Grice e Pagano: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofi agiustiziati – la scuola
di Brienza -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Brienza).
Filosofo italiano. Brienza, Potenza, Basilicata. Essential Italian philosopher.
Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo,
oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica napoletana del
diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le sue arringhe
contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone
di Napoli". Nato da una famiglia di notai, si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis,
da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi
universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum
nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed
all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui
insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con
cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia
della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato
criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue
un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli,
distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene
poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana
Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato
in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato
per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per
mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto
positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano,
accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per
vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il
rivoluzionario Galdi. La libertà è la facoltà di ogni uomo di
valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola
limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo
schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico.
Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando
IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della
Repubblica, quando il generale Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere
il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto
difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee
all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a
causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di
tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in
questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su
posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima
volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile
e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre
l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo
progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica.
Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella
sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del
testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato
le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati
dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del
coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito
trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un
processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A
nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo
zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni,
ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare P,, il più
grande filosofo di oggi. E giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri
repubblicani come Cirillo, Pigliacelli e Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la
seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma
l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami
e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione,
Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso
in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici,
un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione
complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua
multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la
filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai
caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica
napoletana, da lui personalmente redatto. Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad
comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione
in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani.
Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di Gensani in
grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico”
(Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi);
“Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio
Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia”
(Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia”
(Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della
società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e
Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della
libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo
criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de'
probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj
del codice di polizia” (Napoli, Raffaele). Le opere teatrali non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette
in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da
temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono
presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.
Intitolazioni e dediche Statua di P. a Brienza. Al giurista lucano sono
state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei
trattenimenti a forma di dialoghi di Astore e P., ovvero, della immortalità di ROVERE
Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore,
opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale P. di
Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge
massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel
Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da
Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta
De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza
penalistica; Giannini, Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida; Gorini,
Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, Perrone, La Loggia della
Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la
corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace,
Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Kluwer Italia, Addio,
Le Costituzioni italiane: Colombo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Cilibrizzi,
I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La
massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni,
Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, Angeli, Carlo
Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il
progetto di Costituzione di P., Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito,
il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli, Nico Perrone,
La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione,
Palermo, Sellerio, Venturi, Illuministi italiani, Riformatori napoletani,
Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani
giustiziati Deo. Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni
sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica
Napoletana, su repubblica napoletana. Principii del codice penale, su
trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su P., dsu trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. De' progresivi avanzmenti
della sovranità per mezzo de’ giudizi. Del maggior estabilimento de' giudizi.
Pruove storiche. Preso de' Creci giudica della Socieeta. Del duello. Degl’altri
modi aduprati ne’ divinigiu dizj. Della Fortura. Prüove storiche. Coltura inquest
'ultimo periodo della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del
miglioramento del costume, dello Spirito, e delle 79 quanto elle conferial miglioramento
del costume ca, e della origine del commercio, di antichitd LINGUE de’ popoli.
De’ giudizj degli’aprichi Germani, e de' Scioglimento di una opposizione alleco
Se dette. De principi della giurisprudenza de'bar De divini giudizj. Nuova
explicaziure di un famoso puntu della legislazione di questi tempi, dello stato
delle proprietà , e dell'agri. Dell;origine dell'ospitalitita, e come, delle
arti e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età della religione. de principi e progressi delle
società colte. L'estinzione della indipendenza privata , la liberta civile, la
moderazione del governo formano l'esenziale coltura delle nazioni. Dell'origine
della plebe, e de' suoi drit 'ti. Delle varie cagioni, dalle quali nascono gono
dalla varia modificazione della macchina. De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al
valore Ea lerge non frena la libertà, mala garantisce e la difende vi e polite.
i diversi governi , e primieramente delle interne. Della educazione.
Dell'esterne cagioni locali, che sul diverso governo hanno influenza, Del clima.
diversi. Del rapporto della società colle potenze straniere; della libertà, e delle
cagioni , che la tolgono; come la legge civile pofanuocere alla De'diversi elementi
della Citta. Della legge universale, e dell'ordine cosi fisico, come morale.
Come le forze, ed operazioni morali for. Come secondo i varj climi nascono
governi libertà, inducendo la servitù. Della liberta politica. Delle due proprietà
di ogni moderato, Del dritto scritto, delle leggie giu e regolar governo
risprudenza de' colti popoli, La moltiplicazione degli uomini è maggiore
negli stati guerrieri, che ne'commer. del gusto e delle belle arti, del
piacevole. Del rafinamento del gusto,de varj fonti del piacere. Delle leggi agrarie
dell'antiche republiche. Della galanteria de popoli colti. Della galanteria de barbaritempi.
Delle arti di lullo de’ populi politi, Dela monetate dele Finanze, dell'oggetto
delle belle arti, e del gusto, dell'ingegno creatore, delloSpirito, e costume delle
colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Quali governi fieno per loro natura
guerrieri, equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti
imitative. L'unit. forma e la bontd , e la bellezza degl’elleri. Proprieta.
bliche, e della violentari partizione de poderi. Di due generi di stati
o'conquistatori, o commercianti, di unterzogenere distato nè. com , Divisione
delle belle arti. De' contrasti, opposizione, antitesi, Del dilicato, del
forte, del sublime, dela delle grazie , e dell'interesse sempre vivo, decadenza
delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle , cive dello sfibramento
della macchina dell'uomo, e delle zioni dalla prima, e del novello stato selvaggio.
Generale prospetto della storia del regno. Del progresso e perfezione delle
belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso
delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia, conseguenze morali; della corruzione
de' regolari governi, la quile rimena la barbarie. La grandezza ne' popoli colti
ne'barbari, la dilicatezza, e sublimitd è maggiore. Delle Scienze , e delle
arti delle nazioni corrotte. Divisone dal dispotismo; della decadenza delle anzioni;
delle universali cagioni della decadenza. Diversità della seconda barbarie
delle na; del corso delle nazioni di Europa. Dell 'inondazione de'barbari, e
delri Jorgimeuto dell'europea costura. Le note segnate colle pa Dello
ftata degl’uomini, che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura .
liare . Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varii doveri, e dritti
de'compagni, coloni, Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della
vita selvaggia, delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio
motore degli uomini al vivere. Delle due specie de' bisognififci, emorali.
Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà, dell'incremento delle
famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor classi. fervi. Del quarto
stato della vita selvaggia. re Società .
Della domestica religione di ciascuna famiglia, Dell'origine dell'anzidetta
religion domestica; Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita
selvago. Degli affidati, e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tra compagnoni
de’ Germani , fooj de Greci, e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'impero
domestico ficonrinnòneleprime barba, dell'antropofagia y o fia del pasto delle
carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi, de'costumi
de'selvaggi, Del secondo periodo delle barbare nazioni. e di coloro, che ghi . ins 116 se de'pa V. blici militari consigli,
dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società.
conviti . Chene'tempi degli Dei fi tennero iprimi pub, della teocrazia, dello
stato della religione del le prime società, dell'influenza della religione in
tutti gli affari de'barbari. la componevano.
Del primo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile , ossia
dell'origine de vichi. Dell'origine de' tempj, é di'pubblici, ésacri Della
sovranità della concione, i20 СА. Dell idee degli antichi intorno
allamonar· Della forma della romana
repubblica nel secondo, del governo de primi greci, de'costumi, del genio di
questa età, e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti. Saggio. Dell’origine
e stabilimento Dello stabilimento delle città e del primo period, Che ne'tempii
degli Dei si tennero i primi pubblicimilitariconsigli, della teocrazia, dello
stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in
tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla
monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale
di tutte le barbare 'nazioni, della sovranità della concione e di coloro che la
Del governo de’ primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di
periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi.
Continuazione de costumi di questa età della so, Del progresso delle barbare
società : del terzo ed ultimo loro periodo. De’ progressivi avanzamenti della
sovranitàper mezzo bari tempi esercitato da're. De'principii della
giurisprudenza de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie
de barbari Il potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi .
cietà Delle arti e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del
giudiziario potere. Del duellil degli’altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello
stato della proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del
miglioramento del costume, DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi
al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di
cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio
. De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine
dell'ospitalità, e come e quanto ella Della tortura Della religione o
dest civile, la moderazione del governo formano l'essenziale coltura delle
nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni, e primieramente
delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno
influenza. Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta
e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi
elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul
diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più
vantaggiosi all'ingegno ed al valore. Secondo i vari climi nascono governi
diversi. Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e
dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge , e della legge
civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della
libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della
legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę
straniere me morale, Della libertà politica. Della giusta ripartizione delle possession.
Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti
commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione
de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della
sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer.
Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli
uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore. Partizione
della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze
Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni
Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione
dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle
società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere
delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni
fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del
civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del
risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia. Del metodo che si
tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto. Le barbare nazioni tutte son di continuo in
una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle
prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni
dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari
Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca
de primi poeti , Della maniera di favellar per tropi , allegorie e caratteri
generici; ANALISI DI ALQUANTE VOCI LATINE le quali fu rono traportate dalle
prime sensibili nozioni a rap Della
personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente
umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale
Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co Ricapitolamento di ciò che si è detto
presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria, ossia un'istoria. rica
dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura. Dalle vive fantasie
de'selvaggi lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e
gene. Dell'origine della pantomimica , del ballo e della Dell ll'origine delle
feste. Commedia , tragedia , satira , ditirambo furono in Conferma
dell'anzidetta verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle
belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del gusto. Della nascita della
tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle
arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole e dell'interesse sempre vivo
Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità
forma e la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari
fonti de lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi. Del dilicato, del
forte, del sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e
sublimità ċ maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli
Decadenza delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella
moderna Continuazione. Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere.
mente De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj.
De principj della giurisprudenza di barbari. Del Duello Degli altrimodi ad opratine' d'ùinigiudizj.
Della Tortura . Della legislazione di questi tempi. Dello stato della
proprietà, e dell agricoltura in; Dello sviluppo della macchina, & del
migliora; il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi
esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento
del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze
dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza
privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione
Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti.
7wotere. 20 94 iebare Delle variecagioni dalle quali nascono i diversi governi,
e primi eraniente dell"interne. Della educazione rà civile, la moderazione
del gover formand l'essenziale coltura delle nazioni; Dell
originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al miglioramento del
costume de popoli . leforzeed operazioni morali sorgono dala Come modificazione
dellamacchina. la varia lore i ed al vas P. X. Secondo i varj climi nascono
governi diversi. Delle varie specie della legge, e della legge ci vile . La
leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della libertà civile .
Della libertà politica. Del clima . De
climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla
libertà civile . Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale,
Della legge relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto
della società colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la
tolgono, Quali governi sieno per lor natura guerrieri ,e quali commercianti , Della
passione dell'amore de popolicolti. Delle varie funzioni della sovranità , e
delle varie forme degli stati. Di due generi distari, o conquistatori, o coma
mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore. La
moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne
commercianti. Partizione della legge civile , qualità delle Lego gi. Dellagiust:ripartizionedelepossessioni.
Dello leggiagrarie dell'antiche repubbliche, e del la varia ripartizione
de'poderi. Leggi , ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle
Finanze. Dello spirito e costume delle colte nazioni. Della galanteria de tempi Cavalereschie. Dell
arti di lusso de'popoli politi, Costumi , e carattere delle nazioni corrotte .
Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima, è del novello stato
selvaggio , Del civile corso delle nazioni di Europa . Dell'inondazione de
barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e delle crisi, per mezzo
delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che turbano il
naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia delle anzidette
cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle differenti epoche delle
varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità e la Sapienza. Dell'antichissima
coltura degli Egizie de' Caldei» De 'Caldei. strofi della terra Della contesa
delle nazioni sulle loro antichità. Dellà successione di varie fisiche
vicende Del disperdimento degli uomini
per mezzo delle naturali catastrofi
Delle morali cagioni attribuite dagli uomini igno ranti a'fisici fenomeni
Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse affezioni degli uomini nel
tempo delle crisi Delle crisi di fuoco -- continuazione dell'analisi degli
effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce Della verosimiglianza
del proposto sistema. VIantichissime nazioni orientali. Del modo
come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero della terra e degli
uomini , e delle varie mutazioni sulla terra avvenute »Seconda età del mondo
Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo dell'anzidetta
platonica dottrina sui due Della favola di Pandora. Dello spirito delle prime
gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142 ed origine
della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano ,
·religione Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine
della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo
1°Atlantica catastrofe Del diluvio di Ogige , e di Deucalione Delle morali
cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio
porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova
solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe
hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo
stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del
vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle
famiglie, o dell'origine della Pag. 5 della natura . yole .Del primo stato della vita selvaggia.
Del secondo stato della vita selvaggiaDelle due specie de' bisogni fisici , e
morali . nobiltà. Dell'incremento dele famiglie, e dell'origine
defa Dei varjdoveri, ediritti de’ compagni, coloni, eservi. Degli affidati, e
de vassalli della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci,
eicavalierierranti degliultimi barbari tempi. Del quarto stato della vita
selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare Dell'anıropofagia, o sia delpasto delle carni
umane . Ricapitolazione de diversistatidellavitaselvaggia.moli , e delle varie
ior classi. Della religione de' selvaggi
. Della domestica religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta
religion domestica. e ' . società . De
costumi de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile,
ossia dell'origine de'vichi,ede'paghi. Dello stabilimento delle città , e del
primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni Dell'origine de
tempj , e de'pubblici , e sacri con. viti. Chene tempjdegli Deisitenneroiprimi pubblicimi
Dello stato della religione delle prime società . Dell influenza della
religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione , o di
coloro , che la componevano. Del governo de primi Greci , litari
consigli. Della Teocrazia. bari barbariche società. 1ell'idee degli antichi
intorno alla monarchia; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo periodo
della barbarie, Del governo feudale di tutte le barbare nazioni. Di costuini, del
genio di questa età, e della trasmi Continuazione de’ costumi di questa età della
società; Dell'arti, e cognizioni di questa età; del dritto della proprietd; Della sorgente de dritti in generale, e di
quello della proprieta; Del progresso della proprietd, e dell'ori De’ costumi, del
genio di questa età, e del Delle arri, e
cognizioni di questa; Del progresso delle barbare società, ossia del terzo;
DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo -- Parlando LIVIO (si veda) dell'elezione,
che dove a farsi del re per LA MORTE DI ROMOLO (si veda), adopra sì, fatta
espressione. Summa potestate populo perinissa. E soggiunge. Decreverunt enim
(Senatores), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset si patres auctores
fierent. Quindi tu convocata la concione, e VENNE ELETTO NUMA (si veda). E
l'istesso autore dell' elezione di Tullo Ostilio dice: regem populus jussit, patres
auctores facti. I senatori fiebant auctures. Perchè tutte le cose prima eran
proposte nel SENATO, indi alla concione recate. Auctor è l'inventore, il
proponitore , il principio , ed origine della cosa .periodo della barbarie. Questi
furono i QUIRITI, cioè gl’armati di asta : avvegnachè, come gl’altri popoli
barbari uella concione, ne’ comizi on differente affatto dal regno eroico è il
governo de’ primi ROMANI. ll re ad un SENATO prese deva, e con senatori prende
le deliberazioni, le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano la sanzione
di legge. Il POTERE de' primi re di Roma è LIMITATO così -- come quello di tutti i riegnanti
de' tempi eroici. La sovrana dello stato era la concione, che compone sida que'
capi delle tribù e delle curie, i quali sono detti decuriones e tribuni, che, uniti,
votano per le di loro curie, e tribù, come ne'parlamenti nostri I baroni
rappresentano le di loro terre , e città. E serva, E tal antico costume VIRGILIO
(si veda) dipinge negl’eroici compagni d'ENEA (si veda). DVCTORES TEVCRIM PRIMI
ET DELECTA IVVENTVS CONSILIVM SVMMIS REGNI DE REBVS HABEBANT SCANT LONGIS
ADNIXI HASTIS ET SCULA TENENTES -- e poi per varj gradi , e dopo molto correr
di tempo alla libertà pervenne, e tardi assai acquista il diritto alla
magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume
medesimo de’ greci. Ed è questo un generale costume di tutte le barbare genti
adoprato nelle generali assemblee. Perché i barbari, temendo ognora le sorprese
de’ nemici, stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza
personale, anche tra’ cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto, TACITO
de' Germani: ut turbae placuit, considunt armati. Tum ad negotia, nec minus
suepe ad convivia procedunt armari – LIVIO 1. De’ Galli dice, In his nova, terribilisque
species visa est, quod armati -- ila mos gentis -- in concilium venerunt, OVIDIO (si veda) ci
attesta l'istesso de' Sarmati, degl’Umbrici STOBEO (si veda) radunavansi que'
capi coll'ASTA alla mano, la quale portano per SIMBOLO del loro impero, non che
per la propria difesa. La plebe è tanto serva in ROMA quanto presso i germani, i
galli, i greci. La plebe non ha parte nella concione. Questo argomento è dal nostro
gran VICO (si veda) ampiamente trattato. VICO sviluppa l'intero sistema del governo
romano, e dispiegando il corso della storia di quel popolo dimostra che per
gran tempo in Roma la plebe è dell'intutto ser affrancata, poi consegui il
bonitario dominio, cioè l'utile, e dipendente dal diretto, che i nobili possedeno.
Quindi fa acquisto del perfetto e compiuto dominio, detto QUIRITARIO, perchè è pria
de' soli quiriti, ossia de’ PATRIZJ e NOBILI ROMANI; e finalmente ha voto
nell'assemblea, e partecipe divenne della REPUBBLICA, CHE DA RIGIDA
ARISTOCRAZIA IN POPOLARE ALLA FIN SI CANGIA. Come nel prin [Populus de’ Latini
valse da principio , quanto “laos” de' Greci, che significa una tribù, una popolazione.
Quindecim liberi homines populus est. Apuleius in Apol. E GIULIO CESARE dice
nel de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto non stetit.
Ove dinota “populus”, popolazione, tribù. Ma se “populus” da principio dinota
una speciale popolazione, e tribù, nel progresso si prende tal voce per la
radunanza di tutte le tribù, che componeno la città. Ma venneno rappresentate
queste tribù da’ capi detti tribuni, nome che resta per dinotare militari
magistrati, come tribuni milia Eum. Ma prima significa anche i civili, cio è i giudici,
onde “tribunal” si dice il luogo ove amministravasi giustizia. I Latini filosofi,
che vennero in tempo, che ogni orma dell' antico stato e si perdut , ed e si
colle cose cambiato il vampulus trasse il nome da “populus” pioppo . Perocchè
questa popolazione radunasi sotto di un pioppo quando di comune interesse
trattasi, secondochè in alcune terre del regno ancor oggi si usa, quando
parlamentasi. E tal costume di radunare sotto degl’alberi il popolo è ben
antico, e secondo la semplicità delle prime genti. Ateneo scrive che sotto di
un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e decidevano le
liti. E per avventura pocinio la plebe puo avere il diritto di suffragio ne’ comizj,
non avendo proprietà nè reale, nè personale. Tale è il corso che fa la romana
repubblica, come quel valentuomo dimostra, non dissimile da quelle dell'altre
barbare nazioni. Egli è però vero che un'intempestiva tirannide turbo per poco
il corso regolare di quella città. I re presero in Roma sin dall'albore de’ suoi
giorni vantaggio “grandissimo su gl’altri prenci, e capi. Il popolo romano e
più tosto un esercito, e la città un campo, e un militare alloggiamento, quella
feroce, e marziale gente e sempre in guerra, e, come il lupo, verace emblema
del suo genio nativo nutrivasi di sangue e distruzione. Or se come ben anche
Aristotile osserva parlando degl’eroici regni, era nella guerra maggiore il
poter del re presso tutte le barbare nazioni, meraviglianonè, se il capitan
dell'armi, il duce della guerra, il usurpato una straordinaria potenza in Roma.
Il potere esecutivo sempre ne’ empi di guerra, come il mare nelle tempeste
diffondesi sulla terra, guada gpa sul poter legislativo. Ma i re di Roma
sforniti di straniera milizia in vanu tentarono ritenere colla re lor delle
parole, ricevendo la tradizione, che il popolo ne' cominciamenti di quella
repubblica nell'assemblea radunato dispone della pubbliche cose, s'ingannarono
credendo che la plebe ben anche quivi votasse. Nella Scienza Nuova avesse forza
quel potere, che avean acquistato coll’autorità. Vennero discacciati da quella
repubblica, ed ella ben tosto ri-entra nel suo ordinario cammino. De’ giudizj
nel secondo periodo della barbarie di Roma. Le due ispezioni della publica asemblea
sono in Roma in questa epoca della barbarie la guerra esterna e la persecuzione
de’ ribelli cittadini. Ma le cose private, la personal difesa, la particolar
vendetta venne per anche ai privati affidata. L'impero domestico conserva il suo
vigore. I feroci padri di famiglia non cedeno ancora la di loro sovrana e regia
autorità, se non per quella parte che rimira la pubblica difesa, onde venne composto
l'unico sociale legame. Ma rimane intatta, ed illesa la di loro sovranità
riguardo alle loro famiglie, e alla privata difesa ed offesa. Viveno ancora
nello stato di privata guerra. Il ferro decide delle loro contese, e col
privato braccio prenden rendetta delle private offese. Il popolo dunque, che
radunasi in Roma in quest'età nell'assemblea, è quella popolazione, o truppa de’ servi, clienti,
e compagni guidata dal suo capo, e il voto suo è quello del suo signore che
dove sostenere, e difendere, ubbidire, e seguir nella guerra, da cui non forma persona
diversa secondo le cose già dimostrate. Niun'altra nazione ci conserva
monumenti più chiari dello stato della privata e civile guerra del popolo romano.
Il processo romano è la storia del duello, per mezzo di cui terminano que'
barbari abitatori dell'Aventino le loro contese, tutti gl’atti, e le formole di
tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi
violenti modi. Quando la concione, ossia il governo, comincia a mischiarsi
nelle private contese, a poco a poco il duello abole, e cangia il modo d i
contrastare, rilasciando in tutto l'apparenza medesima, le formole, e gl’atti stessi:
la guerra armata in LEGALE COMBATTIMENTO è tramutata. Secondo che altrovesi è deito,
i riti, e le formole sono la storia dell'antichissima età delle nazioni. Ciocchè
l'acutissimo VICO (si veda) al proposito di alcune formole dell'antico processo
romano osserva. Sono. Ma il processo civile ci conserva le formole
dell'antica barbarie, e non già il criminale. Il civile nasce ne'tempi alla
barbarie più vicini. Più tardi ha l'origine
il giudizio criminale. I barbari soggettano prima i loro averi all'arbitrio
altrui che le proprie persone. L'ultima cui si rinunzia da costoro è la vendetta
personale. Meno si sacrifica della naturale indipendenza, rimettendo nelle mani
di un terzo i diritti della proprietà che quelli della persona. Quindi i
pubblici giudizii essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran vestigii
dello stato primiero. Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords:
eroe, massone, Italia si fara, Roma, Aventino, Vico, Livio, Romolo, Numa,
Giulio Cesare, patrizj, nobili Romani, forma aristocrazia della prima
repubblica, tribu, curia, tribuni, diacuriani. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pagano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Paggi: la ragione
conversazionale e l’implicature conversazionali degl’ebrei -- filosofia ebrea –
“Ebrei d’Italia” – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo
italian. Siena, Toscana. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but
how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna
a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante
nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante
ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed
ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere
con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i
figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati
vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica».
Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera
della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena);
“Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi.
Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Pagliaro: all’isola -- la
ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei siculi – la scuola
di Mistretta -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mistretta).
Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Mistretta, Messina, Sicilia. Essential
Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i
padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo
il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo,
dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si
trasfere poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipa
volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della
medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista
Italiana e prese parte all'Impresa di
Fiume al seguito di Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse
un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di
Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la
libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare,
per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a
cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il
corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e
dottrina del fascismo" e
"Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli
intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della
cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo
capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando
non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non
figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore
dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento. Fu voluto da
Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori
intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico".
Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto
della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro
scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta
del Regime fascista, è sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nella cattedra,
insegna Filosofia del linguaggio a Roma. Presidente della sezione
"Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze. Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia
Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri, della
Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al
Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel comitato scientifico
dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Promotore e direttore
della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro
di studi filologici e linguistici siciliani. Candidato alla Camera per il Partito
Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale e al Senato nel collegio Roma ma non e eletto.
La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo
che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Membro
della giuria del premio Marzotto. Lascia anticipatamente l'insegnamento
universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria,
il “P.”. Esplora soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della
Grecia classica, quindi il LATINO classico e medievale, nonché l'italiano dei
tempi di ALIGHIERI cui ha dedicato varie opere e della scuola siciliana. Come
critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di VICO,
ANNUNZIO e PIRANDELLO. In ambito linguistico, già nel suo Sommario di
linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi
universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova
prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la
quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con
l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca.
Al contempo, P. abbozza in esso prime idee sulla NATURA DEL LINGUAGGIO INTESO fondamentalmente
come TECNICA ESPRESSIVA, allontanandosi così dall'idealismo crociano per
avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma
al contempo trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura
dell'atto linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine
semantica -- mediante un metodo che egli chiama "critica semantica"
-- che sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio
come una forma di inter-azione semiotica condizionata storicamente da una
tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo linguistico -- soprattutto
fonetico -- poi, afferma P. ne” Il segno vivente” riecheggiano non solo
l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma anche la storia
dell'intera umanità a cui egli appartiene come soggetto storico. In
estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è una posizione
unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano. Altri
saggi: “Epica e romanzo, Sansoni, Firenze; Sommario di linguistica ARIA, Bardi,
Roma; “Il fascismo: commento alla dottrina” Bardi, Roma; “La lingua dei Siculi,
Ariani, Firenze, Il comune dei fasci, Monnier, Firenze, La scuola fascista” (Mondadori,
Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia Italiana G.
Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione romana:
teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana, Ciuni, Palermo; Il
fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma; Le Iscrizioni Pahlaviche della
Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma; Storia e Dottrina del
fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo; Logica e
grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli,
Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze);
“Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica
della "parola"”(Anna, Firenze); “I primordi della lirica popolare in Sicilia”
(Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni,
Firenze); “FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche,
Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina
linguistica di VICO” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier,
Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità
ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche
sulla Divina Commedia, Anna, Firenze,
“Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli,
Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi
filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento,
Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi
Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e
verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento,
32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di
riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi
e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un
tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso
bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di
coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più
minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate
posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola
linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci, Roma,. La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio,
La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia. Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia
d’Italia, Viella, Roma, Cfr. Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo
imperfetto, Unicopli, Milano, Cit. Cfr.
Riunioni, Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei Centro di studi filologici e linguistici
siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera Mininterno Senato
//opar.unior//1/Filologia_dantesca_di_P. .pdf
Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica
Storica e di Letteratura Comparata, Cfr.
pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»",
Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro,
Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La
fede del diavolo Istituto Nastro
Azzurro Studia classica et orientalia. Oblate,
Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la
scuola linguistica romana. Da Pagliaro a Mauro, Carocci Editore, Roma, Vallone,
"La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches
Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi
in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi
glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia
Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T.
De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti
di Palermo, Palermo, Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia
Nazionale dei Lincei, Roma, Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del
Novecento, Calamo, Roma, D. Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio,
Carocci, Roma, Mauro, Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic
Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro.
Rome, Nodus Publikationen, Münster, Pedio, La cultura del totalitarismo
imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista,
prefazione di Lyttelton, Unicopli, Milano, Tarquini, Gentile dei fascisti:
gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Mulino, Bologna, Battistini,
Gli studi vichiani di P., Guida, Napoli,
Mauro, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica
Semiologia Filologia Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere d La Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma.
GRICE E PAGLIARO: IMPLICATVRA ARIA LINGUA E RAZZA Schlòzer da
per primo il nome di «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il
suo centro originario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne
dell’Armenia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive
migrazioni e conquiste si è allargato su una notevole parte del
continente africano. Tale denominazione si richiama alla tavola dei popoli
tramandata nella “Genesi” nella quale si
distinguono i popoli discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli
discendenti dagl’altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra
l'arabo e l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, e già stata
notata dai grammatici ebrei ma la precisa nozione di unità semitica,
concordante con quella che se ne ha nel mondo ebraico all’epoca in cui e
redatta la Genesi è ben più recente e, nella sua formulazione scientifica, è un
riflesso della precisa nozione di unità ario-europea costituitasi nel nostro
tempo. Oggi il gruppo semitico si suole distinguere in semitico orientale
che comprende il babilonese e l’assiro, e in semitico occidentale.
Quest'ultimo si distingue a sua volta in semitico nord-occidentale -- che
comprende il gruppo aramaico, di cui la più importante manifestazione è
il siriaco, e il gruppo cananco, a cui appartiene l'ebraico --, e in semitico
sud-occidentale, di cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale
e l’etiopico. Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi
tutta l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente
accertata per primo da Bopp in uno studio comparativo sulla coniugazione,
appare per la prima volta nell'Asia polyglotta di Klaproth il termine ‘indo-germanico.’
Tale termine, divenuto usuale, intende riunire i due punti estremi del
dominio linguistico considerato e si è affermato in tedesco, nonostante che le
più vaste conoscenze posteriori pongano come estrema zona ad Occidente
quella del celtico e ad Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni
altrove usate, e cioè “indo-europeo”, “ario-europeo”, ed “ario”, questa
ultima è forse la più propria, poichè, se non nome unitario di popolo, è
certo una denominazione che parecchi popoli del gruppo usano darsi nei
confronti degl’altri popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in
senso così vasto può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente
riservato al gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno
improprio e anche per avere una terminologia uniforme con altre
discipline, come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già
stabilmente nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende
oggi i seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano,
l’iranico, il tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa
l'illirico, il greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il
celtico. In Asia delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano,
l’iranico e l’armeno; in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di
derivazione aria, fatta eccezione dell’ungherese, del finnico,
dell’estone e del basco. Nessuna scienza storica opera con metodo così
sicuro come la linguistica, la quale dispone di un materiale di
osservazione vastis- simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità
linguistica aria e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente
incontrovertibili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai
profondamente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’appunto,
una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire nel quadro
di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli sviluppi e delle
differenziazioni, che hanno determinato la fisionomia delle singole
lingue come noi oggi le conosciamo; compito a volte arduo, specie quando
dalla ricognizione dei fatti si voglia risalire alle loro cause, cioè ai
momenti umani che danno origine all'innovazione; ma tuttavia ricco di
risultati grandissimi, i quali dal campo della glottologia si estendono a
tutte le altre discipline, che studiano l’umanità nelle manifestazioni concrete
della sua storia. La lingua italiana è una delle forme più importanti,
anzi la più importante, in cui l'umanità realizza se stessa come realtà spirituale,
e perciò le lingue costituiscono gli archivi, in cui si traducono con
incomparabile ricchezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei
popoli at- traverso i secoli ed i millenni. Le nozioni di razza aria
e di razza semitica, come nozioni scientifiche, sono certamente posteriori alle
nozioni dell'unità linguistica rispettiva. Per quanto si riferisce agli
Ari, prima della scoperta della loro unità linguistica non si ebbe
nemmeno la nozione empirica di una parentela etnica fra i popoli che la
compongono. L'affinità etnica è grossolanamente intuita presso i Greci,
soltanto in base alla comunione linguistica per cui «barbari», probabilmente «
balbuzienti », sono coloro che parlano un’altra lingua. I ROMANI, che
pure ebbero così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la
percezione che quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente
combatterono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della
tradizione biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del
tutto la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli
diversi e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella
Genesi. Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli
interessi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la
derivazione di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire
la priorità e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del
Seicento e del Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli
altri diretti alla creazione di una GRAMMATICA RAZIONALE, che vale per le
lingue di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Anche presso i popoli
semitici, se se ne toglie il peso che la tradizione religiosa contenuta nella
Bibbia potè avere nel mondo giudaico, mancò il senso di una propria reciproca
parentela, mentre fu quanto mai vigoroso proprio presso gl’ebrei il senso
della propria individuazione come popolo, legato alla coscienza di popolo
eletto. La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità
linguistiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui
seguirono scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici,
aprirono la via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero
unità etniche più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è
noto, ad opera di Gobineau, di Chamberlain e di altri, si assunse
senza discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra
lingua e razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche
differenziali fisiche e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare
sul piano razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento,
ispirato in genere a criterio polemico, è stato condannato come
dilettantesco e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli
antropologi, asse- rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio
facilmente trasmissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non
può essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed
esclusiva. A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come
quello fatto da Müller, di far coincidere una classificazione delle
lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso,
anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per
l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui e
da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo, si
suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di vista
etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono slavi,
cioè ARI. D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra
razza e lingua con l’attribuire valore discriminante nella
classificazione delle razze ai soli caratteri strettamente biologici, non
soltanto è contrario alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere
ogni valore a quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e
razza semi- tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente
storico e come fondamento il riconoscimento della rispettiva individualità
linguistica. Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire in quale
misura sia possibile fare valere il criterio linguistico nella
discriminazione delle razze. Esiste certamente una differenza
sostanziale e profonda fra la linguistica e l'antropologia, sia
nell'oggetto sia nel metodo, che ne rende difficile e poco proficua la
collaborazione. La linguistica è disciplina ESSENZIALMENTE STORICA, tanto che
le sue classificazioni hanno vero valore solo se abbiano fondamento
genetico. Ciò si vede soprattutto nel campo della linguistica aria, che fra
tutte le discipline linguistiche è certamente la più progredita. Qui dalla
comparazione fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente
sicurezza la struttura originaria della lingua comune da cui esse
discendono; si riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici,
liberandoli dalle modificazioni successive determinate da molteplici
cause, fra cui principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di
altra lingua. Così noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la
struttura fonetica e morfologica e il patrimonio lessicale dell’ARIO
dell’epoca comune, all’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze LA
LINGUA LATINA, se non l’avessimo documentata. È una ricostruzione che ha
quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo fonetico
che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni decenni or
sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applicazione che non ha
riscontri in altri campi delle creazioni umane. L'antropologia,
invece, per insufficienza e discontinuità del ma- teriale d'osservazione,
è costretta a gravitare sul presente cercando di classificare le razze
umane in base ai caratteri morfologici attuali, e solo eccezionalmente
qualche importante trovamento apre ad essa la possibilità di rintracciare
precedenti sporadici, generalmente assai distanti, di questo o quel tipo umano.
Il materiale antico rinvenuto è così scarso e frammentario che le conclusioni
che se ne possono trarre sono molto tenui e malsicure. Così avviene che,
mentre dell’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo una sicura
nozione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i confini
della storia, della struttura somatica degl’ARI nulla di sicuro sappiamo,
poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degl’ARI attuali
l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i caratteri
geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a mescolanza. Oggi non
si è davvero:in grado di dire se gl’ARI fossero, ad esempio, dolicocefali
e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci o a capelli ondulati. La
ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste un’antropologia genetica,
la quale consenta di chiarire, dato un tipo capostipite, quali siano i
caratteri, permanenti nel corso delle ge- nerazioni e quali quelli che si
mutano o si acquisiscono. Teoricamente, nel confronto fra i vari tipi di
probabile discendenza aria dovrebbero potere risultare i caratteri specifici
da attribuire ad un Ario astratto della preistoria; praticamente ciò non
è possibile per la insufficiente conoscenza che si ba, delle modalità con
cui si traman- dano i caratteri biologici, sia ifisici, sia
psichici. Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è
fondamentalmente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello
antropologico annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la
dinarica, la nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze,
combaciano con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici
determinatisi in seno all’originaria unità. Nonostante questa mancata
concordanza di dati fra la linguistica e l'antropologia, le due
discipline maggiormente impegnate nella definizione delle razze umane, è
certo che razze esistono con carat- teri ben precisi e differenziati e
che, nella pratica, anche al più mo- desto osservatore non sfugge
l’esistenza di tipi umani diversi, i quali assommano i caratteri di unità
razziali diverse. Nell'ambito stesso dell'unità aria, a nessuno sfuggirà
l’esistenza di una unità aria medi terranea e di un'unità aria nordica,
c, a un più attento esame, nel- l'ambito di queste unità, sarà possibile
rintracciare altri tipi umani i quali danno fisionomia ai diversi popoli
che le compongono. Fuori di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza
bianca, la distinzione fra razza aria e razza semitica, anche se, per la
prima più che per la seconda, non si riesca a individuare i caratteri
biologici originari. Questo fatto è prova che non il solo dato
antropologico ha valore nella determinazione della nozione di
razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e
razza semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità
lingui- stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il
fattore lingua deve avere un valore determinante nella costituzione
dell’unità razziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario,
alla quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente
dominata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella
continuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con
quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella
discriminazione delle razze? Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla
nozione di razza come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza
in senso assoluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno
dietro a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono considerarsi
razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui hanno
cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro istinto
dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso. Tutti i
popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione, risultati dalla
mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la vasta massa delle
popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è certo presumibile che gli
Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche abbiano distrutto le popolazioni
preesistenti, le quali, ad esempio in Grecia, in ITALIA e sull’altipiano
iranico, erano in possesso di civiltà notevolmente progredite. D'altra parte,
di tali mescolanze ci danno sicura testimonianza, oltre che i dati
dell'archeologia preistorica, lo inte- grarsi della lingua aria comune in
nuove unità, che sono quelle a noi storicamente note. 1 profondi
rivolgimenti che alcune lingue hanno subìto anche nella struttura
fonetica, ad esempio le rotazioni delle consonanti in germanico, non si
possono altrimenti spiegare se non riferendole all'influenza di un
sostrato alloglotto. E' noto che una parte non trascurabile del lessico
del latino e dei volgari romanzi non si spiega nell’ambito dell’ario e
deve essere riportato al fondo linguistico non ario su cui il latino
venne a distendersi. Orbene, che un popolo, come è il caso di
quello bulgaro, abbia assunto una lingua diversa non è altro se non un
fatto di sincretismo in cui prevale la civiltà di maggiore prestigio.
Quello che importa te- nere fermo è per l'appunto che il sincretismo,
cioè la creazione di un risultato nuovo non inferiore agli elementi che
vi hanno concorso, si ha solo quando la mescolanza sia guidata da un
senso più o meno vivo di affinità elettiva. Ciò si può osservare con
sufficiente sicurezza sia nel senso positivo sia in quello negativo. Nella
penisola greca la civiltà minoica si è confusa con quella degl’ARI
sopravvenuti ed ha dato origine alla meravigliosa civiltà ellenica. In ITALIA
il senso di conquista degl’ARI NOMADI E GUERRIERI si è trasfuso nell'ordine
civile delle popolazioni stanziali ed ha dato origine alla mirabile e
grandiosa civiltà romana che è poi la civiltà dell'Occidente.
Evidentemente, fra le genti arie sopravvenute e le popolazioni
mediterranee si determinò una facile intesa, dovuta al fatto che non vi
dovettero essere fra esse sostanziali differenze di ordine fisico e
spirituale e tali da produrre una corruzione anzichè un miglioramento, dal
punto di vista etnico e culturale. In Italia, in Grecia, e dovunque si afferma
LA LINGUA ARIA, i caratteri dominanti furono indubbiamente dati dalla STIRPE
ARIA e per questo, nonostante le differenze che si osservano fra i
diversi popoli di questo gruppo, è facile cogliere in numerosi e cospicui
tratti gli in- dizi della comune origine. Vi sono invece casi in cui
questa affinità elettiva che dà la preminenza ai caratteri del tipo superiore
non ha luogo, per motivi che non è sempre facile individuare. La storia
di alcuni millenni dimostra, per esempio, come fra gl’ARI e i Semiti essa sia
completamente mancata e che le due stirpi si sono sempre tenute in
reciproca difesa, quasi istintivamente conscie che da una fusione si
dovesse avere la perdita da una parte e dall'altra dei rispettivi
caratteri dif- ferenziali. Dovunque Semiti ed Ari si sono trovati in
contatto si sono sempre scontrati in lotta senza quartiere: gli Irani
contro l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine, il mondo cristiano
contro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che vincessero gli altri
la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da una parte e
dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi diversi hanno
conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi apporti culturali che
l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti, interpretati ed
elaborati secondo la propria natura. Il cristianesimo è diventato universale
nell’interpretazione romana. Il senso ario della conquista e dell'espansione
assume nella coscienza e nella prassi giudaica aspetti e modalità, per cui non
è quasi più riconoscibile. Ed è certo bene che sia così, che cioè la
barriera sussista, poichè il suo abbattimento non è, come la storia
categoricamente dimostra, nella natura delle cose. Ciò si potrà rilevare
in molti campi, ma a noi preme rilevarlo proprio nel campo della lingua,
che oggi è senza dubbio uno dei più importanti fattori differenziali
degli aggruppamenti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo questo o quel
popolo al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo soprattutto in
base al criterio linguistico che è alla base di tali gruppi, e dove tale
criterio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento giudaico che ha
assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli presso i quali
vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine storico, quello
religioso. Per l'appunto, nel campo linguistico la differenza
costituzionale fra il semitico e l’ario, sia dal punto di vista fonetico
per il prevalere in quello di suoni laringali ignoti all’ario, sia dal
punto di vista morfologico per la diversità sostanziale della rispettiva
flessione, si rivela così profonda da non consentire un sincretismo
produttivo. L'elemento arabo, penetrato nel persiano in larga misura in
seguito alla conver- sione della Persia zoroastriana all’islamismo, si è
limitato al lessico e non ha intaccato la struttura fonetica e
morfologica squisitamente aria di quella lingua; vi è rimasto così
estrinseco, che, a seguito della ri- presa nazionale avutasi con la nuova
dinastia, l'elemento arabo viene progressivamente sostituito con elemento
propriamente iranico. Quan- do poi una lingua semitica è stata assunta da
un POPOLO DI STIRPE ARIA i risultati che se ne sono avuti sono, nel loro
aspetto negativo, profonda- mente significativi. Questo è, come è noto,
il caso di Malta in cui il primitivo idioma romanzo venne per effetto
della lunga occupa- zione musulmana sostituito con un dialetto arabo
magrebino: l'arabo, forzato in una impostazione vocale completamente
estranea, ne è uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto,
da giustifi- care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza
linguistica britannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un
dialetto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi
italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio.
Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione dell’unità
etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello della
formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er- rore
gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui ceppo,
quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando tanti rami,
integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello. Niente di più
falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel caso delle lingue
quanto in quello delle razze, propagazione uniforme e non formazione di
nuove unità più o meno nettamente differenziate. L'albero genealogico sarebbe
giustificato solo se in esso potesse risultare il complesso degli apporti
e delle cause che hanno determinato la figura particolare di ciascuna unità.
Prendiamo il caso della lingua italiana. Non esistono lingue,
specialmente a larga diffusione, che non siano costituite da una più o
meno grande varietà di dialetti. L'unità neo-latina, ad esempio, è divisa
in tante lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per
dire le maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà
dialettali più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta
dif- ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie
lingue e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura,
affermatasi per forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come
causa di trasformazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su
cui il latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare
bisogna parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone
linguistica- mente individuate in precedenza, di cui il latino
s'impossessa. Intervengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha
con popoli di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi
particolari di ciascuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna
lingua, soprattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la
lin- gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre
parole, il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere
guardato nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto
in quello integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha
ancor maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino,
di una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si
sovrappone con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di
minore prestigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo
integra- tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere
della lingua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai internamente
indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato di quella
necessità naturale per cui il comprendere, e perciò l’esprimersi, avviene
prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri di una gente, di una
tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è questa necessità sempre più
vasta di esprimersi e di intendersi che costituisce quelle vaste unità
alle quali noi diamo il nome di unità aria e di unità semitica. Da queste
considerazioni deriva che nessuna teoria è tanto assurda quanto quella
della monogenesi del linguaggio, non meno assurda, o almeno altrettanto
poco giustificata, quanto quella che volesse scientificamente riportare
tutti i caratteri delle attuali razze umane nella loro infinita varietà
ai caratteri di una coppia capostipite. Come per questa altra realtà non
si può postulare se non quella dell'essere uomini, così per la lingua
originaria altra qualità non è possibile postulare se non quella di
essere mezzo espressivo di uomini. Ora, identico processo
integrativo è quello che dà origine alle diverse unità razziali. Anche qui
si ha uno slargarsi per accrescimento e mistioni: dalla singola gente si
arriva alla tribù, al popolo, alla nazione italiana. E’ chiaro che
l’accrescersi naturale delle generazioni amplifica al tempo stesso la
natura del processo e fa che i caratteri dominanti del nucleo più vitale
guadagnino sempre più vasto spazio. Vi è certo qualche cosa di misterioso
in questo propagarsi di caratteri superiori per cui l'umanità ci appare
in una continua ascesa, e ancor più grande mistero è quello che avvolge
l’occulta forza da cui ogni unità razziale è guidata nella sua istintiva
difesa da quei contatti e da quelle mi- stioni che ne altererebbero la
genuina struttura. Poichè l’uomo è essere spirituale, tale modalità del
suo divenire anche dal lato fisico ha forse la sua ragione nell’esigenza
di una maggiore spiritualità che si rifletta anche nella struttura
fisica, e in ciò è appunto il grande mistero dell’uomo,
nell’indissolubile legame che in lui si realizza fra vita biologica e
spirito. Da quanto si è detto appare chiaro che il fattore lingua
concorre in maniera dominante, almeno sino a quando le conoscenze
antropo- logiche non forniranno dati biologici più sicuri, a determinare
la nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo principalissimo
di coesione per cui una comunità più o meno vasta di individui sente
di essere popolo e nazione. Le caratteristiche spirituali e la
struttura della lingua di un popolo – osserva Humboldt — sono l’una
con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si dovrebbe
poter derivare completamente da quello. La lingua italiana, infatti, riflette
anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, naturale di sentire il reale
e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psicologico al tempo stesso e, come
tale, è legata intimamente con la struttura psicofisica del popolo che la
parla, è anzi la modalità più essenziale con cui tale struttura si
manifesta. Il complesso dei costumi, delle tradizioni che si tramandano
di generazione in generazione, tutto ciò insomma che concorre a dare a
ciascun popolo la sua propria fisionomia, trova espressione fedele e categorica
nel linguaggio. Poichè la nozione di razza non è in sostanza altro se non
la nozione di un'appartenenza ad una determinata comunità genetica, la
coscienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti
sostegni. Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla
purezza, quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i
popoli nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un
de- terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi
carat- teri differenziali e voglia segnare una netta linea di
demarcazione fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri
spirituali ed etnici non congeniali ai suoi, altro non fa se non
riportarsi coscientemente alle sorgenti più genuine della sua vita. Un
aspetto di tale esigenza è il desiderio di tenere immune la propria
lingua da influenze stra- niere e di eliminare le infiltrazioni che si
sono verificate in momenti di indebolita o distratta coscienza. Antonino
Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella
degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci
nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche –
lincei” , ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia
Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci –
enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di
‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio --
filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pagliaro” – The Swimming-Pool Library.
Palazzani
essential Italian philosopher female?
Grice
e Palladio: la ragione conversazionale a Roma antica – Roma – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Known to have been a philosopher from references to that effect in
letters of Theodoret.
Grice
e Panebianco.
A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino
sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in
Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI
(si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO
(vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione
de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova,
Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande
appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista".
Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella
lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti
internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista,
quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis
facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini
lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben
adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve
seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine
grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad
praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for
the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es
multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua
nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione
assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana,
e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua
naturale, lingua madre di tutti i popoli. / pp- T'
R. PANEBIANCO Adoptione de
lingua Internationale es signo que
evanesce contentione de classe et
bello* y %hSbo
PADOVA ST AB. GRAFICO L.
BOSCARDiN R.
PANEBIANCO Adoptione de lingua
Internationale es signo que evanesce
contentione de classe et bello. Es
adoptione de lingua internationale que fac evanesce con¬ tentione de classe et bello aut es
evanescentia de isto duo scelerato re
que fac adopta lingua internationale?
Isto es ipso quaestione si exsiste ante ovo aut gallina! Certo que quando statu de productione adveni
ad opportuno evolutione (et me non sci
si isto statu es illo actuale) contentione
de classe more per.simplice facto que evanesce isto duo classe, uno formato de pauco opulento et alio de
numeroso paupere. Isto suo morte es
debito ad extenuatione lento de illo cumulo de usus que constitue institutione magis antiquo et
magis importante de proprietate privato
de medios de productione (agros, minas, fabricas et machinas agricolo et industriale etc.) et
de commutatione (fer- rovias, naves,
automobiles etcj. Ultimo phasi de morte de isto
institutione et, ergo, de contentione de classe, es violento. Historia doce es violentia obstetrice de vetere
systema sociale que sta pro parturi uno
novo. Desiderio de humano civilitate que non vol vio¬ lentia nihil pote! Violentia per que pullo
rumpe involucro de ovo es
inevitabile! Grande revolutione
initiato in epocha prashistorico fac substi¬
tue, in modo graduale, usque ad tempore historico, proprietate pri¬ vato ad collectivo. Isto antiquo proprietate
non es plus capace de da ad homines
necessario augmento de productione, ergo, surge
actuale proprietate. Hodie productione es
extreme exuberante, tanto que es
dissipato immenso quantitate de humano labore. Res non 4
solo inutile sed pernicioso (milliones de fusile et de cannone,
enorme naves revestito per lorica de
aciario, submarinos, aeroplanos etc.)>
humano scelerato dementia produc! Si productione de res inutile et de pernicioso fi abolito, labore humano fi
reducto ad 4 aut 5 hora per die. Ergo, non
essendo plus forma actuale de productione
(illo que basa se super proprietate privato) necessario, essendo
su¬ perabundantia de productione, isto
forma, causa de scelerato inju¬ stitia,
evanesce, et proprietate collectivo es restituto ad mundo. Nihil novo sub sole! Homines de systema sociale basato super
proprietate collectivo es socio, ergo,
non existe plus illo duo classe antagonista ante dicto. Toto homines fi, in tale systema,
commodo laborante de la¬ bore directivo
aut subordinato et nullo homine pote vive sine labora, id es ut parasito super labore de
proletarios. Tunc lingua interna-
tionale fi reale internationale, et tunc, cum evanescentia de conten¬ tione de classe, necessario producto de
proprietate privato, es pro¬ babilitate
grande que evanesce bello. Adoptione de lingua interna¬ tionale et evanescentia de contentione de
classe non es subitaneo. Illos es:
adoptato primo, et es facto evanesce ultimo in modo plus aut minus rapido aut lento, usque ad morte
ante dicto de conten¬ tione de
classe. Usque tanto que existe
contentione de classe, lingua inter¬
nationale forsan non fi reale internationale. Sed isto existentia
de scelerato contentione de classe et
isto forsan non possibile inter-
nationalitate de nostro interlingua (Int.), non pote impedi, ad praecur¬ sores de illo nobile idea pro adoptione de
lingua internationale, de labora pro suo
actuatione. Isto praecursores, que consuma suo su¬ dato et parcito moneta pro fac re magis utile
ad suo simile, es, in primo tempore,
deriso ab vulgo burgense. Isto vulgo forma magis grande parte de burgesia, uno de duo classe
antagenista et que demente vol plus cito
perde vita que suo privilegio de dominio
super alio classe, illo de proletario, i. e. de laborante.
Laborantes, in primo tempore, non es
capace de comprehende que conato pro
adoptione de lingua internationale es signo que suo catena de ser¬ vitute sta pro rumpe se, et non da ad isto
praecursores ullo animo. Sed isto
praecursores, inter derisione de primo et indifferentia de secundo, continua imperturbato sua opera pro
bono de suo simile! Uno de isto
praecursores, ab multo annos strenuo propugnatore 5
pro triumpho de isto nobile idea, es nostro amato socio, reverendo J. B. Pinth de Luxemburg, auctore de plure
publicatione in Int., et speciale de
vocabulario deutsch - Int. Ad illo me mitte affectuoso sentimento de maximo aestimatione. Sed existe contentione de classe? Quasi toto
diurnales, et certo illo magis diffuso,
scribe, et numeroso homine politico de
classe burgense scribe et loque de actuale harmonias sociale! Etiam cultores de scientia oeconomico, que fac
crede es scientista, dum illos es
sycophanta de capitale, dic que systema sociale actuale basa se super harmonias sociale, super
collaboratione amicabile de laborantes
cum domino! Numeroso burgense pauco instructo, dic que isto contentione de classe es inventione
de socialistas, dum isto contentione es
de maximo antiquitate. Illo incipe quando incipe proprietate privato, que divide homines (que
ante, quando existe Gentes in vice de
nationes, es socio) in duo classe antagonista:
uno formato de pauco domino et alio de numeroso servo. In tempore de Platone, 4 seculo ante
Christo, isto grande philosopho scribe:
■« Omni civitate, et si inter illos plus parvo, non es uno civitate sed duo: uno de opulentos et
alio de pauperes, uno contra alio
pugnante». Quatuor seculo retro,
Thomaso Moro [grande cancellario de
anglo regno, sub rege: Defensore de Fide (titolo dato de papas ad Enrico VIII ante suo abjuratione de catholica
fide), que dilige se decapitando suo
uxores et cancellarios] scribe: « Opulentos vol pos¬ side medios que, ultra assecura ad se suo
opulentia in modo malo acquisito, es
etiam apto ad fac volve ad suo exclusivo profectu, solvendo in maximo minore modo, labore de
pauperes. Et quando illos inveni isto
medios, in nomine de patria, isto medios es impo¬ sito per lege». Isto auctore immortale de
Utopia adjunge, pro cla¬ ritate, «es
vita de bestias invidiabile pro isto pauperes». Per isto suo scripto illo es bene meritante
suo decapitatione! Sed nos redi ad
lingua internationale. Es evidente que essendo
id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate.
Ergo, es per illo quasi impossibile ad
fac ambiguitate, excepto ad prae¬
posito. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Effective,
#um in lingua nationale, vocabolo que
exprime actione (i. e. verbo de grammatica) habe grande numero de variatione et etiam de
mutatione de radice 6 (A. be, is, was, etc.; F. etre, suis, etc.;
I. essere, sono, fui, etc.), in lingua
internationale isto vocabulo, ut omni alio suo vocabulo, es invariabile. Vocabulo es de Int. habe in
francais 56 forma di¬ verso et circa
ipso in italiano! Illo que aperi libro
de uno lingua nationale, si non cognosce
isto lingua, non es capace, etiam si illo posside vocabulario et
gram¬ matica de isto lingua, de
intellige id. In contrario, scripto in Int.
es intellecto perfecte ab persona que vide primo vice isto Int., si illo posside vocabulario de Int., aut, post
ullo minuto de oppor¬ tuno instructione
de latino, vocabulario de latino de schola. Effective isto facto de intellige lingua per solo
vocabulario es possibile quare Int.
habe, ut es ante dicto, suo vocabulos invariabile. Solo excep¬ tione es adjuctione de s
ad vocabulo que designa persona aut re
que es plure, si per comitante vocabulo non es intellecto que es plure. Ergo, persona scribe: «duo libro,
serie de libro» et non «duo libros,
serie de libros». Selectione de latino,
ut basi de Int., es facto, nam suspicione
nationale, abjecto producto de systema sociale in que homines non es socio sed diviso in duo classe et plure
natione, non permitte ute lingua
nationale ut Int. Certo
engiish es lingua nationale de grande
diffusione et suo grammatica es plus simplice que in omni alio lingua, sed suo pronuntiatione es magis
difficile pro suo irra- tionalitate;
cetere, non es possibile, pro illo que es ante dicto, suo adoptione ut Int. Pro intellige uno lingua nationale necesse
plure mense de studio et pro scribe
correcte id plure anno. Pro scribe correcte ita¬ liano nos stude id 11 aut 12 anno! Correcte?
Saepe me senti pro¬ fessore de lingua
italiano dic de suo collegas que illo scribe ut
cane! In conclusione omni lingua nationale es multo difficile. Capitalista et suo intellectuale clientes
habe possibilitate ad stude longo
tempore et ad disce suo lingua nationale. Laborante que es proletario non habe isto
possibilitate. Et isto grande, magis
grande privilegio de capitalistas et suo
clientes intellectuale, pone laborantes ad fronte ad suo inimico in grande inferioritate et, ergo, solida suo
catena de servitute. Clientes
intellectuale, que es fortia ultra potente de capita¬ listas, specie illos que, ut in isto casu, es
plus idoneo, i. e. lite- ratos, pugna in
forte modo contra adoptione de isto lingua. Isto 7
adoptione fac perde ad capitalistas uno de suo maximo privilegio, et suo clientes defende illos contra isto
jactura pro recipe, in com¬ pensatione
de suo turpe actione, parte de manubiae que capitalistas praeda ad laborantes. Me ute vocabulos
urente: turpe, manubiae et praeda. Sed illo
es proprio. Sed capitalistas que praeda manubiae et suo
intellectuale cliente que fac actione
turpe de defende illo, non es responsabile,
isto de suo turpe actione et illo de praeda manubiae. Responsabile es solo systema sociale. Proletario que, per
casu raro fi capitalista, fac illo que
fac isto: i. e. praeda manubiae ad suo antiquo comites, et si illo fi intellectuale cliente de
capitalista, illo, in generale, fac
turpe actione de defende praedatore de suo antiquo comites: illo fi sycophanta de capitale. Responsabile de omni malo que homine fac, in
generale, contro alio homine es systema
sociale magis scelerato, que da ad
homines possibilitate de acquire opulentia. Isto acquisitione da ad illos exuberante gaudio egcstico, dum
opulentia de uno produc necesse
paupertate de multos. Paupertate non solo da ad homine exuberante dolore, sed produc degeneratione
de specie humano. Effective vita medio de proletarios es dimidio de illo de opulento aut commodo homines. Seque que opulento, per
solo facto de es opulento, es carnefice,
sine suo voluntate, de proletarios, que es suo
simile. Si tale systema sociale homicida es defenso ab ullo homi¬ nes, ad isto es bene applicato verbo de
Christo: «Domino perdona ad illos nam
illos non sci id que illos fac». Omni amante
de suo simile debe ode, de magis intenso odio,
isto scelerato systema sociale. Sed nullo vice debe homine ode alio homine et si illo es defensore de isto
scelerato systema sociale, et si illo es
delinquente. Homine de corde et intellecto debe ode delicto, sed perdona ad delinquente, que, 99
vice super 100, es necessario producto
de systema sociale. Es sufficiente impedi ad
delinquente de repete delicto! Homine de corde et intellecto debe fac toto que illo pote pro emenda
delinquente. Punitione es turpe residuo
de medioaevale barbarie! Homines, me
ante dic et me repete, non es, in generale, re¬
sponsabile de malos de systema sociale. Isto magis turpe et
magis scelerato systema pone homine in
bivio terribile, aut de labora
relinquendo parte de fructu de suo labore ad alio suo simile, ad 8
parassita, ad domino, et ergo vivendo in paurpertate, aut de fi do¬ mino. Alio via, isto infernale systema
sociale, non relinque ad homine! '
. Interlinguista, quale que es suo
opinione politico aut religioso
(Academia pro interlinga demanda ad suo socios solo suo contributo annuale de 10 franco pro expensas de
officio), es certo praecursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad
illos (sine que illos fac innaturale re
de demitte suo lingua nationale ut illos non fac inna- turale re de demitte suo dialecto) non pote
es actuale systema de «homo homini
lupus», sed es systema sociale in que toto homines fi socio.
Interlingua forsan non fi iriternationale que quando actuale scelerato systema sociale es relicto, simul
ad toto alio medioaevale barbarie
deturpante humanitate! Sed isto forsan, evidente non es certitudine, et es bene noto que voluntate
humano, que non es causa de eventus
sociale, es certo, de reflexo influentia, accele¬ rante id. Intelinguista, que labora, cum
grande enthusiasmo, pro diffude suo
nobile idea, accelera isto eventu i. e. que Int. fi reale lingua internationale. Optimo vocabulario de nostro bene merente
praesidente Piof. Peano suffice, facendo
per illo pauco hora de exercitio, pro sci be
in correcto modo nostro Int. Post pauco die de isto exei citio, fi plus facile, ut me ante dic, de compone et
scribe in Int. que in proprio lingua
nationale. Auxilio ad vocabulario de Peano es illos nationale - Int., ut illo ante indicato de Pinth. Vos, benevolo lectores, fac bono actione,
dando ad nos animo per conjunctione de
vestro fortia ad nostro, pro bene de huma
nitate. Omni uno de vos que fi socio de nostro Academia, centu¬ plica nostro animo! Intende, meo benevolo lectores! Ultimo
bello occide 14 miliono de juvene sano
et forte, que, in generale, non vol more nec fac more suo simile. Lingua internationale es
potente medio pro con¬ serva expulsione
de mundo de suo plus horribile et terribile malo. bello! Ruggero Panebianco. Panebianco. Keywords: il deutero-esperanto di Grice – ‘if language was the cause,
why did we have the War of the Roses? – formalisti/informalisti --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Panebianco.” Panebianco.
Grice
e Panella: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
sublime – la scuola di Benevento -- filosofia campanese -- filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Benevento). Filosofo italiano. Benevento, Campania. Grice: “Panella’s conceptual
analysis of the sublime poses the implicatural question: “x is ‘bello’; e
SUBLIME’ – The Romans talked of ‘pulcher’ which complicates things!” Grice:
“Panella also wrote of ‘l’incubo urbano,’ to which I’ll add “l’incubo
suburbano’, and ‘l’incubo exurbano’!” essential Italian philosopher. Si laurea a Pisa, dove è stato insegnante. Si è occupato di
filosofia politica e storia del pensiero politico, ha insegnato Estetica nella
stessa università. È stato presidente
della giuria del premio letterario "Hermann Geiger" e membro della
giuria del premio letterario "ArtediParole" riservato a studenti
delle scuole medie. Si è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di
poesia, da ricordare Il terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con
Editore Polistampa. In collaborazione con David Ballerini ha girato due
documentari d'arte, La leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da
Rai2 n e Il giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato. Ha vinto
il Fiorino d'oro del Premio Firenze. Gli è stato assegnato il premio concesso
annualmente dal Ministero dei Beni Culturali per attività culturali e
artistiche particolarmente rilevanti. Collabora
con l'associazione Pianeta Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi
nella presentazione di poeti e incontri letterari. Giuseppe Panella con Franco
Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze. Saggi:” Monografie Robert
Michels, Socialismo e fascismo” (Milano, Giuffré); Lettera sugli spettacoli di Rousseau,
Aesthetica. Palermo, Il paradosso sull'attore di Diderot, La Vita Felice, (Milano
Saggi); Elogio della lentezza. Etica ed estetica in Valéry, Aesthetica, Palermo);
“Del sublime, Frosinone, Dismisura Testi, “Il sublime e la prosa. Nove proposte
di analisi letteraria” (Firenze, Clinamen, Zola: scrittore sperimentale. Per la
ricostruzione di una poetica della modernità” (Chieti, Solfanelli); “Pasolini.
Il cinema come forma della letteratura” (Firenze, Clinamen); “Il sosia, il
doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria” (Bologna,
Elara) – cfr. H. P. Grice on P. H. Nowell-Smith as J. L. Austin’s ‘straight
man’ in their Saturday mornings double-acts! – il ‘replicante’ -- , I piaceri
dell'immaginazione, Firenze, Clinamen, Rousseau e la società dello spettacolo”
(Firenze, Pagnini); “Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come
modello culturale” (Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), “ L'incubo
urbano,” Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello
stile. I linguaggi del pensiero, Bazzani, Lanfredini e Vitale, Firenze,
Clinamen); “Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio narrativo nella
letteratura” (Chieti, Solfanelli); Il secolo che verrà. Epistemologia,
letteratura, etica in Deleuze” (Firenze, Clinamen); “Storia del sublime. Dallo
Pseudo-Longino alle poetiche della modernità” (Firenze, Clinamen); “La
scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita,
Grottaminarda, Delta); “Arbasino e la "vita bassa". Indagine
sull'Italia n cinque mosse, Prove di sublime. Letteratura e cinema in
prospettiva estetica” (Firenze, Clinamen); “Curzio Malaparte autore teatrale e
regista cinematografico” (Roma, Fermenti); “Introduzione al pensiero di
Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di
Aligheri” (Firenze, Polistampa); “Le immagini delle parole. La scrittura alla
prova della sua rappresentazione” (Firenze, Clinamen); “La polifonia assoluta.
Poesia, romanzo, letteratura di viaggio di Vettori” (Firenze, Toscana); “L'estetica
dello choc. La scrittura di Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia” (Firenze,
Clinamen); “e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide, L’'estetica dell'eccesso”
(Firenze, Clinamen); “Le maschere del doppio: tra mitologia e letteratura” (Editore
libri di Emil); Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la
prospettiva della felicità, Firenze, Clinamen. RETROGUARDIA
quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco
Sasso Giuseppe Panella D’ANNUNZIO E LE IMMAGINI DEL SUBLIME. L’Alcyone, la Fedra e altre apparizioni (C) 2008 Giuseppe Panella RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso «Oggi due cose
sembrano moderne: l’analisi della vita e la fuga dalla vita. Poca è la
gioia dell’azione, dell’accordo delle
forze interne ed esterne della vita, dell’imparare a vivere del Wilhelm Meister e del corso del mondo
shakespeareiano. Si anatomizza la propria vita psichica, o si sogna [...]. Nelle opere dell’artista più originale
che possegga al momento l’Italia, di Gabriele
D° Annunzio, queste due tendenze si cristallizzano con una particolare
acutezza e chiarezza : le sue novelle
sono protocolli di psicopatia, i suoi libri di poesia sono scrigni di gioielli
; nei primi domina la terminologia
rigorosa ed oggettiva dei documenti scientifici, ne secondi, invece,
un’ebbrezza quasi febbrile di colori e
di stati d'animo» (Hugo von
Hofmannsthal, Gabriele D'Annunzio, 1)
«Il suo sentimento della vita e del mondo non si è acceso al contatto
della vita e del mondo, bensì al
contatto delle cose artificiali: della più grande opera d’arte, il
“linguaggio”, dei grandi quadri della
grande epoca e delle altre opere d’arte minori» (Hugo von Hofmannsthal, Gabriele D'Annunzio,
Il) RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso 1. La poesia
come registro delle immagini del mondo: la ricerca di senso nell’ A/cyone Proprio nel momento in cui il suo editore
Giuseppe Treves lo sollecitava e premeva (con la forza contrattuale che poteva esercitare sul poeta
in perenne crisi economica) perché concludesse e gli consegnasse il promesso romanzo // Fuoco (la
storia neppur tanto romanzata dell’amore impetuoso per Eleonora Duse basata sui suoi sviluppi
più intimi e più privati), D’ Annunzio decide che è tempo di tornare al primo amore: la poesia. E° dal
1893 che non pubblica più versi e che si è dedicato interamente alla prosa sia nel romanzo che
nella scrittura teatrale. Come scrive Federico Roncoroni nella sua Introduzione all’edizione dell’
A/cyone da lui curata per la collana degli Oscar Classici Mondadori :
«Poco importa, del resto, stabilire perché D’ Annunzio si sia messo,
proprio ora, a fare poesia. La
questione, oltre tutto, non ha fondamento scientifico né potrebbe
portare a conseguire risultanze valide e
soddisfacenti. Comunque, quale ne sia stata la causa, questo ritorno alla
poesia avveniva, per così dire, nella
pienezza dei tempi. D’ Annunzio vi perveniva, dopo tanta prosa, forte di
non trascurabili esperienze teoriche e
pratiche maturate proprio negli anni che vanno dal 1891-1893, data di composizione delle liriche della sua
ultima raccolta poetica — il Poema paradisiaco —, a questo 1899. In proposito, anzi, si può dire
che tutta la produzione letteraria che inizia con Le vergini delle rocce e culmina nel Fuoco,
praticamente già realizzato anche se non ancora compiuto, ha costituito, nell’ambito dell’attività
dannunziana, un momento risolutivo dalle conseguenze necessariamente innovative. Con Le vergini
delle rocce, con le opere teatrali, con // fuoco e, anche, con le parallele esperienze sentimentali e
politiche, D’Annunzio rivela di aver finalmente e decisamente individuato nel mito del superuomo
e, per quel che riguarda il fatto essenziale e
importantissimo dell’espressione e dello “stile”, nella poetica che esso
sottende, quel criterio di interpretazione
della realtà che aveva a lungo cercato nel suo vario e proficuo tirocinio sperimentale». Il primo testo poetico di questa nuova
stagione (che costituirà poi il preludio del Primo Libro delle Laudi, Maia) si intitola, non a caso,
L’Annunzio. Quest’ode (nomen omen)
conterrà, infatti, al suo interno una sorta di sintesi anticipatoria di tutto quanto sarà contenuto nelle opere in poesia
successive e, in particolar modo, le lodi della bellezza eterna della Natura e della necessità di
attraversarla con le parole poetiche più intense e più illuminanti (“Tutto era silenzio, luce,
forza, desìo. / L’attesa del prodigio gonfiava questo mio / cuore come il cuor del mondo./ Era questa
carne mortale impaziente / di risplendere, come se d’un sangue fulgente / l’astro ne rigasse il
pondo. / La sostanza del Sole era la mia sostanza. / Erano in me i cieli infiniti, l’abondanza / dei piani,
il Mar profondo. // [...] E il dio mi disse: “O tu che canti, / 10 son l’Eterna Fonte. / Canta le mie laudi
eterne”. Parvemi ch'io morissi / e ch'io rinascessi. O Morte, o Vita, o Eternità ! E dissi: /
“Canterò, Signore”. / Dissi: “Canterò i tuoi mille nomi e le tue membra / innumerevoli” [...] Canterò la
grandezza dei mari e degli eroi”). A
pochi giorni di distanza dalla stesura di questo testo aurorale, D’ Annunzio
compone la prima delle liriche che
andranno a comporre il terzo Libro delle Laudi, la raccolta cui darà il titolo
di Alcyone. E sarà la Sera fiesolana
(datata “La Capponcina, Settignano di Desiderio, ai dì 17 di giugno 1899, verso sera, dopo la pioggia”),
uno dei testi capitali e più significativi della raccolta. E’ dunque nel giugno del 1899 (l’anno in cui
viene messo in scena La Gioconda, un testo teatrale assai importante per l’evoluzione della
tematica superomistica — come si vedrà in seguito — e della prima stesura incompiuta di // Fuoco) che si
consuma il ritorno del poeta abruzzese alla poesia . ! F. RONCORONI, Introduzione a G.
D'ANNUNZIO, Alcyone, Milano, Mondadori, 19934, p.11. 3 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso A parte la
lirica “Alle montagne” che apre la Terza Parte del Libro delle Laudi, Elettra,
e che fu pubblicata per la prima volta
nel 1896 °. i versi che compongono i primi tre libri dell’ambizioso progetto poetico vengono concepiti e composti
a partire da questo periodo. In
particolare nel luglio 1899, mentre si accinge a trascorrere un periodo di
vacanza piuttosto lungo a Bocca d’ Arno,
dove Eleonora Duse ha come al solito affittato il Casone dell’antica Dogana per
il periodo estivoÈ, riempie di note, di
appunti e di spunti per le liriche future il Taccuino no. 10 che passerà per le mani dei filologi come “il
taccuino dell’ A/cyone”. E° a partire,
dunque, da questa data che il libro viene composto secondo un respiro unitario
che rende i suoi ottant’otto componimenti
articolati e distesi lungo una linea di disposizione rigorosa e non frammentaria. Bisognerà aspettare l’estate del 1902,
tuttavia, perché le liriche più significative di A/cyone vedano la luce e bisognerà pure cambiare luogo di
vacanze e da Marina di Pisa passare nel Casentino, a Romena, per vedere D'Annunzio al lavoro: «Così, ignaro di tutto, ai primi di luglio
D’ Annunzio lasciò Settignano e il “Secco Motrone” e si trasferì a Romena, nel Casentino, ospite a
Villa Goretti. Oltre che ignaro di tutto e, certo, del tutto tranquillo quanto a scrupoli di coscienza, è
pronto a lavorare”. Con lui, naturalmente, c’è anche la Duse. Il 10 luglio, scrivendo ancora al
Tenneroni, è proprio lei ad annunciare che il poeta /avora: “Il Lavoro — scrive — ha ripreso l’amico suo — e
le giornate volano !”. Di fatto, a Romena, dopo qualche giorno di riposo, D'Annunzio prese a lavorare
sodo. “I giornali del tempo si sbizzarrirono a
descrivere la grande tenda rotonda del poeta nella spianata del
Castello, e le cavalcate che faceva per
le valli o ai santuari del Casentino”(G. GATTI, Vita di Gabriele d’Annunzio,
Firenze, Sansoni, 1956, p. 190). In
realtà, più che andare a cavallo, il poeta lavorò e nel corso di un’attività
che lo vide impegnato non solo a
comporre materialmente i testi ma anche a sbrigare tutta la fase preparatoria alla composizione vera e
propria, come l’individuazione dei temi, la consultazione degli appunti segnati nei Taccuini, la
consultazione di lessici e dizionari, la lettura di testi di lingua o di volumi di altri poeti e, come vedremo,
anche la pianificazione dei singoli componimenti in una struttura organica, compose un gran numero di
liriche. Tra luglio e agosto nacquero così La tregua (10 luglio), 7 fanciullo (13-19 luglio),
L’aedo senza lira (16 luglio), L’ulivo (20 luglio), La spica (25 luglio), Beatitudine (28 luglio), il
Difirambo I (1 agosto), Il Gombo (13 agosto), Anniversario orfico (15 agosto), / tributarii (16 agosto),
/ camelli (18 agosto), Il cervo (20 agosto), L’ippocampo (21 agosto), L'onda (22 agosto), La morte del
cervo (24 agosto) e poi, sempre tra luglio e agosto, ma in giorni che non è possibile precisare
con esattezza, anche L’opere e i giorni, Furit aestus, Pace, Intra du’ Arni, La pioggia nel pineto,
Le stirpi canore, Il nome, Meriggio, Le madri, L’Alpe sublime, Albasia, Terra, vale !, il Ditirambo
Il e Bocca di Serchio. In pratica, come si vede, in quei due mesi, D’ Annunzio stese una buona metà
del Libro di A/cyone : un totale di più di 3.000 versi, con una ricchezza di temi che spazia da
quelli programmatici (La tregua e Il fanciullo) a quelli panici, da quelli superomistici a quelli
evocativi, da quelli descrittivi a quelli mitici e metamorfici, con una varietà di soluzioni stilistiche che
vanno dalle costruzioni a tavolino sui modelli letterari delle origini o sui lessici e i dizionari
all’ elaborazione di testi di plastica evidenza espressiva, dalle ? “Alle montagne” apparve, per la prima
volta, con il titolo Ode a colui che deve venire, nel febbraio 1896 in un fascicolo di Versi e disegni offerti dalla
Baronessa Blanc nella festa di beneficenza per i feriti d’Africa, pubblicato
a Roma dall’ Editore Adolfo De Bosis e
poi ristampata in “Il Convito” (la rivista diretta da De Bosis stesso), libro
VII (luglio 1895 — marzo 1896),
pp.445-447. ? Sul soggiorno di D’
Annunzio a Marina di Pisa e l’importanza che ebbe per l'evoluzione della sua
scrittura , cfr. il bel libro di FE.
ROMBOLI, Un ’ipotesi per D'Annunzio. Note sui romanzi, Pisa, ETS, 1986. 4 Il riferimento è alla grave crisi nel suo
rapporto affettivo con Eleonora Duse all’epoca già gravemente incrinato
anche per effetto della pubblicazione
del romanzo // Fuoco (uscito presso Treves nel 1900) che ne pubblicizzava
aspetti spesso anche molto personali e
necessariamente privati. 4 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso trascrizioni
mimetiche alle ricerche fonosimboliche e, infine, con una straordinaria varietà
di forme metriche che sperimentano tutte
le possibili soluzioni, dal metro chiuso al verso libero». E° in questo felice e tranquillo periodo di
lavoro poetico che si consuma l’avvento del Sublime nella scrittura dannunziana. E° vero che bisognerà aspettare ancora fino
al periodo tra settembre e novembre del 1903 perché il lavoro dannunziano giunga a un termine, ma
ormai i testi destinati a maggior fortuna (come La pioggia nel pineto o Anniversario orfico
erano già stati composti — manca ancora il celebratissimo / pastori che sarà scritto nel 1903,
probabilmente nell’ottobre). E° in
alcune delle poesie scritte in questo periodo (e perfino nei loro titoli) che
la tematica dell’ “immagine sublime”
emerge con nettezza. Si pensi alla
lirica All’Alpe sublime — anche se non viene considerato uno dei testi migliori
della raccolta *: «Svegliati, Ermione, / sorgi dal tuo letto
d’ulva, / o donna dei liti. / Mira spettacolo novo, / gli Iddii appariti / su 1’ Alpe di Luni / sublime ! /.
Occidue nubi, corone / caduche su cime / eterne. / Ma par che s’aduni / concilio di numi / grande e
solenne / tra il Sagro e il Giovo, / tra la Pania e la Tambura, / e che l’aquila fulva / del Tonante
/ su le sante / sedi apra tutte le penne. / Oh silenzii tirrenii / nel deserto Gombo ! / Solitudine
pura, senz’orme !/ Candore dei marmi lontani, / statua non nata, / la più bella ! / Dormono i Monti
Pisani, / grevi, di cerulo piombo, / su la pianura che dorme. / Altra stirpe di monti. / Non han
numi, non genii, / non aruspici in lor caverne, / non impeti d’ardore / verso i tramonti, / non insania,
non dolore; / ma dormono su la pianura / che dorme. / Oh Alpe di Luni, / davanti alla faccia del Mare
/ la più bella, / rupe che s’infutura, / oh Segno che ° F. RONCORONI, Introduzione a G.
D'ANNUNZIO, Alcyone cit., pp. 50-51. Di questo coté sperimentalistico
dubita fortemente P. V. MENGALDO nel suo
“Un parere sul linguaggio di A/cyone”: “Ma di che sperimentalismo
veramente si tratta ? Di solito nei
grandi sperimentali, tipo Dante, poli-valenza linguistica e compresenza di
registri diversi nascono da una sua
differenziazione dei reali, e la provocano ; il loro linguaggio agonistico e
inventivo — e in questo consiste fra
l’altro la sua acuta provocazione conoscitiva — nel momento stesso che
conserva dinamicamente la traccia scottante
della tensione che l’ha creato, sembra rimandare di continuo ad altro da
sé: alla stratificata e contraddittoria ricchezza della realtà, come morsa e svegliata da un
simile strumento articolato a più sonde di varia profondità, e insieme agli standards vigenti di verbalizzazione del
reale, che esso perfora e trascende in ogni senso. In D’ Annunzio, al
contrario, la continua mobilità
linguistica e formale presuppone il livellamento e l’intercambiabilità, al
limite, la pretestuosità, dei reali. In
lui, e specie in A/cyone, quietata con tutta naturalezza nel perfetto amalgama
retorico della pagina la tensione
sperimentale, la forma raggiunta si gode sempre beata, e ogni nuova fase
di sperimentazione finisce per avere come
referente verbale da superare (o piuttosto arricchire) nient'altro che
il linguaggio stesso dell’autore nel suo via via mutevole assetto: tanta è del resto la fugace
e innocente disinvoltura con cui quel linguaggio demiurgico sa neutralizzare previamente il diverso da sé,
esperienze vicinissime nel tempo non meno delle lontane, annettendoselo e fagocitandolo incessantemente (“Imito
qualunque richiamo [...]”)” (originariamente pubblicato in P. V. MENGALDO, La tradizione del Novecento, Milano,
Feltrinelli, 1975, pp. 181-189 e poi ripreso in D'Annunzio e la poesia di
massa, a cura di N. Merola, Roma-Bari,
Laterza, 1978, p. 221). Di parere diverso (se non opposto) sono, invece, N.
SAPEGNO, ‘D'Annunzio lirico”
(originariamente in L'arte di Gabriele D'Annunzio, a cura di E. Mariano, Atti
del Convegno internazionale di studio,
Venezia — Gardone Riviera — Pescara, 7-13 ottobre 1963, Milano, Mondadori,
1968, pp. 157- 166 e poi ripreso in
D'Annunzio e la poesia di massa cit., pp. 61- 72) e G. LUTI, La cenere dei
sogni. Studi dannunziani, Pisa,
Nistri-Lischi, 1973. ° Scrive
Roncoroni nel suo commento alla lirica in questione: “ [...] il tentativo di
superare il reale e il contingente per
cogliere il senso “sublime” del paesaggio si avvale di simbolismi
convenzionali e scontati, che coinvolgono anche, come è tipico del simbolismo dannunziano,
spunti neoclassici — il ritorno degli antichi dei — e motivi romantici —
“la solitudine pura”, la bellezza delle
opere non realizzate. Tutto il registro stilistico è tenuto sul piano di una
stupefazione che si regge per forza di
nessi esclamativi, anafore e cumuli di apposizioni. L’insieme appare piuttosto
eccessivo e enfatico e la lirica sembra
la versificazione di uno o più concetti cari da sempre a D’ Annunzio e per lui
legati allo spettacolo delle Alpi
Apuane, come dimostrano le frequenti reminiscenze da un testo del 1901, la
prosa Per /a dedicazione dell’antica
Loggia fiorentina del grano al novo culto di Dante. Più in generale,
nell’ambito della ragionata struttura
del Libro, L’Alpe sublime, insieme ai due componimenti che la seguono, IZ Gombo
e Anniversario orfico, dà vita a una
trilogia di carattere mistico-visionario-simbolistico che ha la funzione di
preparare e di introdurre lo scarto
della vicenda alcionia nella direzione mitica ‘ (G. D'ANNUNZIO, A/cyone
cit. , p. 323). 5 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso l’anima cerne,
/ grande anelito terrestro / verso il Maestro / che crea, / materia prometea, /
altitudine insonne, / alata, / Inno
senza favella, / carne delle statue chiare, / gloria dei templi immuni, /
forza delle colonne / alzata, / sostanza
delle forme eterne !»”. Come si può
vedere, il Sublime più che evocato è descritto. Non è nella soggettività che
esso risiede, ma nell’oggetto in cui
esso viene ritrovato e in cui alberga.
La sublimità più che dalle situazioni (come avviene di consueto nella
tradizione longiniana) è legata qui allo
spettacolo della Natura e della sua bellezza comparata a quella dell’ Arte. Le
Alpi sono sublimi per definizione (in
una tradizione di analisi estetica che va da Addison a Shelley a von Haller) e ad esse si rivolge la ricostruzione
della bellezza dei luoghi dove il creatore umano solo può operare convenientemente. Comunque, non
solo le montagne che si ergono alte sull’orizzonte a formare una catena invincibile fatta del
biancore del marmo e della potenza della pietra resa eterna dal tempo e dalla sua forza stessa di
coesione ma anche le spiagge deserte e assolate, senza alcuna impronta di piede umano (in questo caso, il
Gombo di Marina di Pisa’ che ritornerà nella lirica successiva) sono, per D’ Annunzio, i luoghi
del Sublime. In essi trova di diritto il proprio posto l’opera del creatore d’arte che non ha ancora
realizzato il suo destino d’artista (“l’opera non nata”) e che per questo sa come quest’ultima sia forse
la sua opera più bella. Il Sublime qui
è, dunque, nei posti stessi, nello spiritus loci che li volle propizi e
accoglienti per la realizzazione in
fieri della Bellezza. La stessa
situazione sarà all’opera nel testo successivo (/7/ Gombo appunto) ma con esiti
meno scontati. Prima di tutto il luogo
stesso: è la spiaggia che ha accolto il corpo senza vita di Percy Bysshe Shelley annegato in quel tratto di
mare 1°8 luglio del 1822. Inoltre in esso la bellezza naturale del posto diventa l’occasione per la
sua rappresentazione in chiave di estetica concettuale! «Tutto è quivi alto e puro / e funebre come
le plaghe / ove duran nel Tempo / 1 grandi castighi che inflisse / il rigor degli iddii / agli uomini
obliosi del sacro / limite imposto all’ansia / del lor desiderio immortale. // Tre disse quivi
immense / parole il Mistero del Mondo, / pel Mare pel Lito per l’Alpe, / visibile enigma divino / che
inebria di spavento / e d’estasi l’anima umana / cui travagliano il peso / del corpo e lo sforzo
dell’ale. // Poi che non val la possa / della Vita a comprendere tanta / bellezza, ecco la Morte /
che braccia più vaste possiede / e silenzii più intenti / e rapidità più sicura; / ecco la Morte, e 1’
Arte / che è la sua sorella eternale: // quella che anco rapisce / la Vita e la toglie per sempre /
all’inganno del Tempo / e nuda l’inalza tra l'Ombra / e la Luce, e le dona / col ritmo il novello
respiro : / ecco la Morte e l’Arte / apparsemi nel cerchio fatale».
Il mare, il monte, la spiaggia: tre luoghi solitari e irti, difficili da
abitare e plasmati solo dalla Natura
senza bisogno dell’ausilio della mano dell’uomo. Qui la Morte e l’opera
d’arte possono compiere la loro opera
perché in essi il rapporto tra creazione e realizzazione si fa diretto e
stabile. Qui l’anima (fe- D'ANNUNZIO,
”L’ Alpe sublime”, in A/cyone cit. , p. 323-326. È Per una visione d’insieme di questa linea
di lettura estetica della natura e delle sensazioni umane ad essa
collegate, cfr. M. M. ROSSI, L'estetica
dell’empirismo inglese, 2 volumi, Firenze, Sansoni, 1944. Lo scienziato
svizzero Albrecht von Haller, uno dei
padri della iatromeccanica in medicina, fu autore nel 1729 di un celebrato
poema dedicato alla descrizione in versi
delle Alpi. ° Più esattamente il Gombo
è il tratto di litorale toscano antistante la pineta di San rossore, tra la
foce dell’ Arno e quella del Serchio. E’
(era, in realtà) una striscia di spiaggia non antropizzata dove il tempo poteva
dare l'impressione di essersi
fermato. ‘© Lo rivela un appunto dell’
8 luglio 1902: “Rivedo il Gombo.La stessa bellezza sublime, ottenuta con tre
parole: il mare, la montagna, la riva
nuda” (G. D'ANNUNZIO, A/cyone cit. , p. 329).
!! G. D'ANNUNZIO, “Il Gombo”, in Alcyone cit., pp. 331-332. 6
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso umana” si incontra e si scontra con
l’”’enigma divino” che induce il tormento e l’angoscia, il timore e il tremore della sacralità vigente e mai
interrotta dal ritmo scandente dell’umano, l’estasi e la jouissance della creatività che trova il
proprio limite solo nella Morte come fato ineluttabile di chi vive per realizzare nella propria vita
d’artista il destino tormentato e felice al tempo stesso di chi vive e crea oltre l’umano sentire e
patire. Lo stesso tema legato al canto
del Sublime sarà al centro di Anniversario orfico (il più bello dei tre testi poetici affidati alla rievocazione
dell’aspra e asciutta bellezza del Gombo e del destino ferale e stupendo dell’amato poeta-fratello Percy
Shelley): «Oggi è il suo giorno. Il
naufrago risale, / che venne a noi dagli Angli fuggitivo, / colui che amava Antigone immortale / e il nostro ulivo”. //
Dissi: “O veggente, che faremo noi / per celebrar l’approdo spaventoso ? / Invocheremo il coro
degli Eroi ? / Tremo, non so. // Queso naufrago ha forse gli occhi aperti / e negli occhi
l’imagine d’un mondo / ineffabile. Ei vide negli incerti / gorghi profondo. // E tolto avea Prometeo dal rostro
/ del vulture, nel sen della Cagione / svegliato avea l'originario mostro / Demogorgone !”. //
Disse ella!?: “Gli versavan le melodi /i Venti dai lor carri di cristallo, / il silenzio gli Spiriti
custodi / bui del metallo, // il miel solare nella bocca schiusa / le musiche api che nudrito aveano / Sofocle, il
gelo gli occhi d’ Aretusa / fiore d’Oceano”. // Dissi: “ Ei ghermì la nuvola negli atrii / di Giove, su
l’acroceraunio giogo / la folgore. Non odi i boschi patrii / offrirgli 11 rogo ? //. Mira funebre letto
che s’appresta / estrutto rogo senza la bipenne ! / Vengono i rami e i tronchi alla congesta / ara solenne.
// E caduto dal ciel l’arde il divino / fuoco. Scrosciano e colano le gomme. / Spazia l’odor del limite
marino / all’ Alpi somme”»!.
L’ammirazione dannunziana per Shelley è ben nota!” Ma in questi versi
l’ambizione di D’Annunzio non è tanto
quella di scrivere un elogio funebre del poeta inglese scomparso prematuramente nel 1822 quanto di mostrarne
il destino sotto la veste formale di un’elegia funebre che attinga alla solennità e all’altezza del
Sublime. Dove però — si badi bene — l’elemento alto e !° Si tratta qui della compagna del poeta che,
divenuta quasi una sorta di indovina classica nella finzione dannunziana, aveva profetizzato l'emergere rituale del
corpo annegato di Shelley nell’anniversario della sua morte. !3 G. D'ANNUNZIO, “Anniversario orfico”, in
A/cyone cit., pp. 340-344. !4 Scrive
Roncoroni nel suo commento a questa poesia : “Cultore di Shelley fin dai primi
anni del soggiorno romano, graze agli
stimoli dell’amico Adolfo de Bosis, D’ Annunzio ha, di fatto, sempre avuto un
largo commercio intellettuale con i suoi
versi. I vedano, per esempio, le traduzioni delle liriche A Summer Evening
Churchyard, To William Shelley, Death e
To Night che propone in un articolo a firma “Il duca Minimo” pubblicato su “La
tribuna” di Roma del 3 agosto 1887 sotto
il titolo Ne/ cimitero inglese. Si vedano, l’anno successivo, le pagine del
Piacere in cui, descrivendo la visita di
Andrea Sperelli e di Maria Ferres al Cimitero inglese, riprende quasi
letteralmente interi brani dell’articolo e in cui ripropone anche le traduzioni di Death e To
Night. Si vedano i versi dell’ Epipsychidion posti a epigrafe di Viviana,
la futura Due Beatrici, II de La
Chimera, in occasione della sua apparizione sul “Fanfulla della Domenica” del
25 luglio 1886, nonché i versi di The
Cloud parafrasati nell’elegia Elevazione. Si veda la Commemorazione di Percy
Bysshe Shelley, apparsa dapprima sul
“Mattino” di Napoli del 4-5 agosto 1892, passata poi nelle Prose scelte [...]
alcuni passi della quale saranno ripresi
nell’ode. E si veda, infine, la descrizione della morte di Shelley e del suo
rogo funebre quali sono immaginati da
Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte : “Un calore lirico”, vi si legge,
“dilatava il suo pensiero. La fine di
Percy Shelley, già più volte invidiata e sognata sotto l’ombra e il fremito
della vela, gli riapparve in un immenso
baleno di poesia. Quel destino aveva una grandiosità e una tristezza sovrumana.
‘“La sua morte è misteriosa e solenne
come quella degli antichissimi eroi ellenici che d’improvviso una virtù
invisibile sollevava dalla terra
assumendoli trasfigurati nella sfera gioviale. Come nel canto di Ariele,
nulla di lui è svanito, ma il mare l’ha trasfigurato in qualche cosa di ricco e strano. Il suo
corpo giovanile arde sopra un rogo, a piè dell’ Appennino, al cospetto del Tirreno solitario, sotto l’arco ceruleo del
cielo. Arde con gli aromi, con l’incenso, con l’olio, col vino, col sale.
Le fiamme si levano fragorose in un’aria
senza mutamento, vibrano canore verso il sole testimonio che fa scintillare
i marmi dei culmini montani. Una rondine
marina cinge dei suoi voli il rogo, finché il corpo non è consunto. E, poi che
il corpo incenerito si disgrega, appare
nudo e intatto il cuore: - COR CORDIUM” — Anch’egli, come il poeta dell’ Epipsychidion, in un’esistenza anteriore non
aveva forse amato Antigone ? “(in G. D'ANNUNZIO, A/cyone cit. , pp 336-337).
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso longiniano del ‘forte sentire” della
scrittura non è disgiunto anzi è fortemente rappreso alla dimensione orrorosa dell’ “approdo
spaventoso”. La morte è solo l’altra faccia della poesia, la cassa di risonanza dell’orrore della definitiva
scomparsa. L’evocazione del rogo delle
povere spoglie di Shelley!” fatto officiare da Byron il 16 agosto 1822 secondo l’antichissimo rito già descritto da
Omero nell’ Iliade è solo l’occasione per celebrare la caducità della Vita e la capacità mai
esaurita della poesia di rinnovarla a partire dalla sua conoscenza autentica ritrovata proprio nel
confronto con la Morte (la Demogorgone"° risvegliata dal poeta in un suo celebre testo drammatico,
Prometheus Unbound). Il mare in
tempesta, l’orrore provocato dalla possibile emergenza del “capo mozzo” di
Orfeo (il simbolo eterno della poesia
quale forma inesausta del canto), la rievocazione della “morte per acqua” di Shelley, la consapevolezza che nel
suo destino è confitta la necessaria conoscenza di ciò che veramente conta nell’esistenza umana (‘il
mondo ineffabile’) sono tutte tracce di una ricerca della dimensione sublime della
rappresentazione poetica per immagini.
La morte del poeta inglese tanto amato da D’ Annunzio si rastrema
all’interno di un sistema mitico di
rappresentazioni della potenza della poesia — lo slittamento del personaggio
evocato da quello di Orfeo (la cui testa
mozza e la lira avrebbero solcato, giusta la narrazione di Ovidio, il mare fino
ad approdare all’isola di Lesbo) a
quello di Shelley!” segnano il passaggio di testimone da antico a moderno fino a giungere alla penna del loro
cantore che li accomunerà nella sua stessa persona. La scansione del Sublime, quindi, in questo
testo raffigurato come evento numinoso del tremendo emergere della Morte, si ricompone
nell’armonia del canto e dell’evocazione lirica blandendo l’orrore della morte e ricomponendo il tutto
nella potenza delle immagini sognate.
Come ha scritto Ezio Raimondi in una sua ricostruzione generale del
rapporto tra D° Annunzio e il simbolismo
europeo (trascinandosi dietro anche la catastrofe mitteleuropea della Grande
Vienna impersonata da Hugo von
Hofmannsthal in qualità di corifeo poi “pentito” del poeta pescarese!5): «La ferita, l’orrore del reale resta ai
margini della parola come una negazione da travestire nell’artificio, nella maschera della vitalità
alienata. L’ordine dei segni non può entrare in crisi perché nel vuoto di senso dell’universo, nel
cattivo infinito dell’arabesco, sopravvive l'illusione della bellezza e la mistica del significante,
il “mistero della scrittura e del segno scritto” che i 1
rimanda a se stesso»!?. !5 Il
corpo mutilato di Shelley era comunque già stato sepolto sulla spiaggia dove
era riaffiorato dopo la “morte per
acqua” del mese precedente. !©
Sul mito di Gorgone prima e di Medusa poi è di grande efficacia ermeneutica il
saggio di J. — P. VERNANT, La morte
negli occhi. Figure dell’Altro nell’antica Grecia, trad. it. di C. Saletti,
Bologna, Il Mulino, 1987. Del dramma
lirico di Shelley esiste una traduzione canonica in prosa ad opera di
Cesare Pavese (P. B. SHELLEY, Prometeo slegato,
a cura di M. Pietralunga, Torino, Einaudi, 1997). !” Sul mito d Shelley in vita e in morte è
ancora fondamentale il saggio di H. BLOOM, “The Unpastured Sea: An Introduction to Shelley” del 1969 che si può
leggere in Romanticism and Consciousness : Essays în Criticism da lui edito, New York, W. W. Norton & Co. ,
1970. 18 “Non a caso sarà lo stesso
Hofmannsthal, dopo essersi vestito della tunica dell’inflessibile Maestro di
etica — tentando così quell’impossibile
riconciliazione tra ‘arte’ e “vita” che perseguirà ostinatamente lungo tutta la
sua opera — a smascherare D'Annunzio: a
sua volta teso ad occultare, mediante lo sfrenato vitalismo dei “tanti”
proclami superomistici, come attraverso
la celebrazione delle potenzialità divinatorie della parola, l’agghiacciante
selva di larve, l’inestricabile
groviglio di “feroglifici” che si sono impadroniti della sua scrittura : da Le
vergini delle rocce e Il fuoco fino ad
ogni verso di A/cvone'* (A. MAZZARELLA, I! piacere e la morte. Sul primo
D'Annunzio, Napoli, Liguori, 1983, p.
118. 19 E. RAIMONDI, “Il D’ Annunzio e
il simbolismo”, in D'Annunzio e il simbolismo europeo, a cura di E. Mariano,
Atti del Convegno di studio di Gardone
Riviera, 14-16 settembre 1973, Milano, Il Saggiatore, 1976, p. 63. 8
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso Allo stesso modo in La pioggia nel pineto,
uno dei testi lirici più famosi dell’ A/cyone (e di tutto D'Annunzio, peraltro), il Sublime si insinua
non tanto nel patetismo ritmato dei versi d’amori e di condivisione tra Ermione e il poeta quanto
nei silenzi e negli scarti che enunciano la naturalità dell’immagine evocata. Se il rapporto tra i
due esseri umani (e il simbolo del loro amore — la passeggiata nel bosco come esplorazione del
mondo ancora aurorale, edenico, della loro passione) è solcato dal segno del descrittivismo
psicologistico più definito, sono le pause del loro dialogare ad essere scandite dall’emergere di un silenzio ben
più significativo delle parole pronunciate in
quell’occasione. In questo caso, infatti, le parole sono scavalcate da
un silenzioso corteo di immagini che
prorompono e si mostrano come registro del reale nella loro assolutezza di manifestazioni non eludibili di esse.
