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Wednesday, December 25, 2024

GRICE ITALO A-Z P PA

 

Grice e Pagano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofi agiustiziati – la scuola di Brienza -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Brienza). Filosofo italiano. Brienza, Potenza, Basilicata. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo, oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica napoletana del diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli". Nato da una famiglia di notai,  si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il  rivoluzionario Galdi.  La libertà è la facoltà di ogni uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico. Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della Repubblica, quando il generale  Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica. Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare P,, il più grande filosofo di oggi. E giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri repubblicani come  Cirillo,  Pigliacelli e  Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione, Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui personalmente redatto.  Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani. Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di Gensani in grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico” (Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi); “Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia” (Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia” (Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de' probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj del codice di polizia” (Napoli, Raffaele). Le opere teatrali  non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.  Intitolazioni e dediche  Statua di P. a Brienza. Al giurista lucano sono state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei trattenimenti a forma di dialoghi di Astore e P., ovvero, della immortalità di ROVERE Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale P. di Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza penalistica; Giannini, Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida; Gorini, Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace, Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Kluwer Italia, Addio, Le Costituzioni italiane: Colombo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Cilibrizzi, I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni, Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, Angeli, Carlo Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione di P., Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito, il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli, Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, Venturi, Illuministi italiani, Riformatori napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani giustiziati  Deo. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana, su repubblica napoletana. Principii del codice penale, su trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su P., dsu trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. De' progresivi avanzmenti della sovranità per mezzo de’ giudizi. Del maggior estabilimento de' giudizi. Pruove storiche. Preso de' Creci giudica della Socieeta. Del duello. Degl’altri modi aduprati ne’ divinigiu dizj. Della Fortura. Prüove storiche. Coltura inquest 'ultimo periodo della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del miglioramento del costume, dello Spirito, e delle 79 quanto elle conferial miglioramento del costume ca, e della origine del commercio,  di antichitd LINGUE de’ popoli. De’ giudizj degli’aprichi Germani, e de' Scioglimento di una opposizione alleco Se dette. De principi della giurisprudenza de'bar De divini giudizj. Nuova explicaziure di un famoso puntu della legislazione di questi tempi, dello stato delle proprietà , e dell'agri. Dell;origine dell'ospitalitita, e come, delle arti e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età  della religione. de principi e progressi delle società colte. L'estinzione della indipendenza privata , la liberta civile, la moderazione del governo formano l'esenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe, e de' suoi drit 'ti. Delle varie cagioni, dalle quali nascono gono dalla varia modificazione della macchina.  De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore Ea lerge non frena la libertà, mala garantisce e la difende  vi e polite.  i diversi governi , e primieramente delle interne. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali, che sul diverso governo hanno influenza, Del clima. diversi. Del rapporto della società colle potenze straniere; della libertà, e delle cagioni , che la tolgono; come la legge civile pofanuocere alla De'diversi elementi della Citta. Della legge universale, e dell'ordine cosi fisico, come morale. Come le forze, ed operazioni morali for. Come secondo i varj climi nascono governi libertà, inducendo la servitù. Della liberta politica. Delle due proprietà di ogni moderato, Del dritto scritto, delle leggie giu e regolar governo risprudenza de' colti popoli,  La moltiplicazione degli uomini è maggiore negli stati guerrieri, che ne'commer. del gusto e delle belle arti, del piacevole. Del rafinamento del gusto,de varj fonti del piacere. Delle leggi agrarie dell'antiche republiche. Della galanteria de popoli colti. Della galanteria de barbaritempi. Delle arti di lullo de’ populi politi, Dela monetate dele Finanze, dell'oggetto delle belle arti, e del gusto, dell'ingegno creatore, delloSpirito, e costume delle colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Quali governi fieno per loro natura guerrieri, equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti imitative. L'unit. forma e la bontd , e la bellezza degl’elleri. Proprieta. bliche, e della violentari partizione de poderi. Di due generi di stati o'conquistatori, o commercianti, di unterzogenere distato nè. com , Divisione delle belle arti. De' contrasti, opposizione, antitesi, Del dilicato, del forte, del sublime, dela delle grazie , e dell'interesse sempre vivo, decadenza delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle , cive dello sfibramento della macchina dell'uomo, e delle zioni dalla prima, e del novello stato selvaggio. Generale prospetto della storia del regno. Del progresso e perfezione delle belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia, conseguenze morali; della corruzione de' regolari governi, la quile rimena la barbarie. La grandezza ne' popoli colti ne'barbari, la dilicatezza, e sublimitd è maggiore. Delle Scienze , e delle arti delle nazioni corrotte. Divisone dal dispotismo; della decadenza delle anzioni; delle universali cagioni della decadenza. Diversità della seconda barbarie delle na; del corso delle nazioni di Europa. Dell 'inondazione de'barbari, e delri Jorgimeuto dell'europea costura. Le note segnate colle pa Dello ftata degl’uomini, che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura . liare . Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varii doveri, e dritti de'compagni, coloni, Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della vita selvaggia, delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio motore degli uomini al vivere. Delle due specie de' bisognififci, emorali. Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà, dell'incremento delle famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor classi. fervi. Del quarto stato della vita selvaggia.  re Società . Della domestica religione di ciascuna famiglia, Dell'origine dell'anzidetta religion domestica; Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita selvago.  Degli affidati, e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tra compagnoni de’ Germani , fooj de Greci, e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'impero domestico ficonrinnòneleprime barba, dell'antropofagia y o fia del pasto delle carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi, de'costumi de'selvaggi, Del secondo periodo delle barbare nazioni.  e di coloro, che  ghi .  ins 116 se de'pa V. blici militari consigli, dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società. conviti . Chene'tempi degli Dei fi tennero iprimi pub, della teocrazia, dello stato della religione del le prime società, dell'influenza della religione in tutti gli affari de'barbari. la componevano.  Del primo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile , ossia dell'origine de vichi. Dell'origine de' tempj, é di'pubblici, ésacri Della sovranità della concione, i20 СА. Dell idee degli antichi intorno allamonar·  Della forma della romana repubblica nel secondo, del governo de primi greci, de'costumi, del genio di questa età, e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti. Saggio. Dell’origine e stabilimento Dello stabilimento delle città e del primo period, Che ne'tempii degli Dei si tennero i primi pubblicimilitariconsigli, della teocrazia, dello stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale di tutte le barbare 'nazioni, della sovranità della concione e di coloro che la Del governo de’ primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi. Continuazione de costumi di questa età della so, Del progresso delle barbare società : del terzo ed ultimo loro periodo. De’ progressivi avanzamenti della sovranitàper mezzo bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere. Del duellil degli’altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del miglioramento del costume, DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio . De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine dell'ospitalità, e come e quanto ella Della tortura Della religione o dest civile, la moderazione del governo formano l'essenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni, e primieramente delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno influenza. Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore. Secondo i vari climi nascono governi diversi. Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge , e della legge civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę straniere me morale, Della libertà politica. Della giusta ripartizione delle possession. Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer. Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore. Partizione della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze   Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni  Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia. Del metodo che si tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto.  Le barbare nazioni tutte son di continuo in una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca de primi poeti , Della maniera di favellar per tropi , allegorie e caratteri generici; ANALISI DI ALQUANTE VOCI LATINE le quali fu rono traportate dalle prime sensibili nozioni a rap  Della personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co  Ricapitolamento di ciò che si è detto  presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria, ossia un'istoria. rica dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura. Dalle vive fantasie de'selvaggi lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e gene. Dell'origine della pantomimica , del ballo e della Dell ll'origine delle feste. Commedia , tragedia , satira , ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del gusto. Della nascita della tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi. Del dilicato, del forte, del sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli   Decadenza delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella moderna Continuazione. Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente  De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj. De principj della giurisprudenza di barbari. Del Duello  Degli altrimodi ad opratine' d'ùinigiudizj. Della Tortura . Della legislazione di questi tempi. Dello stato della proprietà, e dell agricoltura in; Dello sviluppo della macchina, & del migliora; il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere. 20 94 iebare Delle variecagioni dalle quali nascono i diversi governi, e primi eraniente dell"interne. Della educazione rà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale coltura delle nazioni; Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazioni morali sorgono dala Come modificazione dellamacchina. la varia lore i ed al vas P. X. Secondo i varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della libertà civile . Della libertà politica.  Del clima . De climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile . Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale, Della legge relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto della società colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la tolgono, Quali governi sieno per lor natura guerrieri ,e quali commercianti , Della passione dell'amore de popolicolti. Delle varie funzioni della sovranità , e delle varie forme degli stati. Di due generi distari, o conquistatori, o coma mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore. La moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne commercianti. Partizione della legge civile , qualità delle Lego gi. Dellagiust:ripartizionedelepossessioni. Dello leggiagrarie dell'antiche repubbliche, e del la varia ripartizione de'poderi. Leggi , ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle Finanze. Dello spirito e costume delle colte nazioni.  Della galanteria de tempi Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi , e carattere delle nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima, è del novello stato selvaggio , Del civile corso delle nazioni di Europa . Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» De 'Caldei. strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà successione di varie fisiche vicende  Del disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi  Delle morali cagioni attribuite dagli uomini igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco -- continuazione dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce Della verosimiglianza del proposto sistema.   VIantichissime nazioni orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero della terra e degli uomini , e delle varie mutazioni sulla terra avvenute »Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora. Dello spirito delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142 ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano , ·religione   Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo 1°Atlantica catastrofe Del diluvio di Ogige , e di Deucalione Delle morali cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle famiglie, o dell'origine della  Pag. 5 della natura .  yole .Del primo stato della vita selvaggia. Del secondo stato della vita selvaggiaDelle due specie de' bisogni fisici , e morali . nobiltà.   Dell'incremento dele famiglie, e dell'origine defa Dei varjdoveri, ediritti de’ compagni, coloni, eservi. Degli affidati, e de vassalli della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci, eicavalierierranti degliultimi barbari tempi. Del quarto stato della vita selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare  Dell'anıropofagia, o sia delpasto delle carni umane . Ricapitolazione de diversistatidellavitaselvaggia.moli , e delle varie ior classi.  Della religione de' selvaggi . Della domestica religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion domestica.  e ' . società . De costumi de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia dell'origine de'vichi,ede'paghi. Dello stabilimento delle città , e del primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni Dell'origine de tempj , e de'pubblici , e sacri con. viti. Chene tempjdegli Deisitenneroiprimi pubblicimi Dello stato della religione delle prime società . Dell influenza della religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione , o di coloro , che la componevano.  Del governo de primi Greci , litari consigli. Della Teocrazia. bari barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla monarchia; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo periodo della barbarie, Del governo feudale di tutte le barbare nazioni. Di costuini, del genio di questa età, e della trasmi Continuazione de’ costumi di questa età della società; Dell'arti, e cognizioni di questa età; del dritto della proprietd;  Della sorgente de dritti in generale, e di quello della proprieta; Del progresso della proprietd, e dell'ori De’ costumi, del genio di questa età, e del  Delle arri, e cognizioni di questa; Del progresso delle barbare società, ossia del terzo; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo -- Parlando LIVIO (si veda) dell'elezione, che dove a farsi del re per LA MORTE DI ROMOLO (si veda), adopra sì, fatta espressione. Summa potestate populo perinissa. E soggiunge. Decreverunt enim (Senatores), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset si patres auctores fierent. Quindi tu convocata la concione, e VENNE ELETTO NUMA (si veda). E l'istesso autore dell' elezione di Tullo Ostilio dice: regem populus jussit, patres auctores facti. I senatori fiebant auctures. Perchè tutte le cose prima eran proposte nel SENATO, indi alla concione recate. Auctor è l'inventore, il proponitore , il principio , ed origine della cosa .periodo della barbarie. Questi furono i QUIRITI, cioè gl’armati di asta : avvegnachè, come gl’altri popoli barbari uella concione, ne’ comizi on differente affatto dal regno eroico è il governo de’ primi ROMANI. ll re ad un SENATO prese deva, e con senatori prende le deliberazioni, le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano la sanzione di legge. Il POTERE de' primi re di Roma è  LIMITATO così -- come quello di tutti i riegnanti de' tempi eroici. La sovrana dello stato era la concione, che compone sida que' capi delle tribù e delle curie, i quali sono detti decuriones e tribuni, che, uniti, votano per le di loro curie, e tribù, come ne'parlamenti nostri I baroni rappresentano le di loro terre , e città. E serva, E tal antico costume VIRGILIO (si veda) dipinge negl’eroici compagni d'ENEA (si veda). DVCTORES TEVCRIM PRIMI ET DELECTA IVVENTVS CONSILIVM SVMMIS REGNI DE REBVS HABEBANT SCANT LONGIS ADNIXI HASTIS ET SCULA TENENTES -- e poi per varj gradi , e dopo molto correr di tempo alla libertà pervenne, e tardi assai acquista il diritto alla magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume medesimo de’ greci. Ed è questo un generale costume di tutte le barbare genti adoprato nelle generali assemblee. Perché i barbari, temendo ognora le sorprese de’ nemici, stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza personale, anche tra’ cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto, TACITO de' Germani: ut turbae placuit, considunt armati. Tum ad negotia, nec minus suepe ad convivia procedunt armari – LIVIO 1. De’ Galli dice, In his nova, terribilisque species visa est, quod armati -- ila mos gentis --  in concilium venerunt, OVIDIO (si veda) ci attesta l'istesso de' Sarmati, degl’Umbrici STOBEO (si veda) radunavansi que' capi coll'ASTA alla mano, la quale portano per SIMBOLO del loro impero, non che per la propria difesa. La plebe è tanto serva in ROMA quanto presso i germani, i galli, i greci. La plebe non ha parte nella concione. Questo argomento è dal nostro gran VICO (si veda) ampiamente trattato. VICO sviluppa l'intero sistema del governo romano, e dispiegando il corso della storia di quel popolo dimostra che per gran tempo in Roma la plebe è dell'intutto ser affrancata, poi consegui il bonitario dominio, cioè l'utile, e dipendente dal diretto, che i nobili possedeno. Quindi fa acquisto del perfetto e compiuto dominio, detto QUIRITARIO, perchè è pria de' soli quiriti, ossia de’ PATRIZJ e NOBILI ROMANI; e finalmente ha voto nell'assemblea, e partecipe divenne della REPUBBLICA, CHE DA RIGIDA ARISTOCRAZIA IN POPOLARE ALLA FIN SI CANGIA. Come nel prin [Populus de’ Latini valse da principio , quanto “laos” de' Greci, che significa una tribù, una popolazione. Quindecim liberi homines populus est. Apuleius in Apol. E GIULIO CESARE dice nel de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto non stetit. Ove dinota “populus”, popolazione, tribù. Ma se “populus” da principio dinota una speciale popolazione, e tribù, nel progresso si prende tal voce per la radunanza di tutte le tribù, che componeno la città. Ma venneno rappresentate queste tribù da’ capi detti tribuni, nome che resta per dinotare militari magistrati, come tribuni milia Eum. Ma prima significa anche i civili, cio è i giudici, onde “tribunal” si dice il luogo ove amministravasi giustizia. I Latini filosofi, che vennero in tempo, che ogni orma dell' antico stato e si perdut , ed e si colle cose cambiato il vampulus trasse il nome da “populus” pioppo . Perocchè questa popolazione radunasi sotto di un pioppo quando di comune interesse trattasi, secondochè in alcune terre del regno ancor oggi si usa, quando parlamentasi. E tal costume di radunare sotto degl’alberi il popolo è ben antico, e secondo la semplicità delle prime genti. Ateneo scrive che sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e decidevano le liti. E per avventura pocinio la plebe puo avere il diritto di suffragio ne’ comizj, non avendo proprietà nè reale, nè personale. Tale è il corso che fa la romana repubblica, come quel valentuomo dimostra, non dissimile da quelle dell'altre barbare nazioni. Egli è però vero che un'intempestiva tirannide turbo per poco il corso regolare di quella città. I re presero in Roma sin dall'albore de’ suoi giorni vantaggio “grandissimo su gl’altri prenci, e capi. Il popolo romano e più tosto un esercito, e la città un campo, e un militare alloggiamento, quella feroce, e marziale gente e sempre in guerra, e, come il lupo, verace emblema del suo genio nativo nutrivasi di sangue e distruzione. Or se come ben anche Aristotile osserva parlando degl’eroici regni, era nella guerra maggiore il poter del re presso tutte le barbare nazioni, meraviglianonè, se il capitan dell'armi, il duce della guerra, il usurpato una straordinaria potenza in Roma. Il potere esecutivo sempre ne’ empi di guerra, come il mare nelle tempeste diffondesi sulla terra, guada gpa sul poter legislativo. Ma i re di Roma sforniti di straniera milizia in vanu tentarono ritenere colla  re lor delle parole, ricevendo la tradizione, che il popolo ne' cominciamenti di quella repubblica nell'assemblea radunato dispone della pubbliche cose, s'ingannarono credendo che la plebe ben anche quivi votasse. Nella Scienza Nuova avesse forza quel potere, che avean acquistato coll’autorità. Vennero discacciati da quella repubblica, ed ella ben tosto ri-entra nel suo ordinario cammino. De’ giudizj nel secondo periodo della barbarie di Roma. Le due ispezioni della publica asemblea sono in Roma in questa epoca della barbarie la guerra esterna e la persecuzione de’ ribelli cittadini. Ma le cose private, la personal difesa, la particolar vendetta venne per anche ai privati affidata. L'impero domestico conserva il suo vigore. I feroci padri di famiglia non cedeno ancora la di loro sovrana e regia autorità, se non per quella parte che rimira la pubblica difesa, onde venne composto l'unico sociale legame. Ma rimane intatta, ed illesa la di loro sovranità riguardo alle loro famiglie, e alla privata difesa ed offesa. Viveno ancora nello stato di privata guerra. Il ferro decide delle loro contese, e col privato braccio prenden rendetta delle private offese. Il popolo dunque, che radunasi in Roma in quest'età nell'assemblea,  è quella popolazione, o truppa de’ servi, clienti, e compagni guidata dal suo capo, e il voto suo è quello del suo signore che dove sostenere, e difendere, ubbidire, e seguir nella guerra, da cui non forma persona diversa secondo le cose già dimostrate. Niun'altra nazione ci conserva monumenti più chiari dello stato della privata e civile guerra del popolo romano. Il processo romano è la storia del duello, per mezzo di cui terminano que' barbari abitatori dell'Aventino le loro contese, tutti gl’atti, e le formole di tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi violenti modi. Quando la concione, ossia il governo, comincia a mischiarsi nelle private contese, a poco a poco il duello abole, e cangia il modo d i contrastare, rilasciando in tutto l'apparenza medesima, le formole, e gl’atti stessi: la guerra armata in LEGALE COMBATTIMENTO è tramutata. Secondo che altrovesi è deito, i riti, e le formole sono la storia dell'antichissima età delle nazioni. Ciocchè l'acutissimo VICO (si veda) al proposito di alcune formole dell'antico processo romano osserva.  Sono. Ma il processo civile ci conserva le formole dell'antica barbarie, e non già il criminale. Il civile nasce ne'tempi alla barbarie più vicini. Più tardi  ha l'origine il giudizio criminale. I barbari soggettano prima i loro averi all'arbitrio altrui che le proprie persone. L'ultima cui si rinunzia da costoro è la vendetta personale. Meno si sacrifica della naturale indipendenza, rimettendo nelle mani di un terzo i diritti della proprietà che quelli della persona. Quindi i pubblici giudizii essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran vestigii dello stato primiero. Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords: eroe, massone, Italia si fara, Roma, Aventino, Vico, Livio, Romolo, Numa, Giulio Cesare, patrizj, nobili Romani, forma aristocrazia della prima repubblica, tribu, curia, tribuni, diacuriani. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagano” – The Swimming-Pool Library.  

 

Grice e Paggi: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali degl’ebrei -- filosofia ebrea – “Ebrei d’Italia” – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo italian. Siena, Toscana. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica». Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena); “Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi. Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pagliaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei siculi – la scuola di Mistretta -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mistretta). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Mistretta, Messina, Sicilia. Essential Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo, dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si trasfere poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipa volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista Italiana e  prese parte all'Impresa di Fiume al seguito di Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e  Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare, per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e dottrina del fascismo"  e "Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento.  Fu voluto da Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico". Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta del Regime fascista, è sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nella cattedra, insegna Filosofia del linguaggio a Roma. Presidente della sezione "Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel comitato scientifico dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Promotore e direttore della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Candidato alla Camera per il Partito Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale  e al Senato nel collegio Roma ma non e eletto. La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Membro della giuria del premio Marzotto. Lascia anticipatamente l'insegnamento universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria, il “P.”.  Esplora soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della Grecia classica, quindi il LATINO classico e medievale, nonché l'italiano dei tempi di ALIGHIERI cui ha dedicato varie opere e della scuola siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di VICO, ANNUNZIO e PIRANDELLO.  In ambito linguistico, già nel suo Sommario di linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca. Al contempo, P. abbozza in esso prime idee sulla NATURA DEL LINGUAGGIO INTESO fondamentalmente come TECNICA ESPRESSIVA, allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine semantica -- mediante un metodo che egli chiama "critica semantica" -- che sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo linguistico -- soprattutto fonetico -- poi, afferma P. ne” Il segno vivente” riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come soggetto storico.  In estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano. Altri saggi: “Epica e romanzo, Sansoni, Firenze; Sommario di linguistica ARIA, Bardi, Roma; “Il fascismo: commento alla dottrina” Bardi, Roma; “La lingua dei Siculi, Ariani, Firenze, Il comune dei fasci, Monnier, Firenze, La scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione romana: teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana, Ciuni, Palermo; Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma; Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma; Storia e Dottrina del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo; Logica e grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli, Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze); “Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica della "parola"”(Anna, Firenze);  “I primordi della lirica popolare in Sicilia” (Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni, Firenze); “FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche, Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina linguistica di VICO” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier, Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia,  Anna, Firenze, “Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli, Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento, Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento, 32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci, Roma,.  La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d’Italia, Viella, Roma,  Cfr. Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Cit.  Cfr. Riunioni, Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei  Centro di studi filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera  Mininterno Senato //opar.unior//1/Filologia_dantesca_di_P. .pdf  Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica Storica e di Letteratura Comparata,  Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La fede del diavolo  Istituto Nastro Azzurro   Studia classica et orientalia. Oblate, Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana. Da Pagliaro a  Mauro, Carocci Editore, Roma, Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T. De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Calamo, Roma,  D.  Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio, Carocci, Roma, Mauro, Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro. Rome, Nodus Publikationen, Münster, Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista, prefazione di Lyttelton, Unicopli, Milano, Tarquini, Gentile dei fascisti: gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Mulino, Bologna, Battistini, Gli studi vichiani di  P., Guida, Napoli, Mauro,  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica Semiologia Filologia Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere d La Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma.  GRICE E PAGLIARO: IMPLICATVRA ARIA  LINGUA E RAZZA  Schlòzer da per primo il nome di  «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il suo centro originario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne dell’Armenia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive migrazioni  e conquiste si è allargato su una notevole parte del continente africano. Tale denominazione si richiama alla tavola dei popoli tramandata nella “Genesi”  nella quale si distinguono i popoli  discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli discendenti dagl’altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra l'arabo e  l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, e già stata notata  dai grammatici ebrei ma la precisa nozione di unità semitica, concordante con quella che se ne ha nel  mondo ebraico all’epoca in cui e redatta la Genesi è ben più recente e, nella sua formulazione scientifica, è un riflesso della precisa nozione di unità ario-europea costituitasi nel nostro tempo. Oggi il gruppo semitico si  suole distinguere in semitico orientale che comprende il babilonese  e l’assiro, e in semitico occidentale. Quest'ultimo si distingue a sua  volta in semitico nord-occidentale -- che comprende il gruppo aramaico,  di cui la più importante manifestazione è il siriaco, e il gruppo cananco, a cui appartiene l'ebraico --, e in semitico sud-occidentale, di  cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale e l’etiopico.  Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi tutta  l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente accertata per primo da Bopp in uno studio comparativo sulla coniugazione, appare per la prima volta nell'Asia polyglotta di Klaproth il termine ‘indo-germanico.’ Tale termine, divenuto usuale, intende riunire i  due punti estremi del dominio linguistico considerato e si è affermato in tedesco, nonostante che le più vaste conoscenze posteriori  pongano come estrema zona ad Occidente quella del celtico e ad  Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni altrove usate, e cioè  “indo-europeo”, “ario-europeo”, ed “ario”, questa ultima è forse la più propria,  poichè, se non nome unitario di popolo, è certo una denominazione  che parecchi popoli del gruppo usano darsi nei confronti degl’altri  popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in senso così vasto  può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente riservato al  gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno improprio e anche per avere una terminologia uniforme con altre discipline,  come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già stabilmente  nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende oggi i  seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano, l’iranico, il  tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa l'illirico, il  greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il celtico. In Asia  delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano, l’iranico e l’armeno;  in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di derivazione aria, fatta  eccezione dell’ungherese, del finnico, dell’estone e del basco.  Nessuna scienza storica opera con metodo così sicuro come la  linguistica, la quale dispone di un materiale di osservazione vastis-  simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità linguistica aria  e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente incontrovertibili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai profondamente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’appunto, una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire  nel quadro di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli sviluppi e delle differenziazioni, che hanno determinato la fisionomia  delle singole lingue come noi oggi le conosciamo; compito a volte  arduo, specie quando dalla ricognizione dei fatti si voglia risalire alle  loro cause, cioè ai momenti umani che danno origine all'innovazione;  ma tuttavia ricco di risultati grandissimi, i quali dal campo della  glottologia si estendono a tutte le altre discipline, che studiano l’umanità nelle manifestazioni concrete della sua storia. La lingua italiana  è una delle forme più importanti, anzi la più importante, in cui l'umanità realizza se stessa come realtà spirituale, e perciò le lingue  costituiscono gli archivi, in cui si traducono con incomparabile ricchezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei popoli at-  traverso i secoli ed i millenni. Le nozioni di razza aria e di razza semitica, come nozioni scientifiche, sono certamente posteriori alle nozioni dell'unità linguistica  rispettiva. Per quanto si riferisce agli Ari, prima della scoperta della loro  unità linguistica non si ebbe nemmeno la nozione empirica di una  parentela etnica fra i popoli che la compongono. L'affinità etnica è  grossolanamente intuita presso i Greci, soltanto in base alla comunione linguistica per cui «barbari», probabilmente « balbuzienti »,  sono coloro che parlano un’altra lingua. I ROMANI, che pure ebbero  così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la percezione che  quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente combatterono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della tradizione  biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del tutto  la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli diversi  e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella Genesi. Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli interessi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la derivazione  di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire la priorità  e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del Seicento e del  Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli altri diretti alla  creazione di una GRAMMATICA RAZIONALE, che vale per le lingue  di tutti i tempi e di tutti i luoghi.  Anche presso i popoli semitici, se se ne toglie il peso che la tradizione religiosa contenuta nella Bibbia potè avere nel mondo giudaico,  mancò il senso di una propria reciproca parentela, mentre fu quanto  mai vigoroso proprio presso gl’ebrei il senso della propria individuazione come popolo, legato alla coscienza di popolo eletto.  La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità linguistiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui seguirono  scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici, aprirono la  via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero unità etniche  più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è noto, ad  opera di Gobineau, di Chamberlain e di altri, si assunse senza  discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra lingua e  razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche differenziali fisiche e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare sul piano razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento, ispirato in  genere a criterio polemico, è stato condannato come dilettantesco  e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli antropologi, asse-  rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio facilmente trasmissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non può  essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed esclusiva. A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come quello  fatto da Müller, di far coincidere una classificazione delle  lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso,  anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per  l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui  e da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo,  si suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di  vista etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono  slavi, cioè ARI. D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra razza  e lingua con l’attribuire valore discriminante nella classificazione delle  razze ai soli caratteri strettamente biologici, non soltanto è contrario  alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere ogni valore a  quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e razza semi-  tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente storico e  come fondamento il riconoscimento della rispettiva individualità linguistica.   Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire in quale misura sia  possibile fare valere il criterio linguistico nella discriminazione  delle razze. Esiste certamente una differenza sostanziale e profonda fra la  linguistica e l'antropologia, sia nell'oggetto sia nel metodo, che ne  rende difficile e poco proficua la collaborazione. La linguistica è disciplina ESSENZIALMENTE STORICA, tanto che le sue classificazioni hanno  vero valore solo se abbiano fondamento genetico. Ciò si vede soprattutto nel campo della linguistica aria, che fra tutte le discipline linguistiche è certamente la più progredita. Qui dalla comparazione  fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente sicurezza la  struttura originaria della lingua comune da cui esse discendono; si  riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici, liberandoli dalle  modificazioni successive determinate da molteplici cause, fra cui  principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di altra lingua. Così  noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la struttura fonetica e  morfologica e il patrimonio lessicale dell’ARIO dell’epoca comune, all’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze LA LINGUA LATINA, se non l’avessimo documentata. È una ricostruzione che ha  quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo  fonetico che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni  decenni or sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applicazione che non ha riscontri in altri campi delle creazioni umane.   L'antropologia, invece, per insufficienza e discontinuità del ma-  teriale d'osservazione, è costretta a gravitare sul presente cercando di  classificare le razze umane in base ai caratteri morfologici attuali, e  solo eccezionalmente qualche importante trovamento apre ad essa la  possibilità di rintracciare precedenti sporadici, generalmente assai distanti, di questo o quel tipo umano. Il materiale antico rinvenuto  è così scarso e frammentario che le conclusioni che se ne possono  trarre sono molto tenui e malsicure. Così avviene che, mentre dell’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo una sicura nozione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i confini  della storia, della struttura somatica degl’ARI nulla di sicuro sappiamo, poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degl’ARI attuali l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i  caratteri geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a mescolanza. Oggi non si è davvero:in grado di dire se gl’ARI fossero,  ad esempio, dolicocefali e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci o a capelli ondulati. La ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste  un’antropologia genetica, la quale consenta di chiarire, dato un tipo  capostipite, quali siano i caratteri, permanenti nel corso delle ge-  nerazioni e quali quelli che si mutano o si acquisiscono. Teoricamente, nel confronto fra i vari tipi di probabile discendenza aria  dovrebbero potere risultare i caratteri specifici da attribuire ad un  Ario astratto della preistoria; praticamente ciò non è possibile per la  insufficiente conoscenza che si ba, delle modalità con cui si traman-  dano i caratteri biologici, sia ifisici, sia psichici. Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è fondamentalmente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello antropologico  annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la dinarica, la  nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze, combaciano  con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici determinatisi in seno all’originaria unità. Nonostante questa mancata concordanza di dati fra la linguistica  e l'antropologia, le due discipline maggiormente impegnate nella  definizione delle razze umane, è certo che razze esistono con carat-  teri ben precisi e differenziati e che, nella pratica, anche al più mo-  desto osservatore non sfugge l’esistenza di tipi umani diversi, i quali  assommano i caratteri di unità razziali diverse. Nell'ambito stesso  dell'unità aria, a nessuno sfuggirà l’esistenza di una unità aria medi  terranea e di un'unità aria nordica, c, a un più attento esame, nel-  l'ambito di queste unità, sarà possibile rintracciare altri tipi umani i  quali danno fisionomia ai diversi popoli che le compongono. Fuori  di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza bianca, la distinzione fra  razza aria e razza semitica, anche se, per la prima più che per la  seconda, non si riesca a individuare i caratteri biologici originari. Questo fatto è prova che non il solo dato antropologico ha valore nella determinazione della nozione di razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e razza  semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità lingui-  stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il fattore lingua  deve avere un valore determinante nella costituzione dell’unità razziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario, alla  quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente dominata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella continuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con  quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella  discriminazione delle razze? Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla nozione di razza  come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza in senso assoluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno dietro  a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono considerarsi razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui hanno  cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro istinto  dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso. Tutti  i popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione, risultati  dalla mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la vasta massa  delle popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è certo presumibile che gli Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche abbiano  distrutto le popolazioni preesistenti, le quali, ad esempio in Grecia,  in ITALIA e sull’altipiano iranico, erano in possesso di civiltà notevolmente progredite. D'altra parte, di tali mescolanze ci danno sicura  testimonianza, oltre che i dati dell'archeologia preistorica, lo inte-  grarsi della lingua aria comune in nuove unità, che sono quelle a  noi storicamente note. 1 profondi rivolgimenti che alcune lingue  hanno subìto anche nella struttura fonetica, ad esempio le rotazioni  delle consonanti in germanico, non si possono altrimenti spiegare se  non riferendole all'influenza di un sostrato alloglotto. E' noto che una  parte non trascurabile del lessico del latino e dei volgari romanzi  non si spiega nell’ambito dell’ario e deve essere riportato al fondo  linguistico non ario su cui il latino venne a distendersi.   Orbene, che un popolo, come è il caso di quello bulgaro, abbia  assunto una lingua diversa non è altro se non un fatto di sincretismo  in cui prevale la civiltà di maggiore prestigio. Quello che importa te-  nere fermo è per l'appunto che il sincretismo, cioè la creazione di  un risultato nuovo non inferiore agli elementi che vi hanno concorso,  si ha solo quando la mescolanza sia guidata da un senso più o meno  vivo di affinità elettiva. Ciò si può osservare con sufficiente sicurezza sia nel senso positivo sia in quello negativo. Nella penisola greca la civiltà minoica si  è confusa con quella degl’ARI sopravvenuti ed ha dato origine alla  meravigliosa civiltà ellenica. In ITALIA il senso di conquista degl’ARI NOMADI E GUERRIERI si è trasfuso nell'ordine civile delle popolazioni  stanziali ed ha dato origine alla mirabile e grandiosa civiltà romana  che è poi la civiltà dell'Occidente. Evidentemente, fra le genti arie  sopravvenute e le popolazioni mediterranee si determinò una facile  intesa, dovuta al fatto che non vi dovettero essere fra esse sostanziali  differenze di ordine fisico e spirituale e tali da produrre una corruzione anzichè un miglioramento, dal punto di vista etnico e culturale. In Italia, in Grecia, e dovunque si afferma LA LINGUA ARIA, i caratteri dominanti furono indubbiamente dati dalla STIRPE ARIA e per  questo, nonostante le differenze che si osservano fra i diversi popoli  di questo gruppo, è facile cogliere in numerosi e cospicui tratti gli in-  dizi della comune origine. Vi sono invece casi in cui questa affinità elettiva che dà la preminenza ai caratteri del tipo superiore non ha luogo, per motivi che  non è sempre facile individuare. La storia di alcuni millenni dimostra, per esempio, come fra gl’ARI e i Semiti essa sia completamente mancata e che le due stirpi si sono sempre tenute in reciproca  difesa, quasi istintivamente conscie che da una fusione si dovesse  avere la perdita da una parte e dall'altra dei rispettivi caratteri dif-  ferenziali. Dovunque Semiti ed Ari si sono trovati in contatto si  sono sempre scontrati in lotta senza quartiere: gli Irani contro  l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine, il mondo cristiano contro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che vincessero gli altri  la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da una parte e  dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi diversi hanno  conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi apporti culturali che l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti, interpretati ed elaborati secondo la propria natura. Il cristianesimo è diventato universale nell’interpretazione romana. Il senso ario della conquista e dell'espansione assume nella coscienza e nella prassi giudaica aspetti e modalità, per cui non è quasi più riconoscibile. Ed è certo bene che sia così, che cioè la barriera sussista, poichè  il suo abbattimento non è, come la storia categoricamente dimostra,  nella natura delle cose. Ciò si potrà rilevare in molti campi, ma a  noi preme rilevarlo proprio nel campo della lingua, che oggi è senza  dubbio uno dei più importanti fattori differenziali degli aggruppamenti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo questo o quel popolo  al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo soprattutto in base  al criterio linguistico che è alla base di tali gruppi, e dove tale criterio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento giudaico che ha  assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli presso i quali  vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine storico, quello religioso. Per l'appunto, nel campo linguistico la differenza costituzionale  fra il semitico e l’ario, sia dal punto di vista fonetico per il prevalere  in quello di suoni laringali ignoti all’ario, sia dal punto di vista morfologico per la diversità sostanziale della rispettiva flessione, si rivela  così profonda da non consentire un sincretismo produttivo. L'elemento  arabo, penetrato nel persiano in larga misura in seguito alla conver-  sione della Persia zoroastriana all’islamismo, si è limitato al lessico e  non ha intaccato la struttura fonetica e morfologica squisitamente aria  di quella lingua; vi è rimasto così estrinseco, che, a seguito della ri-  presa nazionale avutasi con la nuova dinastia, l'elemento arabo viene  progressivamente sostituito con elemento propriamente iranico. Quan-  do poi una lingua semitica è stata assunta da un POPOLO DI STIRPE ARIA i risultati che se ne sono avuti sono, nel loro aspetto negativo, profonda-  mente significativi. Questo è, come è noto, il caso di Malta in cui  il primitivo idioma romanzo venne per effetto della lunga occupa-  zione musulmana sostituito con un dialetto arabo magrebino: l'arabo, forzato in una impostazione vocale completamente estranea, ne è  uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto, da giustifi-  care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza linguistica britannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un dialetto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi  italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio.    Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione dell’unità etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello  della formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er-  rore gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui  ceppo, quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando  tanti rami, integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello. Niente di più falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel  caso delle lingue quanto in quello delle razze, propagazione uniforme  e non formazione di nuove unità più o meno nettamente differenziate. L'albero genealogico sarebbe giustificato solo se in esso potesse  risultare il complesso degli apporti e delle cause che hanno determinato la figura particolare di ciascuna unità. Prendiamo il caso della lingua italiana. Non esistono lingue, specialmente  a larga diffusione, che non siano costituite da una più o meno grande  varietà di dialetti. L'unità neo-latina, ad esempio, è divisa in tante  lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per dire le  maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà dialettali  più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta dif-  ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie lingue  e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura, affermatasi per  forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come causa di trasformazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su cui il  latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare bisogna parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone linguistica-  mente individuate in precedenza, di cui il latino s'impossessa. Intervengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha con popoli  di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi particolari di ciascuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna lingua, soprattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la lin-  gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre parole,  il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere guardato  nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto in quello  integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha ancor  maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino, di  una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si sovrappone  con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di minore prestigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo integra-  tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere della lingua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai internamente indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato di  quella necessità naturale per cui il comprendere, e perciò l’esprimersi,  avviene prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri di  una gente, di una tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è questa  necessità sempre più vasta di esprimersi e di intendersi che costituisce  quelle vaste unità alle quali noi diamo il nome di unità aria e di  unità semitica. Da queste considerazioni deriva che nessuna teoria è  tanto assurda quanto quella della monogenesi del linguaggio, non  meno assurda, o almeno altrettanto poco giustificata, quanto quella  che volesse scientificamente riportare tutti i caratteri delle attuali  razze umane nella loro infinita varietà ai caratteri di una coppia  capostipite. Come per questa altra realtà non si può postulare se non  quella dell'essere uomini, così per la lingua originaria altra qualità  non è possibile postulare se non quella di essere mezzo espressivo di  uomini.   Ora, identico processo integrativo è quello che dà origine alle diverse unità razziali. Anche qui si ha uno slargarsi per accrescimento  e mistioni: dalla singola gente si arriva alla tribù, al popolo, alla nazione italiana. E’ chiaro che l’accrescersi naturale delle generazioni amplifica  al tempo stesso la natura del processo e fa che i caratteri dominanti  del nucleo più vitale guadagnino sempre più vasto spazio. Vi è certo  qualche cosa di misterioso in questo propagarsi di caratteri superiori  per cui l'umanità ci appare in una continua ascesa, e ancor più grande  mistero è quello che avvolge l’occulta forza da cui ogni unità razziale  è guidata nella sua istintiva difesa da quei contatti e da quelle mi-  stioni che ne altererebbero la genuina struttura. Poichè l’uomo è  essere spirituale, tale modalità del suo divenire anche dal lato fisico  ha forse la sua ragione nell’esigenza di una maggiore spiritualità che  si rifletta anche nella struttura fisica, e in ciò è appunto il grande  mistero dell’uomo, nell’indissolubile legame che in lui si realizza fra  vita biologica e spirito.  Da quanto si è detto appare chiaro che il fattore lingua concorre  in maniera dominante, almeno sino a quando le conoscenze antropo-  logiche non forniranno dati biologici più sicuri, a determinare la  nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo principalissimo di  coesione per cui una comunità più o meno vasta di individui sente di  essere popolo e nazione. Le caratteristiche spirituali e la struttura  della lingua di un popolo – osserva Humboldt —  sono l’una con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si  dovrebbe poter derivare completamente da quello. La lingua italiana, infatti, riflette anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, naturale di sentire il reale e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psicologico al tempo stesso e, come tale, è legata intimamente con la  struttura psicofisica del popolo che la parla, è anzi la modalità più  essenziale con cui tale struttura si manifesta. Il complesso dei costumi,  delle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione,  tutto ciò insomma che concorre a dare a ciascun popolo la sua propria fisionomia, trova espressione fedele e categorica nel linguaggio. Poichè la nozione di razza non è in sostanza altro se non la nozione  di un'appartenenza ad una determinata comunità genetica, la coscienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti sostegni. Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla purezza,  quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i popoli  nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un de-  terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi carat-  teri differenziali e voglia segnare una netta linea di demarcazione  fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri spirituali ed etnici  non congeniali ai suoi, altro non fa se non riportarsi coscientemente  alle sorgenti più genuine della sua vita. Un aspetto di tale esigenza  è il desiderio di tenere immune la propria lingua da influenze stra-  niere e di eliminare le infiltrazioni che si sono verificate in momenti  di indebolita o distratta coscienza. Antonino Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche – lincei” , ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci – enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di ‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio -- filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagliaro” – The Swimming-Pool Library.

 

Palazzani essential Italian philosopher female?

 

Grice e Palladio: la ragione conversazionale a Roma antica – Roma – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Known to have been a philosopher from references to that effect in letters of Theodoret.

 

Grice e Panebianco. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i popoli.   / pp- T'    R. PANEBIANCO    Adoptione de lingua Internationale    es signo que evanesce contentione    de classe et bello*     y     %hSbo    PADOVA   ST AB. GRAFICO L. BOSCARDiN                     R. PANEBIANCO    Adoptione de lingua Internationale es signo  que evanesce contentione de classe et bello.    Es adoptione de lingua internationale que fac evanesce con¬  tentione de classe et bello aut es evanescentia de isto duo scelerato  re que fac adopta lingua internationale?   Isto es ipso quaestione si exsiste ante ovo aut gallina!   Certo que quando statu de productione adveni ad opportuno  evolutione (et me non sci si isto statu es illo actuale) contentione  de classe more per.simplice facto que evanesce isto duo classe,  uno formato de pauco opulento et alio de numeroso paupere. Isto  suo morte es debito ad extenuatione lento de illo cumulo de usus  que constitue institutione magis antiquo et magis importante de  proprietate privato de medios de productione (agros, minas, fabricas  et machinas agricolo et industriale etc.) et de commutatione (fer-  rovias, naves, automobiles etcj. Ultimo phasi de morte de isto  institutione et, ergo, de contentione de classe, es violento. Historia  doce es violentia obstetrice de vetere systema sociale que sta pro  parturi uno novo. Desiderio de humano civilitate que non vol vio¬  lentia nihil pote! Violentia per que pullo rumpe involucro de ovo  es inevitabile!   Grande revolutione initiato in epocha prashistorico fac substi¬  tue, in modo graduale, usque ad tempore historico, proprietate pri¬  vato ad collectivo. Isto antiquo proprietate non es plus capace de  da ad homines necessario augmento de productione, ergo, surge  actuale proprietate. Hodie productione es extreme exuberante, tanto  que es dissipato immenso quantitate de humano labore. Res non       4    solo inutile sed pernicioso (milliones de fusile et de cannone, enorme  naves revestito per lorica de aciario, submarinos, aeroplanos etc.)>  humano scelerato dementia produc! Si productione de res inutile  et de pernicioso fi abolito, labore humano fi reducto ad 4 aut 5  hora per die. Ergo, non essendo plus forma actuale de productione  (illo que basa se super proprietate privato) necessario, essendo su¬  perabundantia de productione, isto forma, causa de scelerato inju¬  stitia, evanesce, et proprietate collectivo es restituto ad mundo.  Nihil novo sub sole!   Homines de systema sociale basato super proprietate collectivo  es socio, ergo, non existe plus illo duo classe antagonista ante  dicto. Toto homines fi, in tale systema, commodo laborante de la¬  bore directivo aut subordinato et nullo homine pote vive sine labora,  id es ut parasito super labore de proletarios. Tunc lingua interna-  tionale fi reale internationale, et tunc, cum evanescentia de conten¬  tione de classe, necessario producto de proprietate privato, es pro¬  babilitate grande que evanesce bello. Adoptione de lingua interna¬  tionale et evanescentia de contentione de classe non es subitaneo.  Illos es: adoptato primo, et es facto evanesce ultimo in modo plus  aut minus rapido aut lento, usque ad morte ante dicto de conten¬  tione de classe.   Usque tanto que existe contentione de classe, lingua inter¬  nationale forsan non fi reale internationale. Sed isto existentia de  scelerato contentione de classe et isto forsan non possibile inter-  nationalitate de nostro interlingua (Int.), non pote impedi, ad praecur¬  sores de illo nobile idea pro adoptione de lingua internationale, de  labora pro suo actuatione. Isto praecursores, que consuma suo su¬  dato et parcito moneta pro fac re magis utile ad suo simile, es,  in primo tempore, deriso ab vulgo burgense. Isto vulgo forma magis  grande parte de burgesia, uno de duo classe antagenista et que  demente vol plus cito perde vita que suo privilegio de dominio  super alio classe, illo de proletario, i. e. de laborante. Laborantes,  in primo tempore, non es capace de comprehende que conato pro  adoptione de lingua internationale es signo que suo catena de ser¬  vitute sta pro rumpe se, et non da ad isto praecursores ullo animo.  Sed isto praecursores, inter derisione de primo et indifferentia de  secundo, continua imperturbato sua opera pro bono de suo simile!  Uno de isto praecursores, ab multo annos strenuo propugnatore     5    pro triumpho de isto nobile idea, es nostro amato socio, reverendo  J. B. Pinth de Luxemburg, auctore de plure publicatione in Int., et  speciale de vocabulario deutsch - Int. Ad illo me mitte affectuoso  sentimento de maximo aestimatione.   Sed existe contentione de classe? Quasi toto diurnales, et  certo illo magis diffuso, scribe, et numeroso homine politico de  classe burgense scribe et loque de actuale harmonias sociale! Etiam  cultores de scientia oeconomico, que fac crede es scientista, dum  illos es sycophanta de capitale, dic que systema sociale actuale  basa se super harmonias sociale, super collaboratione amicabile de  laborantes cum domino! Numeroso burgense pauco instructo, dic  que isto contentione de classe es inventione de socialistas, dum isto  contentione es de maximo antiquitate. Illo incipe quando incipe  proprietate privato, que divide homines (que ante, quando existe  Gentes in vice de nationes, es socio) in duo classe antagonista:  uno formato de pauco domino et alio de numeroso servo.   In tempore de Platone, 4 seculo ante Christo, isto grande  philosopho scribe: ■« Omni civitate, et si inter illos plus parvo, non  es uno civitate sed duo: uno de opulentos et alio de pauperes,  uno contra alio pugnante».   Quatuor seculo retro, Thomaso Moro [grande cancellario de  anglo regno, sub rege: Defensore de Fide (titolo dato de papas ad  Enrico VIII ante suo abjuratione de catholica fide), que dilige se  decapitando suo uxores et cancellarios] scribe: « Opulentos vol pos¬  side medios que, ultra assecura ad se suo opulentia in modo malo  acquisito, es etiam apto ad fac volve ad suo exclusivo profectu,  solvendo in maximo minore modo, labore de pauperes. Et quando  illos inveni isto medios, in nomine de patria, isto medios es impo¬  sito per lege». Isto auctore immortale de Utopia adjunge, pro cla¬  ritate, «es vita de bestias invidiabile pro isto pauperes».   Per isto suo scripto illo es bene meritante suo decapitatione!   Sed nos redi ad lingua internationale. Es evidente que essendo  id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo,  es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad prae¬  posito. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua  que in proprio lingua nationale. Effective, #um in lingua nationale,  vocabolo que exprime actione (i. e. verbo de grammatica) habe  grande numero de variatione et etiam de mutatione de radice      6    (A. be, is, was, etc.; F. etre, suis, etc.; I. essere, sono, fui, etc.),  in lingua internationale isto vocabulo, ut omni alio suo vocabulo,  es invariabile. Vocabulo es de Int. habe in francais 56 forma di¬  verso et circa ipso in italiano!   Illo que aperi libro de uno lingua nationale, si non cognosce  isto lingua, non es capace, etiam si illo posside vocabulario et gram¬  matica de isto lingua, de intellige id. In contrario, scripto in Int.  es intellecto perfecte ab persona que vide primo vice isto Int., si  illo posside vocabulario de Int., aut, post ullo minuto de oppor¬  tuno instructione de latino, vocabulario de latino de schola. Effective  isto facto de intellige lingua per solo vocabulario es possibile quare  Int. habe, ut es ante dicto, suo vocabulos invariabile. Solo excep¬  tione es adjuctione de s ad vocabulo que designa persona aut re  que es plure, si per comitante vocabulo non es intellecto que es  plure. Ergo, persona scribe: «duo libro, serie de libro» et non  «duo libros, serie de libros».   Selectione de latino, ut basi de Int., es facto, nam suspicione  nationale, abjecto producto de systema sociale in que homines non  es socio sed diviso in duo classe et plure natione, non permitte  ute lingua nationale ut Int. Certo engiish es lingua nationale de  grande diffusione et suo grammatica es plus simplice que in omni  alio lingua, sed suo pronuntiatione es magis difficile pro suo irra-  tionalitate; cetere, non es possibile, pro illo que es ante dicto, suo  adoptione ut Int.   Pro intellige uno lingua nationale necesse plure mense de  studio et pro scribe correcte id plure anno. Pro scribe correcte ita¬  liano nos stude id 11 aut 12 anno! Correcte? Saepe me senti pro¬  fessore de lingua italiano dic de suo collegas que illo scribe ut  cane! In conclusione omni lingua nationale es multo difficile.   Capitalista et suo intellectuale clientes habe possibilitate ad  stude longo tempore et ad disce suo lingua nationale. Laborante  que es proletario non habe isto possibilitate.   Et isto grande, magis grande privilegio de capitalistas et suo  clientes intellectuale, pone laborantes ad fronte ad suo inimico in  grande inferioritate et, ergo, solida suo catena de servitute.   Clientes intellectuale, que es fortia ultra potente de capita¬  listas, specie illos que, ut in isto casu, es plus idoneo, i. e. lite-  ratos, pugna in forte modo contra adoptione de isto lingua. Isto     7    adoptione fac perde ad capitalistas uno de suo maximo privilegio,  et suo clientes defende illos contra isto jactura pro recipe, in com¬  pensatione de suo turpe actione, parte de manubiae que capitalistas  praeda ad laborantes.   Me ute vocabulos urente: turpe, manubiae et praeda. Sed illo  es proprio. Sed capitalistas que praeda manubiae et suo intellectuale  cliente que fac actione turpe de defende illo, non es responsabile,  isto de suo turpe actione et illo de praeda manubiae. Responsabile  es solo systema sociale. Proletario que, per casu raro fi capitalista,  fac illo que fac isto: i. e. praeda manubiae ad suo antiquo comites,  et si illo fi intellectuale cliente de capitalista, illo, in generale, fac  turpe actione de defende praedatore de suo antiquo comites: illo fi  sycophanta de capitale.   Responsabile de omni malo que homine fac, in generale,  contro alio homine es systema sociale magis scelerato, que da ad  homines possibilitate de acquire opulentia. Isto acquisitione da ad  illos exuberante gaudio egcstico, dum opulentia de uno produc  necesse paupertate de multos. Paupertate non solo da ad homine  exuberante dolore, sed produc degeneratione de specie humano.  Effective vita medio de proletarios es dimidio de illo de opulento  aut commodo homines. Seque que opulento, per solo facto de es  opulento, es carnefice, sine suo voluntate, de proletarios, que es suo  simile. Si tale systema sociale homicida es defenso ab ullo homi¬  nes, ad isto es bene applicato verbo de Christo: «Domino perdona  ad illos nam illos non sci id que illos fac».   Omni amante de suo simile debe ode, de magis intenso odio,  isto scelerato systema sociale. Sed nullo vice debe homine ode  alio homine et si illo es defensore de isto scelerato systema sociale,  et si illo es delinquente. Homine de corde et intellecto debe ode  delicto, sed perdona ad delinquente, que, 99 vice super 100, es  necessario producto de systema sociale. Es sufficiente impedi ad  delinquente de repete delicto! Homine de corde et intellecto debe  fac toto que illo pote pro emenda delinquente. Punitione es turpe  residuo de medioaevale barbarie!   Homines, me ante dic et me repete, non es, in generale, re¬  sponsabile de malos de systema sociale. Isto magis turpe et magis  scelerato systema pone homine in bivio terribile, aut de labora  relinquendo parte de fructu de suo labore ad alio suo simile, ad          8   parassita, ad domino, et ergo vivendo in paurpertate, aut de fi do¬  mino. Alio via, isto infernale systema sociale, non relinque ad   homine! ' .   Interlinguista, quale que es suo opinione politico aut religioso   (Academia pro interlinga demanda ad suo socios solo suo contributo  annuale de 10 franco pro expensas de officio), es certo praecursore  de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque  uno solo lingua magis facile, commune ad illos (sine que illos fac  innaturale re de demitte suo lingua nationale ut illos non fac inna-  turale re de demitte suo dialecto) non pote es actuale systema de  «homo homini lupus», sed es systema sociale in que toto homines   fi socio.   Interlingua forsan non fi iriternationale que quando actuale  scelerato systema sociale es relicto, simul ad toto alio medioaevale  barbarie deturpante humanitate! Sed isto forsan, evidente non es  certitudine, et es bene noto que voluntate humano, que non es  causa de eventus sociale, es certo, de reflexo influentia, accele¬  rante id. Intelinguista, que labora, cum grande enthusiasmo, pro  diffude suo nobile idea, accelera isto eventu i. e. que Int. fi reale  lingua internationale.   Optimo vocabulario de nostro bene merente praesidente Piof.  Peano suffice, facendo per illo pauco hora de exercitio, pro sci be  in correcto modo nostro Int. Post pauco die de isto exei citio, fi  plus facile, ut me ante dic, de compone et scribe in Int. que in  proprio lingua nationale.   Auxilio ad vocabulario de Peano es illos nationale - Int., ut  illo ante indicato de Pinth.   Vos, benevolo lectores, fac bono actione, dando ad nos animo  per conjunctione de vestro fortia ad nostro, pro bene de huma  nitate. Omni uno de vos que fi socio de nostro Academia, centu¬  plica nostro animo!   Intende, meo benevolo lectores! Ultimo bello occide 14 miliono  de juvene sano et forte, que, in generale, non vol more nec fac  more suo simile. Lingua internationale es potente medio pro con¬  serva expulsione de mundo de suo plus horribile et terribile malo.  bello! Ruggero Panebianco. Panebianco. Keywords: il deutero-esperanto di Grice – ‘if language was the cause, why did we have the War of the Roses? – formalisti/informalisti --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panebianco.” Panebianco.

 

Grice e Panella: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sublime – la scuola di Benevento -- filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza  (Benevento). Filosofo italiano. Benevento, Campania. Grice: “Panella’s conceptual analysis of the sublime poses the implicatural question: “x is ‘bello’; e SUBLIME’ – The Romans talked of ‘pulcher’ which complicates things!” Grice: “Panella also wrote of ‘l’incubo urbano,’ to which I’ll add “l’incubo suburbano’, and ‘l’incubo exurbano’!” essential Italian philosopher. Si laurea a Pisa, dove è stato insegnante. Si è occupato di filosofia politica e storia del pensiero politico, ha insegnato Estetica nella stessa università.  È stato presidente della giuria del premio letterario "Hermann Geiger" e membro della giuria del premio letterario "ArtediParole" riservato a studenti delle scuole medie. Si è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di poesia, da ricordare Il terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con Editore Polistampa. In collaborazione con David Ballerini ha girato due documentari d'arte, La leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da Rai2 n e Il giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato. Ha vinto il Fiorino d'oro del Premio Firenze. Gli è stato assegnato il premio concesso annualmente dal Ministero dei Beni Culturali per attività culturali e artistiche particolarmente rilevanti.  Collabora con l'associazione Pianeta Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi nella presentazione di poeti e incontri letterari. Giuseppe Panella con Franco Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze. Saggi:” Monografie Robert Michels, Socialismo e fascismo” (Milano, Giuffré); Lettera sugli spettacoli di Rousseau, Aesthetica. Palermo, Il paradosso sull'attore di Diderot, La Vita Felice, (Milano Saggi); Elogio della lentezza. Etica ed estetica in Valéry, Aesthetica, Palermo); “Del sublime, Frosinone, Dismisura Testi, “Il sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria” (Firenze, Clinamen, Zola: scrittore sperimentale. Per la ricostruzione di una poetica della modernità” (Chieti, Solfanelli); “Pasolini. Il cinema come forma della letteratura” (Firenze, Clinamen); “Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria” (Bologna, Elara) – cfr. H. P. Grice on P. H. Nowell-Smith as J. L. Austin’s ‘straight man’ in their Saturday mornings double-acts! – il ‘replicante’ -- , I piaceri dell'immaginazione, Firenze, Clinamen, Rousseau e la società dello spettacolo” (Firenze, Pagnini); “Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come modello culturale” (Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), “ L'incubo urbano,” Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, Bazzani, Lanfredini e Vitale, Firenze, Clinamen); “Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio narrativo nella letteratura” (Chieti, Solfanelli); Il secolo che verrà. Epistemologia, letteratura, etica in Deleuze” (Firenze, Clinamen); “Storia del sublime. Dallo Pseudo-Longino alle poetiche della modernità” (Firenze, Clinamen); “La scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita, Grottaminarda, Delta); “Arbasino e la "vita bassa". Indagine sull'Italia n cinque mosse, Prove di sublime. Letteratura e cinema in prospettiva estetica” (Firenze, Clinamen); “Curzio Malaparte autore teatrale e regista cinematografico” (Roma, Fermenti); “Introduzione al pensiero di Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di Aligheri” (Firenze, Polistampa); “Le immagini delle parole. La scrittura alla prova della sua rappresentazione” (Firenze, Clinamen); “La polifonia assoluta. Poesia, romanzo, letteratura di viaggio di Vettori” (Firenze, Toscana); “L'estetica dello choc. La scrittura di Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia” (Firenze, Clinamen); “e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide, L’'estetica dell'eccesso” (Firenze, Clinamen); “Le maschere del doppio: tra mitologia e letteratura” (Editore libri di Emil); Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la prospettiva della felicità, Firenze, Clinamen.  RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Giuseppe Panella    D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME.  L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni    (C) 2008 Giuseppe Panella    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    «Oggi due cose sembrano moderne: l’analisi della vita e la fuga dalla vita. Poca è la gioia  dell’azione, dell’accordo delle forze interne ed esterne della vita, dell’imparare a vivere del Wilhelm  Meister e del corso del mondo shakespeareiano. Si anatomizza la propria vita psichica, o si sogna  [...]. Nelle opere dell’artista più originale che possegga al momento l’Italia, di Gabriele  D° Annunzio, queste due tendenze si cristallizzano con una particolare acutezza e chiarezza : le sue  novelle sono protocolli di psicopatia, i suoi libri di poesia sono scrigni di gioielli ; nei primi domina  la terminologia rigorosa ed oggettiva dei documenti scientifici, ne secondi, invece, un’ebbrezza  quasi febbrile di colori e di stati d'animo»  (Hugo von Hofmannsthal, Gabriele D'Annunzio, 1)    «Il suo sentimento della vita e del mondo non si è acceso al contatto della vita e del mondo, bensì  al contatto delle cose artificiali: della più grande opera d’arte, il “linguaggio”, dei grandi quadri  della grande epoca e delle altre opere d’arte minori»   (Hugo von Hofmannsthal, Gabriele D'Annunzio, Il)    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    1. La poesia come registro delle immagini del mondo: la ricerca di senso nell’ A/cyone    Proprio nel momento in cui il suo editore Giuseppe Treves lo sollecitava e premeva (con la forza  contrattuale che poteva esercitare sul poeta in perenne crisi economica) perché concludesse e gli  consegnasse il promesso romanzo // Fuoco (la storia neppur tanto romanzata dell’amore impetuoso  per Eleonora Duse basata sui suoi sviluppi più intimi e più privati), D’ Annunzio decide che è tempo  di tornare al primo amore: la poesia. E° dal 1893 che non pubblica più versi e che si è dedicato  interamente alla prosa sia nel romanzo che nella scrittura teatrale. Come scrive Federico Roncoroni  nella sua Introduzione all’edizione dell’ A/cyone da lui curata per la collana degli Oscar Classici  Mondadori :    «Poco importa, del resto, stabilire perché D’ Annunzio si sia messo, proprio ora, a fare poesia. La  questione, oltre tutto, non ha fondamento scientifico né potrebbe portare a conseguire risultanze  valide e soddisfacenti. Comunque, quale ne sia stata la causa, questo ritorno alla poesia avveniva,  per così dire, nella pienezza dei tempi. D’ Annunzio vi perveniva, dopo tanta prosa, forte di non  trascurabili esperienze teoriche e pratiche maturate proprio negli anni che vanno dal 1891-1893,  data di composizione delle liriche della sua ultima raccolta poetica — il Poema paradisiaco —, a  questo 1899. In proposito, anzi, si può dire che tutta la produzione letteraria che inizia con Le  vergini delle rocce e culmina nel Fuoco, praticamente già realizzato anche se non ancora compiuto,  ha costituito, nell’ambito dell’attività dannunziana, un momento risolutivo dalle conseguenze  necessariamente innovative. Con Le vergini delle rocce, con le opere teatrali, con // fuoco e, anche,  con le parallele esperienze sentimentali e politiche, D’Annunzio rivela di aver finalmente e  decisamente individuato nel mito del superuomo e, per quel che riguarda il fatto essenziale e  importantissimo dell’espressione e dello “stile”, nella poetica che esso sottende, quel criterio di  interpretazione della realtà che aveva a lungo cercato nel suo vario e proficuo tirocinio  sperimentale».    Il primo testo poetico di questa nuova stagione (che costituirà poi il preludio del Primo Libro delle  Laudi, Maia) si intitola, non a caso, L’Annunzio.   Quest’ode (nomen omen) conterrà, infatti, al suo interno una sorta di sintesi anticipatoria di tutto  quanto sarà contenuto nelle opere in poesia successive e, in particolar modo, le lodi della bellezza  eterna della Natura e della necessità di attraversarla con le parole poetiche più intense e più  illuminanti (“Tutto era silenzio, luce, forza, desìo. / L’attesa del prodigio gonfiava questo mio /  cuore come il cuor del mondo./ Era questa carne mortale impaziente / di risplendere, come se d’un  sangue fulgente / l’astro ne rigasse il pondo. / La sostanza del Sole era la mia sostanza. / Erano in  me i cieli infiniti, l’abondanza / dei piani, il Mar profondo. // [...] E il dio mi disse: “O tu che canti,  / 10 son l’Eterna Fonte. / Canta le mie laudi eterne”. Parvemi ch'io morissi / e ch'io rinascessi. O  Morte, o Vita, o Eternità ! E dissi: / “Canterò, Signore”. / Dissi: “Canterò i tuoi mille nomi e le tue  membra / innumerevoli” [...] Canterò la grandezza dei mari e degli eroi”).   A pochi giorni di distanza dalla stesura di questo testo aurorale, D’ Annunzio compone la prima  delle liriche che andranno a comporre il terzo Libro delle Laudi, la raccolta cui darà il titolo di  Alcyone. E sarà la Sera fiesolana (datata “La Capponcina, Settignano di Desiderio, ai dì 17 di  giugno 1899, verso sera, dopo la pioggia”), uno dei testi capitali e più significativi della raccolta.   E’ dunque nel giugno del 1899 (l’anno in cui viene messo in scena La Gioconda, un testo teatrale  assai importante per l’evoluzione della tematica superomistica — come si vedrà in seguito — e della  prima stesura incompiuta di // Fuoco) che si consuma il ritorno del poeta abruzzese alla poesia .    ! F. RONCORONI, Introduzione a G. D'ANNUNZIO, Alcyone, Milano, Mondadori, 19934, p.11.  3    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    A parte la lirica “Alle montagne” che apre la Terza Parte del Libro delle Laudi, Elettra, e che fu  pubblicata per la prima volta nel 1896 °. i versi che compongono i primi tre libri dell’ambizioso  progetto poetico vengono concepiti e composti a partire da questo periodo.   In particolare nel luglio 1899, mentre si accinge a trascorrere un periodo di vacanza piuttosto lungo  a Bocca d’ Arno, dove Eleonora Duse ha come al solito affittato il Casone dell’antica Dogana per il  periodo estivoÈ, riempie di note, di appunti e di spunti per le liriche future il Taccuino no. 10 che  passerà per le mani dei filologi come “il taccuino dell’ A/cyone”.   E° a partire, dunque, da questa data che il libro viene composto secondo un respiro unitario che  rende i suoi ottant’otto componimenti articolati e distesi lungo una linea di disposizione rigorosa e  non frammentaria.   Bisognerà aspettare l’estate del 1902, tuttavia, perché le liriche più significative di A/cyone vedano  la luce e bisognerà pure cambiare luogo di vacanze e da Marina di Pisa passare nel Casentino, a  Romena, per vedere D'Annunzio al lavoro:    «Così, ignaro di tutto, ai primi di luglio D’ Annunzio lasciò Settignano e il “Secco Motrone” e si  trasferì a Romena, nel Casentino, ospite a Villa Goretti. Oltre che ignaro di tutto e, certo, del tutto  tranquillo quanto a scrupoli di coscienza, è pronto a lavorare”. Con lui, naturalmente, c’è anche la  Duse. Il 10 luglio, scrivendo ancora al Tenneroni, è proprio lei ad annunciare che il poeta /avora: “Il  Lavoro — scrive — ha ripreso l’amico suo — e le giornate volano !”. Di fatto, a Romena, dopo qualche  giorno di riposo, D'Annunzio prese a lavorare sodo. “I giornali del tempo si sbizzarrirono a  descrivere la grande tenda rotonda del poeta nella spianata del Castello, e le cavalcate che faceva  per le valli o ai santuari del Casentino”(G. GATTI, Vita di Gabriele d’Annunzio, Firenze, Sansoni,  1956, p. 190). In realtà, più che andare a cavallo, il poeta lavorò e nel corso di un’attività che lo  vide impegnato non solo a comporre materialmente i testi ma anche a sbrigare tutta la fase  preparatoria alla composizione vera e propria, come l’individuazione dei temi, la consultazione  degli appunti segnati nei Taccuini, la consultazione di lessici e dizionari, la lettura di testi di lingua  o di volumi di altri poeti e, come vedremo, anche la pianificazione dei singoli componimenti in una  struttura organica, compose un gran numero di liriche. Tra luglio e agosto nacquero così La tregua  (10 luglio), 7 fanciullo (13-19 luglio), L’aedo senza lira (16 luglio), L’ulivo (20 luglio), La spica  (25 luglio), Beatitudine (28 luglio), il Difirambo I (1 agosto), Il Gombo (13 agosto), Anniversario  orfico (15 agosto), / tributarii (16 agosto), / camelli (18 agosto), Il cervo (20 agosto), L’ippocampo  (21 agosto), L'onda (22 agosto), La morte del cervo (24 agosto) e poi, sempre tra luglio e agosto,  ma in giorni che non è possibile precisare con esattezza, anche L’opere e i giorni, Furit aestus,  Pace, Intra du’ Arni, La pioggia nel pineto, Le stirpi canore, Il nome, Meriggio, Le madri, L’Alpe  sublime, Albasia, Terra, vale !, il Ditirambo Il e Bocca di Serchio. In pratica, come si vede, in quei  due mesi, D’ Annunzio stese una buona metà del Libro di A/cyone : un totale di più di 3.000 versi,  con una ricchezza di temi che spazia da quelli programmatici (La tregua e Il fanciullo) a quelli  panici, da quelli superomistici a quelli evocativi, da quelli descrittivi a quelli mitici e metamorfici,  con una varietà di soluzioni stilistiche che vanno dalle costruzioni a tavolino sui modelli letterari  delle origini o sui lessici e i dizionari all’ elaborazione di testi di plastica evidenza espressiva, dalle    ? “Alle montagne” apparve, per la prima volta, con il titolo Ode a colui che deve venire, nel febbraio 1896 in un  fascicolo di Versi e disegni offerti dalla Baronessa Blanc nella festa di beneficenza per i feriti d’Africa, pubblicato a  Roma dall’ Editore Adolfo De Bosis e poi ristampata in “Il Convito” (la rivista diretta da De Bosis stesso), libro VII  (luglio 1895 — marzo 1896), pp.445-447.    ? Sul soggiorno di D’ Annunzio a Marina di Pisa e l’importanza che ebbe per l'evoluzione della sua scrittura , cfr. il bel  libro di FE. ROMBOLI, Un ’ipotesi per D'Annunzio. Note sui romanzi, Pisa, ETS, 1986.    4 Il riferimento è alla grave crisi nel suo rapporto affettivo con Eleonora Duse all’epoca già gravemente incrinato anche  per effetto della pubblicazione del romanzo // Fuoco (uscito presso Treves nel 1900) che ne pubblicizzava aspetti  spesso anche molto personali e necessariamente privati.    4    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    trascrizioni mimetiche alle ricerche fonosimboliche e, infine, con una straordinaria varietà di forme  metriche che sperimentano tutte le possibili soluzioni, dal metro chiuso al verso libero».    E° in questo felice e tranquillo periodo di lavoro poetico che si consuma l’avvento del Sublime nella  scrittura dannunziana.   E° vero che bisognerà aspettare ancora fino al periodo tra settembre e novembre del 1903 perché il  lavoro dannunziano giunga a un termine, ma ormai i testi destinati a maggior fortuna (come La  pioggia nel pineto o Anniversario orfico erano già stati composti — manca ancora il celebratissimo /  pastori che sarà scritto nel 1903, probabilmente nell’ottobre).   E° in alcune delle poesie scritte in questo periodo (e perfino nei loro titoli) che la tematica dell’  “immagine sublime” emerge con nettezza.   Si pensi alla lirica All’Alpe sublime — anche se non viene considerato uno dei testi migliori della  raccolta *:    «Svegliati, Ermione, / sorgi dal tuo letto d’ulva, / o donna dei liti. / Mira spettacolo novo, / gli Iddii  appariti / su 1’ Alpe di Luni / sublime ! /. Occidue nubi, corone / caduche su cime / eterne. / Ma par  che s’aduni / concilio di numi / grande e solenne / tra il Sagro e il Giovo, / tra la Pania e la  Tambura, / e che l’aquila fulva / del Tonante / su le sante / sedi apra tutte le penne. / Oh silenzii  tirrenii / nel deserto Gombo ! / Solitudine pura, senz’orme !/ Candore dei marmi lontani, / statua  non nata, / la più bella ! / Dormono i Monti Pisani, / grevi, di cerulo piombo, / su la pianura che  dorme. / Altra stirpe di monti. / Non han numi, non genii, / non aruspici in lor caverne, / non impeti  d’ardore / verso i tramonti, / non insania, non dolore; / ma dormono su la pianura / che dorme. / Oh  Alpe di Luni, / davanti alla faccia del Mare / la più bella, / rupe che s’infutura, / oh Segno che    ° F. RONCORONI, Introduzione a G. D'ANNUNZIO, Alcyone cit., pp. 50-51. Di questo coté sperimentalistico dubita  fortemente P. V. MENGALDO nel suo “Un parere sul linguaggio di A/cyone”: “Ma di che sperimentalismo veramente  si tratta ? Di solito nei grandi sperimentali, tipo Dante, poli-valenza linguistica e compresenza di registri diversi nascono  da una sua differenziazione dei reali, e la provocano ; il loro linguaggio agonistico e inventivo — e in questo consiste fra  l’altro la sua acuta provocazione conoscitiva — nel momento stesso che conserva dinamicamente la traccia scottante  della tensione che l’ha creato, sembra rimandare di continuo ad altro da sé: alla stratificata e contraddittoria ricchezza  della realtà, come morsa e svegliata da un simile strumento articolato a più sonde di varia profondità, e insieme agli  standards vigenti di verbalizzazione del reale, che esso perfora e trascende in ogni senso. In D’ Annunzio, al contrario,  la continua mobilità linguistica e formale presuppone il livellamento e l’intercambiabilità, al limite, la pretestuosità, dei  reali. In lui, e specie in A/cyone, quietata con tutta naturalezza nel perfetto amalgama retorico della pagina la tensione  sperimentale, la forma raggiunta si gode sempre beata, e ogni nuova fase di sperimentazione finisce per avere come  referente verbale da superare (o piuttosto arricchire) nient'altro che il linguaggio stesso dell’autore nel suo via via  mutevole assetto: tanta è del resto la fugace e innocente disinvoltura con cui quel linguaggio demiurgico sa  neutralizzare previamente il diverso da sé, esperienze vicinissime nel tempo non meno delle lontane, annettendoselo e  fagocitandolo incessantemente (“Imito qualunque richiamo [...]”)” (originariamente pubblicato in P. V. MENGALDO,  La tradizione del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 181-189 e poi ripreso in D'Annunzio e la poesia di massa, a  cura di N. Merola, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 221). Di parere diverso (se non opposto) sono, invece, N. SAPEGNO,  ‘D'Annunzio lirico” (originariamente in L'arte di Gabriele D'Annunzio, a cura di E. Mariano, Atti del Convegno  internazionale di studio, Venezia — Gardone Riviera — Pescara, 7-13 ottobre 1963, Milano, Mondadori, 1968, pp. 157-  166 e poi ripreso in D'Annunzio e la poesia di massa cit., pp. 61- 72) e G. LUTI, La cenere dei sogni. Studi  dannunziani, Pisa, Nistri-Lischi, 1973.    ° Scrive Roncoroni nel suo commento alla lirica in questione: “ [...] il tentativo di superare il reale e il contingente per  cogliere il senso “sublime” del paesaggio si avvale di simbolismi convenzionali e scontati, che coinvolgono anche,  come è tipico del simbolismo dannunziano, spunti neoclassici — il ritorno degli antichi dei — e motivi romantici — “la  solitudine pura”, la bellezza delle opere non realizzate. Tutto il registro stilistico è tenuto sul piano di una stupefazione  che si regge per forza di nessi esclamativi, anafore e cumuli di apposizioni. L’insieme appare piuttosto eccessivo e  enfatico e la lirica sembra la versificazione di uno o più concetti cari da sempre a D’ Annunzio e per lui legati allo  spettacolo delle Alpi Apuane, come dimostrano le frequenti reminiscenze da un testo del 1901, la prosa Per /a  dedicazione dell’antica Loggia fiorentina del grano al novo culto di Dante. Più in generale, nell’ambito della ragionata  struttura del Libro, L’Alpe sublime, insieme ai due componimenti che la seguono, IZ Gombo e Anniversario orfico, dà  vita a una trilogia di carattere mistico-visionario-simbolistico che ha la funzione di preparare e di introdurre lo scarto  della vicenda alcionia nella direzione mitica ‘ (G. D'ANNUNZIO, A/cyone cit. , p. 323).    5    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    l’anima cerne, / grande anelito terrestro / verso il Maestro / che crea, / materia prometea, / altitudine  insonne, / alata, / Inno senza favella, / carne delle statue chiare, / gloria dei templi immuni, / forza  delle colonne / alzata, / sostanza delle forme eterne !»”.    Come si può vedere, il Sublime più che evocato è descritto. Non è nella soggettività che esso  risiede, ma nell’oggetto in cui esso viene ritrovato e in cui alberga.   La sublimità più che dalle situazioni (come avviene di consueto nella tradizione longiniana) è legata  qui allo spettacolo della Natura e della sua bellezza comparata a quella dell’ Arte. Le Alpi sono  sublimi per definizione (in una tradizione di analisi estetica che va da Addison a Shelley a von  Haller) e ad esse si rivolge la ricostruzione della bellezza dei luoghi dove il creatore umano solo  può operare convenientemente. Comunque, non solo le montagne che si ergono alte sull’orizzonte a  formare una catena invincibile fatta del biancore del marmo e della potenza della pietra resa eterna  dal tempo e dalla sua forza stessa di coesione ma anche le spiagge deserte e assolate, senza alcuna  impronta di piede umano (in questo caso, il Gombo di Marina di Pisa’ che ritornerà nella lirica  successiva) sono, per D’ Annunzio, i luoghi del Sublime. In essi trova di diritto il proprio posto  l’opera del creatore d’arte che non ha ancora realizzato il suo destino d’artista (“l’opera non nata”) e  che per questo sa come quest’ultima sia forse la sua opera più bella.   Il Sublime qui è, dunque, nei posti stessi, nello spiritus loci che li volle propizi e accoglienti per la  realizzazione in fieri della Bellezza.   La stessa situazione sarà all’opera nel testo successivo (/7/ Gombo appunto) ma con esiti meno  scontati. Prima di tutto il luogo stesso: è la spiaggia che ha accolto il corpo senza vita di Percy  Bysshe Shelley annegato in quel tratto di mare 1°8 luglio del 1822. Inoltre in esso la bellezza  naturale del posto diventa l’occasione per la sua rappresentazione in chiave di estetica concettuale!    «Tutto è quivi alto e puro / e funebre come le plaghe / ove duran nel Tempo / 1 grandi castighi che  inflisse / il rigor degli iddii / agli uomini obliosi del sacro / limite imposto all’ansia / del lor  desiderio immortale. // Tre disse quivi immense / parole il Mistero del Mondo, / pel Mare pel Lito  per l’Alpe, / visibile enigma divino / che inebria di spavento / e d’estasi l’anima umana / cui  travagliano il peso / del corpo e lo sforzo dell’ale. // Poi che non val la possa / della Vita a  comprendere tanta / bellezza, ecco la Morte / che braccia più vaste possiede / e silenzii più intenti /  e rapidità più sicura; / ecco la Morte, e 1’ Arte / che è la sua sorella eternale: // quella che anco  rapisce / la Vita e la toglie per sempre / all’inganno del Tempo / e nuda l’inalza tra l'Ombra / e la  Luce, e le dona / col ritmo il novello respiro : / ecco la Morte e l’Arte / apparsemi nel cerchio  fatale».    Il mare, il monte, la spiaggia: tre luoghi solitari e irti, difficili da abitare e plasmati solo dalla Natura  senza bisogno dell’ausilio della mano dell’uomo. Qui la Morte e l’opera d’arte possono compiere la  loro opera perché in essi il rapporto tra creazione e realizzazione si fa diretto e stabile. Qui l’anima    (fe- D'ANNUNZIO, ”L’ Alpe sublime”, in A/cyone cit. , p. 323-326.    È Per una visione d’insieme di questa linea di lettura estetica della natura e delle sensazioni umane ad essa collegate,  cfr. M. M. ROSSI, L'estetica dell’empirismo inglese, 2 volumi, Firenze, Sansoni, 1944. Lo scienziato svizzero Albrecht  von Haller, uno dei padri della iatromeccanica in medicina, fu autore nel 1729 di un celebrato poema dedicato alla  descrizione in versi delle Alpi.    ° Più esattamente il Gombo è il tratto di litorale toscano antistante la pineta di San rossore, tra la foce dell’ Arno e quella  del Serchio. E’ (era, in realtà) una striscia di spiaggia non antropizzata dove il tempo poteva dare l'impressione di  essersi fermato.    ‘© Lo rivela un appunto dell’ 8 luglio 1902: “Rivedo il Gombo.La stessa bellezza sublime, ottenuta con tre parole: il  mare, la montagna, la riva nuda” (G. D'ANNUNZIO, A/cyone cit. , p. 329).  !! G. D'ANNUNZIO, “Il Gombo”, in Alcyone cit., pp. 331-332.    6    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    umana” si incontra e si scontra con l’”’enigma divino” che induce il tormento e l’angoscia, il timore  e il tremore della sacralità vigente e mai interrotta dal ritmo scandente dell’umano, l’estasi e la  jouissance della creatività che trova il proprio limite solo nella Morte come fato ineluttabile di chi  vive per realizzare nella propria vita d’artista il destino tormentato e felice al tempo stesso di chi  vive e crea oltre l’umano sentire e patire.   Lo stesso tema legato al canto del Sublime sarà al centro di Anniversario orfico (il più bello dei tre  testi poetici affidati alla rievocazione dell’aspra e asciutta bellezza del Gombo e del destino ferale e  stupendo dell’amato poeta-fratello Percy Shelley):    «Oggi è il suo giorno. Il naufrago risale, / che venne a noi dagli Angli fuggitivo, / colui che amava  Antigone immortale / e il nostro ulivo”. // Dissi: “O veggente, che faremo noi / per celebrar  l’approdo spaventoso ? / Invocheremo il coro degli Eroi ? / Tremo, non so. // Queso naufrago ha  forse gli occhi aperti / e negli occhi l’imagine d’un mondo / ineffabile. Ei vide negli incerti / gorghi  profondo. // E tolto avea Prometeo dal rostro / del vulture, nel sen della Cagione / svegliato avea  l'originario mostro / Demogorgone !”. // Disse ella!?: “Gli versavan le melodi /i Venti dai lor carri  di cristallo, / il silenzio gli Spiriti custodi / bui del metallo, // il miel solare nella bocca schiusa / le  musiche api che nudrito aveano / Sofocle, il gelo gli occhi d’ Aretusa / fiore d’Oceano”. // Dissi: “ Ei  ghermì la nuvola negli atrii / di Giove, su l’acroceraunio giogo / la folgore. Non odi i boschi patrii /  offrirgli 11 rogo ? //. Mira funebre letto che s’appresta / estrutto rogo senza la bipenne ! / Vengono i  rami e i tronchi alla congesta / ara solenne. // E caduto dal ciel l’arde il divino / fuoco. Scrosciano e    colano le gomme. / Spazia l’odor del limite marino / all’ Alpi somme”»!.    L’ammirazione dannunziana per Shelley è ben nota!” Ma in questi versi l’ambizione di  D’Annunzio non è tanto quella di scrivere un elogio funebre del poeta inglese scomparso  prematuramente nel 1822 quanto di mostrarne il destino sotto la veste formale di un’elegia funebre  che attinga alla solennità e all’altezza del Sublime. Dove però — si badi bene — l’elemento alto e    !° Si tratta qui della compagna del poeta che, divenuta quasi una sorta di indovina classica nella finzione dannunziana,  aveva profetizzato l'emergere rituale del corpo annegato di Shelley nell’anniversario della sua morte.    !3 G. D'ANNUNZIO, “Anniversario orfico”, in A/cyone cit., pp. 340-344.    !4 Scrive Roncoroni nel suo commento a questa poesia : “Cultore di Shelley fin dai primi anni del soggiorno romano,  graze agli stimoli dell’amico Adolfo de Bosis, D’ Annunzio ha, di fatto, sempre avuto un largo commercio intellettuale  con i suoi versi. I vedano, per esempio, le traduzioni delle liriche A Summer Evening Churchyard, To William Shelley,  Death e To Night che propone in un articolo a firma “Il duca Minimo” pubblicato su “La tribuna” di Roma del 3 agosto  1887 sotto il titolo Ne/ cimitero inglese. Si vedano, l’anno successivo, le pagine del Piacere in cui, descrivendo la visita  di Andrea Sperelli e di Maria Ferres al Cimitero inglese, riprende quasi letteralmente interi brani dell’articolo e in cui  ripropone anche le traduzioni di Death e To Night. Si vedano i versi dell’ Epipsychidion posti a epigrafe di Viviana, la  futura Due Beatrici, II de La Chimera, in occasione della sua apparizione sul “Fanfulla della Domenica” del 25 luglio  1886, nonché i versi di The Cloud parafrasati nell’elegia Elevazione. Si veda la Commemorazione di Percy Bysshe  Shelley, apparsa dapprima sul “Mattino” di Napoli del 4-5 agosto 1892, passata poi nelle Prose scelte [...] alcuni passi  della quale saranno ripresi nell’ode. E si veda, infine, la descrizione della morte di Shelley e del suo rogo funebre quali  sono immaginati da Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte : “Un calore lirico”, vi si legge, “dilatava il suo pensiero.  La fine di Percy Shelley, già più volte invidiata e sognata sotto l’ombra e il fremito della vela, gli riapparve in un  immenso baleno di poesia. Quel destino aveva una grandiosità e una tristezza sovrumana. ‘“La sua morte è misteriosa e  solenne come quella degli antichissimi eroi ellenici che d’improvviso una virtù invisibile sollevava dalla terra  assumendoli trasfigurati nella sfera gioviale. Come nel canto di Ariele, nulla di lui è svanito, ma il mare l’ha trasfigurato  in qualche cosa di ricco e strano. Il suo corpo giovanile arde sopra un rogo, a piè dell’ Appennino, al cospetto del  Tirreno solitario, sotto l’arco ceruleo del cielo. Arde con gli aromi, con l’incenso, con l’olio, col vino, col sale. Le  fiamme si levano fragorose in un’aria senza mutamento, vibrano canore verso il sole testimonio che fa scintillare i  marmi dei culmini montani. Una rondine marina cinge dei suoi voli il rogo, finché il corpo non è consunto. E, poi che il  corpo incenerito si disgrega, appare nudo e intatto il cuore: - COR CORDIUM” — Anch’egli, come il poeta dell’  Epipsychidion, in un’esistenza anteriore non aveva forse amato Antigone ? “(in G. D'ANNUNZIO, A/cyone cit. , pp  336-337).    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    longiniano del ‘forte sentire” della scrittura non è disgiunto anzi è fortemente rappreso alla  dimensione orrorosa dell’ “approdo spaventoso”. La morte è solo l’altra faccia della poesia, la cassa  di risonanza dell’orrore della definitiva scomparsa.   L’evocazione del rogo delle povere spoglie di Shelley!” fatto officiare da Byron il 16 agosto 1822  secondo l’antichissimo rito già descritto da Omero nell’ Iliade è solo l’occasione per celebrare la  caducità della Vita e la capacità mai esaurita della poesia di rinnovarla a partire dalla sua  conoscenza autentica ritrovata proprio nel confronto con la Morte (la Demogorgone"° risvegliata dal  poeta in un suo celebre testo drammatico, Prometheus Unbound).   Il mare in tempesta, l’orrore provocato dalla possibile emergenza del “capo mozzo” di Orfeo (il  simbolo eterno della poesia quale forma inesausta del canto), la rievocazione della “morte per  acqua” di Shelley, la consapevolezza che nel suo destino è confitta la necessaria conoscenza di ciò  che veramente conta nell’esistenza umana (‘il mondo ineffabile’) sono tutte tracce di una ricerca  della dimensione sublime della rappresentazione poetica per immagini.   La morte del poeta inglese tanto amato da D’ Annunzio si rastrema all’interno di un sistema mitico  di rappresentazioni della potenza della poesia — lo slittamento del personaggio evocato da quello di  Orfeo (la cui testa mozza e la lira avrebbero solcato, giusta la narrazione di Ovidio, il mare fino ad  approdare all’isola di Lesbo) a quello di Shelley!” segnano il passaggio di testimone da antico a  moderno fino a giungere alla penna del loro cantore che li accomunerà nella sua stessa persona.   La scansione del Sublime, quindi, in questo testo raffigurato come evento numinoso del tremendo  emergere della Morte, si ricompone nell’armonia del canto e dell’evocazione lirica blandendo  l’orrore della morte e ricomponendo il tutto nella potenza delle immagini sognate.   Come ha scritto Ezio Raimondi in una sua ricostruzione generale del rapporto tra D° Annunzio e il  simbolismo europeo (trascinandosi dietro anche la catastrofe mitteleuropea della Grande Vienna  impersonata da Hugo von Hofmannsthal in qualità di corifeo poi “pentito” del poeta pescarese!5):    «La ferita, l’orrore del reale resta ai margini della parola come una negazione da travestire  nell’artificio, nella maschera della vitalità alienata. L’ordine dei segni non può entrare in crisi  perché nel vuoto di senso dell’universo, nel cattivo infinito dell’arabesco, sopravvive l'illusione  della bellezza e la mistica del significante, il “mistero della scrittura e del segno scritto” che    i 1  rimanda a se stesso»!?.    !5 Il corpo mutilato di Shelley era comunque già stato sepolto sulla spiaggia dove era riaffiorato dopo la “morte per  acqua” del mese precedente.    !© Sul mito di Gorgone prima e di Medusa poi è di grande efficacia ermeneutica il saggio di J. — P. VERNANT, La  morte negli occhi. Figure dell’Altro nell’antica Grecia, trad. it. di C. Saletti, Bologna, Il Mulino, 1987. Del dramma  lirico di Shelley esiste una traduzione canonica in prosa ad opera di Cesare Pavese (P. B. SHELLEY, Prometeo slegato,  a cura di M. Pietralunga, Torino, Einaudi, 1997).    !” Sul mito d Shelley in vita e in morte è ancora fondamentale il saggio di H. BLOOM, “The Unpastured Sea: An  Introduction to Shelley” del 1969 che si può leggere in Romanticism and Consciousness : Essays în Criticism da lui  edito, New York, W. W. Norton & Co. , 1970.    18 “Non a caso sarà lo stesso Hofmannsthal, dopo essersi vestito della tunica dell’inflessibile Maestro di etica — tentando  così quell’impossibile riconciliazione tra ‘arte’ e “vita” che perseguirà ostinatamente lungo tutta la sua opera — a  smascherare D'Annunzio: a sua volta teso ad occultare, mediante lo sfrenato vitalismo dei “tanti” proclami  superomistici, come attraverso la celebrazione delle potenzialità divinatorie della parola, l’agghiacciante selva di larve,  l’inestricabile groviglio di “feroglifici” che si sono impadroniti della sua scrittura : da Le vergini delle rocce e Il fuoco  fino ad ogni verso di A/cvone'* (A. MAZZARELLA, I! piacere e la morte. Sul primo D'Annunzio, Napoli, Liguori,  1983, p. 118.    19 E. RAIMONDI, “Il D’ Annunzio e il simbolismo”, in D'Annunzio e il simbolismo europeo, a cura di E. Mariano, Atti  del Convegno di studio di Gardone Riviera, 14-16 settembre 1973, Milano, Il Saggiatore, 1976, p. 63.    8    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Allo stesso modo in La pioggia nel pineto, uno dei testi lirici più famosi dell’ A/cyone (e di tutto  D'Annunzio, peraltro), il Sublime si insinua non tanto nel patetismo ritmato dei versi d’amori e di  condivisione tra Ermione e il poeta quanto nei silenzi e negli scarti che enunciano la naturalità  dell’immagine evocata. Se il rapporto tra i due esseri umani (e il simbolo del loro amore — la  passeggiata nel bosco come esplorazione del mondo ancora aurorale, edenico, della loro passione) è  solcato dal segno del descrittivismo psicologistico più definito, sono le pause del loro dialogare ad  essere scandite dall’emergere di un silenzio ben più significativo delle parole pronunciate in  quell’occasione. In questo caso, infatti, le parole sono scavalcate da un silenzioso corteo di  immagini che prorompono e si mostrano come registro del reale nella loro assolutezza di  manifestazioni non eludibili di esse. L'ascolto del mondo si rovescia nella sua esibizione, nella sua  inesprimibile ineliminabilità, nella sua ineffabile proposta di immanenza non eludibile:    «Odi? La pioggia cade / su la solitaria / verdura / con un crepitio che dura / e varia nell’aria /  secondo le fronde / più rade, men rade. / Ascolta. Risponde / al pianto il canto / delle cicale / che il  pianto australe / non impaura, / né il ciel cinerino. / E il pino / ha un suono, e il mirto / altro suono, e  il ginepro / altro ancora, stromenti / diversi / sotto innumerevoli dita. / E immersi / noi siam nello  spirto / silvestre, / d’arborea vita viventi: / e il tuo volto ebro / è molle di pioggia / come una foglia,  / e le tue chiome auliscono come / le chiare ginestre, / o creatura terrestre / che hai nome / Ermione.  II Ascolta, ascolta. L’accordo / delle aeree cicale / a poco a poco / più sordo / si fa sotto il, pianto /  che cresce ; / ma un canto vi si mesce / più roco / che di laggiù sale, / dall’umida ombra remota. /  Più sordo e più fioco / s’allenta, si spegne. / Sola una nota / ancor trema, si spegne / risorge, trema,  si spegne. / Non s’ode voce del mare. / Or s’ode su tutta la fronda / crosciare / l’argentea pioggia /  che monda, / il croscio che varia / secondo la fronda / più folta, men folta. / Ascolta. / La figlia  dell’aria / è muta ; ma la figlia del limo lontana / la rana, / canta nell’ombra più fonda, / chi sa dove,  chi sa dove ! / E piove su le tue ciglia, / Ermione».    La pioggia mescola insieme natura e soggettività umana in una sintesi armoniosa in cui più che il  sottile rumore dell’acqua che cade vale maggiormente il silenzio che crea attraverso il suo suono  soffuso e latente. Il silenzio creato dallo scrosciare della pioggia è più forte e più avvolgente della  pura mancanza di suoni. Questo forma di silenziosità naturale produce la necessità dell’ascolto della  realtà. Attraverso di esso, la ricerca di senso delle parole si infrange contro la barriera di non-  senso”! prodotta dalle immagini che le costituiscono.   In La pioggia nel pineto, le immagini che parlano (il pino, il mirto, la rana ecc.) si impongono sulle  parole del poeta che declama perché sono in grado di rappresentare il senso della loro potenza  espressiva e della loro forza evocativa molto di più di quanto la scansione delle parole possa  permettersi. La ricerca di senso contenuta in A/cyone, quindi, in misura assai maggiore di quanto  accada in Maia o in Merope, è fondata sulle immagini che accompagnano l’avventura alcionia  dell’estate avventurosa della poesia dannunziana?”.    2° G. D'ANNUNZIO, “La pioggia nel pineto”, in A/cyone cit., pp. 254-257.    2! Il silenzio come non-senso contro il quale il senso non può che impedirsi di sostare in attesa di rendere dicibile  l’indicibile è opinione difesa da Bataille (e contro la quale Sartre si è battuto invano nella sua polemica contro la  “nuova” teologia batailliana). Su questi temi, rimando al libro di sintesi di P. VALESIO, Ascoltare il silenzio. La  retorica come teoria, trad. it. di A. Pelli, Bologna, Il Mulino, 1986, in particolare pp. 295-448). Valesio    significativamente cita il D’ Annunzio de // Fuoco e delle sue epifanie del silenzio.    2 Come scrive proficuamente N. LORENZINI : “Il percorso dal Fuoco a Alcyone permette, invece, di protrarre e  approfondire la traccia di una nuova sensibilità visiva, uditiva, tattile, resa possibile dall’illimpidirsi della parola che  ancora una volta è concesso misurare sulla metamorfosi semantica del nostro verbum sentiendi. Il Paratore, accennando  in un passo degli Studi dannunziani, al ‘magico intreccio di notazioni” (Napoli, Morano, 1966, p. 35, al capitolo  intitolato ‘“Antecedenti ovidiani del linguaggio di “A/cyone”) del terzo libro delle Laudi, poneva giustamente l’accento  sulla costante espressiva di un rappresentare in cui “la sensibilità tradizionale si macera e si dissolve, sprigionando per    9    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Il mondo appare come un’immane registro di forme e di realtà legate alla forza dell’immaginazione  — in esse non c’è più possibilità di gioco per le parole comuni piene del significato che ad esse viene  tradizionalmente attribuito dal linguaggio della Koinè e che esse si limitano soltanto a comunicare.  Nella poesia di D’ Annunzio, le parole si affacciano prepotentemente sulla scena della lirica sotto  veste di immagini ricche di senso dove, però, la comunicazione non è l’obiettivo da raggiungere.   E’ molto più importante per esse evocare la dimensione altra della realtà della poesia come  Assoluto significante e risuonare nello spazio sublime del silenzio dove la realtà si rapprende e il  mondo si ferma ad ascoltare ciò che non potrebbe udire in altro modo”?.    2. Il desiderio e l’arte come forme del Sublime: La Gioconda    I temi poi espressi e rilevati nella spesso perfetta campitura di A/cyone si ritrovano, in toni certo più  turgidi e sovente solo ammiccanti ed allusivi, in un testo drammatico messo in scena poco prima  dell’emergenza lirica della poesia delle Laudî (come si è avuto l’opportunità di dire prima).   Si tratta di La Gioconda, scritta nel 1898 alla Capponcina di Settignano in Firenze e rappresentata  nel 1899, con esito incerto e accoglienza tiepida del pubblico in quello stesso periodo ad opera della  Compagnia Zucconi-Duse costituita per l’occasione (insieme a La Gioconda era stata prevista la  messa in scena anche di La Gloria che però cadde miseramente a Napoli e non fu più reinserita nel  cartellone). Entrambe le opere drammatiche erano state scritte, peraltro, per la Duse e legate alla sua  interpretazione (lo stesso era accaduto per le altre opere di teatro scritte da D’ Annunzio nel periodo  1892-1899: La Città morta, Il Sogno di un mattino di primavera e Il Sogno di un tramonto  d’autunno, tutte pièces poi riproposte con molta difficoltà in seguito da altre attrici).   In questo testo teatrale a metà tra la tragedia e la commedia borghese basata su un ménage à trois  compaiono quali protagonisti sullo stesso piano tre personaggi: lo scultore Lucio settala (che  adombrerebbe lo stesso D°Annunzio), sua moglie Silvia (raffigurazione coniugale di Maria  Gravina, la precedente compagna del poeta al quale darà due figli) e Gioconda Danti (possibile  maschera artistica di Eleonora Duse).   Ma, ovviamente, non è questo il nodo più significativo intorno al quale far ruotare una possibile  interpretazione dell’opera (tutt'al più lo sarà in chiave puramente storico-aneddotico, non estetica).  Lucio Settala lo scultore tenta di rappresentare il Sublime nella sua creazione fatta di marmo ma per  realizzarla ha bisogno di una modella in carne e ossa. La sua attività di artista è stata finora bloccata  dai dissidi esistenti nella sua vita privata ma è stata finora resa possibile e in certo modo salvata  dall’abnegazione di sua moglie Silvia (che da ragazza, non a caso, si chiamava Doni e ha acquisito  con il suo nuovo cognome una capacità di volo ascendente prima sconosciuto‘).    compenso nuovi solleticanti, suasivi processi di penetrazione e interpretazione della realtà”. E di “esperienza  gnoseologica”, più che di ‘vicenda psicologica”, parla anche il Gibellini (“La storia di A/cyone” in ‘Quaderni del  Vittoriale”, 5-6. 1977, pp. 68 e 92) analizzando la Storia di “Alcyone”, la sua vicenda “diegetica e narratologica”, a  contatto di una “natura fatta viva” “ (77 segno del corpo. Saggio su d'Annunzio, Roma, Bulzoni, 1984, p. 116.    °° Ricavo questa proposta critica da un passo contenuto nel saggio dannunziano di Natalino Sapegno precedentemente  cit: : “Perché, come quel mondo poetico nasce sul fondamento di una pressoché totale dissoluzione dei contenuti  ideologici e affettivi, per raccogliere ed esaltare la superstite primordiale urgenza delle impressioni, degli umori, dei  trasalimenti avvertiti nella loro vitalità istantanea e fuggevole, ma con un’intensità rara di adesione carnale,  analogamente il suo linguaggio si elabora attraverso una rottura con tutta la tradizione, che egli non ignora, bensì la  padroneggia in quanto repertorio inesauribile di vocaboli e di forme estrinseche, ma alla quale rimane sostanzialmente  estraneo, perché non la sviscera nella sua storicità, nel suo organico sviluppo, nella sua problematica intrinseca. A  questo punto ci soccorrono le dichiarazioni stesse dello scrittore, e fra le tante basterà riferirne una sola che togliamo da  un appunto che è tra le carte del Vittoriale: “Dov’è la poesia nella letteratura d’Italia ? Nei primitivi, in certe notazioni  in margine della carte notarili — ma Ariosto, Tasso, tutto il resto ! E Manzoni ? E Leopardi ? La poesia italiana comincia  con 200 versi di Dante e — dopo un lungo intervallo — continua in me”. Dove non tanto mette conto di rilevare ora il  tratto di paradossale orgoglio, quanto quell’affermazione appunto di totale distacco dal passato, di assoluta indifferenza  a un’eredità che non sia di pure forme, anzi di astratto vocabolario: la coscienza di procedere in un terreno vergine, tutto  sperimentale, senza radici” (N. SAPEGNO, D’ Annunzio lirico” in D'Annunzio e la poesia di massa cit., p. 65).   24 Settala = sette ali, come è tipico dell’ottica onomastica cara a D’ Annunzio...    10    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Il luogo in cui avviene il recupero all’arte di Lucio, inoltre, dopo il suo tentativo quasi riuscito di  suicidio, è quanto di più propizio ad esso si possa pensare: Non solo l’azione avviene tra Firenze e  la “marina di Pisa”, nel tempo nostro, ma la scena stessa appare quanto di più armonioso si possa  pensare:    «Una stanza quadrata e calma, ove la disposizione di tutte le cose rivela la ricerca di un’armonia  singolare, indica il segreto di una rispondenza profonda tra le linee visibili e la qualità dell’anima  abitatrice che le scelse e le ama. Tutto intorno sembra ordinato dalle mani di una Grazia pensierosa.  L’imagine di una vita dolce e raccolta si genera dall’aspetto del luogo. Due grandi finestre sono  aperte sul giardino sottostante; pel vano di una si scorge sul campo sereno del cielo il poggio di San  Miniato, e la sua chiara basilica, e il Convento, e la chiesa del Cronaca, “la Bella Villanella”, il più  puro vaso della semplicità francescana. Una porta mette nell’appartamento interno; un’altra  conduce all’uscita. E° il pomeriggio. Per entrambe le finestre entrano il lume, il fiato e la melodia di  aprile».    Il luogo sembra essere l’ideale per riprendere a creare e per dimenticare il passato?°. Eppure per  Settala non è facile ritornare a vivere senza attingere alla fonte stessa della Bellezza che egli  identifica nella sua modella Gioconda Dianti.   Nonostante la riconoscenza che egli deve a sua moglie (che si è preso cura di lui nel periodo in cui  era stato tra la vita e la morte), Lucio è ancora, e come sempre attirato dal fantasma della Bellezza  raffigurato dal corpo-feticcio della sua modella-amante. Nello scontro tra queste due necessità vitali  (l’amore devoto e la riconoscenza per la moglie e la passione travolgente per la Bellezza) si insinua  la possibilità del Sublime. Il suo culto superomistico per se stesso consiste, in realtà, in questo.   La sua ambizione di cogliere il Sublime nell’arte non è altro che la volontà conclamata di andare  oltre la “misura” domestica della morale comune per raggiungere la dis-misura della passione  travolgente che si incarna nell’’’eterno piacere” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra) della creazione    «LUCIO SETTALA (abbassando la voce). Il gioco dell’illusione mi ha congiunto a una creatura che  non m’era destinata. Ella è un’anima d’un pregio inestimabile, dinanzi a cui mi prostro e adoro. Ma  io non scolpisco le anime. Ella non m’era destinata. Quando mi apparve l’altra, io pensai a tutti i  blocchi di marmo contenuti nelle cave delle montagne lontane, per la volontà di fermare in ciascuno  un suo gesto.    COSIMO DALBO. Ma tu hai già obbedito al comandamento della Natura, generando il capolavoro.  Quando vidi la tua statua, pensai ch’ella ti fosse liberatrice. Tu hai perpetuato in tipo ideale e  incorruttibile un esemplare caduco della specie. Non sei dunque pago?    2 G. D’ ANNUNZIO, La Gioconda, a cura di I. Caliaro, Milano, Mondadori, 1990, p. 39.    26 “La simbolica convalescenza di Lucio Settala fa scattare il circuito di morte e rinascita, i cui preamboli sono confinati  nell’antefatto. In una sera d’inverno lo scultore, conteso tra l’amore per la moglie e l’amore per una modella, ha tentato  di togliersi la vita con un colpo di pistola. Poiché l’episodio è avvenuto nello studio dell’artista, questa spazialità intrisa  di sangue, immersa nell’ombra invernale, è subito connotata come una topografia infetta. Trasportato nel /ocus  amoenus, l’uomo si salva grazie alle doti sacrificali di Silvia Settala. Custode della sacra soglia, la donna angelicata non  solo impedisce il “passaggio alla morte” ma consente al marito una graduale purificazione dell’anima avvelenata. Nel  primo atto della Gioconda, Lucio Settala, che “parla in una maniera singolare, come trasognando, con un misto di  agitazione e di stupore”, appare alla lettera un altro. Come l’Aligi della Figlia di Iorio, a cui il sogno profetico dona  metaforicamente le ali facendogli smarrire il ricordo dell’origine terragna, lo scultore vive in uno stato d’oblio, quasi  l’antica lebbra si fosse dissolta. E’ il modo con cui D'Annunzio segna l’irruzione della metànoia, il passaggio da una  condizione di morte spirituale al tempo della luce, un tempo che qui balugina in maniera ancora faticosa e imperfetta”  (U. ARTIOLI, // combattimento invisibile. D'Annunzio tra romanzo e teatro, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 139).    11    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    LUCIO SETTALA (accendendosi).Mille statue, non una! Ella è sempre diversa, come una nuvola  che ti appare mutata d’attimo in attimo senza che tu la veda mutare. Ogni moto del suo corpo  distrugge un’armonia e ne crea un’altra più bella. Tu la preghi che si arresti, che rimanga immobile;  e a traverso tutta la sua immobilità passa un torrente di forze oscure come i pensieri passano negli  occhi. Comprendi ? Comprendi ? La vita degli occhi è lo sguardo, questa cosa indicibile, più  espressiva d’ogni parola, d’ogni suono, infinitamente profonda e pure istantanea come il baleno, più  rapida ancora del baleno, innumerevole, onnipossente: insomma /o sguardo. Ora imagina diffusa su  tutto il corpo di lei la vita dello sguardo. Comprendi ? Un battito di palpebre ti trasfigura un viso  umano e ti esprime una immensità di gioia o di dolore. Le ciglia della creatura che ami si  abbassano: l’ombra ti cerchia come un fiume un'isola ; si sollevano ; l’incendio dell’estate brucia il  mondo. Un battito ancora : la tua anima si dissolve come una goccia ; ancora : tu ti credi il re  dell’ Universo. Imagina questo mistero su tutto il suo corpo ! Imagina per tutte le sue membra, dalla  fronte al tallone, questo apparire di vite fulminee! Potrai tu scolpire lo sguardo ? Gli Antichi  accecarono le statue. Ora — imagina — tutto il corpo di lei è come lo sguardo. Una pausa. Egli si  guarda intorno sospettoso, per tema d’essere udito. Si accosta anche di più all'amico, che lo  ascolta con una emozione crescente. Te l’ho detto : mille statue, non una. La sua bellezza vive in  tutti i marmi. Questo sentii, con un’ansietà fatta di rammarico e di fervore, un giorno a Carrara,  mentre ella m’era accanto e guardavamo discendere dall’alpe quei grandi buoi aggiogati che  trascinano giù le carra dei marmi. Un aspetto della sua perfezione era chiuso per me in ciascuno dei  quei massi informi. Mi pareva che si partissero da lei verso il minerale bruto mille faville animatrici  come da una torcia scossa. Dovevamo scegliere un blocco. Ricordo : era una giornata serena. I  marmi deposti risplendevano al sole come le nevi eterne. Udivamo di tratto in tratto il rombo delle  mine che squarciavano le viscere alla montagna taciturna. Non dimenticherei quell’ora, anche se  morissi un’altra volta... Ella si mise per mezzo a quell’adunazione di cubi bianchi, soffermandosi  dinanzi a ciascuno. Si chinava, osservava attentamente la grana, sembrava esplorarne le vene  interiori, esitava, sorrideva, passava oltre. Ai miei occhi la sua veste non la copriva. Una specie di  affinità divina era tra la sua carne e il marmo che chinandosi ella sfiorava con l’alito.  Un’aspirazione confusa pareva salire verso di lei da quella bianchezza inerte. Il vento, il sole, la  grandiosità dei monti, le lunghe file dei buoi aggiogati, e la curva antica dei gioghi, e lo stridore dei  carri, e la nuvola che saliva dal Tirreno, e il volo altissimo di un’aquila, tutte le apparenze  esaltavano il mio spirito in una poesia senza confini, lo inebriavano d’un sogno che non ebbe mai  l’eguale in me... Ah, Cosimo, Cosimo, io ho osato gettare una vita su cui riluce la gloria d’un tal  ricordo ! Quando ella tese la mano sul marmo che aveva scelto e volgendosi mi disse : “Questo”,  tutta l’alpe dalle radici alle cime aspirò alla bellezza. Un fervore straordinario riscalda la sua voce  e avviva il suo gesto. Colui che lo ascolta ne è sedotto, e ne dà segno. Ah, ora tu comprendi ! Tu  non mi chiederai più se io sia pago. Ora tu sai come debba essere furiosa la mia impazienza se  penso che in questo momento ella è là, sola, a piè della Sfinge, che mi aspetta. Pensa : la sua statua  è alzata sopra di lei, immobile, immutabile, immune d’ogni miseria ; ed ella è là affannata, e la sua  vita fluisce, e qualche cosa di lei perisce di continuo nel tempo. L’indugio è la morte.. >    Il corpo di Gioconda è, dunque, già pronto ad essere scolpito nei massi di marmo di Carrara che lo  scultore trasformerà, michelangiolescamente “per via di levare”, in altrettanti frammenti di  Bellezza, in segni assoluti del Sublime.    27 G. D’ ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp. 81-83. Il personaggio di Lucio Settala è stato quasi sempre messo in  relazione (e comparato dalla critica) con quello dello scultore Démétrios che è il protagonista del romanzo Aphrodite.  Moeurs antiques del 1896 di Pierre Loujs. Ma se il protagonista di quest’ultimo romanzo scolpisce furiosamente e  fervidamente soltanto il cadavere freddo e immobile della sua modella Chrysis, Ludovico ha bisogno di poter vedere e  toccare il corpo vivo e pulsante della sua modella. Semmai Settala può essere considerato l’antesignano dell’ Arnold  Rubek di Quando noi morti ci destiamo di Henrik Ibsen (un’ opera teatrale anch’essa prodotta nel 1899) o del Tono  Giuncano di Diana e la Tuda (1927) di Luigi Pirandello, testi entrambi debitori a D’ Annunzio per l’insistenza quasi  ossessiva sul nesso Arte-Vita (anche se in tutti e due la Vita, a differenza di quanto accade nell’opera di d’ Annunzio,  prevarrà tragicamente sull’ Arte e i suoi disegni di eternità).    12    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Un'altra statua, infatti, era già stata iniziata prima del tentativo di suicidio. Lucio vorrebbe  continuare a lavorarci utilizzando ancora come modella la donna che già ha trasposto nella pietra  marmorea. Quando la moglie Silvia verrà a sapere questo e saprà altresì che il marito ha intenzione  di continuare a frequentare la sua modella-amante, si recherà di persona nello studio di Settala per  affrontare la rivale (un tentativo precedente messo in atto dall’amico comune Lorenzo Gaddi era  andato a vuoto). La difesa di Gioconda sarà dura e serrata in nome dei diritti della passione e  dell’ispirazione che solo lei è stata ed è ancora in grado di infondere nello spirito creatore  dell’amante:    «GIOCONDA DIANTI. E voi mi accusate d’avergli inflitto un tormento infame, d’essere stata il suo  carnefice ! Ah, /e vostre mani soltanto, le vostre mani di bontà e di perdono**, gli preparavano ogni  sera un letto di spine ove egli non volle più distendersi. Ma, quando egli entrava qui dove io  l’attendeva come si attende il dio che crea, era trasfigurato. Egli ritrovava dinanzi alla sua opera la  forza, la gioia, la fede. Sì, una febbre continua gli ardeva il sangue, tenuta accesa da me (e questo è  tutto il mio orgoglio) ; ma al fuoco di quella febbre egli ha foggiato un capolavoro. Indica col gesto  la sua statua che la cortina nasconde.    SILVIA SETTALA. Non è il primo; non sarà l’ultimo.    GIOCONDA DIANTI. Certo, non sarà l’ultimo ; poiché un altro è pronto a balzare dal suo viluppo  di creta, un altro ha palpitato già sotto il suo pollice animatore, un altro è là semivivo, e attende  d’attimo in attimo che il miracolo dell’arte lo tragga intero alla luce. Ah voi non potete  comprendere questa impazienza della materia a cui fu promesso il dono della vita perfetta !    Silvia Settala si volge verso la cortina; fa qualche passo, lentamente, con l’apparenza d’un atto  involontario, quasi che obbedisca a un’attrazione misteriosa.    E° là ; la creta è là. Quel primo spiracolo ch’egli vi aveva infuso, io l’ho conservato di giorno in  giorno come si bagna il solco dov'è il seme profondo. Non l’ho lasciato perire. L’impronta è là,  intatta. L'ultimo tocco, che vi pose la sua mano febrile nell’ultima ora, è là visibile, energico e  fresco come di ieri, tanto potente che la mia speranza in mezzo alla frenesia del dolore vi si affisò  come a un suggello di vita e ne prese forza.    Silvia Settala s’arresta dinanzi alla cortina, come la prima volta ; e vi rimane immobile e muta.    Si, è vero, voi eravate intanto al capezzale del moribondo, protesa in una lotta senza tregua per  strapparlo alla morte ; e per questo foste invidiata, e per questo siate lodata in eterno. Voi avevate la  lotta, l’agitazione, lo sforzo : avevate da compiere qualche cosa che vi pareva sovrumana e che vi  dava l’ebbrezza. Io, sotto il divieto, nella lontananza e nella solitudine, non potevo se non  raccogliere e stringere — con tutta la volontà contratta — il mio dolore in un voto. La mia fede era  pari alla vostra ; certo, si collegò con la vostra contro la morte. L’ultima favilla creatrice partita dal  suo genio, dal fuoco divino che è in lui, io non l’ho lasciata estinguere, i0 l’ho tenuta sempre viva,  con una vigilanza religiosa e ininterrotta... Ah, chi può dire fin dove sia giunta la forza  preservatrice di un tal voto ?    Silvia Settala fa l’atto di volgersi con violenza, come per rispondere ; ma si trattiene.    28 Il corsivo non è nel testo dannunziano. Mi è servito soltanto per evidenziare il tema delle mani che nel prosieguo  della scena cadranno sotto il peso della statua quasi finita da Settala (le sue mani assunte come simbolo della Bontà  “umana”finiranno, quindi, schiacciate dalla potenza dell’ Arte “superomistica” e “troppo umana” che prevarrà su di  essa).    13    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Lo so, lo so : è ben semplice e facile quel che io ho fatto ; lo so : non è uno sforzo eroico, è l’umile  compito di un manovale. Ma non è l’atto quel che importa. Quel che importa è lo spirito con cui  l’atto si compie ; quel che solo importa è il fervore. Nulla è più sacro dell’opera che comincia a  vivere. Se il sentimento con cui io l’ho custodita può rivelarsi alla vostra anima, andate e guardate !  Perché l’opera seguiti a vivere pè necessaria la mia presenza visibile. [...] Voi non potete sentirvi  sicura qui come nella vostra casa. Questa non è una casa. Gli affetti familiari non hanno qui la loro  sede ; le virtù domestiche non hanno qui il loro sacrario. Questo è un luogo fuori dalle leggi e fuori  dei diritti comuni. Qui uno scultore fa le sue statue. Vi sta egli solo con gli strumenti della sua arte.  Ora io non sono se non uno strumento dell’arte sua. La Natura mi ha mandato verso di lui per  portargli un messaggio e per servirlo. Obbedisco ; lo attendo per servirlo ancora. S°egli ora entrasse,  potrebbe riprendere l’opera interrotta che aveva incominciato a vivere sotto le sue dita. Andate e    guardate i    Nello scontro diretto tra le due donne, Silvia sta per prevalere quando sostiene con forza d’animo e  con il buon diritto della moglie innamorata che il marito non ama più la sua modella. Quest'ultima,  allora, si appresta a distruggere la statua che la raffigura pretendendone la proprietà morale. Nel  tentativo di fermarla, la statua crolla sulla moglie e le schiaccia entrambe le mani. Silvia si salverà  nonostante la perdita delle mani ma Lucio, anche se travolto dal rimorso, continuerà a vivere nel  suo studio a fianco della modella che non riesce a lasciare:    «LORENZO GADDI. Sì, è una sorte troppo atroce. Mi ricordo ancora di quel che diceste tanto  teneramente, guardandola, in quel giorno d’aprile. “Sembra che abbia le ali!”’. La bellezza e la  leggerezza delle sue mani le davano quell’aspetto di creatura alata. V’era in lei una specie di  fremito incessante. Ora sembra che si trascini...    FRANCESCA DONI. Ed è stato un sacrifizio inutile come gli altri, non è valso a nulla, non ha  mutato nulla : ecco l’atrocità della sorte. Se Lucio le fosse rimasto, credo ch’ella sarebbe contenta di  avergli potuto dare quest’ultima prova, d’avergli potuto fare anche il sacrifizio delle sue mani  vive”, Ma ella conosce omai tutta la verità, nella sua crudezza ... Ah che infamia! Avreste mai  potuto credere che Lucio fosse capace di tanto ? Dite.    LORENZO GADDI. Anch’egli ha il suo fato, e gli obbedisce. Come non fu padrone della sua morte,  così non è padrone della sua vita. Lo vidi ieri. M’aveva scritto al Forte dei Marmi per pregarmi di  salire alle Cave e di spedirgli un masso. Lo vidi ieri, nel suo studio. Il suo viso è così scarno che  sembra debba divorarglielo il fuoco degli occhi. Quando parla, si eccita stranamente. Ne rimasi  turbato. Lavora, lavora, lavora, con una terribile furia : forse cerca di sottrarsi a un pensiero che lo  rode.    °° G. D’' ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp. 115-117.   3° Il “sacrificio delle mani vive” rimaste sotto una statua non può che far venire mente l’analoga offerta fatta dal fedele  abruzzese Ummàlido a San Gonselvo che avviene nel finale di “L’eroe”, una delle più intense e potenti (anche se al  limite del Grand Guignol) tra le Novelle della Pescara: “L’Ummàlido era caduto in ginocchio ; e la sua mano destra era  rimasta sotto il bronzo. Così, in ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla mano che non poteva liberare, due occhi  larghi, pieni di terrore e di dolore ; ma la sua bocca torta non gridava più. Alcune gocce di sangue rigavano l’altare. [...]  Nella chiesa la moltitudine agglomerata cantava quasi in coro, al suono degli strumenti, per intervalli misurati. Un  calore intenso emanava dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea di San Gonselvo scintillava dall’alto come  un faro. L’Ummàlido entrò. Fra la stupefazione di tutti, camminò sino all’altare. Egli disse, con voce chiara, tenendo  nella sinistra il coltello: “Sante Gunzelve, a te le offre”. E si mise a tagliare in torno al polso destro, pianamente, in  cospetto del popolo che inorridiva. La mano informe si distaccava a poco a poco, tra il sangue. Penzolò un istante  trattenuta dagli ultimi filamenti. Poi cadde nel bacino di rame che e raccoglieva le elargizioni di pecunia, ai piedi del  Patrono. L’Ummàlido allora sollevò il moncherino sanguinoso ; e ripeté con voce chiara: “Sante Gunzelve, a te le offre”  (G. D'ANNUNZIO, Le novelle della Pescara, Milano, Mondadori, 1993, p. 114 e p. 116).    14    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    FRANCESCA DONI. La statua è ancora là?    LORENZO GADDI. E’ ancora là, senza braccia. L’ha lasciata così : non ha voluto restaurarla. Così,  sul piedestallo, sembra veramente un marmo antico, disseppellito in una delle Cicladi. Ha qualche  cosa di sacro e di tragico, dopo la divina immolazione.    FRANCESCA DONI. a bassa voce. E quella donna, la Gioconda, era là?    LORENZO GADDI. Era là, silenziosa. Quando uno la guarda, e pensa ch’ella è causa di tanto male,  veramente non può imprecare contro di lei nel suo cuore ; - no, non può, quando uno la guarda...Io  non ho ma veduto in carne mortale un così grande mistero»*!.    Da questo “combattimento invisibile” tra le sue due anime (quella riconoscente alla moglie e quella  protesa al possesso e alla trasformazione in opera d’arte della sua modella) il destino di Settala è  segnato : travolto dalla sua volontà demoniaca (e quindi sublime !) di creazione assoluta, egli non  potrà che assecondarla e condannare la sua metà buona e amorevole a privarsi perfino di quello che  le era servito (le sue mani amorose cioè) per curarlo e salvarlo dalla morte”,   Lo scontro in atto tra le due metà (quella animosa e combattiva contro il richiamo della sua sirena-  Gioconda e quella cedevole e morbosa che, invece, anela ad essa) di Settala è così forte che non  solo provoca praticamente l’uscita di scena del suo personaggio ma propiziano, in tal modo,  contemporaneamente l'avvento dell’Orrore, quell’Orrore che in D'Annunzio costituisce sempre il  gioco di sponda del Sublime e ne permette il suo presentarsi quale testimone estetico della scrittura  (come lo si è già veduto in atto nel caso della poesia dell’A/cvone che seguirà di lì a poco,  ambientata peraltro negli stessi luoghi in cui si svolgono gli ultimi due atti del dramma).    ?! G.D’ ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp. 142-143.    ® U. ARTIOLI, I/ combattimento invisibile. D'Annunzio tra romanzo e teatro cit. , p. 141 e pp. 146-147 : “Il conflitto  di Lucio Settala ha un che d’irriducibile. Prosternato davanti alla moglie, ne riconosce lo stampo divino ; assegna invece  un che di deteriore alla passione per la modella, in cui vede una profanazione dello spirito, un pericolo attentato alla  sfera morale. Eppure non può o non sa decidersi per il sentiero del Bene. Qualcosa di eccessivo, di troppo teso e  iperbolico s’agita dietro lo schermo delle passioni borghesi entro cui a prima vista sembra collocarsi un testo come La  Gioconda. Cosa veicola questo menage à trois in apparenza così banalmente ancorato ai moduli teatrali del secondo  Ottocento, con la figura maschile contesa tra una moglie troppo remissiva e fedele e un’amante altrettanto viziosa e  dispotica?” [...] “Dopo il colloquio con Cosimo Dalbo, Lucio Settala praticamente scompare dall’azione. Nell’ultimo  atto si apprende che, decidendo per la modella, ha anteposto il calore della bellezza sensibile alle vitree desinenze della  bellezza morale. Questa rivendicazione dell’ autonomia dell’arte, che ne fa una forma d’ esperienza aperta alla totalità  dell’uomo, e dunque anche al mondo della Caduta e del Male, ha come conseguenza lo scacco della figura affluita dai  diafani aloni dell'immaginario cristiano. Delineando il personaggio di Silvia, D’ Annunzio mette in scena i propri  fantasmi, e se la scelta del suo tormentato scultore esclude alla fine il primato del Bene sul Bello, assegna pur sempre  all’estetico una valenza divina : “L’artista, scrive Novalis, sta sopra l’uomo come la statua sopra il piedistallo... Proprio  nel momento in cui l’opera avrebbe dovuto diventare interamente sua, è divenuta qualcosa di più del suo creatore, ed  egli si è fatto l’organo ignorante e la proprietà d’una potenza superiore. L'artista appartiene all’opera, non l’opera  all'artista” (Novalis, Frammenti, trad. it. di E. Pocar, Milano, Rizzoli, 1996°, pp. 283-285)”. La citazione tratta dai  Frammenti può servire a riassumere l’itinerario di Lucio Settala, l’uomo che abbandona la cornice degli affetti per una  dedizione assoluta all’ opus, alla transustanziazione alchemica della materia. [...] ‘Se Lucio Settala esce di scena, lo fa  per seguire la “potenza superiore” di cui parla Novalis, la “potenza [...] implacabile” che, stando a una battuta del terzo  atto, Gioconda serve col fervore religioso di una sacerdotessa. Rispetto alla Gloria, dove D’ Annunzio maneggia lo  schema classico della Psicomachia, la tragedia del °98, che pure presenta il personaggio maschile divaricato tra due  fantasmi mentali, attua una notevole variante. Facendo scomparire il protagonista dall’azione, il drammaturgo muove le  potenze rivali come se fossero figure autonome e lo scontro del terzo atto, dove le immagini femminili sono una di  fronte all’altra, diventa l'epicentro del dramma”.    15    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    3. La tragedia del Sublime e il recupero del mito: Fedra    Tra il 1908 e il 1909, D’ Annunzio concepisce il suo omaggio al mito tragico greco (personalissimo  e destinato a un travolgente insuccesso). Concluso nel 1904, per volontà di lei, il rapporto con  Eleonora Duse e dopo una serie di relazioni non altrettanto significative come quest’ultima sotto il  profilo della collaborazione artistica, stavolta la sua Musa ispiratrice sembra Nathalie de Golouleff :    «La notte fra il 2 e il 3 febbraio 1909 verga l’ultima cartella del manoscritto della tragedia, tracciato  in poche decine di giorni (e notti) laboriosissimi, dedicando l’opera “così nobile e così severa”  all’ amata del momento, Nathalie de Goloubeff, da lui ribattezzata Donatella Cross. Con l’amante  parigina, cui ha spesso descritto la sua nuova fatica, legge la tragedia a Cap d’ Antibes, fra il 18 e il  24 febbraio : ella se ne infiamma al punto da proporsi con incauta ambizione come interprete  scenica, e si accinge a voltarla in francese (La versione, cui è interessato anche Ricciotto Canudo*},  uscirà per le mani più esperte di André Doderet). La tragedia, ce lo conferma anche il figlio del  poeta e primo Ippolito, Gabriellino, fu dunque composta con ritmo frenetico “nelle condizioni più  avverse alla meditazione e al sogno, in un periodo acerbissimo della sua crisi finanziaria”. Le lettere  al Treves forniscono, fra le assillanti richieste di soccorso in denaro, le tappe di un lavoro  febbrile».   Nonostante siano preponderanti le necessità economiche e il suo ritmo di scrittura venga definito da  tutti i suoi studiosi a tambur battente, Fedra è, tuttavia, una tragedia meditata a lungo, fortemente  voluta e niente affatto imbastita in velocità per cercare di rimandare il più possibile il collasso  finanziario. Ma il risultato effettivo della pièce sarà catastrofico. Il debutto, pur avvenuto nella  prestigiosa sede della “Scala” di Milano, fu un disastro. Lo stesso D’ Annunzio se ne disse deluso in  maniera assoluta”. Da allora, il testo, nonostante una ripresa romana al Teatro Argentina del 25  maggio 1909 ad opera della stessa compagnia e il melodramma che Ippolito Pizzetti ne ricavò nel  1914, non sarà più riproposto in maniera definitiva. Anche la critica dannunziana (nonostante spunti  importanti in alcuni volumi a lui dedicati*°) si è mai risolta a prendere sul serio il testo tragico del  poeta abruzzese.   E’ stato merito, tuttavia, di Paolo Valesio, in un suo intervento pionieristico pronunciato ad un  importante convegno bolognese sul Sublime del 30-31 ottobre 1984, l’aver riportato l’attenzione    33 All’epoca il futuro teorico del cinema era ancora soltanto un giovane di belle speranze che si divideva tra narrativa,  teatro e la nascente arte cinematografica. Bisognerà aspettare il 1911 perché il suo testo-manifesto La nascita della  sesta arte gli dia una certa notorietà in campo artistico.    34 P. GIBELLINI, Introduzione a G. D'ANNUNZIO, Fedra, a cura di P.Gibellini, Milano, Mondadori, 1986, p. 7.   Della compagnia di Mario Fumagalli facevano parte Teresa Franchini che interpretò Fedra e il figlio primogenito  Gabriellino che fu Ippolito. A sua moglie Maria (la madre di Gabriellino), l’autore della tragedia scrisse: “La  rappresentazione italiana fu ignobile. Soltanto Gabriellino mostrò una freschezza e una energia inattese. Gli altri furono  i “cani” d’Ippolito, e latrarono con furore più che canino“ (lettera dell’ 11 maggio 1909).    36 Basti pensare a E. DE MICHELIS, Tutto D'Annunzio, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 344 ssg. ; E. PARATORE, “La  morte di Fedra in Seneca e nel d’ Annunzio”, in Studi dannunziani cit. ; G. BARBERI SQUAROTTI, “Lo spazio della  diversità: la Fedra”, in “Quaderni del Vittoriale”, settembre-ottobre 1980 (Atti del Convegno “D’Annunzio e il  classicismo”, Gardone Riviera, 20-21 giugno 1980), pp. 115-141 ; M. PAVAN, “Modelli strutturali e fonti della  mitologia greca nella Fedra di Gabriele D’ Annunzio”, ibidem, pp. 155-168 ; M. GUGLIELMINETTI, “La Fedra di  d’Annunzio e altre Fedre”, in Atti delle giornate di studio su Fedra, a cura di R. Uglione (Torino, 7-9 maggio 1984),  Torino, Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia, 1986, pp. 33-54. Qualche anno dopo la prima teatrale  dell’opera, Antonio Bruers, uno dei dannunziani tra i più fedeli, aveva scritto su di essa un volumetto esegetico (Fedra  di Gabriele D'Annunzio. Saggio di interpretazione, a cura del Fondaco di Baldanza, Roma, Società Anonima  Poligrafica Italiana, 1922). Il testo dannunziano, inoltre, è stato ristampato in Fedra. Variazioni sul mito, a cura di M. G.  Ciani, Venezia, Marsilio, 2003 che raccoglie in un unico volume le quattro più importanti ricostruzioni teatrali di questo  mito (Euripide, Seneca, Racine e, appunto, D’ Annunzio).    16    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    della critica su questo testo drammatico di D'Annunzio e averne consentito l’analisi mediante  coordinate nuove sotto il profilo estetico:    «Tutta la Fedra è, dunque, una delle estreme ricerche moderne del sublime: non una lotta letteraria,  ma letteratura come lotta — per costruire una leggenda, e degli eroi. Costruire dico, e non ricostruire.  Ma se (suona una possibile domanda che appiattirebbe il discorso) se Teseo e Fedra ci sono già,  come personaggi non solo mitici ma elaboratamente letterari, perché mai ci sarebbe bisogno di  costruirli ? E invece, proprio qui è il punto. La ricostruzione in calce alla grande letteratura passata  è la mossa della blandizie, che è rassicurante e archeologica (s pensi a certi testi teatrali degli anni  Trenta, come La guerra di Troia non si farà di Jean Giraudoux, ecc. ...). La mossa dell’autore  altomoderno è ben diversa: egli costruisce, in certo modo, ex novo (altro che i plagi di cui ancora  chiacchierano i professori-odiatori di D’ Annunzio !). Questa mossa è genealogica in quel senso  (primariamente nietzcheano) di genealogia che relega la diacronia in secondo piano. Ed è un gesto  genealogico sublimante in quanto è una mossa di presentificazione — dunque, una strategia  sincronica. (Sublimante ha poco o nulla a che vedere con la “sublimazione” della tecnologia  freudiana). In questa riscoperta violentemente sincronica sta, contro l’intellettualismo che è  implicito in ogni storicismo, la forza del discorso decadente; quella forza che ci mostra come  decadente non sia sinonimo di “debole”, ma indichi una creativa declinazione (strumento di una  grammatica in gran parte nuova)»?”.    Valesio rimette in gioco la questione del ri-utilizzo del materiale mitico della tradizione classica da  parte di D’ Annunzio e lo fa a parte dalla questione del Sublime.   La Fedra del poeta pescarese è sicuramente una tragedia del destino (come nella tradizione  letteraria si è soliti configurarla sulla scia di una ricostruzione del rapporto tra uomo greco e Fato)  ma è anche una rappresentazione del Sublime. Fin da subito — basta leggere attentamente la  didascalia d’apertura del dramma per accorgersene:    «Trezene è il luogo, “vestibolo della terra di Pelope”. E appare, nel palagio di Pitteo, il grande e  nudo lineamento di un atrio che gli occhi non abbracciano intero, sembrando il vano e la pietra  spaziare più oltre da ogni parte, con sublimi colonne, con profonde muraglie, con larghi aditi  aperti fra alte ante. Per alcuno degli aditi non si scorge se non l’ignota ombra interna ; ma l’ardente  luce occidua e il soffio salmastro entrano per alcun altro che guarda la pianura febea di Limna, il  porto sinuoso di Celènderi, la faccia raggiante del Mare Sarònico e la cerula Calàuria sacra  all’ippico re Poseidone. Rami d’ulivo involuti in liste di candida lana son deposti su l’altare  dedicato all’Erceo proteggitore delle sedi ; innanzi a cui s’apre la fossa circolare dei sacrifizii.  Accolte son quivi le Madri dei Sette Eroi atterrati su le sette porte di Tebe. E poggiata al lungo  scettro eburno la vedova di egeo, la madre veneranda di Teseo, Etra del sangue di Pelope, quivi è  con le Supplici dalla chioma tonduta e dal bruno peplo, fra la luce e l'ombra».    Inoltre allusioni alle diverse “declinazioni” del Sublime — come vuole Valesio — sono disseminate  ovunque nel testo. Basterà riprodurre di seguito qualche specimen di esso per rendersi conto della  ritmica allusività della parola che vuole farsi immagine proprio a partire dalla sua tentazione    37 P. VALESIO, “Declinazioni: D’ Annunzio dopo il Sublime”, in “Studi di estetica”, a cura di V. Fortunati e G. Franci,  4-5, 1984 (Atti del Convegno “Il Sublime : creazione e catastrofe nella poesia”, Bologna, 30-31 ottobre 1984, a cura di  V. Fortunati e G. Franci), pp. 183-184 (poi ripubblicato in traduzione inglese in The Dark Flame, New Haven (Conn.),  Yale University Press, 1992).    38 volti  Il corsivo è mio.    ® G. D'ANNUNZIO, Fedra cit. , p. 43.  17    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    estetica. Il Sublime aulico dell’incipit insegue il tremendo e il mostruoso come pure la  magnanimità‘ quali altrettanti e differenti aspetti della sua potenzialità espressiva.   A p. 53 della tragedia, infatti, Teseo viene definito ”il tuo sposo magnanimo” da una delle Supplici  e successivamente l’’eco della grande anima” (giusta la celebre definizione pseudo-longiniana della  natura del Sublime*') risuona nella narrazione del fato inarrestabile ed eroico di Capaneo folgorato  sotto le mura di Tebe:    «IL MESSO. Era il meriggio.   FEDRA. Ombra non v'era alcuna?   IL MESSO. Quella del curvo scudo sopra lui ; / ché coperto saliva / su per la scala apposta alla  muraglia. / Saluiva senza crollo / sotto le pietre dei difenditori. / E crosciava la grandine sul ferro / e  crosciava sul cubito intronato, / che non cedette. Sì cedette il cuore / tebano ; ché su la muraglia  sgombra, / giunto in sommo, balzò l’ Eroe tremendo. / E stette. E si scoperse. / E fu luce e silenzio di  prodigio. / E allor s’udì tre volte strider laquila / dall’ Ètere sublime. E l’eversore / allo strido levò  la faccia ardente / d’inumana virtù, simile a un nume. / E la voce di bronzo / tonò : “Adempio il  giuro. Espugno Tebe”. E la destra scagliò l’asta amentata / contra 1’ Ètere.    Col gesto irrefrenabile e con le pupille alzate Eurìto compie l’imagine dell’atto temerario. Ma  sùbito si smarrisce e ondeggia. Gli rende il soffio l’ardente inspiratrice, che è china verso la  trasfigurazione della Madre.    FEDRA. Segui ! Segui ! Uomo, / non tremare ! Non perdere il respiro ! / Or tu devi cantar come  l’aedo, / come quando aggiogavi i due sonanti / cavalli. Il cuor terribile è rinato / entro il petto  materno. Il rombo vince / la tua parola. Versagli la gloria ! / Come tendi le redini del carro, / sogna  che tendi i nervi della cetera. / Alza la voce !   IL MESSO. L’asta non ricadde. / E quel dispregiatore dei Celesti / sorrise come non sorride l’uomo./  Si chinava egli già, pronto a balzare / oltre la Porta. Il fuoco inevitabile / lo percosse nel vertice del  capo.    Fulgida di fervore, piegato un ginocchio a terra, Fedra abbraccia l’esausto fianco d’Astinome  come il tronco d’una quercia che tentenni.    *° Sulla “magnanimità” come declinazione della forma del sublime classico in rapporto alla teoria delle passioni nel  mondo classico e nelle sue successive riproposte in epoca moderna, cfr. le analisi contenute in R. BODEI, Geometria  delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico cit. , in particolare la Parte Seconda (non a caso  intitolata all’ Archeologia del volere) , pp. 181-258.    4! Scrive l’ Anonimo (che i suoi lettori rinascimentali e moderni continuarono a chiamare, in mancanza di un altro nome  più verosimile, con quello di Longino e solo con l’apposizione dubitativa dello Pseudo): “Poiché il posto più importante  tra tutte le fonti lo occupa la prima, dico la grandezza della mente, anche qui, pur trattandosi di un dono naturale,  piuttosto che di un’abilità acquisita, occorre, per quanto è possibile, allevare le nostre anime alla grandezza e, per così  dire, farle continuamente gravide di impulsi geniali. In che modo ? mi chiederai. L’ho già scritto altrove : il sublime è  l’eco di una grande anima. Donde talvolta un pensiero spoglio, privo di voce, è ammirato per se stesso, proprio per la  sua grandezza : tale è il grande silenzio di Aiace nella Nekuya, più sublime di qualunque discorso. Pertanto la questione  dell’origine del sublime è il fondamento irrinunciabile della nostra trattazione : il vero oratore non può nutrire pensieri  bassi e ignobili. Infatti non è possibile che coloro i quali, per tutta la vita, si prendono cura e pensiero di piccolezze e  servilismi esprimano cose meravigliose o degne di passare ai posteri. Grandi invece sonno, com’è ovvio, i discorsi di  coloro i cui pensieri fremono di grandezza. Perciò il sublime s’incontra sempre negli spiriti magni* (Pseudo-  LONGINO, // sublime, trad. it. e cura di G. Lombardo, Palermo, Aesthetica Edizioni, 1987, pp. 35-36). Sulla teoria  longiniana del Sublime come ueyaZoppoobvns dréynua e sulla sua fortuna fino all'Ottocento, mi permetto di rimandare  al mio “Da qui all’eternità. Due possibili modelli di Sublime letterario”, in “Parénklesis. Rassegna annuale di cultura  della Editrice Clinamen”, 2007 / 5, pp. 43-67. Sulla fortuna del concetto estetico in questione, cfr. , invece, il mio //  Sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria già cit.    18    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    FEDRA. Madre, madre, ti cerchio con le braccia. / Non ti tocca la folgore. Grandeggi. / Piena ti  sento d’una immensa vita. / Odi l’aedo ! Odi l’aedo ! Come / urtò la terra il Folgorato ?    Nel soffio che lo suscita, il conduttore di carri sotto la corona di pioppo è nobile come un cantore  di parole alate. Un ansito occulto gli scuote la voce ma non gliela rompe. Ed egli è fiso al gruppo  sublime ; ché la Titanide regge ancora tra le sue braccia la quercia palpitante»    La morte di Capaneo è uno dei momenti “sublimi” e più potentemente tratteggiati dell’opera ma  nella sua ricostruzione non viene utilizzato soltanto il Sublime puro del legato longiniano — ad esso  viene attribuito anche il respiro epico dell’epopea. Il racconto dell’auriga impasta, infatti, il senso  tremendo della sfida alla Divinità con il ritmo scandito e susseguente dell’azione.   Come scrive utilmente Gibellini nella sua Introduzione alla tragedia dannunziana:    «La contaminatio epopea-dramma è dunque la chiave della scelta dannunziana. In verità la critica  s'è soffermata, sinora, sulla contaminatio all’interno del genere, notando come l’episodio di  Capaneo ed Evadne assommi parti dei Sette contro Tebe di Eschilo, dei due Edipo di Sofocle, delle  Supplici e delle Fenicie euripidee. I tratti danteschi dell’episodio di Capaneo non s riducono a echi  letterali (che determinano scatti memoriali con altri luoghi della Commedia, presentando ad  esempio l’eroe “forato... nella gola”), ma comportano una interferenza epico-poematica nell’intera  vicenda. Capaneo, Evadne sono gli esempi ammirati, e dunque gli anticipi della scelta blasfema e  suicida di Fedra : una scelta già data a priori. Personaggio epico, e non tragico, Fedra sa e dice la  sua volontà : perde un presupposto essenziale del tragico antico, enucleato recentemente per Edipo  da Dario Del Corno: il non conoscere la differenza tra bene e male, il non conoscere la volontà degli  dei, il non sapere tout court. In ciò D’ Annunzio si trova schierato con la Fedra (psicologistica) di  Seneca e con quella di Swimburne", schiette confessatrici dell’inconfessabile, mentre il dieu caché  (per dirla con Goldmann), il dio inconoscibile ma severamente installato nella coscienza dell’eroina  “cristiana” del giansenista Racine, la imparenta strettamente con la Fedra “pagana” di Euripide».    E° probabilmente questa volontà di confessare e di esibire la propria “colpa d’amare” la maggiore  “trasgressione” dannunziana alla costruzione del mito di Fedra rispetto alle sue molteplici e  travolgenti elaborazioni nel corso della sua lunga storia culturale (e scenico-teatrale).   Fedra, in realtà, risulta nell’elaborazione drammaturgica di Euripide nella sua prima epifania sulla  scena in quanto personaggio tragico (questo almeno è l’unico che ci è pervenuto nel legato classico  della tradizione del teatro greco” ) soltanto come il contraltare della vicenda di Ippolito (e tale,    4 G. D'ANNUNZIO, Fedra cit., pp. 62-63.   Sa Sugli echi swimburniani in D’ Annunzio, ancora utile il saggio di Calvin S. Brown, Jr., “More Swinburne-D'Annunzio  Parallels” in “PMLA”, 55, 2 (June 1940), pp. 559-567. Sulle fonti inglesi della poesia dannunziana, è sempre utile la  consultazione di N. LORENZINI, D'Annunzio, Palermo, Palumbo, 1993. (che contiene anche un’assai interessante  antologia della critica).    4 P. GIBELLINI, Introduzione a G.D’ ANNUNZIO, Fedra cit. , p. 23.    4 Una buona sintesi dei problemi relativi alla Fedra in ambito greco antico si può trvare nel saggio di Nadia Fusini  dedicato alla tragedia euripidea: “Se per Fedra il gioco drammatico è fin da subito tra destino e carattere (la Moira  coincidendo per lei con la Madre), non è certamente il destino a vincere, ma piuttosto il carattere. Ed Euripide si  riconferma così come il drammaturgo moderno che è, che esplora un territorio nuovo, e porta l’uomo ellenico a piegarsi  verso la coscienza, per scoprirne l’autonomia rispetto a leggi oggettive, sopraindividuali, siano esse di ordine religioso,  o politico. E di fatto (anche se attraverso la morte, come Alcesti) Fedra afferma orgogliosa il proprio nome, contro  l'eredità materna. Sì, lei è figlia di Pasifae, ma non come Pasifae agirà col proprio desiderio. Se dal passato sorge una  potenza destinale che tenta di annullarla, prova ad offuscare il suo volto, e oscurare la sua luce — in altre parole, a  piegare il suo carattere secondo il sigillo materno — Fedra lotta ribelle. Ma non sempre Fedra ci è mostrata in tale posa  eroica. Così è nell’Ippolito euripideo che ci rimane, il quale non è che il “secondo pensiero” di Euripide riguardo a  questa vicenda che tanto interesse suscita nel mondo antico, provocando altri scrittori a fornire le loro versioni.  Purtroppo il tempo s’è pronunciato contro il primo Ippolito (Ippolito velato), e contro la Fedra di Sofocle, e ce li ha    19    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    infatti, è il titolo dell’opera del grande autore teatrale nato a Salamina). La tematica che emerge con  maggiore profondità dal dramma è quella dello scontro tra amore e dovere dal punto di vista  maschile. Ippolito non vuole infrangere il suo patto di fedeltà con il padre e, quindi, diventare un  amante incestuoso ma, soprattutto, non è attratto particolarmente (se non affatto) dai piaceri  dell’amore e del sesso. Nonostante tutto, il suo destino interessa ad Euripide in maniera più diretta  di quanto gli accada per quello di Fedra. Per questo motivo, nonostante quest’ultima manifesti una  tensione interiore e una dinamica psicologica assai più potente (sulla base di quello che fu definito  dalla filologia tedesca, con un’espressione paradossalmente provocatoria, l’’ibsenismo” di  Euripide) è la sorte di Ippolito ad essere il vero oggetto della tragedia.   Sarà Seneca ‘° a riportare interamente sull’amore infelice della moglie di Teseo il peso della  tragicità dell’evento'”. Dall’autore latino in poi la sola Fedra diventerà la stella di prima grandezza  della tragedia dell’incesto materno e dell’amore fatale ad esso legato fino a tutto Racine compreso.  Nell’autore tragico francese è tutto il mondo mitico della tragedia classica a subire un violento  scossone stilistico-tematico e una sorta di suo rovesciamento radicale — come ha ben compreso  George Steiner nel suo libro dedicato alla Morte della tragedia:    sottratti. E ci rimane solo il secondo /ppolito (1° Ippolito incoronato). Ma presso gli scrittori dell’antichità i primi due  testi ebbero grande fortuna, così noi possiamo ritrovarne degli echi, un sentore, un profumo, in Ovidio, ad esempio, o  Virgilio, o Seneca... Più tardi in Racine” (N. FUSINI, La Luminosa. Genealogia di Fedra, Milano, Feltrinelli, 1990,  pp. 102-103.    4° Una delle migliori sintesi di inquadramento della figura di Seneca come pensatore e come scrittore teatrale è presente  nel libro di P. GRIMAL, Seneca, trad. it. di T. Capra, Milano, Garzanti, 2001; per una ricostruzone della sua fortuna  nel secolo appena trascorso, cfr. F. CITTI — C. NERI, Seneca nel Novecento. Sondaggi sulla fortuna di un “classico”,  Roma, Carocci, 2001.    4 Nella Phaedra di Seneca sarà comunque Teseo (e non più Ippolito) il reale antagonista di Fedra. Il suo forte  turbamento (al limite della follia e della volontà di suicidio) che si verifica quando viene a conoscenza dell’abisso in  cui l’ha spinto il rancore e il risentimento della moglie innamorata invano di Ippolito ispirano al filosofo di Cordoba una  delle sue pagine poetiche più potenti: “TESEO. O gole del pallido Averno, e voi, spelonche infernali, / onda di Lete,  dolce per gli infelici, e voi, torpidi laghi, / afferrate quest'uomo empio, e sommergetelo, e oppri- / metelo con eterni  dolori : / venite qui, adesso, mostri crudeli del mare, e adesso, / voi, rigonfiatevi, / belve enormi dell’oceano, che Proteo  nasconde nelle sue / voragini estreme, / e trascinate me, che fui lieto per questo crimine atroce, / dentro i gorghi  profondi : / e tu, padre, che troppo facilmente sempre esaudisci il / mio furore, / io non la merito, una facile morte, io  che l’ho disperso, / via per i campi, / il mio figlio, io che ho perseguitato, rigido vendicatore, / un falso crimine, e sono  precipitato, così, dentro un ve- / ro delitto: / con questo mio delitto, io ho riempito le stelle, e l’infer- / no, e le onde: /e  non ci sono altri spazi : e i tre regni, ormai, mi cono- / scono: / per questo, dunque, noi siamo ritornati ? e si è aperta, /  per me, una via verso il cielo ? / per vedere due cadaveri, e una duplice strage ? / e così, senza la mia moglie, e senza il  mio figlio, con una / fiaccola sola, / accendere i roghi funebri, per la mia prole e per la mia / sposa ? / o Ercole, tu che  mi hai donato questa funebre luce, re- / stituisci / il tuo regalo all’abisso, rendimi quell’inferno / che mi hai negato ! ma  io, empio, invano invoco / quella morte che ho fuggito : o crudele artefice di stragi, / tu che hai macchinato inaudite,  spietate rovine, / imponi a te stesso, adesso, un giusto supplizio ! / dovrebbe forse un pino, sforzato nella sua cima,  tocca- / re la terra, / e spezzarmi in due pezzi, nei due pezzi del suo tronco, / portandomi in alto ? / o io dovrei gettarmi,  giù con la mia testa, sopra le rocce / di Scirone ? / ma ho visto cose più atroci : il Flegetonte infernale le impone / ai suoi  prigionieri scellerati, chiusi dentro le sue onde / di fuoco: / ma quale pena mi attende, e quale luogo, io lo so : / o  scellerate ombre, fatemi posto : e sopra questo, sopra / questo mio collo, / si posi, per alleggerire le stanche mani del  vecchio Sisifo, / quel suo masso, l’eterna fatica del figlio di Eolo : / e mi inganni quel fiume di Tantalo, che sfiora e  deride le / labbra: / e abbandoni Tizio, quel suo feroce avvoltoio, e voli so- / pra di me, / e cresca il mio fegato, sempre,  per la mia pena : / ma riposa, tu, Issione, padre del mio Piritoo, / e trascini queste mie membra, in un turbine sfrenato, /  con il suo cerchio che si volge, quella ruota che mai non / si arresta : / ma apriti, tu, o terra : accoglimi, terribile caos, /  accoglimi : che questa, per me, è la strada più giusta / verso le ombre : / io seguo il mio figlio : e tu, re dei defunti, non  temere : / noi discendiamo con pudore, adesso : accoglimi dentro / la tua eterna casa : / e io on uscirò più : ma le mie  preghiere non li scuoto - / no, gli dei : / ah, che se io chiedessi delitti, come sarebbero pronti, / quelli, con me! ” (L. A.  SENECA, Fedra, trad. it. di E. Sanguineti, Torino, Einaudi, 19693, pp. 68-69). Si tratta, come si è potuto vedere, di un  classico esempio di stile orroroso (classificabile come deinotès nell’ottica stilistica introdotta dallo Pseudo-Demetrio nel  suo trattato denominato Perì hermeneias) che marca in maniera considerevole la qualità di scrittura di Seneca..    20    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    «Fedra è la chiave di volta nella storia della tragedia francese. Tutto ciò che la precede sembra  preannunciarla, nulla di ciò che segue la supererà. E° Fedra che ci fa esitare davanti alla  dichiarazione di Coleridge secondo cui la superiorità di Shakespeare su Racine sarebbe  incontestabile quanto ovvia. Questa tragedia ha uno spirito suo, peculiare (delimita essa stessa la  portata del proprio splendido intento), eppure è un’espressione caratteristica di tutto lo stile  neoclassico. La supremazia di Fedra è esattamente commisurata al rischio assunto. Una brutale  leggenda della follia dell'amore è ridotta in forme teatrali che soffocano rigorosamente ogni  eventualità di follia e di disordine inerente al soggetto. Mai nella tragedia neoclassica il contrasto  tra fabula e riduzione teatrale è stato più drastico ; mai l’applicazione dello stile e delle unità è stata  più completa : Racine impose all’arcaica oscurità del tema le forme della ragione. Egli prese il tema  di Euripide accettandone tutta la ferocia e la stranezza ; operò un solo cambiamento significativo.  Nella leggenda, Ippolito è votato alla completa castità. E’ un freddo, puro cacciatore che disprezza i  poteri dell’amore. Afrodite vuole vendicarsi del suo disprezzo ; di qui la catastrofe. Questo è il mito  come fu interpretato da Euripide e Seneca, e nel suo /[ppolito (1573) Garnier si attenne strettamente  al loro modello. Racine, al contrario, fa del figlio di Teseo un timido ma appassionato amante. Egli  rifiuta le offerte di Fedra, non soltanto perché incestuose, ma perché ama un’altra donna. La  concezione originaria di Ippolito si accorda perfettamente all’atmosfera tenebrosa della leggenda ;  Euripide ne fa una creatura silvestre, tratta dal suo nascondiglio e immessa in un mondo che non  comprende completamente. Perché Racine doveva trasformarlo in un cortigiano e galant homme ?  Forse soprattutto per il fatto che un principe che fugge all’avvicinarsi delle donne sarebbe apparso  ridicolo a un pubblico contemporaneo ; tuttavia questa è l’unica concessione di Racine alle esigenze  del decoro ; per il resto lascia che le furie si scatenino. Ci dice che Fedra è costretta a seguire la sua  tragica strada, spinta “dal destino e dall’ira degli dei”. I meccanismi della fatalità si possono  interpretare in vari modi ; gli dei potrebbero essere se stessi oppure quel che, in seguito, più  moderne mitologie della coscienza chiameranno fattori ereditari. Ibsen parla di ‘fantasmi’ quando  vuole significare che le nostre vite potrebbero essere trascinate alla rovina da una malattia ereditaria  della carne. Così Racine ricorre agli dei per spiegare l'esplosione in Fedra di passioni elementari più  sfrenate e distruttive di quelle che comunemente si manifestano tra gli uomini. [...] In Fedra Racine  utilizza per la fantasia ogni possibile ordine del “vero”, permettendo alla sfera della ragione di  dissolversi impercettibilmente in più ampie e più antiche concezioni del comportamento»”*.    Phèdre, di conseguenza, sarà la tragedia dello sguardo e dell’illusione vissuta dagli occhi (come  bene ha mostrato Jean Starobinski in un suo celebre saggio su Racine e la dinamica visiva dei suoi  personaggi‘). La novità nell’impianto drammaturgico di D’ Annunzio (in presenza di capolavori    4 G. STEINER, Morte della tragedia, trad. it. di G. Scudder, Milano, Garzanti, 1992°, pp. 75-77. Sulla cultura  letteraria francese del Grand Siècle, cfr. l'ormai classico saggio di P. BENICHOU, Morali del Grand Siècle, trad. it. di  R. Ferrara, con un’ Introduzione all’ edizione italiana di G. Fasano, Bologna, Il Mulino, 1990.    4 J. STAROBINSKI, “Racine e la poetica dello sguardo” in L’occhio vivente, trad. it. di G. Guglielmi e G. Giorgi,  Torino, Einaudi, 1975, pp. 59-60: “Nel teatro francese classico, e in particolare in quello di Racine, i gesti tendono a  scomparire a tutto profitto del linguaggio — come è stato detto —, ma, occorre aggiungere, anche a vantaggio dello  sguardo. Se i personaggi non si affollano né combattono sulla scena, in compenso, si vedono. Le scene sono occasioni  per vedersi. Mentre le persone del dramma si parlano e si guardano tra loro, gli sguardi che si scambiano agiscono come  un abbraccio e una ferita, poiché dicono tutto ciò che gli altri gesti avrebbero detto, ma con il privilegio di spingere  oltre, di andare più a fondo, di commuovere più nel vivo, in una parola, di turbare gli animi. Una violenza estetica  diviene così mezzo di espressione drammatica. La volontà stilistica, che fa del linguaggio un discorso poetico, innalza  nello stesso tempo tutta la mimica e la gestualità a livello dello sguardo, risultato di una stessa trasmutazione, di una  stessa “sublimazione”, che purifica la parola parlata e concentra nel solo linguaggio degli occhi tutto il potere  significante del corpo. L’atto di vedere riprende in sé tutti i gesti che la volontà stilistica aveva soppressi, li rappresenta  simbolicamente, accogliendo tutte le loro tensioni e tutte le loro intenzioni. Senza dubbio, si dà qui una  “spiritualizzazione” dell’atto espressivo, conforme alle esigenze di un’epoca di decoro e di buona creanza in cui le  passioni possono esprimersi con misura, in forme caste e senza la presenza soverchiante del corpo. Sino all’istante in  cui si abbatterà il pugnale, i personaggi non si affrontano mai se non attraverso una distanza. Quasi spoglio, il  palcoscenico è consegnato allo spazio, spazio chiuso, scenario (portici, colonnati, rivestimenti), ove le vittime sono già    21    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    come quello raciniano), di conseguenza, non risulterà tanto dall’evoluzione del personaggio tragico  quanto dalle modalità del suo tono e dal registro estetico adottato.   La sensualità della donna innamorata prevale sulla dimensione “materna” della tradizione classica  (raccolta peraltro anche da Racine). Fedra è una donna che vuole un uomo e intende averlo,  nonostante il tabù sociale dell’incesto e la violenza della proibizione interiore.   A Ippolito che la chiama “madre”, Fedra risponde di essere una donna e una donna innamorata.   E nel finale della tragedia l'emergenza del biancore che contraddistingue la dea Artemide anticipa  la morte imminente dell’eroina e ne garantisce, nello stesso tempo, la sublimità in divenire. Nel  “bosco pien d’orrore” l’arrivo della Dea prima invocata in maniera blasfema da Fedra si fa  preannuncio dell’incombenza della morte e del freddo pallore che l’accompagna:    «Si fa altissimo silenzio. Non più rugghia né rosseggia il rogo su l’argine ; non più sode il latrato  lontano ; ma solo s’ode l’immenso marino pianto, sotto il cielo che palpita di costellazioni. Tutti si  tacciono, contro la sublime bianchezza della Titanide vedendo l’arco d’Artemide apparito.Con non  umana voce ella parla, mentre sale e splende nelle sue vene la purità della morte.    FEDRA. Ah. M°hai udito, dea! Ti vedo bianca. / Bianca ti sento in tutta me, ti sento / gelida in tutta  me, non pel terrore ; / non pel terrore, ché ti guardo. Guardo / le tue pupille, crude / come le tue  saette. E tremo, sì, / ma d’un gelo che infuso m'è da un’altra. / Ombra, ch'è più profonda della tua /  Ombra. Ippolito è meco. / Io gli ho posto il mio velo, perché l’amo. Velato all’Invisibile / lo porterò  su le mie braccia azzurre, / perché l’amo. [...]    Cade su î ginocchi, presso il cadavere, mettendo un grido fievole come un anelito su dallo schianto  del cuore. Ma, prima di abbandonarsi spirante sopra il velato, rialza ella il volto notturno ove il    sorriso trema con l’ultima voce.    Vi sorride, / o stelle, su l’entrare della Notte, / Fedra indimenticabile».    prigioniere e che reca taluni segni convenzionali di maestà e di sfarzo, forse non senza qualche turgore barocco. Ma,  entro questi limiti, si fa il vuoto, senza che vi intervenga alcun oggetto, e questo vuoto sembra esistere soltanto per  essere attraversato dagli sguardi. Perciò la distanza che separa i personaggi rende possibile l’esercizio di una crudeltà  che diviene tutto sguardo e afferra gli animi riflettendosi negli occhi dell’amore o dell’odio. Difatti — nonostante la  distanza e proprio in virtù di essa — viene a stabilirsi un contatto con lo sguardo. E se accettiamo, come appena si è  detto, l’idea di una spiritualizzazione dei gesti fisici che si fanno sguardo, dobbiamo accogliere poi l’idea inversa di una  “materializzazione” dello sguardo, che si appesantisce caricandosi di tutti i valori corporei, di tutti i significati patetici  di cui si è lasciato pervadere. Questo peso carnale dello sguardo si esprime stupendamente nel verso: “Chargés d’un feu  secret, vos yeux s’appesantissent’ (Fedra I, i : “Carichi di un fuoco segreto, gli occhi vi si appesantiscono”, in J.  RACINE, Teatro, a cura di M. Ortiz, Firenze, Sansoni, 1963). Non è più un chiaro sguardo che conosce, ma uno  sguardo che brama e soffre”.    °° G. D'ANNUNZIO, Fedra cit. , pp. 209-210. Come sostiene P. VALESIO in “Declinazioni: D’ Annunzio dopo il  Sublime” cit, pp. 180-181 : “E’ su questo nodo che convergono il problema di Fedra come nuova protagonista di una  tragedia altomoderna, e il generale problema di metodo del discorso decadente. Si consideri questa didascalia, che  descrive l’atteggiamento di Fedra a un certo punto di questa parte iniziale del dramma : “Nuovamente ella è come la  Musa che, mentre accoglie dona, Ella segue e conduce i segni dell’azione magnanima. La guarda come per interrogarla  il rivelato aedo. Nel rispondere, ella domanda. Riceve il fuoco e lo sparge”. Non possiamo non vedere qui il rapporto  paronomastico : sotto ‘“i segni dell’azione magnanima” stanno annidati ‘i sogni dell’azione magnanima”. Ma, prima di  tornare al sogno come creazione, consideriamo il predicato centrale — qui chiaramente esplicitato —di Fedra : il suo  essere Musa.La tragedia di Fedra in questa versione altomoderna è quella di non poter essere compiutamente Musa, pur  avendo sentito che questa è invero la sua vocazione: essa riesce a trasformare il Messo (che prima era un auriga) in  Aedo, ma non s’interessa a lui in quanto uomo (anche se egli è, senza alcuna speranza, innamorato di lei). Quanto a  Ippolito, essa lo desidera troppo per potergli essere veramente Musa. Di fronte a questo ostacolo, ciò che l’eroina  risolve di fare è: compiere una costante ricostruzione estetica di se stessa e di tutto il mondo intorno a lei. L’ Atto Primo  è chiuso dalle parole di Fedra che chiama se stessa “Fedra indimenticabile”, sul cadavere della schiava uccisa (in quella  che è una delle più allucinanti ed efficaci scene masochistiche nella storia del teatro europeo — certamente unica in tutta  la tradizione del teatro italiano, compreso quello contemporaneo) : ‘Presso l’altare ingombro / dei vostri rami supplici    22    RETROGUARDIA  quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Il freddo della Morte coincide con il congedo appassionato dalla Vita e dal suo miglior sostituto, la  Poesia. Fedra scompare nella Notte da cui era venuta e il suo gesto finale la congela nell'immagine  sublime di un abbandono al proprio destino che si rivela contemporaneamente come una sfida ad  esso e un gesto definitivo di accettazione del suo volere.    immolata / l’ha, nella sacra luce / dell’olocausto nautico, alle Forze / profonde e alle severe Ombre e al superstite /  Dolore // e alla Manìa / insonne, su l’entrare della Notte, / Fedra indimenticabile”. E con le stesse parole (“Fedra  indimenticabile”), ancora una volta da lei stessa pronunciate, si chiude l’ Atto Secondo e finale della tragedia. Dicendo  indimenticabile, Fedra evoca insieme il suo trionfo e il suo tormento ”. Sulla pronunciata dimensione estetica nella  produzione letteraria di D’ Annunzio e sul tema dell’epifania in rapporto alle immagini del Sublime, cfr. il libro di P. DE  ANGELIS, L'immagine epifanica. Hopkins, D'Annunzio, Joyce : momenti di una poetica già cit. , pp. 43-85.    23    RETROGUARDIA    quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso    Saggi pubblicati su Retroguardia    1. Giuseppe Panella, ELOGIO DELLA LENTEZZA. Paul Valéry e la forma della poesia    2. Giuseppe Panella, D'ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’ Alcyone, la Fedra e  altre apparizioni    In rete:    Biobibliografia di Giuseppe Panella ( http://retroguardia2.wordpress.com/biobibliografia-di-  giuseppe-panella/ ).    Saggio pubblicato su Retroguardia (http://retroguardia2.wordpress.com/) e La poesia e lo spirito  (http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/)    Saggi letterari di Giuseppe Panella in formato PDF: http://retroguardia2.wordpress.com/saggi-  letterari-pdf/    Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0:  http://retroguardia2.wordpress.com/category/panella-giuseppe/    24 Panella. Keywords: “socialism e fascismo” del sublime, cura di Mosca, Mosca, l’influenza di Mosca in Torino, Michels, il fascismo di Michels, Mussolini e Michels, Michels ed Enaudi, la radice proletaria di Benito, dal socialism al fascismo, pre-ventennio fascista, il socialismo, l’ordine del risorgimento, la rivoluzione, la dittadura dell’eroe carismatico, l’assenza di mediazione nel duce come proletario lui stesso, l’aristocrazia del fascismo, applicazione della teoria di Mosca sull’aristocrazia, l’aristocrazia della nazione italiana, la razza italiana, la razza Latina, I latini e l’oltre razzi italici – latini, etruschi, sabini, uschi, umbri, liguri, la questione della razza nel fascismo, la questione della razza nel ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Panfilo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Panfilo Filoprammato – ‘busy body.’ He writes on art. Pamfilo Panfilo Filoprammato.

