venuta su chi sa
come, a illuminare
il mondo della
materia, mentre bisogna indagare
la genesi del
pensiero, se si
vuol dare una spiegazione
vera e propria
di esso., E il
significato del positivismo
sta nella negazione
di ogni vuota ideologia,
che pretenda fare
a meno dei fatti
e anticipare in
qualunque modo su
di essi col pensiero.
Si tratta insomma
di quell’eterno motivo immanentistico con
cui la cultura
del secolo XIX ha
compiuto la critica
del secolo precedente. Ma il
significato ideale del
naturalismo e del
positivismo sta soltanto
nei nuovi problemi
e non già nelle
soluzioni loro; perché
il naturalismo, nel
suo tentativo d’indagare la
genesi biologica del
pensiero retrocedeva al periodo
pre-cartesiano della storia. ]cioè
alla dottrina degrinflussi
fìsici tra l’anima
e il corpo; e
d’altra parte il
positivismo, col richiamarsi al fatto
come a realtà
assoluta, ricadeva in
quella trascendenza, che esso
aveva già implicitamente negata.
Il fatto porta
con sé una
duplice afTermazione di trascendenza:
da un lato,
nella fissità delle
sue linee, esso
è posto come
trascendente di fronte
al pensiero; dall’altro,
in quanto è
un complesso di
determinazioni finite, è
trasceso in quanto
pensato. Quindi, una duplice
incongruità, della realtà
naturale di fronte al
pensiero e viceversa,
e una duplice
inesplicabilità dell’una per
l’altro. Come espressioni
di problemi, il naturalismo
e il positivismo
conservano un valore attuale;
come soluzioni, il
primo va a finire
nella deificazione di
sé stesso (ciò
che se era grandioso
in un Bruno' è
ridicolo in un
contemporaneo); e il
secondo ha per
suo termine l’agnosticismo, cioè
la propria sterilità
ed impotenza. La contradizione
del positivismo sta
nel dissidio tra ciò
che esso dice
di fare e
ciò che realmente
fa: sorge in nome
dell’immanenza e intanto
vive nella trascendenza, ora
agnostica, ora materialistica. Questa
è la sua
contradizione; ed ecco
che a risolverla sorgono le
nuove filosofìe, che
tutte vogliono porsi come
continuatrici dell’opera del
positivismo. È notevole
questo fatto, che
ogni pensatore, il
quale sia giunto a
una visione concreta
e immanente dei
problemi filosofici, ha
seniito il bisogno
di battezzare la sua
filosofia come il
vero positivismo; ciò
dimostra che quanto v’è
di più vitale
nell’esigenza del positivismo
non è quello
che si disperde
e si annulla
nelle scuole positivistiche, ma
è piuttosto quel
momento del nostro sviluppo
spirituale che ci
è di sprone
a conquistare una visione
immanentistica della vita. Ma
l'immanentismo che da principio sorge
come esplicazione di quello
spirito positivo che
è in tutti i
pensatori della seconda
metà del secolo
XIX, è la più
povera forma d’immanentismo: quella
del senso, della coscienza
immediata. Ed è
il tema più
frequente che ricorre in
quel periodo, e
che vale a
caratterizzarlo tutto. Tanto
nella forma di
un empirismo, come in
un Mill, in un Mach,
o in uno
Schuppe; o di un
fenomenismo, come in
tutte le scuole
neo-kantiane; o di un
intuizionismo come nella
filosofia del Bergson e
in altre ancora,
è sempre l’identico
motivo fonda- mentale, che
si ripete su
scale diverse. Noi
abbiamo osservato come il
principio dell’esperienza immediata
si annulli da
sé medesimo, e
lungi dal fondare un’assoluta immanenza,
è fatalmente spinto
verso il trascendente. E
il trascendente, di
fronte ad esso,
è tutto il pensiero,
in quanto costituisce
un suo osi
avviene che dalla
cultura falsamente soggettivistica e
individualistica, per cui
il pensare è il
riuscire del concetto,
e la vita
è un semplice
rischio, si passa, in
base all’esigenza di
un’intimità più profonda, a
una celebrazione del
trascendente, al misticismo,, che
assume in certi
pensatori un’intonazione veramente
elevata. Ma il
misticismo non migliora la
posizione logica dei
problemi, e determina
invece il momento
in cui le
esigenze stesse del pensiero,
che si è
svolto nei limiti
di determinate premesse, rendono
quelle premesse insuflicienti, ed esprimono
un bisogno di
rinnovamento. Cosi avviene che
quell’immanentismo della vita che
era nelle convinzioni
del pensiero del
secolo XIX e che
non aveva potuto
trovare nel positivismo
la sua formulazione adeguata,
non riesce neppure
ad esprimersi in questa
litosotìa dell’esperienza immediata,
che anch’essa sconfina
nella trascendenza.
L'esperienza storica dei
secoli ha mostrato che l’attuazione del
principio immanentistico si
compendia nella risoluzione
di due problemi,
che in fondo si
riducono ad un
solo: quello dell’umanità
della storia e quello
del valore umano
della realtà fisica esteriore. La
filosofia che ora
abbiamo considerata era insufficiente
a risolvere l’uno
e l’altro problema. Il
positivismo aveva meccanizzato
lo sviluppo della storia,
creando un naturalismo,
e cioè una
trascendenza, nel seno
stesso deH’umanità, col
suo concetto della
massa cieca e
brutale; e la
stessa nuova lìlosofìa intuizionistica ed
empiristica era incapace di
comprendere il valore
della storia; la
coscienza, della storicità del
reale è in
aperta antitesi con
una concezione immediata della
vita. E d’altra parte
il riconoscimento dell’umanità del cosi
detto mondo fìsico
non poteva esser
dato da nessuna delle
due dottrine: né
dal positivismo, che non
aveva neppure coscienza
del problema, né
dalla filosofìa
deirimmediato, che si
mostrava, già nella sua
premessa, come dualistica,
e per cui
la realtà esteriore, sia
come mondo fìsico,
sia come scienza naturale, costituiva
alcunché di trascendente.
Tuttavia già' in
questo campo si
preparavano i germi
di un rinnovamento. Con
la critica delle
scienze comincia infatti,
nel seno stesso
della filosofìa empiristica,
un rapido processo
di dissoluzione di
quel naturalismo, che aveva
solidificato i concetti
delle scienze empiriche, rendendoli
quasi materia opaca di
fronte al pensiero,
mentre sono pur
opera sua. Noi abbiamo
confutato questo indirizzo,
mostrando che esso idealmente
non rappresenta alcunché
di nuovo di fronte
alla soluzione kantiana
del problema della scienza,
e che anzi
è soltanto a
mezza via tra il
puro dommatisino e
Kant, ciò che
rende equivoca la sua
posizione e paradossali
taluni dei suoi
assunti, che invece, svolti
lino alla line,
conterrebbero dei motivi profondi
di verità. Ma
il valore storico
di questa critica delle
scienze è assai
grande, quando si pensi
che essa aveva
di fronte da
combattere, non già Kant,
bensì quel naturalismo
e positivismo che avevano
reso la scienza
impenetrabile al pensiero. Così, avere
riscoperta l’azione immanente
dello spirito in
quel campo che
gli si era
reso del tutto
estraneo. e mostrato
che il mondo
della scienza —
che è il mondo
stesso della natura
— rientra nella
sfera delTarbitrio umano;
e avere perciò
annullata quella concezione rigidamente
meccanica del mondo
che non solo i
positivisti, ma (pare
incredibile!) perfino i kantiani
avevano instaurata: tutti
questi sono meriti
veramente grandi di
quel vasto movimento
di critica delle scienze,
che si svolse
sullo scorcio del secolo
passato e sul
principio del nostro. Oosi
s’è andato via
via dissolvendo quel
concetto del mondo come
una realtà solidificata
di fronte al pensiero,
e s'è compreso
sempre meglio il
valore immanente dell'esperienza, che
non è meramente
ripro¬ duttiva di una
cosa in sé,
ma produttiva di
realtà e Louvain,
1911 (in 2
voli., l’uno contenente
i testi, l’altro una
ricostruzione storica delle
lotte tra tomisti
e averroisti nel sec.
Xlll). con le sue
esigenze storiografiche, e
assai spesso le falsilica
e le perverte.