L'ascolto del mondo si rovescia nella sua esibizione, nella sua inesprimibile ineliminabilità, nella sua
ineffabile proposta di immanenza non eludibile: «Odi? La pioggia cade / su la solitaria /
verdura / con un crepitio che dura / e varia nell’aria / secondo le fronde / più rade, men rade. /
Ascolta. Risponde / al pianto il canto / delle cicale / che il pianto australe / non impaura, / né il ciel
cinerino. / E il pino / ha un suono, e il mirto / altro suono, e il ginepro / altro ancora, stromenti /
diversi / sotto innumerevoli dita. / E immersi / noi siam nello spirto / silvestre, / d’arborea vita viventi:
/ e il tuo volto ebro / è molle di pioggia / come una foglia, / e le tue chiome auliscono come / le chiare
ginestre, / o creatura terrestre / che hai nome / Ermione. II Ascolta, ascolta. L’accordo / delle aeree
cicale / a poco a poco / più sordo / si fa sotto il, pianto / che cresce ; / ma un canto vi si mesce / più
roco / che di laggiù sale, / dall’umida ombra remota. / Più sordo e più fioco / s’allenta, si spegne.
/ Sola una nota / ancor trema, si spegne / risorge, trema, si spegne. / Non s’ode voce del mare. / Or
s’ode su tutta la fronda / crosciare / l’argentea pioggia / che monda, / il croscio che varia / secondo
la fronda / più folta, men folta. / Ascolta. / La figlia dell’aria / è muta ; ma la figlia del limo
lontana / la rana, / canta nell’ombra più fonda, / chi sa dove, chi sa dove ! / E piove su le tue ciglia, /
Ermione». La pioggia mescola insieme
natura e soggettività umana in una sintesi armoniosa in cui più che il sottile rumore dell’acqua che cade vale
maggiormente il silenzio che crea attraverso il suo suono soffuso e latente. Il silenzio creato dallo
scrosciare della pioggia è più forte e più avvolgente della pura mancanza di suoni. Questo forma di
silenziosità naturale produce la necessità dell’ascolto della realtà. Attraverso di esso, la ricerca di
senso delle parole si infrange contro la barriera di non- senso”! prodotta dalle immagini che le
costituiscono. In La pioggia nel
pineto, le immagini che parlano (il pino, il mirto, la rana ecc.) si impongono
sulle parole del poeta che declama
perché sono in grado di rappresentare il senso della loro potenza espressiva e della loro forza evocativa molto
di più di quanto la scansione delle parole possa permettersi. La ricerca di senso contenuta in
A/cyone, quindi, in misura assai maggiore di quanto accada in Maia o in Merope, è fondata sulle
immagini che accompagnano l’avventura alcionia
dell’estate avventurosa della poesia dannunziana?”. 2° G. D'ANNUNZIO, “La pioggia nel pineto”,
in A/cyone cit., pp. 254-257. 2! Il
silenzio come non-senso contro il quale il senso non può che impedirsi di
sostare in attesa di rendere dicibile
l’indicibile è opinione difesa da Bataille (e contro la quale Sartre si
è battuto invano nella sua polemica contro la
“nuova” teologia batailliana). Su questi temi, rimando al libro di
sintesi di P. VALESIO, Ascoltare il silenzio. La retorica come teoria, trad. it. di A. Pelli,
Bologna, Il Mulino, 1986, in particolare pp. 295-448). Valesio significativamente cita il D’ Annunzio de
// Fuoco e delle sue epifanie del silenzio.
2 Come scrive proficuamente N. LORENZINI : “Il percorso dal Fuoco a
Alcyone permette, invece, di protrarre e
approfondire la traccia di una nuova sensibilità visiva, uditiva,
tattile, resa possibile dall’illimpidirsi della parola che ancora una volta è concesso misurare sulla
metamorfosi semantica del nostro verbum sentiendi. Il Paratore, accennando in un passo degli Studi dannunziani, al
‘magico intreccio di notazioni” (Napoli, Morano, 1966, p. 35, al capitolo intitolato ‘“Antecedenti ovidiani del
linguaggio di “A/cyone”) del terzo libro delle Laudi, poneva giustamente
l’accento sulla costante espressiva di
un rappresentare in cui “la sensibilità tradizionale si macera e si dissolve,
sprigionando per 9 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso Il mondo
appare come un’immane registro di forme e di realtà legate alla forza
dell’immaginazione — in esse non c’è più
possibilità di gioco per le parole comuni piene del significato che ad esse
viene tradizionalmente attribuito dal
linguaggio della Koinè e che esse si limitano soltanto a comunicare. Nella poesia di D’ Annunzio, le parole si
affacciano prepotentemente sulla scena della lirica sotto veste di immagini ricche di senso dove, però,
la comunicazione non è l’obiettivo da raggiungere. E’ molto più importante per esse evocare la
dimensione altra della realtà della poesia come
Assoluto significante e risuonare nello spazio sublime del silenzio dove
la realtà si rapprende e il mondo si
ferma ad ascoltare ciò che non potrebbe udire in altro modo”?. 2. Il desiderio e l’arte come forme del
Sublime: La Gioconda I temi poi
espressi e rilevati nella spesso perfetta campitura di A/cyone si ritrovano, in
toni certo più turgidi e sovente solo
ammiccanti ed allusivi, in un testo drammatico messo in scena poco prima dell’emergenza lirica della poesia delle
Laudî (come si è avuto l’opportunità di dire prima). Si tratta di La Gioconda, scritta nel 1898
alla Capponcina di Settignano in Firenze e rappresentata nel 1899, con esito incerto e accoglienza
tiepida del pubblico in quello stesso periodo ad opera della Compagnia Zucconi-Duse costituita per
l’occasione (insieme a La Gioconda era stata prevista la messa in scena anche di La Gloria che però
cadde miseramente a Napoli e non fu più reinserita nel cartellone). Entrambe le opere drammatiche
erano state scritte, peraltro, per la Duse e legate alla sua interpretazione (lo stesso era accaduto per
le altre opere di teatro scritte da D’ Annunzio nel periodo 1892-1899: La Città morta, Il Sogno di un
mattino di primavera e Il Sogno di un tramonto
d’autunno, tutte pièces poi riproposte con molta difficoltà in seguito
da altre attrici). In questo testo
teatrale a metà tra la tragedia e la commedia borghese basata su un ménage à
trois compaiono quali protagonisti sullo
stesso piano tre personaggi: lo scultore Lucio settala (che adombrerebbe lo stesso D°Annunzio), sua
moglie Silvia (raffigurazione coniugale di Maria Gravina, la precedente compagna del poeta al
quale darà due figli) e Gioconda Danti (possibile maschera artistica di Eleonora Duse). Ma, ovviamente, non è questo il nodo più
significativo intorno al quale far ruotare una possibile interpretazione dell’opera (tutt'al più lo
sarà in chiave puramente storico-aneddotico, non estetica). Lucio Settala lo scultore tenta di
rappresentare il Sublime nella sua creazione fatta di marmo ma per realizzarla ha bisogno di una modella in
carne e ossa. La sua attività di artista è stata finora bloccata dai dissidi esistenti nella sua vita privata
ma è stata finora resa possibile e in certo modo salvata dall’abnegazione di sua moglie Silvia (che da
ragazza, non a caso, si chiamava Doni e ha acquisito con il suo nuovo cognome una capacità di volo
ascendente prima sconosciuto‘).
compenso nuovi solleticanti, suasivi processi di penetrazione e
interpretazione della realtà”. E di “esperienza
gnoseologica”, più che di ‘vicenda psicologica”, parla anche il
Gibellini (“La storia di A/cyone” in ‘Quaderni del Vittoriale”, 5-6. 1977, pp. 68 e 92)
analizzando la Storia di “Alcyone”, la sua vicenda “diegetica e narratologica”,
a contatto di una “natura fatta viva” “
(77 segno del corpo. Saggio su d'Annunzio, Roma, Bulzoni, 1984, p. 116. °° Ricavo questa proposta critica da un
passo contenuto nel saggio dannunziano di Natalino Sapegno precedentemente cit: : “Perché, come quel mondo poetico nasce
sul fondamento di una pressoché totale dissoluzione dei contenuti ideologici e affettivi, per raccogliere ed
esaltare la superstite primordiale urgenza delle impressioni, degli umori,
dei trasalimenti avvertiti nella loro
vitalità istantanea e fuggevole, ma con un’intensità rara di adesione
carnale, analogamente il suo linguaggio
si elabora attraverso una rottura con tutta la tradizione, che egli non ignora,
bensì la padroneggia in quanto
repertorio inesauribile di vocaboli e di forme estrinseche, ma alla quale
rimane sostanzialmente estraneo, perché
non la sviscera nella sua storicità, nel suo organico sviluppo, nella sua
problematica intrinseca. A questo punto
ci soccorrono le dichiarazioni stesse dello scrittore, e fra le tante basterà
riferirne una sola che togliamo da un
appunto che è tra le carte del Vittoriale: “Dov’è la poesia nella letteratura
d’Italia ? Nei primitivi, in certe notazioni
in margine della carte notarili — ma Ariosto, Tasso, tutto il resto ! E
Manzoni ? E Leopardi ? La poesia italiana comincia con 200 versi di Dante e — dopo un lungo
intervallo — continua in me”. Dove non tanto mette conto di rilevare ora
il tratto di paradossale orgoglio,
quanto quell’affermazione appunto di totale distacco dal passato, di assoluta
indifferenza a un’eredità che non sia di
pure forme, anzi di astratto vocabolario: la coscienza di procedere in un
terreno vergine, tutto sperimentale,
senza radici” (N. SAPEGNO, D’ Annunzio lirico” in D'Annunzio e la poesia di
massa cit., p. 65). 24 Settala = sette
ali, come è tipico dell’ottica onomastica cara a D’ Annunzio... 10
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso Il luogo in cui avviene il recupero
all’arte di Lucio, inoltre, dopo il suo tentativo quasi riuscito di suicidio, è quanto di più propizio ad esso si
possa pensare: Non solo l’azione avviene tra Firenze e la “marina di Pisa”, nel tempo nostro, ma la
scena stessa appare quanto di più armonioso si possa pensare:
«Una stanza quadrata e calma, ove la disposizione di tutte le cose rivela
la ricerca di un’armonia singolare,
indica il segreto di una rispondenza profonda tra le linee visibili e la
qualità dell’anima abitatrice che le
scelse e le ama. Tutto intorno sembra ordinato dalle mani di una Grazia
pensierosa. L’imagine di una vita dolce
e raccolta si genera dall’aspetto del luogo. Due grandi finestre sono aperte sul giardino sottostante; pel vano di
una si scorge sul campo sereno del cielo il poggio di San Miniato, e la sua chiara basilica, e il
Convento, e la chiesa del Cronaca, “la Bella Villanella”, il più puro vaso della semplicità francescana. Una
porta mette nell’appartamento interno; un’altra
conduce all’uscita. E° il pomeriggio. Per entrambe le finestre entrano
il lume, il fiato e la melodia di
aprile». Il luogo sembra essere
l’ideale per riprendere a creare e per dimenticare il passato?°. Eppure
per Settala non è facile ritornare a
vivere senza attingere alla fonte stessa della Bellezza che egli identifica nella sua modella Gioconda Dianti. Nonostante la riconoscenza che egli deve a
sua moglie (che si è preso cura di lui nel periodo in cui era stato tra la vita e la morte), Lucio è
ancora, e come sempre attirato dal fantasma della Bellezza raffigurato dal corpo-feticcio della sua
modella-amante. Nello scontro tra queste due necessità vitali (l’amore devoto e la riconoscenza per la moglie
e la passione travolgente per la Bellezza) si insinua la possibilità del Sublime. Il suo culto
superomistico per se stesso consiste, in realtà, in questo. La sua ambizione di cogliere il Sublime
nell’arte non è altro che la volontà conclamata di andare oltre la “misura” domestica della morale
comune per raggiungere la dis-misura della passione travolgente che si incarna nell’’’eterno
piacere” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra) della creazione «LUCIO SETTALA (abbassando la voce). Il
gioco dell’illusione mi ha congiunto a una creatura che non m’era destinata. Ella è un’anima d’un
pregio inestimabile, dinanzi a cui mi prostro e adoro. Ma io non scolpisco le anime. Ella non m’era
destinata. Quando mi apparve l’altra, io pensai a tutti i blocchi di marmo contenuti nelle cave delle
montagne lontane, per la volontà di fermare in ciascuno un suo gesto. COSIMO DALBO. Ma tu hai già obbedito al
comandamento della Natura, generando il capolavoro. Quando vidi la tua statua, pensai ch’ella ti
fosse liberatrice. Tu hai perpetuato in tipo ideale e incorruttibile un esemplare caduco della
specie. Non sei dunque pago? 2 G. D’
ANNUNZIO, La Gioconda, a cura di I. Caliaro, Milano, Mondadori, 1990, p.
39. 26 “La simbolica convalescenza di
Lucio Settala fa scattare il circuito di morte e rinascita, i cui preamboli
sono confinati nell’antefatto. In una sera
d’inverno lo scultore, conteso tra l’amore per la moglie e l’amore per una
modella, ha tentato di togliersi la vita
con un colpo di pistola. Poiché l’episodio è avvenuto nello studio
dell’artista, questa spazialità intrisa
di sangue, immersa nell’ombra invernale, è subito connotata come una
topografia infetta. Trasportato nel /ocus
amoenus, l’uomo si salva grazie alle doti sacrificali di Silvia Settala.
Custode della sacra soglia, la donna angelicata non solo impedisce il “passaggio alla morte” ma
consente al marito una graduale purificazione dell’anima avvelenata. Nel primo atto della Gioconda, Lucio Settala, che
“parla in una maniera singolare, come trasognando, con un misto di agitazione e di stupore”, appare alla lettera
un altro. Come l’Aligi della Figlia di Iorio, a cui il sogno profetico
dona metaforicamente le ali facendogli
smarrire il ricordo dell’origine terragna, lo scultore vive in uno stato
d’oblio, quasi l’antica lebbra si fosse
dissolta. E’ il modo con cui D'Annunzio segna l’irruzione della metànoia, il
passaggio da una condizione di morte
spirituale al tempo della luce, un tempo che qui balugina in maniera ancora
faticosa e imperfetta” (U. ARTIOLI, //
combattimento invisibile. D'Annunzio tra romanzo e teatro, Roma-Bari, Laterza,
1995, p. 139). 11 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso LUCIO SETTALA
(accendendosi).Mille statue, non una! Ella è sempre diversa, come una nuvola che ti appare mutata d’attimo in attimo senza
che tu la veda mutare. Ogni moto del suo corpo
distrugge un’armonia e ne crea un’altra più bella. Tu la preghi che si
arresti, che rimanga immobile; e a
traverso tutta la sua immobilità passa un torrente di forze oscure come i
pensieri passano negli occhi. Comprendi
? Comprendi ? La vita degli occhi è lo sguardo, questa cosa indicibile,
più espressiva d’ogni parola, d’ogni
suono, infinitamente profonda e pure istantanea come il baleno, più rapida ancora del baleno, innumerevole,
onnipossente: insomma /o sguardo. Ora imagina diffusa su tutto il corpo di lei la vita dello sguardo.
Comprendi ? Un battito di palpebre ti trasfigura un viso umano e ti esprime una immensità di gioia o
di dolore. Le ciglia della creatura che ami si
abbassano: l’ombra ti cerchia come un fiume un'isola ; si sollevano ;
l’incendio dell’estate brucia il mondo.
Un battito ancora : la tua anima si dissolve come una goccia ; ancora : tu ti
credi il re dell’ Universo. Imagina
questo mistero su tutto il suo corpo ! Imagina per tutte le sue membra, dalla fronte al tallone, questo apparire di vite
fulminee! Potrai tu scolpire lo sguardo ? Gli Antichi accecarono le statue. Ora — imagina — tutto il
corpo di lei è come lo sguardo. Una pausa. Egli si guarda intorno sospettoso, per tema d’essere
udito. Si accosta anche di più all'amico, che lo ascolta con una emozione crescente. Te l’ho
detto : mille statue, non una. La sua bellezza vive in tutti i marmi. Questo sentii, con un’ansietà
fatta di rammarico e di fervore, un giorno a Carrara, mentre ella m’era accanto e guardavamo
discendere dall’alpe quei grandi buoi aggiogati che trascinano giù le carra dei marmi. Un aspetto
della sua perfezione era chiuso per me in ciascuno dei quei massi informi. Mi pareva che si
partissero da lei verso il minerale bruto mille faville animatrici come da una torcia scossa. Dovevamo scegliere
un blocco. Ricordo : era una giornata serena. I
marmi deposti risplendevano al sole come le nevi eterne. Udivamo di
tratto in tratto il rombo delle mine che
squarciavano le viscere alla montagna taciturna. Non dimenticherei quell’ora,
anche se morissi un’altra volta... Ella
si mise per mezzo a quell’adunazione di cubi bianchi, soffermandosi dinanzi a ciascuno. Si chinava, osservava
attentamente la grana, sembrava esplorarne le vene interiori, esitava, sorrideva, passava oltre.
Ai miei occhi la sua veste non la copriva. Una specie di affinità divina era tra la sua carne e il
marmo che chinandosi ella sfiorava con l’alito.
Un’aspirazione confusa pareva salire verso di lei da quella bianchezza
inerte. Il vento, il sole, la
grandiosità dei monti, le lunghe file dei buoi aggiogati, e la curva
antica dei gioghi, e lo stridore dei
carri, e la nuvola che saliva dal Tirreno, e il volo altissimo di
un’aquila, tutte le apparenze esaltavano
il mio spirito in una poesia senza confini, lo inebriavano d’un sogno che non
ebbe mai l’eguale in me... Ah, Cosimo,
Cosimo, io ho osato gettare una vita su cui riluce la gloria d’un tal ricordo ! Quando ella tese la mano sul marmo
che aveva scelto e volgendosi mi disse : “Questo”, tutta l’alpe dalle radici alle cime aspirò
alla bellezza. Un fervore straordinario riscalda la sua voce e avviva il suo gesto. Colui che lo ascolta
ne è sedotto, e ne dà segno. Ah, ora tu comprendi ! Tu non mi chiederai più se io sia pago. Ora tu
sai come debba essere furiosa la mia impazienza se penso che in questo momento ella è là, sola,
a piè della Sfinge, che mi aspetta. Pensa : la sua statua è alzata sopra di lei, immobile, immutabile,
immune d’ogni miseria ; ed ella è là affannata, e la sua vita fluisce, e qualche cosa di lei perisce
di continuo nel tempo. L’indugio è la morte.. > Il corpo di Gioconda è, dunque, già pronto
ad essere scolpito nei massi di marmo di Carrara che lo scultore trasformerà, michelangiolescamente
“per via di levare”, in altrettanti frammenti di Bellezza, in segni assoluti del Sublime. 27 G. D’ ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp.
81-83. Il personaggio di Lucio Settala è stato quasi sempre messo in relazione (e comparato dalla critica) con
quello dello scultore Démétrios che è il protagonista del romanzo
Aphrodite. Moeurs antiques del 1896 di
Pierre Loujs. Ma se il protagonista di quest’ultimo romanzo scolpisce
furiosamente e fervidamente soltanto il
cadavere freddo e immobile della sua modella Chrysis, Ludovico ha bisogno di
poter vedere e toccare il corpo vivo e
pulsante della sua modella. Semmai Settala può essere considerato l’antesignano
dell’ Arnold Rubek di Quando noi morti
ci destiamo di Henrik Ibsen (un’ opera teatrale anch’essa prodotta nel 1899) o
del Tono Giuncano di Diana e la Tuda
(1927) di Luigi Pirandello, testi entrambi debitori a D’ Annunzio per
l’insistenza quasi ossessiva sul nesso
Arte-Vita (anche se in tutti e due la Vita, a differenza di quanto accade
nell’opera di d’ Annunzio, prevarrà
tragicamente sull’ Arte e i suoi disegni di eternità). 12
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di critica letteraria a cura di Francesco Sasso Un'altra statua, infatti, era già stata
iniziata prima del tentativo di suicidio. Lucio vorrebbe continuare a lavorarci utilizzando ancora
come modella la donna che già ha trasposto nella pietra marmorea. Quando la moglie Silvia verrà a
sapere questo e saprà altresì che il marito ha intenzione di continuare a frequentare la sua
modella-amante, si recherà di persona nello studio di Settala per affrontare la rivale (un tentativo precedente
messo in atto dall’amico comune Lorenzo Gaddi era andato a vuoto). La difesa di Gioconda sarà
dura e serrata in nome dei diritti della passione e dell’ispirazione che solo lei è stata ed è
ancora in grado di infondere nello spirito creatore dell’amante: «GIOCONDA DIANTI. E voi mi accusate
d’avergli inflitto un tormento infame, d’essere stata il suo carnefice ! Ah, /e vostre mani soltanto, le
vostre mani di bontà e di perdono**, gli preparavano ogni sera un letto di spine ove egli non volle più
distendersi. Ma, quando egli entrava qui dove io l’attendeva come si attende il dio che crea,
era trasfigurato. Egli ritrovava dinanzi alla sua opera la forza, la gioia, la fede. Sì, una febbre
continua gli ardeva il sangue, tenuta accesa da me (e questo è tutto il mio orgoglio) ; ma al fuoco di
quella febbre egli ha foggiato un capolavoro. Indica col gesto la sua statua che la cortina nasconde. SILVIA SETTALA. Non è il primo; non sarà
l’ultimo. GIOCONDA DIANTI. Certo, non
sarà l’ultimo ; poiché un altro è pronto a balzare dal suo viluppo di creta, un altro ha palpitato già sotto il
suo pollice animatore, un altro è là semivivo, e attende d’attimo in attimo che il miracolo dell’arte
lo tragga intero alla luce. Ah voi non potete
comprendere questa impazienza della materia a cui fu promesso il dono
della vita perfetta ! Silvia Settala
si volge verso la cortina; fa qualche passo, lentamente, con l’apparenza d’un
atto involontario, quasi che obbedisca a
un’attrazione misteriosa. E° là ; la
creta è là. Quel primo spiracolo ch’egli vi aveva infuso, io l’ho conservato di
giorno in giorno come si bagna il solco
dov'è il seme profondo. Non l’ho lasciato perire. L’impronta è là, intatta. L'ultimo tocco, che vi pose la sua
mano febrile nell’ultima ora, è là visibile, energico e fresco come di ieri, tanto potente che la mia
speranza in mezzo alla frenesia del dolore vi si affisò come a un suggello di vita e ne prese
forza. Silvia Settala s’arresta
dinanzi alla cortina, come la prima volta ; e vi rimane immobile e muta. Si, è vero, voi eravate intanto al
capezzale del moribondo, protesa in una lotta senza tregua per strapparlo alla morte ; e per questo foste
invidiata, e per questo siate lodata in eterno. Voi avevate la lotta, l’agitazione, lo sforzo : avevate da
compiere qualche cosa che vi pareva sovrumana e che vi dava l’ebbrezza. Io, sotto il divieto, nella
lontananza e nella solitudine, non potevo se non raccogliere e stringere — con tutta la
volontà contratta — il mio dolore in un voto. La mia fede era pari alla vostra ; certo, si collegò con la
vostra contro la morte. L’ultima favilla creatrice partita dal suo genio, dal fuoco divino che è in lui, io
non l’ho lasciata estinguere, i0 l’ho tenuta sempre viva, con una vigilanza religiosa e ininterrotta...
Ah, chi può dire fin dove sia giunta la forza
preservatrice di un tal voto ?
Silvia Settala fa l’atto di volgersi con violenza, come per rispondere ;
ma si trattiene. 28 Il corsivo non è
nel testo dannunziano. Mi è servito soltanto per evidenziare il tema delle mani
che nel prosieguo della scena cadranno
sotto il peso della statua quasi finita da Settala (le sue mani assunte come
simbolo della Bontà “umana”finiranno,
quindi, schiacciate dalla potenza dell’ Arte “superomistica” e “troppo umana”
che prevarrà su di essa). 13
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di critica letteraria a cura di Francesco Sasso Lo so, lo so : è ben semplice e facile quel
che io ho fatto ; lo so : non è uno sforzo eroico, è l’umile compito di un manovale. Ma non è l’atto quel
che importa. Quel che importa è lo spirito con cui l’atto si compie ; quel che solo importa è il
fervore. Nulla è più sacro dell’opera che comincia a vivere. Se il sentimento con cui io l’ho
custodita può rivelarsi alla vostra anima, andate e guardate ! Perché l’opera seguiti a vivere pè necessaria
la mia presenza visibile. [...] Voi non potete sentirvi sicura qui come nella vostra casa. Questa non
è una casa. Gli affetti familiari non hanno qui la loro sede ; le virtù domestiche non hanno qui il
loro sacrario. Questo è un luogo fuori dalle leggi e fuori dei diritti comuni. Qui uno scultore fa le
sue statue. Vi sta egli solo con gli strumenti della sua arte. Ora io non sono se non uno strumento
dell’arte sua. La Natura mi ha mandato verso di lui per portargli un messaggio e per servirlo.
Obbedisco ; lo attendo per servirlo ancora. S°egli ora entrasse, potrebbe riprendere l’opera interrotta che
aveva incominciato a vivere sotto le sue dita. Andate e guardate i Nello scontro diretto tra le due donne,
Silvia sta per prevalere quando sostiene con forza d’animo e con il buon diritto della moglie innamorata
che il marito non ama più la sua modella. Quest'ultima, allora, si appresta a distruggere la statua
che la raffigura pretendendone la proprietà morale. Nel tentativo di fermarla, la statua crolla sulla
moglie e le schiaccia entrambe le mani. Silvia si salverà nonostante la perdita delle mani ma Lucio,
anche se travolto dal rimorso, continuerà a vivere nel suo studio a fianco della modella che non
riesce a lasciare: «LORENZO GADDI. Sì,
è una sorte troppo atroce. Mi ricordo ancora di quel che diceste tanto teneramente, guardandola, in quel giorno
d’aprile. “Sembra che abbia le ali!”’. La bellezza e la leggerezza delle sue mani le davano
quell’aspetto di creatura alata. V’era in lei una specie di fremito incessante. Ora sembra che si
trascini... FRANCESCA DONI. Ed è stato
un sacrifizio inutile come gli altri, non è valso a nulla, non ha mutato nulla : ecco l’atrocità della sorte.
Se Lucio le fosse rimasto, credo ch’ella sarebbe contenta di avergli potuto dare quest’ultima prova,
d’avergli potuto fare anche il sacrifizio delle sue mani vive”, Ma ella conosce omai tutta la verità,
nella sua crudezza ... Ah che infamia! Avreste mai potuto credere che Lucio fosse capace di
tanto ? Dite. LORENZO GADDI. Anch’egli
ha il suo fato, e gli obbedisce. Come non fu padrone della sua morte, così non è padrone della sua vita. Lo vidi
ieri. M’aveva scritto al Forte dei Marmi per pregarmi di salire alle Cave e di spedirgli un masso. Lo
vidi ieri, nel suo studio. Il suo viso è così scarno che sembra debba divorarglielo il fuoco degli
occhi. Quando parla, si eccita stranamente. Ne rimasi turbato. Lavora, lavora, lavora, con una
terribile furia : forse cerca di sottrarsi a un pensiero che lo rode.
°° G. D’' ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp. 115-117. 3° Il “sacrificio delle mani vive” rimaste sotto
una statua non può che far venire mente l’analoga offerta fatta dal fedele abruzzese Ummàlido a San Gonselvo che avviene
nel finale di “L’eroe”, una delle più intense e potenti (anche se al limite del Grand Guignol) tra le Novelle
della Pescara: “L’Ummàlido era caduto in ginocchio ; e la sua mano destra
era rimasta sotto il bronzo. Così, in
ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla mano che non poteva liberare, due
occhi larghi, pieni di terrore e di
dolore ; ma la sua bocca torta non gridava più. Alcune gocce di sangue rigavano
l’altare. [...] Nella chiesa la
moltitudine agglomerata cantava quasi in coro, al suono degli strumenti, per
intervalli misurati. Un calore intenso
emanava dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea di San Gonselvo
scintillava dall’alto come un faro.
L’Ummàlido entrò. Fra la stupefazione di tutti, camminò sino all’altare. Egli
disse, con voce chiara, tenendo nella
sinistra il coltello: “Sante Gunzelve, a te le offre”. E si mise a tagliare in
torno al polso destro, pianamente, in
cospetto del popolo che inorridiva. La mano informe si distaccava a poco
a poco, tra il sangue. Penzolò un istante
trattenuta dagli ultimi filamenti. Poi cadde nel bacino di rame che e
raccoglieva le elargizioni di pecunia, ai piedi del Patrono. L’Ummàlido allora sollevò il
moncherino sanguinoso ; e ripeté con voce chiara: “Sante Gunzelve, a te le
offre” (G. D'ANNUNZIO, Le novelle della
Pescara, Milano, Mondadori, 1993, p. 114 e p. 116). 14
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di critica letteraria a cura di Francesco Sasso FRANCESCA DONI. La statua è ancora là? LORENZO GADDI. E’ ancora là, senza braccia.
L’ha lasciata così : non ha voluto restaurarla. Così, sul piedestallo, sembra veramente un marmo
antico, disseppellito in una delle Cicladi. Ha qualche cosa di sacro e di tragico, dopo la divina
immolazione. FRANCESCA DONI. a bassa
voce. E quella donna, la Gioconda, era là?
LORENZO GADDI. Era là, silenziosa. Quando uno la guarda, e pensa ch’ella
è causa di tanto male, veramente non può
imprecare contro di lei nel suo cuore ; - no, non può, quando uno la
guarda...Io non ho ma veduto in carne
mortale un così grande mistero»*!. Da
questo “combattimento invisibile” tra le sue due anime (quella riconoscente
alla moglie e quella protesa al possesso
e alla trasformazione in opera d’arte della sua modella) il destino di Settala
è segnato : travolto dalla sua volontà
demoniaca (e quindi sublime !) di creazione assoluta, egli non potrà che assecondarla e condannare la sua
metà buona e amorevole a privarsi perfino di quello che le era servito (le sue mani amorose cioè) per
curarlo e salvarlo dalla morte”, Lo
scontro in atto tra le due metà (quella animosa e combattiva contro il richiamo
della sua sirena- Gioconda e quella
cedevole e morbosa che, invece, anela ad essa) di Settala è così forte che
non solo provoca praticamente l’uscita
di scena del suo personaggio ma propiziano, in tal modo, contemporaneamente l'avvento dell’Orrore,
quell’Orrore che in D'Annunzio costituisce sempre il gioco di sponda del Sublime e ne permette il
suo presentarsi quale testimone estetico della scrittura (come lo si è già veduto in atto nel caso
della poesia dell’A/cvone che seguirà di lì a poco, ambientata peraltro negli stessi luoghi in
cui si svolgono gli ultimi due atti del dramma). ?! G.D’ ANNUNZIO, La Gioconda cit. , pp.
142-143. ® U. ARTIOLI, I/
combattimento invisibile. D'Annunzio tra romanzo e teatro cit. , p. 141 e pp.
146-147 : “Il conflitto di Lucio Settala
ha un che d’irriducibile. Prosternato davanti alla moglie, ne riconosce lo
stampo divino ; assegna invece un che di
deteriore alla passione per la modella, in cui vede una profanazione dello
spirito, un pericolo attentato alla
sfera morale. Eppure non può o non sa decidersi per il sentiero del
Bene. Qualcosa di eccessivo, di troppo teso e
iperbolico s’agita dietro lo schermo delle passioni borghesi entro cui a
prima vista sembra collocarsi un testo come La
Gioconda. Cosa veicola questo menage à trois in apparenza così
banalmente ancorato ai moduli teatrali del secondo Ottocento, con la figura maschile contesa tra
una moglie troppo remissiva e fedele e un’amante altrettanto viziosa e dispotica?” [...] “Dopo il colloquio con
Cosimo Dalbo, Lucio Settala praticamente scompare dall’azione. Nell’ultimo atto si apprende che, decidendo per la
modella, ha anteposto il calore della bellezza sensibile alle vitree desinenze
della bellezza morale. Questa
rivendicazione dell’ autonomia dell’arte, che ne fa una forma d’ esperienza
aperta alla totalità dell’uomo, e dunque
anche al mondo della Caduta e del Male, ha come conseguenza lo scacco della
figura affluita dai diafani aloni
dell'immaginario cristiano. Delineando il personaggio di Silvia, D’ Annunzio
mette in scena i propri fantasmi, e se
la scelta del suo tormentato scultore esclude alla fine il primato del Bene sul
Bello, assegna pur sempre all’estetico
una valenza divina : “L’artista, scrive Novalis, sta sopra l’uomo come la
statua sopra il piedistallo... Proprio
nel momento in cui l’opera avrebbe dovuto diventare interamente sua, è
divenuta qualcosa di più del suo creatore, ed
egli si è fatto l’organo ignorante e la proprietà d’una potenza
superiore. L'artista appartiene all’opera, non l’opera all'artista” (Novalis, Frammenti, trad. it.
di E. Pocar, Milano, Rizzoli, 1996°, pp. 283-285)”. La citazione tratta
dai Frammenti può servire a riassumere
l’itinerario di Lucio Settala, l’uomo che abbandona la cornice degli affetti
per una dedizione assoluta all’ opus,
alla transustanziazione alchemica della materia. [...] ‘Se Lucio Settala esce
di scena, lo fa per seguire la “potenza
superiore” di cui parla Novalis, la “potenza [...] implacabile” che, stando a
una battuta del terzo atto, Gioconda
serve col fervore religioso di una sacerdotessa. Rispetto alla Gloria, dove D’
Annunzio maneggia lo schema classico
della Psicomachia, la tragedia del °98, che pure presenta il personaggio
maschile divaricato tra due fantasmi
mentali, attua una notevole variante. Facendo scomparire il protagonista
dall’azione, il drammaturgo muove le
potenze rivali come se fossero figure autonome e lo scontro del terzo
atto, dove le immagini femminili sono una di
fronte all’altra, diventa l'epicentro del dramma”. 15
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di critica letteraria a cura di Francesco Sasso 3. La tragedia del Sublime e il recupero
del mito: Fedra Tra il 1908 e il 1909,
D’ Annunzio concepisce il suo omaggio al mito tragico greco
(personalissimo e destinato a un
travolgente insuccesso). Concluso nel 1904, per volontà di lei, il rapporto
con Eleonora Duse e dopo una serie di
relazioni non altrettanto significative come quest’ultima sotto il profilo della collaborazione artistica,
stavolta la sua Musa ispiratrice sembra Nathalie de Golouleff : «La notte fra il 2 e il 3 febbraio 1909
verga l’ultima cartella del manoscritto della tragedia, tracciato in poche decine di giorni (e notti)
laboriosissimi, dedicando l’opera “così nobile e così severa” all’ amata del momento, Nathalie de
Goloubeff, da lui ribattezzata Donatella Cross. Con l’amante parigina, cui ha spesso descritto la sua
nuova fatica, legge la tragedia a Cap d’ Antibes, fra il 18 e il 24 febbraio : ella se ne infiamma al punto da
proporsi con incauta ambizione come interprete
scenica, e si accinge a voltarla in francese (La versione, cui è
interessato anche Ricciotto Canudo*}, uscirà
per le mani più esperte di André Doderet). La tragedia, ce lo conferma anche il
figlio del poeta e primo Ippolito,
Gabriellino, fu dunque composta con ritmo frenetico “nelle condizioni più avverse alla meditazione e al sogno, in un
periodo acerbissimo della sua crisi finanziaria”. Le lettere al Treves forniscono, fra le assillanti
richieste di soccorso in denaro, le tappe di un lavoro febbrile».
Nonostante siano preponderanti le necessità economiche e il suo ritmo di
scrittura venga definito da tutti i suoi
studiosi a tambur battente, Fedra è, tuttavia, una tragedia meditata a lungo,
fortemente voluta e niente affatto
imbastita in velocità per cercare di rimandare il più possibile il
collasso finanziario. Ma il risultato
effettivo della pièce sarà catastrofico. Il debutto, pur avvenuto nella prestigiosa sede della “Scala” di Milano, fu
un disastro. Lo stesso D’ Annunzio se ne disse deluso in maniera assoluta”. Da allora, il testo,
nonostante una ripresa romana al Teatro Argentina del 25 maggio 1909 ad opera della stessa compagnia e
il melodramma che Ippolito Pizzetti ne ricavò nel 1914, non sarà più riproposto in maniera
definitiva. Anche la critica dannunziana (nonostante spunti importanti in alcuni volumi a lui dedicati*°)
si è mai risolta a prendere sul serio il testo tragico del poeta abruzzese. E’ stato merito, tuttavia, di Paolo Valesio,
in un suo intervento pionieristico pronunciato ad un importante convegno bolognese sul Sublime del
30-31 ottobre 1984, l’aver riportato l’attenzione 33 All’epoca il futuro teorico del cinema
era ancora soltanto un giovane di belle speranze che si divideva tra
narrativa, teatro e la nascente arte
cinematografica. Bisognerà aspettare il 1911 perché il suo testo-manifesto La
nascita della sesta arte gli dia una
certa notorietà in campo artistico. 34
P. GIBELLINI, Introduzione a G. D'ANNUNZIO, Fedra, a cura di P.Gibellini,
Milano, Mondadori, 1986, p. 7. Della
compagnia di Mario Fumagalli facevano parte Teresa Franchini che interpretò
Fedra e il figlio primogenito
Gabriellino che fu Ippolito. A sua moglie Maria (la madre di
Gabriellino), l’autore della tragedia scrisse: “La rappresentazione italiana fu ignobile. Soltanto
Gabriellino mostrò una freschezza e una energia inattese. Gli altri furono i “cani” d’Ippolito, e latrarono con furore
più che canino“ (lettera dell’ 11 maggio 1909). 36 Basti pensare a E. DE MICHELIS, Tutto
D'Annunzio, Milano, Feltrinelli, 1960, pp. 344 ssg. ; E. PARATORE, “La morte di Fedra in Seneca e nel d’ Annunzio”,
in Studi dannunziani cit. ; G. BARBERI SQUAROTTI, “Lo spazio della diversità: la Fedra”, in “Quaderni del
Vittoriale”, settembre-ottobre 1980 (Atti del Convegno “D’Annunzio e il classicismo”, Gardone Riviera, 20-21 giugno
1980), pp. 115-141 ; M. PAVAN, “Modelli strutturali e fonti della mitologia greca nella Fedra di Gabriele D’
Annunzio”, ibidem, pp. 155-168 ; M. GUGLIELMINETTI, “La Fedra di d’Annunzio e altre Fedre”, in Atti delle
giornate di studio su Fedra, a cura di R. Uglione (Torino, 7-9 maggio 1984), Torino, Pubblicazioni della Facoltà di
Lettere e Filosofia, 1986, pp. 33-54. Qualche anno dopo la prima teatrale dell’opera, Antonio Bruers, uno dei
dannunziani tra i più fedeli, aveva scritto su di essa un volumetto esegetico
(Fedra di Gabriele D'Annunzio. Saggio di
interpretazione, a cura del Fondaco di Baldanza, Roma, Società Anonima Poligrafica Italiana, 1922). Il testo
dannunziano, inoltre, è stato ristampato in Fedra. Variazioni sul mito, a cura
di M. G. Ciani, Venezia, Marsilio, 2003
che raccoglie in un unico volume le quattro più importanti ricostruzioni
teatrali di questo mito (Euripide,
Seneca, Racine e, appunto, D’ Annunzio).
16 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso della critica
su questo testo drammatico di D'Annunzio e averne consentito l’analisi
mediante coordinate nuove sotto il
profilo estetico: «Tutta la Fedra è,
dunque, una delle estreme ricerche moderne del sublime: non una lotta
letteraria, ma letteratura come lotta —
per costruire una leggenda, e degli eroi. Costruire dico, e non
ricostruire. Ma se (suona una possibile
domanda che appiattirebbe il discorso) se Teseo e Fedra ci sono già, come personaggi non solo mitici ma
elaboratamente letterari, perché mai ci sarebbe bisogno di costruirli ? E invece, proprio qui è il
punto. La ricostruzione in calce alla grande letteratura passata è la mossa della blandizie, che è
rassicurante e archeologica (s pensi a certi testi teatrali degli anni Trenta, come La guerra di Troia non si farà
di Jean Giraudoux, ecc. ...). La mossa dell’autore altomoderno è ben diversa: egli costruisce,
in certo modo, ex novo (altro che i plagi di cui ancora chiacchierano i professori-odiatori di D’
Annunzio !). Questa mossa è genealogica in quel senso (primariamente nietzcheano) di genealogia che
relega la diacronia in secondo piano. Ed è un gesto genealogico sublimante in quanto è una mossa
di presentificazione — dunque, una strategia
sincronica. (Sublimante ha poco o nulla a che vedere con la
“sublimazione” della tecnologia
freudiana). In questa riscoperta violentemente sincronica sta, contro
l’intellettualismo che è implicito in
ogni storicismo, la forza del discorso decadente; quella forza che ci mostra
come decadente non sia sinonimo di
“debole”, ma indichi una creativa declinazione (strumento di una grammatica in gran parte nuova)»?”. Valesio rimette in gioco la questione del
ri-utilizzo del materiale mitico della tradizione classica da parte di D’ Annunzio e lo fa a parte dalla
questione del Sublime. La Fedra del
poeta pescarese è sicuramente una tragedia del destino (come nella
tradizione letteraria si è soliti
configurarla sulla scia di una ricostruzione del rapporto tra uomo greco e
Fato) ma è anche una rappresentazione
del Sublime. Fin da subito — basta leggere attentamente la didascalia d’apertura del dramma per accorgersene: «Trezene è il luogo, “vestibolo della terra
di Pelope”. E appare, nel palagio di Pitteo, il grande e nudo lineamento di un atrio che gli occhi non
abbracciano intero, sembrando il vano e la pietra spaziare più oltre da ogni parte, con sublimi
colonne, con profonde muraglie, con larghi aditi aperti fra alte ante. Per alcuno degli aditi
non si scorge se non l’ignota ombra interna ; ma l’ardente luce occidua e il soffio salmastro entrano
per alcun altro che guarda la pianura febea di Limna, il porto sinuoso di Celènderi, la faccia
raggiante del Mare Sarònico e la cerula Calàuria sacra all’ippico re Poseidone. Rami d’ulivo
involuti in liste di candida lana son deposti su l’altare dedicato all’Erceo proteggitore delle sedi ;
innanzi a cui s’apre la fossa circolare dei sacrifizii. Accolte son quivi le Madri dei Sette Eroi atterrati
su le sette porte di Tebe. E poggiata al lungo
scettro eburno la vedova di egeo, la madre veneranda di Teseo, Etra del
sangue di Pelope, quivi è con le
Supplici dalla chioma tonduta e dal bruno peplo, fra la luce e l'ombra». Inoltre allusioni alle diverse
“declinazioni” del Sublime — come vuole Valesio — sono disseminate ovunque nel testo. Basterà riprodurre di
seguito qualche specimen di esso per rendersi conto della ritmica allusività della parola che vuole
farsi immagine proprio a partire dalla sua tentazione 37 P. VALESIO, “Declinazioni: D’ Annunzio
dopo il Sublime”, in “Studi di estetica”, a cura di V. Fortunati e G.
Franci, 4-5, 1984 (Atti del Convegno “Il
Sublime : creazione e catastrofe nella poesia”, Bologna, 30-31 ottobre 1984, a
cura di V. Fortunati e G. Franci), pp.
183-184 (poi ripubblicato in traduzione inglese in The Dark Flame, New Haven
(Conn.), Yale University Press,
1992). 38 volti Il corsivo è mio. ® G. D'ANNUNZIO, Fedra cit. , p. 43. 17
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso estetica. Il Sublime aulico dell’incipit
insegue il tremendo e il mostruoso come pure la
magnanimità‘ quali altrettanti e differenti aspetti della sua
potenzialità espressiva. A p. 53 della
tragedia, infatti, Teseo viene definito ”il tuo sposo magnanimo” da una delle
Supplici e successivamente l’’eco della
grande anima” (giusta la celebre definizione pseudo-longiniana della natura del Sublime*') risuona nella
narrazione del fato inarrestabile ed eroico di Capaneo folgorato sotto le mura di Tebe: «IL MESSO. Era il meriggio. FEDRA. Ombra non v'era alcuna? IL MESSO. Quella del curvo scudo sopra lui ;
/ ché coperto saliva / su per la scala apposta alla muraglia. / Saluiva senza crollo / sotto le
pietre dei difenditori. / E crosciava la grandine sul ferro / e crosciava sul cubito intronato, / che non
cedette. Sì cedette il cuore / tebano ; ché su la muraglia sgombra, / giunto in sommo, balzò l’ Eroe
tremendo. / E stette. E si scoperse. / E fu luce e silenzio di prodigio. / E allor s’udì tre volte strider
laquila / dall’ Ètere sublime. E l’eversore / allo strido levò la faccia ardente / d’inumana virtù, simile a
un nume. / E la voce di bronzo / tonò : “Adempio il giuro. Espugno Tebe”. E la destra scagliò
l’asta amentata / contra 1’ Ètere. Col
gesto irrefrenabile e con le pupille alzate Eurìto compie l’imagine dell’atto
temerario. Ma sùbito si smarrisce e
ondeggia. Gli rende il soffio l’ardente inspiratrice, che è china verso la trasfigurazione della Madre. FEDRA. Segui ! Segui ! Uomo, / non tremare
! Non perdere il respiro ! / Or tu devi cantar come l’aedo, / come quando aggiogavi i due sonanti
/ cavalli. Il cuor terribile è rinato / entro il petto materno. Il rombo vince / la tua parola.
Versagli la gloria ! / Come tendi le redini del carro, / sogna che tendi i nervi della cetera. / Alza la
voce ! IL MESSO. L’asta non ricadde. /
E quel dispregiatore dei Celesti / sorrise come non sorride l’uomo./ Si chinava egli già, pronto a balzare / oltre
la Porta. Il fuoco inevitabile / lo percosse nel vertice del capo.
Fulgida di fervore, piegato un ginocchio a terra, Fedra abbraccia
l’esausto fianco d’Astinome come il
tronco d’una quercia che tentenni. *°
Sulla “magnanimità” come declinazione della forma del sublime classico in
rapporto alla teoria delle passioni nel
mondo classico e nelle sue successive riproposte in epoca moderna, cfr.
le analisi contenute in R. BODEI, Geometria
delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico cit.
, in particolare la Parte Seconda (non a caso
intitolata all’ Archeologia del volere) , pp. 181-258. 4! Scrive l’ Anonimo (che i suoi lettori rinascimentali
e moderni continuarono a chiamare, in mancanza di un altro nome più verosimile, con quello di Longino e solo
con l’apposizione dubitativa dello Pseudo): “Poiché il posto più
importante tra tutte le fonti lo occupa
la prima, dico la grandezza della mente, anche qui, pur trattandosi di un dono
naturale, piuttosto che di un’abilità
acquisita, occorre, per quanto è possibile, allevare le nostre anime alla
grandezza e, per così dire, farle
continuamente gravide di impulsi geniali. In che modo ? mi chiederai. L’ho già
scritto altrove : il sublime è l’eco di
una grande anima. Donde talvolta un pensiero spoglio, privo di voce, è ammirato
per se stesso, proprio per la sua
grandezza : tale è il grande silenzio di Aiace nella Nekuya, più sublime di
qualunque discorso. Pertanto la questione
dell’origine del sublime è il fondamento irrinunciabile della nostra
trattazione : il vero oratore non può nutrire pensieri bassi e ignobili. Infatti non è possibile che
coloro i quali, per tutta la vita, si prendono cura e pensiero di piccolezze e servilismi esprimano cose meravigliose o
degne di passare ai posteri. Grandi invece sonno, com’è ovvio, i discorsi di coloro i cui pensieri fremono di grandezza.
Perciò il sublime s’incontra sempre negli spiriti magni* (Pseudo- LONGINO, // sublime, trad. it. e cura di G.
Lombardo, Palermo, Aesthetica Edizioni, 1987, pp. 35-36). Sulla teoria longiniana del Sublime come ueyaZoppoobvns
dréynua e sulla sua fortuna fino all'Ottocento, mi permetto di rimandare al mio “Da qui all’eternità. Due possibili
modelli di Sublime letterario”, in “Parénklesis. Rassegna annuale di
cultura della Editrice Clinamen”, 2007 /
5, pp. 43-67. Sulla fortuna del concetto estetico in questione, cfr. , invece,
il mio // Sublime e la prosa. Nove
proposte di analisi letteraria già cit.
18 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso FEDRA. Madre,
madre, ti cerchio con le braccia. / Non ti tocca la folgore. Grandeggi. / Piena
ti sento d’una immensa vita. / Odi
l’aedo ! Odi l’aedo ! Come / urtò la terra il Folgorato ? Nel soffio che lo suscita, il conduttore di
carri sotto la corona di pioppo è nobile come un cantore di parole alate. Un ansito occulto gli scuote
la voce ma non gliela rompe. Ed egli è fiso al gruppo sublime ; ché la Titanide regge ancora tra le
sue braccia la quercia palpitante» La
morte di Capaneo è uno dei momenti “sublimi” e più potentemente tratteggiati
dell’opera ma nella sua ricostruzione
non viene utilizzato soltanto il Sublime puro del legato longiniano — ad
esso viene attribuito anche il respiro
epico dell’epopea. Il racconto dell’auriga impasta, infatti, il senso tremendo della sfida alla Divinità con il
ritmo scandito e susseguente dell’azione.
Come scrive utilmente Gibellini nella sua Introduzione alla tragedia
dannunziana: «La contaminatio
epopea-dramma è dunque la chiave della scelta dannunziana. In verità la
critica s'è soffermata, sinora, sulla
contaminatio all’interno del genere, notando come l’episodio di Capaneo ed Evadne assommi parti dei Sette
contro Tebe di Eschilo, dei due Edipo di Sofocle, delle Supplici e delle Fenicie euripidee. I tratti
danteschi dell’episodio di Capaneo non s riducono a echi letterali (che determinano scatti memoriali
con altri luoghi della Commedia, presentando ad
esempio l’eroe “forato... nella gola”), ma comportano una interferenza
epico-poematica nell’intera vicenda.
Capaneo, Evadne sono gli esempi ammirati, e dunque gli anticipi della scelta
blasfema e suicida di Fedra : una scelta
già data a priori. Personaggio epico, e non tragico, Fedra sa e dice la sua volontà : perde un presupposto essenziale
del tragico antico, enucleato recentemente per Edipo da Dario Del Corno: il non conoscere la
differenza tra bene e male, il non conoscere la volontà degli dei, il non sapere tout court. In ciò D’ Annunzio
si trova schierato con la Fedra (psicologistica) di Seneca e con quella di Swimburne",
schiette confessatrici dell’inconfessabile, mentre il dieu caché (per dirla con Goldmann), il dio
inconoscibile ma severamente installato nella coscienza dell’eroina “cristiana” del giansenista Racine, la
imparenta strettamente con la Fedra “pagana” di Euripide». E° probabilmente questa volontà di
confessare e di esibire la propria “colpa d’amare” la maggiore “trasgressione” dannunziana alla costruzione
del mito di Fedra rispetto alle sue molteplici e travolgenti elaborazioni nel corso della sua
lunga storia culturale (e scenico-teatrale).
Fedra, in realtà, risulta nell’elaborazione drammaturgica di Euripide
nella sua prima epifania sulla scena in
quanto personaggio tragico (questo almeno è l’unico che ci è pervenuto nel
legato classico della tradizione del
teatro greco” ) soltanto come il contraltare della vicenda di Ippolito (e
tale, 4 G. D'ANNUNZIO, Fedra cit., pp.
62-63. Sa Sugli echi swimburniani in D’
Annunzio, ancora utile il saggio di Calvin S. Brown, Jr., “More
Swinburne-D'Annunzio Parallels” in
“PMLA”, 55, 2 (June 1940), pp. 559-567. Sulle fonti inglesi della poesia
dannunziana, è sempre utile la
consultazione di N. LORENZINI, D'Annunzio, Palermo, Palumbo, 1993. (che
contiene anche un’assai interessante
antologia della critica). 4 P.
GIBELLINI, Introduzione a G.D’ ANNUNZIO, Fedra cit. , p. 23. 4 Una buona sintesi dei problemi relativi
alla Fedra in ambito greco antico si può trvare nel saggio di Nadia Fusini dedicato alla tragedia euripidea: “Se per
Fedra il gioco drammatico è fin da subito tra destino e carattere (la
Moira coincidendo per lei con la Madre),
non è certamente il destino a vincere, ma piuttosto il carattere. Ed Euripide
si riconferma così come il drammaturgo
moderno che è, che esplora un territorio nuovo, e porta l’uomo ellenico a
piegarsi verso la coscienza, per
scoprirne l’autonomia rispetto a leggi oggettive, sopraindividuali, siano esse
di ordine religioso, o politico. E di
fatto (anche se attraverso la morte, come Alcesti) Fedra afferma orgogliosa il
proprio nome, contro l'eredità materna.
Sì, lei è figlia di Pasifae, ma non come Pasifae agirà col proprio desiderio.
Se dal passato sorge una potenza
destinale che tenta di annullarla, prova ad offuscare il suo volto, e oscurare
la sua luce — in altre parole, a piegare
il suo carattere secondo il sigillo materno — Fedra lotta ribelle. Ma non
sempre Fedra ci è mostrata in tale posa
eroica. Così è nell’Ippolito euripideo che ci rimane, il quale non è che
il “secondo pensiero” di Euripide riguardo a
questa vicenda che tanto interesse suscita nel mondo antico, provocando
altri scrittori a fornire le loro versioni.
Purtroppo il tempo s’è pronunciato contro il primo Ippolito (Ippolito
velato), e contro la Fedra di Sofocle, e ce li ha 19
RETROGUARDIA quaderno elettronico
di critica letteraria a cura di Francesco Sasso infatti, è il titolo dell’opera del grande
autore teatrale nato a Salamina). La tematica che emerge con maggiore profondità dal dramma è quella dello
scontro tra amore e dovere dal punto di vista
maschile. Ippolito non vuole infrangere il suo patto di fedeltà con il
padre e, quindi, diventare un amante
incestuoso ma, soprattutto, non è attratto particolarmente (se non affatto) dai
piaceri dell’amore e del sesso. Nonostante
tutto, il suo destino interessa ad Euripide in maniera più diretta di quanto gli accada per quello di Fedra. Per
questo motivo, nonostante quest’ultima manifesti una tensione interiore e una dinamica psicologica
assai più potente (sulla base di quello che fu definito dalla filologia tedesca, con un’espressione
paradossalmente provocatoria, l’’ibsenismo” di
Euripide) è la sorte di Ippolito ad essere il vero oggetto della
tragedia. Sarà Seneca ‘° a riportare
interamente sull’amore infelice della moglie di Teseo il peso della tragicità dell’evento'”. Dall’autore latino
in poi la sola Fedra diventerà la stella di prima grandezza della tragedia dell’incesto materno e
dell’amore fatale ad esso legato fino a tutto Racine compreso. Nell’autore tragico francese è tutto il mondo
mitico della tragedia classica a subire un violento scossone stilistico-tematico e una sorta di
suo rovesciamento radicale — come ha ben compreso George Steiner nel suo libro dedicato alla
Morte della tragedia: sottratti. E ci rimane
solo il secondo /ppolito (1° Ippolito incoronato). Ma presso gli scrittori
dell’antichità i primi due testi ebbero
grande fortuna, così noi possiamo ritrovarne degli echi, un sentore, un
profumo, in Ovidio, ad esempio, o
Virgilio, o Seneca... Più tardi in Racine” (N. FUSINI, La Luminosa.
Genealogia di Fedra, Milano, Feltrinelli, 1990,
pp. 102-103. 4° Una delle
migliori sintesi di inquadramento della figura di Seneca come pensatore e come
scrittore teatrale è presente nel libro
di P. GRIMAL, Seneca, trad. it. di T. Capra, Milano, Garzanti, 2001; per una
ricostruzone della sua fortuna nel
secolo appena trascorso, cfr. F. CITTI — C. NERI, Seneca nel Novecento.
Sondaggi sulla fortuna di un “classico”,
Roma, Carocci, 2001. 4 Nella
Phaedra di Seneca sarà comunque Teseo (e non più Ippolito) il reale antagonista
di Fedra. Il suo forte turbamento (al
limite della follia e della volontà di suicidio) che si verifica quando viene a
conoscenza dell’abisso in cui l’ha
spinto il rancore e il risentimento della moglie innamorata invano di Ippolito
ispirano al filosofo di Cordoba una
delle sue pagine poetiche più potenti: “TESEO. O gole del pallido
Averno, e voi, spelonche infernali, / onda di Lete, dolce per gli infelici, e voi, torpidi laghi,
/ afferrate quest'uomo empio, e sommergetelo, e oppri- / metelo con eterni dolori : / venite qui, adesso, mostri crudeli
del mare, e adesso, / voi, rigonfiatevi, / belve enormi dell’oceano, che
Proteo nasconde nelle sue / voragini
estreme, / e trascinate me, che fui lieto per questo crimine atroce, / dentro i
gorghi profondi : / e tu, padre, che
troppo facilmente sempre esaudisci il / mio furore, / io non la merito, una
facile morte, io che l’ho disperso, /
via per i campi, / il mio figlio, io che ho perseguitato, rigido vendicatore, /
un falso crimine, e sono precipitato,
così, dentro un ve- / ro delitto: / con questo mio delitto, io ho riempito le
stelle, e l’infer- / no, e le onde: /e
non ci sono altri spazi : e i tre regni, ormai, mi cono- / scono: / per
questo, dunque, noi siamo ritornati ? e si è aperta, / per me, una via verso il cielo ? / per vedere
due cadaveri, e una duplice strage ? / e così, senza la mia moglie, e senza
il mio figlio, con una / fiaccola sola,
/ accendere i roghi funebri, per la mia prole e per la mia / sposa ? / o
Ercole, tu che mi hai donato questa
funebre luce, re- / stituisci / il tuo regalo all’abisso, rendimi quell’inferno
/ che mi hai negato ! ma io, empio,
invano invoco / quella morte che ho fuggito : o crudele artefice di stragi, /
tu che hai macchinato inaudite, spietate
rovine, / imponi a te stesso, adesso, un giusto supplizio ! / dovrebbe forse un
pino, sforzato nella sua cima, tocca- /
re la terra, / e spezzarmi in due pezzi, nei due pezzi del suo tronco, /
portandomi in alto ? / o io dovrei gettarmi,
giù con la mia testa, sopra le rocce / di Scirone ? / ma ho visto cose
più atroci : il Flegetonte infernale le impone / ai suoi prigionieri scellerati, chiusi dentro le sue
onde / di fuoco: / ma quale pena mi attende, e quale luogo, io lo so : / o scellerate ombre, fatemi posto : e sopra
questo, sopra / questo mio collo, / si posi, per alleggerire le stanche mani
del vecchio Sisifo, / quel suo masso,
l’eterna fatica del figlio di Eolo : / e mi inganni quel fiume di Tantalo, che
sfiora e deride le / labbra: / e
abbandoni Tizio, quel suo feroce avvoltoio, e voli so- / pra di me, / e cresca
il mio fegato, sempre, per la mia pena :
/ ma riposa, tu, Issione, padre del mio Piritoo, / e trascini queste mie
membra, in un turbine sfrenato, / con il
suo cerchio che si volge, quella ruota che mai non / si arresta : / ma apriti,
tu, o terra : accoglimi, terribile caos, /
accoglimi : che questa, per me, è la strada più giusta / verso le ombre
: / io seguo il mio figlio : e tu, re dei defunti, non temere : / noi discendiamo con pudore, adesso
: accoglimi dentro / la tua eterna casa : / e io on uscirò più : ma le mie preghiere non li scuoto - / no, gli dei : /
ah, che se io chiedessi delitti, come sarebbero pronti, / quelli, con me! ” (L.
A. SENECA, Fedra, trad. it. di E.
Sanguineti, Torino, Einaudi, 19693, pp. 68-69). Si tratta, come si è potuto
vedere, di un classico esempio di stile
orroroso (classificabile come deinotès nell’ottica stilistica introdotta dallo
Pseudo-Demetrio nel suo trattato
denominato Perì hermeneias) che marca in maniera considerevole la qualità di
scrittura di Seneca.. 20 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso «Fedra è la
chiave di volta nella storia della tragedia francese. Tutto ciò che la precede
sembra preannunciarla, nulla di ciò che
segue la supererà. E° Fedra che ci fa esitare davanti alla dichiarazione di Coleridge secondo cui la
superiorità di Shakespeare su Racine sarebbe
incontestabile quanto ovvia. Questa tragedia ha uno spirito suo,
peculiare (delimita essa stessa la
portata del proprio splendido intento), eppure è un’espressione
caratteristica di tutto lo stile
neoclassico. La supremazia di Fedra è esattamente commisurata al rischio
assunto. Una brutale leggenda della
follia dell'amore è ridotta in forme teatrali che soffocano rigorosamente
ogni eventualità di follia e di
disordine inerente al soggetto. Mai nella tragedia neoclassica il
contrasto tra fabula e riduzione
teatrale è stato più drastico ; mai l’applicazione dello stile e delle unità è
stata più completa : Racine impose all’arcaica
oscurità del tema le forme della ragione. Egli prese il tema di Euripide accettandone tutta la ferocia e
la stranezza ; operò un solo cambiamento significativo. Nella leggenda, Ippolito è votato alla
completa castità. E’ un freddo, puro cacciatore che disprezza i poteri dell’amore. Afrodite vuole vendicarsi
del suo disprezzo ; di qui la catastrofe. Questo è il mito come fu interpretato da Euripide e Seneca, e
nel suo /[ppolito (1573) Garnier si attenne strettamente al loro modello. Racine, al contrario, fa del
figlio di Teseo un timido ma appassionato amante. Egli rifiuta le offerte di Fedra, non soltanto
perché incestuose, ma perché ama un’altra donna. La concezione originaria di Ippolito si accorda
perfettamente all’atmosfera tenebrosa della leggenda ; Euripide ne fa una creatura silvestre, tratta
dal suo nascondiglio e immessa in un mondo che non comprende completamente. Perché Racine doveva
trasformarlo in un cortigiano e galant homme ?
Forse soprattutto per il fatto che un principe che fugge all’avvicinarsi
delle donne sarebbe apparso ridicolo a
un pubblico contemporaneo ; tuttavia questa è l’unica concessione di Racine
alle esigenze del decoro ; per il resto
lascia che le furie si scatenino. Ci dice che Fedra è costretta a seguire la
sua tragica strada, spinta “dal destino
e dall’ira degli dei”. I meccanismi della fatalità si possono interpretare in vari modi ; gli dei
potrebbero essere se stessi oppure quel che, in seguito, più moderne mitologie della coscienza chiameranno
fattori ereditari. Ibsen parla di ‘fantasmi’ quando vuole significare che le nostre vite
potrebbero essere trascinate alla rovina da una malattia ereditaria della carne. Così Racine ricorre agli dei per
spiegare l'esplosione in Fedra di passioni elementari più sfrenate e distruttive di quelle che
comunemente si manifestano tra gli uomini. [...] In Fedra Racine utilizza per la fantasia ogni possibile
ordine del “vero”, permettendo alla sfera della ragione di dissolversi impercettibilmente in più ampie e
più antiche concezioni del comportamento»”*.
Phèdre, di conseguenza, sarà la tragedia dello sguardo e dell’illusione
vissuta dagli occhi (come bene ha mostrato
Jean Starobinski in un suo celebre saggio su Racine e la dinamica visiva dei
suoi personaggi‘). La novità
nell’impianto drammaturgico di D’ Annunzio (in presenza di capolavori 4 G. STEINER, Morte della tragedia, trad.
it. di G. Scudder, Milano, Garzanti, 1992°, pp. 75-77. Sulla cultura letteraria francese del Grand Siècle, cfr.
l'ormai classico saggio di P. BENICHOU, Morali del Grand Siècle, trad. it.
di R. Ferrara, con un’ Introduzione all’
edizione italiana di G. Fasano, Bologna, Il Mulino, 1990. 4 J. STAROBINSKI, “Racine e la poetica
dello sguardo” in L’occhio vivente, trad. it. di G. Guglielmi e G. Giorgi, Torino, Einaudi, 1975, pp. 59-60: “Nel teatro
francese classico, e in particolare in quello di Racine, i gesti tendono a scomparire a tutto profitto del linguaggio —
come è stato detto —, ma, occorre aggiungere, anche a vantaggio dello sguardo. Se i personaggi non si affollano né
combattono sulla scena, in compenso, si vedono. Le scene sono occasioni per vedersi. Mentre le persone del dramma si
parlano e si guardano tra loro, gli sguardi che si scambiano agiscono come un abbraccio e una ferita, poiché dicono
tutto ciò che gli altri gesti avrebbero detto, ma con il privilegio di spingere oltre, di andare più a fondo, di commuovere
più nel vivo, in una parola, di turbare gli animi. Una violenza estetica diviene così mezzo di espressione drammatica.
La volontà stilistica, che fa del linguaggio un discorso poetico, innalza nello stesso tempo tutta la mimica e la
gestualità a livello dello sguardo, risultato di una stessa trasmutazione, di
una stessa “sublimazione”, che purifica
la parola parlata e concentra nel solo linguaggio degli occhi tutto il
potere significante del corpo. L’atto di
vedere riprende in sé tutti i gesti che la volontà stilistica aveva soppressi,
li rappresenta simbolicamente,
accogliendo tutte le loro tensioni e tutte le loro intenzioni. Senza dubbio, si
dà qui una “spiritualizzazione”
dell’atto espressivo, conforme alle esigenze di un’epoca di decoro e di buona
creanza in cui le passioni possono
esprimersi con misura, in forme caste e senza la presenza soverchiante del
corpo. Sino all’istante in cui si
abbatterà il pugnale, i personaggi non si affrontano mai se non attraverso una
distanza. Quasi spoglio, il palcoscenico
è consegnato allo spazio, spazio chiuso, scenario (portici, colonnati,
rivestimenti), ove le vittime sono già
21 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso come quello
raciniano), di conseguenza, non risulterà tanto dall’evoluzione del personaggio
tragico quanto dalle modalità del suo
tono e dal registro estetico adottato.
La sensualità della donna innamorata prevale sulla dimensione “materna”
della tradizione classica (raccolta
peraltro anche da Racine). Fedra è una donna che vuole un uomo e intende
averlo, nonostante il tabù sociale
dell’incesto e la violenza della proibizione interiore. A Ippolito che la chiama “madre”, Fedra
risponde di essere una donna e una donna innamorata. E nel finale della tragedia l'emergenza del
biancore che contraddistingue la dea Artemide anticipa la morte imminente dell’eroina e ne
garantisce, nello stesso tempo, la sublimità in divenire. Nel “bosco pien d’orrore” l’arrivo della Dea
prima invocata in maniera blasfema da Fedra si fa preannuncio dell’incombenza della morte e del
freddo pallore che l’accompagna: «Si
fa altissimo silenzio. Non più rugghia né rosseggia il rogo su l’argine ; non
più sode il latrato lontano ; ma solo
s’ode l’immenso marino pianto, sotto il cielo che palpita di costellazioni.
Tutti si tacciono, contro la sublime
bianchezza della Titanide vedendo l’arco d’Artemide apparito.Con non umana voce ella parla, mentre sale e splende
nelle sue vene la purità della morte.
FEDRA. Ah. M°hai udito, dea! Ti vedo bianca. / Bianca ti sento in tutta
me, ti sento / gelida in tutta me, non
pel terrore ; / non pel terrore, ché ti guardo. Guardo / le tue pupille, crude
/ come le tue saette. E tremo, sì, / ma
d’un gelo che infuso m'è da un’altra. / Ombra, ch'è più profonda della tua
/ Ombra. Ippolito è meco. / Io gli ho
posto il mio velo, perché l’amo. Velato all’Invisibile / lo porterò su le mie braccia azzurre, / perché l’amo.
[...] Cade su î ginocchi, presso il
cadavere, mettendo un grido fievole come un anelito su dallo schianto del cuore. Ma, prima di abbandonarsi spirante
sopra il velato, rialza ella il volto notturno ove il sorriso trema con l’ultima voce. Vi sorride, / o stelle, su l’entrare della
Notte, / Fedra indimenticabile». prigioniere e che reca taluni segni
convenzionali di maestà e di sfarzo, forse non senza qualche turgore barocco.
Ma, entro questi limiti, si fa il vuoto,
senza che vi intervenga alcun oggetto, e questo vuoto sembra esistere soltanto
per essere attraversato dagli sguardi.
Perciò la distanza che separa i personaggi rende possibile l’esercizio di una
crudeltà che diviene tutto sguardo e
afferra gli animi riflettendosi negli occhi dell’amore o dell’odio. Difatti —
nonostante la distanza e proprio in
virtù di essa — viene a stabilirsi un contatto con lo sguardo. E se accettiamo,
come appena si è detto, l’idea di una
spiritualizzazione dei gesti fisici che si fanno sguardo, dobbiamo accogliere
poi l’idea inversa di una
“materializzazione” dello sguardo, che si appesantisce caricandosi di
tutti i valori corporei, di tutti i significati patetici di cui si è lasciato pervadere. Questo peso
carnale dello sguardo si esprime stupendamente nel verso: “Chargés d’un
feu secret, vos yeux s’appesantissent’
(Fedra I, i : “Carichi di un fuoco segreto, gli occhi vi si appesantiscono”, in
J. RACINE, Teatro, a cura di M. Ortiz,
Firenze, Sansoni, 1963). Non è più un chiaro sguardo che conosce, ma uno sguardo che brama e soffre”. °° G. D'ANNUNZIO, Fedra cit. , pp. 209-210.
Come sostiene P. VALESIO in “Declinazioni: D’ Annunzio dopo il Sublime” cit, pp. 180-181 : “E’ su questo
nodo che convergono il problema di Fedra come nuova protagonista di una tragedia altomoderna, e il generale problema
di metodo del discorso decadente. Si consideri questa didascalia, che descrive l’atteggiamento di Fedra a un certo
punto di questa parte iniziale del dramma : “Nuovamente ella è come la Musa che, mentre accoglie dona, Ella segue e
conduce i segni dell’azione magnanima. La guarda come per interrogarla il rivelato aedo. Nel rispondere, ella
domanda. Riceve il fuoco e lo sparge”. Non possiamo non vedere qui il rapporto paronomastico : sotto ‘“i segni dell’azione
magnanima” stanno annidati ‘i sogni dell’azione magnanima”. Ma, prima di tornare al sogno come creazione, consideriamo
il predicato centrale — qui chiaramente esplicitato —di Fedra : il suo essere Musa.La tragedia di Fedra in questa
versione altomoderna è quella di non poter essere compiutamente Musa, pur avendo sentito che questa è invero la sua
vocazione: essa riesce a trasformare il Messo (che prima era un auriga) in Aedo, ma non s’interessa a lui in quanto uomo
(anche se egli è, senza alcuna speranza, innamorato di lei). Quanto a Ippolito, essa lo desidera troppo per potergli
essere veramente Musa. Di fronte a questo ostacolo, ciò che l’eroina risolve di fare è: compiere una costante
ricostruzione estetica di se stessa e di tutto il mondo intorno a lei. L’ Atto
Primo è chiuso dalle parole di Fedra che
chiama se stessa “Fedra indimenticabile”, sul cadavere della schiava uccisa (in
quella che è una delle più allucinanti
ed efficaci scene masochistiche nella storia del teatro europeo — certamente
unica in tutta la tradizione del teatro
italiano, compreso quello contemporaneo) : ‘Presso l’altare ingombro / dei
vostri rami supplici 22 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a
cura di Francesco Sasso Il freddo
della Morte coincide con il congedo appassionato dalla Vita e dal suo miglior
sostituto, la Poesia. Fedra scompare
nella Notte da cui era venuta e il suo gesto finale la congela
nell'immagine sublime di un abbandono al
proprio destino che si rivela contemporaneamente come una sfida ad esso e un gesto definitivo di accettazione
del suo volere. immolata / l’ha, nella
sacra luce / dell’olocausto nautico, alle Forze / profonde e alle severe Ombre
e al superstite / Dolore // e alla Manìa
/ insonne, su l’entrare della Notte, / Fedra indimenticabile”. E con le stesse
parole (“Fedra indimenticabile”), ancora
una volta da lei stessa pronunciate, si chiude l’ Atto Secondo e finale della
tragedia. Dicendo indimenticabile, Fedra
evoca insieme il suo trionfo e il suo tormento ”. Sulla pronunciata dimensione
estetica nella produzione letteraria di D’
Annunzio e sul tema dell’epifania in rapporto alle immagini del Sublime, cfr.
il libro di P. DE ANGELIS, L'immagine
epifanica. Hopkins, D'Annunzio, Joyce : momenti di una poetica già cit. , pp.
43-85. 23 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria
a cura di Francesco Sasso Saggi
pubblicati su Retroguardia 1. Giuseppe
Panella, ELOGIO DELLA LENTEZZA. Paul Valéry e la forma della poesia 2. Giuseppe Panella, D'ANNUNZIO E LE
IMMAGINI DEL SUBLIME. L’ Alcyone, la Fedra e
altre apparizioni In rete: Biobibliografia di Giuseppe Panella (
http://retroguardia2.wordpress.com/biobibliografia-di- giuseppe-panella/ ). Saggio pubblicato su Retroguardia
(http://retroguardia2.wordpress.com/) e La poesia e lo spirito
(http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/) Saggi letterari di Giuseppe Panella in
formato PDF: http://retroguardia2.wordpress.com/saggi- letterari-pdf/ Leggi tutti gli articoli di Giuseppe
Panella pubblicati su Retroguardia 2.0:
http://retroguardia2.wordpress.com/category/panella-giuseppe/ 24 Panella. Keywords: “socialism e
fascismo” del sublime, cura di Mosca, Mosca, l’influenza di Mosca in Torino, Michels,
il fascismo di Michels, Mussolini e Michels, Michels ed Enaudi, la radice
proletaria di Benito, dal socialism al fascismo, pre-ventennio fascista, il
socialismo, l’ordine del risorgimento, la rivoluzione, la dittadura dell’eroe
carismatico, l’assenza di mediazione nel duce come proletario lui stesso,
l’aristocrazia del fascismo, applicazione della teoria di Mosca
sull’aristocrazia, l’aristocrazia della nazione italiana, la razza italiana, la
razza Latina, I latini e l’oltre razzi italici – latini, etruschi, sabini,
uschi, umbri, liguri, la questione della razza nel fascismo, la questione della
razza nel ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panella” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Panfilo: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello -- Roma – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Panfilo
Filoprammato – ‘busy body.’ He writes on art. Pamfilo Panfilo Filoprammato.
Grice e Panigarola: la ragione della
riforma; la ragione della contra-riforma – la scuola di Milano – filosofia milanese
-- filosofia lombarda -- filosofia italiana (Milano).
Filosofo italiano. Milano, Lombardia. O.F.M. vescovo della Chiesa
cattolica Incarichi ricopertiVescovo titolare di Crisopoli
di Arabia Vescovo di Asti Nato a Milano Nominato vescovo da papa Sisto V
Deceduto ad Asti Manuale. Vescovo cattolico e predicatore italiano,
vescovo titolare di Crisopoli di Arabia e vescovo di Asti. Di origini
aristocratiche, nacque presso porta Vercellina dai nobili Gabriele in una delle
case più prestigiose della città. Ultimo di quattro fratelli, e battezzato con
il nome di Girolamo. La famiglia redigeva e conserva fin dall'età comunale
l'archivio dell'Ufficio degli Statuti dello stato di Milano, che comprende i
provvedimenti del comune, e quindi gli atti emanati dai signori e duchi di
Milano, le liste dei banditi dallo Stato (Libri Bannitorum), le tutele dei
minori, le gride, le citazioni e le condanne. Frontespizio di un
libro del XVI secolo con alcune prediche di P. Fa i primi studi a Milano con
gli umanisti Conti e Paleario. E mandato dal padre a studiare diritto a Pavia.
Dopo un litigio con un rivale, si trasfere a Bologna dove venne in contatto con
il ministro generale francescano dei frati minori che lo convence ad
intraprendere la carriera ecclesiastica. Veste l'abito francescano nella
Chiesa di Ognissanti a Firenze, prendendo il nome Francesco in onore dello zio,
provinciale dell'Ordine a Milano. Professa i voti solenni dopo un anno di
noviziato a Firenze. Prosegue i suoi studi a Padova, dove ebbe per maestro
Tomitano, e Pisa, dove ascolta Cesalpino e Nobili. Designato per predicare
davanti al capitolo generale dell'Ordine a Roma. Le sue doti oratorie gli
attirarono l'attenzione del papa, che lo invia a Parigi al seguito del cardinal
nipote Bonelli per perfezionare i suoi studi alla Sorbona. A Parigi studia i
Padri della Chiesa, i Concili, e il greco. Uno dei suoi professori e Feuardent.
Al termine del biennio francese rientra in Italia. Insegna a Firenze, Bologna, e
Roma. L'insegnamento non lo distolse dalla suo compito di predicatore. Percorse
in lungo e in largo l'Italia tenendo quaresimali in moltissime città della
penisola tra cui Genova, Pesaro, Venezia, Napoli, Mantova, Torino Bologna e
Roma. In breve tempo la sua fama si diffuse in tutta Italia e spesso lo si
poteva trovare a predicare presso la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli o nella
basilica di San Pietro in Roma. Anche il papa assiste ogni anno alla sua
predica e molti principi, ecclesiastici e nobili italiani fanno a gara per
poter accaparrarsi la sua presenza. Famoso e il suo contraddittorio a Rezia al
seguito di san Carlo Borromeo con alcuni calvinisti, dal quale usce vincitore.
In Piemonte, entra nell'ambito della corte del duca Carlo Emanuele che lo vuole
come suo prezioso consigliere spirituale. Venne consacrato vescovo titolare di
Crisopoli di Arabia e inviato come suffraganeo a Ferrara. L'incarico dura tre
mesi perché, in seguito alla morte di Rovere, il duca fa di tutto per insediare
il suo fido predicatore alla carica di vescovo di Asti, anche contro il volere
dello stesso che considera la sede astigiana modesta. In seguito alla morte di
san Carlo Borromeo, P. venne incaricato di fare l'orazione
funebre. Raccolta di salmi di mons. P. Assume l'incarico di vescovo di Asti. Il
giorno dopo il suo ingresso in Asti, P. pubblica un Editto contra banditi et
fuoriusciti. La diocesi di Asti ormai decaduta a discapito della vicina
capitale sabauda, aveva perso i fasti e gli splendori medievali, riducendo
anche di molto gli introiti a disposizione della curia vescovile. L'economia astigiana
ha subito un tracollo e nelle campagne moltissimi sono i vagabondi o coloro che
si davano al brigantaggio per il loro sostentamento. Basti pensare che il
vescovo, scrivendo al duca Carlo Emanuele afferma che la mensa vescovile di
Asti non oltrepassa e forse non arriva nemmeno a 800 scudi all'anno. Questa
chiesa è delle più lontane da Roma in Italia et anche delle più povere. Malgrado
questo, nel suo settenario, sposando in toto la politica tridentina di San
Carlo Borromeo, si adopera per la diffusione del catechismo popolare, effettua
alcuni sinodi diocesani e molte visite pastorali. Nei sinodi tre furono i
punti fondamentali: l'osservanza delle leggi ecclesiastiche (punto già
portato avanti dal suo predecessore della Rovere) il culto e lo sviluppo del
Santissimo Sacramento la regolamentazione della vita diocesana con la
formulazione di un calendario liturgico, la compilazione di quattro registri
riferiti ai battesimi, comunioni, matrimoni e decessi, la nomina di esaminatori
sinodali Sulla scia del vescovo Roero, promulga la "caritas"
cristiana, fondando la Compagnia di Santa Marta per l'assistenza ai poveri ed
agli infermi. Inviato in Francia come assistente del legato pontificio Caetani ritorna
ad Asti dopo l'abiura di Enrico IV. P. venne trovato morto ai piedi di un
inginocchiatoio con in mano il crocefisso. Venne sepolto in Cattedrale nel
presbiterio. L'orazione funebre e pronunciata d’Armi. Una lapide ricorda il
luogo della sepoltura. HIC JACET P. EPISCOPUS ASTENSIS CUIUS ANIMA IN
BENEDICTIONE SIT OBIIT. P. scrive opere di teologia, compendî, commenti, lezioni
e varie raccolte di prediche (Homeliae pro Dominicis, Venezia; Cento
ragionamenti sopra la passione di N.S., Venezia; Discorsi sui Vangeli della
Quaresima, Roma; ecc.). Lasciò anche un manuale, Il predicatore ossia parafrasi
e commento intorno al libro dell'eloquenza di Demetrio Falereo, che ebbe
autorità e fortuna. Fu senza dubbio oratore insigne, accostabile a Paolo
Segneri per la cura dell'elaborazione artistica delle sue prediche e per il
vigore del ragionamento; ma gli nocquero gli schemi retorici che troppo amava,
e l'indulgere alle fiorettature formali preludenti al secentismo.
Opere Predicatore, Da BEIC, biblioteca digitale Melchiorri (Annales Min.)
fornisce l'elenco più completo delle opere di Panigarola. Le più importanti
sono: Il Compendio degli Annali Ecclesiastici di Baronio, Roma, Gigliotto,
Gli annali ecclesiastici ridotti in compendio, (comprende solo il primo volume
degli Annales Ecclesiastici di Baronio), Venezia, appresso la Minima Compagnia,
Petri Apostolorum Principis Gesta ... in rapsodiæ, quam catenam appellant,
speciem disposita, Asti. Lettioni sopra dogmi, dette Calviniche, Venezia. Quest'opera,
tradotta in latino (Milano), fu attaccata da Picenino nella Apologia per i
Riformatori e per la Religione Riformata contro le Invettive di F. Panigarola e
P. Segneri, Coira. Il Predicatore di F. Francesco Panigarola ... overo
Parafrase, comento e discorsi intorno al libro dell'Elocutione di Demetrio
Falereo, Venezia; P. Il Predicatore, In Venetia, nella Salicata, Specchio di
Guerra, Bergamo. Scrive anche commentari a vari libri biblici (Salmi, Geremia
etc.) e molte raccolte di sermoni, pubblicati in italiano e in latino (Cento
ragionamenti sopra la passione di N.S., Venezia; Discorsi sui Vangeli della
Quaresima, Roma; Homiliae pro Dominicis, Venezia.). I suoi sermoni furono
tradotti anche in francese. Genealogia episcopale La genealogia
episcopale è: Estouteville, O.S.B.Clun. Papa Sisto IV Papa Giulio II
Cardinale Raffaele Sansone Riario Papa Leone X Papa Clemente VII Cardinale
Antonio Sanseverino, O.S.Io.Hieros. Cardinale Giovanni Michele Saraceni Papa
Pio V Cardinale Innico d'Avalos d'Aragona, O.S.Iacobi Cardinale Scipione
Gonzaga Vescovo P., O.F.M. Casa P. racconta Vasari , "e decorata dagli
affreschi notissimi con gli Uomini d'arme del Bramante. . Tratto da Bramante in
Lombardia, anisa DBI. Giunta, Un'eloquenza militante per la Controriforma: P.
tra politica e religione, Angeli. Visconti, Diocesi di Asti e Istituti di vita
religiosi, Asti, P., In morte e sopra il corpo dell'Illustrissimo Carlo
Borromeo, cardinale di santa Prassede et arcivescovo di Milano, Milano, per
Paolo Gottardo Pontio. I sinodi furono tre. Visconti, Diocesi di Asti e
Istituti di vita religiosi, Asti. Incisa S.G. , Asti nelle sue chiese ed
iscrizioni . Ristampa anastatica dell'appendice del Giornale di Asti del 1806,
C. R.A. Rossi, Pinacotheca imaginum, Colonia, Ughelli, Italia sacra, IV,
Venezia, Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 1, Milano, Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Milano, Estoile, Mémoires-journaux de Henri
III, IV, Paris, Manfroni, La legazione del cardinale Caetani, in Rivista
storica italiana, Bosio, Storia della Chiesa d'Asti, Asti, Wadding, Scriptores
Ordinis Minorum, Editio novissima, Roma, Sbaraglia, Supplementum et castigatio
ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, I, Roma, Wadding et al., Annales
Minorum, Quaracchi, Burroni, I francescani in Asti, Asti, Bachelet, Bellarmin
avant son cardinalat, Paris, Boüard, Sixte-Quint, Henri IV et la Ligue, in
Revue des questions historiques, Sevesi, S. Carlo Borromeo ed il p. Francesco
Panigarola, in Archivum Franciscanum Historicum, Estoile, Journaul de Henri IV,
I, Paris, Pozzi, Intorno alla predicazione del P., in Problemi di vita
religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova, Lay, Un prelato italiano tra
'liguers' e 'politiques', in Miscellanea: Walter Maturi, Torino; Sabatelli,
Scambio epistolare tra Francesco Panigarola e Leonardo Salviati, in Archivum
Franciscanum Historicum (con due lettere inedite); Giuseppe Santarelli, Le
'Rime sacre' del Tasso e le prediche del Panigarola, in Bergomum, Erba, La
Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento, Roma, Rusconi, Predicatori e
predicazione, in Storia d'Italia, Annali, IV, Intellettuali e potere, a cura di
Corrado Vivanti, Torino Marcora, I funebri per il Card. Carlo Borromeo, Lecco;
Laura Zanette, Tre predicatori per la peste: Lettere italiane; Bolzoni, La
stanza della memoria, Torino; La predicazione in Italia dopo il Concilio di
Trento, a cura di Giacomo Martina, Ugo Dovere, Roma; Sabrina Stroppa, Regalità
e 'humilitas'. Francesco Panigarola e la costituzione della Biblioteca del
Monte dei Cappuccini di Torino, in Girolamo Mautini da Narni, a cura di
Vincenzo Criscuolo, Roma, Zardin, Tra latino e volgare. La 'Dichiarazione dei
salmi', in Sincronie, Mouchel, Rome Franciscaine, Paris, Fumaroli, L’età
dell’eloquenza, Milano Giombi, Sacra eloquenza, in Libri, biblioteche e cultura
nell'Italia del Cinque e Seicento, a cura di Edoardo Barbieri, Danilo Zardin,
Milano, Armstrong, The politics of piety: Franciscan preachers during the wars
of religion, Rochester, Giunta, Panigarola e la Francia. Note sulla Vita e la
teoria della predicazione, in Lettere italiane, Zwierlein, Fame, violenza e
religione politicizzata: gli assedi nelle guerre confessionali (Parigi), in
Militari e società civile nell'Europa dell'età moderna, a cura di Claudio
Donati, Bernhard R. Kroener, Bologna; Laurenti, 'Il Predicatore' di P., Giornale
storico della letteratura italiana; La predicazione nel Seicento, a cura di
Maria Luisa Doglio, Carlo Delcorno, Bologna Laurenti, Tra retorica e
letteratura: l’oratoria dell’«argomentare ornato» nelle 'Calviniche', Torino;
Hierarchia Catholica, IMeroi, La Potentia Dei nell'oratoria sacra Del secondo
cinquecento: Francesco Panigarola, in Divus Thomas, Voci correlate Diocesi di
Asti Seminario vescovile (Asti) Giovanni Dalle Armi Diocesi di Crisopoli di
Arabia Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Francesco Panigarola Collegamenti esterni Fassò, Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Cyclopædia of Biblical, Theological, and
Ecclesiastical Literature, Harper. Modifica su Wikidata Vincenzo Lavenia,
PANIGAROLA, Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 80,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere di Francesco Panigarola, su MLOL,
Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata Opere Open Library,
Internet Archive. Oliger, Catholic Encyclopedia, Appleton Cheney, Catholic
Hierarchy. Predecessore
Vescovo titolare di Crisopoli di Arabia Successore Rafaél Limas Pelletta Predecessore
Vescovo di Asti Successore Rovere Benso Portale Biografie Portale
Cattolicesimo Portale Letteratura Categorie: Vescovi cattolici
italiani Predicatori italiani Nati a Milano Morti ad Asti Francescani italiani Persone
giustiziate per impiccagioneStudenti dell'Università degli Studi di
PaviaStudenti dell'Università di BolognaVescovi di AstiVescovi
francescani[altre]. MODO DI
COMPORRE VNA PREDICA,
Del Reuerendifs. Mon%.
PANIGAROLA VESCOVO D’ASTI,
Dell’ordine di S.Francefco
de’Minori OlTeriianti. véggi
unto ut di
nuouo Vn Trattato
delia Memoria locale
delfifteHb Autore. *»■
CoK trinile g
io. In Veneti
a, Appreflo Giacomo
Vincenti MDCIIL I
» ✓ II
J Po AL MOLTO
REVER P- MIO
OSSERVANDISS. IL PADRE
REGI NALDO DALL'ORO
DI BOLOGNA, Predicator
Dominicano. luerfe ragioni
m eccitano i
|| ) dentearle
quefte foche fa¬
tiche del Reuerendijfmo
Monfg.Panigarola di felicijfma
we~ moria , piciole
dico in apparenza^
ma fruttuofffme in
realtà, A lei
dunque le con
fiero sì per
tributo della noHra
muto labi le
amicitia de molti
anni fra di
noi contrattaci peri' ami
fa che lei
teneua con detto
Prelato decoro de
Pulpiti della Cbrifìianità
3 e ttupor
quafi del Mondo
tuttofi anco per
l'of fitio , che
tiene della Predicanone ^mol ti
anni fono jejfer
citata da lei
in molte fitta
delle principali d'ltaliayoltreU A
a fu* fua
P atri a di Bologna
con affidue e lo
- date
fatiche , i cui
frutti furono pari¬
mente abraditi ( tralafciando alcune
di Daìmatia)da V erona.V icen^P a doa3 e Vinegia ,
come da arbore
affet- tuofamente confecrato
dalla fua pro¬
pria uo/ontà à
quefa wuitiffma Rc-
pubhca . Non tfdegm
dunque quello piciol
dono degno al
fcuro dlejjer pre
giatoda primi Prencipi
del Mondo y
non perche fa
parto della mia
nuo ton¬ ta
, ma perche
è opera di
sì maraut - ghofo
dicitore come fu
le eccellentifs . Monfig.
Pamgarola . : &
à V* S. baciando riuerentemente le
mani le prego
da N.S.ogm felicità .
Di VenetiaM 20 .Decemb.
1601. DiZl.S. molto
Reuer . Affettionatifs. Ser ultore
Giacomo Vincenti. A
I LETTORI L*
A V T
O R E.
Alla lettera feguente
fi potrà facilmente
intendere, quanto io
fuflì lontano da
credere, che mai doueffe
pu blicarfi quella
OpcrettSjiri quel tempo,nel
quale infic- me
infieme la leggeuo,
e dettauo ad
alcuni Rdigicfi giouani,che
mi fentiuano. Lecole,che
mi hanno fatto
mutar parere fono
due, fhauerla ueduta
cétra miauoglia in
mano di molti
trasformati(Iìma,e (corret¬ ti
(lima-, & il nó
poter (upplire con farla
ogni giorno refermere
alle domande di
molti, a* quali
non era ragioneuole
che io in
alcuna maniera la
negali/. Ma quello, che
da vci(giudiciofi Lettori}
10 defidero, in
due capi conlìfte
: L’uno che
lt agendola la
rimiriate con occhio
amoretto le, come cola
fatta per canta, ron
per oftenta tione.
E l’altro, che di
gratta, ft non uoleteat
ternamente, e polatamére leggerla, uoi
in mu na
maniera la Uggiate;
p. rche,oue (corren¬
dola ftnza attentionc, ut parta
lenza dubbio 11
magg'or intrico del
mondo ; per
auentura un poco
meglio, potrà non totalmente
diipia ccrui. E
fiate (ani. A
5 A FRATI
CHE STVDIANO NELLA
CASA DI ARACELI
DI ROMA. F» F
ÉSC Ò VJmGjlKOljt loro
Màcjlróì & forno
in Chrìjlo. Rìtelli
e figliuoli ex
tifjìmi : voi
mi richiedete con
molta inflantia,che io u infogni
il modo di
compor re le
prediche , & io
ui ri- _ _
_ _ ,
[póndo fpeffo, che io
non lo sò
; e che
vorrei anch’io qualche
valentia uomo che io wfegnafie
à me, Ma
voi replicate di nuo
- uo,
che io a
meno ut mofiri
quella forma ,
che tengo nel
comporre le mie:
Wioà quefio nè
sò, nè voglio
conir adn- u 'h e
vi jeriuo qui
fottovn trattateli del
nu do ch’io
foglio ferirne nel
foor mare quei
pochi sermoni, eh
io faccio, quali
e- glino fi
fiano Lo faccio
di più Stampare
per le- uarui
la fatica di
farne copie faa
fi come ho
prejo tutti gli
Stampati appreffo di me
; pe>
che non mn
intendo, che fcruàno ad
altroché à voi
foli; co fi
vi prottfio, che
farete cantra la
tuia volon - tà,e
ntdcarete del debito
dì buoni figliuoli, ogni volta
che lafciarete vedere
qutfle mie cofarelle
da altri, eh
e da voi
foli; poiché non
è ragionano* le, che
doue io pr
curo di gioitami,
e di honorar -
ui quanto per me
èpoffìbile; voi all'incotro
dia - te occafione
ad altri di
rider fi di me,
e delle
efe mie. dirigi
ui priego,che fe
mai in mano
di qual che
guiditi*. fo capitale
queflo trattatalo, e
che egli in
p-efenga vojìrafe ne
ride ffe, dicendo, che queflo
non è il
vero modo della
Rbetorica, fiate contenti
di r.ffn ndere,che può
rffere facilmen¬ te, che
fia co (ì ;
poiché io non
faccio profejfione d' ini
ender mene ; e può
anco ejfere che facendo le
prediche in quefla
forma, non rìefcano buo¬
ne , ma
nufeiranno almeno come
le faccio io.
Voi fa tanto
h mereteil modo
qui dentro, co¬
me io truou
) le cofe,i
he ho dà
dire, e come le di- fpongo.
Hauefi^di più l'Anno
paffuto alcuni miei
Àuuertimeti [opra tutto
il modo della
elo cut ione, c
dell' ornamento. E quali
tutti voi ba¬
utte in va
trattateli'.) di memoria
locale, fatto dame, la
formo, con 'aquale io
foglio mandarmi à memoria
le prediche. quando non mi bafla
la, memoria n. turale.
D modo thè
dal pruaun- tiarle
in poi ( dt
l quale pur h
abbiamo ragionato tal
volta infume )haueretedt
quefìa maniera A 4 dijìefe,
diftefe,al meglio che ho faputo, tutte
quelle, che i tfhetorì
domandano parti della
Kbetorica. Stu¬ diate
ancora voi ;
che f or fi
trouarete molto me¬
glio di quello, che
ui sò dir
io : E
pappiate / opra il
tutto; che buone
prediche fa, chi le
fa fempre ad
honor di Dio ,
e con principaliffimo fcopo
di giouare all' anime
de gli afcoltatori:
e di non
di¬ lettar' per
altrove non per
bauerli più frequen
ti in luogo, oue
pojfmo fare molto
acquifio , Fiuete nella
pace del Signor
e,e pregatelo p
me0 Di Cella
il primo di
Settembre . 1585. t
MODO DI COMPORRE
V N A
PREDICA. CUCITOLO ‘PRIMO.
Er fare una
Predica * la
pri ma cofa,che
fi liada fare,
è penfare in
qual genere fi
tro ua quello
argomento, che fu
hai da trattare.
Dicono i Rhctori,
che tut¬ ti
i generi fi
riducono à tre
: Dimoltratiuo, owe
fi loda,ò fi
vitupera: Giuditia!e,ouefi ac cu fa,
ò fi difende:
e Dehberatiuo,oue fi
per¬ suade, ò fi
difluade. Dciqualiil Dimoftrati-
uo rifguarda il
pafTato, & honoraro
-, il Giu-
ditiale il prefente,e
giufto ; il
Deliberatiuo ii futuro, de
utile. Ma oltretutti
quelli, fi troua
un genere di
oratione, che domandammo alla
greca, Di- dafcalica,nella quale
nè fi loda,
nè fi difen¬
derle fi perfuade;
ma s’infegna, onero
in fe- fegnando fi
efpone ò arte,ò
lcientia,ò tefii,ò commento, ò
altro. Noi, in
materia di Prediche,
à pena è
pof ubile. Nota.
Modo dì Comporre
fibile,c.he ci careniamo
entro a i
termini del Jecofe fopra dette-, perche
in tante maniere
fi ordifcono,& fi
fanno le prediche,
che pare che
richieggano moho maggior
numero di generi
che i fopradetti non
fono. Tuttauia prefu ppon
amo una cofa-,
cioè» che anco
i Rhetori nelle
orationi dcliberari- ue
lodano, difendano, Óc infegnano
: e nelle
altre parimente mifchiano
gli affetti degli
al tri generi.
Ma in ranto
titi’oratione fi chiama
tale,in quanto il
Aio principale feopo
è te le
$ non hauendo
pere ò rifpettò à quello, cheoc cafionalmenteiii s’infèrif’ce. .E
però diciamo, in quanto
al fine,ché tut¬
te le prediche
faranno b didafcahche,
ò non didafcahche'
iiquale fecondo membro
con¬ tenendo quello
che contengono i
tre generi communi
dell’oratione^con un fol
nome lo domandaremo.
Di rrtareria^e l’altro
didafea- ]ico.chiamaretno,Dj Vangelo:
e cofi tutre
le prediche che
fi po ranno
fare, faranno, òdi 3materia,ò
di Vangelo. Hora
cominciamo la diuifionè
di quelle, che
domandiamo prediche di
imareriafiequa h faranno
di tre forti*
Perche, ò trartaranno
una materia puramente, come farebbe
a di¬ re,
prc die re del
I >igiuno :
ouero loderanno un
Santo, come farebbe
à dire, predicare
in : .
• lode rtJ4
Tr etica. i
lode di S.
Pietro, ouero confuteranno una
He refia; come
farebbe il fare
una predica con¬
tro l’opinione di
Caluino intorno alla
Eu- chariftia. Equi
fi uede,chead ogni
modoui è la
proportione. Perche la
materia fimplicc è
in genere Deliberatili©, come quando
per- fuadiamoildigiuno. Lalaudedel
fanto,Di- moftratiuo : e la
vonfutatione deil’hcrefia» Giùdiciale.