 

Grice e Panigarola: la ragione della riforma; la ragione della contra-riforma – la scuola di Milano – filosofia milanese -- filosofia lombarda -- filosofia italiana (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. O.F.M. vescovo della Chiesa cattolica     Incarichi ricopertiVescovo titolare di Crisopoli di Arabia Vescovo di Asti Nato a Milano Nominato vescovo da papa Sisto V Deceduto ad Asti   Manuale. Vescovo cattolico e predicatore italiano, vescovo titolare di Crisopoli di Arabia e vescovo di Asti. Di origini aristocratiche, nacque presso porta Vercellina dai nobili Gabriele in una delle case più prestigiose della città. Ultimo di quattro fratelli, e battezzato con il nome di Girolamo. La famiglia redigeva e conserva fin dall'età comunale l'archivio dell'Ufficio degli Statuti dello stato di Milano, che comprende i provvedimenti del comune, e quindi gli atti emanati dai signori e duchi di Milano, le liste dei banditi dallo Stato (Libri Bannitorum), le tutele dei minori, le gride, le citazioni e le condanne.   Frontespizio di un libro del XVI secolo con alcune prediche di P. Fa i primi studi a Milano con gli umanisti Conti e Paleario. E mandato dal padre a studiare diritto a Pavia. Dopo un litigio con un rivale, si trasfere a Bologna dove venne in contatto con il ministro generale francescano dei frati minori che lo convence ad intraprendere la carriera ecclesiastica.  Veste l'abito francescano nella Chiesa di Ognissanti a Firenze, prendendo il nome Francesco in onore dello zio, provinciale dell'Ordine a Milano. Professa i voti solenni dopo un anno di noviziato a Firenze. Prosegue i suoi studi a Padova, dove ebbe per maestro Tomitano, e Pisa, dove ascolta Cesalpino e Nobili. Designato per predicare davanti al capitolo generale dell'Ordine a Roma. Le sue doti oratorie gli attirarono l'attenzione del papa, che lo invia a Parigi al seguito del cardinal nipote Bonelli per perfezionare i suoi studi alla Sorbona. A Parigi studia i Padri della Chiesa, i Concili, e il greco. Uno dei suoi professori e Feuardent. Al termine del biennio francese rientra in Italia. Insegna a Firenze, Bologna, e Roma.  L'insegnamento non lo distolse dalla suo compito di predicatore. Percorse in lungo e in largo l'Italia tenendo quaresimali in moltissime città della penisola tra cui Genova, Pesaro, Venezia, Napoli, Mantova, Torino Bologna e Roma. In breve tempo la sua fama si diffuse in tutta Italia e spesso lo si poteva trovare a predicare presso la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli o nella basilica di San Pietro in Roma.  Anche il papa assiste ogni anno alla sua predica e molti principi, ecclesiastici e nobili italiani fanno a gara per poter accaparrarsi la sua presenza. Famoso e il suo contraddittorio a Rezia al seguito di san Carlo Borromeo con alcuni calvinisti, dal quale usce vincitore. In Piemonte, entra nell'ambito della corte del duca Carlo Emanuele che lo vuole come suo prezioso consigliere spirituale. Venne consacrato vescovo titolare di Crisopoli di Arabia e inviato come suffraganeo a Ferrara. L'incarico dura tre mesi perché, in seguito alla morte di Rovere, il duca fa di tutto per insediare il suo fido predicatore alla carica di vescovo di Asti, anche contro il volere dello stesso che considera la sede astigiana modesta. In seguito alla morte di san Carlo Borromeo, P. venne incaricato di fare l'orazione funebre. Raccolta di salmi di mons. P.  Assume l'incarico di vescovo di Asti.  Il giorno dopo il suo ingresso in Asti, P. pubblica un Editto contra banditi et fuoriusciti. La diocesi di Asti ormai decaduta a discapito della vicina capitale sabauda, aveva perso i fasti e gli splendori medievali, riducendo anche di molto gli introiti a disposizione della curia vescovile. L'economia astigiana ha subito un tracollo e nelle campagne moltissimi sono i vagabondi o coloro che si davano al brigantaggio per il loro sostentamento.  Basti pensare che il vescovo, scrivendo al duca Carlo Emanuele afferma che la mensa vescovile di Asti non oltrepassa e forse non arriva nemmeno a 800 scudi all'anno. Questa chiesa è delle più lontane da Roma in Italia et anche delle più povere. Malgrado questo, nel suo settenario, sposando in toto la politica tridentina di San Carlo Borromeo, si adopera per la diffusione del catechismo popolare, effettua alcuni sinodi diocesani e molte visite pastorali.  Nei sinodi tre furono i punti fondamentali:  l'osservanza delle leggi ecclesiastiche (punto già portato avanti dal suo predecessore della Rovere) il culto e lo sviluppo del Santissimo Sacramento la regolamentazione della vita diocesana con la formulazione di un calendario liturgico, la compilazione di quattro registri riferiti ai battesimi, comunioni, matrimoni e decessi, la nomina di esaminatori sinodali Sulla scia del vescovo Roero, promulga la "caritas" cristiana, fondando la Compagnia di Santa Marta per l'assistenza ai poveri ed agli infermi. Inviato in Francia come assistente del legato pontificio Caetani ritorna ad Asti dopo l'abiura di Enrico IV. P. venne trovato morto ai piedi di un inginocchiatoio con in mano il crocefisso. Venne sepolto in Cattedrale nel presbiterio. L'orazione funebre e pronunciata d’Armi. Una lapide ricorda il luogo della sepoltura. HIC JACET P. EPISCOPUS ASTENSIS CUIUS ANIMA IN BENEDICTIONE SIT OBIIT. P. scrive opere di teologia, compendî, commenti, lezioni e varie raccolte di prediche (Homeliae pro Dominicis, Venezia; Cento ragionamenti sopra la passione di N.S., Venezia; Discorsi sui Vangeli della Quaresima, Roma; ecc.). Lasciò anche un manuale, Il predicatore ossia parafrasi e commento intorno al libro dell'eloquenza di Demetrio Falereo, che ebbe autorità e fortuna. Fu senza dubbio oratore insigne, accostabile a Paolo Segneri per la cura dell'elaborazione artistica delle sue prediche e per il vigore del ragionamento; ma gli nocquero gli schemi retorici che troppo amava, e l'indulgere alle fiorettature formali preludenti al secentismo.  Opere  Predicatore, Da BEIC, biblioteca digitale Melchiorri (Annales Min.) fornisce l'elenco più completo delle opere di Panigarola. Le più importanti sono:  Il Compendio degli Annali Ecclesiastici di Baronio, Roma, Gigliotto, Gli annali ecclesiastici ridotti in compendio, (comprende solo il primo volume degli Annales Ecclesiastici di Baronio), Venezia, appresso la Minima Compagnia, Petri Apostolorum Principis Gesta ... in rapsodiæ, quam catenam appellant, speciem disposita, Asti. Lettioni sopra dogmi, dette Calviniche, Venezia. Quest'opera, tradotta in latino (Milano), fu attaccata da Picenino nella Apologia per i Riformatori e per la Religione Riformata contro le Invettive di F. Panigarola e P. Segneri, Coira. Il Predicatore di F. Francesco Panigarola ... overo Parafrase, comento e discorsi intorno al libro dell'Elocutione di Demetrio Falereo, Venezia; P. Il Predicatore, In Venetia, nella Salicata, Specchio di Guerra, Bergamo. Scrive anche commentari a vari libri biblici (Salmi, Geremia etc.) e molte raccolte di sermoni, pubblicati in italiano e in latino (Cento ragionamenti sopra la passione di N.S., Venezia; Discorsi sui Vangeli della Quaresima, Roma; Homiliae pro Dominicis, Venezia.). I suoi sermoni furono tradotti anche in francese.  Genealogia episcopale La genealogia episcopale è:  Estouteville, O.S.B.Clun. Papa Sisto IV Papa Giulio II Cardinale Raffaele Sansone Riario Papa Leone X Papa Clemente VII Cardinale Antonio Sanseverino, O.S.Io.Hieros. Cardinale Giovanni Michele Saraceni Papa Pio V Cardinale Innico d'Avalos d'Aragona, O.S.Iacobi Cardinale Scipione Gonzaga Vescovo P., O.F.M. Casa P. racconta Vasari , "e decorata dagli affreschi notissimi con gli Uomini d'arme del Bramante. . Tratto da Bramante in Lombardia, anisa DBI. Giunta, Un'eloquenza militante per la Controriforma: P. tra politica e religione, Angeli. Visconti, Diocesi di Asti e Istituti di vita religiosi, Asti, P., In morte e sopra il corpo dell'Illustrissimo Carlo Borromeo, cardinale di santa Prassede et arcivescovo di Milano, Milano, per Paolo Gottardo Pontio. I sinodi furono tre. Visconti, Diocesi di Asti e Istituti di vita religiosi, Asti. Incisa S.G. , Asti nelle sue chiese ed iscrizioni . Ristampa anastatica dell'appendice del Giornale di Asti del 1806, C. R.A. Rossi, Pinacotheca imaginum, Colonia, Ughelli, Italia sacra, IV, Venezia, Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 1, Milano, Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano, Estoile, Mémoires-journaux de Henri III, IV, Paris, Manfroni, La legazione del cardinale Caetani, in Rivista storica italiana, Bosio, Storia della Chiesa d'Asti, Asti, Wadding, Scriptores Ordinis Minorum, Editio novissima, Roma, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, I, Roma, Wadding et al., Annales Minorum, Quaracchi, Burroni, I francescani in Asti, Asti, Bachelet, Bellarmin avant son cardinalat, Paris, Boüard, Sixte-Quint, Henri IV et la Ligue, in Revue des questions historiques, Sevesi, S. Carlo Borromeo ed il p. Francesco Panigarola, in Archivum Franciscanum Historicum, Estoile, Journaul de Henri IV, I, Paris, Pozzi, Intorno alla predicazione del P., in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova, Lay, Un prelato italiano tra 'liguers' e 'politiques', in Miscellanea: Walter Maturi, Torino; Sabatelli, Scambio epistolare tra Francesco Panigarola e Leonardo Salviati, in Archivum Franciscanum Historicum (con due lettere inedite); Giuseppe Santarelli, Le 'Rime sacre' del Tasso e le prediche del Panigarola, in Bergomum, Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento, Roma, Rusconi, Predicatori e predicazione, in Storia d'Italia, Annali, IV, Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino Marcora, I funebri per il Card. Carlo Borromeo, Lecco; Laura Zanette, Tre predicatori per la peste: Lettere italiane; Bolzoni, La stanza della memoria, Torino; La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, a cura di Giacomo Martina, Ugo Dovere, Roma; Sabrina Stroppa, Regalità e 'humilitas'. Francesco Panigarola e la costituzione della Biblioteca del Monte dei Cappuccini di Torino, in Girolamo Mautini da Narni, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Zardin, Tra latino e volgare. La 'Dichiarazione dei salmi', in Sincronie, Mouchel, Rome Franciscaine, Paris, Fumaroli, L’età dell’eloquenza, Milano Giombi, Sacra eloquenza, in Libri, biblioteche e cultura nell'Italia del Cinque e Seicento, a cura di Edoardo Barbieri, Danilo Zardin, Milano, Armstrong, The politics of piety: Franciscan preachers during the wars of religion, Rochester, Giunta, Panigarola e la Francia. Note sulla Vita e la teoria della predicazione, in Lettere italiane, Zwierlein, Fame, violenza e religione politicizzata: gli assedi nelle guerre confessionali (Parigi), in Militari e società civile nell'Europa dell'età moderna, a cura di Claudio Donati, Bernhard R. Kroener, Bologna; Laurenti, 'Il Predicatore' di P., Giornale storico della letteratura italiana; La predicazione nel Seicento, a cura di Maria Luisa Doglio, Carlo Delcorno, Bologna Laurenti, Tra retorica e letteratura: l’oratoria dell’«argomentare ornato» nelle 'Calviniche', Torino; Hierarchia Catholica, IMeroi, La Potentia Dei nell'oratoria sacra Del secondo cinquecento: Francesco Panigarola, in Divus Thomas, Voci correlate Diocesi di Asti Seminario vescovile (Asti) Giovanni Dalle Armi Diocesi di Crisopoli di Arabia Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Francesco Panigarola Collegamenti esterni  Fassò, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, Harper. Modifica su Wikidata Vincenzo Lavenia, PANIGAROLA, Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 80, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere di Francesco Panigarola, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata Opere Open Library, Internet Archive. Oliger, Catholic Encyclopedia, Appleton Cheney, Catholic Hierarchy.  Predecessore Vescovo titolare di Crisopoli di Arabia Successore Rafaél Limas Pelletta Predecessore Vescovo di Asti Successore Rovere Benso Portale Biografie Portale Cattolicesimo   Portale Letteratura Categorie: Vescovi cattolici italiani Predicatori italiani Nati a Milano Morti ad Asti Francescani italiani Persone giustiziate per impiccagioneStudenti dell'Università degli Studi di PaviaStudenti dell'Università di BolognaVescovi di AstiVescovi francescani[altre].   MODO   DI  COMPORRE   VNA  PREDICA,   Del  Reuerendifs.  Mon%.   PANIGAROLA   VESCOVO  D’ASTI,  Dell’ordine  di  S.Francefco  de’Minori  OlTeriianti.  véggi  unto  ut  di  nuouo   Vn  Trattato  delia  Memoria  locale  delfifteHb  Autore.   *»■   CoK  trinile  g  io.    In  Veneti  a,  Appreflo  Giacomo  Vincenti   MDCIIL    I    »        II    J    Po   AL MOLTO  REVER  P-   MIO  OSSERVANDISS.   IL  PADRE  REGI  NALDO   DALL'ORO  DI  BOLOGNA,  Predicator  Dominicano.    luerfe  ragioni  m  eccitano  i  ||  )  dentearle  quefte  foche  fa¬   tiche  del  Reuerendijfmo  Monfg.Panigarola  di  felicijfma  we~  moria ,  piciole  dico  in  apparenza^  ma  fruttuofffme  in  realtà,  A  lei  dunque  le  con  fiero    per  tributo  della  noHra  muto  labi  le  amicitia  de  molti  anni  fra  di  noi  contrattaci  peri' ami  fa  che  lei  teneua  con  detto  Prelato  decoro  de  Pulpiti  della  Cbrifìianità  3  e  ttupor  quafi  del  Mondo  tuttofi  anco  per  l'of  fitio ,  che  tiene  della  Predicanone ^mol  ti  anni  fono  jejfer  citata  da  lei  in  molte   fitta  delle  principali  d'ltaliayoltreU   A  a  fu*    fua  P atri a  di  Bologna  con  affidue  e  lo -  date  fatiche ,  i  cui  frutti  furono  pari¬  mente  abraditi  ( tralafciando  alcune  di  Daìmatia)da  V erona.V icen^P a  doa3  e  Vinegia ,  come  da  arbore  affet-  tuofamente  confecrato  dalla  fua  pro¬  pria  uo/ontà  à  quefa  wuitiffma  Rc-  pubhca .  Non  tfdegm  dunque  quello  piciol  dono  degno  al  fcuro  dlejjer  pre  giatoda  primi  Prencipi  del  Mondo  y  non  perche  fa  parto  della  mia  nuo  ton¬  ta  ,  ma  perche  è  opera  di    maraut -  ghofo  dicitore  come  fu  le  eccellentifs .  Monfig.  Pamgarola .  :  &  à  V*  S.  baciando  riuerentemente  le  mani  le  prego  da  N.S.ogm  felicità .   Di  VenetiaM  20 .Decemb.  1601.   DiZl.S.  molto  Reuer .   Affettionatifs.  Ser ultore  Giacomo  Vincenti.    A  I  LETTORI   L*  A  V  T  O  R  E.   Alla  lettera  feguente  fi  potrà  facilmente  intendere,  quanto  io  fuflì  lontano  da  credere, che  mai  doueffe  pu  blicarfi  quella  OpcrettSjiri  quel  tempo,nel  quale  infic-  me  infieme  la  leggeuo,  e  dettauo  ad  alcuni  Rdigicfi  giouani,che  mi  fentiuano.   Lecole,che  mi  hanno  fatto  mutar  parere  fono  due,  fhauerla  ueduta  cétra  miauoglia  in  mano  di  molti  trasformati(Iìma,e  (corret¬  ti  (lima-, &  il    poter  (upplire con  farla  ogni  giorno  refermere  alle  domande  di  molti,  a*  quali  non  era  ragioneuole  che  io  in  alcuna  maniera  la  negali/.   Ma  quello, che  da  vci(giudiciofi  Lettori}   10  defidero,  in  due  capi  conlìfte  :  L’uno  che  lt  agendola  la  rimiriate  con  occhio  amoretto  le, come  cola  fatta  per  canta, ron  per  oftenta  tione.  E  l’altro, che  di  gratta, ft  non  uoleteat  ternamente, e  polatamére  leggerla, uoi  in  mu  na  maniera  la  Uggiate;  p.  rche,oue  (corren¬  dola  ftnza  attentionc, ut  parta  lenza  dubbio   11  magg'or  intrico  del  mondo  ;  per  auentura  un  poco  meglio, potrà  non  totalmente  diipia  ccrui.  E  fiate  (ani.    A  5    A  FRATI   CHE  STVDIANO   NELLA  CASA   DI  ARACELI   DI  ROMA.     F ÉSC Ò  VJmGjlKOljt  loro  Màcjlróì  &  forno  in  Chrìjlo.   Rìtelli  e  figliuoli  ex  tifjìmi  :  voi  mi  richiedete  con  molta  inflantia,che  io  u  infogni  il  modo  di  compor  re  le  prediche ,  &  io  ui  ri-   _ _  _  _  ,  [póndo  fpeffo, che  io  non  lo     ;  e  che  vorrei  anch’io  qualche  valentia  uomo  che  io  wfegnafie  à  me,  Ma  voi  replicate  di  nuo -  uo,  che  io  a  meno  ut  mofiri  quella  forma  ,  che  tengo  nel  comporre  le  mie:  Wioà  quefio    sò,    voglio  conir adn- u  'h  e  vi  jeriuo  qui  fottovn  trattateli  del  nu  do  ch’io  foglio  ferirne  nel  foor  mare  quei  pochi  sermoni,  eh  io  faccio,  quali  e-  glino  fi  fiano  Lo  faccio  di  più  Stampare  per  le-  uarui  la  fatica  di  farne  copie  faa  fi  come  ho  prejo  tutti  gli  Stampati  appreffo  di  me ;  pe>  che   non    mn  intendo, che  fcruàno  ad  altroché  à  voi  foli;  co  fi  vi  prottfio,  che  farete  cantra  la  tuia  volon -  tà,e  ntdcarete  del  debito    buoni  figliuoli, ogni  volta  che  lafciarete  vedere  qutfle  mie  cofarelle  da  altri,  eh  e  da  voi  foli;  poiché  non  è  ragionano*  le, che  doue  io  pr  curo  di  gioitami,  e  di  honorar -  ui  quanto  per  me  èpoffìbile;  voi  all'incotro  dia -  te  occafione  ad  altri  di  rider  fi  di  me, e  delle  efe  mie.  dirigi  ui  priego,che  fe  mai  in  mano  di  qual  che  guiditi*.  fo  capitale  queflo  trattatalo,  e  che  egli  in  p-efenga  vojìrafe  ne  ride  ffe, dicendo, che  queflo  non  è  il  vero  modo  della  Rbetorica,  fiate  contenti  di  r.ffn  ndere,che può  rffere  facilmen¬  te, che  fia  co (ì  ;  poiché  io  non  faccio  profejfione  d' ini  ender  mene  ;  e  può  anco  ejfere  che  facendo  le  prediche  in  quefla  forma, non  rìefcano  buo¬  ne  ,  ma  nufeiranno  almeno  come  le  faccio  io.  Voi  fa  tanto  h  mereteil  modo  qui  dentro,  co¬  me  io  truou  )  le  cofe,i  he  ho    dire, e  come  le  di-  fpongo.  Hauefi^di  più  l'Anno  paffuto  alcuni  miei  Àuuertimeti  [opra  tutto  il  modo  della  elo  cut  ione, c  dell' ornamento.  E  quali  tutti  voi  ba¬  utte  in  va  trattateli'.)  di  memoria  locale,  fatto  dame, la  formo, con  'aquale  io  foglio  mandarmi  à  memoria  le  prediche. quando  non  mi  bafla  la,  memoria  n. turale.  D  modo  thè  dal  pruaun-  tiarle  in  poi  ( dt  l  quale  pur  h abbiamo  ragionato  tal  volta  infume  )haueretedt  quefìa  maniera   A  4  dijìefe,    diftefe,al  meglio  che  ho  faputo, tutte  quelle, che  i  tfhetorì  domandano  parti  della  Kbetorica.  Stu¬  diate  ancora  voi  ;  che  f  or fi  trouarete  molto  me¬  glio  di  quello, che  ui    dir  io  :  E  pappiate  / opra  il  tutto;  che  buone  prediche  fa, chi  le  fa  fempre  ad  honor  di  Dio ,  e  con  principaliffimo  fcopo  di  giouare  all' anime  de  gli  afcoltatori:  e  di  non  di¬  lettar'  per  altrove  non  per  bauerli  più  frequen  ti  in  luogo, oue  pojfmo  fare  molto  acquifio ,  Fiuete  nella  pace  del  Signor  e,e  pregatelo  p  me0  Di  Cella  il  primo  di  Settembre .  1585.    t    MODO   DI  COMPORRE   V  N  A  PREDICA.   CUCITOLO  ‘PRIMO.    Er  fare  una  Predica  *  la  pri  ma  cofa,che  fi  liada  fare,  è  penfare  in  qual  genere  fi  tro  ua  quello  argomento,  che  fu  hai  da  trattare.   Dicono  i  Rhctori,  che  tut¬  ti  i  generi  fi  riducono  à  tre  :  Dimoltratiuo,  owe  fi  loda,ò  fi  vitupera:  Giuditia!e,ouefi  ac  cu  fa,  ò  fi  difende:  e  Dehberatiuo,oue  fi  per¬  suade, ò  fi  difluade.  Dciqualiil  Dimoftrati-  uo  rifguarda  il  pafTato,  &  honoraro  -,  il  Giu-  ditiale  il  prefente,e  giufto  ;  il  Deliberatiuo  ii  futuro, de  utile.   Ma  oltretutti  quelli,  fi  troua  un  genere  di  oratione, che  domandammo  alla  greca,  Di-  dafcalica,nella  quale    fi  loda,    fi  difen¬  derle  fi  perfuade;  ma  s’infegna,  onero  in fe-  fegnando  fi  efpone  ò  arte,ò  lcientia,ò  tefii,ò  commento, ò  altro.   Noi,  in  materia  di  Prediche,  à  pena  è  pof   ubile.    Nota.    Modo    Comporre  fibile,c.he  ci  careniamo  entro  a  i  termini  del  Jecofe fopra dette-,  perche  in  tante  maniere  fi  ordifcono,&  fi  fanno  le  prediche,  che  pare  che  richieggano  moho  maggior  numero  di  generi  che i  fopradetti  non  fono.   Tuttauia  prefu ppon  amo  una  cofa-,  cioè»  che  anco  i  Rhetori  nelle  orationi  dcliberari-  ue  lodano, difendano,  Óc  infegnano  :  e  nelle  altre  parimente  mifchiano  gli  affetti  degli  al  tri  generi.  Ma  in  ranto  titi’oratione  fi  chiama  tale,in  quanto  il  Aio  principale  feopo  è  te  le  $  non  hauendo  pere  ò  rifpettò à quello, cheoc  cafionalmenteiii  s’infèrif’ce.   .E  però  diciamo, in  quanto  al  fine,ché  tut¬  te  le  prediche  faranno  b  didafcahche,  ò  non  didafcahche'  iiquale  fecondo  membro  con¬  tenendo  quello  che  contengono  i  tre  generi  communi  dell’oratione^con  un  fol  nome  lo  domandaremo.  Di  rrtareria^e  l’altro  didafea-  ]ico.chiamaretno,Dj  Vangelo:  e  cofi  tutre  le  prediche  che  fi  po  ranno  fare,  faranno, òdi  3materia,ò  di  Vangelo.   Hora  cominciamo  la  diuifionè  di  quelle,  che  domandiamo  prediche  di  imareriafiequa  h  faranno  di  tre  forti*  Perche,  ò  trartaranno  una  materia  puramente, come  farebbe  a  di¬  re,  prc die  re  del  I  >igiuno  :  ouero  loderanno  un  Santo,  come  farebbe  à  dire,  predicare  in  :  .    lode    rtJ4  Tr  etica.  i   lode  di  S.  Pietro, ouero  confuteranno  una  He  refia;  come  farebbe  il  fare  una  predica  con¬  tro  l’opinione  di  Caluino  intorno  alla  Eu-  chariftia.  Equi  fi  uede,chead  ogni  modoui  è  la  proportione.  Perche  la  materia  fimplicc  è  in  genere  Deliberatili©, come  quando  per-  fuadiamoildigiuno.  Lalaudedel  fanto,Di-  moftratiuo  :  e  la  vonfutatione  deil’hcrefia»  Giùdiciale.   Ma  quello  habbiamo  di  più  noi  predica¬  tori,  di  quello,  c’hébbero  i  Rhctori,  che  alle  uolte  c’oblighiamo  a  trattare  tutre  le  dette  co  fe  j  càuandole  dal  V angelo,©  dalla  Scrittura  che  corre:  equelto  in  due  modneioè  tal  hora  da  un  foì  palio  del  Vangelo,  &tal  hcrada  tutto  il  Vangelo.   E  però  nafeono  fei  altri  generi,  che  fono  :  trattare  una  materia  l'opra  un  palio  del  V an¬  gelo,  onero  canaria  da  tutto  i!  Vangelo  :  lo¬  dar  un  Santo  da  un  palio  del  Vangelo,  one¬  ro  applicandogli  tutte  le  clausole  de  1  Vange  lo ì  abbattere  un’opinione  heretica  per  un  palio  del  Vangelo^  onero  inoltrando  chetili  ti ipalfi  del  Vangelo  ia  cònfuriuo.   Si  pilò  di  più  da  un  iltelro  Vangelo  da  un  capo,  ò  da  tutto, cauar  infieme  materia,  e  Tanto,  &  abbauimerno  d’ht  retici.   Ma  in  fomma  li  haueta  tempre  lccchio  a   pria-    Modo    Comporre   principale;  e  da  ql  fine  tutta  la  predica  uerrà  a  pigliare  la  detcrminatione  del  genere  fuo.   Si  come  ancora,    bene  noi  ci  feruiamo  del  Vangelo, ò  tutto, ò  parte,  &  intorno  alle  materie, Se  a  1  Santi, &  agli  heretici;  non  pe¬    quella  fi  domanda  predica  di  Vangelo  ;  perche  il  principale  noìlro  fine  è,  ò  la  mate¬  ria,  ò  il  Santo,ò  l’herctico;    adoperiamoli  V angelo  per  ifporlo  principalméte,ma  p  Ter  liircene  a  uno  di  quei  fini,c’habbiamo  detto.   Si  che  le  prediche  di  materia  adunque  (pi  gliando  predica  di  materia  pei  tutte  quelle  ehe non  fono  di  Vangelo)  non  faranno  mai,  più  chenoue  (orti, cioè  materia  femplicetfan  to  femplice:  heretico  femplice:  materia  da  un  capo  del  V angelo  :  Tanto  da  un  capo  del  Vangelo:  heretico  da  un  capo  del  Vangelo:  materia  da  tutto  il  Vangelo:  Tanto  da  tutto  il  Vangelo  :  &  heretico  dall  Euangelo  tutto.   L’altre  prediche  poi, che  Tono  di  Vange¬  lo, Tono  quelle;  oue  noi  non  habbiamo  altro  principale  fcopo,che  di  efporre  letteralmen¬  te,  ò  mimicamente  quella  parte  della  Scrittu¬  ratile  ci  fi  propone  ;  interferendoli)  e  mate¬  ria,  c  laude  de  Santi, e  cófutatione  d’htrtfia,  quanto  fi  uoglia;  ma  Tempre  occafionaimen-  te,  e  non  per  altro, che  per  ùpoirt  quel  tefio.  fi.  quelle  arich’elleriopofsono  elstre  di  tre   Ioni;    ma  T  re  dica.  ,  $   forti;  perche, oueramente  pigliamo  ad  efpor  re  con  moire  opinioni,  e  conuarij  lenii  od  lina  particella, ò  tutto  il  Vangelo;ouerc(quel  che  è  ingegnofacofa)  facciamo  che  tutte  l’al  tre  clauiole  del  Vangelo,  concorrano  ad  e-  fporne  una  fola  principale  :  onero  correndo  due  Vangeli, come  di  feria, e  di  fella,  ò  Van  gelo,  de  L  pillola,  come  corre  ogni  giorno,  facciamo,  che  uno  di  quelli  celli  ci  (crua  ad  ilpiegare  o  parte, ò  tatto  l’altro.   Coli,  tolloche  li  vorrà  fare  una  predica;  in  unadelle  due  miniere  bilogna  che  iìa  ;  cioè  ò  di  materia,  ò  di  Vangelo.  Del. e  quali  contenendone  la  prima  noue,  e  la  leconda  tre,dodici  lorti  di  prediche,  al  mio  giuditio,  fono  quell  e, che  fra  tutte  le  prediche  del  mon  do  polfono  trouarlì.   CAVITO  LO  SECONDO.    Rouato, che  habbiamo  in  quale  di  quelli  dodici  generi, ò  in  quale  di  quelle  dodici  maniere  uogliamo  q^c-  formare  la  predica  noltra;  lubito  fiftetu»  habbiamo  a  ridurre  tutta  la  predica  ad  una  ta  q“c  propofitione  fola, in  modo  tale,che,da  quel-  ^  arcf,°  lapropolìtionein  poi,  ninna  cola    dica  da  noi  principalmente, c per  fe  della  ;  ma  tutto      quello,    Modo  di  Comporre   quello,  che    dirà,  ferua  ò  per  introdurci  à  quella  prppofìtiontjò  per  amplificarla, ò  per  pronarl?.,ò  per  ornai  la  j  Se  in  (omnia  tutto  o  mediata  mente, ò  immediatamente  fi  apporti  per  lei  fola:  in  quella  maniera,  che  /uiftoti-  le , nella  Poetica  dice,chc  il  joemanó  è  lino,  (e  non  è  una  Pamone;  Se  ogni  poema  può  be  ne  hauere  de  gli  Epifpdi  alfti,  ma  alPultimp  bifogna,che  una  loia  fìa  la  cola  ch’egli  trat¬  ta:  cornea  dire, l’ira  dbrtchille;il pallaggio  di  Enea  in  .ra!ia,e  fimili»   Quando  dunque  io  uoglio  trattare,per  ef-  fempio,  del  Digiuno, non  balla  quello  ;  ma  pollo  in  quella  loia  materia  fardiuerlc  pro-  pofici  ni,  come  farebbe  a  dire  ;  II  digiuno  è  opra  buona,  il  digiuno  è  meritorio,  il  digiu¬  no  è  lodisfattorio'jil  digiuno  è  antico, il  digiti  no  opera  buoni  effetti;  &  altre  tali:  delle  qua  li, per  fare  una  predicajbifogna  ch’io  ne  pigli  fc  non  una-.altriméti  la  predica  non  farà  una.   E  quella  unità  di  propolìtione,per  parlare  logicamente,larà  quando  non  ui  farà  fe  non  un  loggetto,&  una  pafiìone;  come  farebbe  à  dire;  11  digiuno  è  antico:  non  importandomi  però  molto, le  quella  propolitione    pronun  tij  in  modo  dienuntiatione,ò  ir»  modo  di  que  ftione.  Di  enuntiatii  ne  affitmatiuamente,co  pie  farebbe  à  dire,  Il  digiuno  delie olferuat-    vna  Tre  dica  4   fi:  ò  negatiuamente,come,  Il  digiuno  non  de  ue tralafciarfi,e  di  queflione,  come  farebbe.  Se  il  digiuno  delie  farfi  ?  Se  è  ordinato  da  Chrifto  ?  Seogn’uno  ni  è  obligato  ?  e  limili.  Perche, fe  ui  peliamo  bene, anco  la  queftione  fi  riduce  all’ultimo  all’enuntiatione  ò  affer-  matiua,ò  negatiua .  Si  che  à  me  bada, che  in  ogni  predica  turro  lo  fcopo  altro  non  fia,  che  trattare  una  fola  paflionediun  fol  fogg  tto,  commuuquetu  lo  proponga;  ò  per  modo  di  propofitione,ò  di  enuntiatione,ò  d  alcro.Ma  applichiamo  più  particolarmente  il  docu¬  mento  alledodici  maniere.   In  una  predica  di  materia  fempliceper  ef  Tempio,  uolendo  predicare  dei  digiuno,  pi¬  glierai  una  fola  propofìtione,  come  farebbe  a  dire;  Il  digiuno  è  antico:  oue  uediamo,che  foggnto  è  il  digiuno;  che  p.iflìoneè  Tanti-  chi  tà:  ne  altro  in  tutta  la  predica  faremo,  fe  non  introdurci,  ò  prouare,  ò  amplificare,  ò  ornare  mediatamente, ò  immediatamente  la  inherétia  di  qfta  p  a  filone  à  quello  foggetto.   Conunaauuertenza  loia,  ma  notabiliffi-  ma;che  potendoli  in  materia  di  digiuno  eleg  gere  la  propofìtione,  della  quale  itogli  roo  predicare,  ò  più  uniuerfale,  ò  più  particola¬  re;  bifogna  cheauuertiamo  molto  benc,à  no  pigliarla  tanto  parti  colare,  che  non  ui  fian«i   pruoue    *  Modo  di  Comporre   pruoue  ballanti  per  empire  una  predica  ;    tanto  uniuerfale,che  non  ballino  le  principa  li  fue  pruouc  à  rinchiuderli  in  una  predica  di  un’hora .  &  in  fomma  bilogna  che  facciamo  la  cappa  lecondoil  panno, che  noi  habbia-  mo  :  le  habbiamo  molte  cole, e  lìamo  dotti  af  faijpolsiamo  eleggere  le  propoli tioni  quanto  iìuogliapiù  particolari, che  mai  ci  mancarà  da  fare  una  ben  lunga  predica  in proua  loro.  Ma  fe  non  habbiamo  più  farina,  che  tanto,  farà  manco  male  à  pigliare  la  prcpolitione  più  uniuerfale  che  fi  può,  perche  gran  cola  larà, che  fotto  à  tanta  uniuerfitì  non    troui-  no  pruoue,per  empire  fette,òotto  fogli.  Ma  di  quello  bifogna  che  ogn’uno  ha  giudice  nella  propria  caufa,  &  fe  s’ingannerà  farà  fuo  danno.   Io  dirò  quello  lolo-,  che  entrando  due  co-  fe  nella  propolìtionej  la  maggiore, ò  minore  uniuerlìtà  li  potrà  pigliare  hora  dalla  pana  del  loggetto, &  hora  da  quella  della  pafsio-  ne,come  farebbe  à  dire.  Dalla  parte  della  paf  /ione-,  Il  dig  uno  è  buono  .-quella  è  uniuer-  falilsima:  e  poi  di  mano  in  mano;  Il  digiuno  è  opera  Chrilliana,  Il  digiuno  è  meritorio, Il  digitino  è  fodisfattorio.  Il  digiuno  aiuta  l’ora  tionete  limili:  lono  tutte  propolitioni,che  fi  uanno  lemprc  maggiormente  particulari-.   zando.    vna  Tredici.  j   Stando.  E  coli  dalla  banda  del  Soggetto  ;  Il    giuno  è  bnono:  il  digiuno  commandato  nel¬  la  Sacra  fcrinnra  è  buono  :  il  digiuno  com-  |    mandato  da  Chrjito  è  buono.  il  digiuno  qua  dragefimale  è  buono:  il  digiuno  quadrage¬  simale  lenza  ber  vino  è  buono:  anco  qui    uede,  che  le  cole  fi  uanno  lèmpre  nStringen-  do.  Di  modo, che  ò.  dalla  parte  del  foggerro,  ò  della  patlione,  ò  da  tutti  due  bi fogna  ch’al¬  tri  nell’eleggcre  delia  propofinone  Sopra  del  la  quale  vuol  fare  la  predica ,  fi  faccia  ò  più  largo,  ò  pur  Stretto  il  follò  conforme  al  vigo¬  re, che  fi  fente  nelle  gambe  per  fallarlo:  pure  che  (come  ho  detto)  una  loia  fia  fempre  la  propofinone  che  fi  elegge.   Il  medefimohabbiamo  daolTeruare  quali  do  Semplicemente  ragioniamo  in  laude  di  vn  Santo;  cioè  diterminare  anco  qua  una  Sola  propofitione,alla  quale  tutto  il  rimanete  del¬  la  predica  fi  riduca,  Se  in  quella,  Senza  dub¬  bio,  Soggetto  fempre  lerà  il  Santo;  e  pallìone  quella  laude,  che  noi  gli  uorremo  attribuire,  come  farebbe  à  dire;  Lorenzo  fu  un  gran  Martire,  Pietro  Su  prencipe  de  gli  Apoft oli,  e  limili.   Auuertédo, che  anco  qua, e  dall’una,edal  l’altra  banda  fi  potrà  allargare, Se  ristringere  la  propofiuone,come  diceuamo  di  Sopra. Ma   B  più    Modo  di  Comporre   più  chiaramente  dalla  parte  della  paftìone,  che  da  quella  del  (oggetto:  poi  che  dicendo;  Pietro  fu  (amo, Pietro  fu  Apoftolo,Pietro  fu  prencipe  de  gli  Apertoli,  Pietro  fece  la  più  bella  Confertìone  di  Fede, che  fi  facefle  mai  :  qui  fi  uede  efprerto  il  riftrìngiméto  della  paf  fione.  Ma  come  fi  porta  riftiingere  il  fogget-  to  effendo  Pietro  vn’indiuiduo,  non  pare  co-  fi  chiaro  :  untatila  fi  riftringerà  trattando  di  lui,non  fimplicemente,ma  cófiderato  nel¬  la  tale, ò  tale  attione,come  farebbe  à  dire;  Pie  rro  in  tutto  il  corfo  della  uitafuafu  lodetio-  Ie, ouero  Pietro  nell’ Apoftolato,  ò  Pietro  nei  martirio:  ò  riftringedo  di  mano  in  manotan  to  più  le  confiderationi,quanto  piùriftretta  farà  Pattione  di  lui, che  noi  confideraremo:  e  queftobafti  quanto  al  Santo.   Nel  confutar  l’heretico  femplicemente,bi  fogna  hora  hauerc  un  poco  più  di  confiderà  tione;  perche  fe  ogni  uolta.che  noi  trattiamo  materia  impugnata  da  heretici,  noi  credem¬  mo  di  trattar  quefto  terzo  genere,bifognereb  bedire,che  tutto  quello  che  t lattarti mo  mai  òdi  materia, òdi  fante,  òdi  Vangelo  forte  di  quefto  genere;  non  cflendoui  hormai  co-  fa  nella  Theologia  facra,che  non  fia  ftata  i  m  pugnata  da  qualche  heretico.  E  però  dicia-  fhofare unapredica contro  l'heretico,airho   ra,chc    rnaTredìca.  2   ra,che  rutto  lo  fcoponoftro  è  il  «firn cftrare,  che  le  ragioni,  le  quali  egli  ha  adoperato  a  fortificatela  fua,&  abbattere  lanollra  opi-  nione,lbno  lontane  ò  dal  nero,  b  dal  iterili-  mile.  Dimodoché  la  predica  contro  i’hcre-  tico  è  tutta  quali  confutatala,  &  ha  pochifiì-  mo  della  confiimatione.  Pereflempio  ;  prc-'  dicando  io  II  digiuno  quadragefimale  do-  uerli  olferuare  :  quella  fe  bene  è  di  materia,  che  ha  negata  Pheretico,e  le  bene  predican¬  do,  incidentalmente  io  confuterble  ragioni  di  lui, ad  ogni  modo  efiendo  mio  principale  intento  il  confermare  la  materia, ch’io  tratto,  e  non  il  confutare  chi  l’impugna,  come  dal  fine  diceuamo già  che  fi  denominauanci  ge  neri, coli  quella  predica  non  farà  contra  he-  letico, ma  di  materiata  doue,fcper  mio  prin  cipale  intento  predicafii  ;  Che  le  ragioni  di  Caluino,addotte  contra  il  digiuno  lono  fal-  fe:  quella, propriamente  farebbe  contra  l’he  retico, perche  non  haurei  per  mio  fine  confir  matione  alcuna, ma  confurationc  fi  bene .   Er  in  quella  ancora  bifegna  come  nelle  due  pallate  eleggerli  una  propofitionc  fola,  quali  centro  di  tutta  la  predica  :  come  fareb¬  be  a  dire;  Le  ragioni  da  Caluino  addotte  co  tra  il  digiuno  elfer  falfe.   Hauendo  l’occhio  anco  quà,  ad  allargar-   B  z  la.    Nodo  di  Compone   la,o  ftringerla  come  diccuamo  di  fopra,oue  ro  dalla  parte  del  /oggetto,  come  farebbe  a  dire ,  Gli  hererici  fai  fame  me  impugnano  il  digitino:  gli  hererici  moderni  falbamente  ini  pugnano  il  digiuno  :i  Camini  Ari  falbamente  impugnano  il  digiuno:  Befa  falbamente  imo-  pugna  il  digiuno  ;  e  limili  :  onero  dalla  par¬  te  della  palììone,come  farebbe  ;  Bela  falba¬  mente  impugna  le  opere  lodisfatroric,ò,il  di  giunoquadragelimale:  òcofi  difccrrendo.  E  infili  qui  aliai  habbiamo  detto  de  i  tre  ge¬  neri  {empiici ,  che  chiamiamo  di  materia,  cioè  della  materia  fimpiice,  del  Tanto,  e  dcl-  l’heretico.   Faci!  cofa  farà  hora,il  trattare  di  quelli  me  definii  congiontijò  con  palio  particolare  del  Vangdojò  con  tutto  il  Vangelo.  Perche  do-  uédoli  anco  qua  per  la  regola  infallibile  eleg  gere  una  propolitione  fola, dalla  quale  pen¬  da  tutta  la  predica;  il  modo  di  farla, farà  pi  gliando  dalla  parte  del  (oggetto  tutto  quel¬  lo, che  era,  e  loggctto,e  predicato  ne5  generi  {empiici:  e  poi  dalla  parte  della  paflìone  mec  tendoui  ò  il  palio  dei  Vangelo, ò  tutto  il  Van  gelo,chetu  vuoi  applicare.  Per  eflempio:  la  materia  (èmpliceera -,  Il  digiuno  deueoflcr-  iiarfi  :  piglia  tutto  qnello  e  mettilo  dalla  par¬  te  del  loggetto,  dicendo,  In  rutta  quella  pre¬  dica    ima  Predica.  7   dica  mio  fcopo  farà, il  dimollrarui,eomeche  il  digiuno  debba  oflferuai lì, uiene eccellente¬  mente  prouato  dal  tal  palio  del  Vangelo.  Nel  lanto,propofitione  era  quella-,  Pietro  è  prencjpe  degli  Apolloli:  die  a  fi  hora;  Pietro  efi'ere  prenci  pe  de  gli  Apolloli  lo  prona  eo-  cellcntemente  quello  tal  palio  del  Vangelo.  Centra  l’heretico,propofitione  era  ;  Befa  fai  famente impugnai!  digiuno:  dicali  adcfIo ,  Befafalfamentc  impugnare  il  digiuno,  que¬  llo    prona  dal  tal  palio  del  Vangelo  p  mol¬  te  vie:  dico  per  molte  uie, perche  quelle  vie  faranno  poi  quelle, lequali  ci  fatano  le  argu-  mentationi  da  finire  tutta  la  predica.    non  fiamo  ancora  arriuati  tanto  atlanti.   '•Per  bora  quello, che  ho  applicato  a  unpaf-  fo  del  V angelo,applichifi  a  tutto  il  V angelo*  e  dicali  ;  Il  digiuno  doucre  ollèruai li; Pietro  effere  principe  de  gli  Apolloli;  Bela  falla-  mente  dannare  il  di  giuno  ;  la  tale  ò  la  tale  di  quelle  cole,  li  proua  marauigliolamente  nel  V angelo  d’hoggi:  e  di  quella  maniera  fi  for¬  ma  la  propolìnone  de’ generi  limplici  con  l’appiicanone  del  Vangelo.  E  fe  douedice-  ui  :  ;  il  tal  palfelo  proua  per  molte  vie  dirai,  il  tal  Vangelo  lo  proua  per  molte  claufulc,  hauerai  ancora  apparecchiato  il  fondamen¬  to  di  tutta  la  predica  :  ma  quello  fi  ucdrà  poi   b  )  pii)    Modo  di  Comporre  più  chiaramente.   Reftanohora  le  fole  prediche  didafcali-  chc,chc  noi  domandiamo  di  Vangelo:  nelle  quali  ancora, bifogna  tirare  ogni  cofaad  li¬  na  propofitioncfola(che  quella  è  certa,eper  petua  regola,)  ma  come  fi  pelli  fare, qua  (  al  mio  giuduio)  è  molto  maggiore  difficoltà  i  perche  efponendofi  tutto  il  Vangelo  ;  firapli  cemente,tante  pare  chefiano  le  propofitio*  ni,quante  fono  le  c!aufule,che  fi  efpongono:    fi  può  facilmente  uedere,come  tutte  infie  meuadino  à  leruircad  una  fola.  E  pure  chi  eipone  un  Vangelo  àclaufula  per  claufula  fenza  ridurlo  ad  unità  ;  al  ficuro  fa  bene,  ò  parafrafi,ò  commcmojma  non  già  oratione,  ò  predica.   Tuttauia  diciamo, che eflendo  tre  i  generi  di  quello  didafeaheo;  cioè  e/pofitione  di  un  V angelo  fo!o,di  un  palio  con  il  Vangelo  tut  to,e  di  uno  Euangelo  con  l’altro  :  ne  i  dueul  timi  facddlìmacolaè  atrouarela  propofitio  ne  fondamentale  della  predica:  perche  dicc-  do  noi-  la  tal  claufula  de!  Vangelo  fi  moflra  uera  pertilrtel’altre:quefta  è  lina  propofitio-  ne  ioli  'aquile  da  tutte  l'altre  c'pofte  nel  ri¬  manerne  della  predica  u  enead  elfer  confer¬  mata^  dicendo    quello  Euangelo  ha  ma»  rauighola  conformità  con  quell’altro  :  anco   quella    i ma  Tredica.  -  4   quella  c  una  fola  propofitione, la  quale  rice-  uerà  confermatione  da  rutto  quello, che  fi  di  rà:  per  esempio;  Ego  principium,qui  &lo-  quor  vobis:  che  Chrifto  fia  principio,  come  dice  quella  claulula,uoglio  prouarlo  c5  tue  te  le  altre  claufule  del  V angelo.  Ecco  la  prò  pofitionc:  ecofi  farà  dogn'altra  :  e  di  Vangc  lo  con  Vangelo  ;  come  facilmente  portono  intendere  li  mediocremente  esercitati.   Quello  che  pare  difficile,  è  la  efpofitionc  fimplice  di  un  folo  Vangelo  :  tuttauia  bifo-  gna  confiderare, che  tutti  i  Vangeli,  che  fi  ci  propongono,  ò  faranno  dottrina,  ò  faranno  hiftoria>ò  mirto.  Dottrina,  come  farebbe ì  dire,La  fefta  feria  delle  Ceneri:  Diligiteini-  micos  veftros,  fin  al  fine .  Hiftoria, comedi  quinta  :  Cum  introirtet  Iefus  Capharnaunif  fino  al  fine.  Mirto, come  farebbe  il  giorno  di  ogni  Santo:  Cum  afeendirtèt  Chnltus  in    tem,&c.  Beati:  e  quello  che  feguita.  Noi  hab  btamo  prima  a  dirtingucre,  quale  di  quelle  cole  ci  uenga  per  le  mani.   E  poi,feè  dottrina,  pigliarono  lo  feopo  da  quella  dottrina, che  quuii  fi  tratta,  come  farebbe  a  dire  ncll’ellèmpio  allegatola  pro-  pofitione  fara;  che  i  nemici  s’habbiar  o  da  a*  mare, il  Vangelo  d’hoggi  lo  moftra  :  Neba-  ftarebbe  a  dire,  il  nemico  deue  amarfi;  per¬  ii  4  che    Modo    Compórre   clie  a  quello  modo  la  predica  farebbe  di  ini  teria,e  non  di  V angelo.  Ben  fi  potrebbe  dire»  che  anco  la  propofitione  formata  da  mela¬  re  più  ro fto  p  to  po  fi c ione  di  materia, applica¬  ta  al  Vangelo  tutto, che  propofitione  di  Vali  gelo  lécito  quiul  tratta  materia,  e  però  non  poteuamo  procedere  altrimenti.   Se  farà  hiftoria  Quella, che  fi  tratta  nel  Va  gelo,procureremo  dùconofcere  quale  virtù,  ò  quale  qualità  dell’agente  fi  moftri  princi-  palmentepef  quella  hiftoria,e  dicendo  quel  la  qualità  prouarfi  dalle  attioni  di  quel  Vati  gelo  haueremo  formata  la  propofitione:  co  me  farebbe  nella  hiftoria  di  Cafatnaum:  le  uoghamo  pigliare  il  Centurione  come  agen  té, potremo  dire-  quato  polla  la  fede  del  Ccn  turione, lo  moftra  per  molte  claufitle  quello  Vangelo  :  e  coli  potremo  poi  aggiungere  nel  le  argumentationi  -,  Perche  Cimilo  uienea  lui, perche  lo  efaudifce, perche  lo  lauda,  &c.  onero  fe  uogliamo  pigliare  per  agente  Chri-  fto,potremo  dire, quanta  fia  la  bontà  di  Chri  ftoj'io  moftra  quello  Euangelo:  e  poi  nelle  ar  gumentationi  foggiungere:  perche  uiene  al  Centurione, perche  Tana  il  ferito  :  e  limili  co¬  le, le  quali  elponendofi  da  noi, ci  fatano  infie  me  efporre  tutte  le  claufule  del  V angelo, e  tut-  rcnondimeno  indrizzatead  una  proaa  fola*   Ma    vna  Tredìca  $   Mache  fihauerebbea  fare,quando  in  uft  V angelo, fi  narraflero  due  hiftorie,conie  fa¬  rebbe  a  dire  in  quella  Domenica,  che  fi  leg¬  ge  l’hiftoria  del  Centurione, e  quella  del  I  e-  piofo,in  tal  cafo,una  delle  due  cofe  potiamo  fare  ;  ouero  efporne  una  fola,  al  modo  che  diceuamodi  fopra,enon  far  menti orie  del¬  l’altra, ouero  trouare  quello  agente, che  è  co¬  mune  a  tutte  due,  e  trottare  quella  qualità  di  lui, che  da  tutte  due  l’atfioni  mene  prenatale  tuttoquefto  mettendo  per  (oggetto,  di  re,  che  uittoquefto  fi  prona  da  tutte  due  i’hiftorie,  come  farebbe  :  Chrifto  efi'er  potente  lo  pro-  uano  i  due  miracoli  del  V angelo  d’hoggi.   Retta  il  mitto  folo,  oue  fi  narra  dottrina  &  hiftoria  infieme,c  quitti  ò  la  maggior  par  reè  hittoria, ò la  maggior  parte  dottrina.  La  maggior  parte  hittoria  come  nel  Vàgelodel  Centurione, (e  doppo  tutta  quella  attione,  ag  giungiamo,  Multi  ab  Oriente,&  Occidente  venient.  E  la  maggior  parte  dottrina, come  nel  Vangelo  d’Ogni  fanti  ;  oue  doppo  bai¬  none  d’afeendere  nel  mote  fi  narra  tutta  quel  la  dottrina,  Beati,  dee.   Se  la  maggior  parte  è  hittoria, pigliaremo  lofeopo  della  hittoria, come  farebbe  adire;  diritto  efier  buono,  lo  moftra rutto  il  Van¬  gelo, perche  uiene  al  Centurione,  perche  fa-   na    Modo  di  Comporre   na  l'infermo, perche  lauda  la  fede, e  di  più,  perche  egli  none  partiale,  onde  foggiunge.  Multi  ab  Oriente,  &  Occidente  uenientrc  coli  hàueremo  niellata  la  dottrina  a  prouare  l’hirtoria.   Mà;fe  la  maggior  parte  farà  dottrina,  bi¬  sognerà  pigliare  lo  fcopo  dalla  dottrina,  e  procurare,chc  quelle  poche  anioni  anco  lo¬  ro,  almeno  per  lenfo  morale  cammino  all’i-  ItelTo  fcopo, come  farebbe  nel  Vangelo  d’o-  gni  fanto  :  il  modo  di  acquiflar  la  felicità    mortra  nel  Vangelo  d’hoggi.  Ecco  la  propo  linone;  equeftolì  fa daquel!i,che  flem,  che  funt  m;tndi  corde, che  perfecutionem  patiun  tur,&t.  E  di  più  da  quelli,  che  con  Chrilìo  afeendunt  in  montem,cioè  contemplano;  leder, cioè  li  compongono  l’animo;  aperiunt  os,cioègionanoal  prortìmo:e    difeorrédo.   Si  porrebbe  qua  dubitare, fotto  qual  gene¬  re  andaiTc  la  parabola  ;  ma  no  è  dubbio,che  è  dottrina,  e  che  ha  lo  fcopo  chiarirtìmo:    chetrouando  il  fuo  Icnfo  litterale,ilqua!e  no  è  quello, che  le  parole  fonano:  ma  che  princi  palmente  ha  incelo  Chrirto(come  in  un  trat-  tatello  apporta  habbiamo  dimoftrato  noi)  facilillima  colà  le rà  il  ridurre  anco  il  Vange-  lo  della  parabola  ad  una  propolìtione  fola.   E  coli  habbiamo  già  fatto  due  cole  impor   tantif-    vna  Tredica  6   tantilfime  nella  predica  :  cioè  imparato  a  co-  nefcere  il  genererei  quale  uoghamo  dire-,  &  in  ogni  genere  aformare  quella  propoli-  none, che  ha  da  dare  unità  alla  predica, e  lo-  pra  alla  quale  fi  ha  da  ergere  tutta  la  machia  na.  Cola  infin  qua, che  tutta  fi  può  fare  len¬  za  libro,  e  lenza  lume,  penlando  folo,  ò  nel  letto, ódoue  fi  uoglia  :  perche  fin  qui  non  fi  ha  di  bifogno  d’altro, che  di  fefteflo.   CjI  titolo  terzo.   F  Atto  quello  cominciamo  ad  hauer  bifo¬  gno  d'altri,  che  di  noi  medefimi,  cioè  di  molti  Libri  da  i  quali  noi  pofsiamo  calure  i  concetthche  prouano,c  che  c’introducano  al  la  propoli!  ione, che  ci  fiamoeletta;  in  quella  maniera,  che  doppo  hauet  altri  propofto  di  fabricare  nella  ciuà,e  di  farcafa  nella  tal  for  ma,bifogna  poi  ch’egli  entri  nella  fornace  a  prouederfi  di  piarre,enel  bofeoa  procacciar  fi  tauole,  &  in  lemma  ad  apparecchare  la  materia  dell  edificio  luo.  Coli  bilogna,  che  noi  entriamo  nella!  ìbrarianolìrra.echequi-  ui  procuriamo  da  tutti  i  libri  c  habbiamo,di  cauare,e  mettere  in  diparte  quali  una  lelua,  di  tutu  quei  concetti, che  ci  hanno  aferuire  «ella  propofta  materia.    Modo  di  Compórre     fenza  proposto,  tutta  quella  raccolta  de  concetti  noi  la  domandiamo  felua:  per¬  che  mentre  bandiamo  cauando,  l’andiamo  ancora diftendendo confulamente, quali  fel-  ua,ò  bofeo  in  un  poco  di  carta, infin  a  tanto,  che  djtponendòla  poheome  diremo, la  cotti  partiamo, e  ne  facciamo  giardino.   É  certo  quanto  a  quello  meftiero  del  pre¬  parare  la  ielua,farebbeforfi  meglio  il  non  ne  dare  regola  alcuna, fe  non  dire,  che  ogn’uno  da  quei  libri ,  ch’egli  tiène  apprefio,  cauafie  quella  maggior  copia  de  concetti  a  fuo  pro-  pofito^hegli  potelTe-  fèfdaU’altro  canto  noi  non  hauefsimo  molta  uoglia  di  giouare  in  ogni  minarla  a  principianti  :  di  maniera, che  anco  in  quello  deliberiamo  (  fuccinramente  però  )  di  dire  loro  tre  cofc;  cioè  quali  libri  deueno  procurare  di  hduere7-  in  che  maniera  deueno  fare  a  cauare  i  concetti  r  e  finalmeri  te  nel  cariargli, con  qual  forma  denno  ripor¬  li^  legnarli  in  quel  pezzo  di  carta,  oue  fan¬  no  la  ielu  a.   -  k  prima, quanto  a  i  libri,  fe  alcuno  fe rà  il  quale  habbia  modo  d’hauerne  quanti  vuole,  io  lenza  dubbio  lo  con  figlierei  a  pigliare  tue  ti  quelli, che  troua,  principalmente  ecclefia-  ftiei;  e  bafsicuro,che  la  copia  de  i  libri  è  quel  hjche principalmente  fra  tintele  cofe,fuole   fare    ma  Tre  dica.  r  f   fare  honore  a  chi  compone  :  hauendo  io  per  regola  cena,  che  a  e  h'  ft  lidia  e  vuole  impara  re, baita  un  Libro  iole:  ma  a  chi  ferine, e  vuo  lcinfepnaremonel'ene  baftano  mille.Si  che   i-’   habbianft  pure  de  i  Libri, e  legganfì  timi:per  che  all’ultimo  tutti  inft^nano.  E  le  in  cento  uelre,chetufai  fe!nc,una  uolta  fola  tu  troni  un  concetto  notabile:  il  Libro  è  pagato,  e  la  fatica  è  ricompenfata  con  grofsifstma  vfura.   Mafenonha  il  modo  di  hauere  appretto  di  fe  tanta  copia  di  libri, anzi  non  ha  pur  il  modo  di  hauerequei  due  ljbn,che  a  me  pa¬  re  che  contenghino  tutti  gli  altri,  in  materia  di  Scrittura  facra,cioè  il  Toltalo,  c  Nicolao  de  Lira:  anco  a  quello, a  mio  guiditi©, fi  può  dar  forma  come  con  pochi  libti,epocalpefa  egli  habbia  in  cella  da  potere  affai  abor.dan  temente  fcrmerein  ogni  genere  di  predica,  ch’egli  faccia.  Percioche  acuendo  tutti  i  con  cetti  c fiere  ò  di  fcrittura,  ò  di  materia,  ò  di  fanto,ò  córra  bere tici;  fop'rala  fcrittura prin  cipalmentenoua  (  poiché  fopra  quella  oidi  nanamente  predichiamo)  a  me  ballerà,  che  habbia  due  libri  foli,  cioè  la  Concordanza  marauiglio/iisima  di  Janfenio,  e  la  Catena  aurea  di  San  Thomafo    ma  feè  pofsibile,fia  quella  flampata  a  Parigi  dal  Sommo, che  ha  notati  in  margine,  non  folamente  i  nomi, ma   i  luo-    Modo  di  Comporre   i  luoghi  ancora  minutifsimi  de  gli  autori.  Perche  in  quello  modo  fi  ftudia  infiemein-  fieme,e  ferittura,  c  Padri,  &  eficndo  quelle  annotationi  fidelifsitnej  mercè  d’nn  libro  fo-  lo,  tu  n’alleghi  in  pergamo  più  di  mille.  Quanto  alle  materie,  principalmente  fara¬  diche,  (poiché  non  demo  edere  predicate,  come  fi  disputano)  a  me  pare  che  baderà  ha  uere  il  fido  tefto  della  Somma  di  S.Thoma-  fo,e  fe  fu  db  pofsibilc  quel  bel  Rofario  di  Pel  barro, che  dice  ogni  cofa,&  c  gni  cola  chiarir  fimamenre.  Per  le  prediche  de  fanti, poiché  i  libri  de  gli  antichi,  che  in  diueifi  luoghi  nc  ragionano, non  pofio  facilmente  hauerfi, ba¬  derà  per  hora  hauercildottifaimo,  6caccu-  ratilsimo  Martyrologio  di  Monfig.Galefino  e  quello  che    dice  il  Breuiario  :  cofi  come  contra  gli  herctici,a  me  pare, che  non  occor¬  ra  hauer  altro,  che  Alfonfo  de  Cadrò.  Ben  haurei  caro,che  fi  haueffero  poi  certi  libret¬  ti  di  cofe  communi, che  infinitamente gioua-  mo:  come  farebbe  ;  Excmpla  ▼irtutum,&  vi-  tiorum:  gli  efempi  di  Marco  Mando, fimih-  tudines  Sacra:  fcripturae:  Stimma  Concilio-  rum^  limili:  Mi  piacerebbero  ancora  perla  uarieti  delle  cofe, che  contengono  la  Biblio  theca  di  Sido,&  il  Decreto, intendendo  fem  f  re  qucllo,fcnza  che  no  fi  può  fare,cioèuna   Con-    ma  T  redica.  $   Concordanza  della  Bibbia*  &‘una  Bibbia  ftelTa-,  la  qual  Bibbia,  s’è  pottibtte,  habbia  quellatanola  di  materie, che  fi  domanda  In¬  dex  Biblicus,e  quello  quanto  a  i  Libri.   Il  modo  hore  di  tifarli  per  cariarne  i  con¬  cetti,  può  elTertale,quale  ogn’uno  trotta  che  più  ferita  a  fe  fletto  :  con  tutto  ciò  io  ttonei  prima, che  non  fi  comprale  mai  libro, ilqua  le  non  hauelTe  tattole  perfetcìlTime  ;  almeno  due,quella  che  fi  domanda  delle  materie,e  quella  de’ luoghi  della  fcrrttura  :  e  poi  farei  una  diftintione  di  quefto  modo-,  che  tutti  i  li¬  bri, ò  trattano  la  fcrittura  ex  profello,  e  per  modo  di  commento, come  Nicolao  de  Lira,  come  il  Gaetano, come  Bonauentura  in  Lu¬  ca^  limili:  onero  fanno  fermonì,&:  homelie  fopra  diterminati  pafsi  ò  diterminati  Vango  li  della  fcrittiirarouero  trattano  diterminata-  mentematerie,oueroinogni  materia  fanno  profeffione  di  taccoglicre  molte  cofe  da  dir¬  li.  In  ogni  cafo^quelli  che  trattano  la  fcrittu-  ra,ui  mifchiano  materie,  e  quelli  che  tratta¬  no  materie,  efpongono  incidentemente  mol  ti  luoghi  della  fcrittura:  fiche  douendo  tu  fare  una  predica  di  Vangelo,  potrai  uedcrc  tintigli  Autori  difcrittura,one  trattano  quel  Vangelo  ex  profcfio,  e  poi  loro  medefimi,  c  tutti  quanti  libri  hai  in  cellajnellctauole  del   le    Modo  di  Comporre   le  fcritture,per  uedere,feincitlentemente,ri©  hanno  mai  fatta  mentione:  e  dall’altro  can¬  tone  non  tratti  Vangelo,  ma  materie,  ucdrai  prima  quelli, che  trattano  apoflataméte  quel  la  materia;  e  poi  loro  flelli,e  quanti  ne  hai  in  cella, nella  tauola  delle  materie,  per  uedere,  feàcaìo,&  à  proposito  d’altro  ne  hauelTcro  ragionato.   Vedrai  di  più  ne  i  libri  dei  luoghi  com¬  muni,  come  farebbe, d’efempi,  d'hillone,  &C  altro, fe  alcuna  cola  fa  per  te,&  anco  quella  riporrai;  oltre  che  non  Sdegnerai  i  libri  ferir  ti  à  mano,  che  tu  ti  trouafli,anco  fattida  te  fleffo,e  finalmente  dall’indice  bìblico  pi¬  glierai  ciò  che  torna  à  tuo  pi  opofito:  lafcian  do  per  ultimo  la  Coneoi  danza  della  Bibbia;  laquale,fetu  faprai  fermitene, baderà  fola  à  darci  materia  per  mille  prediche  in  qual  fi  uogliafuggetto,   il  modo  di  ferui rie nc,lo  tratta  chiaramé-  te  Siilo  nella  fua  Bibliotheca,&  ioperhora  non  dirò  altrove  non  ehe  è  nelle  concordali  2c,&  in  tutte  le  tauoje  delle  materie,  per  ri-  trouare  quello, che  fa  à  propofìto  noftro,  hi-  fogna  ricercare  due  luoghi; cioè  il  nome  del  fuggetto,e  quello  della  pafficne,che  noi  uo-  gliamo  trattare.  Come  farebbe, udendo  pie  dicare,Che  il  digiuno  è  buono, nella  parola   Zeiu-    yna  Vredlca.  1 3   '  l£Ìunium,c  nella  parola,  bonus  ò  bonm  ,  fi  troueranno  tante  auttorirà  da  farci  ftiegliar  rintellettoà  produrre  cócetti  aprcpofitoao  tiro, che  pur  troppo  balleranno  per  ogni  lon  ghislìmo  ragionamento  -auuertendo  di  piti,  che  doue  per  non  edere  i  ragionamenti  fim-  plici,noi  del  (oggetto,  e  della  pasfione  del  fi  triplice  ne  facciamo  un  (oggetto  Colo  del    fimplice-,  all’hora  nelle  Concordanze, e  nel¬  le  tauole  dJla  materia  baderà  a  cercare  i  due  termini  del  luggetto,  lenza  hauer  punto  d'oc  chio  alla1 pasfione,  come  farebbe  à  dire  in  I  quella  pròpofitione:  Il  digiuno  efier  buono,     fìmoftra  dairEuangelo  d’hoggi:  ballerà  à  trouare,il  digiuno  è  buono,  lenza  penlarad  l  altro  :  &  unmevlalmente  bilogna  metterli  à  cercare  quel  (olo,  che  noi  crediamo  ditto-  uare,echeci  polla  leruire.  Ma  quanto  ai  co  certi, che  hanno  dàcauarfi,  ognuno  lo  laprà  per  auuentura  far  meglio  da  (e, che  non  lap¬  piamo  infognarlo  noi.   Rella  il  modo, col  quale  debbiamo  nota  re  lopra  un  pezzo  d  carta  (per  dir  coli)  tutto  ciò,che  noi  trouiamo,che  lenta  a  noflro  pio  ì«  polito.  E  quello  bili  gna  farlo  in  modo,  che  !  non  fia, nè  troppo  difiinfo,    troppo  llretto.  Alcuni  ui  fonojiquali  notano  folamente  i  fo  gli  del  libro,  oue  fi  troua  il  concetto ,  lenza  i  C  dire    Modo    Comporre   dire  che  concetto  egli  fi  fi  are  quello  c  tanto  come  niente;  perche  bifogna  poi,  che  tu  tor¬  ni  Tempre  al  libro;  oltre  che, pigliando  quel¬  la  felua  in  mano,e  non  fapendo  tu,  che  con¬  cetti  fiano quelli, non  puoi  in’zlcun  modo  co  partirli,  fegià  ellendoui  (olii  numeri,  non  ti  dilettasi  di  fommarli,ò  di  moltiplicarli.  AL  tri  ni  Topo, iqu ali  longamente  Tcn nono  tutte  le  parole, etal'hora  le  pagine  intiere  di  quelli  autori;onde cattano  i  concetti.  E  quello  fen  za  dubbio  è  più  utile  modo,che  non  è  quel-  l’altrojmai di  louerchia  fatica, e  bifognareb  be  hauer  da  fare  una  predica  l’anno, ò  poco  più.  I  terzi  fcriuono  il  concetto  concilamen-  te,malcriueno  di  più  il  numero  della  pagina  d’onde  l’anno  cauato, rimettendoli  lempre  a  rinederlo;e  quello  certo  è  modo  aliai  uicino  al  perfetto,maionon  vorreijfinitac’holafel  ua,hauermaipiùariuederei  libri; e  uorrei  potere  con  quella  fola  carta,  oue  ho  fatta  la  felua,  anco  in  campagna,  o  caualcando,  fa-  bricar  la  predica  mia  .  Con  tutto  ciò  non  è  Tempre  posllbilc;  e  però  dico, che  quando  in  un  libro  tu  trouerai  un  concetto  lolo,e  quel  concetto  tu  lo  vuoi  apportar  per  tuo, ò  alme¬  no  non  vuoi  nominare,  dotte  l’habbia  catta-  ■$o,quiui  non  accade  far  altro, che  feri  nere  Ti  Tlelfo  concetto  in  manco  parole, che  tu  puoi,   tanto    rnaTredìca.  14   tanto  che  tu  folo  l’intendi.  Se  poi  ò  neli’jftef-  fo,ò  in  altro  libro  troni  un  fol  concetto,  e  ti  pare,che  allegando  fautore  tu  gli  dia  graui-  tà,e  nputatione-  all’hora  metterai  nella  felua  il  concetto  in  breuisfime  parole,  &  il  nome  decatitore,  con  il  Juogo,oue  egli  lo  dice, ma  quello  con  nome  di  trattato,©  libro,  o  home  lia,ò  fimili,e  non  per  numero  di  foglirpercio  che  al  fi  curo  in  pergamo  non  dirai, come  di¬  ce  S.GrifoSSomo  a  fogli  105.  equefto  allega  re  l’autore,  deue  farli  principalmente,  oue  i  concetti,  ò  fono  deboli, b  molto  communi;  perche  aiutati  con  quel  nome  antico,  paiono  da  qualche  cofa.  Occorre  anco  alle  itolte,  che  fiamo  necessitati  à  portare,  non  Solo  il  concetto, ma  l’iftelfe  parole  del  lanto,ò  del¬  la  Scrittura;  principalmente  nelle  controuer-  fiecongli  heretici,&  all’hora  bifogna  nella  felua  fcriuere  il  cocetto,e  con  le  parole  itter¬  ica  con  il  nome  dell’autore;  oltra il  che,l’ul-  tima  cofa, che  può  auittfnireè, che  noi  Stab¬  biamo  bifogno  nella  predica  di  dire  molti, e  molti  concetti  tutti  feguenti, di  qual  fi  uoglia  autore:  come  farebbe  luoghi  communi;&  al  l’hora, perche  il  difenderli  tutti  nella  felua,  farebbe  troppo  fatica;  douendo  tu  formare  la  predica, oue  fi  troua  fatua  libraria, me¬  glio  è,che  tu  legni  il  luogo  corninone  folo,   G  2  elle    Modo  di  Comporre   che  tu  hai  da  trattcre,con  il  nome  dell'auto-;  re, e  con  il  numero  de’  fogli.   E  coli  tutti  i  capi  della  felua,  ò  faranno  concetti  Empiici,  ò  concetti  col  nome  del¬  l’autore, ò  concetti  col  nomee  con  le  parole  dell’iftelFo  autore,  ò  folo  nome  dell’autore,  con  numero  de’fogli,&:  in  quello  ultimo  ca-  fo  fol amente,  farai  affretto  di  tornare  a  riue-  dere  i  libri, ballandoti  intinti  gli  altri  la  tua  felua  fola.   Ma  per  non  lafciar  mancare  minutiaaicti  na  in  quella  materia,uorrei  anco  due  cofc  da  te-,  Puna,ch’ogni  concetto  della  felua  comin  ciafTeda  capo, come  fanno  i  verfinei  Poe¬  mi,  ò  che  egli  cótenelìe  una  linea  fola,ò  più,  che  quello  non  importa:  e raltro,che  inanzi  adogn’uno  dei  concetti, tu  glimettesfi  ilnu  mero  fuo  per  ordine,  cominciando  1.2. ?. 4.  &c.  non  perche  con  quello  ordine  debbia¬  no  poi  edere  dirteli  nella  predica, ma  per  un*  altra  cofa, che    dirà  poi.  Perertempio;  {In¬  diando  la  materia  del  digiuno  Quadragli-  male,trpui  quello  concetto, Il  Digiunoè  co¬  mandato  nei  Canoni  degli  Aportoli:  e que-  ft’altro,  Moisè  Digiunò  quaranta  giorni: e  queftaltro,  Spiridione  diede  delle  carni  ad  un  amico  fuo  di  Quadragefirua  :  cqueft’al-  tro.  La  Quarelima  li  fa  à  tempo  di  Primaue-    ima  Tredica.  1 5   rat-tutti  quelli  concetrfiperchegli  hai  trottati  con  quell’or dine,tu  gli  difenderai  nellatua  felli  a  con  quello  i/lello  ordine, e  con  i  nume¬  ri  aitanti.   1  Digiuno  nei  Canoni  degli  Apolidi.   2  Moisèqiiaranta  giorni.   3  Spiridione carni  all’amico.  Sozom.   4  Quadragefima  di  Primauera.   Non  ceno, perche  con  quell’ordine  tu  gli  babbi  à  difendere ,  perche  non  ui  farebbe  continuationealcuna-,  ma  perche  tutti  quelli  numeri  ci  faranno  poi  grandislìma  utilità  nel  compartimento  della  lelna;   Et  infin  quid  è  detto  aliai  del  genere  del¬  la  predica, della  propofitione,che  debbiamo  eleggere,  e  della  lelna,  che  debbiamo  fare:  nelle  quali  tre  cofe,s’io  non  errojs’inchiudc  tutta  quella  prima  parte  della  Rhetoricas  che  gli  autori  domandano,  Inuentione.   CAVITO  LO  OVATTO.   I  come  apparecchiata, c’habbiamo  la  materia  dell’edificio,  fuccede»  che  noi  bandiamo  cópartendo  per  diuerfi  appartameli  della  fabrica,  c’habbiamo  da  fare  :  cofi  congregata,  c’hab¬  biamo  la  felua  de  i  concettala  prima cofa,   C  3  c’hab-    Modo  di  Comporre   Gabbiamo  a  fare,  è  corrergli  tutti, tre  ò  qua-  tro  uolte  attentisi! inamente, e  coli  alla  grolla  del  iberare  fra  noi  ftcslì, quali  di  loro  voglia¬  mo,  che  Ternano  alle  dillmte  parti  della  pre¬  dica  c’habbiamo  a  fare.   E  però  qui  dfendo  luogo  da  dire  col?  iti  generale,  quante  fono  le  parti  della  predica;  io  per  hora  ni  dico, che  non  fono,fe  non  due;  cioè  una  inanzi  alla  propoli  tione,&:  vna  dop  po.  Vna  cioè  con  la  quale  c’iniroduchiamo  a  peoporre  lacofà  che  uogliamo  prouare  e  perfuadere  :  e  l’altra, con  laquale  prouiamo  ,  e  pervadiamo  quello  c’habbiamo  propolto;  di  modo  che  per  hora  concimiamo  due  par¬  ti, l'una  laquale  chiamiamo  introduttione,  e  l’altra  prùoua.   Ma  bifogna  faperc,che  di  quefte  due,  vna  è  più  principale  dell’altra,e  quella  molto  più  occupa  della  predicabile  non  occupa  l’altra.  Perche  Pintroduttione  nel  principio  della  predica  con  poche  claufole    Tpediiceja  do-  ue  propollo  quello  che  uogliamo  trattare, tilt  to  il  ragionamento  rimanente    confoma  in  pruoite.  E  Te  uogliamo  anco  diTcendcre  à  mi-  nutie  sìgrandirOue  per  elfempio,  vna  predi¬  ca  deue  ltenderiì  tutta  in  otto  pagine;  di  que¬  lle  una  fola  ballerà  per  la  introduttione,  al  puìjepoi  fatta  lapropolìtione,  e  diiufain    ma  Tredici,  \6  poche  parole ,  come  diremo  più  baffo,  tutto  il  rj  manente  il  di  fpenfa  in  pruone.  -   E  però  quando  habbiamo  la  felua  in  ma¬  no;  la  più  importante  cola  è  il  trottare  quale  di  quei  concetti  habbiano  da  fermici  nella  pruoua;  che  del  retto  il  trouar  concetti  per  far  vna  introduttione  è  cola  molto  facile ...   Et  io  per  me  vorrei ,  che  da  principio  ,  fcn-  zahauer  punto  memoria  dcll’intiodutno-  ne,comcfe  non  fi  hauelìcà  fare,  tutto  IqIco  po  del  componente foffejciegliere  dalla  lei-  ua  quei  concetti,  i  quali  pottòno  immediata  mente  prouarela  lua propofitione.   Dico, immediatamente, con  molta  ragio¬  ne,  parche  farà  facil  cofa ,  che  nella  felua  vi  fiano  molti  concetti, i  quali  poffono  adattarli  anch’eglino,  à  pronare  dalla  lunga  quello,  che  vogliamo  dire.  Ma  quelli  non  lotloquel  li  à  quali  dobbiamo hauere  principalmente  l’occhio.  L’importanza  è  da  principio  tro-  uarne  alcuni  pochi,  i  quali  immediatameu-  te  pruomno  la  propofitione,  Se  à  quali  come  à  capi  di  (quadra,  fi  riduchino  poi  quali  tut¬  ti  quegli  altri  che  fono  nella  felua;  e  quelli  principali  per  le  caule, che  fi  diranno  poi  più  à  balso,  non  doueranno  eisere  manco  di  due,  ne  più  di  quattro,  fe  ben  alcuni  ne  kanno  concefso  fino  à  cinque  ;  ma  io,  come   C  4  dico.    Modo  di  Comporre   dico,  vorrei  per  l’ordinario  che  fullero  tre*  e  Te  pure  eccedeffero  ,  che  non  pa(TafTero:  quattro .  '   Per  elfempio ,  nella  lelua  di  quella  pro-  polìtionc,  Il  digiuno  quadragefimale  deue  oderuarlì,  dite  voi  che  tra  gli  altri  ,  ci  fono  quelli  concetti .   i  II  digiunoquadragefimalefu  figurato  nel  l’antica  legge.   z  II  digiuno  quadragefimale  gioua  anco  al  corpo.   3  11  digiuno  quadragefimale  è  de  iure  di¬  ttino.   4  II  digiuno  quadragefimale  macera  ht  carne.   5  S. Francefcodigiunaua  più  quarefime.   6  Moisè  digiunò  quaranta  giorni.   7  Molti  Concilii  commandano  il  digiuuo.-   8  Telesforonon  fondò  il  digiuno  quadra-  gefiraale,ma  altri  inanzi  à  lui .   5?  Il  digiuno  difpone  all’oratione  i  o  S.  Amb ruogio  dice^che  il  non  digiunare  laquarefima,  è  peccato  mortale.   Di  quelli  concetti ,  non  vi  è  dubbio,  che  quali  tìttti  pruouano  la  propofirione  ,  ma  non  tutti  la  pruouano  immediatamente,  percioche  il  dire ,  Il  digiuno  quadragefima¬  le  è  de  iure  dittino,  dunque  bifogna  farlo    vm  Tre  dica  17   quella  fenza  dubbio  c  immediata  .  Ma^I  dire,  Moisè digiunò  quaranta  giorni,  dun¬  que  bi  fogna  fare  la  quarefima ,  quella  al  fi-  euro  non  conclude  immediatamente;  per¬  che  l’i  Hello  Moisè  fi  circoncife,  e  pure  non  habbiamo  à  circonciderli  noi  .  Si  che  le  quello  concetto  ci  hadaferuirc  per  prouare  la  noflra  propofìcione  ,  bi/ogna  ridurlo  *  qualcVn  altro  concetto  commune  ,  che  im¬  meditatamente  la  prnoui  ;  come  ferebbe  ,  Il  digiuno  quadragefimale  ,  antichiffima  mente  fu  lempre  o  {Ternato  ,  o  figurato;  e  chefia  vero,  anco  Moisè  digiunò  quaranta  giorni  :  dunquefaciamlo.   Trouaremo  ancora  nella  felua  noftra  al¬  cuni  concetti,che  prouano  immeditatamen¬  te  :  ma  perche  fono  molti  di  loro, che    be¬  ne  tutti  immediatamente  p ruoiiano, tutti  non  dimeno  pruouano  per  vna  fola  ragione  for¬  male:  però  tutti  quelli  fi  hanno  da  ridurre  à  vn  capo  folo  ,  come  farebbe  à  dire  ,  Il  digiuno  macera  la  carne  ,  dunque  digiut-  niamo  .  Il  digiuno  aiuta  boranone  ,  dua-  que  digiuniamo:  tutti  due  quelli  concetti t  prouano  immediatamente,  ma  tutti  due  pel?  ribella  ratione  dell’vtilità  ;  e  però  tutti  due,*  gli  altri  di  quella  forte,  hanno  a  compréderfi  tutti,  lotto  vna pruouaccmmune,  cioè,  Chf   il  di-    Modo  di  Comporre   i!  digiuno  è  vrìle,  e  però  deue  farli .   In  fomma  bifogna  considerare  nella  felua  molto  bene,  di  cattare    vi  fono  diftintamcn  se,  o  di  formare  tre  capi  foli,  che  pruouino  la  no  lira  propofitione;  e  pigliarli  tali ,  che  lotto  di  loro  pofsano  diflribnirli  in  tre  claslì»  o  tutti  i  concetti ,  o  la  maggior  parte  de  con¬  cetti  che  fono  nella  lelna  .   Il  che  fatto, le  per  cafo  vna  di  quelle  pino  ne  non  potrà  riceuere  dalla  felua  tanti  con¬  cetti,  che  la  facciano  feconda  &  abondante,  bifogna  per  lei  fola  tornare  à  vedere  la  ranc¬  ia  de’libri,  e  ne’ termini  del  fuggetto,edella  paslione  fua, formar  di  nuouo  vn  poco  di  fel  uetta  per  lei  (ola  .   Ma  fe  in  contrario  ridotti  alli  tre  capi  principali  quanti  concetti    può  della  felua  fatta,  ad  ogni  modo  alcuni  ve  nereftano,cbe  non  vi  capifcano  folto*,  quelli    lalcieranno  coli,  nc cancelleranno,  ne fitrafeureranno,  perche  haueranno  poi  da  feruireà  certe  altre  cole, che  diremo  più  à  bafso.   Fra  tanto,  io  vorrei  dire  che  quelli  capi,  cheli  piglieranno,  bifognerà  Icriuérgli  ap¬  puntatamente  in  tre  luoghi,  e  lottoogn’vno  di  loro,  metterui  la  clafse  defuoi  concetti  co*  numeri  foli  ,  (  che  per  quella  cagione  facemmo,  preporre  i  numeri  à  tutti i  con»   celti    vna  Tredica  1  S   fc^tti  della  fclua.)  Ma  perche  quelle  fono  co-  fe,che  àfpiegarle  paiono  diffidigli me,  6c  a  metterle  in  opera  non  fono  fe  non  facili ,  pe¬    farà  meglio  per  non  mancare  in  cola  alcu  fìa  all’vtilità  di  chi  ha  da  leggere,che  ne  fac¬  ciamo  prattica  con  vn’efsempìo.   Voglio  dunque  fare  vna  predica  ,  nondi  Vangelo, ma  di  materia:  e  quella  non  di  ma  teria  applicata  à  parte  di  Vangelo, o  Vange¬  lo,  ma  di  materia femphce.  Lapropofitione  à  che  voglio  ridurre  tutta  la  mia  predica  è.  Cheli  digiuno  quadragelìmale  deue  ofser-  u  a  r  lì .   Studiando  per  tutti  i  miei  libri  quello  ter¬  mine,  Digiuno quadragelìmale:  equeft’al-  rro,  Ofseruarfi,  io  come  mi  fono  venuti  nel-  ti  nello  lludiare,  coli fenz’altro ordine,  ho  fatto  la  felua  de  i  concetti ,  che  è  qua  à  balso,  &  hogli  prepollo  i  numeri  per  valermene  poi  ad  occalìone.   I  Moisè  digiunò  quaranta  giorni    ì  Nc’Canoni  degli  Apolidi  è  comman¬  dato  il  digiuno.   3  Chrillo  flette  quaranta  giorni  nel  deferto.   4  Digiuno    troua  naturale, morale, e  meri¬  torio,  e  di  molte  forti.   y  Otto  (lati  di  perfonenon  fono  tenute  al   j  digiuno.    6  Te-    Modo  di  Comporre   Ì  Telesforo  non  fa  egli ,  che  fondò  la  qua»  refima   7  11  digiuno  aiuta  grandemente  l’ Grano¬  ne.   S  San  France/co  dìgiunatia  molte  quare-   fime.   9  Spiridioneintempo  di  quadragefima  die  de  carni  ad  vn  amico.   10  S.Ambmogio  dice  che  è  peccato  morta¬  le,  il  non  digiunare  la  quarefima.   11  Elia  digiunò  quaranta  giorni .   li  LaGhiefa  ordina,  che  fi  faccia  la  qua-  refima.   i  ?  Znuettiua  contro  chi  non  digiuna  la  qua  refima:del  ral  Padre  à  fanti  fogli.   14  Molte  ragioni jper  le  quali  è  vtile  la  qua-  refima:del  tal  padre  in  tal  luogo.   i  y  Non  fi  maggia  la  quarefima, fin  che  nan  è  fonato  vefpro.   1 6  Ninna  cofa  pui  difpiace  al  demonio  del  digiuno  quadragc-fimale.   17  Santi  Padri  che  fecero  la  quarefima’  efiempi  di  Marco  Mando  à  tanti  fo¬  gli.   O   15  Palio  della  Chiefaj  Virtutem  largitur   &:  premia.   19  Tutti  gli  htpetici  gridano  eontra  il  di¬  giuno  .      Te  ni-    urna  "Prèdi oa.  ip   5,0  i  empo  quadragefimale  decima  di  urna  Panno  à  Dio.   Contentiamoci  di  quelli  pochi  per  fiora,  che  tanto  balleranno,  come  fe  fodero  mille*  per  dare  elfempio  di  quello,  c’habbiamo  det  rodi  { opra .   Pigliamo  dunque  tutta  quella  feltra  in  ma  no,econfideratola molto  bene,  mólti  con¬  cetti  trottiamo  *  che  non  prouano  imme-'  eliacamente,  &  altri  die  Io  fanno;  ma  con  vna  ragione  formale  e  ccmmune  à  tutti.  E  però  giudichiamo  che  tutti  quefttconcetti  pollano  ridurli  à  tre  pruoue ,  cioè  che  quello  tal  digiuno  dette  farli,  Perche  è  vtile ,  perche  è  neeeflaiio  alla  fallite, perche  e  di  antica  còn-  fuetudiue.   Il  che  fatto  mettiamo  fotto  tutta  la  fèlua ,  o  in  vn’altro  pezzo  di  carra,come  più  ci  pia¬  ce, quelle  trepruotte  diflintamente,  in  quell;*  maniera.   Vule.  NecefTario.  Antico.   E  poi  cominciamo  à  dife orrere  dj  concetto  in  concetto  ,  quale  habbia  à  fer¬  itile  ali  Vtile  ,  quale  al  NecefTario  ,  e  quale  all’Antico,  e  qual  concetto  vi  fia  il   quale  non  pofTa  feruire  ad  alcuna  di  quella  pruoue.   I  er  esempio  ,  che  Moisè  digiunafTe   queran-    Miào  di  Comporre   quaranta  giorni  ,  quello  non  può  feruire,  le  non  per  modo  di  figura  all’antichità,  pro-  uando  che  fin  dallhora  ,  fu  incominciato  ad  ofseruarfi  quello  digiuno  quadragefi-  jnalc.   Il  fecondo,  come  appare  chiaramente  ler    allanecesfita,  poiché  mette  precetto  ;  e  fe  bene  potefse  anco  feruire  all’antichità ,  non¬  dimeno  fi  ha  da  conftituire  nel  fuo luogo  più  principale.   Il  terzo  può  feruire  ad  ogn’vno  de  icapij  perche  feChrilto  lo  fece,  dunque  è  antico  j  neceffariojin  vn  certo  modo,&  vtile^ma  per  hora  collochiamolo  nell’vtilità .   Il  quarto  non  ferue  ad  alcuno  di  quelli  capi, perche  la  diuifionedel  digiuno,  non  ci  perfuade  che  debbiamo  fare  la  quarefima ,  c  però  di  quelto  nonne  pigliaremo  penfiero  per  hora.   Il  quinto  è  della  medefima  maniera,  cioè  non  ferue  à  nulla  per  hora.   il  fello  ferue  all’antichità,  perche  fu  pri¬  mari  Telesforo  fondato  il  digiuno,ecofi  di  mano  in  mano ,  fenza  Ilare  à  nuedere  piti  «aufa.   Il  lettimo  ferire  all* vtilità.   L’ottauo  pure  al  medefimo .   Il  nono  à  niente  per  hòra.   Il  deci-    vna ‘Predica.  /  2  e   Il  decimo  alla  neceflità.   1/vndecimo  all’antichità.   Il  duodecimo  alla  neceflità.   Il  terzodecimo  a  niente  per  hora .   Il  quarrodecimo  all  vtilità.   Ilquintodecimo  moftrandochecofi  fifa-  ceuagià,all’antichità.   Il  fello  decimo  all’vtilità.   Il  decimo  fertimo  all’antichità.   Il  decimo  ottauo  all’utilità.   Il  deecimo  nono  alla  neceflìtà  inducendo  da  contrario  lento*   Il  vigefimo  all’vtilità.   E  coli  fi  farebbe  di  molti  piu,  fe  molti  piu  ue  nefoflcro.Ma  in  ogni  cato  di  mano  in  ma  no  che  noi  trottiamo  vn  cóctto  douerfi  appli  care  al  tale  de’tre  capi  già  apolli,  collochia¬  mo  il  nit.  fito  lòtto  à  quello  de’tre  capi  lopra  fcritti,à  che  egli  feritele  facciamo  (per  dir  co-  fi)  tre  Clalfi  di  numerijcome  farebbe  nell’cf-  fempio  prop olio,  torto  a  tre  capi,  metteremo  per  ogn’vno  di  loro  i  numeri  de’concetti  che  gli  torniranno  di  quella  maniera.    Ytile,   Necelfario,   Antico,   3   z   1   7   IO   6   S   12   Ji   ?4   19   Modo  di  Comporrò    * 7    1  8   2  O   Coli  habbiamo  già  diftribuita  alle  pruo-  ue  tutta  la  felua  e  compartiti  tutti  i  concetti  itici ,  eccetto  quattro,  che lono il  quarto,  il  quinto, il  nono,  &  il  terzodecimo,  de’qua»  il,  checolane  habbiamoàfare,lo  vedremo  poi   Fra  tanto  torno  à  ricordare, che  quando  in  vno  di  quelli  capi,  ci  pareflero  troppo  pochi  b  concetti ,  appetto  à  quelli  degli  altri ,  come  farebbe  feci  pareflero  pochi  quelli  deine-  celsario,appetto  à  quelli  dell’vtilejò  dell’ano  tico,  bflognerebbe  riuedere alcuni  dei  libri,  e  fare  vn  poco  più  feconda  quella  ClalTe.   Balla  che  fin  quà  habbiamo  determinato  il  genere  della  noftra  predica,  deliberatala  propoiìtione,fatta  la  lelua,  elettone  itre  capi  della  pruoua,  eformatetii  lotto  le  tre  Ciai-  fi  file .    CA  TITOLO  QVl'NJ'O.    Ifogna  hora .    chetici  palliamo  alTaltra  parte  principale  della  predica ,  pei  che  con  alla  groflain  due  parti  loie  la  diuidémo.  Cioè  in  quella  che  leguita  la  prcpofidone,  &    in    ma  7  redica  .  21   in  quella  che  la  precede  ;  della  quale  hora  ci  conuiene  ragionare ,  nominandola  co’l  no¬  me  che  la  dimandammo  all’hora,  introdut-  tionc  :    bene  (  come  vedremo  più  a  bado  )  ella  molto  ragionenolmente  fi  potrebbe  do-  mandare,proemio  .  M  a  per  hora  noi  non  ci  curiamo  leguitare  i termini  dell’arte:  ci  balla  ad  infegnare  vn  modo,  (  come  egli  fi  lìa)  di  formare  vna  predica.   Quella  introduttionecome  debba  accolti  modarfi-  come  debba  difporfi,  quanto  deb¬  ba  efier  lunga, in  quante  parti  diuiderfi    c  li¬  mili  cole,  noi  lo  diremo  poi ,  quando  parle¬  remo  della  dilpofitjone  delle  parti  della  pre¬  dica  .  Ma  per  hora, noi  non  parliamole  non  del  compartimento  della  materia  trottata ,  à  ciafcuna  delle  parti  di  efia:  efiendoui  fenza  dubbio  molta  differenza  dall’ordinare  quali  pietre  vadano  in  quello  appartamento;  &  quali  in  quell’altro  ;  onero  dal  difponere  co¬  me  le  pietre  ordinate  al  tale  appartamento  debbano  elfer  accommodare  perfabricarlo.  La  felua  (come  habbiamo  detto)  ferue  per  le  pietre-,  eli  appartamenti  fono  le  parti  della  predica  -,  noi  per  hora  non  facciam’alrro  che  dillribuire,  quali  concetti  della  felua  debba¬  no  ferirne  alla  tale,  o  alla  tal  parte  ;  con  ani¬  mo  di  mollrar  poi,  come  1  concetti  riferuati   D  per  la   £    Modo  di  Comporre   perla  tal  parte  debbano accommodarfì fra  loro  àfabricarla.   E  però  fi  come  nella  pruona  habbiamo  detto, che  da  tutta  !a  felua,o  fuori  della  felua  bifogna  cercare  alcune  propofitioni,  le  quali  immediatamente  proti  a  fiero  la  propofitione  principale  del  raggionamento  -,  cofi  bora  dichiamo,  che  o  dalla  felua,  odanoifiefli  habbiamo  da  fcegliere  vna  propofitione  fo¬  la,  laqualeci  introduca, e  ci  inferifca  imme¬  diatamente  la  propofitione  c’hbbiamo  piglia  ta  à  prouare,comm  farebbe  à  dire:  Ogni  di¬  giuno  deue  ofieruai  fi.   Ho  detto  non  à  calo  ,  ne  fenza  raggione  quella  parola, immediatamente;  perche  mol  ti  peccano  grandi  finitamente  in  quello  fat¬  to;  i  quali  per  introdurli  alla  materia,  di  che  vogliono  ragionare  ,  pigliano  cofetantofu-  periori  «ìlei,  e  tanto  lontane,  che  a  dedurle  infino  al  Immetto, che  fi  tratta,  vi  bifognaerà  dillìmo  tempo  ,  e  bene  lpefiblbntrod  unione  viene  ad  efiere  più  lunga, che  la  predica;  in¬  gannati, credo  io, da  vna  propofitione, la  qua  le  ho  fentita  due  più  volte, éc  mi    fatto  ri-  dere;cioè,che  è  bella  cofa ,  quando  il  predi¬  catore  ragiona  vn  grandifliino  pezzo  lenza  che  nefiuno  s’accorra  di  che  voglia  trattare,   L>  O  7   e  dotte  egli  habbia  à  battere.  Et  pure  io  credo   il  con-    yna'Tredica.  22   si  contrario,  che  alla  vnita  della  predica  lìa  molto  conueneuole,  il  vedere  che  infino  1  primi  fili  feruano  al  tefiitto  .  Ma  di  quello  ragioneremo  poi  più  di  (tintamente, quando  tratteremo  la  di  fpofitione  della  introduttio-  ne  iltefia.   Per  fiora  torniamo  à  dire,  che  la  propofi-  tione,la  quale  (ce]gliamo,deiiee(Tere  imme¬  diata  ;  perche  hauendo  à  confili  mare  tutta  la  introduttione  (  come  diremo  poi  )  in  ampli-  ficatione  di  quella  propofitione ,  dalla  qua¬  le  inferiamo  la  noftra  principale ,  al  fiecuro  fe  molte  ve  ne  fio  (fiero  fiuperiori, tante  ampli-  ficationi  vi  andrebbero,  cheallongarebbo-  no,e  cófionderebbono  ftranaméteil  ttno.Per  e(fiempio,s’io  dico:  Ogni  digiuno  deueofler  iiarfi,ditnquean‘coil  quadragefimale:quà  io  non    d’amplificare  fie  non  quella  propofi-  tione;  Ogni  digiuno    da  ofieruarfi.  La  do¬  tte  s’io  dicellì  :  Ogn’opera  buona  dette  fiarfi,  vero  è,  che  anco  quella  infierirebbe, che  il  di¬  giuno  dette  oflèruarfiima  non  lo  farebbe  ina-   O   mediataméte,e  però  bilognarcbbe  prima  tra  tare,  che  l’opera  buona  deue  fiarfi ,  apprettò,  cheogni  digiuno  è  opera  buona,  di  più,  che  la  Quaresima  è  vno  di  quelli  digiuni, e  final-  méte-jcheeffa  dùq-deue  farli  :  di  maniera  che  moltiplicandoli  le  amplificarioni ,  in  vece  di   D  z  vtia    /     Modo  di  Comporre   vna  introdurtione,  fi  farebb  vn  trattato.   Qua  bifogna  auuertire,che  fe  bene  io  nelr  la  proprofitione  inferente  (  per  dir  co¬  li)  ho  dato  l’efempio  in  vna  vniuerfale  ,  che  inferifee  vna  particolare  ,  cioè  Ogni  digino  delie  ofieruarfi,  dunque  anco  ihqua-  dragefimale-,  nondimeno  io  non  intendo,  che  Tempre  la  illatione  fi  faccia  di  quella  ma  niera.  Ma  potendoli,  come  fanno  turi  quelli,  che  hanno  fludiato  la  T  epica, per  diuerfiflu  mi  luoghi  inferire  vna  ìftefia  propolitione,  à  me  balia, che  in  qual  fi  voglia  di  quei  luoghi  Topici  tu  t’elegga  la  propolitione,  purché  fia  immediata,  la  quale  t’introduca  al  tuo  /oggetto  principale  .  Come  farebbe  à  dire  dalla  diffìnitione  :  Se  l’aftenerfi  in  quella  parte  dell’anno  da  peccati ,  e  cibi  vietati,  è  cofa  buona;  dunque  è  ben  ragioneuole ,  che  ofieruiamo  il  digiuno  quadragefimale.  Dal  meno  al  più,  Poiché  olferuantilfimi  furono  i  Giudei  ne’loro  digiuni  legali,  ben  è  ragione,  che  olleruanti  damo  noi  JEuangelici  del  no-  llro  digiuno  quadragefimale  .  Dalfimile,  come  farebbe  à  dire  leorationi  diterminate  à  certi  inftituiti  tempi  fono  vtiliffime  ,  anco  il  digiuno  diterminato  a  quelli  quarantagior-  oi, deue  olferuarfi  da  noi.   E  coli  potrà  chi  hàgiudicio ,  decorrende    Tona  T  redica.  2$   per  gli  luoghi  topici ,  trouarfacilmente  tutte  le*  propofitioni, che  immediatamente  podo-  no  inferire  la  Tua  principale  .  Ne  noi  per  materia  di  tutta  la  introduttione,di  altro  hab  biamo  bifogno,  che  di  quella  propofitio-  ne  inferente,  e  di  alcune  cole ,  chel’amplifi-  chino  nella  maniera  che  diremo  poi .   E  però  cariati  che  noi  habbiamo  dalle  Tel¬  ila  tutti  j  concetti  delle  prtioue,  e  dillribuiti-  li  in  cladì,  come  facemmo  di  fopra ,  bifogna  che  torniamo à  pigliare  la  felua in  mano,  e  che  confiderando  quei  concetti ,  i  quali  fono  rellari  vuoti  fenza  adoperarhelle  pruoue,ve  diamo,  fe  fra  quelli  ci  fulTe  alcuna  propoli-  rione,  la  quale  per  qualch’vno  de  i  luoghi  to¬  pici  inferilfeimmediatamente  lanollra  prin¬  cipale.  E  trottandola,  le  ve  ne  folfero  al-  cun’altre,cbe  l’amplificalTero;  fi  come  quan¬  do  non  vene  trouaflìmo  alcuna  principale  inferente  ,  bilognerà  vedere  Tele  altre  ci  Tuc-  gliaflero  l’ingegno  à  trouarne  vna  principa¬  le,  alla  quale  alcuna  di  loro  potelfe  feruire  per  amplificare.  Et  quando  ninna  di  quelle  cole  ci  riefea  ;  lafcèremo  Ilare  quei  concetti  della  Telila, per  feruircene  ad  alcun’altra  co-  fa  ,  e  con  l’aiuto  dell’ingegno  nollro  ,  e  dei  libri  anderemo  à  cercare  e  la  propofitione  in  ferente,  e  lefueamplificationi ,  e  ne  faremo   D  3  vna    Modo    Compone  vna  appartata  feìuetta .   Per  e/empio,  nella feltta  che  facemmo*  tutti  i  concetti  s’impiegarono  in  pinone,  ec¬  cetto  i!  quarto,  il  quinto,  il  nono,  &  il  terzo-  decimo  .  Hora  di  queliti  quattro  vado  à  ve¬  dere  ,    alcuno  ve  n’è ,  che  mi  polla  inferire  immediatamente,  Il  digiuno  quadrage/ima-  le  deue  offeritali .  E  pn  ma ,  il  quarto  non  è  buono ,  perche  il  dire  :  Si  trotta  digiuno  na¬  turale, morale  &rc.  dunque  il  quadrage/ìma-  le  deue  offe  ruar  fi.  Quello  li  vede  che  non  è  àpropolito .   Parimente  il  quinto,  cioè  ,  Otto  Ilari  di  pedone  non  fono  tenute  al  digiuno ,  dunque  il  digiuno  quadragelimale  deue  offeruarli:  ne  anco  quello  ci  va.   Il  nono  ancora  non  mi  pare  omltoi  pro¬  polito, poi  che  il  dire:  Spiridione  diede  car¬  ni  ad  vn  amico  fuo,  dunque  il  digiuno  qua¬  dragelimale  deue  offeruarli.   Quello  pare  che  concluda  il  contrario.   E  finalmente ,  Finuertiua c’habbiamo  no¬  tato  lotto  il  numero  terzodccimp,  contro  chi  non  J  igiuna ,  non  farebbe  però  la  più  bella  villa  del  mondo,  in  principio  d’vna  predi¬  ca  .   Siche  in  quei  concetti, che rellanano  nel¬  la  /citta ,  vediamo  che  non  vi  è  propolitionc   alcuna    'vna  Tredica.  24   àlcuna  inferente,  ma  ve  n'c  ben  vna,  la  qua¬  le  potrà  amplificare  vna  inferente,  perche  s’ioinferirò  con  la  vniuerfale  dicendo,  Tut¬  ti  i  digiuni  fono  buoni ,  dunque  anco  il  qua¬  dragli male  dette o  dentarli ,  all’horail  con¬  cetto  che  era  fotto  il  numero  del  quarto,  del¬  le  diuilìoni  del  digiuno,  non  folo  feruirà;  ma  farà  quali  neceflario  all’amplifìcatione  d  i  lei.   i  *•   E  però  quanto  fperta  allafelua  ,  la  quale  era  in  tutto  di  venti  concetti, fi  come  ne  Riab¬  biamo  già  canati  ledici  per  le  pruoue,  egli  habbiamo  diftribuiti  in  tre  dadi,  fotto  i  tre  capi  di  pruoue;  cofthora  metteremo  dacan-  to  dirtela  la  propolìtione  inferente  della  in-  duttione,  efottovi  metteremo  il  numero  di  quel  concetto  che  habbiamo  eletto  in  feruitio  Ilio, in  quello  modo.   Introducilo ,   Ogni  digiuno  è  degno  d' efftr  of¬  fertilo  .   4   H  Abbi  amo  melTo  il  numero  folo  di  quattro,  perche  in  quella  poca  feluet  ta  altro  concetto  non  habbiamo  trouato,  che   D  4  polla    Modo  di  Comporre   polla  fcmire  alla  imroduttione,fenonquello  del  4  ina  nelle  felue  ordinarie,egrandi,  alfi-  curonetroueremofempre  molti  più:e  quan¬  do  non  gli  trouattìmo  gli  anderemmo  à  fa¬  re,  di  maniera  che  già  haneremmo  cauati  dalla  felua  compartiti  in  diftinfte  dadi  tutti  i  concetti  che  polTono  ferui re  a  i  tre  capi  di¬  ttimi  della  pruoua,  &  alla  introduttione,   &:  in  fomma  alle  due  principali  parti  della  predica.   Ma  oltre  quefte  due  parti,  reftanoancho-  raalcun’altra  particella,  per  le  quali  bifogna  tornare  à  vedere  fe  trouattìmo  alcune  cofe  che  potettero lor  feruire  ;  equefte  perhora  diciamo  che  fono  quattro,  cioè  il  fine  della  prima  parte,il  principio  della  fecondaci  fine  di  tutta  la  predica,  e  quel  principio  di  ragio¬  namento  ,  che  communemente  fi  chiama  il  prologhino.   Delle  quali  cofe  fe  bene  parleremo  vn  po  copiti  didimamente  nella  difpofitione delle  parti,  hora  nondimeno  nella  diftiributione  della  felua ,  è  forza  dirne  alcuna  cofa  per  ve¬  dere,  fe  de’concetti  chereftano,  alcuno  ne  fa  per  loro.   Il  fine  dunque  della  prima  parte  per  l’or¬  dinario,  ò  epiloga  quei  due  capi  di  pruoue,  che  fon  già  fpeditno  ettagera  la  propofitioné   principale.    vrtaT  redica.  25   principale, o  inueifce  nella  contraria, o  deciti  cegentilmentelamateria,  che  tratta  allaelò-  mollila  che  fi  dimanda.   E  però  ne’tre  concetti  che  reltano ,  ficurt  eofa  è,  che  nelTuno  ve  n’c,  il  quale  polfa  fer-  uire  ad  alcuno  di  quelli  offìcij ,  ma  bifogna  altronde  procacciarfene,  e  fare  vna  piccioli  [!  felua  di  vno  o  due  concettini  pet  quello  effetto.   Il  principio  della  feconda,  dette  lémpre  hauere  per  mira  di  rillorare  l’animo  affatica¬  to  di  chi  fente;  il  che    fa  in  due  modi, onero  ritornando  à  mente  quello  che  innanzi  s’è  detto, inoltrando  fin’à  che  termine  lìamo  del  ragionamento  ;  ouero  introducendo!!  alle  pruouech’auanzanocon  alcuna  cola  dilette-  noie,  pur  che  non  lìa  fcurrile ,  come  hiltoria ,  «  prologo, delcrittioni,  e  limili  cofe.   Alle  quali  vediamo  parimente  che  niuno  di  quei  treconcetti,c  polli  bile  che  ferua, e  pc*  ro  bifogna  procacciarli  concetti  altronde,  e  farne  propria  felua.   Il  fine  di  tutta  la  predica,  fpeflo    confo»  ma  in  Epilogo  di  tutto  quello  che  fe  è  detto;  Tal’hora  in  oratione  al  Signore  ;  &  anco  qualche  volta  in  vehementi  elTortationi  à  chi  fa  quello  che  perfuadiamorouero  in  yehemé  ti  inuettiue, contro  chi  non  l’^lferua.    Nel    Modo  di  Comporre   Nel  qual  vltirao.modo  le  noi  vorremo  tei?  minare,  la  predica nofha  del  digiuno,  tut¬  ti  tre  i  concetti ,  che  rertauano  ,  cioè  ,  il  quinto, il  nono,&  ilteizodecimo  feruiranno  marauigliofamcnte  ;  perche  co’l  quinto  mo-  rtratcmo,che  ben  fi  può  concedere  ad  alcu¬  ne  determinale  perfone,  il  non  digiunare ,  e  coi  nono, diremo  che,ancoin  calo  di  necef-  firà ,  à  tutti  è  permeilo  il  non  farlo  :  ma  co’l  terzo  decimo,  contra  i  nonefenti  ,  faremo,  innetriuatale,  quale  l’Autore  legnato  in  quel  luogo  ci  mfegnerà  à  fare .   Remerà  il  prologhino  lolo,  il  quale  come  diremo  più  giù ,  eliendo  più  torto  vna  ricer¬  cata  del  madrigale  total  mete  d  merla  da  lui ,  che  principio  di  lui  ftelTb;  pocobifogno  ba¬  lleremo,  che  lafelua  ci  fomminiftri  concetti  perhù,  elfendo egli  tanto  libero, che  datutte  le  cole  del  mòdo  polTìiamo  cattare  cole ,  che  gli  feruano.  Contutto ciò,quadodop'po tut¬  te  le  altre  cole  auanzallero  ancora  molti  con¬  cetti  vacui  nella  felua ,  potremo  vedere  fe  al¬  cuno  vene  forte  ,  che  face  fife  per  lui ,  &  anco  quello  di ftribuirlo.   Di  modo  che  prima  che  ci  mettiamo  à  fa¬  tela  predica  no  {tra,  già  h  abbi  amo  otto  capi  di  lqu.adra,  con  le lueclartì  inordine,cioètre  capi  di  priioue,Iaintroduttjone,  il  fine  della   prima    yna  Tre  dica.   pi  ima  parte*  il  principio  della  feconda,ilfi-  ne  di  tutta  la  predica ,  &:  il  prologhino  .  E  fottoàogn’vnodiquefi  butteremo  la  cialde    quei  numeri  del]afelua,che  ad  ogn’vno  di  loro  propri  amente  feritone,  &  in  quello  fc  iranno  confumati  rutti  i  luoghi  dellafelua,  non  occorrerà  far  altro .  Ma  le  ne  ref  afero  ancora  alcuni,  che  à  ninna  di  quelle  otto  co-  fc  hauelfero potuto feru ire,  à  quelli  tali  fi  da-  .    di  penna,  per  non  haucr  fatica  di  leggerli  opni  volta  fenza  vtilirà,  quando  andaremoà  pigliare  li  concetti  che  ci  feruono.   Coli  habbiamo  fatte  due  cofe,cioè  frolla¬  ta  tutta  la  materia  per  tutta  la  predica  nella  lelua  che  facemmo, e  poi  compartite  diuerfe  parti  di  effa  materia,  à  varie  parti  della  pre¬  dica,  fono  diflinri  luoghi ,  e  con  diftiminu-  meri  ;  il  che  fc  appartenga  ad  inuentioneo  pure  à  difpolìtione,  di  quello  non  voglio  di¬  sputare;  à  me  balla, che  di  duecofe,c’hò  fat¬  te  fin  bora,  vna  è  fata  il  tremare  la  materia, è  !  l’altra  il  compartirla  alle  tali  parti.  Hora  re-  fa  che  attendiamo  à  quella,  che  ogn’vno  concedc,che  fa  pura  difpoftione.cicc  à  met  lere  1  n  oremanza  ogn’vra  delle  elafi  de  con  cetn  entra  ad  ogn’vna  delle  parti ,  allaquals  rhabbiamo  applicata  &c.   QJLTI-    Modo  di  Comporre  C  ATIT  0  LO  SESTO.  Abbiamo  nominato  Tette  parti  di  pre^    dica  (  s’habbiamo  bene  auuertito  )  cioè,introduttione,  propofitione,  pruoue,  fi¬  ne  di  prima  parte, principio  di  feconda, fine  di  tutta  la  predica,  eprologhino;  anzi  vna  n’habbiamo  tralafciata,  ò  almeno  no  l’h ab¬  biamo  tocca  fpiegatamente,  cioè  la  diuifio-  ne  della  predica,?  pur  anch’efiaè  neceflaria.,'  di  maniera,  che  pare ,  che  noi  infin  qua  fac¬  ciamo  etto  parti  dell’orazione  noftra.   Con  tutto  ciò  diciamo,  che  fi  come  i  Rhrc  torici  non  pongono  più  che  fei  parti, cofi  an¬  cora  noi  ci  contentiamo  del  medefimo  nu¬  mero.  Percioche  la  noftra  introduttione,  è  quella  che  efii  chiamano  prologo:  la  propo¬  fitione  noftra  rifponde  alla  loro  narratione:  la  noftra  diuifione  fi  conforma  conia  loro  z  nelle  no  (tre  pruoue  comprendiamo  la  con  fi  r  mattone,  Se  confutatione,  che  mettono  effi;  finalmente  noftro  fine  di  predica,  è  quel  me¬  defimo  che  eglino  chiamano  Epilogo.   Che    hora  auanzano  tre  parti  di  quelle  che  habbiamo  dettc,cioè  il  fine  della  prima,  il  principio  della  feconda  parte ,  Se  il  prolo-  ghtno:  quanto  al  prologhin®  diciamo,  che    •pnaTredìca.  xj   quello  non  è  parte  di  predica  ,  f i  come  la  ri¬  cercata  non  è  parte  del  madrigale,  ma  è  loia  mente  vn  preludio,  come  concede  anco  Ari¬  notele, fatto  per  preparare  gli  animi,  e  per  di  fporli  al  principio,  che  fegmta  fubito,  della  predica  tutta.  E  quanto  allealtre  due,fi  vede  chiaraméte,che    fono  per  necelfità,rna  per  accidente;  poiché  le  facellìmo  la  predica  di  vna  parte  fola, niuna  di  loro  vi  bifognarehbe*,  la  douehauendo  hora  l’vfo  introdotto  che  fe  ne  facciano  due:  per  forza  ne  feguono,  11  fine  di  vna,&  il  principio  dell’altra.   Ma  della  proportione,  chehabbia  quello  mio  trattatelo, con  quello  che  dicono  i  Rhc  forici ,  mi  lono  non  so  in  che  modo  lafciato  trafportare  à  dirne  più  che  non  voltuo .  Sia^  no,  qaante  parti  vogliano  gli  altri ,  dell’ora-  tione,cheio  per  me  hora  ho  in  animo  d’infe-  gnare  come  fe  ne  habbiano  à  difponcre  otto:  cioè  introduttione ,  propolitione ,  diiiifione,  pruoue,fine  di  prima  parte,  principio  di  fe¬  condarne  di  tutta  la  predica,  e  prologhino.   Nella  quale  difpolìtione  dico ,  che  in  due  maniere  polfiamoragionare,oueroqnalordi  ne  habbiano  d’hauereleparti  fra  loro  ftelTe,  ouero  con  qual  ordine  debbano  difporfi  i  fuoi  proprij  concetti  in  qual  fi  voglia  delle   dette  parti.    Quanto    Modo    Compone   Quanto  alle  pani, diuerfa  cofaè  il  dire  co  qual  ordine  recitarli  la  predica;  onero  con  qual  ordinedebba  comporli .  Ma  tutta  quc-  ftadiuerfità  confitte  in  vna  parte  fola ,  che  è  ilprologhino;percioche  il  prologhino    da  ettere  il  primo ,  e  poi  le  altre  fette  per  ordine:  ma  nei  comporla  bilognafare  prima  tutte  le  altre, e  poi  da  tutte  le  altre  parti  cattare  il  mo¬  do  di  fare  il  prologhino ,  come  più  chiara¬  mente  vedremo  più  baflo.Per  hora  io  di  vna,  darò  alcune  regole,  &  alcuni  modi  di  com¬  porla  -,  cominciando  con  quello  iftelTo ordi¬  ne,  co’lqualegià  due  volte  le  ho  numera¬  te  di  lopra  ,  che  è  il  vero  ordine  della  di-  fpofitionefra  le  parti ,  nel  comporle  :  cioè  in  troduttione, propofitione, ditti fione,  pruoue,  fine  di  primaparte.principio  di  feconda,  epi  ìogo, e  prologhino.   £  queft’oldine ,  ch’io  darò  hora  à  ciafcu-  na  delle  otto  parti,  farà  quella  feconda  difpo  fiticne,che  io  accennano  di  fopra,  non  delle  parti flafe;  made’concetti  fuoi,  in  ognuna  di  loro,  &c.   C*AT  ITOLO  SETTIMO .   E  Prima  quanto  allintrodurtione ,  febene  rùpondendo  quefta  à  quella  parte,che  i   Rhetori    ma'?  re  dica.  '  28   Rhetóri  chiamano  prologo,  fi  può  anch’effa  formare  in  varijsfime  maniere,  e  con  diuerfi f  fimi  precctrijcomecfiì  infegnano.Nondime-  no,  à  me  baderà  dare  vn  modo  affai  facile  à  principianti,  col  quale  pollano  introdurli  nellelor  prediche:aiuiertendcli  fedamente,  che  io  non  intendo  di  reftringerli,  à  quello  modololo  d’ìntrodurfi ,  c  che  quello  non  è  affegnato  loro ,  fe  non  per  vno  de’molti  che  pollano  trottarli.   Vorrei  dunque,  che  nel  primo  periodo ,  cioè  innanzi  al  primo  punto  principale  di  tutta  la  preaica,noi  formali! ino  fempre  vn’argome-  to,  od  vna  illatione  di  quelle  propolìtioni»  che  di  fopra  habbiamo  nominate,  la  propo-  fitione  inferente,  è  la  pispolinone  principa¬  le  .  Come  farebbe  à  dire,  bela  propofitionc  della  predica ,  ha  da  edere,  Cheil  digiuno  quadragelimale  delie olleruarfiiè  la  infeten¬  te, Che  tutti  1  digiuni  commandati  dennoof-  feruarfi:  vorrei  che  fubito  neirifteffo  princi¬  pio  della  introduttione  noi  formali' mo que¬  llo  argomento  ;  Tutti  i  digiuni  commandati  denno  ofleruarfi-, dunque  il  digiuno  quadra¬  gelimale  dette  offerirai  fi.   E  qui  bifogna  auuertire ,  che  alle  volte,  e  per  lo  piiì,apprelloa  i  Rhetori, e  nelle  predi¬  che,  gli  argomenti  li  fanno  per  modo  d  i  En¬  ti  me  mi>    Modo    Comporre   timcmì ,  cioè  di  due  propofitioni  fole:  ma  qualche  volta  anchora  tutte  tre  le  propofitior-  ni  vi  fi  mettono,  come  farebbe  à  dire.  Tutti  i  digiuni  commandati  denno  ofseruarfi,  ma  il  digiuno  quadragefimale  è  commandato  ,  dunque  deue  ofseruarfi.  Et  qui  ancora  tor¬  no  à  d  ire  l’iftefso,  che  fe  bene  noi  vogliamo  farlo  di  tre  propofitioni, ad  ogni  modo  dob¬  biamo  rinchiuderlo  tutto  fotto  al  primo  pun  to  principale  della  introduttione.   Ne  però  intendo  io  che  fi  cominci  lapie-  dica, con vn’argomentoefprefsoin Babara,o  \  Barocco, ouero  con  Entimema  tanto  chiaro,  !   che  ogn’vno  conofca ,  che  egli  fia  E  ntime-  ma;  anzi  in  quello  bifogna  adoperare  arte  di  fare  maniera, che  da  niuno,le  non  da  mol-  ì   to  pratichi,  fi  conofca,  che  in  quel  primo  pe¬  riodo  vi  fia  virtualmente,  ol’argòmento,  o  ì’ Entimema,  e  ricordarli  in  fomma  quello  che  dicca  Zenone  :  cioè  ,  chela  Dialettica, e  la  Rhetorica,fi figurauano perla  ìftelsama-*  no,hora  ri  Uretra, &  hora  ftefarcioè  che  quel¬  lo  iftefso  cheriftrettamente  fi  mette  inargo-  menli  Dialettici;  nella  Rhetorica  bifogna  fpiegarlo  in  modo,  che  non  habbia  pur  fac¬  cia  d’atgomento.   Come  farebbe  à  dire,  le  neH’argomento  Dialettico, io  dico,  Ogni  digiuno  comman¬  dato    "pria  Predica.  19   dato  delie  o/Teruarfi:  la  quaresima  è  digiuno  Commandato:dunque  la  queref  ma  delie  o  (-  /ciliari!  ,  Rhetoricamente nondimeno  con¬  fonderò  le  propofitioni,  e  le  tratterò  in  qual¬  che  manieratile  non  paia  argomento, come  farebbe:  Poiché  ninno  è  tanto  fcioccho,  il  quale  non  cono/ca  e/Tere  il  digiuno  quadra-  gef  male,  vno  di  quegli,  che  da  /antaChie/a  ci  fono  ftrettamente  commandati,  ben  è  ra¬  gione^  tutti  gli  altri  commandati  da  lei  con  ogni  fhrdioinuiolabilmenie  f  /emano  ,  che  anco  in  quello  moftnamo  noi  pieni  di  farita  I  humilià  vna  prontezza /aera, &  vna  Chi  iftia  fi  na  obedienza, onero  in  qtialch’altra  maniera  I  piùconfu/amente ,  ma  più  ornatamente  .  E  |  caffè  nell’entimema  dialettico  io  dirci.  Il  j,  gidfto  eommandato  de  o/Teruarfi,  dunque  il  |  ,  qi/adrage/imaledeue  o/Ieruarfi:  Rhtcorica-  \  ménte,  io  porrò  dire  :  Egli  è  vero  che  tutti  i  digiuni  commandati  dennoo/Iéruàrlì  ,  ma  ad  ogni  modo,  /e  noi  andiamo  pen/ando  le,  qual  ita-di  del  quadragefimale  egli  fi  cura  m鬠 te  oltre  à  tutti  gli  altri  dtue  e/Iei  oferuato  da  noi.  *   E  co/ì  vediamo, che  o  Entimema  o  argo¬  mento  che  egli  fi  fa  quello,  co’l  quale  nella  introduttione  vogliamo  inferire  la  noftra  ptopoftione  principale,  Tempre  polli  amo  fa   E  cil  niente.    Modo  di  Comporre   cilmente,e  dobbiamo ,  rinchiuderlo  nel  pri¬  mo  punto  della  introduttionc  ,  e  formare,  o  con  due,o  con  tre,o  quattro  membri  vn  perio  do  congiunto  e  molto  migliore, che  non  fono  flati  quei  due  di  fopra,i  quali  io  in  pruoua  ho  lafciati  im perfetti, e d i {ordinati ,  p  infegnarli  poi  à  fare  perfetti,. &  ornati,  quando  trattalo  della  elocutione,alla  quale  appartenere  la  li¬  matura  di  quelle  cofe,ch  horanoi  rozzame»  te  diciamo.   Bada  che  il  primo  punto  principale  dun¬  que  di  tuttala  predica, dette  contenere  confa  fe  Se  allargare,  o  tre  propofìtioni,ò  due  alme  no, le  quali  con  argomento,©  con  Entimema  inferivano  la  propofitione  principale,  che  noi  ci  fiamo  eletti.   Il  chefatto,  per  vna  certa  ragione,  che  io  dirò  poi, quando  ragionerò  della  elocutione,  farà  bene  à  fare  elclamatione,  ò  quache  con¬  ti-apoda,  o  qualche  cola  in  /omnia, ^che  Iafcj  refpitare  vn  pocogli  animi  degli  alcoltanti  j  equedo  in  vna,o  due  linee  al  più .  Come  fa¬  rebbe  à  dire, finito  quel  periodo,  che  conclu¬  de, dunque  la  qua  re  firn  a  deue  farli:  loggiun-  gere  f  abito  in  vniuerfale,  per  modo  di  elcla-  inatione:  Santidìmi  &  vtilidìmi  digiuni, one  ro  qual  ch’ai  tra  co  fa  finrie .   E  poi  bifogna  venire  all’ amplificatione   dell’ar-    vna  Tredica .  3  o   JeH’argomento;  con  quella  diflintione,  che  fe  la  propofitione  principale  nel  primo  peric  do  è  (tata  ioferita  da  due  propofitioni ,  bifo-  gna  amplificareuute  due  quelle,  con  quello  ideilo  ordine,  col  quale  lehabbiamo  dette  nel  perriodo.E  fe  vna  propofitione  fola  è  Ita  ta  l’inferente  neirEnnmcma,quelIà  fola  dop    l’efclamatione  bifogna  che  noi  comincia¬  mo  fubito  ad  amplili  care,  &c  in  quella  occu¬  pare  tutto  quello  fpatio,  che  haueremmo  oc¬  cupato  in  amplificare  le  due  fe  vi  fofiero  fiate.   Voglio  dire,  (  per  non  lafciar  minuti  a  al¬  cuna, ch’io  non  difeorra,  )  che  come  diceua-  mo  di  fopra,fe  la  predica  farà  di  otto  pagine;  la  introduttione  faremo  che  ne  occupi  vna  intera;  ma  con  quell’ordine, che  doppo  il  pii  mo  periodo, e  quella  prima  potata, rampini-  catione  del  periodo  duri  a  punto  vna  faccia, e  e  mezza  di  detta  prima  pagina, lafciando  l’al  tra  mezza  per  quello  officio  ch’io  dirò  poi .   E  fra  tatos’haueremo  d’amplificare  duepro-  pofitione,  laprima  durerà  dalla  potata  per  tutta  la  prima  faccia,  e  la  feconda  per  mezzo  la  fecondala  doue  fenon  haueremo  da  pro-  uarne  fe  non  vna  loia  ;  quella  dal  fine  delia  potata  occuparà  tutto  Jo  (patio  fino  alla  metà  della  feconda  faccia.  Auuertendo  però, che   E  2  ne  io    Modo    Comporre   ne  io  reftringo  tutte  le  prediche  à  otto  pagi-  ne,tutte  le  introdtittioni  à  vna,ne  tutte  le  arn-  plificationi  doppo  il  periodo,  eia  pofata  in  vna  faccia  e  mezza  :  ma  alTegno  quelle  cofe  quali  per  mifura,alla  proportione, delle  qua  le  potrai  poi  fare  le  prediche  di  quante  carte  vuoi.   Se  dunque  haurò  detto,  ma  oratoriamen¬  te,  nel  primo  periodo  :  Tutti  i  digiuni  com¬  mandati  fono  da  olferuarfiùlquadragefima-  le  è  commandato  dunque,  &c.  foggiunto  che  haurò  la  pofata,  Santilfimi  digiuni,  &c.  comminciarò  fubho  ad  amplificare  quella  prima  propofitione  dicendo,E  certo  chi  non  sa,  chele  cofe  commandate  denno  ofTeruar-  fi?  poiché,  chi  è,  che  le  commanda  fc  non  Dio  ?  à  chi  commanda  fie  non  à  noi  ?  perche  commanda  fe  non  per  noftro  bene  ?  e  limili  altre  cofe  con  le  quali  giunto  ch’io  fatò  al  fi¬  ne  della  prima  faccia,  concludendo  tutto  il  palfato, come  farebbe  a  dire ,  ìn  lomma  cer-  tilfimo  cofa  è ,  che  le  cofe  commandate  deb¬  bono  ofi'eruarfi,foggiungerò  fubbito  l’smpli  ficatione  della  feconda  propofitione,come  la  sebbe  adire:  Ma  qual  cola  fu  mai  più  com¬  mandata  della  quarefima?  di  quella  quarefi-  ma,  la quale&c.  di  quella,  laquale&c.  E  coli  decorrendo  arriuarò  al  mezzo  della  fe¬  conda    yna  'Predica  :  $  t   jronda  faccia.  Se  hanerò  fatta  l’amplificatio-  ne  di  due  propofìtioni .   La  doue  fe  con  vna  fola  nel  periodo  fi  fuf-  fe  fatta  la  illatione,come  farebbe  à  djre,ogni  digiuno  deue  oileruarfì,  dunque  ancora  il  quadragefimale:qui  doppo  il  periodo, e  dop  po  la  pofata  non  occorrerebbe  altro, che  am¬  plificare  quella  propofitionefola,  per  tutta  la  faccia  e  mezza  della  pagina:come  farebbe  di  cendOjS’antiffimi  digiuni, &c.  Molti  digiuni,  afcolratori,fi  trouano,naturale,  morale,  &c.  c  coli  fin  all’vltimo .   A  uuertendo,  che  nella  predica  nella  qua¬  le  diamo  refTempio,  farebbe  ncceflario  àfar  il  periodo  di  due  propofìtioni  fole.  Perche  fe  noi  Io  faceffimo  di  tre,  vna  delle  tre  da  ampli  ficarfì  farebbe  quella,ma  la  quadragefima,è  commandata:  nel  l’ampli  fi  catione  della  qua¬  le  bifognando  impiegare  tutti  i  concetti ,  che  fappìamo  del  commandamento  di  lei, verre¬  mo  di  quella  maniera  à  pnuarci  di  tutta  la  fe    conda  elafe  della  pruoua,  nellaqnalehaue-  iiamo  pollo  i  concetti  pertinenti  allanecef-  fìtà  di  lei.  La  doue  facendo  due  propofìtioni  fole  ,  non  habbiamo  d’amplificare  fe  no»  quella  prima,  Che  tutti  i  digiuni  dennoofl'er  uarfi,al!’ampIificatione  della  quale, non  acca  de  che  adoperiamo  alcuni  di  quei  concétri  ,   E  l  che    Modo    Comporre   che  habbiamo  diflribuiti  nelle  darti  dell’ano  ticliità,vtilità,enecdfità  dcllaquarefima,  ma  tra  tinta  la  Teina, ci  Temiamo  di  quel  folo  ch’¬  apparecchiammo  Torto  l’introduttione,  cioè  della  diuerlità  de  i  digiuni Tegnataco‘1  nume  ro  del  4.   E  coli  fin  qua,  douendo  durare  lhntrodut  rione  vna  pagina  intera,  già  n’habbiamo  oc¬  cupato  vna  faccia  e  mezza,  nel  primo  perio¬  do,  nella  poTatae  nella  amplificatone  dell’-  vna»ò  deile  due  propofitioni.   Allaquale  bifognando  ho  r  a  foggi  ungere  labito  la  principale  propofitione,  che  noi  trattiamo,  non  pare  come  nel  riferire  quella  fola  noi  portiamo  occupare  tutto  lo  fpatiodi  una  mezza  faccia;    diciamo  che  non  è  pe¬    honelto,che  noi  coli  Tempi icemente,e  Ieri  za  ornamento  alcuno  doppò  Tamplificatio-  de!  la  inferente, portiamo  in  mezzo  nuda  nu¬  da  la  propofitione  inferita)  e  però  quello  Ipa  tio  di  carta ,  foccuperemo  in  alcuna  còfetta  vaga,come  farebbe  in  vna  comparatone  na¬  turale,  onero  in  vna  hi  fioria  Ecclefiatlica  ,  onero  in  qualche elTcmpio  della  Peritura  fan  ta,con  la  quale,  pian  piano  noi  arriuiamoà  proferire  poi  fchietta  epura  la  propofitione  principale.   Come  farebbe  à  dirc^finitaramplìficatio-»   ne      vna'P  redica.  32   fìe  Ì a  potremo  cócludere coli:  Tato  è  egli  ve  ro,che  tutti  i  digiuni  debono  ofleruarlge  poi  per  venire à  dire, che  la  quarefima  dette  oller  uarfi  potremo  dir  coli:    no  è  egli  anco  ve¬  ro,  che  tutte  le  flelle,só  delle,  e  pure  fra  tutte  loro  più  vaiamente  nfplcnde  il  Sole?  Non  è  egli  vero,  che  tutti  i  colori  fono  colori, e  pare  più  puro  di  tintigli  altri  c  il  bianco:  e  coli  tilt  ti  1  digiuni  fono  digiuni ,  ma  digiuno  iopra  tutti  i  digiuni  à  me  pare  quello,  di  che  io  vi  parlo  hoggi  :  cperò  di  lui  in  particolaretor-  no  à  replicami ,  che  con  grandilììmo  ftudio  dette olseruarfi  la  qnarefìma  latita.   E  quello, che habbiamo detto  del  Sole,  c  de5  colorile  altri  lo  tratterà, ò  per  modod’hi  ftoria,ò  di  elsempio,  ò  come  fi  voglia,  à  me  non  importata  nulla ,  purcheoccupando  in  quelli  ornamenti  buona  parte  di  quella  mez-  zafaccfà,  che  ci  redatta  porti  ailVltimo  co¬  me  habbiamo  detto, pura,  fchietta,  e  nuda  la  propofitione  principale  in  campo, che  farà  il  fine  delia  introduttione.   Anzi  farà  il  fine  della  introduttione,  e  del  la  narrarione;  perche  prendendo  noi  per  in¬  troduttione  quel  primo  periodo, eie  amplifì-  cationi,  e  quella  vaghezza  di  dite*  diciamo  poi, che  la  narratione  della  predica  non  è  al¬  tro,  fenonquella  clatifula fola,  nellaquale   E  4  doppo    Modo  di  Comporre   doppogrornamenti  portiamo  in  campo, pu¬  ro  e  netto  tutto  quel  argomctOjfopra  del  qua¬  le  h abbiamo  a  ragionare.   Di  quella  titanieragià  Gabbiamo  rifpofto  à  due  parti, di  quelle  de’  Rhetbori,  cioè,  con  rintroduttione  al  proemio,  e  con  la  propolì-  tione  fchietta,alla  narratione  loro.   Doppo  il  che,feguitando  apprefso  di  loro  la  diuilionc, ancora  apprefso  di  noi  diciamo,  che  leguita  il  medelìmo,e  però  propolla  che  haueremo  la  nollrapropolìtione  pura,  bilo-  gna  che  diuidiamo  tuttala  predica. Ma  que  Ho  ci  farà  tanto  facile, che  niente  più,  perche  quella  diuilìone  non  farà  altro, le  non  vn  nar  rarei  capi  di  quelle  dadi  >  che  noi  apparec¬  chiammo  per  le  pruoue  ;  come  farebbe  nel»  l’ efsempio  propolto  ,  doppo  hauer  det¬  to,  Dunque  la  qnarelìma  fra  tintigli  altri  di¬  giuni  dette ofseruarlì  ;  foggiungere ,  Ofser-  u  a  rii  per  infinite  caufe:  ma  principalmente  per  tre,  come  lenti  rete  hor  bora,  cioè  per  l’¬  antichità  ,  perla  neceffitaà,  &fper  l’vtilità  Ina.   E  coli  rinferrandolì  tutto  quello  nella  fo¬  la  prima  pagina  delle  otto ,  già  balleremo  tre  parti  rifpondenti  alle  tre  dell’oratore,  cioè  la  introduttione,  la  propolitionc  ,  eia  diluito¬  ne,  &.c.    vnaT  redica.    35    C^VITOLO  OTTANO.   H  Orala  quarta  noltra  parte  che  domati  diamo  pruoua  ,  contiene  quelle  due  chelegiutano  delPoratore^cioè.Ia  confirma-  ri'one,  èlaconfutarione:  congiungendo  noi  bene  fpelso,comepurfanno  anchora ellì,  &c  il  cófirmare  delle  ragioni  noltre,  &  il  confu  tare  degli  argomenti  contrari; .   Nella  qual  parte,  come  dicemmo  di  fo-  pra,lVlo  hi  ottenuto,  chele  pruouenon  tut¬  te  fucceslìuamentefimettono,main  due  par  ti  della  predica    diuidono  Però  quanto  al¬  la  di  fpolitionc  di  dette  pruouc,  tre  colè  ci  fo¬  gnerà  fare;  cioè,  penfar  primaquali  delle  claslì  ;  e  quante  vogliamo  porre  in  ciafcunà  delle  parti  della  predica;  apprefso  di  quelle  che  in  vna  parte  fola  vogliamo  mettere, deli¬  berarne  bordine,  che  hanno  d’hauerefrà  lo¬  ro;  e  finalmente,  in  ciafcuna  di  dette  pruoue  penfare  con  qual  ordine  debbano  (tenderli  quei  concerti ,  che  nella  clafsefua    trouano  apparecchiati .  Quanto  alla  prima  cola  ,  io  dilsi,cbenon  delìderarei  tneno  di  due  pruo-  ue,ne  più  di  quattro, &  che  letre  mi  pareano  vn  conuenientislìmo  numero.Con  tutto  ciò,  torno  à  dire  hora,cheio  non  altringo  alcuno  ...  à  quefta    Modo  di  Compone   à  fjtiefta  paucità  -,  anzi  oue  la  predica  è  dida^  lcalica.non    per  inconueniente,che  i  paf-  fi  del  V angelo  quali  ferirono  per  pruoue,fia  no  in  maggior  numero.  Ma  nelle  materie  femplicij nelle  laudi  de’lanti,  e  contra  gli  he-  retici,  hallerei  ben  cat'Ojchc  non  più  diquat-  tro  rollerò  i  capi  delle  pruoue,e  (e  fufTe  polli-  bile, che  fallerò  tre  foli.   Nel  qual  calo,  quanto  al  numero,  dico,  che  due  fe  ne  potranno  mettere  nella  pri¬  ma  parte, &  vn  bolo  nella  fecondale  fefaran-  no  quattro, due  luoghi  nella  prima,  due  nel¬  la  feconda,e  coli  di  mano  in  mano.   Perche  in  fomma,  le  vogliano  mifurare  le  predichecome  fi  dice  à  braccio,  volendo  fa¬  re  la  predica,comehabbiamo  detto  per  efem  pio  di  otto  paggine,&  occupandofi  la  prima  dalla  introduttionc,  narratone,  e  diuifìone,  vorrei  che  delle  altre  fette, che  reftano,quat-  tro  ne  fallerò  della  prima  parte,  e  tre  della  fe  tonda  .  Perche  fe  bene  pare  difuguaglianza  facendo  la  prima  parte  di  cinque, e  la  fecon¬  da  di  tre,  bifogna nondimeno confiderare,  che  nella  feconda,  gli  animi  fono  più  brac¬  chi  -,  oltre  chef  hanno  fempre  da  nontiare  nel  principio  di  lei,o  indulgente,  od  demo-  line,  od  altro,  che  portano  qualche  tempo, e  finalmente  neHVltjmo,folendonoi  riprende   re,  de    vnaTr  edita.  24   ie,6c  ciTaggcrare,  e  imponìbile,  che  non  df~  ciamo  Tempre  molto  più  che  non  habbiamo  fci  irto.Si  che  quanto  alla  quantità, vorrei  che  più  capi  d i  pruoue    mettétfero  nella  prima  pai  te  che  nella  feconda;  con  quella  propor¬  zione  che  ho  detto.   Qnanro  alla  qualità  poi,  non  fi  può  chre  vna  regola  certarperche  la  diuerfità  dei  ’e  ma  ferie, porte  anco  noi  in  diuerfe  neccflìtà.Ttir-  tauia  polliamo  darealcuni  auuernmenr;, co¬  me  farebbe, che  la  pruoua  più  difficile,  e  più  ipeculatiiia,  fi  metta  fubitola  prima,  doppò  1  introdiittionej  che  lapin  morale  fi  rjferui  Tempre  per  l’vltimo  di  tutta  la  predicale  (e  alcuna  ve  n    chefia  piaceuole,e  di  dilcrto,  fi  metta  nel  principio  della  feconda  parte,  quando  gli  animi  hanno  bifogno  di  ri  fioro  :  f vtilitàJ&  antichità»  joquantoalla  prima  cofa,  che  ho  propofta ,  ne  metterei  due  nella  prima,  6c  vna  nella  fe¬  condale  quanto  ni  la  qualità,  perche  rvtilirà,  è  piti  morale,  la  inizierei  per  la  feconda  par¬  se,  e  di  quelle  altre  due,  perche  la  uccelliti    maggior  forza  la  metterei  nell'vltimo  della  prima  parte,  adoperando  l’antichità  nel  prin  cipiodoppol’introduttione,  perdile  caule;  cioè  perche  vi  faranno  cole  pili  recondite,  e  più  difficili  da  dire  ;  e  perche  douendo  noi  dentare  nell’ordine  del  ragionare  l’ordine  delle  cole*  prima  dobbiamo  trattare  quelle  cole,  che  anticamente  lo  fìgurauano,  e  poi  quelle  cole  che  fiicceffìuamente  hanno  infti-  tuito  il  digiuno.  E  qnefto quanto  alla  difpo-  lìtionede’capi  delle  pruoue.   Ciafcuno  de’quali  contenendo  nella  Tua  ClafTe  molti  concetti, hora  richiede  Tordine,  che  noi  trattiamo  in  qual  maniera,  lotto  ào-  gn’vno  di  quelli  capì,  debbano  difporfì  detti  concetti  delle  dalli .  Il  che  diciamo  ,  che  fi  farà  molto  bene,  hauendoà  mente  quella  re¬  gola  per  infallibile,  chcogn’vna  delle  pruo¬  ue.    vna  Tredici.  jf   Ile, delie  eilere  vna  predichctra  intera,  &c  ha-  uere  le  medefime  parti  che  ha  la  predica  dal  la  diuifionein  poi ,  cioè  Vn  poco  d’introdut-  tioncella  in  vnaTol  claulula  o  dolicela  narra-  tione  dello  Hello  capo  della  pruoua,e  doppò  lui, ratte  quelle  cofc,che  lo  amplificano:  e  fi¬  nalmente  vn  picciolo  epiloghetto ,  al  quale  polla  poi  applicarcarfi  l’introduttioncella  dell’altra  pruoua  che  feguita,  la  quale  noi  do  mandiamo  volta.   Bifogna  dunque,  fatta  che  noi  habbiamo  la  diuifione  della  predica ,  pigliare  in  mano  la  clafiTe  di  quella  pruoua,  che  noi  vogliamo  trattare  per  la  prima,  elopra  di  lei  fidamente  discorrendo  confiderare,  fe  alcuno  di  quei  concetti, potelTe  feruirci  per  introduttioned-  la  j  ma  quello  molto  di  rado  auucrrà  che  Se¬  gua.  E  però lafciatala  narratione,  che  fi  fa  co’i  proporre  il  capo  della  pruoua,  ballerà  à  rifoiucrfi,con  qual’ordine  vogliamo  feruirci  di  quei  concetti  dellaclalfe,neiramplificatio  ne-, fin  che  arriuiamo  al  fine,&  all’epiloghet-  to  di  lei.   Per  edempiorgià  habbiamofatta  la  intro-  duttione ,  già  habbiamo  propollo  per  narra¬  tione, che  il  digiuno  quadragefimale de oder  uarfi  :  già  habbiamo  diuifo,  che  quedo  dette  fard  per  l’antichità, per  la  necedìtà,e  per  l’vtà    Modo  di  Comporre   ikà,  hora  facciamo  vii  poco  dt  apparato  di  tre,o  quattro  parole, come  farebbe  à  dire  ;  E  per  cominciaredall’antichità^che  bene  è  ra  gione,the  all’antichità  fi  donino  i  principi},)  quello  farà  prologhino.  A  quella  piuoiia  bi¬  sogna  hora  metterci  la  fua  narratione,  come  farebbe:  Chi  non  sa  che  ami  chi  Hi  me  fu  fem-  pre  il  rito  di  digiunare  quaranta  giornee  coli  habbiamintroduttione,enarratione;  diuifìc  ne  qua  non  bifogna.  E  però  corro  à  ved  ere  1  concetti  che  poflono  amplificare  il  mio  cape  di  pruoua,e  trono  chene  ho  cinque,  cioè.   t   6   11  ^   15   17   Di  quelli,  guardo,  quali  io  debba  mettere  per  primo.  E  poiché  l’ordine  de’tempi  in  que  fio cafo  mi  ferue, comincio  dall’vno, e  dilcor  docile  Moisè  digiunò  quaranta  giorni  :  ap¬  preso  metto  l’vndecimo  che  dice,  il  medefì-  mod’Eliaiepoi  pafiando  dalle  figure  al  figu  rato,  inoftro, l’antichità  per  lo  fello, cioè  per¬  che  Eelesforo  pure  antichifiìmo ,  lo  pie  (tip-  ponea  già  anticho.  Vengo  poi  al  quintodeci-  nio,  e  moftro  che  quello  digiuno  quadrage-  fimale ,  che  facciamo  noi,  è  lo  lidio  antico,   perla    yti  a  Predica  .   |ser  la  conformità  de’riti,che  vediamo  fra  lo*  ro.  Poi  vengo  al  1 7.  deH’elfempio  di  anti¬  chi  .  E  coli  accommodan.do,tnrti  quelli  con¬  cetti  della  pruoua ,  conqtielle  figure ,  e  con  quei  lumi  dell’oratyone,  che  s’infegnaro  re!-  relocutione,mi  trotto  hauer  fatta  tutta  la  pri¬  ma  pruoua,dall’epiìoghetto  in  poi:  &:  hauer  occupato  quelle  pagine  à  punto, che  io  Pane¬  tto  dilegnato  per  lo  prima  pruoua,   L’  £  pilogetto  poi ,  bifogna  auuertire,che  nonhà  daellere  di  tutti  quei  concetti,  che    lo  no  adoperati  nell’amplifìcatìone,ma  deelTc-  rc  folamentc  vna  ricordanza  del  capo  di  pruoua, che  fi  è  finito  di  trattare .  E  quello  à  fine  di  poterli  attaccare  l’introduttioncella  dell’altro  capo, che  ha  da  trattarli  ;  in  modo  tale,  che  quelli  Epiloghiti  con  le  introdut-  tioni  feguenti, vengono  qua  ad  e  fiere  ganghe  ri, Topica  quali  fi  volta  l’oratione.  E  peròco-  me  piti  belle  fono  quelle  parti, otte  con  artifi¬  ci)  Ione  coperti  i  gangheri,  di  modo  che  non  fi  veggano,cofi  nel^Dtationr  bifogna  hauere  grandisfima  aunertenza^di  tare  quelli  Epilo  ghetti, e  quelle  introduttioncellejhora  in  vna  maniera, &  bora  in  vn’ahra,di  modo  ,  che  fi  faccia  palfare  l’animo  deH’afcoltante,da  vna  pruoua  all’altra, per  ponto  coli  coperto,  che  egli  non  fiaiuieggapure  d’hauerlo  palTato.   A  que-    Modo  di  Compone   A  quello  feruitio  dunque  degli  Epilogget  £i, faranno  buonisfitni  gliepifònemi,le  efcla*-  mationi,le  reprenfioni,Je  indignationi,&  al¬  tre  figure,  che  più  chiaramente  fi  inoltreran¬  no  neirelocutione,come  farebbe  neirellem-  piopropolto,  finita  che  fia  Taniplificationc  di  tutto  il  primo  capo,  perepilogo,  e  per  me¬  moria  di  lui, dir  coli,  Tanto  egli  è  vero, che  antichisfimo  è  il  rito  della  Quarefima  :  Olie¬  rò,  Oquadragefima  dunquequanto  è  egli  vero  che  amichisfima  fei:  ouero,  B  l’herctico  poi  ardirà  di  negarmi  l’antichità  della  qua-  dragefima?  ouero.  Andate  hora  voi,  c  trotta¬  te  rito  più  anticho  della  quarefima .  ouero  (c  quello  e  bello  perche  ricorda  inficine  col  ca¬  po  della  pruoua,anco!a  narratione  principa  le  di  tuttala  predica,  )  Tanto  è  egli  vero,che  quando  non  ui  fuflcaltrOjad  ogni  modo  per  l’antichità  dourebbeofTeruarfi  la  quarefima,  al  quale  Epiloghetto,  vedete  adello,  quanto  facilmente  potrete  applicatela  introduttion-  cella,  e  la  narratione  dell’altra  prtioua ,  per¬  che  potrete  foggiungere;  Ma  non  vi  è  quella  cola  fola  afcoltatorire  quello  farà  il  prologo.  Vi  è  di  più, la  necesfità,e  quella  farà  la  narra  tione,laquale fatta, tornerete  à  pigliare  la  dal  le  di  quello  fecondo  capo  di  prue  ita,  proce¬  dendo  lemprc  neH’ifteHa  maniera,  che  hatv-   biamo    37    vna  'Predica .   biamo  infognato  di  (opra.   Si  che, fé  la  predica  fulTe  d’vna  parte  fola,  hancndcnoi  detto  tutto  quello,  che  appartie  ne  alla  introduttione ,  narrarione,  dimfione.  Se  pruoua;  altro  non  ci  re(larebbe,che  ragio-  naredell’epilogo  di  tutta  la  predica.  Ma  per  l’vfanzac’habbiamo  di  far  due  parti, diremo  alcuna  cofa  del  fine  della  prima, e  del  princi¬  pio  della  feconda  parte,   CAPITOLO  1^0*10.   .     SOgliono  alcuni  per  fine  della  prima  par¬  te  fare  vn’Epilogo  minutili! mo  di  tutto  quello ,  che  fi  è  detto  non  folo  nelle  pruoue ,  ma  anchora  neH'imrodumone  ,  &  in  (um¬  ilia,  in  tutto  quello,  che  fi  è  trattato  .  Ma  veramente  à  me  non  finilcedi  (oJisfareque-  fta  maniera  :  perche  (e  non  vogliamo  poi  farnuouo  Epilogo,  neH’vltimo  non  venia¬  mo  ad  hauer  raccolto  (e  non  Ja  metà  di  tutta  la  predica  ;  e  volendone  fare  in  fine  come  più  fi  conuiene ,  veniamo  noiofamente  à  ri¬  petere  due  volte  vna  gran  parte  de  gli  ideili  Epiloghi  .  Si  che,à  me  piacerebbe  più  ,  che  noifaceffimo  vna  delle  due  cole;  cioè,  oche  noi  dell’vltima  pruoua  di  quella  parte  la(cià  do  per  fine  alcuna  cola  più  vebemente,  ve-   F  ni  (limo    Modo    Comporre   niflì mo  con  quella  ertaggeratione,  che  alcu¬  ni  (  non    perche  )  domandano  femore  -,  à  finire  infieme  inficine,  e  la  pruoua, c  la  parte:  ouero  che  vfandofi  quali  in  tutti  i  mezzi  del¬  le  prediche  di  domandare  elemofina,  pro¬  curavano  di  accommodare  coli  gentilmen-  te  il  fi  ne  di  quella  vhima  pruoua  di  quella  parte,  che  egli  mcdefimo  vernile  ad  intro¬  durci  in  quella  dimanda  di  elemofìna,  che  vogliamo  fare.   Ma  qui  bifogna  hauere  grandiflima  au-  uertenza,  che  quelli  accommodamenti  alla  elemofìna, non  fiano  o  fliracchiati,o  {corrili,  perche  i  primi  rafreddano ,  &:  i  fecondi  fde-  gnano gli  animi  degli  afcoltatori  :  come  fa¬  rebbe  à  dire,fe  nel  fine  di  quella  pruoua  nei-  lacuale  noi  moflriamo  necefiìtà  del  digiuno  quadragefimale,  volcsfìmo  dire  :  Neceffa-  rijsfimo  dunque  è  il  digiuno, ma  necefl'arijf-  fima  è  anco  relemofina.   Quello, fenza  dubbio  farebbe  vn  trapafTo  fliracchiato ,  efenza  prcportione.  Eie  dal  -  l’tro  canto  noi  dicesfimo,  il  digiuno  dunque  è  dinecesfità,ma  in  neccsfità  muoiono  quel¬  li,  che  non  fono  aiutati ,  E  però  fate  elemo-  fina, quello  modo  hauerebberedel  comico,  e  dello  fcurrile,  e  però  non  iftarebbe  bene;  più  torto  potrebbe  comportarli,  fe  noi  dicef-    ma  "Predica.  a  8   fimo,  Ncceflarijfsimo  è  dunque  il  digiuno  quadrcgdìmale,  non  lelo  per  (e  Aedo  .  ma  anco  per  le  altre  opere,  alle  qual' da  aiuto ,  poiché  digiunando  lìamo  più  1  beri  per  fare  oratione,  e  digiunando  poslìamo  facilmen¬  te  quello,  eh’auanziamo  dalle  fuperflue  fpe-  fede  cibi  /penderlo  in  ekmefine ,  delle  qua¬  li  hoggi,&c.   E  qnèfto  deurà  badare,  per  quello  ch’io  debba  dire  intorno  ai  fine  della  prima  parte,  che  non  è  cola  perù  più  rileuante  che  tanto.   Più  importante  è  lenza  dubio  il  principio  della  fecondaci  quale  diuerfì,  diucrlamente  accommodano  .  Ma  io  dirò  prima  quello,  che  ha  da  edere  Icopo,  intentione  no-  ftra  in  quello  fatto  ;  poi  datò  due,  o  tre  mo¬  di  da  potenti  peruenire  :non  negando  può,  che  anco  moh’altri  mezzi  poflòno  molto  fa-  cilmentecondurci  à  quello  line.   J n  fomma ,    come  quello  djuidere  delle  prediche  in  due  parti  ,  non  fi  è  trouato  per  altrOjcheperlafcJarechelì  ridormo  vn  poco  gli  animi  affaticati  di  quelli  che  afcoltano;  coli  il  principio  della  feconda  parte,  non  de-  ne  haucre  altro  per  mira, che  di  dare  honedo  diletto  à  quelli  animi  illesi],  o  almeno  di  por  gere  loro  cola, che  gli  faccia  più  frefchi,e  più  animofì  à  fentire  il  redo.  Il  che  potendoli   F  a  fare,    !  Modo    Comporre   fare,  onero  co’l  tornar  loro  à  memoria  in  po¬  che  parole  il  pacato  ;  che  rimanendo  quello,  imperfetto,  gli  accende  fenza  dubbio  ad;  ha-  uerne  il  compimento  :  onero  narrando  alcu?  na  cola,  che  porga  loro  dilletto,e  lia  à  propo  lito,ouero  facendo  alcuno  ingegnofo  ingan¬  no,  che  poi  riconolciuto  apporti  loro  piace¬  re  .  Di  qui  nafce ,  che  conforme  à  quelle  tje  cole,  tre  modi  di  cominciare,  mi  ballerà  di  fproporui.   Il  ptimo,è  facendo  vn’Ep.ilogo  delle  cole  già  dette,&  applicandoti!  deliramente  quel-  ìe,che  hanno  da  dirli; ma    due  auuertcze  ;  l’vna  che  l’Epilogo  non  iia  elquilito ,  ne  mi-  nutamente  fatto  di  tutti  quei  concetti,  ma  lo?  lamente  dei  capi  dello  pruoue:  &  l’altra,  phe  quando  fi    l’Epilogo, li  cominci  la  pre¬  dica  da  parola  rotta,  come  da  vn  ,  Ma,  da  vn  ,  In  iomma,  da  vno,  E  coli,e  limili, e  per  darne ellempio,  nell’ellempio  propollo,  in  quella  forma  li  potrebbe  cominciare  la  le-  códa  parte.  Si  che  il  digiuno  quadragelima-  Ie:e  per  l’antichità, e  p  la  neceslità  fu  a,  debba  olferuarli,quello  di  già  $’è  dettothora  c.   Il  fecondo  modo  li  fa,  come  diceuamo    vnanarrationedi  cofe  dilettatoli,  la  quale  venga  à  cadere  fopra  la  pruoua,che  ci.rella  à  fare;  e  quella  potrà  e!Tcre,od  vna  hifloria  la-  'i  era.    vnaTredica.  39   cra,od  vn’apologo^d  vn  e  (Tempio  d’vn  lati¬  to, o  dmilitcome  farebbe  à  dire  -,  Hauete  mai  fentito  afcoltatori  TdTcinpio  di  quel  fante  pa  dre,  il  quale  ad  vn  dio  dilcepolo,  ched  que-  relaua  d’vna  nioleftilsfimatentatiòne  di  car¬  ne,  commandò  che  digiti nalTe  in  pane,  &c  acqua  vnaeccesfiua  quantità  di  giorni  :  e  poi  à  mezzo  il  corfo  del  digiuno  domanda¬  tolo  come  lo  trattana  la  Carne  ,  egli  rìfpo-  fe,  che  altro  ci  era  in  penderò  àlThòra,  &  che  a  penavi  era  forza  di  viuere.  Mercè, che  il  digitino  gti  haueua  fatto  quello  bene  ,  e  che  egli  anco  in  quella  materia,  è  coli  vtile,  come oltra  federe  antico, &  neced’ario,anco  à  mill’altre  cofe  è  vtilisdmo,  e  per  comincia¬  re  &c.   Il  terzo  modo    fa, come  io  dislì ,  con  in¬  ganno,  il  quale  è  ,  che  {olendoli  quali  {em¬  pie  nel  principio  delle  feconde  parti,  publi-  care  alcune  cole  non  pertinenti  alla  predica.  Come  mdulgcntie,  procesdoni,quaranf  bore,  e  limili;  le  noi  nel  fare  qui  He  cofe, tanto  afeo  ftamente entreremo alTi ilclTa  materia  della  predica  ,  chechi  ci  alcoltanon  fen’auiiegga  inlìno  à  tanto,  che  non  ci  damo  entrati:  al  lì-  curo,  noi  daremo  molto  diletto  àgli  altri,  e  luteremo  la  fatica  a  noi  di  fare  nuoui  appara  ti  perla  leconda  parte  .  Come  lai  ebbe,  fi   F  3  tcnen-    Modo  di  Comporre   tenendo  la  carta  dell’mdulgerize  in  mano*  noi  dicesfimo*,  Domenica  che  viene,  è  la  ta¬  le,  o  la  tale  indulgenti ,  la  quale  douete  ar¬  dentemente  prendere,  per  le  tali,  e  le  tali  ra¬  gioni  .  Et  le  inailo  douete  fare,  hora  princi¬  palmente  douete  in  quelli  tempi  quadrage-  fimali  :  perche  non  vi  è  dubbio,  che    come  il  digiuno quadragelìmale è  vtile ad  infinite  altre  cole,  coli  ci  fa  piti  fpediti,  e  più  pronti  nell’oratione .  E  per  dir  il  Vero  qual  vtilità  non  ci  fa  egli  &c.   Bifogna  folamen  auuertire,  di  variare  gen  til  mente  quelli  modi  cominciare*  in  manie¬  ra, che  non  fempre,ne  troppo  IpelTo  ci  leruia  mo  di  vno  di  loro,e  quanto  al  terzo,  bifognà  auuertire  molto  bene ,  che  fe  bene  1‘inganno  ha  da  elfere  diletteuolc ,  non  fia  peto  buffo-  nelco,  e  fcurrile  i  ma  fi  faccia  con  grauità, e  con  decoro  .  E  tanto  balli  de  principi j  delle  feconde  pani,  &c.   CAVITO  LO  DECIMO ,   SEguitailfinedituttala  predica,  il  quale  come  è  quello ,  che  più  di  tutte  le  altre  parti  laida  ò  buona, ò cartina  impresfione  ne  gli  animi  di  chi  afcolta,  cofi  in  vniiterfaie  bi-  gna  che  fia  veheniente,  vtile,  denoto,  &c   in    ynaV  redica.  40   in  fomrna tale,  quali  noi  defi deriamo,  che  diuernino  quelli  che  ci  fentono,  equali  de-  fideriamo  noi  fteflì  d’effer  iftimati  da  loro  .   Maquinonfi  può  abbracciare  ogni  co-  fa^  à  me  quanto  alla  quantità  ,  mi  batterà  dire,che  l’vltima  pagina  delle  otto,  potrà  re-  feruarfi  àqiìefto  fine  ;  e  quanto  alla  qualità,  duo  tre  modi ,  i  più  vfati,  co’quali  10  gli  fo¬  glio  fare.   il  primo  è,  facendo  l’Epilogo  di  tintele  cofe  dette  di  fopra  molto  più  elquifitamen-  te,  che  non  è  fiato  qual  fi  voglia  Epilogo  fat¬  to  di  fopra, ma  non  però  tanto  che  vi  fi  fcuo-  pra  afiettatione.  In  fomma,  qui  non  batta  à  direi  capi  delle  pruoue ,  &  è  certo  che  bifo-  gnadire  anchora  i  capi  delle  amplificationi  delle  pruoue,  &  quali  tutti  i  concerti  d’ogn’-  vna  delie  clasfi  .  Ma  bi fogna  auuertire,  di  farlo  come  diceuo,  fi  che  tu  non  moftri  di  oftentare  la  memoria,  o  di  recitare,  come  fi  dice  di  felliniana.  E  fopra  il  tutto, in  quello  primo  modo,  bifogna  hauere  dtìcaiiuerti-  menti    l’vno,  che  tu  non  auuifi  date  ftefib  fcioccamente  il  popolo,  che  quello  è  l’Epi-  logo-,  come  farebbe  dicendo  :  Eccoui  quan¬  to  ho  detto  nella  predica,  quello  è  tutto  ciò,  che    ragionato  con  voi ,  e*  limile  vacame¬  le.  £l’altto,chelecole,le  quali  tu  hai  detto   F  4  nella    Modo  di  Comporre   nella  predica,  narrandole  diffiifamente nel¬  l’Epilogo  tu  le  dica  molto  più  breuemente,c  tutte  in  maniera  concitata  j  e  vehemente*  Se  già  non  ti  piacele  anchora  di  epilogare  alle  volte  apottrofando  à  Dio  nell’vltimo  della  predica  :  Maquetto  non  fi  fa,  fenon  doue  c  poco  da  Epilogare,  e  dotte  le  cole  pa¬  tirono  d’ etter  ragionate  con  Dio  :  che  à  dir  :1  vero, molto  male  andarebbe  la  co/a, fé  tu  parlando  à  Iddio  nell’vltima  oratione  1’andaflì  dicendo.  Chi  fono  tutti  quelli, che  non  fono  tenuti  à  digiunare  la  quarcfima  ?  e  fi  mi  li  co/e.   Il  fecondo  modo  fi  fa  pattando  ad  vna  nota  grane,  feuera,  e  vehemente, della  qua¬  le  fi  ragiona  diftintamente ,  nel  trattato  del-  l’elocutione,con  inuertiue,  con  reprebenfio-  ni,&  altre  acerbità.  E  quello  modo  è  a/Tai  vti  le  per  li  popolirperche  doppoettere  fiato  lor  pronato,  che  bifogna  far  alcuna  cofa  ,  ogni  reprehenfione  che  ricettano  per  non  farla  +  pare  loro,  che  fia  molto  guitta  ,  &  han¬  no  infieme  dii  letto  e  vergogna  ;  con  i  quali  affetti  terminandoli  il  ragionamento1,  e  partendoli  etti  reftano  amoreeoli  à  noi  per  lo  dil'etto, e  per/nafi  ad  emendarli  per  la  vergogna.   Per  effempio  nella  materia  propoffa ,   fe    i>na  Tre  dica .  41   ìc  finito  c’ habbiamo  di  propone  ,  e  di  prouare  il  digiuno  quadragefimale  ,  per  r antichità  ,  e  necellìtà  ,  Se  volita  Aia  »  entreremo  finalmenteà  riprendere  acerba¬  mente  quelli,  che  non  l’ofleruano,  Se  vie-  remo  tutta  quella  fetierità,  che  s’infegna  nel¬  la  nota  grane,  noi  al  Attiro  potremo  vn  fine  conueneuol illìmo  alla  noftra  predica  ,  Se  inficine  infieme  'puadapnaremo  gli  animi   OO  r>   à  noi ,  e  le  annue  à  Dio  ,  di  quelli ,  che  ei  alcoltano.   Et  in  quefto  calo ,  doneremo  ricorrere  per  materia  à  quella  picciola  dalle  ,  che  noi  cauamrho  dalla  feluagrand'e ,  per  ler-  uircene  à  punto  in  fine  della  predica,  nella  quale  ellendoui  tre  cocetti,cioè  il  5. il  p.Se  il  .  potremo  doppo  hauer  riprefo  vn  poco  q{  li, che  n  on  digiunano, a  guifa  di  qtielh,  che    ritirano  indietro  per  far  maggior  lalto,  fet  uirfi  del  5.  e  del  9>e  dire:  Vero  è, che  alcune  lbrti  di  pione  no  lono  tenute, cioè  itali  e  i  ta¬  li, anzi  in  calo  di  necellìtà  ,  niuno  vi  ètentiro,  eòe  appare  di  Spiridìone,&c.Epoi  feriitdofi  del  ^.ritornare  co  maggior Ipetoà  dire:  Ma  da  qfti  in  poi, chi  potrà  mai  jfeufare  qlli,  che    TolTetuano  ?  e  leguitarecó  qlla  inuertiua,  chec  accennata  loto  ql  nu.finoal  finire  della  pdica,od  almeno  ad  vna  oratiòcela  al  Croce   fi  Ab,    Modo  di  Compone   fiderò  à  Dio*  nellaquale,  in  quello  fecon-  do  modo,  fi  potrà,o  pregare  il  Signore,  che  perdoni  la  negligenza  pallata  delli  afcolta-  tori ,  ò  merauigliarlì  con  lui  della  patienza  ,  chehà  h  aulita  fino  à  quel  tempo,  ò,  fuppli-  care  à  muouere  quei  cuori  di  fallì ,  ò  pro¬  mettergli  che  per  fauanti  vogliono  mutar  vi  ta,ò  limili  cofe.   Reità  il  terzo  modo  folo ,  il  quale  è  aitai  gratiofo,&  è, quando  da  tutta  la  materia  del¬  la  predica  noi  raccogliamo  per  modo  di  co-  rellario  alcuna  cola  non  anchora  tocca  pun¬  to, in  tutto  il  rimanente  del  ragionamento, Se  intorno  à  quella  amplificando, &  elTaggeran  do  ci  conduciamo  al  fine.   Come  farebbe  neU’elIempio  propolto 5 fé  dopf  ò  hatier  dimcftrata  l’antichità  ,  lane-  ceflìtà,  &rvtilità  della  qtiarefima,  noi  neca-  nasfimo  fuori  la  conlideratione  della  proui-  denzadi  Dio,  c  più  propriamente  della  cu¬  ra,  che    lanta  Ghie  la  di  noi,  ouerodella  marauigbola  armonia,  con  la  quale  procede  ne’luoi  riti  tanta  Chiefa,  e  fimili  quafi  dicen¬  do  :  fct  di  qui  cioè  da  tante  volita  del  digiu¬  no,  chi  è  quello  che  non  debba  alzarti  à  con¬  templare  quanto  giotieuolmente  ,  e  quan¬  to  foauemente  fìano  inft itui te  le  confue-  tudini  ,  &  i  liti  di  ncftra  lanta  madre.   O  chie-    4*    vna  Vredica.   O  chiefa,  c  chiefa,  &c.   E  coli  in  qual  fi  voglia  di  quelli  tre  modi,  potranno  i  principiami  finire  le  prediche  lo¬  ro  infino  à  tanto,  che  da  fe  ftelli  trotteranno  di  meglio,  cuoi  hauendo  infegnato  ,  come  s’habbianella  predica  a  comporre, Tintrodut  tione,  la  narratione,  la  diuifione ,  le  prtioue,  il  fine  della  prima  parte, il  principio  della  fe¬  conda^  l’Epilogo  vniuerfale,  polliamo  dire  d’hauere  atrefo  quello,  che  promettemmo,  e  dihauere  infegnato  il  modo  per  comporre  Vna  predica  intera, &c,   CUCITOLO  VI ^DECIMO,   Solamente  vn’altra  particella  ci  refta,  la  quale  pare  di  minor  importantanza  ,  perche  in  vero  non  ha  che  fare  con  la  predi¬  ca,  ma  ad  ogni  modo  è  di  molto  riletto:  per¬  che  è  grandemente  auuertita,  e  perche  elTen-  do  la  prima, che  fi  fente,  e  anco  quella  che  fa  buona, o  cattiua  impresone  di  noi  nelli  ani¬  mi  di  chi  lente, in  quella  maniera  ,  cheefien-  do  il  madrigale  compito  da  fe,con  filo  prin¬  cipio, fuo  mezzo,  e  Ino  fine;  umania-detie ri  mufico  hauer  molt’auuertenza  à  far  gentil¬  mente  quella  ricercata  ,  che  egli  vi  promette  j  prima, che  fe  lo  ponga  à  fonare,  Perche  le  he   ne  non    Modo  ili  Comporre   he  non  è  parte  madr  gale;  ad  ogni  modo  daleicauaho  fubbito  i  circondanti  quello  che  poflono  fperare  della  virtù  del  fona¬  tole   La  parte  di  che  parlo  è  quella,  che  noi  chiamiamo  prologhino,  che  anco  da  Ari¬  notele  ,  come  mrlharemo  forfi  vna  volta,  è  Hata conofciuta  ,  edaluic  ftata paragonata  «alle  ricercate ,  che  fanno  i  m tifici .  In  quella  bifogna  battere  molfaiitlertenza,cht  gli  orna  menii,non  fiano  allettati  Ili  mi,  le  fiene  fi  può  facilmente  concedere,  thè  efia  fin  più  orna¬  ta  di  tutte  le  altre,  &  anco  fe  gli  permettono,  e  delle  comparar oni ,  e.'dd le  altre  còlevo  poco  troppo  poetiche,  leqaali  nel  rimanen¬  te  della  predica  llarebbono  mahfhmo  :  8c  come  le  ricercate  potino  edere  .di  diece  rriila  ioggie,  coli  quelli  profoghini  non  ha  (tendo  che  iar  altro ,  che  deltar  gli  animi ,  vengono  ad  edere  coli  lenza  lege  ,  e  cofi  lenza  regola*  che  è  quali  folli  a  à  volerne  portare  documen  ti  alcuni.   Tutrauia  per  non  mancare  à  cofa  alcuna^  che  noi  polli  amo, quanto  alla  quantità,  dicia  mo, che  cfsédo  la  predica  di  otto  pagine,  le  il  prologhino  farà  di  vna  meza,à  noi  pare, che  ballerà:  &  in  lèmma  io  defiderarei, che  folle  molte  volte  minore,  ma  non  mai  maggiore  i  della    vna  V redica .  4  $   della  metta  della  introduttione.-   Equantoallaqualità,pcrqueftohò  io  in-  fegnato  à  fare  tutta  la  predica  prima, perche  dalTi/telTa  predica  è  gentil  co/a  à  canario  :  E  quelto  prologhno ,  le  bene  il  può  fare  in  molti  modi ,  diciamo  nondimeno  per  hora,  che  in  tre  modi  fi  può  principalmente  fare,  cioè,  ouero  trattando  cola  che  non  appartie¬  ne  alla  materia  della  predica ,  ne  fi  Canada  Jenouero  l’ifteffa  materia  della  pred  ca-oue-  ro  non  la  materia  ìfteffa,  ma  alcuna  co  fa  pe-  ru,che  quali  per  corei lario  fi  catta  da  lei .   Per  e  (Tempio, alle  volte  occorre  ad  hairere  occafione  di  ragionar  di  fe  lhe(Iì,o  delli  afcol  tanti, o  di  alcuna  cofa,che  occorre  à  quel  tem  po  ;  principalmente  nelle  prime  volte  che  en  marno  à  qualche  Città ,  come  farebbe  adi¬  re  :  Ritornando  nella  patria  doppo  molt’an  m  di  afientia,e  limili, &  alThora  il  prologhi-  no  fi  potrà  formare  intorno  à  queflo  :  Altre  volte,e  quello  farà  il  più  frequenterò  cauere  pio  dalla  materia  iftefia;  proponédood  vna  laude, od  vn  vituperio,o  vna  qualità  in  soma  del  luggetto  di  che  vogliamo  ragionare.  E  fi-  nalméte,quàdo  nel  finedelle  pdiche  noi  vo¬  ghilo  feruirci  del  terzo  modo  che  dicemmo  cioè  p  corelIario[:  all’hora  qlTifteffo  «nella-  rio, ci  farà  la  jppofitione  di  tutto  il  sloghino.   òi  che.    t  Modo  di  Comporre   Si  che  andando    a  predicare  la  quared-  rnaà  Milano,  per  cafo,  e  volendo  tra'tare,  che  il  digmnoquadragefimale  detieoderuar  lì ,  bi  fognerà  ,  ch’iotroui  lubito  vna  propo-  fitione  (oprala  quale  io  teda  il  prologhino,  e  quello  nel  primo  modo  ;  cioè, fuori  della  ma  teria  potrà  eder  cofi.   Io  vengo  volontieri  à  predicare  nella  pa¬  tria  mia.   Nel  fecondo  modo,  cioè  nella  materia  irte  da  porrà  edere.   Bellisdmacofa  è  il  digiuno  quadragefi-  ma’e.   t  finalmente  nel  terzo, s’io  haurò  tolto  per  corellano,  Che  i  riti  di  Tanta  Chiefa  fonofìu  pendi, quello  medefimo  farà  la  propofitionc  che  hauerà  da  feruirmi  nel prologhino.   Ma  i  modi  di  veltirlo,  e  di  ridurlo  in  for¬  ma  fono  dmerlislìmi ,  &  io  vorrei  più  tofto  Jhauerlo  à  fare,cheinfegnarlo.  Tuttauia,  in  due  modi  posfiamo  ridurre  tutti  gli  altri  ,  cioè  ouero  portando  nel  primo  punto  prin¬  cipale,  la  paura  e  Tempi  ice  propolìti  one,  r    dotta  con  qualche  pocho  d’aiuto  in  vn  pe¬  riodo  ;  onero  trouando  vna  comparatone,  dalla  quale  venga  ad  edere  inferita  la  propo  iìtione,che  noi  vogliamo  trattare:  ma  li  efsé-  pi  mi  renderanno  più  chiaro,  e  prima  appor   taremo    ma  ‘Predica.  44   le  proporttionifenza  comparatone, e  poi  co’t   paragone.   Ertempio  della  prima  :  Sono  eoi?  incitati  entro  a’cuori  hnmani  certi  naturali  effetti,  &c.  che    bene  io  per  J’habiro  ch’io  verte’  faccio profesfìone  di  effere  fccrtato  dai  mon¬  do,  &c.  Ad  ogni modoo ,  non  potendomi  feortere  dalla  natura  ifteffa,  forza,  è  che  mi  compiaccia  di  prefentarmi  hoggi  nel  con-  Ipetto  tuo,  o  patria  mia.   Ertempio  della  feconda  :  Qiierto  nell’o¬  pera  facra  del  digiuno  quadragertmale  mi  par  marauigliofo ,  afcoltatori  ,che  non  folo  in  le  fttffo  ,  è  opra  buona ,  ma  ancho  l’alrre  opre  tali, con  la  fua  fola  forza  rende  affai  più  purgate, e  piu  perfette.  r   i:  fl'empio  della  terza  :  Se  cofa  alcuna  fra  tutte  quefte  co fe,  che  ci  girano  intorno ,  può  apportarci  e  marauiglia,egiouamento  infie  me*, quello, al  mio  giudicio  afcoltatori ,  Se  à  giudicio  di  chiunque  altro  vi  penfa ,  alrrono  è  che  il  contemplare  i  riti,&  cortumi  ahiisi-  mi  di  fanta  madre  Chiefa.   E  quefto  quanto  all’apportare  nel  primo  punto puncipale  ,  il  fondamento  femplicc  del  pr°loghinOjmàfe vogliamofarlo inferi¬  re  da  vnacomparatione,  come  hoggidi  pare  che  s  vrt,  tante  faranno  le  fpetic  d’introdulo,   quante    Modo  di  Comporre  quante  faranno  le  forti  delle  cofe  ,  onde  poli  fiamocauareil  paragone, leqnali,  nonhòin  animo  io  di  profeguire  tutte;mà  ne  roco  due  capi  foli, che  fono  il  dedurtela  proportione  da  vna  cofa  naturale  :  o  il  dedurla  da  vna  hi¬  ftoria  facra;  e  d’ogn’vna  di  quelle,  n’aflegno  quafottoglieffempi,  fenza  metterli  però  in  ordine, ne  in  forma  di  oratione  :  perche  que¬  llo  appartiene  à  quella  parte,  che  fi  chiama  elocutione.   Eflempio  della  prima;  da  cofe  naturali.  Come  gli  vccelli  più  dolcemente  cantano  ne  i  loro  nidi, coli  io,&c.   Da  hiftoria  facra  :  Come  Giacoh  dop-  po  quattordici  anni  ritornato  alla  patria, fen  ri  fomma  dolcezza, coli  io  &c.   EfTempio  della  feconda,  da  cole  naturali;  Come  vtilisfìma  è  quella  medicina ,  che  fa+  «andò,  vn  membro, cóforta  tutti  gli  altri  :cofi  quello  rito, che  oltra  il  digiuno  aiuta  1  orario  Uejaelemofìna  &c.   Da  hiftoria  facra.  Come  molto  ragione-  uolmente/ì  dauano  le  decime  di  tintele  co-,  feà  Dio,  coli  è  ragioneuole  che  glifi  dia  an¬  cora  la  decima  dell’anno.   Esempio  della  terza,  da  co  le  naturali,  Come  in  bene  accordata  cererà  tutte  le  mi¬  nugie  marauighofamente  refpondono ,  coli   nella    Dna  'Predica      45'    Stila  cetra  ii  sàta  Chiefa  &c.à  i  ftiòi  riti  Bcci  Da  hi  ilo  ria  (aera,  Come  i  ricamidel  ta¬  bernacolo  erano  marauigliofi,  cofii  riti  di  lanra  Chiefa, &c.   E  quello  potrà  ballare  per  ogni  mediocre  ingegno, à  trottare  la  forma  di  mill’altre  corri  parationi .  Ne  io  intorno  a  quello  principio  del  prologhino,hò  più  à  dir  altrove  non  due  cofejl’vna  delle  quali  è,  che  le  comparationi  alle  volte  s’accommodano  in  modo,  chefra  la  comparatione  inferente ,  e  la  propolìtione  inferita,  non  fanno  più  che  vn  lol  punto  pria  cipale-,  &  alle  volte  la  coparatione  fola  fa  tut  to  il  primo  periodo^  poi  framelfo  alcun  me  bro  fciolto  per  ripofo,  viene  la  propolìtione  inferita  à  fare  vn  altro  periodo  da  le  ItelTa .   ElTempio  del  primo  modo  :  Poiché  anco  gli  vccelli  tornati  à  quelle  valli  do¬  tte  nafeono  ,  cantano  vonlontieri -,  chema-  rauiglia  fia  fe  anch’io  doppo  tant’anni  torna  to  à  te.   ElTempio  del  fecondo  :  Quei  poueri  vc-  celletti,i  quali  fono  lungamente  flati  in  paelì  ;  Urani, quando  poi  mercè  di  Dio,elor  buona  ventura, tornano  finalmente  alle  natiue  valli j  chi  non  sa  quanto  oltra  l’vlato,&c.    E  qui  è  finito  vn  periodo,nella  cóparatioe  loia, ai  che    foggiunge  fu b ito  vn  mebro  cós    Modo    Comporre   farebbe  a  di  re,  Milano  mio  caro,  ò  limili, e  poi  in  vn  altro  periodo, con  buona  corrifpó-  denza aggiungendola  propofìuone  inferita    dice  :  Anch’io  le  bene  roco,  doppo  hauere  fe  non  cantaro  in  molte  e  varie  parti  ;  garrito  almeno, come  ho  faputoil  meglio  j  hoggi  fi-  nalméte  &c.  quado  &c.  che  ntarauiglia  &rc.   E  di  quePti  due  modi,  il  ferodo  ha  da  vfar  li  nelle  prediche  più  celebri ,  come  farebbe  i  primi  giorni  di  qtiarefimajefefte grandi, ina  zi  a  Précjpi,  nel  fare  vna  predica  fola  ad  vna  Città, e  fimili.'ladoue chi  l’vfaffe  perpetuamé  te, hauerebbe  troppo  del  gonho,  e  però  nelle  altre  prediche  communi  molto  meglio  è  fer-  uirlì  dell’altro.   La  feconda  cofa  che  voleuo  dire,  è,  chele  eomparationi  polfono  vfarlì  talhora  inanzi  alla  propofìtionc  principale  del  prologhino,  comehabbiamo  dato  tutti  gli  efsépi  di  fopra:  Se  al  le  volte  (  il  che  è  belliflimo)  &    meno  dell’affettato  doppo  l’ifteffa  propohtione,co  me  farebbe  à  dire,$e  bene  io  per  l’h, abito, che  vefto,  faccio  profesfione  d’effère  feoff  ato  dai  mondo  &c.  Ad  ognimodo,riópotédomifco  fare  dalla  natura  ifteffa,  forza  è  che  mi  com  piaccia  di  presentarmi  hoggi  nel  confpetio  tuo,ò  patria  mia.  E  poi  foggiungere  fubito,ò  da  cola  naturale;  Coli  tal’horagl’iftcsfì  auge!   li    rnaTredìcn.  46   ji  quadodeppo  di  eiler  flati  lungaméteaflen  ti, tornano  finalmente, &c.  Onero  da  hiltoria  facra.  Cofi  il  gran  padre  Giacob,qttado  dop  po  efTer  flato  quattordeci  anni  adente,  ritor¬  no  finalmente, &c.   E  infin  qui,  hauèremo  fatto  quello ,  che  è  principalifsimo  nel  prologhino,cicè  trottata  la  principale  jppolìtione  d’adoperare  in  lui, e  di  più,imparatola  à  proporre, ò  femplietmé  te,ò  con  comparatione  :  e  quella, ò  prepofla,  ò  pofpofla,come  ci  pare  il  meglio.   Doppo  il  che, potremo  fare  alcuni  fcherzi  ò  di  oppofitioni,ò  di  rifpódenze,  ò  d’altro, in  torno  airifteda  propoli tionegià  {labilità.  E  poi  hora  in  vna  maniera,  &  bora  in  vn’altra,  chiedere  aiuto  à  Dio, è  finalmente  anco,  con  diuerfi  modi  cattati,  fe  fi  pub ,  dalla  materia,  trattiamola  non  comici, ne  feurriii, chiede¬  re  audiéza  al  popolo.  Le  quali  cofe  tutte, per¬  che  confiftono  più  nell5elocutionc,che  nella  difpofitione,  p  quello  io  non  leprofeguo  più  lugnméteifi  come  in  tutto  il  rimanete  ancora  de  libretto    folo    ho  apollo  gli  elsépi  co  eloquéza,  ma  in  pruoua  logli  ho  abozzati  lo  laméte,acioche  fi  vegga  quàto  ancora  doppo  tutto  quel  lo,  che    è  fatto,  ri  mane  da  fare  alla  elocutione,cioè  d’aggi  ugere  le  parole,le  fra-  fi, gli  ornamentai  lumi,  5c  in  fomma  da  fare,   ,  G  2  che    Modo  ài  Comporre   che  quello  che  hora  è  abbozzare, diuéga  poi  compita, e  bellisfima  imagine,  &c.   C^T  ITO  LO  T>  V  0  DUCI  MQ.   B  Afta, che  habbiamo  (la  Dio  mercè  finirò  di  trattare  rutto  quello  che  appartiene  al  le  due  prime  parti  della  Rhetorica,cioè,alla  inuetione,&  alla  difpofitioneinó  certo eftat-  taméte,come  fanno  i  Rhetori,ma  in  una  c^r-  ta  maniera, vn  poco  rozza:  tanto,che  i  princi  piati  pollano  preualerfcne-i  quali  fecóforme  à  gli  auuertimenti,  che  habbiamo  detto  di  lo  pra  diftinguerano  in  che  genere  vogliono  fa  relepredtche,  e  tf olieranno  la  propofirlénc  principale, che  vogliono  trattare, e  fatta  la  fel  na  di  tutti  i  cocotti, che  cauerano  d allibri  à  ql  propofiro,ladiuiderano  in  diterminateclasfi  inducédofi  poi  co  vna  inferente  vn  poco  piti  vniuerfalc,alla  principale  propofitione,e  fe-  gmtando  in  {bramala  narrati  one, e  la  diuifio  ne,&  faitre  parti, in  quella  maniera, che  hab  biamo  inlegnato- per  auuentura  faràno  predi  che  molto  più  ordinate,  chenó  faceuan  o  prs  ma^  od  al  meno  haueranno  tanto  lume,  che  potranno  da    fteslì  trouare  cole  migliori  di  quelle, c’habbiamo  dette  noi.    TRAT-    47   TRATTATO  T>  E  L  LA   I  .  .  f  .  ì   M  e  mori  a  Locale .    A  memoria  locale  è  vn’ar  te  con  la  quale  aiutamo  noi  medelìmi  a  ricordaci  facilmente,  &  ordinata¬  mente  molte  co fe  delle  quali  con  fole  forze  natu¬  rali  non  farrebbe  polli  bi-  le  che  noi  hauelìimo  ò  coli  pronta,  b  coli  di¬  pinta  memora.  Ne  pero  per  mezzo  di  que¬  lla  cerchiamo  di  ricordarci  quelle  cofe  le  quali  vogliamo  che  ci  rellino  le  mpre  à  men¬  te,  ma  quelle  /blamente  delle  quali  feruirci  per  vna  volta  loia  non  lolo  non  ci  curriamo,  ma  delidenmo  che  ci  elchir.o  di  memoria  per  dar  luogho  à  falere .  Come  ci  alimene  à  punto  in  quei  li  bricioli  Tedelchi ,  nei  quali  con  vn  ftiletto  d’ottone  non  lcrituamo  noi  elle  perpetue  percheinqutlla  maniera  em¬  piendoli  preflo  quei  piccioli  fogli  non  circ-  Ifarebbe  ouelcriuere    ma  quelle  cofe  fole  vi  notiamo  le  quali  per  vn  poco  di  tempo  deo-  no  leruire ,  &  eller  /ubico  Icancelato  da  noi .  &  perche  in  far  mentione  diquefto  libricio-  *  4  G  3  lo    Modo  di  Compone   10  damo  cadaci  :  egli  pur  farà  bono  che  cofì  le  proportioni  Tue  ci  infegni  il  modo  della  memoria  locale.   D'co  adunque  che  fi  come  à  ricordarli  alcune  colè  per  via  di  quello  libretto  ,  &  l’occhio  bifogna  che  vi  fia  per  legerle ,  &  il  libretto  illefio,&:  in  lui  diffcanti  luoghi  &fpa  ci j  dotte  fcriuere,&:  charateri  che  ci  raprefen  tino  le  cole  &  le  fctitture  itlefie,&  il  leggere;  Coli  nella  memoria  locale  al  ochid  rifpohde  l’intelletto, al  libriciolo la fantafia ,  à  1  luoghi  &  à  i  fpacij  certi  luoghi  &  fpacii  che  fi  for¬  mano  (labili, e  perpetui  nella  fantafiàillelTa  ài  caratteri  certe  figure-  a  lo  fcriuere  l’ im¬  primerli  con  la  immaginàtione,&  al  leggere   11  reccitarle.  Ma  perche  dalla  cognitione  di  due  cole  loie  tutte  l’altre  ci  verranno  ad  efier  chiare  per  quello  à  formare  i  luoghi  fola-  mente  ,  &  l’imàgini  farà  benechevogliamil  raggionamento.   E  prima  quanto  à  i  luoghi  anno  ad  efier  llabili  &c  perpetui,  &  quanto  maggior  co¬  pia  de  luoghi  haueremo  fi  fio  in  mente,  tanto  maggior  numero  di  cofe  potremo  porci  à  re*  citar  per  ordine  .  Vero  è  che  non  ogni  Ino1  hgoci  ferite,  ma  anco  in  quello  come  intin¬  te  l’altre  arri  ci  fono  le  fue  regole.   La  prima  delle  qualli  è,  che  il  luógho   non          I    *    ynaTredica.  4S   non  vuol  efTer  troppo  picciolo .  La    con*  diche  egli  non  vuole  edere  troppo  grande»  come  farebbe  à  dire,  che  tu  per  luogho  nonhai  àfeglierela  facciata  intiera  d’una,  chiefa,ne  vna  punta  d’un  mattone  che  efcha  fuori    in  vn  canto  :  percioche  fi  come  chi  feri ue fiè  vna  lettera  fola  in  vn  gran  foglio  di  carta ,  ò  pur  volefse  accozzare  vna  orario*  ne  infieme  in  duo  ditta  di  foglio ,  non  trop¬  po  didimamente  ,  ò  prontamente  rilegge¬  rebbe  quello,  che  egli  hauelfe  fcritto ,  cofi  ì  chi  ò  troppo  grande,  ò  troppo  picciolo  ap-  parechiafse  il  luogo, oue  collocafse,  l’imagi-  ne  difimili  fproportion  auerebbono  fenza  dubbio:  fi  che  quanto  a  quefte  due  regole  '  fe  ru  mi  chiedi  qual  dourebbe  efsere  la  capa¬  cita  del  luogho  ,  io  per  me  nfpondo  che  quello  d’vn  vfeio  comune  farrebbe  a  pun¬  to  al  propofiro,  &c  quello  quanto  alla  capa¬  cita  dei  luoghi.   La  terza  ,  e  quarta  regola  fono,  che    troppo  chiari  fiano  ,    troppo  tenebrofi  i  luoghi  che  fi  preludano-,  come  farrebbe  à  dire,  che    o^ni  vfeio  prillo  d'ogm  luce  deb  *  baelleggerfi,nèvno  oue  perpetuamente  fe-    ri  f  eh  ano  di  giorno  1  faggi  del  fole  ,&febc-  re  non  è  cofi  gioueucle  il  tendere  per- fiora  le  caufe  di  quefte  due  regole,  contenti  fi  non-   G  4  dimeno    Modo  di  Compone   dimeno  altri  di  ricordarli ,  che  n’ancho  al  buio,  ò  doue  ferifce  il  fole  leggiamo  noi  commodamente inoltri,  ò gFaltri ferirti  ,  è  pafsali  alianti.   La  quinta  è  fexta  regola  fono  che  ne  trop¬  po  vicini  lìano  i  luoghi  ,  ne  troppo  di-  feofti  ,  i’vno  dall’altro  -,  percioche    co¬  me  quando  troppo  vicine  fono  le  parole  fcritte  alcuna  di  lor  ben  fpelsolì  lafcia  nel  leggere  ;  &  quando  troppo  lontane  fono  rendono  tardidimo  il  lettore,  coli,  e  non  altrimente  aiterebbe  de  i  luogo.  Onde  coli  confeglio  io  che  l’vno  dal  altro  non  lìano  ò  piu,  ò  meno  diquattro  pafsi intieri.  Etfe  mi  fara  detto  che  non  coli  per  apunto  farà  facil  cofa  il  ritrouargli  ,  a  quello  rifpon-  do  che  oue  non  manchano  de  materiali ,  Se  reali  posiìmo  con  l’imaginatione  formarzi  alcuni  michi  della  grandezza  a  punto  d’vn  vfeio  Se  di  quelli  feruirci.   1  luoghi  per  fettima  >  &c  ottaua  regola  deono  else  re  tutti  entro  a  vna  fala  jftefsa,  Se  fila  tale  alla  quale  posfiamo  noi  gienge-  rc  con  le  mane,  percioche  di  quelli  dua  au-  uertimenti,  le  alcuno  piglialse  vn  vfeio  in  terra  ,  Se  poi  vna  fineltra  altislìma  ritor¬  nando  a  un  terzo  luogho  in  terra  trop¬  po  ageuol  cofa  farebbe  che  egli  feorren-   do    vna ‘Predica.  4P   do  per  la  linea  dietro  à  terra,  della  finellra  fi  fcordafi  ,  ponendo  per  fecondo  quel¬  lo  che  era  il  terzo .  Et  quanto  al  altro ,  (;che  ne  iia  cagione  )  vediamo  noi  lìcuramentò  che  l’efsere  i  luoghi  non  pili  alti  che  la  ftatua  d’un  huomo  ierue  grandislimamen-  te .  .  '  >   Ma  fopra  tutto  non  fiano  limili  fra  fei  luoghi  (  che  feruira  per  nona  regola)  &  quelli  auertifea  ognuno  che  ne  gl’vfci  della  Cella  in  vn  dormentorio  fratefcho ,  ne  le  co¬  ione  d’un  chiollro  ci  poiTono  ieruire.   Pigliali  anco  i  luoghi  della  liniflra  alla  delira  mane  (Se  quella  è  la  io.  )  in  quella  manierache  lattinamente  ,  ò  volgarmente  fermiamo,  perche  altrimente  facendo  lenza  dubbio  ci  nafeerebbe  confulione.   Et  quello  fatto  formili  tutti  i  luoghi  nel¬  la  fàtalia  noftra  talméte  che  polliamo  iubito  non  fol  dal  primo  correre  al  vltimo  ,  &  dal  vltimo  al  primo,  ma  rilpondere  ancora  à  gl’imerroganti,  qualli  li  lìanoòil  fecondo, ò  il  nono,  ò  con  qual  numero  ci  lia  interro¬  gato  .  Il  che  accio  più  facilmente  riefcha  due  altre  regole  ci    aggiungano,  Se  fono  Eviti  me.  i   Vna  che  i  nollri  luoghi  liano  da  noi  repli    fati  ogni  giorno  coni  numeri  fuoi,  Et  bai¬  ti' a    .  '*•  Modo  di  Comporre   «ra  che  ad  ogni  cinque  di  lor  fi  ponga  qual¬  che  imagine  particolare,  che  ci  raccordi  il  numero,  per  effempio  alli  cinque  potreb¬  be  porli  vna  mano  d’oro,  al  io.  vna  croce  ,  &  cefi  di  cinque  in  cinque,  o  io.  in  dieci,neltrigeffimovntridende,  nel  40.  vn  quadro,  nel  50.  vna  bilcia, nel  -  ilche  fi  farà  facilmente ,  quado  deppo  hauer  recitato  le  cole  figurateci  ne  i  luochi,  onero  non  dogliamo  piu  il  péfiero  à  quelle  figure,  ò  uero  torniamo  àfeorere  conl’imaginatione  due, ò  tre  trolte  i  luoghi  nudi,&  roti  lenza  fi¬  gura  alcuna  .  Et  coli  habbiamo  intefoleio  non  me  inganno ,  gran  parte  di  quelle  cole  che  ponno  dirli  intorno  alla  memoi .  a  locale#,   per    vtiaTredìca.  5  $   per  quanto  fpetta,&:  à  i  luoghi, &  alle  figure  cófìderare  da  t c  fleffe,&  come  à  raprefentare  delle  co fe,ò  parole  che  uogliamo  raccordar-  ci,uag!iano.    T  ji  R  T  E  S  E  C  O  %  D  Jl  delia  Memoria  Locale.    IO  pur oltra la  memoriallocale  ordinaria ,  di  che  habbiamo  raggionato  di  /opra, fon  no  penfando  fra  me  flelìo  un  altro  modo,  nel  quale  fenza  andai  fegliendo,  ne  ufei ,  ne  coione  ,  ne  fcneflre  potremo  troppo  be¬  ne  far  quello  ifldlo  che  io  inftgnai  di  fopra .   Voglio  dunqueche  per  cafoni  teimagini  diece  Città  Arcona, per  effe  mpio,  la  prima;  ho’ogna  la  feconda  ,  Cremona  la  terza,  Drepano,che  altri  dicono  T Tappano  la  qnaf  ta,  Elba  la  quinta.  Ferratala  fella,  Gennoa  lafetnma,  Imola  lottaua,  Luca  la  nona,  Milano  la  decima  .  Da  ognune  di  quelle  Città  uoglio  che  tu  ti  eleggi  fepuoi  cinque  fumine,  e  cinque  mafehi ,  che  tu  conofca  ;  ma  con  quella  proportione,  cioè  fra  le  fc  mi¬  ne  una  fanciullttta,  una  giouanne  da  marito,  una  maritata,  vna ucdoua  ,  una  monacha:  Et  fr  a  1  mafehi  un  fanciuletto,  un  gioitane   da    Modo  di  Comporre   da  moglie.  Il  marito  di  quella  maritata,  un  prette, &  un  fratte.   Voglio  di  più  che  tu  te  imagini  un  corni¬  le  grandiffimo  tutte  quelle  perfone  di  que¬  lla  Città  difpolle  con  quello  ordine,  che  te¬  nendoli  uno  per  mano  al  altro  quanto  pon¬  ilo  ftendere  le  braccia  dietro  alle  mura  del  Cortile  arpogìati  con  le  fcheine  alle  mura  ui  facciano  quali  corona  -,  ma  nel  collocarli  dalla  linillra  alla  delira  come  dicemo  di  fo-  pra ,  prima  ni  larano  le  diece  della  prima  Citta  poi  quelle  della  feeonda,&  coli  di  ma  no  in  mano.   Voglio  di  più  che  ne  i  luoghi  difpari  ui  fiano  Tempre  Femine  ,  de  ne  i  pari  Ma-  Ichi  ,  con  quello  ordine  che  nel  primo  ìuogho  ,  per  ellempjo  ,  ui  da  la  fanciu-  letta  Anconitana  ,  -  nel  fecondo  il  fanciu-  letto  pur  dcU’illeda  Citta,  nel  terzo  la  Giouanne,  nei  quarto  il  Giouanne  ,  nel  quieto  la  maritata,  nel  fello  il  (uo  marito,  nel  (ettimo  la  uedotia,  nel  ottano  il  prete,  nel  nono  la  Monaca,  nel  decimo,  il  frate  Nel  ««decimo  poi  commincianfì  Falera  Cic  ta,&:  ui  porrai  la  fanciulla  I3oJognele,&  coli  di  mano  in  mano.   Flora  quefta  coronati  ha  à  rimaner  per¬  petua,  come  nmaneuano  i  luoghi  nel  arte   di  fo-    vtiaTredìca.  ^6   cf i  fopra,  perche  col  dar  in  mano  à  quella  hor  quella  arte ,  hor  quella,  uoghocbeda  quello  ti  fiano  raprelenrare,  le  cole  da  rie-  cordarti  .  Onde  poi  anco  auederti  ,  che  nudebifogna  che  tc  Immagini  ,  per  poter¬  le  veltire,  &  ornare  di  tutte  quelle  cole  che  deuonoTeruire  per  figure,  per  dTcmpio  nel  primo  luogho  voi  raccordarti  cane  darai  aliafanciuletta  Anconitana  un  cane  in  brac¬  cio.  nel  fecondo  lugho  uoi  ricordarti  corona  poraialfanciulo  Anconitano  una  corona  in  capo  :  &diqui  nalcera  un  utile  grandiflr-  mo  :  percioche  fe  uorairaccordaiti  ,  per  efempio  ,  che  cofa  ha  quaranta  cinque  luo¬  ghi ,  fubito  perche  egli  è  nella  quintadeci¬  ma  bifogna  che  lìa  nellaqtnnta  citta  che  era  Elba,  perche  egli  è  difparri  bi/ogna  che  hab  bi una  donna-,  perche  egli  e  il  terzo  dilpari  bilogna  che  l’habbi  la  maritata  ,  in  mo¬  do  tale  che  riguardando  alla  donna  mari¬  tata  del  Elba,  trouarai  quello  di  che  uorrar  ricordarti.   Il  trouor  anco  qual  lìa  la  prima,  later-  za  ,  la  Telia  Città  ,  Tara  faci!  cofa  Te  tu  collocherai  U  Città  per  ordine  di  Al-  phabetto  ,  come  ho  Tatto  io  di  iopra  ma  quando  tu  non  lo  polli  Tare,  per  non  ha-  utr  conoTenza  in  Città  che  commincia-    no    Modo    Comporre   no  da  quelle  lettere  ,  piglia  quelle  In  che  tu  hai  conofeenza  ,  &  pone  fra  lo¬  ro  un  ordine  d;  prima, feconda,  &  terza,  &  quello  badi.   Del  redo  quanto  al  accommodarle  figu¬  re  ferua  diamente  le  regole  che  ti  ho  dato  di  (opra:  Et  quanto  al  fcancellarle  ,  oue  di  loprafeorrt  ui  >  luoghi  uoti,  qua  fcori due  ò  tre  uolte  le  figure  nude,&  in  quella  maniera  hauerai  Tinte  nto.   Laprimadi  quede  due  arti  è  più  tifata.  La  feconda  e  forfi  più  ingegnola ,  e  piu  pronta  .  Tu  uedi  quella,  che  più  ti  occo-  moda,è  di  quella  Itruiti .   IL  FINE.   tub  fan *  *  1    %    :'  i  «S*  v -    *  '•  V  )•■   t*  '•«*■•    ■ -  !  fe    v  r       2    JH5    .e  >'•  "r-    v  'v    hr^JSr    /    W   I  JT  iattìr>  *   *  >,y  ' '■'  '*  a   "'■    "  *  «,'.  «&•  \    VWià,  «  ?  js^ypt  v*   'issif®      V   V.:Y    ¥■    ‘V~   •"\£    ■Vsk  V"   -A.,  v'    7  ‘*   ■r  ,    >'£*?■  É#  W-    ■>«•# *«•   *,      T*  .  te*-,   '  -  uMt  f  r*fC  W    m    >  -    £  A    «S*.;    11    '    r4Sì  "-•^V.f-  f.    7J*  «   ^  ?    ,  l  7    %*?    *  *  ^    ■t  «     j*    .\  i  ;   .  rV  .V.  '  '   5%'  A •   -**;  '  )% . }  .•  \  s  >■    nfr*~  '    *àìip‘    «r    A^4;  >!•&    I      »’■ *■§*  "1   *7  1 Francesco Panigarola. Panigarola. Keywords.

 

Grice e Pannico: la ragione conversazionale nella Roma antica – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An epigram by MARZIALE (si veda) addresses P. as someone versed in the doctrines of various philosophical sects.