Non contenta di
promuovere la conoscenza
dei lìlosofi medievali,
essa ha voluto copiarli,
reintegrando una pretesa
sintesi scolastica, creata
dalfimmaginazione
pseudo-storica di uno storico
di valore, uscito
dalle sue file,
Maurizio de Wulf. Di fronte
al preesistente neo-tomismo,
la neo-scolastica ha
voluto assumersi il
compito più ampio di
ricalcare non solamente
le orme di
san Tommaso, ma anche
quelle di altri
dottori, agostiniani e
sentisti, che, un tempo nemici
deH’.’^ngelico, vengono ora dal De Wulf
scoperti come suoi
collaboratori, nell’opera
(da veri certosini!)
di comporre uno
smisurato mo.saico scolastico,
al quale è
dato l’improprio nome
di sintesi. Collaboratori sono
in certo c
profondo signillcato tutti i
filosofi, quale che
sia la loro
divisa; ma la collaborazione de
wulfìana tende a
sopprimere 1 individualità
d’ogni singolo pensatore
e d’inserirne le dottrine,
come materiale amorfo, in
una costruzione anonima, avulsa
dalla storia, perché
non più partecipe
della mobilità del
divenire, ma statica
e inerte, atta soltanto
ad accrescersi per
successive sovrapposizioni. antiche
o nuove che
siano. Scolastica sarebbe quindi non
più una tisonomia
storica che si
trasfor¬ ma, ma un
masso immobile di
pietra, che il
De Wulf si dà
cura di sottrarre
ad ogni movimento,
anche esterno, col separare
nettamente la scolastica
dall’anti scolastica, cioè
col sostantivare, in
un’altra unità separata e rigida,
tutti quei moti
divergenti e disgregatori, che
pur appartengono allo
stesso pensiero medievale
e che, inclusi
con sano criterio
storico nella scolastica,
le conferirebbero quella
mobilità viva che
appartiene a un
vero organismo. Questo pregiudizio
più che scolastico
falsifica la Storia della
filosofia medievale del
De Wulf, opera immeritainente celebrata,
perché non può
non suscitare, nei
critici meglio disposti
ad apprezzare il
lavoro altrui, che
un senso di
dispetto o di
deplorazione, al constatare
come una cosi
vasta e profonda conoscenza del
pensiero medievale si
falsifichi e si annulli,
per colpa di
un testardo proposito
di voler trattare la
storia con un
criterio decisamente anti¬storico. Pereant historiae,
purché sia salva
la neo-scola¬ stica: par
che il De
Wulf ragioni cosi.
E in effetti, separando scolastica
e anti-scolastica, papa
e anti¬ papa, nel
cuore stesso della
storia medievale, dove la
separazione degli elementi
organici è più
aspra e, diciamo pure,
ripugnante, è tanto
più facile per¬ petuare
la separazione in
seguito, quando Tanti-sco¬ lastica diviene
a sua volta
un’età storica, e
accre¬ scere la scolastica
dei magri doni
dello Spirito, che le
piovono addosso di
tanto in tanto.
È sorta cosi la
neo-scolastica, quella scuola
che, pur avendo
di fronte al neo-tomismo
l’incontestabile vantaggio di spaziare
in un cielo
storico incomparabilmente più vasto
e di non
accontentarsi di un
san Tommaso ischeletrito, mutilo,
custodito nella solitudine
e quasi nel deserto
dei secoli, ha
poi sùbito voluto
rinunziare ai suoi
privilegi storici, facendo
della storia una pesante
cappa di piombo. Confesso che la lettura
del corso del
Mercier m’è costata assai
più fatica che
non quella delle
Somme di Alessandro o
di Tommaso o
dell’Opus Oxoniense di Duns.
La ragione è che si
trattava di una
fatica senza premio, che
inaridiva progressivamente e
senza recupero le proprie
fonti e l’energia
della resistenza. In fondo,
non c’è che
la struttura esterna
massiceia, pesante, del
tomismo, senza lo
spirito di Tommaso,
tormentato dal problema
insolubile di costringere
nelle forme aristoteliche
una materia ribelle. Il
Mercier ha raccattato
nella storia quel
poco che era compatibile
con le sue
premesse dommatiche: il criterio
cartesiano dell’evidenza, il
problema della
criteriologia, inteso come
un’attenuazione della cri¬ tica
gnoseologica, il pseudo-empirismo dei
positivisti, e sopra
tutto il formalismo
della vecchia e nuova
logica analitica. I..a
criteriologia forma il
segreto della composizione
di tutto il
mosaico: essa ripristina
(dopo Kant) il
dubbio cartesiano, limitato ai
soli oggetti della
conoscenza, dichiarando illegittimo
il problema del
valore delle facoltà
conoscitive: un valore che
viene dommaticamente presupposto. E del
primo dubbio si
sbriga facilmente col
riconoscere l’evidenza immediata
di alcuni principi d’ordine ideale,
ai quali si
dà cura di
negare ogni carattere sintetico
e attribuisce invece
un valore meramente analitico,
che avvalora la
loro intatta oggettività.
Ma tra i
princìpi in questo
modo sottratti al dubbio,
v’è il principio
di causa, il
cui valore oggettivo consente
di passare, senza
salti, dalla sfera dei
giudizi ideali a
quella dei giudizi
empirici; il mondo della
natura e della
scienza viene agevolmente rimorchiato dal
principio d’identità. L’ontologia
e la cosmologia del
corso merceriano procedono
di pari passo dalle
premesse criteriologiche testé
enunciate; idealismo e
positivismo sono insieme
saldati dal concetto di
causa, che vanta
titoli eguali presso l’uno
e presso l’altro.
E l’idealismo salva
la trascendenza di
Dio, l’immortalità deU’aninia,
la rivelazione, con
tutto il pesante
bagaglio della dommatica
cristiana; il positivismo
consente alla neo-scolastica di
modernizzarsi, di koketlieren
(direbbero i tedeschi) con
le scienze della
natura e 'l’indulgere il più
ch’è possibile al
gusto dei tempi. Una
tale filosofìa è
criticata in quanto
è esposta; non si
saprebbe se più
deplorare l’ignoranza che vi
si dispiega di
tutta la storia
del pensiero moderno o
l’ingenuità di certi
passaggi me'ntali, quello
p. es., mediato dal
principio di causa.
Io rispetto assai
più il dommatismo puro,
lo schietto tomismo,
che nega la storia
del pensiero e
si chiude nelle
vecchie e venerande
formule; ma almeno
non si lascia
cosi facilmente misurare
dalla mentalità moderna
come questa filo.sofia che
le si accosta
troppo da presso, e
si trastulla ingenuamente
coi suoi problemi.
Il neo, anteposto al
suo nome, vale
a designare null’altro
che l’infantilità. Il movimento
neo-scolastico italiano sorge
come una copia fedele
della scuola di
Lovanio. Nel 1909 il
Gemelli e il
Canella fondano una
Rivista di filosofia
neo-scolastica sul modello
della rivista belga
ed accettano, nel programma,
l’ideologia merceriana: 11 Mattiussi
lo spaventava col
suo libro: Il
veleno kantiano (1914 “),
dove gli lasciava
intravvedere il rischio di
rinnovare la miseria
di Abelardo, non
più per amore di
una bella Eloisa,
ma... della filosofia kantiana: «Noi
pretendiamo, diceva l’apocalittico Mattiussi, che
nell’opera del filosofo
di Koenigsberg dal principio
alla fine ogni
cosa è impossibile
e il disegno n’è
contradittorio, che tutto
è rovina e che
qualunque asserzione si
ammetta di quello
( sic) che egli da
sé nuovamente disse,
ne rimane tronco
alla radice dell'essere conoscitivo
(??); ed è
veleno, del quale basta
una goccia per
dare la morte
alla scienza e all’intelletto (!!)>.
E in un
altro suo scritto.
Il Problema della conoscenza,
il Mattiussi mostrava
di porre allo stesso
livello la critica
kantiana della ragione e
il dubbio merceriano
sull’oggettività della conoscenza additando,
nel dommatismo puro,
la via della salvezza
dell’anima e del
corpo. Questa recrudescenza di
animosità da parte
dei dommatici derivava in gran parte
dalla scandalosa impressione che
sul loro animo
aveva fatto il
tenta¬ tivo del padre
Chiocchetti, animoso e
ardente pensa¬ tore trentino,
il quale s’era
proposto di acclimatare negli ambienti
scolastici il sistema
del Croce. Tra il
1912 e il
1914 egli aveva
infatti pubblicato una serie
di articoli su
quella filosofìa, nella
Rivista del Gemelli, facendo
precedere all’esame del
pensiero crociano un lungo
excursus storico sulla
specula¬ zione tedesca che
ne costituiva il
fondamento. Il piano storico
del lavoro era
sbagliato, in quanto I
Op. eli., VI,
p. 317. > Ibid.,
VII, p. 29. 474 APPENDICE che la
genesi del pensiero
del Croce si
spiega rimon¬ tando non
la corrente centrale,
metafisica (il Croce direbbe
teologica) Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Spa-
venta; ma una
corrente laterale che
ha per suoi estremi
Vico e De
Sanctis. L’interessamento del Croce
per le grandi
filosofìe tedesche interviene
in un secondo momento,
come per meglio
intonare, storicamente, un pensiero
già in gran
parte formato per via
diversa. A ogni
modo, lo sforzo
di volere attribuire un
interesse centrale a
una filosofia che ripudia
ogni centro fisso
dell’interesse speculativo,
costituiva pel Chiocchetti
una propizia opportunità per poter
superare, insieme col
Croce, tutta la
spe¬ culazione classica, e per liberarsi,
cosi, del pesante fardello della
storia. Alla filosofia crociana
egli faceva larghe
e impor¬ tanti concessioni:
la teoria dell’arte,
dell’ateoreticità dell’errore,
e principalmente quella
del concetto con¬ creto,
che culmina nella
circolarità creatrice dello spirito. Faceva
naturalmente le sue
riserve: «Am¬ mettiamo anche
noi un divenire,
un progresso, ma non
possiamo concepirlo senza
ricorrere a un
prin¬ cipio che non
sia principiato, perché
personale nel senso più
alto della parola
; un principio
fine a sé stesso
e fine del
tutto, un (ictus
parus personale, dal quale
e per il
quale il progresso
esiste, un centro di
riferimento di tutta
l’attività ». Moveva
alcune critiche in parte
calzanti: «Il concetto
di persona, il valore
della persona: ecco
quello che manca,
soprattutto nella dottrina
del Croce, e
rende vano e senza
significato il divenire
della realtà attraverso le
forme... Anche il
concetto dello spirito
come circolo o come ininterrotto
e ordinato arricchimento
di attività, per avere
un senso, dev’essere
concetto e deve inchiudere
in sé come
elemento essenziale il fine
deU’attività progressiva, la
persona; se no
abbiamo l’assurdo del
progresso in infìnitum,
checché opponga il Croce. Ma
il vizio più
grave che svaluta
le adesioni non meno
delle critiche, sta
in un fraintendimento, che non
saprei spiegarmi con
motivi puramente mentali (ateoreticità dell’errore,
padre Chiocchetti!) :
quello del concetto puro
del Croce con
Vunìversale in re di
san Tommaso. In
fondo, accettando l’universale
concreto della filosofia
moderna, il Chiocchetti
non vi riconosce che
il progenitore scolastico,
dimenticando, 0 mostrando di
dimenticare, che in
esso c’è l’appercezione pura
di Kant, la
risoluzione dell’oggettività
naturale, in una
parola, lo Spirito.