Ma quello habbiamo
di più noi
predica¬ tori, di
quello, c’hébbero i
Rhctori, che alle
uolte c’oblighiamo a
trattare tutre le
dette co fe
j càuandole dal V
angelo,© dalla Scrittura
che corre: equelto
in due modneioè
tal hora da
un foì palio
del Vangelo, &tal
hcrada tutto il
Vangelo. E però
nafeono fei altri
generi, che fono
: trattare una
materia l'opra un palio del V
an¬ gelo, onero
canaria da tutto
i! Vangelo :
lo¬ dar un
Santo da un
palio del Vangelo,
one¬ ro applicandogli
tutte le clausole
de 1 Vange
lo ì abbattere un’opinione
heretica per un
palio del Vangelo^
onero inoltrando chetili
ti ipalfi del Vangelo
ia cònfuriuo. Si
pilò di più
da un iltelro
Vangelo da un
capo, ò da
tutto, cauar infieme materia,
e Tanto, &
abbauimerno d’ht retici.
Ma in fomma
li haueta tempre
lccchio a pria-
Modo dì Comporre
principale; e da
ql fine tutta
la predica uerrà
a pigliare la
detcrminatione del genere
fuo. Si come
ancora, fé bene
noi ci feruiamo
del Vangelo, ò tutto, ò
parte, & intorno
alle materie, Se a 1 Santi, &
agli heretici; non
pe¬ rò quella
fi domanda predica
di Vangelo ;
perche il principale
noìlro fine è,
ò la mate¬
ria, ò il
Santo,ò l’herctico; nè
adoperiamoli V angelo per
ifporlo principalméte,ma p
Ter liircene a
uno di quei
fini,c’habbiamo detto. Si
che le prediche
di materia adunque
(pi gliando predica
di materia pei
tutte quelle ehe non
fono di Vangelo)
non faranno mai,
più chenoue (orti, cioè
materia femplicetfan to
femplice: heretico femplice:
materia da un
capo del V angelo
: Tanto da
un capo del
Vangelo: heretico da
un capo del
Vangelo: materia da
tutto il Vangelo:
Tanto da tutto
il Vangelo :
& heretico dall
Euangelo tutto. L’altre
prediche poi, che Tono
di Vange¬ lo, Tono
quelle; oue noi
non habbiamo altro
principale fcopo,che di
efporre letteralmen¬ te,
ò mimicamente quella
parte della Scrittu¬
ratile ci fi
propone ; interferendoli) e
mate¬ ria, c
laude de Santi, e
cófutatione d’htrtfia, quanto
fi uoglia; ma
Tempre occafionaimen- te,
e non per
altro, che per ùpoirt
quel tefio. fi.
quelle arich’elleriopofsono elstre
di tre Ioni;
ma T re
dica. , $
forti; perche, oueramente pigliamo
ad efpor re con moire
opinioni, e conuarij
lenii od lina
particella, ò tutto il
Vangelo;ouerc(quel che è
ingegnofacofa) facciamo che
tutte l’al tre
clauiole del Vangelo,
concorrano ad e-
fporne una fola
principale : onero
correndo due Vangeli, come
di feria, e di
fella, ò Van
gelo, de L
pillola, come corre
ogni giorno, facciamo,
che uno di
quelli celli ci
(crua ad ilpiegare
o parte, ò tatto
l’altro. Coli, tolloche
li vorrà fare
una predica; in
unadelle due miniere
bilogna che iìa
; cioè ò
di materia, ò
di Vangelo. Del. e
quali contenendone la
prima noue, e
la leconda tre,dodici
lorti di prediche,
al mio giuditio,
fono quell e, che
fra tutte le
prediche del mon
do polfono trouarlì.
CAVITO LO SECONDO.
Rouato, che habbiamo in
quale di quelli
dodici generi, ò in
quale di quelle
dodici maniere uogliamo
q^c- formare la
predica noltra; lubito
fiftetu» habbiamo a
ridurre tutta la
predica ad una
ta q“c propofitione
fola, in modo tale,che,da
quel- ^ arcf,°
lapropolìtionein poi, ninna
cola lì dica
da noi principalmente, c per fe
della ; ma
tutto ‘ •
quello, Modo di
Comporre quello, che
(ì dirà, ferua
ò per introdurci
à quella prppofìtiontjò per
amplificarla, ò per pronarl?.,ò
per ornai la
j Se in
(omnia tutto o
mediata mente, ò immediatamente fi
apporti per lei
fola: in quella
maniera, che /uiftoti-
le , nella Poetica dice,chc
il joemanó è
lino, (e non
è una Pamone;
Se ogni poema
può be ne
hauere de gli
Epifpdi alfti, ma
alPultimp bifogna,che una
loia fìa la
cola ch’egli trat¬
ta: cornea dire, l’ira
dbrtchille;il pallaggio di Enea
in .ra!ia,e fimili»
Quando dunque io
uoglio trattare,per ef-
fempio, del Digiuno, non
balla quello ; ma pollo
in quella loia
materia fardiuerlc pro-
pofici ni, come
farebbe a dire
; II digiuno
è opra buona,
il digiuno è
meritorio, il digiu¬
no è lodisfattorio'jil digiuno
è antico, il digiti
no opera buoni
effetti; & altre
tali: delle qua
li, per fare una
predicajbifogna ch’io ne
pigli fc non
una-.altriméti la predica
non farà una.
E quella unità
di propolìtione,per parlare
logicamente,larà quando non
ui farà fe
non un loggetto,& una
pafiìone; come farebbe
à dire; 11
digiuno è antico:
non importandomi però
molto, le quella propolitione
lì pronun tij in modo
dienuntiatione,ò ir» modo
di que ftione.
Di enuntiatii ne
affitmatiuamente,co pie farebbe
à dire, Il
digiuno delie olferuat- vna
Tre dica 4
fi: ò negatiuamente,come, Il
digiuno non de ue
tralafciarfi,e di queflione,
come farebbe. Se
il digiuno delie
farfi ? Se
è ordinato da
Chrifto ? Seogn’uno
ni è obligato
? e limili.
Perche, fe ui peliamo
bene, anco la queftione
fi riduce all’ultimo
all’enuntiatione ò affer-
matiua,ò negatiua . Si
che à me
bada, che in ogni
predica turro lo
fcopo altro non
fia, che trattare
una fola paflionediun
fol fogg tto,
commuuquetu lo proponga;
ò per modo
di propofitione,ò di
enuntiatione,ò d alcro.Ma
applichiamo più particolarmente il
docu¬ mento alledodici
maniere. In una
predica di materia
fempliceper ef Tempio,
uolendo predicare dei
digiuno, pi¬ glierai
una fola propofìtione,
come farebbe a
dire; Il digiuno
è antico: oue
uediamo,che foggnto è
il digiuno; che
p.iflìoneè Tanti- chi
tà: ne altro
in tutta la
predica faremo, fe
non introdurci, ò
prouare, ò amplificare,
ò ornare mediatamente, ò immediatamente la
inherétia di qfta
p a filone
à quello foggetto.
Conunaauuertenza loia, ma
notabiliffi- ma;che potendoli
in materia di
digiuno eleg gere
la propofìtione, della
quale itogli roo
predicare, ò più
uniuerfale, ò più
particola¬ re; bifogna
cheauuertiamo molto benc,à
no pigliarla tanto
parti colare, che
non ui fian«i
pruoue * Modo
di Comporre pruoue
ballanti per empire
una predica ;
nè tanto uniuerfale,che non
ballino le principa
li fue pruouc
à rinchiuderli in una predica
di un’hora . &
in fomma bilogna
che facciamo la
cappa lecondoil panno, che
noi habbia- mo
: le habbiamo
molte cole, e lìamo
dotti af faijpolsiamo
eleggere le propoli tioni
quanto iìuogliapiù particolari, che mai
ci mancarà da
fare una ben
lunga predica in proua
loro. Ma fe
non habbiamo più
farina, che tanto,
farà manco male
à pigliare la
prcpolitione più uniuerfale
che fi può,
perche gran cola
larà, che fotto à
tanta uniuerfitì non
lì troui- no
pruoue,per empire fette,òotto
fogli. Ma di
quello bifogna che
ogn’uno ha giudice
nella propria caufa,
& fe s’ingannerà
farà fuo danno.
Io dirò quello
lolo-, che entrando
due co- fe
nella propolìtionej la
maggiore, ò minore uniuerlìtà
li potrà pigliare
hora dalla pana
del loggetto, & hora
da quella della
pafsio- ne,come farebbe
à dire. Dalla
parte della paf
/ione-, Il dig
uno è buono
.-quella è uniuer-
falilsima: e poi
di mano in
mano; Il digiuno
è opera Chrilliana,
Il digiuno è
meritorio, Il digitino è
fodisfattorio. Il digiuno
aiuta l’ora tionete
limili: lono tutte
propolitioni,che fi uanno
lemprc maggiormente particulari-. zando.
vna Tredici. j
Stando. E coli
dalla banda del
Soggetto ; Il
dì giuno è bnono: il
digiuno commandato nel¬
la Sacra fcrinnra
è buono :
il digiuno com-
| • mandato
da Chrjito è
buono. il digiuno
qua dragefimale è
buono: il digiuno
quadrage¬ simale lenza
ber vino è
buono: anco qui
lì uede, che
le cole fi
uanno lèmpre nStringen-
do. Di modo, che
ò. dalla parte
del foggerro, ò
della patlione, ò
da tutti due bi
fogna ch’al¬ tri
nell’eleggcre delia propofinone
Sopra del la
quale vuol fare
la predica , fi
faccia ò più
largo, ò pur
Stretto il follò
conforme al vigo¬
re, che fi fente
nelle gambe per
fallarlo: pure che
(come ho detto)
una loia fia
fempre la propofinone
che fi elegge.
Il medefimohabbiamo daolTeruare
quali do Semplicemente
ragioniamo in laude
di vn Santo;
cioè diterminare anco
qua una Sola
propofitione,alla quale tutto
il rimanete del¬
la predica fi
riduca, Se in
quella, Senza dub¬
bio, Soggetto fempre
lerà il Santo;
e pallìone quella
laude, che noi
gli uorremo attribuire,
come farebbe à
dire; Lorenzo fu
un gran Martire,
Pietro Su prencipe
de gli Apoft oli,
e limili. Auuertédo, che anco
qua, e dall’una,edal l’altra
banda fi potrà
allargare, Se ristringere la
propofiuone,come diceuamo di
Sopra. Ma B più
Modo di Comporre
più chiaramente dalla
parte della paftìone,
che da quella
del (oggetto: poi
che dicendo; Pietro
fu (amo, Pietro fu
Apoftolo,Pietro fu prencipe
de gli Apertoli,
Pietro fece la
più bella Confertìone
di Fede, che fi
facefle mai :
qui fi uede
efprerto il riftrìngiméto
della paf fione.
Ma come fi
porta riftiingere il
fogget- to effendo
Pietro vn’indiuiduo, non
pare co- fi
chiaro : untatila
fi riftringerà trattando
di lui,non fimplicemente,ma cófiderato
nel¬ la tale, ò
tale attione,come farebbe
à dire; Pie
rro in tutto
il corfo della
uitafuafu lodetio- Ie, ouero
Pietro nell’ Apoftolato, ò
Pietro nei martirio:
ò riftringedo di
mano in manotan
to più le
confiderationi,quanto
piùriftretta farà Pattione
di lui, che noi
confideraremo: e queftobafti
quanto al Santo.
Nel confutar l’heretico
femplicemente,bi fogna hora
hauerc un poco
più di confiderà
tione; perche fe
ogni uolta.che noi
trattiamo materia impugnata
da heretici, noi
credem¬ mo di
trattar quefto terzo
genere,bifognereb bedire,che tutto
quello che t lattarti mo
mai òdi materia, òdi
fante, òdi Vangelo
forte di quefto
genere; non cflendoui
hormai co- fa
nella Theologia facra,che
non fia ftata
i m pugnata
da qualche heretico.
E però dicia-
fhofare unapredica contro
l'heretico,airho ra,chc rnaTredìca.
2 ra,che rutto
lo fcoponoftro è
il «firn cftrare, che
le ragioni, le
quali egli ha
adoperato a fortificatela
fua,& abbattere lanollra
opi- nione,lbno lontane
ò dal nero,
b dal iterili-
mile. Dimodoché la
predica contro i’hcre-
tico è tutta
quali confutatala, &
ha pochifiì- mo
della confiimatione. Pereflempio
; prc-' dicando
io II digiuno
quadragefimale do- uerli
olferuare : quella
fe bene è
di materia, che
ha negata Pheretico,e
le bene predican¬
do, incidentalmente io
confuterble ragioni di
lui, ad ogni modo
efiendo mio principale
intento il confermare
la materia, ch’io tratto,
e non il
confutare chi l’impugna,
come dal fine
diceuamo già che fi
denominauanci ge neri, coli
quella predica non
farà contra he-
letico, ma di materiata
doue,fcper mio prin
cipale intento predicafii
; Che le
ragioni di Caluino,addotte contra
il digiuno lono
fal- fe: quella, propriamente farebbe
contra l’he retico, perche non
haurei per mio
fine confir matione
alcuna, ma confurationc fi
bene . Er in
quella ancora bifegna
come nelle due
pallate eleggerli una
propofitionc fola, quali
centro di tutta
la predica :
come fareb¬ be
a dire; Le
ragioni da Caluino
addotte co tra
il digiuno elfer
falfe. Hauendo l’occhio
anco quà, ad
allargar- B z
la. Nodo di
Compone la,o ftringerla
come diccuamo di
fopra,oue ro dalla
parte del /oggetto,
come farebbe a dire
, Gli
hererici fai fame
me impugnano il
digitino: gli hererici
moderni falbamente ini
pugnano il digiuno
:i Camini Ari
falbamente impugnano il
digiuno: Befa falbamente
imo- pugna il
digiuno ; e
limili : onero
dalla par¬ te
della palììone,come farebbe
; Bela falba¬
mente impugna le
opere lodisfatroric,ò,il di
giunoquadragelimale: òcofi difccrrendo.
E infili qui
aliai habbiamo detto
de i tre
ge¬ neri {empiici ,
che chiamiamo di
materia, cioè della
materia fimpiice, del
Tanto, e dcl-
l’heretico. Faci! cofa
farà hora,il trattare
di quelli me
definii congiontijò con
palio particolare del
Vangdojò con tutto
il Vangelo. Perche
do- uédoli anco
qua per la
regola infallibile eleg
gere una propolitione
fola, dalla quale pen¬
da tutta la
predica; il modo
di farla, farà pi
gliando dalla parte
del (oggetto tutto
quel¬ lo, che era,
e loggctto,e predicato
ne5 generi {empiici:
e poi dalla
parte della paflìone
mec tendoui ò
il palio dei
Vangelo, ò tutto il
Van gelo,chetu vuoi
applicare. Per eflempio:
la materia (èmpliceera -, Il
digiuno deueoflcr- iiarfi
: piglia tutto
qnello e mettilo
dalla par¬ te
del loggetto, dicendo,
In rutta quella
pre¬ dica ima
Predica. 7 dica
mio fcopo farà, il
dimollrarui,eomeche il digiuno
debba oflferuai lì, uiene
eccellente¬ mente prouato
dal tal palio
del Vangelo. Nel
lanto,propofitione era quella-,
Pietro è prencjpe
degli Apolloli: die
a fi hora;
Pietro efi'ere prenci
pe de gli
Apolloli lo prona
eo- cellcntemente quello
tal palio del
Vangelo. Centra l’heretico,propofitione era ; Befa
fai famente impugnai! digiuno:
dicali adcfIo , Befafalfamentc impugnare
il digiuno, que¬
llo lì prona
dal tal palio
del Vangelo p mol¬ te
vie: dico per
molte uie, perche quelle
vie faranno poi
quelle, lequali ci fatano
le argu- mentationi
da finire tutta
la predica. Mà
non fiamo ancora
arriuati tanto atlanti.
'•Per bora quello, che
ho applicato a
unpaf- fo del V
angelo,applichifi a tutto
il V angelo* e
dicali ; Il
digiuno doucre ollèruai li; Pietro effere
principe de gli
Apolloli; Bela falla-
mente dannare il
di giuno ;
la tale ò
la tale di
quelle cole, li
proua marauigliolamente nel V
angelo d’hoggi: e
di quella maniera
fi for¬ ma la propolìnone
de’ generi limplici con
l’appiicanone del Vangelo.
E fe douedice-
ui : ;
il tal palfelo
proua per molte
vie dirai, il
tal Vangelo lo
proua per molte
claufulc, hauerai ancora
apparecchiato il fondamen¬
to di tutta
la predica :
ma quello fi
ucdrà poi b ) pii)
Modo di Comporre
più chiaramente. Reftanohora
le fole prediche
didafcali- chc,chc noi
domandiamo di Vangelo:
nelle quali ancora, bifogna tirare
ogni cofaad li¬
na propofitioncfola(che quella
è certa,eper petua
regola,) ma come
fi pelli fare, qua
( al mio
giuduio) è molto
maggiore difficoltà i
perche efponendofi tutto
il Vangelo ;
firapli cemente,tante pare
chefiano le propofitio*
ni,quante fono le
c!aufule,che fi efpongono:
nè fi può
facilmente uedere,come tutte
infie meuadino à
leruircad una fola.
E pure chi
eipone un Vangelo
àclaufula per claufula
fenza ridurlo ad
unità ; al
ficuro fa bene,
ò parafrafi,ò commcmojma
non già oratione,
ò predica. Tuttauia
diciamo, che eflendo tre i
generi di quello
didafeaheo; cioè e/pofitione
di un V angelo
fo!o,di un palio
con il Vangelo
tut to,e di
uno Euangelo con
l’altro : ne
i dueul timi facddlìmacolaè atrouarela
propofitio ne fondamentale
della predica: perche
dicc- do noi-
la tal claufula
de! Vangelo fi
moflra uera pertilrtel’altre:quefta è
lina propofitio- ne
ioli 'aquile da
tutte l'altre c'pofte
nel ri¬ manerne
della predica u
enead elfer confer¬
mata^ dicendo •
quello Euangelo ha
ma» rauighola conformità
con quell’altro : anco quella
i ma Tredica. -
4 quella c
una fola propofitione, la quale
rice- uerà confermatione
da rutto quello, che
fi di rà:
per esempio; Ego
principium,qui &lo- quor
vobis: che Chrifto
fia principio, come
dice quella claulula,uoglio prouarlo
c5 tue te
le altre claufule
del V angelo. Ecco
la prò pofitionc:
ecofi farà dogn'altra
: e di
Vangc lo con
Vangelo ; come
facilmente portono intendere
li mediocremente esercitati.
Quello che pare
difficile, è la efpofitionc fimplice
di un folo
Vangelo : tuttauia
bifo- gna confiderare, che tutti
i Vangeli, che
fi ci propongono,
ò faranno dottrina,
ò faranno hiftoria>ò
mirto. Dottrina, come
farebbe ì dire,La fefta
feria delle Ceneri:
Diligiteini- micos veftros,
fin al fine .
Hiftoria, comedi quinta :
Cum introirtet Iefus
Capharnaunif fino al
fine. Mirto, come farebbe
il giorno di
ogni Santo: Cum
afeendirtèt Chnltus in
mó tem,&c. Beati:
e quello che
feguita. Noi hab
btamo prima a
dirtingucre, quale di
quelle cole ci
uenga per le
mani. E poi,feè
dottrina, pigliarono lo
feopo da quella
dottrina, che quuii fi
tratta, come farebbe
a dire ncll’ellèmpio
allegatola pro- pofitione
fara; che i
nemici s’habbiar o
da a* mare, il
Vangelo d’hoggi lo
moftra : Neba-
ftarebbe a dire,
il nemico deue
amarfi; per¬ ii
4 che Modo
dì Compórre clie
a quello modo
la predica farebbe
di ini teria,e
non di V angelo.
Ben fi potrebbe
dire» che anco
la propofitione formata
da mela¬ re
più ro fto p
to po fi c ione
di materia, applica¬ ta
al Vangelo tutto, che
propofitione di Vali
gelo lécito quiul
tratta materia, e
però non poteuamo
procedere altrimenti. Se
farà hiftoria Quella, che
fi tratta nel Va gelo,procureremo dùconofcere
quale virtù, ò
quale qualità dell’agente
fi moftri princi-
palmentepef quella hiftoria,e
dicendo quel la
qualità prouarfi dalle
attioni di quel
Vati gelo haueremo
formata la propofitione:
co me farebbe
nella hiftoria di
Cafatnaum: le uoghamo
pigliare il Centurione
come agen té, potremo
dire- quato polla
la fede del
Ccn turione, lo moftra
per molte claufitle
quello Vangelo : e coli
potremo poi aggiungere
nel le argumentationi -,
Perche Cimilo uienea
lui, perche lo efaudifce, perche lo
lauda, &c. onero
fe uogliamo pigliare
per agente Chri-
fto,potremo dire, quanta fia
la bontà di
Chri ftoj'io moftra
quello Euangelo: e poi nelle
ar gumentationi foggiungere:
perche uiene al
Centurione, perche Tana il
ferito : e
limili co¬ le, le
quali elponendofi da
noi, ci fatano infie
me efporre tutte
le claufule del V
angelo, e tut- rcnondimeno
indrizzatead una proaa
fola* Ma vna
Tredìca $ Mache
fihauerebbea fare,quando in
uft V angelo, fi narraflero
due hiftorie,conie fa¬
rebbe a dire
in quella Domenica,
che fi leg¬
ge l’hiftoria del
Centurione, e quella del
I e- piofo,in
tal cafo,una delle
due cofe potiamo
fare ; ouero
efporne una fola,
al modo che
diceuamodi fopra,enon far
menti orie del¬ l’altra, ouero trouare
quello agente, che è
co¬ mune a
tutte due, e
trottare quella qualità
di lui, che da
tutte due l’atfioni
mene prenatale tuttoquefto
mettendo per (oggetto,
di re, che
uittoquefto fi prona
da tutte due
i’hiftorie, come farebbe
: Chrifto efi'er
potente lo pro-
uano i due
miracoli del V angelo
d’hoggi. Retta il
mitto folo, oue
fi narra dottrina
& hiftoria infieme,c
quitti ò la
maggior par reè
hittoria, ò la maggior parte
dottrina. La maggior
parte hittoria come
nel Vàgelodel Centurione, (e doppo
tutta quella attione,
ag giungiamo, Multi
ab Oriente,& Occidente
venient. E la
maggior parte dottrina, come nel
Vangelo d’Ogni fanti
; oue doppo
bai¬ none d’afeendere
nel mote fi
narra tutta quel
la dottrina, Beati,
dee. Se la
maggior parte è
hittoria, pigliaremo lofeopo della
hittoria, come farebbe adire;
diritto efier buono,
lo moftra rutto il
Van¬ gelo, perche uiene
al Centurione, perche
fa- na Modo
di Comporre na
l'infermo, perche lauda la
fede, e di più,
perche egli none
partiale, onde foggiunge.
Multi ab Oriente,
& Occidente uenientrc
coli hàueremo niellata
la dottrina a
prouare l’hirtoria. Mà;fe
la maggior parte
farà dottrina, bi¬
sognerà pigliare lo
fcopo dalla dottrina,
e procurare,chc quelle
poche anioni anco
lo¬ ro, almeno
per lenfo morale
cammino all’i- ItelTo
fcopo, come farebbe nel
Vangelo d’o- gni
fanto : il
modo di acquiflar
la felicità lì
mortra nel Vangelo
d’hoggi. Ecco la
propo linone; equeftolì
fa daquel!i,che flem, che
funt m;tndi corde, che
perfecutionem patiun tur,&t.
E di più
da quelli, che
con Chrilìo afeendunt
in montem,cioè contemplano;
leder, cioè li compongono
l’animo; aperiunt os,cioègionanoal prortìmo:e
và difeorrédo. Si
porrebbe qua dubitare, fotto qual
gene¬ re andaiTc
la parabola ;
ma no è
dubbio,che è dottrina,
e che ha lo fcopo
chiarirtìmo: lì chetrouando
il fuo Icnfo
litterale,ilqua!e no è
quello, che le parole
fonano: ma che
princi palmente ha
incelo Chrirto(come in
un trat- tatello
apporta habbiamo dimoftrato
noi) facilillima colà
le rà il ridurre
anco il Vange-
lo della parabola
ad una propolìtione
fola. E coli
habbiamo già fatto
due cole impor
tantif- vna Tredica
6 tantilfime nella
predica : cioè
imparato a co-
nefcere il genererei
quale uoghamo dire-,
& in ogni
genere aformare quella
propoli- none, che ha da dare
unità alla predica, e
lo- pra alla
quale fi ha
da ergere tutta
la machia na.
Cola infin qua, che
tutta fi può
fare len¬ za
libro, e lenza
lume, penlando folo,
ò nel letto, ódoue
fi uoglia :
perche fin qui
non fi ha
di bifogno d’altro, che
di fefteflo. CjI
titolo terzo. F
Atto quello cominciamo
ad hauer bifo¬
gno d'altri, che
di noi medefimi,
cioè di molti
Libri da i
quali noi pofsiamo
calure i concetthche
prouano,c che c’introducano
al la propoli!
ione, che ci fiamoeletta;
in quella maniera,
che doppo hauet
altri propofto di
fabricare nella ciuà,e
di farcafa nella
tal for ma,bifogna
poi ch’egli entri
nella fornace a
prouederfi di piarre,enel
bofeoa procacciar fi
tauole, & in
lemma ad apparecchare
la materia dell
edificio luo. Coli
bilogna, che noi
entriamo nella! ìbrarianolìrra.echequi- ui
procuriamo da tutti
i libri c
habbiamo,di cauare,e mettere
in diparte quali
una lelua, di
tutu quei concetti, che
ci hanno aferuire
«ella propofta materia.
Modo di Compórre
Nè fenza proposto,
tutta quella raccolta
de concetti noi
la domandiamo felua:
per¬ che mentre
bandiamo cauando, l’andiamo
ancora diftendendo confulamente, quali
fel- ua,ò bofeo
in un poco
di carta, infin a
tanto, che djtponendòla
poheome diremo, la cotti
partiamo, e ne facciamo
giardino. É certo
quanto a quello
meftiero del pre¬
parare la ielua,farebbeforfi meglio
il non ne
dare regola alcuna, fe
non dire, che
ogn’uno da quei
libri , ch’egli tiène
apprefio, cauafie quella
maggior copia de
concetti a fuo
pro- pofito^hegli potelTe-
fèfdaU’altro canto noi
non hauefsimo molta
uoglia di giouare
in ogni minarla
a principianti :
di maniera, che anco
in quello deliberiamo
( fuccinramente però
) di dire
loro tre cofc;
cioè quali libri
deueno procurare di
hduere7- in che
maniera deueno fare
a cauare i
concetti r e
finalmeri te nel
cariargli, con qual forma
denno ripor¬ li^
legnarli in quel
pezzo di carta,
oue fan¬ no
la ielu a. - k prima,
quanto a
i libri, fe
alcuno fe rà il
quale habbia modo
d’hauerne quanti vuole,
io lenza dubbio
lo con figlierei
a pigliare tue
ti quelli, che troua,
principalmente ecclefia- ftiei;
e bafsicuro,che la
copia de i
libri è quel
hjche principalmente fra tintele
cofe,fuole fare ma
Tre dica. r
f fare honore
a chi compone
: hauendo io
per regola cena,
che a e
h' ft lidia
e vuole impara
re, baita un Libro
iole: ma a
chi ferine, e vuo
lcinfepnaremonel'ene baftano mille.Si
che i-’ habbianft
pure de i
Libri, e legganfì timi:per
che all’ultimo tutti
inft^nano. E le
in cento uelre,chetufai fe!nc,una
uolta fola tu
troni un concetto
notabile: il Libro
è pagato, e
la fatica è
ricompenfata con grofsifstma
vfura. Mafenonha il
modo di hauere
appretto di fe
tanta copia di
libri, anzi non ha
pur il modo di hauerequei
due ljbn,che a me pa¬
re che contenghino
tutti gli altri, in
materia di Scrittura
facra,cioè il Toltalo,
c Nicolao de
Lira: anco a
quello, a mio guiditi©, fi
può dar forma
come con pochi
libti,epocalpefa egli habbia
in cella da
potere affai abor.dan
temente fcrmerein ogni
genere di predica,
ch’egli faccia. Percioche
acuendo tutti i
con cetti c fiere
ò di fcrittura,
ò di materia,
ò di fanto,ò
córra bere tici; fop'rala
fcrittura prin
cipalmentenoua ( poiché
fopra quella oidi
nanamente predichiamo) a
me ballerà, che
habbia due libri
foli, cioè la
Concordanza marauiglio/iisima di
Janfenio, e la
Catena aurea di
San Thomafo • ma feè
pofsibile,fia quella flampata
a Parigi dal
Sommo, che ha notati
in margine, non
folamente i nomi, ma
i luo- Modo
di Comporre i
luoghi ancora minutifsimi
de gli autori.
Perche in quello
modo fi ftudia
infiemein- fieme,e ferittura,
c Padri, &
eficndo quelle annotationi
fidelifsitnej mercè d’nn
libro fo- lo,
tu n’alleghi in
pergamo più di
mille. Quanto alle
materie, principalmente fara¬
diche, (poiché non
demo edere predicate,
come fi disputano)
a me pare
che baderà ha
uere il fido
tefto della Somma
di S.Thoma- fo,e
fe fu db
pofsibilc quel bel
Rofario di Pel
barro, che dice ogni
cofa,& c gni
cola chiarir fimamenre.
Per le prediche
de fanti, poiché i
libri de gli
antichi, che in
diueifi luoghi nc
ragionano, non pofio facilmente
hauerfi, ba¬ derà per
hora hauercildottifaimo, 6caccu-
ratilsimo Martyrologio di
Monfig.Galefino e quello
che uè dice
il Breuiario :
cofi come contra
gli herctici,a me
pare, che non occor¬
ra hauer altro,
che Alfonfo de
Cadrò. Ben haurei
caro,che fi haueffero
poi certi libret¬
ti di cofe
communi, che infinitamente gioua- mo:
come farebbe ;
Excmpla ▼irtutum,& vi-
tiorum: gli efempi
di Marco Mando, fimih-
tudines Sacra: fcripturae:
Stimma Concilio- rum^ limili:
Mi piacerebbero ancora
perla uarieti delle
cofe, che contengono la
Biblio theca di
Sido,& il Decreto, intendendo fem
f re qucllo,fcnza
che no fi
può fare,cioèuna Con-
ma T redica.
$ Concordanza della
Bibbia* &‘una Bibbia
ftelTa-, la qual
Bibbia, s’è pottibtte,
habbia quellatanola di
materie, che fi domanda
In¬ dex Biblicus,e
quello quanto a
i Libri. Il
modo hore di
tifarli per cariarne
i con¬ cetti,
può elTertale,quale ogn’uno trotta
che più ferita
a fe fletto
: con tutto
ciò io ttonei
prima, che non fi
comprale mai libro, ilqua
le non hauelTe
tattole perfetcìlTime ;
almeno due,quella che
fi domanda delle
materie,e quella de’ luoghi
della fcrrttura :
e poi farei
una diftintione di
quefto modo-, che
tutti i li¬
bri, ò trattano la
fcrittura ex profello,
e per modo
di commento, come Nicolao
de Lira, come
il Gaetano, come Bonauentura
in Lu¬ ca^
limili: onero fanno
fermonì,&: homelie fopra
diterminati pafsi ò
diterminati Vango li
della fcrittiirarouero trattano
diterminata-
mentematerie,oueroinogni
materia fanno profeffione
di taccoglicre molte
cofe da dir¬
li. In ogni
cafo^quelli che trattano
la fcrittu- ra,ui
mifchiano materie, e
quelli che tratta¬
no materie, efpongono
incidentemente mol ti
luoghi della fcrittura:
fiche douendo tu
fare una predica
di Vangelo, potrai
uedcrc tintigli Autori
difcrittura,one trattano quel
Vangelo ex profcfio,
e poi loro
medefimi, c tutti
quanti libri hai
in cellajnellctauole del
le Modo di
Comporre le fcritture,per
uedere,feincitlentemente,ri©
hanno mai fatta
mentione: e dall’altro
can¬ tone non
tratti Vangelo, ma
materie, ucdrai prima
quelli, che trattano apoflataméte
quel la materia;
e poi loro
flelli,e quanti ne
hai in cella, nella
tauola delle materie,
per uedere, feàcaìo,&
à proposito d’altro
ne hauelTcro ragionato.
Vedrai di più ne i
libri dei luoghi
com¬ muni, come
farebbe, d’efempi,
d'hillone, &C altro, fe
alcuna cola fa
per te,& anco
quella riporrai; oltre
che non Sdegnerai
i libri ferir
ti à mano,
che tu ti
trouafli,anco fattida te
fleffo,e finalmente dall’indice
bìblico pi¬ glierai
ciò che torna
à tuo pi opofito: lafcian
do per ultimo
la Coneoi danza
della Bibbia; laquale,fetu
faprai fermitene, baderà fola
à darci materia
per mille prediche
in qual fi
uogliafuggetto, il modo
di ferui rie nc,lo tratta
chiaramé- te Siilo
nella fua Bibliotheca,& ioperhora
non dirò altrove
non ehe è
nelle concordali 2c,&
in tutte le
tauoje delle materie,
per ri- trouare
quello, che fa à
propofìto noftro, hi-
fogna ricercare due
luoghi; cioè il nome
del fuggetto,e quello
della pafficne,che noi
uo- gliamo trattare.
Come farebbe, udendo pie
dicare,Che il digiuno
è buono, nella parola
Zeiu- yna Vredlca.
1 3 ' l£Ìunium,c
nella parola, bonus
ò bonm ,
fi troueranno tante
auttorirà da farci
ftiegliar rintellettoà produrre
cócetti aprcpofitoao tiro, che
pur troppo balleranno
per ogni lon
ghislìmo ragionamento -auuertendo
di piti, che
doue per non
edere i ragionamenti
fim- plici,noi del
(oggetto, e della
pasfione del fi
triplice ne facciamo
un (oggetto Colo
del nó fimplice-,
all’hora nelle Concordanze, e nel¬
le tauole dJla
materia baderà a
cercare i due
termini del luggetto,
lenza hauer punto
d'oc chio alla1 pasfione, come
farebbe à dire
in I quella
pròpofitione: Il digiuno
efier buono, •
fìmoftra dairEuangelo d’hoggi:
ballerà à trouare,il
digiuno è buono,
lenza penlarad l
altro : &
unmevlalmente bilogna metterli
à cercare quel
(olo, che noi
crediamo ditto- uare,echeci
polla leruire. Ma
quanto ai co
certi, che hanno dàcauarfi,
ognuno lo laprà
per auuentura far
meglio da (e, che
non lap¬ piamo
infognarlo noi. Rella
il modo, col quale
debbiamo nota re
lopra un pezzo
d carta (per
dir coli) tutto
ciò,che noi trouiamo,che
lenta a noflro
pio ì« polito.
E quello bili
gna farlo in
modo, che !
non fia, nè troppo
difiinfo, nè troppo
llretto. Alcuni ui
fonojiquali notano folamente
i fo gli
del libro, oue
fi troua il
concetto , lenza i
C dire Modo
dì Comporre dire
che concetto egli
fi fi are quello c
tanto come niente;
perche bifogna poi,
che tu tor¬
ni Tempre al
libro; oltre che, pigliando quel¬
la felua in
mano,e non fapendo
tu, che con¬
cetti fiano quelli, non puoi
in’zlcun modo co
partirli, fegià ellendoui
(olii numeri, non
ti dilettasi di
fommarli,ò di moltiplicarli. AL
tri ni Topo, iqu ali
longamente Tcn nono tutte
le parole, etal'hora le
pagine intiere di
quelli autori;onde cattano i
concetti. E quello
fen za dubbio
è più utile
modo,che non è
quel- l’altrojmai di louerchia
fatica, e bifognareb be
hauer da fare
una predica l’anno, ò
poco più. I
terzi fcriuono il
concetto concilamen- te,malcriueno
di più il
numero della pagina
d’onde l’anno cauato, rimettendoli lempre
a rinederlo;e quello
certo è modo
aliai uicino al
perfetto,maionon
vorreijfinitac’holafel ua,hauermaipiùariuederei libri; e
uorrei potere con
quella fola carta,
oue ho fatta
la felua, anco
in campagna, o
caualcando, fa- bricar
la predica mia
. Con tutto
ciò non è
Tempre posllbilc; e
però dico, che quando
in un libro
tu trouerai un
concetto lolo,e quel
concetto tu lo
vuoi apportar per
tuo, ò alme¬ no
non vuoi nominare,
dotte l’habbia catta-
■$o,quiui non accade
far altro, che feri
nere Ti Tlelfo
concetto in manco
parole, che tu puoi,
tanto rnaTredìca. 14
tanto che tu
folo l’intendi. Se
poi ò neli’jftef-
fo,ò in altro
libro troni un
fol concetto, e
ti pare,che allegando
fautore tu gli
dia graui- tà,e
nputatione- all’hora metterai
nella felua il
concetto in breuisfime
parole, & il
nome decatitore, con
il Juogo,oue egli
lo dice, ma quello
con nome di
trattato,© libro, o
home lia,ò fimili,e
non per numero
di foglirpercio che
al fi curo
in pergamo non
dirai, come di¬ ce
S.GrifoSSomo a fogli
105. equefto allega
re l’autore, deue
farli principalmente, oue
i concetti, ò
fono deboli, b molto
communi; perche aiutati
con quel nome
antico, paiono da
qualche cofa. Occorre
anco alle itolte,
che fiamo necessitati
à portare, non
Solo il concetto, ma
l’iftelfe parole del
lanto,ò del¬ la
Scrittura; principalmente nelle
controuer- fiecongli heretici,& all’hora
bifogna nella felua
fcriuere il cocetto,e
con le parole
itter¬ ica con
il nome dell’autore;
oltra il che,l’ul- tima
cofa, che può auittfnireè, che noi
Stab¬ biamo bifogno
nella predica di
dire molti, e molti
concetti tutti feguenti, di
qual fi uoglia
autore: come farebbe
luoghi communi;& al
l’hora, perche il difenderli
tutti nella felua,
farebbe troppo fatica;
douendo tu formare
la predica, oue fi
troua fatua libraria, me¬
glio è,che tu
legni il luogo
corninone folo, G
2 elle Modo
di Comporre che
tu hai da
trattcre,con il nome
dell'auto-; re, e con
il numero de’
fogli. E coli
tutti i capi
della felua, ò
faranno concetti Empiici,
ò concetti col
nome del¬ l’autore, ò
concetti col nomee
con le parole
dell’iftelFo autore, ò
folo nome dell’autore,
con numero de’fogli,&: in
quello ultimo ca-
fo fol amente, farai
affretto di tornare
a riue- dere
i libri, ballandoti intinti
gli altri la
tua felua fola.
Ma per non
lafciar mancare minutiaaicti
na in quella
materia,uorrei anco due
cofc da te-,
Puna,ch’ogni concetto della
felua comin ciafTeda
capo, come fanno i
verfinei Poe¬ mi,
ò che egli
cótenelìe una linea
fola,ò più, che
quello non importa:
e raltro,che inanzi adogn’uno
dei concetti, tu glimettesfi
ilnu mero fuo
per ordine, cominciando
1.2. ?. 4. &c. non
perche con quello
ordine debbia¬ no poi edere
dirteli nella predica, ma
per un* altra
cofa, che lì dirà
poi. Perertempio; {In¬
diando la materia
del digiuno Quadragli-
male,trpui quello concetto, Il
Digiunoè co¬ mandato
nei Canoni degli
Aportoli: e que- ft’altro,
Moisè Digiunò quaranta
giorni: e queftaltro, Spiridione
diede delle carni
ad un amico
fuo di Quadragefirua
: cqueft’al- tro.
La Quarelima li
fa à tempo
di Primaue- ima
Tredica. 1 5 rat-tutti
quelli concetrfiperchegli hai
trottati con quell’or dine,tu gli
difenderai nellatua felli
a con quello
i/lello ordine, e con
i nume¬ ri
aitanti. 1 Digiuno
nei Canoni degli
Apolidi. 2 Moisèqiiaranta giorni.
3 Spiridione carni all’amico.
Sozom. 4 Quadragefima
di Primauera. Non
ceno, perche con quell’ordine
tu gli babbi
à difendere , perche
non ui farebbe
continuationealcuna-, ma perche
tutti quelli numeri
ci faranno poi
grandislìma utilità nel
compartimento della lelna;
Et infin quid
è detto aliai
del genere del¬
la predica, della propofitione,che debbiamo
eleggere, e della
lelna, che debbiamo
fare: nelle quali
tre cofe,s’io non
errojs’inchiudc tutta quella
prima parte della
Rhetoricas che gli
autori domandano, Inuentione.
CAVITO LO OVATTO.
I come apparecchiata, c’habbiamo la
materia dell’edificio, fuccede»
che noi bandiamo
cópartendo per diuerfi
appartameli della fabrica,
c’habbiamo da fare
: cofi congregata,
c’hab¬ biamo la
felua de i
concettala prima cofa, C 3 c’hab-
Modo di Comporre
Gabbiamo a fare,
è corrergli tutti, tre
ò qua- tro
uolte attentisi! inamente, e coli
alla grolla del
iberare fra noi
ftcslì, quali di loro
voglia¬ mo, che
Ternano alle dillmte
parti della pre¬
dica c’habbiamo a
fare. E però
qui dfendo luogo
da dire col?
iti generale, quante
fono le parti
della predica; io
per hora ni
dico, che non fono,fe
non due; cioè
una inanzi alla
propoli tione,&: vna
dop po. Vna
cioè con la
quale c’iniroduchiamo a
peoporre lacofà che
uogliamo prouare e
perfuadere : e
l’altra, con laquale prouiamo
, e pervadiamo
quello c’habbiamo propolto;
di modo che
per hora concimiamo
due par¬ ti, l'una
laquale chiamiamo introduttione, e
l’altra prùoua. Ma
bifogna faperc,che di
quefte due, vna
è più principale
dell’altra,e quella molto
più occupa della
predicabile non occupa
l’altra. Perche Pintroduttione nel
principio della predica
con poche claufole
lì Tpediiceja do-
ue propollo quello
che uogliamo trattare, tilt to
il ragionamento rimanente
lì confoma in
pruoite. E Te
uogliamo anco diTcendcre
à mi- nutie
sìgrandirOue per elfempio,
vna predi¬ ca
deue ltenderiì tutta
in otto pagine;
di que¬ lle
una fola ballerà
per la introduttione, al
puìjepoi fatta lapropolìtione, e
diiufain ma Tredici,
\6 poche parole ,
come diremo più
baffo, tutto il
rj manente il
di fpenfa in
pruone. - E
però quando habbiamo
la felua in
ma¬ no; la
più importante cola
è il trottare
quale di quei
concetti habbiano da
fermici nella pruoua;
che del retto
il trouar concetti
per far vna
introduttione è cola
molto facile ... Et io per
me vorrei , che
da principio ,
fcn- zahauer punto
memoria dcll’intiodutno- ne,comcfe
non fi hauelìcà
fare, tutto IqIco
po del componente foffejciegliere dalla
lei- ua quei
concetti, i quali
pottòno immediata mente
prouarela lua propofitione. Dico, immediatamente, con molta
ragio¬ ne, parche
farà facil cofa ,
che nella felua
vi fiano molti
concetti, i quali poffono
adattarli anch’eglino, à
pronare dalla lunga
quello, che vogliamo
dire. Ma quelli
non lotloquel li
à quali dobbiamo hauere principalmente l’occhio.
L’importanza è da
principio tro- uarne
alcuni pochi, i
quali immediatameu- te
pruomno la propofitione,
Se à quali
come à capi
di (quadra, fi
riduchino poi quali
tut¬ ti quegli
altri che fono
nella felua; e
quelli principali per
le caule, che fi diranno poi
più à balso,
non doueranno eisere
manco di due,
ne più di
quattro, fe ben
alcuni ne kanno
concefso fino à
cinque ; ma
io, come C
4 dico. Modo
di Comporre dico,
vorrei per l’ordinario
che fullero tre*
e Te pure
eccedeffero , che
non pa(TafTero: quattro .
' Per elfempio ,
nella lelua di
quella pro- polìtionc,
Il digiuno quadragefimale deue
oderuarlì, dite voi
che tra gli
altri , ci
fono quelli concetti .
i II digiunoquadragefimalefu figurato
nel l’antica legge.
z II digiuno
quadragefimale gioua anco
al corpo. 3
11 digiuno quadragefimale è
de iure di¬
ttino. 4 II
digiuno quadragefimale macera
ht carne. 5 S.
Francefcodigiunaua più quarefime.
6 Moisè digiunò
quaranta giorni. 7
Molti Concilii commandano
il digiuuo.- 8
Telesforonon fondò il
digiuno quadra- gefiraale,ma
altri inanzi à lui
. 5?
Il digiuno difpone
all’oratione i o S. Amb ruogio
dice^che il non
digiunare laquarefima, è
peccato mortale. Di
quelli concetti , non
vi è dubbio,
che quali tìttti
pruouano la propofirione
, ma non
tutti la pruouano
immediatamente, percioche il
dire , Il digiuno
quadragefima¬ le è
de iure dittino,
dunque bifogna farlo
vm Tre dica
17 quella fenza
dubbio c immediata
. Ma^I dire,
Moisè digiunò quaranta giorni,
dun¬ que bi
fogna fare la
quarefima , quella al
fi- euro non
conclude immediatamente; per¬
che l’i Hello
Moisè fi circoncife,
e pure non
habbiamo à circonciderli
noi . Si
che le quello
concetto ci hadaferuirc
per prouare la
noflra propofìcione ,
bi/ogna ridurlo *
qualcVn altro concetto
commune , che
im¬ meditatamente la
prnoui ; come
ferebbe , Il
digiuno quadragefimale ,
antichiffima mente fu
lempre o {Ternato
, o figurato;
e chefia vero,
anco Moisè digiunò
quaranta giorni :
dunquefaciamlo. Trouaremo ancora
nella felua noftra
al¬ cuni concetti,che
prouano immeditatamen¬ te
: ma perche
fono molti di
loro, che fé be¬ ne tutti
immediatamente p ruoiiano,
tutti non dimeno
pruouano per vna
fola ragione for¬
male: però tutti
quelli fi hanno
da ridurre à
vn capo folo
, come farebbe
à dire ,
Il digiuno macera
la carne ,
dunque digiut- niamo
. Il digiuno
aiuta boranone ,
dua- que digiuniamo:
tutti due quelli
concetti t prouano immediatamente, ma
tutti due pel? ribella
ratione dell’vtilità ; e però
tutti due,* gli
altri di quella
forte, hanno a
compréderfi tutti, lotto
vna pruouaccmmune, cioè, Chf
il di- Modo
di Comporre i!
digiuno è vrìle,
e però deue
farli . In fomma
bifogna considerare nella
felua molto bene,
di cattare fé
vi fono diftintamcn
se, o di
formare tre capi
foli, che pruouino
la no lira
propofitione; e pigliarli
tali , che lotto
di loro pofsano
diflribnirli in tre
claslì» o tutti
i concetti , o
la maggior parte
de con¬ cetti
che fono nella
lelna . Il
che fatto, le per
cafo vna di
quelle pino ne
non potrà riceuere
dalla felua tanti
con¬ cetti, che
la facciano feconda
& abondante, bifogna
per lei fola
tornare à vedere
la ranc¬ ia
de’libri, e ne’ termini
del fuggetto,edella paslione
fua, formar di nuouo
vn poco di
fel uetta per
lei (ola .
Ma fe in
contrario ridotti alli
tre capi principali
quanti concetti lì
può della felua
fatta, ad ogni
modo alcuni ve
nereftano,cbe non vi
capifcano folto*, quelli
lì lalcieranno coli,
nc cancelleranno, ne
fitrafeureranno, perche haueranno
poi da feruireà
certe altre cole, che
diremo più à
bafso. Fra tanto,
io vorrei dire
che quelli capi,
cheli piglieranno, bifognerà
Icriuérgli ap¬ puntatamente
in tre luoghi,
e lottoogn’vno di
loro, metterui la
clafse defuoi concetti
co* numeri foli
, ( che
per quella cagione
facemmo, preporre i
numeri à tutti i
con» celti vna
Tredica 1 S
fc^tti della fclua.)
Ma perche quelle
fono co- fe,che
àfpiegarle paiono diffidigli me, 6c
a metterle in
opera non fono
fe non facili ,
pe¬ rò farà
meglio per non
mancare in cola
alcu fìa all’vtilità
di chi ha
da leggere,che ne
fac¬ ciamo prattica
con vn’efsempìo. Voglio
dunque fare vna
predica , nondi
Vangelo, ma di materia:
e quella non
di ma teria
applicata à parte
di Vangelo, o Vange¬
lo, ma di
materia femphce. Lapropofitione à
che voglio ridurre
tutta la mia
predica è. Cheli
digiuno quadragelìmale deue
ofser- u a
r lì . Studiando
per tutti i
miei libri quello
ter¬ mine, Digiuno quadragelìmale: equeft’al-
rro, Ofseruarfi, io
come mi fono
venuti nel- ti
nello lludiare, coli fenz’altro ordine, ho
fatto la felua
de i concetti ,
che è qua
à balso, &
hogli prepollo i
numeri per valermene
poi ad occalìone.
I Moisè digiunò
quaranta giorni ♦
ì Nc’Canoni degli
Apolidi è comman¬
dato il digiuno.
3 Chrillo flette
quaranta giorni nel
deferto. 4 Digiuno
lì troua naturale, morale, e meri¬
torio, e di
molte forti. y
Otto (lati di
perfonenon fono tenute
al j digiuno.
6 Te- Modo
di Comporre Ì
Telesforo non fa
egli , che fondò
la qua» refima
7 11 digiuno
aiuta grandemente l’ Grano¬
ne. S San
France/co dìgiunatia molte
quare- fime. 9
Spiridioneintempo di quadragefima
die de carni
ad vn amico.
10 S.Ambmogio dice
che è peccato
morta¬ le, il
non digiunare la
quarefima. 11 Elia
digiunò quaranta giorni .
li LaGhiefa ordina,
che fi faccia
la qua- refima.
i ? Znuettiua
contro chi non
digiuna la qua
refima:del ral Padre
à fanti fogli.
14 Molte ragioni jper
le quali è
vtile la qua-
refima:del tal padre
in tal luogo.
i y Non
fi maggia la
quarefima, fin che nan
è fonato vefpro.
1 6 Ninna cofa
pui difpiace al
demonio del digiuno
quadragc-fimale. 17 Santi
Padri che fecero
la quarefima’ efiempi
di Marco Mando
à tanti fo¬
gli. O 15
Palio della Chiefaj
Virtutem largitur &:
premia. 19 Tutti
gli htpetici gridano
eontra il di¬
giuno . 2©
Te ni- urna
"Prèdi oa. ip 5,0
i empo quadragefimale decima
di urna Panno
à Dio. Contentiamoci di
quelli pochi per
fiora, che tanto
balleranno, come fe
fodero mille* per
dare elfempio di
quello, c’habbiamo det
rodi { opra . Pigliamo
dunque tutta quella
feltra in ma
no,econfideratola molto
bene, mólti con¬
cetti trottiamo *
che non prouano
imme-' eliacamente, &
altri die Io
fanno; ma con
vna ragione formale
e ccmmune à
tutti. E però
giudichiamo che tutti
quefttconcetti pollano ridurli
à tre pruoue ,
cioè che quello
tal digiuno dette
farli, Perche è
vtile , perche è
neeeflaiio alla fallite, perche e
di antica còn-
fuetudiue. Il che
fatto mettiamo fotto
tutta la fèlua ,
o in vn’altro
pezzo di carra,come
più ci pia¬
ce, quelle trepruotte diflintamente, in
quell;* maniera. Vule.
NecefTario. Antico. E
poi cominciamo à dife
orrere dj concetto
in concetto ,
quale habbia à
fer¬ itile ali
Vtile , quale
al NecefTario ,
e quale all’Antico,
e qual concetto
vi fia il
quale non pofTa
feruire ad alcuna
di quella pruoue.
I
er esempio ,
che Moisè digiunafTe
queran- Miào di
Comporre quaranta giorni
, quello non
può feruire, le
non per modo
di figura all’antichità, pro-
uando che fin
dallhora , fu
incominciato ad ofseruarfi
quello digiuno quadragefi-
jnalc. Il fecondo,
come appare chiaramente
ler uè allanecesfita, poiché
mette precetto ;
e fe bene
potefse anco feruire
all’antichità , non¬ dimeno
fi ha da
conftituire nel fuo luogo
più principale. Il
terzo può feruire
ad ogn’vno de
icapij perche feChrilto
lo fece, dunque
è antico j
neceffariojin vn certo
modo,& vtile^ma per
hora collochiamolo nell’vtilità . Il
quarto non ferue
ad alcuno di
quelli capi, perche la
diuifionedel digiuno, non
ci perfuade che
debbiamo fare la
quarefima , c però
di quelto nonne
pigliaremo penfiero per
hora. Il quinto
è della medefima
maniera, cioè non
ferue à nulla
per hora. il
fello ferue all’antichità, perche
fu pri¬ mari
Telesforo fondato il
digiuno,ecofi di mano
in mano , fenza
Ilare à nuedere
piti «aufa. Il
lettimo ferire all* vtilità. L’ottauo
pure al medefimo .
Il nono à
niente per hòra.
Il deci- vna ‘Predica. / 2 e
Il decimo alla
neceflità. 1/vndecimo all’antichità. Il
duodecimo alla neceflità.
Il terzodecimo a
niente per hora .
Il quarrodecimo all
vtilità. Ilquintodecimo moftrandochecofi fifa-
ceuagià,all’antichità. Il fello decimo all’vtilità.
Il decimo fertimo
all’antichità. Il decimo
ottauo all’utilità. Il
deecimo nono alla
neceflìtà inducendo da
contrario lento* Il
vigefimo all’vtilità. E
coli fi farebbe
di molti piu,
fe molti piu
ue nefoflcro.Ma in
ogni cato di
mano in ma
no che noi
trottiamo vn cóctto
douerfi appli care
al tale de’tre
capi già apolli,
collochia¬ mo il
nit. fito lòtto
à quello de’tre
capi lopra fcritti,à
che egli feritele
facciamo (per dir
co- fi) tre
Clalfi di numerijcome
farebbe nell’cf- fempio
prop olio, torto a
tre capi, metteremo
per ogn’vno di
loro i numeri
de’concetti che gli
torniranno di quella
maniera. Ytile, Necelfario,
Antico, 3 z 1 7
IO 6 S
12 Ji ?4
19 Modo di
Comporrò * 7 1
8 2 O
Coli habbiamo già
diftribuita alle pruo-
ue tutta la
felua e compartiti
tutti i concetti
itici , eccetto quattro,
che lono il quarto, il
quinto, il nono, &
il terzodecimo, de’qua»
il, checolane habbiamoàfare,lo vedremo
poi Fra tanto
torno à ricordare, che quando
in vno di
quelli capi, ci
pareflero troppo pochi
b concetti , appetto
à quelli degli
altri , come farebbe
feci pareflero pochi
quelli deine- celsario,appetto à
quelli dell’vtilejò dell’ano
tico, bflognerebbe riuedere alcuni dei
libri, e fare
vn poco più
feconda quella ClalTe.
Balla che fin
quà habbiamo determinato
il genere della
noftra predica, deliberatala
propoiìtione,fatta la lelua,
elettone itre capi
della pruoua, eformatetii
lotto le tre
Ciai- fi file .
CA TITOLO QVl'NJ'O.
Ifogna hora . chetici
palliamo alTaltra parte
principale della predica ,
pei che con
alla groflain due
parti loie la
diuidémo. Cioè in
quella che leguita
la prcpofidone, &
in ma 7
redica . 21
in quella che
la precede ;
della quale hora
ci conuiene ragionare ,
nominandola co’l no¬
me che la
dimandammo all’hora, introdut-
tionc : fé
bene ( come
vedremo più a bado )
ella molto ragionenolmente fi
potrebbe do- mandare,proemio . M a
per hora noi
non ci curiamo
leguitare i termini dell’arte:
ci balla ad
infegnare vn modo,
( come egli
fi lìa) di
formare vna predica.
Quella introduttionecome debba
accolti modarfi- come
debba difporfi, quanto
deb¬ ba efier
lunga, in quante parti
diuiderfi • c
li¬ mili cole,
noi lo diremo
poi , quando parle¬
remo della dilpofitjone
delle parti della
pre¬ dica .
Ma per hora, noi
non parliamole non
del compartimento della
materia trottata , à
ciafcuna delle parti
di efia: efiendoui
fenza dubbio molta
differenza dall’ordinare quali
pietre vadano in
quello appartamento; &
quali in quell’altro
; onero dal
difponere co¬ me
le pietre ordinate
al tale appartamento
debbano elfer accommodare
perfabricarlo. La felua
(come habbiamo detto)
ferue per le
pietre-, eli appartamenti
fono le parti
della predica -,
noi per hora
non facciam’alrro che
dillribuire, quali concetti
della felua debba¬
no ferirne alla
tale, o alla
tal parte ;
con ani¬ mo
di mollrar poi,
come 1 concetti
riferuati D per
la £ Modo
di Comporre perla
tal parte debbano accommodarfì fra loro
àfabricarla. E però
fi come nella
pruona habbiamo detto, che
da tutta !a
felua,o fuori della
felua bifogna cercare
alcune propofitioni, le
quali immediatamente proti
a fiero la
propofitione principale del
raggionamento -, cofi
bora dichiamo, che
o dalla felua,
odanoifiefli habbiamo da
fcegliere vna propofitione
fo¬ la, laqualeci
introduca, e ci inferifca
imme¬ diatamente la
propofitione c’hbbiamo piglia
ta à prouare,comm
farebbe à dire:
Ogni di¬ giuno
deue ofieruai fi.
Ho detto non
à calo ,
ne fenza raggione
quella parola,
immediatamente; perche mol
ti peccano grandi
finitamente in quello
fat¬ to; i
quali per introdurli
alla materia, di
che vogliono ragionare
, pigliano cofetantofu-
periori «ìlei, e
tanto lontane, che
a dedurle infino
al Immetto, che fi
tratta, vi bifognaerà
dillìmo tempo , e bene
lpefiblbntrod unione viene
ad efiere più
lunga, che la predica;
in¬ gannati, credo io, da
vna propofitione, la qua
le ho fentita
due più volte, éc
mi hà fatto
ri- dere;cioè,che è
bella cofa , quando
il predi¬ catore
ragiona vn grandifliino
pezzo lenza che
nefiuno s’accorra di che voglia
trattare, L> O 7 e
dotte egli habbia
à battere. Et
pure io credo
il con- yna'Tredica. 22
si contrario, che
alla vnita della
predica lìa molto
conueneuole, il vedere
che infino 1
primi fili feruano
al tefiitto .
Ma di quello
ragioneremo poi più di (tintamente, quando tratteremo
la di fpofitione
della introduttio- ne
iltefia. Per fiora
torniamo à dire,
che la propofi-
tione,la quale (ce]gliamo,deiiee(Tere imme¬
diata ; perche
hauendo à confili
mare tutta la
introduttione ( come
diremo poi )
in ampli- ficatione
di quella propofitione , dalla
qua¬ le inferiamo
la noftra principale ,
al fiecuro fe
molte ve ne
fio (fiero fiuperiori, tante ampli-
ficationi vi andrebbero,
cheallongarebbo- no,e cófionderebbono ftranaméteil
ttno.Per e(fiempio,s’io dico:
Ogni digiuno deueofler
iiarfi,ditnquean‘coil
quadragefimale:quà io non
hò d’amplificare fie
non quella propofi-
tione; Ogni digiuno
hà da ofieruarfi.
La do¬ tte
s’io dicellì :
Ogn’opera buona dette
fiarfi, vero è,
che anco quella
infierirebbe, che il di¬
giuno dette oflèruarfiima
non lo farebbe
ina- O mediataméte,e però
bilognarcbbe prima tra
tare, che l’opera
buona deue fiarfi ,
apprettò, cheogni digiuno
è opera buona,
di più, che
la Quaresima è
vno di quelli
digiuni, e final- méte-jcheeffa
dùq-deue farli :
di maniera che
moltiplicandoli le amplificarioni , in
vece di D
z vtia /
• Modo di
Comporre vna introdurtione, fi
farebb vn trattato.
Qua bifogna auuertire,che
fe bene io
nelr la proprofitione
inferente ( per
dir co¬ li)
ho dato l’efempio
in vna vniuerfale
, che inferifee
vna particolare ,
cioè Ogni digino
delie ofieruarfi, dunque
anco ihqua- dragefimale-,
nondimeno io non
intendo, che Tempre
la illatione fi
faccia di quella
ma niera. Ma
potendoli, come fanno
turi quelli, che
hanno fludiato la
T epica, per diuerfiflu
mi luoghi inferire
vna ìftefia propolitione,
à me balia, che
in qual fi
voglia di quei
luoghi Topici tu
t’elegga la propolitione,
purché fia immediata,
la quale t’introduca
al tuo /oggetto
principale . Come
farebbe à dire
dalla diffìnitione : Se l’aftenerfi
in quella parte
dell’anno da peccati ,
e cibi vietati,
è cofa buona;
dunque è ben
ragioneuole , che ofieruiamo
il digiuno quadragefimale. Dal
meno al più,
Poiché olferuantilfimi furono
i Giudei ne’loro
digiuni legali, ben
è ragione, che
olleruanti damo noi
JEuangelici del no-
llro digiuno quadragefimale .
Dalfimile, come farebbe
à dire leorationi
diterminate à certi
inftituiti tempi fono
vtiliffime , anco
il digiuno diterminato
a quelli quarantagior-
oi, deue olferuarfi da
noi. E coli
potrà chi hàgiudicio ,
decorrende Tona T
redica. 2$ per
gli luoghi topici ,
trouarfacilmente tutte le*
propofitioni, che
immediatamente podo- no
inferire la Tua
principale . Ne
noi per materia
di tutta la
introduttione,di altro hab
biamo bifogno, che
di quella propofitio-
ne inferente, e di alcune
cole , chel’amplifi- chino
nella maniera che
diremo poi . E
però cariati che
noi habbiamo dalle
Tel¬ ila tutti
j concetti delle
prtioue, e dillribuiti-
li in cladì,
come facemmo di
fopra , bifogna che
torniamo à pigliare la
felua in mano, e
che confiderando quei
concetti , i quali
fono rellari vuoti
fenza adoperarhelle pruoue,ve
diamo, fe fra
quelli ci fulTe
alcuna propoli- rione,
la quale per
qualch’vno de i
luoghi to¬ pici
inferilfeimmediatamente
lanollra prin¬ cipale.
E trottandola, le
ve ne folfero
al- cun’altre,cbe l’amplificalTero; fi
come quan¬ do
non vene trouaflìmo
alcuna principale inferente
, bilognerà vedere
Tele altre ci
Tuc- gliaflero l’ingegno
à trouarne vna
principa¬ le, alla
quale alcuna di
loro potelfe feruire
per amplificare. Et
quando ninna di
quelle cole ci
riefea ; lafcèremo
Ilare quei concetti
della Telila, per feruircene
ad alcun’altra co-
fa , e
con l’aiuto dell’ingegno
nollro , e dei libri
anderemo à cercare
e la propofitione
in ferente, e
lefueamplificationi , e ne
faremo D 3 vna Modo dì
Compone vna appartata
feìuetta . Per e/empio,
nella feltta che facemmo*
tutti i concetti
s’impiegarono in pinone,
ec¬ cetto i!
quarto, il quinto,
il nono, &
il terzo- decimo
. Hora di
queliti quattro vado
à ve¬ dere
, fé alcuno
ve n’è , che
mi polla inferire
immediatamente, Il digiuno
quadrage/ima- le deue
offeritali . E pn ma
, il
quarto non è
buono , perche il
dire : Si
trotta digiuno na¬
turale, morale &rc. dunque
il quadrage/ìma- le
deue offe ruar
fi. Quello li
vede che non è àpropolito .
Parimente il quinto,
cioè , Otto
Ilari di pedone
non fono tenute
al digiuno , dunque
il digiuno quadragelimale deue
offeruarli: ne anco
quello ci va.
Il nono ancora
non mi pare
omltoi pro¬ polito, poi
che il dire:
Spiridione diede car¬
ni ad vn
amico fuo, dunque
il digiuno qua¬
dragelimale deue offeruarli.
Quello pare che
concluda il contrario.
E finalmente , Finuertiua c’habbiamo no¬
tato lotto il
numero terzodccimp, contro
chi non J
igiuna , non farebbe
però la più
bella villa del
mondo, in principio
d’vna predi¬ ca . Siche
in quei concetti, che rellanano nel¬
la /citta , vediamo
che non vi
è propolitionc alcuna
'vna Tredica. 24
àlcuna inferente, ma
ve n'c ben
vna, la qua¬
le potrà amplificare
vna inferente, perche
s’ioinferirò con la
vniuerfale dicendo, Tut¬
ti i digiuni
fono buoni , dunque
anco il qua¬
dragli male dette o dentarli ,
all’horail con¬ cetto
che era fotto
il numero del
quarto, del¬ le
diuilìoni del digiuno,
non folo feruirà;
ma farà quali
neceflario
all’amplifìcatione d i lei. i
*• E però
quanto fperta allafelua
, la quale
era in tutto
di venti concetti, fi
come ne Riab¬
biamo già canati
ledici per le
pruoue, egli habbiamo
diftribuiti in tre
dadi, fotto i
tre capi di
pruoue; cofthora metteremo
dacan- to dirtela
la propolìtione inferente
della in- duttione,
efottovi metteremo il
numero di quel
concetto che habbiamo
eletto in feruitio
Ilio, in quello modo.
Introducilo , Ogni digiuno
è degno d' efftr
of¬ fertilo .
4 H Abbi
amo melTo il
numero folo di
quattro, perche in
quella poca feluet
ta altro concetto
non habbiamo trouato,
che D 4
polla Modo di
Comporre polla fcmire
alla
imroduttione,fenonquello del 4
ina nelle felue
ordinarie,egrandi, alfi- curonetroueremofempre molti
più:e quan¬ do
non gli trouattìmo
gli anderemmo à
fa¬ re, di
maniera che già
haneremmo cauati dalla
felua compartiti in
diftinfte dadi tutti
i concetti che
polTono ferui re a
i tre capi
di¬ ttimi della
pruoua, & alla
introduttione, &: in
fomma alle due
principali parti della
predica. Ma oltre
quefte due parti,
reftanoancho- raalcun’altra particella,
per le quali
bifogna tornare à
vedere fe trouattìmo alcune
cofe che potettero lor
feruire ; equefte
perhora diciamo che
fono quattro, cioè
il fine della
prima parte,il principio
della fecondaci fine
di tutta la
predica, e quel
principio di ragio¬
namento , che
communemente fi chiama
il prologhino. Delle
quali cofe fe
bene parleremo vn
po copiti didimamente
nella difpofitione delle parti,
hora nondimeno nella
diftiributione della felua ,
è forza dirne
alcuna cofa per
ve¬ dere, fe
de’concetti chereftano, alcuno
ne fa per
loro. Il fine
dunque della prima
parte per l’or¬
dinario, ò epiloga
quei due capi
di pruoue, che
fon già fpeditno
ettagera la propofitioné
principale. vrtaT redica.
25 principale, o inueifce
nella contraria, o deciti
cegentilmentelamateria, che tratta
allaelò- mollila che
fi dimanda. E
però ne’tre concetti
che reltano , ficurt
eofa è, che
nelTuno ve n’c,
il quale polfa
fer- uire ad
alcuno di quelli
offìcij , ma bifogna
altronde procacciarfene, e
fare vna piccioli
[! felua di
vno o due
concettini pet quello
effetto. Il principio
della feconda, dette
lémpre hauere per
mira di rillorare
l’animo affatica¬ to
di chi fente;
il che lì
fa in due
modi, onero ritornando à
mente quello che
innanzi s’è detto, inoltrando fin’à
che termine lìamo
del ragionamento ;
ouero introducendo!! alle
pruouech’auanzanocon alcuna cola
dilette- noie, pur
che non lìa
fcurrile , come hiltoria ,
« prologo, delcrittioni, e
limili cofe. Alle
quali vediamo parimente
che niuno di
quei treconcetti,c polli
bile che ferua, e
pc* ro bifogna
procacciarli concetti altronde,
e farne propria
felua. Il fine
di tutta la
predica, fpeflo lì
confo» ma in
Epilogo di tutto
quello che fe
è detto; Tal’hora
in oratione al
Signore ; &
anco qualche volta
in vehementi elTortationi
à chi fa
quello che perfuadiamorouero in yehemé ti
inuettiue, contro chi non
l’^lferua. Nel Modo
di Comporre Nel
qual vltirao.modo le
noi vorremo tei?
minare, la predica nofha
del digiuno, tut¬
ti tre i
concetti , che rertauano
, cioè ,
il quinto, il nono,&
ilteizodecimo feruiranno marauigliofamcnte ;
perche co’l quinto
mo- rtratcmo,che ben
fi può concedere
ad alcu¬ ne
determinale perfone, il
non digiunare , e
coi nono, diremo che,ancoin
calo di necef-
firà , à tutti
è permeilo il
non farlo :
ma co’l terzo
decimo, contra i
nonefenti , faremo,
innetriuatale, quale l’Autore
legnato in quel
luogo ci mfegnerà
à fare . Remerà
il prologhino lolo,
il quale come
diremo più giù ,
eliendo più torto
vna ricer¬ cata
del madrigale total
mete d merla
da lui , che
principio di lui
ftelTb; pocobifogno ba¬
lleremo, che lafelua
ci fomminiftri concetti
perhù, elfendo egli tanto
libero, che datutte le
cole del mòdo
polTìiamo cattare cole ,
che gli feruano.
Contutto ciò,quadodop'po tut¬
te le altre
cole auanzallero ancora
molti con¬ cetti
vacui nella felua ,
potremo vedere fe
al¬ cuno vene
forte , che
face fife per
lui , & anco
quello di ftribuirlo. Di
modo che prima
che ci mettiamo
à fa¬ tela
predica no {tra,
già h abbi
amo otto capi
di lqu.adra, con le
lueclartì inordine,cioètre capi
di priioue,Iaintroduttjone, il
fine della prima
yna Tre dica.
pi ima parte*
il principio della
feconda,ilfi- ne di
tutta la predica ,
&: il prologhino
. E fottoàogn’vnodiquefi butteremo
la cialde dì
quei numeri del]afelua,che ad
ogn’vno di loro
propri amente feritone,
& in quello
fc iranno confumati
rutti i luoghi
dellafelua, non occorrerà
far altro . Ma le ne
ref afero ancora
alcuni, che à
ninna di quelle
otto co- fc
hauelfero potuto feru ire, à quelli
tali fi da-
. rà di
penna, per non
haucr fatica di leggerli opni
volta fenza vtilirà,
quando andaremoà pigliare
li concetti che
ci feruono. Coli
habbiamo fatte due
cofe,cioè frolla¬ ta
tutta la materia
per tutta la
predica nella lelua
che facemmo, e poi
compartite diuerfe parti
di effa materia,
à varie parti
della pre¬ dica,
fono diflinri luoghi ,
e con diftiminu-
meri ; il
che fc appartenga
ad inuentioneo pure
à difpolìtione, di
quello non voglio
di¬ sputare; à
me balla, che di
duecofe,c’hò fat¬ te
fin bora, vna
è fata il
tremare la materia, è
! l’altra il
compartirla alle tali
parti. Hora re-
fa che attendiamo
à quella, che
ogn’vno concedc,che fa
pura difpoftione.cicc à
met lere 1
n oremanza ogn’vra
delle elafi de
con cetn entra
ad ogn’vna delle
parti , allaquals rhabbiamo
applicata &c. QJLTI-
Modo di Comporre
C ATIT 0
LO SESTO. Abbiamo
nominato Tette parti
di pre^ dica
( s’habbiamo bene
auuertito ) cioè,introduttione, propofitione,
pruoue, fi¬ ne di prima
parte, principio di feconda, fine
di tutta la
predica, eprologhino; anzi
vna n’habbiamo tralafciata,
ò almeno no l’h
ab¬ biamo tocca
fpiegatamente, cioè la
diuifio- ne della
predica,? pur anch’efiaè
neceflaria.,' di maniera,
che pare , che
noi infin qua
fac¬ ciamo etto
parti dell’orazione noftra.
Con tutto ciò
diciamo, che fi
come i Rhrc torici non
pongono più che
fei parti, cofi an¬
cora noi ci
contentiamo del medefimo
nu¬ mero. Percioche
la noftra introduttione, è
quella che efii
chiamano prologo: la
propo¬ fitione noftra
rifponde alla loro
narratione: la noftra
diuifione fi conforma
conia loro z
nelle no (tre
pruoue comprendiamo la
con fi r
mattone, Se confutatione,
che mettono effi;
finalmente noftro fine
di predica, è
quel me¬ defimo
che eglino chiamano
Epilogo. Che fé
hora auanzano tre
parti di quelle
che habbiamo dettc,cioè
il fine della
prima, il principio
della feconda parte ,
Se il prolo-
ghtno: quanto al
prologhin® diciamo, che
•pnaTredìca. xj quello
non è parte
di predica , f
i come
la ri¬ cercata
non è parte
del madrigale, ma
è loia mente
vn preludio, come
concede anco Ari¬
notele, fatto per preparare
gli animi, e
per di fporli
al principio, che
fegmta fubito, della
predica tutta. E
quanto allealtre due,fi
vede chiaraméte,che nó
fono per necelfità,rna
per accidente; poiché
le facellìmo la
predica di vna
parte fola, niuna di
loro vi bifognarehbe*, la
douehauendo hora l’vfo
introdotto che fe
ne facciano due:
per forza ne
feguono, 11 fine
di vna,& il
principio dell’altra. Ma
della proportione, chehabbia
quello mio trattatelo, con quello
che dicono i
Rhc forici , mi
lono non so
in che modo
lafciato trafportare à
dirne più che
non voltuo . Sia^
no, qaante parti
vogliano gli altri ,
dell’ora- tione,cheio per me hora
ho in animo
d’infe- gnare come
fe ne habbiano
à difponcre otto:
cioè introduttione , propolitione , diiiifione,
pruoue,fine di prima
parte, principio di
fe¬ condarne di
tutta la predica,
e prologhino. Nella
quale difpolìtione dico ,
che in due
maniere
polfiamoragionare,oueroqnalordi
ne habbiano d’hauereleparti fra
loro ftelTe, ouero
con qual ordine
debbano difporfi i
fuoi proprij concetti
in qual fi voglia delle
dette parti. Quanto
Modo dì Compone
Quanto alle pani, diuerfa
cofaè il dire
co qual ordine
recitarli la predica;
onero con qual
ordinedebba comporli . Ma
tutta quc- ftadiuerfità
confitte in vna
parte fola , che
è ilprologhino;percioche il
prologhino hà da
ettere il primo ,
e poi le
altre fette per
ordine: ma nei
comporla bilognafare prima
tutte le altre, e
poi da tutte
le altre parti
cattare il mo¬
do di fare
il prologhino , come
più chiara¬ mente
vedremo più baflo.Per
hora io di
vna, darò alcune
regole, & alcuni
modi di com¬
porla -, cominciando
con quello iftelTo ordi¬
ne, co’lqualegià due
volte le ho
numera¬ te di
lopra , che
è il vero
ordine della di-
fpofitionefra le parti ,
nel comporle :
cioè in troduttione, propofitione, ditti fione, pruoue,
fine di primaparte.principio di
feconda, epi ìogo, e
prologhino. £ queft’oldine , ch’io
darò hora à
ciafcu- na delle
otto parti, farà
quella feconda difpo
fiticne,che io accennano
di fopra, non
delle parti flafe; made’concetti
fuoi, in ognuna
di loro, &c.
C*AT ITOLO SETTIMO .
E Prima quanto
allintrodurtione , febene rùpondendo
quefta à quella
parte,che i Rhetori
ma'? re dica.
' 28 Rhetóri
chiamano prologo, fi
può anch’effa formare
in varijsfime maniere,
e con diuerfi f
fimi precctrijcomecfiì infegnano.Nondime- no,
à me baderà
dare vn modo affai
facile à principianti,
col quale pollano
introdurli nellelor prediche:aiuiertendcli fedamente,
che io non
intendo di reftringerli,
à quello modololo
d’ìntrodurfi , c che
quello non è
affegnato loro , fe
non per vno
de’molti che pollano
trottarli. Vorrei dunque,
che nel primo
periodo , cioè innanzi
al primo punto
principale di tutta
la preaica,noi formali! ino
fempre vn’argome- to,
od vna illatione
di quelle propolìtioni»
che di fopra
habbiamo nominate, la
propo- fitione inferente,
è la pispolinone
principa¬ le .
Come farebbe à
dire, bela propofitionc
della predica , ha da edere,
Cheil digiuno quadragelimale delie olleruarfiiè la
infeten¬ te, Che tutti
1 digiuni commandati
dennoof- feruarfi: vorrei
che fubito neirifteffo
princi¬ pio della
introduttione noi formali' mo que¬ llo
argomento ; Tutti
i digiuni commandati
denno ofleruarfi-, dunque il
digiuno quadra¬ gelimale
dette offerirai fi.
E qui bifogna
auuertire , che alle
volte, e per
lo piiì,apprelloa i
Rhetori, e nelle predi¬
che, gli argomenti
li fanno per
modo d i
En¬ ti me
mi> Modo dì
Comporre timcmì , cioè
di due propofitioni
fole: ma qualche
volta anchora tutte
tre le propofitior-
ni vi fi
mettono, come farebbe
à dire. Tutti
i digiuni commandati
denno ofseruarfi, ma
il digiuno quadragefimale è
commandato , dunque
deue ofseruarfi. Et
qui ancora tor¬
no à d
ire l’iftefso, che
fe bene noi
vogliamo farlo di
tre propofitioni, ad ogni
modo dob¬ biamo
rinchiuderlo tutto fotto
al primo pun
to principale della
introduttione. Ne però
intendo io che
fi cominci lapie-
dica, con vn’argomentoefprefsoin Babara,o \
Barocco, ouero con Entimema
tanto chiaro, !
che ogn’vno conofca ,
che egli fia
E ntime- ma;
anzi in quello
bifogna adoperare arte
di fare maniera, che
da niuno,le non
da mol- ì
to pratichi, fi
conofca, che in
quel primo pe¬
riodo vi fia
virtualmente, ol’argòmento, o ì’
Entimema, e ricordarli
in fomma quello
che dicca Zenone
: cioè ,
chela Dialettica, e la
Rhetorica,fi figurauano perla
ìftelsama-* no,hora ri
Uretra, & hora ftefarcioè
che quel¬ lo
iftefso cheriftrettamente fi
mette inargo- menli
Dialettici; nella Rhetorica
bifogna fpiegarlo in
modo, che non
habbia pur fac¬
cia d’atgomento. Come
farebbe à dire,
le neH’argomento Dialettico, io dico,
Ogni digiuno comman¬
dato "pria Predica.
19 dato delie
o/Teruarfi: la quaresima
è digiuno Commandato:dunque la
queref ma delie
o (- /ciliari!
, Rhetoricamente nondimeno con¬
fonderò le propofitioni,
e le tratterò
in qual¬ che
manieratile non paia
argomento, come farebbe: Poiché
ninno è tanto
fcioccho, il quale
non cono/ca e/Tere
il digiuno quadra-
gef male, vno
di quegli, che
da /antaChie/a ci
fono ftrettamente commandati,
ben è ra¬
gione^ tutti gli
altri commandati da lei con
ogni fhrdioinuiolabilmenie f
/emano , che
anco in quello
moftnamo noi pieni
di farita I
humilià vna prontezza /aera, & vna
Chi iftia fi
na obedienza, onero in
qtialch’altra maniera I
piùconfu/amente , ma più
ornatamente . E
| caffè nell’entimema
dialettico io dirci.
Il j, gidfto
eommandato de o/Teruarfi,
dunque il |
, qi/adrage/imaledeue o/Ieruarfi:
Rhtcorica- \ ménte,
io porrò dire
: Egli è
vero che tutti
i digiuni commandati
dennoo/Iéruàrlì , ma
ad ogni modo, /e noi
andiamo pen/ando le,
qual ita-di del
quadragefimale egli fi
cura mé¬ te
oltre à tutti
gli altri dtue
e/Iei oferuato da
noi. * E
co/ì vediamo, che o
Entimema o argo¬
mento che egli
fi fa quello,
co’l quale nella
introduttione vogliamo inferire
la noftra ptopoftione
principale, Tempre polli
amo fa E
cil niente. Modo
di Comporre cilmente,e dobbiamo ,
rinchiuderlo nel pri¬
mo punto della
introduttionc , e
formare, o con
due,o con tre,o
quattro membri vn
perio do congiunto
e molto migliore, che
non fono flati
quei due di
fopra,i quali io
in pruoua ho
lafciati im perfetti, e d i
{ordinati , p infegnarli
poi à fare
perfetti,. & ornati, quando
trattalo della elocutione,alla quale
appartenere la li¬
matura di quelle
cofe,ch horanoi rozzame»
te diciamo. Bada
che il primo
punto principale dun¬
que di tuttala
predica, dette contenere confa
fe Se allargare,
o tre propofìtioni,ò due
alme no, le quali
con argomento,© con
Entimema inferivano la
propofitione principale, che
noi ci fiamo
eletti. Il chefatto,
per vna certa
ragione, che io
dirò poi, quando ragionerò
della elocutione, farà
bene à fare
elclamatione, ò quache
con¬ ti-apoda, o
qualche cola in
/omnia, ^che Iafcj refpitare
vn pocogli animi
degli alcoltanti j
equedo in vna,o
due linee al più
. Come
fa¬ rebbe à
dire, finito quel periodo,
che conclu¬ de, dunque
la qua re
firn a deue farli: loggiun-
gere f abito
in vniuerfale, per
modo di elcla-
inatione: Santidìmi &
vtilidìmi digiuni, one ro
qual ch’ai tra
co fa finrie .
E poi bifogna
venire all’ amplificatione dell’ar-
vna Tredica . 3
o JeH’argomento; con
quella diflintione, che
fe la propofitione
principale nel primo
peric do è
(tata ioferita da
due propofitioni , bifo-
gna amplificareuute due
quelle, con quello
ideilo ordine, col
quale lehabbiamo dette
nel perriodo.E fe
vna propofitione fola
è Ita ta
l’inferente
neirEnnmcma,quelIà fola dop
pò l’efclamatione bifogna
che noi comincia¬
mo fubito ad
amplili care, &c
in quella occu¬
pare tutto quello
fpatio, che haueremmo
oc¬ cupato in
amplificare le due
fe vi fofiero
fiate. Voglio dire,
( per non
lafciar minuti a
al¬ cuna, ch’io non
difeorra, ) che
come diceua- mo
di fopra,fe la
predica farà di
otto pagine; la
introduttione faremo che
ne occupi vna
intera; ma con
quell’ordine, che doppo il
pii mo periodo, e
quella prima potata, rampini- catione
del periodo duri
a punto vna
faccia, e e mezza
di detta prima
pagina, lafciando l’al tra
mezza per quello
officio ch’io dirò
poi . E fra
tatos’haueremo d’amplificare duepro-
pofitione, laprima durerà
dalla potata per
tutta la prima
faccia, e la
feconda per mezzo
la fecondala doue
fenon haueremo da
pro- uarne fe
non vna loia
; quella dal
fine delia potata
occuparà tutto Jo
(patio fino alla
metà della feconda
faccia. Auuertendo però, che
E 2 ne
io Modo dì
Comporre ne io
reftringo tutte le
prediche à otto
pagi- ne,tutte le
introdtittioni à vna,ne
tutte le arn-
plificationi doppo il
periodo, eia pofata
in vna faccia
e mezza :
ma alTegno quelle
cofe quali per
mifura,alla proportione,
delle qua le
potrai poi fare
le prediche di
quante carte vuoi.
Se dunque haurò
detto, ma oratoriamen¬
te, nel primo
periodo : Tutti
i digiuni com¬
mandati fono da
olferuarfiùlquadragefima- le è
commandato dunque, &c.
foggiunto che haurò
la pofata, Santilfimi
digiuni, &c. comminciarò
fubho ad amplificare
quella prima propofitione
dicendo,E certo chi
non sa, chele
cofe commandate denno
ofTeruar- fi? poiché,
chi è, che
le commanda fc
non Dio ?
à chi commanda
fie non à
noi ? perche
commanda fe non
per noftro bene
? e limili
altre cofe con
le quali giunto
ch’io fatò al
fi¬ ne della
prima faccia, concludendo
tutto il palfato, come
farebbe a dire ,
ìn lomma cer-
tilfimo cofa è ,
che le cofe
commandate deb¬ bono
ofi'eruarfi,foggiungerò
fubbito l’smpli ficatione
della feconda propofitione,come la
sebbe adire: Ma
qual cola fu
mai più com¬
mandata della quarefima?
di quella quarefi-
ma, la quale&c. di
quella, laquale&c. E
coli decorrendo arriuarò
al mezzo della
fe¬ conda yna
'Predica : $
t jronda faccia.
Se hanerò fatta
l’amplificatio- ne di
due propofìtioni . La
doue fe con
vna fola nel
periodo fi fuf-
fe fatta la
illatione,come farebbe à
djre,ogni digiuno deue
oileruarfì, dunque ancora
il quadragefimale:qui doppo
il periodo, e dop
po la pofata
non occorrerebbe altro, che
am¬ plificare quella
propofitionefola, per tutta
la faccia e
mezza della pagina:come
farebbe di cendOjS’antiffimi digiuni, &c. Molti
digiuni, afcolratori,fi trouano,naturale, morale,
&c. c coli
fin all’vltimo . A
uuertendo, che nella
predica nella qua¬
le diamo refTempio,
farebbe ncceflario àfar
il periodo di
due propofìtioni fole.
Perche fe noi
Io faceffimo di
tre, vna delle
tre da ampli
ficarfì farebbe quella,ma
la quadragefima,è commandata:
nel l’ampli fi
catione della qua¬
le bifognando impiegare
tutti i concetti ,
che fappìamo del
commandamento di lei, verre¬
mo di quella
maniera à pnuarci
di tutta la
fe • conda
elafe della pruoua,
nellaqnalehaue- iiamo pollo
i concetti pertinenti
allanecef- fìtà di
lei. La doue
facendo due propofìtioni
fole , non
habbiamo d’amplificare fe
no» quella prima,
Che tutti i
digiuni dennoofl'er uarfi,al!’ampIificatione della
quale, non acca de che
adoperiamo alcuni
di quei concétri
, E l
che Modo dì
Comporre che habbiamo
diflribuiti nelle darti
dell’ano
ticliità,vtilità,enecdfità
dcllaquarefima, ma tra
tinta la Teina, ci
Temiamo di quel
folo ch’¬ apparecchiammo Torto
l’introduttione, cioè della
diuerlità de i
digiuni Tegnataco‘1 nume ro
del 4. E
coli fin qua,
douendo durare lhntrodut
rione vna pagina
intera, già n’habbiamo
oc¬ cupato vna
faccia e mezza,
nel primo perio¬
do, nella poTatae
nella amplificatone dell’-
vna»ò deile due
propofitioni. Allaquale bifognando
ho r a
foggi ungere labito
la principale propofitione,
che noi trattiamo,
non pare come
nel riferire quella
fola noi portiamo
occupare tutto lo
fpatiodi una mezza
faccia; mà diciamo
che non è
pe¬ lò honelto,che
noi coli Tempi icemente,e Ieri
za ornamento alcuno
doppò Tamplificatio- de! la inferente, portiamo in
mezzo nuda nu¬
da la propofitione
inferita) e però
quello Ipa tio
di carta , foccuperemo
in alcuna còfetta
vaga,come farebbe in
vna comparatone na¬
turale, onero in
vna hi fioria
Ecclefiatlica , onero
in qualche elTcmpio della
Peritura fan ta,con
la quale, pian
piano noi arriuiamoà
proferire poi fchietta
epura la propofitione
principale. Come farebbe
à dirc^finitaramplìficatio-» ne
• vna'P redica.
32 fìe Ì a
potremo cócludere coli: Tato
è egli ve
ro,che tutti i
digiuni debono ofleruarlge
poi per venire à
dire, che la quarefima
dette oller uarfi
potremo dir coli:
Mà no è egli anco
ve¬ ro, che
tutte le flelle,só
delle, e pure
fra tutte loro
più vaiamente nfplcnde
il Sole? Non
è egli vero,
che tutti i
colori fono colori, e
pare più puro
di tintigli altri
c il bianco:
e coli tilt
ti 1 digiuni
fono digiuni , ma
digiuno iopra tutti
i digiuni à
me pare quello,
di che io
vi parlo hoggi
: cperò di
lui in particolaretor- no
à replicami , che
con grandilììmo ftudio
dette olseruarfi la qnarefìma
latita. E quello, che habbiamo detto del
Sole, c de5
colorile altri lo
tratterà, ò per modod’hi
ftoria,ò di elsempio,
ò come fi
voglia, à me
non importata nulla ,
purcheoccupando in quelli
ornamenti buona parte
di quella mez-
zafaccfà, che ci
redatta porti ailVltimo
co¬ me habbiamo
detto, pura, fchietta, e nuda la
propofitione principale in
campo, che farà il
fine delia introduttione. Anzi
farà il fine
della introduttione, e
del la narrarione;
perche prendendo noi
per in¬ troduttione
quel primo periodo, eie
amplifì- cationi, e
quella vaghezza di
dite* diciamo poi, che
la narratione della
predica non è
al¬ tro, fenonquella
clatifula fola, nellaquale E
4 doppo Modo
di Comporre doppogrornamenti portiamo
in campo, pu¬ ro
e netto tutto
quel argomctOjfopra del
qua¬ le h abbiamo
a ragionare. Di quella titanieragià
Gabbiamo rifpofto à due parti, di
quelle de’ Rhetbori,
cioè, con rintroduttione al
proemio, e con
la propolì- tione
fchietta,alla narratione loro.
Doppo il che,feguitando apprefso
di loro la
diuilionc, ancora apprefso di
noi diciamo, che
leguita il medelìmo,e
però propolla che
haueremo la nollrapropolìtione pura,
bilo- gna che
diuidiamo tuttala predica. Ma
que Ho ci
farà tanto facile, che
niente più, perche
quella diuilìone non
farà altro, le non
vn nar rarei
capi di quelle
dadi > che
noi apparec¬ chiammo
per le pruoue
; come farebbe
nel» l’ efsempio propolto
, doppo hauer
det¬ to, Dunque
la qnarelìma fra
tintigli altri di¬
giuni dette ofseruarlì ;
foggiungere , Ofser- u
a rii per
infinite caufe: ma
principalmente per tre,
come lenti rete
hor bora, cioè
per l’¬ antichità
, perla neceffitaà,
&fper l’vtilità Ina.
E coli rinferrandolì
tutto quello nella
fo¬ la prima
pagina delle otto ,
già balleremo tre
parti rifpondenti alle
tre dell’oratore, cioè
la introduttione, la
propolitionc , eia
diluito¬ ne, &.c.
vnaT redica. 35
C^VITOLO OTTANO. H
Orala quarta noltra
parte che domati
diamo pruoua ,
contiene quelle due
chelegiutano
delPoratore^cioè.Ia
confirma- ri'one, èlaconfutarione: congiungendo
noi bene fpelso,comepurfanno anchora ellì,
&c il cófirmare
delle ragioni noltre,
& il confu
tare degli argomenti
contrari; . Nella qual
parte, come dicemmo
di fo- pra,lVlo
hi ottenuto, chele
pruouenon tut¬ te
fucceslìuamentefimettono,main
due par ti
della predica lì
diuidono Però quanto
al¬ la di
fpolitionc di dette
pruouc, tre colè
ci fo¬ gnerà
fare; cioè, penfar
primaquali delle claslì
; e quante
vogliamo porre in
ciafcunà delle parti
della predica; apprefso
di quelle che
in vna parte
fola vogliamo mettere, deli¬ berarne
bordine, che hanno
d’hauerefrà lo¬ ro;
e finalmente, in
ciafcuna di dette
pruoue penfare con
qual ordine debbano
(tenderli quei concerti ,
che nella clafsefua
lì trouano apparecchiati . Quanto
alla prima cola
, io dilsi,cbenon
delìderarei tneno di
due pruo- ue,ne
più di quattro, & che
letre mi pareano
vn conuenientislìmo numero.Con
tutto ciò, torno
à dire hora,cheio
non altringo alcuno
... à quefta
Modo di Compone
à fjtiefta paucità
-, anzi oue
la predica è
dida^ lcalica.non hò per inconueniente,che i
paf- fi del V
angelo quali ferirono
per pruoue,fia no
in maggior numero.
Ma nelle materie
femplicij nelle laudi de’lanti,
e contra gli
he- retici, hallerei
ben cat'Ojchc non
più diquat- tro
rollerò i capi
delle pruoue,e (e
fufTe polli- bile, che
fallerò tre foli.
Nel qual calo,
quanto al numero,
dico, che due
fe ne potranno
mettere nella pri¬
ma parte, & vn
bolo nella fecondale
fefaran- no quattro, due
luoghi nella prima,
due nel¬ la
feconda,e coli di
mano in mano.
Perche in fomma,
le vogliano mifurare
le predichecome fi
dice à braccio,
volendo fa¬ re
la predica,comehabbiamo detto
per efem pio
di otto paggine,&
occupandofi la prima
dalla introduttionc, narratone,
e diuifìone, vorrei
che delle altre
fette, che reftano,quat- tro
ne fallerò della
prima parte, e
tre della fe
tonda . Perche
fe bene pare
difuguaglianza facendo la
prima parte di
cinque, e la fecon¬
da di tre,
bifogna nondimeno confiderare,
che nella feconda,
gli animi fono
più brac¬ chi -, oltre
chef hanno fempre
da nontiare nel
principio di lei,o
indulgente, od demo-
line, od altro,
che portano qualche
tempo, e finalmente neHVltjmo,folendonoi riprende
re, de vnaTr
edita. 24 ie,6c
ciTaggcrare, e imponìbile,
che non df~
ciamo Tempre molto
più che non
habbiamo fci irto.Si
che quanto alla
quantità, vorrei che più
capi d i pruoue
lì mettétfero nella
prima pai te
che nella feconda;
con quella propor¬
zione che ho
detto. Qnanro alla
qualità poi, non
fi può chre
vna regola certarperche
la diuerfità dei
’e ma ferie, porte
anco noi in
diuerfe neccflìtà.Ttir- tauia
polliamo darealcuni auuernmenr;, co¬ me
farebbe, che la pruoua
più difficile, e
più ipeculatiiia, fi
metta fubitola prima,
doppò 1 introdiittionej che
lapin morale fi
rjferui Tempre per
l’vltimo di tutta
la predicale (e
alcuna ve n
hà chefia piaceuole,e
di dilcrto, fi
metta nel principio
della feconda parte,
quando gli animi
hanno bifogno di
ri fioro : f
vtilitàJ& antichità» joquantoalla
prima cofa, che
ho propofta , ne
metterei due nella
prima, 6c vna
nella fe¬ condale
quanto ni la
qualità, perche rvtilirà,
è piti morale,
la inizierei per la feconda
par¬ se, e
di quelle altre
due, perche la
uccelliti hà maggior
forza la metterei
nell'vltimo della prima
parte, adoperando l’antichità
nel prin cipiodoppol’introduttione, perdile
caule; cioè perche
vi faranno cole
pili recondite, e
più difficili da
dire ; e
perche douendo noi
dentare nell’ordine del
ragionare l’ordine delle
cole* prima dobbiamo
trattare quelle cole,
che anticamente lo
fìgurauano, e poi
quelle cole che
fiicceffìuamente hanno infti-
tuito il digiuno.
E qnefto quanto alla
difpo- lìtionede’capi delle
pruoue. Ciafcuno de’quali
contenendo nella Tua
ClafTe molti concetti, hora richiede
Tordine, che noi
trattiamo in qual
maniera, lotto ào-
gn’vno di quelli
capì, debbano difporfì
detti concetti delle
dalli . Il che
diciamo , che
fi farà molto
bene, hauendoà mente
quella re¬ gola
per infallibile, chcogn’vna
delle pruo¬ ue.
vna Tredici. jf
Ile, delie eilere vna
predichctra intera, &c
ha- uere le
medefime parti che
ha la predica
dal la diuifionein
poi , cioè Vn
poco d’introdut- tioncella
in vnaTol claulula
o dolicela narra-
tione dello Hello
capo della pruoua,e
doppò lui, ratte quelle
cofc,che lo amplificano:
e fi¬ nalmente
vn picciolo epiloghetto ,
al quale polla
poi applicarcarfi l’introduttioncella dell’altra
pruoua che feguita,
la quale noi
do mandiamo volta.
Bifogna dunque, fatta
che noi habbiamo
la diuifione della
predica , pigliare in
mano la clafiTe
di quella pruoua,
che noi vogliamo
trattare per la
prima, elopra di
lei fidamente discorrendo
confiderare, fe alcuno
di quei concetti, potelTe feruirci
per introduttioned- la j ma
quello molto di
rado auucrrà che
Se¬ gua. E però
lafciatala narratione, che
fi fa co’i
proporre il capo
della pruoua, ballerà
à rifoiucrfi,con qual’ordine
vogliamo feruirci di
quei concetti dellaclalfe,neiramplificatio ne-, fin
che arriuiamo al
fine,& all’epiloghet- to di
lei. Per edempiorgià
habbiamofatta la intro-
duttione , già habbiamo
propollo per narra¬
tione, che il digiuno
quadragefimale de oder uarfi : già habbiamo
diuifo, che quedo
dette fard per
l’antichità, per la necedìtà,e
per l’vtà Modo
di Comporre ikà,
hora facciamo vii
poco dt apparato
di tre,o quattro
parole, come farebbe à
dire ; E
per
cominciaredall’antichità^che
bene è ra
gione,the all’antichità fi
donino i principi},)
quello farà prologhino.
A quella piuoiia
bi¬ sogna hora
metterci la fua
narratione, come farebbe:
Chi non sa
che ami chi
Hi me fu
fem- pre il
rito di digiunare
quaranta giornee coli
habbiamintroduttione,enarratione;
diuifìc ne qua
non bifogna. E
però corro à
ved ere 1
concetti che poflono
amplificare il mio
cape di pruoua,e
trono chene ho
cinque, cioè. t
6 11 ^
15 17 Di
quelli, guardo, quali
io debba mettere
per primo. E
poiché l’ordine de’tempi
in que fio cafo
mi ferue, comincio dall’vno, e
dilcor docile Moisè
digiunò quaranta giorni
: ap¬ preso
metto l’vndecimo che
dice, il medefì-
mod’Eliaiepoi pafiando dalle
figure al figu
rato, inoftro, l’antichità per
lo fello, cioè per¬
che Eelesforo pure
antichifiìmo , lo pie
(tip- ponea già
anticho. Vengo poi
al quintodeci- nio,
e moftro che
quello digiuno quadrage-
fimale , che facciamo
noi, è lo
lidio antico, perla
yti a Predica
. |ser la
conformità de’riti,che vediamo
fra lo* ro.