 

Grice e Pansa: la ragione conversazionale e l’orto italiano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A consul, and a follower of the doctrines of The Garden. Gaio Vibio Pansa

 

Grice e Panunzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- la filosofia italiana nel ventennio fascista – la scuola di Molfetta -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Molfetta). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Molfetta, Bari, Puglia. Grice: “There’s S. Panunzio and there’s S. Panunzio – Italian philosophy can be a trick!” -- Essential Italian philosopher. Tra i maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario, in quanto amico intimo di Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al suo passaggio dal neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra. Divenne in seguito uno dei massimi teorici del fascismo.  Nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all'impegno civile e politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali».  Il periodo socialista e il sindacalismo rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.  Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra "riformisti" e "rivoluzionari" — Panunzio si schiera tra i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Labriola, quando era ancora studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi universitari il contatto con docenti come F. Nitti, N. Colajanni, I. Petrone e G. Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del marxismo. Pubblica il saggio “Il socialismo giuridico,” in cui teorizza l'opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell'opera era costituito dalla formulazione di un "diritto sindacale operaio", spina dorsale di un nuovo "sistema socialista" fondato non su una base economica, bensì su una base etica, solidaristica:  «Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che l'applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l'universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi. Si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su L'aristocrazia sociale, ossia sul sindacalismo rivoluzionario, avendo come relatore Arcoleo. Consegue presso lo stesso ateneo la laurea in filosofia. In questi anni di studi ed esperienze intellettuali, intensifica altresì il proprio impegno giornalistico in favore del sindacalismo rivoluzionario, collaborando — oltreché con «Avanguardia Socialista» — con «Il Divenire Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di Olivetti e con «Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle.  Il sindacato ed il diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione — fu approfondita  allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica volontaristica». P. prende quindi le mosse affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo dell'autorità (fondata sul diritto) che, negata dall'anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:  «Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario»  (P.) In sostanza, Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché non "statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la futura società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale. Fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati contemporanei.  Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, grazie all'interessamento di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato, inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua importante opera Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Con la fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta "nazionale" del suo pensiero.  Dopo aver insegnato per un anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, passò alla Regia scuola normale Carducci di Ferrara, ove insegna,  conseguendo al contempo la libera docenza presso l'Napoli (l'anno successivo gli fu trasferita nell'ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra — l'inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Mussolini, direttore dell'Avanti! e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed "eretiche" dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all'interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista:  «Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie. Quest'articolo di Panunzio, apparso sul quotidiano ufficiale del Partito Socialista, suscitò una grave polemica, sicché Mussolini dovette rispondere sul numero del giorno dopo. Tuttavia la replica di MUSSOLINI, il quale si sta convincendo dell'opportunità dell'intervento, fu «debole, sfocata, piattamente dottrinaria, per nulla all'altezza del miglior Mussolini polemista». Infatti,  «al momento di questa polemica, Mussolini era psicologicamente già fuori del socialismo ufficiale ed è indubbio che le argomentazioni di Panunzio, sia per il loro spessore teorico sia perché provenienti da un uomo di cui egli aveva grande considerazione intellettuale, furono probabilmente l'elemento decisivo che lo spinse a compiere il grande passo, il voltafaccia dal neutralismo assoluto all'interventismo. La Grande Guerra All'entrata dell'Italia nel conflitto mondiale, si arruolò volontario come quasi tutti gli interventisti "di sinistra" (come Filippo Corridoni e Mussolini); tuttavia, in quanto emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché dovette concentrarsi sulla lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto sulle colonne del Popolo d'Italia (i cui articoli erano sovente concordati con lo stesso Mussolini), in favore della guerra italiana, ritenuta dal Panunzio una guerra non «di difesa e conservazione, ma di acquisto e di conquista; non una guerra ma una rivoluzione». Una guerra anche popolare, come avevano dimostrato le grandi mobilitazioni del «maggio radioso», in contrapposizione alle posizioni conservatrici di Antonio Salandra e della classe dirigente liberale. Anche da un punto di vista più propriamente militante, Panunzio si impegnò nel ruolo di membro del direttivo del neonato fascio nazionale di Ferrara, il quale diede vita altresì al giornale Il Fascio. Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico, Panunzio lavora anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue idee riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta, Principio e diritto di nazionalità in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e Introduzione alla Società delle Nazioni. Nel primo saggio, egli sosteneva l'utilità e la legittimità di una guerra anche offensiva, purché essa fosse il mezzo per il conseguimento di un fine più grande, ossia la giustizia e la creazione di nuovi equilibri più giusti ed equanimi. Nella seconda, invece, individuava nel principio di nazionalità la nuova idea-forza della società che sarebbe scaturita dalla guerra, una volta conclusa. Molto importante è inoltre la terza opera (La Lega delle nazioni), poiché in essa è sviluppato per la prima volta il concetto di sindacalismo nazionale. La Nazione deve circoscriversi, determinarsi, articolarsi, vivere nelle classi, e nelle corporazioni distinte, e risultare «organicamente» dalle concrete organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa esige, dove le nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non ancora funzionino storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e aggruppamenti di classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni trovino, a loro volta, la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà nella Nazione. Ecco la «reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e la sintesi organica tra Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo Nazionale»  (P.) Dalla fine del conflitto alla Marcia su Roma Terminata la guerra, Panunzio partecipò attivamente al dibattito interno alla sinistra interventista, intervenendo in particolare su «Il Rinnovamento», quindicinale recentemente creato e diretto da Alceste De Ambris. Il suo scritto più importante, che ebbe notevoli conseguenze, apparve: in questo, P. sostene l'organizzazione di tutta la popolazione in classi produttive, le quali dovevano essere a loro volta distribuite in corporazioni, a cui doveva essere demandata l'amministrazione degli interessi sociali; affermava altresì la necessità di creare un Parlamento tecnico-economico da affiancare al Parlamento politico. In tale testo programmatico era chiaramente abbozzato il futuro corporativismo fascista, tanto che l'amico Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San Sepolcro (alla fondazione cioè del fascismo), riprese le tesi di P. per il programma dei Fasci Italiani di Combattimento:  «L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza sinceramente politica»  (Mussolini) A Ferrara, P. assisté alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo rapporti di amicizia con Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al movimento, a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli agrari. Risale a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere Diritto, forza e violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi delle Réflexions sur la violence di Sorel, l'autore precisava il suo discorso distinguendo una violenza "morale", "razionale", "rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza invece gratuita e immorale. Critica da un punto di vista neokantiano il concetto hegeliano di Stato etico, lasciando intravedere tuttavia margini di sviluppo per una visione totalitaria dello Stato. A seguito dell'uscita dei fascisti dalla UIL e della conseguente creazione della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali per opera di Rossoni, Panunzio collaborò con il settimanale ufficiale della Confederazione, cioè «Il Lavoro d'Italia, vergando un importante articolo sul primo numero, nel quale ribadiva le sue tesi sul sindacalismo nazionale. Dopo essersi speso invano, con l'aiuto di Balbo, per una conciliazione tra Mussolini ed ANNUNZIO, appoggiò la politica pacificatrice di Mussolini, sostenne la «svolta a destra» del PNF (cioè per un ristabilimento dell'autorità dello Stato) e caldeggiò — con la caduta del primo Governo Facta — la costituzione di un governo di "pacificazione" che riunisse fascisti, socialisti e popolari (prospettiva ritenuta possibile da Mussolini stesso), scrivendo un importante articolo che individuava nel capo del fascismo l'unico in grado di stabilizzare e pacificare il Paese:  «Benito Mussolini — uno dei pochi uomini politici, checché si dica in contrario, che abbia l'italia — ha molti nemici e anche molti adulatori. L'uomo non è ancora bene conosciuto. Chi scrive può affermare con piena sincerità e obbiettività che la storia recentissima dell'Italia è legata al nome di Mussolini. L'intervento dell'Italia in guerra è legato al nome di Mussolini. La salvezza dell'Italia dalla dissoluzione bolscevica è legata a B. Mussolini. Questi sono fatti. Il resto è politica che passa: dettaglio, episodio. Anche prima di Caporetto, anche dopo Caporetto, Mussolini (è vero o non è vero?) disse dall'altra parte: tregua. Non fu, maledettamente, ascoltato. La fine della lotta ormai è un fatto compiuto. Eccedere più che delitto è sproposito grave. Ed ecco perché un Ministero in cui entrino le due parti in lotta — per la salvezza e la grandezza dello Stato — è un minimo di necessità e di sincerità. (P.) Tuttavia, con il reincarico di Facta e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto dall'Alleanza del Lavoro (il cosiddetto «sciopero legalitario»), scrive a Mussolini mostrando la sua delusione nei confronti dei socialisti confederali, ritenendo quindi impossibile una convergenza d'intenti con il PSI e reputando ormai sempre più necessaria una svolta a destra:  «Anch'io pensavo unirci con i confederali che «senza sottintesi siano per lo Stato». Dopo lo sciopero un ultimo equivoco è finito. Bisogna mirare a destra. Diciamolo, con o senza elezioni. Confido in te e nel Fascismo, per quanto il difficile, dal lato politico, viene proprio ora. Di lì a breve, il fascismo salì al potere.  L'impegno politico e culturale durante il fascismo Una volta costituito il governo fascista, P. stringe legami sempre più stretti con il movimento mussoliniano, ottenendo la tessera del PNF (su iniziativa dell'amico Balbo) e venendo eletto deputato. Nello stesso anno divenne membro del Direttorio nazionale provvisorio del PNF, che lasciò dopo neanche un mese in quanto chiamato alla carica di sottosegretario del neonato Ministero delle Comunicazioni (diretto al tempo da Ciano).  In questo periodo, inizia a interrogarsi — assieme ai massimi teorici fascisti — sulla vera natura ed essenza del fascismo, per il quale coniò la definizione di «conservazione rivoluzionaria», che sosterrà per tutta la sua vita. La filosofia fascista non è unicamente conservazione, né unicamente rivoluzione, ma è nello stesso tempo — beninteso sotto due aspetti differenti — una cosa e l'altra. Se mi è lecito servirmi d'una frase che non è una frase vuota di senso, ma una concezione dialettica, io dirò che la filosofia fascista è una grande conservazione rivoluzionaria. Quel che costituisce la superba originalità della rivoluzione italiana, ciò che la fa grandemente superiore alla rivoluzione francese e alla rivoluzione russa, è che, ricordandosi e approfittando degli insegnamenti di VICO, di Burke, di CUOCO e di tutta la critica storica della Rivoluzione essa ha conservato il passato, realizzato il presente e orientato tutto verso l'avvenire, nei limiti della condizionalità e dell'attualità storiche. Per certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato, vale a dire nel socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato parlamentare. Partecipò inoltre attivamente al dibattito incentrato sull'edificazione di uno stato nuovo, fornendo importanti spunti, alcuni dei quali avranno un seguito costituzionale, come ad esempio il "sindacato unico obbligatorio", l'attribuzione della personalità giuridica (istituzionale, non civile) ai sindacati, o l'istituzione di una Magistratura del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle controversie tra capitale e lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche del futuro Stato sindacale (poi corporativo):  «La nuova sintesi è l'unità dello Stato e del Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il punto di approdo e lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo. È di questi tempi altresì l'evoluzione del pensiero panunziano riguardo a una concezione organicistica dello Stato, attraverso una critica serrata dello Stato democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico, livellatore, astratto» (sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e cioè il suffragio universale»), che doveva portare a uno «Stato organico, gerarchico», fondato su un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è organizzato pesa, chi non è organizzato non pesa. In quest'ottica deve essere considerata, infatti, la definizione panunziana del fascismo quale «concezione totale della vita. Tutta la riflessione teorica politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e sistematizzata nel suo saggio, Lo Stato fascista, il quale accese grandi dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di confrontarsi su questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità intellettuali come Costamagna, Gentile e Curcio. n virtù di queste premesse teoriche e operative, appoggiò Mussolini durante la crisi causata dal delitto Matteotti, al fine di incrementare il processo di riforma statuale avviato dal fascismo, che si sarebbe di lì a poco concretizzato nelle leggi fascistissime volute da Alfredo Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563, che istituzionalizzò i sindacati, e nella redazione della Carta del Lavoro, il documento fondamentale della politica economica e sociale fascista.  Terminata l'esperienza di governo, si dedicò all'insegnamento: dopo aver vinto il concorso per un posto da professore straordinario in filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Ferrara, divenne ordinario e si trasferì a Perugia, di cui fu Rettore nell'anno accademico. Chiamato a insegnare dottrina dello Stato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Roma, cattedra che detenne sino alla morte. Non appena insediatosi nell'ateneo romano, incaricato dal Duce di organizzare, in qualità di Commissario del Governo, la neonata Facoltà Fascista di Scienze Politiche di PERUGIA, che doveva essere la nuova Bologna (la piu antica universita europea) – e fascista. In tale veste, chiama a insegnare a Perugia docenti quali Orano, Michels, Olivetti, Maraviglia e Coppola. E ancora deputato. Malgrado gli impegni accademici, Panunzio continua a sostenere l'edificazione dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo Stato fascista attraverso i suoi articoli giornalistici, partecipando agli intensi dibattiti degli anni trenta sulla legislazione corporativa. Più precisamente, egli si situava in quell'ala sindacalista del fascismo che, nella nuova struttura statuale, perorava un potenziamento dei sindacati all'interno del sistema corporativo, affinché essi potessero intervenire più decisamente nella direzione economica del Paese. In questo periodo, grazie a opere teoriche fondamentali, Panunzio sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero. In sostanza, lo Stato fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone allo «Stato atomistico ed individualistico del liberismo. Inoltre lo Stato fascista è caratterizzato dalla sua ecclesiasticità o religiosità, intesa come «unione di anime, al contrario dello stato liberal-parlamentare «indifferente, ateo e agnostico». Il giurista molfettese introdusse anche il concetto di funzione corporativa in quanto quarta funzione dello Stato (dopo le tre canoniche: esecutiva, legislativa e giurisdizionale), proprio per fornire il necessario fondamento giuridico ai cambiamenti costituzionali in atto, con la creazione dello Stato corporativo. Lo Stato fascista, infine, si configura come uno Stato totalitario, «promanando direttamente e immediatamente da una rivoluzione ed essendo formalmente uno "Stato rivoluzionario". Con l'istituzione delle corporazioni (attraverso la legge) e la creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (legge), P. redasse la Teoria Generale dello Stato Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero in materia di ordinamento sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la funzione attiva e propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione burocratica delle corporazioni; sosteneva altresì il suo concetto di economia mista — la quale all'intervento pubblico affiancasse una sana iniziativa privata — «ordinata, subordinata, armonizzata, ridotta all'unità, ossia unificata dallo Stato, in quanto il pluralismo economico e la pluralità delle forme economiche sono un momento ed una determinazione organica del monismo giuridico-politico dello Stato. Partecipò, con notevole peso specifico, alla riforma del Codice di procedura civile e del Codice civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare, il suo contributo fu decisivo, soprattutto per il terzo (Della proprietà) e quinto (Del lavoro) libro: fu lui ad ottenere che un intero libro fosse dedicato al lavoro; volle che la Carta del Lavoro fosse posta a base del codice; definì un più circostanziato concetto di proprietà, in cui se ne enfatizzava la "funzione sociale. Divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Morì a Roma, in piena guerra. L'archivio di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è attualmente disponibile alla ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in Roma. Altri saggi: “Il socialismo giuridico” (Moderna, Genova); “La persistenza del diritto -- discutendo di sindacalismo e di anarchismo” (Abruzzese, Pescara); “Sindacalismo e Medio Evo” (Partenopea, Napoli); “Il diritto e l'autorità” ((POMBA, Torino); “Guerra giusta” (Colitti, Campobasso); “Lega dei nazioni” (Taddei, Ferrara); “Nazione e Nazioni” (Taddei, Ferrara); “Diritto, forza e violenza” (Cappelli, Bologna); “Stato di diritto” (Taddei, Ferrara); “Lo stato nazionale e sindacati” (Imperia, Milano); “Che cos'è il fascismo” (Alpes, Milano); “Lo stato nazionale nel veintennio fascista” (Cappelli, Bologna); “Sentimento di stato” (Littorio, Roma); “Dittatura” (Forlì); “Stato e diritto: l'*unità* dello stato e la *pluralità* degli ordinamenti giuridici” (Mdenese, Modena); “Leggi costituzionali del regime italiano” (Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma); “Popolo, Nazione, Stato: un esame giuridico” (Nuova Italia, Firenze); “I sindacati e l'organizzazione economica dell'impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “Sulla natura giuridica dell'Impero italiano” (Poligrafico dello Stato, Roma); “L'organizzazione sindacale e l'economia dell'Impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “La Camera dei fasci e delle corporazioni” (Trinacria, Roma); “Teoria generale dello stato” (MILANI, Padova); “Motivi e metodo della codificazione dello stato italiano” (Giuffrè, Milano); F. Perfetti, “La conversione all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio, Storia contemporanea»,  “Il sindacalismo ed il FONDAMENTO RAZIONALE DELLO STATO ITALIANO  (Volpe, Roma). Non c'è dubbio che tra i molti scrittori che tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano e il più competenti e intellettualmente influenti, come Gentile. H. Matthews, Il frutto del fascismo” (Laterza, Bari). Fornisce con le sue teorie una patina di legittimità rivoluzionaria alla dittatura. Z. Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista” (Milano). Il filosofo più importante del fascismo.  Perfetti,  Il socialismo giuridico, LModerna, Genova, Sindacalismo e Medio Evo, Partenopea, Napoli. G. Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica in «Schema»,  L. Paloscia, La concezione sindacalista, Gismondi, Roma, Guerra e socialismo, in «Avanti!», Mussolini, Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le inversioni del sovversivismo guerrafondaio, in «Avanti!», Mussolini, La guerra europea: le sue cause e i suoi fini, in  Ver sacrum, Taddei, Ferrara. Sergio Panunzio, I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo d'Italia», Perfetti, La Lega delle nazioni, Taddei, Ferrara, Un programma d'azione, in «Il Rinnovamento», Mussolini, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza” (Cappelli, Bologna); “Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara). Il settimanale e diretto da Rossoni e annove, tra i collaboratori più attivi e competenti, A. Casalini.  Il sindacalismo nazionale, in «Il Lavoro d'Italia», Perfetti, Renzo De Felice, Mussolini il fascista,  La conquista del potere, Einaudi, Torino. L'ora di Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», «Popolo d'Italia» per espressa volontà di Mussolini.  Lettera citata in Perfetti, Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano, Stato e Sindacati, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo Forma e sostanza nel problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», Idee sul Fascismo, in «Critica fascista», L. Nucci, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia delle università italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di Scienze storiche Perugia, Perugia. Loreto Di Nucci, Nel cantiere dello Stato fascista, Carocci, Roma,  Renzo De Felice, Mussolini il Duce,  I: Gli anni del consenso, Einaudi, Torino, Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio, Roma; Il concetto della dittatura rivoluzionaria, Forlì, Stato e diritto: l'unità dello stato e la pluralità degli ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena. Leggi costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma,  Perfetti,  XXX Legislatura del Regno d'Italia. Camera dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei deputati storico  Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.  Giovanna Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica, in «Schema», Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Roma-Bari, Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico, in «Il Socialismo giuridico: ipotesi e letture», in “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, Renzo De Felice, Mussolini, Einaudi, Torino, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino; Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Il Mulino, Bologna, Laterza, Roma-Bari). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento razionale del fascismo, Volpe, Roma. nuova edizione ampliata, Lulu.com,. Benito Mussolini, Opera omnia, Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze-Roma, Leonardo Paloscia, La concezione sindacalista di P., Gismondi, Roma, Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista,  II: Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il sindacalismo fascista,  I: Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo, Bonacci, Roma); Perfetti, La «conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio Panunzio, in «Storia contemporanea», Francesco Perfetti, Introduzione, in Sergio Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Lo Stato fascista: le basi sindacali e corporative, Le Lettere, Firenze. Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, tr. it., Baldini e Castoldi, Milano 1993.  Fascismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacalismo nazionale Sindacalismo fascista Corporativismo Italo Balbo James Gregor Francesco Perfetti. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sergio Panunzio,.  Sergio Panunzio, su storia.camera, Camera dei deputati.  Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico modern” (Giuffrè, Milano). Fervono oggi in Italia, nel campo polìtico e filosofico, le discussioni e le polemiche molto vivaci su Hegel, sulla idolatria dello Stato ovverosia sulla sua statolatria, sullo Stato considerato da Hegel come l’Ente supremo. Forti correnti antihegeliane si deiineano in Italia nel Fascismo contro le correnti e le scuole idealistiche facenti, cora’è noto, capo al Gentile e alla sua interpetràzione attua- listica, dopo (piella storica del Croce, dell’hegelismo. Non si vuole e non si deve qui parlare di filosofìa. Il concetto « hegeliano » dello Stato si prende qui nel suo aspetto sociale e politico, e da questo punto di vista è indubbio il suo nesso storico ed ideologico con lo Stato fascista. A conferma di ciò, basti notare che lo Stato fascista nega innanzi tutto e soprattutto Marx e Io Stato marxista. Non a torto e significativamente il movimento hitleriamo in Germania è e si chiama antimarxista e non antisocialista e si denomina anzi nazionalsocialista. Ora Marx, per costruire ia classe, negò il suo maestro, Hegel, e di Hegel prese il concetto della « società civile», risolvendolo analiticamente nelle classi, donde la lotta di classe centro del suo sistema teorico e pratico, riducendo anzi in ultima istanza la società civile in blocco alla pretesa unitaria ed omogenea classe operaia, e negò lo Slato. Se, contro la classe marxistica, si deve ricostruire e riabilitare lo Stato, è evidente, per ciò solo, il ritorno necessario da Marx ad Hegel. Sta tutta qui, per me, la parentela fra Stato fascista e Stato hegeliano. Riconosco, e lo disse, prima di tutti, un nostro filosofo, MASCI, La libertà nel difillo e nella Sloria secondo Kant ed Hegel, in Atti della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche, Napoli, che l’ideologia statale di Hegel si presta molto bene, nelle mani delle classi reazionarie e fondiarie tedesche, alla fonda­ zione dello STATO PRUSSIANO reazionario e conservatore. Ma altro sono le dottri­ne, altro l’uso e lo sfruttamento che di esse tanno le classi sociaii secondo i loro bisogni ed il loro spirito di classe; per quanto sia anche giusta l’osservazione dello stesso MASCHI che LO STATO di Hegel per gran parte — rlducendosi la sua Filosofia del diritto molte volte e in molti punti a mera trattazione empirica di diritto costituzionale positivo germanico — non fa che, abbandonata la fliosofia pura e speculativa, trascrive in termini di filosofia la realtà di tallo dello STATO PRUSSIANO [citato da H. P. GRICE, ACTIONS AND EVENTS: the only thing that exists is the kaiser of Prussia]  del suo tempo. Per cui LO STATO di Hegel si presta per questo verso a quel tale giuoco dic lasse, di piegare LO STATO filosofico ed ETICO del gran­de filosoo alla propria situazione psicologica di classe. Ma questi in dubbi aspet­ti stona e poiitici empirici dello STATO di Hegel, che lo fanno passare -- non si di­ mentichi che Hegel vive e scrive dopo l’esperienza IMMEDIATA DELLA RIVOLUZIONE francese, in un periodo, come oggi IL FASCISMO, anch’esso accusato dai superficiali e dagli stolti d, reazionarismo, di restaurazione, e appartenne al ciclo appunto della Restaurazione postrivoluzionaria -- per reazionario e per il filosofo dello Stato rea­zionario non devono farci perdere di vista gl’elementi filosofici essenziali non accidentali e fossili, e specialmente il profondo vivo e vitale concetto della società civile di corporazione e del NESSO FRA LA SOCIETA CIVILE E LO STATO. Ho piacere di notare qui che un filosofo Bindek, Stato e Società nella filosofia poltlica, in Rio. Inlernaz. di Filosofia del dirtto, fase. Ili, a proposito del mio saggio: Slato e Sindacali, rileva il mio rifferimento a Hegel per la com­ penetrazione della SOCIETA con lo STATO. Gl’elementi vivi e vitali non devono non separarsi attraverso la critica e la scienza dagl’elementi morti e superati di Hegel. Per questi ultimi non dobbiamo dimenticare i primi; anche se, per il suo tempo m cu. signora, prima di Marx, la prassi e la teoria sviluppata poi dopo e fino a un certo punto anche offre Marx da Sorci, del Sindacalismo. la concezione hegeliana della Società e BUROCRATICA, e la concezione del governo, ossia dello Stato AUTOCRATICA. Vedi su ciò le acute osservazioni e critiche a Hegel di CAPOGRASSI, già da me c tate in questo saggio. Questo il giudizio obbieilivo sul Hegel politico A non dire qui -- vedi su ciò il mio volume Lo Stato di diritto, Lo Stato noumeno immanente di Hegel, Città di Castello, che la prima fase della filosofia politica di Hegel e tutfaltro che reazionaria. Come pure non mi sembra che SI possa e SI debba dire che lo STATO hegeliano, per la sua STATOLATRIA e uno Stato panteistico. Non solo antico, ma addirittura uno Stato asiatico indiano, meno nspettoso della libertà umana dello stesso Stato pagano platonicc»-aristoteìico o ROMANO! Ve- di su ao, contro l’opinione di MASCI, l’appendice al mio citato Stato di diritlo: Se lo Stato hegeliano sia Stato moderno. C'è si diflerenza fra STATO FASCISTA o STATO NAZISTA e Stato hegeliano. Anzi è questo il punto fondamentale per cui non si può e non si deve ridurre al tipo dello Stato hegeliano LO STATO FASCISTA o nazista: che mentre, per MUSSOLINI, TUTTO E NELLO STATO, NULLA FUORI DELLO STATO, NULLA CONTRO LO STATO, non è vero che nulla, non dal lato politico, ma da quello filosofico e MORALE, E *SOPRA* LO STATO. Per Hegel, invece, NULLA E SOPRA LO STATO per la semplice ragione che lo Stato è tutto ed anzi Dio stesso realizzato nel mondo. Ma da questo a dire che lo Stato di Hegel è più che antico asiatico, ci corre. Si può e si deve dire invece che LO STATO FASCISTA appartiene al ciclo della filosofia idealistica trascendente mentre lo Stato hegeliano è basato sull’immanenza, donde esso è Dio stesso. Del resto, a questo proposito, sono anche note, nel campo filosofico, le premesse trascendenti ed anche le interpretazioni net senso della trascendenza dell’idealismo hegeliano. Vedi su ciò, in conformità dell’interpretazione trascendente dell’idealismo hegeliano, il mio saggio Diritto Forza e Violenza, parte IH. Orientata verso la trascen­denza è la fase della filosofia idealista ITALIANA, donde la dissoluzione t in­terna della posizione idealistico-attualistica visibile nei rappresentanti dì questa scuola discendenti da GENTILEG. L ’idealismo attualistico, capovolgendosi la posizione del Gioberti, che dalla trascendenza anda verso l’immanenza, da Dio alla Storia, fa oggi il cammino inverso DALL’UMANO AL DIVINO, dalla storia d’ITALIA all’idea d’ITALINAITA. Vedi su ciò sinteticamente ed efficacemente la prefazione di Giuliano al saggio di Rinaldi, Gioberti e il problema religioso del Risorgimenlo, Firenze, Valleechi. Sulla filosofia del diritto di Hegel, dal lato sociale e per le sue connessioni ideologiche con il corporativismo fascista attuale, V., oltre ì miei saggi citati, par­ ticolarmente, Lo Stato di diritto, Passerini D’Entreves (si veda), La filosofia del diruto di Hegel, Torino, Sui rapporti fra LA VOLONTA DI TUTTI di Rousseau e la società civile di Hegele fra la volontà generale dei primo e lo Stato del secondo, vedi il mio Sfato di diritto, Rousseau e lo Stato di Hegel. Sui rapporti fra società e Stato nella concezione fascista in rapporto aile mie idee in poposito, vedi Leibholz, Zu den problemen des lascistisehen Verfassangsreclds, Leipzig. Nessuna delle tre forme di dit­tatura sopra analizzate, comprende LA DITTATURA DEL DUCE. Che cosa essa è? Essa è una forma ideale a sé. Essa è uno sato di grazia  dello spirito italiano. È quella che io credo si debba chiamare la DITTATURA EROICA CARISMATICA, figura storica o se vogliamo FILOSOFICA, non figura giuridica; ed in quanto tale, eccezionale e soprannaturale, non ordinaria e comune. Di essa non si occupano e non parlano i trattati di Dottrina dello Stato e di Diritto costituzionale. Dovete, per comprenderla, se me lo chiedete, aprire un saggio, il saggio su NAPOLEONE BUONAPARTE, EROE ITALIANO, degl’Eroi di Carlyle. Un acuto filosofo, Michels, richiamando il concetto di Weber, parla; di Uomo e di Capo CARISMATICO. La dittatura eroica è spirituale, non materiale, SOGGETIVA, o INTER-SOGGETIVA, non oggettiva, prodotta e posta dal popolo; non imposta al popolo, per cui essa è considerata dal popolo che la genera e ne è li geloso proprietario e custode, come la cosa sua più intima preziosa e personale. Dobbiamo, se mai, per inquadrarla in qualche modo in una delle forme stabilite, ricollegarla, come si è dimostrato, alla dittatura rivoluzionaria. La rivoluzione è un’idea; e la dittatura rivoluzionaria è la dittatura dell’idea. Ma questa idea deve trovare il suo Uomo, il suo corpo, l’Eroe. Onde può dirsi che la dittatura eroica è la soggettività, la coscienza del­l’idea di un popolo, nella sua marcia e nel suo cammino nella storia. LO STATO FASCISTA NELLA DOTTRINA DELLO STATO. LO STATO NUOVO. Genesi dello Stato fascista. La natura ideale del Fascismo. Il Fascismo come conservazione revoluzionaria. Gli elementi dello Stato fascista. La restaurazione politica e rinstaurazione sociale nello Stato fascista . Sindacalismo; Nazionalismo; Fascismo. Il lato politico ed il lato sociale dello Stato. Il rapporto fra lo Stato e 1 Sindacati. Lo Stato-società ; lo Stato^asse ; lo Stato-popolo ; Io Stato-nazione. In nota; rapporti fra lo Stato fascista e lo Stato di Hegel. Struttura e funzioni dello Stato fascista. Lo Stato sindacale-corporativo . Stato ed economia. La Corporazione. Lo Stato fascista nell’ordiiiamento giuridico. Leggi costituzionali sociali; politiche. La Carta del Lavoro. Le istituzioni e gli organi fondamentali. Legislazione ed esecuzione. Lo Stato-Partito. Lo Stato militare ed il cittadino-soldato. I caratteri, la qualilìcazione, e la denominazione dello Stato fasci sta. La statocrazia come formula ideale dello Stato fascista. La difesa penate dello Stato fascista.. LO STATO FASCISTA NEL DIRITTO PUBBLICO POSITIVO. CONCETTI GENERALI E GL’ISTITUTI FONDAMENTALI. Criteri di metodo e dì studio. Il diritto costituzionale fascista: le leggi; la prassi ; la dottrina ; la storia. Il metodo giuridico ed i suoi limiti. Le leggi costituzionali ; le leggi costituzionali rivoluzionarie. L ’in­ staurazione rivoluzionaria. L ’atto fondamentale della rivoluzione ; il Proclama del Quadrumvirato. I! diritto rivoluzionario: organi provvisori ; costituenti ; costituzionali. . Il Potere politico o corporativo dello stato ed i suoi presupposti so­ciali politi« e giuridici. La crisi della democrazia parlamentare. Re­gime parlamentare e Regime fascista. La divisione dei poteri come specificazione di organi e di funzioni, e la coordinazione dei poteri. Critica della teoria dei tre poteri. La fun­zione di governo, ossia corporativa o politica dello Stato. Natura dì questa funzione e sua denom inazione. L’Organo supremo. Dalia funzione politica alla determinazione del titolare di essa. La gerarchia degli organi costituzionali. 11 Capo dello Stato; il Capo del Governo; il Gran Consiglio del Fascismo. L’Or­gano supremo come organo complesso. Le relazioni statiche e dina­miche fra i tre elementi dell’Organo supremo. La Monarchia e il Partito Nazionale Fascista.. La forma di governo: il Regime fascista de! Capo del Governo. La forma di governo desunta dalla posizione costituzionale dell’Organo supremo. Confronto fra il Regime fascista e l’attuale regime inglese superparlamentare a Premier. Perfezione e superiorità del Regime fascista nell’evoluzione delle forme di governo, in quanto piena realizzazione del regime popolare. Il Capo del Governo ; ampiezza ed intensità dei suoi poteri e delle sue attribuzioni. Sua posizione gerarchica rispetto agli altri Ministri, suoi puri collaboratori tecnici. Gerarchia in senso amministrativo e in senso costituzionale. La dinamica delle relazioni fra il Capo del Governo e gli altri organi dello Stato, ed il Partito come fulcro giuridico ed istituzione-cardine del Regime fascista. Nesso organico fra la Monarchia e il P. N. F.. L’unità sostanziale fra il Re, il Popolo, il Partito. Il Gran Consiglio. La prerogativa suprema del Re : la scelta e la nomina del Capo del Governo. (In nota; la progressiva delimitazione della competenza legislativa materiale del Parlamento e la crisi della legge formale. I gradi del potere legislativo ed il problema della gerarchia delle nor­ me giuridiche e della relativa Giurisdizione costituzionale). LE CORPORAZIONI E TEORIA GENERALE DELLA CORPORAZIONE. PRINCIPI GENERALI. Il Corporativismo concepito come principio filosoflco. Corporativismo economico e Corjiorativismo politico. Errore <1i ridurre il Corporati­vismo al puro piano economico. Unità di Fascismo e di Corpora­tivismo. La corporazione e le Corporazioni. Sindacato e Corporazione. Sinda­calismo corporativo e Corporativismo sindacale. CHE COSA SONO E COME SONO COSTITUITE LE CORPORAZIONI. L’essenza delle Corporazioni e le loro proprietà costitutive. I,a costituzione organica delle Corporazioni. Le lunzjoni delle Corporazioni. Preponderante rilevanza della loro funzione normativa ed esame di quest’ultima. Il funzionamento pratico delle Corporazioni. Il reale e l'ideale nella Corporazione. CHE COSA FANNO LE CORPORAZIONI. I compiti e i problemi delle Corporazioni. La funzione corporativa come esplicazione della potestà d’impero dello Stato. L ’unità deH’attività dello Stalo. Le funzioni; gl’atti dello Stato. Attività economica in senso materiale, ed in senso formale dello Stato. L ’attività giuridico-economica dello Stato. I destinatari delle norme corporative. Che cos’è la produzione. L’ese­cuzione produttiva. Sua differenza dalla esecuzione amministrativa. Lo Stato e la produzione. Piano economico e piano produttivo. Dire­zione e gestione. L’autarchia. Autarchia economica in senso formale. L’economia corporativa come economia mista. Il diritto economico. Iniziativa privata ed autarchia. IniziaUva pri­ vata e libertà economica. La libertà come categoria spirituale e filosofica. Iniziativa privata e proprietà privata. Personalità e proprietà; lavo­ro e proprietà. LE CORPORAZIONI ISTITUITE. IL PIANO DELLE 22 CORPORAZIONI. Il quadro delle Corporazioni ed i loro tre gruppi. Il ciclo produttivo per grandi rami di produzione come criterio co­stitutivo delle Corporazioni e della loro distinzione in tre gruppi. 154 3. La relatività come criterio per la costituzione e la classificazione del­le Corporazioni. Esplicazione di questo criterio di relatività in due leggi : la organicità decrescente e la generalità crescente delle Corporazioni. Natura strettamente « sperimentale dell’ordinamento delle Corporazioni. Il Sindacato come elemento attivo delle Corporazioni. Statica e dinamica delle Corporazioni. Mozione presentala dal D U C E ed approvata dall'Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni. TEORIA GENERALE DEL PARTITO. CONSIDERAZIONI GENERALI DI METODO SUL PARTITO NELLA DOTTRINA DELLO STATO E NEL DIRITTO PUBBLICO. Il partito rivoluzionario nella Dottrina dello Stato e suo posto siste­matico in essa. Il procedimento di formazione dello Stato fascista, ossia il Partito rivoluzionario come origine immediata e formale dello Stato fascista. Delimitazione dello studio de! Partito sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto giuridico. Criteri di metodo e degli organi dello stato. Le varie teorie sulla natura giuridica del Partito, particolarmente sul Partito come istituzione politica autarchica e come organo dello Stato. Le varie specie di istituzioni pubbliche. Nuovo concetto delTautarchia. IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, OSSIA IL PARTITO-STATO. Il partito rivoluzionario come nozione pubblicistica a sè. .Il partito rivoluzionario nella Storia e nella Dottrina dei partiti. Se il partito rivoluzionario sia ancora un partito e de. bba chiamarsi partitoIl partito rivoluzionario come partito di regime. Partiti di governo e partiti di regime. lì partito socialista ed il Partito fascista come partiti rivoluzionari. Partito rivoluzionario e partito unico. Il partito unico nella concezione socialista e nella concezione fascista. Stato dì partiti ; Stato-partito. Il partito totalitario ed il partito unico. Differenza, non identità fra le due nozioni. Il partito unico può intendersi in due sensi: in senso giuridico o formale come ente processuale ossia come organo della rivoluzione. In senso sostanziale come ente politico ossia come organo dello stato. La giustificazione del partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario come organizzazione militare . passaggio dal Partito-Stato allo Stato-partito. LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA. Considerazioni generali sul fenomeno storico-politico della dittatura. Esposizione e critica di alcune opinioni sulla dittatura. Le crisi dello Stato e le rivoluzioni. Distinzione, classificazione e analisi delle varie forme dì dittatura. La dittatura costituzionale. La dittatura rivoluzionaria.. La dittatura polìtica. La dittatura eroica . PARTITO - REGIME STATO. Posizione e determinazione critica e metodica del concetto di regime. Il concetto di regime nella recente dottrina politica e giuridica ita­liana . Il concetto di regime in rapporto a quello di rivoluzione. Il movimento interno ossia la dialettica del regime. Le istituzioni del Partito e quelle del Regime : le istituzioni del Regime e quelle dello Stato . IL CONCETTO DI STATO-PARTITO. Lo Stato-partito. Lo Stato dei partiti; delle leghe; dei sindacati (Partitismo; Leghismo, Sindacalismo). Il partito rivoluzionario; il Partito-Stato; la formula politica. Modernità del concetto di rivolurione e di partito rivoluzionario. L ’unità e la continuità dello Stato ; la vicenda e la successione del­le forme di governo. Socialismo rivoluzionario; riformismo; bolscevismo; Fascismo. L’esperienza sovietica russa. La classe. La Nazione. Lo Stato-oggetto; il partito-soggetto. L’esperienza fascista. Contraddizione sovietica; verità fascista. Il problema giuridico del P. N. F.. Dal Partito-Stato allo Stato-par­tito. Insurrezione e dittatura come torme logiche della Rivoluzione. Lo Stato-formae lo Stato-sostanza. Natura e scopo del P. N. F,. Istituzione ed organo dello Stato. Nuovo concetto degli organi dello Stato. L'uno politico: lo Stato; il pluralismo sociale. Sindacati. Il Partito e i Sindacati . L’università del Fascismo; suo presupposto: il partito unico .  SCRITTI FIL030F1GO-GIURIDICI E DI DOTTRINA DELLO STATO. Il Diritto e l’autorità, Torino, Pomba. Le ragioni della Giurisprudenza pura, Roma, Rio. Inier. di Sociologia, Il concetto della guerra giusta, Campobasso, Coluti, Lo Stato giuridico^ nella concezione di Pelrone, Campobasso, Coluti. Introduzione alla Società delle Nazioni, Ferrara, Taddei. La Lega delle Nazioni, Ferrara, Taddei. Lo Stato di diritto. Città di Castello, lì Solco. Il socialismo, la Filosofia del diriilo e lo Staio, Città di Castello, il Solco, Lirillo, Forza e Violenza. Bologna, Cappelli. Staio e Sindacati, Roma, Rio. Inter. di Filos. del Dir. Consenso ed apatia, in Annaii dell'Universilà di Ferrara. Filosofia e Polilica del diritto, Milano, Rio. di Dir. Pubb. La Politica di Sismondi, Roma, Rio. Inlern. di Filos. del Dir.,  Il Sentimento detto Stalo, Roma, Libreria del Littorio, Diritto sindacale e corporaliuo, Perugia, La Nuova Italia, Stalo e Diritto, Modena, Le leggi cosittuzionu/i del Regime {Relazione al F Congresso giuridico italiano) Roma, Popolo, Nazione e Stato, Perugia, La Nuova Italia, Allgemeine Theorie des faseslischen Staales, Berlino, Walter de Gruyter, SCRITTI POLITICI Il Socialismo giuridico, Genova, Libreria moderna, Il Sindacalismo nel passalo, Lugano, Pagine Libere, La persistenza del diritlo, Pescara, Casa Ed. Abruzzese, Sindacalismo e Medio Eoo, Napoli, Casa Ed. Partenopea, Stalo Nazionale e Sindacali, Milano, Imperia,  Che cos’è il Fascismo, Milano, Alpes, Lo Stato Fascista, Bologna, Cappelli, Il riconoscimento rivoluzionario dei Sindacati, Roma, Il Diritto del Lavoro  Sindacalismo, Torino, Pomba, Rivoluzione e Costituzione, Milano, Treves, La fStoria» del Sindacalismo fascista, Roma, Quaderni di segnalazione, Riforma Coslltuzionale {Le corporazioni; il Consiglio delle Corporazioni, il Se­ nato), Firenze, La Nuova Italia, Economia mista {dal Sindacalismo giuridico al Sindacalismo economico), Milano, Hoepli,Alighieri esalta nel suo De Monarchia 1’ordinamento gerarchico del mondo conchiuso nell’idea imperiale; pocoappresso Marsilio da Padova fonda sulpopolo 11diritto didarsiunproprioordinamento giuridico, secondo le speciali esigenze di ogni gruppo sociale, e Bartolo espone nel trattato De regimine sivitatis le varie forme dei governi, secondo l’autonomo diritto  delle cittàe dei regni; finché Enea Silvio Piccolomini avanti il definitive tramonto dell’idea imperiale, traccia a grandi linee, nel Libellus de ortu et auctoritate imperli, il disegno dell’ordine politico dell’ universo, secondo la disciplina dei gruppi sovrani gerarchicamente congiunti nell’impero. Solmi. Sull’autonomia nel DIRITTO ROMANO, si veda Marquardt, ORGANISATION DEL’EMPIRE ROMAIN, PARIS, e per il concetto giuridico moderno Regelsberger Pandekten, Leipzig, e la letteratura ivi citata. Le dottrine dei giuristi medievali sono esposte dal Gierke Deut. Genossenschaftsrect Berlin Su ALIGHIERI (vedasi), sarebbe da vedere il mio scritto in Bull, della Soc. Dantesca; su Marsilio e Silvio, cfr.Rehni Gesch. Staatsrechtswissen schaft, Ereiburgi. su Bartolo, lo scritto del Salvemini, Studi storici Firenze Solmi, la co-operazione, lo stato come cooperazione – lo stato come la cooperazione ideale – cooperazione volontaria – cita. Sergio Panunzio. Panunzio. Keywords: stato, nazione, razza, popolo, popolo e nazione sono cose distinte – la nazione ha una valore plus sopra popolo. Razza e distinto a nazione – una rivoluzione basata sulla razza – la concezione della razza e della nazione, l’italianita, la romanita, il ventennio fascista – la filosofia giuridica previa al ventennio fascista – morte di  P. L’altro P. Concetti. Citazione della teoria dell’aristocrazia di Mosca, non di Pareto, citazione di Labriola, critica al stato prussiano di Hegel, l’ordine, Mazzini, la revoluzione causata per comunisti, la dittatura fascista, il dittatore eroe, cita de Martinis, l’eroe non e senso sociologico di Martini, ma filosofico. Il concetto di la nazione italiana, il concetto di Roma, la luce di Roma, la storia italiana, il concetto di stato-nazione, il concetto di stato-razza. Citazione di “La mia battaglia”, citazione di Mussolini. Scritti sistematici, evoluzione della teoria dello stato fascista – positivismo, assenza di elementi mistici. La revoluzione de perturbi e morbidi comunisti al ordine del reglamento, la dittadura come reazione alla revoluzione, il concetto di stato, popolo, nazione, antichita romana, i sindicati nella antica roma, i sindicati nella Firenze medievale, il comune del comune, la citazione della monarchia d’Aligheri, Marsilio di Padova, e Machiavelli. Il concetto di ‘stato’ nei romani. Definizione concise. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library. Panunzio.

 