Affermare che [Individualismo e
universalismo fanno centro
in Europa, donde
s’irradia la nuova
storia del mondo; tutte
le conquiste della
civiltà estraeuropea sono
infatti europee nello
spirito e nell’impulso;
l’Africa particolarmente è il
supremo sforzo e
il massimo rispltato della
storia europea nel
secolo XIX. Questo non
porterà nome di
uomo o di
popolo, perché le massime
creazioni sono anonime:
« il genio
può riassumere l’incoscienza
di un popolo,
non dare la
propria fisonomia alla
sua coscienza. Il suo
carattere ideale è
chiuso tra due
fdosofle, che rappresentano il
suo trionfo e
la sua degradazione:
«Dopo Tenorrae abbacinante
filosofia di Hegel,
che riassunse tutta
l’antichità e aperse
l’era moderna, la
degradazione fu precipitosa;
Hegel aveva sollevato il
mondo nelle idee,
i positivisti distrussero
le idee nei
fatti; la loro
filosofia era la
sola conveniente a
una fase industriale,
che isolava gl’individui
livellandoli invece di
unificarli; l’inconoscibile,
del quale l’interpretazione istintiva
è ideale e
pregio della vita, venne
dichiarato inutile, la
storia cessò di chiedere
le rivelazioni del
passato ai grandi
pensieri per impararle
dalla parzialità dei
piccoli documenti, le
leggi non furono
che disposizioni nelle apparenze fenomeniche,
la morale un
mutare di costumi,
le idee una
metamorfosi delle sensazioni.
La superlicialità rese tutto
facile, e la
volgarità parve la sicurezza
del reale. L’uomo,
senza lo spasimo
dell’infinito nel cuore
e la luce
divina nel pensiero. I
La Hiuolta ideale^
ed. Laterza, p. 19.
ritliscese neiranimalità, ultimogenito
di una serie, anziché primogenito
della creazione. Contro questa
degradazione positivistica o
industriale, che annulla
le grandi conquiste
ideali dello spirito, e
si riassume nell’individualità nuda
e atomistica e
neH'umanità identica e
vuota, e abbassa
la coscienza all’inconscio, la
responsabilità all’eredità
del passato, la
creazione all’associazione, l’Oriani, echeggiando alcuni
concetti dell’idealismo, si
affer- ina fautore di
un superiore individualismo, in
cui fa consistere l’originalità
del pensiero nio-derno.
Ed enuncia il principio
che l’individuo non
è tale che nell’unità delle
proprie antitesi: sopprimete
in lui il temperamento
della razza, il
carattere della nazione,
la lìsonomia della
famiglia, e la
sua originalità si annebbia.
Ma l’individualità vera
non è quella che
si allerma nell’isolamento ;
la grandezza delrindivi'duo si
misura dalla quantità
delle anime che può
assorbire e significare:
nessun individuo ha niente
da dire finché
parla di sé
stesso. E l’inclusione,
in esso, di
un più vasto
mondo, crea la sua
responsabilità storica, momento
negativo essenziale di quella
liberazione e sublimazione
del mondo, che si
compie nell’alTermazione piena
di sé stesso.
L’individuo è la
storicità vivente: «bisogna
affermare, esclama l’Oriani, che
tutto quanto forma
il nostro spirito è
un legato della
storia per le
generazioni future, quindi il
nostro interesse nel
presente soltanto un’eco
del passato, che
ridiventerà voce ncl-l’avvenire. Ogni
cooperazione umana aumenta
di responsabilità crescendo
d’importanza, giacché la
superiorità non è
che il diritto
di soffrire più
in alto, pensando per
quelli che non
pensano, amando per quelli
che non amano,
lavorando per quelli
che non possono» E
questa sublimazione deH’uinanità
nel-rindividuo, forma la
sua libertà concreta,
liberatrice, che non
discorda dalla necessità,
ma ne è la
coscienza immanente. L’affermazione di
essa si compie
attraverso i gradi necessari della
progressiva complicazione della
vita umana; la famiglia,
la nazione, lo
stato, l’umanità; cioè attraverso
le successive negazioni
della soggettività, che
si riconquista, integra,
solo al termine del
laborioso pellegrinaggio. Quindi
nella famiglia gli sposi
debbono sparire nei
genitori sacrificandosi alla devozione
dei figli; quindi
nella società gl’intere.ssi
individuali saranno sempre
subordinati a quelli
'. £ il
solito pregiudizio logico-formale, che
svaluta il pensiero
nell’atto stesso in cui
intraprende la sua
ricerca, abbassando le
leggi al di sotto
della massa caotica
dei fatti. E il Pareto, non
certamente a sua
lode, ci dà un’applicazione
esatta del suo
principio, con l’addensare
prodigiose masse di esempi
e con lo
svuotarle in pretese
leggi ed insignificanti uniformità,
che rappresentano il residuo
di una morta
astrazione. Egli vuole
classificare le azioni
umane secondo i
principi della classificazione detta
naturale in botanica
e in zoologia; anzi, neppure
le azioni concrete
formano oggetto della sua
elaborazione, ma gli
elementi di quelle azioni; «Del
pari (sic) il
chimico classifica i
corpi semplici e le
loro combinazioni, e
in natura si
trovano mescolanze di
tali combinazioni. Le
azioni concrete sono sintetiche;
esse hanno origine
da mescolanze (!),
in proporzioni variabili
(!!), . E
lascia impregiudicato l’ulteriore
problema se siffatto
essere sia impersonale (panteismo)
o personale (teismo).
Troppo a buon
mercato! Il compito
di una metalisica del conoscere
comincia proprio qui, dove il
Varisco si arresta perplesso:
ma egli è
arrivato esaurito, con un
« essere indeterminatissimo »,
proprio dove l’idealismo concentra
la massima concretezza
dello spirito. Il suo
errore è comune
a tutta la
«metafisica dell’essere », che
vuota progressivamente, lungo
la scala degli esseri,
i suoi concetti,
e cerca infine
Cosicché, mentre il
Gentile è venuto
fuori dalla tradizione propriamente
hegeliana, che ha
avuto nello Spaventa uno
dei suoi esponenti
maggiori, il Croce ha
subito solo rinilusso
indiretto ‘generale’ — egli
dice nella prefazione
alla .3' edizione
della Logica (Ifllfi)
— è insieme
annullare il concetto
' statico ’
del sistema fìlosolìco,
surrogandolo col concetto
dinamico delle semplici
‘ sistemazioni’ storiche
dei gruppi «li
problemi, delle quali ciò
che persiste e
sopravvive sono i
singoli problemi e le
loro soluzioni e
non già l’aggregato
e l’ordinamento esterno,
che ubbidisce ai
bisogni dei tempi
e degli autori e
passa con questi,
o si serba
e si ammira
solo per ragioni
estetiche, quando pur
abbia tal pregio. In questa
più recente fase,
il Croce ha
finito col capovolgere la
posizione iniziale del
suo pensiero di fronte
al problema storico:
passando via via
dalia considerazione della storia
come arte, a
quella che ne fa
una forma di
realtà autonoma, inferiore
alla filosofìa, a quella
deH’identità e reciprocità
piena con la filosofia,
finalmente a quella
della sopravvalutazione della
storia rispetto alla
pura filosofìa, il Croce
ha, come si
vede, descritto un
ciclo, nel quale dobbiamo riconoscere
che il suo
pensiero si è
molto arricchito ed ha
sempre meglio appagato
quell esigenza verso
la concretezza, che
lo spronava. Nella sua
citata autobiografia mentale
egli ci dice
cl^e la esigenza immanentistica è
ormai cosi viva
in lui, che gli fa
immaginare «non
senza diletto >
che abbandonerà un giorno
la filosofìa nel
significato comune, per narrare
la « storia
pensata ». Ormai
egli ha là preparazione
necessaria per il
nuovo cimento: la Storia
della storiografia italiana
nel secolo deci- inonono, che
egli va pubblicando
a puntate nella 2'
serie della Critica
può significare già
un avviamento a
questo indirizzo *. Ma
per un filosofo
l’abbandono della filosofia
non può avere che
un significato, a
sua volta, filosofico o
dialettico; non certamente
quello di un
mero passaggio da
una sfera di
attività ad un
altra. E per ora,
quell’abbandono ci viene
spiegato nel suo
più vero senso dall’ultima
monografìa filosofica che il
Croce ha
pubblicato da qualche
mese : Sulla
filosofia [ Per la blbllografla
e le discussioni
intorno al pensiero del
Croce, rimando al
voi. G. Casteli.aso,
Introduzione allo studio dette
opere di B.