Poi vengo al 1
7. deH’elfempio di
anti¬ chi .
E coli accommodan.do,tnrti quelli
con¬ cetti della
pruoua , conqtielle figure ,
e con quei
lumi dell’oratyone, che
s’infegnaro re!- relocutione,mi trotto
hauer fatta tutta
la pri¬ ma
pruoua,dall’epiìoghetto in poi:
&: hauer occupato
quelle pagine à
punto, che io Pane¬
tto dilegnato per
lo prima pruoua,
L’ £ pilogetto
poi , bifogna auuertire,che
nonhà daellere di
tutti quei concetti,
che lì lo
no adoperati nell’amplifìcatìone,ma deelTc-
rc folamentc vna
ricordanza del capo
di pruoua, che fi
è finito di
trattare . E quello
à fine di
poterli attaccare l’introduttioncella dell’altro
capo, che ha da
trattarli ; in
modo tale, che
quelli Epiloghiti con le introdut-
tioni feguenti, vengono qua ad e
fiere ganghe ri, Topica
quali fi volta
l’oratione. E peròco-
me piti belle
fono quelle parti, otte
con artifi¬ ci)
Ione coperti i
gangheri, di modo
che non fi
veggano,cofi nel^Dtationr bifogna
hauere grandisfima aunertenza^di
tare quelli Epilo
ghetti, e quelle introduttioncellejhora in vna maniera, & bora
in vn’ahra,di modo
, che fi
faccia palfare l’animo
deH’afcoltante,da vna pruoua
all’altra, per ponto coli
coperto, che egli
non fiaiuieggapure d’hauerlo
palTato. A que-
Modo di Compone
A quello feruitio
dunque degli Epilogget
£i, faranno buonisfitni gliepifònemi,le efcla*-
mationi,le reprenfioni,Je indignationi,& al¬
tre figure, che
più chiaramente fi
inoltreran¬ no neirelocutione,come farebbe
neirellem- piopropolto, finita
che fia Taniplificationc di
tutto il primo
capo, perepilogo, e
per me¬ moria
di lui, dir coli,
Tanto egli è
vero, che antichisfimo è
il rito della
Quarefima : Olie¬
rò, Oquadragefima dunquequanto
è egli vero
che amichisfima fei:
ouero, B l’herctico
poi ardirà di
negarmi l’antichità della
qua- dragefima? ouero.
Andate hora voi,
c trotta¬ te
rito più anticho
della quarefima . ouero
(c quello e
bello perche ricorda
inficine col ca¬
po della pruoua,anco!a
narratione principa le
di tuttala predica,
) Tanto è
egli vero,che quando
non ui fuflcaltrOjad
ogni modo per
l’antichità
dourebbeofTeruarfi la quarefima,
al quale Epiloghetto,
vedete adello, quanto
facilmente potrete applicatela
introduttion- cella, e
la narratione dell’altra
prtioua , per¬ che
potrete foggiungere; Ma
non vi è
quella cola fola
afcoltatorire quello farà
il prologo. Vi
è di più, la
necesfità,e quella farà
la narra tione,laquale fatta, tornerete à
pigliare la dal le di
quello fecondo capo
di prue ita,
proce¬ dendo lemprc
neH’ifteHa maniera, che
hatv- biamo 37
vna 'Predica . biamo
infognato di (opra.
Si che, fé la
predica fulTe d’vna
parte fola, hancndcnoi detto
tutto quello, che
appartie ne alla
introduttione , narrarione, dimfione.
Se pruoua; altro
non ci re(larebbe,che ragio-
naredell’epilogo di tutta
la predica. Ma
per l’vfanzac’habbiamo di
far due parti, diremo
alcuna cofa del
fine della prima, e
del princi¬ pio
della feconda parte,
CAPITOLO 1^0*10. .
• SOgliono alcuni
per fine della
prima par¬ te
fare vn’Epilogo minutili! mo
di tutto quello ,
che fi è
detto non folo
nelle pruoue , ma
anchora neH'imrodumone ,
& in (um¬
ilia, in tutto
quello, che fi
è trattato .
Ma veramente à
me non finilcedi
(oJisfareque- fta maniera
: perche (e
non vogliamo poi
farnuouo Epilogo, neH’vltimo
non venia¬ mo
ad hauer raccolto
(e non Ja
metà di tutta
la predica ;
e volendone fare
in fine come
più fi conuiene ,
veniamo noiofamente à
ri¬ petere due
volte vna gran
parte de gli
ideili Epiloghi .
Si che,à me
piacerebbe più ,
che noifaceffimo vna
delle due cole;
cioè, oche noi
dell’vltima pruoua di
quella parte la(cià
do per fine
alcuna cola più
vebemente, ve- F
ni (limo Modo
dì Comporre niflì mo
con quella ertaggeratione, che
alcu¬ ni (
non sò perche
) domandano femore
-, à finire
infieme inficine, e la pruoua, c
la parte: ouero
che vfandofi quali
in tutti i
mezzi del¬ le
prediche di domandare
elemofina, pro¬ curavano
di accommodare coli
gentilmen- te il
fi ne di
quella vhima pruoua
di quella parte,
che egli mcdefimo
vernile ad intro¬
durci in quella
dimanda di elemofìna,
che vogliamo fare.
Ma qui bifogna
hauere grandiflima au-
uertenza, che quelli
accommodamenti alla elemofìna, non fiano
o fliracchiati,o {corrili,
perche i primi
rafreddano , &: i
fecondi fde- gnano gli
animi degli afcoltatori
: come fa¬
rebbe à dire,fe
nel fine di
quella pruoua nei-
lacuale noi moflriamo
necefiìtà del digiuno
quadragefimale, volcsfìmo dire
: Neceffa- rijsfimo
dunque è il
digiuno, ma necefl'arijf- fima
è anco relemofina.
Quello, fenza dubbio farebbe
vn trapafTo fliracchiato , efenza
prcportione. Eie dal
- l’tro canto
noi dicesfimo, il
digiuno dunque è
dinecesfità,ma in neccsfità
muoiono quel¬ li,
che non fono
aiutati , E però
fate elemo- fina, quello
modo hauerebberedel comico,
e dello fcurrile,
e però non
iftarebbe bene; più
torto potrebbe comportarli,
fe noi dicef-
ma "Predica. a
8 fimo, Ncceflarijfsimo è
dunque il digiuno
quadrcgdìmale, non lelo
per (e Aedo
. ma anco
per le altre
opere, alle qual' da
aiuto , poiché digiunando
lìamo più 1
beri per fare
oratione, e digiunando
poslìamo facilmen¬ te
quello, eh’auanziamo dalle
fuperflue fpe- fede
cibi /penderlo in
ekmefine , delle qua¬
li hoggi,&c. E
qnèfto deurà badare,
per quello ch’io
debba dire intorno
ai fine della
prima parte, che
non è cola
perù più rileuante
che tanto. Più
importante è lenza
dubio il principio
della fecondaci quale
diuerfì, diucrlamente accommodano
. Ma io
dirò prima quello,
che ha da
edere Icopo, intentione
no- ftra in
quello fatto ;
poi datò due,
o tre mo¬
di da potenti
peruenire :non negando
può, che anco
moh’altri mezzi poflòno
molto fa- cilmentecondurci à
quello line. J n
fomma , lì come
quello djuidere delle
prediche in due
parti , non
fi è trouato
per
altrOjcheperlafcJarechelì
ridormo vn poco
gli animi affaticati
di quelli che
afcoltano; coli il
principio della feconda
parte, non de-
ne haucre altro
per mira, che di
dare honedo diletto
à quelli animi
illesi], o almeno
di por gere
loro cola, che gli
faccia più frefchi,e
più animofì à
fentire il redo.
Il che potendoli
F a fare,
! Modo dì
Comporre fare, onero
co’l tornar loro
à memoria in
po¬ che parole
il pacato ;
che rimanendo quello,
imperfetto, gli accende
fenza dubbio ad;
ha- uerne il
compimento : onero
narrando alcu? na
cola, che porga
loro dilletto,e lia
à propo lito,ouero
facendo alcuno ingegnofo
ingan¬ no, che
poi riconolciuto apporti
loro piace¬ re
. Di qui
nafce , che conforme
à quelle tje
cole, tre modi
di cominciare, mi
ballerà di fproporui.
Il ptimo,è facendo
vn’Ep.ilogo delle cole
già dette,& applicandoti!
deliramente quel- ìe,che
hanno da dirli; ma
cò due auuertcze
; l’vna che
l’Epilogo non iia
elquilito , ne mi-
nutamente fatto di
tutti quei concetti,
ma lo? lamente
dei capi dello
pruoue: & l’altra,
phe quando fi
fà l’Epilogo, li cominci
la pre¬ dica
da parola rotta,
come da vn
, Ma, da
vn , In
iomma, da vno,
E coli,e limili, e
per darne ellempio, nell’ellempio
propollo, in quella
forma li potrebbe
cominciare la le-
códa parte. Si
che il digiuno
quadragelima- Ie:e per
l’antichità, e p la
neceslità fu a,
debba olferuarli,quello di
già $’è dettothora
c. Il fecondo
modo li fa,
come diceuamo cò
vnanarrationedi cofe dilettatoli,
la quale venga
à cadere fopra
la pruoua,che ci.rella
à fare; e
quella potrà e!Tcre,od
vna hifloria la-
'i era. vnaTredica.
39 cra,od vn’apologo^d
vn e (Tempio
d’vn lati¬ to, o
dmilitcome farebbe à
dire -, Hauete
mai fentito afcoltatori
TdTcinpio di quel
fante pa dre,
il quale ad
vn dio dilcepolo,
ched que- relaua
d’vna
nioleftilsfimatentatiòne di car¬
ne, commandò che
digiti nalTe in pane,
&c acqua vnaeccesfiua
quantità di giorni
: e poi à mezzo
il corfo del
digiuno domanda¬ tolo
come lo trattana
la Carne ,
egli rìfpo- fe,
che altro ci
era in penderò
àlThòra, & che
a penavi era
forza di viuere.
Mercè, che il digitino
gti haueua fatto
quello bene ,
e che egli
anco in quella
materia, è coli
vtile, come oltra federe
antico, &
neced’ario,anco à mill’altre
cofe è vtilisdmo,
e per comincia¬
re &c. Il
terzo modo lì fa,
come io
dislì , con in¬
ganno, il quale
è , che
{olendoli quali {em¬
pie nel principio
delle feconde parti,
publi- care alcune
cole non pertinenti
alla predica. Come
mdulgcntie, procesdoni,quaranf bore,
e limili; le
noi nel fare
qui He cofe, tanto
afeo ftamente entreremo alTi
ilclTa materia della
predica , chechi
ci alcoltanon fen’auiiegga
inlìno à tanto,
che non ci
damo entrati: al
lì- curo, noi
daremo molto diletto
àgli altri, e
luteremo la fatica
a noi di
fare nuoui appara
ti perla leconda
parte . Come
lai ebbe, fi
F 3 tcnen-
Modo di Comporre
tenendo la carta
dell’mdulgerize in mano*
noi dicesfimo*, Domenica
che viene, è
la ta¬ le,
o la tale
indulgenti , la quale
douete ar¬ dentemente
prendere, per le
tali, e le
tali ra¬ gioni
. Et le
inailo douete fare,
hora princi¬ palmente
douete in quelli
tempi quadrage- fimali
: perche non
vi è dubbio,
che lì come
il digiuno quadragelìmale è vtile ad
infinite altre cole,
coli ci fa
piti fpediti, e
più pronti nell’oratione . E
per dir il
Vero qual vtilità
non ci fa
egli &c. Bifogna
folamen auuertire, di
variare gen til
mente quelli modi
cominciare* in manie¬
ra, che non fempre,ne
troppo IpelTo ci
leruia mo di vno di
loro,e quanto al
terzo, bifognà auuertire
molto bene , che
fe bene 1‘inganno
ha da elfere
diletteuolc , non fia
peto buffo- nelco,
e fcurrile i
ma fi faccia
con grauità, e con
decoro . E
tanto balli de principi
j delle
feconde pani, &c.
CAVITO LO DECIMO ,
SEguitailfinedituttala
predica, il quale
come è quello ,
che più di
tutte le altre
parti laida ò
buona, ò cartina impresfione ne
gli animi di
chi afcolta, cofi
in vniiterfaie bi-
gna che fia
veheniente, vtile, denoto,
&c in ynaV
redica. 40 in
fomrna tale, quali noi
defi deriamo, che diuernino
quelli che ci
fentono, equali de-
fideriamo noi fteflì
d’effer iftimati da
loro . Maquinonfi
può abbracciare ogni
co- fa^ à
me quanto alla
quantità , mi
batterà dire,che l’vltima
pagina delle otto,
potrà re- feruarfi
àqiìefto fine ;
e quanto alla
qualità, duo tre
modi , i più
vfati, co’quali 10
gli fo¬ glio
fare. il primo
è, facendo l’Epilogo
di tintele cofe
dette di fopra
molto più elquifitamen-
te, che non
è fiato qual
fi voglia Epilogo
fat¬ to di
fopra, ma non però
tanto che vi
fi fcuo- pra
afiettatione. In fomma,
qui non batta
à direi capi
delle pruoue , &
è certo che
bifo- gnadire anchora
i capi delle
amplificationi delle pruoue,
& quali tutti
i concerti d’ogn’-
vna delie clasfi
. Ma bi fogna
auuertire, di farlo
come diceuo, fi
che tu non
moftri di oftentare
la memoria, o
di recitare, come
fi dice di
felliniana. E fopra
il tutto, in quello
primo modo, bifogna
hauere dtìcaiiuerti- menti
• l’vno, che
tu non auuifi
date ftefib fcioccamente
il popolo, che
quello è l’Epi-
logo-, come farebbe
dicendo : Eccoui
quan¬ to ho
detto nella predica,
quello è tutto
ciò, che hò
ragionato con voi ,
e* limile vacame¬
le. £l’altto,chelecole,le quali
tu hai detto
F 4 nella
Modo di Comporre
nella predica, narrandole
diffiifamente nel¬ l’Epilogo tu
le dica molto
più breuemente,c tutte
in maniera concitata
j e vehemente*
Se già non
ti piacele anchora
di epilogare alle
volte apottrofando à
Dio nell’vltimo della
predica : Maquetto
non fi fa,
fenon doue c
poco da Epilogare,
e dotte le
cole pa¬ tirono
d’ etter ragionate con
Dio : che
à dir :1
vero, molto male andarebbe
la co/a, fé tu
parlando à Iddio
nell’vltima oratione 1’andaflì
dicendo. Chi fono
tutti quelli, che non
fono tenuti à
digiunare la quarcfima
? e fi
mi li co/e.
Il fecondo modo
fi fa pattando
ad vna nota
grane, feuera, e
vehemente, della qua¬ le
fi ragiona diftintamente , nel
trattato del- l’elocutione,con inuertiue,
con reprebenfio- ni,&
altre acerbità. E
quello modo è
a/Tai vti le
per li popolirperche
doppoettere fiato lor
pronato, che bifogna
far alcuna cofa
, ogni reprehenfione
che ricettano per
non farla +
pare loro, che
fia molto guitta
, & han¬
no infieme dii
letto e vergogna
; con i
quali affetti terminandoli
il ragionamento1, e
partendoli etti reftano
amoreeoli à noi
per lo dil'etto, e
per/nafi ad emendarli
per la vergogna.
Per effempio nella
materia propoffa , fe
i>na Tre dica .
41 ìc finito
c’ habbiamo di propone
, e di
prouare il digiuno
quadragefimale , per r
antichità , e
necellìtà , Se volita
Aia
» entreremo finalmenteà
riprendere acerba¬ mente
quelli, che non
l’ofleruano, Se vie-
remo tutta quella
fetierità, che s’infegna
nel¬ la nota
grane, noi al
Attiro potremo vn
fine conueneuol illìmo alla
noftra predica ,
Se inficine infieme
'puadapnaremo gli animi
OO r> à noi
, e
le annue à
Dio , di
quelli , che ei
alcoltano. Et in
quefto calo , doneremo
ricorrere per materia
à quella picciola
dalle , che
noi cauamrho dalla
feluagrand'e , per ler-
uircene à punto
in fine della
predica, nella quale
ellendoui tre cocetti,cioè
il 5. il p.Se
il . potremo
doppo hauer riprefo
vn poco q{ li,
che n
on digiunano, a guifa
di qtielh, che
lì ritirano indietro
per far maggior
lalto, fet uirfi
del 5. e
del 9>e dire:
Vero è, che alcune
lbrti di pione
no lono tenute, cioè
itali e i
ta¬ li, anzi in
calo di necellìtà
, niuno vi
ètentiro, eòe appare
di Spiridìone,&c.Epoi feriitdofi
del ^.ritornare co
maggior Ipetoà dire: Ma
da qfti in
poi, chi potrà mai
jfeufare qlli, che nó TolTetuano
? e leguitarecó
qlla inuertiua, chec
accennata loto ql
nu.finoal finire della
pdica,od almeno ad
vna oratiòcela al
Croce fi Ab,
Modo di Compone
fiderò à Dio*
nellaquale, in quello
fecon- do modo,
fi potrà,o pregare
il Signore, che
perdoni la negligenza
pallata delli afcolta-
tori , ò merauigliarlì
con lui della
patienza , chehà
h aulita fino
à quel tempo,
ò, fuppli- care
à muouere quei
cuori di fallì ,
ò pro¬ mettergli
che per fauanti
vogliono mutar vi
ta,ò limili cofe.
Reità il terzo
modo folo , il
quale è aitai
gratiofo,& è, quando da
tutta la materia
del¬ la predica
noi raccogliamo per
modo di co-
rellario alcuna cola
non anchora tocca
pun¬ to, in tutto
il rimanente del
ragionamento, Se intorno à
quella amplificando, & elTaggeran
do ci conduciamo
al fine. Come
farebbe neU’elIempio propolto 5 fé
dopf ò hatier
dimcftrata l’antichità ,
lane- ceflìtà, &rvtilità
della qtiarefima, noi
neca- nasfimo fuori
la conlideratione della
proui- denzadi Dio,
c più propriamente
della cu¬ ra,
che hà lanta
Ghie la di
noi, ouerodella marauigbola
armonia, con la
quale procede ne’luoi
riti tanta Chiefa,
e fimili quafi
dicen¬ do :
fct di qui
cioè da tante
volita del digiu¬
no, chi è
quello che non
debba alzarti à
con¬ templare quanto
giotieuolmente , e
quan¬ to foauemente
fìano inft itui te le
confue- tudini ,
& i liti
di ncftra lanta
madre. O chie-
4* vna Vredica.
O chiefa, c
chiefa, &c. E
coli in qual
fi voglia di
quelli tre modi,
potranno i principiami
finire le prediche
lo¬ ro infino
à tanto, che
da fe ftelli
trotteranno di meglio,
cuoi hauendo infegnato
, come s’habbianella
predica a comporre, Tintrodut tione,
la narratione, la
diuifione , le prtioue,
il fine della
prima parte, il principio
della fe¬ conda^
l’Epilogo vniuerfale, polliamo
dire d’hauere atrefo
quello, che promettemmo,
e dihauere infegnato
il modo per
comporre Vna predica
intera, &c, CUCITOLO VI ^DECIMO,
Solamente vn’altra particella
ci refta, la
quale pare di
minor importantanza ,
perche in vero
non ha che
fare con la
predi¬ ca, ma
ad ogni modo
è di molto
riletto: per¬ che
è grandemente auuertita,
e perche elTen-
do la prima, che
fi fente, e anco quella
che fa buona, o
cattiua impresone di
noi nelli ani¬
mi di chi
lente, in quella maniera
, cheefien- do
il madrigale compito
da fe,con filo
prin¬ cipio, fuo mezzo,
e Ino fine;
umania-detie ri mufico hauer
molt’auuertenza à far
gentil¬ mente quella
ricercata , che
egli vi promette
j prima, che fe
lo ponga à
fonare, Perche le
he ne non
Modo ili Comporre
he non è
parte madr gale;
ad ogni modo
daleicauaho fubbito i
circondanti quello che
poflono fperare della
virtù del fona¬
tole La parte
di che parlo
è quella, che
noi chiamiamo prologhino,
che anco da
Ari¬ notele ,
come mrlharemo forfi
vna volta, è Hata
conofciuta , edaluic
ftata paragonata «alle ricercate ,
che fanno i m
tifici . In quella
bifogna battere molfaiitlertenza,cht gli
orna menii,non fiano
allettati Ili mi,
le fiene fi
può facilmente concedere,
thè efia fin
più orna¬ ta
di tutte le
altre, & anco
fe gli permettono,
e delle comparar oni , e.'dd le
altre còlevo poco
troppo poetiche, leqaali
nel rimanen¬ te
della predica llarebbono
mahfhmo : 8c
come le ricercate
potino edere .di
diece rriila ioggie,
coli quelli profoghini
non ha (tendo
che iar altro ,
che deltar gli
animi , vengono ad
edere coli lenza
lege , e
cofi lenza regola*
che è quali
folli a à
volerne portare documen
ti alcuni. Tutrauia
per non mancare
à cofa alcuna^
che noi polli
amo, quanto alla quantità,
dicia mo, che cfsédo
la predica di
otto pagine, le
il prologhino farà
di vna meza,à
noi pare, che ballerà:
& in lèmma
io defiderarei, che folle
molte volte minore,
ma non mai
maggiore i della
vna V redica . 4
$ della metta
della introduttione.- Equantoallaqualità,pcrqueftohò io
in- fegnato à
fare tutta la
predica prima, perche dalTi/telTa
predica è gentil
co/a à canario
: E quelto
prologhno , le bene
il può fare
in molti modi ,
diciamo nondimeno per
hora, che in
tre modi fi può principalmente fare,
cioè, ouero trattando
cola che non
appartie¬ ne alla
materia della predica ,
ne fi Canada
Jenouero l’ifteffa materia
della pred ca-oue-
ro non la
materia ìfteffa, ma
alcuna co fa
pe- ru,che quali
per corei lario fi
catta da lei .
Per e (Tempio, alle
volte occorre ad
hairere occafione di
ragionar di fe
lhe(Iì,o delli afcol
tanti, o di alcuna
cofa,che occorre à
quel tem po
; principalmente nelle
prime volte che
en marno à
qualche Città , come
farebbe adi¬ re
: Ritornando nella
patria doppo molt’an
m di afientia,e
limili, & alThora il
prologhi- no fi
potrà formare intorno
à queflo :
Altre volte,e quello
farà il più
frequenterò cauere pio
dalla materia iftefia;
proponédood vna laude, od
vn vituperio,o vna
qualità in soma
del luggetto di
che vogliamo ragionare.
E fi- nalméte,quàdo
nel finedelle pdiche
noi vo¬ ghilo
feruirci del terzo
modo che dicemmo
cioè p corelIario[:
all’hora qlTifteffo «nella-
rio, ci farà la
jppofitione di tutto
il sloghino. òi
che. t Modo
di Comporre Si
che andando i©
a predicare la
quared- rnaà Milano,
per cafo, e
volendo tra'tare, che
il digmnoquadragefimale detieoderuar
lì , bi fognerà
, ch’iotroui lubito
vna propo- fitione
(oprala quale io
teda il prologhino,
e quello nel
primo modo ;
cioè, fuori della ma
teria potrà eder
cofi. Io vengo
volontieri à predicare
nella pa¬ tria
mia. Nel fecondo
modo, cioè nella
materia irte da
porrà edere. Bellisdmacofa è il digiuno
quadragefi- ma’e. t
finalmente nel terzo, s’io
haurò tolto per
corellano, Che i
riti di Tanta
Chiefa fonofìu pendi, quello
medefimo farà la
propofitionc che hauerà
da feruirmi nel prologhino. Ma
i modi di
veltirlo, e di
ridurlo in for¬
ma fono dmerlislìmi ,
& io vorrei
più tofto Jhauerlo
à fare,cheinfegnarlo. Tuttauia,
in due modi
posfiamo ridurre tutti
gli altri ,
cioè ouero portando
nel primo punto
prin¬ cipale, la
paura e Tempi
ice propolìti one,
r i¬ dotta
con qualche pocho
d’aiuto in vn
pe¬ riodo ; onero trouando
vna comparatone, dalla
quale venga ad
edere inferita la
propo iìtione,che noi
vogliamo trattare: ma
li efsé- pi
mi renderanno più
chiaro, e prima
appor taremo ma
‘Predica. 44 le
proporttionifenza comparatone,
e poi
co’t paragone. Ertempio
della prima :
Sono eoi? incitati
entro a’cuori hnmani
certi naturali effetti,
&c. che fé
bene io per
J’habiro ch’io verte’
faccio profesfìone di effere
fccrtato dai mon¬
do, &c. Ad
ogni modoo , non potendomi
feortere dalla natura
ifteffa, forza, è
che mi compiaccia
di prefentarmi hoggi
nel con- Ipetto
tuo, o patria
mia. Ertempio della
feconda : Qiierto
nell’o¬ pera facra
del digiuno quadragertmale mi
par marauigliofo , afcoltatori
,che non folo
in le fttffo
, è opra
buona , ma ancho
l’alrre opre tali, con
la fua fola
forza rende affai
più purgate, e piu
perfette. r i:
fl'empio della terza
: Se cofa
alcuna fra tutte
quefte co fe, che
ci girano intorno ,
può apportarci e
marauiglia,egiouamento infie me*, quello, al mio
giudicio afcoltatori , Se
à giudicio di
chiunque altro vi
penfa , alrrono è
che il contemplare
i riti,& cortumi
ahiisi- mi di
fanta madre Chiefa.
E quefto quanto
all’apportare nel primo
punto puncipale , il
fondamento femplicc del
pr°loghinOjmàfe vogliamofarlo inferi¬
re da vnacomparatione, come
hoggidi pare che
s vrt, tante
faranno le fpetic
d’introdulo, quante Modo
di Comporre quante
faranno le forti
delle cofe ,
onde poli fiamocauareil
paragone, leqnali, nonhòin animo
io di profeguire
tutte;mà ne roco
due capi foli, che
fono il dedurtela
proportione da vna
cofa naturale :
o il dedurla
da vna hi¬
ftoria facra; e
d’ogn’vna di quelle,
n’aflegno
quafottoglieffempi, fenza metterli
però in ordine, ne
in forma di
oratione : perche
que¬ llo appartiene
à quella parte,
che fi chiama
elocutione. Eflempio della
prima; da cofe
naturali. Come gli
vccelli più dolcemente
cantano ne i
loro nidi, coli io,&c.
Da hiftoria facra
: Come Giacoh
dop- po quattordici
anni ritornato alla
patria, fen ri fomma
dolcezza, coli io &c.
EfTempio della feconda,
da cole naturali;
Come vtilisfìma è
quella medicina , che
fa+ «andò, vn
membro, cóforta tutti gli
altri :cofi quello
rito, che oltra il
digiuno aiuta 1
orario Uejaelemofìna &c.
Da hiftoria facra.
Come molto ragione-
uolmente/ì dauano le
decime di tintele
co-, feà Dio,
coli è ragioneuole che
glifi dia an¬
cora la decima
dell’anno. Esempio della
terza, da co
le naturali, Come
in bene accordata
cererà tutte le
mi¬ nugie marauighofamente refpondono ,
coli nella Dna
'Predica • 45'
Stila cetra ii
sàta Chiefa &c.à
i ftiòi riti
Bcci Da hi
ilo ria (aera,
Come i ricamidel
ta¬ bernacolo erano
marauigliofi, cofii riti
di lanra Chiefa, &c. E
quello potrà ballare
per ogni mediocre
ingegno, à trottare la
forma di mill’altre corri
parationi . Ne io
intorno a quello
principio del prologhino,hò
più à dir
altrove non due
cofejl’vna delle quali
è, che le
comparationi alle volte
s’accommodano in modo,
chefra la comparatione
inferente , e la
propolìtione inferita, non
fanno più che
vn lol punto
pria cipale-, &
alle volte la
coparatione fola fa
tut to il
primo periodo^ poi
framelfo alcun me
bro fciolto per
ripofo, viene la
propolìtione inferita à
fare vn altro
periodo da le
ItelTa . ElTempio del
primo modo :
Poiché anco gli
vccelli tornati à
quelle valli do¬
tte nafeono ,
cantano vonlontieri -, chema-
rauiglia fia fe
anch’io doppo tant’anni
torna to à
te. ElTempio del
fecondo : Quei
poueri vc- celletti,i
quali fono lungamente
flati in paelì
; Urani, quando poi
mercè di Dio,elor
buona ventura, tornano finalmente
alle natiue valli j
chi non sa
quanto oltra l’vlato,&c. E
qui è finito
vn periodo,nella cóparatioe
loia, ai che lì
foggiunge fu b ito vn
mebro cós Modo
dì Comporre farebbe
a di re,
Milano mio caro,
ò limili, e poi
in vn altro
periodo, con buona corrifpó-
denza aggiungendola
propofìuone inferita lì
dice : Anch’io
le bene roco,
doppo hauere fe non cantaro
in molte e
varie parti ;
garrito almeno, come ho
faputoil meglio j
hoggi fi- nalméte
&c. quado &c.
che ntarauiglia &rc.
E di quePti
due modi, il
ferodo ha da vfar li
nelle prediche più
celebri , come farebbe
i primi giorni
di qtiarefimajefefte grandi,
ina zi
a Précjpi, nel
fare vna predica
fola ad vna
Città, e fimili.'ladoue chi l’vfaffe
perpetuamé te, hauerebbe troppo
del gonho, e
però nelle altre
prediche communi molto
meglio è fer-
uirlì dell’altro. La
feconda cofa che
voleuo dire, è,
chele eomparationi polfono
vfarlì talhora inanzi
alla propofìtionc principale
del prologhino, comehabbiamo
dato tutti gli
efsépi di fopra:
Se al le
volte ( il che è
belliflimo) & hà
meno dell’affettato doppo
l’ifteffa propohtione,co me
farebbe à dire,$e
bene io per
l’h, abito, che vefto, faccio
profesfione d’effère feoff
ato dai mondo
&c. Ad ognimodo,riópotédomifco fare
dalla natura ifteffa,
forza è che
mi com piaccia
di presentarmi hoggi
nel confpetio tuo,ò
patria mia. E
poi foggiungere fubito,ò
da cola naturale;
Coli tal’horagl’iftcsfì auge!
li rnaTredìcn. 46
ji quadodeppo di
eiler flati lungaméteaflen ti, tornano
finalmente, &c. Onero da
hiltoria facra. Cofi
il gran padre
Giacob,qttado dop po
efTer flato quattordeci
anni adente, ritor¬
no finalmente, &c. E
infin qui, hauèremo
fatto quello , che è principalifsimo nel
prologhino,cicè trottata la
principale jppolìtione d’adoperare
in lui, e di
più,imparatola à proporre, ò
femplietmé te,ò con
comparatione : e
quella, ò prepofla, ò
pofpofla,come ci pare
il meglio. Doppo
il che, potremo fare
alcuni fcherzi ò
di oppofitioni,ò di
rifpódenze, ò d’altro, in
torno airifteda propoli tionegià {labilità.
E poi hora
in vna maniera,
& bora in
vn’altra, chiedere aiuto
à Dio, è finalmente
anco, con diuerfi
modi cattati, fe
fi pub , dalla
materia, trattiamola non
comici, ne feurriii, chiede¬ re audiéza al
popolo. Le quali
cofe tutte, per¬ che
confiftono più nell5elocutionc,che nella
difpofitione, p quello
io non leprofeguo
più lugnméteifi come
in tutto il
rimanete ancora de
libretto nò folo
nò ho apollo
gli elsépi co
eloquéza, ma in
pruoua logli ho
abozzati lo laméte,acioche fi
vegga quàto ancora
doppo tutto quel
lo, che lì
è fatto, ri
mane da fare
alla elocutione,cioè d’aggi
ugere le parole,le
fra- fi, gli ornamentai
lumi, 5c in
fomma da fare,
, G 2
che Modo ài
Comporre che quello
che hora è
abbozzare, diuéga poi compita, e
bellisfima imagine, &c.
C^T ITO LO
T> V 0 DUCI MQ.
B Afta, che habbiamo
(la Dio mercè
finirò di trattare
rutto quello che
appartiene al le
due prime parti
della Rhetorica,cioè,alla inuetione,& alla
difpofitioneinó certo eftat- taméte,come
fanno i Rhetori,ma
in una c^r-
ta maniera, vn poco
rozza: tanto,che i
princi piati pollano
preualerfcne-i quali fecóforme
à gli auuertimenti,
che habbiamo detto
di lo pra
diftinguerano in che genere vogliono
fa relepredtche, e tf
olieranno la propofirlénc
principale, che vogliono trattare, e
fatta la fel
na di tutti
i cocotti, che cauerano
d allibri à ql
propofiro,ladiuiderano in diterminateclasfi inducédofi
poi co vna
inferente vn poco
piti vniuerfalc,alla principale
propofitione,e fe- gmtando
in {bramala narrati
one, e la diuifio
ne,& faitre parti, in
quella maniera, che hab
biamo inlegnato- per auuentura
faràno predi che
molto più ordinate,
chenó faceuan o
prs ma^ od
al meno haueranno
tanto lume, che
potranno da fé
fteslì trouare cole
migliori di quelle, c’habbiamo dette
noi. TRAT- 47
TRATTATO T> E
L LA I . .
f . ì
M e mori
a Locale . A
memoria locale è
vn’ar te con
la quale aiutamo
noi medelìmi a
ricordaci facilmente, &
ordinata¬ mente molte
co fe delle quali
con fole forze
natu¬ rali non
farrebbe polli bi-
le che noi
hauelìimo ò coli
pronta, b coli
di¬ pinta memora.
Ne pero per
mezzo di que¬
lla cerchiamo di
ricordarci quelle cofe
le quali vogliamo
che ci rellino
le mpre à
men¬ te, ma
quelle /blamente delle
quali feruirci per
vna volta loia
non lolo non
ci curriamo, ma
delidenmo che ci
elchir.o di memoria
per dar luogho
à falere . Come
ci alimene à
punto in quei
li bricioli Tedelchi ,
nei quali con
vn ftiletto d’ottone
non lcrituamo noi
elle perpetue percheinqutlla maniera em¬
piendoli preflo quei
piccioli fogli non
circ- Ifarebbe ouelcriuere
• ma quelle
cofe fole vi
notiamo le quali
per vn poco
di tempo deo-
no leruire , &
eller /ubico Icancelato
da noi . &
perche in far
mentione diquefto libricio-
* 4 G
3 lo Modo
di Compone 10
damo cadaci :
egli pur farà
bono che cofì
le proportioni Tue
ci infegni il
modo della memoria
locale. D'co adunque
che fi come
à ricordarli alcune
colè per via
di quello libretto
, & l’occhio
bifogna che vi
fia per legerle ,
& il libretto
illefio,&: in lui
diffcanti luoghi &fpa
ci j dotte fcriuere,&: charateri
che ci raprefen
tino le cole
& le fctitture
itlefie,& il leggere;
Coli nella memoria
locale al ochid
rifpohde l’intelletto, al libriciolo la fantafia , à
1 luoghi &
à i fpacij
certi luoghi &
fpacii che fi
for¬ mano (labili, e
perpetui nella fantafiàillelTa ài
caratteri certe figure-
a lo fcriuere
l’ im¬ primerli con
la immaginàtione,& al
leggere 11 reccitarle.
Ma perche dalla
cognitione di due
cole loie tutte
l’altre ci verranno
ad efier chiare
per quello à
formare i luoghi
fola- mente ,
& l’imàgini farà
benechevogliamil
raggionamento. E prima
quanto à i
luoghi anno ad
efier llabili &c
perpetui, & quanto
maggior co¬ pia
de luoghi haueremo
fi fio in
mente, tanto maggior
numero di cofe
potremo porci à
re* citar per
ordine . Vero
è che non
ogni Ino1 hgoci
ferite, ma anco
in quello come
intin¬ te l’altre
arri ci fono
le fue regole.
La prima delle
qualli è, che
il luógho non
.« ■ I
* ’ ynaTredica.
4S non vuol
efTer troppo picciolo .
La fé con*
diche egli non
vuole edere troppo
grande» come farebbe
à dire, che
tu per luogho
nonhai àfeglierela facciata
intiera d’una, chiefa,ne
vna punta d’un
mattone che efcha
fuori tà in
vn canto :
percioche fi come
chi feri ue fiè vna
lettera fola in
vn gran foglio
di carta , ò
pur volefse accozzare
vna orario* ne
infieme in duo
ditta di foglio ,
non trop¬ po
didimamente , ò
prontamente rilegge¬ rebbe
quello, che egli
hauelfe fcritto , cofi
ì chi ò
troppo grande, ò
troppo picciolo ap-
parechiafse il luogo, oue
collocafse, l’imagi- ne
difimili fproportion auerebbono
fenza dubbio: fi
che quanto a
quefte due regole
' fe ru
mi chiedi qual
dourebbe efsere la
capa¬ cita del
luogho , io
per me nfpondo
che quello d’vn
vfeio comune farrebbe
a pun¬ to
al propofiro, &c
quello quanto alla
capa¬ cita dei
luoghi. La terza
, e quarta
regola fono, che
nè troppo chiari
fiano , nè
troppo tenebrofi i
luoghi che fi
preludano-, come farrebbe
à dire, che
nè o^ni vfeio
prillo d'ogm luce
deb * baelleggerfi,nèvno oue
perpetuamente fe- •
ri f eh
ano di giorno
1 faggi del
fole ,&febc- re
non è cofi
gioueucle il tendere
per- fiora le caufe
di quefte due
regole, contenti fi
non- G 4
dimeno Modo di
Compone dimeno altri
di ricordarli , che
n’ancho al buio,
ò doue ferifce
il fole leggiamo
noi commodamente inoltri, ò gFaltri ferirti ,
è pafsali alianti.
La quinta è
fexta regola fono
che ne trop¬
po vicini lìano
i luoghi ,
ne troppo di-
feofti , i’vno
dall’altro -, percioche
lì co¬ me
quando troppo vicine
fono le parole
fcritte alcuna di
lor ben fpelsolì
lafcia nel leggere
; & quando
troppo lontane fono
rendono tardidimo il
lettore, coli, e
non altrimente aiterebbe
de i luogo.
Onde coli confeglio
io che l’vno
dal altro non
lìano ò piu,
ò meno diquattro
pafsi intieri. Etfe mi
fara detto che
non coli per
apunto farà facil
cofa il ritrouargli
, a quello
rifpon- do che
oue non manchano
de materiali , Se
reali posiìmo con
l’imaginatione formarzi alcuni
michi della grandezza
a punto d’vn
vfeio Se di
quelli feruirci. 1
luoghi per fettima
> &c ottaua
regola deono else
re tutti entro
a vna fala
jftefsa, Se fila
tale alla quale
posfiamo noi gienge-
rc con le
mane, percioche di
quelli dua au-
uertimenti, le alcuno
piglialse vn vfeio
in terra ,
Se poi vna
fineltra altislìma ritor¬
nando a un
terzo luogho in
terra trop¬ po
ageuol cofa farebbe
che egli feorren-
do vna ‘Predica. 4P
do per la
linea dietro à
terra, della finellra
fi fcordafi ,
ponendo per fecondo
quel¬ lo che
era il terzo .
Et quanto al
altro , (;che ne
iia cagione )
vediamo noi lìcuramentò
che l’efsere i
luoghi non pili
alti che la
ftatua d’un huomo
ierue grandislimamen- te . . '
> Ma fopra
tutto non fiano
limili fra fei
luoghi ( che
feruira per nona
regola) & quelli
auertifea ognuno che
ne gl’vfci della
Cella in vn
dormentorio fratefcho , ne
le co¬ ione
d’un chiollro ci
poiTono ieruire. Pigliali
anco i luoghi
della liniflra alla
delira mane (Se
quella è la
io. ) in
quella manierache lattinamente
, ò volgarmente
fermiamo, perche altrimente
facendo lenza dubbio
ci nafeerebbe confulione.
Et quello fatto
formili tutti i
luoghi nel¬ la
fàtalia noftra talméte
che polliamo iubito
non fol dal
primo correre al
vltimo , &
dal vltimo al
primo, ma rilpondere
ancora à gl’imerroganti, qualli
li lìanoòil fecondo, ò
il nono, ò
con qual numero
ci lia interro¬
gato . Il
che accio più
facilmente riefcha due
altre regole ci
lì aggiungano, Se
fono Eviti me. i Vna
che i nollri
luoghi liano da
noi repli • fati ogni
giorno coni numeri
fuoi, Et bai¬
ti' a . '*•
Modo di Comporre
«ra che ad
ogni cinque di
lor fi ponga
qual¬ che imagine
particolare, che ci
raccordi il numero,
per effempio alli
cinque potreb¬ be
porli vna mano
d’oro, al io.
vna croce ,
& cefi di
cinque in cinque,
o io. in
dieci,neltrigeffimovntridende,
nel 40. vn
quadro, nel 50.
vna bilcia, nel -
ilche fi farà
facilmente , quado deppo
hauer recitato le
cole figurateci ne
i luochi, onero
non dogliamo piu
il péfiero à
quelle figure, ò uero torniamo
àfeorere conl’imaginatione due, ò
tre trolte i
luoghi nudi,& roti
lenza fi¬ gura
alcuna . Et
coli habbiamo intefoleio
non me inganno ,
gran parte di
quelle cole che
ponno dirli intorno
alla memoi . a
locale#, per vtiaTredìca. 5
$ per quanto
fpetta,&: à i
luoghi, & alle figure
cófìderare da t c
fleffe,& come à
raprefentare delle co fe,ò
parole che uogliamo
raccordar- ci,uag!iano. T
ji R T
E S E
C O %
D Jl delia
Memoria Locale. IO
pur oltra la memoriallocale ordinaria ,
di che habbiamo
raggionato di /opra, fon
no penfando fra
me flelìo un
altro modo, nel quale fenza
andai fegliendo, ne
ufei , ne coione
, ne fcneflre
potremo troppo be¬
ne far quello
ifldlo che io
inftgnai di fopra .
Voglio dunqueche per
cafoni teimagini diece
Città Arcona, per effe
mpio, la prima;
ho’ogna la feconda
, Cremona la
terza, Drepano,che altri
dicono T Tappano la
qnaf ta, Elba
la quinta. Ferratala
fella, Gennoa lafetnma,
Imola lottaua, Luca
la nona, Milano
la decima .
Da ognune di
quelle Città uoglio
che tu ti
eleggi fepuoi cinque
fumine, e cinque
mafehi , che tu
conofca ; ma
con quella proportione,
cioè fra le
fc mi¬ ne
una fanciullttta, una
giouanne da marito,
una maritata, vna ucdoua
, una monacha:
Et fr a
1 mafehi un
fanciuletto, un gioitane
da Modo di
Comporre da moglie.
Il marito di
quella maritata, un
prette, & un fratte.
Voglio di più
che tu te imagini un
corni¬ le grandiffimo
tutte quelle perfone
di que¬ lla
Città difpolle con
quello ordine, che
te¬ nendoli uno
per mano al
altro quanto pon¬
ilo ftendere le
braccia dietro alle
mura del Cortile
arpogìati con le
fcheine alle mura
ui facciano quali
corona -, ma
nel collocarli dalla
linillra alla delira
come dicemo di
fo- pra , prima
ni larano le
diece della prima
Citta poi quelle
della feeonda,& coli
di ma no
in mano. Voglio
di più che
ne i luoghi
difpari ui fiano
Tempre Femine ,
de ne i pari Ma- Ichi ,
con quello ordine
che nel primo
ìuogho , per
ellempjo , ui
da la fanciu-
letta Anconitana ,
- nel fecondo
il fanciu- letto
pur dcU’illeda Citta,
nel terzo la
Giouanne, nei quarto
il Giouanne ,
nel quieto la
maritata, nel fello
il (uo marito,
nel (ettimo la
uedotia, nel ottano
il prete, nel
nono la Monaca,
nel decimo, il
frate Nel ««decimo
poi commincianfì Falera
Cic ta,&: ui
porrai la fanciulla
I3oJognele,& coli di
mano in mano.
Flora quefta coronati
ha à rimaner
per¬ petua, come
nmaneuano i luoghi
nel arte di
fo- vtiaTredìca. ^6 cf
i fopra,
perche col dar
in mano à
quella hor quella
arte , hor quella,
uoghocbeda quello ti
fiano raprelenrare, le
cole da rie-
cordarti . Onde
poi anco auederti
, che nudebifogna
che tc Immagini
, per poter¬
le veltire, &
ornare di tutte
quelle cole che
deuonoTeruire per figure,
per dTcmpio nel
primo luogho voi
raccordarti cane darai
aliafanciuletta Anconitana un
cane in brac¬
cio. nel fecondo
lugho uoi ricordarti
corona poraialfanciulo Anconitano
una corona in
capo : &diqui
nalcera un utile
grandiflr- mo :
percioche fe uorairaccordaiti ,
per efempio ,
che cofa ha
quaranta cinque luo¬
ghi , fubito perche
egli è nella
quintadeci¬ ma bifogna
che lìa nellaqtnnta
citta che era
Elba, perche egli
è difparri bi/ogna
che hab bi una
donna-, perche egli
e il terzo
dilpari bilogna che
l’habbi la maritata
, in mo¬
do tale che
riguardando alla donna
mari¬ tata del
Elba, trouarai quello
di che uorrar
ricordarti. Il trouor
anco qual lìa
la prima, later-
za , la
Telia Città ,
Tara faci! cofa
Te tu collocherai
U Città per
ordine di Al-
phabetto , come
ho Tatto io di iopra
ma quando tu
non lo polli
Tare, per non
ha- utr conoTenza
in Città che
commincia- no Modo
dì Comporre no
da quelle lettere
, piglia quelle
In che tu
hai conofeenza ,
& pone fra
lo¬ ro un
ordine d; prima, feconda, &
terza, & quello
badi. Del redo
quanto al accommodarle
figu¬ re ferua
diamente le regole
che ti ho
dato di (opra:
Et quanto al
fcancellarle , oue
di loprafeorrt ui
> luoghi uoti,
qua fcori due ò
tre uolte le
figure nude,& in
quella maniera hauerai
Tinte nto. Laprimadi
quede due arti
è più tifata.
La feconda e
forfi più ingegnola ,
e piu pronta
. Tu uedi
quella, che più
ti occo- moda,è
di quella Itruiti .
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*7 1 Francesco Panigarola.
Panigarola. Keywords.
Grice e Pannico: la ragione
conversazionale nella Roma antica – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. An epigram by MARZIALE (si veda) addresses P. as
someone versed in the doctrines of various philosophical sects.
Grice e Pansa: la ragione
conversazionale e l’orto italiano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A consul, and a follower of the doctrines of The
Garden. Gaio Vibio Pansa
Grice e Panunzio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- la filosofia italiana nel
ventennio fascista – la scuola di Molfetta -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Molfetta). Filosofo pugliese. Filosofo italiano.
Molfetta, Bari, Puglia. Grice: “There’s S. Panunzio and there’s S. Panunzio –
Italian philosophy can be a trick!” -- Essential Italian philosopher. Tra i
maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario, in quanto amico intimo di
Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al suo passaggio dal
neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra. Divenne in seguito uno dei
massimi teorici del fascismo. Nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina
Poli, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un
ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all'impegno civile e
politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali». Il periodo
socialista e il sindacalismo rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file
del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo
classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.
Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra
"riformisti" e "rivoluzionari" — Panunzio si schiera tra i
cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i
suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Labriola,
quando era ancora studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i
suoi studi universitari il contatto con docenti come F. Nitti, N. Colajanni, I.
Petrone e G. Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il
suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Sorel e Francesco Saverio
Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del
marxismo. Pubblica il saggio “Il socialismo giuridico,” in cui teorizza
l'opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del
sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società.
Il fulcro dell'opera era costituito dalla formulazione di un "diritto
sindacale operaio", spina dorsale di un nuovo "sistema socialista"
fondato non su una base economica, bensì su una base etica,
solidaristica: «Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che
l'applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l'universo, nel
campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata
ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale
di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi. Si laurea in
giurisprudenza discutendo una tesi su L'aristocrazia sociale, ossia sul
sindacalismo rivoluzionario, avendo come relatore Arcoleo. Consegue presso lo
stesso ateneo la laurea in filosofia. In questi anni di studi ed esperienze
intellettuali, intensifica altresì il proprio impegno giornalistico in favore
del sindacalismo rivoluzionario, collaborando — oltreché con «Avanguardia
Socialista» — con «Il Divenire Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di
Olivetti e con «Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle. Il
sindacato ed il diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e
fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico
della produzione — fu approfondita
allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del
diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica
con una ispirazione filosofica volontaristica». P. prende quindi le mosse
affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la
differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo
dell'autorità (fondata sul diritto) che, negata dall'anarchismo, non era invece
trascurata dal sindacalismo: «Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia
nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non
porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un
riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere
precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è
antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un
valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione
sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario» (P.) In
sostanza, Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché
non "statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la
futura società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale
sostenuto dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione,
così da formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica
sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale. Fu poi dato
alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al sindacalismo
operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di
autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati
contemporanei. Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma
anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, grazie all'interessamento
di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato, inadeguata per mantenere la
famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di
partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola
normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua
importante opera Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe a frutto le sue
rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una
concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale
organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Con la
fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta
"nazionale" del suo pensiero. Dopo aver insegnato per un anno a
Casale Monferrato e un altro a Urbino, passò alla Regia scuola normale Carducci
di Ferrara, ove insegna, conseguendo al
contempo la libera docenza presso l'Napoli (l'anno successivo gli fu trasferita
nell'ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell'entrata dell'Italia
nella Grande Guerra — l'inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con
Mussolini, direttore dell'Avanti! e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito
Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa
collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del
fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed
"eretiche" dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo
Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva
esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio
all'interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista: «Io sono
fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà
acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che
assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità
astratte! Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono
preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del
socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate
livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie. Quest'articolo di
Panunzio, apparso sul quotidiano ufficiale del Partito Socialista, suscitò una
grave polemica, sicché Mussolini dovette rispondere sul numero del giorno dopo.
Tuttavia la replica di MUSSOLINI, il quale si sta convincendo dell'opportunità
dell'intervento, fu «debole, sfocata, piattamente dottrinaria, per nulla
all'altezza del miglior Mussolini polemista». Infatti, «al momento di
questa polemica, Mussolini era psicologicamente già fuori del socialismo
ufficiale ed è indubbio che le argomentazioni di Panunzio, sia per il loro
spessore teorico sia perché provenienti da un uomo di cui egli aveva grande
considerazione intellettuale, furono probabilmente l'elemento decisivo che lo
spinse a compiere il grande passo, il voltafaccia dal neutralismo assoluto
all'interventismo. La Grande Guerra All'entrata dell'Italia nel conflitto
mondiale, si arruolò volontario come quasi tutti gli interventisti "di
sinistra" (come Filippo Corridoni e Mussolini); tuttavia, in quanto
emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché dovette concentrarsi sulla
lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto sulle colonne del Popolo
d'Italia (i cui articoli erano sovente concordati con lo stesso Mussolini), in
favore della guerra italiana, ritenuta dal Panunzio una guerra non «di
difesa e conservazione, ma di acquisto e di conquista; non una guerra ma una
rivoluzione». Una guerra anche popolare, come avevano dimostrato le grandi
mobilitazioni del «maggio radioso», in contrapposizione alle posizioni conservatrici
di Antonio Salandra e della classe dirigente liberale. Anche da un punto di
vista più propriamente militante, Panunzio si impegnò nel ruolo di membro del
direttivo del neonato fascio nazionale di Ferrara, il quale diede vita altresì
al giornale Il Fascio. Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico,
Panunzio lavora anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue
idee riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta, Principio
e diritto di nazionalità in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e
Introduzione alla Società delle Nazioni. Nel primo saggio, egli sosteneva
l'utilità e la legittimità di una guerra anche offensiva, purché essa fosse il
mezzo per il conseguimento di un fine più grande, ossia la giustizia e la
creazione di nuovi equilibri più giusti ed equanimi. Nella seconda, invece,
individuava nel principio di nazionalità la nuova idea-forza della società che
sarebbe scaturita dalla guerra, una volta conclusa. Molto importante è inoltre
la terza opera (La Lega delle nazioni), poiché in essa è sviluppato per la
prima volta il concetto di sindacalismo nazionale. La Nazione deve
circoscriversi, determinarsi, articolarsi, vivere nelle classi, e nelle
corporazioni distinte, e risultare «organicamente» dalle concrete
organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa esige, dove le
nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non ancora funzionino
storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e aggruppamenti di
classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni trovino, a loro volta,
la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà nella Nazione. Ecco la
«reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e la sintesi organica tra
Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo Nazionale» (P.) Dalla
fine del conflitto alla Marcia su Roma Terminata la guerra, Panunzio partecipò
attivamente al dibattito interno alla sinistra interventista, intervenendo in
particolare su «Il Rinnovamento», quindicinale recentemente creato e diretto da
Alceste De Ambris. Il suo scritto più importante, che ebbe notevoli
conseguenze, apparve: in questo, P. sostene l'organizzazione di tutta la
popolazione in classi produttive, le quali dovevano essere a loro volta
distribuite in corporazioni, a cui doveva essere demandata l'amministrazione
degli interessi sociali; affermava altresì la necessità di creare un Parlamento
tecnico-economico da affiancare al Parlamento politico. In tale
testo programmatico era chiaramente abbozzato il futuro corporativismo
fascista, tanto che l'amico Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San
Sepolcro (alla fondazione cioè del fascismo), riprese le tesi di P. per il
programma dei Fasci Italiani di Combattimento: «L'attuale rappresentanza
politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli
interessi, perché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come
professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali. Si
potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non
importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categoria che integrino la
rappresentanza sinceramente politica» (Mussolini) A Ferrara, P. assisté
alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo
rapporti di amicizia con Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e
Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al
movimento, a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli
agrari. Risale a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere
Diritto, forza e violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi
delle Réflexions sur la violence di Sorel, l'autore precisava il suo discorso
distinguendo una violenza "morale", "razionale",
"rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione
di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza
invece gratuita e immorale. Critica da un punto di vista neokantiano il
concetto hegeliano di Stato etico, lasciando intravedere tuttavia margini di
sviluppo per una visione totalitaria dello Stato. A seguito dell'uscita dei
fascisti dalla UIL e della conseguente creazione della Confederazione nazionale
delle Corporazioni sindacali per opera di Rossoni, Panunzio collaborò con il
settimanale ufficiale della Confederazione, cioè «Il Lavoro d'Italia, vergando
un importante articolo sul primo numero, nel quale ribadiva le sue tesi sul
sindacalismo nazionale. Dopo essersi speso invano, con l'aiuto di Balbo, per
una conciliazione tra Mussolini ed ANNUNZIO, appoggiò la politica pacificatrice
di Mussolini, sostenne la «svolta a destra» del PNF (cioè per un ristabilimento
dell'autorità dello Stato) e caldeggiò — con la caduta del primo Governo Facta
— la costituzione di un governo di "pacificazione" che riunisse
fascisti, socialisti e popolari (prospettiva ritenuta possibile da Mussolini
stesso), scrivendo un importante articolo che individuava nel capo del fascismo
l'unico in grado di stabilizzare e pacificare il Paese: «Benito Mussolini
— uno dei pochi uomini politici, checché si dica in contrario, che abbia
l'italia — ha molti nemici e anche molti adulatori. L'uomo non è ancora bene conosciuto.
Chi scrive può affermare con piena sincerità e obbiettività che la storia
recentissima dell'Italia è legata al nome di Mussolini. L'intervento
dell'Italia in guerra è legato al nome di Mussolini. La salvezza dell'Italia
dalla dissoluzione bolscevica è legata a B. Mussolini. Questi sono fatti. Il
resto è politica che passa: dettaglio, episodio. Anche prima di Caporetto,
anche dopo Caporetto, Mussolini (è vero o non è vero?) disse dall'altra parte:
tregua. Non fu, maledettamente, ascoltato. La fine della lotta ormai è un fatto
compiuto. Eccedere più che delitto è sproposito grave. Ed ecco perché un
Ministero in cui entrino le due parti in lotta — per la salvezza e la grandezza
dello Stato — è un minimo di necessità e di sincerità. (P.) Tuttavia, con il
reincarico di Facta e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto
dall'Alleanza del Lavoro (il cosiddetto «sciopero legalitario»), scrive a
Mussolini mostrando la sua delusione nei confronti dei socialisti confederali,
ritenendo quindi impossibile una convergenza d'intenti con il PSI e reputando
ormai sempre più necessaria una svolta a destra: «Anch'io pensavo unirci
con i confederali che «senza sottintesi siano per lo Stato». Dopo lo sciopero
un ultimo equivoco è finito. Bisogna mirare a destra. Diciamolo, con o senza
elezioni. Confido in te e nel Fascismo, per quanto il difficile, dal lato
politico, viene proprio ora. Di lì a breve, il fascismo salì al potere.
L'impegno politico e culturale durante il fascismo Una volta costituito il
governo fascista, P. stringe legami sempre più stretti con il movimento
mussoliniano, ottenendo la tessera del PNF (su iniziativa dell'amico Balbo) e
venendo eletto deputato. Nello stesso anno divenne membro del Direttorio
nazionale provvisorio del PNF, che lasciò dopo neanche un mese in quanto
chiamato alla carica di sottosegretario del neonato Ministero delle
Comunicazioni (diretto al tempo da Ciano). In questo periodo, inizia a
interrogarsi — assieme ai massimi teorici fascisti — sulla vera natura ed
essenza del fascismo, per il quale coniò la definizione di «conservazione
rivoluzionaria», che sosterrà per tutta la sua vita. La filosofia fascista non
è unicamente conservazione, né unicamente rivoluzione, ma è nello stesso tempo
— beninteso sotto due aspetti differenti — una cosa e l'altra. Se mi è lecito
servirmi d'una frase che non è una frase vuota di senso, ma una concezione
dialettica, io dirò che la filosofia fascista è una grande conservazione
rivoluzionaria. Quel che costituisce la superba originalità della rivoluzione
italiana, ciò che la fa grandemente superiore alla rivoluzione francese e alla
rivoluzione russa, è che, ricordandosi e approfittando degli insegnamenti di VICO,
di Burke, di CUOCO e di tutta la critica storica della Rivoluzione essa ha
conservato il passato, realizzato il presente e orientato tutto verso
l'avvenire, nei limiti della condizionalità e dell'attualità storiche. Per
certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione
dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti
dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata
arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato, vale a dire nel
socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione
contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale
che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione
verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato parlamentare. Partecipò
inoltre attivamente al dibattito incentrato sull'edificazione di uno stato
nuovo, fornendo importanti spunti, alcuni dei quali avranno un seguito costituzionale,
come ad esempio il "sindacato unico obbligatorio", l'attribuzione
della personalità giuridica (istituzionale, non civile) ai sindacati, o
l'istituzione di una Magistratura del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle
controversie tra capitale e lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche
del futuro Stato sindacale (poi corporativo): «La nuova sintesi è l'unità
dello Stato e del Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il
punto di approdo e lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo.
È di questi tempi altresì l'evoluzione del pensiero panunziano riguardo a una
concezione organicistica dello Stato, attraverso una critica serrata dello
Stato democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico, livellatore, astratto»
(sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e cioè il suffragio
universale»), che doveva portare a uno «Stato organico, gerarchico», fondato su
un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è organizzato pesa, chi non è
organizzato non pesa. In quest'ottica deve essere considerata, infatti, la
definizione panunziana del fascismo quale «concezione totale della vita. Tutta
la riflessione teorica politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e
sistematizzata nel suo saggio, Lo Stato fascista, il quale accese grandi
dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di confrontarsi su
questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità intellettuali
come Costamagna, Gentile e Curcio. n virtù di queste premesse teoriche e operative,
appoggiò Mussolini durante la crisi causata dal delitto Matteotti, al fine di
incrementare il processo di riforma statuale avviato dal fascismo, che si
sarebbe di lì a poco concretizzato nelle leggi fascistissime volute da Alfredo
Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563, che istituzionalizzò i sindacati, e
nella redazione della Carta del Lavoro, il documento fondamentale della
politica economica e sociale fascista. Terminata l'esperienza di governo,
si dedicò all'insegnamento: dopo aver vinto il concorso per un posto da
professore straordinario in filosofia del diritto presso l'Università degli
Studi di Ferrara, divenne ordinario e si trasferì a Perugia, di cui fu Rettore
nell'anno accademico. Chiamato a insegnare dottrina dello Stato presso la
Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Roma, cattedra che
detenne sino alla morte. Non appena insediatosi nell'ateneo romano, incaricato
dal Duce di organizzare, in qualità di Commissario del Governo, la neonata
Facoltà Fascista di Scienze Politiche di PERUGIA, che doveva essere la nuova
Bologna (la piu antica universita europea) – e fascista. In tale veste, chiama
a insegnare a Perugia docenti quali Orano, Michels, Olivetti, Maraviglia e
Coppola. E ancora deputato. Malgrado gli impegni accademici, Panunzio continua
a sostenere l'edificazione dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo
Stato fascista attraverso i suoi articoli giornalistici, partecipando agli
intensi dibattiti degli anni trenta sulla legislazione corporativa. Più
precisamente, egli si situava in quell'ala sindacalista del fascismo che, nella
nuova struttura statuale, perorava un potenziamento dei sindacati all'interno
del sistema corporativo, affinché essi potessero intervenire più decisamente
nella direzione economica del Paese. In questo periodo, grazie a opere teoriche
fondamentali, Panunzio sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero. In
sostanza, lo Stato fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone allo
«Stato atomistico ed individualistico del liberismo. Inoltre lo Stato fascista
è caratterizzato dalla sua ecclesiasticità o religiosità, intesa come «unione
di anime, al contrario dello stato liberal-parlamentare «indifferente, ateo e
agnostico». Il giurista molfettese introdusse anche il concetto di funzione
corporativa in quanto quarta funzione dello Stato (dopo le tre canoniche:
esecutiva, legislativa e giurisdizionale), proprio per fornire il necessario
fondamento giuridico ai cambiamenti costituzionali in atto, con la creazione
dello Stato corporativo. Lo Stato fascista, infine, si configura come uno Stato
totalitario, «promanando direttamente e immediatamente da una rivoluzione ed
essendo formalmente uno "Stato rivoluzionario". Con l'istituzione
delle corporazioni (attraverso la legge) e la creazione della Camera dei Fasci
e delle Corporazioni (legge), P. redasse la Teoria Generale dello Stato
Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero in materia di ordinamento
sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la funzione attiva e
propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione burocratica delle
corporazioni; sosteneva altresì il suo concetto di economia mista — la quale
all'intervento pubblico affiancasse una sana iniziativa privata — «ordinata,
subordinata, armonizzata, ridotta all'unità, ossia unificata dallo Stato, in
quanto il pluralismo economico e la pluralità delle forme economiche sono un
momento ed una determinazione organica del monismo giuridico-politico dello
Stato. Partecipò, con notevole peso specifico, alla riforma del Codice di
procedura civile e del Codice civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare,
il suo contributo fu decisivo, soprattutto per il terzo (Della proprietà) e
quinto (Del lavoro) libro: fu lui ad ottenere che un intero libro fosse
dedicato al lavoro; volle che la Carta del Lavoro fosse posta a base del
codice; definì un più circostanziato concetto di proprietà, in cui se ne
enfatizzava la "funzione sociale. Divenne consigliere nazionale della
Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Morì a Roma, in piena guerra. L'archivio
di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è attualmente disponibile alla
ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in Roma. Altri saggi:
“Il socialismo giuridico” (Moderna, Genova); “La persistenza del diritto -- discutendo
di sindacalismo e di anarchismo” (Abruzzese, Pescara); “Sindacalismo e Medio
Evo” (Partenopea, Napoli); “Il diritto e l'autorità” ((POMBA, Torino); “Guerra
giusta” (Colitti, Campobasso); “Lega dei nazioni” (Taddei, Ferrara); “Nazione e
Nazioni” (Taddei, Ferrara); “Diritto, forza e violenza” (Cappelli, Bologna); “Stato
di diritto” (Taddei, Ferrara); “Lo stato nazionale e sindacati” (Imperia, Milano);
“Che cos'è il fascismo” (Alpes, Milano); “Lo stato nazionale nel veintennio
fascista” (Cappelli, Bologna); “Sentimento di stato” (Littorio, Roma); “Dittatura”
(Forlì); “Stato e diritto: l'*unità* dello stato e la *pluralità* degli
ordinamenti giuridici” (Mdenese, Modena); “Leggi costituzionali del regime
italiano” (Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma); “Popolo,
Nazione, Stato: un esame giuridico” (Nuova Italia, Firenze); “I sindacati e
l'organizzazione economica dell'impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “Sulla
natura giuridica dell'Impero italiano” (Poligrafico dello Stato, Roma); “L'organizzazione
sindacale e l'economia dell'Impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “La Camera
dei fasci e delle corporazioni” (Trinacria, Roma); “Teoria generale dello stato”
(MILANI, Padova); “Motivi e metodo della codificazione dello stato italiano” (Giuffrè,
Milano); F. Perfetti, “La conversione all'interventismo di Mussolini nel suo
carteggio, Storia contemporanea», “Il
sindacalismo ed il FONDAMENTO RAZIONALE DELLO STATO ITALIANO (Volpe, Roma). Non c'è dubbio che tra i molti
scrittori che tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano e il più
competenti e intellettualmente influenti, come Gentile. H. Matthews, Il frutto
del fascismo” (Laterza, Bari). Fornisce con le sue teorie una patina di
legittimità rivoluzionaria alla dittatura. Z. Sternhell, Nascita dell'ideologia
fascista” (Milano). Il filosofo più importante del fascismo. Perfetti, Il socialismo giuridico, LModerna, Genova, Sindacalismo
e Medio Evo, Partenopea, Napoli. G. Cavallari, Il positivismo nella formazione
filosofico-politica in «Schema», L. Paloscia,
La concezione sindacalista, Gismondi, Roma, Guerra e socialismo, in «Avanti!», Mussolini,
Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le inversioni del sovversivismo guerrafondaio,
in «Avanti!», Mussolini, La guerra europea: le sue cause e i suoi fini, in Ver sacrum, Taddei, Ferrara. Sergio Panunzio,
I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo d'Italia», Perfetti, La Lega
delle nazioni, Taddei, Ferrara, Un programma d'azione, in «Il Rinnovamento»,
Mussolini, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza”
(Cappelli, Bologna); “Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara). Il settimanale e diretto
da Rossoni e annove, tra i collaboratori più attivi e competenti, A.
Casalini. Il sindacalismo nazionale, in
«Il Lavoro d'Italia», Perfetti, Renzo De Felice, Mussolini il fascista, La conquista del potere, Einaudi, Torino. L'ora
di Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», «Popolo d'Italia» per espressa
volontà di Mussolini. Lettera citata in
Perfetti, Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano, Stato e Sindacati, in «Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo Forma e sostanza nel
problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», Idee sul Fascismo, in «Critica
fascista», L. Nucci, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia:
origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia delle università
italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di Scienze storiche
Perugia, Perugia. Loreto Di Nucci, Nel cantiere dello Stato fascista, Carocci,
Roma, Renzo De Felice, Mussolini il
Duce, I: Gli anni del consenso, Einaudi,
Torino, Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio, Roma; Il concetto
della dittatura rivoluzionaria, Forlì, Stato e diritto: l'unità dello stato e
la pluralità degli ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena.
Leggi costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e
procuratori, Roma, Perfetti, XXX Legislatura del Regno d'Italia. Camera
dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei deputati storico Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo
Spirito e Renzo De Felice. Giovanna
Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica, in «Schema», Cordova,
Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Roma-Bari, Sabino Cassese,
Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al
socialismo giuridico, in «Il Socialismo giuridico: ipotesi e letture», in
“Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, Renzo De
Felice, Mussolini, Einaudi, Torino, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi,
Torino; Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Il Mulino, Bologna, Laterza,
Roma-Bari). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento
razionale del fascismo, Volpe, Roma. nuova edizione ampliata, Lulu.com,. Benito
Mussolini, Opera omnia, Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze-Roma, Leonardo
Paloscia, La concezione sindacalista di P., Gismondi, Roma, Parlato, La
sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna. Giuseppe
Parlato, Il sindacalismo fascista, II:
Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Perfetti, Il
sindacalismo fascista, I: Dalle origini
alla vigilia dello Stato corporativo, Bonacci, Roma); Perfetti, La
«conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio
Panunzio, in «Storia contemporanea», Francesco Perfetti, Introduzione, in
Sergio Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, Francesco
Perfetti, Lo Stato fascista: le basi sindacali e corporative, Le Lettere,
Firenze. Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, tr. it., Baldini e
Castoldi, Milano 1993. Fascismo
Sindacalismo rivoluzionario Sindacalismo nazionale Sindacalismo fascista
Corporativismo Italo Balbo James Gregor Francesco Perfetti. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sergio
Panunzio,. Sergio Panunzio, su
storia.camera, Camera dei deputati.
Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di
Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini per la storia
del pensiero giuridico modern” (Giuffrè, Milano). Fervono oggi in Italia, nel
campo polìtico e filosofico, le discussioni e le polemiche molto vivaci su
Hegel, sulla idolatria dello Stato ovverosia sulla sua statolatria, sullo Stato
considerato da Hegel come l’Ente supremo. Forti correnti antihegeliane si
deiineano in Italia nel Fascismo contro le correnti e le scuole idealistiche
facenti, cora’è noto, capo al Gentile e alla sua interpetràzione attua-
listica, dopo (piella storica del Croce, dell’hegelismo. Non si vuole e non si
deve qui parlare di filosofìa. Il concetto « hegeliano » dello Stato si prende
qui nel suo aspetto sociale e politico, e da questo punto di vista è indubbio
il suo nesso storico ed ideologico con lo Stato fascista. A conferma di ciò,
basti notare che lo Stato fascista nega innanzi tutto e soprattutto Marx e Io
Stato marxista. Non a torto e significativamente il movimento hitleriamo in
Germania è e si chiama antimarxista e non antisocialista e si denomina anzi
nazionalsocialista. Ora Marx, per costruire ia classe, negò il suo maestro,
Hegel, e di Hegel prese il concetto della « società civile», risolvendolo
analiticamente nelle classi, donde la lotta di classe centro del suo sistema
teorico e pratico, riducendo anzi in ultima istanza la società civile in blocco
alla pretesa unitaria ed omogenea classe operaia, e negò lo Slato. Se, contro
la classe marxistica, si deve ricostruire e riabilitare lo Stato, è evidente,
per ciò solo, il ritorno necessario da Marx ad Hegel. Sta tutta qui, per me, la
parentela fra Stato fascista e Stato hegeliano. Riconosco, e lo disse, prima di
tutti, un nostro filosofo, MASCI, La libertà nel difillo e nella Sloria secondo
Kant ed Hegel, in Atti della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche,
Napoli, che l’ideologia statale di Hegel si presta molto bene, nelle mani delle
classi reazionarie e fondiarie tedesche, alla fonda zione dello STATO
PRUSSIANO reazionario e conservatore. Ma altro sono le dottrine, altro l’uso e
lo sfruttamento che di esse tanno le classi sociaii secondo i loro bisogni ed
il loro spirito di classe; per quanto sia anche giusta l’osservazione dello
stesso MASCHI che LO STATO di Hegel per gran parte — rlducendosi la sua
Filosofia del diritto molte volte e in molti punti a mera trattazione empirica
di diritto costituzionale positivo germanico — non fa che, abbandonata la
fliosofia pura e speculativa, trascrive in termini di filosofia la realtà di
tallo dello STATO PRUSSIANO [citato da H. P. GRICE, ACTIONS AND EVENTS: the
only thing that exists is the kaiser of Prussia] del suo tempo. Per cui LO STATO di Hegel si
presta per questo verso a quel tale giuoco dic lasse, di piegare LO STATO filosofico
ed ETICO del grande filosoo alla propria situazione psicologica di classe. Ma
questi in dubbi aspetti stona e poiitici empirici dello STATO di Hegel, che lo
fanno passare -- non si di mentichi che Hegel vive e scrive dopo l’esperienza IMMEDIATA
DELLA RIVOLUZIONE francese, in un periodo, come oggi IL FASCISMO, anch’esso
accusato dai superficiali e dagli stolti d, reazionarismo, di restaurazione, e
appartenne al ciclo appunto della Restaurazione postrivoluzionaria -- per
reazionario e per il filosofo dello Stato reazionario non devono farci perdere
di vista gl’elementi filosofici essenziali non accidentali e fossili, e
specialmente il profondo vivo e vitale concetto della società civile di
corporazione e del NESSO FRA LA SOCIETA CIVILE E LO STATO. Ho piacere di notare
qui che un filosofo Bindek, Stato e Società nella filosofia poltlica, in Rio.
Inlernaz. di Filosofia del dirtto, fase. Ili, a proposito del mio saggio: Slato
e Sindacali, rileva il mio rifferimento a Hegel per la com penetrazione della SOCIETA
con lo STATO. Gl’elementi vivi e vitali non devono non separarsi attraverso la
critica e la scienza dagl’elementi morti e superati di Hegel. Per questi ultimi
non dobbiamo dimenticare i primi; anche se, per il suo tempo m cu. signora,
prima di Marx, la prassi e la teoria sviluppata poi dopo e fino a un certo
punto anche offre Marx da Sorci, del Sindacalismo. la concezione hegeliana
della Società e BUROCRATICA, e la concezione del governo, ossia dello Stato AUTOCRATICA.
Vedi su ciò le acute osservazioni e critiche a Hegel di CAPOGRASSI, già da me c
tate in questo saggio. Questo il giudizio obbieilivo sul Hegel politico A non
dire qui -- vedi su ciò il mio volume Lo Stato di diritto, Lo Stato noumeno
immanente di Hegel, Città di Castello, che la prima fase della filosofia politica
di Hegel e tutfaltro che reazionaria. Come pure non mi sembra che SI possa e SI
debba dire che lo STATO hegeliano, per la sua STATOLATRIA e uno Stato
panteistico. Non solo antico, ma addirittura uno Stato asiatico indiano, meno
nspettoso della libertà umana dello stesso Stato pagano platonicc»-aristoteìico
o ROMANO! Ve- di su ao, contro l’opinione di MASCI, l’appendice al mio citato
Stato di diritlo: Se lo Stato hegeliano sia Stato moderno. C'è si diflerenza
fra STATO FASCISTA o STATO NAZISTA e Stato hegeliano. Anzi è questo il punto
fondamentale per cui non si può e non si deve ridurre al tipo dello Stato
hegeliano LO STATO FASCISTA o nazista: che mentre, per MUSSOLINI, TUTTO E NELLO
STATO, NULLA FUORI DELLO STATO, NULLA CONTRO LO STATO, non è vero che nulla,
non dal lato politico, ma da quello filosofico e MORALE, E *SOPRA* LO STATO. Per
Hegel, invece, NULLA E SOPRA LO STATO per la semplice ragione che lo Stato è
tutto ed anzi Dio stesso realizzato nel mondo. Ma da questo a dire che lo Stato
di Hegel è più che antico asiatico, ci corre. Si può e si deve dire invece che LO
STATO FASCISTA appartiene al ciclo della filosofia idealistica trascendente mentre
lo Stato hegeliano è basato sull’immanenza, donde esso è Dio stesso. Del resto,
a questo proposito, sono anche note, nel campo filosofico, le premesse
trascendenti ed anche le interpretazioni net senso della trascendenza dell’idealismo
hegeliano. Vedi su ciò, in conformità dell’interpretazione trascendente dell’idealismo
hegeliano, il mio saggio Diritto Forza e Violenza, parte IH. Orientata verso la
trascendenza è la fase della filosofia idealista ITALIANA, donde la
dissoluzione t interna della posizione idealistico-attualistica visibile nei
rappresentanti dì questa scuola discendenti da GENTILEG. L ’idealismo
attualistico, capovolgendosi la posizione del Gioberti, che dalla trascendenza
anda verso l’immanenza, da Dio alla Storia, fa oggi il cammino inverso DALL’UMANO
AL DIVINO, dalla storia d’ITALIA all’idea d’ITALINAITA. Vedi su ciò
sinteticamente ed efficacemente la prefazione di Giuliano al saggio di Rinaldi,
Gioberti e il problema religioso del Risorgimenlo, Firenze, Valleechi. Sulla
filosofia del diritto di Hegel, dal lato sociale e per le sue connessioni
ideologiche con il corporativismo fascista attuale, V., oltre ì miei saggi citati,
par ticolarmente, Lo Stato di diritto, Passerini D’Entreves (si veda), La
filosofia del diruto di Hegel, Torino, Sui rapporti fra LA VOLONTA DI TUTTI di
Rousseau e la società civile di Hegele fra la volontà generale dei primo e lo
Stato del secondo, vedi il mio Sfato di diritto, Rousseau e lo Stato di Hegel.
Sui rapporti fra società e Stato nella concezione fascista in rapporto aile mie
idee in poposito, vedi Leibholz, Zu den problemen des lascistisehen
Verfassangsreclds, Leipzig. Nessuna delle tre forme di dittatura sopra analizzate,
comprende LA DITTATURA DEL DUCE. Che cosa essa è? Essa è una forma ideale a sé.
Essa è uno sato di grazia dello spirito
italiano. È quella che io credo si debba chiamare la DITTATURA EROICA
CARISMATICA, figura storica o se vogliamo FILOSOFICA, non figura giuridica; ed
in quanto tale, eccezionale e soprannaturale, non ordinaria e comune. Di essa
non si occupano e non parlano i trattati di Dottrina dello Stato e di Diritto
costituzionale. Dovete, per comprenderla, se me lo chiedete, aprire un saggio,
il saggio su NAPOLEONE BUONAPARTE, EROE ITALIANO, degl’Eroi di Carlyle. Un
acuto filosofo, Michels, richiamando il concetto di Weber, parla; di Uomo e di
Capo CARISMATICO. La dittatura eroica è spirituale, non materiale, SOGGETIVA, o
INTER-SOGGETIVA, non oggettiva, prodotta e posta dal popolo; non imposta al popolo,
per cui essa è considerata dal popolo che la genera e ne è li geloso
proprietario e custode, come la cosa sua più intima preziosa e personale.
Dobbiamo, se mai, per inquadrarla in qualche modo in una delle forme stabilite,
ricollegarla, come si è dimostrato, alla dittatura rivoluzionaria. La
rivoluzione è un’idea; e la dittatura rivoluzionaria è la dittatura dell’idea.
Ma questa idea deve trovare il suo Uomo, il suo corpo, l’Eroe. Onde può dirsi
che la dittatura eroica è la soggettività, la coscienza dell’idea di un
popolo, nella sua marcia e nel suo cammino nella storia. LO STATO FASCISTA
NELLA DOTTRINA DELLO STATO. LO STATO NUOVO. Genesi dello Stato fascista.
La natura ideale del Fascismo. Il Fascismo come conservazione revoluzionaria. Gli
elementi dello Stato fascista. La restaurazione politica e rinstaurazione
sociale nello Stato fascista . Sindacalismo; Nazionalismo; Fascismo. Il lato
politico ed il lato sociale dello Stato. Il rapporto fra lo Stato e 1
Sindacati. Lo Stato-società ; lo Stato^asse ; lo Stato-popolo ; Io
Stato-nazione. In nota; rapporti fra lo Stato fascista e lo Stato di Hegel. Struttura
e funzioni dello Stato fascista. Lo Stato sindacale-corporativo . Stato ed
economia. La Corporazione. Lo Stato fascista nell’ordiiiamento giuridico. Leggi
costituzionali sociali; politiche. La Carta del Lavoro. Le istituzioni e gli
organi fondamentali. Legislazione ed esecuzione. Lo Stato-Partito. Lo Stato
militare ed il cittadino-soldato. I caratteri, la qualilìcazione, e la
denominazione dello Stato fasci sta. La statocrazia come formula ideale dello
Stato fascista. La difesa penate dello Stato fascista.. LO STATO FASCISTA NEL
DIRITTO PUBBLICO POSITIVO. CONCETTI GENERALI E GL’ISTITUTI FONDAMENTALI. Criteri
di metodo e dì studio. Il diritto costituzionale fascista: le leggi; la prassi
; la dottrina ; la storia. Il metodo giuridico ed i suoi limiti. Le leggi
costituzionali ; le leggi costituzionali rivoluzionarie. L ’in staurazione
rivoluzionaria. L ’atto fondamentale della rivoluzione ; il Proclama del
Quadrumvirato. I! diritto rivoluzionario: organi provvisori ; costituenti ;
costituzionali. . Il Potere politico o corporativo dello stato ed i suoi
presupposti sociali politi« e giuridici. La crisi della democrazia
parlamentare. Regime parlamentare e Regime fascista. La divisione dei poteri
come specificazione di organi e di funzioni, e la coordinazione dei poteri.
Critica della teoria dei tre poteri. La funzione di governo, ossia corporativa
o politica dello Stato. Natura dì questa funzione e sua denom inazione. L’Organo
supremo. Dalia funzione politica alla determinazione del titolare di essa. La
gerarchia degli organi costituzionali. 11 Capo dello Stato; il Capo del Governo;
il Gran Consiglio del Fascismo. L’Organo supremo come organo complesso. Le
relazioni statiche e dinamiche fra i tre elementi dell’Organo supremo. La
Monarchia e il Partito Nazionale Fascista.. La forma di governo: il Regime
fascista de! Capo del Governo. La forma di governo desunta dalla posizione
costituzionale dell’Organo supremo. Confronto fra il Regime fascista e
l’attuale regime inglese superparlamentare a Premier. Perfezione e superiorità
del Regime fascista nell’evoluzione delle forme di governo, in quanto piena
realizzazione del regime popolare. Il Capo del Governo ; ampiezza ed intensità
dei suoi poteri e delle sue attribuzioni. Sua posizione gerarchica rispetto
agli altri Ministri, suoi puri collaboratori tecnici. Gerarchia in senso
amministrativo e in senso costituzionale. La dinamica delle relazioni fra il
Capo del Governo e gli altri organi dello Stato, ed il Partito come fulcro
giuridico ed istituzione-cardine del Regime fascista. Nesso organico fra la
Monarchia e il P. N. F.. L’unità sostanziale fra il Re, il Popolo, il Partito.
Il Gran Consiglio. La prerogativa suprema del Re : la scelta e la nomina del
Capo del Governo. (In nota; la progressiva delimitazione della competenza
legislativa materiale del Parlamento e la crisi della legge formale. I gradi
del potere legislativo ed il problema della gerarchia delle nor me giuridiche
e della relativa Giurisdizione costituzionale). LE CORPORAZIONI E TEORIA
GENERALE DELLA CORPORAZIONE. PRINCIPI GENERALI. Il Corporativismo concepito
come principio filosoflco. Corporativismo economico e Corjiorativismo politico.
Errore <1i ridurre il Corporativismo al puro piano economico. Unità di
Fascismo e di Corporativismo. La corporazione e le Corporazioni. Sindacato e
Corporazione. Sindacalismo corporativo e Corporativismo sindacale. CHE COSA
SONO E COME SONO COSTITUITE LE CORPORAZIONI. L’essenza delle Corporazioni e le
loro proprietà costitutive. I,a costituzione organica delle Corporazioni. Le
lunzjoni delle Corporazioni. Preponderante rilevanza della loro funzione
normativa ed esame di quest’ultima. Il funzionamento pratico delle
Corporazioni. Il reale e l'ideale nella Corporazione. CHE COSA FANNO LE
CORPORAZIONI. I compiti e i problemi delle Corporazioni. La funzione
corporativa come esplicazione della potestà d’impero dello Stato. L ’unità
deH’attività dello Stalo. Le funzioni; gl’atti dello Stato. Attività economica
in senso materiale, ed in senso formale dello Stato. L ’attività
giuridico-economica dello Stato. I destinatari delle norme corporative. Che
cos’è la produzione. L’esecuzione produttiva. Sua differenza dalla esecuzione
amministrativa. Lo Stato e la produzione. Piano economico e piano produttivo.
Direzione e gestione. L’autarchia. Autarchia economica in senso formale. L’economia
corporativa come economia mista. Il diritto economico. Iniziativa privata ed
autarchia. IniziaUva pri vata e libertà economica. La libertà come categoria
spirituale e filosofica. Iniziativa privata e proprietà privata. Personalità e
proprietà; lavoro e proprietà. LE CORPORAZIONI ISTITUITE. IL PIANO DELLE 22
CORPORAZIONI. Il quadro delle Corporazioni ed i loro tre gruppi. Il ciclo
produttivo per grandi rami di produzione come criterio costitutivo delle
Corporazioni e della loro distinzione in tre gruppi. 154 3. La relatività come
criterio per la costituzione e la classificazione delle Corporazioni.
Esplicazione di questo criterio di relatività in due leggi : la organicità
decrescente e la generalità crescente delle Corporazioni. Natura strettamente «
sperimentale dell’ordinamento delle Corporazioni. Il Sindacato come elemento
attivo delle Corporazioni. Statica e dinamica delle Corporazioni. Mozione
presentala dal D U C E ed approvata dall'Assemblea Generale del Consiglio
Nazionale delle Corporazioni. TEORIA GENERALE DEL PARTITO. CONSIDERAZIONI
GENERALI DI METODO SUL PARTITO NELLA DOTTRINA DELLO STATO E NEL DIRITTO
PUBBLICO. Il partito rivoluzionario nella Dottrina dello Stato e suo posto
sistematico in essa. Il procedimento di formazione dello Stato fascista, ossia
il Partito rivoluzionario come origine immediata e formale dello Stato
fascista. Delimitazione dello studio de! Partito sotto l’aspetto politico e
sotto l’aspetto giuridico. Criteri di metodo e degli organi dello stato. Le
varie teorie sulla natura giuridica del Partito, particolarmente sul Partito
come istituzione politica autarchica e come organo dello Stato. Le varie specie
di istituzioni pubbliche. Nuovo concetto delTautarchia. IL PARTITO
RIVOLUZIONARIO, OSSIA IL PARTITO-STATO. Il partito rivoluzionario come nozione
pubblicistica a sè. .Il partito rivoluzionario nella Storia e nella Dottrina
dei partiti. Se il partito rivoluzionario sia ancora un partito e de. bba
chiamarsi partitoIl partito rivoluzionario come partito di regime. Partiti di
governo e partiti di regime. lì partito socialista ed il Partito fascista come
partiti rivoluzionari. Partito rivoluzionario e partito unico. Il partito unico
nella concezione socialista e nella concezione fascista. Stato dì partiti ;
Stato-partito. Il partito totalitario ed il partito unico. Differenza, non
identità fra le due nozioni. Il partito unico può intendersi in due sensi: in
senso giuridico o formale come ente processuale ossia come organo della
rivoluzione. In senso sostanziale come ente politico ossia come organo dello stato.
La giustificazione del partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario come
organizzazione militare . passaggio dal Partito-Stato allo Stato-partito. LA
DITTATURA RIVOLUZIONARIA. Considerazioni generali sul fenomeno storico-politico
della dittatura. Esposizione e critica di alcune opinioni sulla dittatura. Le
crisi dello Stato e le rivoluzioni. Distinzione, classificazione e analisi
delle varie forme dì dittatura. La dittatura costituzionale. La dittatura
rivoluzionaria.. La dittatura polìtica. La dittatura eroica . PARTITO - REGIME
STATO. Posizione e determinazione critica e metodica del concetto di regime. Il
concetto di regime nella recente dottrina politica e giuridica italiana . Il
concetto di regime in rapporto a quello di rivoluzione. Il movimento interno
ossia la dialettica del regime. Le istituzioni del Partito e quelle del Regime
: le istituzioni del Regime e quelle dello Stato . IL CONCETTO DI STATO-PARTITO.
Lo Stato-partito. Lo Stato dei partiti; delle leghe; dei sindacati (Partitismo;
Leghismo, Sindacalismo). Il partito rivoluzionario; il Partito-Stato; la
formula politica. Modernità del concetto di rivolurione e di partito
rivoluzionario. L ’unità e la continuità dello Stato ; la vicenda e la
successione delle forme di governo. Socialismo rivoluzionario; riformismo;
bolscevismo; Fascismo. L’esperienza sovietica russa. La classe. La Nazione. Lo
Stato-oggetto; il partito-soggetto. L’esperienza fascista. Contraddizione
sovietica; verità fascista. Il problema giuridico del P. N. F.. Dal
Partito-Stato allo Stato-partito. Insurrezione e dittatura come torme logiche
della Rivoluzione. Lo Stato-formae lo Stato-sostanza. Natura e scopo del P. N.
F,. Istituzione ed organo dello Stato. Nuovo concetto degli organi dello Stato.
L'uno politico: lo Stato; il pluralismo sociale. Sindacati. Il Partito e i
Sindacati . L’università del Fascismo; suo presupposto: il partito unico . SCRITTI
FIL030F1GO-GIURIDICI E DI DOTTRINA DELLO STATO. Il Diritto e l’autorità,
Torino, Pomba. Le ragioni della Giurisprudenza pura, Roma, Rio. Inier. di
Sociologia, Il concetto della guerra giusta, Campobasso, Coluti, Lo Stato
giuridico^ nella concezione di Pelrone, Campobasso, Coluti. Introduzione alla
Società delle Nazioni, Ferrara, Taddei. La Lega delle Nazioni, Ferrara, Taddei.
Lo Stato di diritto. Città di Castello, lì Solco. Il socialismo, la Filosofia
del diriilo e lo Staio, Città di Castello, il Solco, Lirillo, Forza e Violenza.
Bologna, Cappelli. Staio e Sindacati, Roma, Rio. Inter. di Filos. del Dir. Consenso
ed apatia, in Annaii dell'Universilà di Ferrara. Filosofia e Polilica del
diritto, Milano, Rio. di Dir. Pubb. La Politica di Sismondi, Roma, Rio. Inlern.
di Filos. del Dir., Il Sentimento detto
Stalo, Roma, Libreria del Littorio, Diritto sindacale e corporaliuo, Perugia,
La Nuova Italia, Stalo e Diritto, Modena, Le leggi cosittuzionu/i del Regime
{Relazione al F Congresso giuridico italiano) Roma, Popolo, Nazione e Stato,
Perugia, La Nuova Italia, Allgemeine Theorie des faseslischen Staales, Berlino,
Walter de Gruyter, SCRITTI POLITICI Il Socialismo giuridico, Genova, Libreria
moderna, Il Sindacalismo nel passalo, Lugano, Pagine Libere, La persistenza del
diritlo, Pescara, Casa Ed. Abruzzese, Sindacalismo e Medio Eoo, Napoli, Casa
Ed. Partenopea, Stalo Nazionale e Sindacali, Milano, Imperia, Che cos’è il Fascismo, Milano, Alpes, Lo
Stato Fascista, Bologna, Cappelli, Il riconoscimento rivoluzionario dei
Sindacati, Roma, Il Diritto del Lavoro
Sindacalismo, Torino, Pomba, Rivoluzione e Costituzione, Milano, Treves,
La fStoria» del Sindacalismo fascista, Roma, Quaderni di segnalazione, Riforma
Coslltuzionale {Le corporazioni; il Consiglio delle Corporazioni, il Se nato),
Firenze, La Nuova Italia, Economia mista {dal Sindacalismo giuridico al
Sindacalismo economico), Milano, Hoepli,Alighieri esalta nel suo De Monarchia 1’ordinamento
gerarchico del mondo conchiuso nell’idea imperiale; pocoappresso Marsilio da Padova
fonda sulpopolo 11diritto didarsiunproprioordinamento giuridico, secondo le
speciali esigenze di ogni gruppo sociale, e Bartolo espone nel trattato De
regimine sivitatis le varie forme dei governi, secondo l’autonomo diritto
delle cittàe dei regni; finché Enea Silvio Piccolomini avanti il definitive tramonto
dell’idea imperiale, traccia a grandi linee, nel Libellus de ortu et auctoritate
imperli, il disegno dell’ordine politico dell’ universo, secondo la disciplina
dei gruppi sovrani gerarchicamente congiunti nell’impero. Solmi. Sull’autonomia
nel DIRITTO ROMANO, si veda Marquardt, ORGANISATION DEL’EMPIRE ROMAIN, PARIS, e
per il concetto giuridico moderno Regelsberger Pandekten, Leipzig, e la
letteratura ivi citata. Le dottrine dei giuristi medievali sono esposte dal
Gierke Deut. Genossenschaftsrect Berlin Su ALIGHIERI (vedasi), sarebbe da
vedere il mio scritto in Bull, della Soc. Dantesca; su Marsilio e Silvio,
cfr.Rehni Gesch. Staatsrechtswissen schaft, Ereiburgi. su Bartolo, lo scritto del
Salvemini, Studi storici Firenze Solmi, la co-operazione, lo stato come
cooperazione – lo stato come la cooperazione ideale – cooperazione volontaria –
cita. Sergio Panunzio. Panunzio. Keywords: stato, nazione, razza, popolo,
popolo e nazione sono cose distinte – la nazione ha una valore plus sopra
popolo. Razza e distinto a nazione – una rivoluzione basata sulla razza – la
concezione della razza e della nazione, l’italianita, la romanita, il ventennio
fascista – la filosofia giuridica previa al ventennio fascista – morte di P. L’altro P. Concetti. Citazione della teoria
dell’aristocrazia di Mosca, non di Pareto, citazione di Labriola, critica al
stato prussiano di Hegel, l’ordine, Mazzini, la revoluzione causata per
comunisti, la dittatura fascista, il dittatore eroe, cita de Martinis, l’eroe
non e senso sociologico di Martini, ma filosofico. Il concetto di la nazione
italiana, il concetto di Roma, la luce di Roma, la storia italiana, il concetto
di stato-nazione, il concetto di stato-razza. Citazione di “La mia battaglia”,
citazione di Mussolini. Scritti sistematici, evoluzione della teoria dello
stato fascista – positivismo, assenza di elementi mistici. La revoluzione de
perturbi e morbidi comunisti al ordine del reglamento, la dittadura come
reazione alla revoluzione, il concetto di stato, popolo, nazione, antichita
romana, i sindicati nella antica roma, i sindicati nella Firenze medievale, il
comune del comune, la citazione della monarchia d’Aligheri, Marsilio di Padova,
e Machiavelli. Il concetto di ‘stato’ nei romani. Definizione concise. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library. Panunzio.
Grice e Panunzio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- ventennio fascista – la
scuola di Ferrara -- filosofia emiliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza
(Ferrara).
Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Grice: “I
like his ‘contemplazione e simbolo,’ for what is a symbol for if no one is
going to contemplate it!?” -- Essential Italian philosopher. FIGLIO di
Sergio, il più noto filosofo del diritto e teorico del sindacalismo
rivoluzionario. Ligato alle correnti conservatrici e contro-rivoluzionarie
italiane. Studia a Roma sotto ZOLLI. Insegna a Roma. Come Grice, alla Regia
Marina, partecipa ad operazioni di guerra nel mediterraneo contro Capt. H. P.
Grice, e viene insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia. Collabora con “Pagine Libere”, “L'Ultima”, “Carattere” e altre
riviste specializzate in studi filosofici. Si muove nella direzione di un
simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali elementi. Fonda a Roma la
rivista del tradizionalismo, “Meta-Politica”. Pubblica saggi in una collana a
cui darà il nome di "Dottrina dello Spirito Italiano". Il concetto di
“meta-politica” è al centro del dibattito sulle radici europee da parte degli
esponenti della destra e il culto del pagano (anti-cattocomune) di
Benoist. Cerca di ri-condurne l'orientamento tradizionale, iniziatico, e
simbolico. L’imponente biblioteca del padre è donata a Spirito che ne
custodisce in gran parte anche l'archivio di famiglia. Altri saggi: “Contemplazione
e simbolo”; “Summa iniziatica occidentale” (Volpe, Roma); “Simmetria, Roma); “Metapolitica,
“Roma eterna”, Babuino, Roma); “Luci di iero-sofia” (Volpe, I Classici
Cristiani, Cantagalli, Siena); “La conservazione rivoluzionaria. “Dal dramma
politico del Novecento alla svolta Meta-politica del Duemila”, Il Cinabro, Catania Cielo e Terra, “Poesia, Simbolismo,
Sapienza, nel poema Sacro, Metapolitica,
Roma ; Cantagalli, Siena Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis”, Gl’Eroi, Cantagalli,
Siena, Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis” Siena, Cantagalli, Princípio, Appello.
Storia ed Eségesi Breve. Precedente Storico e Agiografico, Roma, Scritti
remoti L’anima italiana, Sophia, Roma, Difesa dell’aristocrazia: Pagine Libere, Roma
Gismondi, Roma, Foscolo tra VICO e MAZZINI nello spirito italiano, Gismondi,
Roma, Sull’esistenzialismo giuridico” (Bocca, Milano); “Tradizione, L’Ultima,
Firenze; “Cosmologia degl’antichi romani, Dialoghi, Roma, Ispirazione e
Tradizione -- Città tradizionali e Città ispiratrici --, Carattere, Verona Lo spiritualismo storico di Sturzo, Per una
rettificazione metafisica della Sociologia, Conte, Napoli Scritti, S.
Benedetto, Parma La Pianura, Ferrara, Atanor, Roma. Schena,
Fasano, Ristampe e nuove antologie
Difesa dell’Aristocrazia, Quaderni di Metapolitica, Roma I
Quaderni di Metapolitica, Roma Vecchie e
nuove cosmologie, Avviamento alla “Scienza dei Magi), Per una rettificazione
metafisica della sociologia, Lo spiritualismo storico di Sturzo, Sull'autore: Testimone
dell'assoluto, “L'itinerario umano e intellettuale di P.”, (Eségesi di 12 noti Scrittori
Italiani), Ed. Cantagalli, Siena, Dalla metafisica alla metapolitica:
omaggio, Simmetria, Roma. Inediti. In
corso di stampa Note Olinto Dini, Percorsi di libertà, Firenze,
Polistampa, Scirè, La democrazia alla prova, Roma, Carocci. Combattente nella
guerra, rimane chiaramente, un teorico del
fascismo. S. Sotgiu, in Il Giornale, Tradizionalismo
(filosofia. Silvano Panunzio. Panunzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Paolino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dizionario filosofico
portatile per ginnasti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana -- filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano.
Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “In England, we have it easy:
we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a country as it is, they
have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia, Roma, etc.” Autore di
quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso
Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat,
ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di
Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della
prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni
argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura
italiana), che quello studio non e veramente fondato da Federico II di Svevia,
ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di
università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa
che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero
fondatore. Opere: Giangiuseppe Origlia,
Istoria dello studio di Napoli, Torino,
Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is
a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is
the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a
man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general,
and then the social contract in particular. This sets him to analyise such
duties which are addressed to the other members of the civitas. Paolino is alo
the author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical
touch about it, if you are into a first
thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition
to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities
where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress
and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s
Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good
to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were
particularly popular in Italy – even before the great expansion of the Latins
and Romans over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to
the weather, it is more natural for an athlete to feel the need to get undress
as soon as possible, and philosophers followed.” Di tutte adunque le
società del mondo non e ch'una ftetia l'origine , perchè tutte, giusta il vostro
avviso, nonsìmisero inpiè, nèsi formarono, se non secondo le diverse nécessità,
e bisogne degl’uomini. Anzim in tutte altre sìsi ha un istesso fine perchè non
si risguardò ad altro, se non al commodo, e dutile commune de socii. Ma quali sono
le società particolari, che sarebbero state mai nel Mondo inufo, semante nuta
si fofle ben falda, e stabile la società Universale (A )? (A) Egli è fuor di dubbio
che gl’uomini, essendo tutti in obbligo ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'uno
come non nato, per se medesimo, dovendo non che al proprio anche all’altrui
commodo badare, quando ciò tutto esattamente osservavano, non venivano a
comporre che una società universale in guisa che niun diefi considerarsene potea
al di fuor. Quindi divero io non M. La
271 safidica l'Eineccio, il quale tutto scaglian, dosicontro il Puffendorfio,
che trattiavea, e deafai malamenge inferiti tutti gli obblighi, e gl’umani
doveri della società, soggiugneto, jto ch'era uom tenuto soddisfara tuttiquegli
che Uella ,ch'è la più vera, e la più saggia, antichità del e la sola
infallibile maestra dell'umana Ginnasio Na II. Cosa fossero prudenza si lasciarono in dietro di gran
lunga ogni altra nazione. Quindi, giustache scrive Dion Crisostomo agl’Alessandrini
sull'autorità d'Anacarside, non vi fu città della Grecia, che non avesse avuto
il suo Ginnasio. Questo solo basta di presente supporre per farci sicuramente
acredere, che Napoli Città oggi dall'eterna divina provvidenza
maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile, e doviziosa potrebbe mai
l'uom brą mare; e sopra tutte l'altre ben culte città dell'Europa, e per le
scienze,e per l'armi, e per lo Erano presso de Greci questi Ginnasj alcuni
grandi, stati i Ginnasi e magnifici edifizii con ampii portici, e stanze d'ogni
ca onde venifer opacità, luoghi coverti, e scoverti, ombre, ed altrepref così
deti: eso che infinite comodità, ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la
lor forma. Oppinio non meno nell'ARTE GINNICA che nelle scienze, e nelle
fa pari celebre gran trafficodi essendo stata, come tutti fuor versia
asseriscono, fondata di ogni contro l'altre da Greci, ha anch'ella come della Grecia
il suo ginnasio finda' suoi cominciamenti Infatti STRABONE, che vise che a’ suoi
al tempo di OTTAVIANO, scrive, giorni questa città avea ancora ti che Greche
costumanze molte dell'an , come le Curie, le l'Efebeo,e altre d ital Fratrie,
fatta. E con queste ha il Ginnasio. Né v'ha scrittore al tresì osi su questo
muover di buon senno, che ombra di dubbio e ne di coloro che arti liberali; onde
sotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto il luogo prendersi, per così
dire, due diverse accademie proprio per le, e due Scuole, ribut ta varj, e
diversi generi di Scuole, cioè: quelle dell'arte ta comefavolo- bellica , e
quelle delle scienze, e delle belle lettere. E niodi molti çe perchè a coloro, che
applicatierano alla Ginnica, e per lebri scritori. Io gran novero loro, e per
gli esercizi, che far doveano, come il corso, la lotta, il salto,il pancrazio, il
di Strab. 1.s. fco, . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento
d'altro, semplicemente O ti Ginnasj. Per la qual cosa alcuni nel progresso del tempo
non badando che al semplice suono del vocabolom con cui chiamavansi, li
credettero non per altro essere edificati, che per un tal mestiere: opi stati esi
prima , forse il primo, Crasso presso CICERONE che porta la ne, e tra gli altri
, che in questi ultimi secoli sostennero fi furono MERCURIALE, e Pier L a però
avendo per certo, per quel, che ne scri sena. Noi Ginnica non e pove Galeno a
Trafibolo, che l'arte sta in voga nella Grecia, che alquanto prima dell'età di
Platone, e che in Grecia, come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed
ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero, il qualee da
molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino, Filamone,
Tamiride , e altri fioriti stesso Omero, sono vị le Scuole delle belle lettere
fino da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i
giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto, che amtici, I Greci altro allor non avessero
pliare que’ medesimi edifizj, fatti molto tempo prima non per altro fine, che
per le scuole, e chiamatigli per le ragioni, che testè noi accennammo, Ginnasj:poichè
Crasso steso, il quale e il primo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio
maggiore, e asai più grande diquello,che bisogna percoloro,che istrụi vansi
nell'arti liberali, e venivano per questo ad occupare buona parte di tali edifizii;
sono questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla
voce greca yújrow , che tanto vale quanto NUDARE nel nostro e . CICERONE De
orat. Apud Anson.Vandal differt. 8. de Gymnasiarcb. ingenuamente egli
anche lo attesta, a metter in campo un sentimento a questo del tutto opposto. Parlando
del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche scuole delle scienze non
era allora in costume d'aprirsi in altro luogo, che ne' Ginnasi; e che per
quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà
state erette. Ego alio modo interpreter (dice egli) qui primum Palæstram e
sedes deporticusetiam ipsos, Catulé, Grecos exercitationis, eg delectationis
causa, non disputationis invenisse arbitror; et sæculis multis ante gymnasia
inventa sunt, quam in his FILOSOFI garrirecæperunt; hoc ipso tem porecumomnia Gymnasia
FILOSOFI teneant tamen eo rum auditores discum audire, quam Philosophum malunt etc.
Per verità non v'e ginnasio nella
Grecia, in cui non vi fossero queste Scuole. Cosi leggiamo,che in Atene nel “CINOFARGO”,
il quale e un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone, sono vi tra
l'altre Scuole, quelle della setta “cinica”, dalle quali egli anche ha il nome,
e nell'ACCADEMIA e vi l'uditorio di Platone come nel LIZIO quello d'Aristotele.
Anzi accolto, ovvero al di dentro d'alcuni celebri ginnasii trovavansi non meno
delle scuole, che delle famose, e celebri biblioteche; come sappiamo diquello
parimente in Atene, che avea dappresso la celebre BIBLIOTECA di Pisistrato,
rammentata da Girolamo, e da altri, e quello in Rodi, della cui celebre Biblio
Schol. Ariftoph. Pace Xenophont. In Hippar. Plutar. Symphofilo vi11. q. iv. Suid.
Pauf. in Artic. Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14. Gell. l.vi.c.17.
Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor. orig.hiv1.3. a Р ерос
Suid. Pauf. in Attic. Schol. Ariftoph. ad Nubes ec. Ammon. vit.
Aristot.
Plutarch. De exilio. CICERONE . q. TUSCULO] teca parla Ateneo; é per questa
stessa ragione per cui sempre ai ginnasii accoppiavansi le scuole delle
lettere, troviamo che molti valenti uomini, e dotti scrittori applicarono in
molti luoghi delle lor opere questo vocabolo, a significar non altro, che
queste, quasi per eccellenza; essendo lo studio delle scienze molto più nobile,
e sublime di tutti gli esercizi ginnici. – l’archi-ginnasio di Bologna – la
prima universita --. III. che h una con quello nello stesso tempo le Scuole nide
le Scuole Atben. Biblioth. l.1. dipnofoph.c.1. Senec. epift.76. ut 0 1,
Supposto adunque pervero, come lo è infatti, Tenimonianza che Napoli, come città
greca, ha il suo ginnasio fin di Seneca, e di da' suoi primi principi, egli
convien credere anchevero, tri autori Lati . di Napoli : delle belle lettere; senza
le quali nella Grecia, come Scienze che vi abbiam detto, non si forma Ginnasio;
e certamente s'insegnarono; di queste, di cui è solo or nostro assunto il
favellare ,vifiorirono. parla Senecainuna sua pistola, nella quale, come dalle
parole, che poco fa da noi fi allegarono di Crasso, con lui filagna presso CICERONE
di que’ giovani, che al meglio delle lor lezioni lasciavano i lor maestri nelle
Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lotta, e gl’altri ginnici esercizi.
Così egli fiduole fortemente col suo LUCILI, che nelle scuole della nostra città
visto avea far cerchio ai filosofi, giovani in nove romolto pochi al paragone
di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro, il quale, come egli narra, e
in questa Città non guari distante dello stesso ginnasio, Pudet autem me
generis humani -- scrive egli -- Quoties Scho lam intravi, prater ipfum theatrum
neapolitanum Il fcis, transeundum eft, Metro
nacti spetentibus domum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio, quis fit
Pithaules bonus, judicatur. Habet tibicen quoque Græcus du præco
concursum: at in i lo loco, in STAL: quo ritur, in quo vir bonus discitur, paucis
simisedent; et bi plerisque videntur nibil boni negotii babere, quod agant,
inepti cu inertes vocantur. i più nobili della Città non isdegnavano neppur d'inviarvi
per tal fine i propri figliuoli; poichè egli scrive, che portatosi in Napoli
con Giuliano, professor di rettorica udito vavea un giovinetto molto riccocum
utriusque lingua magistris -- per valerci delle stesse sue parole 00 meditans,
exercens ad caul'as Roma orandas eloquentia Latina facultatem. Quanto alla Filosofia,
la dottrina dell’ORTO, la quale venne da'più dotti dell' antichità ricevuta con
applauso, e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Ottaviano;
e quella , che in queste medesime scuole avea MAGGIOR VOGA; come par che si
conobbe da una iscrizione,che fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle
della Sanità , non guari distante da quella Chiesa sopra alcune urne, che state
sono per quel che n'appare, dell’ORTO.. Poichè in alcune di quelle vedeası il
nome di alcuni celebri filosofanti di questa setta, scritti con caratteri Latini
leggevasi; manonbene, e oscuramente. E come apprendiamo da Gellio, che fa anche
di questo ginnasio onorata memoranza vir bonusque. 3 DELLA e fiori al quanto
dopo Seneca; al suo tempo in queste scuole nell'istessa guisa, che in quelle
del ginnasio di Cartagine rammemorato da molti Autori, s'istruivano i giovani
non meno nelle scienze che nelle lingue; e I più Salvion. Hieron. In Catbalog. Jone Proph. Aug.
conf. fc. Celan. Giorn. 3. delle notizie di Nap. STALLIVS.GAIVS.SEDES
HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri , che in
tali Scuole insegnarono le lettere umane e le lingue si conta Stazio Papinio
nativo di Silta, Città dell'Epiro, che fiorì circa al tem po dell'Imperadore
Domiziano; padre di Publio Stazio; il quale, come dal costui poema fi ravvisa
espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, come Omero, Esiodo,
Teocrito, ed altri di questo genere; e tra coloro, che v'insegnarono le scienze
filosofiche, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima
abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu
contemporaneo, co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo
stesso fuo Lucilio;e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in
questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben
lungo,e distinto catalogo , poichè i lumi , e le memorie della Storia
totalmente ci mancano ; non però egli è certo , che essi furono tutti di tanto
sapere adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let
terati venne ella d’ ROMANI concordemente non con altro titolo chiamata , che
di dotta, e studiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero COLUMELLA
in parlando di Napoli, non con altro epiteto nominol la>,che con questo:
Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale
col seguente verso: bi di 00 .1 >1 li
al Papir. Star. flvar. s. epiced. inpatr. Senec. ep. Er Oras. Epod.
Ad
Canid. Sil. Italib. Stor. Syluar. Ovid. Metamorpb. is. Napoli, quanto
Illo VIRGILIO me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città
più della loro Costantino. Sen.ritroviam nellaStoria, che avessero eglinofino
nel cadi li, che vogliomento dellor Imperio maggiormente frequentata; equel no,
aver Titali sopratuttolafrequentavano, se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de
a Strabone che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo
allostudio delle lettere, edelle scienze. marmo,cheog Et quas d o &t
a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiis florentem
ignobilis oci. E tra perquelto conto i Napoletani, e per laGin
comebenrifletteil Bembo inunasua pistola, fu mandato , e mantenuto da Augusto
in questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima
Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli , egli riporta a' favori di quel
Principe il suo Napoletano ozio, cioè, studio con quelle parole: Deus nobis hæc
otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che: che visicolei nica , la
quale nel si. lor Ginnasio esercitavano anche con vavanofofefta somma diligenza
e con tutta la magnificenza del Mon ta FREQUENTATA DA’ ROMANI; edo,divennero
universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Imperadori fino a gi fi
conserva Quindi LUCILIO, che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra la fontere
delleSatire, non solo visse, ma anche morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani,
comeattefta Quintiliano,e Cicerone, il strato falso ; e quale v’ebbe anche
un'abitazione e Virgilio, dicui di che propriamente in efoabbiam favellato,
Orazio, Livio, Marziale, Silio Italico - fac cialimenzio --, Claudiano , e
tutti gli altri tra gl’antichi , ne mar che mo rapportato mercè dellor saperelasciarono
a'posteriillornome im in cuilafenzamortale, abitarono in Napoli perpiù tempo; anzi
dubbio fi parla delle Scuole . molti Bemb. lett. 27. Strab.l.3.infin. Quintil.
CICERONE ep. famil. Crinit. de Poet. Latin. Philoftr. Icon. Sil. Ital. per
9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone
brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini; cosa, che i Greci
non erano molto larghi a concedere; feb bene su ciò non tuttiusassero lastesa moderazione:
Ma non meno de’ privati CITTADINI ROMANI,visita rono questa nostra Città
glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare, il quale, come scrisve CICERONE inalcun
tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo
nelprincipio della lor guerra, gli mostrarono,come scrive Plutarco,moltisegnid'af
fezione, gli altri tutti fino a Costantino, lebbero per le stese ragioni anche
molto cari: così che eglino molte prerogativen'ottennero. Il perchè TITO, chesuccef
se a Vespasiano circa l'anno 79.. dell'era Cristiana, essendo pe'violenti
tremuoti accaduti al suo tempo , a cagione di unobengrande incendio del Monte
Vesuvio rovinati molti luoghi vicini ; e traquelli, come scrivonoalcuni
de'noftri Storici,in Napoli anche il Ginnasio: egli pose ogni studio per farlo
con pubblico danajo ristorare: e comunalmente fivuole, che di questo fatto ne faccia
anche oggi giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina
Inscrizione, la quale tuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel
muro della Fonta na dell'Annunziata , ch'è la seguente, riferita anche dal
Grutero, non cheda tuttiinostri Istorici, li quali vogliono, che in essa fi
faccia parimente una espressa memoria delle scuole, ch'esistevano nel Ginnasio. 100
Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a . B
Cic. pro Archia. Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman. CICERONE Ad Attic.l.10. ep.11. Plutar.inPomp.
V. l'Autor della Stor. Civil. Del Regn. lSueton.in Tit. cap.12.b.i. Gruter. Infcript.
oper. & locor. publicor. Capacc.ift. l. 1. c.18. Bened. di Falco Antich. Di
Nap.&c. TI ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ ΤΟΙ OE TIIATOE
TO H TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI ·F
·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma senza
che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli, ed
agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo marmo
; basta, che con qualche diligenza per uom si legga , per dubitare se in esso
si tratti del Ginnasio; o v ver più tosto dell'antiche Terme , come più
probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il
numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti
per ordine di Tito ,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque
ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli
esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte
pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito
dal Capaccio, ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET
IMAGINIBVS ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18.
. E per .I. 11 E perverità ebberoi Greci in costume di adornardi
statue, e d'immagini ilor Ginnasj, con riporre quellede più celebri Atleti, ed icoloro,
che si erano più nella Ginnica refi immortali, ne’luoghi, ove l'arte esercitasi.
E quelle de’ gran FILOSOFI nelle Scuole; come del Ginnasio diTolommeo celebre
in Atene narra Pausania Per la qual cosa se non a Tito , sicuramente ad Adria
no , che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano. Di
quanto narrasi in questo marmo convien darsi il vanto. Poichè questo
Imperadore, come scrive Sparziano
inomnibus pæne urbibus,com aliquid ædificavit,o
ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che volontariamente lo elessero
Demarco; ch' è quanto dire Pretore della lor Repubblica. Come prug va il
Reinesio contro il Capaccio, ed altri,che
cre dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a
fomiglianza diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fa chiaramente conoscere,
che il Ginnasio, e le scuole in NAPOLI sono ugualmente celebri di queste Scuo
non meno prima, chedopo che questa città fi: sottolefinoa Costan mise aldominio
de Romani; poichè febbene i Napole tanidall'anno diRoma,come sostienetraglial
triil Reinefio finoad Augufto, edanche molto tempo dopo, toltone il tributo,
che pagano a’Romani, essendo stati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed.
amore ,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di
Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di
Colonia, Paulin Attic. Cic. De finib. Spart.in Adrian. Reinef.
var. le&t. l.3.0.13. Lo Meliovariar, bection 6.3. 6.16 20 CO) 210 eto
7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi
B 2 Cih e refi più soggetti,preso avessero a dismettere gl’antichi
greci inftituti. Tutta volta seguirono pur eglino, come
manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica , e tener
te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere
di scienze. Ma in quale regione della nostra città situato esse le, e del Ginna-questo
Ginnasio, molto'vario è il sentimento degli Au tori. Alcuni credettero, che le
Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea;
non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ; poichè
o fi vuole, che queste scuole sono divise dal GINNASIO. E ciò quanto sia lungi
dal Summon. le cole che di sopra abbiam
detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no , come
in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello; e giammai si
verrà a mostrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben
vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio
de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro, diverso da quello, che di sopra
divisam mo; ma questo anche quanto sia inverisimile, anzi impossibile
chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge; come dire: che
Napoli a tempo parimente di Ruggiero Normanno dopovarj, e diversiac crescimenti
diedifizj, ediabitanti, nonera, che'una Città molto picciola, etale,chefatta da
quel Remi. surare, non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di pallil;onde
ove:mai figurarvifi voglia notanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella
magnificenza,ed a m piezza , ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po
trem VI. Sito delle Scuo vero , tremmo mai concepire; senza che in
sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. Seguente sillogismo.
Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per li Ginnasj esser debba
il mezzo della Gittà: aveano questi, secondo gli antichi, il più dappresso le Terme;
e come si deduce da Stazio nel Ginnasio de’ napoletani era vi un tempio dedicato
ad Ercole. Orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questa regione,
veniva egli ad aver tutto ciò; perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica
Città; avea nel suo distretto le chi IK er qual sopra tutti ik prese a
difenderla, avendo preso, a scrivere di questo GINNASIO, che per la morte
sopraggiun tagli, non potè terminare; fi appoggiano del tutto sul Altri
all'incontro furono di parere, che il Ginna fro occupasse propriamente quella regione
della Città, la quale per le Terme, ch'erano nelsuo distretto, chiamossi Termense;
e si vede anche dagl’antichi filosofi chia mata Erculense, come chiamola
Gregorio nelle fue pistole perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole
oveoggièla Cappella detta S. M. Ad Ercole e dopo fu chiamata,comeparimente or
fichiama,di Forcella. Non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il
credere dalla scuola di Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la
lettera biforcata Y ;ma si bene , giusta che fu il sentimento de'più favj, da
un antico Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela, quelta lettera,
che finoggimiriamo scolpita in un antico marmo sopra la porta della Chiesa
Parrocchia ledi S.Maria a Piazza; e diede ilnome a tutto il quartiere. Quegli,che'fifostengono
inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 Gregor.
Terme, Terme, ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole. Dunque, eglino
conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse. Pur tutta volta,
posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al
fuo tempo, ma soltanto di quel che bramava, che si costumasse. Poichè sappiamo
per certo che tutti i GINNASJ eretti erano fuora delle porte della Città, o a
can to a quelle , come lungamente pruova Meursio, e tutti gli altri, che
dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme
esser potevano, come realmente sono anche in altri luoghi di Napoli, e cosi
pure il Tempio in onor di Ercole , il quale ove fifuppone accoppiato al
Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magnifico, ma per ben picciolo,e come
un nostro Oratorio, o Cappella; nè creder, che questo fosse stato solo, ma con
esso insieme congiunti, o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima
formaerettiinonordiMercurio,di Apollo,di Cupido, e di altro Dio di questo
genere, del Teatro, e Somma piazza. E per verità quiviiveg gonfi!
ancheoggienellecase, che diciamo dell'Anticaglia , e in tutta quella vicinanza,
ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro ,
e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine
Avvocata, volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera
laterizia, e condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj; devequestosentimentoanche
con tutta ragione: ributtarfi. più koNon pochi finalmente contesero, eforsecon
saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio, e 'l Teatro stati
fossero in questa città in una stessa,verso quella contrada, che anticamente
dicevasi saparte fe secolo, quella di Berito
e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra Viil Celan. notiz.
di Nap. Giorn, 2.
V.Plutar.inopusc.viramepicur. non esse beatam.Strab.l.s.& Philostr.
in Po lemon.] Spartian. In Adrian, Sueton. in vit. Claud. Gronov. dissertat. de
Museo. Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet. h.n.c.quietate
velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. V.l'Autor della Stor.Civile del Regnol.s.
dur NON Comunque però ciò sia, rientrando in nostro sentiero. Dopo che
Costantino trasfere la sede dell’imperio dele Scuolede nellanuova sua Città, non
vihadubbio, ch'egli, echedopotraj. Lita ove crediamo noi essere stato il
Ginnasio , viene ad essere per avven tura fuor delle mura, ovvero accanto a
quelle. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla
lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoe de nanza, di frequentar Napoli alla guisa, che
ilorante - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche
me- Womenerico da no da’ private cittadini romani frequentata. Ma non per tempo
di NERONE questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani, eglio
an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa , che in niuna
altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono
parimente le vestigia d’alcuni edifizj, che pajono non aver fervito che per
leTerme. Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche
scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin
nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di già ricevuto nella Grecia, il quale
come testé da noi notossi, e d'erigere questi Ginnasj fuora, o vicino le 1
porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0
pinionide'scrittorifisupponga, che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo
veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado. Per tro-rientali, accre
varsi in molti luoghi delle famose Università degli Studj, etonelIV.eV. delle celebri Academie , di
cuiquella d’Alessandria Coʻ Leterati A stimonianza dal medesimo Costantino il
Grande portavano 10-fa Agostino bilito netrai Napo 3 ita qual
cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientali soprattutto in questi tempi, ne'quali
trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a
quella fu bordinata , capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento
delle cose non solo non apporta niuno im pedimento alla letteratura napoletana.
Ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali , che è troppo
naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta
ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in
queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio
dell'eloquenza, come attesta Agostino, che allora altresì ,vivea. Perchè scrivendo egli contro gli. Grice: “You can see the difference
between Rome and other civilisations in that the philosophical gatherings – as
Austin’s were at my St. John’s – or the Athenian dialectics’ were at the Lizio,
the Accademia, and the Cinargo – the Romans preferred to meet at Scipione’s! Call it
Roman gravitas!” DE’ PRINCIPI
DEL DRITTO NATURALE. Filofofo,e Giureconfùlto
Napoletano. NAPOLI. Predò Giovanni di Simone CON HCSNZJ P*’ SVfS
RIQKl. AL SIGNOR D. NICCOLO’ MARTINO
" % Pubblico Profeffore di Matematica
ne’Regg j Studj di Napoli, &c. v. LETTERA
Dell’autore , che ferve anche cP introduzione all * Opera. Uefta
picciòla operetta , che ora ho rifo- luto di efporre al
pubblico , Stimatif- fimo Signor mio , fìt da me comporta,
fono già quattro anni , per foddisfare al defiderio di \ina Dama ,
che per fu a propria a a i itruzione con premuro!! , ed au-
torevoli impubi mi avea coftretto a darle in ileritto una chiara ,
e generale -contezza di tutte le parti , della Filofofia , di
cuiella fu. preifo che la conchiufìone . La ragione più forte , per cui
mi fono mcflb a farla comparir fola , lènza , che vi liano unite Y altre
ope- re fi lo fo fi che , delle quali fu par- te , ella è la
lpéranza di poter col fùo mezzo , più , che colle altre contribuire
in qualche parte , e per quanto fia poffibile al profitto de’giovani
, eh' è fiato fèmpre mai, e farà’ il termine unico de' miei
ardentifiìmi defiderj: poicchè conofeendo quanto abbondevoL mente
datanti valentuomini fiali • «k 4 *, travagliato a prò
de’giovani, facilitando con tante lodevoli maniere tutte le più intricate q
milioni della fcienza fìlofofica , pareami , che quella fu blimc ,
enobiliflìma Tua parte della r agion Naturale , che pur
contiene non men’ una buona parte della Morale , e della Politica,
che la vera origine di tutte l’umane obbligagioni, man- cale di un’
ordine facile, e propor- zionato alla capacità de’ Scolari $ lo che
pareami non eil’erfi fatto fin ad ora in tante Opere di eccellenti
Giureconfulti , e fapientiffimi Fi- lofoii , che tanto bene han
tratta- ta quella materia , eflèndo gli di loro libri certamente e
foltanto adatti , e proprj per gli uomini provetti , e molto
avanzati nelle buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir
occulta im- percettibile forza, che difpone per a 3 mezo di
tanti improvifi avveni- , e fapientiffimi Fi- lofoii , che
tanto bene han tratta- ta quella materia , eflèndo gli di loro libri
certamente e foltanto adatti , e proprj per gli uomini provetti , e
molto avanzati nelle buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a
queir occulta im- percettibile forza, che difpone per a 3 mezzo di
tanti improvifi avveni- menti di -noi, e di noftre forti, e
che firn dal momento in cui giunfi in gualche modo a comprendere
per ' quelche a coloro, che fon racchiufi Nel tenebrofo carcere ,
e nell * ombra Del mortai velo ; vien permelfo , qualche cola
dell’ordine, e del decreto delfeterna , e di vina prò videnza, determina
varai alf elercizio della lettura, che dopo 4 tante
variazioni di mia fortuna, ho profeflhto per otto anni} a ni un’
altra cola mi ftimai obbligalo di porre maggior Studio , che in
prò-» vedermi d’idee le più chiare, e nette , come quelle che fono
le più neceifarie per ben comunicar a’ giovani gli precetti di
quelle fcienze , che vogliono apprendere, e lo- e
lor tutto dì s’infegnano . E per- chè a ben* illuminar la mente di
coloro, ches’applicano allo Studio > delle leggi tanto nella Città
noStra coltivato, e giustamente tenuto in * pregio, utiliffima, e
quafi necefla- ria pareami la notizia di tutte le rnaffime generali
del Dritto Na- turale , come quelle , che fcuopro- no la. vera
Sorgiva delle Società, de’ commercj , de’ contratti , de* pat- ( ti
, ed’ una infinità dì altre cole di tal fatta , profittevoliffime
all’ intelligenza delle leggi medefime, ed aj buon regolamento
della vita umana, -credetti, che non efiendo- vi ni un’ opera per
quel , che io mi fappia , che ne tratti , e tratti in modo , che
ficuràmente dar fi pof- fa in man de’ giovani , il profi tro de’
quali fopratutto ho avuto a 4 lempre a cuore , non farebbe
data fuor eli propofito la mia fatiga . Quindi proccurai di metter
ciò , che avea penfato , e fcritto per la divifata occafione nell’
ordine il più naturale , e facile, 'eh è quello de’dialoghi , come
dalla tavola de' trattenimenti , e de’ lo- ro fommarj giunta qui da
predo lì vede , Icrivendo colla maggior polli bil chiarezza 5
febbene per tju cl , che riguarda lo Itile delìderato 1’avrei più puro e
femplice , di che farò compatito da Voi , c da tutti coloro, che
fanno in qua- li didurbi , e rancori io me ne vif- lì per più tempo
nè men dinanzi di badar a tale opera , che dopo , cd in quedo
ideilo tempo , che hò imprefo di darla alla luce 5 e con tal mia
proteda gentilmente farò altresì fcufato preffo coloro , che non
fanno il tenor di mia vita. Ma comunque ciò fi a 5 e fe nel
defideriò di giovare a tutti io l’ab- bia fallita, pur non farà
dannevo- le quella mia volontà di procura- re f altrui profitto ,
poiché colui, che fi affàttica per il pubblico be- ne , ancorché
non vi riefca , pus non deve privarli del premio di effer creduto
uòmo di buona vo- lontà . Eccovi in poche parole fve- lato il mio
pen fiero , e quella mia fatica quafella fiali, sì per impul-» fo
d* oflèquio al fuo merito , sì per ragion di debito per tanti buoni
infegnamenti datimi , sì per infi- niti altri motivi ad altri non do-
vea prelèn tarla , che a Voi Stima- tilfimo Signor mio , perchè
fem- pre con una fomma , ed ineffabile gentilezza avete riguardato
me , e favorite le mie cofe . Tanto più , ch’eflèndo Voi dotato
d’una men- te fubiimc, che T avete arricchita * di tante cognizioni
coll’ indefejflò Studio , per cui liete giuftamente reputato per
uomo di profondo lupere, e.di politiflìma letteratu- ra , di che
fanno chiara teftimo- rianza gli dottiffimi Libri delle • Icienze
Matematiche dati alla lu- ce, potrete ben garantire queft’ope- j
retta dalle punture inevitabili del- f invidia , eh’ elfendo la più
abo- minevole tra tutti gli vizj,pur Tempre inforge a mordere
chiun- que li arrifehia di fottoporre alla pubblica cenfura le fue
fatiche. Contentatevi di ricevere in buon grado quelT attefhto del
mio rif- , petto , c di quella profonda vene- raz orazione ,
con cui ammiro Ja vo- ffra virtù, perche accurato della voffra
protezione mi lulingo di non incontrar difagio , e fac end o- le
riverenza mi raffermo . i Napoli. «
Di V.S. ! ^ Dhotifi. Obbligati y?.
Servidore Giangiufèppe Origlia P. Èrche il Perfonaggio, chea
fé 30 Voi conviene rapprefèntar nel fl Mondò , egli altro al fin
non fa r$(fe non m’inganno) che di un Giureconfalto, o
Avvocato, guitta che la voftra natura, o inclinazione, che dir voglia-
mo, e l’ educaziojrede* propri Genitori, non fAoas^4 tyòxots M Òr'
aJ$j ine ’ e che non è la ‘ qt !i aIe **’ * ^ »*
In/Ta*™ J l j mh fi nza ampiezza afille ,’ M“ i« alcun dì mi
mortali d temi „,/ J 9 » e»trant Jìa-,t oppojla alle fu*
.Jan- «**£•«* J/ r:> ikf'fr .ym^ A T * ^ .. 4
O) InftÙ DiVro. vi. S., i 4 ; Grot. de indul^. «$•««* ' TV
V *•; *.i fck» 5 4r • u
¥ . ^di più oltre pafiando fi potrebbe altresì qon
ogni naturalezza arguire , che la giustizia, o ingiuftizia dell’ umane
operazioni , in A4 fin fanti tà , 0 bontà , non pub a
patto alcu- no , dalle ojfervanze di si fatta legete in modo veruno
difobbligarci ( f ) . Il per- che agevolmente quindi pojfon tutti appren-
der quanto diffidi cofa fa , e malagevole il giugner per Uomo alla
cognizione non men delle leggi de 9 Romani , che più di tutte V al-
tre barbare Nazioni al Mondo travagliarono nello Jiadio del Dritto della
Natura , che de- gli fiatati , e delle confuetudini , 0 leggi del-
la propria patria , fenza effer fuperfdalmen - te almanco di ciò frutto ,
eh' è la fola , e la vera guida , che aÌP interpr et amento di
quello può mai condurlo , e con divilupparne il lor Vero Jfenfo
fargli conofcere , e capire quante elle giujìef ano , 0 ingiujìe . Quindi
Ulpiano . quel che fopr atutto Jìimò nelle fue injìituta
tieccjTario da faperf per un Gìureconfulto , •* b° ni » & «qui
notitiam ( 6 ) , lodan- do Celf > 9 che defnito avea al dinanzi lui
il Gius : C r ) Idem de indulg. c. a. & Uh. 1. c.
I. de jur. Bell. & pac. Pufendorf. c.
;.T. 2. §. 4. J. N. C 6 ) L. i.de jud. Se jur. Digitized
by Google 8 DE’ PRINCIPJ-' fin altro non fia , che quella
conformità , e convenienza , che pofiòn mai quelle ave- re , o non
avere con sì fatte regole naturali a tale, che confiderate lenza un tal
ri/guar- do, e di per se lòie , puramente come dall* Uomo fatte (
come che ciò fi fofiè una me- ra ipotefi,ed un puro liippofto )
totalmente meritino d’ averfi per indifferenti. CoGius : ars boni ,
& aequi : Cosi fecondo attefa Seneca appellarono gli antichi Giare
con- flitti il Gius della Natura , il perche CICERONE (vedasi) imputa a
fomtno pregio , e gloria di Sulpizio che : ad aequitatem ,
facilitatemque omnia referebat , & tollere controverfias ma-
lebat , quam conftituere , per valermi delle parole del dottijfmo Vives. Egli
ha ciafcuna delP Umane azioni una tal qualità , e condizione , che per
fua natura , giujìa il fenlimento di Platone nel fuo convito , non
fa in guifa alcuna nè turpe, nè cnefa ; cosi , egli dice , è quanto
adejjb noi facciamo : il bere , per ef empio , il canta- re , il
difputare ; nulla di si fatte azioni racchiude in se fconcezza alcuna , 0
onefà , I . . , ma Apud todovic. Vives coranaent, sd lib»
xtx. c. ai. Ani?;, de Civit. DvLoco . !.. xix. ] ria dal
modo filo con cui vien fatta , appren- de ella il cognome , che ha , 0 di
buona , 0 di cattiva ; imperocché quanto noi facciamo fag- giamente
, e con rettitudine egli non è fi non buono , e onejìo ; come quanto da
per noi vi- zìof amente fi opera non è , che turpe , e ifcon- cio :
T* in diverf l-oghi delle fue opere cer- cò Jiabilire , e mojhare il
medefmo Platone , come è molto ben noto a chi che non fa in quel-
le del tutto forajìiere . Il perche /ebbene a- zioni veramente
indifferenti fano il dìfpu- tare , il ragionare , il camiuare , e altre
si fatte , non fi deve però il medefmo dell* altre umane azioni
afferire ; imperocché di tutte quelle dalla cui nozione , o idea fi poffa
con ogni ragione per Uom ritrarre , e dimojìr are, che faccino , o
no mai a nqfìra perfezione , e vantaggio , o utile , eh* è quell*
appunto, per cui a ciafcuna di effe V intrinfeca bontà, o malignità
s* attribuire , e imputa , non f può per niun ver fi mai da chiunque
penfi, siffatta bontà , o malignità recar in dubbiezza ; comec-
ché ' ( T ? A D 1 omen]co Bernino Iflor. dell’ Ercfie
. Tom. i. c. a. del leccio 2. v
- • C Wt } D * luogo fopra. ( ^ Heinec. v. nel luogo di
fopra. • * f\ - v».* »•* -* 1 dijcorfiy e del
ragionare insìangujii termi k m rijtretta ad altro per lui frvir non
var- rebbe $ che a fomminifìrargli una certa Spedi- tezza per cosi
dire , e dejìrezza vie maggiori di quella i che fi ojjerva , e nell'
operar de' bruti ,eper aggrandir in ejjò in parte , «
accrefcer le fue forze naturali , «w non miga ?.. ;> per indurre nelle
fite assoni , è recarvi la vera moralità , come cofa del tutto
imponìbile, fenza lo ftirito della leg0 , 0 un' infinità dii: vite
dinanzi , che non incìfe in noi quella ; egli e meJHeri dall * altro.
U • lerfo , che da fernoi Jì affermi , /z Ani , che per di-
fetto di que/fo firgget to , che ingiufo , o ma- lignò avjfe potuto e
fervi mai , o che quefa .gi ufi zia , o malignità aveffe pur potuto
ri- durre in atto , non f pofi'a quefia al meri in afratto concepir
, da queìi'ijiejfo mentre ejfer * rifiata , in cui la fantità vi fu , e
la bontà f come ccfa a quefa diametralmente, oppofìa % e
contraria ; e ciò tanto più , che non ci Jì per- mette in guifa alcuna
dubbitare , che l idee di tutte quejì'e cape thè qua giù noi
leggiamo 4 . fiate non vi fojjero nel divino Intelletto fin * ab
eterno ; é che per . ragione in quefio mede- V fimo fi ebbe altresì
accoppiata 9 e unita all - idea deir Uomo , ch\in tempo a crtàr fi aveq 9
• come un Sacerdote proprio della natura 9 !. r idea parimente del
male , xhe quefii , cerne creatura affai imperfetta» e finita potè a ,
g dove a fare . Al dinanzi però dar fine a quefio ,• avvertimento ,
avvegnaché fii alquanto più lungo del convenevole. y non tyalafciamo
qui avvertir di vantaggi 0 » che fèbbene , que ’ mot- ti
deir*Apofiolo,da noi al di fi òpra recati', pec- catimi non cognovi ,
nifi per lesero &st. alcu- ni I interpretino per la legge Mofaica ,
vo- lendo , che in noi per lo peccato la legge della natura
ottenebrata alquanto , pria della leg- ge di Mose JìaveJJ e ciafcun
portato a peccare fienza certa , e ferma feienza , e che di quello
fiato dell Uomo favellaffe in vqrj luoghi rApoflolo dicendo : che (\£ )
iìnejege pecca- ta t , fine lego erat , fine lege puniebatur : non
già per al fermo perche molte delle fu e azio- ni dinanzi ìa legge non
erano in, guifa alcu- na peccaminofiè., mafoltantq perche : non im-
. V V ,./* V ’ f. ’g'ri .,A.i A V"V P9 T '-«fr r ( ré )
.Ad Ronwa.vv r. ad GopqtN.P*?.; v. ai. 4 •r«rr-r- «
ygn» y yr - 1 .. .*“ ' • *
-& ’ - 4 » . ^ : a f| HPani-itn 1 o por meglio dire : 177.
dell’ultima edìzion' r. iG. e io. Hiftor. verer.teftàm. diili • \ ChrifolU
hic. Aug. !ib. u contra duas epift, Pe.
P ecu,n Artibrofiaft. Eli. Giop «c. recati cìaCalmet. tield. luogo.
‘ ‘ • 1 C *0 ) .Hierorj. ep.ad Hedibaro.q.S. Paraeus gMa Cai-
meu d. l.> " ’ ’ ■' ' v '"' f *' •v. a
•}-*} M. Così egli è appunto j anzi da quello nd- * IV. l’ ifteflà
guila parimente Ilom vede mol- to manifedamente , che H dritto Civile
, e il dritto pubblico, non che, quello delle Genti , o qualunque
altro, vai io , e diver- tì) dritto j eh 9 è tra noi , altro in effetto
e non Ira , o comprenda , che quelle ideile regole della Natura
diverfamente alle bi- fògne , e necefiità degli Uomini applicate ,
e alle lor vàrie , e diverle operazioni adat- tate , cpnfiderati or come
membri di una lòcietà univerfalc , or come membri di una V - . :
'*v lo- f ^ \ . * • • , credere il S. Apofioln avèffi'
in quejh luogo voluto figurarci uri tlomo'at dinanzi degli an- ni ,
in cui comincia ad ttfiar della ragioni , dìfiinguerla j e che perciò non
opera tutto , (he indifferentemente queir ifieffo , che in appreft
fio , e per la ragione gli fiàrd imputato a pec- cato y e a vizio y
dicendo egli di lui meàejimo non guari dopo : ego autetn fine lege
vivebamt aliquando ( il ) * Onde fifa chiaro , che Pilo- mo
figurato da noi dopo il Grosdo , e il Puff fendorfio fienza alcun In**?
della ^oo,” r n - on fi debba aver miga in effetto , e tener per V
, mcraipotefi . ' / , . '* ( zi )• V.9. è. ep.id Rotti, «bf v. Ang.
Ics contri Ju- liamum c. 1 1. Hicron. &t. apud Corndium'a I
«pwt o. » Vi •* . .• ù’ a focietà
particolare , or altamente in altro diverfo flato , e fortuna.
D. Si bene : ma come provarefte voi mai la V. poflìbilità , e
l’cflflenza di sì fatte rei gole ? M Egli è, vaglia il vero,
colà certiflìma, e • che non li può miga per niun verlò da
Uo- mo , che facci di fu a ragione un buon ul& recar mai in
dubbio. Ch’ ogni un di noi nell’operare egli fia Ifw bero totalmente , e
padrone della propria volontà: e che per una sì fatta libertà nulla
mai di vero , o di fermo unqua nell! giudizi delle cofe, che naturalmente
noi avertiamo , o appetiamo dal canto noltro richiedendofi (
effondo pur il noflro intel- letto affai dappoco , è fievole ) egli fi
polla per buono , e pier utile , o per onerto , e per retto, che
dir vogliamo , agevolmente eleggere da cialcuno, e avere non meu
quel che in effetto e’ fia in fe tale; m 9 altre- sì tutto altro, purché
fi prezzi da noi , e fi reputi come tale ( D ; . B IL Due
adunque fon le verità , che qui da noi fi propongono, e me t tonfi al
dinanzi de nojtri leggitori come ben certe, e Mimo - fra
- Jìrabili;come che ne ’ nofiri trattenimenti fulla Metaffica fio
no pur fiate elleno dffuf amente mojìrate appieno # provateci quejìe fi è
la pri- ma la libertà , eh' ha ciaf c un di noi da poter fare#d
eleggere quanto mai gli sa buono # gli và a grado , eh' è quello per V
appunto , che da' Scolajiìci dicefi d'ordinario indifferenza
cPefer* tizio; la feconda ella è, che non da altro y fal- vo dalla
fodere hi a , e molto gran limitazione del noftro proprio intelletto n
avvenghi il fe- guir noi ben furente, ed eliggere un bene falfo del
tutto , ed apparente per un ben vero reale . Ad ogni modo per quel che può mai
ri- guardare alla libertà della nofira volontà , non tralafciamo
qui pur di notare , ch' egli non v' abbia a noftro credere tra le
majfme pejiilenziofe , e nocivi: allo fato , e al gover- no di una
Monarchia , o Keppubblica y ch' ella ipeggior di quella , con cui fi vie
n quejìa a dinegare , o metterla in guifa alcuno in for- fè j II
perche per niun verfo mai ciò permet- ter fi deve da Principi , e da
Regnanti , giufia rinveniamo , che dinanzi ogni altro fi fu l' av-
vi fo dell’ACCADEMIA; devendofi di neceffttà , ciò pofio per vero ,
riconofcer Dio altresì per Autore , e per propagatore de' peccati ,
e de ' mali degli Uomini , non che annullar to- tal* C
** ) De Republ. lib. ili . j 9 talmente , e derogar
ogni legge , ed umano fa-, tuto ; Qgindi noi queir Ere/te piu di
tutte E altre offerii amo , che fatto e'aveffero mag- gior guerra
alla Chiefa di Dio> e recato mag- gior /pavento alla Reppubblica di
Chrijìo in cui una sì empia affirzione Jì //enne mai , c difefe ;
imperocché non v' ha al Mondo , va- glia il vero , chi non /oppia , per
tralafciar di far motto degli altri di tal fatta \ quanto/ fu mai
quel fuoco , che v' accefe nel primo fe- cole r empio Mago Simone , da
cui la fetta de' Simoniaci ebbe il fuo principio ; e quan- to/ fu
quello , recatovi da Carpocrate , nel fecondo fecole , autore dell'
abbominevol fet- ta de' Gno/i ci , non che gli agitamenti gran- di
, che ella fffetfe in quell ' ijìefo fecola per un Cerdone , e per un
Alarcene; e per un Curbico , o Manes in appre/b nel terzo , Capo
de' Manichei (21 ); del rcjto per quelche ri- guarda all ’ intelletto ,
egli fi ha altresì altro- ve moftro molto alla dijlefa>e nella nojira
Me- ta/fica ; I.Ch' in ogni , e qualunque azione nojtra libera non
men quejìo vi abbia la fua parte , che la volontà • non potendo/ per
la volontà inguija alcuna defiar altro mai , 0 ap-\ petere , /alvo
ciò che dall' Intelletto pria gli • B * 2 . . /re- Il Semino
nell» Ilìor. dell ’erefie ci. Se;, ^ c. 6 . Sec. II. c. 1 ». Sec.
HI. . , Ch’ a tutte le colè qua giu create , le quali dal vero , giufto ,
e dritto fentiero fi *- partano , faccia medieri che fi reggano in
ogni tempo , e continuamente fi regolino giuda qualche norma.
Il Jt recò , e mofirò per bene e per utile ; ne da el-
la evitare , o ifchifare altro mai Jappiendofì che quello , che per
quejìo le gli vene r appre- stato come malo e cattivo . 11. Che non
Jt pojfa Uom mai dar in colpa, ne accagionar di altro, che delle
azioni Tue libere , come quelle , che fono le Jole che pojfono per leggi
regol arf , giujia da quello , che qui al di fopra fi diffe ,
ciafcuno imprende ; Il perche in quefo tutto , fenza più ci rimettiamo
noi a ciò , che n ab- biamo ivi favellato . * ( E ) Chi che
porrà mente mai , e vorrà attentamente confderar le cofe del Mondo
, conofcerà , fenza dubbio , agevolmente la veri- tà di quanto qui
noi diciamo , niuna ejjendo - vene in realtà per cui Dio non abbia
preferit- to y e formato certe , e proprie leggi , e una qualche
norma proporzionata totalmente alla fua natura , e c^njìituzione
ifiabilito ; co- fa che fopr atutto miriamo in quelle di cui qui Jt
tratta , inguìfa , che non fembra fopra ciò punir Il perche
fe pur quello egli è fi vero , e certo come noi lo abbiamo , egli fa
meftieri al- tresì aver come tale , che tutte 1* azioni dell’ Uomo
libere, e dipendenti da lui, debbano qualche norma avere , e giu-
da quella per l’appunto efier mai fèmpre difpofte , e ordinate ( F ) :
lènza che l’ Uo- mo fomigliantiflìmo a colui eflèndo , che B
3 creo!- punto fia mefieri il pili dffufamente difen- derci
, e di vantaggio . Per quel che ben faggiamente egli vien notato
per un autore ( 24 ) abbiam noi due ben diverfe , é- differenti fpezìe d'
lnfìtu- zioni ; r una delle quali eli * è del tutta. arbitraria , e
dipendente da noi medefimi ; r altra come nella natura della cofa
ijiejfa conffente del tutto , e fondata., altro non è } che una
fegvela ben molto neceffaria di quan- to f ebbe al dinanzi penfato , dove
pur coll* . operar al r over fcio totalmente di ciò , che pria fi
abbia avuto in mente d'operare, non fi vo- glia fe medefimo metter in
/memoratine X e obblianza ; un Architetto per efemploavve-'-
•*•«•■ .•••'*! gna •> 4 ( 24 ) Pufendorf. fpecim cofltrov. Cf. Joan. &rW.ùÌ fw* 1. J. N. c# ij, *v* ‘ 5
* • » V' > --‘A ... l
creollo dapprincipio , c a colè infinitamen* te , c da troppo più al di
fopra di quelle, che qua giù guardiamo di detonarlo fi compiacque ,
e contotuirlo , egli è per al fermo una fconvenevolezza grande
oltre mifiira figurartelo , che polla mai da te, lènza qualche
norma , o legge operare , la cui ofièrvanza , o rifpetto dagli altri
ani- mali divitendolo, gli vaglia non men per indurre nelle lue
azioni , oltre l’ ordine , e decoro , molto altresì di bellezza, e
di leggiadria , che per un gran argine , e ri- tegno alle
file sfrenate pa filoni , e alli fiioi licenziofi affètti ; cote che vie
più per cer- ta, e ferma deve egli averfi, che te non
■» • * D v. x v * ho gnache in fio arbitrio , e
potefià egli abbia dì f ridare , o non fondar e , giufia , eh' a lui
vie più aggrada un Edificio , o P alaggio , cF egli fia> affai
magnifico , ed eccellente , dopo aver «li iifpjb , e ordinato da vero
fabbricarlo fa mejiieri metta in affetto y e in punto degli
materiali tutto altrimente , che s* egli ne vo* leffe mai un mero , e
puro difegno ordinare , e difporre ; poiché fetiza fallo apparirebbe
un matto univerfalmente a tutti , e un melerfo y fe fatto , e
formato et? egli ri* avejfe qufi”,vo% 2* hò delle traveggole
in sù gli occhi della mente, la libertà, che all* uomo compete come
a creatura molto è diver/à , e diffe, rente da quella afioluta, e
indipendente propria di quell’ efier fùpremo , e increato che qui
quanto noi veggiamo confòmma providenza eterna regge pel continuo ,
e governa . B 4 . D.
Ma ( b ) Puf end; c. i . /. J. N. & Cic. de LL. lejje
egli mai tenerlo per quello ; comeche tut- t avolta ciò non impedifchi
punto , che la di - fpofizione , e P ordine de* materiali JteJJi
non fi riguardi come un vero effetto del difegno , e del libero
volere de IP Architetto ; or dell ' ijtejfo modo appunto dir pojfiamo di
Dio , e prejjò poco per una fintile ragione lìberamente offerire ,
eh 1 egli febbene aveffe avuto la li- bertà tutta di crear , 0 non crear
P Uomo , e formarlo animale razionale , e fociabile ; per tutto ciò
dove egli fi dì fpofe pur di venir a IP opera , e di metterlo al Mondo ,
non potea non imporgli , ne addoffargli tutti quegli obblighi e
doveri , che dì necejfità convenivano alla co - fctuzione, e alla natura
di una si fatta crea- tara ; il perche dicendofi , che la legge
della natura dalla divina Inflazione ne dipenda^ do ’ -Ma le di quello mai avvenifle , che ne
il - dovefie render perfuafò un Ateo , qual modo tener fi potrebbe
? M. Egli farebbe quefio di certo per Uomo una cofa a fare
molto agevole , e facile ; imperocché non bramandoli da noi per na-
tura , fe non ciò , che utile ci fembra , o buono , e tutto altro , che
malo , o per noi di poco vantaggio Io fi crede , eh* e* fìa, nulla
prezzando , anzi ilcanlàndolo via to- \ talmente , ed evitandolo , non
polliamo naturalmente, e per una propria nofira inclinazione non
operar quelche riputia- mo mai per noi fruttuofò , e utile , e gio-
. vevole: e isfiiggir all’ incontro , e ifchifare che che tale non fèmbri
, efièndo non che del nofiro appetito fènfitivo , del razionale parimente
proprio, ed eflenziale rivolgerfi . vie Tempre, verfo l’utile, edaciò,
che alla natura umana pofià alquanto di con- fòr-
thnon è da intenderli miga di una incitazione avviti aria , come f
fu quella , da cui ne prove* ** ia n j » a , ma * ìnfiituzione
fondata , epojta del tutto nella natura medefma dell * uomo ,
e nella fapie n za di Dio increata, .quale vi modo alcuno mai non pub un
fine prò •' porfi, o volere 9 fenza li mezzi altresì jg* giungervi
neceJJarj . v , ap forto recare , ed alleviamento , come
della iioftra averfione al rincontro egli è l’appar- tarfi da tutto
ciò, che mai può a diftrugger- la valere , o a nuocerle in modo alcuno ;
li perche nella natura ideila dell* Uomo , e delle colè create fi
veggono mille , e mille ben differenti ragioni", e motivi per cui
a quello egli anzi vadi appreflo* e lègua, che a quello, o a quello
vie più, che a querto;ciò che per verità, è (ufficiente , e
baftevole per obbligarci , e per trarci a quello , che mai potrebbe
, o varrebbe in modo alcuno a ripolirci , e a darci una perfezione
mag- giore aflài di quella, ch’or abbiamo , e tutto altro , che
contrario abbiamo mai co- nolciuto effèrci , e che nacevole , e di
lini- ero abbiamo unque potuto elperimentare, lalciar via in
abbandono , ch*è quello ap- punto in cui confide il dritto della
Natura (c); Verità, che conolcere , e compren- der fi deve da chi ,
che nello Audio della Filolòfia altresì mezzanamente venghi
verlàto, giufta pur liberamente Icriffe il Maeftro della Romana eloquenza
Cicero- ne ; fa fi: etiim nobis , (egli dice nell* au- reo fuo
libro de’ Tuoi Uffici ) (d) f modo m (e) Gr»t. Prolef.
I. B. P. $. xi. VPolf, Pbilof, Zittiva/, f. t. Hrìnre.c. i. 7. JV. $. XI
1 1. XIV, ( d) %Àb, j. ( V. l. Quante, e quali dunque fono le diverse spe- De
LL. natur. c, f. §. 17. ] fpezie d’ obligagioni , che noi abbiamo f
M. Molte moltifiime ; ma due però fono le principali : le naturali , e le
divine; poiché a quelle due lòie /pezie , come a proprj fonti e 5
par, che fi pqliòno mai dedurre 1 * altre tutte infieme.
J>. Quali: fono l’obbligagionì naturali? M. Quel le,
ch’anno pera vventura l’origire, e la dependen^a dalla ftefia natura del
i’uo- mo , e delle cofe create , o per meglio dire da’ motivi nell*
ifìeffà bontà , o malignità ' delle azioni confidenti . D. E
quali abbiate voi per Divine ? M. Quelle al rincontro , che ne
provengono da* motivi diverfi del tutto , e differenti da quegli ,
che il più gir fogliono al di dietro delle naturali ; come fono per
efomplo li favori , e le contrarietà tutte , che diconfi , ( ma non molto
piamen- te , anzi con gran improprietà del linguag- gio Cattolico )
della fortuna ; imperocché io mi credo, che chiunque mai fia ben
per- fàafo, e certo , come pur dalla ragione, non che dalla noftra
veneranda Religione , eh’ efpreflamente lo c* infogna ,
imprendiamo, v neppur le foglia , e le chiome degli alberi, e delle
piante fi fouotano in modo alcuno , ofi muovano fonza il voler divino ,
dine- » gar egli non potrà per verità , che quanto 1 C di
di fecondo mai , e di defilo ci avven- tili al Mondo, o di
traverfò e di fènidro * fi rincontra , non che giuda la bontà, o
ma- lignità ifleflà delle nodre azioni da noi il piu delle fiate fi
fperimenta , come tutto dì la fperienza altresì ( G ) lo ci
dimodra, da quell’ idedò immenfò , ed eterna fonte di tutte cofè
non derivi ,* e confèguentemente tutti li nodri profperi , ocattivi av-
venimenti guardar fi debbano come tanti diverfi motivi , di cui
accoppiati , e uniti alle nodre azioni , o inazioni , che dir vo-
gliamo , quell* efier fòvrano e eterno fi va- glia ben fovente , e ferva
per obbligarci di ben in meglio operare , e per trarci a que- do
anzi , che a quel genere di vivere di gran lunga vie più limile , e
conforme al fuo fànto volere ( l). T). Ma la natura delle
cofe , come altresì quella dell’ uomo provenendo da Dio, non
• po- ( 1 ) W' o!f. FhUtf. Prati, Univerf. c. 3 *
Nel notar qui noi , che il piu delle fiate gli uomini al Cren in quefio
Mondo ven- gano da Dio trattati bene , o male giufia la malignità ,
o bontà delle proprie azionici fi am rattenuti alla /rafie di
ÀuguJìino^ì^xumcpic % {egli potrefcbomo noi parimente
con ragione i’obbligagione naturale dir divina? M. Senza
alcun fallo nondimeno i motivi dell’ una efTendo molto differenti da
quel- li , e varj , che in conflituir l’ altra concor- rono , come
ben voi con far alquanto di ri- flefiione ne’ cafi fpeciali alli buoni ,
o ti idi avvenimenti , che entrano in luogo de* motivi delle azioni
noftre libere compren- der potete, non dà bene ad uomo il confon-
derle ; il perche molti vi fono, che sì fatte obbligagioni naturali per
difiinguerle an- che totalmente dall’ eflerne , eh’ eglino C
a me- ( egli dice ) ( 2f ) & malis mala eveniunt ; &
bonis bona proveniunt; ma non ( femper ) tut- to il giorno ; perche ben
fruente Reggiani noì % per un occulta difpofizion divina, co*
avven- ghi tutto al contrario , e diverfamente , come notollo anche
Seneca ( 26 ) .non che il mede fi- mo ( 27 ) ; /ebbene molti /furono d'
avvifio , che nella dijìt ibuzione, che fi 'fa mai tutt ’ ora dalla
divina provvidenza de'benì , e de' mali tra gli Uomini ad ojfervar fi
venghi fempre e mantenere un ben perfetto , e vero equità .
brio; De Civìt. 1 » 10. c. t. Senec. eie provid.
t 17 ) Auguft. d. 1 . medefimi ammettono, le dicono altresì
ob- bligagioni interne, D. Ma fpìegatemi didimamente quali
fiano quelle alti e . 'M' Quelle che ne pofiòno mai
provenire da motivi , che non fi arredano , che nella volontà di un
ente , che avendo sù di noi tutta la podefià , e la mano, può egli
, e vale a qualche cofa buona in fe \ e one- ( m)
Tbo'n.if.fund.jur.Tkit.fy §.LxV'&fe£U» brio ; nondimeno
convien confijjare , che quel- lo , che malo apparifce agli occhi ncjìri
, egli non fa veramente tale , e che quanto noi mi- riamo come un
difordine , e un /componimen- to della natura , egli Jìa in fe un ordine
mol- to ben injìgne , ed eccellente , non potendo mai colui , che
quejìo Univerfo regge , e governa com * Ente fommamente perfetto , cE
egli è , e la fefd fapienza , eJJ'er V orìgine , e la caufa di male
alcuno ; come altresì par che fi fife fiato di fentìmento Epiteto :
S> roÒis xapàt'ods, cioè r.eVuori, e ne’petti degli uomini,
fcritto , e incifo ; peroche non dob- biamo sù ciò dar a audienza del
Grozio e del Clerico, li quali detorcer trattarono cotali motti , e
prenderli, per quanto e' potettero in altro , e diverfò fenfò,
giuda, che pria d’ogni altro rin- veniamo alla difHifà, che provato
avefle il Budeo ( q ). Per la qual colà fi vede e com- prende
chiaramente la milenfaggine di quegli antichi Giurifti, non che di
coloro, che negli ultimi tempi mifero ogni lor ttu- dio , e cura in
difènderli , o alla cieca fè- guirli , lì quali divifàndo il dritto Natura-
le in primario , e fecondano , e’ volea- noche peravventura del primo
cosipar- te- ( n Row. 11 . 14» Po')
Ibid. C }> ) ArK crìtit. p. 2. feci. i. c. ir. r. in
flit. Thenlog. Murai, p. 1. c. z, $ e cojìringerci di quelche al
fammele all'eterno Monarca compete , in cui in ogni tempo , e del
continuo ,giujìa che ben dijje V Apojìolo agli Ateniejì (33) : vfaimm ,
& movemur , $ fumus ? A&. 1 7-1 v. i 5 . vero come è
in effètto ; bramando or noi, ed andando in traccia fapere qua! fia il
vero principio de! Dritto Naturale , o per mè- glio dire , una
verità-, o proporzióne prin- cipale , da cui trar li debba , come da
tónte pór via di giufle conlèguenze , e difcorfi tutto quello, eh 4
è giuflo , e al’a norma della Natura conforme , che giuda teffe noi
detto abbiamo , è la volontà ideila divina , non fi può, miga con molto
buon raziocinio un cotal principio dedurre né dalla convenienza ,
che può mai effèrvi fra le noffre operazioni , e la làntità di Dio ;
o dall* imrinfèca bontà , e malignità , giufti- zia , ed
ingiultizia dell* azioni dell* uomo; ne dal ben dubbio , e incerto
coniente) delle Nazioni , o delle Genti ; o dagli precetti, di cui
ne fanno , ma con una grande inve- ntimi laudine , l’autore Noè, giuda gl’ebrei
; o dalle diverfe , e varie convenziCH ni degli uomini , o per meglio dir
, dal Dritto , che può mai a cialcqno in guilà al- cuna Ipettarc in
tutte colè , come veggia- monoi, che fatto egli abbia TObbelìo,
( t ) o dalle leggi dell* umana locietà, giu- > fla al Grozio ,
ed altri ; ne dallo flato deli 4 innocenza , fecondo 1 * Alberti Teologo
, e D -fi- [ t > L:b . de Ove & in
Leviatb* v jo • Filofofo di Lipfia ; o
finalmente da quell ordine naturale , che il fòmmo fattor del tutto
nel creare , e formar il Mondo lì può credere , che fi àVefiè mai
propofio , fecon- do che dopo lo Sforza Pallavicini fece il Codino
( u ) . Poiché quelli , e altri fcmi- f Pianti , e belli , e dotti
trovati tutti par. che difettino in ciò, che in qualunque di efTi
aggraderà mai > o piacerà ad alcuno contendere , che quello principio
del Drit- • - . • . : • j . • to Dìflert. de Jur. Mundi. Egli r- uopo con tutta
/incerila e nettezza confejfamo , che vifi rinvengano non pòchi
nella focietà degli uomini , citi non debba premer troppo lo /ìndio delle
Jcienze fpec il- lative , e che pojjdno in buona fede kj ciarlo ;
ma non pojfamo con ragion alcuna offerirli me deiimo della Triorale ?
della Colitica j e di oucjìafeienza del Dritto della Nat in a, ef-
fendo ogni uom tenuto fornir fene almanco Jtn a un certo fegne^dove egli
pur voglia far buon ufo di fua ragione. Il perche conforme in quel
cenere di Jcienze alcune fottigliezze molte fia- °tc fon tolerabìli , e
laudevoli , purché non na- no di Soverchio fantajìiche , e fuor del
cornuti ufo : così in que/ìe ultime , non fio ncn meri- tano
, fi tordella Natura confida , non mai egli po- trà tutti li doveri
dell* uomo , come fi con- verrebbe veramente per far E uffizio di
vero principio, ritrarne; lènza che fon egli- no ofcuri del tutto , ed
incerti, ed in nulla evidenti ; il perche lafciando in non cale
(lare quanto ad uom mai intorno quello ar- gomento piacque dirne , o
lcriverne,fenza metterci così alla cieca l’altrui orme a le- gume ,
egli non mi pàr , che vi fii meglior mezzo per conofcerlo e dilcoprirlo
che considerar alquanto attentamente, e a fpi- luzzo la natura
dell’ uomo , e tutte le lue' 'inclinazióni; perche perni fermo ciò
fa- cendonoi , lo rinvenimmo, lènza fallo, fin dalla culla per così
dire , e da’ lùoi primi anni, in cui egli è cofa alfai lieve
conofcere, e vedere quejche gli fia naturale ( x ), e da Da -
qual« CICERONE (vedasi), dt fin. bonor. & malor.lli-.z. (
tanó da veruno ejftr approvate , e lodate , ma Jì devono altresì
oliremo do fempre mai come ben fofpette , vituperare ; poiché avendo sì
gran bìfogno e necefjìta d'ijtruircene , come tejie noi diffmo )
debbono elleno con tutta naturalezza trattarti, e /empiitila ; cofa che
bajìa (fui no- tare per far cono f cere ad ogni uno il mot ivo',
qualche abito, o cofiumanza in lui non provenghi, fi porti mai
fèmpre verlò ruti- le (y), ne altro unqua vi fii , che quello , che
meriti con ragione , e da fènno per vero principio del Dritto della
Natura d’ ayerfì ; lènza che le vi piace paflar più oltre , e dar
parimente una qualche oc- chiata aerò, che n’imprendiamo dalle
Sagre Carti nel mentre , eh’ e’ fi rinveniva nello fiato dell’innocenza,
il limile noi -rinveniremo , e non altrimente ; avvegna- ché
allora, giufia che comunalmente fi vuole , avuto egli non avefiè , come
per al prefente il cuore di mille, e mille paffio- ni , e di varj ,
e diverfi movimenti, e affet- ti ingombro , e ilmoflò . Quindi lo
fiefiò Dio alla prima fiata , che favellò all’uo- > mo nel
Paradiso terrefire , per obbligarlo all’ ofiervanza de* luci divini
comanda- menti, altro non lappiamo noi avergli pro- pòfio , che l’
utile , che da ciò potea egli ’ ‘ , mai ( y ) EpMetus
ErXEIPlAlON c. ;S.. r t , . e la ragione , che Jì ebbe
in quejìa Operetta , di non feguir ninna deir altrui oppinioni
circa al princìpio del Dritta della Natura , fenza darci la briga
di piu a dijiefo rifiutarle , c con pili , h mai trarne
, e ’l danno , e difvantaggio* (2) che dal contrario operare gii farebbe
unqua avvenuto favella ufàta da lui con l’uomo altresì in ogni , e
qualunque altro ‘tempo dopo il peccato , non men per mez- zo de*
faoi Profeti , che per Io fuo fig Muo- io, Giesù Chriflo , com’ è ben
noto a chi- Chc abbia letto pur una fol fiata li làgri li- bri; nè
fappiamo noi, per al certo, altroché quello lòlo mezzo da Dio praticato a
determinar l’uoraògiufta alla fua divina vo- - lontà ; anzi io non mi
credo , che tra noi fi rinvenghi perlòna alcuna, che dovendo al-
tri pervadere , e* naturai mente non penfi, che perciò altro meglior modo
non v’abbi, o fi rinvenghi al Mondo , che di propor- ; ,V ; > D
3 f ; \. > gli ( 2 y Gene/, c* z. 1 6. 17. èc . , " 1 1 * \ * pih motti
impugnarle ; rinvenendojì di già , ch'abbiano in ciò foditfatto
appieno^ed appaga- to ciafcuno fujjicientemente molti al dinanzi -,
noi(ia)con una fomrha e rara loda veramente^ td‘ g Puffèndof.
fpecim. controver. iv. 4. iz. Henri. Coccei. drfE de jqr. omn. in
omn.Thom.fondam.f. N» I. 6. 1 8. Jurpr. Divin. IV. 40. feq. &
de fundam. defmiend. canfs. Matr.
haet. recept. infufK XVllf.S. M.de Cocceis de princ. I.N.
di/T.I.q. U.$.IX. feq. & q. III. § . VlII.Petr. Dan. Huet.q. Alnetan.
II. p. 173. &c. e eh * imperò prenda alcun il motivo di
accagionarci , avvegnaché Jì trat- ti: no pur per il dritto
iltefiò delia Natura, non fia miga da metterli in dubbio ; Ad ogni
modoconvien confeflarc, 1* uomo lia totalmente quafi incapace dell*
acquilo delle vere vir;ù , le quali di vero non fon da reputarti d’
altri proprie , che di Dio ; imperocché le l’uomo opera cola che
onefta , e giufta , o di decoro ella fia , lo fa lòlo , perche vien egli
tratto a farlo , e portato dal guadagno , e dall’ uti- le, eh’ egli
mai riconolce poter ritrarne, e non già per la bontà lòia e l’ oneflà
dell’ Azione,* colà che per i’ appunto è quello, che rende Tazion
dell’uomo imperfetta alquanto, e difettofa , perche della vera
onefià , e della vera bontà non par eh’ ella nè porti in effetto , eh’
affai picciol fegno , a tale , che più non fembri d’efia • Al con-
trario Iddio operando con motivi infinita- . * rnen-
tìdicofa mera arbitraria , dì jlr alagli nza\ poiché lafciando pur da
parte Jìare , che da malti degli antichi (3 f ) tifato JiJoffe
altresì in qucjìo modo , che noi f t/Jìamo , non che '
da* / * C Jt ) Cic. lib. rie offic. ;• . * j
mete d’ affai piu alti dell* uomo , non fi lafcia così portare ,
ne trar mai le non dal giufio , e dall’^onefto proprio dell’azio-
ne , eflèndo quello giufio medelìmo , e quello anello, lo fteflò Dio . E
così con- fórme l’operar dell’Onnipotente, egli è come un acqua ,
che chiara , lucida , e crifiallina ifcorrendo tutt’ ora da un ben
terlò , e limpido , e polito micelio , total- mente d’ ogni lòzzura , e
laidezza, monda fi mira e netta , così quello dell* nomò al
rovelcio è come un acqua torbida , e pia- cevole , che da una diverlà
fingente deri- va S ' A ’ 1 * _ ^ . t
_ j . , da' Padri della Chiefa 5 rinviene comunalmente in
quefio Jfènfo adoperato nelli fagri libri , come per alcuni pajfi, che
apprefio ne riferiremo agevole fa il riconof cereali per - che per
dir tutto in un motto , non deve recar maraviglia ad alcuno , che da noi
non fi ammet- ta mai dell' utile dij cip agnato è dif unito dalla
pietóso fa nonefiendovi ne pii* certame pili ve- ra di quefia gran
majfima dell' Epitteto ( 37 ) 0718 to' cvpyófop , **« to’ ìw'tfft*
cioè l ubi Ut!» " litas, ibi pietas. (3 6 )
DeGivit. Iib. 19. c. ai. Si &c. ( 37 ) EFXEIPIAION C.3S.
va , Cozza, in fé tutta € fporca, non potendo egli mai , per
quanto fappia , e vaglia, non commanicarle delle lue imperfèzzioni ,
e laidezze j verità , che la conobbero , e comprefèro altresì li
Gentili , fcrivendo Cicerone in parecchi luoghi delle lue opere, e
confed'ando., che nell’ uomo non s’ ileopriva altro (b )
Gerttf.c.i, v. z6. ire, . /•; t propria , e fòia d’ un Ente
lùpremo , e infi- nito ; poiché al certo doverebbomo noi te- •
ncrci pur troppo beati , e avventuro!! al Mondo , quando ciò ottener da
noi fi po- tette ( M ) ; Non confittendo veramente in altro la
lèmma felicità , che per T uomo fi può in quella vita avere che in un
gran agio , e deftro , da poter del continuo in tutto il corfo del
viver luo vie meglio Tempre perfezzionarfi, e giu&here con ogni
aggevolezza , e lènza intoppo a far tutto dì progreflì maggiori in ogni
genere di virtù . Quindi il non mai abbattanza loda- to
( M ) Per quanto mai tratti V uomo dì - ne fiegue lènza dubbio ,
che dove purvo- • - gliamo noi le nolìre azioni regolare a » nolìro
utile, e vantaggio, damo obbligati altresì quell’ iftelfe determinarle a
gloria di Dio , acciò chiaramente da quello ap- parila di conolcerlo
, e quanto mai a noi è pennellò in quella mortai vita com-
prenderlo , e adorarlo ; onde I* uomo è te- nuto non folo a molti
obblighi e doveri verfo di le (ledo , ma altresì verlò Dio, luo
fattore , e Creatore. E per al fine elTèndo ogni uomo natural- mente
tocco da un gran piacere , e diletto - per T altrui perfezione , dove
egli pur non vengfii da ben contrari affetti impedi- to ; e T
azioni libere dovendo Tempre corrifpondere , e convenir totalmente con le
na- cofcienza godere , che maggiore nè decelerare, nè
bramar Jì potè [fé unque da uomo al Mon- do , chi negar mai potrebbe da
fenno non effer ‘noi li piu felici , e benawenturati del Mon- do ,
ne a morte , ne a ccrruzzione alcuna fog . a etti ? poiché giufta il
faggio, Cuftoditio legum , confumatio incorruptionis eli, in-
C 41 ) Sij). c.\n, naturali , abBifògna conchiudere * eh’
ogni uno debba operar non meno per lo proprio Tuo vantaggio, ed
utile, che per l’altrui ; e ch’imperò abbia a conofcerlì V uomo
obbli- gato a molti doveri e uffizi altresì verfò gli altri. Il
perche effendo egli colà ben certa, ed infallibile , chedovepur ci
aggraderà con tutta la diligenza , e 1* accuratezza del Mondo gli
enti tutti, che ci danno dappreffo , o allo ihtorno confiderà re ,
non iè ne rinvengano , che quefìi e tre fòli ca- paci d’ uffizi ;
ciò è : Iddio , noi medefimi, e gli altri uomini , a noi per natura
total- mente uguali , e fimili ; fi può con ogni ra- *• g io
* incorruptio autem facit efie proximum Deo ; cofa che fa
vedere , e concfcere quanto faggio Jifrffe il di /correre , e il
raggiera?' di coloro tra gli antichi , che voleano , la vita beata
fri nella virtù fi conìengki , gjujìa Grifone, Senocrate , Speu/ìppo , e
Polentone ; come quel- la ydf era la fola , che un bene ben Jì abile ,
e fjfo , e durevole comprende a ; come eh e Epicu- ro altr etì ,
che fcritto avea la voluttà e/fer il fine de ’ beni , negava , che per
alcuno f avejje potuto mai giocondamente vivere fe onejìa , e /ozia
mente } c con gitjìizia vivuto non gione da per noi diftinguer
T utile , e divi- dere in tre generi diverfi , o fpezie , eh’ el-
leno fi liano molti differenti alle quali tutte e’fà meftieri,che per
uomo fi raguar- > - di , dove egli brami d’ operar veramente
bene , e giufia il Dritto della Natura, im- perocché fècondo.il
numero degli enti , te- ttò noverati, capaci di Aever da noi
uffizi, altro è l’utile, e ’1 vantaggio, che noi tragghiamo da Dio,
altro quello, che abbia- mo dagli uomini , e altro finalmente quel-
lo , che provenir ne può mai dalla noftra fletta per fona . Oliali
dunque di quelli meritano il primo lu^o. M. Ettendo ciafcun
di noi , per quel chedif- fimo non Jì avejfe ;
fentenza veramente grave , e degna dì un vero Filofofante , s' egli viuji
a feirive CICERONE (vedasi), riferito non avejfe alla voluttà
quejio medejìmo c neramente , favi a - mente , e con giujiizia; Ma che
che però di cil> y ne fi conchiudiamo con queir aureo detto di
S, Augufino: Pax noftra propria, &hic eft Tufcul.
qu. 1 . 4”, Ds Civic. 1 . xix. c. 17. fimo al dinanzi
, tenuto far tutto ciò , eh" e* conolce ellèrgl i di vantaggio. , e
d’ utile , e - non eflendovi Ente alcuno , Che maggior giovamento
recar gli poffà giamai , o va- glia di Dio , da cui dipende ogni noflro
be- ne , ed avere , e come Ente perfettiflìmo mira fino all’
interiora del noflro cuore ; ip ogni nofira opòrazione che che
/òpratutto fiam in obbligo guardare , egli fi è qdefto Ente fupremo
, ed eterno., cui con tutte le potenze del noflro fpirito fiam
obbligati nonché nell’ efierno, nell’interno ancora tutt’ ora
oflequiare , e in ogni momento compiacere , e venerare . In apprefiò
per- che egli è affai più l’utile , che da noi me- defimi poflìam
ricogliere,di qualche da al- tro uom mai ricogfiamo , egli è meftieri
, che apprefso Dio nel noflro operare da ciaf un di noi fi miri
molto piu al proprio, che all’altrui commodo, o per meglio dire, •
alli diverfi doveri, che dobbiamo verfo noi E ' ' ftef-
• • * i .* eft cum Deo per fidem , & in asternum
erit c um ilio per fpeciem; fed hìc ftve illa com- munisjfive
noftra propria talis eft pax , ut fò- latium mi/èriae fit potiùs , quam
beatitudi-^ nisgaudium, . Niu- T v
r -A fieflì vie molto più, ch’a quel li, che
dobbia- mo alla perfora altrui(N).Il perche per dir s 9 egli
a fi la finità del prrjjìmò membro traef- , come da
ciò , che fin qui hò detto , e diro- vi in appreflo-potrete voi da
voi medqfimo comprendere; poiché quanto da quefto mai fè n’
inferire , ad altro infin non fi ri- duce , che aquefto fòlo: ciò è : Che
la per- fezione dell* uomo in nuli* altro mai porta confifier , ne
fondarli , che nel temer Iddio , ed ofièrvar a /piluzzo , e con
ogni efàttezza del Mondo ( giufia Pinfègnamen* to ( e ) del Savio )
li ìuoi divini comanda- menti . Il perche non fà miga contro noi
quel che difputano il Grozio , il Purtèn- - dorfio , ed altri contro
Cameade , e fuoi lèguaci , da cui fi veniva il proprio utile ad
ammettere per principio del Dritto della Natura; pigliandoli da noi
quefio vocabolo in altro, ediverfo lignificato d’afiai più (ubi ime
, ed eccellante ; anzi le non vado E 3 . . er- Eccl. Omnia
mihi licent ,* at non omnia protent, (fcrive F Apcftolo ) omnia mihi
li- cent $ at non omnia aedificànt. Or appunto gìujìa queflo
infegnamento abbiam noi ere -- fiuto , che nel mifurare F utile di
ciafcuna delle nojìre azioni guardar fi debba , e aver la mirali,
alti nojìri doveri verfo Dio , eh ' è il nojìro Vero Padre , e la ver a
origine d'' ogni n offro bene , poiché fecondo faggi amen te feri *
ve Auguflino (47) , fi diligenter attendas nec ntilitas fit ulla
viventium , qui vivunt im- piè , ficut vivit omnis , qui non tervic Deo
; l De Ciyit. 1 * i?.c. nulla
più ,* imperocché pochi giorni fono, ch’intefi peravventura un giovine
far gran pompa, e moftra delfoppihione delì* Ei- neccio all’intorno
quello particolare, e ' per dir il vero , come eh’ egli dille molte
colè delle buone ; in nulla però valle egli a rendermi ben perlualò , e
convinto. Il coftui parere non è miga men vero , •
edifettófodiquel che lo fono, quelli de- gli altri , da noi poco al
dinanzi cennati ; non efiendo il Itio principio di tutte quelle
qualità e condizioni ben fornito, eh’ in Un E 4 vero
* r nel qual luogo Jl 'Vede il vocabolo d'
utilità prefò nel medejìmo f e nzo , e fgnijkato , che gli dbbiam
noi imputato } e gì ufi a che altrove con ben falde pruove altresì
dimojira il Santo , niuna delle nojìre azzi ó ni per giujia e buona
aver .fi pojfa mai , o debba , dove ella fatta non Jìa a lode , e gloria
di colui , eh* è il no - jìro bene , e che perciò le virtù de* Gentili
Jt furono realmente anzi vizj , che vere virtìt (48); lhGh J egli
fra meflieri conjxderar in apprejfo , e ben dif aminare fe /’ azione , eh
* imprendiamo a fare pojfa mai recar qualche , '
incorna De Givit. L ip. c. xi. & vero principio , per
qudch 9 egli medefimo c ^ confefia , fi richièggono; anzi è egli
meftie- ri di necefiHà ammetterne un 9 altro , da quello del tutto
divello, da cui e’ ne di- penda ; imperocché efièndo egli quefio _
l’amo- ìncommodo , e dannaggio ad altri , giujta li precetti vangelici
, non men che naturali , e perciò fin d Gentili per quel , che Jì notò
al dinanzi affai ben noti e pale fi : e III. Che al dafezzo Jì
debba guardare fe quejie ifteffe conformi e' favo, 0 no alli doveri ,
che debbiamo a noi medejìmi ; Il perche dove an- che un Jì
rinvenghi per dir così povero in can- na , edagrandiffma fame cojìretto ,
non de- Ve per niun utile , cheritorne mai potrebbe , rapir il cibo
all 1 altro uomo , anche che fìfof- fe qnejti un Falere , per cosi dire ,
un fc etera- co , un tirando , 0 un uóm dappoco ; e tnelenfo> giujiaf
fujìn il fent mento di CICERONE (vedasi); perche in niun modo più grata ,
e cara a me deve effer la vita mia , che tale dìfpjìzìone dd animo
yCÌf io non nuoccia ad altri per pro- prio mio agio , 0 commodo
•• ‘ * $) Egli C 49 } V. Not. . . ( r° ) De ofl;
1. j. c.j. • • . . l’ amore (f) ; chi di api-mai- ad amar
una colà. , o appeterla può da lènno afferire d* elferfi unqua
portato , lenza un qualche motivo ,.o ragione quale per l’appunto
fi farebbe la bontà ifteflà della colà , o l’one- fià , o 1’ utile
? Chi è colui , eh* operando da uomo, ama , e delia , o quella , o
quell’ altra colà, lènza che prima non la jicono- (ca in qualche
foggia del fuo amore , e delle lue brame ben degna ? E lè ciò egli
è vero , come lo è in effetto, 1* amore non fi può miga in modo
alcuno tener per princi- pio del noftro operare, ma fi benetutt’
altro da cui la noftra volontà fi vegga, ven- ghi mai a quello
determinata tèmpre , eri- fòfpinta. Or e amare venne
filo da Pia • Puòftro bene ,• io non sò mai comprendere i nò capire
, come f obbedirlo , non che il pre- dargli tutt’ ora omaggio a noi non
fi fof- fè connaturale j imperocché lalciando da parte dare , il
dritto , che a Dio compete , sudi noi, e tutto altro, che intorno
ciò fi potrebbe mai dire, confèrvandoqi egli per lo continuo , ed
in ogni momento quali che novellamente creandoci , nè moftran- dotì
giamai refiio , e fchifo di beneficar- ci così abbondevolrnente , che per
quello conferò un Pagano medelìmo : (g ) non che provvede egli a
tutte nofire bifogne,da Jui noi , ufque in deliriti amamur ; tot ar
- bufi a mon uno 'modo frugifera { foggiungc egli ) tot herbce fai
ut ar et , tot varictatet ci- borum, per totum annum digejia: .ut omnti
rerum naturce part tributum ali- quod nobii confert ; ancorché non
avefiè Seneca de Bene f. lib.iic.ydt I. r uomo formato , ed
creato ; e in con f egri erosa per unirlo , è ajjoeiarlo con qualche
oggetto , la cui con f cerna, e 7 cui amore vai effe a prò - dargli
qualche felicita , e ripofo ; echéverfo quejìo egli tuttora portar f
debba ed incarni - narfi \ Il perche la prima, legge dell' uomo y
per . . ’ quel domandato mai da noi olTequio , o ubi- dienza
alcuna, pur dove conofcelfimo e£ lèrgli cotanto tenuti , e obbligati ,
per • , gratitudine almanco , doverebbono in tut- te le noftre
azzioni fa r in modo , che non vi apparile nulla , eh* aver fi potefiè
per legno di non temerlo , o non adorarlo , nè compiacerlo incoia
del Mondo. Ma di vantaggio: febbene dubbitar noti polliamo , Dio
niuna cola c’ im pónghi , re’ comandi, s* ella nello ftelTò mentre per »
v noi non fii a noftro prò , e utile ; non però egli lèmbra ,* che
come tale da lui ella ci venghi comandata , o importa , mia lòlo
perchè e’ fia alla lùa làntità, e volontà confbr- ’ ' • w . .
enei eh' egli crede Jl è la pia derivazione al • la ricerca , ed
all' amor di quejt * ometto , che altro unqua non pub ejfer , eh' Iddio
,, eh' è il fola , che può , e naie fidi far lo , e renderlo di
tutto ben f atollo ; legge la quale , confor- me egli ferine , effendo di
tutte l' umane ob- bligagioni P unica regola , e lo fpirito,e il fondamento
di tutti li precetti del Vangelo , è al- tresì di tutte l’umane leggi
bafe , fojiegnc , e principio ; anzi pere F ella obbliga tutt'
uomi- ni fenza eccezzione alcuna di perfona a unirfi
tra forme i e ip confèquenza parcheconven- ghi dire che
il giufto Ila affai al dinanzi dell’ utile j- M. Quello non è
men falfp e vero j imperoc- ché niuna cofa fi può mai fingere al
Mpn- do , o imagi nar da noi, nè contra,nè oppofta alla fantità
divina , o al divin volere , che parimente ella non fia d’utile, e di
van- taggio per noi; e quefto in niun conto fi può mai dalla
giuftizia fèparare,e dividere, o quella da quefto ; perchè Dio cpme
en- . te perfettififinao , e fàpientiffìmo , eh’ egli è,
non tra ejfi, e ad amarfi vicendevolmente , ne rac- chiude
in f e fiefià un ’ altra , eh * è la feconda; imperocché t fìtti noi pef
natura al pojfefiò di un unico , e foderano bene defiinati , e per li
- , game si fretto e fido uniti ejfendo , che giu- fta fi legge in
S. Giovanni non comporremo , ne fot'maromo altro mai , che una fila
per- fona (s i ) non pojfiatno giugner giamai a far- ci degni di
unità tale nel peffedimento del com- mun nofiro , ed unico fine fi non
col comincia- te dianzi , e in quefia firada appunto , che per colà
giugner e fiam tutti tenuti battere , ad • • ..
D fri. Balli dunque quello pef oggi ; imperoc- ché eflendolì illòle
da gran pezza ritirato: domattino per tempifiìmo , dove vi piac-
cia , altresì in quello ilìeflò luogo , tratta- - remo più agiatamente
quélche vi rimanga intorno quello particolare Addio . , : de*
. 1 * ; , — . 1 • ’deffo ; non lafciano perb elleno di
fujfifiere , ed ejjer immobili ; t come tali far che tutte le leggi
per tui la focietà degli uomini Ji regola nel prefente fiato non fiano ^
che una ben fe- guela di effe ; onde non guari egli, in quejlé>
Jlabìlìfce un piano di tutta T umana focietd . Dunque avete voi
con maturezza, e diligenza le cofe , di cui jer qui ebbomo
ragiona- mento , tra voi me. defimo ben di lamina- to ?
V. Senza dubbio , e vi dico con ifchiettezza, eh* elleno mi
ferr.brano regalmente , ab- bino una grande aria dolce , e maefiofà
di femplieità , e di naturalezza . Or via alle corte,* oggi tratterò
a tutto mio potere di farvene conolcere e com- prendere 1*
applicazione , e Tufo, non che T agevolezza , e la f cilità , con
cui li doveri , gli obblighi , e gli ufrzj un, ani tutti polloni]
da chi che lia mai da quelle dedurre. Ma con qual metodo, od ordine in
ciò voi procederete ? M. Elfendo pur convenevole
certamente ch’io m’ingegni favellarvi di tutto sì aper- to , e
chiaramente , che niun dubbio ri- fletto a quello particolare d’aver mai vi
rimanghi , vi rapprelènterò 1* uomo in va- ri , e divel li rincontri di
lùa vita , e in ben mille , e mille differenti fùoi flati ; impe-
rocché figurandomi io mirarlo da pria nel- lo fiatò naturale , or tutto
fòlo , e lènza altri in compagnia , or di brigata con tutti pii
uomini , ed in una lòcietà univerfa- le, or con la tua moglie, e con li
fùoi figliuoli, ovver con li lùoi fervi * e con le Tue fanti , ed
or al fine con quelli tutn ti uniti infieme ; in apprellò dilcende-
rò , e verrò paflò , palio a confiderarlo tra *1 riftretto , e tra li
termini di una Città , o Repubblica Ha come capo , o rettor, di quella ,
fia come un membro , o infe- riore ; colà che fàcendofì , le non vado
er- rato, verrò a rìifpiegarvi molto diffùlàmen- te, e trattarvi
alla dillefà tutto ciò , a cui Vien ferialmente per altri quello Dritto
Della Natura diftefo, cioè * l’Etica , P E- conomia , e la Politica per
non lafciar co- là alcuna da farvi su quello argomento of- fèrvare
( A ) . V. Che intendete voi per Etica ? Una Icienza ,
che non (i arreda *in altro , che in quelle fole regole , che pofTon
mai - riguardar l’uomo confidcrato o folo, o di brigata con gli
altri Uomini nello dato ./ della Natura. . V* Co-
Non v’ ha piu laudevol co fa , nè piùfruttuofa , o piu utile in una
faenza, che uom mai imprende a trattare , d? if covrir - ne da pria
, e fvelarne li fuoi principi , ed in apprejfo pajfar al particolare ,
che di là ne ri- finita . Il perchè avendo nei nel nojiro primo
trattenimento favellato de'veri principj delle leggi naturali ,
difendiamo ora alle regole , che da quegli Jfe ne pofono unqua per
alcuno inferir eycof a che varrà altresì, fenzafallo,per facilitar
li ncjìri leggitori , ed in un tempo medefmo per un ben molto acconcio
modo age- volarli a render di quelli un affai fermo , e perfetto
giudizio non effendovi per quel che noi fappiamo , per metterli in quejio
fato, al- tro metodo , o Jìrada miglior di quejìa . Colà è Economia
? M. Ella fi è un altra fcienza molto diver- • fa
dall’antecedente , in cui'fì compren- dono ’foltanto quelle regole, che
apparten* gono alla condotta dell’ Uomo nelle focie- tà fèmplici ,
non che in quelle che fi an- no per men compofie. Chiamiamo noi
iòcietà fèmplici quelle , che non fi forma- no, che di fole, e (empiici
perfone , co- me la paterna , ch’è tra genitori , e figli la
coniugale tra marito , e moglie , e T e- rile tra padrone , e forvi ;
diciamo men compofie al contrario quelle fòcietà , che non
formanfi, che delle fole fèmplici , qual appunto fi è tra quefte la
famiglia , che non vien compofìa , che di quefie fole , di cui qui
or noi favellammo , rinvenendole- . ne dell’al tre molte afiài eia quefie
diverte, e differenti, e molte vieppiù compofie, perchè non
formanfi elleno , nè fi coflituifo cono , che delle fole compofie , come
per efemplo fi fono le contrade , o li borghi , che compongonfi di
più famiglie unite in- fieme in una fol fòcietà pe *1 comun lor
mantenimento, o per la confèrvazione de* lor dritti Gentilizi , fo per
avventura e’di- foefcroda un folo , ed unico fiipide , come pur fi
crede , che avvenuto mai fofiè nella prima ifiituzione di tali fòcietà; o
le Città , e le Repubbliche , o i Regai , Pane de’ quali fòrmanfi di più.
borghi , o contra le; e Paltre di più Città , rette e governate da
un folo• Difpiegatemi il termine politica? Egli appunto quello è il
nome proprio di quella facoltà , o fcienza, che infogna l’obbligo , e li
doveri dell’uomo in queff ulti me locietà . Dividete voi adunque , fe non
vado errato , tutto il Dritto Naturale in Etico, Economico, e Politico ;
ma rinvengono pur per'altri parimente quelli e tre voca- . boli
adoperati alla fletta guifà? M* Mai sì , come che quelli fiano
molti po- chi ; poiché afsai più d’ordinario s’ ufano eglino a
fpecificare , ed a diftinguere tre , e diverle parti di FILOSOFIA, in una
di cui li tratta delle virtù Morali, nell’altra del buon governo
delle colè domeniche , e fa- migliati , e nella terza, ed ultima di
quel- le di uno Stato , o Repubblica, giuda fi leggono , che
adoperati furono da’greci, da cui travalicarono a noi ; come che
con ciò, vaglia il vero, lì venghi per poco a far il medefimo , e
lì noti lo ftefso . JD. Or via prendendo il filo di quel che
dir dobbiamo-, figurandovi al dinanzi d’ogni altro mirar Puorno
lolo nello Stato di Natura, (piegatemi quali erano mai gli ob- blighi , e
li doveri di coftui in quello Sta- to (B). j . Egli fi
riducono quefti e tutti, lènza fallo, Iil.come U può di leggier comprender
da chi che penlà , a due (òli capi ; il.primo di cui lo riguarda
come a creatura , e opera di • Dio ; e il fecondo come a creatura, ma
ra- gionevole , che opera per la confervazion di se medefimo , e
delle (ùe parti . D. Spiegatemi didimamente gli obblighi,
F 4 v e li . ^ Lo fiato d' una per fona non confjte in altro ,
falvo che in alcune qualità , che rif- guardandofi,ed avendo]! come
proprie fue,ven - gon acofiituire la differenza , e il divario, che
v' abbia infrajei , e un altra ; tali per efemplo fi fono ì’efier di
majchio , 0 di donna, di giovine ,0 di vecchio , di libero , 0 dì
fer- vo , di figlio di famiglia , 0 dì padre , di ric- co , 0 di
povero , ed una infinità d'altre di cotal fatta . Il perchè altre di
quejfe ejfendo naturali, ed in nulla da noi dipendenti, ed al - tre
al rincontro avventizie , e del tutto in no - jìra propria balìa, ed
arbitrio , altro è lo fiato naturale ,fifico, e morale di ciafcuno ,
al- tro quello, eh' è puramente civile, od avventizio . V
e li doveri del primo capo , che tra tutti ' gli altri , cui per
natura 1* uom è tenuto , giuda , che da voi jer apprefi, fon li primi.
Qual fia la baie, ed il fondamento di que- lli , e come noi li conolciamo
, le voi ben vene rinvenite , alla diffhlà vi moflrai al- tresì io
nel ragionamento pafiàto ,* il per- chè dipendendo eglino totalmente da
que- gli principi , che in quello per quanto valli di ftabilir m’
ingegnai , non (limo colà molto fuor di propofito , ed infruttuosi,
per voi, che pria di più oltre paflàre* quanto ri fpetto a quella materia
sì dille fe pur così vi piaccia , mi ripetiate . D. Ecco
tutto in pochi motti ; fùppofto,che fi ebbe da voi per ben certo , e
fermo I. Che l’uomo, ogni qualunque volta, che d’ operar delia,
lènza fallo , giuda la propria natura, venghi obbligato, e tento to
di regere, e regolar se medefimo in gui- fà , che tutt’ora col far per
quanto fappia , e vaglia , qualunque cola per menomilfi- ma , eh’ è
ila a fuo utile , e vantaggio vie più fempre mai ottenghi , ed acquilìi
del- la perfezzione . II. Che le da lènno quelli portar fi voglia ,
e trattar in sì'fatto mo- do , e con aver un cotal fine al dinanzi
di se ftefio , metter e’ debba tutta la cura e la diligenza di
ragione in ordinar del continuo le proprie azioni , e regolarle sì fat-
tamente ,^che mai fèmpre e* giungano quello Hello fine ad avere , od
ottenere 4 di cui Dio , eh* è 1 * autor della Natura, per quanto
noi comprender polliamo , fi valle mai nel regolamento delle lue
azioni puramente naturali , e non dipeni denti dal lui ( -C ) .
III. Che v ( C ) La Concozicne , per ef empio , e lo
fmaldimento de' cibi , eh' in noi Jì vede far del continuo mediante il
ventricolo , e f fendo '• uri * operazione , 0 azione , che dir vogliamo
f del tutto naturale , ed imperò il farla , 0 non farla non
dipendendo da noi , altro fine giu* fa , che dalla ragion ? imprende ,
non fi ere - de , Dio avejfe avuto mai al dinanzi in or di’- vi
aria , e infìituirla in ciafcun di noi , che di far per quefia firada , e
con quefio mezzo , al nofiro corpo ricoverare , e riacquifiare quel
che gli era mefiieri per poterfi ben fofienere , e mantenere al Mondo ,
non che per la continua tranfpir azione , e per l' inf enfiti le trapela
- mento delle fue parti da momento in momen- to egli veniva mai a
perdere , e logora- re . Al rincontro /’ ufo de ' cibi , e della
vivande y come cofa eh' è totalmente in nofira ha- Che
quell’ efier fovrano l’ ultimo , e il principale fine , che fi propofe ,
ed ebbe mai al dinanzi nell’ ordinanza delle noftre azioni non
naturali egli fi fofie fiata la pro- balia , ed
arbitrio , elP è ut? azione in tutto libera , e dipendente da noi ; Or
dove pur ci Venghi in grado , ed abbiam vaghezza , o vo- glia
alcuna d* operar a nojìra confervazione , ■’* e di reyveref e regolar una
colai ncjira azio- ne in “ Tal fatta foggia , egli è meftieri ab -
• biamin ejfa quelVìfiejJb rifguardo , e quel me - defimo fine che fu
quello ( giujìa la nojìra credenza ) di Dio nel creare , e nel
formar del nojiro ventricolo , cioè , la JteJJa nojìra
confervazione ; coJa> che produrrà f enza fal- lo ^ infra queJV azione
, e quella del nojiro ventricolo un certo concerto , ed una certa
ar- monia tale , cui non f vide mai da uomo altra pari ; imperocché
arr.endue qnejie verranno elleno a riguardare un medejimo fegno f ed
un JiefJb fine ad ottenere ; Il perchè non fi deve in niun modo qui
pafar fitto filenzio , che pro- priamente azioni diconfi da noi non men
que- gli movimenti , che in noi provengono da noi ovruv , /gì
ìioixiy- ‘itov rù oKot Koiktùf /gì S ' inaio f , v, gì (Teano v eie rivo
xeimnvK- X^au , '7Ò irtifaStcu ocùvo'ts , /gì «xay ir ieri vaie
ytvof/ivoie, ygi et'xi\hòéiy ix,óvmuàf imo rijs etp Irne yyeùfjuif
'/y'reXvtiìvoii . \ ale a dire. Il lòmmo , e il principale
capo deila Religione egli fi è il far opera, e proc, curare ad ogni
Ilio collo di riempier se me. defimo di buoni opinioni intorno gli
Del immortali, (parla egli da Gentile) per poter giugnere a vivere
ben perliialò,e certo, eh’ eglino di vero efiflano; che con ogni
retti- tudine^ giufìizia tenghino la fignorìa dell* Univerlò : Che
fi debba loro preftar alla cieca ubbedienza in tutto , e contentarli
di quanto eglino ci comandano , come pro- veniente da quegli, che
lono di lunghi!! fimo Ipaz io vieppiù fàggi e vieppiù intelli-
genti. di noi ; perchè così non oferai nel corlò del viver tuo giamai
accaggio- nar- (a) ErXEIPIAION cap.tf. DE’ PRINCIPJ
narli di nulla , o . rr.tr mancarti in mo- do alcuno , che venghi da efio
loro meflo in abbandono , e negletto. II. Ch’ La
necejftà , ha V uomo di fod - disfare a queji' obbligo , o dovere ,
mani- fefiamente fi ccnofice da ciò , che com e egli f vedrà , Je
ne ritraggono per poco , fi filo , quafi che come una confeguenza tutti
gli altri doveri , od obblighi di qnefio genere , che lo riguardano
come a creatura Quindi ab- biavi gran ragione da poter con
franchezza ajjerire , che dalla negligenza , e trafcura - t agì ne
grande tifata da noi in quefio , egli venghi , che fi mettano quafi , che
del tutto in non cale , e fi trofie urino tutti gli altri , come
imprendiamo altresì dair Apofiolo in uno non molto diverfo propofito. Il
perche come a Santi Uomini la contezza grande , ch'eglino ebbero ,
per quanto mai venne lor permefiò , e pojjederono de' divini attributi ,
valje di lunghijfimo fpazio nel Mondo per portarli ad un grado di
perfezzione , in cui affai dirado uom giugne ; così la mancanza eh' è in
noi di quefia , egli è cagion fovente del noftro o- perar al
rovefeio , e del contrario procedere , la Ad Rom. c. i. n.zo.