Grice e Panunzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- ventennio fascista – la scuola di Ferrara -- filosofia emiliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Grice: “I like his ‘contemplazione e simbolo,’ for what is a symbol for if no one is going to contemplate it!?” -- Essential Italian philosopher. FIGLIO di Sergio, il più noto filosofo del diritto e teorico del sindacalismo rivoluzionario. Ligato alle correnti conservatrici e contro-rivoluzionarie italiane.  Studia a Roma sotto ZOLLI. Insegna a Roma. Come Grice, alla Regia Marina, partecipa ad operazioni di guerra nel mediterraneo contro Capt. H. P. Grice, e viene insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Collabora con “Pagine Libere”, “L'Ultima”, “Carattere” e altre riviste specializzate in studi filosofici. Si muove nella direzione di un simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali elementi. Fonda a Roma la rivista del tradizionalismo, “Meta-Politica”. Pubblica saggi in una collana a cui darà il nome di "Dottrina dello Spirito Italiano". Il concetto di “meta-politica” è al centro del dibattito sulle radici europee da parte degli esponenti della destra e il culto del pagano (anti-cattocomune) di Benoist. Cerca di ri-condurne l'orientamento tradizionale, iniziatico, e simbolico. L’imponente biblioteca del padre è donata a Spirito che ne custodisce in gran parte anche l'archivio di famiglia.  Altri saggi: “Contemplazione e simbolo”; “Summa iniziatica occidentale” (Volpe, Roma); “Simmetria, Roma); “Metapolitica, “Roma eterna”, Babuino, Roma); “Luci di iero-sofia” (Volpe, I Classici Cristiani, Cantagalli, Siena); “La conservazione rivoluzionaria. “Dal dramma politico del Novecento alla svolta Meta-politica del Duemila”,  Il Cinabro, Catania Cielo e Terra, “Poesia, Simbolismo, Sapienza, nel poema Sacro,  Metapolitica, Roma ; Cantagalli, Siena Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis”, Gl’Eroi, Cantagalli, Siena, Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis” Siena, Cantagalli, Princípio, Appello. Storia ed Eségesi Breve. Precedente Storico e Agiografico, Roma, Scritti remoti  L’anima italiana, Sophia, Roma,  Difesa dell’aristocrazia: Pagine Libere, Roma Gismondi, Roma, Foscolo tra VICO e MAZZINI nello spirito italiano, Gismondi, Roma, Sull’esistenzialismo giuridico” (Bocca, Milano); “Tradizione, L’Ultima, Firenze; “Cosmologia degl’antichi romani, Dialoghi, Roma, Ispirazione e Tradizione -- Città tradizionali e Città ispiratrici --, Carattere, Verona  Lo spiritualismo storico di Sturzo, Per una rettificazione metafisica della Sociologia, Conte, Napoli Scritti, S. Benedetto, Parma   La Pianura, Ferrara, Atanor, Roma. Schena, Fasano,  Ristampe e nuove antologie  Difesa dell’Aristocrazia, Quaderni di Metapolitica,  Roma  I Quaderni di Metapolitica, Roma  Vecchie e nuove cosmologie, Avviamento alla “Scienza dei Magi), Per una rettificazione metafisica della sociologia, Lo spiritualismo storico di  Sturzo, Sull'autore:  Testimone dell'assoluto, “L'itinerario umano e intellettuale di P.”, (Eségesi di 12 noti Scrittori Italiani), Ed. Cantagalli, Siena, Dalla metafisica alla metapolitica: omaggio, Simmetria, Roma.  Inediti. In corso di stampa Note  Olinto Dini, Percorsi di libertà, Firenze, Polistampa, Scirè, La democrazia alla prova, Roma, Carocci. Combattente nella guerra, rimane chiaramente,  un teorico del fascismo. S. Sotgiu,  in Il Giornale, Tradizionalismo (filosofia. Silvano Panunzio. Panunzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Paolino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dizionario filosofico portatile per ginnasti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “In England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia, Roma, etc.” Autore di quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat, ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana), che quello studio non e veramente fondato da Federico II di Svevia, ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero fondatore.  Opere: Giangiuseppe Origlia, Istoria dello studio di Napoli,  Torino, Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general, and then the social contract in particular. This sets him to analyise such duties which are addressed to the other members of the civitas. Paolino is alo the author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical touch about it, if you are into a first  thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly popular in Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather, it is more natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as possible, and philosophers followed.” Di tutte adunque le società del mondo non e ch'una ftetia l'origine , perchè tutte, giusta il vostro avviso, nonsìmisero inpiè, nèsi formarono, se non secondo le diverse nécessità, e bisogne degl’uomini. Anzim in tutte altre sìsi ha un istesso fine perchè non si risguardò ad altro, se non al commodo, e dutile commune de socii. Ma quali sono le società particolari, che sarebbero state mai nel Mondo inufo, semante nuta si fofle ben falda, e stabile la società Universale (A )? (A) Egli è fuor di dubbio che gl’uomini, essendo tutti in obbligo ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'uno come non nato, per se medesimo, dovendo non che al proprio anche all’altrui commodo badare, quando ciò tutto esattamente osservavano, non venivano a comporre che una società universale in guisa che niun diefi considerarsene potea al di fuor. Quindi divero io non  M. La  271 safidica l'Eineccio, il quale tutto scaglian, dosicontro il Puffendorfio, che trattiavea, e deafai malamenge inferiti tutti gli obblighi, e gl’umani doveri della società, soggiugneto, jto ch'era uom tenuto soddisfara tuttiquegli che Uella ,ch'è la più vera, e la più saggia, antichità del e la sola infallibile maestra dell'umana Ginnasio Na   II. Cosa fossero  prudenza si lasciarono in dietro di gran lunga ogni altra nazione. Quindi, giustache scrive Dion Crisostomo agl’Alessandrini sull'autorità d'Anacarside, non vi fu città della Grecia, che non avesse avuto il suo Ginnasio. Questo solo basta di presente supporre per farci sicuramente acredere, che Napoli Città oggi dall'eterna divina provvidenza maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile, e doviziosa potrebbe mai l'uom brą mare; e sopra tutte l'altre ben culte città dell'Europa, e per le scienze,e per l'armi, e per lo Erano presso de Greci questi Ginnasj alcuni grandi, stati i Ginnasi e magnifici edifizii con ampii portici, e stanze d'ogni ca onde venifer opacità, luoghi coverti, e scoverti, ombre, ed altrepref così deti: eso che infinite comodità, ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la lor forma. Oppinio non meno nell'ARTE GINNICA che nelle scienze, e nelle fa  pari celebre gran trafficodi essendo stata, come tutti fuor versia asseriscono, fondata di ogni contro l'altre da Greci, ha anch'ella come della Grecia il suo ginnasio finda' suoi cominciamenti Infatti STRABONE, che vise che a’ suoi al tempo di OTTAVIANO, scrive, giorni questa città avea ancora ti che Greche costumanze molte dell'an , come le Curie, le l'Efebeo,e altre d ital Fratrie, fatta. E con queste ha il Ginnasio. Né v'ha scrittore al tresì osi su questo muover di buon senno, che ombra di dubbio e ne di coloro che arti liberali; onde sotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto il luogo prendersi, per così dire, due diverse accademie proprio per le, e due Scuole, ribut ta varj, e diversi generi di Scuole, cioè: quelle dell'arte ta comefavolo- bellica , e quelle delle scienze, e delle belle lettere. E niodi molti çe perchè a coloro, che applicatierano alla Ginnica, e per lebri scritori. Io gran novero loro, e per gli esercizi, che far doveano, come il corso, la lotta, il salto,il pancrazio, il di Strab. 1.s. fco,   . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento d'altro, semplicemente O ti Ginnasj. Per la qual cosa alcuni nel progresso del tempo non badando che al semplice suono del vocabolom con cui chiamavansi, li credettero non per altro essere edificati, che per un tal mestiere: opi stati esi prima , forse il primo, Crasso presso CICERONE che porta la ne, e tra gli altri , che in questi ultimi secoli sostennero fi furono MERCURIALE, e Pier L a però avendo per certo, per quel, che ne scri sena. Noi Ginnica non e pove Galeno a Trafibolo, che l'arte sta in voga nella Grecia, che alquanto prima dell'età di Platone, e che in Grecia, come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero, il qualee da molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino, Filamone, Tamiride , e altri fioriti stesso Omero, sono vị le Scuole delle belle lettere fino da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto, che amtici, I Greci altro allor non avessero pliare que’ medesimi edifizj, fatti molto tempo prima non per altro fine, che per le scuole, e chiamatigli per le ragioni, che testè noi accennammo, Ginnasj:poichè Crasso steso, il quale e il primo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio maggiore, e asai più grande diquello,che bisogna percoloro,che istrụi vansi nell'arti liberali, e venivano per questo ad occupare buona parte di tali edifizii; sono questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla voce greca yújrow , che tanto vale quanto NUDARE nel nostro e . CICERONE De orat. Apud Anson.Vandal differt. 8. de Gymnasiarcb.  ingenuamente egli anche lo attesta, a metter in campo un sentimento a questo del tutto opposto. Parlando del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche scuole delle scienze non era allora in costume d'aprirsi in altro luogo, che ne' Ginnasi; e che per quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà state erette. Ego alio modo interpreter (dice egli) qui primum Palæstram e sedes deporticusetiam ipsos, Catulé, Grecos exercitationis, eg delectationis causa, non disputationis invenisse arbitror; et sæculis multis ante gymnasia inventa sunt, quam in his FILOSOFI garrirecæperunt; hoc ipso tem porecumomnia Gymnasia FILOSOFI teneant tamen eo rum auditores discum audire, quam Philosophum malunt etc.  Per verità non v'e ginnasio nella Grecia, in cui non vi fossero queste Scuole. Cosi leggiamo,che in Atene nel “CINOFARGO”, il quale e un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone, sono vi tra l'altre Scuole, quelle della setta “cinica”, dalle quali egli anche ha il nome, e nell'ACCADEMIA e vi l'uditorio di Platone come nel LIZIO quello d'Aristotele. Anzi accolto, ovvero al di dentro d'alcuni celebri ginnasii trovavansi non meno delle scuole, che delle famose, e celebri biblioteche; come sappiamo diquello parimente in Atene, che avea dappresso la celebre BIBLIOTECA di Pisistrato, rammentata da Girolamo, e da altri, e quello in Rodi, della cui celebre Biblio Schol. Ariftoph. Pace Xenophont. In Hippar. Plutar. Symphofilo vi11. q. iv. Suid. Pauf. in Artic. Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14. Gell. l.vi.c.17. Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor. orig.hiv1.3. a Р ерос Suid. Pauf. in Attic. Schol. Ariftoph. ad Nubes ec. Ammon. vit. Aristot. Plutarch. De exilio. CICERONE . q. TUSCULO] teca parla Ateneo; é per questa stessa ragione per cui sempre ai ginnasii accoppiavansi le scuole delle lettere, troviamo che molti valenti uomini, e dotti scrittori applicarono in molti luoghi delle lor opere questo vocabolo, a significar non altro, che queste, quasi per eccellenza; essendo lo studio delle scienze molto più nobile, e sublime di tutti gli esercizi ginnici. – l’archi-ginnasio di Bologna – la prima universita --. III. che h una con quello nello stesso tempo le Scuole nide le Scuole Atben. Biblioth. l.1. dipnofoph.c.1. Senec. epift.76. ut 0 1, Supposto adunque pervero, come lo è infatti, Tenimonianza che Napoli, come città greca, ha il suo ginnasio fin di Seneca, e di da' suoi primi principi, egli convien credere anchevero, tri autori Lati . di Napoli : delle belle lettere; senza le quali nella Grecia, come Scienze che vi abbiam detto, non si forma Ginnasio; e certamente s'insegnarono; di queste, di cui è solo or nostro assunto il favellare ,vifiorirono. parla Senecainuna sua pistola, nella quale, come dalle parole, che poco fa da noi fi allegarono di Crasso, con lui filagna presso CICERONE di que’ giovani, che al meglio delle lor lezioni lasciavano i lor maestri nelle Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lotta, e gl’altri ginnici esercizi. Così egli fiduole fortemente col suo LUCILI, che nelle scuole della nostra città visto avea far cerchio ai filosofi, giovani in nove romolto pochi al paragone di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro, il quale, come egli narra, e in questa Città non guari distante dello stesso ginnasio, Pudet autem me generis humani -- scrive egli -- Quoties Scho lam intravi, prater ipfum theatrum neapolitanum  Il fcis, transeundum eft, Metro nacti spetentibus domum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio, quis fit Pithaules bonus, judicatur. Habet tibicen quoque Græcus du præco concursum: at in i lo loco, in STAL: quo ritur, in quo vir bonus discitur, paucis simisedent; et bi plerisque videntur nibil boni negotii babere, quod agant, inepti cu inertes vocantur. i più nobili della Città non isdegnavano neppur d'inviarvi per tal fine i propri figliuoli; poichè egli scrive, che portatosi in Napoli con Giuliano, professor di rettorica udito vavea un giovinetto molto riccocum utriusque lingua magistris -- per valerci delle stesse sue parole 00 meditans, exercens ad caul'as Roma orandas eloquentia Latina facultatem. Quanto alla Filosofia, la dottrina dell’ORTO, la quale venne da'più dotti dell' antichità ricevuta con applauso, e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Ottaviano; e quella , che in queste medesime scuole avea MAGGIOR VOGA; come par che si conobbe da una iscrizione,che fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle della Sanità , non guari distante da quella Chiesa sopra alcune urne, che state sono per quel che n'appare, dell’ORTO.. Poichè in alcune di quelle vedeası il nome di alcuni celebri filosofanti di questa setta, scritti con caratteri Latini leggevasi; manonbene, e oscuramente. E come apprendiamo da Gellio, che fa anche di questo ginnasio onorata memoranza vir bonusque. 3 DELLA e fiori al quanto dopo Seneca; al suo tempo in queste scuole nell'istessa guisa, che in quelle del ginnasio di Cartagine rammemorato da molti Autori, s'istruivano i giovani non meno nelle scienze che nelle lingue; e I più  Salvion. Hieron. In Catbalog. Jone Proph. Aug. conf. fc. Celan. Giorn. 3. delle notizie di Nap. STALLIVS.GAIVS.SEDES HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri , che in tali Scuole insegnarono le lettere umane e le lingue si conta Stazio Papinio nativo di Silta, Città dell'Epiro, che fiorì circa al tem po dell'Imperadore Domiziano; padre di Publio Stazio; il quale, come dal costui poema fi ravvisa espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, come Omero, Esiodo, Teocrito, ed altri di questo genere; e tra coloro, che v'insegnarono le scienze filosofiche, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu contemporaneo, co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo stesso fuo Lucilio;e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben lungo,e distinto catalogo , poichè i lumi , e le memorie della Storia totalmente ci mancano ; non però egli è certo , che essi furono tutti di tanto sapere adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let terati venne ella d’ ROMANI concordemente non con altro titolo chiamata , che di dotta, e studiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero COLUMELLA in parlando di Napoli, non con altro epiteto nominol la>,che con questo: Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale col seguente verso: bi  di 00 .1 >1 li al Papir. Star. flvar. s. epiced. inpatr. Senec. ep. Er Oras. Epod. Ad Canid. Sil. Italib. Stor. Syluar. Ovid. Metamorpb. is.  Napoli, quanto Illo VIRGILIO me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città più della loro Costantino. Sen.ritroviam nellaStoria, che avessero eglinofino nel cadi li, che vogliomento dellor Imperio maggiormente frequentata; equel no, aver Titali sopratuttolafrequentavano, se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de a Strabone che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo allostudio delle lettere, edelle scienze. marmo,cheog  Et quas d o &t a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiis florentem ignobilis oci. E tra perquelto conto i Napoletani, e per laGin comebenrifletteil Bembo inunasua pistola, fu mandato , e mantenuto da Augusto in questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli , egli riporta a' favori di quel Principe il suo Napoletano ozio, cioè, studio con quelle parole: Deus nobis hæc otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che: che visicolei nica , la quale nel si. lor Ginnasio esercitavano anche con vavanofofefta somma diligenza e con tutta la magnificenza del Mon ta FREQUENTATA DA’ ROMANI; edo,divennero universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Imperadori fino a gi fi conserva Quindi LUCILIO, che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra la fontere delleSatire, non solo visse, ma anche morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani, comeattefta Quintiliano,e Cicerone, il strato falso ; e quale v’ebbe anche un'abitazione e Virgilio, dicui di che propriamente in efoabbiam favellato, Orazio, Livio, Marziale, Silio Italico - fac cialimenzio --, Claudiano , e tutti gli altri tra gl’antichi , ne mar che mo rapportato mercè dellor saperelasciarono a'posteriillornome im in cuilafenzamortale, abitarono in Napoli perpiù tempo; anzi dubbio fi parla delle Scuole . molti Bemb. lett. 27. Strab.l.3.infin. Quintil. CICERONE ep. famil. Crinit. de Poet. Latin. Philoftr. Icon. Sil. Ital. per  9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone  brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini; cosa, che i Greci non erano molto larghi a concedere; feb bene su ciò non tuttiusassero lastesa moderazione: Ma non meno de’ privati CITTADINI ROMANI,visita rono questa nostra Città glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare, il quale, come scrisve CICERONE inalcun tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo nelprincipio della lor guerra, gli mostrarono,come scrive Plutarco,moltisegnid'af fezione, gli altri tutti fino a Costantino, lebbero per le stese ragioni anche molto cari: così che eglino molte prerogativen'ottennero. Il perchè TITO, chesuccef se a Vespasiano circa l'anno 79.. dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti accaduti al suo tempo , a cagione di unobengrande incendio del Monte Vesuvio rovinati molti luoghi vicini ; e traquelli, come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in Napoli anche il Ginnasio: egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo ristorare: e comunalmente fivuole, che di questo fatto ne faccia anche oggi giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la quale tuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata , ch'è la seguente, riferita anche dal Grutero, non cheda tuttiinostri Istorici, li quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa memoria delle scuole, ch'esistevano nel Ginnasio. 100 Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a . B  Cic. pro Archia. Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman.  CICERONE Ad Attic.l.10. ep.11. Plutar.inPomp. V. l'Autor della Stor. Civil. Del Regn. lSueton.in Tit. cap.12.b.i. Gruter. Infcript. oper. & locor. publicor. Capacc.ift. l. 1. c.18. Bened. di Falco Antich. Di Nap.&c. TI  ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ ΤΟΙ OE TIIATOE TO H TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI ·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli, ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga , per dubitare se in esso si tratti del Ginnasio; o v ver più tosto dell'antiche Terme , come più probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti per ordine di Tito ,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito dal Capaccio, ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET IMAGINIBVS  ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18. . E per   .I. 11 E perverità ebberoi Greci in costume di adornardi statue, e d'immagini ilor Ginnasj, con riporre quellede più celebri Atleti, ed icoloro, che si erano più nella Ginnica refi immortali, ne’luoghi, ove l'arte esercitasi. E quelle de’ gran FILOSOFI nelle Scuole; come del Ginnasio diTolommeo celebre in Atene narra Pausania Per la qual cosa se non a Tito , sicuramente ad Adria no , che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano. Di quanto narrasi in questo marmo convien darsi il vanto. Poichè questo Imperadore, come scrive Sparziano  inomnibus pæne urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore della lor Repubblica. Come prug va il Reinesio  contro il Capaccio, ed altri,che cre dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fa chiaramente conoscere, che il Ginnasio, e le scuole in NAPOLI sono ugualmente celebri di queste Scuo non meno prima, chedopo che questa città fi: sottolefinoa Costan mise aldominio de Romani; poichè febbene i Napole tanidall'anno diRoma,come sostienetraglial triil Reinefio finoad Augufto, edanche molto tempo dopo, toltone il tributo, che pagano a’Romani, essendo stati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed. amore ,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di Colonia, Paulin Attic. Cic. De finib. Spart.in Adrian. Reinef. var. le&t. l.3.0.13. Lo Meliovariar, bection 6.3. 6.16 20 CO) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi B 2 Cih   e refi più soggetti,preso avessero a dismettere gl’antichi greci inftituti. Tutta volta seguirono pur eglino, come manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica , e tener te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere di scienze. Ma in quale regione della nostra città situato esse le, e del Ginna-questo Ginnasio, molto'vario è il sentimento degli Au tori. Alcuni credettero, che le Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea; non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ; poichè o fi vuole, che queste scuole sono divise dal GINNASIO. E ciò quanto sia lungi dal Summon.  le cole che di sopra abbiam detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no , come in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello; e giammai si verrà a mostrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro, diverso da quello, che di sopra divisam mo; ma questo anche quanto sia inverisimile, anzi impossibile chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge; come dire: che Napoli a tempo parimente di Ruggiero Normanno dopovarj, e diversiac crescimenti diedifizj, ediabitanti, nonera, che'una Città molto picciola, etale,chefatta da quel Remi. surare, non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di pallil;onde ove:mai figurarvifi voglia notanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella magnificenza,ed a m piezza , ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po trem VI. Sito delle Scuo vero ,   tremmo mai concepire; senza che in sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. Seguente sillogismo. Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per li Ginnasj esser debba il mezzo della Gittà: aveano questi, secondo gli antichi, il più dappresso le Terme; e come si deduce da Stazio nel Ginnasio de’ napoletani era vi un tempio dedicato ad Ercole. Orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questa regione, veniva egli ad aver tutto ciò; perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica Città; avea nel suo distretto le  chi IK er qual sopra tutti ik prese a difenderla, avendo preso, a scrivere di questo GINNASIO, che per la morte sopraggiun tagli, non potè terminare; fi appoggiano del tutto sul Altri all'incontro furono di parere, che il Ginna fro occupasse propriamente quella regione della Città, la quale per le Terme, ch'erano nelsuo distretto, chiamossi Termense; e si vede anche dagl’antichi filosofi chia mata Erculense, come chiamola Gregorio nelle fue pistole perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole oveoggièla Cappella detta S. M. Ad Ercole e dopo fu chiamata,comeparimente or fichiama,di Forcella. Non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il credere dalla scuola di Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera biforcata Y ;ma si bene , giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela, quelta lettera, che finoggimiriamo scolpita in un antico marmo sopra la porta della Chiesa Parrocchia ledi S.Maria a Piazza; e diede ilnome a tutto il quartiere. Quegli,che'fifostengono inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 Gregor. Terme, Terme, ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole. Dunque, eglino conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse. Pur tutta volta, posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al fuo tempo, ma soltanto di quel che bramava, che si costumasse. Poichè sappiamo per certo che tutti i GINNASJ eretti erano fuora delle porte della Città, o a can to a quelle , come lungamente pruova Meursio, e tutti gli altri, che dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme esser potevano, come realmente sono anche in altri luoghi di Napoli, e cosi pure il Tempio in onor di Ercole , il quale ove fifuppone accoppiato al Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magnifico, ma per ben picciolo,e come un nostro Oratorio, o Cappella; nè creder, che questo fosse stato solo, ma con esso insieme congiunti, o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima formaerettiinonordiMercurio,di Apollo,di Cupido, e di altro Dio di questo genere, del Teatro, e Somma piazza. E per verità quiviiveg gonfi! ancheoggienellecase, che diciamo dell'Anticaglia , e in tutta quella vicinanza, ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro , e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine Avvocata, volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera laterizia, e condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj; devequestosentimentoanche con tutta ragione: ributtarfi. più koNon pochi finalmente contesero, eforsecon saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio, e 'l Teatro stati fossero in questa città in una stessa,verso quella contrada, che anticamente dicevasi saparte fe secolo, quella di Berito  e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra Viil Celan. notiz. di Nap. Giorn, 2.  V.Plutar.inopusc.viramepicur. non esse beatam.Strab.l.s.& Philostr. in Po lemon.] Spartian. In Adrian, Sueton. in vit. Claud. Gronov. dissertat. de Museo. Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet. h.n.c.quietate velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. V.l'Autor della Stor.Civile del Regnol.s.  dur NON Comunque però ciò sia, rientrando in nostro sentiero. Dopo che Costantino trasfere la sede dell’imperio dele Scuolede nellanuova sua Città, non vihadubbio, ch'egli, echedopotraj. Lita ove crediamo noi essere stato il Ginnasio , viene ad essere per avven tura fuor delle mura, ovvero accanto a quelle. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoe de nanza, di frequentar Napoli alla guisa, che ilorante - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche me- Womenerico da no da’ private cittadini romani frequentata. Ma non per tempo di NERONE questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani, eglio an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa , che in niuna altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono parimente le vestigia d’alcuni edifizj, che pajono non aver fervito che per leTerme. Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di già ricevuto nella Grecia, il quale come testé da noi notossi, e d'erigere questi Ginnasj fuora, o vicino le 1 porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0 pinionide'scrittorifisupponga, che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado. Per tro-rientali, accre varsi in molti luoghi delle famose Università degli Studj,  etonelIV.eV. delle celebri Academie , di cuiquella d’Alessandria Coʻ Leterati A stimonianza dal medesimo Costantino il Grande portavano 10-fa Agostino bilito netrai Napo 3 ita qual cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientali soprattutto in questi tempi, ne'quali trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a quella fu bordinata , capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento delle cose non solo non apporta niuno im pedimento alla letteratura napoletana. Ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali , che è troppo naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio dell'eloquenza, come attesta Agostino, che allora altresì ,vivea. Perchè scrivendo egli contro gli. Grice: “You can see the difference between Rome and other civilisations in that the philosophical gatherings – as Austin’s were at my St. John’s – or the Athenian dialectics’ were at the Lizio, the Accademia, and the Cinargo – the Romans preferred to meet at Scipione’s! Call it Roman gravitas!”  DE’ PRINCIPI    DEL DRITTO   NATURALE.   Filofofo,e Giureconfùlto Napoletano. NAPOLI. Predò Giovanni di Simone  CON HCSNZJ P*’ SVfS RIQKl.    AL SIGNOR   D. NICCOLO’ MARTINO   " %   Pubblico Profeffore di Matematica  ne’Regg j Studj di Napoli, &c.   v.   LETTERA   Dell’autore , che ferve anche cP introduzione all * Opera.  Uefta picciòla operetta , che ora ho rifo-    luto di efporre al  pubblico , Stimatif-  fimo Signor mio  , fìt  da me comporta, fono già quattro  anni , per foddisfare al defiderio di  \ina Dama , che per fu a propria   a a i itruzione con premuro!! , ed au-  torevoli impubi mi avea coftretto  a darle in ileritto una chiara , e  generale -contezza di tutte le parti ,   della Filofofia , di cuiella fu.  preifo che la conchiufìone . La ragione più forte , per cui mi fono  mcflb a farla comparir fola , lènza , che vi liano unite Y altre ope-  re fi lo fo fi che , delle quali fu par-  te , ella è la lpéranza di poter col  fùo mezzo , più , che colle altre  contribuire in qualche parte , e  per quanto fia poffibile al profitto  de’giovani , eh' è fiato fèmpre  mai, e farà’ il termine unico de'  miei ardentifiìmi defiderj: poicchè  conofeendo quanto abbondevoL  mente datanti valentuomini fiali   • «k 4 *,   travagliato a prò de’giovani, facilitando con tante lodevoli maniere tutte le più intricate q milioni  della fcienza fìlofofica , pareami ,  che quella fu blimc , enobiliflìma  Tua parte della r agion Naturale ,  che pur contiene non men’ una  buona parte della Morale , e della  Politica, che la vera origine di  tutte l’umane obbligagioni, man-  cale di un’ ordine facile, e propor-  zionato alla capacità de’ Scolari $  lo che pareami non eil’erfi fatto fin  ad ora in tante Opere di eccellenti  Giureconfulti  , e fapientiffimi Fi-  lofoii , che tanto bene han tratta-  ta quella materia , eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti , e proprj per gli uomini  provetti , e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir occulta im-  percettibile forza, che difpone per   a 3 mezo di tanti improvifi avveni-   , e fapientiffimi Fi-  lofoii , che tanto bene han tratta-  ta quella materia , eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti , e proprj per gli uomini  provetti , e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir occulta im-  percettibile forza, che difpone per a 3 mezzo di tanti improvifi avveni-  menti di -noi, e di noftre forti, e che  firn dal momento in cui giunfi in  gualche modo a comprendere per '  quelche a coloro, che fon racchiufi  Nel tenebrofo carcere , e  nell * ombra  Del mortai velo ;  vien permelfo , qualche cola dell’ordine, e del decreto delfeterna , e  di vina prò videnza, determina varai  alf elercizio della lettura, che dopo 4   tante variazioni di mia fortuna,  ho profeflhto per otto anni} a ni un’  altra cola mi ftimai obbligalo di  porre maggior Studio , che in prò-»  vedermi d’idee le più chiare, e  nette , come quelle che fono le più  neceifarie per ben comunicar a’  giovani gli precetti di quelle  fcienze , che vogliono apprendere,   e lo-   e lor tutto dì s’infegnano . E per-  chè a ben* illuminar la mente di  coloro, ches’applicano allo Studio  > delle leggi tanto nella Città noStra  coltivato, e giustamente tenuto in *  pregio, utiliffima, e quafi necefla-  ria pareami la notizia di tutte le  rnaffime generali del Dritto Na-  turale , come quelle , che fcuopro-  no la. vera Sorgiva delle Società, de’  commercj , de’ contratti , de* pat-  ( ti , ed’ una infinità dì altre cole  di tal fatta , profittevoliffime all’  intelligenza delle leggi medefime,  ed aj buon regolamento della vita  umana, -credetti, che non efiendo-  vi ni un’ opera per quel , che io mi  fappia , che ne tratti , e tratti in  modo , che ficuràmente dar fi pof-  fa in man de’ giovani , il profi tro  de’ quali fopratutto ho avuto   a 4 lempre a cuore , non farebbe data  fuor eli propofito la mia fatiga .  Quindi proccurai di metter ciò ,  che avea penfato , e fcritto per  la divifata occafione nell’ ordine  il più naturale , e facile, 'eh è  quello de’dialoghi , come dalla  tavola de' trattenimenti , e de’ lo-  ro fommarj giunta qui da predo  lì vede , Icrivendo colla maggior  polli bil chiarezza 5 febbene per  tju cl , che riguarda lo Itile delìderato 1’avrei più puro e femplice ,  di che farò compatito da Voi , c  da tutti coloro, che fanno in qua-  li didurbi , e rancori io me ne vif-  lì per più tempo nè men dinanzi  di badar a tale opera , che dopo ,  cd in quedo ideilo tempo , che hò  imprefo di darla alla luce 5 e con  tal mia proteda gentilmente farò altresì fcufato preffo coloro , che  non fanno il tenor di mia vita.   Ma comunque ciò fi a 5 e fe nel  defideriò di giovare a tutti io l’ab-  bia fallita, pur non farà dannevo-  le quella mia volontà di procura-  re f altrui profitto , poiché colui,  che fi affàttica per il pubblico be-  ne , ancorché non vi riefca , pus  non deve privarli del premio di  effer creduto uòmo di buona vo-  lontà . Eccovi in poche parole fve-  lato il mio pen fiero , e quella mia  fatica quafella fiali, sì per impul-»  fo d* oflèquio al fuo merito , sì per  ragion di debito per tanti buoni  infegnamenti datimi , sì per infi-  niti altri motivi ad altri non do-  vea prelèn tarla , che a Voi Stima-  tilfimo Signor mio , perchè fem-  pre con una fomma , ed ineffabile gentilezza avete riguardato me , e  favorite le mie cofe . Tanto più ,  ch’eflèndo Voi dotato d’una men-  te fubiimc, che T avete arricchita *  di tante cognizioni coll’ indefejflò  Studio , per cui liete giuftamente  reputato per uomo di profondo  lupere, e.di politiflìma letteratu-  ra , di che fanno chiara teftimo-  rianza gli dottiffimi Libri delle  • Icienze Matematiche dati alla lu-  ce, potrete ben garantire queft’ope- j  retta dalle punture inevitabili del-  f invidia , eh’ elfendo la più abo-  minevole tra tutti gli vizj,pur  Tempre inforge a mordere chiun-  que li arrifehia di fottoporre alla  pubblica cenfura le fue fatiche.  Contentatevi di ricevere in buon  grado quelT attefhto del mio rif- ,  petto , c di quella profonda vene-   raz orazione , con cui ammiro Ja vo-  ffra virtù, perche accurato della  voffra protezione mi lulingo di  non incontrar difagio , e fac end o-  le riverenza mi raffermo .   i   Napoli.  «   Di V.S.    !    ^ Dhotifi. Obbligati y?. Servidore  Giangiufèppe Origlia P. Èrche il Perfonaggio, chea   fé 30 Voi conviene rapprefèntar nel  fl Mondò , egli altro al fin non   fa r$(fe non m’inganno) che di  un Giureconfalto, o Avvocato, guitta che la  voftra natura, o inclinazione, che dir voglia-  mo, e l’ educaziojrede* propri Genitori, non   fAoas^4 tyòxots M Òr' aJ$j  ine ’ e che non è la  ‘ qt !i aIe **’ * ^ »*   In/Ta*™ J l j mh fi nza ampiezza afille ,’   M“ i« alcun dì mi mortali d temi „,/ J   9 » e»trant Jìa-,t oppojla alle fu*   .Jan-    «**£•«* J/ r:> ikf'fr .ym^ A T * ^ .. 4   O) InftÙ DiVro. vi. S., i 4 ; Grot. de indul^. «$•««* '    TV V  *•;   *.i fck» 5   4r    • u   ¥    . ^di più oltre pafiando fi potrebbe altresì qon  ogni naturalezza arguire , che la giustizia,  o ingiuftizia dell’ umane operazioni , in   A4 fin    fanti tà , 0 bontà , non pub a patto alcu-  no , dalle ojfervanze di si fatta legete in  modo veruno difobbligarci ( f ) . Il per-  che agevolmente quindi pojfon tutti appren-  der quanto diffidi cofa fa , e malagevole  il giugner per Uomo alla cognizione non men  delle leggi de 9 Romani , che più di tutte V al-  tre barbare Nazioni al Mondo travagliarono  nello Jiadio del Dritto della Natura , che de-  gli fiatati , e delle confuetudini , 0 leggi del-  la propria patria , fenza effer fuperfdalmen -  te almanco di ciò frutto , eh' è la fola , e la  vera guida , che aÌP interpr et amento di quello  può mai condurlo , e con divilupparne il lor  Vero Jfenfo fargli conofcere , e capire quante  elle giujìef ano , 0 ingiujìe . Quindi Ulpiano .  quel che fopr atutto Jìimò nelle fue injìituta  tieccjTario da faperf per un Gìureconfulto ,   •* b° ni » & «qui notitiam ( 6 ) , lodan-  do Celf > 9 che defnito avea al dinanzi lui il   Gius :   C r ) Idem de indulg. c. a. & Uh. 1. c. I. de jur. Bell.   & pac. Pufendorf. c. ;.T. 2. §. 4. J. N.   C 6 ) L. i.de jud. Se jur.    Digitized by Google    8 DE’ PRINCIPJ-'  fin altro non fia , che quella conformità ,  e convenienza , che pofiòn mai quelle ave-  re , o non avere con sì fatte regole naturali  a tale, che confiderate lenza un tal ri/guar-  do, e di per se lòie , puramente come dall*  Uomo fatte ( come che ciò fi fofiè una me-  ra ipotefi,ed un puro liippofto ) totalmente  meritino d’ averfi per indifferenti. CoGius : ars boni , & aequi : Cosi fecondo attefa  Seneca appellarono gli antichi Giare con-  flitti il Gius della Natura , il perche CICERONE (vedasi) imputa a fomtno pregio , e gloria di  Sulpizio che : ad aequitatem , facilitatemque  omnia referebat , & tollere controverfias ma-  lebat , quam conftituere , per valermi delle  parole del dottijfmo Vives. Egli ha ciafcuna delP Umane azioni  una tal qualità , e condizione , che per fua  natura , giujìa il fenlimento di Platone nel  fuo convito , non fa in guifa alcuna nè turpe,  nè cnefa ; cosi , egli dice , è quanto adejjb  noi facciamo : il bere , per ef empio , il canta-  re , il difputare ; nulla di si fatte azioni  racchiude in se fconcezza alcuna , 0 onefà ,  I . . , ma   Apud todovic. Vives coranaent, sd lib» xtx.  c. ai. Ani?;, de Civit. DvLoco . !.. xix. ] ria dal modo filo con cui vien fatta , appren-  de ella il cognome , che ha , 0 di buona , 0 di  cattiva ; imperocché quanto noi facciamo fag-  giamente , e con rettitudine egli non è fi non  buono , e onejìo ; come quanto da per noi vi-  zìof amente fi opera non è , che turpe , e ifcon-  cio : T* in diverf l-oghi delle fue opere cer-  cò Jiabilire , e mojhare il medefmo Platone ,  come è molto ben noto a chi che non fa in quel-  le del tutto forajìiere . Il perche /ebbene a-  zioni veramente indifferenti fano il dìfpu-  tare , il ragionare , il camiuare , e altre si  fatte , non fi deve però il medefmo dell* altre  umane azioni afferire ; imperocché di tutte  quelle dalla cui nozione , o idea fi poffa con  ogni ragione per Uom ritrarre , e dimojìr are,  che faccino , o no mai a nqfìra perfezione , e  vantaggio , o utile , eh* è quell* appunto, per  cui a ciafcuna di effe V intrinfeca bontà, o  malignità s* attribuire , e imputa , non f può  per niun ver fi mai da chiunque penfi, siffatta  bontà , o malignità recar in dubbiezza ; comec-  ché   ' ( T ? A D 1 omen]co Bernino Iflor. dell’ Ercfie . Tom. i.  c. a. del leccio 2.   v -   • C Wt } D * luogo fopra.   ( ^ Heinec. v. nel luogo di fopra.    • * f\ - v».* »•* -* 1    dijcorfiy e del ragionare insìangujii termi k  m rijtretta ad altro per lui frvir non var-  rebbe $ che a fomminifìrargli una certa Spedi-  tezza per cosi dire , e dejìrezza vie maggiori  di quella i che fi ojjerva , e nell' operar   de' bruti ,eper aggrandir in ejjò in parte , «  accrefcer le fue forze naturali , «w non miga  ?.. ;> per indurre nelle fite assoni , è recarvi la  vera moralità , come cofa del tutto imponìbile,  fenza lo ftirito della leg0 , 0 un' infinità dii: vite dinanzi , che non  incìfe in noi quella ; egli e meJHeri dall * altro. U   • lerfo , che da fernoi Jì affermi , /z Ani , che per di-  fetto di que/fo firgget to , che ingiufo , o ma-  lignò avjfe potuto e fervi mai , o che quefa  .gi ufi zia , o malignità aveffe pur potuto ri-  durre in atto , non f pofi'a quefia al meri in  afratto concepir , da queìi'ijiejfo mentre ejfer *  rifiata , in cui la fantità vi fu , e la bontà f  come ccfa a quefa diametralmente, oppofìa %   e contraria ; e ciò tanto più , che non ci Jì per-  mette in guifa alcuna dubbitare , che l idee  di tutte quejì'e cape thè qua giù noi leggiamo  4 . fiate non vi fojjero nel divino Intelletto fin  * ab eterno ; é che per . ragione in quefio mede-  V fimo fi ebbe altresì accoppiata 9 e unita all  - idea deir Uomo , ch\in tempo a crtàr fi aveq 9 •  come un Sacerdote proprio della natura 9  !. r idea parimente del male , xhe quefii , cerne  creatura affai imperfetta» e finita potè a , g  dove a fare . Al dinanzi però dar fine a quefio  ,• avvertimento , avvegnaché fii alquanto più  lungo del convenevole. y non tyalafciamo qui  avvertir di vantaggi 0 » che fèbbene , que ’ mot-  ti deir*Apofiolo,da noi al di fi òpra recati', pec-  catimi non cognovi , nifi per lesero &st. alcu-  ni I interpretino per la legge Mofaica , vo-  lendo , che in noi per lo peccato la legge della  natura ottenebrata alquanto , pria della leg-  ge di Mose JìaveJJ e ciafcun portato a peccare  fienza certa , e ferma feienza , e che di quello  fiato dell Uomo favellaffe in vqrj luoghi  rApoflolo dicendo : che (\£ ) iìnejege pecca-  ta t , fine lego erat , fine lege puniebatur : non  già per al fermo perche molte delle fu e azio-  ni dinanzi ìa legge non erano in, guifa alcu-  na peccaminofiè., mafoltantq perche : non im-   . V V ,./* V ’ f. ’g'ri .,A.i A V"V P9 T '-«fr   r ( ré ) .Ad Ronwa.vv r. ad GopqtN.P*?.; v. ai.    4    •r«rr-r- « ygn»  y yr - 1 .. .*“   ' • * -& ’ - 4 » . ^ : a f| HPani-itn 1 o por meglio dire : 177.  dell’ultima edìzion' r. iG. e io.   Hiftor. verer.teftàm. diili • \  ChrifolU hic. Aug. !ib. u contra duas epift, Pe.   P ecu,n Artibrofiaft. Eli. Giop «c. recati cìaCalmet.  tield. luogo. ‘ ‘ • 1   C *0 ) .Hierorj. ep.ad Hedibaro.q.S. Paraeus gMa Cai-  meu d. l.> " ’ ’ ■' ' v '"' f *'   •v.    a    •}-*} M. Così egli è appunto j anzi da quello nd-  * IV. l’ ifteflà guila parimente Ilom vede mol-  to manifedamente , che H dritto Civile ,  e il dritto pubblico, non che, quello delle  Genti , o qualunque altro, vai io , e diver-  tì) dritto j eh 9 è tra noi , altro in effetto e  non Ira , o comprenda , che quelle ideile  regole della Natura diverfamente alle bi-  fògne , e necefiità degli Uomini applicate ,  e alle lor vàrie , e diverle operazioni adat-  tate , cpnfiderati or come membri di una  lòcietà univerfalc , or come membri di una  V - . : '*v lo-    f ^ \ . * • • ,   credere il S. Apofioln avèffi' in quejh luogo  voluto figurarci uri tlomo'at dinanzi degli an-  ni , in cui comincia ad ttfiar della ragioni ,  dìfiinguerla j e che perciò non opera tutto , (he  indifferentemente queir ifieffo , che in appreft  fio , e per la ragione gli fiàrd imputato a pec-  cato y e a vizio y dicendo egli di lui meàejimo  non guari dopo : ego autetn fine lege vivebamt  aliquando ( il ) * Onde fifa chiaro , che Pilo-  mo figurato da noi dopo il Grosdo , e il Puff  fendorfio fienza alcun In**? della ^oo,” r n - on  fi debba aver miga in effetto , e tener per  V , mcraipotefi . ' / ,   . '* ( zi )• V.9. è. ep.id Rotti, «bf v. Ang. Ics contri Ju-   liamum c. 1 1. Hicron. &t. apud Corndium'a I «pwt o.   » Vi •* . .•    ù’ a   focietà particolare , or altamente in altro  diverfo flato , e fortuna.   D. Si bene : ma come provarefte voi mai la   V. poflìbilità , e l’cflflenza di sì fatte rei  gole ?   M Egli è, vaglia il vero, colà certiflìma, e   • che non li può miga per niun verlò da Uo-  mo , che facci di fu a ragione un buon ul&  recar mai in dubbio. Ch’ ogni un di noi nell’operare egli fia Ifw  bero totalmente , e padrone della propria  volontà: e che per una sì fatta libertà  nulla mai di vero , o di fermo unqua nell!  giudizi delle cofe, che naturalmente noi  avertiamo , o appetiamo dal canto noltro  richiedendofi ( effondo pur il noflro intel-  letto affai dappoco , è fievole ) egli fi polla  per buono , e pier utile , o per onerto , e per  retto, che dir vogliamo , agevolmente  eleggere da cialcuno, e avere non meu  quel che in effetto e’ fia in fe tale; m 9 altre-  sì tutto altro, purché fi prezzi da noi , e  fi reputi come tale ( D ; .   B IL Due adunque fon le verità , che  qui da noi fi propongono, e me t tonfi al dinanzi  de nojtri leggitori come ben certe, e Mimo -   fra -  Jìrabili;come che ne ’ nofiri trattenimenti fulla  Metaffica fio no pur fiate elleno dffuf amente  mojìrate appieno # provateci quejìe fi è la pri-  ma la libertà , eh' ha ciaf c un di noi da poter  fare#d eleggere quanto mai gli sa buono # gli  và a grado , eh' è quello per V appunto , che da'  Scolajiìci dicefi d'ordinario indifferenza cPefer*  tizio; la feconda ella è, che non da altro y fal-  vo dalla fodere hi a , e molto gran limitazione  del noftro proprio intelletto n avvenghi il fe-  guir noi ben furente, ed eliggere un bene falfo  del tutto , ed apparente per un ben vero reale . Ad ogni modo per quel che può mai ri-  guardare alla libertà della nofira volontà ,  non tralafciamo qui pur di notare , ch' egli  non v' abbia a noftro credere tra le majfme  pejiilenziofe , e nocivi: allo fato , e al gover-  no di una Monarchia , o Keppubblica y ch' ella  ipeggior di quella , con cui fi vie n quejìa  a dinegare , o metterla in guifa alcuno in for-  fè j II perche per niun verfo mai ciò permet-  ter fi deve da Principi , e da Regnanti , giufia  rinveniamo , che dinanzi ogni altro fi fu l' av-  vi fo dell’ACCADEMIA; devendofi di neceffttà ,  ciò pofio per vero , riconofcer Dio altresì  per Autore , e per propagatore de' peccati , e  de ' mali degli Uomini , non che annullar to-  tal*    C ** ) De Republ. lib. ili   . j 9   talmente , e derogar ogni legge , ed umano fa-,  tuto ; Qgindi noi queir Ere/te piu di tutte  E altre offerii amo , che fatto e'aveffero mag-  gior guerra alla Chiefa di Dio> e recato mag-  gior /pavento alla Reppubblica di Chrijìo   in cui una sì empia affirzione Jì //enne mai ,  c difefe ; imperocché non v' ha al Mondo , va-  glia il vero , chi non /oppia , per tralafciar  di far motto degli altri di tal fatta \ quanto/  fu mai quel fuoco , che v' accefe nel primo fe-  cole r empio Mago Simone , da cui la fetta  de' Simoniaci ebbe il fuo principio ; e quan-  to/ fu quello , recatovi da Carpocrate , nel  fecondo fecole , autore dell' abbominevol fet-  ta de' Gno/i ci , non che gli agitamenti gran-  di , che ella fffetfe in quell ' ijìefo fecola  per un Cerdone , e per un Alarcene; e per un  Curbico , o Manes in appre/b nel terzo , Capo  de' Manichei (21 ); del rcjto per quelche ri-  guarda all ’ intelletto , egli fi ha altresì altro-  ve moftro molto alla dijlefa>e nella nojira Me-  ta/fica ; I.Ch' in ogni , e qualunque azione  nojtra libera non men quejìo vi abbia la fua  parte , che la volontà • non potendo/ per la  volontà inguija alcuna defiar altro mai , 0 ap-\  petere , /alvo ciò che dall' Intelletto pria gli   • B * 2 . . /re-  Il Semino nell» Ilìor. dell ’erefie ci. Se;, ^   c. 6 . Sec. II. c. 1 ». Sec. HI. . , Ch’ a tutte le colè qua giu create , le  quali dal vero , giufto , e dritto fentiero fi  *- partano , faccia medieri che fi reggano in  ogni tempo , e continuamente fi regolino  giuda qualche norma.   Il    Jt recò , e mofirò per bene e per utile ; ne da el-  la evitare , o ifchifare altro mai Jappiendofì  che quello , che per quejìo le gli vene r appre-  stato come malo e cattivo . 11. Che non Jt  pojfa Uom mai dar in colpa, ne accagionar di  altro, che delle azioni Tue libere , come quelle ,  che fono le Jole che pojfono per leggi regol arf ,  giujia da quello , che qui al di fopra fi diffe ,  ciafcuno imprende ; Il perche in quefo tutto ,  fenza più ci rimettiamo noi a ciò , che n ab-  biamo ivi favellato .   * ( E ) Chi che porrà mente mai , e vorrà  attentamente confderar le cofe del Mondo ,  conofcerà , fenza dubbio , agevolmente la veri-  tà di quanto qui noi diciamo , niuna ejjendo -  vene in realtà per cui Dio non abbia preferit-  to y e formato certe , e proprie leggi , e  una qualche norma proporzionata totalmente  alla fua natura , e c^njìituzione ifiabilito ; co-  fa che fopr atutto miriamo in quelle di cui qui  Jt tratta , inguìfa , che non fembra fopra ciò   punir  Il perche fe pur quello egli è fi vero , e certo  come noi lo abbiamo , egli fa meftieri al-  tresì aver come tale , che tutte 1* azioni  dell’ Uomo libere, e dipendenti da lui,  debbano qualche norma avere , e giu-  da quella per l’appunto efier mai fèmpre  difpofte , e ordinate ( F ) : lènza che l’ Uo-  mo fomigliantiflìmo a colui eflèndo , che   B 3 creo!-    punto fia mefieri il pili dffufamente difen-  derci , e di vantaggio .  Per quel che ben faggiamente egli  vien notato per un autore ( 24 ) abbiam noi  due ben diverfe , é- differenti fpezìe d' lnfìtu-  zioni ; r una delle quali eli * è del tutta.  arbitraria , e dipendente da noi medefimi ;  r altra come nella natura della cofa ijiejfa  conffente del tutto , e fondata., altro non è }  che una fegvela ben molto neceffaria di quan-  to f ebbe al dinanzi penfato , dove pur coll* .  operar al r over fcio totalmente di ciò , che pria  fi abbia avuto in mente d'operare, non fi vo-  glia fe medefimo metter in /memoratine X  e obblianza ; un Architetto per efemploavve-'-    •*•«•■ .•••'*! gna •> 4   ( 24 ) Pufendorf. fpecim cofltrov. Cf. Joan. &rW.ùÌ  fw* 1. J. N. c# ij, *v* ‘ 5 * • » V' > --‘A ...       l creollo dapprincipio , c a colè infinitamen*  te , c da troppo più al di fopra di quelle,  che qua giù guardiamo di detonarlo fi  compiacque , e contotuirlo , egli è per al  fermo una fconvenevolezza grande oltre  mifiira figurartelo , che polla mai da te,  lènza qualche norma , o legge operare , la  cui ofièrvanza , o rifpetto dagli altri ani-  mali divitendolo, gli vaglia non men per  indurre nelle lue azioni , oltre l’ ordine , e  decoro , molto altresì di bellezza, e di    leggiadria , che per un gran argine , e ri-  tegno alle file sfrenate pa filoni , e alli fiioi  licenziofi affètti ; cote che vie più per cer-    ta, e ferma deve egli averfi, che te non   ■» • * D v. x   v * ho    gnache in fio arbitrio , e potefià egli abbia dì  f ridare , o non fondar e , giufia , eh' a lui vie  più aggrada un Edificio , o P alaggio , cF egli  fia> affai magnifico , ed eccellente , dopo aver  «li iifpjb , e ordinato da vero fabbricarlo  fa mejiieri metta in affetto y e in punto degli  materiali tutto altrimente , che s* egli ne vo*  leffe mai un mero , e puro difegno ordinare , e  difporre ; poiché fetiza fallo apparirebbe un  matto univerfalmente a tutti , e un melerfo y  fe fatto , e formato et? egli ri* avejfe qufi”,vo%    2*  hò delle traveggole in sù gli occhi della  mente, la libertà, che all* uomo compete  come a creatura molto è diver/à , e diffe,  rente da quella afioluta, e indipendente  propria di quell’ efier fùpremo , e increato  che qui quanto noi veggiamo confòmma  providenza eterna regge pel continuo , e  governa .   B 4 . D. Ma   ( b ) Puf end; c. i . /. J. N. & Cic. de LL.    lejje egli mai tenerlo per quello ; comeche tut-  t avolta ciò non impedifchi punto , che la di -  fpofizione , e P ordine de* materiali JteJJi non  fi riguardi come un vero effetto del difegno ,  e del libero volere de IP Architetto ; or dell '  ijtejfo modo appunto dir pojfiamo di Dio , e  prejjò poco per una fintile ragione lìberamente  offerire , eh 1 egli febbene aveffe avuto la li-  bertà tutta di crear , 0 non crear P Uomo , e  formarlo animale razionale , e fociabile ; per  tutto ciò dove egli fi dì fpofe pur di venir a IP  opera , e di metterlo al Mondo , non potea non  imporgli , ne addoffargli tutti quegli obblighi  e doveri , che dì necejfità convenivano alla co -  fctuzione, e alla natura di una si fatta crea-  tara ; il perche dicendofi , che la legge della  natura dalla divina Inflazione ne dipenda^   do ’ -Ma le di quello mai avvenifle , che ne il  - dovefie render perfuafò un Ateo , qual  modo tener fi potrebbe ?   M. Egli farebbe quefio di certo per Uomo  una cofa a fare molto agevole , e facile ;  imperocché non bramandoli da noi per na-  tura , fe non ciò , che utile ci fembra , o  buono , e tutto altro , che malo , o per noi  di poco vantaggio Io fi crede , eh* e* fìa,  nulla prezzando , anzi ilcanlàndolo via to- \  talmente , ed evitandolo , non polliamo  naturalmente, e per una propria nofira  inclinazione non operar quelche riputia-  mo mai per noi fruttuofò , e utile , e gio-  . vevole: e isfiiggir all’ incontro , e ifchifare  che che tale non fèmbri , efièndo non che  del nofiro appetito fènfitivo , del razionale  parimente proprio, ed eflenziale rivolgerfi  . vie Tempre, verfo l’utile, edaciò, che  alla natura umana pofià alquanto di con-   fòr-    thnon è da intenderli miga di una incitazione  avviti aria , come f fu quella , da cui ne prove*   ** ia n j » a , ma * ìnfiituzione fondata ,   epojta del tutto nella natura medefma dell *  uomo , e nella fapie n za di Dio increata,  .quale vi modo alcuno mai non pub un fine prò •'  porfi, o volere 9 fenza li mezzi altresì jg*  giungervi neceJJarj . v    , ap  forto recare , ed alleviamento , come della  iioftra averfione al rincontro egli è l’appar-  tarfi da tutto ciò, che mai può a diftrugger-  la valere , o a nuocerle in modo alcuno ; li  perche nella natura ideila dell* Uomo , e  delle colè create fi veggono mille , e mille  ben differenti ragioni", e motivi per cui a  quello egli anzi vadi appreflo* e lègua, che  a quello, o a quello vie più, che a querto;ciò  che per verità, è (ufficiente , e baftevole  per obbligarci , e per trarci a quello , che  mai potrebbe , o varrebbe in modo alcuno  a ripolirci , e a darci una perfezione mag-  giore aflài di quella, ch’or abbiamo , e  tutto altro , che contrario abbiamo mai co-  nolciuto effèrci , e che nacevole , e di lini-  ero abbiamo unque potuto elperimentare,  lalciar via in abbandono , ch*è quello ap-  punto in cui confide il dritto della Natura  (c); Verità, che conolcere , e compren-  der fi deve da chi , che nello Audio della  Filolòfia altresì mezzanamente venghi  verlàto, giufta pur liberamente Icriffe il  Maeftro della Romana eloquenza Cicero-  ne ; fa fi: etiim nobis , (egli dice nell* au-  reo fuo libro de’ Tuoi Uffici ) (d) f modo   m   (e) Gr»t. Prolef. I. B. P. $. xi. VPolf, Pbilof, Zittiva/,  f. t. Hrìnre.c. i. 7. JV. $. XI 1 1. XIV,   ( d) %Àb, j. ( V. l. Quante, e quali dunque fono le diverse spe- De LL. natur. c, f. §. 17. ] fpezie d’ obligagioni , che noi abbiamo f  M. Molte moltifiime ; ma due però fono le  principali : le naturali , e le divine; poiché  a quelle due lòie /pezie , come a proprj  fonti e 5 par, che fi pqliòno mai dedurre  1 * altre tutte infieme.   J>. Quali: fono l’obbligagionì naturali?   M. Quel le, ch’anno pera vventura l’origire,  e la dependen^a dalla ftefia natura del i’uo-  mo , e delle cofe create , o per meglio dire  da’ motivi nell* ifìeffà bontà , o malignità  ' delle azioni confidenti .   D. E quali abbiate voi per Divine ?   M. Quelle al rincontro , che ne provengono  da* motivi diverfi del tutto , e differenti  da quegli , che il più gir fogliono al  di dietro delle naturali ; come fono per  efomplo li favori , e le contrarietà tutte ,  che diconfi , ( ma non molto piamen-  te , anzi con gran improprietà del linguag-  gio Cattolico ) della fortuna ; imperocché  io mi credo, che chiunque mai fia ben per-  fàafo, e certo , come pur dalla ragione, non  che dalla noftra veneranda Religione , eh’  efpreflamente lo c* infogna , imprendiamo,  v neppur le foglia , e le chiome degli alberi,  e delle piante fi fouotano in modo alcuno ,  ofi muovano fonza il voler divino , dine-  » gar egli non potrà per verità , che quanto  1 C di     di fecondo mai , e di defilo ci avven-  tili al Mondo, o di traverfò e di fènidro  * fi rincontra , non che giuda la bontà, o ma-  lignità ifleflà delle nodre azioni da noi il  piu delle fiate fi fperimenta , come tutto  dì la fperienza altresì ( G ) lo ci dimodra,  da quell’ idedò immenfò , ed eterna fonte  di tutte cofè non derivi ,* e confèguentemente tutti li nodri profperi , ocattivi av-  venimenti guardar fi debbano come tanti  diverfi motivi , di cui accoppiati , e uniti  alle nodre azioni , o inazioni , che dir vo-  gliamo , quell* efier fòvrano e eterno fi va-  glia ben fovente , e ferva per obbligarci di  ben in meglio operare , e per trarci a que-  do anzi , che a quel genere di vivere di gran lunga vie più limile , e conforme al  fuo fànto volere ( l).   T). Ma la natura delle cofe , come altresì  quella dell’ uomo provenendo da Dio, non   • po-   ( 1 ) W' o!f. FhUtf. Prati, Univerf. c. 3 *    Nel notar qui noi , che il piu delle  fiate gli uomini al Cren in quefio Mondo ven-  gano da Dio trattati bene , o male giufia la  malignità , o bontà delle proprie azionici fi am  rattenuti alla /rafie di ÀuguJìino^ì^xumcpic %   {egli    potrefcbomo noi parimente con ragione  i’obbligagione naturale dir divina?   M. Senza alcun fallo nondimeno i motivi  dell’ una efTendo molto differenti da quel-  li , e varj , che in conflituir l’ altra concor-  rono , come ben voi con far alquanto di ri-  flefiione ne’ cafi fpeciali alli buoni , o ti idi  avvenimenti , che entrano in luogo de*  motivi delle azioni noftre libere compren-  der potete, non dà bene ad uomo il confon-  derle ; il perche molti vi fono, che sì fatte  obbligagioni naturali per difiinguerle an-  che totalmente dall’ eflerne , eh’ eglino   C a me-    ( egli dice ) ( 2f ) & malis mala eveniunt ; &  bonis bona proveniunt; ma non ( femper ) tut-  to il giorno ; perche ben fruente Reggiani noì %  per un occulta difpofizion divina, co* avven-  ghi tutto al contrario , e diverfamente , come  notollo anche Seneca ( 26 ) .non che il mede fi-  mo ( 27 ) ; /ebbene molti /furono d' avvifio ,  che nella dijìt ibuzione, che fi 'fa mai tutt ’ ora  dalla divina provvidenza de'benì , e de' mali  tra gli Uomini ad ojfervar fi venghi fempre e  mantenere un ben perfetto , e vero equità   . brio;   De Civìt. 1 » 10. c. t.   Senec. eie provid.   t 17 ) Auguft. d. 1 . medefimi ammettono, le dicono altresì ob-  bligagioni interne,   D. Ma fpìegatemi didimamente quali fiano  quelle alti e .   'M' Quelle che ne pofiòno mai provenire  da motivi , che non fi arredano , che  nella volontà di un ente , che avendo  sù di noi tutta la podefià , e la mano, può  egli , e vale a qualche cofa buona in fe \ e   one-   ( m) Tbo'n.if.fund.jur.Tkit.fy §.LxV'&fe£U»    brio ; nondimeno convien confijjare , che quel-  lo , che malo apparifce agli occhi ncjìri , egli  non fa veramente tale , e che quanto noi mi-  riamo come un difordine , e un /componimen-  to della natura , egli Jìa in fe un ordine mol-  to ben injìgne , ed eccellente , non potendo mai  colui , che quejìo Univerfo regge , e governa  com * Ente fommamente perfetto , cE egli è , e  la fefd fapienza , eJJ'er V orìgine , e la caufa  di male alcuno ; come altresì par che fi fife  fiato di fentìmento Epiteto : S>  roÒis xapàt'ods, cioè r.eVuori, e ne’petti degli  uomini, fcritto , e incifo ; peroche non dob-  biamo sù ciò dar a audienza del Grozio e del Clerico, li quali detorcer  trattarono cotali motti , e prenderli, per  quanto e' potettero in altro , e diverfò  fenfò, giuda, che pria d’ogni altro rin-  veniamo alla difHifà, che provato avefle il  Budeo ( q ). Per la qual colà fi vede e com-  prende chiaramente la milenfaggine di  quegli antichi Giurifti, non che di coloro,  che negli ultimi tempi mifero ogni lor ttu-  dio , e cura in difènderli , o alla cieca fè-  guirli , lì quali divifàndo il dritto Natura-  le in primario , e fecondano , e’ volea-  noche peravventura del primo cosipar-   te-   ( n Row. 11 . 14»   Po') Ibid.   C }> ) ArK crìtit. p. 2. feci. i. c. ir. r.   in flit. Thenlog. Murai, p. 1. c. z, $   e cojìringerci di quelche al fammele all'eterno  Monarca compete , in cui in ogni tempo , e del  continuo ,giujìa che ben dijje V Apojìolo agli  Ateniejì (33) : vfaimm , & movemur , $  fumus ?  A&. 1 7-1 v. i 5 .  vero come è in effètto ; bramando or noi,  ed andando in traccia fapere qua! fia il vero  principio de! Dritto Naturale , o per mè-  glio dire , una verità-, o proporzióne prin-  cipale , da cui trar li debba , come da tónte  pór via di giufle conlèguenze , e difcorfi  tutto quello, eh 4 è giuflo , e al’a norma  della Natura conforme , che giuda teffe  noi detto abbiamo , è la volontà ideila divina , non fi può, miga con molto buon  raziocinio un cotal principio dedurre né  dalla convenienza , che può mai effèrvi fra  le noffre operazioni , e la làntità di Dio ; o  dall* imrinfèca bontà , e malignità , giufti-  zia , ed ingiultizia dell* azioni dell* uomo;  ne dal ben dubbio , e incerto coniente) delle  Nazioni , o delle Genti ; o dagli precetti,  di cui ne fanno , ma con una grande inve-  ntimi laudine , l’autore Noè, giuda gl’ebrei ; o dalle diverfe , e varie convenziCH  ni degli uomini , o per meglio dir , dal  Dritto , che può mai a cialcqno in guilà al-  cuna Ipettarc in tutte colè , come veggia-  monoi, che fatto egli abbia TObbelìo,   ( t ) o dalle leggi dell* umana locietà, giu- >  fla al Grozio , ed altri ; ne dallo flato deli 4  innocenza , fecondo 1 * Alberti Teologo , e   D -fi-   [ t > L:b . de Ove & in Leviatb*    v    jo •  Filofofo di Lipfia ; o finalmente da quell  ordine naturale , che il fòmmo fattor del  tutto nel creare , e formar il Mondo lì può  credere , che fi àVefiè mai propofio , fecon-  do che dopo lo Sforza Pallavicini fece il  Codino ( u ) . Poiché quelli , e altri fcmi-  f Pianti , e belli , e dotti trovati tutti par.  che difettino in ciò, che in qualunque  di efTi aggraderà mai > o piacerà ad alcuno  contendere , che quello principio del Drit-  • - . • . : • j . • to     Dìflert. de Jur. Mundi. Egli r- uopo con tutta /incerila e  nettezza confejfamo , che vifi rinvengano non  pòchi nella focietà degli uomini , citi non debba premer troppo lo /ìndio delle Jcienze fpec il-  lative , e che pojjdno in buona fede kj ciarlo ;  ma non pojfamo con ragion alcuna offerirli  me deiimo della Triorale ? della Colitica j e di  oucjìafeienza del Dritto della Nat in a, ef-  fendo ogni uom tenuto fornir fene almanco Jtn  a un certo fegne^dove egli pur voglia far buon  ufo di fua ragione. Il perche conforme in quel  cenere di Jcienze alcune fottigliezze molte fia-  °tc fon tolerabìli , e laudevoli , purché non na-  no di Soverchio fantajìiche , e fuor del cornuti  ufo : così in que/ìe ultime , non fio ncn meri-  tano  , fi  tordella Natura confida , non mai egli po-  trà tutti li doveri dell* uomo , come fi con-  verrebbe veramente per far E uffizio di  vero principio, ritrarne; lènza che fon egli-  no ofcuri del tutto , ed incerti, ed in nulla  evidenti ; il perche lafciando in non cale  (lare quanto ad uom mai intorno quello ar-  gomento piacque dirne , o lcriverne,fenza  metterci così alla cieca l’altrui orme a le-  gume , egli non mi pàr , che vi fii meglior  mezzo per conofcerlo e dilcoprirlo che  considerar alquanto attentamente, e a fpi-  luzzo la natura dell’ uomo , e tutte le lue'  'inclinazióni; perche perni fermo ciò fa-  cendonoi , lo rinvenimmo, lènza fallo, fin  dalla culla per così dire , e da’ lùoi primi  anni, in cui egli è cofa alfai lieve conofcere,  e vedere quejche gli fia naturale ( x ), e da  Da - qual«   CICERONE (vedasi), dt fin. bonor. & malor.lli-.z. (    tanó da veruno ejftr approvate , e lodate , ma  Jì devono altresì oliremo do fempre mai come  ben fofpette , vituperare ; poiché avendo sì gran  bìfogno e necefjìta d'ijtruircene , come tejie noi  diffmo ) debbono elleno con tutta naturalezza  trattarti, e /empiitila ; cofa che bajìa (fui no-  tare per far cono f cere ad ogni uno il mot ivo',   qualche abito, o cofiumanza in lui non  provenghi, fi porti mai fèmpre verlò ruti-  le (y), ne altro unqua vi fii , che quello ,  che meriti con ragione , e da fènno per  vero principio del Dritto della Natura  d’ ayerfì ; lènza che le vi piace paflar più  oltre , e dar parimente una qualche oc-  chiata aerò, che n’imprendiamo dalle  Sagre Carti nel mentre , eh’ e’ fi rinveniva  nello fiato dell’innocenza, il limile noi  -rinveniremo , e non altrimente ; avvegna-  ché allora, giufia che comunalmente fi  vuole , avuto egli non avefiè , come per  al prefente il cuore di mille, e mille paffio-  ni , e di varj , e diverfi movimenti, e affet-  ti ingombro , e ilmoflò . Quindi lo fiefiò  Dio alla prima fiata , che favellò all’uo-  > mo nel Paradiso terrefire , per obbligarlo  all’ ofiervanza de* luci divini comanda-  menti, altro non lappiamo noi avergli pro-  pòfio , che l’ utile , che da ciò potea egli  ’ ‘ , mai   ( y ) EpMetus ErXEIPlAlON c. ;S..   r t , .    e la ragione , che Jì ebbe in quejìa Operetta , di  non feguir ninna deir altrui oppinioni circa  al princìpio del Dritta della Natura , fenza  darci la briga di piu a dijiefo rifiutarle , c con   pili  , h  mai trarne , e ’l danno , e difvantaggio*  (2) che dal contrario operare gii farebbe  unqua avvenuto favella ufàta da lui con  l’uomo altresì in ogni , e qualunque altro  ‘tempo dopo il peccato , non men per mez-  zo de* faoi Profeti , che per Io fuo fig Muo-  io, Giesù Chriflo , com’ è ben noto a chi-  Chc abbia letto pur una fol fiata li làgri li-  bri; nè fappiamo noi, per al certo, altroché  quello lòlo mezzo da Dio praticato a determinar l’uoraògiufta alla fua divina vo-  - lontà ; anzi io non mi credo , che tra noi fi  rinvenghi perlòna alcuna, che dovendo al-  tri pervadere , e* naturai mente non penfi,  che perciò altro meglior modo non v’abbi,  o fi rinvenghi al Mondo , che di propor-  ; ,V ; > D 3 f ; \. > gli   ( 2 y Gene/, c* z. 1 6. 17. èc .   , " 1 1 * \ *   pih motti impugnarle ; rinvenendojì di già ,   ch'abbiano in ciò foditfatto appieno^ed appaga-  to ciafcuno fujjicientemente molti al dinanzi -,  noi(ia)con una fomrha e rara loda veramente^   td‘ g  Puffèndof. fpecim. controver. iv. 4. iz. Henri.   Coccei. drfE de jqr. omn. in omn.Thom.fondam.f. N»   I. 6. 1 8. Jurpr. Divin. IV. 40. feq. & de fundam. defmiend.  canfs. Matr. haet. recept. infufK XVllf.S. M.de Cocceis de  princ. I.N. di/T.I.q. U.$.IX. feq. & q. III. § . VlII.Petr. Dan.  Huet.q. Alnetan. II. p. 173. &c.  e eh * imperò prenda alcun il  motivo di accagionarci , avvegnaché Jì trat-  ti:   no pur per il dritto iltefiò delia Natura,  non fia miga da metterli in dubbio ; Ad  ogni modoconvien confeflarc, 1* uomo lia  totalmente quafi incapace dell* acquilo  delle vere vir;ù , le quali di vero non  fon da reputarti d’ altri proprie , che di  Dio ; imperocché le l’uomo opera cola  che onefta , e giufta , o di decoro ella  fia , lo fa lòlo , perche vien egli tratto a  farlo , e portato dal guadagno , e dall’ uti-  le, eh’ egli mai riconolce poter ritrarne,  e non già per la bontà lòia e l’ oneflà dell’  Azione,* colà che per i’ appunto è quello,  che rende Tazion dell’uomo imperfetta  alquanto, e difettofa , perche della vera  onefià , e della vera bontà non par eh’ ella  nè porti in effetto , eh’ affai picciol fegno ,  a tale , che più non fembri d’efia • Al con-  trario Iddio operando con motivi infinita-   . * rnen-    tìdicofa mera arbitraria , dì jlr alagli nza\ poiché lafciando pur da parte Jìare , che da  malti degli antichi (3 f ) tifato JiJoffe altresì  in qucjìo modo , che noi f t/Jìamo , non che   ' da*   / *   C Jt ) Cic. lib. rie offic. ;• . * j    mete d’ affai piu alti dell* uomo , non fi  lafcia così portare , ne trar mai le non dal  giufio , e dall’^onefto proprio dell’azio-  ne , eflèndo quello giufio medelìmo , e  quello anello, lo fteflò Dio . E così con-  fórme l’operar dell’Onnipotente, egli è  come un acqua , che chiara , lucida , e  crifiallina ifcorrendo tutt’ ora da un ben  terlò , e limpido , e polito micelio , total-  mente d’ ogni lòzzura , e laidezza, monda  fi mira e netta , così quello dell* nomò al  rovelcio è come un acqua torbida , e pia-  cevole , che da una diverlà fingente deri-  va   S   ' A ’ 1   * _ ^ . t _ j . ,    da' Padri della Chiefa 5 rinviene  comunalmente in quefio Jfènfo adoperato nelli  fagri libri , come per alcuni pajfi, che apprefio  ne riferiremo agevole fa il riconof cereali per -  che per dir tutto in un motto , non deve recar  maraviglia ad alcuno , che da noi non fi ammet-  ta mai dell' utile dij cip agnato è dif unito dalla  pietóso fa nonefiendovi ne pii* certame pili ve-  ra di quefia gran majfima dell' Epitteto ( 37 )   0718 to' cvpyófop , **« to’ ìw'tfft* cioè l ubi Ut!» "   litas, ibi pietas.   (3 6 ) DeGivit. Iib. 19. c. ai. Si &c.   ( 37 ) EFXEIPIAION C.3S.     va , Cozza, in fé tutta € fporca, non potendo  egli mai , per quanto fappia , e vaglia, non  commanicarle delle lue imperfèzzioni , e  laidezze j verità , che la conobbero , e  comprefèro altresì li Gentili , fcrivendo  Cicerone in parecchi luoghi delle lue  opere, e confed'ando., che nell’ uomo non  s’ ileopriva altro    (b ) Gerttf.c.i, v. z6. ire, . /•; t    propria , e fòia d’ un Ente lùpremo , e infi-  nito ; poiché al certo doverebbomo noi te-  • ncrci pur troppo beati , e avventuro!! al  Mondo , quando ciò ottener da noi fi po-  tette ( M ) ; Non confittendo veramente in  altro la lèmma felicità , che per T uomo fi  può in quella vita avere che in un gran  agio , e deftro , da poter del continuo in  tutto il corfo del viver luo vie meglio  Tempre perfezzionarfi, e giu&here con ogni  aggevolezza , e lènza intoppo a far tutto  dì progreflì maggiori in ogni genere di  virtù . Quindi il non mai abbattanza loda-  to    ( M ) Per quanto mai tratti V uomo dì -  ne fiegue lènza dubbio , che dove purvo-  • - gliamo noi le nolìre azioni regolare a  » nolìro utile, e vantaggio, damo obbligati  altresì quell’ iftelfe determinarle a gloria  di Dio , acciò chiaramente da quello ap-  parila di conolcerlo , e quanto mai a noi  è pennellò in quella mortai vita com-  prenderlo , e adorarlo ; onde I* uomo è te-  nuto non folo a molti obblighi e doveri  verfo di le (ledo , ma altresì verlò Dio, luo  fattore , e Creatore. E per al fine elTèndo ogni uomo natural-  mente tocco da un gran piacere , e diletto  - per T altrui perfezione , dove egli pur  non vengfii da ben contrari affetti impedi-  to ; e T azioni libere dovendo Tempre corrifpondere , e convenir totalmente con le   na-    cofcienza godere , che maggiore nè decelerare,  nè bramar Jì potè [fé unque da uomo al Mon-  do , chi negar mai potrebbe da fenno non effer  ‘noi li piu felici , e benawenturati del Mon-  do , ne a morte , ne a ccrruzzione alcuna fog .  a etti ? poiché giufta il faggio, Cuftoditio legum , confumatio incorruptionis eli,   in-   C 41 ) Sij). c.\n,    naturali , abBifògna conchiudere * eh’ ogni  uno debba operar non meno per lo proprio  Tuo vantaggio, ed utile, che per l’altrui ; e  ch’imperò abbia a conofcerlì V uomo obbli-  gato a molti doveri e uffizi altresì verfò gli  altri. Il perche effendo egli colà ben certa,  ed infallibile , chedovepur ci aggraderà  con tutta la diligenza , e 1* accuratezza  del Mondo gli enti tutti, che ci danno  dappreffo , o allo ihtorno confiderà re , non  iè ne rinvengano , che quefìi e tre fòli ca-  paci d’ uffizi ; ciò è : Iddio , noi medefimi,  e gli altri uomini , a noi per natura total-  mente uguali , e fimili ; fi può con ogni ra-   *• g io * incorruptio autem facit efie proximum Deo ;   cofa che fa vedere , e concfcere quanto faggio  Jifrffe il di /correre , e il raggiera?' di coloro  tra gli antichi , che voleano , la vita beata  fri nella virtù fi conìengki , gjujìa Grifone,  Senocrate , Speu/ìppo , e Polentone ; come quel-  la ydf era la fola , che un bene ben Jì abile , e  fjfo , e durevole comprende a ; come eh e Epicu-  ro altr etì , che fcritto avea la voluttà e/fer  il fine de ’ beni , negava , che per alcuno f  avejje potuto mai giocondamente vivere fe  onejìa , e /ozia mente } c con gitjìizia vivuto   non gione da per noi diftinguer T utile , e divi-  dere in tre generi diverfi , o fpezie , eh’ el-  leno fi liano molti differenti alle quali  tutte e’fà meftieri,che per uomo fi raguar-  > - di , dove egli brami d’ operar veramente   bene , e giufia il Dritto della Natura, im-  perocché fècondo.il numero degli enti , te-  ttò noverati, capaci di Aever da noi uffizi,  altro è l’utile, e ’1 vantaggio, che noi  tragghiamo da Dio, altro quello, che abbia-  mo dagli uomini , e altro finalmente quel-  lo , che provenir ne può mai dalla noftra  fletta per fona . Oliali dunque di quelli meritano il primo  lu^o.   M. Ettendo ciafcun di noi , per quel chedif-   fimo     non Jì avejfe ; fentenza veramente grave , e  degna dì un vero Filofofante , s' egli viuji a  feirive CICERONE (vedasi), riferito non avejfe alla  voluttà quejio medejìmo c neramente , favi a -  mente , e con giujiizia; Ma che che però di cil> y  ne fi conchiudiamo con queir aureo detto di S,  Augufino: Pax noftra propria, &hic   eft  Tufcul. qu. 1 . 4”,    Ds Civic. 1 . xix. c. 17.   fimo al dinanzi , tenuto far tutto ciò , eh" e*  conolce ellèrgl i di vantaggio. , e d’ utile , e  - non eflendovi Ente alcuno , Che maggior  giovamento recar gli poffà giamai , o va-  glia di Dio , da cui dipende ogni noflro be-  ne , ed avere , e come Ente perfettiflìmo  mira fino all’ interiora del noflro cuore ; ip  ogni nofira opòrazione che che /òpratutto  fiam in obbligo guardare , egli fi è qdefto  Ente fupremo , ed eterno., cui con tutte  le potenze del noflro fpirito fiam obbligati  nonché nell’ efierno, nell’interno ancora  tutt’ ora oflequiare , e in ogni momento  compiacere , e venerare . In apprefiò per-  che egli è affai più l’utile , che da noi me-  defimi poflìam ricogliere,di qualche da al-  tro uom mai ricogfiamo , egli è meftieri ,  che apprefso Dio nel noflro operare da  ciaf un di noi fi miri molto piu al proprio,  che all’altrui commodo, o per meglio dire,  • alli diverfi doveri, che dobbiamo verfo noi   E ' ' ftef-   • • * i .*    eft cum Deo per fidem , & in asternum erit  c um ilio per fpeciem; fed hìc ftve illa com-  munisjfive noftra propria talis eft pax , ut fò-  latium mi/èriae fit potiùs , quam beatitudi-^  nisgaudium, . Niu-    T    v    r    -A    fieflì vie molto più, ch’a quel li, che dobbia-  mo alla perfora altrui(N).Il perche per dir    s 9 egli a fi la finità del prrjjìmò membro   traef-    , come da ciò , che fin qui hò detto , e diro-    vi in appreflo-potrete voi da voi medqfimo  comprendere; poiché quanto da quefto  mai fè n’ inferire , ad altro infin non fi ri-  duce , che aquefto fòlo: ciò è : Che la per-  fezione dell* uomo in nuli* altro mai porta  confifier , ne fondarli , che nel temer  Iddio , ed ofièrvar a /piluzzo , e con ogni  efàttezza del Mondo ( giufia Pinfègnamen*  to ( e ) del Savio ) li ìuoi divini comanda-  menti . Il perche non fà miga contro noi  quel che difputano il Grozio , il Purtèn-   - dorfio , ed altri contro Cameade , e fuoi  lèguaci , da cui fi veniva il proprio utile ad  ammettere per principio del Dritto della  Natura; pigliandoli da noi quefio vocabolo  in altro, ediverfo lignificato d’afiai più  (ubi ime , ed eccellante ; anzi le non vado   E 3 . . er-  Eccl. Omnia mihi licent ,* at non omnia  protent, (fcrive F Apcftolo ) omnia mihi li-  cent $ at non omnia aedificànt. Or appunto  gìujìa queflo infegnamento abbiam noi ere --  fiuto , che nel mifurare F utile di ciafcuna  delle nojìre azioni guardar fi debba , e aver  la mirali, alti nojìri doveri verfo Dio , eh ' è il  nojìro Vero Padre , e la ver a origine d'' ogni  n offro bene , poiché fecondo faggi amen te feri *  ve Auguflino (47) , fi diligenter attendas nec  ntilitas fit ulla viventium , qui vivunt im-  piè , ficut vivit omnis , qui non tervic Deo ; l  De Ciyit. 1 * i?.c.  nulla più ,* imperocché pochi giorni fono,  ch’intefi peravventura un giovine far gran  pompa, e moftra delfoppihione delì* Ei-  neccio all’intorno quello particolare, e  ' per dir il vero , come eh’ egli dille molte  colè delle buone ; in nulla però valle egli  a rendermi ben perlualò , e convinto. Il coftui parere non è miga men vero ,   • edifettófodiquel che lo fono, quelli de-  gli altri , da noi poco al dinanzi cennati ;  non efiendo il Itio principio di tutte quelle  qualità e condizioni ben fornito, eh’ in Un   E 4 vero   *   r   nel qual luogo Jl 'Vede il vocabolo d' utilità  prefò nel medejìmo f e nzo , e fgnijkato , che gli  dbbiam noi imputato } e gì ufi a che altrove con  ben falde pruove altresì dimojira il Santo ,  niuna delle nojìre azzi ó ni per giujia e buona  aver .fi pojfa mai , o debba , dove ella fatta  non Jìa a lode , e gloria di colui , eh* è il no -  jìro bene , e che perciò le virtù de* Gentili Jt  furono realmente anzi vizj , che vere virtìt  (48); lhGh J egli fra meflieri conjxderar in  apprejfo , e ben dif aminare fe /’ azione , eh *  imprendiamo a fare pojfa mai recar qualche   , ' incorna  De Givit. L ip. c. xi. &    vero principio , per qudch 9 egli medefimo  c ^ confefia , fi richièggono; anzi è egli meftie-  ri di necefiHà ammetterne un 9 altro , da  quello del tutto divello, da cui e’ ne di-  penda ; imperocché efièndo egli quefio _ l’amo-    ìncommodo , e dannaggio ad altri , giujta li precetti vangelici , non men che naturali , e  perciò fin d Gentili per quel , che Jì notò al  dinanzi affai ben noti e pale fi : e III.  Che al dafezzo Jì debba guardare fe quejie  ifteffe conformi e' favo, 0 no alli doveri , che  debbiamo a noi medejìmi ; Il perche dove an-  che un Jì rinvenghi per dir così povero in can-  na , edagrandiffma fame cojìretto , non de-  Ve per niun utile , cheritorne mai potrebbe ,  rapir il cibo all 1 altro uomo , anche che fìfof-  fe qnejti un Falere , per cosi dire , un fc etera-  co , un tirando , 0 un uóm dappoco ; e tnelenfo>  giujiaf fujìn il fent mento di CICERONE (vedasi);  perche in niun modo più grata , e cara a me  deve effer la vita mia , che tale dìfpjìzìone  dd animo yCÌf io non nuoccia ad altri per pro-  prio mio agio , 0 commodo   •• ‘ * $) Egli   C 49 } V. Not. . .   ( r° ) De ofl; 1. j. c.j. • • . .    l’ amore (f) ; chi di api-mai- ad amar una  colà. , o appeterla può da lènno afferire  d* elferfi unqua portato , lenza un qualche  motivo ,.o ragione quale per l’appunto fi  farebbe la bontà ifteflà della colà , o l’one-  fià , o 1’ utile ? Chi è colui , eh* operando  da uomo, ama , e delia , o quella , o quell’  altra colà, lènza che prima non la jicono-  (ca in qualche foggia del fuo amore , e  delle lue brame ben degna ? E lè ciò egli è  vero , come lo è in effetto, 1* amore non fi  può miga in modo alcuno tener per princi-  pio del noftro operare, ma fi benetutt’  altro da cui la noftra volontà fi vegga, ven-  ghi mai a quello determinata tèmpre , eri-  fòfpinta. Or    e amare venne filo da Pia  • Puòftro bene ,• io non sò mai comprendere i nò capire , come f obbedirlo , non che il pre-  dargli tutt’ ora omaggio a noi non fi fof-  fè connaturale j imperocché lalciando da  parte dare , il dritto , che a Dio compete  , sudi noi, e tutto altro, che intorno ciò  fi potrebbe mai dire, confèrvandoqi egli  per lo continuo , ed in ogni momento quali  che novellamente creandoci , nè moftran-  dotì giamai refiio , e fchifo di beneficar-  ci così abbondevolrnente , che per quello  conferò un Pagano medelìmo : (g ) non  che provvede egli a tutte nofire bifogne,da  Jui noi , ufque in deliriti amamur ; tot ar -  bufi a mon uno 'modo frugifera { foggiungc  egli ) tot herbce fai ut ar et , tot varictatet ci-  borum, per totum annum digejia: .ut omnti rerum naturce part tributum ali-  quod nobii confert ; ancorché non avefiè Seneca de Bene f. lib.iic.ydt I.    r uomo formato , ed creato ; e in con f egri erosa  per unirlo , è ajjoeiarlo con qualche oggetto ,  la cui con f cerna, e 7 cui amore vai effe a prò -  dargli qualche felicita , e ripofo ; echéverfo  quejìo egli tuttora portar f debba ed incarni -  narfi \ Il perche la prima, legge dell' uomo y per  . . ’ quel domandato mai da noi olTequio , o ubi-  dienza alcuna, pur dove conofcelfimo e£  lèrgli cotanto tenuti , e obbligati , per • ,  gratitudine almanco , doverebbono in tut-  te le noftre azzioni fa r in modo , che non  vi apparile nulla , eh* aver fi potefiè per  legno di non temerlo , o non adorarlo , nè  compiacerlo incoia del Mondo. Ma di vantaggio: febbene dubbitar noti  polliamo , Dio niuna cola c’ im pónghi ,  re’ comandi, s* ella nello ftelTò mentre per » v  noi non fii a noftro prò , e utile ; non però  egli lèmbra ,* che come tale da lui ella ci  venghi comandata , o importa , mia lòlo  perchè e’ fia alla lùa làntità, e volontà confbr-   ’ ' • w . .   enei eh' egli crede Jl è la pia derivazione al •  la ricerca , ed all' amor di quejt * ometto , che  altro unqua non pub ejfer , eh' Iddio ,, eh' è il  fola , che può , e naie fidi far lo , e renderlo  di tutto ben f atollo ; legge la quale , confor-  me egli ferine , effendo di tutte l' umane ob-  bligagioni P unica regola , e lo fpirito,e il fondamento di tutti li precetti del Vangelo , è al-  tresì di tutte l’umane leggi bafe , fojiegnc , e  principio ; anzi pere F ella obbliga tutt' uomi-  ni fenza eccezzione alcuna di perfona a unirfi   tra   forme i e ip confèquenza parcheconven-  ghi dire che il giufto Ila affai al dinanzi  dell’ utile j-   M. Quello non è men falfp e vero j imperoc-  ché niuna cofa fi può mai fingere al Mpn-  do , o imagi nar da noi, nè contra,nè oppofta  alla fantità divina , o al divin volere , che  parimente ella non fia d’utile, e di van-  taggio per noi; e quefto in niun conto fi  può mai dalla giuftizia fèparare,e dividere,  o quella da quefto ; perchè Dio cpme en-  . te perfettififinao , e fàpientiffìmo , eh’ egli   è, non    tra ejfi, e ad amarfi vicendevolmente , ne rac-  chiude in f e fiefià un ’ altra , eh * è la feconda;  imperocché t fìtti noi pef natura al pojfefiò di  un unico , e foderano bene defiinati , e per li -  , game si fretto e fido uniti ejfendo , che giu-  fta fi legge in S. Giovanni non comporremo ,  ne fot'maromo altro mai , che una fila per-  fona (s i ) non pojfiatno giugner giamai a far-  ci degni di unità tale nel peffedimento del com-  mun nofiro , ed unico fine fi non col comincia-  te dianzi , e in quefia firada appunto , che per  colà giugner e fiam tutti tenuti battere , ad  • •  ..    D  fri. Balli dunque quello pef oggi ; imperoc-  ché eflendolì illòle da gran pezza ritirato:  domattino per tempifiìmo , dove vi piac-  cia , altresì in quello ilìeflò luogo , tratta-  - remo più agiatamente quélche vi rimanga  intorno quello particolare Addio .  , : de*   . 1 * ; , — . 1    • ’deffo ; non lafciano perb elleno di fujfifiere , ed  ejjer immobili ; t come tali far che tutte le  leggi per tui la focietà degli uomini Ji regola  nel prefente fiato non fiano ^ che una ben fe-  guela di effe ; onde non guari egli, in quejlé>  Jlabìlìfce un piano di tutta T umana focietd .   Dunque avete voi con  maturezza, e diligenza le cofe , di cui jer  qui ebbomo ragiona-  mento , tra voi me.  defimo ben di lamina-  to ?   V. Senza dubbio , e vi dico con ifchiettezza,  eh* elleno mi ferr.brano regalmente , ab-  bino una grande aria dolce , e maefiofà di  femplieità , e di naturalezza . Or via alle corte,* oggi tratterò a tutto  mio potere di farvene conolcere e com-  prendere 1* applicazione , e Tufo, non   che T agevolezza , e la f cilità , con cui li  doveri , gli obblighi , e gli ufrzj un, ani  tutti polloni] da chi che lia mai da quelle  dedurre. Ma con qual metodo, od ordine in ciò voi  procederete ?   M. Elfendo pur convenevole certamente  ch’io m’ingegni favellarvi di tutto sì aper-  to , e chiaramente , che niun dubbio ri-  fletto a quello particolare d’aver mai vi  rimanghi , vi rapprelènterò 1* uomo in va-  ri , e divel li rincontri di lùa vita , e in ben  mille , e mille differenti fùoi flati ; impe-  rocché figurandomi io mirarlo da pria nel-  lo fiatò naturale , or tutto fòlo , e lènza  altri in compagnia , or di brigata con tutti  pii uomini , ed in una lòcietà univerfa-  le, or con la tua moglie, e con li fùoi  figliuoli, ovver con li lùoi fervi * e con  le Tue fanti , ed or al fine con quelli tutn  ti uniti infieme ; in apprellò dilcende-  rò , e verrò paflò , palio a confiderarlo  tra *1 riftretto , e tra li termini di una Città , o Repubblica Ha come capo , o rettor,  di quella , fia come un membro , o infe-  riore ; colà che fàcendofì , le non vado er-  rato, verrò a rìifpiegarvi molto diffùlàmen-  te, e trattarvi alla dillefà tutto ciò , a cui  Vien ferialmente per altri quello Dritto Della Natura diftefo, cioè * l’Etica , P E-  conomia , e la Politica per non lafciar co-  là alcuna da farvi su quello argomento of-  fèrvare ( A ) .   V. Che intendete voi per Etica ?   Una Icienza , che non (i arreda *in altro ,  che in quelle fole regole , che pofTon mai  - riguardar l’uomo confidcrato o folo, o di  brigata con gli altri Uomini nello dato  ./ della Natura. .   V* Co-   Non v’ ha piu laudevol co fa , nè  piùfruttuofa , o piu utile in una faenza, che  uom mai imprende a trattare , d? if covrir -  ne da pria , e fvelarne li fuoi principi , ed in  apprejfo pajfar al particolare , che di là ne ri-  finita . Il perchè avendo nei nel nojiro primo  trattenimento favellato de'veri principj delle  leggi naturali , difendiamo ora alle regole ,  che da quegli Jfe ne pofono unqua per alcuno  inferir eycof a che varrà altresì, fenzafallo,per  facilitar li ncjìri leggitori , ed in un tempo  medefmo per un ben molto acconcio modo age-  volarli a render di quelli un affai fermo , e  perfetto giudizio non effendovi per quel che  noi fappiamo , per metterli in quejio fato, al-  tro metodo , o Jìrada miglior di quejìa . Colà è Economia ?   M. Ella fi è un altra fcienza molto diver-  • fa dall’antecedente , in cui'fì compren-  dono ’foltanto quelle regole, che apparten*  gono alla condotta dell’ Uomo nelle focie-  tà fèmplici , non che in quelle che fi an-  no per men compofie. Chiamiamo noi  iòcietà fèmplici quelle , che non fi forma-  no, che di fole, e (empiici perfone , co-  me la paterna , ch’è tra genitori , e figli  la coniugale tra marito , e moglie , e T e-  rile tra padrone , e forvi ; diciamo men  compofie al contrario quelle fòcietà , che  non formanfi, che delle fole fèmplici , qual  appunto fi è tra quefte la famiglia , che  non vien compofìa , che di quefie fole , di  cui qui or noi favellammo , rinvenendole-  . ne dell’al tre molte afiài eia quefie diverte,  e differenti, e molte vieppiù compofie,  perchè non formanfi elleno , nè fi coflituifo  cono , che delle fole compofie , come per  efemplo fi fono le contrade , o li borghi ,  che compongonfi di più famiglie unite in-  fieme in una fol fòcietà pe *1 comun lor  mantenimento, o per la confèrvazione de*  lor dritti Gentilizi , fo per avventura e’di-  foefcroda un folo , ed unico fiipide , come  pur fi crede , che avvenuto mai fofiè nella  prima ifiituzione di tali fòcietà; o le Città , e le Repubbliche , o i Regai , Pane de’  quali fòrmanfi di più. borghi , o contra le;  e Paltre di più Città , rette e governate da  un folo•  Difpiegatemi il termine politica? Egli appunto quello è il nome proprio di  quella facoltà , o fcienza, che infogna l’obbligo , e li doveri dell’uomo in queff ulti me locietà . Dividete voi adunque , fe non vado errato , tutto il Dritto Naturale in Etico, Economico, e Politico ; ma rinvengono  pur per'altri parimente quelli e tre voca-  . boli adoperati alla fletta guifà?   M* Mai sì , come che quelli fiano molti po-  chi ; poiché afsai più d’ordinario s’ ufano  eglino a fpecificare , ed a diftinguere tre ,  e diverle parti di FILOSOFIA, in una di cui li  tratta delle virtù Morali, nell’altra del  buon governo delle colè domeniche , e fa-  migliati , e nella terza, ed ultima di quel-  le di uno Stato , o Repubblica, giuda fi  leggono , che adoperati furono da’greci,  da cui travalicarono a noi ; come che con  ciò, vaglia il vero, lì venghi per poco a far  il medefimo , e lì noti lo ftefso .   JD. Or via prendendo il filo di quel che dir  dobbiamo-, figurandovi al dinanzi d’ogni  altro mirar Puorno lolo nello Stato di Natura, (piegatemi quali erano mai gli ob-  blighi , e li doveri di coftui in quello Sta-  to (B). j .   Egli fi riducono quefti e tutti, lènza fallo,  Iil.come U può di leggier comprender da chi  che penlà , a due (òli capi ; il.primo di cui  lo riguarda come a creatura , e opera di  • Dio ; e il fecondo come a creatura, ma ra-  gionevole , che opera per la confervazion  di se medefimo , e delle (ùe parti .   D. Spiegatemi didimamente gli obblighi,   F 4 v e li . ^ Lo fiato d' una per fona non confjte in  altro , falvo che in alcune qualità , che rif-  guardandofi,ed avendo]! come proprie fue,ven -  gon acofiituire la differenza , e il divario,  che v' abbia infrajei , e un altra ; tali per  efemplo fi fono ì’efier di majchio , 0 di donna,  di giovine ,0 di vecchio , di libero , 0 dì fer-  vo , di figlio di famiglia , 0 dì padre , di ric-  co , 0 di povero , ed una infinità d'altre di  cotal fatta . Il perchè altre di quejfe ejfendo  naturali, ed in nulla da noi dipendenti, ed al -  tre al rincontro avventizie , e del tutto in no -  jìra propria balìa, ed arbitrio , altro è lo  fiato naturale ,fifico, e morale di ciafcuno , al-  tro quello, eh' è puramente civile, od avventizio .    V    e li doveri del primo capo , che tra tutti  ' gli altri , cui per natura 1* uom è tenuto ,  giuda , che da voi jer apprefi, fon li primi.  Qual fia la baie, ed il fondamento di que-  lli , e come noi li conolciamo , le voi ben  vene rinvenite , alla diffhlà vi moflrai al-  tresì io nel ragionamento pafiàto ,* il per-  chè dipendendo eglino totalmente da que-  gli principi , che in quello per quanto  valli di ftabilir m’ ingegnai , non (limo colà  molto fuor di propofito , ed infruttuosi,  per voi, che pria di più oltre paflàre*  quanto ri fpetto a quella materia sì dille  fe pur così vi piaccia , mi ripetiate .   D. Ecco tutto in pochi motti ; fùppofto,che  fi ebbe da voi per ben certo , e fermo  I. Che l’uomo, ogni qualunque volta,  che d’ operar delia, lènza fallo , giuda la  propria natura, venghi obbligato, e tento  to di regere, e regolar se medefimo in gui-  fà , che tutt’ora col far per quanto fappia ,  e vaglia , qualunque cola per menomilfi-  ma , eh’ è ila a fuo utile , e vantaggio vie  più fempre mai ottenghi , ed acquilìi del-  la perfezzione . II. Che le da lènno quelli portar fi voglia , e trattar in sì'fatto mo-  do , e con aver un cotal fine al dinanzi di  se ftefio , metter e’ debba tutta la cura e  la diligenza di ragione in ordinar del continuo le proprie azioni , e regolarle sì fat-  tamente ,^che mai fèmpre e* giungano  quello Hello fine ad avere , od ottenere 4  di cui Dio , eh* è 1 * autor della Natura,  per quanto noi comprender polliamo ,  fi valle mai nel regolamento delle lue  azioni puramente naturali , e non dipeni  denti dal lui ( -C ) .   III. Che v     ( C ) La Concozicne , per ef empio , e lo  fmaldimento de' cibi , eh' in noi Jì vede far  del continuo mediante il ventricolo , e f fendo '•  uri * operazione , 0 azione , che dir vogliamo f  del tutto naturale , ed imperò il farla , 0 non  farla non dipendendo da noi , altro fine giu*  fa , che dalla ragion ? imprende , non fi ere -  de , Dio avejfe avuto mai al dinanzi in or di’-  vi aria , e infìituirla in ciafcun di noi , che di  far per quefia firada , e con quefio mezzo , al  nofiro corpo ricoverare , e riacquifiare quel  che gli era mefiieri per poterfi ben fofienere , e  mantenere al Mondo , non che per la continua  tranfpir azione , e per l' inf enfiti le trapela -  mento delle fue parti da momento in momen-  to egli veniva mai a perdere , e logora-  re . Al rincontro /’ ufo de ' cibi , e della  vivande y come cofa eh' è totalmente in nofira   ha-    Che quell’ efier fovrano l’ ultimo , e il  principale fine , che fi propofe , ed ebbe  mai al dinanzi nell’ ordinanza delle noftre  azioni non naturali egli fi fofie fiata la   pro-    balia , ed arbitrio , elP è ut? azione in tutto  libera , e dipendente da noi ; Or dove pur ci  Venghi in grado , ed abbiam vaghezza , o vo-  glia alcuna d* operar a nojìra confervazione ,  ■’* e di reyveref e regolar una colai ncjira azio-  ne in “ Tal fatta foggia , egli è meftieri ab -  • biamin ejfa quelVìfiejJb rifguardo , e quel me -  defimo fine che fu quello ( giujìa la nojìra  credenza ) di Dio nel creare , e nel formar  del nojiro ventricolo , cioè , la JteJJa nojìra  confervazione ; coJa> che produrrà f enza fal-  lo ^ infra queJV azione , e quella del nojiro  ventricolo un certo concerto , ed una certa ar-  monia tale , cui non f vide mai da uomo altra  pari ; imperocché arr.endue qnejie verranno  elleno a riguardare un medejimo fegno f ed un  JiefJb fine ad ottenere ; Il perchè non fi deve in  niun modo qui pafar fitto filenzio , che pro-  priamente azioni diconfi da noi non men que-  gli movimenti , che in noi provengono da noi  ovruv , /gì ìioixiy-  ‘itov rù oKot Koiktùf /gì S ' inaio f , v, gì (Teano v eie rivo xeimnvK-  X^au , '7Ò irtifaStcu ocùvo'ts , /gì «xay ir ieri vaie ytvof/ivoie, ygi  et'xi\hòéiy ix,óvmuàf imo rijs etp Irne yyeùfjuif '/y'reXvtiìvoii .   \ ale a dire. Il lòmmo , e il principale capo  deila Religione egli fi è il far opera, e proc,  curare ad ogni Ilio collo di riempier se me.  defimo di buoni opinioni intorno gli Del  immortali, (parla egli da Gentile) per poter  giugnere a vivere ben perliialò,e certo, eh’  eglino di vero efiflano; che con ogni retti-  tudine^ giufìizia tenghino la fignorìa dell*  Univerlò : Che fi debba loro preftar alla  cieca ubbedienza in tutto , e contentarli di  quanto eglino ci comandano , come pro-  veniente da quegli, che lono di lunghi!!  fimo Ipaz io vieppiù fàggi e vieppiù intelli-  genti. di noi ; perchè così non oferai nel  corlò del viver tuo giamai accaggio-   nar-   (a) ErXEIPIAION cap.tf.  DE’ PRINCIPJ  narli di nulla , o . rr.tr mancarti in mo-  do alcuno , che venghi da efio loro meflo  in abbandono , e negletto.   II. Ch’ La necejftà , ha V uomo di fod -  disfare a queji' obbligo , o dovere , mani-  fefiamente fi ccnofice da ciò , che com e egli f  vedrà , Je ne ritraggono per poco , fi filo ,  quafi che come una confeguenza tutti gli altri  doveri , od obblighi di qnefio genere , che lo  riguardano come a creatura Quindi ab-  biavi gran ragione da poter con franchezza  ajjerire , che dalla negligenza , e trafcura -  t agì ne grande tifata da noi in quefio , egli  venghi , che fi mettano quafi , che del tutto in  non cale , e fi trofie urino tutti gli altri , come  imprendiamo altresì dair Apofiolo in uno non  molto diverfo propofito. Il perche come a  Santi Uomini la contezza grande , ch'eglino  ebbero , per quanto mai venne lor permefiò ,  e pojjederono de' divini attributi , valje di  lunghijfimo fpazio nel Mondo per portarli ad  un grado di perfezzione , in cui affai dirado  uom giugne ; così la mancanza eh' è in noi di  quefia , egli è cagion fovente del noftro o-  perar al rovefeio , e del contrario procedere ,   la  Ad Rom. c. i. n.zo. Sex 3,  V fi   DEL, DRITTO NATURALE. 9 f   IL Che gli convenghi per ogni verfò,e fia in  obbligo d’ operare , e trattar gii fia al di-  vin volere, non che fervirfi di qutfio prefc  fo che per motivo delle lue proprie azioni  efiendo cola pur troppo certa , e fuor di  dubbio , eh’ Iddio chiegga da Jui , eh’ e’ fi  regga , e governi fecondo le leggi della  Natura : Quando mai pur da te fi com-  prende , che sì abbiano difpofio li Dei ( di-  ce un Gentile) sì fi facci « to'*  Stois   .Che fia tenuto di neceffità amarlo^impe-  rocche dalla cognizione delledivinè per-  r , fèzioni provenendone lènza dubbio nei  cuor dell* uomo f -e derivandone un cotal  ‘ guftq, o diletto , che dir vogliamo e pia*  cimento , che non abbia chi. lo pareggi  . quindi nafee in lui certamente della bene-  volenza, e dell 4 amore in. verfò quefìo etfèr  . . Supremo. Che quett’amore,e quefta benevolenza, che  Lanino è in obbligo , ed m doVer’ di porta-  : rea Dio,convenghi,che Tuperi di ìunghiffi-  molpazio , ogni , e qualunque altroché a  .cofa mortale fi può da lui . portare i  ‘ r /c  G im-    ZX l.fupr. , • .    ,( F ) Quefto appunto è quetV amore , che  in ptu luoghi di J agri libri (%) ci fi accoman-  dai  Matt.ii.D^iter.c.^.é.exo3.io.icvìt.a().&c.   f  D £’ PRINC I V J  imperocché ;1* amore, in noi provenendo  . dal pi acere , e d^l diletto, eh’ abbiamo deb   . Fai-  v •’> *   r  — » r f   f ..  , •. V •• ... • ; . •• ' • \   da, e con tuie motti del DECALOGO – H. P. Grice: “Perhaps Moses brought something else from Mt. Sinai besides the 10 commandments” --: Dillges do-  minum Deum tuum &c. Quindi il Vive:  erutti* dicendo: ut paucis verbi s magnus il le  Magister quemadmodum unicùique viven-  dum fit docet , ama quem potes tnaxime ,  qui (òpra te eft , & non ajiter , qui prope te  eft , quam te, quod fi Feceris , tu fòlus leges  omnes , juraque feies , & fèrvabis ,* quae alii  magnté Ihdoribus vix difeunt . . . , * Di-   liges, inquit , quid potefb effe dulcius dile-  zione , non metuere , non fugete , non hor-  rere praeceperis , (Domirium) ut fcias illuni  effe reverentlum*, nam dominus eft ; ,   (tuum) etfi multorum eft,tamen uniufcujuf-  que *fit per cultum proprius . . , Ex toto  còrde diligere praeceperjs , utomnes cogi-  tationeS tuas , ex tota anima , ut omnem vi-  tami tuamyex tota mente tua, utomnepi  , intelle&um tuum in jllum confèras , a quo  babes ea , quae confers . Il celebre Leibnizio  in un fu 0 trattai elio  intitolato . Trito-  ti- -   f  Tri not.ad lih.io.de CivIt.Dci c. 4.  C,i fecft. Ep.li fi ha rei voi. 1. de Recveil de  dlverfcs P5ec;sfur la philpfophie , !a Jteligion d*c. DEL DRITTO NATURALE.   (bit peint fenfibile à nos fens exteroes , il ne*  laifie pas d- étre très-aimabile , & de donner  un tres-grand plaifir . NoUs voyons combien  les honneurs font plaifir aux Hotnmes, quoi-  qu’ils ne confiftent pokit dànsles qualitez des  fens extèrieurs . E non guari apprejfo i  Gn peut méme dire , que dès à prèfent T A*  mour de Dieu nous fuit jov’ir d’un avant-goiìt  de. la felicitò future .i„ CaV il nous donne lune ’  perfaite confiance dans la bontè de notre Au-  teur & Maitre, laquelle pro&uit ime vèr*-  table tranquilitè dè P efpric i . . Et  outre le plaifir prèfent , rien ne fauroit étre  plus utile pour T avefiir , car l’amour di  Dieu remplit encore nos ef^èrances , & nous  méne dans lechemin dù fopreme Bonheur  &c. ' i  IOO DE’ PRINCl P ]  le di tutte le create cofe, qualunque pur el-  leno .fi fiy.o , coltri , che fi bene giugne a  conolcerle, ed a comprenderle , come ad  nom conviene ; rincontrandovi egli un  piacimento ed un diletto difmilurato , e  . grande oltre mifura , e fenza comparagiò-  ne alcuna vie più di quello , che nel cono-  Icimento delle perfezioni delle creature  '• può egli peravventura rincontrare , e a  quel co l’amore proporzionatamente- Tempre mai guagliar dovendolgegli fà mefiieri,  che altresì fia tale , e non men grande ; e  ; confcguentememe , che non abbi altro  “ mai al Mondo,che in modo alcuna lo lupe-  7 ri , o adequi . ’Ch’ogni fua follicitudirie, ed attenzione  impiegar e’ debba , e collocar tuttora in  * non far colà., che polla io gui là alcuna a  quello lòmmo, ed unico Bene dilpiàcere, o  • /gradire, l’ amor in altro veramente non  confìftendo , che in godere , e gioir ,  ’ per l’altrui felicità. , non che in paven-  tar del continuo , e oltre modo di conv  - metter colà, che dilàggradi , p pefi all*  aggetto amato ; còli che per l’ appunto^  ciò che^iù ferialmente appellafi timor fi-  liale ( timbr filiali: ) oppofio diametral-  mente a*quello , che dicefi lervile ( metti:  fervili:) che da gafiigo provenir luole ,   o da DEL DRITTONI ATURALE, jot  *o da fùpplicio ; irqperocche* Iddio, febbenc  altresì di quefto pei: iftimular E uòmo ad  operar rettamente , e lòllecitarlo .al' ben  fare fovente fi vagii , e che dalla cofìui  gravezza (pèdo (pedo quegli atterrito , .  ed ifgomentàto ; venghi da mille , e mille  laidure e tèonvenevolezze a ritraerfi;   " tutta volta quello non hà vertm luogo , dove aiutila pur dall’uomo quel amor por-  tato vero e reale , che naturalmente a’Genitori gli proprj figli logliono portare,  e eh’ egli dev.e ,e convien che gli fi porti*   y jl. Che 1* abbia altresì a riverir , e venerar lòpra tutto ; - imperocché in grado emjnentiffimo in le contenendo , tutte le perfezioni.,- che nelle loda nze , che da lui  derivano , come effetti provenienti dalle   - caule, fi contengono» e imperò ellèndo egli * .   ‘ un Ente infinitartiente perfètto, onnipo-  tente , giufto , e buono eftremamente , ed  amabile; di ragione deve egli preferirli   - tèmpre mai * ed anteporli a che che lia nel   "novero delle colè create , nonché aili ftek :  fa noftra perlòna .Ch’ in lui lòltanto mettere e’ debba   ' tutta la iùa fiducia , e confidenza , e col  darli pace in tutte le cote del Mondo , che  o delire , o finiftre peravventura l’av-  veftgono , moflrarfi tèmpre mai làido in   G 3 lui , e tutto tempo reguiarvi ; imperocché  da efiò lui gli averi , e le fortune notf re  tutte provenendo -e’ può e vale , come pur  l’esperienza loc’ infegna,che tutto dì egli  facci , dove di farlo pur gli viene aggra-  do , rivolgere , ^ contorcere a noftro prò,  ed utile quanto mai di malo i e di  qattivo c’ avvenne , o può unqua av-  venirci . Per verità egli hà troppo di bel-  lezza,^ di gravità, per non eflèr paflàto in  filenzio quel che fcrive Epitteto a quello  propofito . C.egli dice )  ’   wroxac'W^ « s.aì   • &P*X ' as xòv ìmrx&nSaì ire  6ÌM , * vx usti wìnov tù '• ErXEIPlAION. c. xj.  Senza fallo ; anzi egli e quello una con-  feguenz'a ben cej^ta , e ferma di quanto al  dinanzi noi didimo ; comeche non fia fuor  di propofito , che voi dHà altresì ne rico-  giiate , che le formole , eh’ in ciò ufiamp,  debbano efler da noi ben intefe , e capite , '  e che elleno dovendo dettar in noi degli  affetti , e dellarnemoria de’ benefici diri*   •-ni non fi debbano comporre, ne fòrmarda  altri , che da coloro, di’ anno un intera , e , .1  ben rara cognizione delle colè divine.   D. Non vi fono altri doveri, e altri obbli-  . ghi., che quelli dell 5 uomo comp crea-  ? tura ? • ' Altri , che quefli Hfcn riconolciamo noi ;  con li lumi foltanto dèlia Natura ; per il di  più, come altresì per quel che fi richiede  per determinar i modi di bpn fodisfar ■-  a quelli iftefii , troppo più fi ricerca di lu-  me , e di cognizione ( D {toiefi* per in?-  >; ; -./tera-   S ' s   Leibnizio in una  re     teramente fidar qu-dloculto di ficonolcen-  Z a dovuta peb f uomo al vero , e fhpre-  mo edere, abbifogna pur., che confeflìa-  itk) con ingenuità; cheli lumi della natu-  ra, lenza 1* ajuto della rivelazione , nonfia-  tio in niun modo di per fé baftevoli , e lùf-  ^cienti ; ónde fa egli intieri dériggerci,   ' in ciò , e regolarci , giufta quel che. im-  prendiamo da quella . : Degnatevi adunque d’udirmi, al dinanzi,   • che non fi venghi ad'altro,lè pur tutto fep-  pi ben comprendere ; Pobblighi, e li doveri  HelP uomo , come creatura , o per meglio  dt-e , il' culto di riconolcenza , che P uom  deve a Dio * egli non confille , che nel Po-  lo efercteio , e nelPufo di quelle aziqni ,  eh’ anno pur per mira , e per motivo K di -   - vini attributi . Or fe quelle azioni fono el-  leno    .* v    ré( 6 ) fcrUta alla PrincipeJJif^di Gali?* nel  me/} diNo~)embre 1,7 if . mfirò fehza dubbio  arem dolore , ed un vivo fentimento di rama -  fico , chela Religìon Naturale fi vede a da dì  in dì in Inghilterra indebolire , e corrompere;  Si legge nti voi. i. de recueil de divttfos l’ie-  ces far la l%flofophie;> el re fio io non dubbilo eh* alcuni aver ebbero  fior f e qui dejìderatò , che w favellando feMct  ♦ ' ddeligies naturale mi avejjè alquanto . vie pile  * difiefo, e tratto dimojirare l'armonia maràvi-  ' \ gfiofayChe il abbia tra quejìa , e la revelata t  / Ora il Regno della Nat ur fi , e quello della  " . ì@ré&a,f£0fcjqr por mente paratamente , e  : ^fervane gcowe la natura ci vaglia per guida    - v; ‘ “ alla     i r $  adoperi non meno 1’ uno , che P altro di  quello culto , e che facendone ufo del con-  tinuo , cosi coni’ e* conviene, non gli polfa  di lunghifiìmo fpazio fèryire a renderlo  tranquillo , e lieto in tutto il corto del vi-  ver Tuo , ed ad accrefcerlo da momento in  momento, e vie più tèmpre aggrandirla   H nelle alla Grazia , e come quefia venghì quella a  ripolire , e perfezionare valendo f ne { agge-  voli cofe Veramente tutte , e facili a mofirarfi  volendo ) poiché f ebbene dalla ragione impren-  der non fi pojjd il di piu , che dalla rivelazion  s* imprende , vai ella d? affai per renderci ben .  certi e ficuri , che le cofe fan fatte in modo,  che non giungano ad ejfer comprefe da umano  intendimento . Ma mio principal difegno egli  è di dilungarmi il men , che fa pojfbile fuor *   de ’ termini , che m ’ hu io in quefi operetta  prefijffó ; e regalmente affai ben faggio reputo  r avvifo di coloro , lì quali le cofe della  nofira veneranda , e fanta fede, come mirabi-  le , e feci al fattura della mano di Dio guar-  dando , mentre che quefio venghi da noi cre-  duto Onnipotente , vogliono , che fenza met-  terle in ragionamento alcuno facilifimamen '*  te ,e a chittfi occhi creder fi pojfano , e fi debba-  no    i    nelle virtù , e nell’ abborrimento de’ vizj ;  Ma or su fìendiamoci, fè così vi piace , più  oltre col difcorfo , e palliamo agli altri do-  veri , obblighi, o utfizj de 11* uomo lòlo  in quello Rato Naturale .   M- Quelli altri non lòno , a mio avvilo per   IV. quelche aldi'fòpra altresì fi dille, che  quegli , eh’ egli dovea , ed anche per al  prefente egli deve verlb se medefiino ; ob-  blighi , o doveri tutti, che diftinguere fi    tio ; or.de quel gentìlijflmo Italiano Poeta ebbe  motivo dì cantare ,   1 fecreti del del fol colui vede ì  Che ferragli occhi , e crede.   Non eflendovi flato vie più al Mondo flcuro ,  e men in periglio di colui , che Jen vive  confrme le leggi della Vera pietà , e della  vera virtù , imperocché , giufla al dire di tre  gran uomini , come che difofpetta fede ; cioè ,  dell' / reivefeovo T illot fon , di Mr. Pafcal ,   . e di Mr. Arnaud ( 9 ) , in queflo flato nulla  vi riman da temere di quelle tempefle , e dì  quelli malori , te muti , ed af gettati per coloro  che ne fon fuor a .   V. l.eìJjnìz.nelIe note alla lettera sOi l’ Entu Ha fT.  mo del vi ylord Shaftsbury. voi. z. de Recusil de diverfeS   jiìeces&c. . poflono, e divifare in tre divede , e dif-  ferenti Ipezie ; cioè in quegli , che riguar-  dano il filo Ipirito ; in quegli, ch’anno  attinenza alcuna al fuo corpo , e in quegli,  che riferilconfi ^finalmente ad alcune quali-  tà accidentali del tutto, e ftiperficiali, come .  per elèmplo fi fon quelle , di ricco, di po-  vero, di nobile ,.di plebejo, ed altre sì fat-  te in cui il Ilio fiato efierno confifie . Per  tutto ciò efièndo pur egli obbligato^ e te-  nuto , come voi ben Oppiate, diriggere in  sì fatto modo le file azioni , e regolarle ,  che colpivano tututte ad un medefimo le-  gno , ed ottenghino un medefimo Ico-  po ; cioè , tendino al proprio vantaggio ,  ed utile, e alla propria perfezione; per  giugnere a ciò far di leggieri egli fa me-  fiieri fi tratti al dinanzi a tutto poter ac-  quiftar un elàtta , e perfetta contezza  di ciò, che può mai giovar a se mede-  fimo , o no in qualunque fiato , eh’ egli  fi guardi ; cofa che imponìbile efièndo da  i .poter in guilà alcuna ottenere Lenza una  V. piena cognizione di se flefiò (H) , il   H % fon- In quejto grufa gli antichi Filofqfi  Jì riduce quaji che tutta la Filofofta ; e fecon-  do   fondamento , e la baie di quefti doveri , o  ulBzj che 1* uom deve in verfò se mede-  fimo, e il primole il più principale tra  tutti egli è, fenza fallo, al meglio ,^che fia  pofiibile , d’ imprender un sì fatto conofcin  mento con mettere ogni Audio , ed ogni  cura in conofcer , e perfettamente fàpere  il fuo fpirito , il filo corpo , e lo flato , in  cui mai peravventura fi rinviene .  E bene ! quali fono li modi , e le vie da  giugnervi ? ‘ M. Que-   do S. Bernardo , ed altri Padri della Chiefa  anche la Morale Cattolica , ritingendola  eglino foltanto a due foli capi ; V un di cui ri -  guarda la .piena contezza di se medefmo , e  V altro quella di Dio ; ad ogni modo noi pur  confejjìamo chejìa ciò cofa per uomo molto ma-  lagevole , e difficile a metterlo in pratica j e  che quindi meffo in Greco Efìodo avejjè canta-  to , avvegnaché fol rifpetto al primo di quejti  capi , in verji cor ri fpon denti a quefìi :   £fi nofee te ipfìrni non quidem ampia  diétio ,   Sed tanta res fòJus , quam novit jup-  piter;   Ed infierì) non deve recar maraviglia ad al-  cuno f e un obbligo , o dover di tal fatta molti  pochi fan quegli, chef veggano che lo JodisfiriOy   Quefte diftinguer.le poftìam noi inge-  nerali , e particolari ; le vie , e li modi  della prima fpezie eglino fi riducono a  quefti duo ; 1* un di cui egli è d’ entrar in  noi medefirni , e con la maggior accura-  • tezza , e diligenza del Mondo confiderar  la noftra propria perfona , e V altro di(a-  minar bene dell* iftefiò modo quella degli  altri , con cui peravventura ufiamo ri-  flettendo a tutto attentamente , e bilan-  ciando a fpiluzzio non men la diverfità del-  le lor getta , e la varietà delle lor azioni ,  che li cambiamenti diverfi de’ lor volti ,  e il divario, del lor tratto , e linguaggio,  e di tutto altro , che può mai appartenerci  con trattar di comprender chiaramente Ié  colè, e far della lor bontà , emalizigquer  giudizio, che fi deve. Ma vaglia il vero  di quefio ultimo mezzo 1* nomo foto , ta-  le quale lo ci figuriamo nello fiato della  Natura, non potea farne ufo alcuno; Per  tutto ciò noi , eh’ abbiam or agio da po-  ter valercene, come vogliamo , ne polim-  mo , lènza follo , ritrarre una infinità di  vantaggi . E quali fon quefti ?   ]M. Egli batta, che generalmente voi lap-  piate , che in cotal guitti da noi con una  agevolezza grande , e fuor di mifora   H 3 giugner fi polla a conolcere quanto mai vi  ila di bene, e di male in noi ftefii, e le virtù  tutte di cui abbiam fommo bifògno fornir-  cgChe fi venghi a rifvegliare in noi, e defta-  re l’emulazione al bene , e rettamente ope,  rareiChe 3 dilcernere fi vaglia aliai palelè-  mente, e in aperto la lèmma bruttezza, e la  laidezza de’ vizj ,* Che venghiamo am-  maefìrati, lènza nofira pena , ed alle altrui  -a Ipelè , imperocché giufta Menandro :   ’2>hé7T(t T17T disivi/,' Ut   chè un intelletto tanto più fi deve per  perfetto, e finato reputare quanto più  è 9 1 novero delle cofe , che da lui fi com-  prendono , e quanto più chiare , dilìinte ,  ed adequate fon 1* idee , eh* egli ha di tali  colè . Il perchè fi deve quantunque più fi  può, e fi sa riempierlo d’ ogni cognizio-  ne , e trattar che quella Ila in noi efire-  mamente chiara , e diUinta ; comechè ef-  fendo rilìretti di foverchio , e di natura  limitati , ed imponibile imperò riunen-  doci aver di tutte colè contezza appieno ,   Io Audio di quelle meriti lèmpre avere il primo luogo , ed è ragionevole , e giudo ,  che fi preferilchi a qualun’ altro , di cui  abbiamo nel corlò del noftro vivere un bi-  sógno , ed una necefiità maggiore , non  che vagliono di lunghiffimo tratto per  lo dilcernimento del bene, e del male;  imperocché obbligati effóndo noi , e tenuti  vietare e sfuggir l’ ignoranza , e la grof-  fezza, dobbiamo (òpra tutto quella i (chi fa-  re , che rifguarda quefio particolare ;  non eflendovi ragione da poterci in ciò nò  con Dio , nè col Mondo difpolpare ; quel1’ ignoranza (òlo , e groflèzza nell’ uomo  efièndo di (cufa degna , e meritevole , che  non è miga in fùa polla di poterla Ican-  zare . Quindi uom vede , che il vantag-  gio, che fi abbia, da chi che s’invigila  su quefio dovere fia di tanto sì gran mo-  mento , che la di lui olìervanza giamai fi  potrebbe ad alcuno a luttìcienza accom-  mandare , non potendoli in niun modo di-  Icerner lènza ciò ediftinguer il buono dal  malo , colà che veramente , dove anche  non vi fuflè altra ragione , per cui ciò fi  richiederebbe da noi , dovrebbe ballare  per portarci a fornir il noftro intelletto ,  e riempierlo di tutte quelle virtù , che  gli competono , e che come proprie Tue  dir fi fògliono intellettuali . Quali fono quelle virtù ?   M. Quegli abiti di cui 1* intelletto è atto e  Capace di far acquifio , e gli giovano dire-  ttamente fenza dubbio per giugnere al  conolcimento del vero , e làperlo dillin-  guere da ciò , che punto non Ila tale .   Dinumeratemi didimamente cotali abiti.   M. Grande , ed incomparabile attenzio-  ne alle colè , acutezza , profondità , intelligenza , Icienza , laidezza , invenzio-  ne , ingegno , lapienza , prudenza , e arte.   Z>. Che cftfa intendete per attenzione ?   M \ Quella facoltà o potenza della noftra  anima , mediante cui far polliamo , che  alcune idee , o alcune parti di effe fiano  in noi vie più chiare , e diffinte dell’altre . Per efemplo ; fe io miro un uomo egli è -  in mia libertà , ed in propria balia trattar  eh’ abbia un idea molto più chiàra , e, diftinta del fùo vifò , o degli luoi occhi , che  dell’altre parti del fuo corpo ; e fimilmen-  te fe per avventura molti oggetti a difeo-  prir fi giungono, ovver più perlòne fi odo-  no che favellano, egli regalmente poffò  oflervar più gl* uni , che gli altri di que-  gli , o udir di quelli , chi più m’ aggra-  da, e piace udire ; /ebbene non fi pofià da  uom altrimente a quello giugnere, fe nor*  con 1* efèrcizio , c con 1* ufo.  Qual cola voi chiamate acutezza d’ intel-  letto ?' Quella polfibiltà , o potenza ch’ egli può  acquiltare di poter diltinguere nello fteflò  mentre più colè in un medefimo oggetto ;  poicchè non potendoli miga metter in dub-  . bio, o temere, ch’ella con lungo efèrci-  zio non polla ridurli in noi, e travolgerli  . in abito, deve lenza fallo metterli alno*  vero delle virtù intellettuali ; come che  per quelche mi làppia niun fi rinvenghi ,  che fatto 1* abbia al dinanzi del WolfRo . Ma qual diligenza deve mai ufarfi per  acquetarla ?   M Primo egli proccurar fi deve a tutto co-  ito .fin dalla puerizia, per così dire, di  - non avere lè non idee affai ben nette , e  a difiinte delle colè , e mettendo ogni Itudio  in attentamente ponderarle, làperle sì fat-  tamente comparare, che comprender fi  polfa la conneflìone , e la dependenza , di  efiè . In apprefio lo Audio della Geome-  tria, e quello dell* Aritmetica vie più di  qualunque altra cola del Mondo può per  verità agevolarci in quello , ed elìerci d’un  eftremo giovamento; Vero è però quel  che Ipezialmente fi deve su quello parti-  colare commendare , e lodar oltre milura   a 9   egli fia, il far acquifto d’ idee chiare , e dii   . ~ *' firnfinte del bene e del male ; imperocché  ciò eflendo per 1* uomo una delle più ne-  cèdane cognizioni , e delle più utili, e im-  portanti , giuda , che non una fiata fi è  detto, può fèrvirgli altresì a formar un  buon giudizio delle proprie azioni ,. e con-  fequentemente valergli non meno per la  quiete, e per la tranquillità della fùa co-  fcienza, che di quella degli altri ; non ef-  fèndovi altra cofà inquedavita, che va*  glia maggiormente un uomo a rendere  graziato , e infelice delle riprenfioni , e  rimprocci che lui medefimo fa a lui fìefib  . . Quindi molto a nofiro propofito  fcrifle Seneca , che : Prima , & maxima  peccantium ejì peena peccojje , nec ulìum  fcelin , licet illud fortuna exornet , mu-  neribtn fuis , licet tueatur , ac 'yindicet ,  impunilum ejt , quoniam fcelerii in fede-  re fupplicium ejì .   £>. Difpiegatemi il vocabolo intelligenza 7   JW. Quefta , che giuda 1* oppinion commune  de’Filofòfi, e la prima delle virtù intel-  lettuali , la fi rienvien definita per un abi*  to confidente del tutto in conofcere , affai  bene , è didinguer le cole per via de* lor  principi, e col darei agio da poter fin all’in-  terno di effe penetrare , difvelarne , e ifeo-  ]  piHrne altresì il modo con cui 1* une per  V altre vengano comprefè . Ad ogni modo  le definizioni , e K giudizi intuitivi elfèn-  do il fondamento , e la baie delle noftre  cognizioni , colui fòltanto merita veramen-  te da riputarli fornito di una tal facoltà ,  che giunto fi vede già a tal legno che fap-  pia tutto ciò molto ben fare , e con pron-  tezza,* Il perchè perriufcir in quello egli  è necefiario , che s’ acquifti al dinanzi T acutezza d’intelletto; perchè le definizio-  ni altro non eflendo in, effètto , che nozio-  ni difiinte complete , per ben formarle ab-  bifogna che fi difiingua nelle cofè, e fi veg-  ga quanto di diverfò , e di vario vi fia ( I ) .  V. Che colà è fcienza ? '   M* Un abito da fàper ben dimofirare , e provare quanto mai da noi fi afferma , o fi nie- Quindi egli Ji mira , che F idee ,  chiare delle cofe agguardarf debbano come  tanti princip] di quejta facoltà ; poiché fonere-  te quefìe fbben confufe alquanto , e inordi-  nate y potendo effer /efficienti , e bafevoli a  difinguer una cofa da un ’ altra , e denominarla nel modo , che conviene , e col proprio  vocabolo jonver tir f veggono in noi in idee di-  finte , edefèrci di gran giovamento agli giu-  di/ intuitivi , che di quelle formiamo . ga ; onde di niun altro! alferir fi può meri-  - tevofmente , che abbi la le ienza di qual-  che cofa , lè non.di colui , eh* in molli aria  sa , e può far ufo di pruove , e di fillogifl  mi, od argomenti concatenati , ? ed uniti  infieme gli uni con gli altri in guilà , che  venghino tutti a terminare , ed iftiorfi in  fempli ci prem effe non fondate , che inde-,  finizioni , ed in efperienze certe totalmen-  te , cd evidenti , od in afliomi , e propo-  rzioni identiche . Quindi ne viene : I. Che  per l’acquifio di cotal facoltà fia mefìieri  al dinanzi fornirli d* intelligenza per ottener la notizia delle definizioni , e degli  altri principi d’ aliai manifefii , ed indu-  bitati , che lòno il fondamento , e la baie  delle dimollrazioni . Ch’ ella fia ne-  cefiària , ed appartenente a tutti lènza ri-  lèrva , od eccezzion di perfona , rinvenen-  dofiogni un in obbligo, ed in dovere di aver  un diftinto, e perfètto conolcimento del  bene , e del male * che non fi può in altro  diverlò modo da quello conièqui re. III.C he  polla di lunghillimo Ipazio giovarci per  f appagamento interno di noi medefimi ,  e per la quiete della cofcienza ; imperoc-  ché l’uom privo peravventura totalmente,  e sfornito di feienza, per non poter in guilà  alcuna quel eh’ afferma , 0 niega dimolìrare, andando al didietro delle maffimeì,  e degli lèntimenti altrui , , il più delle  fiate è in illato di poter travedere , od  errare; è perchè nulla opera (è non còti  > una cofcienza molto dubbia , ed erronea ,  quella che nelle lue azioni rampognalo di  neghitto/o , ed imprudente , vai per po-  ' co in tutto ilcorfò delibo vivere, come  V efperienz.a lo c* infegna,a renderlo difgra-  ziato , e infelice ; IV. Che finalmente  quella facoltà per elìer un abito egli fi ac-  quifii v alla guila di tutti gli altri , median-  te feièrcizio; febbene , vaglia il vero,  quello agevolar fi polla oltremodo , e facilitare con la lettura de’ libri Icritti con un  e buono , ed ottimo metodo dimofirativo ;  .trattando di Iciorre tutte le dimofirazioni  in (empiici fillogifmi per conolcerne la di-  pendenza , ed appieno la lor unione , ed il  lor concatenamento comprenderne , non  che per attentamente (guardare , e badar  lòttilmente alla conformità, ed adórni-  glianza che v’ abbia infra cotali dimolìra-  \ zioni , e il metodo, od ordine, che dir  vogliamo , il quale naturalmente dalla no-  ftra mente, fi vede lèguito nel peniate ; fèn-  .za , che può efsercj altresì in ciò giovevo-  le , e di gran frutto il proccurare di ren-  derci per quanto fia pofiìbile , famigliari , *  * e pronti li precetti di una Loica , quanto  t meno fi può , didìmili , e diverfi dalla Naturale   A Ma fe pur egli è così , come voi dite , che  la fcienza fi fofiè un abito, come fi può  ella tra le virtù dell* intelletto , di cui ab-  bifogna , eh’ uom venghi decorato anno-  verare ? credete voi forfè, che fi polfa dagli  Uomini idioti > e groflòlani , così come  dagli altri altresì molto di Ieggier confe-  guire?   M I» fatti quello abito agguasdar fi luole  comunalmente come proprio de* Matematici , e della gente da lettere , e di fpiritoj ma pur un tal fornimento è lènza  fallo d ? afiai lungi dal verone falfifiìmo^  imperocché , lalciando noi dare di quanto  gran ufo egli fia nella Morale, e quanto  . neceflàrio in quella , e quanta importante  da più dotti tra Filofoli venghi reputato ;  (k ) la Icienza, di cui, come voi ben làpete,  tutti debbano cercarne un intera contezza ,  e ftudiar per quanto; vaglionod* iltruirfone;  non deve a niuno recar maraviglia , o am-  mirazione alcuna , giuda , che lo c’ info-  gna la fperienza , fo fia mai fin da Uomi-  ni , per altro volgari , e groflì acquiftato;  imperocché il metodo di ben dimodrare   | ' ^on-   t Hy V- Corife. Pufendorf. Locb. Vytlf. èc? convenendo del tutto , e uniformandoli col  penfar noftro naturale;può di vero avveni-  nire , che da quelli in ciò fi veggano avan-  zar di gran lunga,’ e lùperare gli eruditi  medefimj ; avvegnaché dicendo io, che  di quello abito fornir fi debba ad ogni co-  llo , ed adornar ciafcuno , intenda ciò fol-  tanto ’ per quel che rilguarda la cognizione  del bene , e del male ; e non già delle  Icienze indifiintamente ; come colà , che  è fenza dubbio , difficile , e per poco im-  ponìbile da ottenerli per uomo; lènza, che  come in tutte le virtù fi concepì (cono da  noi alcuni gradi , alli quali non vien per-  meilo a tutti ugualmente, e dejlo Hello  modo il poter giugnere ; così d’ ordina*  rio parimente fi ofierva , eh* avvenghi  ed accada nelle Icienze; comechè fi deb-  ba pur con feda re , che vi fiano ; reali  mente alcuni obblighi, fiano ufficj, o doveri  umani dalla cui obbligagione molti» non  avendo dalla natura que’ pregi , o quella  doti, ottenuto , che gli altri ottennero, e  che per ben fòdi§farli fi richieggono , te-;   * nerlè ne debbano totalmente immuni, q  lontani, non oliarne, che generalmente par«  landò e’ lèmbrano tutti obbligar, lènza ec-»  cezzione alcuna V   V., Spiegatemi qual cofa dite voi folidIStà, o laidezza dell’ intelletto .   /V/. Un abito da discorrere , e ragionar con  diflinzione delle cotte , ed jn mòdo che fi  vegga per ogni vertto , e fi disopra jl con-  catenamento, e r unione, che v’ abbia  ne npttri dittcorfi , o ragionamenti,- quin-  di e che per quefio fi venghi un certo  grado di virtù a cofiituire alto , ttubli-  me, eccel/ò o perfetto vieppiù di quello,   , f P er 3 ^ ,enza non fi cottjtuifce come-  chevi fi giungaperpoco alla fletta guitta,  e per la medefima ftrada j colui folo aver  dovendoli veramente per più adorno, e  maggiormente fornito di un tal abito , che  apprettar fi vegga nelle pruove delle tee  premette a gli primi principi , e alle pri- /   me nozioni fi avvicini • il perchè vero  e pur troppo , che non picciol contrai'  legno egli fia, anzi una gran moflra di  lolidità , o laidezza d’intelletto d’ un’uom .° ’ c " e P ro ppfizioni ammette dagli al-  tri lenza pruove e’ vaglia a confermare , e  mediante li primi principi moflrare ; o fé  checché altri con efperimenti, edocula- , .  tamente afferma , e’ con ragioni, dimóflra  c per via de primi principi , febben fi deba di maggior pregio lèmpre reputar co-  lui, ed efiremamente lodare, ch’abbia  fonquiflato un abito di ben accoppiar , ed   J 3 unir tra se molte verità , awegnàcchè  diverfè, e diffìmili , o di poterle da’ prìn-.  cipj molto lontani, e remoti con un non  interrotto fri di raziocini, o fillogifmi ,  dedurre ; efiendo pur queflo , veramente  un grado di perfezione del nofìro intellet-  to s in cui affai di rado uom giugne, cola che forfè fi fu il motivo per cui nè per  Arifiotele , nè per coloro, che gli andarono  dietro, o al dinanzi del "W’olfio ne fcrifièro,  confuto avendolo con la fcienza non ne fè-  tono verun motto, ne’l diflinfèro da quella,  Z>. Qual cola chiamate voi invenzione .   'Un arte , o abito , eh’ e’ fia da poter in-  ferir dalle verità di già divvolgate , epale-i  fi dell* altre punto non note, nè conofciute ,  t>. Ma quali vantaggi fi pofiòn ritrar mai da  . queflo ?   JM. Queflo abito non fèto all’ intelletto aggiugne perfezion maggiore degli altri ,  di cui fin ad ora abbiam noi favellato,  tn’ altresì può lènza dubbio nella vita e£  lèrci di un gran ufò ,* fòvente volte avenen-  do fpezialmente nelli maneggi della Re-  pubblica , che facci mefliere nello fleflo  mentre non meno formar buon giudizio  delle colè , che rinvenir li mezzi più co*  modi, ed opportuni per aflèguirle , e man-  darle ad effetto $ oltreché tutte le fcierfzq   le più utili , e profittevoli , o vantaggiolè  del Mondo, che fi trattano comunalmen-  te, e s’ infognano , non eflendo che un  fàggio, o rifiretto, che dir vogliamo di  quello, per quel che mottrò un valente uomo, egli fi può di fermo aderire , di  colui , eh 5 abbia peravventura cotal per.  fèzione acquittato, che contenga in se con  quefta ìnfieme , ed unitamente le migliori feienze , o facoltà , eh’ abbiamo , o che  . di leggieri lènza foccorfo e fenza ajuto  . d altri e' polla volendo conleguirie; come-  chè di quell’ abito , vaglia il vero , affermar noi polliamo ilmedefimo, che tettò  fi ditte pur favellando della fèienza , cioè,’  che. febbene tutti , generalmente parlan-  do , fiano in obbligo, ed ih dovere di farne  l’acquifio , fi debban lèmpre tenerne dèn-  ti ed eccettuar coloro , che norv ebbero  dalla natura forze baftevoli * e fiifHcienti  da farlo ,   X), Bene; ma avendo noi due dì ver lì modi *  e vie da poter rinvenire, e difeoprir il  vero , non fi potrebbe forfè quelVabito per  quello motivo divìdere ih due differenti  fpecie , l’una di cui non confitta, che in   , far degli buoni dperìmenti > e delle buo-   I 3 ne' T* Scbirnb4t^Jen% ^£ in cui fi trattano d’ in-  venzioni , e di novelli trovati , li quali al-  manco fi devono tratèorrere .Colà intèndete Voi per fàpienza ?   Un abito confidente del tuttò'in benac-  conciamente prefcrivere , ed afiegnar .alle  fìie azioni del li giudi,, e convenevoli fini,  non che in far una buona, ed un ottima  fcelta dell! mezzi , che vi lì richieggono  per mandarle addetto , ed efèguirle, con  coftituire li fini particolari , e fubordi-  narli in tal fatta guifà gli uni dagli altri  vicendevolmente dipendenti , che median-  te li più profiìmi , e vicini giugner fi vaglia all! più remoti , e lontani j II perchè  efièndo.ella di un utile cotanto grande,  ed impareggiabile per la direzione , e per  lo regolamento delle noftre azioni , giuda  le leggi della natura, che al dir di Leibnizio  (w) è la vera fcienza della felicità Umana ,  non fi può per niun verfò recar in quedio-  ne, che tutti non debbano proccurarne il  filo acquifto * Ma bilògna però ofièrvare ,  come altresì quindi mani fefia mente s’im-  prende, efier dimedteri; I. Che non fò-  lo il fine dell* azione d’ un uom faggio fia  giudo, e buono, ma eh* altresì li mezzi  fiano tali. Il.Che quedo fine fia tèmpre mar  fiibordinato , e codituito dipendente dal  principale , eh’ è la propria perfezzione .  E III»   m ) V. La futi prefazione al codice diplomatico del Dr^to delle Genti. Che li mezzi, li quali colà condur ci  debbano e portare ; vi ci conduchino , e  portino per la piùbrieve * e corta ftrada  del Mondo. Ma come pòfliam far noi quello acquifio ?   M» Conviene per giugnervi provederci di  molte , moltiflìme colè $ poicchè primie-  ramente noi fornir ci dobbiamo di fcienza,  non potendoli in altro modo format buon  giudizio delle azioni noftre particolari , e ' '  della vicendevole fobordinazione ^ e di- *  pendenza de* fini infra di loro * e delti  mezzi , che vi ci conducono ; In fecondo  luogo fi richiede* che fi abbia un* erètta  contezza* e Un intero conofcimento non  meno della malizia.* e della bontà dell*  umane azioni , che del li negozj li più ne-  cefiarj, e ùtili, od importanti alla vita ;  con trattar di aver un’abito darèperben  provar tali colè * imperocché quel che  peravventura otteniamo dalla Matemati-  ca , o dalle altre fetenze egli è d* un afiai  picciol ufo , e prefiò poco di niun momen-  - to pel corfo del noftro vivere tutta volta ,   • che fiam totalmente sforniti, e poveri di  quelle materie imcui poggiar fi dovrebbe-  ro * e fermare li nofiri aifcorfi ; In terzo  luogo v* ha mefiiéri , che fi fii profittato  nell’invenzionejcome Che giovi fòprà tutto,   che fi fàppj quelche in quella materia può  • mai riguardare al buono , e fàvio modo da  vivere . In ultimo abbilognà perciò aver  anche dell’ ingegno e dell* acume per giti-  gner sì fattamente ad ifpecular 1* altrui  azioni, e meditarle, die fi comprenda il fi-  ne , che fi ebbe in eflè , e li mezzi , che per  .mandarle ad effettto fi prelèro, non che gl*  impedimenti , che intanto vi fi framefchìa*  rono , anzi tutto ciò , che vi fi operò mai di  foverchio , e lènza che la bifogna 1* avelie  richiedo ; comechè , vaglia il vero , non fi  pofià giammai formar un buon giudizio  della Capienza d’ alcuno dal lolo evenimen-  to delle colè; poiché. lòvente avviene, che  per gl* impedimenti , e per gl* intoppi *  che non lèmpre fi poflòno al dinanzi molto  ben antivedere , nò pronofìicare , avve-  gnaché fi fia operato con ogni maturezza , non abbiano avuto quel buon /uccello  che fi affettava .   D. Qual colà intendete voi per prudenza ?  2\d, Quell’abito, o fia difpofizione , del nostro intelletto , per cui fi mette in opera »  e fi elègtiifce quanto al dinanzi da fenno ,  e faviamente fi fu fiabilito. Vaglia il vero, lènza quello, la lapienza è di un molto poco ulò per i’ uomo , e  quali che di ni un pregio .   E quello è il motivo per cui da lui fi de-*  ve a tutto cofio trattarne 1* acquifio .   D. Ma perchè in noi la prudenza , e diverfà,  e differente dalla fàviezza .   M» Egli è ciò un effetto della limitaziorìe del  noftro intelletto; Quindi, fenza fallo avvie-  ne, che deliberando noi delli mezzi, che ci  / conducono ad un fine , fòltanto badiamo  a ciò, che rifguarda per all 1 . ora 1’affare,  talché per la gran moltitudine , e per la  gran varietà de’ contingenti * che del continuo avvengono , abbattendoci per avvefh  tura ad alcune cofe, e ad alcune partico-  lari circoftanze , cui non così di leggieri fi  potea al dinanzi da noi guardare, e quelle  rendendoci fòmmamente perpleflì , e dub-  biofì , fe mai sforniti totalmente fiam di  prudenza, non lappiamo a qual partito ren-  derci ; Il perchè la umana pfuderza in  altro non confitte, che in fàper da se di-  lungare , ed allontanar gl* impedimenti x  e gl’ intoppi tutti , che fi offerifcono al di-  nanzi delle noftre imprefè , e ne fiurbano  l’effetto (K) J e per quella ragion da’  > Pee-  Quindi è; che r’ if copra fidente  Una cofa bene , e vìujlafrentefatta , ma non  riga con prudenza $ e che in Dio non oblia   mun   *•   Poeti , i quali per inoltrarci , eh’ ella de-  rivi in noi dalla mente, eh’ è quali che  divina , mediante cui confiderando , e badando a tutto, abbiam gli occhi rivolti  per' tutto favoleggiarono eh’ ella nata!]  ìbflè dal capo di Giove, ch’eglino chiamarono Minerva , (1 ebbe per (ignora , e  donna della fortuna , e come la lòia , che  contrariar poteflè , ed opporli a’ fuoi disé-  gni ; e di Bione dir li lùole , che avea in  eofìume di lòyente ridire , che quella in  tanto maggior preggio era d’ averfì , e flit  marfi (òpra tutte l’ altre virtù , quanto  più cari devono tenerli gli occhi , e re-  /putarfi più degli altri lenii , comecché tra’  Greci furono pur di quelli , che la confu-  sero del tutto con la Sapienza ; ed imperò  Afranio dèlcjivendola con luoi ver fi non  ebbe dubbio di metterle in bocca .   La memoria mi t fe % ma generata  > DalP ufo ; i Greci vegli on , che fofia ,  Afa fapie n za noi , eh' io Jìa chiamata »  V. Ma perchè quefia virtù la sì crede pro-  pria degli attempati , e de’ vecchi ?   M Per   n*. rfon le proprie parole di cottili ) (q)^   ÒSI iroKo yvfivu^iStax , ÒSI tto\Ù ÌSj'ihv , J Si to\Ò irivay , CSi  tto\ù iffira.TÒiv-p'x&jav-, mùcu. f/sy zm Tjmpyp 'iroix.'riw ,   . Dinegatemi tutto qliefio più chiara-  mente con gli efempli.   . Af. Volete voi Spegnere in un uomo una  gran gioja , o allegrezza? Quefto affetto  provenendo in noi dall* oppinione d* un  ben pre lènte ; bafta pur per aver il voftro  intendimento ; che a coftui gli facciate  comprendere , che quello , eh’ egli crede  bene nell’ oggetto , che cotanto lo fcuote ,  non fia in effetto tale , ovver c’ abbia foltan-    t * 1 , ** X   if4   tanto un ben lùperficiale , ed apparente , e  quell* idea , eh* e’ crede convenirgli aliai  poco , o nulla gli convenga . AI rincontro  volete torlo da qualche trittezza , o dolo-  re ? batta che pur voi vi portiate diverlà-  mente ; poiché ciò provenendo dall’ oppi-  nione di un mal prelènte , altro non è me-  ftieri che fi facci , che dargli a conoscere ,  quello , eh’ egli crede malo non Io fia ,  ovvero’ abbia fol 1* apparenza , e non le  ne debba miga far quell’ idea , eh’ e’ ne  forma . Allo tteflò modo 1’ amor verlò gli  altri nafeendo in un uomo dal dilcoprirvi  egli in quegli peravventura , e rinvenirvi  qualche colà di lùo gufto , e piacimento,  per convincerlo ed ammorzar in lui que-  ito affetto non gli fi deve provar altro,  che quello da cui e’ riabbia quel piacere,  e diletto, non fi rinvenghi nell’ oggetto  amato ; ower eh’ egli Ila tale , che dopo  quello picciol piacere e diletto apporti  . del tedio , e del rincrelcimento in eftremo;  comeche potendo fovente avvenire, che  non fi conolchi punto l? ragione del filo  amore , in quello calò per togliernelo al di  fiiora fi potrebbe altresì trattar di dettar  in lui dell’ odio , non già verlò la perfono,  ower l’oggetto amato , ma si bene in ver-  fo le laidezze , o li vizj di quella . L’odio   ali*    . lsf  all* incontro verfò qualche oggetto deri-  vando in noi totalmente dall* increlcenza,  è dalla moleftia , che n’abbiamo, braman-  do vói torlo d’ akuno, non conviene , che  adoperarvi di renderlo perfùafò e convin-  to , che ciò che quefto produce non ila  realmente nella perfòna odiata , e fpiace-  vole , ower eh’ e’ fia in fè ingiufto , e irra-  gionevole ; (ebbene per efler quefto un af-  fetto, vaglia il vero, di natura pravo, e  cattivo; e imperò potendo fèrvir di grande  incitamento a molte azioni prave pari-  mente , e cattive, fi pofla di vantaggio far-  gli badare a tutto quello , che fi abbia per  virtuofò , e buona in altri, ed in effètto  non lo fia , o che fi reputa malo , e non fia  tale ; Or quefto fteffò modo e quefto me-  defimo metodo dobbiate tenere,* e ofier-  Vare rifguardo tutti gli altri affetti ; per-  che fèdi tutti favellar ne doveffì partita-  ménte, non ne verrei giammai a capo , e  diverrei forfè a voi fteffò non che a me  nojolo , e rincrefcevole ; tutta volta non  deve lafciarfi in filenzio, che fè pur av-  venghi, come può di leggieri avvenire;  uno per confùetudine , o per coftume, ov-  ver per natura fi vegga più verfò un affèt-  to , che verfò un’ altro pieghevole , dove  fi voglia quefto ritrarre alle noftre voglie   fia    Digitized by Google    ir re DE‘ principi   fia meftieri deftar in lui anzi quell’ affetto  in cui fi fcopre proclive , che un’ altro  molto diverto , e vario da quello ; Verbi-  grazia infingali pur , che Titio fia molto  timido, e vile, e che ci venghi a grado  di ritrarlo dal male , ovver ad un’ azione  buona, e virtuofà ifiimularlo,* egli non  v' ha fenza dubbio , altro miglior mezzo  per riulcirvi , che fporgli al dinanzi tutti  quei mali , e quei perigli in cui peravven-  tura potrebbe egli incorrere operando a  filo capriccio , e contro il noftro confèglio;  anzi come colà degna di fomma ofiervag-  gione è altresì da notarfi, degli affetti gene-  ralmente parlando, ch’eglino tra li lor giu-  di, e lecitimi termini riftretti fiano per noi  d’ un utile impareggiabile e raro in modo,  che fè pur non f'ofTè così difficultofo , co-  me egli è , di sfornircene nel Mondo, ver-  rebbemo con efiì a perdere parimente un  infinità di agi e di co m modi , che n’ab-  biamo . Annoveratemi le virtù proprie della vo-  lontà. Quelle fono: Temperanza , cifra di fè  medefimo, ovver della propria perfona,  cafiità , liberalità , modefiia, diligenza,  pazienza , fortezza , amor inverto gli al-  tri , manfuetudine , amicizia , verità , e  gùiftizia. Co-     .1, ir?   Cominciando dalla temperanza , ditemi  che colà fia ? Ella fi è un abito , o per meglio dir una  virtù morale , che confìtte in ben determi-  nar il noflro appetito rifguardo al man-  giare , e al bere giuda le leggi della natu-  ra ; imperocché dovendo noi ne’ cibi , e  nelle bevande, così come nell* altre cole  aver la mira tèmpre all* utile , e alla notìra  falute, ed imperò vedendoci tenuti badar  romeno alla lor qualità, che alla quantità,  l’ obbligo , il dovere, 1* uificio d* un’uomo  temperante rifpetto a quefì’ ultimo, egli è  di non appeterne tè non quanto quello fine  domanda ; vai a dire, tèi quella quantità ,  che per la falute , e per la contèrvazione  di fe medefimo la fi richiede ,* e riguardo  al primo , cioè , alla qualità , egli è me-  (fieri , che fi porti da medico con lui defi-  lò , e ponga mente per lo continuo a tutto  ciò che li può mai giovare , o nuocere ;  quel cibo tèltanto generalmente parlando,  tener dovendoli per molto buono , e làno,  che fi lente di leggier ilmaldito nel noflro  ventricolo , e che vaglia a promuovere il  trapelamento delle parti ; imperocché non  abbiamo sù ciò delle regole filtè , e flabili  ad oflervare, ne poflìam troppo trattener-  ci , e di tèverchio a contègli de* Medici,  non men per non eiTèr tutte le colè co-  munalmente a tutti utili , e profittevoli ,  che per la poca evidenza , e certezza di  quelli precetti , eh’ eglino n’ imprendono  dalli libri della lor arte , come sforniti to-  talmente^ privi di quelle ofièrvaggioni da  cui fi ritolfero . Non credete voi $ che polla egli llabilirli  .qual quantità di cibi fi richiegga per un  uom temperato , e ben ordinato? No ,* poicchè per la diverfità del corpo  fè nc richiede in uno più che in un* altro ,  come che per alcuni legni fi polTa lènza  dubbio daciafcun conofcer , e compren-  dere quando giufla ella fi fòlfe per lui , e  convenevole, e quando fi abbia ufcitodi  cotali termini, Ditemi quali lon quelli incominciando  da quelli della lòbrietà . Li principali di quella fono la legge-  rezza, e l’agilità delle membra dopo il no-  (Iro pranzo , o la cena , ed il dormir con  tranquillità , e lènza, alcun interrompU  mento . E quali dimortrano il troppo riempìmento? Gli opporti a quelli , cioè, la lafle2za  delle membra dopo tavola , e la gravezza,  o fiacchezza del capo , per là mutua , ed   ilcam* ; jf 9  itèambievole corri fpondenza, che v’ è tra  quello , e T noflro ventricolo ,* (ebbene il  ioverchio cibo ha tèmpre di meno fàrtidio  per verità , e pregiudizio per la teda di  quel che lo fono gli eccelli del bere .   Z>. Ma come mai per uom fi conotèe (è il mal  provenghi dalla qualità , ovver dalla quan-  tità de* cibi ?   In più modi ; porto però che fiam ben (à-  ni , p liberi di quelle pafiìoni , che fòvente  fi veggono difordinarci, ed efièr di un grart  impedimento alle funzioni , o azioni noflrc  animali ; imperocché per ciò (àpere , non  tèlo paragonar noi polliamo , e far com-  paragione.della quantità de’ cibi dell’ulti-  ma cena con quella dell’ antecedente , e  dello flato del noftro corpo in altri tempi,  in cui peravventura ci rimembriamo aver  fatto utè> delli medefimi con il pretènte, m’  altresì dall’ incommodità , che (èntir fi fo-  gliono tanto in tempo della digeftione , eo-  me i rutti , gli ardori interni del ventri-  colo , i dolori di tetta , ed altre di tal fat-  ta , quanto dopo , e (pezialmente nell’òre  mattutine, come le languidezze, o Iaflazio-  ni, che dir vogliamo delle membra, dsendo  tutte , e tali colè, ed altre fimill tègni cer-  ti ed evidenti della mala qualità de’ cibi ;  fcnza nulla dir delle feerie, e dell’ orine,   - che    ito   che fògliono non che di una buona digeflio-  ne , di ciò parimente renderci ficuri,   D. Sup»  Ecco qui un faggio .di quelle regole  portate per regolamento della propria fallite ,  in quella parte della Medicina , che comunal-  mente la lì dinomina Igieine , o Dieta mag-  gior chiarezza de ’ nojìri leggitori ridotte olii  feguenti capi ,    Dell' elezzione del P ària •   Un aria dolce , ed amena , e temperata la il  erede la miglior del Mondo , e la più falubre  perdei vita ; comecché Ji loda pure , e Jì abbia  in qualche pregio quella de ’ luoghi campejìri ,  o alti , e fventolatì in modo , che agevolmente  if gravar Jì pojfa , e fcaricarjì de’ fu oi effuvj ;  V altre tutte differenti da quejlejtan calde ,  o- fredde , fan umide , o fecche , ofan denfe  di foverebio f anno come molto nocive agli  ammali e dannofe ; imperocché primieramen-  te il troppo calore dell'aria ifeiogliendo altre -  sì troppo il nofro f àngue , e con rilafciar li  pori della nojìra pelle più del convenevole fa-   cen-  D. Supporti quelli principi dunque 1 * intem-  peranza che fi reputa comunalmente, e fi  hà, come un vizio contrario interamente  ed opporto alla temperanza, non confìfte,  eh’ in dirigere , e determinar l’appetito  quanto alii cibi , ed alle bevande in un mo-   L ' do    cendone ifeorger al di fuor a J, udori eccejfivi  non vai chea debilitarci oltre mifura;e al rin-  contro il fuo freddo eforbitante refringendo a  maggior Jegno quejìi bocherattoli , ofian pori 9  e con ciò fervendo a ojì acolo , e di impedimento  alla rejpir azione e ’ può si fattamente ifpejfir  gli vomori , e tonde n far li , eh' e' vengano a  recarci addoffo infiniti morbi^ciòè tutti quelli ,  di cui la fp effe zza fuol ejfer cagione ; avve-  gnaché F eccejfo del freddo veramente fa di  molto minor dannaggio per il nojiro corpo ,  che non è F eccejfo del calore . In oltre la fio-  ver chi a umidità rila fida , e fieude in eccejfo  le fibre del corpo , e con ifpigner gli umori a  gran violenza , e forza inverfo le parti effe-  riori fa che di legjgri vi f accolghino , e fifa -  gnino , e con ciò venendo del tutto a cor rom*  perfi , e viziare , fono F origine in noi e la  caufa dì varj , e diverfi affetti catarrali ; e  ffl rovefeio laficcifapiu del tfi&ert cpl dijfec*   ‘ care ,     do tutto al roverlcio di quel che fi richiede  per la noftra fàlute ; e poiché la volontà in  noi vien tèmpre niofTà da qualche motivo,   4 c per contèquente imperò deve eflervene  alcuno per cui uom brami un cibo , o una  bevanda di qualità, o di quantità anzi con-  traria , che confacevole a lui medefimo;  altro per (corta, o guida non avendo colui,   che   • ! \    w   care , e rafcìugar incomparabilmente il cor*  po facendogli perdere V agilità , e la dejìezzQ  delle parti lo rende inabile , per poco e netto  al moto ; (ebbene l' aria calda , e umida fa  affai più peggiore , e pregiudiziale alla fola-  te di quefle , come quella , che piu d' ogni altra vaglia a frodar negli animali degli fi ruc-  cheVoli , e cont 'aggicf vomori ; e finalmente  dove abbia Joverchia ifpijjezza , e denfìtà , e  con quefia una fopr abbondanza d* ejfiuvj come  quella de* luoghi fotter radei , e fenza ufcita y  ifpeJfendofiH umori ,e cond enfiandoli li di [pone  ad una infinità- dj rifiagn(fowtti,e di differenti  malori con effer ben foverite''altresì la cagione  de Ili Affogamenti degli animali ; quindi è, che  le càfe>e l* abitazioni nonfi figliono lungamen-  te tener iibanvCe , è Quelle fatte di ritenta  v • * * • non    ‘""  che dalle leggi della natura lì diparte , che  li proprj lenii ; egli deve crederli , giuda  eh* io m’ avvilo , non per altro 1* intempe-  rante ufi li cibi , e le bevande in qualità ,  o in quantità più del convenevole , e del  giudo fé non per il gufto , e per il piacere,  che vi rincontra.   M- Quello è ve ri (Timo ; e vaglia il vero per  muoverci ad evitar quello vizio , ed aver-  lo in.abbominazione e in odio , ballar dov-  rebbe T aver a cuore la nodra vita , e la  propria falute , rendendoci certi appieno ,  e peiTuafi del nocumento , e pregiudizio  grande , che ne pofiìam mai ritogliere; im-   L a . pe-    non fi abbitano fe pria non Jiano ben diffeccate ,  e riafeiufte , o per via de fuoghi , e de' f uff u-  migj purgate, - . .   • m 2 . * %   Pelli Cibi e delle bevande ,   Egli fi hh quafi che per una regola genera*  fe ffavellandfi de ’ Cibi fodi , e non flùidi ,  che li migliori , e lo piu f ani Jian quelli , che  fi veggono meno fogge t ti a corromperji , e a  futrefarjì ; e -che quanti più f obietti vengano^   ' e Jem -    ?..    i*4   perocché dall’ amore , e dall* affetto , eh*  abbiamo alla noftra confèrvazione non mi-  ga disjunger potendoli e fèparare il gufto il  piacere, quanto è vie più quello e maggior  di quello, che dalli cibi, e dalle bevande rac-  cogliefi, tanto più e, prevaler faprà in noi,  C dominare portandoci ad abbonir , come  conviene , e renderci alieni da ogni, e qua-,  lunque fòrta d’ intemperanza , e ifregola-  tezza ; e comeche a ciò niuno giunger va-  glia che pria non (àppia quello cibo, o que-  lla bevanda per la fca cattiva qualità , o  troppe quantità li rechi danno, aliai pochi  non però fi veggono di quegli che badano   que-    e femplicemente al gufto preparati , cotanto   piu giovino . Quindi ne Jiegue ; 1. Che V erbe f ano mi-  gliori eftremamente pii* delle carni , comeche  quelle che rin ferrano in fe maggior copia , e  abbondanza d' acqua deir altre , fi tengono in  minor pregio , e per meno falubri ^ li. Che  delle carni quelle che fon d' una tejfttura non  guari ne dura , ne fr agile jorne quelle di va. Del Moto, Oltre tabu O'sa elezzione dell* aria , e de*  cibi per la J alate , egli Jì richiede altresì un  moto moderato della per fona , e fatto a tem.   fOy    . 1 7 r  Per la qual cola infra gli uffizj , che l’ uom  deve al fuo corpo , eflendo la contervazion  della propria vita , la fanità del corpo, il  fàperli ben guardare, e munire centra riti-  giurie delle ltagioni , 1* integrità delle  membra * e ’1 trattar d’ acquiftar tutti gli  abiti Convenevoli al fuo (lato , e acquifta-  tegli, efercitarli , e mette rliin opera ; da  'chi che brama aver di fé quella cura che  aver deve fà meflieri,che ogni fio Audio, e  tutto l’ intendimento rivolghi a cotali co-  * fe ; poiché in ordine alla (ita vita * uopo è ,  che fi rifletta quanto mai reputar fi debba  la (ua perdita con ragioni prete dal fuo  proprio flato , come a dire col por mente  a Ipiluzzo a tutti li beni , eh’ egli da quel-  la    po , cioè , non miga dopo pranzo ; eh è potreb-  be ejfer dP un gran impedimento alla concozion  de' cibi , e in luoghi debiti , come fon per efem -  pio gli aperti * 0 li campejìri , che fono li mi-  gliori . Vaglia il vero venghìamo da tutti af-  fé urati e ref certi , che come quejìo ufato in  quella guifa , che voi abbiam detto , giovi a  confervar in moto il fangue , e mantenerli il  calore , non che per . la robujìezza , per la ga-  gliardi , e per V agilità delle parti , e per al-.   tri    iere , e alla fùa famiglia*  e agli altri recare; niuno nafcendo per fe  me~defimo,ma foltanto per Dio, e per gli al-  tronde è che ad uomo competer non pof.  fa giamai dritto alcuno , ne poteftà (òpra  la propria vita ; e per nitina ragione al  Mondo debba affrettar la fua morte, effen-  do ciò lo (letfò che rubellarfi , e fòllevarfi  contea Dio , giuda fi moftraron di fènti-  mento li migliori infra gli antichi Filofòfi;  ( r) come che gli Stoici foli avellerò tutto  diverfàmente fentito , in guifà che i Ro-  mani avendo la maggior parte da Giure-  confulti avuti da cotal fetta, non filo niuna  pena iftabilirono contro coloro, che volon-  tari a-   (r) Cic.inCit.è de Rep. I. Vi. p. io?. Ateneo i. 4*  p. itj. Caujabm.p. 1S4. PUt.in Pbadon. Piotivi. \X.En~  nead. 1. Senec.ep . 70. p.    tri si fatti commodi , ed agì : potendo fedirci  di vantaggio fpszialmente per un gran preferì  vativo e argomento a poterci da morbi Cro «  nici liberare , non che dall’ippocondria ; e  dall' etica f opra tutto con quello del cavalca -  re : cosi al rincontro la f 'ua mancanza , e la  foverchia q f àe*e venendo il nofìro corpo pref.  fa poco ad ifnervare , ed qffiebolire lo renda   ina - tariamone trattato avefièro ufcir di vita ,  ma altresì come Validi li tefiamenti ne fo-  fiennero,e l’ultime volontà ( s ). Anzi alcuni  non foto infognarono, ma ne diedero fin nella  propria perfòna della lor dottrina l’efèmplo;  come di Caronda, di Cleanto, di Crifippo,  di Zenone , di Empedocle , di Democrito,  e di pochi altri dicefi ( / ) ,• che nell 1 ultimi  lecoli altresì ebber di quelli , che ne prefè-  ro le parti, e contra ogni ragion li fèguiro-  no;ed il medefimo fi può dire riguardo alla propria fàlute , efiendo ogn’un  tenuto por mente alli commodi , e agli  agi , che da eflà fi poflòn mai avere , e agli  jncommcdi , e difàgi , che portan (èco i  , mor-   ( f ) i {Ip'utn. D, /. ^8. Paul. I. 39.   ( c ) frodar. 1 . 1 a. p.Si .Lattant . de /alfa fapientìa . /.   8.C.1S.   ( u ) V. Alla erudlt.nd ann.iyoi. menf Maj.,    inabile del tutto al travaglio , e alla fatica ,  e con fargli vmori foverchìo grojfolani divenire , e che le digejìioni az/venghino fuor di  tempo , infermiccio , anche e mal fano ; ma  egli è uopo avvertirebbe dopo un moto violen-  to , e forzato non f debba tutto di rimbalzo  come egli dicono, darjì alla quiete , e al ripo-  so, ma pajfo pajfo * acciò mediante V infenfì-   bile    morbi , di cui, vaglia il vero, farebbe lènza  fallo , di gran nofro giovamento , che a  quefto effetto fè ne cercaffero,e fe ne ilifco-  prillerò le caule . In ordine poi all* integri-  tà delle membra in tutto il corfo del no-  fro vivere , e in ogni moto , e fito del no-  fro corpo, uopo è badare attentamente alli  danni , che comunalmente fi veggono alli  incauti avvenire ; e veggendofi per efpe-  rienza , che li fènfi in noi per l’ eccefiìvo ,  e fìrabocchevole ufo, che ne facciamo, ven-  ; ghino la lor virtù a perdere , ed a (minuir  di forza , cioè, che P applicar gli occhi per  efemplo alle cofe minime , e piccioliflìme,  o troppo difcofie , e lontane , o vicine , d’afc  fa i fracchi la vifta , e la difminuifca;   J’-oreebile trapelamento delle parti agiatamente  fatto, fi dileguino le particelle faline e fulfu •  ree del j angue .     *   Pel fonno , e della vegghia.    Ma ninna cofa vogliono, che vagli vieppiù  il nojiro corpo a fcemar di forze e debilitarlo  quanto il troppo Jìar defio , e la lunga vegghia.  ' eh' . i?f  * T orecchie a rumori troppo violenti , e  grandi , ovvero a filoni foverchi vehementi efpofii perdano l’ udito ; e ’1 medefìmo  egli lìa trattandoli degli altri /enfi ; non  abbifogna miga ufarvi negligenza , e tra£  curagine , In ultimo rifpetto all’ abito , e  al domicilio , di cui fiam in dovere forbirci  per poterci munire, e difendere dalle fia-  gionijè mefiierj , che fi oflervi non meno il  decoro s e far che I* azioni libere fian  Tempre mai in concerto , che aver fa  mira agli averi , allo fiato , ed alla  propria dignità , eperfonaj come che di-  cendo io di. efièr in obbligo provvederci   d’ ab-    K * "2   eh' impero il fonno Ji abbia per la nojlra con-  fermazione a reputar £ ima ejirema necejfitày  e bifogna ; come che fi richiegga ufato pur con  moderazione , e regola % y effendovi meramente  alcuni , che ne fiano piu degli altri bifogno -  Jì, come quegli che fono in una continua me-  ditazione , cioè di un temperamento molto  umidofopra tutto però Jì avverta a far buona  elezzione de' luoghi per dormire , ejjcndovi al-  cuni come i foverchi caldi per efetnplo , che  fono meno comendabili e f aiutati de' freddi,  stemperati,   V. Dal,     4’ abitazioni , e di vedimenti per liberar-  ci , e (campar dall’ ingiure delle ftaggioni,  non intendo miga aderire non efièrvi altro  motivo per cui alPuom convenghi ciò fa-  re ; imperocché in ordine agli abiti, li no-  ftri (enfi venendo modi (avente , e rifve-  gliati dagli oggetti , e per mezzo di effi  ponendofi (pedo in moto l’appetito, egli  ogni ragion vorrebbe , che facedìmo nel  noftro corpo ufo di quegli per coprirne ,   • e nalconderne quelle parti, di cui pur trop-  po i( tacer è bello, altresì dove non vi avek    V,   Della fup effluiti , e degli efcrementù   Molte fon le regole altresì che ci vengono  preferite a queflo riguardo ; ma noi non ne  riferiremo , che le principali , le quali ridar  fpojfono a quejie , cioè . Che le f ape fluiti e  gli efcrement\ tutti generalmente parlando ,  lungamente rattenuti fano di un gran difea*  pito alla falute . . ... . .   Che quelli che fono fcarrichi di foverchio ,  q fciolti di ventre debbano di gran lunga evi «  tar il freddo del corpo , e fpezialmente quella   àe'    , fe alcun timore degli incommocji de’ Tem-  pi j è rifpetto alle calè, e abitazioni , con-  verrebbe parimente averle per cuftodir il  noflrO 1 , e per attener pio agiatamente  àlle noflrebifoghe; e preparar il necelfa-  no al noflro foftemamento , non che le  ftanche membra rìftorar col tonno . Quindi  uom vede quanto profittevole , e giove-  vole e’fia per ciafcuno trattar di 1 far un  abito da poter riflettere, e badar anche  alle cote piccioliflìme , e di niun rilievo  per non la/ciar nulla a dietro nelle colè  . grandi , e di maggior momento. ' ‘   D. Che colà è diligenza? ‘;   fri. E una virtù confìflente in ben deter-  minar la fatiga, e’1 travaglio, non che  tutti li noftri efercizj giufia ìe leggi della  natura ; imperocché efiendo colà pur cer-  • M • >, tiiTì,   . ' .  ^ , -   de piedi . Che lìfudorì volontari gfovwo fuor  di mi fura a quelli che fon cT un temperamene  to umorofo . Che la fa Uva ef'endo d* un gran  u » e ffZ\ a . dwjjìove j e per la def rezza , e  l agiltta delle fbr e non Jì déhba Jempre cac-  ciar via ^ e rigettar al di fuor a ; ed in ulti-  mo eh iUoifo Venghi adoperato molto di ra-  do ) e moderatamente , ejfendoyi alcuni tempi   come   tilTìma che 1* uomo ingegnai* fi debba in  tutti modi di aver tutto ciò , che può mai  abbifognargli nella vjta per fodisfar , Com’  e* conviene al li lùoi obblighi , o ulfitj, non  puòdalènno dubbitarli , che non debba  efTer afiiduo nella fatiga , e nel travaglio,  e non lalciar occafione alcuna àddietro eh*  efier gli polla di frutto , o di guadagno all*  accrelcimento de’lùoi averi ,* ogni volta  eh* egli polla farlo a gloria , e loda dell’  Onnipotente , e lènza 1* altrui danno , o  difeapito ; potendo egli avvenire , come il  più .avviene d* ordinario , che per vec-  chiezza , o per indilpofizione , o per altra  contrarietà della fortuna , in apprellò non  polla s ne abbia cotàl agio , e commodo ;   co-   Il-l I    v ' ’   Vegli effetti 3 e delle paffonì.   ' >  ' ’ r ’  r • •   I ^ '   Ter quel che riguarda quejìo particolare  fionji ha nìunacofa di rilievo dalla medicina j  onde tra per quejìo , e perche fe ne favella   /#-   . cofa che fa cono (cere , e comprendere ì  quanto giutfo , e’ fia , e convenevole badar  per 1* avvenire * e non confumare , di bot-  . to 1’acquieto ; Li vantaggi , che mai lì  ritraggono dall’ elèrcizio Coverebbero ba-  care a non renderci neghittofi, e pigri,  m’ amanti , e vaghi dell’ abito , o Ila virtù  di cui di prefente favelliamo ,• come che il  noftro travaglio , e la noftra fatiga deve  regolarfi lèmpre in modo , che nulla mai   M a di   " !  .. 1 !» 1 . ! .. '   * » x  sufficientemente /opra, non /limiamo ne ce far io  difenderci di vantaggio. Velie regole proprie per la falute di  ciafcunoy o per V età , o per lo fijfo ,  o per lo mejìiere o per lo tem -  per amerito. Oltre quefie regole generali vi fono di  quelle che non rif guardano , che lo /pedale ;  ed alcune perfine particolari , o per f Jtà,o  per lo fife, o per lo temperamento o per lo pro~  prio mejìiere . Incominciando a trattar delle  prime , e di quelle riguardano tonfati feto al   dinan di fatata giuda teftè detto abbiamo , veru  ga a perderli , o il decoro , e la giocondità  della Vita a /cerna re ; poiché non v’ è colà  lènza fallo , che fia cotanto commendabi-  le , e lodevole , quanto d* un uomo eh’ in  tutto d’ offervar proccuri y e tenere una  via di mezzo , eflèndo per poco tutti gli  eftremi vizioff.   V. Che cofa è Pazienza?   M, E una virtù , che ferve a diriggere , ed   ' • v fri- •:   (i io ) Libo la* c. io ; . ; ftieri fòffrir pazientemente , e patire quel-  f che non fi può in guife alcuna fra fto mare*  e rimetterci in tutto ài fuo divino * e fanto  volere ; e ciò tanto più , che fecondo dàl-  ia fperienzà s’ imprende l’ impazienza ad  altro mai non ferve , che a fard 1* avverfi-  •; tà , e 1* infortuni vie più maggiori diveni-  re , e intolerabili ; Avvegnaché (òpra mo-  do giovar ci polTà per quanto fia poffibile  ' il prevenirli anticipatamente , e nelle  cofe feconde, e profpere avervi mai fem-  pre la mira , o con applicarci a più , e più  cofe trattar in effe di diftraerci nel miglior   modo    primo anno da far far loro akufo de ’ cibi * e  delle bevande per non renderli infermicci in  mille modi , t cagionevoli 5 anzi è bene anche  /appiano il f onere hio cullare , che fi ha in co*  fiume comunalmente di far per tirar lì ragaz-  zi al fonnó , fovénte rechi loro un dif capilo , e  un danno notabile ; vero è però che il fonno  nelli primi mefi, quanto egli è pih grande Jane  to vie pitt avér fi deVe , per meglior fegno *> e  per marca di fialute , come al rincontro la veg-  ghia oltre P ufato è fempre fegno y e indizio  di qualche morbo . Rifguardo all'aere il tem-  perato è il più comendabile e lodevole per ejji t   e un modo del Mondo ; di vero la vita dell’ uo-  mo ( dice un attore Terenziano ( x ) egli è  come il giocar a dadi , in cui tè quel putito  - non ayviene, che tu appetti, abbilògna  che l’ arte corriga la fortuna ; onde, giuda  ’ Epitteto, ( j ) perciò non v’ ha meglio, che  . guardarfi di non applicare la propria av-  verdone , e il proprio appetito in colè, eh*  . in nuila da noi dipendono, e rifpettòa  quelle ( z ) che fon il (oggetto del nodro  - amore , o del nodro piacere , o che pur va-  gliono per qualche noftra bifàgna è medie-  ri che fi difàmini attentamente la lor natu-  ra, incominciando da quello che meno va-  glia ; imperocché fe mai un Vetro, oun   pen-   ( X ) Adtlph. atf. IV. fc. VI ri   ( y ) irXEIFIAIOR f.7.   (;z ) li il. c. s. è 9. 10. 11. n. 15.14. i?. #ei    I,    e an refpir, amento al meglio che fa pojfibile  libero ; quindi li bagni lor Jt credono altresì  pojTono ejiremùmente giovare ; comeche tutta  la diligenza e cura deve ejfer mejja in mantenerli di ventre liberi quanto f può , e fciol-i  tip giunti jbe fi Veggono a tempo in cui toglier  Jt debbano dal latte,abbifojjia , che lungamen*  . te (ì facci no ajìener non men dalle carni , cb*  eglino miga vagliono ancora allor a diggeri*   M 4 re    Digitized by Google    .184 DE' PRINCIPJ-  pentolino, per efempló , avvien , che ci  piaccia', e diletta , perfiiafò vivendo noi  quanto e’ fia di natura corrottibile , e fra- -  gilè, dove per avventura mai e* venghi  ; a frangerfi , o fiaccarli non verremo per-  ' ciò miga in difturbo , e perturbagione ,   Ei p' ìxcés-is 4- v X ee y a> y* l ' !my i fi ir pittai viw , 5   yO(iiva>v , (lìfiJHro unKtyuv , ómìór tri v , cip 9 " O’fMKpi'itt'Wr  upX'óptivos . ai xvrpav ripypi-, ont xórpcat rtpyas.Kctntttyti*  c»s yàp mùnti , « . a» * iraxhor axjrts Kcentttpr   X>ji , H yuttcùx-oc , om ausSabnrov] ’x.x.nu'piKàs «p5uuóvno   M. Un abito , o virtù che ferve a difporre ,   • e diriggere 1* azioni dell’ uomo nell» pericoli    che fi ave zzinole  éójUtmino far tutto Ordinatamente , e con de-  coro , non che li lor travagli , e li lorfiudj ,  cui per avventura in un età giujìa , e conve-  nevole fi danno , avvertendo dì vantaggio ,  che quefii vengano ammifurati in gnifa , che .  il lor ingegno efiremamente non fi infievolii  chi , e debiliti , ' \ \   r In oltre pafiando ad altro ; egli fi ac cornane  da a vecchi figuir tuttoccib,che fono cofiuma -    1 ceflìtà , eflèndo ciò contrario del tutto  . j reai mente , ed oppofto alle leggi della Na-  tura , e quell’ eccedo appunto, o vizio,  * a cui comunalmente diam nome di audacia,  o tracotanza rOr finalmente quefti erano  gli uffici , gli obblighi , e li doveri dell*  uomo fòlo nello fiato Naturale e non altri.  D. Ma perche voi favellando peravventura  di quelli , che non riguardano che lo fpi-  rito , abbiate altresì tratto di quelli , che  aveano attenenza al corpo , e allo fiato  -efierno ?   M, Per   . aggevole d’afiai e facile, dove pur cosi .  v* aggradi, ridurli sù quelli tre capi di cui  vi feci motto fin dapprincipio; imperoc-  * che qual malagevolezza-, o difficultà mai  r. potrete voi rincontrare in conofcere ; Che  quanto da noi fi diflè della volontà , e del-  . » rie-  effer una feguela dell' applicazione e del ripo-  fo ; .come eh e V ufo del cioccolati o di tempo in  tèmpo poffa firvir molto per fortificar loro la  JìomaCo , e rimetter lì f piriti nell'applicazione  efauJtiyWn che per corrigere gli acidi del fan*   gite. Al rincontro , a quelli , che fon peravveng  tura Deputati , e desinati a travagli ^ e fatt-  olo e pili dure i e gravo fe y fi concede feur amen*  te U bere y e il mangiare in più gran copia , ed  abbondanza di quejii ultimi , ma fono avver-  titi d' effer cauti , ed avveduti di evitar del ,  tutto ribaldati , eh' e' pano le bevande fredda  ingenerale , potendo lor ìquefle apportar feco    />    ;. *8 9  ricchezze , agli abiti , ed altre così di tal  fatta non abbi attenenza, che al noftro  • flato efterno ? Onde ecco pur tutto con un  motto rimeflo in quello afiertOjeordinanza  che voi lo defiderate,*ed egli è cofa t in realtà  di gran rimarco oflervare,come tutto inte-  ramente quali che da fonte, o forgente trat*  to s abbia da non altro , che da quella, no-  flra maflima generale: cioè, che l’uomo  debba far quantunque più può , e sà a foo  vantaggio e utile, fempre. mai che far lo   polfa - ‘    'delle diarree ,foccorrenze , cacajuole ed altri  malorifmili .   In ultimo venendo a quel che rifguarda la  diverjtia de' temperamenti , primieramente  per quegli , che di f over chiofopr abbondano  di fangue ì egli vien fommamente lodato un a e* •  re molto, temperato , un vitto affai naturale ,  e fempliciffmo , un cibo di groffa corffjìenza ,  e una gran moderatezza nel vino , e nel fon-  120 , non che negli affetti interni de ir animo •  Secondo per li colerici , e li biloffji approva ,  oltre un * aere altreiì temperato^un cibo liqui-  do ^ un vino acquofo , e il ripofo , e il forino „ ,   anzi ,  '  m    continuo e regolar fi, • poiché quell’ azioni,  che fi riftringono per efèmplo fòtto la, tem-  peranza vengono da quelle ifteflè leggi ,  dirette, e regolate, da cui fon rette, e  ordinate quelle , che fi comprendono Cotto  la giuftizia , o la fortezza , egli v’hà ogni  ragione d’ affèrire , eh* in effetto per par-  lar con maggior proprietà, non fia eh’ una  fòla la virtù umana , e quefta altro non fia,  che il viver conforme le leggi della natura,  comeche gli uomini comunalmente o per  non rinvenirti niuno infra efii,che ne fia iru  teramete ben fornito, veggendofì altri eflèr   fòi-   * » • l ^ r    ni avvenendo dinanzi il convenevole tempo, li ;*  cibi aromatici , e difeccativi Vagliano ad emen-  dare , e corriere fe non del tutto ; almanco 1 *  in parte quefio difetto ; e come colripofifi  Verrebbe ad acc re fiere , ed aumentare in efft '  il torpor delle fibre' r coi ì al r ove [ciò, median - 4  te il travaglio fi vengono quefie a render vie >'  piu ferme , e fide ;e il [angue , che a produrr  re delli mocci in abbondanza è ben acconcio,  con quefio fciogliendqfi conferva tutt ’ ora il  moto . Quindi per ejfi [ervir pofiòno e valer  parimente d* un ottimo , e buon rimedio li ne -  gozj , e P occupazioni le piti ferie , e fafiidiofi   del      ì 9 i   Ibi tanto faggio , altri lòl tanto prudente , e  niuno aver in fe congiunte, e unite tutte que-  lle virtù particolari , over per formarlène  un adequata idea fecondo la diVerfà , e va-  ria applicazione , eh’ eglino a Ior divelli e  varj doveri ne fanno , le diedero vari , e  diverfinomi, o vocaboli, di giufìizia, di  temperanza , e di altri sì fatti , nella guifà  appunto , eh* a quelle medefime leggi ,  per quella ilìelTà diverlìtà d* applicazione,  or Civili , or delle Genti , or Pubbliche ,   ‘ r or in altro , e diverfo modo le appellino.   • ì M. Si    del Mondo . Quarto f crede commendabile  fopra modo , # lodevole per li Malinconici fpe -  zialmente un aerfrefeo , che vaglia , e pojja  molto frvire per accufcere il trapelamelo ,  t V refpiro della lor pelle , non che Per agran*  dire le particelle del J angue , li cibi / alzi , e  d* Una fece a conjjjtenza , una gran moderateti  ta , e temperanza nel vitto , e negli affetti , •  in cui eglino fogliano per natura difettare ;  e tutte le ccfe ifcioglienti > che vogliono  piai epojfcn in ejf promuover delli e fremen-  ti , blighi 1 e li doveri dell’ uomo confederato  di brigata con gli altri rìfèrbarolli per ma-  teria d’ un’altro ragionamento. temperamenti mijìi ci fi ammonifce , che frati  tandofi di ejfi ,fi abbia fempre mai rif guarda  a quel eh ’ in noi predomina , e fignoreggia , Or. \  quejio è quafi il principale di quel che da Me»  dici vien preferito per coloro , eh' efiendo in  una buona fai ut e y o difpofizione amano mante - *  fiervifi ; il di pii * , volendo , fi pub come cofa  poco appartenente al [oggetto di cui fi tratta*  4 a ejfi ftejfi imprender di leggieri .   trattenimento U alunque volta per verità da me fi pon men«  te , e fi bada al diletto  il quale hò io quelli dì  fèntito in udirvi difcor-  rere delle leggi natura-  li, e confiderò quanto  egli fia profittevole, e vantaggiofo all’uo-  mo 1* averne contezza ; vera pur troppo ^  e certa mi credo , che fia l’ oppinion degli  Antichi (a ) circa all* aver per indegni , e  immeritevoli del tutto dell’onore, e dei  nome di Filofofi coloro , che non n’ aveano  nel li lor ammaefiramenti divilàto a lcuna  colà, e mediante le proprie meditazioni  cerco ilchiarirle , e renderne ammaeftra- -  ti gli altri ; niuna parte realmente della  nofira vita rinvenendoli , giuda che per  E appunto quegli confefiavano nè nelle co-  lè pubbliche , ne delle private , nè nelle fo*  renfi, nè nelle domeniche , nè le con noi  ftefli alcuna cola facciamo , nè lè con altri,   • chiunque egli fi fofiè contraghiamo , in  .cui elleno non debbano aver luogo , come quelle nella cui ottervanza ogni ornamen-  to , e fregio e porto della vita, e ogni uma-  na virtù confifte , e nel cui difpreggio , per  quanto jer pur da voi imprefi, ogni vizio,  ogni laidezza , e ogni noftra bruttezza fi  arrefta; Per la qual co là in apprertò in  me cederà ogni , e qualunche maraviglia,  cd ammirazione in veder buona parte degli  miei uguali , per non dir tutti , o per pro-  pria negligenza , o defii loro genitori 3 o di  altri alla cui cura vengono peravventura  commetti , o per un comunal pregiudizio,  ed afiai popolare reputando uno cotal fiudio  per etti poco vantaggio^), e utile, e nulla  imperò applicandovi , sì difordinatamente  Vengono l’ altre fcienze ad imprendere , e  direggere li lor efèrcizj , che dove credono poter col tempo giovar , come devono,  a (è, ed alla propria famiglia, ed alla Patria,  fi rinvengono all* ingrorto aver errato , e  totalmente ingannati . Ma cotali cofè , eh’  a noi nulla , o molto poco appartengono ,  falciando per al prelènte per lèg uir il di-  feorfo di quello , ch^jer fi rimale a tratta-  re , dopo aver confederato P uomo lòlo NELLO STATO NATURALE, infingendo ora mirarlo di  brigata con gli altri , e in una focietà uni-  verfàle, vorrei lènza interrumpimento udir-  vi favellare degli uffizj , e doveri , ch’egli  dovea in quefto Rato fòdisfare.   M. Quefti tutti inferir lì poflòno, fènza alcun  li. dubbio , da quefta propofizion generale :  cioè , che 1’ uomo naturalmente in fe fèn-  tendo un infinito piacimento , e diletto  dell’ altrui perfezione , 0 utile , o vantag-  gio, che dir vogliamo, nulla inferiore a  quello, eh* egli hà dalla perfèzzion di fè  Redo , dove dalle padroni non venghi travolto in contrario, dirigger e’ debba , e re-  golar le fue azioni in guifà , che tendano  non meno a utile , e vantaggio proprio, eh*  a quello degli altri ,* imperocché da ciò  che reputar fi deve , e mirare per lo pri-  mo , e per lo principale di tutti gli obbli-  ghi , o uffizi umani fcambievoli , o per  meglio dir di quefto genere di cui or trattiamo , come tanti corollari , Porifmati , e  vantaggi , che dir vogliate , ne fegue ,* I.  che non abbi fogni far ad altrui quel che  non fi vorrebbe per fe medefimo . II. Che  fia meftieri corrifponderci tempre mai con  un ifeambievoie , e reciproco amore , im-  perocché dovendo noi goder dell’ altrui  iene, e i'elicità, come della propria, e  averne del piacere , e della gioja, quefta  non può in modo alcuno disjungerfi , o  feompagnarfì dall’amore. Cile dob-  biamo in ogni- tempo operar in modo , che   N 3 niuno t abbia a grado la noftra infelicità , o  miferia , e giudo motivo di appeterla , o  bramarla , purché far lo polliamo lènza  muoverci un jota contro alle leggi della  Natura , la cui obbligagione è fempre  mai la ftefla , ed immutabile , eh* è quanto  dire , renderci per quanto fia pofiìbile a  tutti cari , e amabili. Che non v* abbia ragion alcuna da renderci fùmofi, e al-  tieri, o al di fopra degli altri, ma che tutti  fènza rifèrva , o eccezzion alcuna di perfo-  ra dobbiamo infra noi tenerci per pari , ed  uguali con darne con parole , e con fatti  della venerazione , e del contp in cui l’uno  fia predò dell’altro fpreflò legno al di fuora. Che non dobbiamo in niun modo met-  ter in palefè , ed alla (coperta 1’ altrui ma-  gagne , o difetti ; ma prender tutto quan-  to da altri fi fa mai, o fi dice in buona  parte, difendendo in tutto tempo , e avvo-  cando 1* altrui dima , e onore ; colà che fi  dee far fopra tutto trattandoli de* calun-  niati , e gravati a torto , non efiendovi altro meglior modo , o mezzo di quello per  renderci al Mondo ingraziati , ed amabili .  Che non fi debba niuno mai offende-  re, nè dannificare per niun verfo , altro  non effondo in fatti , quello tutto , che  operar ad altrui dilvantaggio , e difeapito;   il perche l’ off è fa , e ’I danno, che perav-  ventura ad altri facciamo fiam in obbligo  in ogni tempo , ed in dovere rifàrcire a  ogni nofiro colto , e quello che da altri mai  a noi li reca,fcanfàr a tutto poter , ed evi-  . tare ; eflendo per una cotal ragione , e per  quella pio pofizion altresì principale , ch’ai  di lòpracennammo , cioè , che L’ uomo far  polla Tempre quantunque più làppia , e  vaglia a fuo prò , giuda e lecita in quello  calò di cui fi tratta la difefa . Vili. Che     Egli è certo , ed indubbitabile , che tutti  . - - noi fiam obbligati , e tenuti operar in gui-  fa , che P azioni naturali corrifpondino in  tutto , e concordino fèmpre con le libere  con aver un medelìmo fine ; II perche Pap-  petito al coito efièndoci fiato dato dalla  natura , e concedo per la propagazione , e  confèrvazione delia fiefià fpezie , ed impe-  rò efièndo un azione del tutto naturale,  egli è mefiieri , che per quanto dipende da  noi, non lì adoperi giamai , ne s* impieghi  d i ve rfa mente, o per altro fine.   D. Egli conviene adunque , che colui vera-  mente , che fia vago d’ effer netto , e ca-  tto sfugga , e vita a tutto potere ogni forte  di congiungimento illecito , e contro le  leggi , che non abbi altro per fcopo , o per  fine j che il mero piacere e la voluttà , co-  me li ftupri , le fornicazioni , gli adulteri,  ed altre sì fatte fòzzure , e bruttezze , con  trattar parimente di dilungarli da tutto  ciò , che vaglia mai ad iftimolarlo , e por-  tarlo a quello , e vietar tutte le parole , le  gefia , e P azioni lafcive , per cui ne pofia  rifultare quel gufio, e quella compiacenza,  che il piu delle volte porta (èco al di die-  tro.quegli movimenti critici , li quali con  dedar in noi di fovverchio r e rifvegliar li  fenfi , fanno, che la ragione totalmente fi,  addormenti •   M Li    , aof  AI. Li motivi per cui fpigner ci dobbiamo  edilporci alfacquilìo di una cotal virtù  fono quegli fteflì per cui devono eflerci in  abborrirhento , ed in odio li piaceri ; onde  di quelli avendone parlato (òpra alla diflfu-  fa i non fa meflieri qui ripeterli al di nuo-  va; Comeche convenghi oltre a. quelli,  che fi badi altresì alle pene, ed agli gaflighi  che in ogni ottima , e ben regolata Rep-  pubblica vengono dalle leggi inabiliti per  - li fìupri , adulteri , e altri si fatti delitti ;   ' ed avvezzarli di buon ora a sfuggire, e vie-  tar Ogni occalìone , che pofTà fervi rei di  motivo per portarci a qualche azione libi-  dinosi , e cattiva.   D. Come definite voi la modeflia ?   M. Per un abito della noflra volontà , o per  meglio dire , per una virtù di ben deter-  minare, edifporre fazioni appartenenti  ' all’ onore, fecondo le leggi della natura;  Quindi il modello , fèbbene operi in modo, v  che Ila degno d 9 onore , e di flima , non pe-  rò egli la brama , o 1* appetifeé; ed in ciò  differilce dalf ambiziolò , il quale al rin-  ' contro brama gli onori e gli appetilce , ed  andandovi al dì dietro più del convenevo-  le pecca nell 9 ecceffò ; e fi diftingue altresì  da colui ch’éfièndo d’ un animo vile fòver-  chioj ed abbietto pecca nel difetto ; imperocche avendo noi della compiacenza, e  del piacere del conto , o (lima in cui fiamo  prefio altri, ed imperò venendo tratti dalla  gloria delle noflre iflefie perfezioni, può  quefla,fenza fallo,fervircidi un gran (limo-  lo a condurci Tempre mai e portarci per lo  dritto fenderò a grandi , ed eroiche im-  prefè ; II perche fi viene a conofcere in un  ifleflo mentre l* error di coloro , che con-  fondono non meno 1* amor proprio , che   • nafce dalla virtù di fè ftefiò , con quello ,  che non nafce che dal vizio , efiendo 1* uno  molto vario , e diverfò dall* altro , e il pri-   . mo non così come il fecondo da riprender-  ci , e biafimare ; che la modeflia con que-  lla battezza e yiltà d' animo , in guifà , che   • ; per torre alcuno d* ambizione fi fludiano a  tutto potere d’ ifpignerlo jn quella , eh’ è   { un vizio per verità miga inferiore a quella,  facendo che la perfòna molto poco fi caglia  delle virtù morali , e delle morali non ne  fègua altro , che 1* ombra . Di Come adunque fi può mai far un ambi-  ziofò ufeir di fua ambizione ? E di fbmmo meflieri ; I. Che capifea  qual fia il vero onore , e come quello non  dipenda miga dalla perfòna onorata, ma  fòltanto da colui , che onora , il quale ab-  bi fogna anche che fàppia formar buon giudizio. Ch’ intendete per amicizia?   M. Un amor vicendevole infra due o più  perlòne , palelàto , e dato a conolcere al-  tresì con uffizj vicendevoli, giufta le leggi  della Natura ; non ettèndo ad un amico ,  inverfo l’altro lecito giamai , ne permetto  far co fa per menoma, eh’ e’lia contro que-  lle. Quindi acciò tta ferma realmente , e  Itabile , e collante un amicizia , e non ft  (ciolghi cosi di leggieri egli impiegar fi de-  ve tutta la diligenza , e la cura del Mondo  nella (celta degli amici ; comechs ettèndo in vero co fa molto malagevole , e difficile  che fi rinvenghi un amico del tutto intero,  e buono , come fi vorrebbe , e potendo di  leggieri avvenire che fi fia errato nella  lecita , e che 1* amicizia contratta fi  fciolghi , o perche l’amico voglia da noi  qualche cofa non ben giufta , e buona , o  per altra cofa sì fatta ; il più ficuro modo,  che fi può tenere nel praticare , e conver-  far con 1* amico , egli è quello , che dir Ib-  lea Biante , celebre tra* Greci Filofòfanti ,  cioè, di enervi si fattamente circofpetto e  avveduto, come con colui , che col tempo  può per avventura divenirci contrario,  e nemico ,* del retto quefta è una virtù, ed  un abito , che fi acquitta e ottiene , come  tutte P altre noftre virtù , e gli altri noftri  abiti , per via di molti atti ; come a dire :  con P amare da vero l’amico per le Tue vir-  tuofe , ed eroiche qualità ; col praticarlo ,  e fìar con etto lui, e col godere in ogni mo-  mento del bene di lui , come del proprio;  A ogni modo non mi fèmbra neceflàrio ar-  redarmi qui in farvi vedere la neceflìtà ,  che abbiamo di far un cotal acquiftojbafìa  dire , che doppo la virtù, l’amicizia pofla  e vaglia a formare la nottra felicità , e che  abbracci tutti gli flati , tutte le condizioni,'  e tutte le differenti noflre età ; ella giova   a ricchi, e a potenti per far ufo della lor  fortuna ; a poveri , e fventurati per aver  qualche folìegno, e lòllìevo; a giovani,  per aver chi lor confogli, e dirigga ; a vec-  chi perche può forvir loro d’ appoggio ; e  a quegli che fono nell’ età virile,* per for-  nirli di favori , e di affluenze ; e lafoiando  ilare , che la natura ftefia ci porti a quella  virtù , avendo altresì ne’ bruti , e negli  animali inferito certe inclinazioni , per cui  quelli della medefima Ipezie fi portano tra  elfi ad accoppiàrfi,ed a unire ; nelle Città  e nelle Repubbliche la concordia , e l’ami-  cizia de’ Cittadini fi riguarda come una  parte principale, ed effènziaìe del{a felicità  pubblica .   D. Ma ditemi un poco; egli dubbitar non  potendofi , che il vocabolo amicizia fia  detto , e dirivi dall’ amore, e non amando-  fi da noi ugualmente ogni colà , quali fono  quelle cole , che fono veramente ama-  bili?   M. Di quelle n* abbiamo tre Ipezie ; altre   colè effondo amabili , perche fono buone ,  o per fe llefiè , come le virtù , o relativa-  mente , e per qualche circoftanza , come li  cibi per rilguardo della noftra làlute , o le  medicine per le malattie ; altre , per arre-  carci del piacere , e della giocondità , per cui altresì diconfi buone ; ed altre per efièr  utili (blamente , e di qualche emolumento,  che le fa parimente aver per buone; Quin-  di ne rifùltano tre fòrti d* amicizie $ 1* una   - di cui, come fondata sù il vero bene, ed  utile ( dico utile , prendendo , quefto vo-  cabolo giuda al noftrofignificato ) è vera,  e perfetta ; e l’altre, non riguardando , che  o il bene apparente , o la giocondità , o  T utiltà volgare ; non fono che imperfet-  te , e fecondane , ed improprie ; come che  altri v* aggiungano pur una terza , che la  defini fcono per una reciproca inclinazione  e propenzione d’ animo tra uomo , e don-  na , fènza alcun moto fènfibile , e la chia-  mano comunemente Platonica ; ma tra  perche quella dalle più delle Genti , fi hà  per una amicizia attratta , e miracolo^ ,  negardo elleno quegli principi Platonici,  mediante a cui fi (oppongono nelle mentì  create , fènza alcun opera de’ (enfi, e ifcol-  pite , e imprette le forme del bello , e del  buono , ed avendo per certo , che quetto: impeto , o inclinazione come proveniente  da (enfi , in etti purtt mantenghi con tutto  rigore , e forza , giuda alle naturali leggi,  a mifura , che ne fian capaci ; e perche ne   * defideriamo favellarne con p'ù agio a più   - convenevof tempo , non ne facciamo neppur  motto per al prelènte .   D . Perche avete voi per imperfette quelle  amicizie, che riluttano dalla giocondità,  e dall’utile volgare ? . -   M. Sì perche una con quella fperanza cefc  fando l* amore , cotali amicizie non fono  di lunga e gran durata , sì perche la vera,  e perfètta amicizia , non condite in altro ,  le non in voler bene all’ amico , per Pam ir  co. /  Quella pratica , che fecondo voi , fìa di  meltieri in tutte 1* amicizie , hà ella luogo  nelle amicizie tra fuperiore , ed inferiore ?  il/. Senza fallo; a ogni modo deve efler aliai  rara ; li fiiperiori di leggieri annoiandoli  degli inferiori , in modo , che farebbe me-  Rieri alle volte , che fi dim enticalfero del  lor Rato , fe folle potàbile . Ma con quali modi lì può mai conolcer  bene e comprendere una perlòna , che li  confiderà per amica ?   M. Con praticarla qualche tempo con in-  differenza , ed ofiervar elèttamente quanto  ella facci , e quanto operi; come penlà, per  elèmplo , come parla , come ama , come  odia , e come fi duole ; quindi giovarebbe  molto a far tali olièrvagioni particolari  dove blfognarebbe , conolcer universi-  mente li coftumi degli uomini , e le diverfe loro inclinazioni nelle loro diverte età,  e nelli lor Itati differenti , con fàper  per efèmplo I. Riguardo all* età ; che li*  Giovani eflèndo di gran lunga dominati  dalle paffioni , e principalmente da quelle  del fenfò , venghino da quefte di leggieri  trafportati , e vinti , come che fèmpre va-  riano per fazietà , e leggerezza , e Ciano in  oltre di fdegnofi , ambiziofi nelle gare, in  nulla attaccati al danajo , liberali , /empii-  ci , aperti per la poca fperienza , anzi im-  però anche creduli ; lieti, fperanzofi per  lo gran favore del lor (àngue, vergogno!]  per non creder altro lecito , fuor di quello,  che apprefero dalle leggi, e dall’ educa-  zione ; magnanimi , vaghi più dell’onefto  e della lode , che dell’utile ; e perciò ami-  ci di compagnie , e di convenzioni , e di  tutte le fòrti di amicizie gioconde ; nemi-  ciflimi della mediocrità nelli lor affetti ,  peccando mai fempre nell’ eccedo, e nel  difètto , o che amino , oche odino , o fac-  cino altro ; e come facendo ingiuria ad  alcuno , non la faccino miga per malizia ,  o per recar a colui danno nella perfòna e  nella roba , ma fòltanto nella dignità , e  nell’ onore ; e ultimamente compafhone-  voli , e pietofi , avendo ogni uno per me-  gliore di quelch* egli fìa in effetto ; che li vecchi tutto al Popputo , non eflèndo nel  fervore , e nell’ aumento de* /piriti , non  fìanò d* ordinario /oggetti, ne* /ottopodi a  trafporti , ed operino mai /èmpre con len-  tezza ; e geneiaimente /ìano malizio/!, dif-  fidenti' per la lunga /perienza , dubbj, timi-  di , queruli , fàfìidiofi per T anguftia , e po-  vertà del lor /pinco ; avari per non riguar-  dare , che il commodo , e 1 * utile proprio;  di gran memoria, ed imperò garruli , faci-  li a /degnar/! , comeche non duri il lor  {degno per il freddo dell’ età, morti nella  concupi/cenza , e volti del tutto al guada-  gno ; e dove avvien che faccino mai dell’  ingiurie , e delle /convenevolezze , le fac-  cino veramente per malizia; Infine e’ fiano  mi/èricordiofi come li giovani , febben  quefii per umanità , e quegli per imbecilli-  tà ; malinconici , proverbiofi , e di un ani-  mo molto badò , e rifiretto ; e che quegli,  che (ono in un età virile , e di mezzo fiano  di cofiumi temperati , come a dire eglino  non fiano ne troppo audaci , ne troppo ti-  midi , non credano , ne difcredano ; e il  mede/imo fia dell* altre pa/Tìoni ; li. con  cono/cer rifpetto allo fiato, che li Nobili  per e/emplo fiano ambiziofi , fumo/! , mor-  bidi , tenaci de’ proprj tituli , e che vadi-  . no apprettò più ali' apparenza , che alla lò-  tta n-iìanza ; che li ricchi , per 1* abbondanza  fiano ingiurio!] , fuperbi , vaghi di Juflò ,  e di delicatezza , arroganti , ed alle volte  anco incontinenti , fe mai divenirono ric-  chi di frelco ; e che li potenti abbiano co-  ltomi pretto , che limili a quelli , come  che lor moderi in parte la gloria , e li ten-  ghi al dovere; e così degli altri, che fi  giungono di leggieri da quelli fieflì a com-  prendere . Ch’ è quello , che ci rende amica una  perlòna? • -   M. Il farle bene , V ettèr amico de’ lùoi , il  corri pattlonar la , 1* ettèr verlò lei liberale ,  modello , temperante-, gentile , trattabile,  faceto ; e in una parola la virtù , ci può  rendere cari a tutti , ed amabili, giufta che  potette apprendere , dà quel , che al di-  nanzi notato abbiamo , parlando delle co-  lè amabili . Come dunque ai consèrva l’amicizia?   [cf. Grice, the apory of friendship in the LIZIO. Col mezzo della BENEVOLENZA (other-love – conversational benevolence) , o del vo-  lerli bene Icambievolmente , non che con  la concordia , o con la fede vicendevole  nelle co fe agibili ; e con la beneficenza , o  liberalità.   Cont. L’ amicizia perfetta ammette ella mol-  titudine ?   Fil. Mai nò , tra perche in ella fi ricerca un   amor   del dritto naturale. 2 i 14.   C g ) Dei ih 9. 1 . 1.  . /. 1 6. f. de pani s Grot. in fior,  fpitrf. PbUoJìr. de vii. Apoll. nurn. 5?. Dsuter. . P/trullp.     ^ I J ?2C    *16 d e* p'R in c i p j -r   ' grandi Grettézze, e bifogne, {botanti motivi,  che mover ci doverebbero ad effei ne vera-  mente amanti , e farne un continuo ufo ,  oltre lepromefie, che a veri li moli ni eri  nelli Sagri libri della noftra Santa , e Ve-  neranda Religion rivelata fatte fi rinven-  gono. Che intendete per verità ?.   JM. Un Abito di ben diriggere lenoflre azio-  ni conforme le leggi della Natura nel com-   - municàre, e ridir ad altri li noftri fonti-   - menti: imperocché colui , eh’ è veramen-  te amante , e vago del vero , non men fog-  ge , ed ha in abbon imento il falfo , che la   \ fìmolazione , e la bugia.   D. Difpiegatemi quelli ultimi vocaboli: fi-  mulazione , e bugia .   M. Col primo intendo quel difeorfo , che  vien fatto tutto al rovefeio di quello , che  in noi fentiamo , ma fenza alcun danno al-  trui , o noflro proprio ; e col fecondo  quello medefimo, ma accoppiato , ed unito  col pregiudizio proprio , o degli al-  • tri . Qujndi è , che il dir il falfo , e la fi-  molazioné fia fogno propriamente d’ uom  fonza cofcienza , come colui , che proferi-  > foe delle parole contra quello, che in se  'fonte; comecché la bugia fia una còfa affai  ; più deteftabile , e biafìmevQle della fimolazione , aniuno ettendo permetto offènder  se medefimo , e gli altri ; anzi quella ogni  volta che fi vegga effèr 1* unico mezzo per  giovar a noi , ed a gli altri, può fenza fallo  divenir lecita , e permetterli , non ottante  che per legge Naturale rechidendofi , che  vadino fèmpre mai in accordo le azioni in-  . terne con 1* etterne , fèmbra fèmpre per se  mala, eù illecita . II perchè fi vede altresì ,  che non fi debba giamai far ufo del noflro  difeorfò , e della nottra favella, fè non  cattando per mezzo di elio nulla fi venghi a  notti i uffìzj, o doveri a mancare, eh’ è  quello in cui confitte il filenzio : virtù che,  fi potrebbe a gran ragion ditti ni re , per un  abito di non proferir cos’ alcuna contraria  a nottri doveri . E vaglia il vero , ella non  -è men comendabile di tutte P altre virtù,  potendo fervi rei di gran lunga a vietare  mille , e mille inimicizie , che potrebbono  forfè dal contrario operare, provenire, e per  molte earriche nella Repubblica , che con-  ferir non fi fògliono a chi ne fia sfornito , e  privo ; oltre una infinita d’ altri vantaggi .  Ma diam propriamente noi nome di  conteftazionì alle parole , che fi prò fe-  ri feono in fegno, ed in tettimonio della fin*  cerità, e fchiettezza del nottro animo : av-  vegnaché fu mettieri notarli, che non .dovendofi nulla fare , fènza la ragion /uffi-  ciente, dove non fi dubbiti di noi, nè fi met-  ta in forfè quei che noi diciamo , ma fol  quando per efler creduti, abbifogna , e  conviene . Per tutto ciò quelle , che infra  quefte meritano più dell’ altre la nofira  ' attenzione , e rifl^flìone fono li giuramen-  ti ; imperocché quefti effendo un* invoca-  zione , che per noi vien fatta di Dio in  vendetta del falfo , che diciamo, creden-  dolo autore d* ogni noflro bene, e vendi-  cator del male , che commettiamo pe'r Io  rifpetto , che dobbiamo alla Maeftà divi-  na , non fi devono per niun verfb proferire  fe non in colè di gran momento , effèndo i  cofà fòmmamente fàg rilega, ed ingiufia in-  vocarlo in cofè leggieri , e di affai picciol  preggio. Q/iid ejijurare (dice S. Augu-  rino ( m ) nifi j us reddere Deo , quando per  Deum j i/ras ; jut filili tui: reddere , quan-  do per filios tuo: jura : . Quod autem ju:  debentù : falliti nofira , filiis nofiris , Deo  riofìro ; nifi charitatis , feritati : , è" non  falfitati: ? eum dicit quifque per meam  falutem , falutem fuam Deo obigat :  quando dicit per fillio: fuo: , oppignorar  t)eo fillio: fuo : , ut hoc vcniat in caput ipfo -   rum i '   (m) /pud Groi.'m fparfjioribi rum , quod erit de ore ipfiui ; fiverum ,   , Z'trum , fi falfum , falfum ,* cum ergo fi -  /iosjuoty Vd caput Juum , S'f/ falutem  fuam quifque in Muramento nominata  quicquid nominat obligat Deo . Oltrecchò  Epiteto ancora ( n ) con ii foli lumi della  Natura, vieta (dice) a tutto tuo potere, to-  talmente 1 è mai può eder il giuramento ,  o fe ciò non puoi avvenire , tratta ufar-  lo quantunque piq di rado fia poUTbile .   Ipxov vtpiÙTnat , « {iti tuorrt , ài St che Venga  con   A Jd ua h   nói) fummo noi medefimi gli autori del no*  Uro inganno: o non fi fian tali , che fcior-  re non fi pofiono inguifà alcuna lènza il  » dannose il pregiudizio dell’ altro • III. Che    qualche ejlerno fegno dichiarato , o che queflo  conffla in parole, o in fatti ; avvegnacchè n n  fa fuor di propofto far qui avvertire, che per  Dritto Naturale non f conofca quel divario  o quella diverftà , che le leggi Romane am-  mettano infra Jìipulq , e patto femplice , e in-  fra V obbligatimi , che fciolgonf per Inr di- »  fpofzione ( ipfò jure ) fòlutione , in fòlutum ,  datione , acceptilatione , o con altri sì fatti  modi : e quelle , che terminane per Infoia •  equità , o eccezzione . Li mezzi più femtilici ,  e piti acconci a torci d* impaccio dogni obbli •  gagione , giujìa il Dritto Naturale, o che pro-  venga da què' patti, che la producon pfltanto  da un lato detti , o di anelli , che   la producono da ambo de * lati , detti «T iirwpx , o  f tratta di quegli in cui fe ne viene a / tabi lire  una nuova, fa da una Parte fola , fa da tutte  le parti , che li Dottori nominano, pacìa ob-  bligatoria , o d'vquelli in cui quella , che di-  nanzi ffl abili f toglie via, e diconf pacta li-  beratoria , o nafca ella da altri patti sì fatti    , clafcun promettendo con condizione , che  ^li fia dall’altra parte ofièrvata la promefi-  fa , fe vi, fia mai qualche motivo da dubi-  tarne, di ragione coftringer la polfa , ed obbli-    egli non fono , che quefiì ; cioè ; la fola zio ne ,   10 sborfo , il pagamento di quello , chi è do •  vitto al creditore , il rilafcì amento volontario  gratuitamente fatto al debitore dal medejìmo  creditore , il mutuo con f enfi de ’ contraenti ,  che concorre, e fi unifce a fciorre un obhligagio -  ne che fia dell 9 uno , e deir altro lato , il ri-compenfamento , che mai fi pub far di debbilo ,  con debbi to , /’ inejìfienza della condizione ,  con cui fi è fatta rébbi igagicne;La morte di al-  cuno de ’ contraenti , dove /’ obbligagione fi fu  contratta colla fola mira a lui , ed alle fue  qualità per fonali , /* efiinguimento della cofa  per cui fu fatto il contratto , la novazione, eh’ è  quando fi rilafcia a uno , e gli fi rimette quel  che egli dee , ed in luogo di quello fi riceve  nuova obbligagione , e fifa nuovo contratto \   • ed infine altresì la delegazione, eh ' ' è quando   11 debitore conviene col creditore e fi concor-  da di cojiituir in fua Vece chi, ebe a cofiui più*  aggrada , e piace ; egli fembra ragionevole  r attener ci in quefie femplicit à, finza affollar. ]binarla a ciò fare al dinanzi , che non fi  complica da lui , o almanco indurla a dar  ficurtà , e cautela di (òdisfarla . IV. Che  li patti fatti non potendofi in apprefio da  uom fciorre lènza il conièniò dell’ altro ,  eflendo ogni un* in obbligo, ed in dovere  allontanar da se il danno , che gli può di  altri intra venire, ed incogliere, egli fia me-  fiieri , che pria ben fi confideri , e fi ponte-  ri quel che uòm promette, o faccia. V. Che  adempiutefi da ciafcuji delle parti le pro-  mefle, s’intenda altresì adempiuto il patto,  e ceffi l* uno d* efler all’altro obbligato , e  tenuto ; anzi fe mai avvenghi 1* uno li  mofiri contento , che l’ altro non adem-  pia la fila prometta, merita d’ averfi altresi  per fòdisfatta, e la fiia obbligagione per  fpirata, ed efiinta. VI. Che nell’inter-  pretazione de* patti le parole , e li voca-  boli pigliar fi debbono giuda , che fono co-  munalmente in ulò , non efièndovi ragion  alcuna in contrario ; e dove le parole fiano   d’un   • • \   1   di faverchio le nojìr e oj/ervazioni , che pojjbno  contro delnojiro intendimento feivir anzi d’imparaccio y e di confusone per li principianti 9  thè per /chiarirli CQme conviene .    Digitized by Google    DEL DRITTO NATURALE.  d’ un lignificato ambiguo , ó dubbio, inter*  pretar fi debbano in guilà*, che non ven-  gano in se niuna ripugnanza , o contradi-  zione ad avere , e concordino mai tèmpre  col fine , che giuda ogni credenza , ebbero  i loro autori , non potendoli già mai uom  cotanto tèiocco , o tèimonito rinvenire , c*  abbia voglia contradire , e ripugnar a se  fiefiò con azioni con tra rie, ed oppofte al foo  fine ; Comechè per difiinguer cotali obbli-  gagli , che non ne provengono , che dà  quelle di cui fin ad ora abbiam fatto paro-  la, par che cpn ogni ragione dir fi potrebbe-  ro quelle condizionali , e ippotetiche , e  quelle a dolute.   Af. Checché fiane di ciò , vaglia il vero egli  è un grolfo errore , ed un abbaccinamento  di coloro , che andando alla cieca dietro  alGrozio, e al Puffendorfio , e patti, e  contratti , e dominj confondendo , cd aflfa-  fiellando infieme in uno, trattano a lor po-  tere renderci perfoafi , e cèrti , che tali co-  tè punto non diflferilcano , ne variano, e  tutti ebbero una medefimaiorigine, cioè, de-  rivarono dall’efièr ellinto infra gli uomini  quel fervore di carità , e di amore, con cui  fi amarono fin dapprincipio ; ed avendo li  Romani Giureconfulti il nome di contratti  propriamente a quelle convenzioni dato *   che far, fi fogliono circa quelle colò , che  fono in commercio , e paflàr pofiòno ? o  debbono nell’altrui dominio ; e patti' a 1  , rincontro chiamate quelle , che fi fanno in  colè di una natura totalmente differente  dalle prime, e che fon fuori d’ ogni com-  mercio ; fi credettero cotal differenza efièr  propria del Dritto Romano , e ignota al  Dritto. Naturale; penfàndo , che fè gli vo-  mini fi avefièro mai corri fpofto con quel  • reciproco affetto , ed amore giuffa che fon  in dovere corrifponderfi , li patti farebbe-  ro fiati infra effì di niun.ufo;imperocchè,gli  uomini in quefìo fiato , avvegnaché por-  ' tati fi folfero , come eglino dicono , ^volon-  tariamente a far quell’ iftefiò , che op  Icambievolmente fi obbligano fòdisfàr con  quelli , da quefto però non v’ha miga ra-  gion di conchiudere , che fiati fi fòffèro  all’ ora invalidi , ed inutili ; fenza che giu-  . ffa ben fovente detto abbiamo , eflendovi  . molti uffizi >* che naturalmente fiam tenu-  '/ ti fodisfàre inverfo tutti' gli uomini , e nort  . verfò quefti ,«o quell’ altro in fpezialtà r ri-  fguardato in quefto , o quello fiato, egli  fi potea altresì nello flato naturale dpve  gli uomini .fi fodero amati con un Santo ., e  .. caffo amore ritrarre dalli patti , e dalle  t xpromeflè quefto vantaggiosi determinare ,   e ye-   e relìfingere quelli generi d* uffizj generali inveriti quella , o quell* altra perlòna in  particolare . , : > -  D. Che intendete voi per contratti ?   M. Quelli patti, che vengon peravventura  V. a» tarli per lo trasferimento de* dominj  delle cole .   V. Come s’ introduttero mai quelli dominj, nel Mondo?   M. Ellinto tra gli uomini quello Ipirito , e  quel fervore di carità , e di amore con cui . •  dapprincipio corrifpondeanfi,e lì manteneano lungi da ognidittènzione e difcordia,  la communione delle colè , che era tra ellì,  divenuta un occalìon continua di ride , e   . di piati , e da dì in dì rendendofi vieppiù  Tempre moietta, e difficile, fi pensò aliatine  venire ad una divisone in modo, che ciafcuv  no contentato fi fotte del Ilio , e n’ avelie  potuto dilporre a lùo arbitrio , non difco-  prendo altro miglior mezzo per provedere  alla commun làìute , ed al commodo gen-  neral di tutti , e far , che a niuno mancato  a vette il bilògnevole per fòdisfare a’ propri  doveri; Imperocché per lo dominio di Egli è fuor di dubbio , che dap •   prifj-     di una colà altro d’ intender non bramia-  mo , che un dritto , ed un potere da poterli  di quella lèrvire in guilà , che ad altri non  fìapermeflò farne quel medefimo ufo, che  noi ne facciamo .   D. Aduti-    principio giujìa che comunalmente , da tutti  Jì confeffa , o dalla maggior parte de ' dotti egli  è almanco offerito , le coffe tutte del Mondo Jt  furono in una communione negativa , cioè del  tutto communi a ciaffcuno , e fuor di qualunr  quejìgnor aggio , e dominio ; imperocché effen-  do al ffommo , Onnipotente , Eterno Monar-  ca piaciuto trear gli uomini , egli non miga  potea loro negar F affò di quello , ffenza cui il  dono della vita ad effìconceffa sfarebbe fiata  drittamente piu toffo di gran imbar azzo jh e di  qualche preggio , e valore , e che dopo F amo-  re , e la carità infra efft, eh' era il ffojìegno  di una \ì fatta communione , intiepidita al-  quanto , e diminuita ,refela dà affai malage-  J vole , e difficile , e di mille , e mille incom -  modi , e diffagi abbondante y Jì foffe paffuto ad  una certa tale quale imperfetta dìgijìonc ; 9  per meglio dire nella communion pofftiva , fa-  cendo , che qualunque delle create cof e fata  Jì J offe foltanto commune a piti perfine , e noi ?   già    - -  X?.Adunqu®-fi può con tutta ragione da queflo  conchiudere, I. Che tutte quelle cofèda  cui provvenir non ne pofTòno quegli incon-  venienti , e difòrdini per riparamento de’  quali, a voftro avvifò , s’introduflero al •  Mondo i dominj , come fon per pfempi :>   • 1’acquaci! aria , ed altrd$òfe si fatte, non   . . CL' fia-    gìà di tutte * fecondo ch 'era al dinanzi , e ih  co tal guija il Gènere Umano con fa vatofi fcf   fe , e mantenuto ,Jlnc9e\ finalmente fpettta to-  talmente la carità tra ejìó , e non apparendo-  ci più alcuna J cincillà dì qftelV' amor primie-  ro , ma piatì , riffe , odj , e nemijià continue ,  fu meJUeri per provvedere al beri, commune , ed  alla fai ut s lìniverfale venir alla totale , e  perfetta divisione delle cnfe , e fiabìlìrne i do-  minj ; imperocché con forme al colpo delle vir-  tù giammai uomjì porta di ordinario tutto di  ttnfubbìto , ma paffo paffo ,/? da grado , in  grado ) cosi parimente egli procede ne ’ vizj ' , e  nel male fecondo V ejperierrza lo d infogna ; co-  mechè quelle cofe quali erano b ajì ovoli , e fo- ‘ #  vrabondanti a tutti , e per cui rtafcer non ne  poteano delle controverfe , o  con ì’ altrui danno , quefti abbia poterti  .’•*  e  dimoftro , che quejìa podefà , e quefio dominio ,  c* ha ciaf uno del fuo , non f dfebba impiegar  mai in danno d* altri , e che ciò , che non f  defdera , che f faccia a noi , non f debba nep-  pure ad altri fare , non jfembra , che pojìì  per veri tali principi * e c oncejf debba averjt  , ragione di approvarla ; ejfendo ella del tutto  come ogni un sa malefa^e noe cedole a'debbitori ;  * « il perchè poco giova il foggfugnere in con-  trario , che ne* primi tempi della Repubbli-   : . .. \ * * r ‘ ca   . • - Dcjur.nat.&gent.lib.i.cap.i3.f.j73.Hert.a4Ptt-   ^ fcntfor.V.io. 14 ^ ( 1 \   : dall’efperienza s ? im prende, ben rovente tac-  cia meftieri il dominio di’ una cotà da uno  paflar in un’ altro. Che non potendo  niuno da altri richieder mai, nè dimandare  quel.che ridonda al coftui utile , e vantag-  gio , niuno fia in obbligo , e in dovere di  sfornirti , o itpogliurfi del dominio di ama   co.   H" 11. ^  ; ' '   ca Romana fi ne fojfi fatto in quella del con - _  finito ufi , non potendojì per niuno unqua a fi  ferire , che i cofiumi de * Romani , 0 d' alcu-  na altra Nazione del Móndo , 0 viujli , 0  ingiuJH , che fi furono , fi debbano aver per  norma delle nojire azionile mirar come tale\eà  imperò noi vediamo , che gli ultimi Impera dori  del tuttofa riprovarono , e tra le antiche leggi Romane, per cui Veniva permefid ì non f erono , che di ella vi fojje rimafio neppur un or-  ma ( 4 ) 0 vejiigio > : e dello fiejjò modo fi mai  fi corifìdera il Dritto Antitetico , egli fi rin-  venir à , che dove fia fatto a tempo , fia egli  ben giuflo , ed equo , ma non già fi egli fia in  perpetuo , e continuo . Che non fi richieg-  go molto per comprendere,     der I’aggevolezza , e la facilità con cui voi  favellate di tali colè ,• ad.ogni modo egli è  colà di formilo rimarco notare, che Eb-  bene dove la lòcietà degli uomini folle Ha-  ta tra pochi, la permutazioné farebbe Hata  baftevole , e fufficiente per Io trasferi-  mento det dominio , avendoli potuto di  leggier con ella non men ragguagliar il  prezzo delle colè , che fcanzar ogni inganno-   .    r » ^ 1  gliam dire , o il Dritto di poterla dopo morto,  adir e, non potendofi negare , e recar in quifiio-  ne , che ciafcano non pojjà il dominio delle co -  fe fue dt prefente , o in futuro, tra ferirlo in  uf? altro , ofide he viene , 1. Che le fuccejfio -  ni per Dritto Naturate regolandrfi mediante^ i  pattile din quejti richiedendoli il confenfo dell'  una, e dell* altra parte, non riconofcain modo  alcuno un colai Dritto gli Eredi necejjar j , di  sui favellano te leggi Romane IL Che non.  offa miga ne repugna difporre in parte a.  tutto , dell * eredità ? giufiq il fentimento de*  Romani Qìureconfultì . III. Che V ere-  de , dato 'eh* egli abili a il confenfo , non  pojfq in modo alcuno ripudiare* , e rifiutar  1* eredità . E 11C Che fe il teflatore fi ha ri-  feriate il dritte di rivocare , ed annullare ,  T 1   , afr  no , ed ogni frode , che vi poteatqai in-  correre ,* poiché r uno avendo deir altro  bifògno , molto aggevolmente rinveniva  a permutar quelch’e* voleii ; non però nej  progrefTò del tempo aumentato che fu di  . gran lunga 1’ Uman Genera , e crefciuto  cotanto, qual, voi di prefènte lo vedete , s  avendo la fperienza fatto conofcere a’ mor-  ’ » tali   • r • . '—- 11 ;   1 1 ' '   la fua di fp opzione , pojja e vaglia molto ben  a farlo (7 ) ; Il perde uom vede manifepa -  mente , thè da quejio dritto non pano inniun  modo lodati , o approvati i tejiamenti , fen-  do per verità fomma ripugnanza , e contradiz-  ziòne , che un uomo voglia in tempo che non  può nulla volere , e che traferìfca il domi-  nio di una cofa , quando non ne fa piu padro-  ne , e f gnor £ ; e poco gli giova fe V abbia , o  quejìi , o quelV altrp ; fenza che il pii* delle  volte in quel punto ejìremo della vita , rinve-  nendoli ciafcuno in un Oceano di p afoni , e  turbamenti interni \p fanno delle difpojìzioni,  che dove veniJJ'e mai permejjò peravvetotura  r arretrarf , ed ejfere in buon JennOyf ave -  rebbe del pentimento , ejt vorrebbefertza fai -   io..   •  ,  •   più affai degli altri projjìmi , /’ eredità pajft   di mano in mano dagli uni agli altri , cioè ,  pria in quegli in cui V affetto del morto fi ere -  de che fiato foJJ'e affai grande , e maggiore , e  dopo in mancanza di quefii negli altri , ver fio  cui quello fi crede chefia fiato minore , e cosi  di grado in grado , efiempre verifimile il cre-  dere , che in tal guifia gli uomini ri/petto a  ciò fi convennero, ed accordarono dal momento ,  in cui introdufi'ero i dominj , vedendofi utt  tal modo di fiuccedere in ufio apprefib le più  antiche Nazioni del Mondo , quali fiotto gli  Ebrei ed altri di tal fiatta (io). Comecché  rii petto afigli egU vifia un'altro motivo, oltre  ìl di già qui recato , per cuìfiano da anteporfi '   . ; . 1 ; ‘ ‘ . . nel-   . ' Num.i 7 . 5 . feq. Genéf.if.j.j.tf. & 4S.; i.Deut.ij;   1 6. 1 7. 1 .Reg. 1 .jf ,Xenoph.Gycrop, 8.7.Taci t.de mor-Germ.  cap.zo ' v 1 ' . s     J  tutto ciò , che gli può mai efièr di meftieri  per le neceflità , e bifògne della Tua vita  Ma per ritornar col dilcorlo cola J donde ci  dirpartimmo , e favellarvi di nuòvo de’  contratti , eglino non efiendo , che meri  patti , in elfi vien richièdo Hconfenló del-  le parti dell* iftcfl'o modo , che li domanda  in quelli, e fono invalidi , e di niun vigo- '  re per le medelìme ragioni, come pere-  lem pio' , fe vengon mai fatti per timore ,  per inganno , o fistio in altra forma contra-  rj al Dritto della Natura . Quello però,  che tra quelli reputali per Io continuo ulò ,  ‘che gli uomini ne fanno il più celebre egli  è ilcontratto di vendita , e di compra,,  con cui per una determinata quantità di  danajo fi trasferire in altri il dominio di  cma qualche colà ; Quindi è fi. Chetraf* :  ferendoli il dominio del noftro in un altro  • . v t •  con     nelle fuccefftOni de* loro padri a ogni , e qua-  lanche altro , cioè V ordine divino \ e h legx *  ere del Signore Iddio , per cui venne Jìabih-  lo, ed % ordinato, che quegli ottengano > e abbia-  no per mezzo di quejìi la vita , e in confequen-  zu altreù li beni , fenza cui quella non po-  trebbe ejjèr a lor riguardo d alcun ujo »   . a/ 9  con patto , e condizione , che quelli ci pa-  ghi una certa fomma , non li debba mai  conlègnar la cofa per cui fi è fatto il con-  tratto al dinanzi , che quella non lì abbia .   II. Che doveper lo dilatamento del paga-  mento provenghi danno al venditore , que-?. ‘  fto aver polla il contratto per invalido , e '  nullo, e farlo con chi più gli fia a gra-  do . Che dove il compratore lòdisfa , '  e paga il prezzo della cofa , giufta la con-  venzione al dinanzi fatta , il venditore fia  in obbligo , c in dovere confegnargliela ,  perdendo con ciò il dominio , che pria vi  avea ; IV. Che le fi abbia mai convenuto  di pagare dopo un certo tempo , richieder  non fi polla il prezzo , o domandare , pria  che quello non giunga V. Che venuto il  tempo in cui fi convenne pagare j ilcom-  peratore fia tenuto, ed obbligato farlo , altamente debba per la dilazione, il danno ,  che peravventura ne proviene al vendito-  • re , rifarcire . VI. Che tutte le condizioni  unite , ed accoppiate a quello contratto di-  compra ,*e di .vendita fia di mefiieri lòdis-  farle ogni volta , che fian giufie , eque , e *  conformi al Dritto Naturale . VII. Che  rilàrcir lì debba aduom^tutto il danno,  che per quello contratto gli fi reca . Vili.   Che fe la colà venduta venga calvalmente   R a danneggiata molto ^emp° prima, che fia  . confegnata al comperatore, come che fi  fia il contratto di già ben fermato, fi debba  il Hanno rifornire , e rifar da colai , da cui  fimanc£; e fè la di (azione^ nacque da am-  be le parti , ambe altresrfon in obbligo di  rifornirlo.; anzi quindi fè n’ inferire, che  ]’ uomo efiendo tenuto di far ad altri qyell*  ifiefiò , eh’ è obbligato far a se medefimo,  debba l’ ufo del lùo , purché non abbia bi-  fognb e necellità ad altri, che ne fia mai  bifògnofo, concedere ;avvegnacchè in que-  llo cafo dandoli ad un altro il Co Io ufo della,     Gli non è fuor di propo-  fito il credere, che gii  uomini tutti per natura  Obbligati di vicendevol-  mente gli uni promuovere, ed accrelcere il ben  degli altri * ed in ogni ,  c qualijnque cofa badar non meno al pi oprio, che al. pubblico »commodo, e TéiW  za difparità di Volere , o diverfità di con-  fcnfo,o co^ volger vieppiù ad uno che ad un  altro lo (guardo , amarli, fé a quello  obbligagione mai, come lor conveniva, (lu-  ' disto avedèro (odisfare, ed imperò, man-  tenuti fi fodero (èmpi e in una una (òcietà  universe, ed in quella , che dicono com»  rnunion negativa delle colè (.b\ > non fi  /farebbero Vidi miga bifògnofì portagli a  coftituir delle (òcietà particolari, d ’ alcune  poche in fìiora, npn volendo noi con quello  vocabolo di (òcietà altro intendere , eh’ un  •patto da due, o più perlone fatto per qukl-  ’/ che fine, o per meglio dire, per poter  con le forze dell’ uno , unite ^ e congiunte  a quelle dell* altro , procacciarli qualche  commune utile , ò vantaggio ; irpperócchò  dal momento, ch’ulàrono eglino, ed ar-  dirono di mancar a quedo , quella primfe-  ra communion delle cole tra edì , e’quella  (òcietà dilciolta , per non poter nell’ edèr  Uro più aver (ùdìftenza alcuna , fi (labili  in (ho luogo la communion pofitiva^ e non  guari dopo queda altresì , per aver la fpe-  liienza datala parimente a conolcere abbon- .  dante di mille , e mille incommodi , e di-   ‘ ' . fa-   V. tratt. u i i . V, tratt. 3 f.  .  fagi difmefia , e lateia da parte dare, s’in-  trodufiero, come voi ben fàpete i domici. E in apprefiò per riparare fé non  in tutto in parte almanco alle brfogne v e  alle necefiìtà, in cui ciafcuno, per quel  primiero difòrdine , e per quella poca ca-  rità , che l’uno all* altro portava , quali  in profondo , e tempeftofò mare nuotar fi  vidde , non 'che immerfo, conforme lì or-  dinarono de' commerci, e de’ contratti , co-  sì parimente mille , e mille fòcietà diverte,  e varie giuda I* umane bifògne metter in  piè fi viddero , ed apparire ; Il perchè do-  po aver noi rifguardato p uomo belli parta-  ti jioftri trattenimenti, pria telo nello dato  Naturale, e dopo di brigata con gli altri  in una fòcietà univerfaJe, veniamo or final-  mente a veder i fòoi obblighi , e doveri  In quelle ultime, con confiderar al dinanzi  la natura della fòcietà in generale, ed in ap-   • prertò difcendendo al particolare trattar a  fpiluzzo di quelle, che tra tutte tengono   * il primato , come infra le templici la con-*  jugafce, la paterna, e quella eh' è di pa-  drone e tervo comporta ; ed infra le meno  comporte le famiglie, come ‘infra le più  cómpoftede Città fono e le Reppubbliche . V- tratt.i.n.f.  ì  . *?f  D, Di tutte adunque le' fodera del Mondo  non lu eh’ una lìdia l’origine , perchè tut-  te, giuda il voftro avvilo, non sìmifero  . in piè , nè fi formarono , (è non fecondo le  diverfe neceffità , e bifogne degltuomini ;  anzi in tutte altresì fi ebbe uniitefiò fine ,  perchè non fi rifgtiardò ad altro , fe non al  commodo, ed utile commune de’ feci. Ma  quali feno le fecietà particolari , che farebbero fiate mai nel Mondo in ufo , fe mante-  nuta fi fofiè ben falda , e fiabile la fòdetà  Univerfale?    .. - n * Egli è fuor di dubbio , che gli uo^  mini, ejjendo tutti in obbligo, ed in dovere  d ì amorfi a vicenda ; e /’ urto come noti nato  per se medefmo , dovendo non che approprio ,  anche all ’ altrui commodo badare ,. quando  cib tutto efat tornente ojfervavano , non veni-  vano a comporre che una focietà univerfale jj     fa f dica V Eineccio , il quale tutto /caglian-  do}! contro il Puffendorfo , che tratti avea , e  d* affai malamente inferiti tutti gli obblighi ,  egli umani dover ide Ila focieta/f oggi tigne to-  fo ch\ era ucm tenuto foddisfar a tutti quegli  che      Là coniugale , e la paterna , fe pur efièr  non Vogliate del fèntimento de’ ftoici , che,  come racconta Lattanzio, che fi credevano,^  gli uomini vitti fi foderò dapprincipio  . fpuntar fuor della terra , 4 come or veggia-  ino nafcere li funghi ; onde per aver un  v idea ben chiara , e netta delle focieta, di-  ftinguer fi debbono alla ftefià guifa , che  fatto abbiamo de* patti , in quelle che pro-  vennero dalla mancanza di fcambievole af-  fetto, ed amor infra gli uomini, ed in quel-  le, che furono in ulò per al dinanzi , come  da ciò , che apprefiò ne diremo aggevole  fia il comprendere . Or    che riguardavano la giufiizia , V umanità  e la benevoglienza anche fe Jtato foffe pior di  cotal focieta ; imperocché fecondo la definizio-  ne della focieta , che qui fopra abbiam noi re-  cato , e eh ’ egli non mette in dubbio , fi gli  uomini ciò fatto avefièro,come conveniva , fen-  za difeordar punto tra efii lorojhe altro egli-  no venivano a comporre , fe non una focieta ?  anzi da quel che noijquì fopra dello fiato Na-  turale abbiamo mojiro , fi viene parimente a  conofeere la mel'enf aggine di colobo, chef cre-  dettero gli uomini in quello fiato vivuto avef-   f>'°  * 7 *   £>. Or per verità ne’voftri principi rinvengo, .jj  li. lènza alcuna pena, la natura della focietà in  generale ; imperocché ogni focietà non efi  - fendo , eh’ un patto fatto da più fedone  unite infieme perpcocacciarfi tutti cori un  concorde volere qualche ben commune, o - 4   utile , fi può cop tutta ragion conchiùde-  re . I. Che la felicità della focietà in al-  tro non confitta , che in non rinvenire otta-  colo alcuno , o intoppo in far quell* acqui-   S tto,*   - fero • allo 9 uifa delle fiere , e degli animali  Jelvagai ; e che •   Nec commune bonum poterant (pela-  re, necullis • ^   Moribus inter fe feiebant , nec legibus  uti.   Comecché quanto ne feriva il Puffepdorfio y  ( a ) ed Obbes ( 3 ) , non fa dì minor fojle -  gno : perche molti malori , come la povertà ,  la fame , ed altri sì fatti , di cui eglino dico -  no , che fopr abbondati fojjero quegli , che vif  fero in quella età primiera f veggeno altresì  Jòvente nelle focietà civili , in cuborS è divi-   fi   1   (0 Lucret. I. 4 . v.jr?. ,   (*) De oft‘. hom. & civis II. 1. 9.   (Ó DeCiv. dt in Leyiath. Js ‘    ,  ito, per cui fu Inabilita . II. Che fi deb-  ba da’ fòcj metter ogni cura , e ftudio in  far tutto ciò ; che può mai efiér per la lor  fociem di qualche utile , o vantaggio con  anteporre mai Tempre il bene proprio al  ben commune . III. Che non, fi polla (cior  i ih niun modo d’ alcuny di quegli ,• che vi  ; « tòno al di dentro^fenza il contento degli al-  tri , purch’ egli non vi fia fiato introdotto  o per forza , o per inganno, o per timore, o  non fia élla contro ildritto, e l’equità Natu-  rale , ovver da'ciò a’ compagni non avven-  ga alcun danno . IV. Ch 9 ogni focietà fi  finifcha, ottenuto che fi ebbe il fine,per.cui  fu fatta", come .ogni patto eh 9 è fia, vien    che un  uomo è obbligato inverfo !’ altro uomo;  e che conforme due , o piu perfone afloc-  ciar fi pofiòno, ed unir tra dì. loro per com-  porre una focietà , così due, o pm focietà  unite per un medeCmo fine ne poflon far un’altra. Ma pollo per vero tutto ciò, eh   a ogni focietà appartiene , venendo a quel-  la di cui voi vi fietc propofio tenerne me-  co un particolar fermane , come detemte  di grazia la focietà coniugale ? -   per una lòcietà molto femphee ,   ni. ta da un mafchjó , ed una donna a fin eli  poter procreare , e generar della prole , ea   affai ben edurcarla. Vaglia il vero per favellare fecondo li  vroftri principi fazioni noftre Naturali fa-  cendo meflitr, che convengano fempre , e  concordino , con quelle che fono in noftra  balia, e arbitrio (/) e il coito degli am-  mali , o fia la congiunzione tra rnafemo ,  e femina , efTendo fiata dalla Natura in-  di tuita, ed ordinata per la propagazione, e consèrvazione della fpezie (g ) , e per ciò  adoperar dovendoli dall’uomo, per quel  che da lui dipende, per quefta ifiefià ragione , quella lòcietà , dove non f»a formata  che per quello riguardo , non v’ha dubbio  Tt’AttfX.n^    (g) Traf    /  chV fia lina delle fòcietà conforme del tut-  to a* principi della Natura; ma effondo cia-  fcun in dovere , ed in obbligo d* amar 1* al-  tro non meno di lui medefimo ( h ) , ed imperò convenendo , che di quelli, che fi  veggono di recente u/cir ( alla luce del  Mondo , e che non fanno se medefimi edu-  care fi abbia tutta la cura , e la diligenza  pofiibile ; cui quella fpetta di ragione ? .AUi medefimi loro genitori , poicchè ef-  fondo quelli in vita, non v* ha ragione alcu-  na perchè una cotal briga addolfar fi debba  ad altri;onde la procreazione di nuova prò. • *  le, non potendo in modo alcuno , fopararfi  dalla di lei educazione, in quefta fòcietà  coniugale aver fi deve nonmen 1* una che  T altra ( B ) per fine ; avvegnacchè come  da quello ifiefiò, che detto abbiamo altresì  ben fi comprende , quegli foli fiano tenuti  li padri educare , clje nafcono da congiun- /  zioni befl certe, e leggitime, e di cui vivon   S $ fi»-   (h) Tratt.i.Hsi.    (B) Quindi •viene , che fiano inabili , a  formar una tal focietà tutti , coloro , che non  fono atti non meri per la propagazione de? fi -  gli che per la lo* educazione .   •V r ,   / DE* pRI*r C I*P J '  ficuri eh’ eglino fteftj fi furono, gli autori .  V. Credete voi , che per un uotno pofla ba-  ” fiar una donna c per una donna un uomo?  M. • Efiendo il fine di un? tal fòcietà la procreazione , quello egli non è miga da met-   • terfi in dubbio, pqtendofi in cotal guilà   • lènza alcuna malaggevolezza ottener un   cotal fine. Ma vi è modo da /ciotte sì fatta lòcietà ?  M. Nò ; imperocché ogni fòcietà difeiorfi  • non potendo pria , che fi abbia ottenuto il  fine per cui fu inabilita', comeabbiam noi-  detto al dinanzi , ed in quella efiendo me-  1 {lieti non folo 'procrear della prole j m* al-  ' tresì adoperarli di ben educarla-, e perciò  fare , e ridurla in un fiato , che non abbia  neceflìtà alcuna de’ genitori , abbifognan-  doviilcorfò di più, e più anni continuo,  e’ convien che fi mantenga da’ lòcj lunga-  -• mente , anzi fi conferva fin- alla Ior morte,   > e lalcino quella erede de’ proprj averi, Co-me Una lèquela della vita , che per mezzo  di efiì ottenne .  Dunque quefia lòcietà naturalmente è in-  (òlubile ? •   M. Infòlubilifiìma • non efièndovi altro, che’l’adulterio commefiò da un de’ coniugati ,  che render pofià giufto in qualche modo,  e ragionevole il luo fcioglknento ; cioè , le   la   t-   la donna , o l’ uomo , venga mai a conce-  k ' dcr ad altri , che ne fia al di fuora Tufo del  filo coi^o , e della fiia carne ; imperocché  in quello calò lòlo da un di quelli venen-  doli .contro' il patto fatto nella foci età ad  operare, e .ogni patto intendendofi fatto  • con condizione di adempierlo , dove F al-  • tro, con cui vien fatto non manca dal filo canto altresì far il medefimo, quello (la la  donna , lià 1* uomo , cui non fi oflerva la  fede non è in dovere neppur dalla fua par-  - te di olfervàrJa ( C ) ; in guilà che fe ciò  non avviene, egli s’intende la lòcietà di nuo-  vo contratta, ed inabilita .   D. Of il di più , che mai appartiene alla na-  tura di quella focietà io ritrovo , lènza du-  rar fatiga', negli flelfi volìri principi impe-  rocché da quegli vengo naturalmente a  comprendere . I. Ogni focietà altro in  realtà non effendo , eh’ un patto,* e nelli  ... S 4 pat*»  Qui favelliamo foltanto fecondo li  lumi della Natura ; imperocché la nojìra J^e~  ne randa , e Santa Religione neppur in quejìa  cafo permette un vero e perfetto fcioglimento l  ma foltanto una femplite fepar azione di ma-  rito , e moglie , quo ad thorum . ]   patti richiedendofi di neceffìtà il confènlò  di coloro , da cui fon fatti, non fi pofià que-  lla lòcietà coniugale cofiituire in modo al-  cuno fenza il conlènfò di coloro , che la  contragono; o che qualunque volta que-  llo fi fu dato Iciorre non fi debba in anprefi-  . fo da una delle parti, fenza il conlènio dell’  altra; ed al rincontro dove quello manca  o vien dato forfè per inganno , o per timo-  re , o per altra sì fatta guilà,’fia invalida ,   • e di niun valore , come ogni patto fatto in  . quello forma ( i ) . IL Ch’ efiendo ogni  uno , eh’ è nella focietà obbligato promuo- .  Vere il vantaggio e l’utile di quella infic-  ine con l’ altro , ed impiegarvifi dal canto  Ilio , quanto più vaglia , debbano il mari-  to , e la moglie operar dheoneerto fèmpre  a lor prò commune , e de’ lor proprj figli  con trattar del continuo, lènza mai celiare  di augumentare , ed accrefcere quelche  può efier mai necellàrio per li bifogni,e per  • gli aggi non meno proprj , che di quegli,  pur che far lo pollano lènza mancar in nulla agli obblighi ,e doveri, cui naturalmen*  te e’ fon tenuti lòcjisfare . III. Che per  quella médefima ragion per cui conviene  ch’ i focj operino concordemente tutt* ora   . per   (0 Tratt.i liutai  . i8r  per il bene della lòcietà, 1* uno rimetter do-  vendoli al confèglio , ed al parer dell’ altro,  ogni volta che quefto fi conofcd più vanta g-  gielo , e profittevole del luo per quella ,  faccia mefticri che la donna nella lòcietà  coniugale per torre , e levar di mezzo ogni  materiali rifie , e di piati lègua il coni-  glio dell* uomo , e l’ ubbedilca in tutto ,  efièndo quefto il* più delle volte di lunghi^  fimo Ipazio vie più di lei di buoni conigli  abbondante , e d' ottimi efpedienti fecón-  do , come che non fia cola miga fuor di  propofito, quando bilògna , eh’ ella altre-  sì ammoniltha il marito, purché far lo.làp-  pia a luo tempa, e luogo, lènza moftra  alcuna d’ autorità , o d’ impero IV. Che  non potendofi aver per perfètta , e com-  piuta l’educazione, lè non dopo, che i.  figli aver poflòno un’ intera cura di se me*  defimi , fiano tutti li Genitori obbligati di  locare , e maritar lé figlie con una dote  congrua , e proporzionata al proprio flato .  V. Ch’ ogni lòdo efièndo mai lèmpre il'  padrone di quelche del luo abbia nella lò-  cietà portato , e non perdendone egli quel  dominio , eh’ al dinanzi n* avea , nè di que-  llo all* altro lòdo competer potendo mai  nell* altro, làlvo che 1* ulq frutto, non pofià  il marito nella, lòcietà coniugale de’ beni    t  Noft. Att.] :.  obbligo di far in modo , che P azioni de*  proprj figli fiano regolate, e rette giufta  al dritto della Natura , egli è meftieri da  buon ora P avezzino e P accoftumino in  guifa che non manchino mai di foddisfare  . a tutti gli uffizi, obblighi, e doveri che  devono inverfo.Dio, inverfò se ftefiì , ed in  vetfò gli altri, ed acquietino in.ciò col tem-  po P abito ; apzi per far che non abbiano  tuttora bifogno di loro , e badar pofi-  fano eoi tempo a tutte le bifogne , e le necef-    . principio imbuta paternis fèminis concretio-  tie, ex matris etiam corpore, & animo recentem indolem configurat ; Neque   in hominibus id fòlum , fèd in pecudibus  quoque animndverfum , nam fi ovium laéte  haedi , aut caprarum agni alerentur , conftat  fcrme«in his lanam duriorem , inillis capil-  ium gigni tèneriorem . In arboribus etiam ,   & frugibus major plerumque vis , & poteftas  eft,ad eorum indolem, vel detreèfandam ,  vel augendam , aquarum , atque terfarum  quae alunt , quam ipfius , quod jacitur fèmi-  nis . Che empietà £ qi/efìa egli figgi ugne ì  che modo dì madre imperfetta ? peperifie , ac  flatim ab fefè abjeciffe ? aluifie in utero fàn-   gui-   * r-   » #   v •# i»  tut-   •* » •  Jw   \ proprio arbitrio efièndo fiato dato a’padri  per non faper quefii da se fiefli ben regge-  re   i*   J • ‘ ..* tutti , e come cofa che richiede molto dipen-  denza , molto malagevole afarf. Egli vie n 1  riferito da Xenofonte , fecondo che fcrive Ci-  cerone (14), Hercole tantofo , che princi-  piò a fare la prima barba , tempo , che fu a  cìafcuno dalla natura dato proprio per, eleg-  ger f qual fato di vii a f debba tenere , efer  gito in un certo luogo f alitar io., ed ivi.pff  *a federe , aver molto tra te, e lungamente ,  dnbbitato in qual delle due frade , che egli  avea dinanzi , dove a muovere il piede , e fe  per quella del piacere , 0 della virtù j   dato , eh' una tal podefià tratto avejjì /* ori-  chè quelli , che per quanto intefi comunal-  mente , fi nominano tutori , Succedendo  realmente in luogo di quelli , è meftieri ,  eh’ abbiano di necefiìtà quell* ifiefiò penfie-  ro , e quella fiefla cura delle perfòne , le  quali vengono lor commeflè > o per me-  glio dir de’ pupilli , che n’aveano quegli vi-  vendo , e ne amminiftrino gli avveri lafcia-  * ti loro; ed al rincontro egli è colà d’ affai  convenevole , che i pupilli inverfò i tutori   fi    gì ne dal dritto delle Gentile ''me che non fia mi-  riore quello del Obbejio^e del Vuff'endor fio grat-  tala quejìì dalla focietà , e quegli dalla oc c li-  bagione ; vagliti il vero è di gran lunga viep-  più -ragionevole V oppinion di coloro , chevo-  * gliono ^ cF ella provenga totalmente da Dio ;  ^perchè quefìi volendo che i figliuoli fi conser-  vino in vita , e ciò non effendo co fa che poffa  in alcun- m r do avvenire fenza V educazione  de * loro padri , egli fi crede , che Dio voglia ,   alt r eiì che li padri badino attentamente a  quefìo , ed in conjeggienza abbino tutta quella  pode/tà che naturalmente a ciò Jì richiede , non  effe n dovi alcuno , che voglia un fine , fenza  thè 9. elio Jìeffo mentre non voglia parimente  i mezzi, che a giu gner vi , e\ reputa nedffarj .  . 2 9r  •* fi portino in quello ifiefià guifà , eh* e* fi  portavano inverfò i proprj padri ; quindi  conforme i contratti de’ figli di famiglia  fènza il confènfo paterno fon nulli, ed inva-  lidi, così altresì quelli de’ pupilli , fènza  1’ efprefiò , e tacito voler de’ tutori ; e  come per li benefizi , che i figli dalla buo-  na , e ottima educazion de’ padri ritrag-  gono , devono efièr in verfò quegli fèmpre.  mai riconofcenti , e grati , così li pupilli  per la medefima ragione ogni fòrte di gra-  titudine devono inverfo i tutori ufare , ed  ‘ amarli , e temerli , edubbedirli , come a  quegli appunto faceano; (ebbene non com-  petendo a’ tutori de’ beni de* lor pupilli al-,   * tro , che 1* amminiftragione , e la podefià  v di confumar de’ frutti , quanto può efièr  mai necefiàrio, ed utile alla lor buona edu-  cazione , alienar non pofibno degl’ immo-  bili nuli’ altro, (alvo quello, che perciò  fi richiede , e che non alienato , 0. (mal?  dito, farebbe fènza fallo per quelli di un  gran nocumento, e difeapito; colà che ,  ‘mi crederei , nello fiato della Natura pria  non fi facefiè , che refi non fè ne fofièro  fidenti , e confàpevoli gli agnati , e gli pa-  renti ; ed in difetto di coftoro quegli della  medefima contrada , o vicinato,. o gli ami-  ci del trapalato per dilungar da se , e tor-   T 4 re   re ogni qualunque cattivo „ e finiftrotò-  /petto , che altri mai formar nè potefiè;  poiché in realtà al Mondo non bada miga  che fi operano da noi, e fi facciano delle colè  ben giufie,ed eque,* m’abbifògna altresì, che  tutti 1* abbiano per tali ; H perchè non è del  tutto fuor di propofito per 1* iftefia ragione  creder parimente, che in quello ifiefiò fiato  i tutori portati fi folfero a render un ben  efatto conto , e ragione della lor ammini-  ftragione in un tempo fiabile, e certo,* come  a dire, compita, che fi avea la tutela a  quefti ifieffi , che al dinanzi cennammo ;  c che non fiando bene danneggiar veruno ,  ed imperò dove avveniva, che li tutori ren-  deano qualche danno a’pupilli, effondo te-  nuti di ri fa rio, quando di ciò fi avea qualche  fofpetto , niuno lènza il contentò di quegli  conveniva prefo avelie una sì fatta ammi-  niftragione.Tuttavolta non elfondovi alcuno  in obbligo gratuitamente, e lènza mercè al-  cuna d’impiegarfi per un’altro, dove perav-  ventura avviene , che li pupilli , per una  buona , e foggia condotta de’ tutori ven-  gono^ farli vieppiù ricchi,ed abbienti , egli  fembra , che debbano in ogni modo , ab-  bordando delli flutti dj quelli beni, che  quegli amminifirano , compenforli in qual-  J che parte al manco, te non in tutto della I05 , àft   efatta diligenza ; avvegnaché in fatti do  • ve quefti frutti*, o beni che fiano, non ba-  ftano per la buona educazione , egli è di  vero una colà molto ingiufta, ed iniqua , il  j ciò pretendere . Finalmente comunque ciò  fia,da quefti medefimi voftri principi fi ri-  trae, giunti , che quefti fi veggono a fàper  ben diriggere, e regolar se medefimi , Fin»  compenza de’ tutori termina , e viene a  fine , come nello fletto mentre a terminar  verrebbe , e finire la podeftà de’ padri , il  luogo di cui eglino , come noi abbiam te-  fiè detto , occuparono . Ma (è per avven-  tura al figlio nello flato Naturale il padre  lafciato non avette tutore alcuno , chi credete voi che ne dovea imprender la cura? Gli agnati, e li più profiìmi , ed in man-  canza di coftoro gli amici del morto , o gli  più vicini , cui fecondo che voi fàggia-  mente detto abbiate , da* tutori dar fi dovea conto della lor amminiftragione , fèn-  do ogni uno in obbligo , ed in dovere per  quelche v* hò più fiate moftro, far per gli  altri , quelch* e’ vorrebbe , che quefti fà-  ceflèro per lui ,* anzi quindi ne fiegueparimente , che dopo il total dipartimento  delle colè, coftoro altresì fiano in obbligo  ed in dovere di fomminifttar a* pupilli  il Accettano per la lor educazione , e   » •>    t r   •i iòfientamemp fé gli averi de’ Ior genito-  ri , non fian perciò rhrga' (ufficienti , e ba-  fievoli , o di quelli affatto nulla fe ne rin-  veniffe. Spiegatemi 1* origine della lèrvitù , ed in  Vl.che confida la lòcietà , che fi forma di pa-  drone, e fervo. v   M. Molte moltilfime fiate abbiam di già noi  detto , che introdotte le fignorie , e li domini delle colè , gli uomini per meglio po-  ter (occorrere , e (ovenir alle lo r gravi neceflìtà, e bifogne, portati fi fodero ad infti-  tuire , e rinvenire una infinità di ben dif-  ferentrcommercj per permutar a vicenda  tra di lóro non Che quelle cofe, con quelle,  una fpezie altresì/) un genere di travaglio  con un’altra (pezie,o genere molto divel la;  Or tuttociò foppofto per vero, egli e veri-  fimile, che facendo quello, rinvenuti fi forièro pur infra di elfi di quegli, che fi con-  vennero in modo, gli uni agli altri fonami-.  niftrato aveffero , e dato il vitto , 1* abito,'  ed ogni altra colà dsl Mondo necedaria al  proprio foftentamento , ovver qualche giu»  Ha mercede, e quefti per quegli intanto  impiegati fi fodero con tutta l’ induftria e  la diligenza podìbile in colè lecite totalmente , ed onefte ,* e che così paffj padò  - introdotta fi foffe tra il Genere Umane)   quella sì fatta -focietà , che fi forma di  padrone , e fervo ; poiché con ciò in fin noi  altro intender non vogliamo *, che un pat-  to in tal guilà , e con quello fine , da due,  o più perfòne fatto y fervi propriamente  giuda la commune favella coloro nominandofi , o ferve , che per altri impiegano il  Ior travaglio, e padroni, e (ignori al rincon-  tro quegli in utile , ed in vantaggio di cui  lo s’ impiega, e che fon in obbligo ed in do-  vere di fomminifirare a quegli quanto allor  foftentamento fi richiede; comecché oltre  quello genere de’ forvi refi tali dalla natu-  ra (leda , che foggetta mai Tempre il peggiore al migliore , egli ve n’ abbia un’al-  tro diverfo , eh’ è di quelli , che divennero  - tali per legge , come per 1* appunto fon  tutti li (chiavi di guerra , che fervono lèn-  za aver fatto al dinanzi col padrone patto  alcuno. * v' .   D* Li doveri dunque , ‘e gli obblighi de’ for-  vi , e de’ padroni , riduconfi tutti a quello*  cioè , che formando eglino una focietà ,  la quale non confitte in altro in fin , che in  un patto, e li patti tutti conforme al dritto  della natura dovendofi ottèrvare , debba-  no i forvi efoguire tutto ciò,ch’ è lor impo-  1 Ilo , ed ordinato da’ padróni; e non è nè al-  le leggi , nè al patto fatto con etti opp; fio   o contrario; ed quelli fiano in obbligo al  rincontro , e in dovere di fomminiftrar lo-  ro tuttociò , che può lèrvire in qualche  modo per le lor perlòne , giuda la lor pro-  metta ; in un motto il bene di un lòcio in  ogni lòcietà preferir dovendoli, ed antepor-  fi a quello d’un* altro , che n’ è al di fuo.  ra , devono i fervi per li padroni , e quelli  per quelli far tutt’ ora quantunque più  poflòno , e vagliono con preferirli e ante-  porli a qualunque altro del Mondo ; e per  che non v' è patto che fcior li pofia d’alcu-  no lènza il confenfò dell’altro tra cui inter-  venne, non può in niun modo nè F uno  lalciar 1* altro al dinanzi del tempo (labi*  lito , e fidò , nè l* altro I* uno ; Ma come   • volete voi che i fervi impieghino in tal   • guifa la lor induftria peri padroni, che  del tutto non badino al proprio ?   M. Senza difbbio quando fono in ozio , e  lenza occupazione alcuna di rimarco de*  lor padroni, pottòno far quelehe vogliono-  . non potendo ciò per quelli ettèr d’ alcun  nocumento ; ma ettendo occupati , ed in  negozj gravi diltraer non lì pottòno in nul-  la, fenza aver il lor conlènlò.   D. Perquelche rilguarda gli Schiavi, fon  eglino al tri/ come li fervi tenuti di dar elo-  cuzione agli ordini, ed alti comandi de’ padroni ; purché quegli fian giufti, ed onefti ,  ed abbiano eglino forzg bafievoii , e luffi-  1 denti -per efeguirli ; differilcono però mol-  to quelti da fervi in ciò , ch$ a* padroni in  elfi competendo quell’ ifteflo dominio, che  anno nell’ altre colè loro , eglino vagliano  ad alienarli e venderli altresì , come que-  lle; comecché un cotal dominio efiendo  molto limitato e riflretto dal dritto Natu-  rale , e non convendo in modo alcuno ap-  partarli da quello, non venga mi ga lor  permeilo , come di tutte l’altre colè , Rabbuiartene; quindi è che proveder li devono  di tutto quello, che al lor follencamento  fi richiede , e rattenerfi da impor foro del-  le cole luperiori , e al di lòpra delle lor  forze , o che ridondino in qualche modo  in dilcapito della lor fallite ; Il perche al-  tresì dove quelli peravventura fi molìrafiè-  ro redi , e ripugnanti a’ commandamenti  de’ padroni, lèbbene ufàr fi pofiono contro,  loro tutti li mezzi poffibili del Mondo pgr  ritraerli all* ubbedienza , ed all* ofièquio a  quelli dovuto, non però mi credo, che met-  ter fi debba in obblio,ch’eglino fiano uomini come a noi , e per conlèquenza mancar  all’ amore , eh’ agli altri fi deve .   2 / 1 . Ma vaglia il vero promuover dovendo  ogni uno la felicità , ed il commodo altrui   non meno eh’ il proprio ; perche lo flato  d’ una fefvitù perpetua , ed illimitata por-  ta feco molti, moftillìmi jncommodi , poi-  . che è di leggieri converter fi può e palìàr  in abbuiò, non fi deve permetter molto vo-  lentieri, 0 sì indifiintamente, che vi fi lafci-  >no marcir coloro , che liberi potrebbero di  lunghiflìmo fpazio giovar a le ed agli altri.  D. Reputate voi del tutto inutili li /chiavi  rer una Reppublica , o per una Nazione? Nìa;( H ) anzi ne potrebbe ella dedurre  molto utile e vantaggio , con ritraerne una  infinità d’abbitati per le colonie,e farne al-  tri buoni ufi; ma farebbe egli meftieri, che  da legislatori fi raddolcifiè in qualche mo-  do lalor {chiaviti! , e fi trattali renderne  la idea, alquanto più dilettevole ; con pro-   # veder perefcmplo alla durezza de’ lor padroni , con afficurarli del notrimento in   • tempo di vecchiezza , o infermità , con fa-  . vorir'li lor matrimoni , e con altri sì fatti   . modi , per non incorre in quegli inconve-  nienti , eh’ incorlèro rilpetto a quefto particolare I ROMANI. Vedrebbe • altresì per alcuni la fobia-  vitùfervir d’un gran mezzo per dilungarli  dal male. Veniamo ora a trattar della famiglia.   M. Quella come noi dicemmo, è un corpo, o   VII. una fòcietà comporta di quefie fòcietà per  l’appunto, di cui abbiamo fin adora fa-  vellato;comecche porta fòrmarfi ella di tut-  1 te , e tre quelle unite in uno , o di due fòl-  tanto ; e nel primo calò T abbiamoci realmente per aliai ben intera , e perfetta , nel  fecondo per imperfatta. A cui credete voi ; che appartenga di ra-  gione il governo di una sì fatta focietà ?   ÌM. Al padre , e alla madre di famiglia , che  fono quegli rteflì , che nella fòcietà coniu-  gale portano il nome di marito , e moglie,  nella paterna di madre , e padre , e nella  fòcietà ,-che fi compone di fervo , e padro-  ne , eglino fi nominano padrone , e padrona. Riguardo al padre di famiglia io ben mi  perfùado, che convenga egli fia il capo  della famiglia , per la rtefia ragione , che  Vuole il marito fia il capo della fòcie-  tà coniugale , il padre della paterna , r ed  il padrone in quella che fi compone di lui  e fervo ; ma per quelche s’ appartiene alla  madre , io non comprendo , perche vo-  gliate altresì, che fia fatta ella partefice  di quella fòvranità?   flf, Dubbitar non potendoci , che alla madre   non competa naturalmente parte della po-  defià , e dell’ autorità , eh’ al padre com-  . pete ne’ figli, e come padrona parte di  quella , che ha il padrone ne’ fervi , e nelle  ferve ; e che poflà ella altresì quando con-  venga ben configliare , e ammonire il tuo  marito , egli è certo che debba altresì di  ragione efler fatta partefice del comando ,  eh* hà il padtedi famiglia , o per efpreflò ,  o per tacito confenfò di coftui. Quali sono li doveri e gl’ obblighi di un  padre di famiglia? Ogni focietà avendo un certo fine proprio , per cui fù inftituita , ed ordinata , e  dovendofi in effa attentamente Tempre mai  a quefto badare , ed aver l’occhio, dove far  fi può lènza contrariar in nulla alle leggi  naturali j in ogni famiglia tutta la dili-  genza , e tutto lo Audio impiegar fi deve  in far , che 1* azioni di ciafeuno ficrno in tal  fatto modo regolate , ^ rette, che il fine  d’una focietà s’ ottenga fen za edere di  danno alcuno , o pregiudizio all’ altra j e  confequentemente il dovere, e l’obbligo  d’ nn padre, o d’una madre di famiglia, che  camanda in nome di quello , cui sì fi deve  tutta la poteflà, confifter deve in fare, che  tutte l’ azioni de’ Tuoi domeftici colpifca-  _ no concordemente , e con ordine un mede-   mo  moline; cioè rifguardino univerfàlmente  all* utile , e al commodo di tutti fenza ri-  ferva, o eccezzion alcuna di perfòna; quin-  di dove abbia peravventura *una fol fiata  quelche far fi debba a ciafcuno importo, e  ordinato, e non deve a patto alcuno impu-  nemente lafciare , e fenza galligo quelche  fi opera , è fi fa in contrario; e perche  ogni fòcietà fi rifguarda come una fòla  perlòna , e il commodo , e 1* utile di ciaf-  cun de 9 focj merita pofporfi a quello di tut-  ta la focietà,egli fi deve nella famiglia tan-  to dal padre , quanto dalla madre di fami-  glia anteporre fèmpre la fàlute di tutti ir»  . generale a quella d 9 alcuno in particolare ;  come che trattandoli d 9 eflranei preferir fi  debbano a quelli ed anteporre tutto tempo  quegli , che non fian tali.   D . Quali fono gli obblighi, e li doveri de*  domeftici ?   M- Per dir tutto in un fòi motto , eglino in-  gegnar fi devono di non lafciar occafione alcuna addietro fènza non promuovere il  commodo , e l 9 utile cominunedi tutti del-  la famiglia , e di ciafcuno in particolare.   V. Or in fine palliamo alla fòcietà civile , e  VlII.procurate in ogni modo, eh 9 io n’ abbia  una idea d 9 aliai ben chiara , e netta.  jW. Qjicfla nonè a eh 9 una sòcietà comporta C V di X   f - di più famiglie congiunte, ed unite tutte in   uno a poter inlìeme vie meglio promuove-  re , e portar avanti il lor ben comune, e  per mettelli in iftato da poter con magior  aggevolezza difenderfi , e liberarli dagli  inibiti, ed aflalti de 9 proprj nemici ; impe-  rocché edinto , che li viride infra gli uomi-  ni quel cado, e fànto amore, e quella carità  fraterna, e lènza elèmpIo,che giuda più , e  più fiate dicemmo, l'uno all’altro dapprin-  cipio vicendevolmente portava, prefo aven-  do ogni uno di gir a lèconda delle lue pro-  prie voglie , e delle fue isregolatezze , con  aver in odio, ed in abbonimento il compagno , l 9 amico , e fian anche il più a lui  congiunto di languc, o di patentato, e  perche 1* obbligagione di quelle fante leggi  che indentro a fe portavano , e nel proprio  feno ilcolpitc,ed imprefie,non badavano in  modo alcuno a rattenerli , ne a reprimerli,  e per efièr tutti uguali di natura e pari, ne  Giudicp , ne Magidrato rinvenivafi dinan-  zi cui metter termine fi potelTe , o dar  fine alle lor contefe , da per ogni parte,  non ufandofi altro , che forza , e furore , e  fovente imperò venendo P innocenza op-  prefia,eogni giudizia sbandita e lafciata  jn un cantone; rare volte , o non mai rinve-  nendoli una famiglia in idato da poter opporsi  e far farsa alle violenze , che da*  fuoi contrai] fin nel fa 0 proprio , e nazitf  albergo l’ erano a tutto poter commefie ,  molte moltiflìme famiglie in cui allora ve-  niva devi fa il Mondo, per torfi da tanti , e  sì gravi rifchi e perigli li unirono, e fi ob-  bligarono di difenderli ; e rilèrvandofi la  libertà di poter dire il lor fantimento nelle  rilòluzioni delle cofe di magior rilievo, che  fi prendevano jn nome di tutta la commu-  nità, diedero per lor maggior pace , e quie-  te , il governo della lor facietà , e P ammi-  nifi ragione a uno , o più per fanne , d’ af-  fai più prudenza, e coraggio degli altri. Vi è farle noto quando cominciarono que-  lle focietà al Mondo?   fll- Nò comeche abbiam ogni ragion di  credere che per un lungo tratto di  tempo, non vi fòdero fiati delle Monar-  chie, e degli Principati di gran valliti , ed  eftenzione ; imperocché quanto più in die-  tro fi mira, e fi pon mente alla ftoria de*  / V a pri-  Cosi appunto rifurono le Reppubbliche de%li Oriti , e dì molti altri apprejjo U,  Diluvio , come j * -imprende dalla Storia del  vecchio tejlamento.] primi tempi , tanto più fi rinvengono degli fiaùmolto, piccioli, e in gran novero ,  che non erano guarì gli uni dagli altri di-  ttanti , e che non aveano molto pena ad  unirfi quando bilògnava , e facea lor mettièri di tener conlèglio de’communi inte-  reffi , ovvero ilcampievolmente (correrli  ' contro le violenze de’ lor nemici . Egli è  il vero , che comunalmente 1* Impero degli Attiri fi abbia per la prima Monarchia  del Mondo ; ma non per quello fi può egli  aderir di fermo, che quella fi fù la prima  focietà compolla di più , e più famiglie,  non potendoli da lenno per alcun dubbia-  re , che ella ringraridir non fi vidde , ne  gingner a quello fiato pria di non afiòrbir  in le, e divorare per così dire, un infinito  numero di picciole lòcietà , o Principati,  pome la Storia lo c’infegna .  Spiegatemi diftintamente , e fenza alcuu  IX. interrumpimento quelche appartiene al  buon regolamento di quella focietà .  yVf, Ragionando fecondo li flefiì nollri prin-  cipj , egli è certo; Che avendo quella per fine il ben co-  mune , e la ficurczza di tutti quegli , che  la compongono , ottèrvar vi fi debba come  legge fondamentale di non far colà alcuna  contraria , od oppofla alla làlute , ed alla tranquillità pubblica; quindi formar  dovendoti giudizio dell’ azioni de* parti-  colari Soltanto riguardo a tutta la (òcietà ,  ed a quello fine ; molte moltiffime cote av-  vegnaché giufte , e permeile dal Dritto  Naturale, (ovente efler pofiono in efià in-  giufie , e irragionevoli . II. Ch’ogni una di  quelle (òcietà Civili, (ècondo che noi di-  cemmo favellando della (òcietà in generale , non confiderandofi nello (lato Naturale, che come una perfona , E uffizi dell*  una inverfò 1 T altra fian realmente pii (ledi  di quegli d’ un uom inverfò 1* altro uomo. Che acciò non v ’ abbia in quelle (òcie-  tà chi diflurba , o inquieta in modo alcu-  no il ben pubblico, ne venga niuno impe-  dito , o diftolto , anzi fian tutti aggevolati  a foddisfare a lor obblighi ,' doveri , g uffi-  zi ed òttenghino elleno (ledè il lor fine,  ‘ abbilògna che di tutto ciò fè ne commetta   V 3 la   ...Per quejìo ir ogni Città , 0 Rep pub-  blica in tutti modi gajtigar si devono , e punir  coloro , che operano in contrariamoti ufar tut-  ti mezzi pofìbili in far che le lor arti non sia-  no di difcapito , 0 di nocumento alcuno al pub-  blico la cura a certe perfone , e fi obblighino gir  altri a far dal conto loro quanto a tale ef-  fetto venga mai da coftoro ordinato , e  ^abilito; ed in fatti ogni fiato , Regno , o  Reppubblica par che fiiftìfta per un cotal  patto, fia efprefib , o tacito infra coloro ,  che la reggono , come capri, e n’anno il  comando, fiano Principi , Magifirati , o al-  tri , ed infra quegli, che ubbedifcono , e vi  fono in luogo de* luciditi , o di tanti mem-  bri , IV. che tutti li patti conforme al drit-  to Maturale dovendofi offervare, quefti al-  tresì , che efprefiì , o taciti fi fanno, infra  fòdditi , e Regnanti dar fi debbano ad effetto . V. Ch’ a tutti i Regnanti apparte-  nendo la cura di tutto ciò, che mai riguar-  da la pubblica tranquillità, e fàlvezza e’non,  meno aver debbano una piena contezza de*  mezzi necefiàrj per poter a ciò pervenire ,  che un voler fermo, ed affai ben coftante di  non comandare ne far altro, che quello,  che può unqua per quefto valere ; e per-  ch’ egli è impoffibile che a quefto giunga-  no lènza una efàtta ofiervanza delle leggi  Maturali , fono in obbligo ed in dovere al-  tresì d’ inviggilare su quefto, e far che niu-  no de’ lor fudditi manchi sù quefto* parti- .  colare ; onde nello fteflo mentre veniamo  a conofcere che tutta la noftra felicità in quello Mondo ottener non potendoli in al-  tro diverto modo diverto da quello (/)  fi debba da Regnanti a tutto potete in tut-  te colè aver la mira a non altro, che alla fé  licita di tatti coloro che reggono , e go-  vernano . VI. Efièndo quelli tenuti , come  dicemmo di fare che niuno Ila impedito di  fòddisfàr a’iùoi doveri, e tocco ire re, ed abi-  tar ciatouno a farlo ben più volentieri ,  con cofiringere e gaftigare , chi che ricula \  di farlo , egli abbisogna che faccino quan-  to polla non meno torvi r di mezzo a ciafi-  cuno per compir qvelch 1 egli deve , m’ al-  tresì facilitarne l 5 efecuzione , e l’effetto. Poiché il fine d’ogni tocietà non è che  di promuovere il ben commune , e di-  fenderli dagli infiliti de’lùoi nemici fia  uopo fare , eh* il numero de’ludrìiti in una  Città , o Reppubblica , non fia minor di  quello , che perciò fi richiede, affinché non  Vi manca il bitognevole, ed il neceffario  per la vita , o altra cola avvenga contra-  ria in qualche modo alla tranquillità pub-  blica . Vili. Ogni Città, o Reppubblica  in fin non effendo ch’una tocietà, ed a nino  lòdo convenendo partirli di quella tocietà,  in cui peravventura fi rinviene con danno  altrui , oon fi deve unqua (offrire , eh’ al-   V 4 ' cimo   ( l ) Tratt. x. riuvn.xi i. ] cuno Ce nè parta , e vada ad abbitare in al-  tro luogo con un gran di lei difcapito ; e  conforme un fòcio , che danneggia un’al-  tro fòcio è in obbligo, ed in dovere rifàrcir-  glielo , così altresì riconofcer fi deve quefti  per ben obbligato di rifar quello , che mediante la fùa lontananza ha la Città, o  Reppubblica ricevuto , IX. Gli avveri , e  le ricchezze efiendo di un fòmmo medi eri  per lo foftentamento , per Io decoro, e per  la giocondità della vita dell’ uomo, devono  coìprche Regnano proccurar in ogni mo-   * do , che i lor fudditi ne fian tfen forniti ;  X- La fpcrienza dandoci tutto dìaconoicere , e vedere , quanti vizj , e malori ne  provengono dall* ozio , ed imperò abbifo-  gnando, che ogni uom fatichi e travaghi  per ricchi filmo eh’ e* Cia; in ogni fòcietà Ci-  vile è meftieri dar in vegghia per far che  non manchi giammai il travaglio a coloro  che lo chiedono * e che ^abilito fi abbia  perciò un commodo , e giudo prezzo, non  (ì fofferifea , eh’ alcuno fi confuma , e to-  talmente fi perda nell’ozio . XI. nonrin-  venofi al Mondo alcuno, che che non fia  in ohbligo , ed in dovere fòddisfar a molti  obblighi , doveri , o uffizj in verfo la Mae-  fià Divina , inverfo Ce medefimo* ed inveì* •  lò gli altri, in ogni , e qualunque Città , o  Reppubblica metter fi deve ogni Audio » ®  ogni cura per riempier l’animi di tutti di  quelche e’ devono foddisfàre ; e perche  non tutti di tali , e d’ altre sì fatte cogni-  zioni fon abbili renderne gli altri ammae-  ftrati, quegli eh’ anno un ingegno vie più  degli altri elevato , ed eminente , e che a  farlo fi conofcono eflèr naturalmente più  acconci, in tutti modi poflìbili ajutar fi de-  vono , e foccorrere, affinché da fe far polla-  no ben volentieri tutti progredii , e avan-  zamenti del Mondo nell’ arti , e nelle  fcìenze , e proccurar eh’ i padri con ogni  agevolezza educhino i lor proprj figliuoli,  e s’ingegnino di far lor ottener quella perfezzione , che ad uom abbi fogna, acciò lo-  Itener poflono col tempo e rappretentare  con fomma lor loda e riputazione nel mondo , e nella propria padria , quel persònaggio , eh’ il sopremo architetto delle  cole hà riabilito , ch’e’rapprefèntino. Non efiendo miga colà convenevole che  un uomo danneggi un’ altro uomo , e quel  danno eh’ egli peravventura gli da, effondo •  tenuto di rifàrcirlo; in quelle ifiefiè focieti civili fi deve proccurar altresì, che niuno.  venga offofo , o danneggiato in colà alcu-  na , e eh’ in ogni forte di contratti fi olfor-  vi a minuto , ed elettamente ogni giustizia, ed equità ed lì rifacci ad altri quel dan-  no, che gli fi reca. Dovendoli da  tutti noi vietare ogni e qualunche periglio  della vita , e conlèrvar la noftra fàlute , e  E integrità delle membra con adoperarci  mai Tempre di non cadere in morbo alcuno,  e dove peravventura vi fi cada riftabi-  Hrci ( m ) , egli è di dovere , e di obbli-  go in una Reppubblica, o Città, metter  ogni diligenza in far che niuno fi elponga a pericolo alcuno, o venga a far per-  dita della fua làlute , o delintegrità delle-  fue membra , con vitare , e sfuggire tut-  to ciò che mai ne può efiere la cagione ,  come per elèmplo farebbe l’ebbriezza , eci  altri vizj di tal fatta ; e che abbia in pron-  to tutti li mezzi proporzionati alla fuga  de’ morbi, ed alla cura di quegli, che ilgra-  .;ziatamente v’incorrono , ne (òfifrir mai  che uno dea la morte a fè medefimo , o ad  altri XIII. Non dovendoli nelle fpefe ne-  celfarie a farfi , permettere cofa per ni mimiche fi fòlle contraria ed oppofta a’ luoi  doveri , e 1’ acquifiato dovendoli tutto  tempo conlér vare per le neceflità e le bi-  lògne, che pofion mai avenirci, egli è uopo  che nelle focietà Civili fi provegga anche  con diligenza sù quello , con non permea   . ' ter   ** a   ( m ) Trcti . i l.vu n» J* i . 3 1 r  ter neppur la foverehia fòntuofità dell’ abi-  tazioni ; come che dall’altra parte la me-  diocrità ufàta nella di loro venufià e bel-  lezza Ila oltre modo commendabile, poten-  doci recar molto di piacere , e di diletto ;  e con ciò fèrvir non meno per un gran au-  mento della nofira fàlute, e per accrefce-  re di gran lunga la nofira autorità fpezial-  mente appreflò il vuolgo , che altro il più  delle volte non ha per guida , che li proprj  fènfi , che rendere pompofa e magnifica e  fuperba la Città , e dare una gran oppime-  ne de’ Tuoi agli ftrani . XIV. ogni uno e£  fèndo in obbligo prezzare , ed onorare  chiunque e* fra di preggio,e di lode degno,  e non potendoli ciò da altri fare , che da  quegli , che può fender giudizio , e ragion  ne delle azzioni altrui , ‘.affinché tutti fia-  no tali in ogni Città , o Reppublica bifò-  gna badar di rinvenire, o iitabilire certi  titoli , certi legni d’ onore , e certe prero-  gative , per darle a quegli, che fè ne rendo-  no meritevoli , XV. Per mantener ben  fèmpre fiabile e in piè la pubblica quiete ,  e tranquillità, ed evitare a tutto potere  gp incommodi , e li difàgi che mai deriva- >  no dalle private Vendette, far fi deve,  che gli offèfi fi r imanchino pur contenti del-  le pubbliche , e che colui , eh’ egli è punito   c gadigato non abbia ardire , ne o(ì priva-  tamente di nuovo vendicai^. In dove  in una.Reppubblica, o Città, è lì vede, che  non bada 1* obbligagion naturale a; rattener ciafcuno tra li fuoi obblighi , o doveri,  a quelle leggi naturali, la cui inoflervanza  può in qualche modo , e vale a difturbar  la pubblica quiete , abbilògna , che vi (I  accoppia una nuova obbligagione, cioè che  fi propongano a quelli , .che le trasgredi-  rono delie pene , ed a quelli , che l’ofler-  vano degli premi, eh* è quello che condi-  tuilce l* obbligagione , che noi perdidin-  guerla dalla naturale diciam per l’appun-  to Civile , e nominar altresì fi potrebbe  umana ; e per la della ragione le le leggi  naturali- lòn troppo generali, ovvero fò-  verchi© indeterminate , e di doppio /ènlò  per torre ogni letiggio , e ogni piato di  mezzo , che quindi ne potrebbe mai ri-  fbrger è d* uopo-ch* in quede medefime società fi determinano, e fi redringano in tutti  modi , con decidere che che fi debba tener  in ofièrvanza • e non potendoli realmente  da Regnanti ogni colà antivedere , dove  quelche una fiata credettero per li lor lùd-  diti utile , e giovevole ftabilire, la Iperien-  za lor da a cònofiere efler inutile , e poco  per quelli profittevole, lafciar non lo devono in modo alcuno di corrigerlo, ed emendarlo. Non mai uom potendo la  lue azioni conformar alle leggi di cui egli  non ha contezza alcuna, quanto fi ordina ,  e fi ftabilifce in una Reppublica da que’  che governano in tutti que’ cali da noi te-  de cennati non può aver forza , ne vigor  alcuno pria , che non ha promulgato .  E (Tèndo giuda quelli noftri principi  proprio de’ Regnanti il far leggi , l’obbli-  gar i fudditi , e far ed ordinare tutto ciò  che può mai (èrvire per la pubblica làlvez- *  za , e tranquillità , ed in qnefto appunto  confluendo ciò, che nominiam noi podellà  0 fuprema, aderir poflìam con ogni ragione  che quella fia propria di effi loro , ne un-  qua polla ad altri appartenere, comecché  non potendo eglino in niun modo obbligar  i fiidditi ad azioni contrarie al dritto natu-  rale ed a que’ patti, che fecondo noi dicem-  mo, fifoppone , eh’ intervennero tra Re-  gnanti , e ludditi , fia ella in Un certo mo-  do molto limitata , e riftretta. Ogni   e qua-    > (L ) 'Quindi si comprende in guai casi sia  mejìieri , eh* in una Reppublica sijaccino delle t  nuove faggi , e delli nuovi regolamenti c. qualunque Regnante, avendo una cotal  podeftà d’obbligar i (uddjti,egli hà altresì  quella di ftabilir delle pene contro a’ pre«  variatori , ed a trafgrefiòri delle leggi 9  delle pene, dico, intendendo anche delle ca-  pitali , dove 1’ altre non badino , e fjan  infufficienti alla quiete, e tranquillità pub-  blica , cui eglino (òn tenuti tutt’ ora di  badare , e per cui anno ottenuta una tal  podeftà. Eftendo le fpefè a’ Re-  gnanti (òmmamente neceflarie per la pub-  blica quiete , ed imperò dovendofi elle da*  (udditi fomminidrare egli ha anche facoltà  d* impor a codoro degli tributi, e delle col-  lette , o gabelle , ed altre (òrti di contribuì  zioni ; Ma metter non potendod in  efecuzione quelche bilògna per lo ben pub-  blico, lènza che non da abbia della potenza*  cioè una certa poflìbilità , o agilità , per  così dire a poter tutto ciò fare , quefta è  parimente perciò da rifguardirfi lènza fallo  come propria di coloro che governano ,  C confcguentemente appartiene a’ Regnan-  ti al- •  Ecco qui la ragione per cui a * Re-  gnanti compete il giu: di morte , e di vita ih  de lor fu àditi ,  3 tf  ti altresì il dritto di poter codringere*  ed obbligar gli proprj ValTàlli a fòmmini-  ftrare , e dar tutto ciò , che fi richiede per  quelche fi deve fare ,* il dritto di codituire,  e rimuovere i Magifirati . necefiarj per efè-  guire le leggi Civili , e giudicare e indur-  re ogni uno a lafciar all* altro quelche gli  fi deve , non potendo tali cofe giugnere a  far da fè medefimi ; il dritto di conferire, «  i pubblici pefi , e le carriche , e le dignità  Civili ; il dritto di far leva , feelta , o rol-  lo de* fòldati , che alla quiete tanto inter-  na , quanto edema della Città fon necefià-  rj ,• e mille altri dritti di tal fatta, lènza cui  li lor ordini non fi poflono dare ad effetto ;  e perche quella podefià , e quella potenza  che di necellìtà fi richiede , giuda che fi è  modro, ne* Regnanti e quella in cui confi-  ne per f appunto la lor Maefià,* in qualun-  que Città , o Reppubblica gadigar fi deve  feveramente chiunque ardilce in modo al-  cuno d* offenderla , ed aggravarla ; come  che potendo ella eflèr varia e diverfàmen-  te oltraggiata, varj, e diverfi altresì intorno  ciò fian le pene , e i gadighi , che fi ftabi-  Jilcano . In ultimo per dir tutto in un mot-  to l* utfizio , l’ obbligo , e,il dove de* Re-  gnanti elfendo , come più volte abbiam  detto , e ridetto promuover in tutto la pubblica quiete , e tranquillità, e difen-  der i lor fudditi dall' ingiurie de’ nemici lì  sìdomeftici, che pubblici, eglino devono  tutta la lor attenzione impiegare in badar  minutamente a tutto quello , che a quefto  può mai pi (guardare, con corriggere , e rattener ne’ lor principi fin le picciole novità,  non lòflrir le inimicizie private , e le gare ,  che infòrger poflòno ifpezialmente tra  Grandi , e qualunche difprezzo , che ven-  ga fatto mai della lor perfòna ; impedir  ogni ingrandimento flraordiuario de* par-  ticolari ; rinovar di tratto in tratto ordini ,  e leggi ; e ridurre tutte le colè alla finceri -  tà , e ilchittezza de’ lor principi : venendoci col corlò del tempo a formar ne’ corpi  Civili , alla fteflà guilà , che ne’ naturali,  tèmpre mai qualche aggregato d’umori  cattivi , ch’hà bilògno di purga • e perche  non dico egli ha malagevole , ma quafiche  imponibile , che fappiano da le foli , o faccino tutto , egli è di gran lunga giovevole  che fi fervano fòvente dell’ altrui faviezza,  e prudenza , o coniglio, per non far cofa  per menoma eh’ e’, ha contraria, ed oppofta  al ben pubblico , efTendo molto irragione-  vole , e come contro ogni ragione del tut-  to mal fondato, ciocche ne Icrivono l’Obbe-  gio , e il Macchiavello , che non dubbitarono fin le cofòienze de* fòdditi , e la Reli-  gione fteflà fottoipettere a’ Regnanti. Del  refio ri/petto a i lor (ùdditi quefti elsendo  cornei padri fono rifguardo a i figli , con  tutta agevolezza tutti gli obblighi , gli  uffizi ,e i doveri de’Genitori inverfo i lor fi-  jgli,e quegli di un padre di famiglia in ver-  lò i Tuoi domefiici, generalmente parlando,  applicar fi pofiòno alla lor perfora , come  que’ de figli inverfo i lor padri, e de dome-  fìici inverfo de’ padri de famiglia, a lor . *  fudditi .   jp. Per verità y’hò intefo fin ad ora con pia-   X. cere , fenza ardir d’ interrompervi ; ma  pria, che palliate ad altro, dinegatemi al*  cune co fe più paratamente , e incomin-  ciando , ditemi quante forte di Reppub-  bliche , e di governi divertì vi abbiano?  Perche fecondo noi abbiam detto 1* am-  miniftragione delle cofe può elfer data o  ad una perfona fòla, o a più , o od una in-  tera moltitudine , fi rinvengono tre fòrti  di Reppubbliche regolari, l’una di cui si nomina Monarchia, Regno, o Principiato; la seconda Aristocrazia; e la terza Democrazia; le quali di leggieri cambiar fi  pofiòno , e tramutare in altre e tre vizìofè, r  ed irregolari ; imperocché il governo di  una Reppubblica o fi rinvenga in man di   X uno, odi piu, o di tutti , ciò non faccn-  dofi , fecondoche noi dicemmo , fè non  col confenfò medefimo de 1 Concittadini ,  e per la podefià / che da quegli s*òt-  i tende ; èd- imperò ingiuftamente coloro tutti comandando , cui gli altri miga  non fi fòmmifèro , o egli fia quefto un  f uom folo, che regni in cotal forma , e il   fuo governo ncm è più Monarchia , ma  Tirannico ,o tòno foltanto pochi nobili, e  non tutti ,' e verranno eglino a coftituire  non già una Arifiocrazia , ma un Oligar-  chia ; ovvero in vece di tutto il Popolo regna, e governa la plebaglia , e la feccia del Popolaccio, che quanto fà e’ rifòlve a capriccio e quefta noi diciam propriamentè Olhocrazia. Egli vi mette qualche divario nella per-  fona di un Monarca, confiderato rifletto a ’  /- un altro monarcati Titolo di Re, Imperadore , o Principe ? No. Qualunche di quefii titoli egli abbia  è tèmpre il medefimo; non offendo egli  rifguardo ad un altro Monarca, che uguale,  e nello fiato Naturale , lènza fuperiore al-  cuno ; comecché ogni prudenza voglia, che  » * nè coftringere, nè obbligar potendofi l’altre Reppnbbliche , e gli altri Principi a  onorario con quel titolo , eh 9 egli brama,   pria, che Io s’ imputa convenghi con effi  loro sù quello .   D. Volete, che fia necefiario regalmente per  un Monarca udir ilconfeglio altrui?   M. CertifllmÒx; imperocché febben polla  egli operar tutto a Ìlio arbitrio , non poten-  do colà alcuna far contraria , od oppo.  fta al fine della focietà , eh’ hà in governo;  tutto al roverlcio del Tiranno , che non  riguarda , che 1* utile , e la làlvezza pro-  pria non può egli da fé conofcer tutto-Non  efiendo in ifiato di operar tutto in un ifiefi  lo modo , e penfar da voi ( dicea molto  faggiamente , e con prudenza a’ fiioì Mi-  niftri per quel che s’inarra un Soldano) non  tralafcate giamai dar orecchie , nè ribut-  tate per qualche gelofia , o (lima ,che pof-  fiate mai aver di voi medefimi quelch’ al-  tri penfano , con averlo per goffagini , e  fpropofiti, non per altro, che per non efier  fiato dinanzi da voi antiveduto, , poiché lò-  vente fiate avviene , che fi ritolga del pro-  fitto , e fi rabbia del utile dall’ operazioni  le più chimeriche , ed iftravaganti del  Mondo ; e per verità è aliai più lode-  vol colà , e di maggior momento fàper di-  ‘ ftinguere il buono , ed elèguirlo, che pri-  ma penlàrloda (è medefimo ; lòvente vol-  te egli avviene, che ad un Monarca convemga far paragone delle diverte aderenze ,  e circoftanze de* tempi; o conolcer la for-  > za degli abufi , e difàminar attentamente  le leggi antiche ,* ffabi lire , e far degli re-  golamenti, e degli ftatuti per li Collegi,  e per Partefeci ed altre sì fatte cote,le quali egli è predo che imponìbile , che far 11  pollano da un telo .Nell’Ariftocrazia e nella Democrazia  per prender gli efpedienti neceflàrj alla pace , ed alla tranquillità pubblica, qual colà  credete , che far fi debba ?   eltendo nella prima il governo in man  de’nobili,e nella teconda in poter del Popo-  lo, egli determinar non fi può nell’ una,cofa  alcuna, lènza il contente de* nobili , e nelP  altra, lènza quello di tutti ; e come nell*  Ariftocrazia v’ abbitegna un luogo , dove  i nobili fòvente fi convengano , e prendano  gli efpedienti necefiarj per quella , non che  un certo tepo (labile, e fiftò in cui fi raguni  il Senato ; (alvo che nelle colè improvilè ,  e gravi, nelle quali èmeftieri , che fi ra-  duni fuor d’ordine ; così nella Democra-  zia di necedìtà egli vi fi richiede un luogo  per li comizi, ea un tempo certo, e fidò  da poterli convocare ; con aver per fer-  mo , e ftabile Ila in quella , fia in quella,  quelche venga dalla maggior parte deter-  minato ; ma vaglia il vero,quefte e tre fòr-  ti di Reppubbliche irregolari , perche di  leggieri , come da noi fi difie , pofiòn cam-  biar natura , e divenir difettofe , e mo-  fìruofè, molto ben di rado fi veggono, aven-  do la maggior parte unite o tutte , e tre  quelle fórme in uno , o almanco due in  guifa, che Puna vaglia per rattener l’al-  tra in uffizio , ed imperò fi dicono vuol-  garmente mille ; (ebbene vi fiano per  al prelènte alcune altre (òcietà compo-  ne o di molti Regni dipendenti da un ca-  po , o di molte Città confederate , che  componendo un certo fiftema , dir fi pof-  fòno con gran ragione , fòcietà fiflematiclie ; avvegnacche di queffi Regni,  che fian retti daunlòlo, altri lèguendo,  ciò non o (tante pur ad oflervar le leggi fon-  damentali , come egli è or 1’ Ungaria , e  la Boemia , e non avendo altro di conamu-  ne , che la fòla perlòna del Principe, aver  . non fi debbano al novero di tali fòcietà ; al-  tri effondo in tal modo uniti , che quelli ,  che fi furono (òggiocati, non guardandoli  che come Provincie, l’uno neppur coll’ al-  tro viene acoftituire (Ulema alcuno , come  fi fu un tempo ia Macedonia , la Siria, c   X, 3 l’Egitto lòtto Y IMPERO ROMANO, ed altri  finalmente fon in tal guifacon le fòrze uni-  ti ed accoppiati per difènderli, che non ven-  gono , che fòltanto una fòl fòcietà a corti-  tuire ; e quelli di vero formano un firte-  ma , e quello di cui or trattiamo . Ma  la piu parte de’Regni fi cambiano col tem-  po , giufia dalla Storia s’ imprende, di for-  ma , e di figura j quindi quella dell’ Impe-  ro di Germania , hà sì fattamente trava-  T gliato i Scrittori tutti, del dritto pubblico, che quanti eglino più fono , cotanto è   • diverfo il numero dell’ oppinioni , e delle  ^ (èntenze, che intorno quefìo particolare   - ^ abbiamo ( n); imperocché alcuni rifguar-  ; dando foltanto alti titoli , all* onore , e al-   • l’infegne di Monarca, che dar fi fogliono   • all’ Imperadore, fi credono quello Impero   • del tutto Monarchico ( po crefciuta appoco , appoco l’autorità de-  gli Stati , e fpezialmente dal Regno d’ OTTONE (si veda) in poi , e dalla morte di Frederico  II. quella oltremodo aggrandita , mirata  non fi fofie giammai in appreffò la podeftà  imperiale in quel fplendore e in quel  4 gola- .   ( q ) Jlufwlin. ad A. B. diJJ’ert. i.$. 1i.pag.y6. Bue-  cìer. notit. Imptr. lib. zz. c. 3. p. zSS.-   ( r ) Limnxus ad J.C. lib. j. c. io. Arnifav. lib. x,   f* 6 .   ( f ) Conriag. decapitai» C». Brumem. in estam. jur. pubi. e\ i.f.f.   3 a*  di cui fi tratta alle leggi , e giudicarne » >   lènza che pria ben non fi difitminano , egli  r . è meftieri che deano udienza a tutti indi-  ' fintamente , e li Tentano ben volentieri e  con ogni placidezza III. ogni uomo e (fen-  do in obbligo di amar l’altro,febbene odiar  e’ debbono , ed aver a male il cattivo pro-  cedere de’ delinguenti e malefattori, devo-  no amar (èmpre però quelli ed averli ca-  ri ; IV. per non aggravare li poveri , e mi-  seri litiganti di (peé, e di tedio, ingegnar fi  devono con ogni Audio di (pedir predame-  le tutti i Giudizj , tanto civili , quanto cri-  minali^ V. finalmente abbifogna che pr oc-  cura no di confervar in tutto la autorità pro-  pria, e de’Regnanti che rapprdèntano con  rederfi agli occhi di tutti perirreprenfibili,  e lènza macchia. Per tutto ciò efièndo egli  colà certa, ed indubitata, che qualunche  occupazione , o aff’ar di fiato e* fia guidar  fi polfa , e condurre afiài bene, giuda un fi-  fiema particolare , e proprio , farebbe fen-  za dubbio di un efìremo giovamento per  tutto il Minifìero, fi fòrmaflè un fiftema  generale di tutte le parti del governo sù  mallìme fondamentali fofienute da una  ben lunga elperienza , e da profonde me-  ditazioni di tali colè ; divifoe (iiddivilò in  modo, che ciafcun minifiro vaglia da (è solo a formartene uno, che fervir gli po-  tere per una gran guida alla Tua incotti-  penza , e per condurlo ficuramente, giuda  certi principi al luo oggetto principale,  come che molte parti della legislazione  fian cotante dubbie, che niun può in modo  alcuno viverne ficuro, non ottante gli gran  lumi , eh’ egli n’abbia dalle teienze , come  quelle, che dipendono aflài poco dall’uma-  na prudenza .   D. Qual cola volete voi , che fi fàccia da’  Regnanti per far che quelli non fi abufino  delia lor autorità ?   M. Eglino devono ingegnarli di non eligger  per quello le non perlòne ben degne , e  , meritevoli ; avvegnaché alcuni Politici sì  per confervar in tutto 1’ uguaglianza , e sì  per temperar in parte, ed impedire lo ttra-  bocchevole impeto , e l’ impazienza , che  , quali necettà riamente accompagna i gran  talenti , credono necettàrio melcolar con  quelli alle volte lì meno abili ; e far che li  Magiftrati non fiano fòverchio lucro!! Ipe-  ziaimente ne’ Sgoverni , che fi partecipa  dell’ Oligarchia ; poiché in tal fatto modo  i poveri per una tterile ambizione punto  non curerando d’ abbandonare li lor pri-  vati interefli , e li ricchi averanno del pia-  • cere dominare giufta la lor paffione , e lì  s. terranno occupate più , e più perfòne a di*  *erfione dell 5 ozio ; a ogni modo nelle ma-  terie gravi , e di/gran momento , giulta  ' T oppinion d* Arinotele , non (la bene ,  che quegli che confìgliano , altresì delibe-  rano , potendo avvenir, che quelli di leg-  gieri regolino li lor conlègli con fini , ed  affetti privati ; Quindi in Atene il colleg-  legio de 5 privati avea soltanto la consultiva , e al Senato , e al Popolo si lasciava la  deliberativa ;   D. Ma in che crede finalmente voi che con-   XII. fidano i veri vantaggi d’una Reppubbli-  ca , o di un Stato? Nel commercio .  Ch 5 intendete per quello ;   Ai. Una facoltà di permutare il fùperfluo  per il necefiario che non abbiamo , e traf-  portarlo da un luogo in un altro .   X>. Come confiderate voi quello commercio.   M. In interiore , ed elìeriore , o maritimo.   D. Quale di quelli abbiate per lo più nècef-  fario ?   M. V interiore , come quello che cofiituifce  il ben attuale di un R egno , - o di un stato. In che egli confilìe ?   M, Nell’agricoltura , nell 5 indulìria de’pro-  prj terreni, e nella diverfa utilità de travagli  A Come dunque credete , che mantener fi poflà in fiore un cotal commercio ?  M. Con la protezzione, con la libertà , e  con la buona fède. Quali persone meritano la protezzione? Egli abbifogna pria che si proteggano  gl’agricoltori e li lavoratori della terra;  in apprefiò gli Artidi , e dopo gli altri,* con  raddolcire il travaglio d* ogni uno, e far  . che P induftria de* Cittadini tutt' ora s’au-  menti , cd aggrefea , non lafciando a, pat-  to alcuno impunità la pigrizia , e l’ozio ,   - eh’ è la (ùrgente di tutti vizj ,* imperocché  l’ immaginazione umana avendo continuo  bifogno di notritura, ogni volta che le  mancano degli oggetti ben veri , e (labili,  ella formandofene di quelli, che non fono ,  che larve , e chimere, deriggerfi lafoia to-  talmente dal piacere , e dall’ utile momen-  taneo ; quindi la Monarchia la più foggia,  e meglio regolata del Mondo rincontra*  rebbè tutta la pena pofiìbile in fòftenerfi ,    (è parte di quelli , eh* abbitano nella Capitale , altro non dico , marcifiero unqua  nell ? ozio ; fenza che qual cofa è mai altro  in effetto il cercar da vivere lènza trava-  glio , e fatiga , che un furto, o latronec-  cio , ‘che dir vogliamo fatto per lo conti-  nuo alla Nazione ? e confequenteraente un delitto che merita la sua pena.   D. Mà’impiegate , ch’abbia un Regnante  gli uomini neceflarj alla cultura, alla guer-  ra, e all 5 arti , come voi dite, del redo che  volete , eh’ e’ ne faccia ?   M. Egli fi deve occupare in opere di ludo,  anzi, che lalciarlo in una vita tiepida , e  neghi ttòlà. Non farebbe colà megliore , e più com-  mendabile mandar tutti quelli a popular  nuovi Paefi, ed a ftabilir un nuovo Dominio fùbordinato totalmente , e fòttopodo a  quello, che lor fornì di un sì fatto afilo ,  efsedo a mio avvilo quello il più bel modo  del Mondo da far conquide lènza perdita  di dati , e de* Cittadini , e lènza efporfi a  molti perigli militari , e alla gelofìa de’ vi-  cini e alli folletti di una lòverchia eden-  zion di dominio , o di qualche oltraggio,  od onda, che potrebbero mai eflì ritorne?   Mai nò; poiché lèmpre mai fi è elperi-  mentato per più vantaggiolò , e di mag-  gior 'profitto per un dato redringere per  quanto vieppiù fia polfibile li Cittadini al 1  luogo della lor propria dominazione in cui  realmente rinvenir fi devono le forze di  una Nazione , che inviarli fuora , ed in  lontani paefi ; ne di un cotal elpediente a*  Regnanti cpnvien l’ulò, (alvo chejn ultima necefiìtà e bifogno , e quando di Vero  il lor Popolo veggono eftremamente ag-grandito ; imperocché una Nazione, che lì difpopola per gir ben lungi a Itabilirli del-  le nuove abitazioni per ricca che ella ha ,  e poflènte divien ben tolto debole , e Ipofc  fata, da per tutto, ed in illato di perdere una  con quelle 1* antiche , come dalla Storia  s’imprende.   D. Ma qual colà voi intendete per ludo ?  M. Tutto quello che può mai lèrvirci per  un maggior commodo della vita , c che  non confitte , che in drappi lini, tele, ed al-  tre colè di tal fatta ; imperocché non è in  mio intendimento perfùavervi per lodevo-  , le e commendabile l’ufo de’diamanti, delle  pietre preziolè , ed altre colè tali, che non  Valendo che per aggravar una tetta , e per  tener imbarazzate , ed impedite le dita ,  non già per ifparambiarci di travaglio al-  cuno , o per liipplire ad altra cofa necefc  faria al noftrofoftentamento,fi doverebbero  con ogni ragione in ogni ben’regolata Reppubblica vietare, e vero però è ch s alcuni  confondendo quello diverfo genere di lufc  io con il primo , anno lenza diftinzione al-  cuna l’uno e l’altro riprovato , ma fenza  molto gran lènno ; imperocché non baciando per dilungar gli uomini da vizj nè  la purità delle malfìme della noltra vene-  randa Religione nè. il dovere , e Tobbliga-  . gione propria lènza le leggi ;e tutti lènza  riferva d 1 alcuno veggendofi portati dalle  \ paflloni , e dagli affetti , il faggio legisla-  , tore non può, nè conviene,' eh* altro fàccia,  che maneggiar cotafi paflìoni, ed affètti, che fon la caula della cattiva condotta de’  fìioi , in modo , che ridondano a utile j e  vantaggio della fòcietà , che compongono;  così per ragion d’efèmplo vedendo egli,   > che Tambizione renda l’uom militare d’af  ' fai valorofo, e prode ; la cupidigia in-   * duca il negoziante al travaglio, e tutti Cit-  e tadini generalmente vi fi portino per lo   luffe e per la fperanza di un maggior/.com-  - modo , che altro vài egli a fare , che metter ogni ffudio , e ogni cura in trovar modo, come quelli affetti giovar mai potreb-  bero alla focietà di cui egli è capo ? L 5 au-  torità grande , e la rigidezza de 5 Lacedemoni non fu di maggior conquito la cag-  gione , di quelle che agli Ateniefì recarono le. delizie , e i maggior commodi della  vita , nè il governo degli uni fù-per quello ' molto differente modo di vivere un punto: megli ore di quello degli altri ; o quegli ebbero degli uomini illufìri , ed eccellenti  - v «ffai più di quelli ; imperocché al novero di coloro di cui favella Plutarco eglino  non vi fi veggono, che quattro Lacedemo-  ni^ fette Ateniefi, lènza un minimo motto  di Socrate , e di Platone peravventura la-  nciati in obblio ; e lo ftedf giudizio far  conviene delle leggi contrarie di Licurgo,  non effondo elleno^ miga degne di maggior  attenzione di quella, che lo fono 1* altre  lue leggi, con cui cercò egli d’ opprimere ,  e tor vìa totalmente da’ Tuoi il rofibre ; im-  perocché come potea darfi mai a fpe-  rare , che la dia comunità, che non affetta-  va ricompenfà alcuna eterna, confervato  avefle lo fpirito d’ ambizione di far delle  conquide, efpoda a un' infinita di fatiche ,  adenti , e perigli fenza aver picciola fpe-  ranza da poter accrefoere i fùoi averi, o di-  minuire , e foemar in parte il fuo travaglio , dove fi mirò la gloria fenza tali van-  taggi ,chevalfe per dimoio della moltitu-  dine ? fenzacche egli è certo, e fuor di dub-  bio che quello, che fembrò ludo a nodri  avi , non lo fia per al prefènte , e quelche  or lo è per noi , non lo farà forfè per que-  gli , che ci fègui ranno ; e che l' ignoranza  de* maggiori commodi lo refe a molti Po-  poli per nojofo , e (piacevole ; quindi le  oodre leggi fontuarie foemarono di numero, e predo che andarono in difùfo , sècondo la noftra Politica fi andò da dì in dì viep-  più perfezzìonando,anzi molte non ebbe-  ro neppur una fiata 1* elocuzione ; impe-  rocché al dinanzi che fi foffe una fòggia  tralafciata udendone un’ altra di maggior  lufiò della prima , e facendo , che quella  di Ieggier fi obliafle, elleno non aveanoin  che Ìuflìftere ; e come fi può da chi fia di  Ieggier oflervare, non altro che il iùfiò ha  quali che dalle Città tolto 1* ubriachez-  za , e portatala nelle campagne. Perche volete voi , che gli agricoltori,  fiano li primi da proteggerti ?  àd. L’agricoltura , e l’induftria de’ terreni  effendo le baie fondamentale di quello  commercio, lafciar non fi può in un Reame,  lènza una dilmilùrata perdenza ; imperoc-  ché non valendo il terreno da le a produr-  re colà alcuna lenza una buona , e perfet-  ta coltura, nella fcarfezza , e penuria di  quello, eh* è d’ una neceflità afioluta per  la vita dell’ uomo , qual appunto è quella  . delle biade, prò veder non fi può , nè reme-  diare ad accidente , o inconvenienza veru-  na , con quella medefima facilità , e aggevolezza eh* s* incontra , trattandoli dell*  altre colè ; quindi egli fi hà per una massima fòmmamente vera, ed incontrafiabile,  - che le forze d’ un Regno allor fiano superiori'. 9 e maggiori a quelle d’ un’ altro  quando maggior quantità egli abbia di  quel che è d’ una neceffità realmente afiò-  luta per la vita ,e per lo lòftentamento de  Cittadini ; effendo colà , feoza fallo d’af-  v fai lungi dal vero il credere * c he i paefi  ricchi in Miniere fiano li piu graffi 9 e ab-  • bondevoli del Mondo , tutto dì facendoci  . la fperienza conolcere , che in quelle li ri-  chiegganoun numero aliai gradedi perlò-  ne , che occupato, in altro farebbero al pa-  drone di maggior vantaggio , e utile, Ma come vorrefle che s* incoraggifchino  mai quelli camperecci , o forefi applicati  ...alla coltura»   ù Per veriità non vorrei già che lori! pro-  - ponellèro perciò al dinanzi quanti Confu-  si * e Senatori , e Dittatori Romani , quan-  ti Re fi tratterò dall’ aratro , e dalla vanca , o lor fi mottrafle quanto quello me-  dierò fi fù feriale a tutti e comunale  Quand' era ciba il latte  Del pargoletto Mondo , e culla il bofeoi  imperocché con la filza di quelle , e altre  sì fatte ciancie di cui compongonfi da Rettorici le lor itlampite, non fi verrebbe di  vero altro a fare , che cantar a porri ; ed il  più delle fiate lor diverrebbomo ilpiace-  voli , e nojoli ; ma il miglior modo, che lì   può  in quefto da uom tenetegli nonè-amio  credere, che prometterli , e ridurli in speranza d’una buona raccolta 9 e foccorregli,  ed aiutarli quando abbi fogna. Venendo al fecondo mezzo, eh 'abbiamo per  i (labi 1 ir quefto commercio interiore, ch’è la  libertà, (piegatemi quefta in che confitta.   M. Quefta , che è aftai più neceftària della  medefima protezione , potendo la fola for-  za del commercio efler in luogo di quella,  non confitte che in una certa facoltà data a’  Cittadini da poter cambiare e permutar  il foperfluo per quel che lor abbi fogna ? e *  trafportarlo da un luogo in un altro, onde  ella per verità accoppiar fi deve sempre  mai congiungere con la facilità , ed agevolezza degli tralporti , e de 5 viaggi , dipen-  denti del tutto dalle vie, dalli canali, e dalle  riviere; comecché con quefto vocabolo di  libertà , che malamente prefo hà mille , e  mille fconcerEi recato nella Religione , e  • nello Stato, non intendo, che operar fi  debba a capriccio e contro il comun  vantaggio della focietà ,• ed imperniò re-  ftringer fi devefoltanto a quel che riguarda il trafporto di quello, che avanza non  men al padrone, che al luogo , da cui que-  fto vien fatto.   D» Senza dir nnl la della fedeltà , richieda in quefto commercio, avendone a fiufficien-  za favellato al dinanzi, palliate al commer-  cio efteriore , o maritimo .   M. Inquerto oltre quelle colè, che fi richiedono per lo ftabilimento del commer-  ciointeriore ad avvilo d’unlnglefè, fègui-  to dal Signor Mellon, da cui imprefi quan-  to or vi dico intorno quello particolare  egli è neceflàrio; I. L’aumento, o aggrandimento del novero degli abitanti y  II. La moltiplicazione de’ fondi del Com-  mercio. III. Il render queflo commercio  agevole , e neceflario , IV. L’ ingegnarli  che fia dell’ interefTè delle Nazioni nego-  ziar con noi ; Nel terzo egli reflringe non  meno il tra (porto de’ debiti, e de’ dritti  de’ Mercadanti , che le fpefè necefiàrie  ' * perii Doganieri , e i buoni regolamenti  intorno a’ cambj , e Tafficuranze marid-  me,che porte in ufo dagli Olandefi , 1 * an -  no oggi gl’ Inglesì diftefe fin alle per/òne  flefie , che vanno con le merci; e nel quar-  to e’ comprende tutti i tratatti di commer-  cio con le Nazioni. ZhPofto per vero,che l’aumento degli abitan-  ti fia cotanto neceflario e utile quanto voi  dite per un Stato , e per una Reppubblica,  colà credete che far fi debba per querto?   JM, I. Egli è necertàrio , che fi proteggano i  maritaggi con privi leggi , e foflìdj con cef-  fi a genitori di una numerofa prole, e con là  diligenza ufàta irr ben educare , ed allevar  gli orfanelli, ed i putti efjxjfii alla vétura IL  Convien (palleggiar i poveri iti guifà, che  non fi confumino nell’ozio, e nelle miferie,  e fìan perciò coftretti d’ abbandonar il lor  \ Paefe . III. Egli fi deve con tutta aggevo-  lezza ammetter i Ara ni eri IV. Abbi fogna  che s’ abbia ogni cura de’Camporecci , e  di quelli che firn muojono nelle Campa-  gne per le foverchie mitene . V. Egli ò  medieri proccurar di aggrandire quanto  fia poffibile f indufìria, e perfezzionar far-  ti , e i meftieri , poiché con ciò venendofi a  tenervi minor quantità di perfòne occupa*  . te , il di più fi guadagna . VL fi doverebbe  altresì trattare di non tenervi in quefio più  di quelli che vi fi richiegono ; comecché  non fiuebbe (bordi propofit© con una leg-  ge torre la facoltà a oiafcuno di difporre  ideila foa libertà al dinanzi , che non abbia  quella da poter difporre de’ (boi beni.   V. In molte oceafioni dunque fia per fàper  quelli che per travagliar fian buoni , fia  ; per lo fiabiiimento., o leva di nuove impo-  ne , fia per conoteere li differenti progref-  fi della moltiplicazione degli uomini , fia  per altra co fa sì fatta fon neceflàrie in un  Regno le numerazioni degli abitanti.   *M. Certifiìmo anzi alcuni ti fon ingegnati  fino di calcolare quanto un agricoltore , o  un artifla fi£ d’ utile allo flato,- vaglia il  w vero la colà ha molto del malagevole, e  . del difficile,* a ogni modo non vi difgraderà un modo in ciò ufàto dal Cavalier Peti   ; t.ti t , cheto ci propone Mellon,• come-  x che fèftfpr&'fia mólto più fpecolativo , che  o pratico ^imperocché fòppoflo, ch’egli ha   - per vero ; f. Che nella Scozia , è nell* In-  i» gh interra .non v’ abbiano che fèi milioni  c à? ahbitariti . If. Ch’ogni uno di quefti   fpenda 7; lfre fterline , che nel corfo d’un  fi anno 1 vengono a far 4*. milioni di Ipe/è ; e  xlfl, Che l’entrate de’territori non fia altro che otto tflilioni , e quelle delle Carri-   multiplicando li  milioni d-* utile per li 20. in cui fi ri»   • ftringe tùtta la vita dell’ uomo ; e veden-  do:che con ciòd venga a far la fommadi  480. milioni , la quale divifà per li lèi mi-  lioni d* abitanti , per quotienfte fi rinvetica che abbia 80. lire (ieri ine, egli vuole  -- eflèr appunto quella la valuta di ciafeun di quegli 2 } -   $). Ma risguardo al trafporto delle merci  . maritime , porto che quelle fiano 1* avanzo  -di quel che abbi fogna iti un stato, volete  che permetter fì debba indiftintamente ,  r e lènza dirtinzione?   M. Per altro giufta la libertà generale del Commercio permetter fidoverebbe qua-  lunche reciproco tralporto ; imperocché in una cotal guilà quelche in una merce li  perderebbe da una Nazione, fi guadagna-  rcele nell’altra,* ma uòpo làrebbe ch’in ciò   f concorrere, e girte dj concerto tutta l’Euro,  pa ; colà che per li grandi , e lèmmi pre-  giudizi di cui ella abbonda è preflo che im-  ponìbile , non che malagevole; quindi li vede, che molte nazioni per particolari interelfì v’abbian una infinità di termini,  e di rellrizioni intramelfe. Ma non làrebbe egli un un maggior vantaggio j e utile per noi , che gl’altri venif-  fero da noi anzi , che noi ne gifiìmo ad ef-   - - ? . Ditèoveritimi il voftro fèntimento intor-  Xlir. no la guerra ?* 2kf. Così noi domandiamo quello Stato di  una Reppubblica mediante cui , ella ob-  bliga un’ altra a lòmminilìrarle quanto  'brama .  R* ella per dritto Naturale permeila ? Senza fai lo -imperocché le Reppubbliche,  conforme noi dicemmo efiendo alla guilà  di tante perlòne nello fiato della NATURA;  v e dovendo ogni uomo a tutto poter icàn-  zàr che che di male gli può mai per colpa  altrui intraveni re, con adoperare in ciò tut-  ti mezzi poffibih del Mondo , egli è di  ragióne, che l’una badi al rifàreimento  del danno, ricevuto dall* altra , e tratti  con mezzi conyenieriti r ed anche con la  • forza , dove tutto manca , ripararvi. Che cosà è pace? Egli è quello flato di uno Reppubblica i  ' eh’ è ben ficuro, e libero dalla violenza, e dalla forza de stranieri. A noftro avvilo dunque nello flato Naturale , in cui fi conliderano le Reppubbliche, eflendo peravventura permeilo d’ufar  la forza , o violenza contro la forza , o  violenza , fòltanto dove non vi fiano degli altri rimedj , la guerra reputar non  fi deve , che come uno eflremo remedio ,  a cui non bifogna venir giammai, fé non in   *;• calò dilperato , e dopo aver tentato tutti gli altri i II perchè ebbe tutta la ragione  Livio di aderire che : jujìum bellum , qui- *  bui necejjarium , # pia arma, quibui nulla , nijiin armi 1 relwquitur fpei .   M. Per verità da Iperienza maeftra di tutte  le colè, da tutto di adimprendere, comecchè lènza alcun profitto de’ Regnanti , che  fia lèmpre vieppiù il danno * ed il dilèapi*  toy che recanò le guerre, che l’utile. Quindi quelli metter dovendo, tutto lo   - Audio , e la cura in promuovere in qua-  hmque modo la falvezza , e il bene della Reppubblica, egli conviene, che in un  fido, calò fi portino a guerreggiare; cioè,  quando lùpera di Iunghifllmo spazio, e   . lènza comparagione eccede la speranza del guadagno il timor del danno , per valermi del detto d’OTTAVIANO e dopo adoperati tutti gli altri mezzi pofiibili ; come  a dire dopo , che perii Legati fi è di già   - ammonita la parte contraria ± e nemica a  lafciar 1* offefà , ed a rifar il danno, parte  con la dolcezza , e parte con l’afprezza; ovvero dopo averle recato qualche danno  uguale al di già (offerto , ed ufàto delle  fcorrerie , o finalmente dopo proccurato  terminar le controverfie mediante gl’arbitri,' o altra colà di tal fatto ; il perchè  da quefto fi comprende quelche ad uom  mai vien permeffo di far nella guerra, rioè  tutto quello lènza cui il nemico coftringer  non fi varrebbe, e obbligare in modo alcuno a quelche fi vuole , nè polliamo un-  que per l’avvenire viver ficuri, ch’egli  le ne rattenga ; poicchè nello fiato Naturale , come a voi è ben noto fèrvir ci pol-  liamo di tutti li mezzi , che fi poflono mai  avere per riparar al male , che è per avvenirci, e frenar colui , che n’è l’autore, fìcchè non damo certi, che non ci danneggi in avvenire ; e perchè le guerre, q  fon offensive, o difenfive; diciam noi guerre offertfive , quelle che fi fanno per riparar il danno , che fi può mai avere ; e difensive, al rincontro nomeniam quelle, che mai fi fanno per eflèr rifatti di quel  danno, che fi è di già avuto , o per Schi-  far quello , che altri tratta d* apportarci;  non meno nell* une , che nell’ altre dove fi vengono a terminare , fi deve totalmente alla parte offèlà rifarete tutto il  danno , eh’ ella ha /offerto , e darle mal-  ievaria , e ficurtà di non danneggiarla mai  più inappreffò, con fòmminiftrarle parimente tutte le fpelè, che nella guerra ella  ha fatto, pur che egli fia colà ageyole a noi  e non imponìbile a farlo; del refto , eh*  ogni Regnante nello fiato della Natura  fia tenuto dar fòccorfò , ed ajuto all’ altro  invaiò ingiuftamente, ed affali to, e che  non fi rinviene in fiato di poter difenderli ,  egli non lèmbrerà affatto Arano a chi che è  ben perfuafo dell’ obbligagione , e del dover degl’uomini di lòccorrerfi a vicenda.  Quanti e quali fono li modi propri per acquistar un Impero?  Due: l’elezzione, e la successìone, giuda dalli medesimi nostri principi si deduce ;  non potendofi da niuno aver in altro modo  il governo nelle mani , le non mediante il  confenlò ffeffo di coloro, che governa, e  ciò che quelli anno una volta flabilito; comecché per verità fi poffà altresì ottenere con l’armi, e per conquida ma di  quello ultimo modo non abbiamo colà di   ririmarco da dinotare per aJ prefente; fé non  che cotali Regni dipendano del tutto dal  capriccio, e dalla volontà di colui, che li conquida. Che intendete per elezzione?   M \ Un certo particolare, e lòlendo atto ,  mediante il quale, o tutto il popolo, o  foltanto una parte , cui quello concede il  dritto , e la podeftà di eleggere, conferì  fce il governo di una Reppubblica a chi  più gli piace. Quando l’mpero è successivo? Ogni volta che li conferì perawentura  a una famiglia, con patto e condizione,  che si elegga sèmpre mai qualch’unodi  quella per lo fuo governo. Il perchè egli  può in quello cafo avvenire, che lì fii di già  {labbilito, e determinato altresì chi fi debba di quella all’altro anteporre ; cioè per  esemplo, cheli primogeniti fiano preferiti fèmpre mai V secondi , e quelli alle femine, o che in altro modo venghi la succeflìon determinata; ovvero eh’ e concedo  fi fu con facoltà di difporne a lùa voglia in  ' teflamer.to , e fuora ; comecché vi fìa risguardo a quello nella Germania altresì  r ufo de’ patti fòccefiorj tra alcune famiglie de’principi, e Signori; come adi-  f- ilefò oflèrvar polliate da voi , dove vi  piaccia negli Scrittori del gius pubblico y  , (x) (ebbene per quelche,(èmbra non (è ne  rinvenca etemplo dinanzi all* Imperador  Ridolfo. Egli è il vero, che non meno  quelli , che entrano nel Regno per fuccef-  (ìone , che quegli che 1* ottengono mediante l’elezzione cofiumano di ferii coronare ; ma ciò non effondo in fatti , che  una congerie di più atti (blenni- per v cui  non già fi accrefce , in qualche modo , o  fi aumenta la. podeftà de 9 Regnanti , ma fi  viene foltanto a rifiabilire , e confermar quella , che di già anno , ed a render la   lor perfona nota a tutti , e palefo come quello , che non è fondato , che in  un’usanza , non merita la noftra attenzione. Avendo i Regnanti una (bmrna  obbligagione di riempiere gli animi de  loro fodditi delle vere mafiime di Religione ; il governo del loro Stato rifguardo a queflo particolare credete voi che in  effetto appartenga ad efii? L’ obbligagione de’ Regnanti rifpettoa  ciò non è altro , che trattar d 9 introdurre e proteggere a tutto potere nel lor stato  -n la vera religione, con dar a coloro, cui   lpetta largo campo da poterla efercitarej  e delle sue fonte ma/iime riempierne gli  animi de’ lor fodditi ; appunto come per  far che quelli foddisfino al dover , che la  natura lo rimpone di confervar la lor folute,  e trattar, dove avviene, che peravventura  incorrono in qualche malore di riffabilirfi,  non fon miga tenuti farla da’medicanti, ma  far foltanto che nel lor Regno vi fieno de-  gli ben efperti, e pratici in quello meftiere , o quandoabbifogniano non manchino;  imperocché lo Ipii ito della Religione , e la  politica temporale d’un stato eiìendo infra  se cofe molto diverte , e differenti ; trat-  tando il primo di ftabilire, e mantener tra  gli uomini un ordine perfetto , e una pace solida e ben ferma, ch’e’fia effètto  d’ una unione de’cuori e di un vero amore dell’unico e soverano bene eh’ e’dio, mediante un gran difprezzo, e diftacca-  mento dall’amore de’ beni temporali , di  cui non nè permette, che un ufo d’ affai  fòbrio , e parco , e il fecondo non ri /guardando altro , che l’efleriore degl’uomini  a fin di mantener la pace e la tranquillità pubblica ; ed imperò fòddisfar non potendofi da una fleflà pedona, inùnffeffò  tempo agli ebbi jghi, o doveri, o uffizi d’un principe spirituale e temporale, egli eoo viene di neceflìtà,che si dividino a due differenti persone, e fi cofiituifohìno , e formino due diverse potenze, comecché quelle amenrìue tenute effondo totalmente di congiungere, ed unir  gl’uomini nel culto del divino, e nell’osservanza di tutti gli obblighi e doveri, che  insegna lor la religione, e riguardando perciò quaficchè un medefinio fine, non  poflòn effor tra se giammai di vifo, e l’una contraria in modo alcuno all’altra, salvo che per la disunione e discordia di coloro che l’eforcitano e bramano dar all’una un’eftenfione su dell’altra che in  guisà alcuna non può competerle. Quindi conforme quegli che sono proposti al  Ministiero spirituale, sono in obbligo d’ispirar a tutti gl’uomini ed infognar loro il  dover dell’ubbedienza alle potenze temporali, e l’osservanza delle leggi e degl’ordini de lor regnanti; così altresì  coloro, cui Dio ha fidato e commesso il  governo temporale d’un fiato, fon tenuti  d’ ordinar a tutti lor fodditi l’ ubbedienza alle potenze spirituali e coftringergli  agli obblighi , e doveri, che porta foco  una tal ubbedienza in tutto quelch’e può  mai dipendere dall’ufo della propria potenza j ciò che comprende il dritto di proteggere, difendere , e far mettere elocuzione alle leggi della chiefa; punir e  castigar chi che opera in contrario, e cerca  iturbar l’ordine efieriore, con far altresì  delle leggi per quello effetto, quando  mai v’abbifògnano. Vivon tutti ben persùasi e certi di quella verità? Venendoci ella altresì nel vangelo fpre£  famer.te infegnata  non fi legge giamai  da’ cattolici messa in questione. A ogni  modo i filosofi del dritto pubblico infetti il più ed ammorbati di Refia , e ripieni di falle mafiìme, oppofle, e contrarie  non meno alla rtoftra santa religione, che  alla buona ragione  trattano comunalmente a tutto potere di pervaderci il contrario. Ma su quali pruove , e ragioni fondano il lor discorso?  Secondo dicono con farli altrimente egli fi viene a sostener una divisione ed  unfcifhla continuo nello stato e nel regno, essendo molto malagevole e difficile che due potenze diverse operino concordemente in tutto , e l’una non s’ingelofifca punto dell’altra e venga a diffidenza. Nello fiato NATURALE tutto ciò  effondo fiato proprio de’ padri di famiglia,  instituite che furono le sòcietà civili, passa  a’ capi di quelle , cioè a 9 regnanti. Ili,   rr  Essendo il principal dover di quelli proccurar in tutto di mantenere la pubblica  quiete della società e niuna cosà valendo cotanto qùefta a disminuire quanto le controversie, eh avvengono intorno la religione, egli si deve per questo tutto ciò che  rilguarda questo punt , confìderar altresì  come proprio di elfi loro. Ma di quelli  e d’altri sì fatti folleggiamenti, non si deve da chi che pensa far conto alcuno. Imperocché per rispondervi con confonanza. Dove a ognuna di quelle potenza gli lì  dà quell’eftenzione che gli conviene PER NATURA, e viene in quel modo che noi  detto abbiamo esèrcitata , non v’ha niun  feifma da temerli in un stato o regno. Sebben egli fia vero, che ne’ primi  tempi 1’elercizj della religione, non si faceano che da capi di famiglia, perché quefio fàcevasi per una pura necelfità , non efièndovi allor altro da cui efèrcitar si potefiero, non ne possiam noi, che siamo in un altro stato inferirne niuna cosà di buono,  in guisa che quantunque e’ Aggiungano  di vantaggio che da quelli pafiàti fodero nell’ instituzione delle società civili a’ regnanti, ciò come colà che non è da altro  sostenuta che da conghietture non deve far in noi niuna impresone. Imperocché  dalla lezzione della storia egli s’imprende al contrario che tutte le nazioni del mondo , e tutti i popoli della terra salvo  alcuni pochi che non fi vaifero della religione, che per frenar la plebe e per teziar la lor ambizione, ebbero due potenze diverte , l’una per lo buon regolamento di quelle cose, che a questa apparteneano , e l’altra per lo buon governo di quelle che riguardavano teltanto l’ellerior  della lor tecietà. E III. Finalmente avvegnaché i diflui bi , e le rivolte molte in  alcun regno tetto pretefio di religione  siano fiate le più perniciofe del Mondo ; a  ogni modo , come la fipria lo c’integna ,  la caute , e il motivo principale di quelle,  non fu , che l’ambizione , e le pafiìoni de’cittadini; Chi averebbe mai teguito nella Germania, per parlar de’tempi a noi  più profiìmi, l’anfanie di LUTERO e la sua  malvaggia ‘dottrina’, se pur ella è meritevole di un cotal nome , te buona parte della plebaglia dal guadagno e dal buttino ed alcuni principi dall’odio eh’ e portavno alla casa d’Austria, non vi fofier tratti,  ovvero dalla libertà di coteienza e dalla  lascivia rifpinti? Ma egli mi tembra aver  di già trateorte te non tutto, almanco il più  importante di quel, che ci propofòmo da  trattare , il perchè non essendo più ora da  favellarne , riterbaremo il tettante ad un’altra più agiata opportunità. EMINENTISSIMO SIGNORE.  f   G T ?^^TV M TP a ? re in ^ tede.   nfìima Citta, fupplicando efpone a Voftra Emi-  nenza, come dentiera lampare un libro eh’ ha n* r titolo: De principj J e l Dritto ^aiutale di Giano.’u-  leppe Origlia, P. j e perciò fupplica cornar  terne la nvdione , e l’averà a grazia, ut Deus &c  Reverendiis Dominiti D.Januarius Verelius e ri'  C.thfaUs Vicari, C.ra,T“lcfrt  refirT{ COea ,t EX ‘ ,m ‘" a ‘ ar Siedali, rcvidear, £   7 ... Dat x l ; m , Napoli J DepZ. NlCO aUS 7 ° rntts E W C - ^chadiopof: Canon. EMINENTISSIME PRINCEPS.  0 P xr ’ qU ? d inCcrlb ^ur , Trinchi del Dritta   di quod^fideì^ ’ at f ente ..! e §i > nihijque in eo expen-  q od ndei , vel moribus adverletur Ano a  typis volgari polTe cenfeo . a£IVerIetUr • de re   £ J^tum Napoli fe c£iZ" m &££.   Napoli Deput. 1 TornttS fy’fc- drchadiopol. Canon. S.R.M. Sa Ra Ma Giovanni di Simone Stampatore supplicando umilmente efpone a V. M» , come defidera (lam-  pare un libro intitolato: De * Principi ilei Dritto Na-  turate, Trattenimenti JV. di Giangiufeppe Origlia,  Panlino; Ricorre per tanto da V.M. e la (applica de-  gnarli concedergliene la licenza , e Pavera a grazia,  ut Deus etc.  Vtriufque Jurìs DoBnr Jofephus Cyrillo in hac Regia Sttùlorum Vniverfìta/e rrofejjor revide at 9 é*.  jn fcriptis referat. Napoli C. GALIANUS ARCHIEP. THESSAL. ILLUSTRISSIMO SIGNORE. NeI saggio di D Giangiufeppe Origlia De’prìncipi del Dritto NATURALE; non è cosa, che offenda i  diritti del Rs,o’l buono e cìvil coftume: anzi riluce  in esso la pietà non meno che l’ingegno del dotto autore; onde stimo che si possa pubblicar colle  stampe se altrimenti non istima V. S. 111 e Rever  e le bacio col debito ofl’equio le mani . Di Casali Degnifis. ed Obbhgatifs. Servidore Giuseppe Pasquale Cirillo, Napoli. Viso regali refcripto fub die ?o. proximi elapfi  menfì ac approbatione fatta ordine  S.R^M.de commijjìone Reverendi Re gii Cappellani Afa -  joris a magnìfico V.J. D. D.JoJepho Pafcbali Cyrillo.   Pepali! Camera Santta Clara providet , decerni t ,  ntque mandat , qund imprimatur cum infertafor -  ma prafentis fupplicis libelli , ópou,   V. not. not. N.   e per via e’ per, ETXEIPIATÒR, * 4 p. ETXEIPIAION   Non che imaginano non è che,   ìfcorger , pag. 161. ricorrer,   e. netto , pag. 162. inetto, li pefi li pefci e doloro ibid. elfo loro azzioni azioni metter liin metterli in;   da Giureconfulti de dal del cónvengha convenga,   didelfo diftefo ,   delle morali, pao. della buona morale,  fia fia ,  obbligo obbligo ,  dimenticàffero dimenticaflsro fi  fi ,   quel che noi diciamo ma fol quando nói   tex: ur ° a, ™ n °   Deo Dio obìgat , ilici, oblìgAt, quid erìt de exit de,   Confifterla confifter la prima , t   ed un altro ad un piantai giammai. fi (labili fi flabill .   di altri da imparaccio Imbarazzo foprabondanti foprabbondanti, oltre modo altro modo flato d’ occafione è flato, paragonandole quelle  a quelle venga  venga in una in una focietà in una focietà Lattanzio che fi Lattanzio fi ammonifcha , ammonifea in nulla ad offender ,nulla offendere Qualiier mulìer mulier liiber mulier liberi   dos dicit di ci tur,   leggi contrarie fontuarie per veruta verità. Tempre mai congiungere e congiungere „  avende avendo, dilcoprj difeopri Non abbiam notato qui , che gli errori li pit\ essenziall e Cll m aooìrkr rim *% a 1. come  doppi   punti etc. non polli dove lì doveano, lì fpera che  ilmrttfe leggitore non averi difficultà di plrdo- [AVVISO  DELLO STAMPATORE al lettore.  l’autore oltre molte altre varie, e diverse opere, eh’ ha intendimento di dar al  pubblico di vario, e diverte genere di letteratura , e tra l’ altre una, eh’ ha per titolo: Jurii Canonici ac civilis praleBiones criticai  in duóbtti voluminibus congejìa; incorni nce-  rà ora l’edizione d’un altra intitolata: Varti, e mejlieri deferitti, con ogni efattezM  tofpbile, e ridotti a lor veri e proprj  principi. Opera utilissìma  per coloro che bramano coltivare la teienza dell’ arti ed averne di tutte una qualche  cognizione. il collo diciateun Tomo, che conterrà de’ Rami, per l’afiociati farà di carlini  7 e per gl’ altri di. Giovanni Giuseppe Origilia Paolino. A. Paolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Paolino.