Croce, note bibllograDche
e critiche. Bari] teologizzante e
le sue sopravvivenze
(Napoli), (love i lilosofì
stessi vengono incitati
ad abbandonare una folla
di problemi insolubili,
eufemisticamente chiamati
problemi massimi ed
eterni. Per Croce, conforme al suo coerente
immanentismo, vale il principio
deirunità del problema
con la soluzione, secondo il
quale un problema
acquista carattere di problema
solo nel punto
in cui viene
risoluto. Quindi 1 pretesi
problemi insolubili, che
formano il tormento
di tutte le
filosofie, sono in
realtà non-problemi, ma
miscugli ibridi di
rappresentazioni e di concetti,
adeguati piuttosto ad
alcune forme di
esperienza religiosa anziché
alle esigenze razionali
dello spirito. Tra questi
primeggia il problema
della conoscibilità del
reale, del rapporto
tra il pensiero
e l’essere, in cui
il Croce ci
mostra la presenza
di un interesse meramente
teologico, e cioè
compatibile soltanto con una
intuizione dualistica del
reale. La lilosofia del
Gentile ha seguito,
in quest’ultimo periodo,
un inverso processo
di sistemazione e di
accentramento. Nel 1912,
quando io chiudevo, con
una sommaria esposizione
dei suoi capisaldi,
la r edizione della
presente Storia, il
pensiero di questo
filosofo era in
gran parte disseminato
nei suoi lavori storici;
e soltanto una
breve monografìa. L’alto del
pensiero come atto
puro, lasciava presentire
la peculiarità di
un atteggiamento mentale
del tutto nuovo. Da
quel tempo in
poi, il Gentile
ha lavorato a sviluppare
la sua dottrina
dell’idealismo attuale, le cui
tappe più importanti
sono costituite dal Sommario
di pedagogia come
scienza filosofica 2 v(}ll.,
Laterza, 1913); La
riforma della dialettica hegeliana (Messina,
1913); Teoria generale
dello spirilo come
alto puro (Pisa,
1916); Sistema di
logica come teoria del
conoscere (Parte I,
Pisa] appendice Per ragioni di
spazio, sono costretto
a sorvolare sulla fase
preparatoria e formativa
di questa fìlosolìa,
che ha le
sue tappe nettamente
segnate dalla informa della
dialettica e dal
Sommario di pedagogia.
Il primo libro
ci spiega in
che modo il
Gentile sia riuscito
— affatto indipendentemente dal Croce
— a rompere
lo schematismo hegeliano,
utilizzando le importanti
indagini dello Spaventa
sulle tre prime categorie
della Logica di
Hegel. Una volta inteso
l’essere, il non-essere
e il divenire,
non più come posizioni
logiche oggettive del
reale, ma come momenti
della coscienza, dove
il divenire, sintesi
dei termini precedenti, esprime
il processo stesso
del sapere, che vince
nella sua concretezza
i momenti astratti e
rig di in
cui l’analisi lo
decompone ', tutta la
sopra-struttura della logica
hegeliana viene inevitabilmente sconvolta. Il
Sommario di Pedagogia,
nella sua introduzione, compie, in
rapporto alla Fenomenologia, la
stessa istanza critica che la Riforma
della dialettica compie in
rapporto alla Logica
di Hegel. Il
pensiero puro, come non
ha bisogno di
percorrere i gradi
categorici dell’essere (del
conosciuto, secondo gli
schemi della logica formale)
per giungere alla
piena coscienza di
sé, perché si
afferma a priori
come pensiero consapevole
e attuale; così
non ha neppur bisogno di
attraversare i gradi
psicologici della conoscenza,
cioè la sensazione,
l’intuizione, ecc., perché 1«
1,’csscre che Hegel
dovrebbe mostrare identico
ai non- essere nei
divenire che solo
è reuie, non
è i essere
che egli definisce come
l’assoluto indeterminato (TassoUito
indeterminato non può
essere che l’assoluto
indeterminato!); ma l’essere del
pensiero che deHniscc
e, in generale,
pensa: ed è,
come vide Cartesio, in
quanto pensa, ossia
non essendo (perché, se
fosse, ii pensiero
non sarchile iiueiio
che è, ossia
un atto), e perciò
ponendosi, divenendo» [Teoria
generale della spirito come
atto puro, G. DE Huggieho.
T.a tllosotla contemporanea. non può
mutuare da altri
che da sé,
non solamente la sua
forma, ma anche
il suo contenuto.
Cosi Gentile ha
portato al suo
estremo l’idea implicita in
ogni fllosoiìa idealistica,
che il pensiero
non può originarsi che
da sé, mostrando
che qualunque dato o
presupjpostc che si
voglia anticipare alla
sua attività ha il
valore di cosa
posta da quella
stessa attività. Di fronte
*al comune psicologismo,
tale istanza critica culmina con
l’identificazione del pensiero
e della sensazione, nel
senso che qualunque
esigenza ideale si attribuisca
alla sensazione —
fuori di ciò
che ne costituisce un
dato irriducibile, dove
si rivela una falsa
posizione fdosofica —
è un’esigenza mentale, inclusa cioè
nell’attualità del pensiero. Con
l’efl'ettuata
identificazione, vien negata
una fenomenologia dello spirito
nel significato hegeliano, cioè come
una progressiva deduzione
ed implicazione di gradi
spirituali; ma viene
nel tempo stesso
affermata una nuova
fenomenologia del sapere
e della realtà come
consapevolezza, che coincide
con la storia
stessa, nella concretezza
del suo divenire.
L’assoluto psicologismo ha il valore
di un assoluto
storicismo. Posto infatti
che il pensiero
non deriva che da
sé la realtà
propria, e che
questa derivazione è la
sua efl'ettiva e
pratica esplicazione, il
corso ideale del pensiero
non è che
la storia reale
del peìisiero stesso e
quindi del mondo. Qui
l’idealismo gentiliano si
pone come la
negazione recisa di
ogni realtà che
si opponga al
pensiero come suo presupposto
e del pensiero
stesso concepito come realtà
già costituita fuori
del suo svolgimento, come sostanza
indipendente dalla sua
reale manifestazione. La
realtà dello spirito
o delle cose,
posta fuori della soggettività
pensante, forma la
così detta natura, distinta
dal pensiero non
come oggetto da Oggetto,
ma come oggetto
da soggetto, ossia
inclusa e risoluta nel
pensiero, nell’atto stesso
in cui questo la
riconosce distinta da
sé, e cioè,
pensandola, la pone, e
ponendola la nega
come già posta
o presupposta. La
natura si svela
cosi una realtà
pensata, un processo logico
esaurito e pietrificato,
capace tuttavia di
risollevarsi all’attualità spirituale,
in quanto 10 spirito
lo pensa e
l’include nel suo
processo, che ha un
cominciaraento spontaneo, assoluto,
in quel pensare. Nulla dunque
è fuori dello
spirito, « se
Tesser fuori è un
riconoscimento, cioè un
porre fuori mediante
l’attività del pensiero.
Né vale appellarsi
all’ignoranza, come documento
delTirriducihile esteriorità di
taluni fatti alla
coscienza; perché la
stessa ignoranza non è
un fatto senza
essere insieme una cognizione: cioè
ignoranti siamo solo
in quanto o noi
stessi ci accorgiamo
di non sapere,
o se n’accorgono
altri; sicché l’ignoranza
è un fatto,
a cui l’esperienza può
appellarsi solo poiché
è conosciuto. La
coscienza si pone
pertanto come una
sfera 11 cui raggio
è infinito: come
centro assoluto e
immoltiplicabile nella cui
unità converge la
molteplicità degli oggetti,
che esiste solo
in virtù del
suo riconoscimento. L’unità della
coscienza, del soggetto,
è la pietra
angolare di questa
filosofia : essa include
non soltanto i
cosi detti fatti
dell’esperienza esterna, incomprensibili nella
loro struttura fuori della
sintesi mentale; ma
anche gli atti
dell’esperienza interna e
dei soggetti empirici
umani o sub-umani, la
cui pluralità è
del tutto identica
a quella degli oggetti
naturali e si
risolve quindi nell’unità
dello spirito che
attualmente la pensa.