Sex 3, V fi DEL, DRITTO NATURALE. 9 f IL Che gli
convenghi per ogni verfò,e fia in obbligo d’ operare , e trattar gii fia
al di- vin volere, non che fervirfi di qutfio prefc fo che per
motivo delle lue proprie azioni efiendo cola pur troppo certa , e fuor
di dubbio , eh’ Iddio chiegga da Jui , eh’ e’ fi regga , e governi
fecondo le leggi della Natura : Quando mai pur da te fi com- prende
, che sì abbiano difpofio li Dei ( di- ce un Gentile) sì fi facci «
to'* Stois .Che fia tenuto
di neceffità amarlo^impe- rocche dalla cognizione delledivinè per-
r , fèzioni provenendone lènza dubbio nei cuor dell* uomo f -e
derivandone un cotal ‘ guftq, o diletto , che dir vogliamo e pia*
cimento , che non abbia chi. lo pareggi . quindi nafee in lui certamente
della bene- volenza, e dell 4 amore in. verfò quefìo etfèr . .
Supremo. Che quett’amore,e quefta benevolenza, che Lanino è in obbligo ,
ed m doVer’ di porta- : rea Dio,convenghi,che Tuperi di ìunghiffi-
molpazio , ogni , e qualunque altroché a .cofa mortale fi può da lui .
portare i ‘ r /c G im-
ZX l.fupr. , • . ,( F ) Quefto appunto è quetV amore ,
che in ptu luoghi di J agri libri (%) ci fi accoman- dai Matt.ii.D^iter.c.^.é.exo3.io.icvìt.a().&c.
f D £’ PRINC I V J imperocché ;1* amore, in noi provenendo .
dal pi acere , e d^l diletto, eh’ abbiamo deb . Fai- v •’> * r — » r f f .. , •. V •• ... • ; . •• ' • \ da, e
con tuie motti del DECALOGO – H. P. Grice: “Perhaps Moses brought something
else from Mt. Sinai besides the 10 commandments” --: Dillges do- minum
Deum tuum &c. Quindi il Vive: erutti* dicendo: ut paucis verbi s
magnus il le Magister quemadmodum unicùique viven- dum fit docet ,
ama quem potes tnaxime , qui (òpra te eft , & non ajiter , qui prope
te eft , quam te, quod fi Feceris , tu fòlus leges omnes , juraque
feies , & fèrvabis ,* quae alii magnté Ihdoribus vix difeunt . . . ,
* Di- liges, inquit , quid potefb effe dulcius dile- zione ,
non metuere , non fugete , non hor- rere praeceperis , (Domirium) ut
fcias illuni effe reverentlum*, nam dominus eft ; , (tuum)
etfi multorum eft,tamen uniufcujuf- que *fit per cultum proprius . . , Ex
toto còrde diligere praeceperjs , utomnes cogi- tationeS tuas , ex
tota anima , ut omnem vi- tami tuamyex tota mente tua, utomnepi ,
intelle&um tuum in jllum confèras , a quo babes ea , quae confers . Il
celebre Leibnizio in un fu 0 trattai elio intitolato . Trito- ti- - f Tri not.ad lih.io.de CivIt.Dci c. 4. C,i
fecft. Ep.li fi ha rei voi. 1. de Recveil de dlverfcs P5ec;sfur la
philpfophie , !a Jteligion d*c. DEL DRITTO NATURALE. (bit peint fenfibile à nos fens exteroes , il ne*
laifie pas d- étre très-aimabile , & de donner un tres-grand plaifir
. NoUs voyons combien les honneurs font plaifir aux Hotnmes, quoi-
qu’ils ne confiftent pokit dànsles qualitez des fens extèrieurs . E non
guari apprejfo i Gn peut méme dire , que dès à prèfent T A* mour de
Dieu nous fuit jov’ir d’un avant-goiìt de. la felicitò future .i„ CaV il
nous donne lune ’ perfaite confiance dans la bontè de notre Au-
teur & Maitre, laquelle pro&uit ime vèr*- table tranquilitè dè P
efpric i . . Et outre le plaifir prèfent , rien ne fauroit étre
plus utile pour T avefiir , car l’amour di Dieu remplit encore nos
ef^èrances , & nous méne dans lechemin dù fopreme Bonheur
&c. ' i IOO DE’ PRINCl P ] le di tutte le create cofe,
qualunque pur el- leno .fi fiy.o , coltri , che fi bene giugne a
conolcerle, ed a comprenderle , come ad nom conviene ; rincontrandovi
egli un piacimento ed un diletto difmilurato , e . grande oltre
mifura , e fenza comparagiò- ne alcuna vie più di quello , che nel
cono- Icimento delle perfezioni delle creature '• può egli
peravventura rincontrare , e a quel co l’amore proporzionatamente- Tempre
mai guagliar dovendolgegli fà mefiieri, che altresì fia tale , e non men
grande ; e ; confcguentememe , che non abbi altro “ mai al
Mondo,che in modo alcuna lo lupe- 7 ri , o adequi . ’Ch’ogni fua
follicitudirie, ed attenzione impiegar e’ debba , e collocar tuttora
in * non far colà., che polla io gui là alcuna a quello lòmmo, ed
unico Bene dilpiàcere, o • /gradire, l’ amor in altro veramente non
confìftendo , che in godere , e gioir , ’ per l’altrui felicità. , non
che in paven- tar del continuo , e oltre modo di conv - metter
colà, che dilàggradi , p pefi all* aggetto amato ; còli che per l’
appunto^ ciò che^iù ferialmente appellafi timor fi- liale ( timbr
filiali: ) oppofio diametral- mente a*quello , che dicefi lervile (
metti: fervili:) che da gafiigo provenir luole , o da DEL
DRITTONI ATURALE, jot *o da fùpplicio ; irqperocche* Iddio, febbenc
altresì di quefto pei: iftimular E uòmo ad operar rettamente , e
lòllecitarlo .al' ben fare fovente fi vagii , e che dalla cofìui
gravezza (pèdo (pedo quegli atterrito , . ed ifgomentàto ; venghi da
mille , e mille laidure e tèonvenevolezze a ritraerfi; "
tutta volta quello non hà vertm luogo , dove aiutila pur dall’uomo quel amor
por- tato vero e reale , che naturalmente a’Genitori gli proprj figli
logliono portare, e eh’ egli dev.e ,e convien che gli fi porti*
y jl. Che 1* abbia altresì a riverir , e venerar lòpra tutto ; -
imperocché in grado emjnentiffimo in le contenendo , tutte le perfezioni.,-
che nelle loda nze , che da lui derivano , come effetti provenienti
dalle - caule, fi contengono» e imperò ellèndo egli * .
‘ un Ente infinitartiente perfètto, onnipo- tente , giufto , e
buono eftremamente , ed amabile; di ragione deve egli preferirli
- tèmpre mai * ed anteporli a che che lia nel "novero
delle colè create , nonché aili ftek : fa noftra perlòna .Ch’ in lui
lòltanto mettere e’ debba ' tutta la iùa fiducia , e confidenza , e
col darli pace in tutte le cote del Mondo , che o delire , o
finiftre peravventura l’av- veftgono , moflrarfi tèmpre mai làido
in G 3 lui , e tutto tempo reguiarvi ; imperocché da efiò lui
gli averi , e le fortune notf re tutte provenendo -e’ può e vale , come
pur l’esperienza loc’ infegna,che tutto dì egli facci , dove di
farlo pur gli viene aggra- do , rivolgere , ^ contorcere a noftro
prò, ed utile quanto mai di malo i e di qattivo c’ avvenne , o può
unqua av- venirci . Per verità egli hà troppo di bel- lezza,^ di
gravità, per non eflèr paflàto in filenzio quel che fcrive Epitteto a
quello propofito . C.egli dice ) ’ wroxac'W^ « s.aì •
&P*X ' as xòv ìmrx&nSaì ire 6ÌM , * vx usti wìnov tù '•
ErXEIPlAION. c. xj. Senza fallo ; anzi egli e quello una con-
feguenz'a ben cej^ta , e ferma di quanto al dinanzi noi didimo ; comeche
non fia fuor di propofito , che voi dHà altresì ne rico- giiate ,
che le formole , eh’ in ciò ufiamp, debbano efler da noi ben intefe , e
capite , ' e che elleno dovendo dettar in noi degli affetti , e
dellarnemoria de’ benefici diri* •-ni non fi debbano comporre, ne
fòrmarda altri , che da coloro, di’ anno un intera , e , .1 ben
rara cognizione delle colè divine. D. Non vi fono altri doveri, e
altri obbli- . ghi., che quelli dell 5 uomo comp crea- ? tura ? •
' Altri , che quefli Hfcn riconolciamo noi ; con li lumi foltanto
dèlia Natura ; per il di più, come altresì per quel che fi richiede
per determinar i modi di bpn fodisfar ■- a quelli iftefii , troppo più fi
ricerca di lu- me , e di cognizione ( D {toiefi* per in?- >; ;
-./tera- S ' s Leibnizio in una re
teramente fidar qu-dloculto di ficonolcen- Z a dovuta peb f uomo al vero
, e fhpre- mo edere, abbifogna pur., che confeflìa- itk) con
ingenuità; cheli lumi della natu- ra, lenza 1* ajuto della rivelazione ,
nonfia- tio in niun modo di per fé baftevoli , e lùf- ^cienti ;
ónde fa egli intieri dériggerci, ' in ciò , e regolarci , giufta
quel che. im- prendiamo da quella . : Degnatevi adunque d’udirmi, al
dinanzi, • che non fi venghi ad'altro,lè pur tutto fep- pi
ben comprendere ; Pobblighi, e li doveri HelP uomo , come creatura , o
per meglio dt-e , il' culto di riconolcenza , che P uom deve a Dio
* egli non confille , che nel Po- lo efercteio , e nelPufo di quelle
aziqni , eh’ anno pur per mira , e per motivo K di - - vini
attributi . Or fe quelle azioni fono el- leno .* v
ré( 6 ) fcrUta alla PrincipeJJif^di Gali?* nel me/} diNo~)embre
1,7 if . mfirò fehza dubbio arem dolore , ed un vivo fentimento di rama
- fico , chela Religìon Naturale fi vede a da dì in dì in
Inghilterra indebolire , e corrompere; Si legge nti voi. i. de recueil de
divttfos l’ie- ces far la l%flofophie;> el re fio io non dubbilo eh*
alcuni aver ebbero fior f e qui dejìderatò , che w favellando feMct
♦ ' ddeligies naturale mi avejjè alquanto . vie pile * difiefo, e tratto
dimojirare l'armonia maràvi- ' \ gfiofayChe il abbia tra quejìa , e la
revelata t / Ora il Regno della Nat ur fi , e quello della " .
ì@ré&a,f£0fcjqr por mente paratamente , e : ^fervane gcowe la natura ci
vaglia per guida - v; ‘ “ alla i r $ adoperi non meno 1’ uno , che P
altro di quello culto , e che facendone ufo del con- tinuo , cosi
coni’ e* conviene, non gli polfa di lunghifiìmo fpazio fèryire a
renderlo tranquillo , e lieto in tutto il corto del vi- ver Tuo ,
ed ad accrefcerlo da momento in momento, e vie più tèmpre
aggrandirla H nelle alla Grazia , e come quefia venghì quella
a ripolire , e perfezionare valendo f ne { agge- voli cofe
Veramente tutte , e facili a mofirarfi volendo ) poiché f ebbene dalla
ragione impren- der non fi pojjd il di piu , che dalla rivelazion
s* imprende , vai ella d? affai per renderci ben . certi e ficuri , che
le cofe fan fatte in modo, che non giungano ad ejfer comprefe da
umano intendimento . Ma mio principal difegno egli è di dilungarmi
il men , che fa pojfbile fuor * de ’ termini , che m ’ hu io in
quefi operetta prefijffó ; e regalmente affai ben faggio reputo r
avvifo di coloro , lì quali le cofe della nofira veneranda , e fanta
fede, come mirabi- le , e feci al fattura della mano di Dio guar-
dando , mentre che quefio venghi da noi cre- duto Onnipotente , vogliono
, che fenza met- terle in ragionamento alcuno facilifimamen '* te
,e a chittfi occhi creder fi pojfano , e fi debba- no
i nelle virtù , e nell’ abborrimento de’ vizj ; Ma or su
fìendiamoci, fè così vi piace , più oltre col difcorfo , e palliamo agli
altri do- veri , obblighi, o utfizj de 11* uomo lòlo in quello Rato
Naturale . M- Quelli altri non lòno , a mio avvilo per
IV. quelche aldi'fòpra altresì fi dille, che quegli , eh’ egli
dovea , ed anche per al prefente egli deve verlb se medefiino ; ob-
blighi , o doveri tutti, che diftinguere fi tio ; or.de quel
gentìlijflmo Italiano Poeta ebbe motivo dì cantare , 1
fecreti del del fol colui vede ì Che ferragli occhi , e crede.
Non eflendovi flato vie più al Mondo flcuro , e men in periglio di
colui , che Jen vive confrme le leggi della Vera pietà , e della
vera virtù , imperocché , giufla al dire di tre gran uomini , come che
difofpetta fede ; cioè , dell' / reivefeovo T illot fon , di Mr. Pafcal
, . e di Mr. Arnaud ( 9 ) , in queflo flato nulla vi riman da
temere di quelle tempefle , e dì quelli malori , te muti , ed af gettati
per coloro che ne fon fuor a . V. l.eìJjnìz.nelIe note alla lettera sOi l’
Entu Ha fT. mo del vi ylord Shaftsbury. voi. z. de Recusil de
diverfeS jiìeces&c. . poflono, e divifare in tre divede , e
dif- ferenti Ipezie ; cioè in quegli , che riguar- dano il filo
Ipirito ; in quegli, ch’anno attinenza alcuna al fuo corpo , e in
quegli, che riferilconfi ^finalmente ad alcune quali- tà
accidentali del tutto, e ftiperficiali, come . per elèmplo fi fon quelle
, di ricco, di po- vero, di nobile ,.di plebejo, ed altre sì fat-
te in cui il Ilio fiato efierno confifie . Per tutto ciò efièndo pur egli
obbligato^ e te- nuto , come voi ben Oppiate, diriggere in sì fatto
modo le file azioni , e regolarle , che colpivano tututte ad un medefimo
le- gno , ed ottenghino un medefimo Ico- po ; cioè , tendino al
proprio vantaggio , ed utile, e alla propria perfezione; per
giugnere a ciò far di leggieri egli fa me- fiieri fi tratti al dinanzi a
tutto poter ac- quiftar un elàtta , e perfetta contezza di ciò, che
può mai giovar a se mede- fimo , o no in qualunque fiato , eh’ egli
fi guardi ; cofa che imponìbile efièndo da i .poter in guilà alcuna
ottenere Lenza una V. piena cognizione di se flefiò (H) , il
H % fon- In quejto grufa gli antichi Filofqfi Jì riduce quaji
che tutta la Filofofta ; e fecon- do fondamento , e la baie
di quefti doveri , o ulBzj che 1* uom deve in verfò se mede- fimo,
e il primole il più principale tra tutti egli è, fenza fallo, al meglio
,^che fia pofiibile , d’ imprender un sì fatto conofcin mento con
mettere ogni Audio , ed ogni cura in conofcer , e perfettamente
fàpere il fuo fpirito , il filo corpo , e lo flato , in cui mai
peravventura fi rinviene . E bene ! quali fono li modi , e le vie
da giugnervi ? ‘ M. Que- do S. Bernardo , ed altri Padri
della Chiefa anche la Morale Cattolica , ritingendola eglino
foltanto a due foli capi ; V un di cui ri - guarda la .piena contezza di
se medefmo , e V altro quella di Dio ; ad ogni modo noi pur
confejjìamo chejìa ciò cofa per uomo molto ma- lagevole , e difficile a
metterlo in pratica j e che quindi meffo in Greco Efìodo avejjè
canta- to , avvegnaché fol rifpetto al primo di quejti capi , in
verji cor ri fpon denti a quefìi : £fi nofee te ipfìrni non quidem
ampia diétio , Sed tanta res fòJus , quam novit jup-
piter; Ed infierì) non deve recar maraviglia ad al- cuno f e
un obbligo , o dover di tal fatta molti pochi fan quegli, chef veggano
che lo JodisfiriOy Quefte diftinguer.le poftìam noi inge-
nerali , e particolari ; le vie , e li modi della prima fpezie eglino fi
riducono a quefti duo ; 1* un di cui egli è d’ entrar in noi
medefirni , e con la maggior accura- • tezza , e diligenza del Mondo
confiderar la noftra propria perfona , e V altro di(a- minar bene
dell* iftefiò modo quella degli altri , con cui peravventura ufiamo
ri- flettendo a tutto attentamente , e bilan- ciando a fpiluzzio
non men la diverfità del- le lor getta , e la varietà delle lor azioni
, che li cambiamenti diverfi de’ lor volti , e il divario, del lor
tratto , e linguaggio, e di tutto altro , che può mai appartenerci
con trattar di comprender chiaramente Ié colè, e far della lor bontà ,
emalizigquer giudizio, che fi deve. Ma vaglia il vero di quefio
ultimo mezzo 1* nomo foto , ta- le quale lo ci figuriamo nello fiato
della Natura, non potea farne ufo alcuno; Per tutto ciò noi , eh’
abbiam or agio da po- ter valercene, come vogliamo , ne polim- mo ,
lènza follo , ritrarre una infinità di vantaggi . E quali fon quefti
? ]M. Egli batta, che generalmente voi lap- piate , che in
cotal guitti da noi con una agevolezza grande , e fuor di mifora
H 3 giugner fi polla a conolcere quanto mai vi ila di bene, e di
male in noi ftefii, e le virtù tutte di cui abbiam fommo bifògno
fornir- cgChe fi venghi a rifvegliare in noi, e defta- re
l’emulazione al bene , e rettamente ope, rareiChe 3 dilcernere fi vaglia
aliai palelè- mente, e in aperto la lèmma bruttezza, e la laidezza
de’ vizj ,* Che venghiamo am- maefìrati, lènza nofira pena , ed alle
altrui -a Ipelè , imperocché giufta Menandro : ’2>hé7T(t
T17T disivi/,' Ut chè un intelletto tanto più fi deve per
perfetto, e finato reputare quanto più è 9 1 novero delle cofe , che da
lui fi com- prendono , e quanto più chiare , dilìinte , ed adequate
fon 1* idee , eh* egli ha di tali colè . Il perchè fi deve quantunque più
fi può, e fi sa riempierlo d’ ogni cognizio- ne , e trattar che
quella Ila in noi efire- mamente chiara , e diUinta ; comechè ef-
fendo rilìretti di foverchio , e di natura limitati , ed imponibile
imperò riunen- doci aver di tutte colè contezza appieno , Io
Audio di quelle meriti lèmpre avere il primo luogo , ed è ragionevole , e
giudo , che fi preferilchi a qualun’ altro , di cui abbiamo nel
corlò del noftro vivere un bi- sógno , ed una necefiità maggiore ,
non che vagliono di lunghiffimo tratto per lo dilcernimento del
bene, e del male; imperocché obbligati effóndo noi , e tenuti
vietare e sfuggir l’ ignoranza , e la grof- fezza, dobbiamo (òpra tutto
quella i (chi fa- re , che rifguarda quefio particolare ; non
eflendovi ragione da poterci in ciò nò con Dio , nè col Mondo difpolpare
; quel1’ ignoranza (òlo , e groflèzza nell’ uomo efièndo di (cufa degna ,
e meritevole , che non è miga in fùa polla di poterla Ican- zare .
Quindi uom vede , che il vantag- gio, che fi abbia, da chi che
s’invigila su quefio dovere fia di tanto sì gran mo- mento , che la
di lui olìervanza giamai fi potrebbe ad alcuno a luttìcienza accom-
mandare , non potendoli in niun modo di- Icerner lènza ciò ediftinguer il
buono dal malo , colà che veramente , dove anche non vi fuflè altra
ragione , per cui ciò fi richiederebbe da noi , dovrebbe ballare
per portarci a fornir il noftro intelletto , e riempierlo di tutte quelle
virtù , che gli competono , e che come proprie Tue dir fi fògliono
intellettuali . Quali fono quelle virtù ? M. Quegli abiti di
cui 1* intelletto è atto e Capace di far acquifio , e gli giovano
dire- ttamente fenza dubbio per giugnere al conolcimento del vero ,
e làperlo dillin- guere da ciò , che punto non Ila tale . Dinumeratemi
didimamente cotali abiti. M. Grande , ed incomparabile
attenzio- ne alle colè , acutezza , profondità , intelligenza , Icienza ,
laidezza , invenzio- ne , ingegno , lapienza , prudenza , e arte.
Z>. Che cftfa intendete per attenzione ? M \ Quella
facoltà o potenza della noftra anima , mediante cui far polliamo , che
alcune idee , o alcune parti di effe fiano in noi vie più chiare , e
diffinte dell’altre . Per efemplo ; fe io miro un uomo egli è - in
mia libertà , ed in propria balia trattar eh’ abbia un idea molto più
chiàra , e, diftinta del fùo vifò , o degli luoi occhi , che dell’altre
parti del fuo corpo ; e fimilmen- te fe per avventura molti oggetti a
difeo- prir fi giungono, ovver più perlòne fi odo- no che
favellano, egli regalmente poffò oflervar più gl* uni , che gli altri di
que- gli , o udir di quelli , chi più m’ aggra- da, e piace udire ;
/ebbene non fi pofià da uom altrimente a quello giugnere, fe nor*
con 1* efèrcizio , c con 1* ufo. Qual cola voi chiamate acutezza d’
intel- letto ?' Quella polfibiltà , o potenza ch’ egli può
acquiltare di poter diltinguere nello fteflò mentre più colè in un
medefimo oggetto ; poicchè non potendoli miga metter in dub- . bio,
o temere, ch’ella con lungo efèrci- zio non polla ridurli in noi, e
travolgerli . in abito, deve lenza fallo metterli alno* vero delle
virtù intellettuali ; come che per quelche mi làppia niun fi rinvenghi
, che fatto 1* abbia al dinanzi del WolfRo . Ma qual diligenza deve
mai ufarfi per acquetarla ? M Primo egli proccurar fi deve a
tutto co- ito .fin dalla puerizia, per così dire, di - non avere lè
non idee affai ben nette , e a difiinte delle colè , e mettendo ogni
Itudio in attentamente ponderarle, làperle sì fat- tamente
comparare, che comprender fi polfa la conneflìone , e la dependenza ,
di efiè . In apprefio lo Audio della Geome- tria, e quello dell*
Aritmetica vie più di qualunque altra cola del Mondo può per verità
agevolarci in quello , ed elìerci d’un eftremo giovamento; Vero è però
quel che Ipezialmente fi deve su quello parti- colare commendare ,
e lodar oltre milura a 9 egli fia, il far acquifto d’
idee chiare , e dii . ~ *' firnfinte del bene e del male ;
imperocché ciò eflendo per 1* uomo una delle più ne- cèdane
cognizioni , e delle più utili, e im- portanti , giuda , che non una
fiata fi è detto, può fèrvirgli altresì a formar un buon giudizio delle
proprie azioni ,. e con- fequentemente valergli non meno per la
quiete, e per la tranquillità della fùa co- fcienza, che di quella degli
altri ; non ef- fèndovi altra cofà inquedavita, che va* glia
maggiormente un uomo a rendere graziato , e infelice delle riprenfioni ,
e rimprocci che lui medefimo fa a lui fìefib . . Quindi molto a
nofiro propofito fcrifle Seneca , che : Prima , & maxima
peccantium ejì peena peccojje , nec ulìum fcelin , licet illud fortuna
exornet , mu- neribtn fuis , licet tueatur , ac 'yindicet ,
impunilum ejt , quoniam fcelerii in fede- re fupplicium ejì .
£>. Difpiegatemi il vocabolo intelligenza 7 JW. Quefta ,
che giuda 1* oppinion commune de’Filofòfi, e la prima delle virtù
intel- lettuali , la fi rienvien definita per un abi* to confidente
del tutto in conofcere , affai bene , è didinguer le cole per via de*
lor principi, e col darei agio da poter fin all’in- terno di effe
penetrare , difvelarne , e ifeo- ] piHrne altresì il modo con cui
1* une per V altre vengano comprefè . Ad ogni modo le definizioni ,
e K giudizi intuitivi elfèn- do il fondamento , e la baie delle
noftre cognizioni , colui fòltanto merita veramen- te da riputarli
fornito di una tal facoltà , che giunto fi vede già a tal legno che
fap- pia tutto ciò molto ben fare , e con pron- tezza,* Il perchè
perriufcir in quello egli è necefiario , che s’ acquifti al dinanzi T acutezza
d’intelletto; perchè le definizio- ni altro non eflendo in, effètto , che
nozio- ni difiinte complete , per ben formarle ab- bifogna che fi
difiingua nelle cofè, e fi veg- ga quanto di diverfò , e di vario vi fia
( I ) . V. Che colà è fcienza ? ' M* Un abito da fàper ben
dimofirare , e provare quanto mai da noi fi afferma , o fi nie- Quindi
egli Ji mira , che F idee , chiare delle cofe agguardarf debbano
come tanti princip] di quejta facoltà ; poiché fonere- te quefìe
fbben confufe alquanto , e inordi- nate y potendo effer /efficienti , e
bafevoli a difinguer una cofa da un ’ altra , e denominarla nel modo ,
che conviene , e col proprio vocabolo jonver tir f veggono in noi in idee
di- finte , edefèrci di gran giovamento agli giu- di/ intuitivi ,
che di quelle formiamo . ga ; onde di niun altro! alferir fi può meri-
- tevofmente , che abbi la le ienza di qual- che cofa , lè non.di colui ,
eh* in molli aria sa , e può far ufo di pruove , e di fillogifl mi,
od argomenti concatenati , ? ed uniti infieme gli uni con gli altri in
guilà , che venghino tutti a terminare , ed iftiorfi in fempli ci
prem effe non fondate , che inde-, finizioni , ed in efperienze certe
totalmen- te , cd evidenti , od in afliomi , e propo- rzioni
identiche . Quindi ne viene : I. Che per l’acquifio di cotal facoltà fia
mefìieri al dinanzi fornirli d* intelligenza per ottener la notizia delle
definizioni , e degli altri principi d’ aliai manifefii , ed indu-
bitati , che lòno il fondamento , e la baie delle dimollrazioni . Ch’
ella fia ne- cefiària , ed appartenente a tutti lènza ri- lèrva ,
od eccezzion di perfona , rinvenen- dofiogni un in obbligo, ed in dovere
di aver un diftinto, e perfètto conolcimento del bene , e del male
* che non fi può in altro diverlò modo da quello conièqui re. III.C
he polla di lunghillimo Ipazio giovarci per f appagamento interno
di noi medefimi , e per la quiete della cofcienza ; imperoc- ché
l’uom privo peravventura totalmente, e sfornito di feienza, per non poter
in guilà alcuna quel eh’ afferma , 0 niega dimolìrare, andando al
didietro delle maffimeì, e degli lèntimenti altrui , , il più delle
fiate è in illato di poter travedere , od errare; è perchè nulla opera (è
non còti > una cofcienza molto dubbia , ed erronea , quella che nelle
lue azioni rampognalo di neghitto/o , ed imprudente , vai per po- '
co in tutto ilcorfò delibo vivere, come V efperienz.a lo c* infegna,a
renderlo difgra- ziato , e infelice ; IV. Che finalmente quella
facoltà per elìer un abito egli fi ac- quifii v alla guila di tutti gli altri
, median- te feièrcizio; febbene , vaglia il vero, quello agevolar
fi polla oltremodo , e facilitare con la lettura de’ libri Icritti con un
e buono , ed ottimo metodo dimofirativo ; .trattando di Iciorre tutte le
dimofirazioni in (empiici fillogifmi per conolcerne la di- pendenza
, ed appieno la lor unione , ed il lor concatenamento comprenderne ,
non che per attentamente (guardare , e badar lòttilmente alla
conformità, ed adórni- glianza che v’ abbia infra cotali dimolìra-
\ zioni , e il metodo, od ordine, che dir vogliamo , il quale naturalmente
dalla no- ftra mente, fi vede lèguito nel peniate ; fèn- .za , che
può efsercj altresì in ciò giovevo- le , e di gran frutto il proccurare
di ren- derci per quanto fia pofiìbile , famigliari , * * e pronti
li precetti di una Loica , quanto t meno fi può , didìmili , e diverfi
dalla Naturale A Ma fe pur egli è così , come voi dite , che
la fcienza fi fofiè un abito, come fi può ella tra le virtù dell*
intelletto , di cui ab- bifogna , eh’ uom venghi decorato anno-
verare ? credete voi forfè, che fi polfa dagli Uomini idioti > e
groflòlani , così come dagli altri altresì molto di Ieggier confe-
guire? M I» fatti quello abito agguasdar fi luole
comunalmente come proprio de* Matematici , e della gente da lettere , e di fpiritoj
ma pur un tal fornimento è lènza fallo d ? afiai lungi dal verone
falfifiìmo^ imperocché , lalciando noi dare di quanto gran ufo egli
fia nella Morale, e quanto . neceflàrio in quella , e quanta
importante da più dotti tra Filofoli venghi reputato ; (k ) la
Icienza, di cui, come voi ben làpete, tutti debbano cercarne un intera
contezza , e ftudiar per quanto; vaglionod* iltruirfone; non deve a
niuno recar maraviglia , o am- mirazione alcuna , giuda , che lo c’
info- gna la fperienza , fo fia mai fin da Uomi- ni , per altro
volgari , e groflì acquiftato; imperocché il metodo di ben
dimodrare | ' ^on- t Hy V- Corife. Pufendorf. Locb.
Vytlf. èc? convenendo del tutto , e uniformandoli col penfar noftro
naturale;può di vero avveni- nire , che da quelli in ciò fi veggano
avan- zar di gran lunga,’ e lùperare gli eruditi medefimj ;
avvegnaché dicendo io, che di quello abito fornir fi debba ad ogni
co- llo , ed adornar ciafcuno , intenda ciò fol- tanto ’ per quel
che rilguarda la cognizione del bene , e del male ; e non già delle
Icienze indifiintamente ; come colà , che è fenza dubbio , difficile , e
per poco im- ponìbile da ottenerli per uomo; lènza, che come in
tutte le virtù fi concepì (cono da noi alcuni gradi , alli quali non vien
per- meilo a tutti ugualmente, e dejlo Hello modo il poter giugnere
; così d’ ordina* rio parimente fi ofierva , eh* avvenghi ed accada
nelle Icienze; comechè fi deb- ba pur con feda re , che vi fiano ;
reali mente alcuni obblighi, fiano ufficj, o doveri umani dalla cui
obbligagione molti» non avendo dalla natura que’ pregi , o quella
doti, ottenuto , che gli altri ottennero, e che per ben fòdi§farli fi
richieggono , te-; * nerlè ne debbano totalmente immuni, q
lontani, non oliarne, che generalmente par« landò e’ lèmbrano tutti
obbligar, lènza ec-» cezzione alcuna V V., Spiegatemi qual
cofa dite voi folidIStà, o laidezza dell’ intelletto . /V/. Un
abito da discorrere , e ragionar con diflinzione delle cotte , ed jn mòdo
che fi vegga per ogni vertto , e fi disopra jl con- catenamento, e
r unione, che v’ abbia ne npttri dittcorfi , o ragionamenti,- quin-
di e che per quefio fi venghi un certo grado di virtù a cofiituire alto ,
ttubli- me, eccel/ò o perfetto vieppiù di quello, , f P er 3
^ ,enza non fi cottjtuifce come- chevi fi giungaperpoco alla fletta
guitta, e per la medefima ftrada j colui folo aver dovendoli
veramente per più adorno, e maggiormente fornito di un tal abito ,
che apprettar fi vegga nelle pruove delle tee premette a gli primi
principi , e alle pri- / me nozioni fi avvicini • il perchè
vero e pur troppo , che non picciol contrai' legno egli fia, anzi
una gran moflra di lolidità , o laidezza d’intelletto d’ un’uom .° ’ c
" e P ro ppfizioni ammette dagli al- tri lenza pruove e’ vaglia a
confermare , e mediante li primi principi moflrare ; o fé checché
altri con efperimenti, edocula- , . tamente afferma , e’ con ragioni,
dimóflra c per via de primi principi , febben fi deba di maggior pregio
lèmpre reputar co- lui, ed efiremamente lodare, ch’abbia
fonquiflato un abito di ben accoppiar , ed J 3 unir tra se
molte verità , awegnàcchè diverfè, e diffìmili , o di poterle da’
prìn-. cipj molto lontani, e remoti con un non interrotto fri di
raziocini, o fillogifmi , dedurre ; efiendo pur queflo , veramente
un grado di perfezione del nofìro intellet- to s in cui affai di rado uom
giugne, cola che forfè fi fu il motivo per cui nè per Arifiotele , nè per
coloro, che gli andarono dietro, o al dinanzi del "W’olfio ne
fcrifièro, confuto avendolo con la fcienza non ne fè- tono verun
motto, ne’l diflinfèro da quella, Z>. Qual cola chiamate voi
invenzione . 'Un arte , o abito , eh’ e’ fia da poter in-
ferir dalle verità di già divvolgate , epale-i fi dell* altre punto non
note, nè conofciute , t>. Ma quali vantaggi fi pofiòn ritrar mai
da . queflo ? JM. Queflo abito non fèto all’ intelletto aggiugne
perfezion maggiore degli altri , di cui fin ad ora abbiam noi
favellato, tn’ altresì può lènza dubbio nella vita e£ lèrci di un
gran ufò ,* fòvente volte avenen- do fpezialmente nelli maneggi della
Re- pubblica , che facci mefliere nello fleflo mentre non meno
formar buon giudizio delle colè , che rinvenir li mezzi più co*
modi, ed opportuni per aflèguirle , e man- darle ad effetto $ oltreché
tutte le fcierfzq le più utili , e profittevoli , o
vantaggiolè del Mondo, che fi trattano comunalmen- te, e s’
infognano , non eflendo che un fàggio, o rifiretto, che dir vogliamo
di quello, per quel che mottrò un valente uomo, egli fi può di fermo
aderire , di colui , eh 5 abbia peravventura cotal per. fèzione
acquittato, che contenga in se con quefta ìnfieme , ed unitamente le
migliori feienze , o facoltà , eh’ abbiamo , o che . di leggieri lènza
foccorfo e fenza ajuto . d altri e' polla volendo conleguirie;
come- chè di quell’ abito , vaglia il vero , affermar noi polliamo
ilmedefimo, che tettò fi ditte pur favellando della fèienza ,
cioè,’ che. febbene tutti , generalmente parlan- do , fiano in
obbligo, ed ih dovere di farne l’acquifio , fi debban lèmpre tenerne
dèn- ti ed eccettuar coloro , che norv ebbero dalla natura forze
baftevoli * e fiifHcienti da farlo , X), Bene; ma avendo noi
due dì ver lì modi * e vie da poter rinvenire, e difeoprir il vero
, non fi potrebbe forfè quelVabito per quello motivo divìdere ih due
differenti fpecie , l’una di cui non confitta, che in , far
degli buoni dperìmenti > e delle buo- I 3 ne' T* Scbirnb4t^Jen%
^£ in cui fi trattano d’ in- venzioni , e di novelli trovati , li quali
al- manco fi devono tratèorrere .Colà intèndete Voi per fàpienza ?
Un abito confidente del tuttò'in benac- conciamente prefcrivere ,
ed afiegnar .alle fìie azioni del li giudi,, e convenevoli fini,
non che in far una buona, ed un ottima fcelta dell! mezzi , che vi lì
richieggono per mandarle addetto , ed efèguirle, con coftituire li
fini particolari , e fubordi- narli in tal fatta guifà gli uni dagli
altri vicendevolmente dipendenti , che median- te li più profiìmi ,
e vicini giugner fi vaglia all! più remoti , e lontani j II perchè
efièndo.ella di un utile cotanto grande, ed impareggiabile per la
direzione , e per lo regolamento delle noftre azioni , giuda le
leggi della natura, che al dir di Leibnizio (w) è la vera fcienza della
felicità Umana , non fi può per niun verfò recar in quedio- ne, che
tutti non debbano proccurarne il filo acquifto * Ma bilògna però
ofièrvare , come altresì quindi mani fefia mente s’im- prende,
efier dimedteri; I. Che non fò- lo il fine dell* azione d’ un uom faggio
fia giudo, e buono, ma eh* altresì li mezzi fiano tali. Il.Che
quedo fine fia tèmpre mar fiibordinato , e codituito dipendente dal
principale , eh’ è la propria perfezzione . E III» m )
V. La futi prefazione al codice diplomatico del Dr^to delle Genti. Che
li mezzi, li quali colà condur ci debbano e portare ; vi ci conduchino ,
e portino per la piùbrieve * e corta ftrada del Mondo. Ma come
pòfliam far noi quello acquifio ? M» Conviene per giugnervi
provederci di molte , moltiflìme colè $ poicchè primie- ramente noi
fornir ci dobbiamo di fcienza, non potendoli in altro modo format
buon giudizio delle azioni noftre particolari , e ' ' della
vicendevole fobordinazione ^ e di- * pendenza de* fini infra di loro * e
delti mezzi , che vi ci conducono ; In fecondo luogo fi richiede*
che fi abbia un* erètta contezza* e Un intero conofcimento non meno
della malizia.* e della bontà dell* umane azioni , che del li negozj li
più ne- cefiarj, e ùtili, od importanti alla vita ; con trattar di
aver un’abito darèperben provar tali colè * imperocché quel che
peravventura otteniamo dalla Matemati- ca , o dalle altre fetenze egli è
d* un afiai picciol ufo , e prefiò poco di niun momen- - to pel
corfo del noftro vivere tutta volta , • che fiam totalmente
sforniti, e poveri di quelle materie imcui poggiar fi dovrebbe- ro *
e fermare li nofiri aifcorfi ; In terzo luogo v* ha mefiiéri , che fi fii
profittato nell’invenzionejcome Che giovi fòprà tutto,
che fi fàppj quelche in quella materia può • mai riguardare al
buono , e fàvio modo da vivere . In ultimo abbilognà perciò aver
anche dell’ ingegno e dell* acume per giti- gner sì fattamente ad
ifpecular 1* altrui azioni, e meditarle, die fi comprenda il fi- ne
, che fi ebbe in eflè , e li mezzi , che per .mandarle ad effettto fi
prelèro, non che gl* impedimenti , che intanto vi fi framefchìa*
rono , anzi tutto ciò , che vi fi operò mai di foverchio , e lènza che la
bifogna 1* avelie richiedo ; comechè , vaglia il vero , non fi
pofià giammai formar un buon giudizio della Capienza d’ alcuno dal lolo
evenimen- to delle colè; poiché. lòvente avviene, che per gl*
impedimenti , e per gl* intoppi * che non lèmpre fi poflòno al dinanzi
molto ben antivedere , nò pronofìicare , avve- gnaché fi fia
operato con ogni maturezza , non abbiano avuto quel buon /uccello che fi
affettava . D. Qual colà intendete voi per prudenza ? 2\d,
Quell’abito, o fia difpofizione , del nostro intelletto , per cui fi mette in
opera » e fi elègtiifce quanto al dinanzi da fenno , e faviamente
fi fu fiabilito. Vaglia il vero, lènza quello, la lapienza è di un molto
poco ulò per i’ uomo , e quali che di ni un pregio . E quello
è il motivo per cui da lui fi de-* ve a tutto cofio trattarne 1* acquifio
. D. Ma perchè in noi la prudenza , e diverfà, e differente
dalla fàviezza . M» Egli è ciò un effetto della limitaziorìe
del noftro intelletto; Quindi, fenza fallo avvie- ne, che
deliberando noi delli mezzi, che ci / conducono ad un fine , fòltanto
badiamo a ciò, che rifguarda per all 1 . ora 1’affare, talché per
la gran moltitudine , e per la gran varietà de’ contingenti * che del continuo
avvengono , abbattendoci per avvefh tura ad alcune cofe, e ad alcune
partico- lari circoftanze , cui non così di leggieri fi potea al
dinanzi da noi guardare, e quelle rendendoci fòmmamente perpleflì , e
dub- biofì , fe mai sforniti totalmente fiam di prudenza, non
lappiamo a qual partito ren- derci ; Il perchè la umana pfuderza in
altro non confitte, che in fàper da se di- lungare , ed allontanar gl*
impedimenti x e gl’ intoppi tutti , che fi offerifcono al di- nanzi
delle noftre imprefè , e ne fiurbano l’effetto (K) J e per quella ragion
da’ > Pee- Quindi è; che r’ if copra fidente Una cofa bene
, e vìujlafrentefatta , ma non riga con prudenza $ e che in Dio non
oblia mun *• Poeti , i quali per inoltrarci
, eh’ ella de- rivi in noi dalla mente, eh’ è quali che divina ,
mediante cui confiderando , e badando a tutto, abbiam gli occhi rivolti
per' tutto favoleggiarono eh’ ella nata!] ìbflè dal capo di Giove,
ch’eglino chiamarono Minerva , (1 ebbe per (ignora , e donna della
fortuna , e come la lòia , che contrariar poteflè , ed opporli a’ fuoi
disé- gni ; e di Bione dir li lùole , che avea in eofìume di
lòyente ridire , che quella in tanto maggior preggio era d’ averfì , e
flit marfi (òpra tutte l’ altre virtù , quanto più cari devono
tenerli gli occhi , e re- /putarfi più degli altri lenii , comecché
tra’ Greci furono pur di quelli , che la confu- sero del tutto con
la Sapienza ; ed imperò Afranio dèlcjivendola con luoi ver fi non
ebbe dubbio di metterle in bocca . La memoria mi t fe % ma
generata > DalP ufo ; i Greci vegli on , che fofia , Afa fapie n
za noi , eh' io Jìa chiamata » V. Ma perchè quefia virtù la sì crede pro-
pria degli attempati , e de’ vecchi ? M Per n*. rfon le
proprie parole di cottili ) (q)^ ÒSI iroKo yvfivu^iStax , ÒSI tto\Ù
ÌSj'ihv , J Si to\Ò irivay , CSi tto\ù iffira.TÒiv-p'x&jav-, mùcu.
f/sy zm Tjmpyp 'iroix.'riw , . Dinegatemi tutto qliefio più
chiara- mente con gli efempli. . Af. Volete voi Spegnere in
un uomo una gran gioja , o allegrezza? Quefto affetto provenendo in
noi dall* oppinione d* un ben pre lènte ; bafta pur per aver il
voftro intendimento ; che a coftui gli facciate comprendere , che
quello , eh’ egli crede bene nell’ oggetto , che cotanto lo fcuote
, non fia in effetto tale , ovver c’ abbia foltan- t * 1 ,
** X if4 tanto un ben lùperficiale , ed apparente , e
quell* idea , eh* e’ crede convenirgli aliai poco , o nulla gli convenga
. AI rincontro volete torlo da qualche trittezza , o dolo- re ?
batta che pur voi vi portiate diverlà- mente ; poiché ciò provenendo
dall’ oppi- nione di un mal prelènte , altro non è me- ftieri che
fi facci , che dargli a conoscere , quello , eh’ egli crede malo non Io
fia , ovvero’ abbia fol 1* apparenza , e non le ne debba miga far
quell’ idea , eh’ e’ ne forma . Allo tteflò modo 1’ amor verlò gli
altri nafeendo in un uomo dal dilcoprirvi egli in quegli peravventura , e
rinvenirvi qualche colà di lùo gufto , e piacimento, per
convincerlo ed ammorzar in lui que- ito affetto non gli fi deve provar
altro, che quello da cui e’ riabbia quel piacere, e diletto, non fi
rinvenghi nell’ oggetto amato ; ower eh’ egli Ila tale , che dopo
quello picciol piacere e diletto apporti . del tedio , e del
rincrelcimento in eftremo; comeche potendo fovente avvenire, che
non fi conolchi punto l? ragione del filo amore , in quello calò per
togliernelo al di fiiora fi potrebbe altresì trattar di dettar in
lui dell’ odio , non già verlò la perfono, ower l’oggetto amato , ma si
bene in ver- fo le laidezze , o li vizj di quella . L’odio
ali* . lsf all* incontro verfò qualche oggetto
deri- vando in noi totalmente dall* increlcenza, è dalla moleftia ,
che n’abbiamo, braman- do vói torlo d’ akuno, non conviene , che
adoperarvi di renderlo perfùafò e convin- to , che ciò che quefto produce
non ila realmente nella perfòna odiata , e fpiace- vole , ower eh’
e’ fia in fè ingiufto , e irra- gionevole ; (ebbene per efler quefto un
af- fetto, vaglia il vero, di natura pravo, e cattivo; e imperò
potendo fèrvir di grande incitamento a molte azioni prave pari-
mente , e cattive, fi pofla di vantaggio far- gli badare a tutto quello ,
che fi abbia per virtuofò , e buona in altri, ed in effètto non lo
fia , o che fi reputa malo , e non fia tale ; Or quefto fteffò modo e
quefto me- defimo metodo dobbiate tenere,* e ofier- Vare rifguardo
tutti gli altri affetti ; per- che fèdi tutti favellar ne doveffì
partita- ménte, non ne verrei giammai a capo , e diverrei forfè a
voi fteffò non che a me nojolo , e rincrefcevole ; tutta volta non
deve lafciarfi in filenzio, che fè pur av- venghi, come può di leggieri
avvenire; uno per confùetudine , o per coftume, ov- ver per natura
fi vegga più verfò un affèt- to , che verfò un’ altro pieghevole ,
dove fi voglia quefto ritrarre alle noftre voglie fia
Digitized by Google ir re DE‘ principi fia
meftieri deftar in lui anzi quell’ affetto in cui fi fcopre proclive ,
che un’ altro molto diverto , e vario da quello ; Verbi- grazia
infingali pur , che Titio fia molto timido, e vile, e che ci venghi a
grado di ritrarlo dal male , ovver ad un’ azione buona, e virtuofà
ifiimularlo,* egli non v' ha fenza dubbio , altro miglior mezzo per
riulcirvi , che fporgli al dinanzi tutti quei mali , e quei perigli in cui
peravven- tura potrebbe egli incorrere operando a filo capriccio ,
e contro il noftro confèglio; anzi come colà degna di fomma
ofiervag- gione è altresì da notarfi, degli affetti gene- ralmente
parlando, ch’eglino tra li lor giu- di, e lecitimi termini riftretti
fiano per noi d’ un utile impareggiabile e raro in modo, che fè pur
non f'ofTè così difficultofo , co- me egli è , di sfornircene nel Mondo,
ver- rebbemo con efiì a perdere parimente un infinità di agi e di
co m modi , che n’ab- biamo . Annoveratemi le virtù proprie della
vo- lontà. Quelle fono: Temperanza , cifra di fè medefimo,
ovver della propria perfona, cafiità , liberalità , modefiia,
diligenza, pazienza , fortezza , amor inverto gli al- tri ,
manfuetudine , amicizia , verità , e gùiftizia. Co-
.1, ir? Cominciando dalla temperanza , ditemi che colà
fia ? Ella fi è un abito , o per meglio dir una virtù morale , che
confìtte in ben determi- nar il noflro appetito rifguardo al man-
giare , e al bere giuda le leggi della natu- ra ; imperocché dovendo noi
ne’ cibi , e nelle bevande, così come nell* altre cole aver la mira
tèmpre all* utile , e alla notìra falute, ed imperò vedendoci tenuti
badar romeno alla lor qualità, che alla quantità, l’ obbligo , il
dovere, 1* uificio d* un’uomo temperante rifpetto a quefì’ ultimo, egli
è di non appeterne tè non quanto quello fine domanda ; vai a dire,
tèi quella quantità , che per la falute , e per la contèrvazione di
fe medefimo la fi richiede ,* e riguardo al primo , cioè , alla qualità ,
egli è me- (fieri , che fi porti da medico con lui defi- lò , e
ponga mente per lo continuo a tutto ciò che li può mai giovare , o
nuocere ; quel cibo tèltanto generalmente parlando, tener dovendoli
per molto buono , e làno, che fi lente di leggier ilmaldito nel noflro
ventricolo , e che vaglia a promuovere il trapelamento delle parti ;
imperocché non abbiamo sù ciò delle regole filtè , e flabili ad
oflervare, ne poflìam troppo trattener- ci , e di tèverchio a contègli
de* Medici, non men per non eiTèr tutte le colè co- munalmente a tutti
utili , e profittevoli , che per la poca evidenza , e certezza di
quelli precetti , eh’ eglino n’ imprendono dalli libri della lor arte ,
come sforniti to- talmente^ privi di quelle ofièrvaggioni da cui fi
ritolfero . Non credete voi $ che polla egli llabilirli .qual
quantità di cibi fi richiegga per un uom temperato , e ben ordinato? No
,* poicchè per la diverfità del corpo fè nc richiede in uno più che in
un* altro , come che per alcuni legni fi polTa lènza dubbio
daciafcun conofcer , e compren- dere quando giufla ella fi fòlfe per lui
, e convenevole, e quando fi abbia ufcitodi cotali termini, Ditemi
quali lon quelli incominciando da quelli della lòbrietà . Li principali
di quella fono la legge- rezza, e l’agilità delle membra dopo il
no- (Iro pranzo , o la cena , ed il dormir con tranquillità , e
lènza, alcun interrompU mento . E quali dimortrano il troppo
riempìmento? Gli opporti a quelli , cioè, la lafle2za delle membra dopo
tavola , e la gravezza, o fiacchezza del capo , per là mutua , ed
ilcam* ; jf 9 itèambievole corri fpondenza, che v’ è tra
quello , e T noflro ventricolo ,* (ebbene il ioverchio cibo ha tèmpre di
meno fàrtidio per verità , e pregiudizio per la teda di quel che lo
fono gli eccelli del bere . Z>. Ma come mai per uom fi conotèe
(è il mal provenghi dalla qualità , ovver dalla quan- tità de* cibi
? In più modi ; porto però che fiam ben (à- ni , p liberi di
quelle pafiìoni , che fòvente fi veggono difordinarci, ed efièr di un
grart impedimento alle funzioni , o azioni noflrc animali ;
imperocché per ciò (àpere , non tèlo paragonar noi polliamo , e far
com- paragione.della quantità de’ cibi dell’ulti- ma cena con
quella dell’ antecedente , e dello flato del noftro corpo in altri
tempi, in cui peravventura ci rimembriamo aver fatto utè> delli
medefimi con il pretènte, m’ altresì dall’ incommodità , che (èntir fi
fo- gliono tanto in tempo della digeftione , eo- me i rutti , gli
ardori interni del ventri- colo , i dolori di tetta , ed altre di tal
fat- ta , quanto dopo , e (pezialmente nell’òre mattutine, come le
languidezze, o Iaflazio- ni, che dir vogliamo delle membra, dsendo
tutte , e tali colè, ed altre fimill tègni cer- ti ed evidenti della mala
qualità de’ cibi ; fcnza nulla dir delle feerie, e dell’ orine, -
che ito che fògliono non che di una buona digeflio-
ne , di ciò parimente renderci ficuri, D. Sup» Ecco qui un
faggio .di quelle regole portate per regolamento della propria fallite
, in quella parte della Medicina , che comunal- mente la lì
dinomina Igieine , o Dieta mag- gior chiarezza de ’ nojìri leggitori
ridotte olii feguenti capi , Dell' elezzione del P ària
• Un aria dolce , ed amena , e temperata la il erede la
miglior del Mondo , e la più falubre perdei vita ; comecché Ji loda pure
, e Jì abbia in qualche pregio quella de ’ luoghi campejìri , o
alti , e fventolatì in modo , che agevolmente if gravar Jì pojfa , e
fcaricarjì de’ fu oi effuvj ; V altre tutte differenti da quejlejtan
calde , o- fredde , fan umide , o fecche , ofan denfe di foverebio
f anno come molto nocive agli ammali e dannofe ; imperocché
primieramen- te il troppo calore dell'aria ifeiogliendo altre - sì
troppo il nofro f àngue , e con rilafciar li pori della nojìra pelle più
del convenevole fa- cen- D. Supporti quelli principi dunque 1
* intem- peranza che fi reputa comunalmente, e fi hà, come un vizio
contrario interamente ed opporto alla temperanza, non confìfte, eh’
in dirigere , e determinar l’appetito quanto alii cibi , ed alle bevande
in un mo- L ' do cendone ifeorger al di fuor a J,
udori eccejfivi non vai chea debilitarci oltre mifura;e al rin-
contro il fuo freddo eforbitante refringendo a maggior Jegno quejìi
bocherattoli , ofian pori 9 e con ciò fervendo a ojì acolo , e di
impedimento alla rejpir azione e ’ può si fattamente ifpejfir gli
vomori , e tonde n far li , eh' e' vengano a recarci addoffo infiniti
morbi^ciòè tutti quelli , di cui la fp effe zza fuol ejfer cagione ;
avve- gnaché F eccejfo del freddo veramente fa di molto minor
dannaggio per il nojiro corpo , che non è F eccejfo del calore . In oltre
la fio- ver chi a umidità rila fida , e fieude in eccejfo le fibre
del corpo , e con ifpigner gli umori a gran violenza , e forza inverfo le
parti effe- riori fa che di legjgri vi f accolghino , e fifa -
gnino , e con ciò venendo del tutto a cor rom* perfi , e viziare , fono F
origine in noi e la caufa dì varj , e diverfi affetti catarrali ; e
ffl rovefeio laficcifapiu del tfi&ert cpl dijfec* ‘ care
, do tutto al roverlcio di quel che fi richiede per la
noftra fàlute ; e poiché la volontà in noi vien tèmpre niofTà da qualche
motivo, 4 c per contèquente imperò deve eflervene alcuno per
cui uom brami un cibo , o una bevanda di qualità, o di quantità anzi
con- traria , che confacevole a lui medefimo; altro per (corta, o
guida non avendo colui, che • ! \ w
care , e rafcìugar incomparabilmente il cor* po facendogli perdere
V agilità , e la dejìezzQ delle parti lo rende inabile , per poco e
netto al moto ; (ebbene l' aria calda , e umida fa affai più
peggiore , e pregiudiziale alla fola- te di quefle , come quella , che
piu d' ogni altra vaglia a frodar negli animali degli fi ruc- cheVoli , e
cont 'aggicf vomori ; e finalmente dove abbia Joverchia ifpijjezza , e
denfìtà , e con quefia una fopr abbondanza d* ejfiuvj come quella
de* luoghi fotter radei , e fenza ufcita y ifpeJfendofiH umori ,e cond
enfiandoli li di [pone ad una infinità- dj rifiagn(fowtti,e di
differenti malori con effer ben foverite''altresì la cagione de Ili
Affogamenti degli animali ; quindi è, che le càfe>e l* abitazioni
nonfi figliono lungamen- te tener iibanvCe , è Quelle fatte di
ritenta v • * * • non ‘"" che dalle leggi
della natura lì diparte , che li proprj lenii ; egli deve crederli ,
giuda eh* io m’ avvilo , non per altro 1* intempe- rante ufi li cibi
, e le bevande in qualità , o in quantità più del convenevole , e
del giudo fé non per il gufto , e per il piacere, che vi
rincontra. M- Quello è ve ri (Timo ; e vaglia il vero per
muoverci ad evitar quello vizio , ed aver- lo in.abbominazione e in odio
, ballar dov- rebbe T aver a cuore la nodra vita , e la propria
falute , rendendoci certi appieno , e peiTuafi del nocumento , e
pregiudizio grande , che ne pofiìam mai ritogliere; im- L a .
pe- non fi abbitano fe pria non Jiano ben diffeccate ,
e riafeiufte , o per via de fuoghi , e de' f uff u- migj purgate, - . .
• m 2 . * % Pelli Cibi e delle bevande , Egli fi
hh quafi che per una regola genera* fe ffavellandfi de ’ Cibi fodi , e
non flùidi , che li migliori , e lo piu f ani Jian quelli , che fi
veggono meno fogge t ti a corromperji , e a futrefarjì ; e -che quanti
più f obietti vengano^ ' e Jem - ?..
i*4 perocché dall’ amore , e dall* affetto , eh* abbiamo alla
noftra confèrvazione non mi- ga disjunger potendoli e fèparare il gufto
il piacere, quanto è vie più quello e maggior di quello, che dalli
cibi, e dalle bevande rac- cogliefi, tanto più e, prevaler faprà in
noi, C dominare portandoci ad abbonir , come conviene , e renderci
alieni da ogni, e qua-, lunque fòrta d’ intemperanza , e ifregola-
tezza ; e comeche a ciò niuno giunger va- glia che pria non (àppia quello
cibo, o que- lla bevanda per la fca cattiva qualità , o troppe
quantità li rechi danno, aliai pochi non però fi veggono di quegli che
badano que- e femplicemente al gufto preparati ,
cotanto piu giovino . Quindi ne Jiegue ; 1. Che V erbe f ano
mi- gliori eftremamente pii* delle carni , comeche quelle che rin
ferrano in fe maggior copia , e abbondanza d' acqua deir altre , fi
tengono in minor pregio , e per meno falubri ^ li. Che delle carni
quelle che fon d' una tejfttura non guari ne dura , ne fr agile jorne
quelle di va. Del Moto, Oltre tabu O'sa elezzione dell* aria , e de*
cibi per la J alate , egli Jì richiede altresì un moto moderato della per
fona , e fatto a tem. fOy . 1 7 r Per la qual
cola infra gli uffizj , che l’ uom deve al fuo corpo , eflendo la
contervazion della propria vita , la fanità del corpo, il fàperli
ben guardare, e munire centra riti- giurie delle ltagioni , 1* integrità
delle membra * e ’1 trattar d’ acquiftar tutti gli abiti
Convenevoli al fuo (lato , e acquifta- tegli, efercitarli , e mette rliin
opera ; da 'chi che brama aver di fé quella cura che aver deve fà
meflieri,che ogni fio Audio, e tutto l’ intendimento rivolghi a cotali
co- * fe ; poiché in ordine alla (ita vita * uopo è , che fi
rifletta quanto mai reputar fi debba la (ua perdita con ragioni prete dal
fuo proprio flato , come a dire col por mente a Ipiluzzo a tutti li
beni , eh’ egli da quel- la po , cioè , non miga dopo pranzo
; eh è potreb- be ejfer dP un gran impedimento alla concozion de'
cibi , e in luoghi debiti , come fon per efem - pio gli aperti * 0 li
campejìri , che fono li mi- gliori . Vaglia il vero venghìamo da tutti
af- fé urati e ref certi , che come quejìo ufato in quella guifa ,
che voi abbiam detto , giovi a confervar in moto il fangue , e mantenerli
il calore , non che per . la robujìezza , per la ga- gliardi , e
per V agilità delle parti , e per al-. tri iere , e
alla fùa famiglia* e agli altri recare; niuno nafcendo per fe
me~defimo,ma foltanto per Dio, e per gli al- tronde è che ad uomo
competer non pof. fa giamai dritto alcuno , ne poteftà (òpra la propria
vita ; e per nitina ragione al Mondo debba affrettar la fua morte,
effen- do ciò lo (letfò che rubellarfi , e fòllevarfi contea Dio ,
giuda fi moftraron di fènti- mento li migliori infra gli antichi
Filofòfi; ( r) come che gli Stoici foli avellerò tutto diverfàmente
fentito , in guifà che i Ro- mani avendo la maggior parte da Giure-
confulti avuti da cotal fetta, non filo niuna pena iftabilirono contro
coloro, che volon- tari a- (r) Cic.inCit.è de Rep. I. Vi. p.
io?. Ateneo i. 4* p. itj. Caujabm.p. 1S4. PUt.in Pbadon. Piotivi.
\X.En~ nead. 1. Senec.ep . 70. p. tri si fatti commodi , ed
agì : potendo fedirci di vantaggio fpszialmente per un gran preferì
vativo e argomento a poterci da morbi Cro « nici liberare , non che dall’ippocondria
; e dall' etica f opra tutto con quello del cavalca - re : cosi al
rincontro la f 'ua mancanza , e la foverchia q f àe*e venendo il nofìro
corpo pref. fa poco ad ifnervare , ed qffiebolire lo renda
ina - tariamone trattato avefièro ufcir di vita , ma altresì
come Validi li tefiamenti ne fo- fiennero,e l’ultime volontà ( s ). Anzi
alcuni non foto infognarono, ma ne diedero fin nella propria
perfòna della lor dottrina l’efèmplo; come di Caronda, di Cleanto, di
Crifippo, di Zenone , di Empedocle , di Democrito, e di pochi altri
dicefi ( / ) ,• che nell 1 ultimi lecoli altresì ebber di quelli , che ne
prefè- ro le parti, e contra ogni ragion li fèguiro- no;ed il
medefimo fi può dire riguardo alla propria fàlute , efiendo ogn’un tenuto
por mente alli commodi , e agli agi , che da eflà fi poflòn mai avere , e
agli jncommcdi , e difàgi , che portan (èco i , mor- (
f ) i {Ip'utn. D, /. ^8. Paul. I. 39. ( c ) frodar. 1 . 1 a. p.Si
.Lattant . de /alfa fapientìa . /. 8.C.1S. ( u ) V.
Alla erudlt.nd ann.iyoi. menf Maj., inabile del tutto al travaglio
, e alla fatica , e con fargli vmori foverchìo grojfolani divenire , e
che le digejìioni az/venghino fuor di tempo , infermiccio , anche e mal
fano ; ma egli è uopo avvertirebbe dopo un moto violen- to , e
forzato non f debba tutto di rimbalzo come egli dicono, darjì alla quiete
, e al ripo- so, ma pajfo pajfo * acciò mediante V infenfì-
bile morbi , di cui, vaglia il vero, farebbe lènza
fallo , di gran nofro giovamento , che a quefto effetto fè ne
cercaffero,e fe ne ilifco- prillerò le caule . In ordine poi all*
integri- tà delle membra in tutto il corfo del no- fro vivere , e
in ogni moto , e fito del no- fro corpo, uopo è badare attentamente
alli danni , che comunalmente fi veggono alli incauti avvenire ; e
veggendofi per efpe- rienza , che li fènfi in noi per l’ eccefiìvo
, e fìrabocchevole ufo, che ne facciamo, ven- ; ghino la lor virtù
a perdere , ed a (minuir di forza , cioè, che P applicar gli occhi
per efemplo alle cofe minime , e piccioliflìme, o troppo difcofie ,
e lontane , o vicine , d’afc fa i fracchi la vifta , e la
difminuifca; J’-oreebile trapelamento delle parti agiatamente
fatto, fi dileguino le particelle faline e fulfu • ree del j angue
. * Pel fonno , e della vegghia. Ma
ninna cofa vogliono, che vagli vieppiù il nojiro corpo a fcemar di forze
e debilitarlo quanto il troppo Jìar defio , e la lunga vegghia. '
eh' . i?f * T orecchie a rumori troppo violenti , e grandi ,
ovvero a filoni foverchi vehementi efpofii perdano l’ udito ; e ’1
medefìmo egli lìa trattandoli degli altri /enfi ; non abbifogna
miga ufarvi negligenza , e tra£ curagine , In ultimo rifpetto all’ abito
, e al domicilio , di cui fiam in dovere forbirci per poterci
munire, e difendere dalle fia- gionijè mefiierj , che fi oflervi non meno
il decoro s e far che I* azioni libere fian Tempre mai in concerto
, che aver fa mira agli averi , allo fiato , ed alla propria
dignità , eperfonaj come che di- cendo io di. efièr in obbligo
provvederci d’ ab- K * "2 eh' impero
il fonno Ji abbia per la nojlra con- fermazione a reputar £ ima ejirema
necejfitày e bifogna ; come che fi richiegga ufato pur con
moderazione , e regola % y effendovi meramente alcuni , che ne fiano piu
degli altri bifogno - Jì, come quegli che fono in una continua me-
ditazione , cioè di un temperamento molto umidofopra tutto però Jì
avverta a far buona elezzione de' luoghi per dormire , ejjcndovi
al- cuni come i foverchi caldi per efetnplo , che fono meno
comendabili e f aiutati de' freddi, stemperati, V. Dal,
4’ abitazioni , e di vedimenti per liberar- ci , e (campar
dall’ ingiure delle ftaggioni, non intendo miga aderire non efièrvi
altro motivo per cui alPuom convenghi ciò fa- re ; imperocché in
ordine agli abiti, li no- ftri (enfi venendo modi (avente , e
rifve- gliati dagli oggetti , e per mezzo di effi ponendofi (pedo
in moto l’appetito, egli ogni ragion vorrebbe , che facedìmo nel
noftro corpo ufo di quegli per coprirne , • e nalconderne quelle
parti, di cui pur trop- po i( tacer è bello, altresì dove non vi
avek V, Della fup effluiti , e degli efcrementù
Molte fon le regole altresì che ci vengono preferite a queflo
riguardo ; ma noi non ne riferiremo , che le principali , le quali
ridar fpojfono a quejie , cioè . Che le f ape fluiti e gli
efcrement\ tutti generalmente parlando , lungamente rattenuti fano di un
gran difea* pito alla falute . . ... . . Che quelli che fono
fcarrichi di foverchio , q fciolti di ventre debbano di gran lunga evi
« tar il freddo del corpo , e fpezialmente quella àe'
, fe alcun timore degli incommocji de’ Tem- pi j è rifpetto alle
calè, e abitazioni , con- verrebbe parimente averle per cuftodir il
noflrO 1 , e per attener pio agiatamente àlle noflrebifoghe; e preparar
il necelfa- no al noflro foftemamento , non che le ftanche membra
rìftorar col tonno . Quindi uom vede quanto profittevole , e giove-
vole e’fia per ciafcuno trattar di 1 far un abito da poter riflettere, e
badar anche alle cote piccioliflìme , e di niun rilievo per non
la/ciar nulla a dietro nelle colè . grandi , e di maggior momento. '
‘ D. Che colà è diligenza? ‘; fri. E una virtù
confìflente in ben deter- minar la fatiga, e’1 travaglio, non che
tutti li noftri efercizj giufia ìe leggi della natura ; imperocché
efiendo colà pur cer- • M • >, tiiTì, . ' . ^ , - de piedi . Che lìfudorì
volontari gfovwo fuor di mi fura a quelli che fon cT un temperamene
to umorofo . Che la fa Uva ef'endo d* un gran u » e ffZ\ a . dwjjìove j e
per la def rezza , e l agiltta delle fbr e non Jì déhba Jempre cac-
ciar via ^ e rigettar al di fuor a ; ed in ulti- mo eh iUoifo Venghi
adoperato molto di ra- do ) e moderatamente , ejfendoyi alcuni
tempi come tilTìma che 1* uomo ingegnai* fi debba in
tutti modi di aver tutto ciò , che può mai abbifognargli nella vjta per
fodisfar , Com’ e* conviene al li lùoi obblighi , o ulfitj, non
puòdalènno dubbitarli , che non debba efTer afiiduo nella fatiga , e nel
travaglio, e non lalciar occafione alcuna àddietro eh* efier gli
polla di frutto , o di guadagno all* accrelcimento de’lùoi averi ,* ogni
volta eh* egli polla farlo a gloria , e loda dell’ Onnipotente , e
lènza 1* altrui danno , o difeapito ; potendo egli avvenire , come
il più .avviene d* ordinario , che per vec- chiezza , o per
indilpofizione , o per altra contrarietà della fortuna , in apprellò
non polla s ne abbia cotàl agio , e commodo ; co- Il-l I v ' ’ Vegli effetti 3 e delle paffonì.
' > ' ’ r ’ r • • I ^ ' Ter quel
che riguarda quejìo particolare fionji ha nìunacofa di rilievo dalla
medicina j onde tra per quejìo , e perche fe ne favella
/#- . cofa che fa cono (cere , e comprendere ì quanto
giutfo , e’ fia , e convenevole badar per 1* avvenire * e non confumare ,
di bot- . to 1’acquieto ; Li vantaggi , che mai lì ritraggono dall’
elèrcizio Coverebbero ba- care a non renderci neghittofi, e pigri,
m’ amanti , e vaghi dell’ abito , o Ila virtù di cui di prefente
favelliamo ,• come che il noftro travaglio , e la noftra fatiga
deve regolarfi lèmpre in modo , che nulla mai M a di
" ! .. 1 !» 1 . ! .. '
* » x sufficientemente /opra, non /limiamo ne ce far io
difenderci di vantaggio. Velie regole proprie per la falute di ciafcunoy
o per V età , o per lo fijfo , o per lo mejìiere o per lo tem - per
amerito. Oltre quefie regole generali vi fono di quelle che non rif
guardano , che lo /pedale ; ed alcune perfine particolari , o per f
Jtà,o per lo fife, o per lo temperamento o per lo pro~ prio
mejìiere . Incominciando a trattar delle prime , e di quelle riguardano
tonfati feto al dinan di fatata giuda teftè detto abbiamo ,
veru ga a perderli , o il decoro , e la giocondità della Vita a
/cerna re ; poiché non v’ è colà lènza fallo , che fia cotanto
commendabi- le , e lodevole , quanto d* un uomo eh’ in tutto d’
offervar proccuri y e tenere una via di mezzo , eflèndo per poco tutti
gli eftremi vizioff. V. Che cofa è Pazienza? M, E
una virtù , che ferve a diriggere , ed ' • v fri- •: (i
io ) Libo la* c. io ; . ; ftieri fòffrir pazientemente , e patire
quel- f che non fi può in guife alcuna fra fto mare* e rimetterci
in tutto ài fuo divino * e fanto volere ; e ciò tanto più , che fecondo
dàl- ia fperienzà s’ imprende l’ impazienza ad altro mai non ferve
, che a fard 1* avverfi- •; tà , e 1* infortuni vie più maggiori
diveni- re , e intolerabili ; Avvegnaché (òpra mo- do giovar ci
polTà per quanto fia poffibile ' il prevenirli anticipatamente , e
nelle cofe feconde, e profpere avervi mai fem- pre la mira , o con
applicarci a più , e più cofe trattar in effe di diftraerci nel
miglior modo primo anno da far far loro akufo de ’
cibi * e delle bevande per non renderli infermicci in mille modi ,
t cagionevoli 5 anzi è bene anche /appiano il f onere hio cullare , che
fi ha in co* fiume comunalmente di far per tirar lì ragaz- zi al
fonnó , fovénte rechi loro un dif capilo , e un danno notabile ; vero è
però che il fonno nelli primi mefi, quanto egli è pih grande Jane
to vie pitt avér fi deVe , per meglior fegno *> e per marca di fialute
, come al rincontro la veg- ghia oltre P ufato è fempre fegno y e
indizio di qualche morbo . Rifguardo all'aere il tem- perato è il
più comendabile e lodevole per ejji t e un modo del Mondo ; di
vero la vita dell’ uo- mo ( dice un attore Terenziano ( x ) egli è
come il giocar a dadi , in cui tè quel putito - non ayviene, che tu
appetti, abbilògna che l’ arte corriga la fortuna ; onde, giuda ’
Epitteto, ( j ) perciò non v’ ha meglio, che . guardarfi di non applicare
la propria av- verdone , e il proprio appetito in colè, eh* . in
nuila da noi dipendono, e rifpettòa quelle ( z ) che fon il (oggetto del
nodro - amore , o del nodro piacere , o che pur va- gliono per
qualche noftra bifàgna è medie- ri che fi difàmini attentamente la lor
natu- ra, incominciando da quello che meno va- glia ; imperocché fe
mai un Vetro, oun pen- ( X ) Adtlph. atf. IV. fc. VI ri
( y ) irXEIFIAIOR f.7. (;z ) li il. c. s. è 9. 10. 11. n.
15.14. i?. #ei I, e an refpir, amento al meglio che
fa pojfibile libero ; quindi li bagni lor Jt credono altresì
pojTono ejiremùmente giovare ; comeche tutta la diligenza e cura deve
ejfer mejja in mantenerli di ventre liberi quanto f può , e fciol-i tip
giunti jbe fi Veggono a tempo in cui toglier Jt debbano dal
latte,abbifojjia , che lungamen* . te (ì facci no ajìener non men dalle
carni , cb* eglino miga vagliono ancora allor a diggeri* M 4
re Digitized by Google .184 DE' PRINCIPJ-
pentolino, per efempló , avvien , che ci piaccia', e diletta , perfiiafò
vivendo noi quanto e’ fia di natura corrottibile , e fra- - gilè,
dove per avventura mai e* venghi ; a frangerfi , o fiaccarli non verremo
per- ' ciò miga in difturbo , e perturbagione , Ei p'
ìxcés-is 4- v X ee y a> y* l ' !my i fi ir pittai viw , 5
yO(iiva>v , (lìfiJHro unKtyuv , ómìór tri v , cip 9 "
O’fMKpi'itt'Wr upX'óptivos . ai xvrpav ripypi-, ont xórpcat
rtpyas.Kctntttyti* c»s yàp mùnti , « . a» * iraxhor axjrts
Kcentttpr X>ji , H yuttcùx-oc , om ausSabnrov] ’x.x.nu'piKàs
«p5uuóvno M. Un abito , o virtù che ferve a difporre ,
• e diriggere 1* azioni dell’ uomo nell» pericoli che fi ave
zzinole éójUtmino far tutto Ordinatamente , e con de- coro , non
che li lor travagli , e li lorfiudj , cui per avventura in un età giujìa
, e conve- nevole fi danno , avvertendo dì vantaggio , che quefii
vengano ammifurati in gnifa , che . il lor ingegno efiremamente non fi
infievolii chi , e debiliti , ' \ \ r In oltre pafiando ad
altro ; egli fi ac cornane da a vecchi figuir tuttoccib,che fono cofiuma
- 1 ceflìtà , eflèndo ciò contrario del tutto . j reai mente
, ed oppofto alle leggi della Na- tura , e quell’ eccedo appunto, o
vizio, * a cui comunalmente diam nome di audacia, o tracotanza rOr
finalmente quefti erano gli uffici , gli obblighi , e li doveri
dell* uomo fòlo nello fiato Naturale e non altri. D. Ma perche voi
favellando peravventura di quelli , che non riguardano che lo fpi-
rito , abbiate altresì tratto di quelli , che aveano attenenza al corpo ,
e allo fiato -efierno ? M, Per . aggevole d’afiai
e facile, dove pur cosi . v* aggradi, ridurli sù quelli tre capi di
cui vi feci motto fin dapprincipio; imperoc- * che qual
malagevolezza-, o difficultà mai r. potrete voi rincontrare in conofcere
; Che quanto da noi fi diflè della volontà , e del- . » rie-
effer una feguela dell' applicazione e del ripo- fo ; .come eh e V ufo
del cioccolati o di tempo in tèmpo poffa firvir molto per fortificar loro
la JìomaCo , e rimetter lì f piriti nell'applicazione efauJtiyWn
che per corrigere gli acidi del fan* gite. Al rincontro , a quelli
, che fon peravveng tura Deputati , e desinati a travagli ^ e fatt-
olo e pili dure i e gravo fe y fi concede feur amen* te U bere y e il
mangiare in più gran copia , ed abbondanza di quejii ultimi , ma fono
avver- titi d' effer cauti , ed avveduti di evitar del , tutto
ribaldati , eh' e' pano le bevande fredda ingenerale , potendo lor
ìquefle apportar feco /> ;. *8 9 ricchezze ,
agli abiti , ed altre così di tal fatta non abbi attenenza, che al
noftro • flato efterno ? Onde ecco pur tutto con un motto rimeflo
in quello afiertOjeordinanza che voi lo defiderate,*ed egli è cofa t in
realtà di gran rimarco oflervare,come tutto inte- ramente quali che
da fonte, o forgente trat* to s abbia da non altro , che da quella,
no- flra maflima generale: cioè, che l’uomo debba far quantunque
più può , e sà a foo vantaggio e utile, fempre. mai che far lo
polfa - ‘ 'delle diarree ,foccorrenze , cacajuole ed
altri malorifmili . In ultimo venendo a quel che rifguarda
la diverjtia de' temperamenti , primieramente per quegli , che di f
over chiofopr abbondano di fangue ì egli vien fommamente lodato un a e*
• re molto, temperato , un vitto affai naturale , e fempliciffmo ,
un cibo di groffa corffjìenza , e una gran moderatezza nel vino , e nel
fon- 120 , non che negli affetti interni de ir animo • Secondo per
li colerici , e li biloffji approva , oltre un * aere altreiì
temperato^un cibo liqui- do ^ un vino acquofo , e il ripofo , e il forino
„ , anzi , ' m
continuo e regolar fi, • poiché quell’ azioni, che fi riftringono
per efèmplo fòtto la, tem- peranza vengono da quelle ifteflè leggi
, dirette, e regolate, da cui fon rette, e ordinate quelle , che fi
comprendono Cotto la giuftizia , o la fortezza , egli v’hà ogni
ragione d’ affèrire , eh* in effetto per par- lar con maggior proprietà,
non fia eh’ una fòla la virtù umana , e quefta altro non fia, che
il viver conforme le leggi della natura, comeche gli uomini comunalmente
o per non rinvenirti niuno infra efii,che ne fia iru teramete ben
fornito, veggendofì altri eflèr fòi- * » • l ^ r ni avvenendo dinanzi
il convenevole tempo, li ;* cibi aromatici , e difeccativi Vagliano ad
emen- dare , e corriere fe non del tutto ; almanco 1 * in parte
quefio difetto ; e come colripofifi Verrebbe ad acc re fiere , ed
aumentare in efft ' il torpor delle fibre' r coi ì al r ove [ciò, median
- 4 te il travaglio fi vengono quefie a render vie >' piu ferme
, e fide ;e il [angue , che a produrr re delli mocci in abbondanza è ben
acconcio, con quefio fciogliendqfi conferva tutt ’ ora il moto .
Quindi per ejfi [ervir pofiòno e valer parimente d* un ottimo , e buon
rimedio li ne - gozj , e P occupazioni le piti ferie , e fafiidiofi
del ì 9 i Ibi tanto faggio , altri lòl tanto
prudente , e niuno aver in fe congiunte, e unite tutte que- lle
virtù particolari , over per formarlène un adequata idea fecondo la
diVerfà , e va- ria applicazione , eh’ eglino a Ior divelli e varj
doveri ne fanno , le diedero vari , e diverfinomi, o vocaboli, di
giufìizia, di temperanza , e di altri sì fatti , nella guifà
appunto , eh* a quelle medefime leggi , per quella ilìelTà diverlìtà d*
applicazione, or Civili , or delle Genti , or Pubbliche , ‘ r
or in altro , e diverfo modo le appellino. • ì M. Si
del Mondo . Quarto f crede commendabile fopra modo , # lodevole per li
Malinconici fpe - zialmente un aerfrefeo , che vaglia , e pojja
molto frvire per accufcere il trapelamelo , t V refpiro della lor pelle ,
non che Per agran* dire le particelle del J angue , li cibi / alzi ,
e d* Una fece a conjjjtenza , una gran moderateti ta , e temperanza
nel vitto , e negli affetti , • in cui eglino fogliano per natura
difettare ; e tutte le ccfe ifcioglienti > che vogliono piai
epojfcn in ejf promuover delli e fremen- ti , blighi 1 e li doveri dell’
uomo confederato di brigata con gli altri rìfèrbarolli per ma-
teria d’ un’altro ragionamento. temperamenti mijìi ci fi ammonifce , che
frati tandofi di ejfi ,fi abbia fempre mai rif guarda a quel eh ’
in noi predomina , e fignoreggia , Or. \ quejio è quafi il principale di
quel che da Me» dici vien preferito per coloro , eh' efiendo in una
buona fai ut e y o difpofizione amano mante - * fiervifi ; il di pii * ,
volendo , fi pub come cofa poco appartenente al [oggetto di cui fi
tratta* 4 a ejfi ftejfi imprender di leggieri . trattenimento
U alunque volta per verità da me fi pon men« te , e fi bada al
diletto il quale hò io quelli dì fèntito in udirvi difcor-
rere delle leggi natura- li, e confiderò quanto egli fia
profittevole, e vantaggiofo all’uo- mo 1* averne contezza ; vera pur
troppo ^ e certa mi credo , che fia l’ oppinion degli Antichi (a )
circa all* aver per indegni , e immeritevoli del tutto dell’onore, e
dei nome di Filofofi coloro , che non n’ aveano nel li lor
ammaefiramenti divilàto a lcuna colà, e mediante le proprie
meditazioni cerco ilchiarirle , e renderne ammaeftra- - ti gli
altri ; niuna parte realmente della nofira vita rinvenendoli , giuda che per
E appunto quegli confefiavano nè nelle co- lè pubbliche , ne delle
private , nè nelle fo* renfi, nè nelle domeniche , nè le con noi
ftefli alcuna cola facciamo , nè lè con altri, • chiunque egli fi
fofiè contraghiamo , in .cui elleno non debbano aver luogo ,
come quelle nella cui ottervanza ogni ornamen- to , e fregio e porto
della vita, e ogni uma- na virtù confifte , e nel cui difpreggio ,
per quanto jer pur da voi imprefi, ogni vizio, ogni laidezza , e
ogni noftra bruttezza fi arrefta; Per la qual co là in apprertò in
me cederà ogni , e qualunche maraviglia, cd ammirazione in veder buona
parte degli miei uguali , per non dir tutti , o per pro- pria
negligenza , o defii loro genitori 3 o di altri alla cui cura vengono
peravventura commetti , o per un comunal pregiudizio, ed afiai
popolare reputando uno cotal fiudio per etti poco vantaggio^), e utile, e
nulla imperò applicandovi , sì difordinatamente Vengono l’ altre
fcienze ad imprendere , e direggere li lor efèrcizj , che dove credono
poter col tempo giovar , come devono, a (è, ed alla propria famiglia, ed
alla Patria, fi rinvengono all* ingrorto aver errato , e totalmente
ingannati . Ma cotali cofè , eh’ a noi nulla , o molto poco appartengono
, falciando per al prelènte per lèg uir il di- feorfo di quello ,
ch^jer fi rimale a tratta- re , dopo aver confederato P uomo lòlo NELLO
STATO NATURALE, infingendo ora mirarlo di brigata con gli altri , e in
una focietà uni- verfàle, vorrei lènza interrumpimento udir- vi
favellare degli uffizj , e doveri , ch’egli dovea in quefto Rato
fòdisfare. M. Quefti tutti inferir lì poflòno, fènza alcun
li. dubbio , da quefta propofizion generale : cioè , che 1’ uomo
naturalmente in fe fèn- tendo un infinito piacimento , e diletto
dell’ altrui perfezione , 0 utile , o vantag- gio, che dir vogliamo,
nulla inferiore a quello, eh* egli hà dalla perfèzzion di fè Redo ,
dove dalle padroni non venghi travolto in contrario, dirigger e’ debba , e
re- golar le fue azioni in guifà , che tendano non meno a utile , e
vantaggio proprio, eh* a quello degli altri ,* imperocché da ciò
che reputar fi deve , e mirare per lo pri- mo , e per lo principale di
tutti gli obbli- ghi , o uffizi umani fcambievoli , o per meglio
dir di quefto genere di cui or trattiamo , come tanti corollari , Porifmati ,
e vantaggi , che dir vogliate , ne fegue ,* I. che non abbi fogni
far ad altrui quel che non fi vorrebbe per fe medefimo . II. Che
fia meftieri corrifponderci tempre mai con un ifeambievoie , e reciproco
amore , im- perocché dovendo noi goder dell’ altrui iene, e
i'elicità, come della propria, e averne del piacere , e della gioja,
quefta non può in modo alcuno disjungerfi , o feompagnarfì dall’amore.
Cile dob- biamo in ogni- tempo operar in modo , che N 3 niuno
t abbia a grado la noftra infelicità , o miferia , e giudo motivo di
appeterla , o bramarla , purché far lo polliamo lènza muoverci un
jota contro alle leggi della Natura , la cui obbligagione è fempre
mai la ftefla , ed immutabile , eh* è quanto dire , renderci per quanto
fia pofiìbile a tutti cari , e amabili. Che non v* abbia ragion alcuna da
renderci fùmofi, e al- tieri, o al di fopra degli altri, ma che
tutti fènza rifèrva , o eccezzion alcuna di perfo- ra dobbiamo
infra noi tenerci per pari , ed uguali con darne con parole , e con
fatti della venerazione , e del contp in cui l’uno fia predò
dell’altro fpreflò legno al di fuora. Che non dobbiamo in niun modo
met- ter in palefè , ed alla (coperta 1’ altrui ma- gagne , o
difetti ; ma prender tutto quan- to da altri fi fa mai, o fi dice in
buona parte, difendendo in tutto tempo , e avvo- cando 1* altrui
dima , e onore ; colà che fi dee far fopra tutto trattandoli de*
calun- niati , e gravati a torto , non efiendovi altro meglior modo , o
mezzo di quello per renderci al Mondo ingraziati , ed amabili . Che
non fi debba niuno mai offende- re, nè dannificare per niun verfo ,
altro non effondo in fatti , quello tutto , che operar ad altrui
dilvantaggio , e difeapito; il perche l’ off è fa , e ’I danno, che
perav- ventura ad altri facciamo fiam in obbligo in ogni tempo , ed
in dovere rifàrcire a ogni nofiro colto , e quello che da altri mai
a noi li reca,fcanfàr a tutto poter , ed evi- . tare ; eflendo per una
cotal ragione , e per quella pio pofizion altresì principale ,
ch’ai di lòpracennammo , cioè , che L’ uomo far polla Tempre
quantunque più làppia , e vaglia a fuo prò , giuda e lecita in
quello calò di cui fi tratta la difefa . Vili. Che
Egli è certo , ed indubbitabile , che tutti . - - noi fiam
obbligati , e tenuti operar in gui- fa , che P azioni naturali
corrifpondino in tutto , e concordino fèmpre con le libere con aver
un medelìmo fine ; II perche Pap- petito al coito efièndoci fiato dato
dalla natura , e concedo per la propagazione , e confèrvazione
delia fiefià fpezie , ed impe- rò efièndo un azione del tutto
naturale, egli è mefiieri , che per quanto dipende da noi, non lì
adoperi giamai , ne s* impieghi d i ve rfa mente, o per altro fine.
D. Egli conviene adunque , che colui vera- mente , che fia vago d’
effer netto , e ca- tto sfugga , e vita a tutto potere ogni forte
di congiungimento illecito , e contro le leggi , che non abbi altro per
fcopo , o per fine j che il mero piacere e la voluttà , co- me li
ftupri , le fornicazioni , gli adulteri, ed altre sì fatte fòzzure , e
bruttezze , con trattar parimente di dilungarli da tutto ciò , che
vaglia mai ad iftimolarlo , e por- tarlo a quello , e vietar tutte le
parole , le gefia , e P azioni lafcive , per cui ne pofia rifultare
quel gufio, e quella compiacenza, che il piu delle volte porta (èco al di
die- tro.quegli movimenti critici , li quali con dedar in noi di
fovverchio r e rifvegliar li fenfi , fanno, che la ragione totalmente
fi, addormenti • M Li , aof AI. Li motivi
per cui fpigner ci dobbiamo edilporci alfacquilìo di una cotal
virtù fono quegli fteflì per cui devono eflerci in abborrirhento ,
ed in odio li piaceri ; onde di quelli avendone parlato (òpra alla
diflfu- fa i non fa meflieri qui ripeterli al di nuo- va; Comeche
convenghi oltre a. quelli, che fi badi altresì alle pene, ed agli
gaflighi che in ogni ottima , e ben regolata Rep- pubblica vengono
dalle leggi inabiliti per - li fìupri , adulteri , e altri si fatti
delitti ; ' ed avvezzarli di buon ora a sfuggire, e vie- tar
Ogni occalìone , che pofTà fervi rei di motivo per portarci a qualche
azione libi- dinosi , e cattiva. D. Come definite voi la
modeflia ? M. Per un abito della noflra volontà , o per
meglio dire , per una virtù di ben deter- minare, edifporre fazioni
appartenenti ' all’ onore, fecondo le leggi della natura; Quindi il
modello , fèbbene operi in modo, v che Ila degno d 9 onore , e di flima ,
non pe- rò egli la brama , o 1* appetifeé; ed in ciò differilce
dalf ambiziolò , il quale al rin- ' contro brama gli onori e gli
appetilce , ed andandovi al dì dietro più del convenevo- le pecca
nell 9 ecceffò ; e fi diftingue altresì da colui ch’éfièndo d’ un animo
vile fòver- chioj ed abbietto pecca nel difetto ; imperocche avendo noi
della compiacenza, e del piacere del conto , o (lima in cui fiamo
prefio altri, ed imperò venendo tratti dalla gloria delle noflre iflefie
perfezioni, può quefla,fenza fallo,fervircidi un gran (limo- lo a condurci
Tempre mai e portarci per lo dritto fenderò a grandi , ed eroiche
im- prefè ; II perche fi viene a conofcere in un ifleflo mentre l*
error di coloro , che con- fondono non meno 1* amor proprio , che
• nafce dalla virtù di fè ftefiò , con quello , che non nafce che
dal vizio , efiendo 1* uno molto vario , e diverfò dall* altro , e il
pri- . mo non così come il fecondo da riprender- ci , e
biafimare ; che la modeflia con que- lla battezza e yiltà d' animo , in
guifà , che • ; per torre alcuno d* ambizione fi fludiano a
tutto potere d’ ifpignerlo jn quella , eh’ è { un vizio per verità
miga inferiore a quella, facendo che la perfòna molto poco fi
caglia delle virtù morali , e delle morali non ne fègua altro , che
1* ombra . Di Come adunque fi può mai far un ambi- ziofò ufeir di
fua ambizione ? E di fbmmo meflieri ; I. Che capifea qual fia il
vero onore , e come quello non dipenda miga dalla perfòna onorata,
ma fòltanto da colui , che onora , il quale ab- bi fogna anche che
fàppia formar buon giudizio. Ch’ intendete per amicizia? M. Un amor
vicendevole infra due o più perlòne , palelàto , e dato a conolcere
al- tresì con uffizj vicendevoli, giufta le leggi della Natura ;
non ettèndo ad un amico , inverfo l’altro lecito giamai , ne
permetto far co fa per menoma, eh’ e’lia contro que- lle. Quindi
acciò tta ferma realmente , e Itabile , e collante un amicizia , e non
ft (ciolghi cosi di leggieri egli impiegar fi de- ve tutta la
diligenza , e la cura del Mondo nella (celta degli amici ; comechs ettèndo in
vero co fa molto malagevole , e difficile che fi rinvenghi un amico del
tutto intero, e buono , come fi vorrebbe , e potendo di leggieri
avvenire che fi fia errato nella lecita , e che 1* amicizia contratta fi
fciolghi , o perche l’amico voglia da noi qualche cofa non ben giufta , e
buona , o per altra cofa sì fatta ; il più ficuro modo, che fi può
tenere nel praticare , e conver- far con 1* amico , egli è quello , che
dir Ib- lea Biante , celebre tra* Greci Filofòfanti , cioè, di enervi
si fattamente circofpetto e avveduto, come con colui , che col
tempo può per avventura divenirci contrario, e nemico ,* del retto
quefta è una virtù, ed un abito , che fi acquitta e ottiene , come
tutte P altre noftre virtù , e gli altri noftri abiti , per via di molti
atti ; come a dire : con P amare da vero l’amico per le Tue vir-
tuofe , ed eroiche qualità ; col praticarlo , e fìar con etto lui, e col
godere in ogni mo- mento del bene di lui , come del proprio; A ogni
modo non mi fèmbra neceflàrio ar- redarmi qui in farvi vedere la
neceflìtà , che abbiamo di far un cotal acquiftojbafìa dire , che
doppo la virtù, l’amicizia pofla e vaglia a formare la nottra felicità ,
e che abbracci tutti gli flati , tutte le condizioni,' e tutte le
differenti noflre età ; ella giova a ricchi, e a potenti per far
ufo della lor fortuna ; a poveri , e fventurati per aver qualche
folìegno, e lòllìevo; a giovani, per aver chi lor confogli, e dirigga ; a
vec- chi perche può forvir loro d’ appoggio ; e a quegli che fono
nell’ età virile,* per for- nirli di favori , e di affluenze ; e
lafoiando ilare , che la natura ftefia ci porti a quella virtù ,
avendo altresì ne’ bruti , e negli animali inferito certe inclinazioni ,
per cui quelli della medefima Ipezie fi portano tra elfi ad
accoppiàrfi,ed a unire ; nelle Città e nelle Repubbliche la concordia , e
l’ami- cizia de’ Cittadini fi riguarda come una parte principale,
ed effènziaìe del{a felicità pubblica . D. Ma ditemi un poco;
egli dubbitar non potendofi , che il vocabolo amicizia fia detto ,
e dirivi dall’ amore, e non amando- fi da noi ugualmente ogni colà ,
quali fono quelle cole , che fono veramente ama- bili?
M. Di quelle n* abbiamo tre Ipezie ; altre colè effondo amabili , perche fono buone
, o per fe llefiè , come le virtù , o relativa- mente , e per
qualche circoftanza , come li cibi per rilguardo della noftra làlute , o
le medicine per le malattie ; altre , per arre- carci del piacere ,
e della giocondità , per cui altresì diconfi buone ; ed altre per
efièr utili (blamente , e di qualche emolumento, che le fa
parimente aver per buone; Quin- di ne rifùltano tre fòrti d* amicizie $
1* una - di cui, come fondata sù il vero bene, ed utile ( dico
utile , prendendo , quefto vo- cabolo giuda al noftrofignificato ) è
vera, e perfetta ; e l’altre, non riguardando , che o il bene
apparente , o la giocondità , o T utiltà volgare ; non fono che
imperfet- te , e fecondane , ed improprie ; come che altri v*
aggiungano pur una terza , che la defini fcono per una reciproca
inclinazione e propenzione d’ animo tra uomo , e don- na , fènza
alcun moto fènfibile , e la chia- mano comunemente Platonica ; ma
tra perche quella dalle più delle Genti , fi hà per una amicizia
attratta , e miracolo^ , negardo elleno quegli principi Platonici,
mediante a cui fi (oppongono nelle mentì create , fènza alcun opera de’
(enfi, e ifcol- pite , e imprette le forme del bello , e del buono
, ed avendo per certo , che quetto: impeto , o inclinazione come
proveniente da (enfi , in etti purtt mantenghi con tutto rigore , e
forza , giuda alle naturali leggi, a mifura , che ne fian capaci ; e
perche ne * defideriamo favellarne con p'ù agio a più -
convenevof tempo , non ne facciamo neppur motto per al prelènte .
D . Perche avete voi per imperfette quelle amicizie, che riluttano
dalla giocondità, e dall’utile volgare ? . - M. Sì perche una
con quella fperanza cefc fando l* amore , cotali amicizie non fono
di lunga e gran durata , sì perche la vera, e perfètta amicizia , non condite
in altro , le non in voler bene all’ amico , per Pam ir co. /
Quella pratica , che fecondo voi , fìa di meltieri in tutte 1* amicizie ,
hà ella luogo nelle amicizie tra fuperiore , ed inferiore ? il/.