 

Grice e Papi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di Milano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste, Friuli-Venezia Giuli. Grice: “Papi’s ‘parola incantata’ is ambiguous, as ‘charmed word’ is, “Apriti Sesamo” is Two words, and they charm, they are not charmed! “Abracadabra” may be different!” -- essential Italian philosopher.  Studia a Milano e Stresa. Insegna a Pavia. Politicamente attivo nella corrente lombardiana del partito socialista italianoI, segue un percorso che lo ve varcare le porte del Parlamento ed assumere la vice-direzione e poi la direzione dell'Avanti! Sospettando un aumento del tenore affaristico nella politica così come lui stesso dichiara in un'intervista abbandona bruscamente la filosofia e si dedica alla filosofia. Fonda “Oltrecorrente”. Saggi: “Filosofie e società. Marx risponde a Veca, prende le distanze da Engels e rende omaggio a Papi.  E’ questa un delitto clamoroso che tenne le cronache dell’epoca deste anche per lo spessore di chi lo compì: Francesco Starace assassino evasore e falsario. Cugino del gerarca fascista Achille Starace. l’ing. Giovanni Castelli, di Busto Arsizio, industriale in maglieria, vedovo e padre di un bambino, si recò a Milano. Ma la notte non rincasò. Il giorno successivo giunge ai familiari un telegramma nel quale il Castelli li informava che andava a Bologna per affari. Il telegramma era firmato Giovanni, mentre per solito il Castelli si sottoscriveva Gianni. Questo particolare e la mancanza di altre notizie indussero il padre del Castelli a recarsi a Milano per rivolgersi alla polizia. Venne accertato che il telegramma era falso. Del Castelli nessuna traccia. Il 9 febbraio Maria Mazzocchi, (1), venne mandata dal suo convivente Francesco Starace (2) a ritirate un ombrello che aveva dimenticato al Miralago, la Venezia dei Milanesi, in via Ronchi 24. Il custode la fece entrare, considerato che l’inverno il Miralago era chiuso al pubblico. La Mazzocchi recatasi nel locale indicatole dallo Starace trovò il corpo di un uomo morto riverso sul pavimento: era il Castelli. Aperta l’inchiesta e identificata la vittima emerse che la stessa era conosciuta agli Starace perchè frequentava il Miralago.   La pubblicità del Miralago in piazzale Loreto, all’inizio di via Porpora  Ma non solo. Francesco Starace e Giovanni Castelli si frequentavano perchè avevano un’amicizia in comune: Biasin. Starace aveva avuto rapporti con lei ancora sedicenne e il Castelli la concupì in un boschetto del Miralago: Lidia li aveva fatti incontrare perché entrambi, all’epoca, erano nel ramo maglieria. Lo Starace, ormai fallito, doveva 12.000 lire al Castelli. Nelle more dell’inchiesta – secondo la ricostruzione fattane dallo Starace – lo stesso avrebbe invitato il Castelli al Miralago per ricordargli le sue condotte nei confronti della Biasin e che per questo doveva pagare. La ricattatoria pretesa degenerò in una colluttazione che ebbe come suggello l’esplosione di due colpi di pistola sparati dallo Starace contro il Castelli. Caso volle che alla scena iniziale assistette il garzone di un lattaio che indicò di avere udito anche degli spari. L’arma era in dotazione in un cassetto del locale ristorante. Ma oltre ad essere accusato di omicidio lo Starace derubò la vittima del portafogli, dell’anello, di una penna stilografica in oro tanto che nè il denaro – il Castelli doveva avere con sé almeno 10.000 lire – nè gli oggetti di valore furono mai trovati. Da subito lo Starace sostenne che la sottrazione di tali oggetti era stata fatta per creare l’apparenza di una rapina ciò non di meno fu accusato di rapina In Assise i legali di Francesco Starace cercarono di ottenere l’infermità mentale dell’assistito con l’aiuto di tre dottori: il dott. Moretti Foggia aveva avuto in cura un fratello dello Starace per paralisi infantile; il prof. Medea ebbe in cura uno zio dell’imputato affetto da una grave forma di deperimento nervoso; il prof. Pini curava una zia dell’accusato affetta da psicosi malinconica. Nessuno degli avvocati della difesa, stranamente, parlò del più noto dei parenti dell’inquisito: quell’Achille Starace ormai caduto in disgrazia anche agli occhi di MUSSOLINI. La Corte respinse le tesi dei luminari volta a sostenere una certa propensione patologica nella stirpe dello Starace e inflisse all’imputato 30 anni di carcere. Inviato a Roma per espiare la pena lo Starace offrì la sua collaborazione ai tedeschi e riuscì a ottenere la libertà. In carcere era entrato in contatto con alcuni falsari. Ricercato perché aveva intrapreso la remunerativa attività in Riviera venne arrestato a Milano per essere tradotto a Genova. Ma mentre veniva condotto a Genova ammorbidì la sorveglianza di uno dei custodi con un bel po’ di milioni, ritrovandosi di nuovo libero. Subito strinse relazioni con gente  che riuscì a spacciare circa 8 milioni di AM-lire, in biglietti da 1000, nonché carte annonarie italiane e svizzere, clichés per la stampa di biglietti da 100 lire.  Il nuovo Corriere della Sera titolava a pag. 2   Era la prima volta che il giornale faceva esplicito riferimento a una consanguineità tra Francesco Starace e Achille Starace. Addirittura si dilungò oltre a indicare che nella stamperia erano stato trovato materiale copioso tra   Nel 1949 allo Starace fu inflitta una pena di 22 anni, per l’attività di falsario. Ma tale condanna non ebbe effetto poiché, in sede di esecuzione,  gli fu computata la pena più grave comminatagli per il delitto del Miralago.1) Maria Mazzocchi, separata, fu impiegata come cassiera da Francesco Starace, allora caposala del Motta di piazza Duomo. A seguito del verificarsi di frequenti ammanchi di cassa, dei quali fu sospettato lo Starace, furono entrambi licenziati. 2) Francesco Starace, nato nel 1906 a Napoli, ex caposala del Motta di piazza Duomo, e figlio di Germano Starace gestore del Miralago. Separato. Dopo essere stato licenziato dalla Motta il padre gli aprì una bottiglieria ma abbandonò il negozio per impiantare un’industria di maglieria.  “La parola incantata”. Fulvio Papi. Papi. Keywords: il fascismo, il veintennio fascismo, filosofi fascisti, enciclopedia di filosofia, filosofia e societa, la scuola di Milano, fascismo, Giordano Bruno, fRefs.: Luigi Speranza, “Grice e Papi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Papirio: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Garden, and friend of CICERONE’s. CICERONE writes a letter to him in which he rebukes P. for ‘his use of obscenities’. Grice: “In my vernacular: ‘Fuck, you do swear, man!’! --  Papirio Peto.