Un mondo ideale policentrico,
monadistico, rappresenta per il
Gentile un residuo
di naturalismo ingiustificabile, poiché
non c’è esperienza
umana che coltra
il mutuo trascendersi delle
monadi e raccolga
la loro sparsa idealità
in un principio
unico, il quale
ver¬ rebbe perciò spostato
all’infinito. Mentre invece, l’esperienza nella
sua concretezza esige
l’assoluta immanenza di quel
principio, fuori del
quale anche la pluralità
svanisce. Il rapporto
tra me e
un altro soggetto empirico
non può esistere
fuori della mia coscienza
che lo pone;
se mai trascendesse
la sfera della coscienza,
ogni mutua intelligenza
sarebbe pre¬ clusa; ma,
appunto perciò l’atto
di coscienza che include
l’altro in me
e nel tempo
stesso lo distingue da
me, costituisce la
soggettività più profonda
in cui si risolvono
le soggettività empiriche
(l’io e l’altro) e che
forma la comune radice
di esse. Quell’atto
dunque non è
mio, perché tale
appartenenza significherebbe
già la sua
riduzione al soggetto
empirico, ma è
l’Io, è ratTermarsi
concreto di un rapporto
nella forma della
soggettività mentale. Gentile dà
a questo Io
il nome di
soggetto assoluto o
trascendentale; ad esso,
a differenza dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal
Identity,” Mind, attribuisce l’identità
universale e
immoltiplicabile, che vince
la sparsa attualità
del monadismo. Con questo concetto,
egli è in
grado di risolvere le
varie antinomie che
hanno travagliato il
pensiero di molti filosofi,
come quelle del
realismo e del
nominalismo, dell’universale e
dell’individuale, ecc. fino alla
recente vexata quaestio
della distinzione tra l’attività teoretica
e l’attività pratica
e del primato dell’una o
dell’altra. Nell’attualità dell’Io
assoluto v’è la ragione
unitaria di ciò
che nelle antinomie
si polarizza, e insieme
la spiegazione del
modo con cui la
polarizzazione avviene, quando
lo spirito, affiorando alla
superficie, perde l’intimo
contatto con sé
stessa e converte
in determinazioni statiche e
rigide gli astratti
momenti della sua
sintesi originaria. Cosi
il rapporto del
teoretico e del
pratico è da Gentile compreso
nell’unità a priori
dello spirito, che
è atto intelligente
o riflessione attiva,
cioè unità dinamica di
teoria e prassi;
mentre la difTerenza
nasce nella sfera
superficiale della coscienza, dove i 'due momenti
si solidificano in
entità distinte. Tale unificazione
spirituale, per Gentile,
non vuol essere assorbimento
del molteplice nell’uno
ed esta¬ tica contemplazione dell’uno,
ma realizzazione e comprensione dell’uno
nel molteplice, e
insieme differenziamento e
moltiplicazione dell’uno; insomma quello spiegamento
dello spirito, che
riconduce a sé, alla
propria identità, gli atti della
sua reale esplicazione.
In questo principio
è riposto il
criterio dello storicismo di
Gentile. Vi sono
due modi di
concepire la storia.
In questa posizione
si risolve l’antinomia storica,
secondo la quale
lo spirito è affermato
come storia, perché
è svolgimento dialettico,
ed è negato
come storia, perché
è atto eterno fuori
del tempo. E
si risolve nel
concetto del processo
che è unità,
la quale si
moltiplica restando una; di
una storia, perciò,
hleale ed eterna,
che non è (la
confondere con quella
di VICO, che ne
lascia fuori di
sé una che
si svolge nel
tempo; laddove reterno,
nella concezione del
Gentile, è lo
stesso tempo considerato nella
sua attualità. Ma di
fronte a questa
molteplicità vera e
attuale che si esplica
nella storia, e
la cui concretezza
sta nel suo svolgersi
dall’unità e nell’unità
dello spirito, v’è un’altra
e diversa molteplicità,
astrattamente fissata
nell’oggetto del pensiero
ed esistente indi¬ pendentemente dall’atto
mentale. Mentre la
prima appartiene alla
logica del pensiero
puro, 1 altra rientra
nella logica astratta
del pensato. La
differenza nasce dalla
dialettica stessa del
pensiero; che, in quanto
è atto, è
dillerenziamento ed esplicazione di sé;
ma l’atto, una
volta compiuto e
isolato dalla soggettività creatrice,
si converte in
un fatto, cioè si
naturalizza e diviene
una realtà intelligibile
e non più intelligente.
A questo pensato
si appropriano non le categorie
della dialettica, che
concer¬ nono il pensiero
in fieri, ma
quelle della logica
formale, le quali
determinano la struttura
dell’oggetto mentale come puro
oggetto. Tuttavia la peculiarità
del processo spirituale sta in
ciò che in
esso l’astrattezza di
quella posizione oggettivistica è
non solo negata,
ma anche allcrmata. il
pensiero concreto, nell’atto
in cui nega il
pensato come tale,
lo afferma come
momento inseparabile del
suo sviluppo. La
dialettica viva dello spirito
sta in questo
continuo naturalizzarsi e
straniarsi del pensiero,
del soggetto, nell’oggetto;
e in questo riaff
ermarsi di sé,
attraverso la stessa
oggettivazione, che è
risoluzione dell’oggetto come
tale e sua inclusione
nel proprio ciclo. I
Gentile, Sistema di
logica come teoria
dei conoscere, Pisa,
Conforme a queste
premesse, Gentile ammette due
logiche, runa che
è grado all’altra
; «Se dialet¬ tica
diciamo la logica
del concreto, ossia
del jjuro conoscere, che è riinità
del soggetto e
dell’oggetto, oltre la dialettica
bisogna pure ammettere,
come grado alla stessa
dialettica, una logica
dell astratto, ossia del
pensiero in quanto oggetto, nel
momento dell’opposizione, senza di
cui non è attuabile l’unità in
cui il concreto
risiede Nel Sistema
di logica come teoria
del conoscere Gentile
finora ci ha dato
una logica del
pensato; ad essa
terrà dietro la dialettica, cioè
il sistema detl’attività
pen¬ sante, di cui
non possediamo che
i capisaldi, già esposti
nelle pagine precedenti. La diflerenza
del pensiero e del pensato
e della molteplicità immanente
all’uno e all’altro
vale anche a determinare
il rapporto tra
le forme assolute
, e che >
Donde la necessità
di porre su
due plani ben
distinti le relazioni interne
del pensato e
le relazioni nelt’atto
del cono¬ scere, la
relatività delle determinazioni del
reale e quella
del momenti del processo
conoscitivo, l’/o penso
della logica kantiana
e il soggetto
assoluto della metalisica. quindi una
metafisica della mente
deve seguire una
via multo più indiretta
e faticosa per
fondare la spiritualità del reale.
Dalla Critica del Giudizio di
Kant, alla filosofia della natura
di Schelling e
di Hegel, via
via fino al
con¬ tingentismo del Boutroux,
all’evoluzione creatrice del Bergson,
al realismo dcH’Alexander, al
neo-hegelismo del- rHamelin. è
tutta una serie
di sforzi per
questa via più ardua;
essi valgono almeno
a segnalare la
presenza di un problema
di cui l'attualismo
s’é sbrigato troppo
a cuor leggero. Tutto
ciò che formava
oggetto della metafisica
dell’essere non s’illumina
in un fiat
col porre l’equazione tra
l’essere e Tesser
conosciuto; cosi non si
fa che porlo
semplicemente a foco;
ma si tratta
poi di conoscerlo clTettivainentc; se no, si
trasferisce il mistero
da una posizione
all’altra, senza accrescere
di un sul iota
la nostra conoscenza
della realtà. Pretendere
di aggiogare il mondo
all’atto del pensiero,
senza che questo si
faccia concretamente coscienza,
autorivelazione, atto del mondo,
è un faticare
per trascinarsi dietro
la propria ombra: agendo
nihil agere. Questi cenni
critici preludono a
un esame particolareggiato della
filosofia di Gentile, che
io mi propongo di
pubblicare nell’appendice al
presente libro, e
ad una revisione della
mia posizione idealistica,
di cui ho
cominciato a dare
qualche sporadico saggio
negli scritti pubblicati in
questi ultimi anni. In
questa nota si
fa cenno unicamente
dei libri che hanno
attinenza col testo.
Per una bibliografia
più estesa, cfr. F.
rKBKBWEG. Gniiulriss der
Gescliichle der Pliitosoiìhie: die
Pliil. seit lieginn
des neiinzehnten Jahr- hitiiderls); ed. da
Heinze. Berlino, litoti. INTRODUZIONE. Sulla filosofia
contemporanea in generale, ampi
ragguagli si trovano
nelle riviste, come La
critica, la Riuista
di lilosofia, la
Cultura filosofica, la Zeitschrift fiir
Phitosophie und phitosophische Kritik,
la lievue de Métaphysique
et de Morale,
il Mind. Ufr.
inoltre Wi.NDELBANU, Lehrbuch
der Geschichte der
Philosophie, Strassburg, Tùbingenl;
H. Hoffdino. Moderne Philosophen,
Leipz.; Mabtinetti, Introduzione alla
metafisica, Torino; F. de Sablo,
Studi sulla filosofia contemporanea, Roma;
V'illa. La psicologia,
Torino; L’idealismo moderno, Torino; Aliotta,
La reazione idealistica
contro la scienza, Palermo;
su di essa,
v. la mia
recensione in Critica. Il concetto
della nazionalità della
filosofia, da cui prende
le mosse la
nostra Introduzione, si
trova sviluppato nelle
opere di B.
Spaventa. Cfr. specialmente:
La filosofia italiana nei
suoi rapporti con
la filosofia europea, Bari. LA FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe. Die Philosophie der
Gegenwart in Deutschland,
Leipzig, Cahitolo I:
intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn,
Gniiulriss der Gesrhichle
der l‘hilosophie, i-(l. da B.
Erdinann, Berlin. Per la scuola
di Tu- binga: F.
G. Baur, Die
Tiibinger Schiile vnd
ihre Stelliiny zur Geyenioart,
Tiibingen; Zkller, C. tiaur et
fècole de Tiibitmue.