Senza fallo; a ogni modo deve efler aliai rara ; li fiiperiori di
leggieri annoiandoli degli inferiori , in modo , che farebbe me-
Rieri alle volte , che fi dim enticalfero del lor Rato , fe folle
potàbile . Ma con quali modi lì può mai conolcer bene e comprendere
una perlòna , che li confiderà per amica ? M. Con praticarla
qualche tempo con in- differenza , ed ofiervar elèttamente quanto
ella facci , e quanto operi; come penlà, per elèmplo , come parla , come
ama , come odia , e come fi duole ; quindi giovarebbe molto a far
tali olièrvagioni particolari dove blfognarebbe , conolcer
universi- mente li coftumi degli uomini , e le diverfe loro inclinazioni
nelle loro diverte età, e nelli lor Itati differenti , con fàper
per efèmplo I. Riguardo all* età ; che li* Giovani eflèndo di gran lunga
dominati dalle paffioni , e principalmente da quelle del fenfò ,
venghino da quefte di leggieri trafportati , e vinti , come che fèmpre
va- riano per fazietà , e leggerezza , e Ciano in oltre di fdegnofi
, ambiziofi nelle gare, in nulla attaccati al danajo , liberali ,
/empii- ci , aperti per la poca fperienza , anzi im- però anche
creduli ; lieti, fperanzofi per lo gran favore del lor (àngue,
vergogno!] per non creder altro lecito , fuor di quello, che
apprefero dalle leggi, e dall’ educa- zione ; magnanimi , vaghi più
dell’onefto e della lode , che dell’utile ; e perciò ami- ci di
compagnie , e di convenzioni , e di tutte le fòrti di amicizie gioconde ;
nemi- ciflimi della mediocrità nelli lor affetti , peccando mai
fempre nell’ eccedo, e nel difètto , o che amino , oche odino , o
fac- cino altro ; e come facendo ingiuria ad alcuno , non la faccino
miga per malizia , o per recar a colui danno nella perfòna e nella
roba , ma fòltanto nella dignità , e nell’ onore ; e ultimamente
compafhone- voli , e pietofi , avendo ogni uno per me- gliore di
quelch* egli fìa in effetto ; che li vecchi tutto al Popputo , non eflèndo
nel fervore , e nell’ aumento de* /piriti , non fìanò d* ordinario
/oggetti, ne* /ottopodi a trafporti , ed operino mai /èmpre con
len- tezza ; e geneiaimente /ìano malizio/!, dif- fidenti' per la
lunga /perienza , dubbj, timi- di , queruli , fàfìidiofi per T anguftia ,
e po- vertà del lor /pinco ; avari per non riguar- dare , che il
commodo , e 1 * utile proprio; di gran memoria, ed imperò garruli ,
faci- li a /degnar/! , comeche non duri il lor {degno per il freddo
dell’ età, morti nella concupi/cenza , e volti del tutto al guada-
gno ; e dove avvien che faccino mai dell’ ingiurie , e delle
/convenevolezze , le fac- cino veramente per malizia; Infine e’
fiano mi/èricordiofi come li giovani , febben quefii per umanità ,
e quegli per imbecilli- tà ; malinconici , proverbiofi , e di un
ani- mo molto badò , e rifiretto ; e che quegli, che (ono in un età
virile , e di mezzo fiano di cofiumi temperati , come a dire eglino
non fiano ne troppo audaci , ne troppo ti- midi , non credano , ne
difcredano ; e il mede/imo fia dell* altre pa/Tìoni ; li. con
cono/cer rifpetto allo fiato, che li Nobili per e/emplo fiano ambiziofi ,
fumo/! , mor- bidi , tenaci de’ proprj tituli , e che vadi- . no
apprettò più ali' apparenza , che alla lò- tta n-iìanza ; che li ricchi ,
per 1* abbondanza fiano ingiurio!] , fuperbi , vaghi di Juflò , e
di delicatezza , arroganti , ed alle volte anco incontinenti , fe mai divenirono
ric- chi di frelco ; e che li potenti abbiano co- ltomi pretto ,
che limili a quelli , come che lor moderi in parte la gloria , e li
ten- ghi al dovere; e così degli altri, che fi giungono di leggieri
da quelli fieflì a com- prendere . Ch’ è quello , che ci rende amica
una perlòna? • - M. Il farle bene , V ettèr amico de’ lùoi ,
il corri pattlonar la , 1* ettèr verlò lei liberale , modello ,
temperante-, gentile , trattabile, faceto ; e in una parola la virtù , ci
può rendere cari a tutti , ed amabili, giufta che potette
apprendere , dà quel , che al di- nanzi notato abbiamo , parlando delle
co- lè amabili . Come dunque ai consèrva l’amicizia? [cf.
Grice, the apory of friendship in the LIZIO. Col mezzo della BENEVOLENZA
(other-love – conversational benevolence) , o del vo- lerli bene
Icambievolmente , non che con la concordia , o con la fede
vicendevole nelle co fe agibili ; e con la beneficenza , o
liberalità. Cont. L’ amicizia perfetta ammette ella mol-
titudine ? Fil. Mai nò , tra perche in ella fi ricerca un
amor del dritto naturale. 2 i
14. C g ) Dei ih 9. 1 . 1. . /. 1 6. f. de pani s Grot. in
fior, fpitrf. PbUoJìr. de vii. Apoll. nurn. 5?. Dsuter.
. P/trullp. ^ I J ?2C *16 d e* p'R in c i p j
-r ' grandi Grettézze, e bifogne, {botanti motivi, che mover
ci doverebbero ad effei ne vera- mente amanti , e farne un continuo ufo
, oltre lepromefie, che a veri li moli ni eri nelli Sagri libri
della noftra Santa , e Ve- neranda Religion rivelata fatte fi
rinven- gono. Che intendete per verità ?. JM. Un Abito di ben
diriggere lenoflre azio- ni conforme le leggi della Natura nel com-
- municàre, e ridir ad altri li noftri fonti- - menti:
imperocché colui , eh’ è veramen- te amante , e vago del vero , non men
fog- ge , ed ha in abbon imento il falfo , che la \
fìmolazione , e la bugia. D. Difpiegatemi quelli ultimi vocaboli:
fi- mulazione , e bugia . M. Col primo intendo quel difeorfo
, che vien fatto tutto al rovefeio di quello , che in noi fentiamo
, ma fenza alcun danno al- trui , o noflro proprio ; e col fecondo
quello medefimo, ma accoppiato , ed unito col pregiudizio proprio , o
degli al- • tri . Qujndi è , che il dir il falfo , e la fi-
molazioné fia fogno propriamente d’ uom fonza cofcienza , come colui ,
che proferi- > foe delle parole contra quello, che in se 'fonte;
comecché la bugia fia una còfa affai ; più deteftabile , e biafìmevQle
della fimolazione , aniuno ettendo permetto offènder se medefimo , e gli
altri ; anzi quella ogni volta che fi vegga effèr 1* unico mezzo
per giovar a noi , ed a gli altri, può fenza fallo divenir lecita ,
e permetterli , non ottante che per legge Naturale rechidendofi ,
che vadino fèmpre mai in accordo le azioni in- . terne con 1*
etterne , fèmbra fèmpre per se mala, eù illecita . II perchè fi vede
altresì , che non fi debba giamai far ufo del noflro difeorfò , e
della nottra favella, fè non cattando per mezzo di elio nulla fi venghi
a notti i uffìzj, o doveri a mancare, eh’ è quello in cui confitte
il filenzio : virtù che, fi potrebbe a gran ragion ditti ni re , per
un abito di non proferir cos’ alcuna contraria a nottri doveri . E
vaglia il vero , ella non -è men comendabile di tutte P altre
virtù, potendo fervi rei di gran lunga a vietare mille , e mille
inimicizie , che potrebbono forfè dal contrario operare, provenire, e
per molte earriche nella Repubblica , che con- ferir non fi
fògliono a chi ne fia sfornito , e privo ; oltre una infinita d’ altri
vantaggi . Ma diam propriamente noi nome di conteftazionì alle
parole , che fi prò fe- ri feono in fegno, ed in tettimonio della
fin* cerità, e fchiettezza del nottro animo : av- vegnaché fu
mettieri notarli, che non .dovendofi nulla fare , fènza la ragion /uffi-
ciente, dove non fi dubbiti di noi, nè fi met- ta in forfè quei che noi
diciamo , ma fol quando per efler creduti, abbifogna , e conviene .
Per tutto ciò quelle , che infra quefte meritano più dell’ altre la
nofira ' attenzione , e rifl^flìone fono li giuramen- ti ; imperocché
quefti effendo un* invoca- zione , che per noi vien fatta di Dio in
vendetta del falfo , che diciamo, creden- dolo autore d* ogni noflro
bene, e vendi- cator del male , che commettiamo pe'r Io rifpetto ,
che dobbiamo alla Maeftà divi- na , non fi devono per niun verfb
proferire fe non in colè di gran momento , effèndo i cofà
fòmmamente fàg rilega, ed ingiufia in- vocarlo in cofè leggieri , e di
affai picciol preggio. Q/iid ejijurare (dice S. Augu- rino ( m )
nifi j us reddere Deo , quando per Deum j i/ras ; jut filili tui: reddere
, quan- do per filios tuo: jura : . Quod autem ju: debentù :
falliti nofira , filiis nofiris , Deo riofìro ; nifi charitatis ,
feritati : , è" non falfitati: ? eum dicit quifque per meam
falutem , falutem fuam Deo obigat : quando dicit per fillio: fuo: ,
oppignorar t)eo fillio: fuo : , ut hoc vcniat in caput ipfo -
rum i ' (m) /pud Groi.'m fparfjioribi rum , quod erit de
ore ipfiui ; fiverum , , Z'trum , fi falfum , falfum ,* cum ergo fi
- /iosjuoty Vd caput Juum , S'f/ falutem fuam quifque in Muramento
nominata quicquid nominat obligat Deo . Oltrecchò Epiteto ancora (
n ) con ii foli lumi della Natura, vieta (dice) a tutto tuo potere,
to- talmente 1 è mai può eder il giuramento , o fe ciò non puoi
avvenire , tratta ufar- lo quantunque piq di rado fia poUTbile .
Ipxov vtpiÙTnat , « {iti tuorrt , ài St che Venga con A Jd ua h nói) fummo noi medefimi gli autori del
no* Uro inganno: o non fi fian tali , che fcior- re non fi pofiono
inguifà alcuna lènza il » dannose il pregiudizio dell’ altro • III.
Che qualche ejlerno fegno dichiarato , o che queflo conffla
in parole, o in fatti ; avvegnacchè n n fa fuor di propofto far qui
avvertire, che per Dritto Naturale non f conofca quel divario o
quella diverftà , che le leggi Romane am- mettano infra Jìipulq , e patto
femplice , e in- fra V obbligatimi , che fciolgonf per Inr di- »
fpofzione ( ipfò jure ) fòlutione , in fòlutum , datione , acceptilatione
, o con altri sì fatti modi : e quelle , che terminane per Infoia •
equità , o eccezzione . Li mezzi più femtilici , e piti acconci a torci
d* impaccio dogni obbli • gagione , giujìa il Dritto Naturale, o che
pro- venga da què' patti, che la producon pfltanto da un lato detti
, o di anelli , che la producono da ambo de * lati , detti «T
iirwpx , o f tratta di quegli in cui fe ne viene a / tabi lire una
nuova, fa da una Parte fola , fa da tutte le parti , che li Dottori
nominano, pacìa ob- bligatoria , o d'vquelli in cui quella , che
di- nanzi ffl abili f toglie via, e diconf pacta li- beratoria , o
nafca ella da altri patti sì fatti , clafcun promettendo con
condizione , che ^li fia dall’altra parte ofièrvata la promefi- fa
, fe vi, fia mai qualche motivo da dubi- tarne, di ragione coftringer la
polfa , ed obbli- egli non fono , che quefiì ; cioè ; la fola zio
ne , 10 sborfo , il pagamento di quello , chi è do • vitto al
creditore , il rilafcì amento volontario gratuitamente fatto al debitore
dal medejìmo creditore , il mutuo con f enfi de ’ contraenti , che
concorre, e fi unifce a fciorre un obhligagio - ne che fia dell 9 uno , e
deir altro lato , il ri-compenfamento , che mai fi pub far di debbilo ,
con debbi to , /’ inejìfienza della condizione , con cui fi è fatta rébbi
igagicne;La morte di al- cuno de ’ contraenti , dove /’ obbligagione fi
fu contratta colla fola mira a lui , ed alle fue qualità per fonali
, /* efiinguimento della cofa per cui fu fatto il contratto , la
novazione, eh’ è quando fi rilafcia a uno , e gli fi rimette quel
che egli dee , ed in luogo di quello fi riceve nuova obbligagione , e
fifa nuovo contratto \ • ed infine altresì la delegazione, eh ' ' è
quando 11 debitore conviene col creditore e fi concor- da di
cojiituir in fua Vece chi, ebe a cofiui più* aggrada , e piace ; egli
fembra ragionevole r attener ci in quefie femplicit à, finza
affollar. ]binarla a ciò fare al dinanzi , che non fi complica da
lui , o almanco indurla a dar ficurtà , e cautela di (òdisfarla . IV.
Che li patti fatti non potendofi in apprefio da uom fciorre lènza
il conièniò dell’ altro , eflendo ogni un* in obbligo, ed in dovere
allontanar da se il danno , che gli può di altri intra venire, ed
incogliere, egli fia me- fiieri , che pria ben fi confideri , e fi
ponte- ri quel che uòm promette, o faccia. V. Che adempiutefi da
ciafcuji delle parti le pro- mefle, s’intenda altresì adempiuto il
patto, e ceffi l* uno d* efler all’altro obbligato , e tenuto ;
anzi fe mai avvenghi 1* uno li mofiri contento , che l’ altro non
adem- pia la fila prometta, merita d’ averfi altresi per
fòdisfatta, e la fiia obbligagione per fpirata, ed efiinta. VI. Che
nell’inter- pretazione de* patti le parole , e li voca- boli
pigliar fi debbono giuda , che fono co- munalmente in ulò , non efièndovi
ragion alcuna in contrario ; e dove le parole fiano
d’un • • \ 1 di faverchio le nojìr e
oj/ervazioni , che pojjbno contro delnojiro intendimento feivir anzi d’imparaccio
y e di confusone per li principianti 9 thè per /chiarirli CQme conviene
. Digitized by Google DEL DRITTO NATURALE. d’
un lignificato ambiguo , ó dubbio, inter* pretar fi debbano in guilà*,
che non ven- gano in se niuna ripugnanza , o contradi- zione ad
avere , e concordino mai tèmpre col fine , che giuda ogni credenza ,
ebbero i loro autori , non potendoli già mai uom cotanto tèiocco ,
o tèimonito rinvenire , c* abbia voglia contradire , e ripugnar a
se fiefiò con azioni con tra rie, ed oppofte al foo fine ; Comechè
per difiinguer cotali obbli- gagli , che non ne provengono , che dà
quelle di cui fin ad ora abbiam fatto paro- la, par che cpn ogni ragione
dir fi potrebbe- ro quelle condizionali , e ippotetiche , e quelle
a dolute. Af. Checché fiane di ciò , vaglia il vero egli è un
grolfo errore , ed un abbaccinamento di coloro , che andando alla cieca
dietro alGrozio, e al Puffendorfio , e patti, e contratti , e
dominj confondendo , cd aflfa- fiellando infieme in uno, trattano a lor
po- tere renderci perfoafi , e cèrti , che tali co- tè punto non
diflferilcano , ne variano, e tutti ebbero una medefimaiorigine, cioè,
de- rivarono dall’efièr ellinto infra gli uomini quel fervore di
carità , e di amore, con cui fi amarono fin dapprincipio ; ed avendo
li Romani Giureconfulti il nome di contratti propriamente a quelle
convenzioni dato * che far, fi fogliono circa quelle colò ,
che fono in commercio , e paflàr pofiòno ? o debbono nell’altrui
dominio ; e patti' a 1 , rincontro chiamate quelle , che fi fanno
in colè di una natura totalmente differente dalle prime, e che fon
fuori d’ ogni com- mercio ; fi credettero cotal differenza efièr
propria del Dritto Romano , e ignota al Dritto. Naturale; penfàndo , che
fè gli vo- mini fi avefièro mai corri fpofto con quel • reciproco
affetto , ed amore giuffa che fon in dovere corrifponderfi , li patti
farebbe- ro fiati infra effì di niun.ufo;imperocchè,gli uomini in
quefìo fiato , avvegnaché por- ' tati fi folfero , come eglino dicono ,
^volon- tariamente a far quell’ iftefiò , che op Icambievolmente fi
obbligano fòdisfàr con quelli , da quefto però non v’ha miga ra-
gion di conchiudere , che fiati fi fòffèro all’ ora invalidi , ed inutili
; fenza che giu- . ffa ben fovente detto abbiamo , eflendovi .
molti uffizi >* che naturalmente fiam tenu- '/ ti fodisfàre inverfo
tutti' gli uomini , e nort . verfò quefti ,«o quell’ altro in fpezialtà r
ri- fguardato in quefto , o quello fiato, egli fi potea altresì
nello flato naturale dpve gli uomini .fi fodero amati con un Santo .,
e .. caffo amore ritrarre dalli patti , e dalle t xpromeflè quefto
vantaggiosi determinare , e ye- e relìfingere quelli
generi d* uffizj generali inveriti quella , o quell* altra perlòna in
particolare . , : > - D. Che intendete voi per contratti ?
M. Quelli patti, che vengon peravventura V. a» tarli per lo
trasferimento de* dominj delle cole . V. Come s’ introduttero
mai quelli dominj, nel Mondo? M. Ellinto tra gli uomini quello
Ipirito , e quel fervore di carità , e di amore con cui . •
dapprincipio corrifpondeanfi,e lì manteneano lungi da ognidittènzione e
difcordia, la communione delle colè , che era tra ellì, divenuta un
occalìon continua di ride , e . di
piati , e da dì in dì rendendofi vieppiù Tempre moietta, e difficile, fi
pensò aliatine venire ad una divisone in modo, che ciafcuv no
contentato fi fotte del Ilio , e n’ avelie potuto dilporre a lùo arbitrio
, non difco- prendo altro miglior mezzo per provedere alla commun
làìute , ed al commodo gen- neral di tutti , e far , che a niuno
mancato a vette il bilògnevole per fòdisfare a’ propri doveri;
Imperocché per lo dominio di Egli è fuor di dubbio , che dap •
prifj- di una colà altro d’ intender non bramia-
mo , che un dritto , ed un potere da poterli di quella lèrvire in guilà ,
che ad altri non fìapermeflò farne quel medefimo ufo, che noi ne
facciamo . D. Aduti- principio giujìa che comunalmente
, da tutti Jì confeffa , o dalla maggior parte de ' dotti egli è
almanco offerito , le coffe tutte del Mondo Jt furono in una communione
negativa , cioè del tutto communi a ciaffcuno , e fuor di qualunr
quejìgnor aggio , e dominio ; imperocché effen- do al ffommo ,
Onnipotente , Eterno Monar- ca piaciuto trear gli uomini , egli non
miga potea loro negar F affò di quello , ffenza cui il dono della
vita ad effìconceffa sfarebbe fiata drittamente piu toffo di gran imbar
azzo jh e di qualche preggio , e valore , e che dopo F amo- re , e
la carità infra efft, eh' era il ffojìegno di una \ì fatta communione ,
intiepidita al- quanto , e diminuita ,refela dà affai malage- J
vole , e difficile , e di mille , e mille incom - modi , e diffagi
abbondante y Jì foffe paffuto ad una certa tale quale imperfetta
dìgijìonc ; 9 per meglio dire nella communion pofftiva , fa- cendo
, che qualunque delle create cof e fata Jì J offe foltanto commune a piti
perfine , e noi ? già - - X?.Adunqu®-fi può con
tutta ragione da queflo conchiudere, I. Che tutte quelle cofèda cui
provvenir non ne pofTòno quegli incon- venienti , e difòrdini per
riparamento de’ quali, a voftro avvifò , s’introduflero al • Mondo
i dominj , come fon per pfempi :> • 1’acquaci! aria , ed
altrd$òfe si fatte, non . . CL' fia- gìà di tutte *
fecondo ch 'era al dinanzi , e ih co tal guija il Gènere Umano con fa
vatofi fcf fe , e mantenuto ,Jlnc9e\ finalmente fpettta to-
talmente la carità tra ejìó , e non apparendo- ci più alcuna J cincillà
dì qftelV' amor primie- ro , ma piatì , riffe , odj , e nemijià continue
, fu meJUeri per provvedere al beri, commune , ed alla fai ut s
lìniverfale venir alla totale , e perfetta divisione delle cnfe , e
fiabìlìrne i do- minj ; imperocché con forme al colpo delle vir- tù
giammai uomjì porta di ordinario tutto di ttnfubbìto , ma paffo paffo ,/?
da grado , in grado ) cosi parimente egli procede ne ’ vizj ' , e
nel male fecondo V ejperierrza lo d infogna ; co- mechè quelle cofe quali
erano b ajì ovoli , e fo- ‘ # vrabondanti a tutti , e per cui rtafcer non
ne poteano delle controverfe , o con ì’ altrui danno , quefti abbia
poterti .’•* e dimoftro , che quejìa podefà , e quefio
dominio , c* ha ciaf uno del fuo , non f dfebba impiegar mai in
danno d* altri , e che ciò , che non f defdera , che f faccia a noi , non
f debba nep- pure ad altri fare , non jfembra , che pojìì per veri
tali principi * e c oncejf debba averjt , ragione di approvarla ; ejfendo
ella del tutto come ogni un sa malefa^e noe cedole a'debbitori ; *
« il perchè poco giova il foggfugnere in con- trario , che ne* primi
tempi della Repubbli- : . .. \ * * r ‘ ca . • - Dcjur.nat.&gent.lib.i.cap.i3.f.j73.Hert.a4Ptt-
^ fcntfor.V.io. 14 ^ ( 1 \ :
dall’efperienza s ? im prende, ben rovente tac- cia meftieri il dominio
di’ una cotà da uno paflar in un’ altro. Che non potendo niuno da
altri richieder mai, nè dimandare quel.che ridonda al coftui utile , e
vantag- gio , niuno fia in obbligo , e in dovere di sfornirti , o
itpogliurfi del dominio di ama co. H" 11. ^ ; ' ' ca Romana fi ne fojfi fatto
in quella del con - _ finito ufi , non potendojì per niuno unqua a
fi ferire , che i cofiumi de * Romani , 0 d' alcu- na altra Nazione
del Móndo , 0 viujli , 0 ingiuJH , che fi furono , fi debbano aver
per norma delle nojire azionile mirar come tale\eà imperò noi
vediamo , che gli ultimi Impera dori del tuttofa riprovarono , e tra le
antiche leggi Romane, per cui Veniva permefid ì non f erono , che di ella vi
fojje rimafio neppur un or- ma ( 4 ) 0 vejiigio > : e dello fiejjò
modo fi mai fi corifìdera il Dritto Antitetico , egli fi rin- venir
à , che dove fia fatto a tempo , fia egli ben giuflo , ed equo , ma non già
fi egli fia in perpetuo , e continuo . Che non fi richieg- go molto
per comprendere, der I’aggevolezza , e la facilità con cui
voi favellate di tali colè ,• ad.ogni modo egli è colà di formilo
rimarco notare, che Eb- bene dove la lòcietà degli uomini folle Ha-
ta tra pochi, la permutazioné farebbe Hata baftevole , e fufficiente per
Io trasferi- mento det dominio , avendoli potuto di leggier con
ella non men ragguagliar il prezzo delle colè , che fcanzar ogni inganno-
. r » ^ 1 gliam dire
, o il Dritto di poterla dopo morto, adir e, non potendofi negare , e
recar in quifiio- ne , che ciafcano non pojjà il dominio delle co -
fe fue dt prefente , o in futuro, tra ferirlo in uf? altro , ofide he
viene , 1. Che le fuccejfio - ni per Dritto Naturate regolandrfi
mediante^ i pattile din quejti richiedendoli il confenfo dell' una,
e dell* altra parte, non riconofcain modo alcuno un colai Dritto gli
Eredi necejjar j , di sui favellano te leggi Romane IL Che non.
offa miga ne repugna difporre in parte a. tutto , dell * eredità ? giufiq
il fentimento de* Romani Qìureconfultì . III. Che V ere- de , dato
'eh* egli abili a il confenfo , non pojfq in modo alcuno ripudiare* , e
rifiutar 1* eredità . E 11C Che fe il teflatore fi ha ri- feriate
il dritte di rivocare , ed annullare , T 1 , afr
no , ed ogni frode , che vi poteatqai in- correre ,* poiché r uno avendo
deir altro bifògno , molto aggevolmente rinveniva a permutar
quelch’e* voleii ; non però nej progrefTò del tempo aumentato che fu di
. gran lunga 1’ Uman Genera , e crefciuto cotanto, qual, voi di prefènte
lo vedete , s avendo la fperienza fatto conofcere a’ mor- ’ »
tali • r • . '—- 11 ; 1 1 ' ' la fua di fp opzione ,
pojja e vaglia molto ben a farlo (7 ) ; Il perde uom vede manifepa
- mente , thè da quejio dritto non pano inniun modo lodati , o
approvati i tejiamenti , fen- do per verità fomma ripugnanza , e
contradiz- ziòne , che un uomo voglia in tempo che non può nulla
volere , e che traferìfca il domi- nio di una cofa , quando non ne fa piu
padro- ne , e f gnor £ ; e poco gli giova fe V abbia , o quejìi , o
quelV altrp ; fenza che il pii* delle volte in quel punto ejìremo della
vita , rinve- nendoli ciafcuno in un Oceano di p afoni , e
turbamenti interni \p fanno delle difpojìzioni, che dove veniJJ'e mai
permejjò peravvetotura r arretrarf , ed ejfere in buon JennOyf ave
- rebbe del pentimento , ejt vorrebbefertza fai - io..
• , • più affai
degli altri projjìmi , /’ eredità pajft di mano in mano dagli uni
agli altri , cioè , pria in quegli in cui V affetto del morto fi ere
- de che fiato foJJ'e affai grande , e maggiore , e dopo in
mancanza di quefii negli altri , ver fio cui quello fi crede chefia fiato
minore , e cosi di grado in grado , efiempre verifimile il cre-
dere , che in tal guifia gli uomini ri/petto a ciò fi convennero, ed
accordarono dal momento , in cui introdufi'ero i dominj , vedendofi
utt tal modo di fiuccedere in ufio apprefib le più antiche Nazioni
del Mondo , quali fiotto gli Ebrei ed altri di tal fiatta (io).
Comecché rii petto afigli egU vifia un'altro motivo, oltre ìl di
già qui recato , per cuìfiano da anteporfi ' . ; . 1 ; ‘ ‘ . .
nel- . ' Num.i 7 . 5 . feq. Genéf.if.j.j.tf. & 4S.;
i.Deut.ij; 1 6. 1 7. 1 .Reg. 1 .jf ,Xenoph.Gycrop, 8.7.Taci t.de
mor-Germ. cap.zo ' v 1 ' . s
J tutto ciò , che gli può mai efièr di meftieri per le
neceflità , e bifògne della Tua vita Ma per ritornar col dilcorlo cola J
donde ci dirpartimmo , e favellarvi di nuòvo de’ contratti , eglino
non efiendo , che meri patti , in elfi vien richièdo Hconfenló del-
le parti dell* iftcfl'o modo , che li domanda in quelli, e fono invalidi
, e di niun vigo- ' re per le medelìme ragioni, come pere- lem pio'
, fe vengon mai fatti per timore , per inganno , o fistio in altra forma
contra- rj al Dritto della Natura . Quello però, che tra quelli
reputali per Io continuo ulò , ‘che gli uomini ne fanno il più celebre
egli è ilcontratto di vendita , e di compra,, con cui per una
determinata quantità di danajo fi trasferire in altri il dominio di
cma qualche colà ; Quindi è fi. Chetraf* : ferendoli il dominio del
noftro in un altro • . v t • con nelle fuccefftOni de*
loro padri a ogni , e qua- lanche altro , cioè V ordine divino \ e h legx
* ere del Signore Iddio , per cui venne Jìabih- lo, ed % ordinato,
che quegli ottengano > e abbia- no per mezzo di quejìi la vita , e in
confequen- zu altreù li beni , fenza cui quella non po- trebbe
ejjèr a lor riguardo d alcun ujo » . a/ 9 con patto , e
condizione , che quelli ci pa- ghi una certa fomma , non li debba
mai conlègnar la cofa per cui fi è fatto il con- tratto al dinanzi
, che quella non lì abbia . II. Che doveper lo dilatamento del
paga- mento provenghi danno al venditore , que-?. ‘ fto aver polla
il contratto per invalido , e ' nullo, e farlo con chi più gli fia a
gra- do . Che dove il compratore lòdisfa , ' e paga il prezzo della
cofa , giufta la con- venzione al dinanzi fatta , il venditore fia
in obbligo , c in dovere confegnargliela , perdendo con ciò il dominio ,
che pria vi avea ; IV. Che le fi abbia mai convenuto di pagare dopo
un certo tempo , richieder non fi polla il prezzo , o domandare ,
pria che quello non giunga V. Che venuto il tempo in cui fi
convenne pagare j ilcom- peratore fia tenuto, ed obbligato farlo , altamente
debba per la dilazione, il danno , che peravventura ne proviene al
vendito- • re , rifarcire . VI. Che tutte le condizioni unite , ed
accoppiate a quello contratto di- compra ,*e di .vendita fia di mefiieri
lòdis- farle ogni volta , che fian giufie , eque , e * conformi al
Dritto Naturale . VII. Che rilàrcir lì debba aduom^tutto il danno,
che per quello contratto gli fi reca . Vili. Che fe la colà venduta
venga calvalmente R a danneggiata molto ^emp° prima, che fia
. confegnata al comperatore, come che fi fia il contratto di già ben
fermato, fi debba il Hanno rifornire , e rifar da colai , da cui
fimanc£; e fè la di (azione^ nacque da am- be le parti , ambe altresrfon
in obbligo di rifornirlo.; anzi quindi fè n’ inferire, che ]’ uomo
efiendo tenuto di far ad altri qyell* ifiefiò , eh’ è obbligato far a se
medefimo, debba l’ ufo del lùo , purché non abbia bi- fognb e
necellità ad altri, che ne fia mai bifògnofo, concedere ;avvegnacchè in
que- llo cafo dandoli ad un altro il Co Io ufo della,
Gli non è fuor di propo- fito il credere, che gii uomini
tutti per natura Obbligati di vicendevol- mente gli uni promuovere,
ed accrelcere il ben degli altri * ed in ogni , c qualijnque cofa
badar non meno al pi oprio, che al. pubblico »commodo, e TéiW za
difparità di Volere , o diverfità di con- fcnfo,o co^ volger vieppiù ad
uno che ad un altro lo (guardo , amarli, fé a quello obbligagione
mai, come lor conveniva, (lu- ' disto avedèro (odisfare, ed imperò,
man- tenuti fi fodero (èmpi e in una una (òcietà universe, ed in
quella , che dicono com» rnunion negativa delle colè (.b\ > non
fi /farebbero Vidi miga bifògnofì portagli a coftituir delle
(òcietà particolari, d ’ alcune poche in fìiora, npn volendo noi con
quello vocabolo di (òcietà altro intendere , eh’ un •patto da due,
o più perlone fatto per qukl- ’/ che fine, o per meglio dire, per
poter con le forze dell’ uno , unite ^ e congiunte a quelle dell*
altro , procacciarli qualche commune utile , ò vantaggio ;
irpperócchò dal momento, ch’ulàrono eglino, ed ar- dirono di mancar
a quedo , quella primfe- ra communion delle cole tra edì , e’quella
(òcietà dilciolta , per non poter nell’ edèr Uro più aver (ùdìftenza
alcuna , fi (labili in (ho luogo la communion pofitiva^ e non guari
dopo queda altresì , per aver la fpe- liienza datala parimente a
conolcere abbon- . dante di mille , e mille incommodi , e di-
‘ ' . fa- V. tratt. u i i . V, tratt. 3 f. . fagi
difmefia , e lateia da parte dare, s’in- trodufiero, come voi ben fàpete
i domici. E in apprefiò per riparare fé non in tutto in parte almanco
alle brfogne v e alle necefiìtà, in cui ciafcuno, per quel primiero
difòrdine , e per quella poca ca- rità , che l’uno all* altro portava ,
quali in profondo , e tempeftofò mare nuotar fi vidde , non 'che
immerfo, conforme lì or- dinarono de' commerci, e de’ contratti ,
co- sì parimente mille , e mille fòcietà diverte, e varie giuda I*
umane bifògne metter in piè fi viddero , ed apparire ; Il perchè
do- po aver noi rifguardato p uomo belli parta- ti jioftri
trattenimenti, pria telo nello dato Naturale, e dopo di brigata con gli
altri in una fòcietà univerfaJe, veniamo or final- mente a veder i
fòoi obblighi , e doveri In quelle ultime, con confiderar al dinanzi
la natura della fòcietà in generale, ed in ap- • prertò difcendendo
al particolare trattar a fpiluzzo di quelle, che tra tutte tengono
* il primato , come infra le templici la con-* jugafce, la paterna,
e quella eh' è di pa- drone e tervo comporta ; ed infra le meno comporte
le famiglie, come ‘infra le più cómpoftede Città fono e le Reppubbliche .
V- tratt.i.n.f. ì . *?f D,
Di tutte adunque le' fodera del Mondo non lu eh’ una lìdia l’origine ,
perchè tut- te, giuda il voftro avvilo, non sìmifero . in piè , nè
fi formarono , (è non fecondo le diverfe neceffità , e bifogne degltuomini
; anzi in tutte altresì fi ebbe uniitefiò fine , perchè non fi
rifgtiardò ad altro , fe non al commodo, ed utile commune de’ feci.
Ma quali feno le fecietà particolari , che farebbero fiate mai nel Mondo
in ufo , fe mante- nuta fi fofiè ben falda , e fiabile la fòdetà
Univerfale? .. - n * Egli è fuor di dubbio , che gli
uo^ mini, ejjendo tutti in obbligo, ed in dovere d ì amorfi a
vicenda ; e /’ urto come noti nato per se medefmo , dovendo non che
approprio , anche all ’ altrui commodo badare ,. quando cib tutto
efat tornente ojfervavano , non veni- vano a comporre che una focietà
univerfale jj fa f dica V Eineccio , il quale tutto
/caglian- do}! contro il Puffendorfo , che tratti avea , e d* affai
malamente inferiti tutti gli obblighi , egli umani dover ide Ila
focieta/f oggi tigne to- fo ch\ era ucm tenuto foddisfar a tutti quegli
che Là coniugale , e la paterna , fe pur
efièr non Vogliate del fèntimento de’ ftoici , che, come racconta
Lattanzio, che fi credevano,^ gli uomini vitti fi foderò
dapprincipio . fpuntar fuor della terra , 4 come or veggia- ino
nafcere li funghi ; onde per aver un v idea ben chiara , e netta delle
focieta, di- ftinguer fi debbono alla ftefià guifa , che fatto
abbiamo de* patti , in quelle che pro- vennero dalla mancanza di
fcambievole af- fetto, ed amor infra gli uomini, ed in quel- le, che
furono in ulò per al dinanzi , come da ciò , che apprefiò ne diremo
aggevole fia il comprendere . Or che riguardavano la
giufiizia , V umanità e la benevoglienza anche fe Jtato foffe pior
di cotal focieta ; imperocché fecondo la definizio- ne della
focieta , che qui fopra abbiam noi re- cato , e eh ’ egli non mette in
dubbio , fi gli uomini ciò fatto avefièro,come conveniva , fen- za
difeordar punto tra efii lorojhe altro egli- no venivano a comporre , fe
non una focieta ? anzi da quel che noijquì fopra dello fiato Na-
turale abbiamo mojiro , fi viene parimente a conofeere la mel'enf aggine
di colobo, chef cre- dettero gli uomini in quello fiato vivuto
avef- f>'° * 7 * £>. Or per verità
ne’voftri principi rinvengo, .jj li. lènza alcuna pena, la natura della
focietà in generale ; imperocché ogni focietà non efi - fendo , eh’
un patto fatto da più fedone unite infieme perpcocacciarfi tutti cori
un concorde volere qualche ben commune, o - 4 utile , fi può
cop tutta ragion conchiùde- re . I. Che la felicità della focietà in
al- tro non confitta , che in non rinvenire otta- colo alcuno , o
intoppo in far quell* acqui- S tto,* - fero • allo
9 uifa delle fiere , e degli animali Jelvagai ; e che • Nec
commune bonum poterant (pela- re, necullis • ^ Moribus inter
fe feiebant , nec legibus uti. Comecché quanto ne feriva il
Puffepdorfio y ( a ) ed Obbes ( 3 ) , non fa dì minor fojle - gno :
perche molti malori , come la povertà , la fame , ed altri sì fatti , di
cui eglino dico - no , che fopr abbondati fojjero quegli , che vif
fero in quella età primiera f veggeno altresì Jòvente nelle focietà
civili , in cuborS è divi- fi 1 (0 Lucret. I. 4 . v.jr?. , (*) De oft‘. hom. &
civis II. 1. 9. (Ó DeCiv. dt in Leyiath. Js
‘ , ito, per cui fu Inabilita . II. Che fi deb- ba da’
fòcj metter ogni cura , e ftudio in far tutto ciò ; che può mai efiér per
la lor fociem di qualche utile , o vantaggio con anteporre mai
Tempre il bene proprio al ben commune . III. Che non, fi polla
(cior i ih niun modo d’ alcuny di quegli ,• che vi ; « tòno al di
dentro^fenza il contento degli al- tri , purch’ egli non vi fia fiato
introdotto o per forza , o per inganno, o per timore, o non fia
élla contro ildritto, e l’equità Natu- rale , ovver da'ciò a’ compagni
non avven- ga alcun danno . IV. Ch 9 ogni focietà fi finifcha,
ottenuto che fi ebbe il fine,per.cui fu fatta", come .ogni patto eh
9 è fia, vien che un uomo è obbligato inverfo !’ altro
uomo; e che conforme due , o piu perfone afloc- ciar fi pofiòno, ed
unir tra dì. loro per com- porre una focietà , così due, o pm
focietà unite per un medeCmo fine ne poflon far un’altra. Ma pollo per
vero tutto ciò, eh a ogni focietà appartiene , venendo a
quel- la di cui voi vi fietc propofio tenerne me- co un particolar
fermane , come detemte di grazia la focietà coniugale ? - per
una lòcietà molto femphee , ni. ta da un mafchjó , ed una donna a
fin eli poter procreare , e generar della prole , ea affai
ben edurcarla. Vaglia il vero per favellare fecondo li vroftri principi
fazioni noftre Naturali fa- cendo meflitr, che convengano fempre ,
e concordino , con quelle che fono in noftra balia, e arbitrio (/)
e il coito degli am- mali , o fia la congiunzione tra rnafemo , e
femina , efTendo fiata dalla Natura in- di tuita, ed ordinata per la
propagazione, e consèrvazione della fpezie (g ) , e per ciò adoperar
dovendoli dall’uomo, per quel che da lui dipende, per quefta ifiefià
ragione , quella lòcietà , dove non f»a formata che per quello riguardo ,
non v’ha dubbio Tt’AttfX.n^ (g) Traf /
chV fia lina delle fòcietà conforme del tut- to a* principi della Natura;
ma effondo cia- fcun in dovere , ed in obbligo d* amar 1* al- tro
non meno di lui medefimo ( h ) , ed imperò convenendo , che di quelli, che
fi veggono di recente u/cir ( alla luce del Mondo , e che non fanno
se medefimi edu- care fi abbia tutta la cura , e la diligenza
pofiibile ; cui quella fpetta di ragione ? .AUi medefimi loro genitori ,
poicchè ef- fondo quelli in vita, non v* ha ragione alcu- na perchè
una cotal briga addolfar fi debba ad altri;onde la procreazione di nuova
prò. • * le, non potendo in modo alcuno , fopararfi dalla di lei
educazione, in quefta fòcietà coniugale aver fi deve nonmen 1* una
che T altra ( B ) per fine ; avvegnacchè come da quello ifiefiò,
che detto abbiamo altresì ben fi comprende , quegli foli fiano
tenuti li padri educare , clje nafcono da congiun- / zioni befl
certe, e leggitime, e di cui vivon S $ fi»- (h)
Tratt.i.Hsi. (B) Quindi •viene , che fiano inabili , a
formar una tal focietà tutti , coloro , che non fono atti non meri per la
propagazione de? fi - gli che per la lo* educazione . •V r
, / DE* pRI*r C I*P J ' ficuri eh’ eglino fteftj fi furono,
gli autori . V. Credete voi , che per un uotno pofla ba- ” fiar una
donna c per una donna un uomo? M. • Efiendo il fine di un? tal fòcietà la
procreazione , quello egli non è miga da met- • terfi in dubbio,
pqtendofi in cotal guilà • lènza alcuna malaggevolezza ottener
un cotal fine. Ma vi è modo da /ciotte sì fatta lòcietà ? M.
Nò ; imperocché ogni fòcietà difeiorfi • non potendo pria , che fi abbia
ottenuto il fine per cui fu inabilita', comeabbiam noi- detto al
dinanzi , ed in quella efiendo me- 1 {lieti non folo 'procrear della
prole j m* al- ' tresì adoperarli di ben educarla-, e perciò fare ,
e ridurla in un fiato , che non abbia neceflìtà alcuna de’ genitori ,
abbifognan- doviilcorfò di più, e più anni continuo, e’ convien che
fi mantenga da’ lòcj lunga- -• mente , anzi fi conferva fin- alla Ior
morte, > e lalcino quella erede de’ proprj averi, Co-me Una
lèquela della vita , che per mezzo di efiì ottenne . Dunque quefia
lòcietà naturalmente è in- (òlubile ? • M. Infòlubilifiìma •
non efièndovi altro, che’l’adulterio commefiò da un de’ coniugati , che
render pofià giufto in qualche modo, e ragionevole il luo fcioglknento ;
cioè , le la t- la donna , o l’ uomo ,
venga mai a conce- k ' dcr ad altri , che ne fia al di fuora Tufo
del filo coi^o , e della fiia carne ; imperocché in quello calò
lòlo da un di quelli venen- doli .contro' il patto fatto nella foci età
ad operare, e .ogni patto intendendofi fatto • con condizione di adempierlo
, dove F al- • tro, con cui vien fatto non manca dal filo canto altresì
far il medefimo, quello (la la donna , lià 1* uomo , cui non fi oflerva
la fede non è in dovere neppur dalla fua par- - te di olfervàrJa (
C ) ; in guilà che fe ciò non avviene, egli s’intende la lòcietà di
nuo- vo contratta, ed inabilita . D. Of il di più , che mai
appartiene alla na- tura di quella focietà io ritrovo , lènza du-
rar fatiga', negli flelfi volìri principi impe- rocché da quegli vengo
naturalmente a comprendere . I. Ogni focietà altro in realtà non
effendo , eh’ un patto,* e nelli ... S 4 pat*» Qui favelliamo
foltanto fecondo li lumi della Natura ; imperocché la nojìra J^e~
ne randa , e Santa Religione neppur in quejìa cafo permette un vero e
perfetto fcioglimento l ma foltanto una femplite fepar azione di ma-
rito , e moglie , quo ad thorum . ] patti richiedendofi di
neceffìtà il confènlò di coloro , da cui fon fatti, non fi pofià
que- lla lòcietà coniugale cofiituire in modo al- cuno fenza il
conlènfò di coloro , che la contragono; o che qualunque volta que-
llo fi fu dato Iciorre non fi debba in anprefi- . fo da una delle parti,
fenza il conlènio dell’ altra; ed al rincontro dove quello manca o
vien dato forfè per inganno , o per timo- re , o per altra sì fatta
guilà,’fia invalida , • e di niun valore , come ogni patto fatto
in . quello forma ( i ) . IL Ch’ efiendo ogni uno , eh’ è nella
focietà obbligato promuo- . Vere il vantaggio e l’utile di quella
infic- ine con l’ altro , ed impiegarvifi dal canto Ilio , quanto
più vaglia , debbano il mari- to , e la moglie operar dheoneerto
fèmpre a lor prò commune , e de’ lor proprj figli con trattar del
continuo, lènza mai celiare di augumentare , ed accrefcere quelche
può efier mai necellàrio per li bifogni,e per • gli aggi non meno proprj
, che di quegli, pur che far lo pollano lènza mancar in nulla agli
obblighi ,e doveri, cui naturalmen* te e’ fon tenuti lòcjisfare . III.
Che per quella médefima ragion per cui conviene ch’ i focj operino
concordemente tutt* ora . per (0 Tratt.i liutai .
i8r per il bene della lòcietà, 1* uno rimetter do- vendoli al
confèglio , ed al parer dell’ altro, ogni volta che quefto fi conofcd più
vanta g- gielo , e profittevole del luo per quella , faccia
mefticri che la donna nella lòcietà coniugale per torre , e levar di
mezzo ogni materiali rifie , e di piati lègua il coni- glio dell*
uomo , e l’ ubbedilca in tutto , efièndo quefto il* più delle volte di
lunghi^ fimo Ipazio vie più di lei di buoni conigli abbondante , e
d' ottimi efpedienti fecón- do , come che non fia cola miga fuor di
propofito, quando bilògna , eh’ ella altre- sì ammoniltha il marito,
purché far lo.làp- pia a luo tempa, e luogo, lènza moftra alcuna d’
autorità , o d’ impero IV. Che non potendofi aver per perfètta , e
com- piuta l’educazione, lè non dopo, che i. figli aver poflòno un’
intera cura di se me* defimi , fiano tutti li Genitori obbligati di
locare , e maritar lé figlie con una dote congrua , e proporzionata al
proprio flato . V. Ch’ ogni lòdo efièndo mai lèmpre il' padrone di
quelche del luo abbia nella lò- cietà portato , e non perdendone egli
quel dominio , eh’ al dinanzi n* avea , nè di que- llo all* altro
lòdo competer potendo mai nell* altro, làlvo che 1* ulq frutto, non
pofià il marito nella, lòcietà coniugale de’ beni t Noft.
Att.] :. obbligo di far in modo , che P azioni de* proprj figli
fiano regolate, e rette giufta al dritto della Natura , egli è meftieri
da buon ora P avezzino e P accoftumino in guifa che non manchino
mai di foddisfare . a tutti gli uffizi, obblighi, e doveri che
devono inverfo.Dio, inverfò se ftefiì , ed in vetfò gli altri, ed
acquietino in.ciò col tem- po P abito ; apzi per far che non
abbiano tuttora bifogno di loro , e badar pofi- fano eoi tempo a
tutte le bifogne , e le necef- . principio imbuta paternis fèminis
concretio- tie, ex matris etiam corpore, & animo recentem indolem
configurat ; Neque in hominibus id fòlum , fèd in pecudibus
quoque animndverfum , nam fi ovium laéte haedi , aut caprarum agni
alerentur , conftat fcrme«in his lanam duriorem , inillis capil-
ium gigni tèneriorem . In arboribus etiam , & frugibus major
plerumque vis , & poteftas eft,ad eorum indolem, vel detreèfandam
, vel augendam , aquarum , atque terfarum quae alunt , quam ipfius
, quod jacitur fèmi- nis . Che empietà £ qi/efìa egli figgi ugne ì
che modo dì madre imperfetta ? peperifie , ac flatim ab fefè abjeciffe ?
aluifie in utero fàn- gui- * r- » #
v •# i» tut- •* » •
Jw \ proprio arbitrio efièndo fiato dato a’padri per
non faper quefii da se fiefli ben regge- re i* J
• ‘ ..* tutti , e come cofa che richiede molto dipen- denza , molto
malagevole afarf. Egli vie n 1 riferito da Xenofonte , fecondo che fcrive
Ci- cerone (14), Hercole tantofo , che princi- piò a fare la prima
barba , tempo , che fu a cìafcuno dalla natura dato proprio per,
eleg- ger f qual fato di vii a f debba tenere , efer gito in un
certo luogo f alitar io., ed ivi.pff *a federe , aver molto tra te, e
lungamente , dnbbitato in qual delle due frade , che egli avea
dinanzi , dove a muovere il piede , e fe per quella del piacere , 0 della
virtù j dato , eh' una tal podefià tratto avejjì /* ori- chè
quelli , che per quanto intefi comunal- mente , fi nominano tutori ,
Succedendo realmente in luogo di quelli , è meftieri , eh’ abbiano
di necefiìtà quell* ifiefiò penfie- ro , e quella fiefla cura delle
perfòne , le quali vengono lor commeflè > o per me- glio dir de’
pupilli , che n’aveano quegli vi- vendo , e ne amminiftrino gli avveri
lafcia- * ti loro; ed al rincontro egli è colà d’ affai convenevole
, che i pupilli inverfò i tutori fi gì ne dal dritto
delle Gentile ''me che non fia mi- riore quello del Obbejio^e del
Vuff'endor fio grat- tala quejìì dalla focietà , e quegli dalla oc c
li- bagione ; vagliti il vero è di gran lunga viep- più
-ragionevole V oppinion di coloro , chevo- * gliono ^ cF ella provenga
totalmente da Dio ; ^perchè quefìi volendo che i figliuoli fi
conser- vino in vita , e ciò non effendo co fa che poffa in alcun-
m r do avvenire fenza V educazione de * loro padri , egli fi crede , che
Dio voglia , alt r eiì che li
padri badino attentamente a quefìo , ed in conjeggienza abbino tutta
quella pode/tà che naturalmente a ciò Jì richiede , non effe n dovi
alcuno , che voglia un fine , fenza thè 9. elio Jìeffo mentre non voglia
parimente i mezzi, che a giu gner vi , e\ reputa nedffarj . . 2
9r •* fi portino in quello ifiefià guifà , eh* e* fi portavano
inverfò i proprj padri ; quindi conforme i contratti de’ figli di
famiglia fènza il confènfo paterno fon nulli, ed inva- lidi, così
altresì quelli de’ pupilli , fènza 1’ efprefiò , e tacito voler de’
tutori ; e come per li benefizi , che i figli dalla buo- na , e
ottima educazion de’ padri ritrag- gono , devono efièr in verfò quegli
fèmpre. mai riconofcenti , e grati , così li pupilli per la
medefima ragione ogni fòrte di gra- titudine devono inverfo i tutori
ufare , ed ‘ amarli , e temerli , edubbedirli , come a quegli
appunto faceano; (ebbene non com- petendo a’ tutori de’ beni de* lor
pupilli al-, * tro , che 1* amminiftragione , e la podefià v
di confumar de’ frutti , quanto può efièr mai necefiàrio, ed utile alla
lor buona edu- cazione , alienar non pofibno degl’ immo- bili nuli’
altro, (alvo quello, che perciò fi richiede , e che non alienato , 0.
(mal? dito, farebbe fènza fallo per quelli di un gran nocumento, e
difeapito; colà che , ‘mi crederei , nello fiato della Natura pria
non fi facefiè , che refi non fè ne fofièro fidenti , e confàpevoli gli
agnati , e gli pa- renti ; ed in difetto di coftoro quegli della
medefima contrada , o vicinato,. o gli ami- ci del trapalato per dilungar
da se , e tor- T 4 re re ogni qualunque cattivo „ e
finiftrotò- /petto , che altri mai formar nè potefiè; poiché in
realtà al Mondo non bada miga che fi operano da noi, e fi facciano delle
colè ben giufie,ed eque,* m’abbifògna altresì, che tutti 1* abbiano
per tali ; H perchè non è del tutto fuor di propofito per 1* iftefia
ragione creder parimente, che in quello ifiefiò fiato i tutori
portati fi folfero a render un ben efatto conto , e ragione della lor
ammini- ftragione in un tempo fiabile, e certo,* come a dire,
compita, che fi avea la tutela a quefti ifieffi , che al dinanzi cennammo
; c che non fiando bene danneggiar veruno , ed imperò dove
avveniva, che li tutori ren- deano qualche danno a’pupilli, effondo
te- nuti di ri fa rio, quando di ciò fi avea qualche fofpetto ,
niuno lènza il contentò di quegli conveniva prefo avelie una sì fatta
ammi- niftragione.Tuttavolta non elfondovi alcuno in obbligo
gratuitamente, e lènza mercè al- cuna d’impiegarfi per un’altro, dove
perav- ventura avviene , che li pupilli , per una buona , e foggia
condotta de’ tutori ven- gono^ farli vieppiù ricchi,ed abbienti ,
egli fembra , che debbano in ogni modo , ab- bordando delli flutti
dj quelli beni, che quegli amminifirano , compenforli in qual- J
che parte al manco, te non in tutto della I05 , àft efatta
diligenza ; avvegnaché in fatti do • ve quefti frutti*, o beni che fiano,
non ba- ftano per la buona educazione , egli è di vero una colà
molto ingiufta, ed iniqua , il j ciò pretendere . Finalmente comunque
ciò fia,da quefti medefimi voftri principi fi ri- trae, giunti ,
che quefti fi veggono a fàper ben diriggere, e regolar se medefimi ,
Fin» compenza de’ tutori termina , e viene a fine , come nello
fletto mentre a terminar verrebbe , e finire la podeftà de’ padri ,
il luogo di cui eglino , come noi abbiam te- fiè detto , occuparono
. Ma (è per avven- tura al figlio nello flato Naturale il padre
lafciato non avette tutore alcuno , chi credete voi che ne dovea imprender la
cura? Gli agnati, e li più profiìmi , ed in man- canza di coftoro
gli amici del morto , o gli più vicini , cui fecondo che voi
fàggia- mente detto abbiate , da* tutori dar fi dovea conto della lor
amminiftragione , fèn- do ogni uno in obbligo , ed in dovere per
quelche v* hò più fiate moftro, far per gli altri , quelch* e’ vorrebbe ,
che quefti fà- ceflèro per lui ,* anzi quindi ne fiegueparimente , che
dopo il total dipartimento delle colè, coftoro altresì fiano in
obbligo ed in dovere di fomminifttar a* pupilli il Accettano per la
lor educazione , e » •> t r •i iòfientamemp
fé gli averi de’ Ior genito- ri , non fian perciò rhrga' (ufficienti , e
ba- fievoli , o di quelli affatto nulla fe ne rin- veniffe. Spiegatemi
1* origine della lèrvitù , ed in Vl.che confida la lòcietà , che fi forma
di pa- drone, e fervo. v M. Molte moltilfime fiate abbiam di
già noi detto , che introdotte le fignorie , e li domini delle colè , gli
uomini per meglio po- ter (occorrere , e (ovenir alle lo r gravi neceflìtà,
e bifogne, portati fi fodero ad infti- tuire , e rinvenire una infinità
di ben dif- ferentrcommercj per permutar a vicenda tra di lóro non
Che quelle cofe, con quelle, una fpezie altresì/) un genere di
travaglio con un’altra (pezie,o genere molto divel la; Or tuttociò
foppofto per vero, egli e veri- fimile, che facendo quello, rinvenuti fi
forièro pur infra di elfi di quegli, che fi con- vennero in modo, gli uni
agli altri fonami-. niftrato aveffero , e dato il vitto , 1*
abito,' ed ogni altra colà dsl Mondo necedaria al proprio
foftentamento , ovver qualche giu» Ha mercede, e quefti per quegli
intanto impiegati fi fodero con tutta l’ induftria e la diligenza
podìbile in colè lecite totalmente , ed onefte ,* e che così paffj padò -
introdotta fi foffe tra il Genere Umane) quella sì fatta -focietà ,
che fi forma di padrone , e fervo ; poiché con ciò in fin noi altro
intender non vogliamo *, che un pat- to in tal guilà , e con quello fine
, da due, o più perfòne fatto y fervi propriamente giuda la commune
favella coloro nominandofi , o ferve , che per altri impiegano il Ior
travaglio, e padroni, e (ignori al rincon- tro quegli in utile , ed in
vantaggio di cui lo s’ impiega, e che fon in obbligo ed in do- vere
di fomminifirare a quegli quanto allor foftentamento fi richiede;
comecché oltre quello genere de’ forvi refi tali dalla natu- ra
(leda , che foggetta mai Tempre il peggiore al migliore , egli ve n’ abbia
un’al- tro diverfo , eh’ è di quelli , che divennero - tali per
legge , come per 1* appunto fon tutti li (chiavi di guerra , che fervono
lèn- za aver fatto al dinanzi col padrone patto alcuno. * v'
. D* Li doveri dunque , ‘e gli obblighi de’ for- vi , e de’
padroni , riduconfi tutti a quello* cioè , che formando eglino una
focietà , la quale non confitte in altro in fin , che in un patto,
e li patti tutti conforme al dritto della natura dovendofi ottèrvare , debba-
no i forvi efoguire tutto ciò,ch’ è lor impo- 1 Ilo , ed ordinato da’
padróni; e non è nè al- le leggi , nè al patto fatto con etti opp;
fio o contrario; ed quelli fiano in obbligo al rincontro , e
in dovere di fomminiftrar lo- ro tuttociò , che può lèrvire in
qualche modo per le lor perlòne , giuda la lor pro- metta ; in un
motto il bene di un lòcio in ogni lòcietà preferir dovendoli, ed
antepor- fi a quello d’un* altro , che n’ è al di fuo. ra , devono
i fervi per li padroni , e quelli per quelli far tutt’ ora quantunque
più poflòno , e vagliono con preferirli e ante- porli a qualunque
altro del Mondo ; e per che non v' è patto che fcior li pofia
d’alcu- no lènza il confenfò dell’altro tra cui inter- venne, non
può in niun modo nè F uno lalciar 1* altro al dinanzi del tempo
(labi* lito , e fidò , nè l* altro I* uno ; Ma come • volete
voi che i fervi impieghino in tal • guifa la lor induftria peri
padroni, che del tutto non badino al proprio ? M. Senza
difbbio quando fono in ozio , e lenza occupazione alcuna di rimarco
de* lor padroni, pottòno far quelehe vogliono- . non potendo ciò
per quelli ettèr d’ alcun nocumento ; ma ettendo occupati , ed in
negozj gravi diltraer non lì pottòno in nul- la, fenza aver il lor
conlènlò. D. Perquelche rilguarda gli Schiavi, fon eglino al
tri/ come li fervi tenuti di dar elo- cuzione agli ordini, ed alti
comandi de’ padroni ; purché quegli fian giufti, ed onefti , ed abbiano
eglino forzg bafievoii , e luffi- 1 denti -per efeguirli ; differilcono
però mol- to quelti da fervi in ciò , ch$ a* padroni in elfi
competendo quell’ ifteflo dominio, che anno nell’ altre colè loro ,
eglino vagliano ad alienarli e venderli altresì , come que- lle;
comecché un cotal dominio efiendo molto limitato e riflretto dal dritto
Natu- rale , e non convendo in modo alcuno ap- partarli da quello,
non venga mi ga lor permeilo , come di tutte l’altre colè , Rabbuiartene;
quindi è che proveder li devono di tutto quello, che al lor
follencamento fi richiede , e rattenerfi da impor foro del- le cole
luperiori , e al di lòpra delle lor forze , o che ridondino in qualche
modo in dilcapito della lor fallite ; Il perche al- tresì dove
quelli peravventura fi molìrafiè- ro redi , e ripugnanti a’
commandamenti de’ padroni, lèbbene ufàr fi pofiono contro, loro
tutti li mezzi poffibili del Mondo pgr ritraerli all* ubbedienza , ed
all* ofièquio a quelli dovuto, non però mi credo, che met- ter fi
debba in obblio,ch’eglino fiano uomini come a noi , e per conlèquenza
mancar all’ amore , eh’ agli altri fi deve . 2 / 1 . Ma
vaglia il vero promuover dovendo ogni uno la felicità , ed il commodo
altrui non meno eh’ il proprio ; perche lo flato d’ una
fefvitù perpetua , ed illimitata por- ta feco molti, moftillìmi jncommodi
, poi- . che è di leggieri converter fi può e palìàr in abbuiò, non
fi deve permetter molto vo- lentieri, 0 sì indifiintamente, che vi fi
lafci- >no marcir coloro , che liberi potrebbero di lunghiflìmo
fpazio giovar a le ed agli altri. D. Reputate voi del tutto inutili li
/chiavi rer una Reppublica , o per una Nazione? Nìa;( H ) anzi ne
potrebbe ella dedurre molto utile e vantaggio , con ritraerne una
infinità d’abbitati per le colonie,e farne al- tri buoni ufi; ma farebbe
egli meftieri, che da legislatori fi raddolcifiè in qualche mo- do lalor
{chiaviti! , e fi trattali renderne la idea, alquanto più dilettevole ;
con pro- # veder perefcmplo alla durezza de’ lor padroni , con
afficurarli del notrimento in • tempo di vecchiezza , o infermità ,
con fa- . vorir'li lor matrimoni , e con altri sì fatti .
modi , per non incorre in quegli inconve- nienti , eh’ incorlèro rilpetto
a quefto particolare I ROMANI. Vedrebbe • altresì per alcuni la fobia-
vitùfervir d’un gran mezzo per dilungarli dal male. Veniamo ora a trattar
della famiglia. M. Quella come noi dicemmo, è un corpo, o
VII. una fòcietà comporta di quefie fòcietà per l’appunto, di cui
abbiamo fin adora fa- vellato;comecche porta fòrmarfi ella di tut-
1 te , e tre quelle unite in uno , o di due fòl- tanto ; e nel primo calò
T abbiamoci realmente per aliai ben intera , e perfetta , nel fecondo per
imperfatta. A cui credete voi ; che appartenga di ra- gione il
governo di una sì fatta focietà ? ÌM. Al padre , e alla madre di
famiglia , che fono quegli rteflì , che nella fòcietà coniu- gale
portano il nome di marito , e moglie, nella paterna di madre , e padre ,
e nella fòcietà ,-che fi compone di fervo , e padro- ne , eglino fi
nominano padrone , e padrona. Riguardo al padre di famiglia io ben mi
perfùado, che convenga egli fia il capo della famiglia , per la rtefia
ragione , che Vuole il marito fia il capo della fòcie- tà coniugale
, il padre della paterna , r ed il padrone in quella che fi compone di
lui e fervo ; ma per quelche s’ appartiene alla madre , io non
comprendo , perche vo- gliate altresì, che fia fatta ella partefice
di quella fòvranità? flf, Dubbitar non potendoci , che alla madre
non competa naturalmente parte della po- defià , e dell’
autorità , eh’ al padre com- . pete ne’ figli, e come padrona parte
di quella , che ha il padrone ne’ fervi , e nelle ferve ; e che
poflà ella altresì quando con- venga ben configliare , e ammonire il
tuo marito , egli è certo che debba altresì di ragione efler fatta
partefice del comando , eh* hà il padtedi famiglia , o per efpreflò
, o per tacito confenfò di coftui. Quali sono li doveri e gl’
obblighi di un padre di famiglia? Ogni focietà avendo un certo fine
proprio , per cui fù inftituita , ed ordinata , e dovendofi in effa
attentamente Tempre mai a quefto badare , ed aver l’occhio, dove
far fi può lènza contrariar in nulla alle leggi naturali j in ogni
famiglia tutta la dili- genza , e tutto lo Audio impiegar fi deve
in far , che 1* azioni di ciafeuno ficrno in tal fatto modo regolate , ^
rette, che il fine d’una focietà s’ ottenga fen za edere di danno
alcuno , o pregiudizio all’ altra j e confequentemente il dovere, e
l’obbligo d’ nn padre, o d’una madre di famiglia, che camanda in
nome di quello , cui sì fi deve tutta la poteflà, confifter deve in fare,
che tutte l’ azioni de’ Tuoi domeftici colpifca- _ no concordemente
, e con ordine un mede- mo moline; cioè rifguardino
univerfàlmente all* utile , e al commodo di tutti fenza ri- ferva,
o eccezzion alcuna di perfòna; quin- di dove abbia peravventura *una fol
fiata quelche far fi debba a ciafcuno importo, e ordinato, e non
deve a patto alcuno impu- nemente lafciare , e fenza galligo
quelche fi opera , è fi fa in contrario; e perche ogni fòcietà fi
rifguarda come una fòla perlòna , e il commodo , e 1* utile di
ciaf- cun de 9 focj merita pofporfi a quello di tut- ta la
focietà,egli fi deve nella famiglia tan- to dal padre , quanto dalla
madre di fami- glia anteporre fèmpre la fàlute di tutti ir» .
generale a quella d 9 alcuno in particolare ; come che trattandoli d 9
eflranei preferir fi debbano a quelli ed anteporre tutto tempo
quegli , che non fian tali. D . Quali fono gli obblighi, e li
doveri de* domeftici ? M- Per dir tutto in un fòi motto ,
eglino in- gegnar fi devono di non lafciar occafione alcuna addietro
fènza non promuovere il commodo , e l 9 utile cominunedi tutti del-
la famiglia , e di ciafcuno in particolare. V. Or in fine palliamo
alla fòcietà civile , e VlII.procurate in ogni modo, eh 9 io n’
abbia una idea d 9 aliai ben chiara , e netta. jW. Qjicfla nonè a
eh 9 una sòcietà comporta C V di X f - di più famiglie
congiunte, ed unite tutte in uno a poter inlìeme vie meglio
promuove- re , e portar avanti il lor ben comune, e per mettelli in
iftato da poter con magior aggevolezza difenderfi , e liberarli dagli
inibiti, ed aflalti de 9 proprj nemici ; impe- rocché edinto , che li
viride infra gli uomi- ni quel cado, e fànto amore, e quella carità
fraterna, e lènza elèmpIo,che giuda più , e più fiate dicemmo, l'uno
all’altro dapprin- cipio vicendevolmente portava, prefo aven- do
ogni uno di gir a lèconda delle lue pro- prie voglie , e delle fue
isregolatezze , con aver in odio, ed in abbonimento il compagno , l 9
amico , e fian anche il più a lui congiunto di languc, o di patentato,
e perche 1* obbligagione di quelle fante leggi che indentro a fe
portavano , e nel proprio feno ilcolpitc,ed imprefie,non badavano
in modo alcuno a rattenerli , ne a reprimerli, e per efièr tutti
uguali di natura e pari, ne Giudicp , ne Magidrato rinvenivafi
dinan- zi cui metter termine fi potelTe , o dar fine alle lor
contefe , da per ogni parte, non ufandofi altro , che forza , e furore ,
e fovente imperò venendo P innocenza op- prefia,eogni giudizia
sbandita e lafciata jn un cantone; rare volte , o non mai rinve-
nendoli una famiglia in idato da poter opporsi
e far farsa alle violenze , che da* fuoi contrai] fin nel fa 0
proprio , e nazitf albergo l’ erano a tutto poter commefie , molte
moltiflìme famiglie in cui allora ve- niva devi fa il Mondo, per torfi da
tanti , e sì gravi rifchi e perigli li unirono, e fi ob- bligarono
di difenderli ; e rilèrvandofi la libertà di poter dire il lor fantimento
nelle rilòluzioni delle cofe di magior rilievo, che fi prendevano
jn nome di tutta la commu- nità, diedero per lor maggior pace , e
quie- te , il governo della lor facietà , e P ammi- nifi ragione a
uno , o più per fanne , d’ af- fai più prudenza, e coraggio degli altri. Vi
è farle noto quando cominciarono que- lle focietà al Mondo?
fll- Nò comeche abbiam ogni ragion di credere che per un lungo
tratto di tempo, non vi fòdero fiati delle Monar- chie, e degli
Principati di gran valliti , ed eftenzione ; imperocché quanto più in
die- tro fi mira, e fi pon mente alla ftoria de* / V a pri- Cosi
appunto rifurono le Reppubbliche de%li Oriti , e dì molti altri apprejjo U,
Diluvio , come j * -imprende dalla Storia del vecchio tejlamento.] primi
tempi , tanto più fi rinvengono degli fiaùmolto, piccioli, e in gran novero
, che non erano guarì gli uni dagli altri di- ttanti , e che non
aveano molto pena ad unirfi quando bilògnava , e facea lor mettièri di
tener conlèglio de’communi inte- reffi , ovvero ilcampievolmente
(correrli ' contro le violenze de’ lor nemici . Egli è il vero ,
che comunalmente 1* Impero degli Attiri fi abbia per la prima Monarchia
del Mondo ; ma non per quello fi può egli aderir di fermo, che quella fi
fù la prima focietà compolla di più , e più famiglie, non potendoli
da lenno per alcun dubbia- re , che ella ringraridir non fi vidde ,
ne gingner a quello fiato pria di non afiòrbir in le, e divorare
per così dire, un infinito numero di picciole lòcietà , o
Principati, pome la Storia lo c’infegna . Spiegatemi diftintamente
, e fenza alcuu IX. interrumpimento quelche appartiene al buon
regolamento di quella focietà . yVf, Ragionando fecondo li flefiì nollri
prin- cipj , egli è certo; Che avendo quella per fine il ben co-
mune , e la ficurczza di tutti quegli , che la compongono , ottèrvar vi
fi debba come legge fondamentale di non far colà alcuna contraria ,
od oppofla alla làlute , ed alla tranquillità pubblica; quindi
formar dovendoti giudizio dell’ azioni de* parti- colari Soltanto
riguardo a tutta la (òcietà , ed a quello fine ; molte moltiffime cote
av- vegnaché giufte , e permeile dal Dritto Naturale, (ovente efler
pofiono in efià in- giufie , e irragionevoli . II. Ch’ogni una di
quelle (òcietà Civili, (ècondo che noi di- cemmo favellando della (òcietà
in generale , non confiderandofi nello (lato Naturale, che come una perfona , E
uffizi dell* una inverfò 1 T altra fian realmente pii (ledi di
quegli d’ un uom inverfò 1* altro uomo. Che acciò non v ’ abbia in quelle
(òcie- tà chi diflurba , o inquieta in modo alcu- no il ben
pubblico, ne venga niuno impe- dito , o diftolto , anzi fian tutti
aggevolati a foddisfare a lor obblighi ,' doveri , g uffi- zi ed
òttenghino elleno (ledè il lor fine, ‘ abbilògna che di tutto ciò fè ne
commetta V 3 la ...Per quejìo ir ogni Città , 0 Rep
pub- blica in tutti modi gajtigar si devono , e punir coloro , che
operano in contrariamoti ufar tut- ti mezzi pofìbili in far che le lor
arti non sia- no di difcapito , 0 di nocumento alcuno al pub- blico
la cura a certe perfone , e fi obblighino gir altri a far dal conto loro
quanto a tale ef- fetto venga mai da coftoro ordinato , e ^abilito;
ed in fatti ogni fiato , Regno , o Reppubblica par che fiiftìfta per un
cotal patto, fia efprefib , o tacito infra coloro , che la reggono
, come capri, e n’anno il comando, fiano Principi , Magifirati , o
al- tri , ed infra quegli, che ubbedifcono , e vi fono in luogo de*
luciditi , o di tanti mem- bri , IV. che tutti li patti conforme al drit-
to Maturale dovendofi offervare, quefti al- tresì , che efprefiì , o
taciti fi fanno, infra fòdditi , e Regnanti dar fi debbano ad effetto .
V. Ch’ a tutti i Regnanti apparte- nendo la cura di tutto ciò, che mai
riguar- da la pubblica tranquillità, e fàlvezza e’non, meno aver
debbano una piena contezza de* mezzi necefiàrj per poter a ciò pervenire
, che un voler fermo, ed affai ben coftante di non comandare ne far
altro, che quello, che può unqua per quefto valere ; e per- ch’
egli è impoffibile che a quefto giunga- no lènza una efàtta ofiervanza
delle leggi Maturali , fono in obbligo ed in dovere al- tresì d’
inviggilare su quefto, e far che niu- no de’ lor fudditi manchi sù
quefto* parti- . colare ; onde nello fteflo mentre veniamo a
conofcere che tutta la noftra felicità in quello Mondo ottener non
potendoli in al- tro diverto modo diverto da quello (/) fi debba da
Regnanti a tutto potete in tut- te colè aver la mira a non altro, che
alla fé licita di tatti coloro che reggono , e go- vernano . VI.
Efièndo quelli tenuti , come dicemmo di fare che niuno Ila impedito
di fòddisfàr a’iùoi doveri, e tocco ire re, ed abi- tar ciatouno a
farlo ben più volentieri , con cofiringere e gaftigare , chi che ricula
\ di farlo , egli abbisogna che faccino quan- to polla non meno
torvi r di mezzo a ciafi- cuno per compir qvelch 1 egli deve , m’
al- tresì facilitarne l 5 efecuzione , e l’effetto. Poiché il fine d’ogni
tocietà non è che di promuovere il ben commune , e di- fenderli
dagli infiliti de’lùoi nemici fia uopo fare , eh* il numero de’ludrìiti
in una Città , o Reppubblica , non fia minor di quello , che perciò
fi richiede, affinché non Vi manca il bitognevole, ed il neceffario
per la vita , o altra cola avvenga contra- ria in qualche modo alla
tranquillità pub- blica . Vili. Ogni Città, o Reppubblica in fin
non effendo ch’una tocietà, ed a nino lòdo convenendo partirli di quella
tocietà, in cui peravventura fi rinviene con danno altrui , oon fi
deve unqua (offrire , eh’ al- V 4 ' cimo ( l ) Tratt.
x. riuvn.xi i. ] cuno Ce nè parta , e vada ad abbitare in al- tro
luogo con un gran di lei difcapito ; e conforme un fòcio , che danneggia
un’al- tro fòcio è in obbligo, ed in dovere rifàrcir- glielo , così
altresì riconofcer fi deve quefti per ben obbligato di rifar quello , che
mediante la fùa lontananza ha la Città, o Reppubblica ricevuto , IX. Gli
avveri , e le ricchezze efiendo di un fòmmo medi eri per lo
foftentamento , per Io decoro, e per la giocondità della vita dell’ uomo,
devono coìprche Regnano proccurar in ogni mo- * do , che i
lor fudditi ne fian tfen forniti ; X- La fpcrienza dandoci tutto dìaconoicere
, e vedere , quanti vizj , e malori ne provengono dall* ozio , ed imperò
abbifo- gnando, che ogni uom fatichi e travaghi per ricchi filmo
eh’ e* Cia; in ogni fòcietà Ci- vile è meftieri dar in vegghia per far
che non manchi giammai il travaglio a coloro che lo chiedono * e
che ^abilito fi abbia perciò un commodo , e giudo prezzo, non (ì
fofferifea , eh’ alcuno fi confuma , e to- talmente fi perda nell’ozio .
XI. nonrin- venofi al Mondo alcuno, che che non fia in ohbligo , ed
in dovere fòddisfar a molti obblighi , doveri , o uffizj in verfo la
Mae- fià Divina , inverfo Ce medefimo* ed inveì* • lò gli altri, in
ogni , e qualunque Città , o Reppubblica metter fi deve ogni Audio »
® ogni cura per riempier l’animi di tutti di quelche e’ devono
foddisfàre ; e perche non tutti di tali , e d’ altre sì fatte
cogni- zioni fon abbili renderne gli altri ammae- ftrati, quegli
eh’ anno un ingegno vie più degli altri elevato , ed eminente , e che
a farlo fi conofcono eflèr naturalmente più acconci, in tutti modi
poflìbili ajutar fi de- vono , e foccorrere, affinché da fe far
polla- no ben volentieri tutti progredii , e avan- zamenti del
Mondo nell’ arti , e nelle fcìenze , e proccurar eh’ i padri con
ogni agevolezza educhino i lor proprj figliuoli, e s’ingegnino di
far lor ottener quella perfezzione , che ad uom abbi fogna, acciò lo-
Itener poflono col tempo e rappretentare con fomma lor loda e riputazione
nel mondo , e nella propria padria , quel persònaggio , eh’ il sopremo architetto
delle cole hà riabilito , ch’e’rapprefèntino. Non efiendo miga colà
convenevole che un uomo danneggi un’ altro uomo , e quel danno eh’
egli peravventura gli da, effondo • tenuto di rifàrcirlo; in quelle
ifiefiè focieti civili fi deve proccurar altresì, che niuno. venga offofo
, o danneggiato in colà alcu- na , e eh’ in ogni forte di contratti fi
olfor- vi a minuto , ed elettamente ogni giustizia, ed equità ed lì
rifacci ad altri quel dan- no, che gli fi reca. Dovendoli da tutti
noi vietare ogni e qualunche periglio della vita , e conlèrvar la noftra
fàlute , e E integrità delle membra con adoperarci mai Tempre di
non cadere in morbo alcuno, e dove peravventura vi fi cada riftabi-
Hrci ( m ) , egli è di dovere , e di obbli- go in una Reppubblica, o
Città, metter ogni diligenza in far che niuno fi elponga a pericolo
alcuno, o venga a far per- dita della fua làlute , o delintegrità
delle- fue membra , con vitare , e sfuggire tut- to ciò che mai ne
può efiere la cagione , come per elèmplo farebbe l’ebbriezza , eci
altri vizj di tal fatta ; e che abbia in pron- to tutti li mezzi
proporzionati alla fuga de’ morbi, ed alla cura di quegli, che
ilgra- .;ziatamente v’incorrono , ne (òfifrir mai che uno dea la
morte a fè medefimo , o ad altri XIII. Non dovendoli nelle fpefe
ne- celfarie a farfi , permettere cofa per ni mimiche fi fòlle contraria
ed oppofta a’ luoi doveri , e 1’ acquifiato dovendoli tutto tempo
conlér vare per le neceflità e le bi- lògne, che pofion mai avenirci,
egli è uopo che nelle focietà Civili fi provegga anche con diligenza
sù quello , con non permea . ' ter ** a ( m
) Trcti . i l.vu n» J* i . 3 1 r ter neppur la foverehia fòntuofità
dell’ abi- tazioni ; come che dall’altra parte la me- diocrità
ufàta nella di loro venufià e bel- lezza Ila oltre modo commendabile,
poten- doci recar molto di piacere , e di diletto ; e con ciò
fèrvir non meno per un gran au- mento della nofira fàlute, e per
accrefce- re di gran lunga la nofira autorità fpezial- mente
appreflò il vuolgo , che altro il più delle volte non ha per guida , che
li proprj fènfi , che rendere pompofa e magnifica e fuperba la
Città , e dare una gran oppime- ne de’ Tuoi agli ftrani . XIV. ogni uno
e£ fèndo in obbligo prezzare , ed onorare chiunque e* fra di
preggio,e di lode degno, e non potendoli ciò da altri fare , che da
quegli , che può fender giudizio , e ragion ne delle azzioni altrui ,
‘.affinché tutti fia- no tali in ogni Città , o Reppublica bifò-
gna badar di rinvenire, o iitabilire certi titoli , certi legni d’ onore
, e certe prero- gative , per darle a quegli, che fè ne rendo- no
meritevoli , XV. Per mantener ben fèmpre fiabile e in piè la pubblica
quiete , e tranquillità, ed evitare a tutto potere gp incommodi , e
li difàgi che mai deriva- > no dalle private Vendette, far fi
deve, che gli offèfi fi r imanchino pur contenti del- le pubbliche
, e che colui , eh’ egli è punito c gadigato non abbia ardire , ne
o(ì priva- tamente di nuovo vendicai^. In dove in una.Reppubblica,
o Città, è lì vede, che non bada 1* obbligagion naturale a; rattener
ciafcuno tra li fuoi obblighi , o doveri, a quelle leggi naturali, la cui
inoflervanza può in qualche modo , e vale a difturbar la pubblica
quiete , abbilògna , che vi (I accoppia una nuova obbligagione, cioè
che fi propongano a quelli , .che le trasgredi- rono delie pene ,
ed a quelli , che l’ofler- vano degli premi, eh* è quello che
condi- tuilce l* obbligagione , che noi perdidin- guerla dalla
naturale diciam per l’appun- to Civile , e nominar altresì fi
potrebbe umana ; e per la della ragione le le leggi naturali- lòn
troppo generali, ovvero fò- verchi© indeterminate , e di doppio
/ènlò per torre ogni letiggio , e ogni piato di mezzo , che quindi
ne potrebbe mai ri- fbrger è d* uopo-ch* in quede medefime società fi
determinano, e fi redringano in tutti modi , con decidere che che fi
debba tener in ofièrvanza • e non potendoli realmente da Regnanti
ogni colà antivedere , dove quelche una fiata credettero per li lor
lùd- diti utile , e giovevole ftabilire, la Iperien- za lor da a
cònofiere efler inutile , e poco per quelli profittevole, lafciar non lo
devono in modo alcuno di corrigerlo, ed emendarlo. Non mai uom potendo la
lue azioni conformar alle leggi di cui egli non ha contezza alcuna,
quanto fi ordina , e fi ftabilifce in una Reppublica da que’ che
governano in tutti que’ cali da noi te- de cennati non può aver forza ,
ne vigor alcuno pria , che non ha promulgato . E (Tèndo giuda
quelli noftri principi proprio de’ Regnanti il far leggi , l’obbli-
gar i fudditi , e far ed ordinare tutto ciò che può mai (èrvire per la
pubblica làlvez- * za , e tranquillità , ed in qnefto appunto
confluendo ciò, che nominiam noi podellà 0 fuprema, aderir poflìam con
ogni ragione che quella fia propria di effi loro , ne un- qua polla
ad altri appartenere, comecché non potendo eglino in niun modo
obbligar i fiidditi ad azioni contrarie al dritto natu- rale ed a
que’ patti, che fecondo noi dicem- mo, fifoppone , eh’ intervennero tra
Re- gnanti , e ludditi , fia ella in Un certo mo- do molto limitata
, e riftretta. Ogni e qua- > (L ) 'Quindi si
comprende in guai casi sia mejìieri , eh* in una Reppublica sijaccino
delle t nuove faggi , e delli nuovi regolamenti c. qualunque Regnante,
avendo una cotal podeftà d’obbligar i (uddjti,egli hà altresì
quella di ftabilir delle pene contro a’ pre« variatori , ed a
trafgrefiòri delle leggi 9 delle pene, dico, intendendo anche delle
ca- pitali , dove 1’ altre non badino , e fjan infufficienti alla
quiete, e tranquillità pub- blica , cui eglino (òn tenuti tutt’ ora
di badare , e per cui anno ottenuta una tal podeftà. Eftendo le
fpefè a’ Re- gnanti (òmmamente neceflarie per la pub- blica quiete
, ed imperò dovendofi elle da* (udditi fomminidrare egli ha anche
facoltà d* impor a codoro degli tributi, e delle col- lette , o
gabelle , ed altre (òrti di contribuì zioni ; Ma metter non potendod
in efecuzione quelche bilògna per lo ben pub- blico, lènza che non
da abbia della potenza* cioè una certa poflìbilità , o agilità ,
per così dire a poter tutto ciò fare , quefta è parimente perciò da
rifguardirfi lènza fallo come propria di coloro che governano , C
confcguentemente appartiene a’ Regnan- ti al- • Ecco qui la ragione
per cui a * Re- gnanti compete il giu: di morte , e di vita ih de
lor fu àditi , 3 tf ti altresì il dritto di poter codringere*
ed obbligar gli proprj ValTàlli a fòmmini- ftrare , e dar tutto ciò , che
fi richiede per quelche fi deve fare ,* il dritto di codituire, e
rimuovere i Magifirati . necefiarj per efè- guire le leggi Civili , e
giudicare e indur- re ogni uno a lafciar all* altro quelche gli fi
deve , non potendo tali cofe giugnere a far da fè medefimi ; il dritto di
conferire, « i pubblici pefi , e le carriche , e le dignità Civili
; il dritto di far leva , feelta , o rol- lo de* fòldati , che alla
quiete tanto inter- na , quanto edema della Città fon necefià- rj
,• e mille altri dritti di tal fatta, lènza cui li lor ordini non fi
poflono dare ad effetto ; e perche quella podefià , e quella
potenza che di necellìtà fi richiede , giuda che fi è modro, ne*
Regnanti e quella in cui confi- ne per f appunto la lor Maefià,* in
qualun- que Città , o Reppubblica gadigar fi deve feveramente
chiunque ardilce in modo al- cuno d* offenderla , ed aggravarla ;
come che potendo ella eflèr varia e diverfàmen- te oltraggiata,
varj, e diverfi altresì intorno ciò fian le pene , e i gadighi , che fi
ftabi- Jilcano . In ultimo per dir tutto in un mot- to l* utfizio ,
l’ obbligo , e,il dove de* Re- gnanti elfendo , come più volte
abbiam detto , e ridetto promuover in tutto la pubblica quiete , e
tranquillità, e difen- der i lor fudditi dall' ingiurie de’ nemici
lì sìdomeftici, che pubblici, eglino devono tutta la lor attenzione
impiegare in badar minutamente a tutto quello , che a quefto può
mai pi (guardare, con corriggere , e rattener ne’ lor principi fin le picciole
novità, non lòflrir le inimicizie private , e le gare , che
infòrger poflòno ifpezialmente tra Grandi , e qualunche difprezzo , che
ven- ga fatto mai della lor perfòna ; impedir ogni ingrandimento
flraordiuario de* par- ticolari ; rinovar di tratto in tratto ordini
, e leggi ; e ridurre tutte le colè alla finceri - tà , e
ilchittezza de’ lor principi : venendoci col corlò del tempo a formar ne’
corpi Civili , alla fteflà guilà , che ne’ naturali, tèmpre mai
qualche aggregato d’umori cattivi , ch’hà bilògno di purga • e
perche non dico egli ha malagevole , ma quafiche imponibile , che
fappiano da le foli , o faccino tutto , egli è di gran lunga giovevole
che fi fervano fòvente dell’ altrui faviezza, e prudenza , o coniglio,
per non far cofa per menoma eh’ e’, ha contraria, ed oppofta al ben
pubblico , efTendo molto irragione- vole , e come contro ogni ragione del
tut- to mal fondato, ciocche ne Icrivono l’Obbe- gio , e il
Macchiavello , che non dubbitarono fin le cofòienze de* fòdditi , e la
Reli- gione fteflà fottoipettere a’ Regnanti. Del refio ri/petto a
i lor (ùdditi quefti elsendo cornei padri fono rifguardo a i figli ,
con tutta agevolezza tutti gli obblighi , gli uffizi ,e i doveri
de’Genitori inverfo i lor fi- jgli,e quegli di un padre di famiglia in
ver- lò i Tuoi domefiici, generalmente parlando, applicar fi pofiòno
alla lor perfora , come que’ de figli inverfo i lor padri, e de
dome- fìici inverfo de’ padri de famiglia, a lor . * fudditi
. jp. Per verità y’hò intefo fin ad ora con pia- X.
cere , fenza ardir d’ interrompervi ; ma pria, che palliate ad altro,
dinegatemi al* cune co fe più paratamente , e incomin- ciando ,
ditemi quante forte di Reppub- bliche , e di governi divertì vi abbiano?
Perche fecondo noi abbiam detto 1* am- miniftragione delle cofe può elfer
data o ad una perfona fòla, o a più , o od una in- tera moltitudine
, fi rinvengono tre fòrti di Reppubbliche regolari, l’una di cui si nomina
Monarchia, Regno, o Principiato; la seconda Aristocrazia; e la terza Democrazia;
le quali di leggieri cambiar fi pofiòno , e tramutare in altre e tre
vizìofè, r ed irregolari ; imperocché il governo di una Reppubblica
o fi rinvenga in man di X uno, odi piu, o di tutti , ciò non
faccn- dofi , fecondoche noi dicemmo , fè non col confenfò medefimo
de 1 Concittadini , e per la podefià / che da quegli s*òt- i tende
; èd- imperò ingiuftamente coloro tutti comandando , cui gli altri miga
non fi fòmmifèro , o egli fia quefto un f uom folo, che regni in cotal
forma , e il fuo governo ncm è più Monarchia , ma Tirannico
,o tòno foltanto pochi nobili, e non tutti ,' e verranno eglino a
coftituire non già una Arifiocrazia , ma un Oligar- chia ; ovvero
in vece di tutto il Popolo regna, e governa la plebaglia , e la feccia
del Popolaccio, che quanto fà e’ rifòlve a capriccio e quefta noi diciam
propriamentè Olhocrazia. Egli vi mette qualche divario nella per- fona di
un Monarca, confiderato rifletto a ’ /- un altro monarcati Titolo di Re,
Imperadore , o Principe ? No. Qualunche di quefii titoli egli abbia
è tèmpre il medefimo; non offendo egli rifguardo ad un altro Monarca, che
uguale, e nello fiato Naturale , lènza fuperiore al- cuno ;
comecché ogni prudenza voglia, che » * nè coftringere, nè obbligar
potendofi l’altre Reppnbbliche , e gli altri Principi a onorario con quel
titolo , eh 9 egli brama, pria, che Io s’ imputa convenghi con
effi loro sù quello . D. Volete, che fia necefiario
regalmente per un Monarca udir ilconfeglio altrui? M.
CertifllmÒx; imperocché febben polla egli operar tutto a Ìlio arbitrio ,
non poten- do colà alcuna far contraria , od oppo. fta al fine
della focietà , eh’ hà in governo; tutto al roverlcio del Tiranno , che
non riguarda , che 1* utile , e la làlvezza pro- pria non può egli
da fé conofcer tutto-Non efiendo in ifiato di operar tutto in un
ifiefi lo modo , e penfar da voi ( dicea molto faggiamente , e con
prudenza a’ fiioì Mi- niftri per quel che s’inarra un Soldano) non
tralafcate giamai dar orecchie , nè ribut- tate per qualche gelofia , o
(lima ,che pof- fiate mai aver di voi medefimi quelch’ al- tri
penfano , con averlo per goffagini , e fpropofiti, non per altro, che per
non efier fiato dinanzi da voi antiveduto, , poiché lò- vente fiate
avviene , che fi ritolga del pro- fitto , e fi rabbia del utile dall’
operazioni le più chimeriche , ed iftravaganti del Mondo ; e per
verità è aliai più lode- vol colà , e di maggior momento fàper di-
‘ ftinguere il buono , ed elèguirlo, che pri- ma penlàrloda (è medefimo ;
lòvente vol- te egli avviene, che ad un Monarca convemga far paragone
delle diverte aderenze , e circoftanze de* tempi; o conolcer la
for- > za degli abufi , e difàminar attentamente le leggi
antiche ,* ffabi lire , e far degli re- golamenti, e degli ftatuti per li
Collegi, e per Partefeci ed altre sì fatte cote,le quali egli è predo che
imponìbile , che far 11 pollano da un telo .Nell’Ariftocrazia e nella
Democrazia per prender gli efpedienti neceflàrj alla pace , ed alla
tranquillità pubblica, qual colà credete , che far fi debba ?
eltendo nella prima il governo in man de’nobili,e nella teconda in
poter del Popo- lo, egli determinar non fi può nell’ una,cofa
alcuna, lènza il contente de* nobili , e nelP altra, lènza quello di
tutti ; e come nell* Ariftocrazia v’ abbitegna un luogo , dove i
nobili fòvente fi convengano , e prendano gli efpedienti necefiarj per
quella , non che un certo tepo (labile, e fiftò in cui fi raguni il
Senato ; (alvo che nelle colè improvilè , e gravi, nelle quali èmeftieri
, che fi ra- duni fuor d’ordine ; così nella Democra- zia di
necedìtà egli vi fi richiede un luogo per li comizi, ea un tempo certo, e
fidò da poterli convocare ; con aver per fer- mo , e ftabile Ila in
quella , fia in quella, quelche venga dalla maggior parte deter-
minato ; ma vaglia il vero,quefte e tre fòr- ti di Reppubbliche
irregolari , perche di leggieri , come da noi fi difie , pofiòn cam-
biar natura , e divenir difettofe , e mo- fìruofè, molto ben di rado fi
veggono, aven- do la maggior parte unite o tutte , e tre quelle
fórme in uno , o almanco due in guifa, che Puna vaglia per rattener
l’al- tra in uffizio , ed imperò fi dicono vuol- garmente mille ;
(ebbene vi fiano per al prelènte alcune altre (òcietà compo- ne o
di molti Regni dipendenti da un ca- po , o di molte Città confederate ,
che componendo un certo fiftema , dir fi pof- fòno con gran ragione
, fòcietà fiflematiclie ; avvegnacche di queffi Regni, che fian retti
daunlòlo, altri lèguendo, ciò non o (tante pur ad oflervar le leggi
fon- damentali , come egli è or 1’ Ungaria , e la Boemia , e non
avendo altro di conamu- ne , che la fòla perlòna del Principe, aver
. non fi debbano al novero di tali fòcietà ; al- tri effondo in tal modo
uniti , che quelli , che fi furono (òggiocati, non guardandoli che
come Provincie, l’uno neppur coll’ al- tro viene acoftituire (Ulema
alcuno , come fi fu un tempo ia Macedonia , la Siria, c X, 3
l’Egitto lòtto Y IMPERO ROMANO, ed altri finalmente fon in tal guifacon
le fòrze uni- ti ed accoppiati per difènderli, che non ven- gono ,
che fòltanto una fòl fòcietà a corti- tuire ; e quelli di vero formano un
firte- ma , e quello di cui or trattiamo . Ma la piu parte de’Regni
fi cambiano col tem- po , giufia dalla Storia s’ imprende, di for-
ma , e di figura j quindi quella dell’ Impe- ro di Germania , hà sì
fattamente trava- T gliato i Scrittori tutti, del dritto pubblico, che
quanti eglino più fono , cotanto è • diverfo il numero dell’
oppinioni , e delle ^ (èntenze, che intorno quefìo particolare
- ^ abbiamo ( n); imperocché alcuni rifguar- ; dando foltanto alti
titoli , all* onore , e al- • l’infegne di Monarca, che dar fi
fogliono • all’ Imperadore, fi credono quello Impero •
del tutto Monarchico ( po crefciuta appoco , appoco l’autorità de- gli
Stati , e fpezialmente dal Regno d’ OTTONE (si veda) in poi , e dalla morte di
Frederico II. quella oltremodo aggrandita , mirata non fi fofie
giammai in appreffò la podeftà imperiale in quel fplendore e in
quel 4 gola- . ( q )
Jlufwlin. ad A. B. diJJ’ert. i.$. 1i.pag.y6. Bue- cìer. notit. Imptr.
lib. zz. c. 3. p. zSS.- ( r ) Limnxus ad J.C. lib. j. c. io.
Arnifav. lib. x, f* 6 . ( f )
Conriag. decapitai» C». Brumem. in estam. jur. pubi. e\ i.f.f. 3
a* di cui fi tratta alle leggi , e giudicarne » > lènza
che pria ben non fi difitminano , egli r . è meftieri che deano udienza a
tutti indi- ' fintamente , e li Tentano ben volentieri e con ogni
placidezza III. ogni uomo e (fen- do in obbligo di amar l’altro,febbene
odiar e’ debbono , ed aver a male il cattivo pro- cedere de’
delinguenti e malefattori, devo- no amar (èmpre però quelli ed averli
ca- ri ; IV. per non aggravare li poveri , e mi- seri litiganti di
(peé, e di tedio, ingegnar fi devono con ogni Audio di (pedir
predame- le tutti i Giudizj , tanto civili , quanto cri- minali^ V.
finalmente abbifogna che pr oc- cura no di confervar in tutto la autorità
pro- pria, e de’Regnanti che rapprdèntano con rederfi agli occhi di
tutti perirreprenfibili, e lènza macchia. Per tutto ciò efièndo
egli colà certa, ed indubitata, che qualunche occupazione , o
aff’ar di fiato e* fia guidar fi polfa , e condurre afiài bene, giuda un
fi- fiema particolare , e proprio , farebbe fen- za dubbio di un
efìremo giovamento per tutto il Minifìero, fi fòrmaflè un fiftema
generale di tutte le parti del governo sù mallìme fondamentali fofienute
da una ben lunga elperienza , e da profonde me- ditazioni di tali
colè ; divifoe (iiddivilò in modo, che ciafcun minifiro vaglia da
(è solo a formartene uno, che fervir gli po- tere per una gran guida
alla Tua incotti- penza , e per condurlo ficuramente, giuda certi
principi al luo oggetto principale, come che molte parti della
legislazione fian cotante dubbie, che niun può in modo alcuno
viverne ficuro, non ottante gli gran lumi , eh’ egli n’abbia dalle
teienze , come quelle, che dipendono aflài poco dall’uma- na
prudenza . D. Qual cola volete voi , che fi fàccia da’
Regnanti per far che quelli non fi abufino delia lor autorità ?
M. Eglino devono ingegnarli di non eligger per quello le non
perlòne ben degne , e , meritevoli ; avvegnaché alcuni Politici sì
per confervar in tutto 1’ uguaglianza , e sì per temperar in parte, ed
impedire lo ttra- bocchevole impeto , e l’ impazienza , che , quali
necettà riamente accompagna i gran talenti , credono necettàrio melcolar
con quelli alle volte lì meno abili ; e far che li Magiftrati non
fiano fòverchio lucro!! Ipe- ziaimente ne’ Sgoverni , che fi
partecipa dell’ Oligarchia ; poiché in tal fatto modo i poveri per
una tterile ambizione punto non curerando d’ abbandonare li lor
pri- vati interefli , e li ricchi averanno del pia- • cere dominare
giufta la lor paffione , e lì s. terranno occupate più , e più perfòne a
di* *erfione dell 5 ozio ; a ogni modo nelle ma- terie gravi , e
di/gran momento , giulta ' T oppinion d* Arinotele , non (la bene ,
che quegli che confìgliano , altresì delibe- rano , potendo avvenir, che
quelli di leg- gieri regolino li lor conlègli con fini , ed affetti
privati ; Quindi in Atene il colleg- legio de 5 privati avea soltanto la
consultiva , e al Senato , e al Popolo si lasciava la deliberativa
; D. Ma in che crede finalmente voi che con- XII.
fidano i veri vantaggi d’una Reppubbli- ca , o di un Stato? Nel commercio
. Ch 5 intendete per quello ; Ai. Una facoltà di permutare il
fùperfluo per il necefiario che non abbiamo , e traf- portarlo da
un luogo in un altro . X>. Come confiderate voi quello
commercio. M. In interiore , ed elìeriore , o maritimo.
D. Quale di quelli abbiate per lo più nècef- fario ? M.
V interiore , come quello che cofiituifce il ben attuale di un R egno , -
o di un stato. In che egli confilìe ? M, Nell’agricoltura ,
nell 5 indulìria de’pro- prj terreni, e nella diverfa utilità de travagli
A Come dunque credete , che mantener fi poflà in fiore un cotal commercio
? M. Con la protezzione, con la libertà , e con la buona fède. Quali
persone meritano la protezzione? Egli abbifogna pria che si
proteggano gl’agricoltori e li lavoratori della terra; in apprefiò
gli Artidi , e dopo gli altri,* con raddolcire il travaglio d* ogni uno,
e far . che P induftria de* Cittadini tutt' ora s’au- menti , cd
aggrefea , non lafciando a, pat- to alcuno impunità la pigrizia , e
l’ozio , - eh’ è la (ùrgente di tutti vizj ,* imperocché l’
immaginazione umana avendo continuo bifogno di notritura, ogni volta che
le mancano degli oggetti ben veri , e (labili, ella formandofene di
quelli, che non fono , che larve , e chimere, deriggerfi lafoia to-
talmente dal piacere , e dall’ utile momen- taneo ; quindi la Monarchia
la più foggia, e meglio regolata del Mondo rincontra* rebbè tutta
la pena pofiìbile in fòftenerfi , (è parte di quelli , eh* abbitano
nella Capitale , altro non dico , marcifiero unqua nell ? ozio ; fenza
che qual cofa è mai altro in effetto il cercar da vivere lènza
trava- glio , e fatiga , che un furto, o latronec- cio , ‘che dir
vogliamo fatto per lo conti- nuo alla Nazione ? e confequenteraente
un delitto che merita la sua pena. D. Mà’impiegate , ch’abbia
un Regnante gli uomini neceflarj alla cultura, alla guer- ra, e all
5 arti , come voi dite, del redo che volete , eh’ e’ ne faccia ?
M. Egli fi deve occupare in opere di ludo, anzi, che lalciarlo in
una vita tiepida , e neghi ttòlà. Non farebbe colà megliore , e più
com- mendabile mandar tutti quelli a popular nuovi Paefi, ed a
ftabilir un nuovo Dominio fùbordinato totalmente , e fòttopodo a quello,
che lor fornì di un sì fatto afilo , efsedo a mio avvilo quello il più
bel modo del Mondo da far conquide lènza perdita di dati , e de*
Cittadini , e lènza efporfi a molti perigli militari , e alla gelofìa de’
vi- cini e alli folletti di una lòverchia eden- zion di dominio , o
di qualche oltraggio, od onda, che potrebbero mai eflì ritorne?