 

Grice e Pareyson: implicatura conversazionale – implicare, impiegare, ed interpretare – liberalismo, risorgimento, fascismo – la scuola di Piasco -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piasco). Filosofo italiano. Piasco, Cuneo, Piemonte. Linceo. Nato da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laurea a Torino con una tesi dal titolo “Esistenza” – su Jaspers, che poi venne pubblicata all'editore Loffredo di Napoli. Compe spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere personalmente Maritain, Jaspers eHeidegger. Si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Gentile. Allievo di  Solari e Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Cavour di Torino e al liceo di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza italiana, tra i quali Revelli e Vivanti. Fu arrestato per alcuni giorni, in seguito agì egli stesso nella Resistenza, insieme con Bobbio, Ferrero, Galimberti e Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli.  Nel dopoguerra insegnò al Gioberti e in vari atenei tra cui Pavia e Torino dove, conseguito l'ordinariato. Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Stefanini che la fondò  a Padova. Ha molti allievi, fra cui Eco, Vattimo,  Tomatis, Perniola, Givone, Riconda, Marconi, Massimino, Ravera, Perone, Ciancio, Pagano, Magris e Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica e sindaco di Torino. Considerato tra i maggiori filosofi, assieme a Abbagnano fu tra i primi a far conoscere l'esistenzialismo, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Jaspers), in un quadro dominato dal neo-idealismo. Si dedica anche a dare una nuova interpretazione dell'idealismo  non più in chiave hegeliana (Fichte), individuando in Schelling un precursore a cui l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui L’'esistenzialismo anda ripreso in chiave ermeneutica. Considera la verità non un dato oggettivo ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiama la propria posizione personalismo ontologico. Si è dedicato anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a Kierkegaard e a Feuerbach, e che sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.  Il suo percorso filosofico ha attraversato principalmente tre fasi:  una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro; una seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere; l'ultima che si richiama a un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente attuale da essere persino post-heideggeriano, la cui interpretazione può essere innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling all'origine del suo pensiero. Rreinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità. Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità del male e della sofferenza. Il discorso sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, questo fa già parte di quella tragedia cosmo-te-andrica – cosmos, theios, aner -- che è la vicenda universale. Migliorini et al., Scheda sul lemma "P.", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, Per gli accenni biografici di questa sezione, si veda Vattimo, Dizionario Biografico degli Italiani, come anche la biografia presente in centrostu di pareyson. Regolo, A Torino Gadamer ricorda P., Repubblica, Cfr. Schelling, in «Grande antologia filosofica», Milano, Marzorati, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano. Offrì un'interpretazione del proprio percorso filosofico nell'iEsistenza e persona. Tomatis; “Escatologia della negazione” (Roma, Città Nuova. cit. in: Roselena Di Napoli, Il male – cf. Grice, “ill-will” --. Roma, Gregoriana, Tomatis. Altri saggi: “La filosofia dell'esistenza” (Napoli, Loffredo); “L’esistenzialismo” (Firenze, Sansoni); “Esistenza e persona” (Torino, Taylor); “L'estetica idealista del fascismo” (Torino, Filosofia); “Fichte, Torino, Edizioni di «Filosofia); “Estetica. Teoria della formatività, Torino, Filosofia); “Teoria dell'arte, Milano, Marzorati, I problemi dell'estetica, Milano, Marzorati); “Conversazioni di estetica, Milano, Mursia, Il pensiero etico” (Torino, Einaudi); “Verità e interpretazione, Milano, Mursia); “L'esperienza artistica, Milano, Marzorati,  Schelling, in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, La filosofia e il problema del male, in Annuario filosofico, Filosofia dell'interpretazione, Torino, Rosenberg); Kierkegaard e Pascal, Givone, Milano, Mursia); “Filosofia della libertà, Genova, Melangolo); Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi. Le "Opere complete" sono pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi P.", Mursia, Milano.  Interviste principali Se muore il Dio della filosofia, Sbailò, “Il Sabato”, anno Io, filosofo della libertà, Righetto, “Avvenire” Mario Perniola, "Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di Estetica, Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio sulla teoria dell'interpretazione di P., Milano, Vita e Pensiero, Francesco Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di P., Roma, Armando, Furnari, I sentieri della libertà. Milano, Guerini e associati, Chiara, L'iniziativa. Genova, il melangolo, Ciglia, Ermeneutica e libertà, Roma, Bulzoni Editore, Tomatis, Ontologia del male, Roma, Città Nuova Editrice, Ciancio, L’esistenzialismo, Milano, Mursia Editore, FTomatis,  pareysoniana, Torino, Trauben Edizioni, Les Cent du Millénaire, Aosta, Counseil régional de la Vallée d'Aoste & Musumeci Éditeur, Conti, La verità nell'interpretazione. L'ontologia ermeneutica, Torino, Trauben Edizioni,  Pareyson. Vita, filosofia,, Brescia, Morcelliana,  Musaio, Interpretare la persona. Sollecitazioni. Brescia, Editrice La Scuola, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, Bubbio, Coda, L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione, Roma, Città Nuova Editrice, Bartoli, Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione, Roma, Nuova Cultura, Giudice, "Verità e interpretazione,” Atti dell'Accademia peloritana dei Pericolanti, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere Dizionario di filosofia Centro studi filosofico-religiosi P. Pubblicazioni e  critica Centro studi filosofico-religiosi orino. vita e pensiero Gianmario Lucini, sito "filosofico.net". Luigi Pareyson. Pareyson. Keywords: implicare ed interpretare, “Liberalismo, risorgimento, fascismo” – la filosofia politica fascista, la morale fascista, Pareyson e Gentile, fascismo, I saggi anonimi di Pareyson, ‘Liberalismo, risorgimento, fascismo’ ----  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pareyson” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Parinetto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale ed alchimia – la bucca del culo – la scuola di Brescia -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Brescia, Lombardia. Grice: “Parinetto implicates, “Are witches women?” “Sono donne le streghe?” Grice: “The question may be rhetorical but it ain’t – since Italian allows for “lo strego,” and “lo stregone.”” Ha insegnato a Milano. Nella sua opera convergono tanto lo studio delle filosofie orientali (fu traduttore del Tao Te Ching di Lao Tzu) che influenze di pensatori sia classici, come (Eraclito, Nietzsche e Marx), sia contemporanei della filosofia occidentale, quali Deleuze e Guattari. È considerato uno degli interpreti eterodossi del marxismo. Particolarmente importanti sono state le sue analisi sulle persecuzioni dei movimenti ereticali e sulla stregoneria, nella cui repressione legge il tentativo di annichilimento di qualsiasi diversità sociale da parte del potere (non solo religioso ma anche economico e culturale). Ha contribuito, spesso, con queste sue analisi, alla comprensione dell'emarginazione di tutte le istanze sociali e culturali minoritarie, non solo del passato ma anche contemporanee. Altro tema centrale dell'opera è l'alchimia, intesa come sapere contrapposto alla scienza moderna e volto alla trasformazione dell'umano anziché del sociale. Ha anche una profonda cultura musicale, tanto da essere stato collaboratore di “L'Eco di Brescia” come recensionista. Fu anche collaboratore del periodico La Verità (organo della federazione bresciana del PCI).  È in via di costruzione, presso la biblioteca di Chiari, la Fondazione Parinetto, che raccoglie la sua vasta produzione. Saggi: “Alchimia e utopia, Pellicani” (Mimesis); “Corpo e rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, Faust e Marx, Pellicani” (Mimesis); “Gettare” (Mimesis); I Lumi e le streghe, Colibrì, “Marx: sulla religione, La nuova Italia, “ Il ritorno del diavolo” (Mimesis,” La rivolta del diavolo: Lutero, Müntzer e la rivolta dei contadini in Germania, Rusconi); “La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, “Magia e ragione” Nuova Italia,  Marx diverso perverso, Unicopli, Marx e Shylock, Unicopli, Né dio né capitale” (Contemporanea, “Nostra signora dialettica” Pellicani,  Processo e morte di Bruno: i documenti, con un saggio, Rusconi, Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, Sulla religione, Nuova Italia, Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei diversi, Rusconi. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita sovrasensibile. Dialogo tra un maestro e un discepolo, Mimesis, Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Dickinson, Dietro la porta,  liriche scelte, Rusconi, Eraclito, Fuoco non fuoco, tutti i frammenti,  Mimesis,  Rime sulla morte, Mimesis, Hegel e Hölderlin, Eleusis, carteggio, Mimesis); Il teatro della verità. Massoneria, Utopia, Verità, Mimesis, Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis,  La via in cammino: Tao Te Ching, La vita (Felice, Milano); Voltaire, Stupidità del cristianesimo, Stampa Alternativa, Vedi per esempio Una polemica sulle streghe in Italia, riferimenti in.  Vedi per esempio la recensione a I Lumi e le streghe  Vedi di Renzo Baldo  Cfr. Fondazione Micheletti Catalogo Emeroteca, su //musil.bs. Movimenti ereticali medievali Stregoneria. Biografia da Nicoletta poidimani  Biografia da zam, su zam. Una polemica sulle streghe in Italia --  nel sito della ARFISAssociazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia. Parinetto. Keywords: etymologia araba d’alchimia, processo e morte di Bruno, massoneria, eretico, alienazione, la bucca del culo, anale, analita, il falo, il pene, quando l’ano appare (da fece) – metafora – da fece in vece del falo, Bruno, de magia, trattati di magia, processi a Bruno, gl’antichi romani, I corpo e la revoluzione fascista – il veintennio fascista e l’analita -- Refs.: “Grice e Parinetto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Parisio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – la scuola di Figline Vegliaturo -- filosofia calabrese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Figline Vegliaturo). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Figline Vegliaturo, Cosenza, Calabria. Grice: “I like Parisio; he focused on rhetoric, as every philosopher should!” Come molti filosofi italiani senza titolo nobiliario, ha una vita errabonda. Dopo aver fatto un viaggio di studio a Corfù, ritorna in patria dove apre una scuola. Si trasfere a Napoli dove ottenne cariche e favori dal re Ferrandino. Risiede per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi a Milano dove sposa la figlia del filosofo CALCONDILA (si veda). Dopo aver abitato a Vicenza, Padova e Venezia, torna a Cosenza, dove fonda l'accademia. Recatosi a Roma, invitato da Leone X, vi insegna nell'accademia di Pomponio e nell'archiginnasio. Rimame a Roma fino alla morte di Leone X,  dopo di che ritorna definitivamente a Cosenza. Saggi: ORAZIO Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis; Acronis, Porphyrionis. Adiectæ sunt præterea doctissimæ Glareani adnotationes. Lugduni veneo: a Philippo Rhomano); ORAZIO FOmnia poemata cum ratione carminum, et argumentis vbique insertis, interpretibus Acrone, Porphyrione, Mancinello, necnon Iodoco Badio Ascensio viris eruditissimis. Scoliisque Politiani, M. Sabellici, Coelij Rhodigini, Pij, Criniti, Manutij, Bonfinis et Bononiensis nuper adiunctis. His nos præterea annotationes doctissimorum Thylesij, Robortelli, atque Glareani apprime vtiles addidimus; Sipontini libellus de metris odarum, Auctoris vita ex Crinito. Quæ omnia longe politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in lucem prodeunt; Index copiosissimus omnium vocabulorum, quæ in toto opere animaduersione digna visa sunt, Venezia: apud Bonelli, Claudianus, Claudianus De raptu Proserpinæ: omni cura ac diligentia nuper impressus: in quo multa: quae in aliis hactenus deerant: ad studiosorum utilitatem: addita sunt: opus me Hercle aureum: ac omnibus expetendum, Venezia: Lessona, Viani eRosso, Clausulae, CICERONE ex epistolis excerptae familiaribus: ac in sua genera miro ordine digestæ: plenae frugis: et ad perducendos ad elegantiam stili pueros vtillimae et recensuit et approbauit, Vicenza: per Mariam eius. F., VALERIO MASSIMO Priscorum exemplorum libri: diligenti castigatione emendati: aptissimisque figuris exculti: cum laudatis Oliverii ac Theophili commentariis: Barbari: Merulae: Sabellici: Rhegii: multorumque præterea novis observationibus: indiceque mirifico per ordinem literarum: ad inveniendas historias nuper excogitato: alteroque in usum grammaticorum ad vocabula rerumque cognitionem, Venezia,  Zanis de Portesio, Habes in hoc volumine lector optime divina Lactantii Firmiani opera nuper accuratissime castigata: græco integro adiuncto, eiusdem Epitome, carmen de Phœnice, Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Chry. de Eucha. quandam expositionem et in eandem materiam Lau. Vall. Sermonem habes Phi. adhorationem ad Theodo. Et adversus gentes TERTULIANO Apologeticum, Venezia: arte et impensis Tacuini fuit impressum,); “RHETORICÆ BREVIARIVM ab optimis utriusque linguæ auctoribus excerptum; Liber de rebus per epistolam quaesitis. Tetrastichon de hoc P. alijsque quibus poetas illustrauit libris., Adiuncta est Campani QVÆSTIO VIRGILIANA excudebat Stephanus, illustris viri Fuggeri typographus, Andreotti, Storia dei cosentini, Napoli, Marchese;Lepore, Per la biografia’ Biblion, Episcopo, Fondatore dell'Accademia a Cosenza, Pellegrini, A. Frugiuele, Dubbi ed ipotesi sui suoi natali, Il Letterato: rassegna di letteratura, arte, scuola fondata e diretta da Pellegrini, Accademia di Cosenza, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Indice. A quibus primumd C inventa RHETORICA et celebrata; qualis primu apud athenienses eloquentia e usus ac stadium; QVALE PRIMV APVD ROMANOS; quid sit rhetorica, quid inter rhetorica et Dialectice AnFSietoricaiitars, quod utilis sit rhetorica; sit 'nc ars necessaria; Quæ praeftarc oporteat rhetorica; Quales eifedel eant rhetoriesecan didati quæ fdre eos oporteat ti»it; quod sit officium rhetoricæ; quid inter  oficium dC finem; quis rhetoricæ finis; quæ materia; De civilib quad faonibus, SC earuhi generibius; De circunstanda quæ facithypOi» , the fim; De tribus generibus causar; partes RHETORICÆ qumqi; De inventione. Zo; Qufco trover fiaeno confidat zi 4z De constitutione zz»4 Quod sint costitutioncs, etquf; De statu comecdurah de datu definitivo, de datu generali, de datu translativo ex plurib conditutionibus quomcH do prmdpale quis inuemat quæ causa dmplexfit iuneda quæ con^ zp.do, de quæstione, ratione, indicatione et argumento, PARTES ORATIONIS; de genere deliberativo; genus demonsratiuunit; genus iudiciale. Figlio da Tommaso, giureconsulto e consigliere del senato napoletano, e Pellegrina Poerio. Ha come primo maestro Pedacio, che lo avvia alla conoscenza del latino. Si trasfere a Lecce, dove il padre e stato nominato governatore, e intraprese lo studio del greco sotto la guida diStiso. Si reca Corfù per frequentare la scuola di Mosco, dove perfeziona la conoscenza del greco. Rientrato a Cosenza, frequenta le lezioni di Acciarini. Ha certamente una formazione giuridica, sollecitata dal padre, di cui resta traccia nel VOCABOLARIO LEGALE, Napoli, Biblioteca, un elenco alfabetico di quesiti giuridici tratti dai giureconsulti romani antichi. Ma l’interesse per il diritto e le istituzioni politiche antiche deriva a P. anche dalla frequentazione di Pucci, allievo di Poliziano a Firenze, attivo a Napoli. Si trasfere a Napoli ma i suoi contatti con Pucci e con l’ambiente culturale napoletano risalivano a qualche anno prima. Invitato a tenere lezioni sulle “Silvae” di STAZIO (si veda) e nell’occasione pronuncia l’orazione “Ad patricios neapolitanos”, nella quale elogia Pontano. Alla frequentazione dell’ambiente pontaniano risale probabilmente l’adozione del nome latino. Nominato da Ferdinando I d’Aragona maestro di camera e ricopre incarichi nella cittadina calabrese di Taverna e a Lecce. E in rapporti di amicizia con Ferdinando II (Ferrandino), come evidenziano una lettera a lui indirizzata e l’epicedio in versi per la morte della madre, Ippolita Sforza. È probabile che segue Ferrandino nella fuga da Napoli occupata da Carlo VIII e poi nella riconquista del Regno. Dopo la morte di Ferrandino e la salita al trono di Federico I si trova coinvolto in intrighi di corte e prefere abbandonare Napoli per trasferirsi a Roma. Arrivato a Roma  segue le ultime lezioni di Leto e si lega ad Inghirami, che gli fa assegnare l’insegnamento di oratoria nello studio romano. In seguito all’uccisione di due suoi allievi, implicati nelle trame che accompagnarono il pontificato di Alessandro VI, decide di abbandonare Roma e di trasferirsi a Milano. Nella città lombarda trova alloggio e occupazione nella scuola di Minuziano. Collabora ad alcune edizioni date alle stampe da Minuziano e scrisse epigrammi contro due suoi avversari, Ferrari, docente di eloquenza nella scuola milanese, e il corso Nauta. Si trasfere presso Cotta, che gli da l’opportunità di aprire una scuola propria e che forma con lui un sodalizio editoriale. L’allontanamento da Minuziano provoca polemiche e scambi d’accuse, di cui danno testimonianza le tre orazioni di P.  in Alexandrum Minutianum. Sposa la figlia di CALCONDILA, che insegna greco a Milano. Sono allievi di P. a Milano, oltre a COTTA (si veda), anche il figlio di Demetrio, Teofilo CALCONDILA, Alciato, Giovio, che scrive su biografia nei suoi Elogia, e il figlio di Poncher, vescovo parigino all’epoca presidente del senato milanese. E grazie a Poncher che ottenne la cattedra di eloquenza lasciata vacante da Ferrari, fuggito da Milano dopo la caduta di Ludovico. La polemica con Minuziano, dopo una temporanea riconciliazione, si riaccese in un contesto politico meno favorevole a lui, in seguito alla sostituzione di Poncher con Charles. A quest’ultimo Minuziano dedica l’edizione di LIVIO data alle stampe,  per la quale P. accusa l’avversario di aver plagiato le proprie lezioni su questo autore. La polemica degenera in una campagna denigratoria nella quale Minuziano e affiancato da Ferrari, rientrato a Milano, Nauta e Panato da Lodi. Replica sotto lo pseudonimo di Furius Vallus Echinate in un opuscolo stampato a Legnano da Giacomo assieme con la ri-edizione del commento a Claudiano. Oggetto anche di un’aggressione fisica accetta l’offerta di Trissino, allievo di Calcondila e si trasfere a Vicenza. Pubblica numerosi saggi: il commento al De raptu Prosperpinæ di Claudiano; i carmi di Prudenzio e il Carmen Paschale di Sedulio, ambedue nella tipografia di Signere e con il contributo dei Cotta. Ancora presso Scinzenzeler e con una prefazione di Cotta, il “DE VIRIS ILLVSTRIBVS VRBIS ROMAÆ, una delle compilazioni tardo-antiche trasmesse sotto il nome di Aurelio Vittore, che attribue a Cornelio Nepote. -- Minuziano pubblica lo stesso testo fra le opere di SVETONIO -- il “Libellus de regionibus urbis Romæ, Scinzenzeler, una versione interpolata della Notitia regionum urbis Romæ, che attribusce a un inesistente Publio Vittore. Le iniziative editoriali sono accompagnate dalla ricerca di codici antichi. Nell’edizione di Sedulio dichiara di aver utilizzato un antico codice scoperto in un monastero. A un codice di P. fa riferimento  Calcondila nell’edizione di Valerio Massimo a Legnano da Giacomo con commenti dello stesso P. e di altri. Riusce a impadronirsi anche di alcuni dei manoscritti bobbiesi scoperti da Merula oggi nella Biblioteca nazionale di Napoli: i codici latini utilizzati per le edizioni di testi grammaticali di PROBO e altri autori pubblicate a Milano da Scinzenzeler e Vicenza  da Zeno, e il codice contenente l’“Ars grammatica” di CARISIO (si veda), pubblicata da Ciminio a Napoli per Sultzbach. Questi tre codici sono oggi custoditi nella Biblioteca di Napoli. L’attività editoriale prosegue a Vicenza, con la collaborazione della tipografia dei Ca’ Zeno. Pubblica una raccolta di CLAUSULE CICERONIANE tratte dalle familiari, un manuale di retorica e la citata raccolta grammaticale. Non fa in tempo a pubblicare il De rebus per epistolam quaesitis, una raccolta di notazioni filologiche in forma epistolare incominciata a Milano e a cui da forma editoriale a Vicenza. Il suo nome si legge anche nell’edizione di Lattanzio stampata a Venezia da Tacuino, ma non è chiaro se egli abbia realmente contributo a questa edizione. Le sue note all’Eneide (VIRGILIO) sono inclusi nell’edizione virgiliana stampata nel a Milano da Scinzenzeler.  Arrivato a Vicenza pronuncia Ad municipium Vicentinum, e tenne corsi. E ad Abano, per curare la podagra di cui soffre. In seguito alle vicende seguite alla sconfitta di Venezia ad Agnadello si trasfere dapprima a Padova e poi Venezia, ospite da Michiel. Vaglia la proposta di insegnamento offertagli dalla città di Lucca, ma qualche mese dopo prefere abbandonare Venezia per la Calabria, dove arriva dopo una sosta di alcuni mesi a Napoli, dove e accolto da Seripando e da altri sodali dell’Accademia Pontaniana. All’attività svolta a Cosenza viene fatta risalire quella che in seguito e denominata l’Accademia di Cosenza. Insegna ad Aiello, quale precettore dei figli del conte Siscari. Nella scuola di Taverna tenne corsi su Plauto e sui grammatici. E a Pietramala, dove apprese dal cognato Calcondila che Leone X gli assegna un incarico di insegnamento presso lo studio romano -- oltre a Calcondila, l’incarico e stato raccomandato al pontefice da Inghirami e Lascari.  Arrivato a Roma  tenne i corsi. Ottenne da Leone X la dispensa dall’insegnamento e una pensione. Progetta di trasferirsi a Napoli, grazie a un legato d’Aragona, ma le precarie condizioni di salute lo indussero a raggiungere Cosenza, dove muore. Oltre all’edizione carisiana di Ciminio, anche altri pubblicarono inediti di P.. Suo figlio da alle stampe a Napoli le lettere inviategli dal maestro, ma la stampa è attualmente irreperibile. Ne resta una copia manoscritta nel codice della Biblioteca dei girolamini di Napoli. Martirano pubblica a Napoli per Sultzbach il suo commento all’Ars poetica di ORAZIO. Il De rebus per epistolam quæsitis e pubblicato da Estienne, che nella prefazione lo presenta come il maggiore umanista della recente generazione, un giudizio ripetuto ancora da Sabbadini. Vennero date alle stampe anche le sue esegesi all’Eroides, a Venezia, per Tacuino, le Metamorfosi di Ovidio, e la Pro Milone di CICERONE. Lascia in eredità a Seripando l’ingente biblioteca. Essa conta fra codici e libri, molti con annotazioni dell’umanista. Seripando li lascia in eredità al fratello, il cardinale Girolamo. La biblioteca passa poi al convento napoletano di S. Giovanni in Carbonara, subendo perdite e dispersioni. Il nucleo più consistente è conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli. Parte degli inediti di P. -- lettere, orazioni, prolusioni -- sono stati pubblicato da Iannelli e Parco. Il De rebus per epistolam quæsitis, cur. Ferreri, Roma. Fonti e Bibl.: Iannelli, De vita et scriptis P. Commentarius, Napoli; Parco, Studio biografico-critico, Vasto; Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, passim; Parco, P. e Alciato, Archivio storico lombardo; Due orazioni nuziali inedite, Messina; Lepore, Per la biografia, Biblion; Ferrari, Le scoperte a Bobbio in Italia medievale e umanistica,  Manfredini, L’inventario della sua biblioteca,  Rendiconti dell’Accademia di Architettura, lettere e belle arti di Napoli; Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese, Manziana,  Lauletta, Un inedito: la Præfatio in Flaccum, in AION, Sezione filologico letteraria; Munzi, Prassi didattica e critica del testo in alcune prolusioni inedite, in Studi umanistici piceni, P., cur. Rosa et al., Napoli, P., cur. di Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, Paladini, Appunti su P. maestro, in Vichiana, P., cur. Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, Pattini, Preliminari per un’edizione del commento di P. alla Poetica di Orazio in Filologia e critica, L. Ferreri, L’influenza di Pucci nella sua formazione in Valla a Napoli, a cura di Santoro, Pisa. P. NEAPOLITANI VIRI CTISSIMI RHETORICÆ Compendium AQVIBVS PRIMVM ET IN  uenta RHETORICA celebrata Rhetorics toresyqta leges tulerunt, tllm pnmt creduntur  exercuifjeieaque duce feros animos essecisse patientes societatis, cœtus, Winc ex observatione, quum queere£ta, qu re ry non videbantur Marte etiam geni I  f  genitus populus, tansim defidice altricem rejpuebant et quia a Græcis petenda eratf  gre ferebant ah illis quicquam accipere : indignum putantes, quos armis rerunuy gloria uicif  fentydiqua tamen in re fateri superiores. Vnde fi  ^ui Uteros callebant Gracas, magna eas industria disimulabant, ne apud suos cives autoritate imminuerent. Paulatim tame utilis hone/ia^ apparuitt primus  L . Plocius G alius, fub ipfi U  Crafft extremis temporibus, eo ipfo die quo Vd  lenus Catullus natus est, docere eam LATINE cce pittad quem ingens concursus. Ægre ferebat CICERONE, non idem sibi liceret quod doSiifiimoru autoritate teneretur, qui extimarent, Græcis exercitationibus ali melius ingenia posse, LJtin  de Voltacilius, q Gn. Pompeiu docuit, primus  hbertinoru hisioria no nisi ab honestissiimis traftrfr/ folitam scribere aufus cfi, RHETORICA artem  professus eUitantuml brevi interieSio tempore  sumpsit incrementi, ut CICERONE iam finior, cum  Hircio et Pansa grandibus pr RHETORICA nulla pæcepu ab autonhus descripta funti vel quod nulla materia diRans ah humanis rebus excogitari poteB, qua in aliquo ex tri  hus generibus propria rhetorica aliqua falte ex  parte non cadati vel quia qua degena ali dicenda ent, ex propria praceptis facile mtelligi  pofpnt. Hanc igitur propriam ex sententia M.  Tullij breviter circuscripte definiamus- partem esse civilis scientia, id est POLITICA, civilis autem rationis una pars eR-, qua in opere fine tu- ^  multui altera-) qua in quastionibus hteque cofiftit cuius magna et ampla pars artificiosa ELOQUENTIA ayiT inter rhetoricam 8 dialecticam. E t quonia d^aleRica cognata putat LIZIO Syage si lubet qd inter se differat in  spictamus. Nofttm eR illud Zenonis, qui manu  prolata utriusque vim expressit. amba enim ad  unum fere eundemque; finem argumentationes reperiuntinec secum, sed ad alios agunt, sola ex  omnibus scientis, de contrariis ratiocinantur neu  tra determinata quapiam re, quomodo se habeat scientia eR: sed facultates quada funt invenien-  darurationU, hinc idm quaft hAet fubieSiu^^ut ^ft diiddisy neutr i perfeSie fcictU cfje  duum certum proprium fuhieShum mdlu ha\ he^leorjum. Sed tiwie D Ule6ticofitione longe ab illius diuersa, contenta eR, acciditq; dialectico, ut apparenti syllogijrno uti nequeat: fit enim fiam ed  uillator, si eum prudens elegerit. At oratori tam  eo quod eR, quam quod apparet, uti permtssum eC: dum tamen per juadeat, ad quodunum omnis  nititur ARS ORATORIA, AN RHETORICA SIT ars  E St alia inter eruditos cotroversia, fu  ne ars rhetorica: fuosi habet quceque fin tetia acerrimos defensores, tantis animis non nulli ex artiu numero eam explodunt, ut ne coid  tijs quidem scriptis in eam calumniis temperd rinttillis maxime nisi argumentis, quodars reru  fit qiue friuntur, rhetorica opinionibus conflet  no scientia tnec cognitis penitus perfjpeCtis rebus, et nunqfallentibus, ad unum finem fj eCia  tibus cotineatur, ut nec semper veris agatidua semper sint cause ut necesse sit altera falsum tu  A 5 ni  tO rri.Addm et illud, ob umadt Siiomsgenerdad  mdgire popularem sensum iccomoitnda, nui  Um irteefje poffe,At^id po Rremo ohijdut,ca  put totius rhetoricae e^e dicere: quod ipsum arte  tradi non poteh, Ad c^uae singula ne articuktim  occurramus, in causa nobis e Quintilianus, qui  libro secundo omnes sententias confutando, eo  rem deduxit, ut artem esse  crate usurpatum: Qjw in re clarus quif^ efi, ht ea fe exerceat, diei partem illi plurimam im-^  fy pendat, utipfefe fuperk. G audeat, fi ad doShrinam provocetur: nec turpe putet docere alios, id  quod ipsis fuerit difeere hone iijiimum, meminerit  tit tmcn virginem esse inuSim eloquentUmj  nec turpi lucdlo proflituendam, tuncque laborum eloqucntt juormfruEtum fat rm um capere Je fiat, quum occasionem adipifcitur publicandi qu. rit, non doceat: nec ingenia melius ahjs uacatuta, detineat atque obruat. quibus deliramentis   plenos ij»n tunc esse grammaticorum cemmentarioi tO tortos, conquerebamur Seneca et Quimilianus,  Exerceat postremo difcetes, inflet, molejius fit  potejlatemque adipipendce rhetoricte non minus  in di fcemium, quam docentium dm^entiojoliett  datconfijiere,  aVALES ESSE DEBEANT  Rhetori cf candidad. A Ge nunc uici im, quales efje debeant  Rhetoricit candidati, inf^iciamus neque enim ex omni ligno fit Mercurius. Mali nihil m  ea proficienucum quia mens uitijs occupata, pid  cherrimi operis jiudio vacare non potefh tum  quia omnem malum, /lultum esse oportet, Mti  autem iudicio carent et confiiiotquibus maxime nititur ars rhetorica, nam ut caterarum rerum, sic etiam ELOQUENTIÆ FVNDAMENTVM [cf. G. N. Leech on H. P. Grice, IMPLICATURE AS CONVERSATIONAL RHETORIC] efi fa-  pentia, Sit liberaliter inftitutus, bonis corvoris ap  tbryne, prime ornatus i?hry nem meretricem Athenienses prudentissimi eloquetissimique, no tam Kyperi  dis oratione, qiMnqud admirabili, petfuap, quam  uifo eius peSiore (quod speciofiflmum, diauStd ibiades ue Aent^erm) apfoluer Hnu AlctbUdeSi cui R*P. relji>onfo Apollinis, tanqtmmfortif^imo Gra  eorum flatwtm in comitio erexit, populum Athetiienfem pulchritudine poti^ime habuit fihi ofcnoxium. Nec mirum, fi illi populo placent, quos  eximia j^ecie natura donare dignata e: quum  credatur ccele/lis animus in corpus venturus,  dignum prius fibi metari hofhitium uel quo e-  nent, pro halitu suo sibi jingere habitaculum,  unde aliud ex altero crefeat: esr quum se pariter  iunxerint, utraque maiora fint. Vtcunque, fatis  conRat, mirum esse quantum atice forma maie  flasque corporis sibi conciliet. Dotibus idem animi fit infhruSius, filiis qua ingenerantur appellantur non uoluntariat ut docilitas, memoria, quaf e omnia appellantur uno ingenii nomine: filiis, qua in voluntate posita, proprio  nomine virtutes dicuntur Ante omnia tamen  ingenio opus est: quodquibufdam animi atque ingentj motibus eget ORATIO, qui ad excogitandum  acuti, ad explicandum omandumque uberes, et ad  memoriam firmi fiint (dtuturm magnamque IN ORATIONE pofiident artem facetia, lepores, lacef-  findirej ondendique celeritas, ubtii URBANITATE  B 3 coniuttSia:  tl conimSi: qu Nec minor dijfensio eflin eius materia i  illis ORATIONEM, abjs argumenta perluaji  hdja, ciuilesabjs qucestiones jiatuentibus Noiy  de ea INTER OPTIMOS convenvtt, aperimusi t prius quid sit ipsa materia oRenderimus^Ejl  enim materia, in qua omnis ars, ea facultas qiue conficitur ex arte, versatur, ut ergo medici  nauulnerOy morbU fic rhetoricae omnes res quacunque oratori ad dicendum fubieSla funt  materia appellatur. Nec obflat, quod fi deornni tus rebus dicat, propriam ergo non habeat mato  rianhfcd multiplicem: quum alia quoque artei VtatedaH mino DE CIVILIBVS QVÆSTI- iv   onibus, Sacarum gencru -r  bus,   Solent autem res oratori fuhieBa  cendum d plerifque (^uMones ciuiles appellari: quod non omnia quk‘. pofhefitn uocant. 1« hdc genercttim Jiquid  ftueritHT, ut ExpetemU ne fmt literae . \n iU  (t definitcejunt perfonce C'onfiituti cum ad  uerfario confligendum, ubi rei dominus (qui fie pe alienus, sepe immicus eR ) quasi machinatio ne quadam, nunc ad iram, odtum, triRiciam, ht^  ticiam, fexcenta opposita, eR detorquendustillk magnum eR opus, et, ut inquit CICERONE, nescio  m de humanis operibus longe maximum DE CIRCVMSTANTIA, QJTAB sed hypothesim. Nunc quoniam thefim ab hypothesi se  perauimus, et quomodo qvæstione uti de  beat orator oRendimus: reliquum eji, ut quid sit  quod hypothesim faciat, demonRremus, ER  enim rerum quell ere, auieqHid sit, enumeratione facilius quam definitione aeprchendttUK  Sunt autem eius partes lex Quarum coniunctiio  onat. ELOCUTIO, (]ua IDONEA VERBA SENTENTIAS inventionibus dijhofitts accomodamus. MemorUyquie rerum verborumque ^fida efl custodia. PRONUNCIATIO, quicej e, in quas  speaes dividantur. Ermagora, quo duce po  ttj?ima rhetorum pars usa est, quatuor modis fienajjerit: per cequale, unicu, sine circunstantia, modi 4«  inexplicahtle. Æquale e/i, quum eadem ex utra- t  que parte dicuntur: ut, Dj(o adolescentes vicini  f ormo fas uxores habebant, noSiuobutamfa£H media uia, accufant Jeinurcem adulterij, Vntcu, t  quum ex una parte tantum con/iat, ex altera nihil affertur: ut Leno, qua parte sciebat venturos adolescentes, foueam fecit, quailli pertere ,Smr circumstantia, quum aliquid deeH in qtueflionei  quod faciat causam: ut, ¥iliumpater abdicat,  neq; ulla additur causa abdicationis, Inexplicabile (fi, quum ludex haeret impeditus, nec f nem iu  dictj uidet ullum lUtLexeH, feptemiudicesde:  reo cognofeant , maioris partis fententia fanSia fit, duo quendam abfoluunt, duo pecunia mul- Siant, tres capitis condemnant: rapitur ad pee-iiam, contradicit. \t€m, Alex ander in somnijs admonetur nonejfe credendum somnos, Plura de-  / tndf    44 ff   wde oh ferumtpoftmtas cmofior ,nm Con nertihile id affelUtur^ qtmm tota a£do conuerti twr a litigantiusmcutn^ fuis prioribus utitur rd  tiomhu Syfrladunlarij . hocmodo i Exigebatqtur  dm A amico pecuniam cum ufura , quafi credi f i tamto fferebatilklineufuraj quasi depositim, lnterim lex fertur denotas tAults: petit creditor  tanquam depofitamyrtegat debitor tanquam credi  € tS, Non uerijimile ecquod contra opinione dici . turtut fi CATONE ambitus accufetur.quodtame ft m  caute agatur , haud procul ahefi quin cmfiftat  7 Jmpofme eR^quum id dicitur quod fit contra re  rum naturcefidm; ut si infantem accusemus adulterii, quod cum uxore cuharit aliena .Turpe  quod omninoreijcitur: utfiuir precium pojcat  ^adulterij.Sine colore efi, quum nulla caufa faSH  inuenitur: ut decemmilites belli tempore fibipol’- Cdcofyfid hces amputauerut,reifunt LtftreipuhUc4e. Sunt ta. f^alue IpecieSyqtutcacojy Ratayi defi male consistentia appellantur ut aticum, quum aut ali quiserrorinhi Roria^yautinquams ex circunfiantijs.Impenfum, quum penes unum omnis iudicijuis eftyparumq^mer habet in quo dicendo   Iere  a ir, Pr  iunguntur: et fic accufatur faailegus,utfur etia  dicatur efje. In tranfuttm uero, uno tantum accusarnus crimine, sive illo quod intendimus, fi-ueillo ad duod reus tranfferri poHulat aSiio  nem. Sed hcec multarum fitnt nundinarum ,  qtue non una disceptatione pofiint ab soluL Sum-ma tamen h^c fit, expedire dificentibus quadripartita fieri diuifionhuel qafacdior fit,uel quod  defendendaru caujaru ratio id exigere utietur, ut primo si pote fi negemus, proxime si non id obijctturfaSiu afferamus, tertio (qua defensio  e honefiifitmdjfi reBefaSiu cotendamus. quco  fideficiut, una fuperefi falus, aliquo iurisadiutorio elabendi d criminei quod fit per translatione [DE STATV CONIECTV] ralu C Onk^iuralis autem fiatus, quod incerta  conieSittris Juj iciomhus indaget, di-  D yo ‘,  £}us:re a nonnullis nono uerho , nc nefch  m LdUno, mutus f quod meo uideatur utrum  maSia fit: tumfit-, quum quod ah uno obijciturf  alter pernegat. nec folumfaiium, sed et aiSium, qucerit: poteflq;in omnia tempora Sflrihui. De  prceterito enim conijcimus, An fenatores Romn  Ium occiderintide prcefenti, Bono ne animo erga Tullum fit Metiuside futuro, Num fi Alba no  diruatur, Miquid incommodi ad Romanos Jit per venturum. In his omnibus agit conieSiura^eafic  AB ALIQVO MANIFESTO SIGNO, quod lege moribus f  liceat, nec necefarto rem arguat. Ac (utapei:  tius agamus) fex eiufmodi objeruantur. aut emm  defa6lo tantum, non de perfona conflat: aut ae  persona conflat,  non defaSio: aut de de utroque  non conflat :aut fi defaSio, de uoluntate no con  flat: aut quum de re ipfa quaeritur, non dtfaSio  /diquo, an aliquid fuerit illud de quoefl qute^tiot  4Ut mutua eflaccufatio.,  PE STATV DEFINITIVO, D Uflnmu€tiam commodum aliquod -i afferimus. c? O X m i  Genus. fZ   de statv generaliJ A t quum quid faShtm i quo nomine  appellari debeat convenitiet tme quan  tum, e^r cuiufmodi , & omnino fine ulk nominis  cotrouerfia quale fit qu tetnpus: illa , pdicet negocialiSj iudicial  pnetmtmqi rejpiciant, ut fuo loco demonstrahitur.Age uero nunc iuridicialem , cuius controversia ex re iam faSla proficiJcitur,inlj>icidmus: negocialem poji paulo traSiaturi In iuridickli luxiiicialU,  aut reusfeciffe quippiant, quod uetitum fit^fatetunaut uetitum negat* ft negat, abaoluta ejl iuri- lam, af- , Absoluta duobus jit modis, faSti qualitate et iuris  ratiocinatione. FaSli qualitas eji, cum ofiendir i mus nihil nos fecijp pemiciofum.lurb ratiocm'.  tio modis fit quatuor.lege,ut occidit filiuindem  natum quis: licet id lege, more, ut apud Scythas sexagenarij e pontibus mittutur, Athenis id Scytha fecit, tuetur fe more gentis fu Vietatioeri minis. Remotio criminis con^itutio, quatuor locis dividiturt comparatioh ite, relatione criminis, remotione criminis, concejione, Comparatio fit, qumfaSia compenftntur, aut maiori incommodo prolj^e^lurtt  efje contendimus , aut deliSlo meritum comparamus: comparaturque; id quod in crimen vocatur ad id quo fe reus profriffe afjerit, ut quidam mu,  ro ciuiMis deturbato hofles fugavit, reus efl Itt  fe rei publicte .lbi comparatio efl^ quod enim mu  rosdeiecit,uideturl  trem , eir Mfione m Clodium, At fi non in eum  qui paffus e^i,fed in alium,uel aliudcrimen tranffertur,tunc remotio criminis appellaturiut de eo qui porcam tenuit in fcedere cum Numantinis, unde remotio criminis duobus modis con/iat: fi  aut causam in alium tranfferamus, aut falsum:  vel si in perfonm remonemus, aut in rem, ut pu   tdtuH partibus in-  jj>e6iis, legitimam confideremus. Efl autem le  Legitima conRitutio, quum ex scripto controuersia nafcituriin  funt in legitima confitutione, quod fi ex   plunbus [criptis controuerfia ndfcatur, contra md de TranflationeaSiionis sit omnis controversiam enim ah alio nos accufari debere dici  musyoutnon nos^aut non apnd hos , aut non had  lege, non hoc cfimine non hac pcena uel aete ris id genus. Illud tamen animadvertendum iit  Translatione quod aut omnino de commutatione ali 4  Tranfidtia   undefiat^'-t  4p   huj; eds partes feantur, suas pnefcripfimusSe   quU iks principales , alus incidentes esse diximus, lUud multos IMPLICITOS hahetyjTi plures   tus in causa inueniantur quem potilsimum eligamus, quem'ue principalem ejje iudicemusf H«ic jcrupulo facile occurri per nos poterit, fi illud imprimir observauerimus, quid fit quod comprehendat, quidue fit quod comprehendatur qui   Trutcipdlis enim alteru in fe habuerit, is erit principalis: qui   uero quafi membrum accefferit , incidens erit is   Incidens, iudicandus, huius proprium e^l, confirmire principalem. Qupd fi neuter comprehendatur, tunc   principalis cenfendus, qui imperarit: incidens, qui seruierit. Si vero nujqua aut feruire aut comprehendi Ratus uHusapp^erit, tucuterque prin- Copiexm efiappellandusieao; controversia, quonu controver J I a i duos m fe plures ue status mpleqti^, cpmplexi   Uanominatur [QJTAE CAVSA SIMPLEX SIT]  qu 2 c conmntfla.   Atque vel ob hanc rem poti fimum statim caufa difeutienda efl,fimplex'ne fit   tn comund^inet^enim eadem utriuf^ efl ratig. quoniam St quonim multum intereR, utrum de unare an Se plurihus agatur. Simplex, ahfoiutam continet qvæstionem, at ConiunSla,aut ex pluribus quce Co/«'w^  /lionibus iunSiaefttut quum Verres accufatUTi  quodmulta furatus fit, quod CIVES ROMANOS nei  carit, quod peculatu commi ferit, autft ex com  paratione , quum quid poti fimum sit consideratunut utrum Cicero accufet, uelC(ecdius.qu(t,  cause cognitio maximo efi adiumento ad constitutionem inveniendam,  DE  genere caufe, conftitutione  ip utrum causa fimplex fit an coniun6iainj e6iis, qvæstio, ratio, iudicatio, firmamentumque sunt eognofeenda nam defaipti&  rationis controversia fatis efi; a nobis eo loco de  monfhratum,ubi de generali egunus confiitutione, C^ipnem autem quum dicimusffummam  illam in qua caufa uertitur ,intelligi uolumust - Sunt enim pleraque minores exfummis dependentes,quasj cialia nonnulli capita appelknt quum Mum fummas dias, generalia nominauerint est. QB^o ergo auaftio hcec , materia , quce ex intentione. fmma. depulfione nafcituriut, Oreflesmatremiure   fe ocadiffe att:qi{^efiio,an iure occiderit » Subfe  tquitur ratio, qtue caufam continetiquia quodfa^  ciu efje confiat, j^er eam defenditur . ut, Occidi  matrem, quia patrem illa meum necauerat ex  qua ratione necejfead iudicationem peruenitur  qu eloquentiæ lumi moftendenda, licet Theophrasto refragrante GENVS DEMONSTRATIVVM D Emoflratiutgeneris praecepta dare, funt  qui minime neceffarium effe arhitren,  tur: quoduixcenfeatur quifqua effe qui nefciaty,  quaefmt in homine laudanda.cum tamen mu fu.  jit cottidiano,eoqs tandem excreueriti principi-  PUS doRorum consilia afpemantihus, pefimoque  dicendi genere in iudicijs induSlo, ut fere folum  hodie materiam praeftet oratoribus : non erit ah,  f hnnc iplim etiam locum ddigeittius tradam   E 4 uerimuSy yl uerims. Eiusfirtem honefium effe diximus, fiue  enim qumquam laudamus, fiueuituperamus, id  quod dicimus honefium effe contendimus. Nam  fyoneRum bonum eR, ideo   ergo laudatio, etpotipima, d uirtutis dehetfon te proficifci , fine qua nihil laudari poteji  Eam  in quatuor laedes iferefapientesi in pruden- Virtutum  tiam, Mittam, temperantiam, fortitudinem, praclara omnes quidem, et qua mutuis adiuuen tur auxilijstaptiores tamen quadam ad laudationem,Si enim uirtus benefaciendi quada uis e certe eas partes qua plurimum conferunthomimhus, maximas effe oportet^unde iustitia for titudoiucundij^ima in laudationibus, qua domi  foris^pra^o fint, nec tam pofiidentibus quam  generi humano fruSluofe putentur: prudentia vero, ac temperantia, tenues ac pro nihilo exi/H, mantur, iungenda tamen fiunt omnestquod non  minus fape moueant mirabilia, quam iucunda ata , Et quoniam singularum virtutum quada sunt partes et tcia, propterea euagandum e,  habet enim in fe Prudentia memoriam, inteUigen  ttdm, prouidentiam: fortitudo, perseverantiam y  patientiam, fidentiam, magnifitentia: iustitia, re   E Ugfonmp Ugionem, pietatm, ohferumim, veritatem, uIti  enem: Temperantia vero continentiam, clemen  tiam , modelham compleSiitur His omnibus  fuo ordine resgems accommodare, no tamglo-  riosum quam difficile ludicatur, Optimu aute  mrtutum condimenta, quod ornati fime dici  facillime audiri po f it, fmper eji exiftimatum, si  aliquid magno labore ac periculo fine aliquo emo  Jumento pramwuefaSium oRendatur . ea enim  pneflantis ejje uiri uirtus cenfetur, qu^efruSiuo fa altjs,ipfi autem lahoriofa, aut periculosa, vel  certe gratuita fit. Etne virtutum tantummodo partibus immoremur, magna fylua oritur laudationum, ex hominum vita, deque; his qua cottidie  in ea emerguntt ut sunt illa omnia quibus pramia sunt propofna, femperqs in pramijs honor pecunia proponitur , Commendantur quamor-  tuos magis confequuntur, quam uiuosine fui gratia quenquam aliquid facere arbitremur, Nec minus soletU celebrari, qua egifje nullus efi metus,  neq; pudor: quemadmodu fertur Alceo Sappho responde Monimenta item, publica laudationes, in d unShs potifintum, magnam faciunt   adgdmtationmiquMquam liiudis fiunt gratia, nec nobis, fed altjs utilitati funu rafertim bene meri  tis. S unt etiam morerconfuetudinesq- earum gen  tium,apud quas laudamus, cottfiderand con^at.qui pe  des uelociteragit,curfor:qui premere poteji,  retinere,luSlator:qui pulftndo pellere,pugil:qui  utrumc^ hoc , id eft retinere ^ premere pote/l,  pancratiafiestqui omnia fimul, pentathlus. Magna fane junt hac cum geRu , tum ffe^atu bo-  na.fed nifi externis illis, id e^ fortuna bonis, op  timis ad felicitate infhrumentis,adiuuentur, man  ca reddetur felicitas,et qua undecuq^ laudari no  potefl.Vnde non mediocris laus ex fortuna to-  nisderiuatur.ea funt nobilitas, liberi, amicitia,   glonOf ghria, honor , eSr qtce fequttnttfr,Nohilitas,0'  duitatis f/l, •jamilice Alla uetu^ate, libeitatey  feliatate, rehuscj^geflis commendatmhac^illis  ipfis rehus, uiris etiam ac mulieribus, uirtute aut  Jiuitijs,aut alia re laudata claris, legitimisly nata  lihus celebratur. Uberi magno funt ornamento,  fi multi funt, fi (ut uno completior uerbo) boni  mares ultra corporis bona, temperantia placent,  t fortitudine‘ fixminie, forma, proceritate, pudicitia, lanificio, Amicitia multorum bonorum expetutunqua bona fore amico putent, propter  ipsium amicu agant , Diuitia nummis, agris,pra  dtjs, fupelle 6 iili,mancipijs, armentisq; continen tur: multitudine, magnitudine, pulchntudine, ex  ceUentialaudantwr, eafirma, amoena, utiliaq^ef-  fe debent. Gloria datur, haberi in precio, putari id conjecutum , quod uel plures uel boni pru  dentes dejtderent. gloria diti fimos beneficos plerumque fequitur , uel eos qui conferre queant beneficia, Honons autem partes fiunt,facra, celebrationes , decantationes carminum, panegyri- ,  d, sepulchra, slatua , alimenta publice: qticc  barbaris placent, adorationes, inclinationes, cebitus, in corporis /latu cernitur Hiratioe/l infpicienda: animi magnitudo tunc,  potiffimu furgit, fortitudo uero illa bellica (nam  domeftica grauioris eflatatis) incrementum ha bettneque fupereft quod fieres d fortitudine, nifi  fe in iuuenta patefecerit. Virili autem atati  tantum demitur de laude, quantum de uirtute de,  fideratur ^Itaque oportet idatatis uiros effe per-  fe£liflimosi neq^qulcquam facere, cuius pudeat  aut pceniteat. tunc prudentia, rerum cognitio^,  magnificentiaq; apparent. AtfeneSius patien,  tiaplacet: dulcedine morum, comitate, affabilita •  teq;dHe^at.cenfeturq;praclara, fi corpus non  reddat infirmum J rebus publicis no auertittnon facit deni^ ut ueru fit illud , Bis pueri fenes: qua-  les funt creduli, obliuiofi,diffoluti, luxuriofnqui. Inomni atate turpes, in feneSia uerq funtfcedtf , pm^ SeptimmiUHdfupereA tempus, qu6dj^  i^m hominis infequi dixermus . in uerycn  non femper dccafio efi: quod non omner sepultos di^a memoratu feqimtur,Si quando tamen  traSlare cotigerit , teftimoma,fi qua allata funtyr ucenfeantur, tam divina quam humana in qms  dedicationes temploru, confecratmes, fiattuti ' A  mommenta, publica decreta numerantur, hahk  &fuumlocum ingeniorum monimenta^u^era^ . ro laudem ante obitum consequutur. Afferunt et laudem liberi parentibus, di]cipulipr   ci Uerfus caperent, permijkAdem'que mfunehrr laudatione hunc ordinem ofiendit, ut defunSii.  prius Copiofelaudentur, fuper^lites inde benigne moneantur, filii mox defimS^orum fratres^ aS  tdntais ip forum imitationem inuitentur : parens  tumpofhremo et maiorum, fquifuperfunt^do^  BrawluSS confoktione leniatur, ROMANI AMBITIO hoc genus troEtauerunt , rmdta fcripfhrutn: eirch I libr. dUctfaSia  no funttex quibus rerum rioflrarum  Ro^a?. tiftorU eflfaShimendofior .^am illas imerire  rionfinebant familia, sed sua quasi ornamenta  tcmtmimenta feritabant, & ad ujpfm fi qunei gmerisoccidif[et, et ad memoriam la fnefticarum, illu&andamq; nobilitatem fltam:  ttec alius quifquam id ojficij fumebatfibi, nisi quidefuniioe Jfetcoiun Siifiimus, Sed iam fatis  vituperan- dedimus praceptoru in hominibus laudandis t et  di eade qua exegiffet fane ratio , ut aliquid de uituperatione  laudandi ra diceremus,nifi hic ipfe labor eadem nobis exem  I; vituperationis idem sit ordo, qui laudadonis i praceptac^uituperandi contrariis ex uitijs fumantur, non solum in hominis  tata, sed ante hominem, et post obitum, itt   it    iePmle, MeliOyM:^>MoHid memori ^fro&Hf  ‘ ^.Vridr fatis conf^y fine uirtutum ukiorut^i^    •m P» V f^wrww  'I "JW  tcSiaagams, contentihisque tuedi Bafmtyadho  thtiies laudandos pauca de cateris rebus in mple^, laudibus extollendo, quoaonus fiufch  pere uolentibus,imprimis a Deo Opt. Maxjnci  piendu efljnueniffel^ eum , oftendiffeq; nuptias  mortalihustid'^ ita pro confejfo effe,ut non modo nos in hac pia uera4 t   UiiuSytion auiditpudohs ji^ifjcatione, uocis t-  m   V /  0  po/?remo     ^freyfjpme pr lia, qu(t propter fdpfum aut ex confuetudinea eit, aut ex appetitu uel rationali (}urluntas emm  coniefl, cumratiorteineqque uifquani) diqidduidt  nifi honu putet)uel etiam irrationali, cufnfacitit  ira cupiditas. Neceffee ergo, qtuecun(j homines agunt, feptem tantum caujisfaceret fortuna, ui, natura, confuetudine, ratione, ira, cupiditate. Fortuna accidunt, quce nec femper, nec plerum(y , nec ordine fiunttcumipfa Fortuna,ac  cidentium rerum fubitus fit atf inopinatus euera tus statura ea jieri dicuntur, que  remus: neceffee]}, iucunda omnia uelprafentii  fentiendo,uel praterita repetendo, uel futura ff e  rando cotineri, Qjuecunq; tame prafentia dele  Bat, eademque fferatibus memoriaq; repetentib,  iucunda funtinec fecus e contrario Vnde in  prtimfi hi pra^enty qui ipfi laudandi funt, qui-  bus'^ fidem adhibeamus cum eorum nihili fat  iudicium, qui nullo m precio habeantur. Amare  etiam, amarique, beneficia conferre, egentibus o-  pem ferre, fuauifima: quod his abundemus, qus-  vr'  ir T  homines, nam prd parente e conditor pr*  maioribus populi a quibus origine duxerint. junt  ix fua auguria , eX uaticinia t multumq^ hahent  mBoritatis qui Aborigines, id efi indigenmplexi, laudibus extollendo, quod onus fufch  pere udentibus, imprimis a Deo Opr. Pto.inci  piendueflunueniffel eum, oflendiffeque nuptias   mortalibusudcj-itaproconfeffoeffeyUtnonmodo nos in hac pia uera^ religione, fed etiam uetu  flasloui lunonic acc^tum connubium retule  rit , turbam^ dmrum ingentem proeffe nuptijs   uoluerit, nec contenti loueadulto,Iunoneriu efi^ j^ffnoHprM  res intueri prafentes,Uf^enimpf aut animi promotione cogatur d^obatio aut earum rerue^h uaedb or^^reno: cogitantur,fid d caujareisque defmmtunut jqtubusfita fiiutabuLe,teftimoniayfa£hti Conuentayleges, et  Mteraidgenus. Auttotaindij utationeyau targumentatione orationis collocata eh : Mt in hae  '^ear^unentis inueniendis y in dia de traSiandis  cogitandum. Conediatio fit dignitate hondt eSediatm,  ms, rebus gefti SyexifHmatibneuite   remusi neceffe ejl, iucunda omnia uel pr con-  Jueta agere iucundum mauifeilo fit, quis credat  tantum afferre iucunditatis uicifiitudinem f necy  iniuria, cum fittietafis mater fit Similitudo , In-  efi & fua indifcendo imitandoque iucunditas:  ifuce imitatione confequimur, etiam fi ipfa ni-  hil in fe haheant iucunditatis. ocium denique ipsum^ac iram , ri/«m j afferentia deleSiant. Po- C z ftrema) too fkcm Oitludmmqtue fecundum naturmkctm*  ditate ajferut, idcirco quo coniunStiora fimt,eo  funt iucundiora: ut homo homini ^ mas mari*  qua ex fententia feipjum magis homo amet necef  fe e/lj quam reliquosicum fua ipfius cauft ccete  ros amet. Liberi deinde,& qua inter chara adntt  merantur quanto plus ad homine accedunt, tan  to plus afferunt iucunditatis. Et iucundo quidem per^e6io, eademque ratione iniucundo'(cwn  eadem oppofitorum fit difciplina') facile erit conoscere, qua caufa fit inferenda iniuria : ad  Vtiuria affj Juccedat oportet, quales fint qui iniuria cateror  dentes qui afpcmt.Sunt autem, qui facile inferre poffe ar^  hitrantur, uel celare jperant: aut fi deprehenji  fint, nullas, uel quam mmimas daturos fe pcenas:  plusq; in iniuria lucri, uoluptatis'ue, quam in luen  da pcena damni mcerorisq- inejfe exiftimantJniu  riam facile fe poffe inferre eloquentes , diuiteSf  aSiionihus exercitati, experti, multis nixi amici*  tijs, clientelis^:uelfi ipfi careant, in habenti*  hus amicis, seu sociis, feu miniflris, quod illorum  se patrocinio tutos putent, Praterea fi amici iudi  cibus fint , uel his qui iniuriam perpetrant* ludi tot   cts enim leta moUil^hrachio in amicis ag^^ann  eorum iniurias acjuiore animo toleramu. QeU  re autem feipfos poffeU^erant , qui omni uacare  juf^e^ione uideantur,ut d^ormes adulter'^-, sacerdotes flupri,dehdes pulfationis,&'ea qwt pa  idm ante oculos funt neque enim aperta ^ quaq^  ingentis laboris fit tollere, ohferuantur , Caue^  muslj' potius nobis ab ufitatistut uidemus in mor  his accidere : quos illi timent , qui fiint experti.  Clam etiam fefaSiuros putant,ipiihus nullus ini  micuSyUel quibus plurimi.illhquod no obferuen^  turt hi uero,quum omnibus fere fufj^^^i fwt,no  mdeantur ob nimiam cu^odiam clam facere po-  tuiffe^mukos quoque locus,commoditas,moreSj que celant. Inuitant etiam ad iniuriam facienda,  iudicij propagandi , propuljandi , corrumpendi,  uel certe ob inopiam euadendi f^estlucrum quo  que apertum, prafens,magm,prafertim fi dm-   num occultum paruum procutue fit. maior etiam  utilitas , quam ut par fupplicium excog ari pof  fit : ueluti efl rannis . Sunt^ proni adiniuriam, qui inde lucrum petunt, neque quicquam  malipreeter ignominiam uerentur, quibus que id   G } frcijjc  fecijje laudi afcrihiturtut parentes quacim fint qui inferant , quiq; patiantur , fatis  arbitror ex his qua in medium adduRa funt poa  tere.Sed quonianon omnibus eadem uidetur iniuria , fapeq; ufu uenit ut plus doleant laft quam  par fit,minusq; noctdffe fe putR nocentes quam  fecerintCquod aliena mala no fentimus, et noRra  maiora quam fint iudicamus ) idcirco de iniuria  primu iureq^faRis,mox de maiore minoreq^ iniu  ria paucis differamus, Iniuria iureq^faRa omnia  legibus primUm duabus, deinde quibus funt bifa  riam determinantur, leges aut duas appellamus il  las ipfas iu/li partes, qua ternario a nobis nume-  ro in iu^i definitione funt expojfita, comunem  fcilicet, qua fecundum natura fit: (^propriam,  qua in scripta non fcriptam diuidatur. Qui-  bus uero iniuria fiat , bipartito conflituimus.aut  enim emunis laditur focietas, ciuitasq; ipfa offenditur, ut in militUiaut unus alter ue iniuria af   jiciturf tOJT   ftcitwr,ut in adulterio,qu horti quadam eleSiione, quadam uero  ^eSiuconuiA. Cueiufinodi: quid jit illud de quo agitur definiendu eB,ur popimus iwre ne an iniuria querd^  tnur injpicere . pr quonia iuftorum iniuftorumq^  ' duas partes connumerauimus, firiptas fdlicetle  gd,^ no ficriptas, deq- fcriptis affatim demon*  firatti eft : pauca de no fcriptis funt recenfenda.  alia enim per excejfum uirtutb uitijq;Junt, in qui  hus uituperatioes,honores , infamia^iut gratias  habere benemerito,amicis praflo effe, & his fi*  milia.alia uero ex lega fcriptarum defe6iu:deejl  aut fcriptis legibus, uel qu latores aliquid effi  gerit,uel quod confulto pratermiferint,cu detet  minare figillatim omnia nequiuerint.ne^enint  fi de tiuinere agatur, quo ferro, quali , quat&ue,   G y coth    tO^constitui potest, Eil igitur aquum (juoddm ha  numq;, quod praterlegefcriptamiufiu cenfea-  turimultaque etid lege scripta putatur iniufla,qua  aquo homq; tutari Poffunt. Bade ratione no tan  ti errores faciendi funty quanti iniuria:nec*tanti  qwt aduerfa eueniut fortuna, quati errores. nam adversa fortuna feri dicutur,quacu prceter opinione, non ex malignitate puntterror uero no  'praeter opinione, fed fine malignitate ft. At iniu  . ria cSt* opinio e^i O’ malignitas, Aequu e/l etiatn  jn rebus humanis ad ignofcendu commoueri: eJT*  non lege,(ed legis fcriptoreino uerha,fed fenten  ti^:nonfa Siu, sed voluntatet non partem, sed to  tminon qui nuc, fed qui pepe, aut fere fmp fut   ritconfuierareibenefciorupotii qua iniuriaru,  accepti!  quam collati meminilje : iniuriaaquo  gnimoferre, oratione potius Mam re difceptare,  et ad arbitru magis quam inforu defcendere,na  arbiter equu bonuque, iudexiuflumf^e Slaune^  gha ob caufam arbiter eligitur, nifi utaquum ho  tiumq-fuperemineat. Atq;hac deiniuriaiurec^  fa£tis di£lafufficiat,Haior aut minor ue iniuria  inultis modis cognofcitur i eaq^ maior exiflima  i 07   htr,qH<e i nudori t profcifcendi toh   4e <{uee minim funt aimiruty ttutxitM mterdu td  deturtcu ispr^fertim qui terunciufwctur^quid  kis iudicetwr ablaturus . Ma^itudo quoq; dam  m maiore facit inturid , fi par mUum juppliciurH '  excogitari, aut remediu adkiben pofit : na ultio  et pcenapro remedio fut.nec minor, cu qui ppef  fus turpitudine ferre no poteritiut qui accufatus  ^ fibi uim intulit, maledico(y carmine laceratus hh  queo pependit .E/i et in maximis, foiu aliquid fd  cere,uel primu,uel cu paucis: pnefertim fiid fa*  ciat fsepe, caufam'ue legi nou<e dederit , aut cor-  ceri, aut supplicio. QM»et maior cenfetur im«-ria, quce plurimu dijiet ab humanitate, beftiaruL  fit quam ftmillimaiet qiue cogitatojit, quaq; audita homines magb timent quam mifereantur. Am  plificatur aut omms iniuria,quod euerterit multa  iufta,iufiurandu, datam dexteram,hojpitium,fi  dem , affinitatem'^ contempferit. Ad haec maius  redditur peccatum , fi ibi deliquerit , ubi iniufti  puniunturiquod faciunt falft te/ies. ubi enim no  nocebunt, qui apud iudtcem peccauerintfEa etia  ^maiora funt, in quibus fumma turpitudo, ingratitudo I fOdtudoli htgens.nm bis pecatyquodnon lenefi^  €ity^j}i Umde.Sedhac&‘ longeflurayfij  lidmitudii artis<^ adhibuerit, facile orator fuo  iiigenioaffequetur:nohisdemonflraffe fat fitge  tueri iudiciali neceffariay^uid potiffimu circa ittr  luria uerfetur.Eius generis proprium eR  rita difcuteretomnes flatus capit, omne artis exi  git fupelleSiilem , omnia dicendi genera cu ufus cxpoAulat: neiy ullum genus e/l, in ^uo df^ , flcilius^oriofius'^fe poffk orator exercere, ab Optimis utriuscg lingug autoribus  excerpti, quotn perducendis ad eloquentia iliis adolefcentibus uttjfolebat.   lli'k àrtaiì lì. rflltllli hK  iPAECCy  P. Ili *^i a  aaa^ki^Mi^kirtH  Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm  Jfibliotcca di P. sia stata, or per a tarisia fratesca, or per incuria dei custodi, deplorabilmente  assottigliata, pure di codici e di edizioni annotate  avanza tanto da potersene fare uno studio accurato, che non ci abbia da essere niutw dei nostri guh  vani filologi a cui non nasca questo desiderio Cosi scrive FIORENTINO (si veda), qnan;]So, tratteggiando da par sao il  sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa accademia di COSEN, rimaneva ammirato dinanzi al-  Tulta figura del suo fondatore, P. Dovendo, tre anni or sono, scegliere un argomento  por la tesi di laurea, molto opportuna ci parve l’indicazione di FIORENTINO (si veda); sicché, per quanto fin da  principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa, alla quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo all’opera, non colla presunzione di adempiere il voto  del dotto FILOSOFO, ma per mostrare che vi era chi accoglieva il suo invito. FIORENTINO, TELESIO, Firenze  Siieo. Le Monnler.  Il II I II I  I  m w l ,mtm    >.1. m > por dar prova, so non altro, elio la polvere ola tignuola non meltono poi tanto spavento, da faro presto presto  strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso. Ora ò appunto quel lavoro, benevolmente giudicato prima dalla commissione esaminatrice della facoltà letteraria di Napoli, e poi da lla Eacolfii  del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto  e ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio del benevole lettore. Oli scrittori contemporanei di P. si mostrano addirittura entusiasti di luì, non gli risparmiano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con parole altisonanti il valore e la grande erudizione; ma a  ben poco si riduco tutto quel rumore, che menano  intorno: suppergiù non trovi che notizie inesatte,  che gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino  alla noia, inni, ditirambi, epigrammi, tirate retoriche e che so altro. Ma la critica manca completamente, o appena si azzarda a far capolino. Degna però di nota ò la monografia che pubblicava Jaunelli (si veda) sulla vita e sui saggi di P. De vita et scriptìs P. consentini phiiologi celeberrimi, commentarius a Cataldo JaimeUio, regio bibliotecario academico herculanensi et conscntino cluciihratus; ab Jamiellio  ratris filio conseutinae Academiæ pariter socio, cditiis, præfation$ et   tuxis auctui, NeapoU, tipis Banzolii. Con tutto il rispetto dovuto al dotto e yalente  archeologo, ci dispiace di dovere fìn da ora asserire  che il nostro giudizio sull’opera sua non sarà molto  lusinghiero.  La vita da lui scritta è un magro e nudo racconto che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle  sole citazioni, senza che nulla si agiti intorno al protagonista e v'imprima un po' di varietà e movimento. P. professa a Napoli, a Roma, a Milano, a Vicenza, a Padova, a Venezia, ha molti nemici,  solivi molte persceuzioni, e torturato dalla gotta  e muore a Cosenza. E può mai questa chiamarsi biografia?  Dov'è l'uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi  aifanni e colle suo miserie, colle sue passioni e coi  suoi disinganni, senza grave sforzo del lettore? P. corre errabondo di città in città, trova  nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso  a guisa di cani mordenti; ebbene, perchè tutto  questo ì Xe è forse egli meritevole per l' indole sua,  X>er l'incompatibilità del suo carattere, opx)nre quelle  lotte, quelle persecuzioni sono il portato legittimo dei tempi in cui vive, di quel tempo d' interminabili  litigi, il tempo dell' Umanesimo. Non lo dice lJannelli. Egli pare che faccia  poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di  un uomo non si ha se non quando un tale uomo,  come l>enis8Ìmo osserva Graf, si considera [Attraverso, Looschor, Torino.] nelP ambiente sao, in mezzo alla vita. varia e complessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e prodazione.   Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario di Jannelli, quaP è l’idea che il lettore si è fatta  di P. f   Oiò che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio,  non vi è nulla che caratterizzi l’uomo, non appare l’essere vivo d’ALIGHIERI, l'individuo tutto intero, tutto  d' un pezzo, la persona libera e consapevole di Sanctis. Oltre a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giustificato quel lugubre lamento, cbe emana da tutti i saggi di P., specie dalle orazioni inedite. Se  è vero quello straziante singulto, cbe erompo da  quel mesto componimento, l’ elegia Ad Luciam,  in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta,  un phato9, cbe ti aggbiaccia, un tædium vilæ, che  ti stringe il cuore. Su tutto questo tace il biografo: Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe affliggono il suo protagonista, egli non si commuove punto,  le narra senza commenti, senza riflessioni, trascurando così completamente il lato artistico, cbe non  consiste nella semplice forma. Ma richiede anche il  concetto, consistente in quell’elemento subiettivo,  in quella speciale maniera di saper spiegare e rior-  V. nostro lavoro : L'elegia e Ad Litciam » di P. e il Bruto mitiare di Leopardi, Ariano, Stali, tip. Appaio Irpino, ISOO. ] dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un' idea unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita  di un individuo. Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte, sono gettate lì, senza essere state prima elaborate, non v’è sintesi, ma lunga e pesante analisi; sicchò  manca completamente la riproduzione artistica delle  notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi  suoi difetti la persona presa a tratteggiare. Bisogna però convenire che, rispetto a P.,  non ò cosi facile riuscire neir impresa: perchè si  possa avere una completa conoscenza di lui, non  bastano le notizie, spesso inesatte, che ci danno i filosofi contemporanei.È necessario che il biografo  sappia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti  inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi  soprattutto Pampio codice, che contiene le ora zioni tenute dallo stesso, al principio dei corsi, nelle  diverse città, dove è chiamato ad insegnare.  In questo codice l’infelice umanista ci dà piena  contezza dei suoi mali, dei suoi nemici implacabili. R. Biblioteca di Napoli. Cari. aut. min. 317 per 223, di e. 164 non numerate, uè  tutte interamente scritte, oltre due o più bianche, già guardie di esso;  ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium, esplicit € Oratio ad. Discìpulos. Come tutti gl’altri manoscritti parrasiani, questo, codice  divenne prima proprietà di Scripando, come dalla seguente didascalia finale : e Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento, e poi  passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove alla  R. Biblioteca borbonica. Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo ellis-  soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degl’Appennini, che ai contini della Basilicata si dirama in due  opposti bracci, V uno lungo il golfo di Taranto o l'altro  lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati e Busento, sorge la (Vii-  sentia di STRABONE e di Appiano Alessandrino, la metropoli  dei Bruzii, come la chiamano LIVIO, PLINIO, Antonio,  Pomponio Mela. Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo, dove,  facciamo nostra. L’espressione di uno dei più fervidi apologisti  di essa, Sambiasem stan gareggiando insieme Cerere  e Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i. Occupa una bella pagina nei fasti civili e militari d' Italia. Ma merita soprattutto un posto importantissimo nella  storia dell' umano pensiero. Basta dare un semplice sguardo alle opere di Barrìo,  di Spiriti, di Zavarroni, d’Ughelli, d’Amato e di tutti quegli altri filosofi calabresi, che [Ragguaglio di Cosenza, Napoli. De Siiu et antiq. CalaMae, Roma, Memorie dei filosofi cosentini, Napoli. Biblioi. Calabra. Napoli Italia Sacra   \jSi) Pantapologia calibra, Napoli. diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno  sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere  quanti forti e baldi ingegni abbia nei diversi tempi dati alla  luce: Telesio, Galeazzo, Coriolano e Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni,  Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città,  una nazione intera. E P. non è anche lui nativo di Cosenza! Sebbene tutti i suoi biografi lo credano tale, e non sorga  a negarlo che solo Aceti, il quale con scarse ragioni,  gonfiate da un esagerato spirito di campanile, sostiene che  P. è nativo di Figline, villaggio presso Cosenza,  puro noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino  nel vero senso della parola. Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini parecchi  valenti nomini di quei tempi, come Bonincasa, Cornelio, Mazzucchio, che sono nativi di quei  diversi villaggi, detti volgarmente casali, che circondano Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di essa.  Poi perchè P. nelle sue opere, sebbene ne abbia tante  volte l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria,  a differenza di tutti gl’altri filosofi di questa città, nei  qnali, come nota FIORENTINO, si vede una certa ostentazione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre al proprio  nome l'epiteto di cosentino. In una lettera a Tarsia si congratula del  risveglio letterario della Calabria e specialmente di Cosenza. In un'altra, diretta a Pagliano, parla dei [Animadcersiones in Barrium De Situ et antique Calabriæ ed.  cit. € Vir iste inter omnet acvi sui erudi tissimus facile prìnceps, ad Fillooum, tire Felinum pertinet, patriam tuam ac meam. De Rebus per EpisL quaesit.] cosentini mostra che non dimentica mai Cosenza, che anzi  l’ama teneramente; ma non dice mai nulla, da cui si possa  dedurre che egli stesso sia cosentino. Ne basta: nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patricios Neapolitanos), il ?. per ben predisporre gli animi verso  di lui, fa noto che ha già inserì guato parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii: e prìus  I: aliquot annos frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum dncimus, interpretandis auctoribns impendimus. Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza, dove  realmente insegna prima di andare a Napoli? Non crediamo parimenti trascurabile Fultra prova, che ci  fornisce un codice inedito di Mnrtirano, cosentino, discepolo di P., da noi rinvenuto nella Biblioteca  Brancacciaua di Napoli. In questo codice iutitolato De Famliis comsentinis, Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e  ciò non sembra fatto per semplice dimenticanza, poiché in  un sonetto dello stesso scrittore, sulle famiglie di Cosenza,  riportato dal Sambiase e riprodotto dal Fiorentino, si  nota la medesima omissione. E in ultimo è ravvalorata sempre più la nostra tesi da  una lettera contenuta in un altro codice inedito di P., che  si conserva nella biblioteca dei PP. Gerolamini  -- Bibl. Brancacciami di Napoli. Cod. e De FamiliU  coaseatinit CommentarìuB.  Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i due codici inediti, che  ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de la Ciudad de Cosonzia. De Syla Consentiae. ex historìcis, Bibl. dell'Orai, dei PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. Cari. mise, apogr.,leg. di pelle.  È dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale e proviene. 0t0immjmtmi' I afti^fci  y** In quella P. roccoinaucla caldamente ad Inghirami, bibliotecario della Vaticana, il caro amico Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus. Non pare che P. gli avrebbe dato l'epiteto di e civis i,  se anche lui, come quello, fosse stato cosentino Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie  enfaticamente forniteci d’Aceti, il quale fa menzione di un  altare gentilizio di P., di una lapide commemorativa  del Cardinale P. Paolo, esistenti in FIGLINE, come pure  di altri documenti tratti e ex librìs Baptizatorum, ci  sentiamo indotti a erodere che P. fosse realmente nativo  di Figline. Ma Cosenza e per lui la vera patria di adozione, l'ama sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi  giorni, e sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino,  pare che non gli sia dispiaciuto d'essere stato creduto tale. Anche noi x)erciò, pur sapendo di tradire in parte la  verità storica, continueremo a chiamarlo cosentino. I biografi non sono d'accordo circa le origini della famiglia di P. Alcuni affacciano degl’ipotesi, altri fanno  delle gratuite asserzioni (“He has a corch screw in his pocket” – H. P. GRICE), fra queste degne di nota quelle del come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove  pare sia venuto in proprietà di Valletta e da questo ai Gerolamlni. — Cont. Campanarum Epist. Panhormitae », di  e. 56 scrìtte, più 6 bianche, già guardie. Incip. Ad Nicolaum . Buezotom > ; expl. € et genus humanum.   Seguono : € BpistoUe P.» di e. 30; incip. e T. Phaedro,  romanae Aeademiæ, expl. e epistola Minoritaiio ».   (1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scriptoribiis ecc. Ncapoli.] Come vedremo P. ò alterazione di P.  Gonzaga cho, fra lo altro cose, chiama il marchese  P. di Napoli, rappresentante del ramo calabrese della famiglia di P.; mentrOi da notizie da noi  assunte', ò risultato che l’ultimo rampollo di essa e P., marchese di Panicocoli, di Benevento.  Questi, con gentilezza degna della nobiltà ed eccellenza  della sua famiglia, ci fornisce le seguenti notizie, tratte da  diplomi e privilegi. Guglielmo, nativo di PARIGI, nella FRANCIA, portatosi in Italia all’epoca  del re Carlo I, lascia il primitivo ed originale e reale cognome di LANCIA e prese  quello di P. Da Ruggiero, suo figlio, nasce Matteo ed  Andrea, che, uniti al padre, militarono con grande onoro  sotto lo stendardo di Ferrante I d*Aragona, come apparo  dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi da  Carlo V. Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e  prestanti servigi al suo re, ha in premio il feudo Aconaste  di Alipraiido, confermato dal re Alfonso.   Illustri discendenti di Andrea e Matteo sono Guglielmo  e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ha in dono  il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal  breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il  marchese P.   Da Ruggiero poi nasce una delle maggiori glorie della  famiglia, P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne  cattedra a Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all’onore della porpora. Ora t^ma qui opportuno osservare che la famiglia  P. si diramò poi in Messina, Oastrogio vanni, Mineo, [Conte Berardo Candida Conzaga. Memorie delle famiglie  nobili delle province meridionali d'Italia, Napoli. Archivio di S, Agostino alla Zecca, Documento, Archivio di S, Agostino alla Zecca, — Privilegio registrato in Lentini, Napoli, Bologna e Reggio. Ma il ramo principale e quello di Calabria, il quale a sua volta si dirama nei  P. e ex Bugerio da cui dice Cardinale, e nei  P. e De Thomasio. Da quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di  S. Chiara, e da Pellegrina Poerio, nasce P. Discende questi dunque da illustre ed antica famiglia,  in cui pare siano stati ereditari l’cccellenza dell'ingegno e l’amore alle >nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese. I filosofi del tempo sono concordi nel tessere gl’elogi  dei genitori del P. , lodano la coltura e l’alto sentire di  Tommaso, non che la nobiltà d' animo della madre, che fe rapita prematuramente all’affetto dei suoi. Non tarda molto a palesarsi in P. quella grande tendenza ed attitudine allo studio della filosofia, e quella grande tenacità di  mente, che fin dai primi anni fa presagire nel giovanetto  uno splendido avvenire. I n primo suo maestro sta Grasso, detto il Podacio dalla patria, Serra Pedacia. Molti filosofi no  lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida  di lui P. fa rapidi progressi, dando presto chiare prove  che il discepolo supera il maestro. Gi rimane una lettera, indirizzata a Grasso, in cui  l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti  gli ha proposte; ciò che in altri generato un  [Loca Gaurico — Traci.Da Nat.,  Op., Jamtislli, P.. — De Rebiu ecc.Orai, in epist. Cic. ad Alt., ediz. Mattltaei, Neapoli, e In optimam matrem meam primo  desaevit fortuna integra adhue aetata.  De Rebus ecc. Zavarroni. — Op. cit.  fnXk'^ lAk^Ài  •-T»*, che si legge nella cosi detta apologia di Vallo. Passato un certo tempo dalla sua venuta a Lecce,  P.  incorse nell'ira paterna per essersi  mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi  però il padre piegato a più miti consigli, egb", allettato  dal bel nome, che gode a Gorfù Mosco, spartano, al quale accorreno da Veneziike da ogni parte d'Italia,  non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano pe- [De Rebus ecc, ediz. cit., Comm. del P. al e De Raptu Proserp.  Claudiani, Milano] Multa tamen in Graecia antea ilidioerat, admodum prætextatus, in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui,  pater eius, obtinebat, usua praeceptore Stizo, cui nihii ad summam defuit eruditionem filosoficam, præter quam maiua nostrarum litterarum sindium. Jannblli. to«Mi«^hMiA«Mta ] notrare nello intimo bellezze del greco, volle recarsi colà| e  pare che vi si trattenesse poco più di un biennio. Non possiamo dire con procisiono quando egli si portasse  dal nuovo maestro, pare però eerto  che ritornasse a Cosenza intorno, come ci aiTerma  un passo del suo Commentario al De Raptu Proserpinæ di  Claudiano, P. parlando della Delia Oliva di Catullo, ricorda  che per fonte e non per albero  interpreta quell' Oliva quando a Cosenza ha  a  maestro Acciarino. Tornato a Cosenza, riprese quindi P. lo studio del  latino sotto la guida di quest' ultimo, tanto lodato da Poliziano, e ben presto rivela i frutti del savio ed  ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Callimaco quel carme, che ha per titolo e ri ahtx », o interpretando per la fonte che esiste nella Beozia, e non per  albero, la Delia Oliva di Catullo. Giraloi, De Poctis sui temporis. Dial. II.  TIRABOSCHI, Storia della letter. it. — Roma. Spera. — De nobil. profess. gramm, Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus, operam Mosche  dedlit 000. P., Commentario al De Raptu Proserpinæ, Poliziano. — Epistolae,  Commentario al De Raptu Proserpinae. Non bisogna però tacerò che anche P., corno tanti  altri umanisti trova nel paciro un fiero oppositore ai  suoi studi prediletti. E ornai divenuta tradizionale nella famiglia P. la  tendenza alla carriera giuridica, sicché Tommaso si mostra dispiaciuto verso il figliuolo, che preferisce lo studio della filosofia e dei  classici a quello del digesto e delle pandette. A quale perìodo della vita di P. deve però riportarsi  questo fatto! Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso  il figliuolo, afferma che bisogna riportarlo a quel tempo in  cui quest' ultimo apri pubblica scuola a Cosenza [V. Un accademico pmitaniano, precursore d’Ariosto e di Parini. Ariano — Stab. tip. Appiilo-Irpino. De Uchus per cpisloìam ecc.: e Neque vero  comineinoralH), quod ut hune quantulu in cuinque litterarum profectum  iiiorarctur indulgciuU alioqui in me patria animum depravavit Fortuna,  no sumptuA ai ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a maloribus trita semita degeneri, quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra. Morelli — De Patricia consentina nofnlitaie,  De vita et scriptis ecc.  A. qia:«o paukasio  Ciò non ò prosaniibile, poiché Tommaso P., da uomo accorto ed intelligente quaPerai non avrà certo atteso che  il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per costringerlo  a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico invece ci sembra che egli cerca di piegarlo ai suoi volerli  prima che del tutto uwa^^N!w'    luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle opere dei pia  valenti giurecbusulti, corno ULPIANO, Paolo, Modestinoi PapiuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giovanetto, reso ancora più manifesto dai non pochi errori grafici,  in esso ibcorsi, ed eliminati evidentemente da una futura correzione. Pare però che in Tommaso P. abbia finito col trionfare la generosità del suo animo. Sicché, specialmente quando  vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi antenati,  dove certo venire a più miti consigli verso P.,  e permettergli di seguire la naturale tendenza del suo ingegno.  Non crediamo punto di errare asserendo quindi che egli stesso lo consigliasse a lasciare Cosenza, dove presto la scuola   di luL. cra salita in grande onore, ed a recarsi a Napoli, dove già egli occupa la carica di regio consigliere di  S.Chiara Però inclineremmo a credere che P. non si recasso  allora a Napoli per la prinia volta, poiché nell’Oratio ttd  ratritios neapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per salutare gl’amici, da questi, che già per prova dovevano  conoscere il suo valore letterario, venne invitato, anzi forzato,  a tenere un corso /li lezioni sulle Silve di STAZIO. Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere  del Pontano e della sua Accademia, dopo il cenno che ne  abbiamo fatto in altro nostro lavoro; solo ci piace osservare che sebbene P. si assumedse il    Toppi. — Dj Orig. Tribun. Bibl. di Napoli. € Ai io  praesontiaruui Viri patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas,  A'I vostram rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem,  ab eìndem post aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala  quod dicerent nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe.  Un Accadeimco poHtaH'ano precursore d’Ariosto e di Perini, Ariano, Sub. Appulo-Irpino. tei*«*MÌB     iimtaa lm  Pantapdogia ealabra, — Napol, De Patricia consentina nobilitate. — Venezia, Morelli. e Ferdinando II regi admodum  carut, cuius ingenita servitia laadantur, Bibl. Nazionale di Napoli. La lettera si trova nel codice già descritto. Il M«MkMd«M*^*k#«J)A« j  V^»^tlm,  Dopo avere a lungo discorso della divinità egizianai P. cosi pone termine alla sua lettera: e Qui Fortunæ si nonduin omnes ad unum bonos libuit  excindore, si nomen Aragouium propitìa rospicit, te, lapsis  tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clementiam,  mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maiores tuos intueri debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude  per iniuriam doiectus cs, industria virtusque te rcponant. Come ognun vede, questo principe aragonese per iniuriam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il  quale dopo la battaglia di S. Germano e l' insurrezione degl’Abruzzi, non avendo potuto mettere un argine all’invadente  piena, che si era rovesciata nel suo regno, lascia Napoli per  fuggire alla volta di Ischia. Merita similmente di essere riportato il seguente brano  della lettera in esame:   e Audio te esse egregiæ iudolis adolescentnlum, animo alucrem, iugenio potentem, frugalitatis et continentiæ  in istis animis admirandæ, patientem laboris, a voluptatibus alienum, firmiterque laturum quicquid inædificare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere. Dai passi succitati, specie da quest'ultimo, in cui è  descritto minutamente il carattere di Ferdinando, chiaramente si vede come tra il principe ed il filosofo sia  esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale  amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando P.  Audio è qui adoperato noi significalo di conoscere. Cfr. CICERONE:  4 Audit igitur mena divina de s^ngalla.  A--, -1- a . lait. "-Tfc'- i r» t * mi^ ^i i H m» ; e fo-  ccndogli affidare V ufficio di e cavaleris penes capitaneos  terrarum Montaneae et Civiteducalis, potestate substituendi,  cum gagiis et emolumentis, lucrìs et obventionibus solitis  et consuetis et debitis. Non ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in  parola. Ci limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui  chiaramente si vede l'alta stima, che il re Alfonso ed il  principe Ferdinando avevano di P. : '   e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae  [Chàritio. Endimione. ^ Canxooe Vili. Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo.Napoli. Erroneamente Tafuri crede di identificare nel Barrhasie dtà  Chariteo, Giovanni Marrasio; come pure a ingannarono coloro i quali  supposero che fosse Barrasio, regio consigliere et presidente  di Camera [Archivio di Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon. clovotionis ot fide! præfati Pauli, ac considerantcs sorvitia per   oum Majestati nostrae praostita et impensa iis et aliis considerationibas et causis digne moti, praefato Paulo ad eius vitæ decarsum iain dieta officia. ; haberi volumus pro insertis et expressis et declaratis. Pare però che P. non occupa a lungo questa  carica, che, se gli procura danaro ed onori, non dove certo concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi  studi prediletti. Ecco perchè lo troviamo a Lecce  in DeeU"  iiam 8cribarum carica molto onorifica, alla quale non puo  aspirare e nisi honesto loco natus, et fide ot industria cognita. Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a LeccCi  si rammenta  P. con rincrescimento e disgusto quando svaniti i sogni si dedica di nuovo e  con pia lena allo studio delle lettere: e lam vero piget  neminisse quod ab ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque  me tradaxit Fortuna i (3):   n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando  impugna le armi. Non crediamo però di errare, sostenendo  che ciò sia avvenuto nella lotta degli Aragonesi contro  Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e ut consuleret  sibi patrique i, come crede lo Jannelli Come i suoi illustri antenati, nei quali rifulge inteme-  rato il sentimento della fedeltà e della gratitudine,  P. corse  subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se  dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl-  Apologia del Vallo, Ipse Janus in eam provinoiam  Japjgiam, quam pater rexit, adolescens Scripturam fecit. Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist. Cie. ad Att.  h   I I i*' i ' 1 ^ 1 là i M "j   i \ Mr 'cercamo la causa nel suo giusto risentimento, quando vide  la sua devozione ed il suo zelo indegnamente ricompeasati  da re Federico. Oi parrebbe quindi verosimile che P. segue il principe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito e mandato  da re Alfonso nelle Romagne, e che prendesse parte a tutte  le vicende di quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny, ed alla stessa battaglia di S. Germano. Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma  siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che P. mostra di aver preso alla causa aragonese, e da quel  continuo accenno all’armi, a cui, altrimenti, non sapremmo  dire in quale altro periodo della sua vita egli si sarebbe  rivolto. Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma di P.  contro Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo). Si fortuna levis de Consule Rhetora fecit. Et ferulam gerirous qua prius arma manu. Nonne eoe. La parola co9isìU ci fa credere che P. fosse giunto a qualche  alto grado nell’esercito aragonese.  i«A>^i— •'^bA*«Jwti w>i>»i' » .a  IW »^f *m' ^rtèmtmr'nmmm   in.   P. P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona  col voto di poterlo rivedere, prima di morire, sul trono degl’antenati: e onte meos obitus sit, precor, ista dies >•   n giorno desiato non tarda molto a spuntare: dopo  quattro mesi, Ferdinando rientra in Napoli,  festeggiato dal popolo, e cosi il voto del fedele P. fu pienamente adempiuto. Allora questi e reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio  perduto dopo la conquista di Carlo Vili, e ritornato a Lecce,  si dedica con ogni cura all'emendazione del testo di Solino: e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego  nomen proftteor meum: Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia,  nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria. Ma Ferdinando II godette ben poco del possesso del  trono ricuperato, poiché dopo un anno appena morì, lasciando la corona allo zio Federico, che, inetto a regnare,  da l’ultimo crollo alla dominazione aragonese. AtSS. DibL Nazionale di Napoli. Da una lettera contenuta nel  Cod., diretta non sapremmo ben dire se a Oiovan Battista  Pio Bolognese o ad Aldo Pio romano. Inc. Atqul tua cum bona  venia fallit te ratio, mi Pie, »   MiJII *!■.     "-* Vii r J rrn ' " r '~ - V t f'^-'f^J'^come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi  lo legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae  commodorum; ebbene ora, invece del premio dovuto,  di quel posto onorato, di quegli agi sognati, gli si getta  in faccia l'accusa di traditore.   Il letterato ha forse sperato di poter col  tempo raggiungere l'alto grado del Beccadelli e del Fontano. Ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati sono svaniti,  gettandolo nel più grande sconforto. Ecco come dolorosamente egli esclama contro la maligna  sua sorte: O calliditatis inauditum genus ut Fortuna iuvando  noceret, ad opes me evexit et dignationem I Verum simulao  animadvertit eius aura, simulatoque favore de pristina vitae  ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes acces-  siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas  referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit,  ne virtuUs comes esse cogeretur. Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di quel  cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole,  che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso  la fortuna suole lasciare il virtuoso I   Ma l'abbattimento morale, in cui era caduto il F., fli  puramente passeggiero : fornito di quella lealtà incarnata nella  virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé una  potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del  momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e  sopportare la sventura.   Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q  Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile  [P.— Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. —  Neapoli W. ,- r^'ir s       6 grande carattere: al giovano inesperto successe l’uomo  dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe  peripezie della sua vita, anche quando tutto gli venne meno,  ebbe ancora un terreno sul quale restò invincibile, il coraggio  e l'integrità. Ecco come egli nobilmente si esprime. Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in qnod  incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii,  quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu  prqposìtoque permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes,  (quod indicat incolumi statu qualem me gessissem) solus ego  furienti Fortunae laqucum mandabam. Fiere parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura  di calabrese, che nelle calamità della \ita resta saldo a guisa  della torre dantesca, e assicurato dalla buona compagnia che  V uom franclicggia, eleva baldanzoso la testa e con aria fiera  e calma volge ai suoi calunuir.tori uno sguardo, in cui si  compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per la  viltà, che striscia ai suoi piedi.   Ben diverso però è il P., che ci presenta lo Jannelli:  freddo ed insensibile dinanzi a quelle pagine palpitanti di vita  reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi si vede colpito  in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo ci &  del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che, ve-  dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere >)  diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi. Jannelli, a sostegno della sua asserzione, non  adduce altra prova che qualche parola di lode, che il P. a-  vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi, durante la  sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di [Orai, cit., ed. cit., pag. %iA. De vita et icriptis ecc.  > ii^i'/" r>^.iin^ii -i.Jm'imI mk^ i' V*««>i>hi^iiilW [j^WjiWiiM; M>iM»W li» IfiI^ l'^l 11 ^«yy Q \»t ' 'l ^^ l| tf »^rfi>>ii»Wi T i K i * *iteto  di tiranno (3}«     • Lasciata Napoli, non poteva fl  P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale  agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata  [P. Epìstola ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et  Prudcntii cariuìna. i«iw*i ^i«i^i*ii>  «2da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama, chia-  mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali  SACCHI (si veda) Sacchi, detto il Platina, il grammatico Venilano, il valente grecist-a Baldo e, per non parlare  di altri, Inghirami, giustamente detto dftl P.  e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis »Fin dai primi giorni in cui il P. conobbe quest' ultimo si  senti legato a lui della più salda amicizia, che, per mutar di  eventi, fu sempre viva e sincera. Inghirami, all'alto  sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno  dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in  molti casi, come vedremo, fu per lui la vera ancora di salvezza. Libero omai dalle fantasticherie giovanili, e spinto da  quel tiranno signore dei miseri mortali: il bisogno, l'umanista  calabrese si dedica agli studii con più amore ed alacrità che  non avesse fatto x)er lo innanzi, riuscendo, dopo non molto  tempo, a completare la correzione del testo di SOLINO e di  quello di AMMIANO MARCELLINO.   Ben presto occupa un degno posto tra' più illustri let-  terati, che allora professano a Boma, e diede subito chiara  Orat. ante praelec. epist. CICERONE ad Att., Orat. --  ut me, quo priroum die Romae \idit, arotissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe  iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult. R. Bibl. Naz. di Napoli. Orat. ad Sen.  Medici.Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae contubernalis  est; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio floreha*  mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi vero-communis illa  tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit, ardenter adeo man-  suetloribus Musis operam dedimus Ammlani  Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex  antiquissimo codice Romae exserìpti.] prova del suo sapere, specie nella disputa avuta con Antonio. Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro della lingua greca,  aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche interpretazioni,  che voleva gabellare per irrefutabili. P. in sulle prime  cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui  era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi-  nione, anzi aveva osato finanche minacciarlo di morte, non  ebbe più alcun ritegno di rendere di pubblica ragione la poca  valentia del protervo grammatico.   Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli fti  assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato  molto onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dottrina. Appunto in quel tempo e scelto a maestro di Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta, a  di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze. Parva  che un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per l’infelice P. ; ma purtroppo allora Boma gemeva sotto il giogo  di Alessandro VI, lo scellerato pontefice, di cui, come ben  dice MACHIAVELLI, tre ancelle seguirono le sante pedate:  lussuria, simonia e crudeltà.   Forse molti dei delitti di casa Borgia saranno stati inventati dall'accesa fantasia dei romanzieri ; ma non si può certo  sconvenire che fu sparso innocentemente il sangue -di nume-  rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra questa  bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P., Silio  e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari pontifici,  Quaesita per epist.ed.  Orai, ad  Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non poeniteat, et aK  aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios orbis terraram,  oratoriam publice profiteremur Vallo. Apologia; Orat. praelec. epist. Cic. ad Att.« edix.  Ciu  A .111 I  IWH   1  solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige  ai nefandi voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo  Cesare uno stato, che comprendesse tutta l' Italia centrale,  non la risparmiava ad ogni sorta d' immani scelleratezze.   Poco mancò che il P. stesso non fosse coinvolto nella  disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi, lo dovette solo  all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico Inghirami. Allora P. si recò a Milano,  dove gli erano riserbati infiniti altri dolori. (1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag. 247: € quam  Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me Bernardini  .Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret Vallo. Apologia : € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu-  venalia, in Galliam citeriorem migravit. Orat.  € audivit in Gallia citeriore portolo iam me  tenere^ Mediolanique publice conductum profiteri. U Parrasio a Aliano.  Importanza storico-letteraria di questo  Lotta col Ferrari e col Nauta.     Luigi XII, oltre le vecchie pretese sul regno di Napoli,  a causa del matrimonio di Valentina Visconti, figlia del duca  Gian Galeazzo, col suo avolo Turaine, affacciò queUe  sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi disegni  dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si affrettò  a mettere in opera il suo disegno.   Assicuratasi l'amicizia di Alessandro VI e della repubblica di Venezia, mandò in Lombardia un esercito, ohe in  breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il ducato  ed a riparare nel Tirolo.   Ma ben presto i Francesi con le loro soperchierie fecero  rimpiangere il governo del Moro: questi pensò di trame profitto,  e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari  Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi.   Il suo trionfo fu però breve ed illusorio, poiché venuto  a battaglia, presso Novara, con l'esercito francese comandato  da Trivulzio, i Buoi Svizzeri si rifiutarono di combattere  coaitro i loro compatriota del campo francese, e cosi la sua  rovina fu bella e decisa. I»!Mm iM 1 M»S»>»mmi^*mm i0mi  >m*^m  tfhrfi*»*h- -««wAhAi*Fallitogli il tentativo di fnga, il Moro fa preso e man-  dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ; cosi il  ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese.  Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Amboise, il quale, fedele ministro del sao re, vi riscosse  ben trecento mila ducati per le spese di guerra, inasprendo  coUe sue angherie sempre più l'animo dei Milanesi.   Forse per coonestare in certo modo questa sua condotta,  il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano la  nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a-  vuto valenti cultori e pptenti mecenati.   Si sorbava ancora colà memorili della munificenza dei  Visconti, degli onori tributati al Petrarca dall'arcivescovo  Giovanni, e degli aiuti largiti da Galeazzo, Giammaria  e Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier  Oandido Decembrio, Loschi, Barzizza,  Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo il  ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza,  soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca-  pitale lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia.   L'Amboise protesse anche lui i buoni studii e fti largo  di aiuto agli umanisti, ohe allora professavano a Milano:  Giovan Battista Pio Bolognese, Ferrari,  e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio Oid-  oondila. TiRABoecBi. — oRosmini. — Storta diUUoM, Milano, Sax. — Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., Aboslati. ~ BM. Script. Mediai., TiRABOSCHi:Aboslati. Sax. Fiorivano allora anche valenti poeti : CATTANEO, Curzio, Dulcino, Biffo, Leone, tutta una flora di eletti in-  gegni| in mezzo ai quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio.   Como dicemmo altrove, questi giunse a Milano, come ci attestano chiaramente oltre la sua  lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Cotta, pubblicata anno maturius dalla eua venuta in  questa città (VII Kalendas januarias MD), la prima lettera  inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus tnis  pridie , e l'asserzione di essere rimasto  a professare e octoqne per annos in Gallia Citeriore.   il tempo che il P. dimorò a Milano a ragione può dirsi  il periodo più burrascoso della sua vita, a causa delle lottOi  deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile guerra d'in-  trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima.   Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande  filologo calabrese, il quale appunto allora a noi paro che  [Tirar.Aroxlati.Giovio. — Elogia Vir. Uu. iUustr.^   L uo Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I.  Rosmini. — Vita ilei Maresciallo TrivuUio. Bakoell, Novell.— Sax, Sax. — Mazzuchklu. ^ Scriu. d' ItaJUa; Rosmiki. Vàa dai Hear.   Triwd.. Sax. *yM!' .* 'ortatì. Noi però più che ai versi di Lancino Curzio, Sacco, Plegafota, Dulciuo, Biffo, quando  non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at-  terremo aUe orazioni inedite, pronunziate  dal P. a Milano.   Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse  puramente letterario, altre ci forniscono xireziose notizie  biografiche.  Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, Catania,  Tip. Francesca Galati, Praefat., A P., neapol., In nuptiis J. P. et Tbeodorae  Calcondylae », Bpitalamla, De Justitia, De Jore, Praelectio, Praefatio  in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum, Praefatio  in Liviuin, Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm ecc.  àmktw,titi ihi^t^ »«haaa-^^i Queste, che pobblieliereaio ute^ralaieate is appevUee^  crediamo che debbano disporn ia questo nodo^ per ordìao  di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad Seaa-  tom Hediolaaenseoi, Oratio ia Minattannm, la Loeiom  Floram, PmeCitio ia Femoai, Praelatio ia Thebaida. Di capitale importanza, per le ootizie che a foraiseoaa  8aografo, che coli' uno e coli' altro  wu9iicre si era formata una certa fortuna.   Questi non si lasciò certo sfoggire l'occasione di sfruttare  a suo vantaggio fl giovane filologo, già abbastanza noto nel  mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si, e gli asse»  gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico della  correzione dei codici, che egli poi pubblicava per suo conto.   n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine,  fra cui fl Cirii, erroneamente attribuito a Virgilio, e la  Vallo, Apologia^ ediz. di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe-   eoBÌAe samniani sludiani ; dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat,  ted ad quaestum, qao nttri omnia diligit ex animo nemioem. Caias   aiaieaa ae aimalat, io hooe loddiaa priaom aoetit »• Oralio 10 ia  kiontiaooa : € Meom foit iUod in to benefidom, ai noaela, mona al  la domi, fona, in ro privata, in ro publica, in atodlia invi, anaUnni,  ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa, qol diadpaloa amdiebam aohia» oC  amen da n ^ provindaa aoatinabaa. P.Canim. D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz   Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^  IpdqDO Mlnntiano dadhaoa Imprlmaodoa Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a DONATO e  non a Servio, come molti ritenevano ai tempi suoi.   Ne soltanto colla propria attività P. mostra ol Minnziano la propria gratitudine. Questi più che dall' amore per le lettere, spinto dalla  smania del guadagno, aveva da poco pubblicate le opere di  CICERONE, in cui, con grande presunzione, aveva messo fuori  tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate in-  tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno  dell' irritabile genus, specie del grammatico Ferrari,  valente cultore del grande stilista latino.  Si schierò poco dopo contro di lui anche un tal Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti  gli si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti  errori, di cui erano rinfarcite le opere pubblicate.   Il Minuziano, di natura temerario ed aggressivo, cercò  di lottare contro i suoi avversari e di difendere il suo la-  voro; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal Fer-  rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr-  niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r-  siqtte CICERONE. Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a DONATO la Vita di Virgilio, che altri poi, corno parrebbe realmente, attribuirono ad Elio Donato, il quale avrebbe attinte non poche notixie dalla biografia di VIRGILIO contenuta nell’opera di SVETONIO € De vlris illustribus »•'   Valaraggi, che si occupa della questione (Rivista di fil. class.) ritenne che la biografia appartenesse  ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti bisognerebbe  ascrivere il commento di DONATO e forse quello di SERVIO.  P. Comm. De Raptu Proserp. Tiberìos  inquam Donatus, non Servi us, ut vulgo fere creditur. Sed Donati iam  titulo nostra castigatione Minutianus impressit. ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai. Orai. IH in  Minutianum.   ì n n f^_ 1 i ~  i " ìl i --r^tr  Fu allora che il P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per  quanto convinto e dolente nel tempo stesso di dover soste-  nere un' ingiusta causa, pure fece parlare al suo cuore la voce  della riconoscenza, e prese a difendere il suo ospite (1) e o-  biecto Minervae clipeo. Essendo Minuziano poco caro alle Muse, e non sapendo  maneggiare quell'arma perfezionata del tempo: l'epigramma,  il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che quegli  mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3).   Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed  a scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi  a venire in campo aperto.   Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati e  pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at- [Orat. IH in Mi-  nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule iiiciDinissa)  suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque in. me fuit, io-  deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo capitis mei  pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido.  Vatlo. — Apologia.  Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero nemico del  Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca, (Sax.  Hiat. Liti. Typograph.) scrivesse queircpigramroa (pag. 32,  1. Ili Epigram., Milano) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM  Calvum Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del  futuro biografo del grande umar^is'a:   DocU Parrhasii delltlae, FaU,   Vates nec modicus Pieridum in graft ;   Ex quo pr«csos opem dot, facit et rabl  Ut sis   Doctis docta refer, die : studlis vaco.   Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo. A queirepoca il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon-  dila cbe intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio,  sicché, tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel-  Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva  bello delle penne del giovane pavone. tAceato più fieramente e fece oomprendere al fiero eorso che  quella mano, che maneggiava la bacchetta del pedagogo^  aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada:   S fòrtana kris de coosale rbetora fecH,   Et lierohuai garìnms qua prìns arma mano.  Nonne eee.  Ed a mostrare che alle parole sapeva far seguire i Catti,  non ebbe alcun ritegno di penetrare nella scuola del Ferrari-  e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano. Allora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due  retori uno scambio di fieri epigrammi e di virulente invet-  tive (3), fino a che la .partenza del Ferrari (15, dopo avere però ancora  uua volta sfogata la sua bile contro il Minnziano ed i tristi  tempi, che lo costringevano a lasciare quella città.   n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere  in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare l'ul-  tima scudisciata al suo avversario:   Noo te, crede mìhi, iactae quae tempora pelliint.   Aurea lalciferi qualia ficta Dei :  Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae,   Luxua, et omento piaguis aqualicolus. Vallo. — Apologia.  {Z) Op. di.  Jannelli ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P.  In Aemiliam — In Nautam », Aroslati. Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42.   Jakiuoxi.  n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a la  poca stima della propria dignità, e quam post unibram la-  celli semper habuit », non comprese, né potè apprezzare  il sacrifizio che il P. aveva fatto per Ini.   Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si dedicò con  pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o nulla  riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a ritor-  nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi, disinte-  ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno.   Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel  tenore di vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno  procurargli una comoila e tranquilla esistenza ; sicché, ade-  rendo al consiglio di quelli che apprezzavano i suoi meriti,  abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri scuola a so in casa  del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta, che  generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo dalle  unghie deU'avaro pugliese.   Questi finse di non dispiacersi di questa risoluzione del  P«, e gli concesse volentieri il permesso di eseguirla; ma in  cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella lotta  vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti  per rovinarlo. Oratio I io  Miootianimi.   (2) MSS. R. BM. N(u. di NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in  MinaUaiiiiiD »P. Epistola ante Comm, De Raptu Proserp., Milano.  e Qttom lualtos oronis onlinis aetatisque diacipulot habeam, monim gratta  earìssimos, noster in te amor praecipuus est et sìngularis »,   Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH,  € tu nos invidiae   lelit eiectos opibus et otBciis cumulatissime iuveris. Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum reum (Janum) ab   Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter Catullianum Cottam,  euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi simulata fuit eius  ormtio-**tr--'» i j  nia'i ni> ih^l I» rliy-'a^iif Tf rtal^ J•l-fiiri.É" irnS "f'"\' i^ì"fT-J*»^-^^pp««^^iit*=a      n P. in sulle prime -non diede gran peso aUe tristi insi-  nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a proporre agli  alunni il medesimo esperimento del flautista tebano, Ismeneo,  ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori, per  Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei-  Parte sua .  Incoraggiato dal plauso generale, P. si dedica con  maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non  molto tempo il suo commentario al De Raptu Proserpinae di Claudiano, dedicandolo, quale attestato della sua gratitudine,  a Catulliano Gotta (6).   • n lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio,  non poteva ottenere miglior successo : il Curzio, il Mariano, il   Vallo. — Apóìo^.  Orai. I in Mi-   noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non verbis enumeraret,   qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs aceepta, vobiscum  oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, inagno verbo-  ram strepitu blateraret. Orat. I in Mi-  natianom: € Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare  tentavimus, an aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum  miserlmos, quam ut recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et  Marsiae cantom differat. CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. P.,.!  MedioL 15». /t'^Ìij.>i»;|ii.iCattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero dogU  epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al  cielo i pregi peregrini.   In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire la stridula voce  del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non potendo  criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa x)anzana  che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un  codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di'  cui era venuto in possesso.   Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo ricono-  scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile - del  PaiTasio.   Questa pubblicazione e le altre due : De viris illustribuè,  opera da lui attribuita a Coinelio Kepote ed il Carmen  Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con  bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-'  reno maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be-  nevolenza e la protezione di Stefano Poncherio. coltissimo  Coroni, al De Ra^du; Valix) - Apolotjia; Jannelli — RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. — Di questo  rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca Ambrosiana  di Milano. CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane Parrhasio  et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis codidbos  emendatus. — Medici. 1500.   Nella seconda parte del nostro studio esarainercrao le ragioni addotta  dal P. a sostegno della sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos  cuius sit), che, per quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai*  colpi della critica moderna.   Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli praeler  Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner  (4) Seoulii Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI , P. II, pag. 259 ; Argblati —  op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri Scrittori del Regno di Napoli] vescovo parigino e presidente del Senato milanese, venuto  in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale d'Amboise.   Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè ottenere  che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute  le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi   dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi-   nibufl > (1).   n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima  accordatagli dal Poncherìo, il quale, avendo conosciuto da  vicino i meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori,  sino ad invitarlo spesso alla propria mensa (3).   n Minuziano, che non aveva potuto, o meglio aveva  temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo, come la not-  tola, la luce del sole, nonché il e controllo di quella giusta  bilancia, senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed  acuire il suo sdegno contro il Parrasio.   Nel secolo dell' umanesimo la calunnia era Parma a cui  solevano spesso ricorrere i e gladiatori > della penna, in queUe  loro interminabili contese, destate per lo più dalla loro am-  bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di giogo,   Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per  Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii.   Dal diploma originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg. Orat. I in Mi-  not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria am-  plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri regis  Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui sumrous  bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns, maio-  ribns in dies anctet praemiis Vallo — Apologia: « Amplissimus Stephanus Ponoherius.....  hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane oonviotore deleotatar ».   Orat. I in Mi-  nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe quia  Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere. ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà  cbe, faecimno nostre le parole del Voigi, portò 1a Tite ed  il faoco nel campo sereso dcirarie, il malconiento e P in-  trigo nel campo dei letterali. Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria  le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne,  fingendo casi ed azioni infamanti, accamnlando le più atroci  calunnie, senza peritarsi di inzaccherare persino i pia sacri  affetti familiari. L'animo basso del Minnziano, nato per avvoltolarsi in  simili bruttare, non rifaggi daUe pia atroci accaso, dalle  pia sozze calunnie per rovinare P. Quasi non bastasse il discredito, che cercava gettare nel  pubblico, ardi finanche d' irrompere nella scuola stessa del  suo avversario e di vomitare contro di lui, al cospetto dei  discepoli, ogni sorta di contumelie. Lo chiamò ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im-  moralità e di tradimento, e, per colmo di spodoratezza, lo  accusò di aver commesso a Napoli un omicidio, causa della  sua precipitosa fuga da questa città. In questo genere di lotte infamanti, dopo i successi ot-  tenuti, il Minuziano doveva ornai stimarsi invincibfle: altre  ne aveva già sostenute contro Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele     (1) OiOROio VoioT.Il Risorgimerto dell’antichiià classiche. Firenze, Sansone, Rossi. — Il QuaUrocenio. ÌISS. R. DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in  Minot. : « netnini parcit, oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit  insectatur, ac ut imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit. Orat. Il ia  . Minut. : « Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis   profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom hominaia  tot immanibus calumniis provocassi. Orat. m in  Minut. : « Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood  ipss fingis, sed odio tyrannidis patria cessi. mti f ìtai'iMH» k0mim: ^mtm^mUmam, tmfmimmé»*^mÉ  titt^^m*tì Miii jiiifc^>> I  BegiO| Gioyan Battista Pio (1), Talenti letterati, costretti  dalla tristezza dei tempi a venire alle prese con on ribaldo  della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a lai, per non  scapitare troppo nella propria dignità.   Però avversari più fieri incontrò il Miunziano in Leone e soprattutto in Lancino Curzio, il quale, come pare,  per primo gli affibbiò il felice nomignolo di mosca pugliese :   Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus, atqae  Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit.   n P. parimenti tenne fronte al rabula petulantis- j  simus, però volle aspettare, come disse ai discepoli, il tempo I  ed il luògo propizio per scagionarsi delle accuse, che gli  •erano state inflitte (3;.   Oome pare, appunto allora il Poncherio volle dargli la più  alta prova della sua stima, ed offrirgli il mezzo per trionfare  altamente sul pedante avversario.   Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di  oratoria; dietro proposta del degno prelato, il Cardinale Orat. HI in  Minot: « Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in  Baptistam Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene  doctos, quasi furore quodam percitus, olim debacchatum esse ».   (2) Lakcimo Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud  Rocchum et Ambrogium fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot  fisdebat, 1521 in folio.   Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva nella Biblio»  teca di Brera una delle poche copie che rimangono. Orat. II in  Minut. : € Non veni responsurus, ut suKpicamini, maledictis jurgationibus  et conviciis, quibos hesterna die nequissimus ille bipedum, non tam ma.  In qaem illa minime cadunt, quam sanctissimas aures vestras oneravi!.  Aliad certe tempus, alium locum illa sibi poscit oratio, quod ubi consti-  tatnm mibi faerit, efficiam ut sciatis.] d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo-  capar. Solo dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato  milanese, pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2),  bella per vigoria e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^  spressioni, e soprattutto per la sicurezza e la serenità dei  giudizii, dettati da una coscienza forte e tranquilla, sotto  Voshergo del sentirai pura.   Degna poi di speciale menzione è P orazione inaugu-  rale tenuta anche dinanzi al Senato milanese : se in essa  trionfa, come generalmente nelPeloquenza dimostrativa del  secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni|  immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen-  sieri nobili od elevati sulla vera missione dell' insegnante e dei precetti pedagogici, che ricordano alcuno massime di  quei due insigni educatori umanistici : Guarino veronese e  Vittorino da Feltro. Chioccarblli. — De illusi, script. ^ pag. 232; Jaknblu. Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter Cardinalis,  Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius Ultramontes,  Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante loco publico  lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe Mediolani, per absenUam  inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus Parrhasius Neapolitanus pelili  8ibi de ilio loco provideri. Quare nos freti doctrina, moribus et ititeffritaU  eiusdem Jani, illi annuimus, et magistrum Janum constituimua ad pu-  blicam professionem ipsius artis Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad  placitum Christianissimi Regia nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ; centenis quinquagenis aureis) Datum in arce Portae Jovis, Mediol., Questa orazione figura prima nel codice, e tale fu creduta dallo  Jannelli, il quale perciò non potette delineare esattamente la vicenda  della lotta. Oratio ad Se-  natum Mediolancnsem : Non enim parum refert quam quia initio di-  sciplinam sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt,  ac ita penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant.   '[ I»!»* tl^ I Milli L'oratore, dopo aver parlato dell'efficacia singolare che  un buon indirizzo educativo suole avere sull'animo dei gio-  vanetti, sino a decidere del loro avvenire, rivolge belle ed  acconce parole di ringraziamento al Senato od al Cardinale  d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però accennare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle  quali l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie  di Minuziano. A differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio  del Filelfo, con audacia più o meno boriosa, si credevano ed  amavano fiEU*8Ì credere dispensatori di gloria, P. rifugge  dalla consapevole ciarlataneria adulatrice, come pure non  sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da quella grande  vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel Valla  ed in tanti altri.   Ed ecco perchè egli, con una modestia ammirevole per   e   quanto rara, prega i suoi uditori di non voler ricercare in lui  altri beni all' infuori di quelli, che gli procacciò il bisogno.   n P. non poteva meglio corrispondere all'aspettazione  dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in dieg  magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta  in lui. I filosofi del tempo, quali il Curzio, il Giovio, Or. oit. € H^beo  Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa daretor  etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni me, licei  illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui Chrìstianiariaii regia  peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen prius admiaeritis ad  endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam Tigilantisaimia veatrìa ocalia  exliibitom aliquod perìcolam faeere apecUTeritia »•   (2) Vittorio Roesi.Orat. di., Cod. eit. Op. eli., 1. di.  Bugia Vir. Uu. iOusir Giraldi, Q Bosmini (2), Q Tiraboschi, n Plegafeta (4),  e tanti altri ci attestano concordemente il plauso * riscosso :  non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e le  lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci  limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco,  che nella loro forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri,  quel vero entusiasmo che il P. riusci a destare anche nella  più eletta cittadinanza milanese:   Dam legit et Janot concenlibas aera compiei,   Doleis et in nottras perstrepit aure eonue.  Qoae Veneree homini dictant modulamina vocis f   Hunc gratum innumerae, non Charia una facit.  Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole».   Canina et Astrorum porrìgit ipse manum.  Ingenita eei illi mira quam vìtIì et arie   Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf  Adde quod hanc ditat longisaima copia rerum :   Fertile doctrinae quod gerii ingenlum !   B in verirà il P«, oltre la grande erudizione, possedeva  tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a procao»  dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo occhio  vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel-  l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di-  gnitoso e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano  le moltitudini. DmZ. i De Poetii sui t&mparii. Viia da MarudàjOù Triwdtw. AxfoxLo Oabriillo da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm,  T. lY., pag. XY e aeg.   (^ Yallo. — Apologia.  PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L I, pag. 2U  OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^  Ed ecco perchè dappertatto, anche da lontani paesi (1)|  accorrcTano a lui giovani e vecchi, valenti letterati e per-  sone mezzanamente istruite.   Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Trìvulzio, che carico di anni e di allori militari,  traeva grande diletto daUe lezioni del giovane retore.   Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio al  maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti  spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione AUora, verso il 1503, sia per suggerimento di Stefano  Poncherio, sia per non dare agli alunni il poco lodevole e-  sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si mostrò alieno  dal pacificarsi col Minuziano (4).   Con questo nobile atto egli volle prendere sul suo avver-  sario la migliore delle vendette : il perdono, e mostrargli cosi  chiaramente, come disse poi ai discepoli, che e multo speciosius  est iniurias dementia vincere, quam mutui odii pertinacia. Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si commemorare sin-  gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam re^onibufi Jani  traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores indignabantur ».   (2) Spbra. — De nobilit, profess. Spiriti. — Uo-  morie dei filosofi cosentini; Zayarroni. — Biblioteca  eaHabra; Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli, Barrio. — De Sita et antiq, Baylx. —  DicUonnaire liistor. et crit, Praefatio in Per-  dum : € Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non  iudicio (qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari-  tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi. Fraefatio in Per^  sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an tertios  agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo, quando fere  iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis auctoribus in gratiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper Quum   praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano Poncherio) factu-  rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in me desideraret.  La soddisfazione morale provatieno sempre più vasta, le sue osserva- .  zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia profondi. .   Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti *  ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. In primo luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta  mitologica ex Pindaro, che ci attestano chiaiamente  quale fosse la sua erudizione in fatto di mitologia, nelle cui  CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta corrispondenza eoi fenomeni naturali. C&rt. Mi.,,  di e. 119 non nom., oltre le guardie; è legato di pelle e  attesta la medesima provenienza degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex  Jani Parrhasii testamento. Ex Qlympionicis Pindari », expl. eoa  un rimedio contro la podagra € et conforterà lo membro debole. P. Gomm. al De Ra^u Proserp. € qaod  non Cjolopea tela.  È parimente un lavoro di compilazione fl codice ohe  contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli  si servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte  le sue opere.   Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli  e Excerpta ex Polisno et Polybio e negli e Excerpta  historica, grammaticalia et geographica, come pure nella  compilazione del e Dictionarium geographicum lavoro  di grandissima mole, che rivela uno studio lunghissimo ed  una pazienza sbalorditoia, per disporre alfabeticamente nomi  di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti come egli  dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am-  miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio  Bhodio, Barbaro, Alessandrino, Nicandri  interprete, Gocciano etc... >r   Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici,  contenenti notizie di vario argomento, ricavate da diversi  Cari. aot. di  e* 21 interftmente scrìtta e non num., mm. ; — Antonii  Serìp. etc. Ino. € si possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa*  tere videtor ».   Cart. aut. di  e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche in principio in  ia mazzo ad alla fine, Sarìp, atc. — Excerpta ex Poli»no inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm  dnxerunt in Parthos ». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam  oonsulas » ; ezpl. : € inde opima retnlit spolia. SS   autori, ed in ultimo un Tolaminosissimo e Nomenclator,  di parecchie centinaia di pagine.   In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar-  vero straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata  la lode che gli tributaya Toscano:   llle sul Janus sftecli Varrò, ille vetarnam  Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi,   E non altro che lui, colla sua erudizione e col suo se-  vero metodo scentifico, poteva rinfocolare negli animi l'amore  per i buoni studi, e indirizzarli a più alta e più nobile meta. Sono morti Alfonso d' Aragona,  Cosimo dei Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti  mecenati ; come sono morti Valla, Poggio, Guarino, Biondo. Si era poi compiuto un assai importante av-  venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica  noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor»  rado Schweinhcim e Arnolfo Pannartz.   Notevole riscontro di date, dice il Bossi, che par  segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza, che  fu di preparazione e di fermento della materia letteraria.  Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior  parte della letteratura antica, che era sfuggita all'     Tariique argomenti ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona  Theodorìci », expl. € neo Xanthos uterqae. — Cari. aut. di Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me-  rulae de homine » ; expl. € Indice Hermolai. Cari. ani. Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »;  expl. € ex Eusebio, de temp. Peplum ludiae^ Rossi. — il Quattrocento, ed. oli.. dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi  che saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati  all'interpretazione e alla critica.   A qnest' ultima quindi spettava, come afTerma Bossi,  di trarre dalle conquiste dei grandi eruditi trapassati tutto  il frutto possìbile, di affinare col savio uso i loro metodi, di  attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la suppellet-  tile classica.   Questo difficile comx)ito si assunse e disimpegnò nel più  alto modo P., col quale si delinea netta-  mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e  l'arte raggiungono la loro maturità.   La stampa ben presto si era propagata in Italia, e a  •non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia, Milano, Verona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina  tipografica.   Non sempre però accadeva che nella revisione e correzione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi-  menti critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-'  nandrea Bussi, di un Lascari, di un Erasmo; spesso le  edizioni erano curate da avari ed inesperti tipografi, che,  spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari del Minuziano,  stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli scrit-  tori antichi, riboccanti di errori.   Contro questi veri profanatori dell' arte antica si sca-  gliò fieramente il P., e con tutte le sue forze si dedico  alla correzione dei testi, che nel triste stato in cui erano  ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati ;   Maittairb. — Annal. Typogr. Orai. Ili in Mi-  not* : € Et la unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi-  cina, sed laniena libromm, quam maùmam iadtf ». pia riconosciuti dai loro stessi autori, se fossero ritornati in  vita   Fedele al suo programma, P., dopo la pubblicazione  dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e degli  altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, mise fuori,  dedicandolo a Ponchorio, De Regionibus urbii Samae  lihellus aureu» del pseudo Vittore, che, coUe ag-  giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne la più iiiH  portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide poi  la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum  grammaticorum fragmenia, che dedica a Cusano, giovanetto che alla nobiltà del casato 'congiungéva  mente eletta e sentimenti generosi. Intanto il P. con anlore incredibile emendava i classici,  apportando dovunque la sua opera di critico profondo ed illu-  minato. A questo periodo di lavoro intenso e geniale dobbiamo  i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia fraieeea  De UtIÌ indice:  e De latinis vero quo me Vertam nescìo, ita mendose ecrìbuntar et to-  neunt. Utin&m non nostri temporis haec iustior easet querela ! certe ego  non plus in alienis erroribua confutandia, quam in exponendia aoUquorum  acriptia inaudarem. Sed affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab  Impressoribua inversoa esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa  in lucem revocentur, eoe agnituri non aint. Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia regionum  Urbis Romane.  Manuzio. Instit, grammai, Spera. —  De Nobil, profess.,; Bayli. — Dictionnaire histor^ et  crit.^ n. D. ecc.   (4) Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete.    TUM-  T&ania»i'i 4>^Mfc»» n i>i ft n i fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- ! '   e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum exeui-  plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. ORAZIO Flacci;  In lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in ORAZIO Poeti-  Cam (iv) ; AdnotatUmei in Caesarie Commentarios; Adno-  tationes in Epistolae Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii  Silvas (yn); Adnotationes in Tibullum (vili); In Ciceronii  Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in Livii libroe: De  bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >•   Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono  composte durante la dimora del P. a Milano ; fra queste  degnissima d'essere ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per  epietolam, di^ cui non ci resta che un libro solo dei venti-  cinque da lui compilati (2}. Quest'opera da se sola baste-  rebbe a. darci un' idea precisa della profonda coltura del P.  e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia si ri-  [MSS. R. DM. Naz. di Nap. — Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ;  Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; Cod. cart. aut., B. 20 ; Cod.  earU aut. XIII, B. 23 ; Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V,  D. 13; Cod cart. aut. Y, D. U; Cod. cart. aut. V, D. 22;  Cod. cart aot. A proposito di quest’ultimo codice non sarà foor di luogo ricordare  il seguente brano della Frac fatto in LIVIO: e L. Flomm  praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias. In eo  castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom laborie  exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant. Qoorom  nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad aodien-  dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot rol»  nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il Minoziano) in  Floro sic exercuerat, ut novae cicatrici locus non esset. OiOTANNi Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr.  Inst. Oramm. CharisU: e Brat enim ad editionem iamprìdem paratom,  librisqoe constabat cireiter quinqoe et viginU ».   Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^ ed. De Rebus ;  NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi; Marafioti. Cron. ed amie, di Calab.; Tiraboschi. - Storia ecc.,Oinournì.— iTótotiv Uu. d'Italie, Paris.  volgevano a lui per aver schiariineuti di questo o quel  dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo controverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della  sua affabile liberalità, non negava a nessuno il suo giudizio, che, come canta il Salemi, era venerato al pari del  responso deli' oracolo di Delfo o di quello di Dodona: credas Delp&is oracula Phoebum  Aut Dodonaeas ornos, quercum|ue locutat.   Da ciò appare che P. negli studi di erudizione teneva  incontrastabilmente il primato, da non temere punto di schie-  rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del tempo,  fosse anche un Poliziano.   Certo, facciamo nostra la giusta osservazione di FIORENTINO (si veda), il contendere la palma all'eruditissimo Poliziano  e il biasimarne i giudizii richiedeva non piccola autorità,  quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza pari.  Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile  rimprovero non poteva toccare a P. A questo punto crediamo opportuno far rilevare un altro  grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua [Salerni. — Sylvae' In Jani obùu Epieedion, e Mg.  ed. Neap.  Lettera a persona  ignota Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii sententiam  non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et atUmiH vidù '  domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam, vel a calamuia  Doroifium defendam.  Quaesiux per episL^ ed. Matthae. Lia est mihi cum Po-  litiano sinuosa (a proposito di un passo di VIRGILIO. Et audet PoHtianns asserere  Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex imitatone veteram » eoe...Telesio. Flrenso, sncc. Le Mounier.] dimora a Milano, quello cioè di aver contribuito non poco  al sorgere della Colia Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola  il suo discepolo, Alciati.   Senza punto occuparci dei primi due periodi della coltura del DIRITTO ROMANO, la Glossa e lo Scolasticismo, ci  limitiamo a ricordare che si deve esclusivamente agli uma-  nisti quel mo\imento reattivo all' indirizzo precedente, in  cui avevano avuto grande predominio le peripatetiche spe-  culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite distinzioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del  diritto romano ad un convenzionalismo dogmatico.   La lotta contro i giuristi, cominciata dal Valla con la  famosa lettera contro l'opuscolo di Bartolo da Sassoferrato,  De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri umanisti, soprat-  tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave scandalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle  fonti ed a far conoscere la grande importanza del metodo  storico-filologico. Questo rinnovamento, iniziato dai letterati, fu poi recato completamente in atto dai giuristi e,  primo fra tutti, d’Alciati. Questi, mettendo a profitto il suo sagace discernimento  e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di codici da lui dissep-  pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla loro esatta  lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano;  altri emendò in Plauto, in Terenzio, in LIVIO e special-   [Gravina. — De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA  Alciati manu ex humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera  ornamenta nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque  Alciati discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio  iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit* quaeque  in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta rubigine,  cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit barbarìem  el nativam explicuit venustatem ».nix DI ] mente in TACITO, determina l'indole dello stile dei migliori  giureconsulti, per cogliere il senso dei loro consigli nelle  Pandette, descrisse «Uligentemente le variazioni del diritto  pubblico romano, i>er conoscere lo spirito delle leggi in ogni  età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui passi pia  difficili e controversi (!)•   Ora domandiamo : l'Alciati a chi va debitore di questo  critico indirizzo, a cui deve la sua famaf   Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato dell’Aitore deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti  deir insegnamento di P., la cui scuola egli firc^-  quentò dal 1504 al 1506, compiendovi, ancora giovanissimo,  gli studi d' umanità, nessuno, per quel che sappiamo,  ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande  giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti  è quello ^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas-  sici, e che da qucst' ultimo, molto probabilmente, apprese  anche i primi elementi della dottrina del giure. B e' indu-  cono in questa opinione due altre preziose orazioni inedite: De iustitia, De iure, le quali ci attestano che iP. a  Milano, dietro invito d’Amboise, fa parte [Prima. Alciati. Orazione inaugurale  letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp.  RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II : Tibi vero gratulòr,  Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin, a puerìlia nactos  fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego, quin mihi illiua  recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia in veterum locit   emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant talem praeceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam in  hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor »•   k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio. -»  Epiii, Clar, et doct, Vir., ; Tiraboschi. Il P., nulgrailo lo tristi vicende toccategli/ senti sempre  per Milano U pia grande attrattiva, a segno da preferirlai  dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come con belle  parole dichian ai suoi discepoli. A rendetli cosi piacevole quel soggiorno' contribuì,  senza dubbio.prima V amicizia e poi la parentela contratta  col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi, chiamato  a Milano da Lodovico il Moro, dopo aver insegnato, per t^ti anni e con molto plauso, a Padova o poi  a Firenze dda cattedra resa celebre dall' Argiropulo, vi  ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a soddisfiure  quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del  secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor-  taU dei Gì  [PrtefAtio ia  Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam civitatem 6t  latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo meo   proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa oram   in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem, qaiqiie  mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl. n P., appena giunto a Milano, cercò di avvicinarsi al-  l' illnstre ateniese, per potere ancora niegfio apprezzare i  tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida sagena  e illuminata e affetto veramente paterno. Frequentando la casa del Oalcoudila, ej^li ebbe agio di  ammirare la coltura o le belle qualità mora! della figliuola  di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare né  grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua  sposa, come si desume daunepigramma  scritto in quell’occasione dall' amico Cil^io.  D'allora in poi P. abita in casa del suocera, dove potè  conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per appren-  dervi il greco, fra' quali Trissino, il quale  pare abbia fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come «  e' inducono a credere una lettera di quest' ulmio «liretta a  lui e sei altre di P., da cui traspare la pinjgrande fami-  liarità e domestichezza.  Comincia cosi un periodo di tregua nella vita di P.,  ma nou fu molto duraturo, poiché vennero ditinovo a tor  montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici, che gli  piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.*   I Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non [A Praefatio in   Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili» Thcodoram,   Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan ea inediocria  est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine morìbus  ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat artes, intè-  gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem Retavi. Jannelm. — optt., pag. n2« -  [KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di Leone X, trad./ Luigi JBossi. Milano, Sonzogno, il traduttore ri u venne queste lettere nella corrisddenza epistolare  del poeta vicentino, conservata dai Trìssino dal Yeld*Ofo.  lo furono altrettanto nel ricompensare le sue fatiche. Di  ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in coi  il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì*  zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele  che cioè il povero difficilmente e raramente giunge all'ac-  quisto della scienza (2). Quanto diverso era stato il suo giu-  dizio sulla povertà nclVOratio ad SetMlum McdioUinensem t   Non deve recar punto meraviglia che questa ed altre  volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél  secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi  non si tirava innanzi, chi non gridava e magnificava la sua  merce, chi non prometteva più di quanto potesse attenere,  correva rischio di morir di fame. Bifuggendo il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$  artibìii dei letterati del tempo, era naturale che non guaz*  zasse mai nell'abbondanza/   Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui  egli si trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi-  dandogli il proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione  del nipote Francesco. Ma ciò, se valse a sollevare il bi-  [In L. Flomm :  € Nam quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid  a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al  qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf. In L. Flomm :  « Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad acientiam eo-  nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore diligentiaque, mille-  simus quisque vix evadei.  AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e aeg.   (4) MSS. R In L: Florum :   « Nunc autem quum pater amplissirous Stephanus Poncheriua quo,   quasi sacro atque inspoHato quodam fano« boni omnes utuntur, non ho-  nesta solum mihi praemia constituerit, sed, quod magous honor est,  nepotis ex fratre sui curam'milii delegaverit.' Il M libili iiit — i j j I r II l ii — ^- 1 " lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la  tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli  antichi nemici.   Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido Minuziano,  il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo del  P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello  Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro,  pubblicandolo spudoratamente col proprio nome (1), e dedi-  candolo per giunta ai successore del Poncherio, Carlo GoiTredo. Questo fatto indigna fortemente  P., che memore degli  altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica  ragione V impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto  e spennacchiato, al pari della cornacchia esopiana, per ven-  dicarsi, non rifuggi da un' ultima vigliaccheria, dal collegarsi'  cioè col Ferrari, che era ritornato a Milano, e col Nauta,  contro i quali aveva lottato insieme col suo antico ospite.   A questi si uni un vero lanzichenecco della penna, fac-  ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino  Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrive  contro P. delle scandalose Inveetivae), che per oscenità  non hanno nulla da invidiare a quelle scritte dal Panormita, da Poggio, da Valla e da Trapezunzio. Vallo. Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut,  iropressorum postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Macedonicum, grandi pretio redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam  rea est) intervertìt, emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pablicavit. Vallo. Apologia : « Neque erubuit homo com iis in Jannui  conspirare, adversus quos certo capitis perìculo se, nomen, doctrinani,  ceteraque omnia sua tutatos fuerat P. RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. Questa  pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo, pure,  come notAva Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano   .mm^Smi^^mt^l^lCt   TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS     Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey o^ sorto di ribalderie, lo duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm  /o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw» jMrtjtfi  Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte  1/ infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^  letterario e li denomiiiò amwumtmriolm.   do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio dei baoai per la  basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato: Biffo, Cornìgero, Peloto, Bolognese Bratt-  gelisto Biadano ed altri molti alzarono la roee contro i tìK  diiEunatori, e scrissero contro di loro de^ epigrammi di foooo,  che non riportiamo, per non intralciare fl nostro racconto (!)•  n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e riden»  dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò a  schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico bolognese. B non disse dò per millantoria, polche rinsd  complctomento nel suo intonto colla pubblicazione della dtato  Apologia di Vallo (3), la quale d ha fornito tanto e ri im-  portontl notizie.   Nessuno dei biografi del P., compreso lo*Jannelli, ha  ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa la sua parto, non fli  certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle, le dta-  zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del  provetto maestro più che quella del «liscepolo.   Questa volto, dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a  combattere i suoi nemici colle loro medesime armi, oppose  [Jaio«blli. —Jannblli. — Op. cit., appendic«,  Risi de Jolio «t   Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret -   8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm :  paucis ictibus conteram. Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni yernam illauda-  tnxn,ante sec. ed. Comm. De Raptu eto.  mmm     r*^iM  «•^Ki^'^i^i>B ap"'litT-r"i   Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta  qnel vizio abbominevole, per designare il quale si e tolto  a prestito il nome dai Greci.   Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a torto,  si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo  luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al  grammatico sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio  al Valla, il Valla a Poggio e cosi via.   Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa tanto  comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque-  cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del  secolo precedente.   Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf, ne  erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar  fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena  ne accusano preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di  maggior riputazioAe, e gli prodigsftio lodi della Gasa,  Dolce, Lori, Curzio da Marignolli ed altri  dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac-  cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto  del secolo, Michclangiolo Buonarroti Y   Siamo lieti di notare che tutti, concordemente, assolvano  il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo stesso Giovio,  che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo ad-  durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco .  riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora-  zioni inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio  [ Attraverso il Cinquecento Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r- ifemorM  degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt, d'Italie; Morcri. — Grand Dictionn, histor.,  MSS. R. BiU.PraefaUo in  Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio ad Scoatam Mediolanensem,  Ad Mumclplum Vlncentloum tic  t'amili' ma» w ^ ,n>»m n 1 iT_ I liwj I if^N» iw*iift*>ff^' ii»mifjtmv%'8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal   dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri-  phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ».   Questa lettera e le seguenti sono dirette al Trissino, che allora  si trovava a Milano ad apprendere il greco, presso Calcondila. III wm^mf*     »Jfc^>»*M>W^ I ^ I 11 >WII^«    fonati) quantum vix olira Gares in Leloges, Arcades in Pelasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »  Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta  quanto fosse esagerata i' accusa di coloro che negarono com-  pletamente agli scrittori del secolo XVI la coscienza morale  della nazione italiana.   B che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è  mostrato anche dalla seconda orazione, dove se si notano i  medesimi difetti delle altre, e soprattutto la prolissità e una  troppo sìidata erudizione, si ammirano similmente gli alti pre-  cetti pedagogici e didattici, e le sane norme dettate ai gio-  vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una buona  educazione. Conosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà d'animo  dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa  famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei  primi tempi, la più calda e sincera ospitalità, cominciò una  vera gara tra le più nobili famiglie vipentine, per sempre  più dégnamente onorarlo e cattivarseni) la benevolenza.   Nonostante tali prove di affètto e di stima, il P. non  visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come credette  lo Jannelli, per aver ignorate le importanti lettere al [Nencioni. — Nuova Antologia, Orai. II ad  Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet, ut hic ordiamur, obiargatione  digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni donant et precibus amicorom,  non minus insulse quam si gravi morbo quia Implidtus, ut amici grar  tiam colligat, oinisso perito salutiferoque medico, se committai ignaroii  cuius inscitia fonasse peidatnr. Roseci, op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei-  lendumque me domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem  faeerent, oxtitere. Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et  Cberigati quinam de me magia promereantnr »•    immmà^J^amm^t0>m^' j i>^ 1 1 ^,n  . »! I »« a «» «ii ' i^iai^  T i ri i ^. - ««-ìLm   Trìssino: prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af-  fliggerlo fln da quando si trovava a Milano, e poi gì' invi-  diosi e ignoranti grammatici gli turbarono, come ftl solito,  la pace dello spirito.   n P. , irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da  Trento e da un perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2),  accolto nella sua scuola in qualità d'hypodidascalos, aveva già  deciso di lasciare Vicenza, quando, per la opportuna ed elBcace  intercessione del Trìssino, non solo recedette dalla presa risoluzione, ma concesse anche il perdono all'infame sacerdote.   Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell' in-  segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che  continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a  breve intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori:  CLAVSVLÆ CICERONE ex epistolin familiaribus (4); Breviarium  Rhctoriec9 ex aptimU quibunque Oraccis et Txitinis atictoribuM  depromptum; Probiliistituta artium et Catholica;  Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et  Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè  libelluè. Questa ricca produzione letteraria ci fa argomentare che [RoscoB. — op. cit., 1. cit. : € torqueor incredibili po-   dagrac dolore : quicquid est mediconim, quicqutd phannacopolarain din  noci uq uè conti ncnter exerceo. L’indegno prete era Irato contro P., mal sopportando che que-  Mlo avesse chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Cesario, uno dei pochi veri e costanti amici delPinfelice umanista,   '3) RoscoB. Sacerdos tuas est apud me laUs  honcsta condì tione. Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam librarìam Veicet et Jo. Marlam oius flllum, in Kal. Jan., MDIX, per Henricnm «te.  MDIK, per Henricum ete   VUI Id. Febr., MDIX etc.... i/j » n i ì I II » * ! m jÈJì iV *'nM>-|f mk Iri i> i liikJ^'-    m i0> ri tf i  P. negli aitimi tempi della sua dimora a Vicenza, se visse  in poco floride condizioni economiche, da essere costretto a  ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito, non  dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da  nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran-  quillità relativa, succeduta alle lotte interminabili, forse egli  non sarebbe cosi presto partito da Vicenza, se non fosse  sopraggiunto il pericolo della lega di Cambrai. Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostra il suo fermo proponimento di ricomporre lo stato della chiesa,  che era andato in frantumi, non per favorire il miserando  nepotismo, come avevano .fatto i suoi predecessori, ma per  fondare una monarchia pontificia, che potesse dare al papato  il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si libera di Borgia, rivolse le sue mire contro Venezia, che si era impossessata di alcune terre della chiesa. La Serenissima, scossa nel suo commercio per la scoperta della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la  crescente dominazione dei Turchi, aveva rivolta la sua at-  tività a formarsi uno stato in terraferma. Bra riuscita a mera-  viglia nel suo intento, ma si era procurato Podio del Papi  e l'invidia dei principi italiani e dei potentati stranieri, che^  il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una formidabile  le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile capl-  digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione RoscoB. — op. cit., epist. V. : oco dopo II discorso  inaogurale, lasciando al téAele Cesario, che non aveva  voluto abbandonarlo in qnella circostanza, la cara dell' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor-  rere per poter sbarcare il Innario.   n P., ritornato a Padova al principio dell' agosto, collo  spirito rinfrancato per il miglioramento ottenuto ai suoi mali  alle acque di Abano, riprese con nuova lena IMnsegna-  meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma  la sua fortuna. La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima [ Praefalio 'm  Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo loco quem net  iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae lonuìmas, ad  hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im doc«ret, ilio qai-   dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius urbis   auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn venerabile, com-  peniat omao salarli dotrimootoni. Lo Jannelli, noo avendo ieooto alcun conto della lettera del P,  %1 Cesario € ex Aponi baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli  Viooentia (Romani) XI!! vel Xll Kal. Jonii Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara   disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ».   (^ Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU   qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera   klo enln me taediam eepit remm onnlom.li Cesario non fa accontentato nei suoi desiderii, poiché nell^  lettera inviatagli da Venesia, Il P. %|  rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos  (Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere  del P. gli furono Inviate a Cosensa. 1 1» jiil y  i^ n i* m,tmt, ^ mi Mllb*^i^hUBk«la  iw«MHk«!fAi«^ MiaMUHMUÀli^4b*iS   ^T». con Mussato emno fioriti^ gli studi! umanistioi, e  il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^ aver accolto  nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da .Ba-  venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da  Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri,  Demetrio Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli  dimenticare omne salarii detrimentum. Però i tristi aweiiimenti sopmvvenuti lo costrinsero a lasciare Padova [L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso  dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene-  ziani, nel tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi  nel Friuli, per occupare la tcpra di Gadore, e il duca di  Brunswick tentava di espugnare Gividale e Udine, in persona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada  di Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze  sue, si occupava in piccole imprese con -poca di-  gnità del nome Gesario: saccheggi orribili, eoddi  spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescrivibile licenza fece ricordare quella delle orde barbariche. P., visto scoppiare un cosi furioso turbine di guerra,  prima che Massimiliano cingesse d'assedio la città coi suoi  100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di nuovo a Ve-  nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche nella  sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo  discepolo a Vicenza. Guicciardini. — 7frecedente (Venezia), appare chiaro che sia  sUU. ^iy«>i V >»i I 1*1 la» ^imr !l^^ Garbono, i fratelli Anisio, i fratelli Seripando, Angeriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo piacere P. frequenta i geniali convegni lei letterati napolitani e fu accolto  dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio. Non mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra'  quali citiamo quelli del prolifico epigrammista napolitano.  Giano A Disio, nella cui mente il P. destò il ricordo degli  antichi soci della gloriosa Accademia pontaniana:   Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra   Commeritas, qais non byali ridenta colore.   Insigni virtute vir, et spectatus amicus?   Tene ego praeteream, cui Musae tempora cireum   Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros. P. allora forse rinde Filocalo da  Troja, Garbone, Puccio da Firenze, alle  cui lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a  Napoli, ricavandone non poco profitto. Allora similmente  rese sempre più saldi i vincoli d'amicizia, che lo legavano^  al dotto e munifico Antonio Seripando (3). Pare che egli  conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4> [So questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at-  tenzione degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no  territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica Rassegna Bibl. della ìeU. ital. Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum Colomnam  cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, Giano Anisi; Martlrano.  Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie.  Parrbasll, NeapollChe realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo rile-  viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella gentilizia di Si.  Giovanni a Carbonara : € Puccio quod bonarum artlum sibl  maglster foisset.   Mabill. Museum 2ud.; Jannelli,— fci^^ii^^ a*^ifc»*«^*i di P. ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno. Piccante l’osservazione di Jannelli a questo punto. Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa, indo-  cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia meretrìMA  procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef ». Iu«    Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per pun-  tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai  saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da  Milano e si reca a Vicenza. Dalla lettera al cognato Basilio  apprendiamo solamente che, malgrado le continue insistenzci  il P. non potè riunirsi con la moglie (2), se non quando gli  fu assegnato a Boma la cattedra d' eloquenza (3).   Quali che siano i motivi che abbiano spinta la Oalcon-  dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla  sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta  impassibile alle preghiere dell'infelice marito, che, per quanto  colpevole, chiamandola a sé ripetutamente, le aveva data la  più ampia soddisfazione ; come madre perche mostra di non  sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che, priva  delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore,  a poco a poco intristiva e periva miseramente.  Nella seconda lettera al Trìssino (Roscoe) P., dopo  avergli detto facetamente che dispone con piena libertà delle sostanze di  Ini, eoque forUusé plus, quia sunt uberiares, gli dà notisia dei compagni di greppia senza fare alcun cenno della moglie : € Amanuensis   item graecus ex Creta Nicolaus, quem Trissineo Lisiae designave-   ras Accessit  Lario quoque lacu Simon Age nuno et lopos   bospita. W OuDio. epist,Sed in primis a  me salutem optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios  Toluntate nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in  gratiam contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego  enlm statui vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosenza)  quietius instituere Dopo la morte di Calcondila, Teodora colla madre e col superstite fratello Basilio (Teofilo e s ucciso  a Pavia e Seleuco e morto in tenera età) ha stabilita la sua dimora a Roma. t f '', HfcaUfciifc^M 1  tuna querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir>  sue ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis  sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim sani*  mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam perpetlar. Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : € Bar   linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem revertar,   ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est. QuDio. —  epist.poiché si recò a Taverna, parC| tra l'aprile e il iiia^r^o, vi tenue un breve cor^b di lezioni* di cui  oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* importanza o all'utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i  disprezzata! dai più, secondo V oratore« e la sola disoiplina  che possa far acquisUiro un vero e foudat-o sapere.   Questui spontanea relegazione del P. negli estremi conilni  della Calabria dovett'i^  1 moA, oonvcnÌM, coiupolla uonilae oUro Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum  l|t«uui iot^uam   Kd era lui davvero, osserva Fiorentino, il maestvro  di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che  avesse allora V It-alia, si ricca di filologi.   Durant-e la sua dimora in questo villaggio, il P. rivelò  up' altra bella dote del suo ingegno multiforme, cioè la sua  [ A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15.Oralio ad  TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea  hfbere queant, ai 'T « r     grauile perizia negli studi! atvheologici* Tare cli« nemiuMio  A Tavoriia nìaiica.sato calvgoricamento alTormaro  che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono doIPau*  ticaSibari P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r  gan3uì« scrisse contro l’ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela-  boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo  di Aristotile, Mela, STRABONE, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri,  oltre a determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi     (1) .V^\ A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri,  Oratili AC Tliurìo :€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl  oiunìno sìgnanK ìisipio shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni  (^uìo^uid ad maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar-  rinati, tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam  certa suam Vv« Sybari  Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae tantum Crassus (1)  olfecisrìt ox inversi» LIZIO rerbis e»s« nobis esplicata*».   il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da IVdaco, coma poco ao-  cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^. 8^), Anche ainmettondo che e^U noi  IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a una tale assorclone quella nobile lettera  del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^. ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla  quale appare che questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor-  reva a lui |>er schiariinenU e constigli.   (3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai. di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari  Crathi ao Tburìo : « Quantum fidei sit habeadum crassae minervaa magistellis, audentìbua atBrmare Sybarim adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt  appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi datur. Faat L’animo sensibile di P. resta fieramente colpito da si  brutto fiittOy che aveva macchiata l’onorabilità della saa  famiglia; sicché, volendo honesto nomine cancellare l'onta  del nefandum cHmen, pregò caldamente il cognato Basilio di .  voler interessare, presso il pontefice, Lascari ed Inghirami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto  matrimonio.   Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi forse  da un luogo per lui o. «j--fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarftVWi-JJ Se in questo tempo farono ben poche le corti che accordarono ai filosofi una vera e propria protezione, piu tardi esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di-  stribuire onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti  dei principi potenti divennero centri di coltura e convegni  di letterati; ma le più piccole corti, i principi più oscuri,, i  cardinali e finanche i ricchi borghesi vollero circondarsi .di  letterati e artisti, che accrescessero pompa al loro nome;  di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li divertissero.   n principale centro di coltura nel Cinquecento fti però  Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni  .dove uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni, dai donativi, dagl' impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle-  siastiche, che come manna benefica piovevano sul loro capo. Educato nella splendida corte di suo padre Lorenzo il  Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e munift- [Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a in  Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il poemetto  di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt, iUustrium,  4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano. Im-  portante per conoscere la vita romana di quei tempi è, fra* tanU studila  r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. Malgrado ana tanta aspettazione e lo continue insistenze,  il P., oome abbiamo visto, non potè recarsi a Boma che  verso la metà di febbraio del 1514; sicohèy tenuto conto  della lettera innata al Cesario, in data del 28 febbraio,  non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il sao  corso sulle Selve di Stazio.   Neil* orazione inaugurale, pervenuta sino a noi, il Jf.  mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore raffinato, non  escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio perplesso e  titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico, giusta  V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran-  dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La-  scari e alP Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta  la sua profonda gratitudine. Non mancò naturalmente  in tale circostanza di far cadere destramente il discorso  su Leone X e di tributare le più calde lodi al munifico  Pontefice.   Oome concordemente ci attestano gli scrittori contem-  poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale en-  tusiasmo. Sebbene allora la città riboccasse di letterati,  alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come Cattaneo» il  Praefatio la  Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice Phaedro,  in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia acquiesoo  Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me gravissimis  apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì aunimus honor est.   (2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli.PraefaUo la  Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli indulgentia  sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum usu, incom-  parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili elo-  quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione polle! Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém.  Deci. 1 2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU,  pag. 130 ; SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ eco. ^ '' i»' Fra tanti stimiamo degni di nota i seguenti versi dettati allora  da Antonio Telesio, V elegante e terso poeta cosentino :   Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae tocIs,   Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls.  Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ;   Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum.  Attice et Actaes msgis Urbe loquutus et Ipsa est»  Hospes divino dlctus ab eloquio. Affesionato come era ali* amico carissimo, P. si adopera a tnt-  t* uomo per procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario,  malgrado le continuo insistenze di lui, (Epist.^ non si mosse  da Cownza. Forse era rimasto poco bene impressionato alla notizia obe  gli forniva il P. stesso ( Epist.) : e In Urbe singulae regione» sin-  gulos babent praeceptores ex aerario conductos, et qui nibilominus t prìvatls certam exigunt mercedem. Troppa bollai  rfMUitflri  ^>rfki««»«i''*Mh^  uno stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro.  Ma il P. questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla  vita, lasciò i>ure olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna,  li umiliò con un dignitoso silenzio, che gli valse loo di  letterato infelice per la sua nota opera, volle caricare un  po' troppo le tinte (!;•   Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva  il P«, non è da credersi che gli fosse diminuito V assegna-  mento, o per lo meno ne fosse nt4irdata di molto la ri-  scossione, come vorrebbe insinuare lo Jannelli, il quale,  temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare il tempo  per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura  di rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la  miseria di lui, la morte del cognato Basilio e degli antichi  protettori, Fedro Inghirami e il Cartlinale d' Aragona, e in  ultimo la partenza del Canlinale Adriano, altro caldo am-  miratore del nostro umanista, alTerma che questo lascia Roma.   Non occorrono molti argomenti per combattere questa  gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non  sa addurre alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco  su ciò che P. scrive a eratìooe ductnt. De Rebus etc. ediz. cit., « Certe 8i quid ingenii, si  «|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa  prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita, col-   lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem fructum   lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici prìmum Maximo,  deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis voluntas est. .te    detta partenza un anno pia tanli, quando cioè per la morte  di Leone X, essendosi seccata  la fonte delle largizioni, e non potendo, per la malferma  salute, procacciarsi da se il necessario sostentamento, P.,  come tanti altri letterati, lasciò Boma e si recò a Cosenza.  Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il suo  contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre  mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba.  Nessuno dei biografi contemporanei del P. ci ha tra-  mandata la notizia circa 1' anno della morte di lui ; sicché  i biografi posterìori, ignorando gli avvenimenti ora ri-  cordati, solo perchè il Salemi aveva pubblicato  tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni  prima in lode del P., credettero di avere una prova irrefra-  gabile per ritenere che questi mori.  Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione, che  cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici  raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi  diversi, crediamo opportuno prendere in giusta considera- [De infeliciUUe ZiM.» : € ..relìcta Roma, in Calabriam cum secessisset, in febrim subito inciditi  Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae,  Satyricae ac Paraeneiica Variariimque aliamm rerum descripiiones  fortasse non inutxles  Neapoli, SulUbach, m„-*'mì^'%u',*] zione le testimonianze del cosentino Ponto e  (li Giano Anisio, suggeriteci dallo Jannelli. Tanto il primo che il secondo scrittore, parlando di  Adriano VI, eletto Pontefice il 9 gennaio 1522, ricordano  con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora, conside-  rando che questo ricorilo di una delle più grandi illustrazioni  del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi tempi  del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era  nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per  le cose pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco  lusinghieri epiteti di e furibondo nemico delle muse, della  eloquenza e di ogni arte bella >, riteniamo che il P., ritor-  nato a Cosenza,, seguisse ben presto nella tomba il suo protettore, Leone X. Dopo quanto abbiamo detto, non crediamo sia più il  caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della fondazione  Romiiypion — P. li, Roi io  : i Interpres, carusqno sacerdoi  Parrhaslus, quem clara femat monumenta per orbem  Salbrni  :   Leo PaMor ovllit   Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea,  Unile suum ius8lt propere ad meliora Tenira  Praemia Parrhasium   v5) Lo Jannelli, sebbene non traesse dalle prove addotte una con-  vincente deduzione, non si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo  che il P. morisse € desinente ipso anno, vel ineunte.  dcU' Accademia Cosentina, attribnita al nostro umanista.  Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse che  poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che  questo notevole avvenimento non potè compiersi se non nel  primo ritorno in questa città, e specialmente in quel periodo  di circa nove mesi,   Sebbene non precisasse alcuna data,  FIORENTINO (si veda),  nel suo TELESIO (si veda), si  mostra di questo stesso parere, combattendo V asserzione  del Lombardi, che aveva riportata la fondazione dell' Ac-  cademia al secondo ritorno di P. Due anni dopo  però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello Jaunelli,  mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione  avvenisse nell' ultimo ritorno.   A quanto x>are, il dotto filosofo volle prestare troppa  fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto, oltre a  mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il  P. passò in Calabria il triennio, non seppe teucre  Spiriti — Memorie degli Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei   Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus Tirahosthi   Sloria ecc.; Signorei.u — Vicende della Coltura; Biografia Unicers,  ; Nuovo Dizion.  Ist. Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza,  il Fiorentino opinò* € che 1’Accademia cosentina fosse cominciata. Lombardi -* Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza  edix., Cosenza — Pei tipi di Giuseppe Migliaccio.   Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi nel Saggio storico  sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle chiamare € quadro preciso  e fedele della sua origine e delle sue vicende » nella troppo benevola  prefazione, notiamo quello circa V anno della morte del P. Op. oit., Appendice, Firenze, Succ. Le Monnier.] giasto conto delle prove di scrittori autorevoli, attestanti  tatti concordemente che il P. muore poco dopo il suo iirrìvo  a Cosenza. L'accademia cominciò quindi ad aver vita quando appunto si trovavano a Cosenza Telesio, Franchini, Salemi e, come pare, Galeazzo, il gentile autore  di quelle tenere poesie, che destavano nel Settembrìni il  desiderio di altre.   Mai come allora Cosenza si era trovata in condizioni pia  favorevoli per un vero risveglio letterario. Caduta la Calabria  sotto il dominio spagnuolo, dopo l' iniqua divisione del regno  aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre città, era stata fatta  sogno a speciale protezione. Vi erano state raccolte le sapreme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata  quasi un' altra capitale del regno. E allora che venne  su tutta una flora di giovani baldi e volenterosi, che, spronati  da vivo desiderio d' imparare, si affollarono intomo al maestro  insigne, che capitava tanto opportunamente tra loro.   Prive della pompa e dell' ostentazione moderna, allora  le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che amichevoli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà  discutevano su questo o quel passo di scrittore classico,  oppure davano lettura di qualche componimento letterario.  Quest' umile principio ebbe anche l’Accademia Cosentina,  la quale pare che per un certo tempo non fosse neppure  denominata in questo modo : come ben diceva il Fiorentino,  ci ora il fatto e mancava il nome [Fiorentino — op. cit., edit. cit., Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Ciminio, Schipanio, Morelli', Pagliano, Carlo Giar-  dino eoe    n P. contribui all' incremeuto di questa istitaziono anche  qaando si allontanò da Cosenza, poiché, come ci attcstano  le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano (2),  a Morelli  e ai>itiM' Or non parrebbe che cote»ti scrifU« P. > del quali pochiwlml sono  siiti impressi, valessero li predio della  stampa, più che non tanto Insulsaggini  tramandate con tanta curai. PiORKNTiNO. Telesio^ T. 1.  1 fi-rfaal    i j nr- -W • AULI JANI P. PRIMUS AD VITAM EIUS NARRANDAM   EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS   EXCERPSIT   ET TEMPORUM ORDINE   DIGESSIT PARCO. OHAIIO AO P. NEAPOLIIANOS   Ciro. Ponsitanti sacpo mociim, viri pntritii, oruditissimi iavones, iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et coatcmplnnti qnam proeclarara prisci illi Romani publieae aclministrationis formam/in postcrum  rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil occurrit  quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expolitum, maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut  niilìi quidem undecunique eorum non modo bella, sed etìam  paces per historìas exploranti, quam apud omnes obtinent,  o)nnìone diguissìmi videantur. Sed illud praecipue militane  disciplinae institutum, quo adolesceutes ad palum intra val-  ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi interesse  iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet diversa,  ab iuenntibus annis hactenus observarim. Haud enim quodpiam vulgo unquam commisimus, prin-  squam per doctissimos utriusque linguae grammaticos, prò meo  ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis superqne  delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine disoe-  damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe [V. hoius op. In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem  P. non apposuit.1> HT i» rfi > nf m f^ferirò discobantur a vetoranis, ac ex ilio commentitio pugnae  Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox usui foret  imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud tamen  8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non citra  bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non  modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam dedimuSy nty si quid in communem rei litterariae utilitatem  excudere libuisset, perinde ao in penuria cellam haberemus  in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie oneri  complnribns videbamnr, au-  natus, P. Papinii Statii, poetiu*um oppido quam doctissimi,  quem urbs haeo florentissima universo terrarum orbi, quocumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria queat  imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis  lectionibus, enodaturum promiserìm. Scio profecto, neo me fugit quam arduam quamque  difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao  inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim, et  vestrum fortasse plerosque nostros hos conatus ut audaculi,  ne dicam impudentis, reprebensuros, quod huius aetatis adolescens in totius Italiae celeberrima urbe, ubi omnium bo-  narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimorum hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru-  buerim. Insta sane et non improbanda incusatio, si aut meo  consilioi aut sponte, non dicam ultro, hoc munus obiverim.  Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae trìbuendum potius [OKATIONK8 BT EPI8TCLAX erity quibus dura in oinnibii9, iikmIo honesti spociom prae se  fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon incarri. Sed quaeso  vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui consulite, proqae  Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite.   Quuiu saepe niecum parcutis omniura naturae exactum  umlique opus inspicio, uihil oecurrit, viri patritii, quod non  magna cum sapieutia productum, maxiaiaqne diligcntia di-  spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum coetus non  solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti  visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis affectum iudidorit, praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins  opcris numoros adiumentum. Nam quid utilius, quid fnigins,  quid couducibilius affectu hoc queat invonirì T Quippe cai,  si quid cxcultum, si quid politius immo utile excogttatum  est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt etenim  tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes  incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis  adiicitur, inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta. Kam si couditis usque saeculis inventa altius repetamuSi  omnia ab hoc affectu profecta inveniemns. Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis  est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi  gloriam reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum  uterque hac eadem causa a ferino ilio victu homines revooaviti  quippe quum alter, ut aiunt, >inura repcrerit, altera vemm  frumcntum excogitarit. Nonne litterarum notae ao dementai  sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm habueret   Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam  maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam  inde adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns  annos egisse traditur, ut mathematica disciplina, anni rationera solisqne meatus perciperet. Sed haeo ut remotiora  fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio et  doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut:    A .tifc... . patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini vocaut  improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri quara  gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiuact>am : De Fortitudine he-  roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter eum  nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit,  ut felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in-  formata princops obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis-  sorit, ut ad hanc onines virtut^es referantur. Quid eius Cha-  ronte gravius, quid rurs«us festivius aut elegantina T Quid  Antonio doctius, in quo illud prnecipuum duco duos totius  romani eloquii principe!*, CICERONE ao VIRGILIO, sic ira-  proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam  ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto-  riunij quo piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi  felicitatcm revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot  ao tanta^ occupationes din noctuque bis studiis incubueritf  Nulla alia re, quid enim sibi ad humanam felicitatem, Bege  tam praesenti deesse pot-erat, nisi ut gloriam sibi apnd  posteros compararet. Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad vir-  tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8|  aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est  profecto qui Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm  TibuUum^ Oaium d'enique Balbum non admodum laudet, quod  omnium ore cantanda adolescenies edidernnt. Quotusquisqne  invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat, si poetam  Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta-  tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod  si aut illi quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa   rtM«*«Mk«teMii*«i«MÌNarfai*«»««MMMk     I^M^^aBM>Wfc»aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias  admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus  enim piacere csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86  in humanis quod nndecnmqne possit esse perfectum, votastissimosque granimaticos ante oculos penero qui etiam in  plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse Pont4Uì08,  Aurolios, AltilioSy Actios anazaros ao denique Dionisios  Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est  apud optimum maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm  adhuc auct-oritas vigot^ mulUi scisse non omnia.  PRIVILEGIDM In R. Archivo Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium.  J. PAULI DB P.   Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione  et oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de  P. de Gusenda, familiaris nostri fldelis, dilecti, fait  Maiestati nostre roverenter expositam et amiliter sapplicatam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad eius Ti-  tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam  nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et  possidet, 6ÌTe exercet oiBciam magistn Oamere et magistri  actomm penes Justiciarios, sen Gapitaneos torre Tabomei  nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos terrarum mon-  tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam gagiis  et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis  et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito-  rem nostmm sibi propterea concessis hoc et alia clarins [Cum hoc unum monumeotom nobis in R. NeapoliUno Tabulario invenire contigisset, facile animum indaximat, ut hoe loco  ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. V. huiat op. aatmn m »>t»>id i >tr il PBIYILBOIUX  aDQotantor. Dignaremur sibi ad eius vitam dieta officia iaxte  tonorem dictonira privilegiorum de speciali gratia benignins  coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad merita sincera  devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes servitia  por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre-  stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius contiuuatione laudabili prestiturum speramns, propter queqne in  iis et longe maioribus a nobis exauditionis gratiam ratìona-  biliter promeretur, iis et aliis considerationibns et caosis  digne moti, prefato Paulo ad eius Tito decursum iam dieta  ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes Insticiarios  seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii penes  Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate  in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram  culpis et defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter  tcncatur cum gagiis et emolumentis, lucris et obventionibus  solitisy consuetis et. debitis, iuzta formam dictomm prenominatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus  et singulis in eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua  licot presentibns non inserì 'itur, haberi tamen volnmus prò  insertis et expressis et dcclaratis, si et pront hactenus in  possessione sou quasi fuit cl in presentiarum existit. Tenore  prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia oonfirmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque landamus, nostreque confirmationis, ratificationis, acceptationis  et approbationis muniraine et suffragio validamus et roboramus, volentes et decernentes expresse quod presens nostra  confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro tempore  firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa; nullumque in  iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia  iucommodum , aut impugnationis obieotum sive obstaon-  lum, vel noxe alterius detrimentum, sed in sua firmitatCì  robore et officio pcrsistat. Illustrissirao propterea et carissimo filio primogenito Ferdinando de Aragonia, duci Cala-  [('«^*MtoiV4  PRIYILBaiTTX ] briO| vicario nostro goncrali, nostram super iis doclaranios  iotontnin Mamlamus magno huius regni Camerario ciusque  locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere nostre  Summarìe Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme, et  tcrrarum montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et  hominibus ipsaram terrarum, aliisquo univcrsis et singulis  ofTìcialibos et siibditis nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns  officio auctoritate et dignitate fungentibus nomineque nuncupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint| et sxiectaverint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma  presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta  X)refatum Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exercenda recipiant et admittant, retincaut atque tractent de-  center et favorabiliter prout expedit in eisdem deque gagiis  et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis consuetis sibi  respondeant et per quos decet responderi faciaut atque  mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit consuetum. Kt contrarium non faciant prò quanto dictus Illn-  strissimus Dux filius noster nobis morem gerore cupit, Getcri  vero offlciales et subditi nostri gratiam nostram caram habent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in quorum  testimoniorum etc. Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per magnificum virum Antonium de Alt^xandrolocumtcnentem etc.Regnonim nostrorum anno primo Bex Alfonsus. Dominus rex mandavit  mibi,   P. Gablon Jo. Pontakub Pasoasiub  r  MM^MaMHkaA^aadVAMaaataa iM^kMBaw MF*«I tm-mdtt0mé^m^mmm>tk^tmm^^'^JmÌ^i^,^A^^^t^ UI EPISTULA AD FEHDINANDUM II ARAGOIilUM Neapoli Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac omaiissiine  PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in avitam  perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim  Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic  cnim recens comlitam Alexandriam mocnibns sacris et novis religionibus excoleuti, per quietem dicitur obversatos  augustior humana forma iuvenis, atque monuisse ut i>er  cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto; id antein felix fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn-  demque iuvenom plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in  sublime raptum evanuisse. Quo miraculo Ptolomaeus e somno  excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus, imaginem nootumam  visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne expedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er- [ExsUt in codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap*  paret eara ad Perdinandum II P. misisse, cum ille Neapoli in Aena->  rìam insulam confugerat (Kal. Mari). Quod mìnime mirarì debemu8, cum perpendaroas, ut Erasmus Percopo. in opere, quod inscrlbitor  Benedetto Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam  in roaximis advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia  incubuisse. V. huiut op. ^ fa m ^ m^»0>m.mi^mam àii w ii » m m ^, fa  >t'priorum tymnno, quis   haberi deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit:  Siiin Deus ipse, tibt qualein me cannine pandam :  Regìa celsa poli caput est mihU caerula venter  Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo  Cespite nituntur, mea tempoia lucidus aether  Arobit, et accendant oculos mihi lumina Pboebl.   Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sarapim, Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana,  eundom dcum esse existìmat. Aristippus, Arcadicorum primo,  [ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS] refert Apim, Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém  sibi ooudidissOy qiiem postoa Sarapim transnominatum Ari-  stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis attonita sapereti-  tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in bis  quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti  salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant,  esso comlitum, ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique  Sarapim, nnucupatum.   Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone confundity ut ca soli vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln-  ton et Dis pater appellotur, quatenus autem vitium terra  sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique intra terram ignis  inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis basta  trunca, atque cuspis deorsum conversa sit.   In Aegyptura translato Sarapi, templum prò magnitudine  urbis extruetum loco cui nomen Rhacotis antea Aiisset. Apnd  Tacitum iogimus : eius templi hostium anni certo tempore  patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam aqna  et igni, quo4l baco dementa maxime praestent.   Dominatu Julii Caesaris incendio consumptum recitafc  Busebius. Illud addimus ex Plutarcbo Alexandriae primum  indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum lingua Plutonem  significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum: praestanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca-  pite vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is  qui deos omnes ad unum solem confort, ipsius sideris altitudinem siguificari contendit, et vim rerum omnium terrena-  rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat.   Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid  aliud quam tripartitum tempus ostendit, in id quod est,  quod fuit, quod futurum estt In leonis ergo capite qnod 6  tribus medium se altius erexerit, tempus instans exprimitori  inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam nxù^  lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et praecipitafe, ri--làr:.. ^.-ut i m ^iin  ante desinit esse qaam vonit. Est onim leo natura fervens  ac in agendo quod iinminet validus. Teinporis vero praeteriti  cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens argumentum ore-  ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria aufertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS|  futuri temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet  incerta blanditur. Quis enim non suas cogitationes in longum porrigit! Maxima porro xìtae iactura dilatio est; illa  prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia, dum  ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu fortunae positum, disponimus, quod in nostra dimittimus.   Olamat ecce poetarum maximus, velut divino ore instructns:   Maxima quaeque dios aevi prìuia fugit. Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas, fngit;  cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate temporis utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente rapido nec semper cnrsuro, cito hauriendum. Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum, animo  alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in  istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus  alienum, fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid  tibi fortuna voluerit imponere. Cui si nondum omnos ad  unum bonos libuit excindere, si nomen Aragonium propitia  respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit, discet  abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando fiet.  Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, operamque dare ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^  tusque te reponat. Ante meos obitus sit, precor, ista dies. Deditus ac devotns ORATIO IN ALEXANDRUM MHiUTIARUM Mediolani  Ismcnias ilio Thebanus, sammus oetate sua libiceli,  quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios eiaa-  dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita  foro putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa-  giendum essot ab alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii  non iniucundao modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus  aoooderot.   Id nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm revocano tentavimus: an aliunde factum putatis, ut iUam pocudom  (Minutianum) vos audituin misorim^ quam ut roconti perìculo  cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm differatt   Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in-  tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per  se nihil unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^  vissima volucris relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ  impudentius, oiusotiam, quom tortio quoque verbo crudelissime  lacerat, quo se potiorom iactat, inventa recitare -pro som  non oruboscit. V. huius op. Audistis, arbitror, audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nudins quartns an quintus abbino est, poctarara genera nostrìs  tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno superiore  ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j  eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm  strepitn blatteraret. Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui  negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non  dueit oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per-  sonam non sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum  putat, si prò tot annorum iactura recipiat in posterum foro  diligentem. Quae cum dioit homo parum consideratus non  yidet alterutrum necessario sequi: aut ante adventum meum  ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt, pedibns  et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae posthao  adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera  sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut  certe illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime  Sibi vendicat, non virtntis, a cuius itinere iampridem longius  aberraret, non suae denique existimationis, quam post umbram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed spemercedis, quam desertus erat a vobis amissurns.   Et Ì8 unqnam poterit illum quaestum, quem non ex officina sed laniena librorura quam maximum facit, vestris rationibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in  Bieco TÌTere. Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina,  neqne artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non  minus vere quam graviter ait Sallustius. Sed fac eum maxi-  me velie: quid tandem praestabitf an alius nuno est quam  olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties efiBagitatus ut ab  aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe ille  ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora   Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis, m n mwtt* fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T »éb'^^mmmmÌèmiJÈm  ORATIOXES ET SPISTULAB]  non rerum memoria, quod par esset, seti oviclianis ariibns  alliciu Dturf An non illius earmiais in meutem venii: Promittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis dives  quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oassam spem precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar  temporis; quo nihil esse preoiosius in vita qui Theophrasto  mature non erednnt, exacta mox aetate, sero sentient. Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam àlias  in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta  vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam  volumus, tum ne P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi-  pis, ao sacrosancti nostri regis Archigrammatioi fidlere iodicium videamur, quippe quum nos, qui summus honor est,  snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muoribus in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usurpare iam libeat: Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt,  Nfciu patet ingeniis campus, certusque inerenti  Stat favor ; ornatur propriis industria doni.  Surgitae sopitae, quas obruit ambitus artes :  Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit orbi. Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones,  nusquam Lysonis excussor emissarius, iacet cmentus iUe dalator, in acie linguae qui nccem gerebat. Quod si verum non  est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant, sed, nt ipso gloriatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai, dbsecro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìptutum praemia sunt proposita, naetus indnlgentissimam Praesidem, qui benigna fovet ingenia T cur ad enm sàlutan-  dum nondum venit? Nempe quia noctua solem fingit, neo audet homo lovissimus illi trutinae se committere. Sed  Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem, intrinseoos  odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundemque palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae tomn- 'fììtii'il«^iThMli  tf ì f ifci /T fu 1^ |^, Y-1 i ib» ri I] gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati  apad quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque  ros agitur ; per me sit omnibus integrum audire quem maxime  probat. Equidem neminem invitum detineo, neque si velim  posse confido, quod Appula musca saopissime gloriatur.  Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos habore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Mediolani sit habiturust   Sed illud gravins, dicam autem quod ab co milies au-  divi : Yos a pccudibus differro quicquam negat. Non onim ratione, ncque iudicio, scd impctu quodam ferri, contuma-  citerqne contendere prò sententia, cui quisquo semel inhaeserit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae licentiae  littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia  nostra diutius abntatur. ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM Gratulor litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem  iuveni qiiocl diu multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri  temporìs priucipcs aut eorum ma;;istratus, in quorum manu  rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus iniungeront, quo nihil indignius, nihil roipublicae porniciosius excogitari poterat. Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam  sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt,  ao ita penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter  eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins  et hunc in modum testatus est: Quod semel est iiubuta recens servabit odorem  Testa dia.   Deinde subdit: Sinccruin est nìsi vas, quodcumque infundis acescit.   Habeo vobis gràtias et quidem maximas, viri clarissimi,  ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris studila  adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique do- [V. buius'op. «*aa«^   mini Oardinalis Bothomagensis, qui Ghrìstianissimi regia  personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen prius  admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam  vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa-  cere spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum:   Pluris est oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin.   Novistis, Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi  Senatns ordinem deceat: non oportero mmusoolis bominnm,  neque simplici cuinsqne testimonio facile credi. Oondonant  pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque reve-  rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne-  gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest.   Quid vero nnnc agam, viri clarissimi, quom sere già-  diator in barena consilium capiat mibique necesse sit in  consessu disertissimi Senatus, virorumque doctissimorumi  quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor hoc  etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed  in ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns,  non tot eloqucntissimis viris et illa auctoritate præditis  audientibus, qui, quoque me verte, virtutum fulgoribus in-  gentes occurritis.   Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd  prudentes, ut in lucubratis operibus censura severior est, ita  in snbitis orationibus venia prolixior; nulla enim res potest  esse eadem festinata simul et examinata, neo esse quicquam  omnium, quod habeat et laudem diligentiae suae simul et  gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii atque  leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire  iudicium, dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul- [TttDo Parrhaalat iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui  iDscrìbuDtar: Corneliut Nepos De viris iUusiribus, MedioU.; Sadalii  Carmen Paschaie et Prudentins, Mediol.; Comm. De Rc^ffiu Preeerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal. Sext. MmMié  MM«.M^U^«MiteM«iM*^F««iid»w*i*MM rn«kM^*«taa^k«Bi^M.* rt*««>w»rfk MkW« ««wAi«aitfkÌHa ORÀTIOMKS ET BPISTUULB] tuaria dictìone stataatis. Neo opes, arbitror, in nobis exigitìs  so!  I nn , TI ir• • f. P.A .-•Qnod si non tantum profecisti, quantum par osset, tua  non mea culpa taxi ; quid cnim facias homini tot quacstuariis  artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi fuerit, omnes  probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis accepi,  plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et audebis negare?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con-  sensu te reum lancinati, praecerpti inversique Cicoronis  ageret. Ego quom tu ingratnm vocas ( piget horcule memi-  nisse) suscepi tuas partes et quidem iniquissimas, quantumque  in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo conatus snm  oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque meminisse conAdo.   I mine et confer illa sapidissima tua tuceta, illum panem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas.  Neo eo dico ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non  negas) parcissimus semper oxtiterim; sed compononda fue-  runt aliquando beneficia, ne tibi semper ingratus viderer.  Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval mea  diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an  tuas dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum  papyri glutinatoribus, quos semper aliqua summa defraudas f  Vae tibi si non intelligis minorem lucri quam fldei iacturam  esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi queri non debui,  ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est dictum  a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis-  sins quam scelerìs atrocitas exigebatf   Sed alibi furoris arcem habet callidissimus veteraton  invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia rnmpitor,  nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis, eru-  ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret : descende  de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis-  sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione  locatus sum, in quo me Pater amplissimus et divinus Cardinalis Botbomagensis, approbante universo Senatu, statuit PRÆFAIiO IN PEBSIOM^)   Mcdiolani Chilo, sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia  consecravit, iam senez eoqao prailentiori nam serìs venit  usus ab annis, ut inqnit OVIDIO, qnom forte qnompiam glo-  riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam e-  tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias  iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium  Plntarchas memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita  monet, e hac fini amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao  itidem tenos oderis, tanqaam paulo post amatams. Per tot  onim vitae salobras quis ita circomspecte potest incedere  qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd qoidem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque  odii intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns  contingaty qaom non omniam sit in Gorinthnm navigatìo,  proximae laudis illad est ad lenitatem nos qaam primom  dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas exercere.   Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino daobns,  an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa dicere V. httius op. ORATIOIIKS ET EP18TUULA  superscum licuit, quod aliquando  receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut omnes  intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non defìiisse,  sed faoultatem.   Quod si Fabius Quintilianus, ob eiusdem generis iniunc-  tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos et studia  sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis, opinioni  responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in utroque,  ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium fefellisse  yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis indignisque  plerumque contingunt, nitro co- [EPISTULA AD LAURENTIUM PEREGRINUM  Mediolani] olro. Non it4i iiiro oontubernii, qnoiitem, pnruin inilii probatiSi ut in-  dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu 8tmlio potes  a me expecUire oiniìia qiiae a, non ininria desideras expHoari, nam neque Do-  mitius, neque Piemia, interpretes alioqui diligentissimi, moltoque minus infra classem ma^struli eins verbi vim peroe-  perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in significatione scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem  gratiam referre videtur accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi  V, huiut op. CICERONE per haec in Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur,  inqoit, vatdciiiiam landarim, peto a te ut id a me neve in  hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego idem rcponam  Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus apudSe-  necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus,  non abi reponas, idest nlciscaris. Metaphora sampta est  ab iis qui matitant, invicemque convivantar.   Haec babai saper ea quae a me qaaesisti ; integrnm sit  seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod aptissime  loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben ! tn  vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane  pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent  a molestissimo legam studio. Cogita tibi, vale. iuquit € Jane, qui centra tui saeculi mores in uno altero ve  libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas est, quom invenes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe-  8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat  prò re dicere. Sed saepe ultroiuterpellant, atque alio transgredientem revocant et propcrarc se testantnr. Utque Philostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt, sed  ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem  pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non  facile x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod  discipuli probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris Qnibus ego monitis, ut par erat> a priore scntentia de-  turbatus, animi dubius aliquandiu pepeudi. Nam quam vis et  ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn erat quam in  partem homines essent accepturi, si Lucium Florum nostra  ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici,  non penitus obducta cicatrice, desererem ; tlifficilis anceps-  qne deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris  auspicia retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem  vestris commodis posthabere. Diebus itaque festis, quos alii  genialiter agitabunt, quae restabant ex Floro, pomeridianis  Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam Parrhasii nostri  laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins magnuin et  Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont  tk é m u mtàutmm^tÈm^im^m^^mnm* itiàm   OBATIOMES ET EPI8TULAS  horis intoipretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii  folixque sit omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem vetustos adco suspoxit, adoo venerata est, ut nihil ad hoo aeyi  rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium possit excitari. Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus Livium,  supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis  ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano  capitale fuerit apud Domitianum, quod eas excerptas ad  usum uiemoriae circuaiferret. Quanto niitius sacrosancti nostri  Ro£^s in^^euium, per quein non haee ediscere solum licet|  sed ipso praeceptores nitro conduciti qui iuventutem Hber»- liter institnant, Quis vero Livium nescit in exprimendis alTectibnSi quoa  mitiores appcllant, inter historìcos primos obtineref  Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus  illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti  epistola Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia  reforre supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem  vacare, quod olim Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Livins, et eos invicera comparare, a quibus discere magis oon-  venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti quadam providentia  componcndis moribus alendis. EPISTULA Nli.-DE LIVIO INDICE Mediolani Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo stadiosusi  ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion, iutcrrogatus  ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi  castigatuniy respoudit: e Antiqua lego exeniplaria, non ea  quae nuper emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem  secutns, Probus exemplaria undique coutracta inter se oouforre coepit, ex eorumque fide corrigere ceteraf atqne di-  stinguere et adnotare curavit et soli liuic noe ulli praeterea  grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad famam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^  niurÌHi nam quam sit hoc laboriosum, quam non omnium,  Cioero testatur ad Quintnm fratrem. cDe libris, inqnit, Tyrannio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed operosa res est et  hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo studio nihil  assequor. De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita mendose  In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epistulae collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De LIVIO indice^ omni  indicio signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta  sint. V, huios op. oratioubs xt bpistui^àx scribuntur et veneunt. Utinam non nostri temporis haec iostior essct querela! certe ego non plus in alienis erroribos  coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum scriptis insodsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes ab  impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìiminio mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In  quo non recuso quin mentiri indicer, nisi LIVIO Decada istao.  apertissime probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab  ipsis argumentis incipiam. Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo-  cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PLINIO integrum volumen elencho dederit, et CICERONE per epistolam  potati ut eius libris index ailinngatnr. Lampius etiam, Piatarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon operibus pa-  tris addidisset, ut est apud Suidam.   Qais huuo indiccm LIVIO praetexuerit in obsouro est; aliqui tamcn Florum suspicantur. Ego nihil aiBrmo, sed qui-  cumque fait, doctus certe fuit et plenns auctoritatis in scholis,  ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a LIVIO transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum  sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui mauavit ab cxemplari PETRARCA, viri, sua tempestatOi  dootissimi. PRÆLECTiO AD DiSCiPULOS Mediolani. Tollite iampridem, victricia tollita sigoa  Virìbut utenduiD quatf'fecimos   Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis,  iisdom V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia,  qaibas apud Lacanam Oaesar ad instaurandum bellara militos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que infesto ' hoste  Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc tempore. Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra  qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngnayerìtiSy frigoris atqne solis patientissimi| nunc nisi reparata  constanter acie consistemns omnes prompti, labores emnt  irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm. Haeo enim  nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant  conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve  fngiendnm sit, ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia comparat homini prndentiam ; nnlla tamen re magis ignorantia  prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a teneris  annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate versat Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« P.  in discipolot demoDStrandum amorem ab^i^mt^mimm'^'mmm^^111^1»» 1 1 r if , m I mi II \ km ru ni^im OnànOVEB ET BPISTULAX indeqae mores et instituta mortaliuiii disciti ao daoe demaìn  philosophiai Wtae probitatem cum eniditìone coniimgiii Ì8  sane diis immortalibus par in torris habetnr. Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp-  tis viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram  qaoqae raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca-  pcssenda denuo studia consnrgite.   ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii| consurgite ad  solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque explieita  signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis acer-  rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo  quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido  fungar. Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm deuiqne periculum recusaboi ut in arcem sciontiae, ad quam  nati sumus, victores triumphantesque vos perducam, Atque,  ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores, 4°orum enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa  ab eminentissimo poeta sumpto initio.  epìstola ad PIUM. Mediolani. Atquiy taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam  nec extat apud Solinum: e Armenia tigribus feconda; nec sic  unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi Hircania feta tigribus est>,  ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm codicem mendosnm su-  spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis, an qnod  ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te  gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis  ego nomen proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apnliae est), Bomaeque nactus antiqua reverendaeque vetustatis  exemplaria, quibus adhibitis et cxcussis, castigatissimum mihi  codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo vetustissimum,  qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM est'  et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta  furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et subterranea cubilia. Scio quis iUius emendationis auctor fiierit,  sed is me perducere non potuit, ut ei, magis quam vetustiorum codicum fidei, crederem.  Non prò explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io-  Bcripiierìt epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe-  rimnt : Joannem Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Romanum. — V. haiui op.ifc IWli^fc    ^ntU^tì^^ìimAm  EPiSlULA NI. -DE A. MARCELLIIO   Mcdiolani Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes me soni  omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì;  nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde  quaedam non vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^  Illa Juliani mentione Marcellinura citare, nisi qnotiens in  rem meam faciebat ex rebus Juliani f Curiosi certe nimis  est inaccurate illud a me factum putare V. hoiui op. OBÀTIONBS BT XPISTUUUB  piena fnigis optimae; et haec in causa fuenmt ut Latatium  potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes  sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum  fldes, quorum magna mihi copia Neapolii Bomaeque con-  tigit, quam particnla vulgatis inserta codicibns ab iis qui  testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi conftnxeront. ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM   Veicetiao lat.  (0  Veni, Patres optimi, tandem veni, 8oriu9 oxpcctatione  Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum grave  diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervicibus, quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos,  tantumque sibi pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram temporum conditionem ! quis hic ita non ingcmisoat et frontem  feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges, Arcades in  Pelasgosy Lacedaemones in Dotos.   Ilabeo diis immoi*talibus gratiam, quorum uumine servatus hio a OBÀTIOmBS BT SPI8TUULX   sanguine gliscnut sic in omni crudelitate eznltanti nt vix  acerbis sociorura funcribns satientorf   Errat, Patros optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi  magis extitisse propitios, a cyclopum fanoibns elapso, qnam  mihi dum cruentas Gallorum manus effagi. Qydopos enim  dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne notos  quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum  sibi pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar  importuniores.   Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi fo-  rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri  quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus  est unquam, ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me-  ritusy ego t Caput omnium, satorque scelerum fuit AllobroX|  qui virtutis præmia malis aiidbus assccutns ini rcSv oye^v  fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex asinis et quidem lenUs  repente cquus exiluit.   Is enim nostri generis omncs odio prosequitur ob intestiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum clarissimo  nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum nostri  codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in  pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debaochatur et furit impotentissime, quod una alteraye epistola  Bitium laudavi, semel in editione Sedulii Prudentiique, Obristianorum poetarum, quos omnium primus e pulvere situque  vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam Bitius  ipso condidit, mihique castigandam 'dedit.   lUud autem nullo pacto forre potuit me sua causa no-  luissc quorundam Mediolauensium liberos a nostris aedibus  exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus Allobro- Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae HierusàUm^ GaOiae  ete. Histort\ Roma. P. epistula, impressa in huias operit  prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi.W lm é'^ m^i  P.  gìbus esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae pròfessionis acmulnm, qui nihil quoestus aliquot annos propeme fcceraty extollerey amplecti, fovere quo stomachum mihi  faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me sae-  penumero voratas; ac incidit in illam quoque suspicionem,  quam garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dolator augebati a me sua notari tempora vitaeque sordes eo  opere, cui titulum feci: e De Rebus per epistolam qunesitis,  quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis exi-  turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam rediens senatoris ad primam facem, ex ictu lapidis in capite  vulnus accepi ; nec alieni dubium quin homo sexagenarins,  qui plus in capulo, quam in curuli sella suspendit nates (ut  iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita indignamque cædem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom  satis constet ab emissariis eius excursoribus ingentis spe  praemii soUicitatum Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat,  ut malum venenum medicamentis infunderet. Exponere supersedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit indomitis  moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me  recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit  ab amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisiorum Pontifice, cuius immerito vicem gerit, a decedendi Consilio revocatnm. Quid itaf nolite quaerere, Patres optimi, nolite quaerere, quando felicioribus etiam saeculis tam perverso principes  ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent eos qui excellerent in communibus studiis essentque superiores ingenio. P. aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in  Epistola nufte ad Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh :  € In prìmiff autem deflenda est illios divini operis iaotura, De Rebus cilicet per epistolam quaesitis, quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat  enim ad editionem paratura, libiisque constabat quinque et viginti »• iaHto«*««aMataiiBrf*«Mtfi*i^^A«#^*MM«aa*»wiI H V, W.«  ll* 1^1i^i^>tft»at0t .i> i»timm  ORÀTlOVEa ST BPISTULAX  Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios : ego pecuniae  captum nauquam habui; sequantar alii annouae liberalitatem,  vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester amnis  Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso-  phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti  pancm cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Discesserint bino alii pecunia divites, ego contentus ero yestra  benevolentìa, acri iudicio, gravissimo testimonio parta gloria:  quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis reliquum  vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti  sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice privatimque de nobis meriti. Dies me deficiet, si commemorare volucro quibus ofBciis florentissima vostra respublica, yestrique cives me prosecuti sint et x)rosequantur. Itaque ne  cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire, quod unum  possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom  ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod  mihi delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti yestrae dictabo, quod antea facturum perncgaveram: tantum  bonefacta in omni re valont, ut est apud Propertium. Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae  in nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem  vobis omnibus omni ex paite probare, quibus existimationem  meam commendo meque dodo. Dixi  (lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime  ad narrandam P. vitam usi sumus, permultas omisimus orationes,  ut luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit. li I ri PBAEFATID IN HORATII ODAS   PaUvii. Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat litterator ani eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii  Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano  iniquitatem temporum rcdactas esset, ut privatim doceret|  ille quidem fato convicium facoret seqae de fortnna praefa-  tionibus alcisceretur, nt olim Licinianns ex consnle rhetor in  Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso vicissitudinem non  magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae experientia  didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt homini  me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile  patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis oblatam conditionem recta via reputare, nihil est our agi nobiscnm male existimem, qnod longe minoris solito profitear;  siqnidem summa hnius urbis auctoritas celeberrimumque  Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat omne  salarii detriraentam V. holQS op  r«M4^w»aM EPISTULA AD LUOOVICUM MOITALTUM Agelli Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae gignit sive  soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae iudioantur  optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica  cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et  Lestrìgonam sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais  illa, qaam propter insignem formam Gorinthii sibi vindicaront, et inde Oeres, magistra satiouis framentariae, et  Prosorpinæ fama sit; qnod ibidem campus Ennensis in  florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna demersum foramen ostendat, quo Ditem patrem ad raptum  Proserpinae exeuntem fama est hausisse lucem. Gommemoreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et salinarum  miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum.  Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in  Achatae fluminis ripa repertum. Tollat in coelum vetns  adaginm Syracusarum maximas opes aerìsque olementiamy  qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena, nnllo  non die sol est. Addant Alphe! Et Arethusae fabnlosos V. haias op.«t Mq.;A HMM««Ml«««M iniiiiri* OBÌ.TIONB8 ST XPISTULAS  amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL-  dom non adeo principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi-  stimo, qaod ambita moenium quatuor oppida oompleeterotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen, qaam  qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm,  qui dao iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos  parentes ovexcrunt inter flammas illaesi ignibas; quam qaod  Archimedis incanabula fuorint, qui praoter sideram diaoiplinam machinaiìas conimentator extitit, oppugnationemqae  liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam protaUt  illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae praeterea qaorum immoHales animae loqaantnr in libris. Inter qnos ipso tantnm praestas, qaantom ceteris mA^mtt»tìLiém^l£ PRÆFATIO IN SÌLVAS SUTII Roma. Si quis in hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte  qaaerat, andò ovenerit ut ego, promtns alioqui paratnsqne somper habitus ad dicendum, quemque totics ex tempore perìcnluni  bono periculo multis in locis fccissc constons fama nunciabat,  apnd T09 hacsitare cunctarique Bim visus, ac, voluti mutato  solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis  acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversationibus extraxerim muueris obeundi diem, dabit is facile  mihi veniam, quom pluribus iustisque de causis id a me  factum sciet.   Ego, ornatissimi viri, licet in dolio flgulinam non discami  quod agore vulgari quoque proverbio vetamur, octoque iam  per annos in Gallia Citeriore persouam rhetoris haud inglorìe  sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate auditorumi  nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior efficiebar.   Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì magnitudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam docere, quam humanitatem, si non audeam, quom praesertim V. huius op.^riSi"»rr. «e :r-* --^.o»: it...». prò me staro vidoara duos atriusqne linguae signiforos et  qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim, non  minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia  toriis imaginibns illustrem; Thomamque Phædrum, Bomanae  Academiæ principem, sacerdotiis et iugenio partis opibus  insignem, quorum tanta verbornm pondera semper esso duxi,  ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia asseouturum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et  auspice Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu,  hilaribus oculis acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam, quod me gravissimis apud Pontificem  sententiis ornaverunt, ubi vel nominari snmmus honor. est,  Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis expotcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium  quam iudicium. Our iUis ego non omnia debeam, per quos  utrumque mihi contigit indnlgentia sacrosancti Pontificis di-  viquo Leonia X, qui maxime reram usn, incomparabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate, admirabili eloquentia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet  eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo,  cuius ante vivendi rationem quam nomen affectavit Reliqua deincept, ut minime none Nh M il  makttmtmamm^mmmt^m^mir •iM^tfiM—^yj PRAEFATIO IN ORATOREM. Roma. Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratione in vobis, auditores optimi, qaibas me maxime probatam  oupioy rcddemlam censui cor e tot aureis divinis CICERONE oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata priore  sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom  paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sugesta a. me enarratum ili Bucolica pronunciassem; quod nisi me insta de cansa  diotnm mutasse oonstiterit, equidem non recuso quin apnd  vos levitatis et inconstontiae culpam inourram Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas  invidiae procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim; quodque lenti maleqne de me sentientis opinionem subire  maluerim, quam, quod CICERONE turpissimum vocat, contentiosi  senis: huius meae lenitatis uberrimo fructu percepto sacrosancti augustissimique Leonis X indicio quo nuUnm maios  homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si  qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de  iure meo magis accedere, quam nomen boni viri litiumqae  fu^itantis emittore V. buius up. PRÆFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM, Roma. Quom scdnlo mccum reputo qnnm inulta nccidant homini prneter spein^ libot npud vos auditore? carissimi qnod  Aenoas Ycrgilianuf oxclawat usurpare: Hcu nìhil iavitis fas quenquam fidere divit. Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii plenum  foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit  aerumnas, quæ nostrorum studiorum rationes tantum evorteruut; id quod eventurum non temere quisquam iudieasset  in tanto bonorum Principum proventn, quorum opibus ao  indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa faciam  quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr,  ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione refricemus; ut etiam taceam snffragia patris amplissimi Julii  Medicis, quem nuper ad proximam Pontifici dignitatem divinæ virtutes OTexerunt; ut hebraicae latiuaeqne linguae  instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam: certe  Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea  TÌtae mihi commoda suppeditat, quae studia possint igna-  vissimi cuiusque exoitare.  Y. httiuB op. l«ow^^IN •«* i m i r ii»* Ìkerii, in  quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra  est} quos nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres  non hcbetes, oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proinde vigilandum sompor, multao euim insidiae sunt boni, ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus ingenio  possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta  fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm  non potuit. Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae  paucis ante mensibus apud vos oratione perpetua deploravi,  quid erat ineommotli, quod mihi deesse videretnr, aut cui  novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera tamen for-  tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictumque duplici luctu senem tantulum respirare passa non est. Duum enim carìssimorum desiderio funestam domum,  diuturna couiugis insuper et mea valetudine concussit, et qua  (dii boni) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam adversis  sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri temporis emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae  enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris  stella Jovis intercessisset. Et mors mihi quidem molesta non  fuisset, ut in qua propositam mihi scirem laborum ac mise-  Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phædri et Batilii ChalcondylM  mortem. Y. huius op. In Tractattt tistroìogico (TU Op.,) Luca» Oàuricat  horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere retulimus. Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi  tf^^MUi-m^t^^M riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat, qnod  apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has  Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo  nuno lactAndam mihi mairis est, quod ex orci fnucibns eroptns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu fruor, quod intuoor et  contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost cui  non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non  extct aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns memoria benefloii sompiterna; ncque cnim vos oculornm coniecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara praostitistis, egoquo non minus signiflcntione voluntatis et benovolontiae, qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum de  causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis  aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo  usque non distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis  ac inopiuus oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus  ad iutormissnm docendi mnnns eram, in summo pedo enatos  abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant) brevi ita altas egit  radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego nihilo-  niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm  medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam  nihil autiquins habeo vestris commodÌ8.  Ncque vero hoc dico, quo me vobis venditem; our enim  blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus qnae-  8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t  atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis  vestmm forte mihi succenseat, quoti ad diem praesto non  ftierim. Nano acquis animis attendite nostramque de hia  ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite. Nam si nsquam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo  vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando perventuros quod hoc anno cessatum sit. Temporis iactoram focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm proponemns,  Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti proporando.«M^B#«**^à«Ì»«^ÌAM »mim»i*a^lìkmami^Jmt^mmm*tI IH ìàH^ti^mtm^t^mim ri II ORATIONES ET SriSTUULS  etinui citius, quam si tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to-  luut. Quoiiiani vero, prinoipiis cogiiitU, multo facilius oxtrema percipiuutur, autequam quae rtvtaut mloriamnri Epistolao argumcutuin brevissime repet4im. Huius Episiolae superiore partieula noster Oieero reti-  ilebat Attioura certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest  quot in oa eompetitores haberet, atquo ex his qui certi  quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit etiam diem quo  prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis ao  ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua  causa facere velit.  r>rf ai n » i é" . ' i^-«i»*iii^i»v' V  4» n . Il«fc — «nlBÉ  PRÆLECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM •tei  «iMa .jm i > i r- > ir >i Mj i a ni n i  n i nr - •arh^fc-Émli OBATIOXES ET EPISTULAB SBLBOTAK. Oratio ad Patritios neapolitanos. Privilogium. Epistula ad Ferdinandum Aragoninm. Oratio I in Alexandmm Minutianum. Oratio II in Alexandram Miuutiannm. Oratio ad Senatnm Mediolanensem. Oratio in Alexandrum Minatianum  vni. Praefatio in Persinm. Praefatio in Tbebaida Oratio in L. Floram. Epistola ad Laurontinm Peregrinum  Praefatio in Livium  Epistola NN. — De LIVIO indice. Praelectio ad discipolos  Epistola ad Piom Epistola NN. — De A. Marcellino  Epistola NN. De Lotatio   «Mfc^lt  I» M w r ^•fc. l^-^r-^^T«.L-^, .a£^&.-'-^jJ:-L^.-c'-.^a:ji::^ ^niDiox    Oratio ad Municipium VincentiDum Praefatio in Horatii Odas •  XX. Bpistula ad Ludovicum Mouialtum Praefatio in SUvas Statii Praefatio in Oratorem Praefatio in Epìstulas ad Atticam Praelectio in Epistnlas ad Atticam. Dello stesso autore L’ Eleqfa. c Ad Lucia di Aulo Uìaco Farrosio « il  Brnto minore dì G. Leopardi Ariano Stab. Tip. Ap-  pnlo-irpino Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. PpeonrBOPe del-  l' Ariosto ode) Panai Stiano Stab Tip Apputo ir-  pÌHO  Di prOBSima pubblicazione   P. Filoloqo c la sua Biblioteca. Paolo Pabzanbsb Tita ed opere. Scritti ihrditi di ParzanoBo feon prefazione noU). In preparazione  STunn Dahtebchi Anxcdoti HuvzoinANi  FOLELOBB iBPmO   La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea Prezzo del pbesektb vomuE LiB^ 3,    lANI PARRHA^    SII CONSENTINI V  RI 0OCTISSIMI RH AE^  toricx Compendium,   Atijp id qitfdeni ab optimis quibusque  tam Grafcisquam Latinis autoribus^  in adolcfccntum iuorum ad artifiaum  rationem^ dicendi perducendo^  rum gratiam at(j ufumjCJfe»  cerptum^    lom.AUxmder^raPkmsadfiudiof    J. AHIOMIVS CA£ S As   rius Lepori.    7’'^ ^   I '  0^ i a iV        -V     -.•’.,: 7 .v  'i' l J K   -r- * ';    . ?    ^  ' - ^ l    mdi^ifitmeUadlJchtnox^ad toUenddg  ht eo crudiores etiam fordes harcbant^anmtm  fjfTudmanu^ adijciens> difftum equidem cumprimis  iudicaui,qucm in publicum prodire , multo quam antea cr adipatiorem er nitidiorem nunc demum cu*  rorem: id^tuopotifiimum nomine ^ HicolacyUtz^  quam te ex animo cum obfingulorem patris tuiyopti  mi certhtq; doilipmi uiri in me beneuolentiamy tum  egregiam indolem tuam amplexar ac diligam 'mteUi  geres: ad huius ipfius autoriSyParrhafif dicoyfcrip  ta, olim per occafionem diligentius inuefliganda con '  tendetesicr quod uel procipuum eratyolacrius etiam  hthifcefiudijsyadquie faneiam otas ijlcec tuaaj^-  ratyte exerceres. Qjto certe fietyUt non [oluofi id quod  te maxime decetyqudq; nos ^ te ^hocepimus, ele-  gie tueare: fed magnum quoq; ( patrii exemplum fe-  ddiho imitatus) tui ufumy cum patrue % tum bonis aliquando omnibus probeas. valcy Bapleeypifidie  Calendas Septembres. M. \ D.   XXXIX ^     IN lANI PARjifUASII RHE^i?   (b*D M P E N D-I V.U I N D £X. -   borigincs 8^.4 • Aar^.,9a8.& arris nomi.   « Ado(^cenria:lau$. ne digna quar.iQ.i^.   * 81, .♦ 9 Ajs celanda * ,.i 4 * 7 Ægyptii fe primos ho Ars naturae inii^trix*   , minu e(Te uoIut.x.t|^ 15’. »  Æquum bonum.^o^» Ars qua'm nahiracerc  ’ if inde riordux i6,ij   Æquitatis rario. to^4 Arris oificium %uf,   ‘ A Aetatum ratio &diuer Ailmio accufatori •   fitas 80.18 pro flrraametp.dj.i; ‘   - AifeiHiUu morio.94. 4 Ai^umptiua quaUtas*   dcAffei^ib. agere pol uideinridicialiius. ^   licetur Parrhafms. Allumpriuarordo Agere>&a^b‘o,quarc Afyftata 4z.i*   oratoris propria.iy.s Aiyftatorumodi qribt   ^ / Alcibiades »o,zj 4j. 1 * S   » ' Albini defenlTo. f 4.« Athenis primum elos   . Ambiguum, quenri^ data opera»   r Amicitiarlaus 79 .»o 5. f   AmpliBcIdi ratio* 7^, Auaricia adolefccnriae   y X5.&77 S pemiciofiflima Antipho ».« %z   Arbiter a iudice quid Audere, etiam bonis rc  ' , differat tod.19 busconiun(fl:um,fug7   l' Arih^Otelis rhetorica. endumtamen.4.i7   r »4» • Bonuiv    .    • ^ - I . N ' E   J B   B Onum quid . ^7.4  Bonisomnibus ex  coepta uirtute,abuti  homines poife.u.i)  L,Brunis & PopiUa  primi in funere lait  - dati Romst. 77  10  - C   C AlIiftratus i^,ii  Capita rpcdali^&  generalia.   6x.i “ ( u   Val. Catulli natalis.s*  Caufa jt.19   Caufa (implexquar.^t  x.quarne cppofira . 3  Caufaru tria genera.   j^. 8.&?7. t8   Cethegus Suadae me=  duUa 4.7   Cacofyftata 44.19  Cicero cotra Fabium  & alios defenfus . i 6 ,  5.inde.&z8. 8.6^  AS-   Cicero iam fenior in  eloquenda fe exer«  cuir Mo   r?..    h    E X.   Cinxia luno 88.1^  Circumftanda,quac fa  dt hypothefin.34.tx  Circumftannae partes»   t   Civitatis laus .»  Clifthenes 3*S   Comam nutrire folin  Lacones 73.^  Comparano 34.3  Comparationis mo   Gontrouerfia 31.19 DeHbcratiufl genus  pxCoucrfatione facile 39. I   ' qualis quilcp fit coU Deliberatiui generis    ligi gt.15 duo officia 66.7   Corax  Deliberatiui genens fi   Coryhriiu nauigare, nis 38.11   noeftomnium.pro Demonftratiuumges  uerb. 18.4 nus 39*7   Corporis bona.79.10 Demonftratiui gene*  Corporis magnitudo ris finis 38.i5k   . autparuitas proprium;   CrafTi elegans diftu; 9»* 4   7x, 10 Demonftratiui gene*   Cupiditas, iucundi ris ratio 71.15   fons 97.11 Demonftrariuo gene*   Cupiditatefieri qugdi riineflfe etiam pers  gantur 96-416 fnafionem 37*8   t)emoftheci      ‘I    I N D   pemofthenes Plato  nis 6c .C^Uftrati au  ditor ' ; ‘u 4 o   Deprrcatio  Dem oftli.ehis indu «   peprecado apud iudi  cesnMlla. Depulfio * pr .19   ^cffdiarplurcs fe^to  rfs   piale( 5 lica 8 C rhetorica quid differarir^.^  ftale   C^Quadtio duili5* Rhetorica &.diale(fti9  jt. 8 caqd differant. 7 .i  V { N 1 . -j,. ; ’lin P.  NEAPOLITANI VIRI CTISSIMI RHETORICAE  Compendium»   AQVIBVS PRIMVMETIN*  uenta Rhetorica >6^ cele^  brata» Cap,i»    Rhetorics toresyqta^ leges tulerunt, tllm pnmt creduntur  exercuifjeieaq- duce feros animos eff^ciffe pati  entes focietatis , ^ coetus, Winc ex oh feruatio^       ne, quum queere£ta,qu re& non uidcbantur • Marte etiam   geni^    I    RHETORICAE COMP. f  genitus Populus , tanfim defidice altricem  rejpuebant» Et quia a Grcecis petenda eratf  ^gre ferebant ah illis quicquam accipere : indi-»  gnum putantes, quos armis rerunuygloria uicif»  fentydiqua tamen in re fateri fuperiores.Vnde fi  ^ui Uteros callebant Gracas, magna eas indu-»  firia difiimukbant,ne apud fuos ciues autoritatc  imminuerent.Paulatim tame utilis hone/ia^ ap-  paruittprimus^ L . Plocius G alius, fub ipfi^ U  Crafft extremis temporibus, eo ipfo die quo Vd  lenus Catullus natus eft , docere eam latine cce  pittad quem ingens cocurfus. Aegre ferebat Ci  cero,non^idem fibiliceretquod doSiifiimoru  autoritate teneretur, qui extimarent, Graecis  exercitationibus ali melius ingenia poffe, LJtin  de*Voltacilius,q Gn.Pompeiu docuit, primus^  hbertinoru hi/ioria no nifi ab honeflifiimis tra-  ftrfr/ folitam fcribere aufus cfi, rhetorica artem  profeffus eUitantuml^ breui interieSio tempore  fumpfit incrementi , ut CICERONE (si veda) iam finior, cum  Hircio & Panfa grandibus pr   rhetorica nulla pracepu ab autonhus defcrip^  ta funti uel quod nulla materia diRans ah huma-  nis rebus excogitari poteB , qua in aliquo ex tri  hus generibus propria rhetorica aliqua falte ex  parte non cadatiuel quia qua degena^ali dicen-  da ^ent , ex propria praceptis facile mtelligi  pofpnt . Hanc igitur propriam ex fententia M.  Tullij breuiter ^ circufcripte definiamus-) par-  tem effe ciuilis fcientia,id efi politica, ciuilis au  tem rationis una pars eR-, qua in opere fine tumultuialtera-) qua in quaftionibus hteq^ cofiftit cuius magna et ampla pars artificiofa eloquetia*  ayiT> INTER RHETORI-  cam 8^ dialccfiicam. Cap» 5«.   E t quonia d^aleRica cognata putat An-  ftoteleSyage fi lubet qd inter fe differat in  fpictamus . Nofttm eR illud Zenonis , qui manu  prolata utriufque uim expreffit . amba enim ad  unum fere eundemq; finem argumentationes reperiuntinec fecum, fed ad alios agunt, fola^ ex  omnibus fcientijs,de cotrarijs ratiocinantur.neu  tra determinata quapiam re, quomodo fe habeat^  fcientia eR: fed facultates quada funt inuenien-  darurationU , hinc idm quaft hAet fubieSiu^^ut    ft diiddisy neutr i perfeSie fcictU cfje  duum certum proprium fuhieShum mdlu ha^  \ he^leorjum. Sed tiwie D Ule6ticofitione longe ab illius diuer  fa, contenta eR, acciditq; dialectico, ut appa-  renti fyllogijrno uti nequeat : fit enim fiam cd  uillator, fi eum prudens elegerit. At oratori tam  eo quod eR , quam quod apparet , uti permtffum  eC^:dum tamenperjuadeat, ad quodunum omnis  nititur ars oratoria, AN RHETORICA SIT  ars E St^ alia inter eruditos cotrouerfia ,fu  ne ars rhetorica: fuosi^hahet quceq^fin^  tetia acerrimos defenfbres,tantis^ animis non-  nulli ex artiu numero eam explodunt,ut ne coid  tijs quidem fcriptis in eam calumnijs temperd   rinttillis maxime nifi argumentis, quodars reru  fit qiue friuntur, rhetorica opinionibus conflet^  no fcientiatnec cognitis penitus^ perfjpeCtis re-  bus, et nunqfallentibus,ad unum^ finem fj^eCia  tibus cotineatur,utnec femper ueris agatidua^  femper fint caufe^ut neceffe fit altera falfum tu   A 5 ni    tO rri.Addm et illud, ob umadtSiiomsgenerdad  mdgire popularem'^ fenfum iccomoitnda, nui  Um irteefje poffe,At^id poRremo ohijdut,ca  put totius rhetoricae e^e dicere:quod ipfum arte  tradi non poteh,Ad c^uae fmgula ne articuktim  occurramus,in caufa nobis e^Qtantilianus,qui  libro fecundo omnes fententias confutando, eo  rem deduxit , ut artem effe  crate ufurpatum : Qjw in re clarus quif^ efi,ht   > ea fe exerceat , ^ diei partem illi plurimam im-^  fy pendat, utipfefe fuperk. G audeat, fi ad doShri-  nam prouocetur: nec turpe putet docere alios, id  quod ipfis fuerit difeere hone^iijiimum,memine  - rit    tit tmcn uirginem effe inuSim eloquentUmj  nec turpi lucdlo proflituendam, tuncq^ laborum 'EJoqucntt^  juormfruEtum fat rm^um capere Je fiat, .  quum occafionem adipifcitur publicandi qu.    rit, non doceat : nec ingenia melius ahjs uacatu-^   ta , detineat atque obruat . quibus deliramentis   plenos ij»n tunc effe grammaticorum cemmen^ • B 2 tarioi    tO tortos, conquerebamur Seneca et Quimilianfff,  Exerceat poftremo difcetes, inflet, molejius fit  potejlatemq^adipipendcerhetoricte non minus  in di fcemium,quam docentium dm^entiojoliett  datconfijiere,   aVALES ESSE DEBEANT  Rhetori cf candidad«.   Cap^ lo^   A Ge nunc uici^im, quales efje debeant  Rhetoricit candidati , inf^iciamus.neq»  enim ex omni ligno fit Mercurius . Mali nihil m  ea proficienucum quia mens uitijs occupata, pid  cherrimi operis jiudio uacare non potefh tum  quia omnem malum , /lultum effe oportet, Mti  autem iudicio carent , & confiiiotquibus maxime nititur ars rhetorica , nam ut caterarum re-   rum, fic etiam eloquentiae fundamentum efifa-  pentia,Sit liberaliter inftitutus,bonis corvoris ap  tbryne, prime ornatus i?hry nem meretricem Athenienses prudentifimi eloquetifimiq> ,no tam Kyperi  dis oratione, qiMnqud admirabili, petfuap, quam  uifo eius peSiore(quodfpeciofiflmum , diauStd  ^ibiades* ueAent^erm)apfoluerHnuAlctbUdeSi cui R*P. relji>onfo Apollinis, tanqtmmfortif^imo Gra  eorum flatwtm in comitio erexit, populum Athe  tiienfem pulchritudine poti^ime habuit fihi ofc-  noxium. Nec mirum, fi illi populo placent, quos  eximia j^ecie natura donare dignata e ^ : quum  credatur ccele/lis animus in corpus uenturus,  dignum prius fibi metari hofhitium uel quo «e-  nent , pro halitu fuo fibi jingere habitaculum,  unde aliud ex altero crefeat: esr quum fe pariter  iunxerint,utraque maiora fint.Vtcunque, fatis  conRat,mirum effe quantum ^atice forma maie  flasq- corporis fibi conciliet. Dotibus idem ani-  mi fit infhruSius , filiis qua ingenerantur ap-  pellantur^nonuoluntariatut docilitas , memo-  ria,quaf^e omnia appellantur uno ingenij no-  mine : filiis , qua in uoluntatepofita, proprio  nomine uirtutes dicuntur ^ Ante omnia tamen  ingenio opus eft : quodquibufdam animi atq^in-  gentj motibus eget oratio , qui ad excogitandum  acuti, ad explicandum omandumq^ uberes, et ad  memoriam firmi fiint (^dtuturm . magnamq-in  oratione pofiident artem facetia, lepores,lacef-  findirej^ondendiq^ celeritas, /ubtii urbanitate   B 3 coniuttSia:    tl    conimSia : qu   N Ec minor dijfenfio eflin eius materia i  illis orationem, abjs argumenta perluaji*  hdja,ciuilesabjs quce^iones jiatuentibus^ Noiy  de ea inter optimos conuenvtt , aperimusi  t prius quid fit ipfa materia oRenderimus^Ejl  enim materia , in qua omnis ars, ^ ea facultas  qiue conficitur ex arte,uerfatur,Vt ergo medici  nauulnerOy^^morbU fic rhetoricae omnes res^  quacunque oratori ad dicendum fubieSla funt^  materia appellatur.Nec obflat,quod fi deornni^  tus rebus dicat, propriam ergo non habeat mato  rianhfcdmultiplicem : quum alia quoque artei VtatedaH     mino*    '5S    V   I* DE CIVILIBVS QVAESTIonibus, Sacarum gencru -r  bus* Cap«. x6,   Solent autem res oratori fuhieBa   cendum^ d plerifque (^uMones ciuiles ap  pellari : quod non omnia quk‘.   pofhefitn uocant . 1« hdc genercttim Jiquid  ftueritHT , ut ExpetemU ne fmt liter ae . \n iU  (t definitcejunt perfonce^ C'onfiituti cum ad  uerfario confligendum, ubi rei dominus (qui fie^  pe alienus, fepe immicus eR ) quafi machinatio^  ne quadam, nuncadiram,odtum,triRiciam,ht^  ticiam,fexcenta oppoftta,eR detorquendustillk  magnum eR opus, & (ut inquit Cicero) nefcio  m de humanis operibus longe maximum^   DE CIRCVNSTANTIA, QJTAB   fedthypothefim^. Cap 17«.   N Vnc quoniam thefimab hypothejife-*  perauimus,et quomodo quceflione uti de  beat orator oRendimus: reliquum eji,ut quid fit  quod hypothefim faciat, demonRremus, ER  enim rerum quell^ere,auieqHid fit, enumera  fione facilius ^uam dehnitionc aeprchendttUK  Sunt autem eius partes lex Quarum coniun^iio^  onat.Elocutio,(]ua idonea uerba ^ fen  tentias inuentionibus dijhofitts acc6modamus„  MemorUyquie rerum uerborumq^fida efl cuflo--  dia * Pronunciatio , quicej e,in quas  fpeaes diuidantur. Hermagoras, quo duce po  ttj?ima rhetorum pars ufa efl,quatuor modis fie-  najjerit: per cequale,unicu, fine circunflantia, modi 4«  inexplicahtle.Aequale e/i, quum eadem ex utra- t  que parte dicuntur: ut , Dj(o adolefcentes uicini  f ormo fas uxores habebant, noSiuobutamfa£H  media uia,accufant Jeinurcemadulterij, Vntcu, t  quum ex una parte tantum con/iat, ex altera ni-  hil affertur: ut Leno, qua parte fciebat uenturos "  adolefcentes, foueamfecit, quailli pertere ,Smr ^  arcun/iantia,quum aliquid deeH in qtueflionei  quod faciat caufam : ut,¥iliumpater abdicat,  neq; ulla additur caufa abdicationis, Inexplicabi ^  le (fi, quum ludex haeret impeditus, nec f nem iu  dictj uidet ullum lUtLexeH, feptemiudicesde " * :  reo cognofeant , maioris partis fententia fanSia - •  fit , duo quendam abfoluunt, duo pecunia mul- ^   Siant, tres capitis condemnant : rapitur ad pee-  iiam,contradicit.\t€m,Alexander in fomnijs ad- ^  monetur^nonejfe credendum fomnqs,Plura de-  / tndf    44 ff   wde oh ferumtpoftmtas cmofior ,nm Con^  ’ nertihile id affelUtur^ qtmm tota a£do conuerti^  twr a litigantiusmcutn^ fuis prioribus utitur rd  tiomhuSyfrladunlarij . hocmodoiExigebatqtur  “ dm A amico pecuniam cum ufura , quafi credi^   f i tamtofferebatilklineufurajquafidepofitim,ln^  . terim lex fertur denotas tAults : petit creditor  tanquamdepofitamyrtegat debitor tanquam credi  € tS, Non uerijimile ecquod contra opinione dici  . turtut fi Cato ambitus accufetur.quodtame ft m  caute agatur , haud procul ahefi quin cmfiftat»  7 Jmpofme eR^quum id dicitur quod fit contra re  rum naturcefidm; ut fi infantem accufemus adul  f terij , quod cum uxore cuharit aliena .Turpe  quod omninoreijcitur :utfiuir precium pojcat  ^adulterij.Sine colore efi, quum nulla caufa faSH  inuenitur:utdecemmilitesbelli tempore fibipol’-  Cdcofyfid' hces amputauerut,reifunt LtftreipuhUc4e. Sunt  ta. f^alue IpecieSyqtutcacojyRatayidefimale con^  *■ fiflentia appellantur.ut^aticum , quum aut ali^  quiserrorinhiRoria^yautinquamsexcircun-'  * fiantijs. Impenfum, quum penes unum omnis iudi^  cijuis eftyparumq^mer habet in quo dicendo   Iere  a ir ,Pr  iunguntur: et fic accufatur faailegus,utfur etia  dicatur efje. In tranfuttm uero, uno tantum ac-  cu farnus crimine , fiue illo quod intendimus, fi-  ueillo ad duod reus tranfferri poHulat aSiio^  nem . Sed hcec multarum fitnt nundinarum ,  qtue non una difceptatione pofiint abfoluLSum-  ma tamen h^c fit, expedire dificentibus quadri-  partita fieri diuifionhuel qafacdior fit,uel quod  defendendaru caujaru ratio id exigere utietur,  ut primo fi pote fi negemus , proxime fi non id ^  obijctturfaSiu afferamus, tertio (quadefenfio  e^ honefiifitmdjfi reBefaSiu cotendamus.quco  fideficiut,una fuperefi falus,aliquo iurisadiuto-  rio elabendi d crimineiquodfit per tranflatione^  DE STATV CONIECTV-  ralu Cap«. 24^   C Onk^iuralis autem fiatus, quod incerta  conieSittris Juj^iciomhus^ indaget, di-   D    yo ‘ ,   £}us:re^'^a nonnullis nono uerho , nc nefch  m LdUno-, mutus f quodmeouideatur utrum  maSia fit:tumfit-,quum quod ah uno obijciturf  alter pernegat. nec folumfaiium , fed et aiSium  ,qucerit:poteflq;in omnia tempora Sflrihui.De  prceterito enim conijcimus,An fenatores Romn  Ium occiderintide prcefenti ,Bono ne animo er-  ga Tullum fit Metiuside futuro, Num fi Alba no  diruatur, Miquid incommodi ad Romanos Jit per  uenturum . In his omnibus agit conieSiura^eafic  ab aliquo manife^o figno, quod lege moribus f  liceat, nec necefarto rem arguat. Ac (utapei:^  tius agamus) fex eiufmodi objeruantur. aut emm  defa6lo tantum , non de perfona conflat: aut ae  ^erfona conflat, non defaSio: aut de de utroque  non conflat :aut fi defaSio, de uoluntate no con  flat : aut quum de re ipfa quaeritur, non dtfaSio  /diquo, an aliquid fuerit illud de quoefl qute^tiot  4Ut mutua eflaccufatio., PE STATV DEFINITIVO,   Cap. 25,   D Uflnmu€tiam commodum aliquod - .-i afferimus.    c?    O X    m    i*   Genus.     de statv generaliJ  Cap* 26 ^   A t quum quid faShtm i ^ quo nomine  appellari debeat conuenitiet tme quan  tum, e^r cuiufmodi , & omnino fine ulk nominis  cotrouerfia quale fit qu tetnpus : illa , pdicet negocialiSj iudicial^   pnetmtmqi rejpiciant, ut fuo loco demonftra-  hitur.Age uero nunc iuridicialem , cuius contro   uerfia ex re iam faSla proficiJcitur,inlj>icidmus:   negocialem poji paulo traSiaturi- In iuridickli luxiiicialU,   aut reusfeciffe quippiant,^uod uetitum fit^fate-   tunaut uetitum negat* ft negat, abfoluta ejl iuri-^ ^   " lam   ,af- , .  Ahjoluta*   foluta duobus jit modis, faSti qualitate , & iuris  ratiocinatione . FaSli qualitas eji , cum ofiendir i   mus nihil nos fecijp pemiciofum.lurb ratiocm'.  tio modis fit quatuor.lege,ut occidit filiuindem^  natum quis : licet id lege,more, ut apud Scythas  fexagenarij e pontibus mittutur,Athenis id Scy  tha fecit, tuetur fe more gentis fu • ^   » Vietatioeri   minis.    Remotio   criminis.    '   con^itutio, quatuor locis diuiditurt com^aratioh  ite, relatione criminis, remotione criminis, con-  cej^ione , Comparatio fit, qumfaSia compen-  ftntur, ^ aut maiori incommodo prolj^e^lurtt  efje contendimus , aut deliSlo meritum compara  mus : comparaturq; id quod in crimen uocatur^  ad id quo fe reus profriffe afjerit , ut quidam mu ,  ro ciuiMis deturbato hoflesfugauit, reus efl Itt  fe reipublicte.lbi comparatio efl^ quod enim mu  rosdeiecit,uideturl  trem , eir Mfione m Clodium, At fi non in eum  qui paffus e^i,fed in alium,uel aliudcrimen tranf  fertur,tunc remotio criminis appellaturiut de eo  qui porcam tenuit in fcedere cum Numantinis,  Vnde remotio criminis duobus modis con/iat: fi  aut caufam in alium tranfferamus , aut faS^um:  uel fi in perfonm remonemus, aut in rem ,ut pu.   tdtuH partibus in-  jj>e6iis , legitimam confideremus . Efl autem le  Legitima, ^tima conRitutio , quum ex fcripto controuersia nafcituriin  funt in legitima confitutione, Quod fi ex plunbus [criptis controuerfia ndfcatur, contra^   ^md de TranflationeaSiionis fit omnis coHtro^  nerfiaM enim ah alio nos accufari debere dici^  musyoutnon nos^aut non apnd hos , aut non had  lege,non hoc cfimine^non hac pcena^ uel aete^  ris id genus Illud tamen animaduertendum iit  Tranflatione^quodaut omnino de commutatio-  ne ali 4 Tranfidtia   undefiat^   .'-t    4p J-ANJ   huj; eds partes feantur,^uas pnefcripfimusSe   quU iks principales , alus incidentes effe dixr   mus , lUud multos implicitos hahetyjTi plures   tus in caufa inueniantur^quem potilsimum eliga^   mus, quem'ue principalem ejje iudicemusf H«ic   jcrupulo facile occurri per nos poterit , fi illud   imprimirobferuauerimus,quid fit quod compre'  • hendat , quidue fit quod comprehendatur ^ qui   Trutcipdlis enim alteru in fe habuerit, is erit principalis: qui   uero quafi membrum accefferit , incidens erit is   Incidens, iudicandus, huius proprium e^l , confirmire principalem.Qupd fi neuter comprehendatur, tunc   principalis cenfendus , qui imperarit : incidens,   qui feruierit.Si uero nujqua aut feruire aut com   . prehendi Ratus uHusapp^erit,tucuterq^prin-   Copiexm • ^ efiappellandusieao; controuerfia,quonu  controuer^ J ^ i ' a ^ i   duos m feplures ue ftatus mpleqti^, cpmplexi   Uanominatur. QJTAE CAVSA SIMPLEX SIT,  8^ qu 2 c conmntfla,. Cap^   A Tque uel ob hanc rem poti fimum fla-  tim caufa difeutienda efl,fimplex'ne fit   tn comund^inet^enim eadem utriuf^ efl ratig. quoniam St   quonim multum intereR, utrum de unare an Se  plurihus agatur . Simplex , ahfoiutam continet  qua^ionem,at ConiunSla,aut ex pluribus quce Co/«'w^  /lionibus iunSiaefttut quum Verres accufatUTi  quodmulta furatus fit, quodciues Romanos nei  carit, quod peculatu commi ferit , autft ex com  paratione , quum quid poti fimum fit confidera-^  tunut utrum Cicero accufet,uelC(ecdius.qu(t ,  caufe cognitio maximo efi adiumento ad conA  tutioneminueniendam, DE  genere caufe, conftitutione  ip utrum caufa fimplex fit an con^  iun6iainj^e6iis,qua^io,ratio,iudicatio,firma-  mentumq^funteognofeenda^nam defaipti&  rationis controuerfia fatis efi; a nobis eo loco de  monfhratum,ubi de generali egunus confiitutio-  ne,C^^ipnem autem quum dicimusffummam illam in qua caufa uertitur ,intelligi uolumust - -   Sunt enim pleraque minores exfummisdepen^  dentes,quasj^cialia nonnulli capita appelknt^   quum lANi  ^Mum fummas dias , generalia nominauerintEfl   .QB^o ergo auaftio hcec , materia , quce ex intentione   . fmma. depulfione'^nafcituriut,Oreflesmatremiure   fe ocadiffe att:qi{^efiio,an iure occiderit » Subfe  tquitur ratio, qtue caufam continetiquia quodfa^  ciu efje confiat, j^er eam defenditur . ut, Occidi  matrem , quia patrem illa meum necauerat ex  qua ratione necejfead iudicationem peruenitur^  qu eloquentiae lumi  moftendenda, licet TheophraHo refragrante^   GENVS DEMONSTRAtiuum*..   Demosrati ut generis præcepta dare, funt  qui minime neceffarium effe arhitren-,  tur:quoduixcenfeatur quifqua effe qui nefciaty, quaefmt in homine laudanda.cum tamen mu fu.  jit cottidiano,eoqs tandem excreueriti principi-  PUS doRorum confilia afpemantihus , pefimoq^  dicendi genere in iudicijs induSlo , ut fere folum  hodie materiam praeftet oratoribus : non erit ah,  f hnnc iplim etiam locum ddigeittius tradam E 4 uerimuSy    yl lANi    uerims.Eiusfirtem honefium effe diximus, fiue  enim qumquam laudamus, fiueuituperamus, id  quod dicimus honefium effe contendimus. Nam  fyoneRum bonum eR , ideo   ergo laudatio, & potipima, d uirtutis dehetfon^  te proficifci, fine qua nihil laudari poteji ^ Eam  in quatuor laedes ^iferefapientesi in pruden- 'Virtutum  tiam, Mittam, temperantiam, fortitudinem, 4-  praclara omnes quidem, et qua mutuis adiuuen  tur auxilijstaptiores tamen quadam ad laudatio-  nem,Si enim uirtus benefaciendi quada uis e^  certe eas partes qua plurimum conferunthomi-  mhus,maximas effe oportet^unde luftitia ^for  titudoiucundij^ima in laudationibus, qua domi  foris^pra^o fint, nec tam pofiidentibus quam  generi humano fruSluofe putentur: prudentia  uero,ac temperantia, tenues ac pro nihilo exi/H , mantur , iungenda tamen fiunt omnestquod non  minus fape moueant mirabilia, quam iucunda ^   ^ata , Et quoniam fingularum uirtutum quada  funt partes et ^tcia, propterea euagandum e^,  habet enim in fe Prudentia memoriam,inteUigen  ttdm, prouidentiam : Eortitudo,perfeuerantiamy  patientiam, fidentiam^magnifitentid: luflitia, re   E Ugfonmp Ugionem, pietatm, ohferumim, ueritatem, uIti  enem : Temperantia uero continentiam, clemen  tiam , modelham^ compleSiitur » His omniVus  fuo ordine resgems accommodare, no tamglo-  riofum quam difficile ludicatur, Optimu aute  mrtutum condimenta, quod ornati fime dici  facillime audiri po f it, fmper eji exiftimatum,fi  aliquid magno labore ac periculo fine aliquo emo  Jumento pramwuefaSium oRendatur . ea enim  pneflantis ejje uiri uirtus cenfetur, qu^efruSiuo  fa altjs, ipsi autem lahoriofa, aut periculosa, vel  certe gratuita fit.Etneuirtutum tantummodo  partibus immoremur , magna fylua oritur lauda-  tionum, ex hominum uita , deq; his qua cottidie  in ea emerguntt ut funt illa omnia quibus pramia  funtpropofna, femperqs in pramijs honor pecu-  nia proponitur , Commendantur ^quamor-  tuos magis confequuntur, quam uiuosine fui gra  tiaquenquam aliquid facere arbitremur, Nec mi  nus foletU celebrari, qua egifje nullus efi metus,  neq; pudor: quemadmodu fertur Alceo Sappho  refpondiffeMonimenta item,^ publica lauda-  tiones, in d^unShs potifintum, magnam faciunt   ad-   gdmtationmiquMquamliiudis fiunt gratia, nec  nobis, fed altjs utilitati funu^rafertim bene meri  tis. S unt etiam morerconfuetudinesq- earum gen  tium,apud quas laudamus, cottfiderand con^at.qui pe  des uelociteragit,curfor:qui premere poteji,^  retinere,luSlator:qui pulftndo pellere,pugil:qui  utrumc^ hoc , id eft retinere ^ premere pote/l,  pancratiafiestqui omnia fimul, pentathlus. Magna fane junt hac cum geRu , tum ffe^atu bo-  na.fed nifi externis illis, id e^ fortuna bonis, op  timis ad felicitate infhrumentis, adiuuentur, man  ca reddetur felicitas,et qua undecuq^ laudari no  potefl.Vnde non mediocris laus ex fortuna to-  nisderiuatur.ea funt nobilitas , liberi, amicitia,   glonOf,    ghria, honor , eSr qtce fequttnttfr, Nohilitas,0'  duitatis f/l, ^•jamiliceAlla uetu^ate, libeitatey  feliatate, rehuscj^geflis commendatmhacillis  ipfis rehus , uiris etiam ac mulieribus, uirtute aut  Jiuitijs,aut alia re laudata claris, legitimisly nata  lihus celebratur. Uberi magno funt ornamento,  fi multi funt, fi (ut uno completior uerbo) boni*  mares ultra corporis bona, temperantia placent,  t^fortitudine‘fixminie, forma, proceritate, pudicitia, lanificio, Amicitia multorumbonorum. expetutunqua bona fore amico putent,propter  ipfium amicu agant , Diuitia nummis, agris,pra  dtjs, fupelle 6 iili,mancipijs,armentisq; continen  tur:multitudine, magnitudine, pulchntudine, ex  ceUentialaudantwr, eafirma, amoena, utiliaque esse debent. Gloria datur,haberi in precio, putari^ id conjecutum , quod uel plures uel boni pru  dentes dejtderent. gloria diti fimos beneficos ple  rumq- fequitur , uel eos qui conferre queant be-  neficia , Honons autem partes fiunt,facra, cele-  brationes , decantationes carminum, panegyri-,  d, fepulchra, flatua, alimenta publice: ^qticc  barbaris placent, adorationes , inclinationes, cebitus , in corporis /latu cernitur ^ Hiratioe/l infpicienda : animi magnitudo tunc,  potiffimu furgit, fortitudo uero illa bellica (nam  domeftica grauioris eflatatis) incrementum ha '  bettneq^fupereft quod fieres d fortitudine, nifi  fe in iuuenta patefecerit. Virili autem atati  tantum demitur de laude, quantum de uirtute de,  fideratur ^Itaque oportet idatatis uiros effe per-  fe£liflimosi neq^qulcquam facere, cuius pudeat  aut pceniteat. tunc prudentia, rerum cognitio^,  magnificentiaq; apparent. AtfeneSius patien,  tiaplacet:dulcedine morum, comitate, affabilita teq;dHe^at.cenfeturq;praclara, fi corpus non  reddat infirmum J rebus publicis no auertittnon '  facit deni^ ut ueru fit illud , Bis pueri fenes: qua-  les funt creduli, obliuiofi,diffoluti, luxuriofnqui .  inomni atate turpes , in feneSia uerq funtfcedtf    B.HBTOtt.ICAE COMP,   pm^ SeptimmiUHdfupereA tempus, qu6dj^  i^m hominis infequi dixermus . in uerycn  non femper dccafio efi : quod non omnerfepul-*  tos di^a memoratu feqimtur,Si quando tamen  traSlare cotigerit , teftimoma,fi qua allata funtyr  ucenfeantur,tam diuina quam humana . in qms  dedicationes temploru, confecratmes , fiattuti ' A  mommenta, publica decreta numerantur, hahk  &fuumlocum ingeniorum monimenta^u^era^ . -  ro laudem ante obitum confequutur.Afferunt et laudem liberi parentibus, di]cipulipr  ^4 ’   ci Uerfus caperent, permijkAdem'que mfunehrr  laudatione hunc ordinem ofiendit , ut defunSii.  prius Copiofelaudentur, fuper^lites inde benigne  moneantur, filij mox defimS^orum fratres^ aS  tdntais ip forum imitationem inuitentur: parens  tumpofhremo & maiorum,fquifuperfunt^do^  BrawluSS confoktione leniatur, Romani ambitio^  hoc genus troEtauerunt , rmdta fcripfhrutn: eirch I libr. dUctfaSia ^ no funttex quibus rerum rioflrarum  Ro^a?. tiftorU eflfaShimendofior .^am illas imerire  rionfinebant familia , fed fua quafi ornamenta  tcmtmimenta feritabant, & ad ujpfm fi qunei^   . . gmerisoccidif[et,&admemoriamla^   fnefticarum, illu& andamq; nobilitatem fltam:  ttec alius quifquam id ojficij fumebatfibi, nifi  quidefuniioeJfetcoiunSiifiimus, Sed iam fatis  vituperan- dedimus praceptoru in hominibus laudandis t et  di eade qua exegiffet fane ratio , ut aliquid de uituperatione  laudandi ra diceremus,nifi hic ipfe labor eadem nobis exem  I ; . uituperationis idem fit ordo, qui   laudadonis i praceptac^uituperandi contra*  rijs ex uitijs fumantur , non folum in hominis  tata, fed^ ante hominem , &poft obitum, itt it  iePmle,MeliOyM:^>MoHid memori^fro&Hf  ‘ ^.Vridr fatis conf^y fine uirtutum ukiorut^i^ •m P» V f^wrww * 'I "JW* - -    tcSiaagams, contentihisqtuediBafmtyadho  thtiies laudandos pauca de cateris rebus in mple^, laudibus extollendo, quoaonus fiufch  pere uolentibus,imprimis a Deo Opt. Maxjnci  piendu efljnueniffel^ eum , oftendiffeq; nuptias  mortalihustid'^ ita pro confejfo effe,ut non mo^  do nos in hac pia uera4 tANi  ^ UiiuSytion auiditpudohs ji^ifjcatione, uocis t-  m   ’ V / 0 ' , ^ ^   po/?remo     ^freyfjpme pr '   lia, qu(t propter fdpfum aut ex confuetudinea^  eit , aut ex appetitu uel rationali (}urluntas emm  coniefl,cumratiorteineq»quifquani)diqidduidt  nifi honu putet)uel etiam irrationali,cufnfacitit  ira ^cupiditas.Neceffee^ ergo, qtuecun(j^ho  niines agunt, feptem tantum caujis faceret fortuna, ui, natura, confuetudine, ratione, ira,cuph 7*  ditate . Fortuna accidunt, quce nec femper,nec ^  plerum(y , nec ordine fiunttcumipfaFortuna,ac  cidentium rerum fubitus fit atf inopinatus euera %  tus ft^atura ea jieri dicuntur, que  remus: neceffee]}, iucunda omnia uelprafentii  fentiendo,uel praterita repetendo, uel futura ff e  rando cotineri, Qjuecunq; tame prafentia dele  Bat , eademq- fferatibus memoriaq; repetentib,  iucunda funtinec fecus e contrario^ Vnde ^ in    RrfETOKiCAB COMP.   prtimfi hi pra^enty qui ipfi laudandi funt, qui-  bus'^ fidem adhibeamus . cum eorum nihili fat  iudicium, qui nullo m precio habeantur. Amare  etiam, amariq;, beneficia conferre, egentibus o-  pem ferre, fuauifima:quod his abundemus, qus-   'vr' lAiarPARRHASir T  homines, nam prd parente e^ conditor^ pr*  maioribus populi a quibus origine duxerint. junt  ix fua auguria , eX uaticinia t multumq^ hahent  mBoritatis qui Aborigines, id efi indigenmplexi, laudibus extollendo, quod onus fufch  pere udentibus, imprimis a Deo Opr. Pto.inci  piendueflunueniffel^ eum , oflendiffeq^nuptias   mortalibusudcj-itaproconfeffoeffeyUtnonmodo nos in hac pia uera^ religione, fed etiam uetu  flasloui lunonic^acc^tum connubium retule^  rit , turbam^ dmrum ingentem proeffe nuptijs uoluerit, nec contenti loueadulto, Iunoneriu efi^ j^ffnoHprM  res intueri prafentes,Uf^enimpf aut animi promotione cogatur^  d^obatio aut earum rerue^h ^uaedb or^^reno  :^cogitantur,fid d caujareisque defmmtunut jqtubusfita^  fiiutabuLe, teftimoniayfa£htiConuentayleges,et  Mteraidgenus. auttotaindij^utationeyautar^  •gumentatione orationis collocata eh : Mt in hae \   '^ear^unentis inueniendis y in dia de traSiandis  • ^ cogitandum. Conediatio fit dignitate hondt eSediatm,  ms, rebus geftiSyexifHmatibneuite   remusi neceffe ejl, iucunda omnia uel pr con-  Jueta agere iucundum mauifeilo fit, quis credat  tantum afferre iucunditatis uicifiitudinem f necy  iniuria, cum fittietafis mater fit Similitudo , In-  efi & fua indifcendoimitando'que ‘iucunditas:  ifuce^ imitatione confequimur, etiam fi ipfa ni-  hil in fe haheant iucunditatis. ocium denique ip-  fum^ac iram , ri/«m j afferentia deleSiant ♦ Po-   C z ftrema ) too   fkcmOitludmmqtue fecundum naturmkctm  ditate ajferut, idcirco quo coniunStiora fimt,eo  funt iucundiora: ut homo homini ^ mas mari*  qua ex fententia feipjum magis homo amet necef  fe e/lj quam reliquosicum fua ipfius cauft ccete^  ros amet.Liberi deinde,& qua inter chara adntt  merantur^ quanto plus ad homine accedunt, tan  to plus afferunt iucunditatis. Et iucundo qui^  dem per^e6io,eademq^ ratione iniucundo'(cwn  eadem oppofitorum fit difciplina') facile erit co^  ^ofcere, qua caufa fit inferenda iniuria : ad  Vtiuria affj Juccedat oportet, quales fint qui iniuria cateror  dentes qui* afpcmt.Sunt autem, qui facile inferre poffe ar^  hitrantur, uel celare jperant: aut fi deprehenji  fint, nullas, uel quam mmimas daturos fe pcenas:  plusq; in iniuria lucri, uoluptatis'ue, quam in luen  da pcena damni mcerorisq- inejfe exiftimantJniu  riam facile fe poffe inferre eloquentes , diuiteSf  aSiionihus exercitati, experti, multis nixi amici*  tijs,clientelis^:uelfi ipfi careant, in habenti*  hus amicis, feu focijs,feu miniflris,quod illorum  fe patrocinio tutos putent,Praterea fi amici iudi  cibus fint , uel his qui iniuriam perpetrant* ludi*    rhetoricae COMP. tot   cts enim leta moUil^hrachio in amicis ag^^ann  eorum iniurias acjuiore animo toleramus ♦. QeU  re autem feipfos poffeU^erant , qui omni uacare  juf^e^ione uideantur,ut d^ormes adulter'^-, fa*  cerdotes flupri,dehdes pulfationis,&'ea qwt pa  idm ante oculos funt neque enim aperta ^ quaq^  ingentis laboris fit tollere, ohferuantur, Caue^  muslj' potius nobis ab ufitatistut uidemus in mor  his accidere : quos illi timent , qui fiint experti.  Clam etiam fefaSiuros putant,ipiihus nullus ini  micuSyUel quibus plurimi.illhquod no obferuen^  turt hi uero,quum omnibus fere fufj^^^i fwt,no  mdeantur ob nimiam cu^odiam clam facere po-  tuiffe^mukos quoque locus,commoditas,moreSj  que celant. Inuitant etiam ad iniuriam facienda,  iudicij propagandi , prop>uljandi , corrumpendi,  uel certe ob inopiam euadendi f^estlucrum quo  que apertum, prafens,magm,prafertim fi dm-   num occultum paruum procutue fit. maior etiam  utilitas , quam ut par fupplicium excog^ari pof  fit : ueluti efl ^rannis . Sunt^ proni adiniuriam, qui inde lucrum petunt, neque quicquam  malipreeter ignominiam uerentur, quibus que id   G } frcijjc    t02    fecijje laudi afcrihiturtut parentes quacim fint qui inferant , quiq; patiantur , fatis  arbitror ex his qua in medium adduRa funt poa  tere. Sed quonianon omnibus eadem uidetur in-  iuria , fapeq; ufu uenit ut plus doleant laft quam  par fit,minusq; noctdffe fe putR nocentes quam  fecerintCquod aliena mala no fentimus, et noRra  maiora quam fint iudicamus ) idcirco de iniuria  primu iureq^faRis,mox de maiore minoreq^ iniu  ria paucis differamus, Iniuria iureq^faRa omnia  legibus primUm duabus, deinde quibus funt bifa  riam determinantur, leges aut duas appellamus il  las ipfas iu/li partes, qua ternario a nobis nume-  ro in iu^i definitione funt expojfita, comunem  fcilicet, qua fecundum natura fit: (^propriam,  qua in fcripta ^ non fcriptam diuidatur. Qui-  bus uero iniuria fiat , bipartito conflituimus.aut  enim emunis laditur focietas, ciuitasq; ipfa of-  fenditur, ut in militUiaut unus alter ue iniuria af   jiciturf ftcitwr,ut in adulterio, qu horti quadam eleSiione, quadam uero  ^eSiuconuiA * Cueiufinodi:quid jit illud de quo agitur de^  finiendu eB,ur popimus iwre ne an iniuria querd^  tnur injpicere . pr quonia iuftorum iniuftorumque   duas partes connumerauimus, firiptas fdlicetle  gd,^ no ficriptas, descriptis affatim demonfiratti eft : pauca de no fcriptis funt recenfenda.  alia enim per excejfum uirtutb uitijq;Junt, in qui  hus uituperatioes,honores , infamia^iut gratias  habere benemerito,amicis praflo effe,& his similia.alia uero ex lega fcriptarum defe6iu:deejl  aut fcriptis legibus, uel qu^ latores aliquid effi  gerit,uel quod confulto pratermiferint,cu detet  minare figillatim omnia nequiuerint.ne^enint  fi de tiuinere agatur, quo ferro, quali , quat&ue,   G y coth    tO^ JANI PARRHASII   constitui poteft, Eil igitur aquum (juoddm ha^  numq;, quod praterlegefcriptamiufiu cenfea-  turimultaq^ etid lege fcripta putatur iniufla,qua  aquo homq; tutari Poffunt. Bade ratione no tan  ti errores faciendi funty quanti iniuria:nec*tanti  qwt aduerfa eueniut fortuna, quati errores.nam  gduerfa fortuna feri dicutur, quacu-  cibus loj.^. pro fabula, melius  forfan legacur, fama  45.10, it'   inien    BASIEEAE IN OFFICINA  Roberti Vumtcr, Anno 153^*  Menie Septembri. Giovanni Paolo Parisio (all’epigrafe), Aulius Ianus Parrhasius. Aulio Giano Parrasio. Parisio. Keywords: implicatura, implicatura retorica, Cicerone, filosofia italiana, gl’antichi romani, Livio, Catullo, Orazio, Cicerone, Stazio, l’oratoria, il gusto per l’antico in Italia. PARRHASIANA, Vico, Sabbaldini sull’importanza da Parisio, grammatica speculativa, grammatica modista, ars grammatica, probo, Donato, Prisciano, la grammatica, la dialettica e la retorica, grammatica razionale, psicologia razionale, breviario, compendio, o manuale di retorica latina – il parlar o conversar greco – la retorica d’Aristotele – il parlar o conversare latino – la retorica o ars oratoria di Cicerone – diritto romano -- giurisprudenza--.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parisio” – The Swimming-Pool Library. Parisio.

 

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