Ir. fr., Paris; Strauss, Dos l.ebeit
Jesii. Tùb.; Der
alte iind tiene
GItinbe, Leipzig. Un parallelo
tra Strauss e Renan
si trova nei Vorlrdge
und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello
Zeller. Sul materialismo storico:
K. Marx. Dos Kapital,
Krilìb der itolitischeii
Oekoiwmie, ed. dalVEngels (Hamburg);
ifisère de la
pbilosopltie, Paris. ; F. Encels,
llerrn Kngen Dùhrings
Gmaitilzang der Wisiseiischnft, Stuttgart.
In proposito I.abriula, Saggi intorno
ulta concezione mnlerialislictt della,,
storia (3 v(dunii. Roma; (!.
Gentile. La /i/osoflo
di Murjc, Pisa; Croce.
Materialismo storico ed
economia marxista, Bari.
Sulla psicologia dei
po- pedi: Xeilschrift far
Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed.
da .\1 Lazahls
e H. Steinthal, Sul naturalismo:
BCchneh, KrafI and
Staff, Frankfurt a M..;
E. nu Bois
Reymond, Die sieben Weltrdihsel,
la:ipzig,: sono le
opere più significative. Inoltre:
Duhkixg, Cursus der
PliUosophie; Logik und
ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz; Th. Fechne;h.
Zend-Aiiesta, Leipzig; E. Hartmann,
Philosophie des Vnbeaaissten,
Berlin; Kalegorienlehre, Leipzig;
Drews, Das Ich als
Grand-problem der Metaphgsik,
Freiburg. Sul naturalismo
in genere, cfr.
.4. Lance, Histoire
da matèria- lisme, tr.
fr., Paris, Lotze: Mikrokosmos, Leipzig,
vedi; Logik, Leipzig;
Metaphgsik, Leipz.. Sul Lotze:
O. Caspari, //. L. in
seiner Slellang za
der durch Kant begriindeten
neaesten geschichte der
Pbilosophie Breslau; H. Schoen,
La métaphgsigue de
H. L., Paris; Wallace, Lectures
and Essags, Oxford (vi
si parla del
Lotze in appendice); R., La
filosofia dei valori
in Germania, Trani (estr. dalla
Critica). Laas, Idealismas und
Positivismus, Berlin, Schlppe,
Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, ;
(inindriss der
Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik,
Berlin. Rehmke, l.ehrhiich der
itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. Leipzig); Pliilosopbie
ah Griindiuhseiisfbafl, Leipzig:
organo della cosi
della illosolia del
dalo è la Xeitschrift fiir
immanente Philoxophie. Sulla teoria
degli oggelti. efr.
gli art. di
A. Meinono nella Xeitschrift fiir
Phil. tt. pliit.
Kritik; in particolare:
Veber die Stellung der
Geuenstandtheorie im Stistem
der IVi.s- senschaften. Cfr. inoltre
le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind
Psr/chologie, ed. dallo
stesso Mei- nong. Circa
roricnlanienlo generale della
dottrina, v. la relazione
delTHoFLER al Congresso
inlernazionale di
Psicologia, Roma: Sind
wir Psiicholoìiisten?. Per
l’empirio-criticismo: R. .Ave.narius,
l’hitosuphie ids Den- ken
der Welt gerndss
dem Prinzip der
kleinsten Kraft- masse. Prolegomenu
zìi einer Kritik
der reinen Erfahriing. Leipzig (Berlin);
Kritik der reinen
Erfahriing, 2 voli., Berlin;
Der menschiirhe Wetthegriff, Leipzig. SiiirAvenarius v.
il saggio del Wundt
in Philosophische Stiidien;
un articolo assai limpido
è quello del
Delacroix. A., in Renne
de métaph. et de
mor., Petzoi.dt, Einfiihrnng
in die Philosaphie
der reinen Erfahriing, Leipzig;
E. .Mach. Die
Prin- zipien der Mechanik
in ihrer Entinickeliing hislorisch- kritisch dargestellt,
Leipzig; Die Prinzipien
der Wàrnilehre
historisch-kritisch entinickelt, Leipzig; Die
Anaigse der Empfìndiingen, Jena,
Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig.
Cornelius, Einleiinng in die
Philosophie, Leipzig, Di
tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff,
è IL Hertz:
v. l’interessante
introduzione ai suoi
Prinzipien der .Mechanik,
Leipzig. Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et realité,
tr. fr.. Lille;
Esqiiisses de philosophie
cri- tiqiie, Paris. Recentemente H.
Vaihinokr, Die Phi¬ losophie
des Als Oh,
Berlin. Alb. Lance, Geschichle
des Mnte- rialismiis nnd
Kritik seiner Bedeiitnng
in der Gegenwart, Iserlohn, Leipzig);
O. Liebmann, Kant
nnd die Epigonen, Stuttgart;
Znr Analysis der
Wirklichkeil, Strassburg; A. Riehl,
Der philosophische
Kriticismiis und seine
liedeutung fiir die
positive Wis- senschdft, Leipzig.
Sul k.TnIismo
inatemalico-platonizzunte,
H. Cohen, Knnts Theorie
der Erfahrung, Berlin;
System der Phiiosophie: 1
parie: Logik der
reineii Erkennlniss. Berlin:
EtUik des reinen
Willens, Berlin; recentemente,
Aesthetik des reinen
Gefùhls, Berlin. Sul
Cohen v. il
recente fase, dei
Kantstudien, Natorp, Platos Ideenlehre,
Leipzig; Die logischen Grundlayen
der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, Cassirer,
SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin. Sulla lllosofla
dei valori, oltre
le opere del Lotze
cit.: C. Siuwart,
l.ogik, Tiibingen; Bergmann,
Reine Logik, Berlin,
Win- DEi.BANn, Reitrdge zur
Lehre vom negntiven
Vrteil (Slniss- hiirger Abhundliinyen
zur Philopophie E.
Zellers 70 Geburtstag,
Kreib. i. Br., ;
Prdiudien, Aufsatze und Heden
zur Einleituny in
die Phiiosophie, Freiburg
i-Br.; Vgm System
der Kategorien (Phitos, Abhandl.
C. Siywurt zu
seinem 70 Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen;
Veber Willensfreiheit, Tiibingen;
7,um Regriff des
Gesetzes (Rerirht iiber den
Intern. Congress
fiir Phit., Heidelberg). H. Rickert,
Der Gegenslund der
Erkennlniss, ein Hei- triig
zum Problem der
philos. Transsrendenz, Freiburg (Tiibingen); Zwei
Wege der Erkenninistheorie. In
proposito, v. il
cit. mio scritto:
L(t filos. dei
valori in Gemi,
Sullo storicismo, oltre
i saggi del
Windelbaiid: \\'. Dilthey,
Einleitung in die
Geistesuiissen- srhaflen,
Leipzig; P. Barth,
Die Phiiosophie der Geschichte als
Sociologie, Leipzig; G.
Simmel, Die Probleme der
Geschichtsphilosophie,
Leipzig; Rickert, Die
Grenzen der naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine
logische Einleitung in
die hislori- schen Wissenschaften, Freiburg
i-Br.; S. Hbs- SEN,
Individuelle Kausalitàt, Berlin,
Sulle scienze sociali: C.
Bolglé, Les Sciences
sociales en Allemagne, Paris, Simmel,
Einleitung in die
Moralwissen- schaften, Berlin; Phiiosophie
des Geldes, Stammleh, WirtschafI
und Rechi nach
der ma- terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle,
1896 (Leipzig); Die
Lehre von dem
richtigen Rechte, Berlin, Sul
movimento teologico: \. Ritschl,
Die christliche Lehre
oon der Rechfifertigung und
Versdhnung, Bonn; W. Hermann,
Die Religion In Verhàltnis
zum Welferkennen und
zur Sitllichkeit, Halle; sul
Ritschl e il
ritschlìanisnio, v. le
importanti osservazioni del
Boutroux, Science et
religion, Paris, Harnack,
L’essenza del Cristianesimo, tr. it.,
Torino, Sul neo-kantismo
in genere, v. la rivista
Kantstudien, che si va pubblicando
sotto la direzione del
Vaihinger e ora
anche del Bauch. Sulla
psicofisica, cfr. Th.
Ribot, La psgchologie allemande
conlemporaine, Paris. Sul
psicologismo cfr.; Husserl,
Logische l'ntersucliungen, Halle;
F. Brentano, Psgchologie
vcm empirischen Standpunkte, Leipz. (il
secondo volume, preannunziato, non è
stato poi pubblicato).
Th Lipps, Grundtatsacben des
Seelenlehens, Bonn;
Leitfaden der Psgchologie,
Leipzig; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz,
Ehrenfels, Sgstem der Wertlheorie,
I: Allgemeine Wert- Iheorie. Psgchologie
des Begehrens; II:
Grttndzilge einer Ethik, Leipzig.
Intorno a questa
dottrina, cfr. Orestano,
Valori umani, Torino, Wundt, Sgstem
der Phitosophie, Leipzig; Einleitung
in die Phitosophie,
Leipzig, Paulsen, Einleitung
in die Philo- sophie, Berlin;
Sgstem der Ethik,
Berlin, Bergmann, .Sgstem des
objectioen Idea- lismus, Marburg,
Sul naturalismo: E.
Haeckel, A'aturliche
.Schopfungsgeschichte, Berlin;
Die Weltràthsel, Bonn;
VV. Ostwald, Vorle- sungen
ilber Naturphilosophie, Leipzig,
Busse. Geist und
Kórper, Seele und
Leib, Leipzig, Nietzsche,
Die Geburt der
Tragodie aus dem
Geiste der Mgstik, Leipzig;
Als sprach Zarathustra,
Chem- nitz, Leipz., 1891;
Jenseits uon Gut
und Róse, Leipzig, Sul
Nietzsche cfr. il
saggio del Berthelot, pubblicato nel
volume: Éuolutionnisme et
Platonisme, Paris, Sulla metafisica
del Irasccndentc: R. Eucken,
Geschichte und Kritik
der Grundbegri/fe der
Ge- genwart, Leipzig, pubblicato
per la terza
volta col nuovo
titolo: Geistige Stromungen
der Geyen- G. R..
La filosofia contemporanea. wart,
Leipzig; Der Kampf
um einen geisligen
Lebensinhalt, Leipz.; Ln visione
della vita nei
grandi pensatori. Ir. il., Torino;
J. Volkelt, Erfahrung
and DenUen, Hamburg iind
l.eipzig; Th, Lippe,
Naturphilosophie (in; Die Philosophie
in Beginn des
zwanzigsten Jahrhun- dert. ed.
dal Windelband, Heidelberg:
manca nella 1* ediz.);
J. Cohn, Allgemeine
Aesthetik, Leipzig; Vo- raussetzungen and
Ziele des Erkennens,
Leipzig, MCnsterbero, Philosophie
der Werle, Leipzig,
LA FILOSOFIA FRANCESE. Damiroji, Essai
sur la philosophie
en France, Paris;
H. Taine, Les
philosophes frangais, Paris: F-
Ravaisson, La philosophie
en France, Paris, Boutroux La
philosophie en France
depuis 1867 (3°
Congresso in- ternaz. di
flios., Heidelberg). Cfr.
inoltre VAnnée philo- sophique. ed.
dal Pillon, e la Revue
de métaphsique et de
morale, ed. dal
Léon. Sull’eclettismo: V. CousiN,
Fragments philosophiques,
Paris: del Joifproy
il la¬ voro più
importante e significativo
è la Préface
à la tra- duction
des esqttisses de
phil. morale de
Dugald Stewart, Paris; Ad.
Garnier, Traité des
facultés de Vàme, 3
voli., Paris, 1852;
Ch. de Rémusat,
Essai de philosophie Paris, Sulle
dottrine biologiche della
scuola eclettica c’è un’ampia
rassegna del Saisset,
L àme et le
corps (in Revue
des deux Mondes).
Cfr. intorno
all’eclettismo in generale
il mio scrilterello: L’eclettismo francese
{Rivista di filosofia). —
Sul positivismo: A. Coiute, Cours de
philosophie. positive, Paris;
E. LittrA. A.
Comte et SI. Miti,
Paris, 1866; La
Science au point
de ime phiio- sophique, Paris;
A. Cournot, Essai
sur les fonde- menls
jfe nos connaissances, Paris;
I raité de i’enchainement des idées fondamentales
dans les Sciences et
dans l’histoire, nuova
ediz. a cura
di L. Lévy-Bruhl, Paris;
H. Taire, De V
Intelligence, Paris Sulla metafisica
positiveggiante. E. Vache-
ROT, La
métaphysique et la
Science, 2 voli.,
Paris, Sui nuovo spiritualismo: F.
Ravaisson, La phil.
en Frutice oìt.; P.
.Ianet, l.es cuiises
fìnales, Paris; Princiiies de
métaphysiqtie et de
psycologie, in 2
voli., Paris: c una
raccolta di lezioni
universitarie, inte¬ ressante per
valutare la mentalità
di questo indirizzo. E. Vacherot,
Le nouveau spiritiialisnie, Paris.
Cfr in proposito il
mio articolo; Il
nuovo spiritualismo fran¬ cese
iliivista di filosofìa).
Per la filosofia della libertà:
Ch. SéCBETAX. La
philosophie de la
liberlé, Paris. L’articolo di
P. Janct sul
Sé- cretan, a cui
si allude nel
testo, fu pubblicato
nella Renile des deux
Mondes ristampato, con una
risposta del Séeretan,
nel voi. cit.
del J.: Psych. et
inétaph. Sul fenomenismo: Cn.
Renoi'VIEH. Es- sais de crilique
générale: 1. Logiqiie,
Paris. Psgchotogie
rationelle, Paris; IH.
Princ.ipes de la
nature, Paris; Inlroduclion à
la philosophie ana- lytique
de l'histoire, Paris;
La nouvelle mo¬ nadologie
(in collaboraz. con L.
Prat), Paris; Le personalisme, Paris.
Cfr. inoltre VAnnée
philoso- phiqiie, ed. dal
Pillon. dove sono
raccolti molti articoli del
Renouvier e dei
suoi seguaci.- — J. .1. (ìolrd.
Le phénomène, Paris;
Les trois dialectiques
IReniie de mét. et
de mor.; Philosophie de la
religion, Paris, Boirac,
L'idée dii phénoméne, Paris, Lachelieb,
Dii fondement de
l'in- diiclion. Illùse de
doctorat, Paris; Psychologie
et métaphysique, in Rev.
pliilos. Questo saggio è stato
poi ristampato in
appendice alla ediz. del
Fon- deni. de l'induct.;
Kssngs on some
unsettled Questions of
Politicai Economo, Lond., : importante il
saggio V, dove si parla
della dottrina della definizione. Bradley, The
Principles of Logic,
Lond.; Bosanquet, Logic
or thè Morphology
of Knowledge, Oxford;
Baldwtn, Thought and Things: A
stiidg of thè
deiielopment and meaning
of thought or Genetic
Logic, London. Sulla psicologia
dell’empirismo: Tu. Ribot. La
psgchologie anglaise. Paris. Sull’etica: Mill. Utilitarianism,
Lond., dal Frasers Magazine; Spencer,
Data of Ethics.
Cfr. Guyau, La
morate anglaise “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer, First
Principles, Lond. Sullo Spencer
cfr. O. Gaupp,
Spencer, Stuttgart. Sulla
dottrina della scienza: Maxwell, Discourse on
moleculs Scientiflc Papers,
ed. Niven: Matter and motion,
London; Clifforb, Lectures
and Essags, London. Sul
prammatismo: Peyrcb, How
lo make our
ideas clear (thè Popular
Science Monthly; James,
Principles of Psychologu,
Boston; Will lo
belieue, New-York, Grice: “He
willed that he was an Englishman; he failed!” ;
The narieties of
Religious Experience, New-ork
and London; Pragmatism: A
new nome for some
old ways of
thinking, New-York; Dewey, Studies
in logicai Theory,
Chicago. Per la letteratura
sul prammatismo, cfr.
il Journal of
Philosophy, Psycology and
Scientiflc Methods, ed.
da Woodbridge. Per
l’umanismo, cfr. Schiller, Études sur l humanisme,
trad. fr., Paris. Sulla LOGISTICA: Russell,
The principles of
mathematics, Cambridge; L. Couturat, Les
principes des mafhématiques, Paris; Hodgson, Time
and Space, Lond.; The
Methaphysic of Experiencei, Lond. Quest’opera non
è a nostra
conoscenza diretta, ma
ne abbiamo avuto
notizia da due
articoli, l’uno di
Sarlo, La metafìsica
dell'esperienza delTHodgson,
Riuista fllosoflca; l’altro
di Dauriac, in L’année
philosophique. SulThegelismo inglese: Stirling, The secret
of Hegel, Lond.; Wallace, Introduction
to thè sludy
of Hegel's Hhilosophy
Oxford; E. Caibd,
Hegel (Blackwood’s Phil.
Classic,) Edinb.-Lond.; Baillie.
The oriyin and significance of
Hegel’s Logik, London;
J. MacTaooart, Studies
in thè hegelian
dialfclic, Cambridge; Studies
in hegelian cosmology,
Cambridge. Di Green, cfr. Introduction to
Hume's Treatise on Human
Nature (nell’ediz. delle opere
di Hume. a cura
del Green e
del Grose, Lond.;
Prolegomena to ethics, ed.
da Bradley, Oxford.
Sul Green, PARODI, Vidéalisme
de J. H. G., in lìev.
de métaph. et de
mor. Bradley, Appearance and Realily.
d Methaphysical Essay,
London. Intorno alla fìlosofla
della religione cfr. .Newman, Ari essay
in nid of
a Grommar of
assent, Lond.; l.e dèueloppement du
dogme chrétien par
Breinond, Paris. L’autobiografla del
N. è stata
tradotta col titolo:
Il cardinale Newman,
Piacenza; Tyrrel, La religion
exterieure, tr. fr., Paris; Cairo,
The euolution of
Religion, Gifford Lec- tures,
Glasgow, Wallace, Lectures
and Essays on
Naturai Theology and
Ethics edito postumo dal
Caird, con una
biografia), Oxford. Baillie, An
outline of thè
idealistic construction of
Experience, London. Wabd, Natura- lism
and agnosticism, London; The renlm of
ends, or Pluralism
and Theism, Cambridge; Rovce, The
spirit of Modem
Philosophy, Boston; The
world and thè
indinidual, New-York, LA FILOSOFIA
ITALIANA. Spaventa,
La filosofia italiana
nelle sue relazioni
con la filosofia europea, Bari; Fiorentino, La
filosofia in Italia,
Napoli; G. Gentile,
La filosofia in Italia, pubblicata uella
l» serie della Critica. Un
ricco materiale di
recensioni, varietà, documenti
si trova ne
La Critica, Rivista
di Letteratura, Storia e
Filosofia, diretta da
Croce. Sul Rinascimento: Spaventa,
Saqgi di crilica, Napoli; Gentile, TELESIO,
Bari, e Storia della
filosofia italiana (Vallardi, Milano); Fazio
Allmaybh, Galilei nella
collezione del Sandron:
I grandi Pensatori), Palermo. Sulla posizione
storica di MACHIAVELLI non
è stata aggiunta
ancora una sola
linea a quanto ha
detto Sanctis nella
sua Storia della
letteratura italiana. Di BRUNO v.
la recente edizione
dei Dialoghi italiani cur. Gentile:
I. Dialoghi metafisici,
Bari; Dialoghi morali,
Bari, nella Collana di Classici
della filosofia moderna,
cur. Croce e Gentile).
Su BRUNO, v.
Spaventa, Saggi di critica,
cit.; inoltre La
fìlos. ital. nelle
sue relaz. ecc.,
e Gentile, G. fì.
nella storia della
cultura, Palermo. Intorno a CAMPANELLA,
v. le due
opere testé citate
di SPAVENTA. Fondamentale
è il saggio
d’AMABILE, La congiura, il
processo e la
follia di CAMPANELLA, Napoli, Morano,
e Campanella nei
castelli di Napoli, in
Roma e in
Parigi. Su GALILEI, cfr.
il volume cit. di Fazio. Di
Vico si va
curando una nuova
edizione completa delle
opere nella collezione del
Laterza Scrittori d'Italia.
Nei Classici della Filosofia
moderna è stata
testé pubblicata, a cura
di Nicolini, una
edizione della Scienza
Nuova, con ampie annotazioni
e un’importante prefazione.
Su Vico cfr. Spaventa, La
filos. ital. cit.; SANCTIS,
St. della letter.
it.] recentemente, Croce,
La filosofia di Vico,
Bari, e G.
Gentile, La prima
fase della filosofia di
Vico nella Miscellanea
di studi in
onore di F. Torraca,
Napoli. Di GALLUPPI, cfr.: Saggio filosofico sulla
critiou della conoscenza,
Napoli. Vari accenni a Galluppi
si trovano nelle
opere di Spaventa;
v. inoltre: Gentile,
Da Genovesi a
Galluppi, Napoli. A. Rosmini-Serbati, Nuovo
Saggio sull’origine delle idee,
Roma. Intorno a R.:
V. Gioberti, Degli
errori filosofici di Serbati,
Bruxelles; Spaventa, Scritti
filosofici, ed. dal Gentile,
Napoli; Gentile, Rosmini
e Gioberti, Pisa. Del
Gioberti si può
vedere La Nuova Protologia, curata
dal Gentile., Bari, nella
Collana di Classici
della filos., ecc.).
Cfr. inoltre: Spaventa,
Im filosofia di
Gioberti, Napoli; La
filos. ital. ecc.; inoltre
il saggio cit. di Gentile,
R. e ROVERE, Del
Rinnovamento della filosofia
in Italia, Parigi;
Confessioni di un
metafisico, Firenze; Ferri,
Essai sur l'histoire
de la philosophie en Italie, Paris;
Il fenomeno sensibile
e la percezione
esteriore, ossia i fondamenti
del realismo, Lincei; Bf.htini, Idea
di una filosofia
della vita, Torino,
Ferrari, La filosofia
della rivoluzione, Londra. Sul
positivismo: Cattaneo, Opere edite
e inedite, Firenze;
P. Villari, Arte, Storia,
Filosofia, Firenze; Gabelli,
L’uomo e le scienze
morali, Milano; Angiulli,
La filosofia e la
ricerca positiva, Napoli;
La filosofia e
la scuola, Napoli; Ardigò,
Opere filosofiche. SuIl’A. cfr.: Marchesini, La
vita e il
pensiero d’Ardigò, Milano. Organo del
positivismo, dal è la
Rivista di filosofia
scientifica, edita da
Morselli. Cfr. inoltre la
Rivista di filosofia
e scienze affini,
editV da uno scolaro
d’Ardigò, iMarchesini. Questa
rivista s’è fusa con
la Rivista filosofica
di Cantoni in una
Rivista di Filosofia
ed ha assunto
un indirizzo eclettico. Intorno alla
filosofia dualistica: Bonatelli, Pensiero e
conoscenza, Bologna; Percezione
e Pensiero, Atti del
R. Istituto veneto
di scienze, lettere
ed arti. Cantoni. Kant,
La filosofia teoretica-,
La filosofìa pratica;
La filosofia religiosa,
la critica del
giudizio e le
dottrine minori, .Milano, Acri,
Videmus in aenigmate,
Bologna. Sarlo, Studi sulla
filosofia, Roma; I dati
dell’esperienza psichica, Firenze;
inoltre vari articoli
pubblicati nella Cultura filosofica
da lui diretta.
B. Vahisco, Scienza
e opinioni, Roma; I massimi
problemi, Milano. Recentemente V'arisco
ha pubblicato un
altro volume: Conosci te
stesso, Milano, di
cui abbiamo parlato neH’Appendice. Sul
kantismo: Fiorentino, ELEENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA
GENTILE, NAPOLI; Masci, Una
polemica su Kant,
l’Estetica trascendentale, e le
Antinomie, Napoli; Le
forme dell’intuizione,
Chieti; Il materialismo
psicofisico e la dottrina
del parallelismo in
psicologia, Napoli;
Martinetti, Introduzione alla
metafisica, Torino, Suirhegelismo: Vera. Iniroduction à
la philosophie de
Hegel. Paris; La
logique de Hegel, Paris; Spaventa, La
filosofia di Gioberti.
Napoli; Saggi di critica
filosofica, politica, religiosa, Napoli; Esperienza
e metafisica, cur. Jaia,
Torino-Roma; Scritti filosofici,
con note e
un discorso sulla
vita e sulle opere
dell’Autore, cur. di
Gentile, Napoli; Principi
di etica, cur. Gentile,
Napoli; Da Socrate
a Hegel, nuovi
saggi, cur. Gentile, Bari;
La filosofia italiana
nelle sue relazioni con
la filosofia europea,
cur. di Gentile,
Bari; Logica e
metafisica, cur. Gentile,
Bari. _ Della Storia della
letteratura italiana di
Sanctis è stata
fatta testé una
nuova edizione cur. Croce
nella Collana Scrittori
d'Italia. Sul marxismo: Labriola,
Saggi intorno alla
concezione materialistica
della storia: In
memoria del manifesto
dei comunisti, Roma: Del
materialismo storico. Dilucidazione
preliminare, Roma: Discorrendo
di socialismo e di
filosofia. Roma; Croce. Materialismo storico
ed economia marxistica,
Palermo. Di Croce cfr.:
La filosofia dello Spirito. Estetica,
come scienza dell’ESPRESSIONE e linguistica
generale, Palermo, Bari;
Logica come scienza del
concetto puro, Bari; Filosofia della Pratica. Economica
ed etica, Bari;
Saggi filosofici: Problemi
di estetica e
contributi alla storia
dell’este¬ tica italiana, Bari,
La filosofia di Vico, Bari; v.
inoltre la Critica,
cit. Intorno a
questa rivista sono
sorte due collane
di testi: Classici
della filosofia moderna,
e Filosofi d’Italia, per l’editore Laterza
di Bari. Di G. Gentile,
oltre gli articoli
che va pubblicando in
Critica, cfr.: Rosmini
e Gioberti, Pisa;
Il concetto scientifico
della pedagogia, Roma; Dal
Genovesi al Galluppi,
Napoli; Il concetto
della Storia della filosofia,
Pavia dalla Rivista filosofica; Il modernismo
e i rapporti
tra religione e
filosofia, Bari; L’atto
del pensare come
atto puro, Palermo, Annuario della
biblioteca filosofica. Rimando all’Appendice
per la rassegna
bibliografica degli scritti.
NOTA BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel testo
abbiamo generalmente rispettato
la cronologia: ma
evidentemente, dove si
parla di filosofi contemporanei, è
il criterio dell’esigenza
di pensiero che essi
rappresentano quello che
decide del posto che
spetta a ciascuno.
Lo stesso criterio
vale per ciò che
concerne i vari
periodi dell’attività fllosoflca
di uno stesso pensatore. Guido
De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana,
Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo
lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo
in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo
veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale
di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore.
Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis
palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome
theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le
necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della
cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente
rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con
stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo
alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei
nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire,
Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo
della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che
alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A
memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO]
O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT
MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti
economiche. Ri-pristina la mensa
episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la
confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei
sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio
di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la
lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI
ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS
QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS
D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA
EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria
Elisabetta al Lido di Venezia. R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia
della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite
intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Corner, Notizie storiche delle chiese e
monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud
Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi,
Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo,
Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis
Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords:
“Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem
Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco
e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la scuola di Meda -- filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Meda). Filosofo
italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino. “La
teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi:
“Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”;
“Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in
cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza
e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia –
lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani
si battono” (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo”
(Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta”
(Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi.
Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God
save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rustico: la
ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches
him, amongst other things, the importance of both character development and
careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the
name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the
trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He
didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he
should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was
he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.
Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi
sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia
meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Belmonte Castello, Frosinone,
Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in
armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium);
“Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo
e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari);
“Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia
nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero
Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e
la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il
concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la
missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.
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