Mai nò; poiché lèmpre mai fi è elperi- mentato per più vantaggiolò
, e di mag- gior 'profitto per un dato redringere per quanto
vieppiù fia polfibile li Cittadini al 1 luogo della lor propria
dominazione in cui realmente rinvenir fi devono le forze di una
Nazione , che inviarli fuora , ed in lontani paefi ; ne di un cotal
elpediente a* Regnanti cpnvien l’ulò, (alvo chejn ultima necefiìtà e
bifogno , e quando di Vero il lor Popolo veggono eftremamente ag-grandito
; imperocché una Nazione, che lì difpopola per gir ben lungi a Itabilirli
del- le nuove abitazioni per ricca che ella ha , e poflènte divien
ben tolto debole , e Ipofc fata, da per tutto, ed in illato di perdere
una con quelle 1* antiche , come dalla Storia s’imprende.
D. Ma qual colà voi intendete per ludo ? M. Tutto quello che può
mai lèrvirci per un maggior commodo della vita , c che non confitte
, che in drappi lini, tele, ed al- tre colè di tal fatta ; imperocché non
è in mio intendimento perfùavervi per lodevo- , le e commendabile
l’ufo de’diamanti, delle pietre preziolè , ed altre colè tali, che
non Valendo che per aggravar una tetta , e per tener imbarazzate ,
ed impedite le dita , non già per ifparambiarci di travaglio al-
cuno , o per liipplire ad altra cofa necefc faria al
noftrofoftentamento,fi doverebbero con ogni ragione in ogni ben’regolata
Reppubblica vietare, e vero però è ch s alcuni confondendo quello diverfo
genere di lufc io con il primo , anno lenza diftinzione al- cuna l’uno
e l’altro riprovato , ma fenza molto gran lènno ; imperocché non baciando
per dilungar gli uomini da vizj nè la purità delle malfìme della noltra
vene- randa Religione nè. il dovere , e Tobbliga- . gione propria
lènza le leggi ;e tutti lènza riferva d 1 alcuno veggendofi portati
dalle \ paflloni , e dagli affetti , il faggio legisla- , tore non
può, nè conviene,' eh* altro fàccia, che maneggiar cotafi paflìoni, ed
affètti, che fon la caula della cattiva condotta de’ fìioi , in modo
, che ridondano a utile j e vantaggio della fòcietà , che
compongono; così per ragion d’efèmplo vedendo egli, > che
Tambizione renda l’uom militare d’af ' fai valorofo, e prode ; la
cupidigia in- * duca il negoziante al travaglio, e tutti Cit-
e tadini generalmente vi fi portino per lo luffe e per la fperanza
di un maggior/.com- - modo , che altro vài egli a fare , che metter ogni
ffudio , e ogni cura in trovar modo, come quelli affetti giovar mai
potreb- bero alla focietà di cui egli è capo ? L 5 au- torità
grande , e la rigidezza de 5 Lacedemoni non fu di maggior conquito la
cag- gione , di quelle che agli Ateniefì recarono le. delizie , e i
maggior commodi della vita , nè il governo degli uni fù-per quello '
molto differente modo di vivere un punto: megli ore di quello degli altri ; o
quegli ebbero degli uomini illufìri , ed eccellenti - v «ffai più di
quelli ; imperocché al novero di coloro di cui favella Plutarco
eglino non vi fi veggono, che quattro Lacedemo- ni^ fette Ateniefi,
lènza un minimo motto di Socrate , e di Platone peravventura la-
nciati in obblio ; e lo ftedf giudizio far conviene delle leggi contrarie
di Licurgo, non effondo elleno^ miga degne di maggior attenzione di
quella, che lo fono 1* altre lue leggi, con cui cercò egli d’ opprimere
, e tor vìa totalmente da’ Tuoi il rofibre ; im- perocché come
potea darfi mai a fpe- rare , che la dia comunità, che non affetta-
va ricompenfà alcuna eterna, confervato avefle lo fpirito d’ ambizione di
far delle conquide, efpoda a un' infinita di fatiche , adenti , e
perigli fenza aver picciola fpe- ranza da poter accrefoere i fùoi averi,
o di- minuire , e foemar in parte il fuo travaglio , dove fi mirò la
gloria fenza tali van- taggi ,chevalfe per dimoio della moltitu-
dine ? fenzacche egli è certo, e fuor di dub- bio che quello, che fembrò
ludo a nodri avi , non lo fia per al prefènte , e quelche or lo è
per noi , non lo farà forfè per que- gli , che ci fègui ranno ; e che l'
ignoranza de* maggiori commodi lo refe a molti Po- poli per nojofo
, e (piacevole ; quindi le oodre leggi fontuarie foemarono di numero, e
predo che andarono in difùfo , sècondo la noftra Politica fi andò da dì in dì
viep- più perfezzìonando,anzi molte non ebbe- ro neppur una fiata
1* elocuzione ; impe- rocché al dinanzi che fi foffe una fòggia
tralafciata udendone un’ altra di maggior lufiò della prima , e facendo ,
che quella di Ieggier fi obliafle, elleno non aveanoin che
Ìuflìftere ; e come fi può da chi fia di Ieggier oflervare, non altro che
il iùfiò ha quali che dalle Città tolto 1* ubriachez- za , e portatala
nelle campagne. Perche volete voi , che gli agricoltori, fiano li primi
da proteggerti ? àd. L’agricoltura , e l’induftria de’ terreni
effendo le baie fondamentale di quello commercio, lafciar non fi può in
un Reame, lènza una dilmilùrata perdenza ; imperoc- ché non valendo
il terreno da le a produr- re colà alcuna lenza una buona , e perfet-
ta coltura, nella fcarfezza , e penuria di quello, eh* è d’ una neceflità
afioluta per la vita dell’ uomo , qual appunto è quella . delle
biade, prò veder non fi può , nè reme- diare ad accidente , o inconvenienza
veru- na , con quella medefima facilità , e aggevolezza eh* s* incontra ,
trattandoli dell* altre colè ; quindi egli fi hà per una massima
fòmmamente vera, ed incontrafiabile, - che le forze d’ un Regno allor
fiano superiori'. 9 e maggiori a quelle d’ un’ altro quando maggior
quantità egli abbia di quel che è d’ una neceffità realmente afiò-
luta per la vita ,e per lo lòftentamento de Cittadini ; effendo colà ,
feoza fallo d’af- v fai lungi dal vero il credere * c he i paefi
ricchi in Miniere fiano li piu graffi 9 e ab- • bondevoli del Mondo ,
tutto dì facendoci . la fperienza conolcere , che in quelle li ri-
chiegganoun numero aliai gradedi perlò- ne , che occupato, in altro
farebbero al pa- drone di maggior vantaggio , e utile, Ma come vorrefle
che s* incoraggifchino mai quelli camperecci , o forefi applicati
...alla coltura» ù Per veriità non vorrei già che lori! pro-
- ponellèro perciò al dinanzi quanti Confu- si * e Senatori , e Dittatori
Romani , quan- ti Re fi tratterò dall’ aratro , e dalla vanca , o lor fi
mottrafle quanto quello me- dierò fi fù feriale a tutti e comunale
Quand' era ciba il latte Del pargoletto Mondo , e culla il bofeoi
imperocché con la filza di quelle , e altre sì fatte ciancie di cui
compongonfi da Rettorici le lor itlampite, non fi verrebbe di vero altro
a fare , che cantar a porri ; ed il più delle fiate lor diverrebbomo
ilpiace- voli , e nojoli ; ma il miglior modo, che lì
può in quefto da uom tenetegli nonè-amio credere, che
prometterli , e ridurli in speranza d’una buona raccolta 9 e foccorregli,
ed aiutarli quando abbi fogna. Venendo al fecondo mezzo, eh 'abbiamo
per i (labi 1 ir quefto commercio interiore, ch’è la libertà,
(piegatemi quefta in che confitta. M. Quefta , che è aftai più
neceftària della medefima protezione , potendo la fola for- za del
commercio efler in luogo di quella, non confitte che in una certa facoltà
data a’ Cittadini da poter cambiare e permutar il foperfluo per
quel che lor abbi fogna ? e * trafportarlo da un luogo in un altro,
onde ella per verità accoppiar fi deve sempre mai congiungere con
la facilità , ed agevolezza degli tralporti , e de 5 viaggi , dipen-
denti del tutto dalle vie, dalli canali, e dalle riviere; comecché con
quefto vocabolo di libertà , che malamente prefo hà mille , e mille
fconcerEi recato nella Religione , e • nello Stato, non intendo, che
operar fi debba a capriccio e contro il comun vantaggio della
focietà ,• ed imperniò re- ftringer fi devefoltanto a quel che riguarda
il trafporto di quello, che avanza non men al padrone, che al luogo , da
cui que- fto vien fatto. D» Senza dir nnl la della fedeltà ,
richieda in quefto commercio, avendone a fiufficien- za favellato al
dinanzi, palliate al commer- cio efteriore , o maritimo . M.
Inquerto oltre quelle colè, che fi richiedono per lo ftabilimento del
commer- ciointeriore ad avvilo d’unlnglefè, fègui- to dal Signor
Mellon, da cui imprefi quan- to or vi dico intorno quello
particolare egli è neceflàrio; I. L’aumento, o aggrandimento del novero
degli abitanti y II. La moltiplicazione de’ fondi del Com- mercio.
III. Il render queflo commercio agevole , e neceflario , IV. L’
ingegnarli che fia dell’ interefTè delle Nazioni nego- ziar con noi
; Nel terzo egli reflringe non meno il tra (porto de’ debiti, e de’
dritti de’ Mercadanti , che le fpefè necefiàrie ' * perii Doganieri
, e i buoni regolamenti intorno a’ cambj , e Tafficuranze marid-
me,che porte in ufo dagli Olandefi , 1 * an - no oggi gl’ Inglesì diftefe
fin alle per/òne flefie , che vanno con le merci; e nel quar- to e’
comprende tutti i tratatti di commer- cio con le Nazioni. ZhPofto
per vero,che l’aumento degli abitan- ti fia cotanto neceflario e utile
quanto voi dite per un Stato , e per una Reppubblica, colà credete
che far fi debba per querto? JM, I. Egli è necertàrio , che fi
proteggano i maritaggi con privi leggi , e foflìdj con cef- fi a
genitori di una numerofa prole, e con là diligenza ufàta irr ben educare
, ed allevar gli orfanelli, ed i putti efjxjfii alla vétura IL
Convien (palleggiar i poveri iti guifà, che non fi confumino nell’ozio, e
nelle miferie, e fìan perciò coftretti d’ abbandonar il lor \ Paefe
. III. Egli fi deve con tutta aggevo- lezza ammetter i Ara ni eri IV.
Abbi fogna che s’ abbia ogni cura de’Camporecci , e di quelli che
firn muojono nelle Campa- gne per le foverchie mitene . V. Egli ò
medieri proccurar di aggrandire quanto fia poffibile f indufìria, e
perfezzionar far- ti , e i meftieri , poiché con ciò venendofi a
tenervi minor quantità di perfòne occupa* . te , il di più fi guadagna .
VL fi doverebbe altresì trattare di non tenervi in quefio più di
quelli che vi fi richiegono ; comecché non fiuebbe (bordi propofit© con
una leg- ge torre la facoltà a oiafcuno di difporre ideila foa
libertà al dinanzi , che non abbia quella da poter difporre de’ (boi
beni. V. In molte oceafioni dunque fia per fàper quelli che
per travagliar fian buoni , fia ; per lo fiabiiimento., o leva di nuove
impo- ne , fia per conoteere li differenti progref- fi della
moltiplicazione degli uomini , fia per altra co fa sì fatta fon
neceflàrie in un Regno le numerazioni degli abitanti. *M.
Certifiìmo anzi alcuni ti fon ingegnati fino di calcolare quanto un
agricoltore , o un artifla fi£ d’ utile allo flato,- vaglia il w
vero la colà ha molto del malagevole, e . del difficile,* a ogni modo non
vi difgraderà un modo in ciò ufàto dal Cavalier Peti ; t.ti t ,
cheto ci propone Mellon,• come- x che fèftfpr&'fia mólto più
fpecolativo , che o pratico ^imperocché fòppoflo, ch’egli ha
- per vero ; f. Che nella Scozia , è nell* In- i» gh interra .non
v’ abbiano che fèi milioni c à? ahbitariti . If. Ch’ogni uno di
quefti fpenda 7; lfre fterline , che nel corfo d’un fi anno 1
vengono a far 4*. milioni di Ipe/è ; e xlfl, Che l’entrate de’territori
non fia altro che otto tflilioni , e quelle delle Carri-
multiplicando li milioni d-* utile per li 20. in cui fi ri»
• ftringe tùtta la vita dell’ uomo ; e veden- do:che con ciòd venga
a far la fommadi 480. milioni , la quale divifà per li lèi mi-
lioni d* abitanti , per quotienfte fi rinvetica che abbia 80. lire (ieri ine,
egli vuole -- eflèr appunto quella la valuta di ciafeun di quegli 2
} - $). Ma risguardo al trafporto delle merci . maritime ,
porto che quelle fiano 1* avanzo -di quel che abbi fogna iti un stato,
volete che permetter fì debba indiftintamente , r e lènza
dirtinzione? M. Per altro giufta la libertà generale del Commercio
permetter fidoverebbe qua- lunche reciproco tralporto ; imperocché in una
cotal guilà quelche in una merce li perderebbe da una Nazione, fi
guadagna- rcele nell’altra,* ma uòpo làrebbe ch’in ciò f
concorrere, e girte dj concerto tutta l’Euro, pa ; colà che per li grandi
, e lèmmi pre- giudizi di cui ella abbonda è preflo che im-
ponìbile , non che malagevole; quindi li vede, che molte nazioni per
particolari interelfì v’abbian una infinità di termini, e di rellrizioni
intramelfe. Ma non làrebbe egli un un maggior vantaggio j e utile per noi
, che gl’altri venif- fero da noi anzi , che noi ne gifiìmo ad ef-
- - ? . Ditèoveritimi il voftro fèntimento intor- Xlir. no la
guerra ?* 2kf. Così noi domandiamo quello Stato di una Reppubblica
mediante cui , ella ob- bliga un’ altra a lòmminilìrarle quanto
'brama . R* ella per dritto Naturale
permeila ? Senza fai lo -imperocché le Reppubbliche, conforme noi
dicemmo efiendo alla guilà di tante perlòne nello fiato della NATURA;
v e dovendo ogni uomo a tutto poter icàn- zàr che che di male gli può mai
per colpa altrui intraveni re, con adoperare in ciò tut- ti mezzi
poffibih del Mondo , egli è di ragióne, che l’una badi al
rifàreimento del danno, ricevuto dall* altra , e tratti con mezzi
conyenieriti r ed anche con la • forza , dove tutto manca , ripararvi. Che
cosà è pace? Egli è quello flato di uno Reppubblica i ' eh’ è ben ficuro,
e libero dalla violenza, e dalla forza de stranieri. A noftro avvilo
dunque nello flato Naturale , in cui fi conliderano le Reppubbliche, eflendo
peravventura permeilo d’ufar la forza , o violenza contro la forza ,
o violenza , fòltanto dove non vi fiano degli altri rimedj , la guerra
reputar non fi deve , che come uno eflremo remedio , a cui non
bifogna venir giammai, fé non in *;• calò dilperato , e dopo aver
tentato tutti gli altri i II perchè ebbe tutta la ragione Livio di
aderire che : jujìum bellum , qui- * bui necejjarium , # pia arma, quibui
nulla , nijiin armi 1 relwquitur fpei . M. Per verità da Iperienza
maeftra di tutte le colè, da tutto di adimprendere, comecchè lènza alcun
profitto de’ Regnanti , che fia lèmpre vieppiù il danno * ed il
dilèapi* toy che recanò le guerre, che l’utile. Quindi quelli metter
dovendo, tutto lo - Audio , e la cura in promuovere in qua-
hmque modo la falvezza , e il bene della Reppubblica, egli conviene, che
in un fido, calò fi portino a guerreggiare; cioè, quando lùpera di
Iunghifllmo spazio, e . lènza comparagione eccede la speranza del
guadagno il timor del danno , per valermi del detto d’OTTAVIANO e dopo
adoperati tutti gli altri mezzi pofiibili ; come a dire dopo , che perii
Legati fi è di già - ammonita la parte contraria ± e nemica a
lafciar 1* offefà , ed a rifar il danno, parte con la dolcezza , e parte
con l’afprezza; ovvero dopo averle recato qualche danno uguale al di
già (offerto , ed ufàto delle fcorrerie , o finalmente dopo
proccurato terminar le controverfie mediante gl’arbitri,' o altra colà di
tal fatto ; il perchè da quefto fi comprende quelche ad uom mai
vien permeffo di far nella guerra, rioè tutto quello lènza cui il nemico
coftringer non fi varrebbe, e obbligare in modo alcuno a quelche fi vuole
, nè polliamo un- que per l’avvenire viver ficuri, ch’egli le ne
rattenga ; poicchè nello fiato Naturale , come a voi è ben noto fèrvir ci
pol- liamo di tutti li mezzi , che fi poflono mai avere per riparar
al male , che è per avvenirci, e frenar colui , che n’è l’autore, fìcchè
non damo certi, che non ci danneggi in avvenire ; e perchè le guerre, q
fon offensive, o difenfive; diciam noi guerre offertfive , quelle che fi fanno
per riparar il danno , che fi può mai avere ; e difensive, al rincontro
nomeniam quelle, che mai fi fanno per eflèr rifatti di quel danno,
che fi è di già avuto , o per Schi- far quello , che altri tratta d*
apportarci; non meno nell* une , che nell’ altre dove fi vengono a
terminare , fi deve totalmente alla parte offèlà rifarete tutto il danno
, eh’ ella ha /offerto , e darle mal- ievaria , e ficurtà di non
danneggiarla mai più inappreffò, con fòmminiftrarle parimente tutte le
fpelè, che nella guerra ella ha fatto, pur che egli fia colà ageyole a
noi e non imponìbile a farlo; del refto , eh* ogni Regnante nello
fiato della Natura fia tenuto dar fòccorfò , ed ajuto all’ altro
invaiò ingiuftamente, ed affali to, e che non fi rinviene in fiato di
poter difenderli , egli non lèmbrerà affatto Arano a chi che è ben
perfuafo dell’ obbligagione , e del dover degl’uomini di lòccorrerfi a
vicenda. Quanti e quali fono li modi propri per acquistar un
Impero? Due: l’elezzione, e la successìone, giuda dalli medesimi nostri
principi si deduce ; non potendofi da niuno aver in altro modo il
governo nelle mani , le non mediante il confenlò ffeffo di coloro, che
governa, e ciò che quelli anno una volta flabilito; comecché per
verità fi poffà altresì ottenere con l’armi, e per conquida ma di quello
ultimo modo non abbiamo colà di ririmarco da dinotare per aJ
prefente; fé non che cotali Regni dipendano del tutto dal
capriccio, e dalla volontà di colui, che li conquida. Che intendete per
elezzione? M \ Un certo particolare, e lòlendo atto ,
mediante il quale, o tutto il popolo, o foltanto una parte , cui quello
concede il dritto , e la podeftà di eleggere, conferì fce il
governo di una Reppubblica a chi più gli piace. Quando l’mpero è successivo? Ogni
volta che li conferì perawentura a una famiglia, con patto e
condizione, che si elegga sèmpre mai qualch’unodi quella per lo fuo
governo. Il perchè egli può in quello cafo avvenire, che lì fii di
già {labbilito, e determinato altresì chi fi debba di quella all’altro
anteporre ; cioè per esemplo, cheli primogeniti fiano preferiti fèmpre
mai V secondi , e quelli alle femine, o che in altro modo venghi la succeflìon
determinata; ovvero eh’ e concedo fi fu con facoltà di difporne a lùa
voglia in ' teflamer.to , e fuora ; comecché vi fìa risguardo a quello
nella Germania altresì r ufo de’ patti fòccefiorj tra alcune famiglie de’principi,
e Signori; come adi- f- ilefò oflèrvar polliate da voi , dove vi
piaccia negli Scrittori del gius pubblico y , (x) (ebbene per
quelche,(èmbra non (è ne rinvenca etemplo dinanzi all* Imperador
Ridolfo. Egli è il vero, che non meno quelli , che entrano nel Regno per
fuccef- (ìone , che quegli che 1* ottengono mediante l’elezzione
cofiumano di ferii coronare ; ma ciò non effondo in fatti , che una
congerie di più atti (blenni- per v cui non già fi accrefce , in qualche
modo , o fi aumenta la. podeftà de 9 Regnanti , ma fi viene
foltanto a rifiabilire , e confermar quella , che di già anno , ed a
render la lor perfona nota a tutti , e palefo come quello , che non
è fondato , che in un’usanza , non merita la noftra attenzione. Avendo i
Regnanti una (bmrna obbligagione di riempiere gli animi de loro
fodditi delle vere mafiime di Religione ; il governo del loro Stato rifguardo a
queflo particolare credete voi che in effetto appartenga ad efii? L’
obbligagione de’ Regnanti rifpettoa ciò non è altro , che trattar d 9
introdurre e proteggere a tutto potere nel lor stato -n la vera religione,
con dar a coloro, cui lpetta largo campo da poterla efercitarej
e delle sue fonte ma/iime riempierne gli animi de’ lor fodditi ; appunto
come per far che quelli foddisfino al dover , che la natura lo
rimpone di confervar la lor folute, e trattar, dove avviene, che
peravventura incorrono in qualche malore di riffabilirfi, non fon
miga tenuti farla da’medicanti, ma far foltanto che nel lor Regno vi
fieno de- gli ben efperti, e pratici in quello meftiere , o
quandoabbifogniano non manchino; imperocché lo Ipii ito della Religione ,
e la politica temporale d’un stato eiìendo infra se cofe molto
diverte , e differenti ; trat- tando il primo di ftabilire, e mantener
tra gli uomini un ordine perfetto , e una pace solida e ben ferma,
ch’e’fia effètto d’ una unione de’cuori e di un vero amore dell’unico e soverano
bene eh’ e’dio, mediante un gran difprezzo, e diftacca- mento dall’amore
de’ beni temporali , di cui non nè permette, che un ufo d’ affai
fòbrio , e parco , e il fecondo non ri /guardando altro , che l’efleriore degl’uomini
a fin di mantener la pace e la tranquillità pubblica ; ed imperò fòddisfar non
potendofi da una fleflà pedona, inùnffeffò tempo agli ebbi jghi, o
doveri, o uffizi d’un principe spirituale e temporale, egli eoo viene di
neceflìtà,che si dividino a due differenti persone, e fi cofiituifohìno , e
formino due diverse potenze, comecché quelle amenrìue tenute effondo totalmente
di congiungere, ed unir gl’uomini nel culto del divino, e nell’osservanza
di tutti gli obblighi e doveri, che insegna lor la religione, e
riguardando perciò quaficchè un medefinio fine, non poflòn effor tra
se giammai di vifo, e l’una contraria in modo alcuno all’altra, salvo che
per la disunione e discordia di coloro che l’eforcitano e bramano dar all’una
un’eftenfione su dell’altra che in guisà alcuna non può competerle. Quindi
conforme quegli che sono proposti al Ministiero spirituale, sono in
obbligo d’ispirar a tutti gl’uomini ed infognar loro il dover
dell’ubbedienza alle potenze temporali, e l’osservanza delle leggi e degl’ordini
de lor regnanti; così altresì coloro, cui Dio ha fidato e commesso
il governo temporale d’un fiato, fon tenuti d’ ordinar a tutti lor
fodditi l’ ubbedienza alle potenze spirituali e coftringergli agli
obblighi , e doveri, che porta foco una tal ubbedienza in tutto quelch’e
può mai dipendere dall’ufo della propria potenza j ciò che comprende il
dritto di proteggere, difendere , e far mettere elocuzione alle leggi della chiefa;
punir e castigar chi che opera in contrario, e cerca iturbar l’ordine
efieriore, con far altresì delle leggi per quello effetto, quando
mai v’abbifògnano. Vivon tutti ben persùasi e certi di quella verità? Venendoci
ella altresì nel vangelo fpre£ famer.te infegnata non fi legge giamai da’ cattolici messa
in questione. A ogni modo i filosofi del dritto pubblico infetti il più
ed ammorbati di Refia , e ripieni di falle mafiìme, oppofle, e contrarie
non meno alla rtoftra santa religione, che alla buona ragione trattano comunalmente a tutto potere di
pervaderci il contrario. Ma su quali pruove , e ragioni fondano il lor discorso?
Secondo dicono con farli altrimente egli fi viene a sostener una divisione
ed unfcifhla continuo nello stato e nel regno, essendo molto malagevole e
difficile che due potenze diverse operino concordemente in tutto , e l’una
non s’ingelofifca punto dell’altra e venga a diffidenza. Nello fiato NATURALE
tutto ciò effondo fiato proprio de’ padri di famiglia, instituite
che furono le sòcietà civili, passa a’ capi di quelle , cioè a 9 regnanti.
Ili, rr Essendo il principal
dover di quelli proccurar in tutto di mantenere la pubblica quiete della società
e niuna cosà valendo cotanto qùefta a disminuire quanto le controversie,
eh avvengono intorno la religione, egli si deve per questo tutto ciò che
rilguarda questo punt , confìderar altresì come proprio di elfi loro. Ma
di quelli e d’altri sì fatti
folleggiamenti, non si deve da chi che pensa far conto alcuno. Imperocché per
rispondervi con confonanza. Dove a ognuna di quelle potenza gli lì dà
quell’eftenzione che gli conviene PER NATURA, e viene in quel modo che
noi detto abbiamo esèrcitata , non v’ha niun feifma da temerli in
un stato o regno. Sebben egli fia vero, che ne’ primi tempi 1’elercizj
della religione, non si faceano che da capi di famiglia, perché quefio fàcevasi
per una pura necelfità , non efièndovi allor altro da cui efèrcitar si
potefiero, non ne possiam noi, che siamo in un altro stato inferirne niuna cosà
di buono, in guisa che quantunque e’ Aggiungano di vantaggio che da
quelli pafiàti fodero nell’ instituzione delle società civili a’ regnanti,
ciò come colà che non è da altro sostenuta che da conghietture non
deve far in noi niuna impresone. Imperocché dalla lezzione della storia
egli s’imprende al contrario che tutte le nazioni del mondo , e tutti
i popoli della terra salvo alcuni pochi che non fi vaifero della religione,
che per frenar la plebe e per teziar la lor ambizione, ebbero due potenze
diverte , l’una per lo buon regolamento di quelle cose, che a questa
apparteneano , e l’altra per lo buon governo di quelle che riguardavano
teltanto l’ellerior della lor tecietà. E III. Finalmente avvegnaché i
diflui bi , e le rivolte molte in alcun regno tetto pretefio di religione
siano fiate le più perniciofe del Mondo ; a ogni modo , come la fipria lo
c’integna , la caute , e il motivo principale di quelle, non fu ,
che l’ambizione , e le pafiìoni de’cittadini; Chi averebbe mai teguito nella
Germania, per parlar de’tempi a noi più profiìmi, l’anfanie di LUTERO e
la sua malvaggia ‘dottrina’, se pur ella è meritevole di un cotal nome ,
te buona parte della plebaglia dal guadagno e dal buttino ed alcuni principi
dall’odio eh’ e portavno alla casa d’Austria, non vi fofier tratti,
ovvero dalla libertà di coteienza e dalla lascivia rifpinti? Ma egli mi
tembra aver di già trateorte te non tutto, almanco il più
importante di quel, che ci propofòmo da trattare , il perchè non essendo
più ora da favellarne , riterbaremo il tettante ad un’altra più agiata
opportunità. EMINENTISSIMO SIGNORE. f G T ?^^TV M TP a ? re
in ^ tede. nfìima Citta, fupplicando efpone a Voftra Emi-
nenza, come dentiera lampare un libro eh’ ha n* r titolo: De principj J e l
Dritto ^aiutale di Giano.’u- leppe Origlia, P. j e perciò fupplica
cornar terne la nvdione , e l’averà a grazia, ut Deus &c
Reverendiis Dominiti D.Januarius Verelius e ri' C.thfaUs Vicari,
C.ra,T“lcfrt refirT{ COea ,t EX ‘ ,m ‘" a ‘ ar Siedali, rcvidear,
£ 7 ... Dat x l ; m , Napoli J DepZ. NlCO aUS 7 ° rntts E W C -
^chadiopof: Canon. EMINENTISSIME PRINCEPS. 0 P xr ’ qU ? d
inCcrlb ^ur , Trinchi del Dritta di quod^fideì^ ’ at f ente ..! e
§i > nihijque in eo expen- q od ndei , vel moribus adverletur Ano
a typis volgari polTe cenfeo . a£IVerIetUr • de re £ J^tum Napoli
fe c£iZ" m &££. Napoli Deput. 1 TornttS fy’fc-
drchadiopol. Canon. S.R.M. Sa Ra Ma Giovanni di Simone
Stampatore supplicando umilmente efpone a V. M» , come defidera (lam-
pare un libro intitolato: De * Principi ilei Dritto Na- turate,
Trattenimenti JV. di Giangiufeppe Origlia, Panlino; Ricorre per tanto da
V.M. e la (applica de- gnarli concedergliene la licenza , e Pavera a
grazia, ut Deus etc. Vtriufque Jurìs DoBnr Jofephus Cyrillo in hac
Regia Sttùlorum Vniverfìta/e rrofejjor revide at 9 é*. jn fcriptis
referat. Napoli C. GALIANUS ARCHIEP. THESSAL. ILLUSTRISSIMO SIGNORE. NeI saggio
di D Giangiufeppe Origlia De’prìncipi del Dritto NATURALE; non è cosa, che
offenda i diritti del Rs,o’l buono e cìvil coftume: anzi riluce in
esso la pietà non meno che l’ingegno del dotto autore; onde stimo che si
possa pubblicar colle stampe se altrimenti non istima V. S. 111 e
Rever e le bacio col debito ofl’equio le mani . Di Casali Degnifis.
ed Obbhgatifs. Servidore Giuseppe Pasquale Cirillo, Napoli. Viso regali
refcripto fub die ?o. proximi elapfi menfì ac approbatione fatta
ordine S.R^M.de commijjìone Reverendi Re gii Cappellani Afa - joris
a magnìfico V.J. D. D.JoJepho Pafcbali Cyrillo. Pepali! Camera
Santta Clara providet , decerni t , ntque mandat , qund imprimatur cum
infertafor - ma prafentis fupplicis libelli , ópou, V. not. not.
N. e per via e’ per, ETXEIPIATÒR, * 4 p. ETXEIPIAION
Non che imaginano non è che, ìfcorger , pag. 161.
ricorrer, e. netto , pag. 162. inetto, li pefi li pefci e
doloro ibid. elfo loro azzioni azioni metter liin metterli in;
da Giureconfulti de dal del cónvengha convenga, didelfo
diftefo , delle morali, pao. della buona morale, fia fia
, obbligo obbligo , dimenticàffero dimenticaflsro fi fi , quel che noi diciamo ma fol
quando nói tex: ur ° a, ™ n ° Deo Dio obìgat ,
ilici, oblìgAt, quid erìt de exit de, Confifterla confifter la
prima , t ed un altro ad un piantai giammai. fi (labili fi
flabill . di altri da imparaccio Imbarazzo foprabondanti
foprabbondanti, oltre modo altro modo flato d’ occafione è flato, paragonandole
quelle a quelle venga venga in una in una focietà in una focietà
Lattanzio che fi Lattanzio fi ammonifcha , ammonifea in nulla ad offender
,nulla offendere Qualiier mulìer mulier liiber mulier liberi dos
dicit di ci tur, leggi contrarie fontuarie per veruta
verità. Tempre mai congiungere e congiungere „ avende avendo,
dilcoprj difeopri Non abbiam notato qui , che gli errori li pit\ essenziall e
Cll m aooìrkr rim *% a 1. come doppi punti etc. non polli
dove lì doveano, lì fpera che ilmrttfe leggitore non averi difficultà di
plrdo- [AVVISO DELLO STAMPATORE al lettore. l’autore
oltre molte altre varie, e diverse opere, eh’ ha intendimento di dar al
pubblico di vario, e diverte genere di letteratura , e tra l’ altre una, eh’ ha
per titolo: Jurii Canonici ac civilis praleBiones criticai in
duóbtti voluminibus congejìa; incorni nce- rà ora l’edizione d’un altra
intitolata: Varti, e mejlieri deferitti, con ogni efattezM tofpbile, e
ridotti a lor veri e proprj principi. Opera utilissìma per coloro che
bramano coltivare la teienza dell’ arti ed averne di tutte una qualche
cognizione. il collo diciateun Tomo, che conterrà de’ Rami, per l’afiociati
farà di carlini 7 e per gl’ altri di. Giovanni Giuseppe
Origilia Paolino. A. Paolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Paolino.
Grice e Papi: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di Milano –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste, Friuli-Venezia Giuli. Grice: “Papi’s ‘parola
incantata’ is ambiguous, as ‘charmed word’ is, “Apriti Sesamo” is Two words,
and they charm, they are not charmed! “Abracadabra” may be different!” -- essential
Italian philosopher. Studia a Milano e Stresa.
Insegna a Pavia. Politicamente attivo nella corrente lombardiana del partito
socialista italianoI, segue un percorso che lo ve varcare le porte del
Parlamento ed assumere la vice-direzione e poi la direzione dell'Avanti! Sospettando
un aumento del tenore affaristico nella politica così come lui stesso dichiara
in un'intervista abbandona bruscamente la filosofia e si dedica alla filosofia.
Fonda “Oltrecorrente”. Saggi: “Filosofie e società. Marx risponde a Veca,
prende le distanze da Engels e rende omaggio a Papi. E’ questa un delitto
clamoroso che tenne le cronache dell’epoca deste anche per lo spessore di chi
lo compì: Francesco Starace assassino evasore e falsario. Cugino del gerarca
fascista Achille Starace. l’ing. Giovanni Castelli, di Busto Arsizio,
industriale in maglieria, vedovo e padre di un bambino, si recò a Milano. Ma la
notte non rincasò. Il giorno successivo giunge ai familiari un telegramma nel
quale il Castelli li informava che andava a Bologna per affari. Il telegramma
era firmato Giovanni, mentre per solito il Castelli si sottoscriveva Gianni.
Questo particolare e la mancanza di altre notizie indussero il padre del
Castelli a recarsi a Milano per rivolgersi alla polizia. Venne accertato che il
telegramma era falso. Del Castelli nessuna traccia. Il 9 febbraio Maria
Mazzocchi, (1), venne mandata dal suo convivente Francesco Starace (2) a
ritirate un ombrello che aveva dimenticato al Miralago, la Venezia dei
Milanesi, in via Ronchi 24. Il custode la fece entrare, considerato che
l’inverno il Miralago era chiuso al pubblico. La Mazzocchi recatasi nel locale
indicatole dallo Starace trovò il corpo di un uomo morto riverso sul pavimento:
era il Castelli. Aperta l’inchiesta e identificata la vittima emerse che la
stessa era conosciuta agli Starace perchè frequentava il Miralago.
La pubblicità del Miralago in piazzale Loreto, all’inizio di via
Porpora Ma non solo. Francesco Starace e Giovanni Castelli si
frequentavano perchè avevano un’amicizia in comune: Biasin. Starace aveva avuto
rapporti con lei ancora sedicenne e il Castelli la concupì in un boschetto del
Miralago: Lidia li aveva fatti incontrare perché entrambi, all’epoca, erano nel
ramo maglieria. Lo Starace, ormai fallito, doveva 12.000 lire al Castelli.
Nelle more dell’inchiesta – secondo la ricostruzione fattane dallo Starace – lo
stesso avrebbe invitato il Castelli al Miralago per ricordargli le sue condotte
nei confronti della Biasin e che per questo doveva pagare. La ricattatoria
pretesa degenerò in una colluttazione che ebbe come suggello l’esplosione di
due colpi di pistola sparati dallo Starace contro il Castelli. Caso volle che
alla scena iniziale assistette il garzone di un lattaio che indicò di avere
udito anche degli spari. L’arma era in dotazione in un cassetto del locale
ristorante. Ma oltre ad essere accusato di omicidio lo Starace derubò la
vittima del portafogli, dell’anello, di una penna stilografica in oro tanto che
nè il denaro – il Castelli doveva avere con sé almeno 10.000 lire – nè gli
oggetti di valore furono mai trovati. Da subito lo Starace sostenne che la
sottrazione di tali oggetti era stata fatta per creare l’apparenza di una
rapina ciò non di meno fu accusato di rapina In Assise i legali di Francesco
Starace cercarono di ottenere l’infermità mentale dell’assistito con l’aiuto di
tre dottori: il dott. Moretti Foggia aveva avuto in cura un fratello dello
Starace per paralisi infantile; il prof. Medea ebbe in cura uno zio
dell’imputato affetto da una grave forma di deperimento nervoso; il prof. Pini
curava una zia dell’accusato affetta da psicosi malinconica. Nessuno degli
avvocati della difesa, stranamente, parlò del più noto dei parenti
dell’inquisito: quell’Achille Starace ormai caduto in disgrazia anche agli
occhi di MUSSOLINI. La Corte respinse le tesi dei luminari volta a sostenere
una certa propensione patologica nella stirpe dello Starace e inflisse
all’imputato 30 anni di carcere. Inviato a Roma per espiare la pena lo Starace offrì
la sua collaborazione ai tedeschi e riuscì a ottenere la libertà. In carcere
era entrato in contatto con alcuni falsari. Ricercato perché aveva intrapreso
la remunerativa attività in Riviera venne arrestato a Milano per essere
tradotto a Genova. Ma mentre veniva condotto a Genova ammorbidì la sorveglianza
di uno dei custodi con un bel po’ di milioni, ritrovandosi di nuovo libero.
Subito strinse relazioni con gente che riuscì a spacciare circa 8 milioni
di AM-lire, in biglietti da 1000, nonché carte annonarie italiane e svizzere,
clichés per la stampa di biglietti da 100 lire. Il nuovo Corriere della
Sera titolava a pag. 2 Era la prima volta che il giornale faceva
esplicito riferimento a una consanguineità tra Francesco Starace e Achille
Starace. Addirittura si dilungò oltre a indicare che nella stamperia erano
stato trovato materiale copioso tra Nel 1949 allo Starace fu
inflitta una pena di 22 anni, per l’attività di falsario. Ma tale condanna non
ebbe effetto poiché, in sede di esecuzione, gli fu computata la pena più
grave comminatagli per il delitto del Miralago.1) Maria Mazzocchi, separata, fu
impiegata come cassiera da Francesco Starace, allora caposala del Motta di
piazza Duomo. A seguito del verificarsi di frequenti ammanchi di cassa, dei
quali fu sospettato lo Starace, furono entrambi licenziati. 2) Francesco
Starace, nato nel 1906 a Napoli, ex caposala del Motta di piazza Duomo, e
figlio di Germano Starace gestore del Miralago. Separato. Dopo essere stato
licenziato dalla Motta il padre gli aprì una bottiglieria ma abbandonò il
negozio per impiantare un’industria di maglieria. “La parola incantata”. Fulvio Papi. Papi.
Keywords: il fascismo, il veintennio fascismo, filosofi fascisti, enciclopedia
di filosofia, filosofia e societa, la scuola di Milano, fascismo, Giordano
Bruno, fRefs.: Luigi Speranza, “Grice e Papi” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Papirio: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A member of the Garden, and friend of CICERONE’s. CICERONE writes a
letter to him in which he rebukes P. for ‘his use of obscenities’. Grice: “In
my vernacular: ‘Fuck, you do swear, man!’! -- Papirio Peto.
Grice e Pareyson: implicatura
conversazionale – implicare, impiegare, ed interpretare – liberalismo,
risorgimento, fascismo – la scuola di Piasco -- filosofia piemontese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Piasco).
Filosofo italiano. Piasco, Cuneo, Piemonte. Linceo. Nato da genitori entrambi
originari della Valle d'Aosta, si laurea a Torino con una tesi dal titolo “Esistenza”
– su Jaspers, che poi venne pubblicata all'editore Loffredo di Napoli. Compe
spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere
personalmente Maritain, Jaspers eHeidegger. Si fece notare dai più
importanti filosofi del tempo, tra i quali Gentile. Allievo di Solari e Guzzo, dopo aver seguito in Germania
i corsi di Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Cavour di Torino e al
liceo di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza
italiana, tra i quali Revelli e Vivanti. Fu arrestato per alcuni giorni, in
seguito agì egli stesso nella Resistenza, insieme con Bobbio, Ferrero,
Galimberti e Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli. Nel
dopoguerra insegnò al Gioberti e in vari atenei tra cui Pavia e Torino dove, conseguito
l'ordinariato. Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de
philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Stefanini
che la fondò a Padova. Ha molti
allievi, fra cui Eco, Vattimo, Tomatis,
Perniola, Givone, Riconda, Marconi, Massimino, Ravera, Perone, Ciancio, Pagano,
Magris e Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica
e sindaco di Torino. Considerato tra i maggiori filosofi, assieme a Abbagnano
fu tra i primi a far conoscere l'esistenzialismo, facente capo principalmente
ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza
e Jaspers), in un quadro dominato dal neo-idealismo. Si dedica anche a dare una
nuova interpretazione dell'idealismo non
più in chiave hegeliana (Fichte), individuando in Schelling un precursore a cui
l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli
esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers
e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui L’'esistenzialismo
anda ripreso in chiave ermeneutica. Considera la verità non un dato oggettivo ma
come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva.
Chiama la propria posizione personalismo ontologico. Si è dedicato anche a
ricerche storiografiche, individuando nella filosofia post-hegeliana due
correnti, riconducibili rispettivamente a Kierkegaard e a Feuerbach, e che
sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.
Il suo percorso filosofico ha attraversato principalmente tre fasi:
una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo
personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione
di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro; una
seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di
interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle
condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta
da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere; l'ultima che si richiama a
un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente
attuale da essere persino post-heideggeriano, la cui interpretazione può essere
innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling
all'origine del suo pensiero. Rreinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla
luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling,
ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si
apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica,
bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità. Solo
ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica,
negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità
del male e della sofferenza. Il discorso sulla negatività non sarebbe
affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza
è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il
negativo in positivo, questo fa già parte di quella tragedia cosmo-te-andrica –
cosmos, theios, aner -- che è la vicenda universale. Migliorini et al., Scheda
sul lemma "P.", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, Per
gli accenni biografici di questa sezione, si veda Vattimo, Dizionario
Biografico degli Italiani, come anche la biografia presente in centrostu di
pareyson. Regolo, A Torino Gadamer ricorda P., Repubblica, Cfr. Schelling, in
«Grande antologia filosofica», Milano, Marzorati, Palma Sgreccia, Una filosofia
della libertà e della sofferenza, Milano. Offrì un'interpretazione del proprio
percorso filosofico nell'iEsistenza e persona. Tomatis; “Escatologia della
negazione” (Roma, Città Nuova. cit. in: Roselena Di Napoli, Il male – cf.
Grice, “ill-will” --. Roma, Gregoriana, Tomatis. Altri saggi: “La filosofia
dell'esistenza” (Napoli, Loffredo); “L’esistenzialismo” (Firenze, Sansoni); “Esistenza
e persona” (Torino, Taylor); “L'estetica idealista del fascismo” (Torino,
Filosofia); “Fichte, Torino, Edizioni di «Filosofia); “Estetica. Teoria della
formatività, Torino, Filosofia); “Teoria dell'arte, Milano, Marzorati, I
problemi dell'estetica, Milano, Marzorati); “Conversazioni di estetica, Milano,
Mursia, Il pensiero etico” (Torino, Einaudi); “Verità e interpretazione,
Milano, Mursia); “L'esperienza artistica, Milano, Marzorati, Schelling, in Grande antologia filosofica, Milano,
Marzorati); “Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, La
filosofia e il problema del male, in Annuario filosofico, Filosofia
dell'interpretazione, Torino, Rosenberg); Kierkegaard e Pascal, Givone, Milano,
Mursia); “Filosofia della libertà, Genova, Melangolo); Ontologia della libertà.
Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi. Le "Opere complete" sono
pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi P.", Mursia,
Milano. Interviste principali Se muore il Dio della filosofia, Sbailò,
“Il Sabato”, anno Io, filosofo della libertà, Righetto, “Avvenire” Mario
Perniola, "Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di
Estetica, Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio sulla teoria
dell'interpretazione di P., Milano, Vita e Pensiero, Francesco Russo, Esistenza
e libertà. Il pensiero di P., Roma, Armando, Furnari, I sentieri della libertà.
Milano, Guerini e associati, Chiara, L'iniziativa. Genova, il melangolo, Ciglia,
Ermeneutica e libertà, Roma, Bulzoni Editore, Tomatis, Ontologia del male, Roma,
Città Nuova Editrice, Ciancio, L’esistenzialismo, Milano, Mursia Editore, FTomatis, pareysoniana, Torino, Trauben Edizioni, Les
Cent du Millénaire, Aosta, Counseil régional de la Vallée d'Aoste &
Musumeci Éditeur, Conti, La verità nell'interpretazione. L'ontologia
ermeneutica, Torino, Trauben Edizioni, Pareyson. Vita, filosofia,, Brescia,
Morcelliana, Musaio, Interpretare la
persona. Sollecitazioni. Brescia, Editrice La Scuola, Palma Sgreccia, Una
filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, Bubbio,
Coda, L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione, Roma,
Città Nuova Editrice, Bartoli, Filosofia del diritto come ontologia della
libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione, Roma, Nuova
Cultura, Giudice, "Verità e interpretazione,” Atti dell'Accademia
peloritana dei Pericolanti, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. BeWeb, Conferenza Episcopale
Italiana. Opere open MLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere Dizionario di filosofia Centro studi filosofico-religiosi
P. Pubblicazioni e critica Centro studi
filosofico-religiosi orino. vita e pensiero Gianmario Lucini, sito
"filosofico.net". Luigi Pareyson. Pareyson. Keywords: implicare ed
interpretare, “Liberalismo, risorgimento, fascismo” – la filosofia politica
fascista, la morale fascista, Pareyson e Gentile, fascismo, I saggi anonimi di
Pareyson, ‘Liberalismo, risorgimento, fascismo’ ---- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pareyson” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Parinetto: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale ed alchimia – la bucca del culo – la scuola di Brescia -- filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Brescia, Lombardia. Grice:
“Parinetto implicates, “Are witches women?” “Sono donne le streghe?” Grice: “The question may be
rhetorical but it ain’t – since Italian allows for “lo strego,” and “lo
stregone.”” Ha insegnato a Milano. Nella sua opera
convergono tanto lo studio delle filosofie orientali (fu traduttore del Tao Te
Ching di Lao Tzu) che influenze di pensatori sia classici, come (Eraclito,
Nietzsche e Marx), sia contemporanei della filosofia occidentale, quali Deleuze
e Guattari. È considerato uno degli interpreti eterodossi del marxismo. Particolarmente
importanti sono state le sue analisi sulle persecuzioni dei movimenti ereticali
e sulla stregoneria, nella cui repressione legge il tentativo di annichilimento
di qualsiasi diversità sociale da parte del potere (non solo religioso ma anche
economico e culturale). Ha contribuito, spesso, con queste sue analisi, alla
comprensione dell'emarginazione di tutte le istanze sociali e culturali
minoritarie, non solo del passato ma anche contemporanee. Altro tema centrale
dell'opera è l'alchimia, intesa come sapere contrapposto alla scienza moderna e
volto alla trasformazione dell'umano anziché del sociale. Ha anche una profonda
cultura musicale, tanto da essere stato collaboratore di “L'Eco di Brescia” come
recensionista. Fu anche collaboratore del periodico La Verità (organo della
federazione bresciana del PCI). È in via
di costruzione, presso la biblioteca di Chiari, la Fondazione Parinetto, che
raccoglie la sua vasta produzione. Saggi: “Alchimia e utopia, Pellicani”
(Mimesis); “Corpo e rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, Faust e Marx,
Pellicani” (Mimesis); “Gettare” (Mimesis); I Lumi e le streghe, Colibrì, “Marx:
sulla religione, La nuova Italia, “ Il ritorno del diavolo” (Mimesis,” La
rivolta del diavolo: Lutero, Müntzer e la rivolta dei contadini in Germania, Rusconi);
“La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, “Magia
e ragione” Nuova Italia, Marx diverso
perverso, Unicopli, Marx e Shylock, Unicopli, Né dio né capitale” (Contemporanea,
“Nostra signora dialettica” Pellicani, Processo e morte di Bruno: i documenti, con un
saggio, Rusconi, Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, Sulla
religione, Nuova Italia, Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei
diversi, Rusconi. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita sovrasensibile.
Dialogo tra un maestro e un discepolo, Mimesis, Bruno, La magia e le ligature,
Mimesis, Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Dickinson, Dietro la porta, liriche scelte, Rusconi, Eraclito, Fuoco non
fuoco, tutti i frammenti, Mimesis, Rime sulla morte, Mimesis, Hegel e Hölderlin,
Eleusis, carteggio, Mimesis); Il teatro della verità. Massoneria, Utopia,
Verità, Mimesis, Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis, La via in cammino: Tao Te Ching, La vita (Felice,
Milano); Voltaire, Stupidità del cristianesimo, Stampa Alternativa, Vedi per
esempio Una polemica sulle streghe in Italia, riferimenti in. Vedi per esempio la recensione a I Lumi e le streghe Vedi di Renzo Baldo Cfr. Fondazione Micheletti Catalogo Emeroteca,
su //musil.bs. Movimenti ereticali medievali Stregoneria. Biografia da Nicoletta
poidimani Biografia da zam, su zam. Una
polemica sulle streghe in Italia -- nel
sito della ARFISAssociazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia. Parinetto.
Keywords: etymologia araba d’alchimia, processo e morte di Bruno, massoneria,
eretico, alienazione, la bucca del culo, anale, analita, il falo, il pene,
quando l’ano appare (da fece) – metafora – da fece in vece del falo, Bruno, de
magia, trattati di magia, processi a Bruno, gl’antichi romani, I corpo e la
revoluzione fascista – il veintennio fascista e l’analita -- Refs.: “Grice e
Parinetto” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Parisio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – la scuola di
Figline Vegliaturo -- filosofia calabrese -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Figline Vegliaturo).
Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Figline Vegliaturo, Cosenza, Calabria. Grice:
“I like Parisio; he focused on rhetoric, as every philosopher should!” Come molti filosofi italiani senza titolo nobiliario,
ha una vita errabonda. Dopo aver fatto un viaggio di studio a Corfù, ritorna in
patria dove apre una scuola. Si trasfere a Napoli dove ottenne cariche e favori
dal re Ferrandino. Risiede per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi a
Milano dove sposa la figlia del filosofo CALCONDILA (si veda). Dopo aver
abitato a Vicenza, Padova e Venezia, torna a Cosenza, dove fonda l'accademia.
Recatosi a Roma, invitato da Leone X, vi insegna nell'accademia di Pomponio e nell'archiginnasio.
Rimame a Roma fino alla morte di Leone X, dopo di che ritorna definitivamente a
Cosenza. Saggi: ORAZIO Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis; Acronis,
Porphyrionis. Adiectæ sunt præterea doctissimæ Glareani adnotationes. Lugduni
veneo: a Philippo Rhomano); ORAZIO FOmnia poemata cum ratione carminum, et argumentis
vbique insertis, interpretibus Acrone, Porphyrione, Mancinello, necnon Iodoco
Badio Ascensio viris eruditissimis. Scoliisque Politiani, M. Sabellici, Coelij
Rhodigini, Pij, Criniti, Manutij, Bonfinis et Bononiensis nuper adiunctis. His
nos præterea annotationes doctissimorum Thylesij, Robortelli, atque Glareani
apprime vtiles addidimus; Sipontini libellus de metris odarum, Auctoris vita ex
Crinito. Quæ omnia longe politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in
lucem prodeunt; Index copiosissimus omnium vocabulorum, quæ in toto opere
animaduersione digna visa sunt, Venezia: apud Bonelli, Claudianus, Claudianus
De raptu Proserpinæ: omni cura ac diligentia nuper impressus: in quo multa:
quae in aliis hactenus deerant: ad studiosorum utilitatem: addita sunt: opus me
Hercle aureum: ac omnibus expetendum, Venezia: Lessona, Viani eRosso, Clausulae, CICERONE
ex epistolis excerptae familiaribus: ac in sua genera miro ordine digestæ:
plenae frugis: et ad perducendos ad elegantiam stili pueros vtillimae et
recensuit et approbauit, Vicenza: per Mariam eius. F., VALERIO MASSIMO
Priscorum exemplorum libri: diligenti castigatione emendati: aptissimisque
figuris exculti: cum laudatis Oliverii ac Theophili commentariis: Barbari:
Merulae: Sabellici: Rhegii: multorumque præterea novis observationibus:
indiceque mirifico per ordinem literarum: ad inveniendas historias nuper
excogitato: alteroque in usum grammaticorum ad vocabula rerumque cognitionem, Venezia,
Zanis de Portesio, Habes in hoc volumine
lector optime divina Lactantii Firmiani opera nuper accuratissime castigata: græco
integro adiuncto, eiusdem Epitome, carmen de Phœnice, Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Chry. de
Eucha. quandam expositionem et in eandem materiam Lau. Vall. Sermonem habes
Phi. adhorationem ad Theodo. Et adversus gentes TERTULIANO Apologeticum, Venezia:
arte et impensis Tacuini fuit impressum,); “RHETORICÆ BREVIARIVM ab optimis
utriusque linguæ auctoribus excerptum; Liber de rebus per epistolam quaesitis. Tetrastichon de hoc P. alijsque quibus poetas
illustrauit libris., Adiuncta est Campani QVÆSTIO VIRGILIANA excudebat
Stephanus, illustris viri Fuggeri typographus, Andreotti, Storia dei cosentini,
Napoli, Marchese;Lepore, Per la biografia’ Biblion, Episcopo, Fondatore
dell'Accademia a Cosenza, Pellegrini, A. Frugiuele, Dubbi ed ipotesi sui suoi
natali, Il Letterato: rassegna di letteratura, arte, scuola fondata e diretta
da Pellegrini, Accademia di Cosenza, Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Indice. A quibus primumd C inventa RHETORICA
et celebrata; qualis primu apud athenienses eloquentia e usus ac stadium; QVALE
PRIMV APVD ROMANOS; quid sit rhetorica, quid inter rhetorica et Dialectice
AnFSietoricaiitars, quod utilis sit rhetorica; sit 'nc ars necessaria; Quæ
praeftarc oporteat rhetorica; Quales eifedel eant rhetoriesecan didati quæ fdre
eos oporteat ti»it; quod sit officium rhetoricæ; quid inter oficium dC finem; quis rhetoricæ finis; quæ
materia; De civilib quad faonibus, SC earuhi generibius; De circunstanda quæ facithypOi»
, the fim; De tribus generibus causar; partes RHETORICÆ qumqi; De inventione. Zo;
Qufco trover fiaeno confidat zi 4z De constitutione zz»4 Quod sint costitutioncs,
etquf; De statu comecdurah de datu definitivo, de datu generali, de datu translativo
ex plurib conditutionibus quomcH do prmdpale quis inuemat quæ causa dmplexfit
iuneda quæ con^ zp.do, de quæstione, ratione, indicatione et argumento, PARTES
ORATIONIS; de genere deliberativo; genus demonsratiuunit; genus iudiciale. Figlio
da Tommaso, giureconsulto e consigliere del senato napoletano, e Pellegrina
Poerio. Ha come primo maestro Pedacio, che lo avvia alla conoscenza del latino.
Si trasfere a Lecce, dove il padre e stato nominato governatore, e intraprese
lo studio del greco sotto la guida diStiso. Si reca Corfù per frequentare la
scuola di Mosco, dove perfeziona la conoscenza del greco. Rientrato a
Cosenza, frequenta le lezioni di Acciarini. Ha certamente una formazione
giuridica, sollecitata dal padre, di cui resta traccia nel VOCABOLARIO LEGALE, Napoli,
Biblioteca, un elenco alfabetico di quesiti giuridici tratti dai giureconsulti romani
antichi. Ma l’interesse per il diritto e le istituzioni politiche antiche deriva
a P. anche dalla frequentazione di Pucci, allievo di Poliziano a Firenze,
attivo a Napoli. Si trasfere a Napoli ma i suoi contatti con Pucci e con
l’ambiente culturale napoletano risalivano a qualche anno prima. Invitato a
tenere lezioni sulle “Silvae” di STAZIO (si veda) e nell’occasione pronuncia
l’orazione “Ad patricios neapolitanos”, nella quale elogia Pontano. Alla
frequentazione dell’ambiente pontaniano risale probabilmente l’adozione del
nome latino. Nominato da Ferdinando I d’Aragona maestro di camera e ricopre
incarichi nella cittadina calabrese di Taverna e a Lecce. E in rapporti di
amicizia con Ferdinando II (Ferrandino), come evidenziano una lettera a lui
indirizzata e l’epicedio in versi per la morte della madre, Ippolita Sforza. È
probabile che segue Ferrandino nella fuga da Napoli occupata da Carlo VIII e
poi nella riconquista del Regno. Dopo la morte di Ferrandino e la salita al
trono di Federico I si trova coinvolto in intrighi di corte e prefere abbandonare
Napoli per trasferirsi a Roma. Arrivato a Roma
segue le ultime lezioni di Leto e si lega ad Inghirami, che gli fa assegnare
l’insegnamento di oratoria nello studio romano. In seguito all’uccisione di due
suoi allievi, implicati nelle trame che accompagnarono il pontificato di
Alessandro VI, decide di abbandonare Roma e di trasferirsi a Milano. Nella
città lombarda trova alloggio e occupazione nella scuola di Minuziano. Collabora
ad alcune edizioni date alle stampe da Minuziano e scrisse epigrammi contro due
suoi avversari, Ferrari, docente di eloquenza nella scuola milanese, e il corso
Nauta. Si trasfere presso Cotta, che gli da l’opportunità di aprire una scuola
propria e che forma con lui un sodalizio editoriale. L’allontanamento da
Minuziano provoca polemiche e scambi d’accuse, di cui danno testimonianza le
tre orazioni di P. in Alexandrum
Minutianum. Sposa la figlia di CALCONDILA, che insegna greco a Milano. Sono
allievi di P. a Milano, oltre a COTTA (si veda), anche il figlio di Demetrio,
Teofilo CALCONDILA, Alciato, Giovio, che scrive su biografia nei suoi Elogia, e
il figlio di Poncher, vescovo parigino all’epoca presidente del senato
milanese. E grazie a Poncher che ottenne la cattedra di eloquenza lasciata
vacante da Ferrari, fuggito da Milano dopo la caduta di Ludovico. La polemica
con Minuziano, dopo una temporanea riconciliazione, si riaccese in un contesto
politico meno favorevole a lui, in seguito alla sostituzione di Poncher con
Charles. A quest’ultimo Minuziano dedica l’edizione di LIVIO data alle stampe, per la quale P. accusa l’avversario di aver
plagiato le proprie lezioni su questo autore. La polemica degenera in una
campagna denigratoria nella quale Minuziano e affiancato da Ferrari, rientrato
a Milano, Nauta e Panato da Lodi. Replica sotto lo pseudonimo di Furius Vallus
Echinate in un opuscolo stampato a Legnano da Giacomo assieme con la ri-edizione
del commento a Claudiano. Oggetto anche di un’aggressione fisica accetta
l’offerta di Trissino, allievo di Calcondila e si trasfere a Vicenza. Pubblica numerosi
saggi: il commento al De raptu Prosperpinæ di Claudiano; i carmi di Prudenzio e
il Carmen Paschale di Sedulio, ambedue nella tipografia di Signere e con il
contributo dei Cotta. Ancora presso Scinzenzeler e con una prefazione di Cotta,
il “DE VIRIS ILLVSTRIBVS VRBIS ROMAÆ, una delle compilazioni tardo-antiche
trasmesse sotto il nome di Aurelio Vittore, che attribue a Cornelio Nepote. -- Minuziano
pubblica lo stesso testo fra le opere di SVETONIO -- il “Libellus de regionibus
urbis Romæ, Scinzenzeler, una versione interpolata della Notitia regionum urbis
Romæ, che attribusce a un inesistente Publio Vittore. Le iniziative editoriali sono
accompagnate dalla ricerca di codici antichi. Nell’edizione di Sedulio dichiara
di aver utilizzato un antico codice scoperto in un monastero. A un codice di P.
fa riferimento Calcondila nell’edizione
di Valerio Massimo a Legnano da Giacomo con commenti dello stesso P. e di
altri. Riusce a impadronirsi anche di alcuni dei manoscritti bobbiesi scoperti
da Merula oggi nella Biblioteca nazionale di Napoli: i codici latini utilizzati
per le edizioni di testi grammaticali di PROBO e altri autori pubblicate a
Milano da Scinzenzeler e Vicenza da Zeno,
e il codice contenente l’“Ars grammatica” di CARISIO (si veda), pubblicata da Ciminio
a Napoli per Sultzbach. Questi tre codici sono oggi custoditi nella Biblioteca di
Napoli. L’attività editoriale prosegue a Vicenza, con la collaborazione della
tipografia dei Ca’ Zeno. Pubblica una raccolta di CLAUSULE CICERONIANE tratte
dalle familiari, un manuale di retorica e la citata raccolta grammaticale. Non
fa in tempo a pubblicare il De rebus per epistolam quaesitis, una raccolta di
notazioni filologiche in forma epistolare incominciata a Milano e a cui da
forma editoriale a Vicenza. Il suo nome si legge anche nell’edizione di
Lattanzio stampata a Venezia da Tacuino, ma non è chiaro se egli abbia
realmente contributo a questa edizione. Le sue note all’Eneide (VIRGILIO) sono
inclusi nell’edizione virgiliana stampata nel a Milano da Scinzenzeler.
Arrivato a Vicenza pronuncia Ad municipium Vicentinum, e tenne corsi. E ad
Abano, per curare la podagra di cui soffre. In seguito alle vicende seguite
alla sconfitta di Venezia ad Agnadello si trasfere dapprima a Padova e poi
Venezia, ospite da Michiel. Vaglia la proposta di insegnamento offertagli dalla
città di Lucca, ma qualche mese dopo prefere abbandonare Venezia per la
Calabria, dove arriva dopo una sosta di alcuni mesi a Napoli, dove e accolto da
Seripando e da altri sodali dell’Accademia Pontaniana. All’attività svolta a
Cosenza viene fatta risalire quella che in seguito e denominata l’Accademia di
Cosenza. Insegna ad Aiello, quale precettore dei figli del conte Siscari. Nella
scuola di Taverna tenne corsi su Plauto e sui grammatici. E a Pietramala, dove
apprese dal cognato Calcondila che Leone X gli assegna un incarico di
insegnamento presso lo studio romano -- oltre a Calcondila, l’incarico e stato
raccomandato al pontefice da Inghirami e Lascari. Arrivato a Roma tenne i corsi. Ottenne da Leone X la dispensa
dall’insegnamento e una pensione. Progetta di trasferirsi a Napoli, grazie a un
legato d’Aragona, ma le precarie condizioni di salute lo indussero a
raggiungere Cosenza, dove muore. Oltre all’edizione carisiana di Ciminio, anche
altri pubblicarono inediti di P.. Suo figlio da alle stampe a Napoli le lettere
inviategli dal maestro, ma la stampa è attualmente irreperibile. Ne resta una
copia manoscritta nel codice della Biblioteca dei girolamini di Napoli. Martirano
pubblica a Napoli per Sultzbach il suo commento all’Ars poetica di ORAZIO. Il
De rebus per epistolam quæsitis e pubblicato da Estienne, che nella prefazione lo
presenta come il maggiore umanista della recente generazione, un giudizio
ripetuto ancora da Sabbadini. Vennero date alle stampe anche le sue esegesi all’Eroides,
a Venezia, per Tacuino, le Metamorfosi di Ovidio, e la Pro Milone di CICERONE.
Lascia in eredità a Seripando l’ingente biblioteca. Essa conta fra codici e
libri, molti con annotazioni dell’umanista. Seripando li lascia in eredità al
fratello, il cardinale Girolamo. La biblioteca passa poi al convento napoletano
di S. Giovanni in Carbonara, subendo perdite e dispersioni. Il nucleo più
consistente è conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli. Parte degli
inediti di P. -- lettere, orazioni, prolusioni -- sono stati pubblicato da
Iannelli e Parco. Il De rebus per epistolam quæsitis, cur. Ferreri, Roma. Fonti
e Bibl.: Iannelli, De vita et scriptis P. Commentarius, Napoli; Parco, Studio
biografico-critico, Vasto; Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, passim;
Parco, P. e Alciato, Archivio storico lombardo; Due orazioni nuziali inedite, Messina;
Lepore, Per la biografia, Biblion; Ferrari, Le scoperte a Bobbio in Italia
medievale e umanistica, Manfredini,
L’inventario della sua biblioteca, Rendiconti dell’Accademia di Architettura,
lettere e belle arti di Napoli; Tristano, La biblioteca di un umanista
calabrese, Manziana, Lauletta, Un
inedito: la Præfatio in Flaccum, in AION, Sezione filologico letteraria; Munzi,
Prassi didattica e critica del testo in alcune prolusioni inedite, in Studi
umanistici piceni, P., cur. Rosa et al., Napoli, P., cur. di Abbamonte et al.,
in AION, Sezione filologico letteraria, Paladini, Appunti su P. maestro, in
Vichiana, P., cur. Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, Pattini,
Preliminari per un’edizione del commento di P. alla Poetica di Orazio in
Filologia e critica, L. Ferreri, L’influenza di Pucci nella sua formazione in
Valla a Napoli, a cura di Santoro, Pisa. P. NEAPOLITANI VIRI CTISSIMI
RHETORICÆ Compendium AQVIBVS PRIMVM ET IN uenta RHETORICA celebrata
Rhetorics toresyqta leges tulerunt, tllm pnmt creduntur
exercuifjeieaque duce feros animos essecisse patientes societatis, cœtus, Winc
ex observatione, quum queere£ta, qu re ry non videbantur Marte
etiam geni I f genitus populus, tansim defidice
altricem rejpuebant et quia a Græcis petenda eratf gre ferebant ah
illis quicquam accipere : indignum putantes, quos armis rerunuy gloria
uicif fentydiqua tamen in re fateri superiores. Vnde fi ^ui Uteros
callebant Gracas, magna eas industria disimulabant, ne apud suos cives
autoritate imminuerent. Paulatim tame utilis hone/ia^ apparuitt primus L . Plocius G alius, fub ipfi U Crafft
extremis temporibus, eo ipfo die quo Vd lenus Catullus natus est, docere
eam LATINE cce pittad quem ingens concursus. Ægre ferebat CICERONE, non idem
sibi liceret quod doSiifiimoru autoritate teneretur, qui extimarent, Græcis exercitationibus
ali melius ingenia posse, LJtin de Voltacilius, q Gn. Pompeiu docuit,
primus hbertinoru hisioria no nisi ab honestissiimis traftrfr/ folitam scribere
aufus cfi, RHETORICA artem professus eUitantuml brevi interieSio
tempore sumpsit incrementi, ut CICERONE iam finior, cum Hircio et
Pansa grandibus pr RHETORICA nulla pæcepu ab autonhus descripta funti vel
quod nulla materia diRans ah humanis rebus excogitari poteB, qua in aliquo ex
tri hus generibus propria rhetorica aliqua falte ex parte non
cadati vel quia qua degena ali dicenda ent, ex propria praceptis facile
mtelligi pofpnt. Hanc igitur propriam ex sententia M. Tullij breviter
circuscripte definiamus- partem esse civilis scientia, id est POLITICA, civilis
autem rationis una pars eR-, qua in opere fine tu- ^ multui altera-) qua
in quastionibus hteque cofiftit cuius magna et ampla pars artificiosa ELOQUENTIA
ayiT inter rhetoricam 8 dialecticam. E t quonia d^aleRica cognata putat LIZIO Syage
si lubet qd inter se differat in spictamus. Nofttm eR illud Zenonis, qui
manu prolata utriusque vim expressit. amba enim ad unum fere
eundemque; finem argumentationes reperiuntinec secum, sed ad alios agunt, sola
ex omnibus scientis, de contrariis ratiocinantur neu tra
determinata quapiam re, quomodo se habeat scientia eR: sed facultates
quada funt invenien- darurationU, hinc idm quaft hAet
fubieSiu^^ut ^ft diiddisy neutr i perfeSie fcictU cfje duum certum
proprium fuhieShum mdlu ha\ he^leorjum. Sed tiwie D Ule6ticofitione longe ab
illius diuersa, contenta eR, acciditq; dialectico, ut apparenti syllogijrno uti
nequeat: fit enim fiam ed uillator, si eum prudens elegerit. At oratori
tam eo quod eR, quam quod apparet, uti permtssum eC: dum tamen per juadeat,
ad quodunum omnis nititur ARS ORATORIA, AN RHETORICA SIT ars
E St alia inter eruditos cotroversia, fu ne ars rhetorica: fuosi habet
quceque fin tetia acerrimos defensores, tantis animis non nulli ex artiu
numero eam explodunt, ut ne coid tijs quidem scriptis in eam calumniis
temperd rinttillis maxime nisi argumentis, quodars reru fit qiue
friuntur, rhetorica opinionibus conflet no scientia tnec cognitis penitus
perfjpeCtis rebus, et nunqfallentibus, ad unum finem fj eCia tibus cotineatur,
ut nec semper veris agatidua semper sint cause ut necesse sit altera falsum
tu A 5 ni tO rri.Addm et illud, ob umadt Siiomsgenerdad
mdgire popularem sensum iccomoitnda, nui Um irteefje poffe,At^id po Rremo
ohijdut,ca put totius rhetoricae e^e dicere: quod ipsum arte tradi
non poteh, Ad c^uae singula ne articuktim occurramus, in causa nobis e Quintilianus,
qui libro secundo omnes sententias confutando, eo rem deduxit, ut
artem esse crate usurpatum: Qjw in re clarus quif^ efi, ht ea fe exerceat,
diei partem illi plurimam im-^ fy pendat, utipfefe fuperk. G audeat, fi
ad doShrinam provocetur: nec turpe putet docere alios, id quod ipsis
fuerit difeere hone iijiimum, meminerit tit tmcn virginem esse
inuSim eloquentUmj nec turpi lucdlo proflituendam, tuncque laborum eloqucntt
juormfruEtum fat rm um capere Je fiat, quum occasionem adipifcitur publicandi
qu. rit, non doceat: nec ingenia melius ahjs uacatuta, detineat atque obruat.
quibus deliramentis plenos ij»n tunc esse grammaticorum
cemmentarioi tO tortos, conquerebamur Seneca et Quimilianus, Exerceat postremo
difcetes, inflet, molejius fit potejlatemque adipipendce rhetoricte non
minus in di fcemium, quam docentium dm^entiojoliett
datconfijiere, aVALES ESSE DEBEANT Rhetori cf candidad. A Ge
nunc uici im, quales efje debeant Rhetoricit candidati, inf^iciamus neque
enim ex omni ligno fit Mercurius. Mali nihil m ea proficienucum quia mens
uitijs occupata, pid cherrimi operis jiudio vacare non potefh tum
quia omnem malum, /lultum esse oportet, Mti autem iudicio carent et
confiiiotquibus maxime nititur ars rhetorica, nam ut caterarum rerum, sic etiam
ELOQUENTIÆ FVNDAMENTVM [cf. G. N. Leech on H. P. Grice, IMPLICATURE AS
CONVERSATIONAL RHETORIC] efi fa- pentia, Sit liberaliter inftitutus, bonis
corvoris ap tbryne, prime ornatus i?hry nem meretricem Athenienses
prudentissimi eloquetissimique, no tam Kyperi dis oratione, qiMnqud
admirabili, petfuap, quam uifo eius peSiore (quod speciofiflmum,
diauStd ibiades ue Aent^erm) apfoluer Hnu AlctbUdeSi cui R*P.
relji>onfo Apollinis, tanqtmmfortif^imo Gra eorum flatwtm in comitio
erexit, populum Athetiienfem pulchritudine poti^ime habuit fihi ofcnoxium. Nec
mirum, fi illi populo placent, quos eximia j^ecie natura donare dignata
e: quum credatur ccele/lis animus in corpus venturus, dignum prius
fibi metari hofhitium uel quo e- nent, pro halitu suo sibi jingere
habitaculum, unde aliud ex altero crefeat: esr quum se pariter
iunxerint, utraque maiora fint. Vtcunque,
fatis conRat, mirum esse quantum atice forma maie flasque corporis
sibi conciliet. Dotibus idem animi fit infhruSius, filiis qua ingenerantur
appellantur non uoluntariat ut docilitas, memoria, quaf e omnia appellantur uno
ingenii nomine: filiis, qua in voluntate posita, proprio nomine virtutes
dicuntur Ante omnia tamen ingenio opus est: quodquibufdam animi atque ingentj
motibus eget ORATIO, qui ad excogitandum acuti, ad explicandum omandumque
uberes, et ad memoriam firmi fiint (dtuturm magnamque IN ORATIONE pofiident
artem facetia, lepores, lacef- findirej ondendique celeritas, ubtii
URBANITATE B 3 coniuttSia: tl conimSi: qu Nec minor dijfensio
eflin eius materia i illis ORATIONEM, abjs argumenta perluaji hdja,
ciuilesabjs qucestiones jiatuentibus Noiy de ea INTER OPTIMOS convenvtt,
aperimusi t prius quid sit ipsa materia oRenderimus^Ejl enim
materia, in qua omnis ars, ea facultas qiue conficitur ex arte, versatur,
ut ergo medici nauulnerOy morbU fic rhetoricae omnes res quacunque
oratori ad dicendum fubieSla funt materia appellatur. Nec obflat, quod fi
deornni tus rebus dicat, propriam ergo non habeat mato rianhfcd multiplicem:
quum alia quoque artei VtatedaH mino DE CIVILIBVS QVÆSTI- iv
onibus, Sacarum gencru -r bus, Solent autem res oratori
fuhieBa cendum d plerifque (^uMones ciuiles appellari: quod non omnia
quk‘. pofhefitn uocant. 1« hdc genercttim Jiquid ftueritHT, ut
ExpetemU ne fmt literae . \n iU (t definitcejunt perfonce C'onfiituti cum
ad uerfario confligendum, ubi rei dominus (qui fie pe alienus, sepe
immicus eR ) quasi machinatio ne quadam, nunc ad iram, odtum, triRiciam, ht^
ticiam, fexcenta opposita, eR detorquendustillk magnum eR opus, et, ut
inquit CICERONE, nescio m de humanis operibus longe maximum DE CIRCVMSTANTIA,
QJTAB sed hypothesim. Nunc quoniam thefim ab hypothesi se
perauimus, et quomodo qvæstione uti de beat orator oRendimus: reliquum
eji, ut quid sit quod hypothesim faciat, demonRremus, ER enim rerum
quell ere, auieqHid sit, enumeratione facilius quam definitione
aeprchendttUK Sunt autem eius partes lex Quarum coniunctiio onat.
ELOCUTIO, (]ua IDONEA VERBA SENTENTIAS inventionibus dijhofitts accomodamus. MemorUyquie
rerum verborumque ^fida efl custodia. PRONUNCIATIO, quicej e, in quas speaes
dividantur. Ermagora, quo duce po ttj?ima rhetorum pars usa est, quatuor
modis fienajjerit: per cequale, unicu, sine circunstantia, modi 4«
inexplicahtle. Æquale e/i, quum eadem ex utra- t que parte dicuntur: ut,
Dj(o adolescentes vicini f ormo fas uxores habebant,
noSiuobutamfa£H media uia, accufant Jeinurcem adulterij, Vntcu, t
quum ex una parte tantum con/iat, ex altera nihil affertur: ut Leno, qua parte sciebat
venturos adolescentes, foueam fecit, quailli pertere ,Smr circumstantia, quum
aliquid deeH in qtueflionei quod faciat causam: ut, ¥iliumpater
abdicat, neq; ulla additur causa abdicationis, Inexplicabile (fi, quum
ludex haeret impeditus, nec f nem iu dictj uidet ullum lUtLexeH,
feptemiudicesde: reo cognofeant , maioris partis fententia fanSia fit,
duo quendam abfoluunt, duo pecunia mul- Siant, tres capitis condemnant: rapitur
ad pee-iiam, contradicit. \t€m, Alex ander in somnijs admonetur nonejfe
credendum somnos, Plura de- / tndf 44 ff wde oh
ferumtpoftmtas cmofior ,nm Con nertihile id affelUtur^ qtmm tota a£do
conuerti twr a litigantiusmcutn^ fuis prioribus utitur rd tiomhu Syfrladunlarij
. hocmodo i Exigebatqtur dm A amico pecuniam cum ufura , quafi
credi f i tamto fferebatilklineufuraj quasi depositim, lnterim lex fertur
denotas tAults: petit creditor tanquam depofitamyrtegat debitor tanquam
credi € tS, Non uerijimile ecquod contra opinione dici . turtut fi CATONE
ambitus accufetur.quodtame ft m caute agatur , haud procul ahefi quin
cmfiftat 7 Jmpofme eR^quum id dicitur quod fit contra re rum
naturcefidm; ut si infantem accusemus adulterii, quod cum uxore cuharit aliena
.Turpe quod omninoreijcitur: utfiuir precium pojcat ^adulterij.Sine
colore efi, quum nulla caufa faSH inuenitur: ut decemmilites belli
tempore fibipol’- Cdcofyfid hces amputauerut,reifunt LtftreipuhUc4e.
Sunt ta. f^alue IpecieSyqtutcacojy Ratayi defi male consistentia
appellantur ut aticum, quum aut ali quiserrorinhi Roria^yautinquams ex circunfiantijs.Impenfum,
quum penes unum omnis iudicijuis eftyparumq^mer habet in quo dicendo
Iere a ir, Pr iunguntur: et fic accufatur
faailegus,utfur etia dicatur efje. In tranfuttm uero, uno tantum accusarnus
crimine, sive illo quod intendimus, fi-ueillo ad duod reus tranfferri poHulat aSiio
nem. Sed hcec multarum fitnt nundinarum , qtue non una disceptatione
pofiint ab soluL Sum-ma tamen h^c fit, expedire dificentibus quadripartita
fieri diuifionhuel qafacdior fit,uel quod defendendaru caujaru ratio id
exigere utietur, ut primo si pote fi negemus, proxime si non id obijctturfaSiu
afferamus, tertio (qua defensio e honefiifitmdjfi reBefaSiu cotendamus. quco
fideficiut, una fuperefi falus, aliquo iurisadiutorio elabendi d criminei quod fit
per translatione [DE STATV CONIECTV] ralu C Onk^iuralis autem fiatus, quod
incerta conieSittris Juj iciomhus indaget, di- D yo
‘, £}us:re a nonnullis nono uerho , nc nefch m LdUno, mutus f
quod meo uideatur utrum maSia fit: tumfit-, quum quod ah uno
obijciturf alter pernegat. nec folumfaiium, sed et aiSium, qucerit: poteflq;in
omnia tempora Sflrihui. De prceterito enim conijcimus, An fenatores
Romn Ium occiderintide prcefenti, Bono ne animo erga Tullum fit Metiuside
futuro, Num fi Alba no diruatur, Miquid incommodi ad Romanos Jit
per venturum. In his omnibus agit conieSiura^eafic AB ALIQVO
MANIFESTO SIGNO, quod lege moribus f liceat, nec necefarto rem arguat. Ac
(utapei: tius agamus) fex eiufmodi objeruantur. aut emm defa6lo
tantum, non de perfona conflat: aut ae persona conflat, non defaSio: aut de de utroque non
conflat :aut fi defaSio, de uoluntate no con flat: aut quum de re ipfa
quaeritur, non dtfaSio /diquo, an aliquid fuerit illud de quoefl
qute^tiot 4Ut mutua eflaccufatio., PE STATV DEFINITIVO, D
Uflnmu€tiam commodum aliquod -i afferimus. c? O X m i
Genus. fZ de statv generaliJ A t quum quid faShtm i
quo nomine appellari debeat convenitiet tme quan tum, e^r cuiufmodi
, & omnino fine ulk nominis cotrouerfia quale fit qu tetnpus: illa ,
pdicet negocialiSj iudicial pnetmtmqi rejpiciant, ut fuo loco demonstrahitur.Age
uero nunc iuridicialem , cuius controversia ex re iam faSla
proficiJcitur,inlj>icidmus: negocialem poji paulo traSiaturi In iuridickli
luxiiicialU, aut reusfeciffe quippiant, quod uetitum fit^fatetunaut
uetitum negat* ft negat, abaoluta ejl iuri- lam, af- , Absoluta duobus jit
modis, faSti qualitate et iuris ratiocinatione. FaSli qualitas eji, cum
ofiendir i mus nihil nos fecijp pemiciofum.lurb ratiocm'. tio modis
fit quatuor.lege,ut occidit filiuindem natum quis: licet id lege, more,
ut apud Scythas sexagenarij e pontibus mittutur, Athenis id Scytha fecit,
tuetur fe more gentis fu Vietatioeri minis. Remotio criminis con^itutio,
quatuor locis dividiturt comparatioh ite, relatione criminis, remotione
criminis, concejione, Comparatio fit, qumfaSia compenftntur, aut maiori
incommodo prolj^e^lurtt efje contendimus , aut deliSlo meritum
comparamus: comparaturque; id quod in crimen vocatur ad id quo fe reus
profriffe afjerit, ut quidam mu, ro ciuiMis deturbato hofles fugavit,
reus efl Itt fe rei publicte .lbi comparatio efl^ quod enim mu
rosdeiecit,uideturl trem , eir Mfione m Clodium, At fi non in eum
qui paffus e^i,fed in alium,uel aliudcrimen tranffertur,tunc remotio criminis
appellaturiut de eo qui porcam tenuit in fcedere cum Numantinis, unde
remotio criminis duobus modis con/iat: fi aut causam in alium
tranfferamus, aut falsum: vel si in perfonm remonemus, aut in rem, ut
pu tdtuH partibus in- jj>e6iis, legitimam confideremus.
Efl autem le Legitima conRitutio, quum ex scripto controuersia
nafcituriin funt in legitima confitutione, quod fi ex plunbus
[criptis controuerfia ndfcatur, contra md de TranflationeaSiionis sit omnis controversiam
enim ah alio nos accufari debere dici musyoutnon nos^aut non apnd hos ,
aut non had lege, non hoc cfimine non hac pcena uel aete ris id genus.
Illud tamen animadvertendum iit Translatione quod aut omnino de
commutatione ali 4 Tranfidtia undefiat^'-t 4p
huj; eds partes feantur, suas pnefcripfimusSe quU iks
principales , alus incidentes esse diximus, lUud multos IMPLICITOS hahetyjTi
plures tus in causa inueniantur quem potilsimum eligamus, quem'ue
principalem ejje iudicemusf H«ic jcrupulo facile occurri per nos poterit,
fi illud imprimir observauerimus, quid fit quod comprehendat, quidue fit
quod comprehendatur qui Trutcipdlis enim alteru in fe habuerit, is
erit principalis: qui uero quafi membrum accefferit , incidens erit
is Incidens, iudicandus, huius proprium e^l, confirmire
principalem. Qupd fi neuter comprehendatur, tunc
principalis cenfendus, qui imperarit: incidens, qui seruierit. Si vero
nujqua aut feruire aut comprehendi Ratus uHusapp^erit, tucuterque prin- Copiexm
efiappellandusieao; controversia, quonu controver J I a i duos m fe plures
ue status mpleqti^, cpmplexi Uanominatur [QJTAE CAVSA SIMPLEX SIT] qu 2 c conmntfla. Atque vel ob
hanc rem poti fimum statim caufa difeutienda efl,fimplex'ne fit tn comund^inet^enim
eadem utriuf^ efl ratig. quoniam St quonim multum intereR, utrum de
unare an Se plurihus agatur. Simplex, ahfoiutam continet qvæstionem, at
ConiunSla,aut ex pluribus quce Co/«'w^ /lionibus iunSiaefttut quum Verres
accufatUTi quodmulta furatus fit, quod CIVES ROMANOS nei carit,
quod peculatu commi ferit, autft ex com paratione , quum quid poti fimum sit
consideratunut utrum Cicero accufet, uelC(ecdius.qu(t, cause cognitio
maximo efi adiumento ad constitutionem inveniendam, DE genere caufe,
conftitutione ip utrum causa fimplex fit an coniun6iainj e6iis, qvæstio, ratio,
iudicatio, firmamentumque sunt eognofeenda nam defaipti& rationis
controversia fatis efi; a nobis eo loco de monfhratum,ubi de generali
egunus confiitutione, C^ipnem autem quum dicimusffummam illam in qua
caufa uertitur ,intelligi uolumust - Sunt enim pleraque minores exfummis dependentes,quasj
cialia nonnulli capita appelknt quum Mum fummas dias, generalia
nominauerint est. QB^o ergo auaftio hcec , materia , quce ex intentione. fmma.
depulfione nafcituriut, Oreflesmatremiure fe ocadiffe
att:qi{^efiio,an iure occiderit » Subfe tquitur ratio, qtue caufam
continetiquia quodfa^ ciu efje confiat, j^er eam defenditur . ut,
Occidi matrem, quia patrem illa meum necauerat ex qua ratione
necejfead iudicationem peruenitur qu eloquentiæ lumi moftendenda,
licet Theophrasto refragrante GENVS DEMONSTRATIVVM D Emoflratiutgeneris
praecepta dare, funt qui minime neceffarium effe arhitren, tur: quoduixcenfeatur
quifqua effe qui nefciaty, quaefmt in homine laudanda.cum tamen mu
fu. jit cottidiano,eoqs tandem excreueriti principi- PUS doRorum
consilia afpemantihus, pefimoque dicendi genere in iudicijs induSlo, ut
fere folum hodie materiam praeftet oratoribus : non erit ah, f hnnc
iplim etiam locum ddigeittius tradam E 4 uerimuSy yl uerims. Eiusfirtem
honefium effe diximus, fiue enim qumquam laudamus, fiueuituperamus,
id quod dicimus honefium effe contendimus. Nam fyoneRum bonum eR,
ideo ergo laudatio, etpotipima, d uirtutis dehetfon te proficifci ,
fine qua nihil laudari poteji Eam
in quatuor laedes iferefapientesi in pruden- Virtutum tiam, Mittam,
temperantiam, fortitudinem, praclara omnes quidem, et qua mutuis
adiuuen tur auxilijstaptiores tamen quadam ad laudationem,Si enim uirtus
benefaciendi quada uis e certe eas partes qua plurimum conferunthomimhus, maximas
effe oportet^unde iustitia for titudoiucundij^ima in laudationibus, qua
domi foris^pra^o fint, nec tam pofiidentibus quam generi humano
fruSluofe putentur: prudentia vero, ac temperantia, tenues ac pro nihilo
exi/H, mantur, iungenda tamen fiunt omnestquod non minus fape moueant
mirabilia, quam iucunda ata , Et quoniam singularum virtutum quada sunt
partes et tcia, propterea euagandum e, habet enim in fe Prudentia
memoriam, inteUigen ttdm, prouidentiam: fortitudo, perseverantiam y
patientiam, fidentiam, magnifitentia: iustitia, re E
Ugfonmp Ugionem, pietatm, ohferumim, veritatem, uIti enem:
Temperantia vero continentiam, clemen tiam , modelham compleSiitur His
omnibus fuo ordine resgems accommodare, no tamglo- riosum quam
difficile ludicatur, Optimu aute mrtutum condimenta, quod ornati fime
dici facillime audiri po f it, fmper eji exiftimatum, si aliquid magno
labore ac periculo fine aliquo emo Jumento pramwuefaSium oRendatur . ea
enim pneflantis ejje uiri uirtus cenfetur, qu^efruSiuo fa altjs,ipfi
autem lahoriofa, aut periculosa, vel certe gratuita fit. Etne virtutum
tantummodo partibus immoremur, magna fylua oritur laudationum, ex hominum vita,
deque; his qua cottidie in ea emerguntt ut sunt illa omnia quibus
pramia sunt propofna, femperqs in pramijs honor pecunia proponitur ,
Commendantur quamor- tuos magis confequuntur, quam uiuosine fui gratia quenquam
aliquid facere arbitremur, Nec minus soletU celebrari, qua egifje nullus efi
metus, neq; pudor: quemadmodu fertur Alceo Sappho responde Monimenta
item, publica laudationes, in d unShs potifintum, magnam faciunt
adgdmtationmiquMquam liiudis fiunt gratia, nec nobis, fed altjs
utilitati funu rafertim bene meri tis. S unt etiam morerconfuetudinesq-
earum gen tium,apud quas laudamus, cottfiderand con^at.qui pe des
uelociteragit,curfor:qui premere poteji, retinere,luSlator:qui pulftndo
pellere,pugil:qui utrumc^ hoc , id eft retinere ^ premere pote/l,
pancratiafiestqui omnia fimul, pentathlus. Magna fane junt hac cum geRu , tum
ffe^atu bo- na.fed nifi externis illis, id e^ fortuna bonis, op
timis ad felicitate infhrumentis,adiuuentur, man ca reddetur felicitas,et
qua undecuq^ laudari no potefl.Vnde non mediocris laus ex fortuna
to- nisderiuatur.ea funt nobilitas, liberi, amicitia,
glonOf ghria, honor , eSr qtce fequttnttfr,Nohilitas,0'
duitatis f/l, •jamilice Alla uetu^ate, libeitatey feliatate,
rehuscj^geflis commendatmhac^illis ipfis rehus, uiris etiam ac
mulieribus, uirtute aut Jiuitijs,aut alia re laudata claris, legitimisly
nata lihus celebratur. Uberi magno funt ornamento, fi multi funt, fi
(ut uno completior uerbo) boni mares ultra corporis bona, temperantia
placent, t fortitudine‘ fixminie, forma, proceritate, pudicitia,
lanificio, Amicitia multorum bonorum expetutunqua bona fore amico putent, propter
ipsium amicu agant , Diuitia nummis, agris,pra dtjs, fupelle 6
iili,mancipijs, armentisq; continen tur: multitudine, magnitudine,
pulchntudine, ex ceUentialaudantwr, eafirma, amoena, utiliaq^ef- fe
debent. Gloria datur, haberi in precio, putari id conjecutum , quod uel plures
uel boni pru dentes dejtderent. gloria diti fimos beneficos plerumque
fequitur , uel eos qui conferre queant beneficia, Honons autem partes
fiunt,facra, celebrationes , decantationes carminum, panegyri- , d, sepulchra,
slatua , alimenta publice: qticc barbaris placent, adorationes,
inclinationes, cebitus, in corporis /latu cernitur Hiratioe/l infpicienda:
animi magnitudo tunc, potiffimu furgit, fortitudo uero illa bellica
(nam domeftica grauioris eflatatis) incrementum ha bettneque fupereft
quod fieres d fortitudine, nifi fe in iuuenta patefecerit. Virili autem
atati tantum demitur de laude, quantum de uirtute de, fideratur
^Itaque oportet idatatis uiros effe per- fe£liflimosi neq^qulcquam
facere, cuius pudeat aut pceniteat. tunc prudentia, rerum
cognitio^, magnificentiaq; apparent. AtfeneSius patien, tiaplacet: dulcedine
morum, comitate, affabilita • teq;dHe^at.cenfeturq;praclara, fi corpus
non reddat infirmum J rebus publicis no auertittnon facit deni^ ut ueru
fit illud , Bis pueri fenes: qua- les funt creduli, obliuiofi,diffoluti,
luxuriofnqui. Inomni atate turpes, in feneSia uerq
funtfcedtf , pm^ SeptimmiUHdfupereA tempus, qu6dj^ i^m hominis
infequi dixermus . in uerycn non femper dccafio efi: quod non omner sepultos
di^a memoratu feqimtur,Si quando tamen traSlare cotigerit , teftimoma,fi
qua allata funtyr ucenfeantur, tam divina quam humana in qms
dedicationes temploru, confecratmes, fiattuti ' A mommenta, publica
decreta numerantur, hahk &fuumlocum ingeniorum monimenta^u^era^ . ro
laudem ante obitum consequutur. Afferunt et laudem liberi parentibus,
di]cipulipr ci Uerfus caperent,
permijkAdem'que mfunehrr laudatione hunc ordinem ofiendit, ut
defunSii. prius Copiofelaudentur, fuper^lites inde
benigne moneantur, filii mox defimS^orum fratres^ aS tdntais ip
forum imitationem inuitentur : parens tumpofhremo et maiorum, fquifuperfunt^do^
BrawluSS confoktione leniatur, ROMANI AMBITIO hoc genus troEtauerunt , rmdta
fcripfhrutn: eirch I libr. dUctfaSia no
funttex quibus rerum rioflrarum Ro^a?. tiftorU eflfaShimendofior .^am
illas imerire rionfinebant familia, sed sua quasi ornamenta
tcmtmimenta feritabant, & ad ujpfm fi qunei gmerisoccidif[et, et ad memoriam
la fnefticarum, illu&andamq; nobilitatem fltam: ttec alius quifquam
id ojficij fumebatfibi, nisi quidefuniioe Jfetcoiun Siifiimus, Sed iam
fatis vituperan- dedimus praceptoru in hominibus laudandis t et di
eade qua exegiffet fane ratio , ut aliquid de uituperatione laudandi ra
diceremus,nifi hic ipfe labor eadem nobis exem I; vituperationis idem sit
ordo, qui laudadonis i praceptac^uituperandi contrariis ex uitijs
fumantur, non solum in hominis tata, sed ante hominem, et post obitum,
itt it iePmle, MeliOyM:^>MoHid memori ^fro&Hf
‘ ^.Vridr fatis conf^y fine uirtutum ukiorut^i^ •m P» V
f^wrww 'I "JW tcSiaagams,
contentihisque tuedi Bafmtyadho thtiies laudandos pauca de cateris rebus
in mple^, laudibus extollendo, quoaonus fiufch pere uolentibus,imprimis a
Deo Opt. Maxjnci piendu efljnueniffel^ eum , oftendiffeq; nuptias
mortalihustid'^ ita pro confejfo effe,ut non modo nos in hac pia uera4 t UiiuSytion auiditpudohs ji^ifjcatione, uocis
t- m V / 0
po/?remo ^freyfjpme pr lia, qu(t propter fdpfum aut ex
confuetudinea eit, aut ex appetitu uel rationali (}urluntas emm coniefl, cumratiorteineqque
uifquani) diqidduidt nifi honu putet)uel etiam irrationali, cufnfacitit
ira cupiditas. Neceffee ergo, qtuecun(j homines agunt, feptem tantum
caujisfaceret fortuna, ui, natura, confuetudine, ratione, ira, cupiditate.
Fortuna accidunt, quce nec femper, nec plerum(y , nec ordine fiunttcumipfa Fortuna,ac
cidentium rerum fubitus fit atf inopinatus euera tus statura ea jieri dicuntur,
que remus: neceffee]}, iucunda omnia uelprafentii fentiendo,uel
praterita repetendo, uel futura ff e rando cotineri, Qjuecunq; tame
prafentia dele Bat, eademque fferatibus memoriaq; repetentib,
iucunda funtinec fecus e contrario Vnde in prtimfi hi pra^enty qui ipfi
laudandi funt, qui- bus'^ fidem adhibeamus cum eorum nihili fat
iudicium, qui nullo m precio habeantur. Amare etiam, amarique, beneficia
conferre, egentibus o- pem ferre, fuauifima: quod his abundemus,
qus- vr' ir T homines, nam prd parente e conditor pr*
maioribus populi a quibus origine duxerint. junt ix fua auguria , eX
uaticinia t multumq^ hahent mBoritatis qui Aborigines, id efi
indigenmplexi, laudibus extollendo, quod onus fufch pere udentibus,
imprimis a Deo Opr. Pto.inci piendueflunueniffel eum, oflendiffeque nuptias
mortalibusudcj-itaproconfeffoeffeyUtnonmodo nos in hac pia uera^
religione, fed etiam uetu flasloui lunonic acc^tum connubium retule
rit , turbam^ dmrum ingentem proeffe nuptijs uoluerit, nec contenti
loueadulto,Iunoneriu efi^ j^ffnoHprM res intueri prafentes,Uf^enimpf aut
animi promotione cogatur d^obatio aut earum rerue^h uaedb or^^reno: cogitantur,fid
d caujareisque defmmtunut jqtubusfita fiiutabuLe,teftimoniayfa£hti Conuentayleges,
et Mteraidgenus. Auttotaindij utationeyau targumentatione orationis
collocata eh : Mt in hae '^ear^unentis inueniendis y in dia de
traSiandis cogitandum. Conediatio fit dignitate hondt eSediatm, ms,
rebus gefti SyexifHmatibneuite remusi neceffe ejl, iucunda omnia
uel pr con- Jueta agere iucundum mauifeilo fit, quis credat tantum
afferre iucunditatis uicifiitudinem f necy iniuria, cum fittietafis mater
fit Similitudo , In- efi & fua indifcendo imitandoque iucunditas:
ifuce imitatione confequimur, etiam fi ipfa ni- hil in fe haheant
iucunditatis. ocium denique ipsum^ac iram , ri/«m j afferentia deleSiant. Po- C
z ftrema) too fkcm Oitludmmqtue fecundum naturmkctm* ditate ajferut,
idcirco quo coniunStiora fimt,eo funt iucundiora: ut homo homini ^ mas
mari* qua ex fententia feipjum magis homo amet necef fe e/lj quam
reliquosicum fua ipfius cauft ccete ros amet. Liberi deinde,& qua
inter chara adntt merantur quanto plus ad homine accedunt, tan to
plus afferunt iucunditatis. Et iucundo quidem per^e6io, eademque ratione
iniucundo'(cwn eadem oppofitorum fit difciplina') facile erit conoscere,
qua caufa fit inferenda iniuria : ad Vtiuria affj Juccedat oportet,
quales fint qui iniuria cateror dentes qui afpcmt.Sunt autem, qui facile
inferre poffe ar^ hitrantur, uel celare jperant: aut fi deprehenji
fint, nullas, uel quam mmimas daturos fe pcenas: plusq; in iniuria lucri,
uoluptatis'ue, quam in luen da pcena damni mcerorisq- inejfe
exiftimantJniu riam facile fe poffe inferre eloquentes , diuiteSf
aSiionihus exercitati, experti, multis nixi amici* tijs, clientelis^:uelfi
ipfi careant, in habenti* hus amicis, seu sociis, feu miniflris, quod
illorum se patrocinio tutos putent, Praterea fi amici iudi cibus
fint , uel his qui iniuriam perpetrant* ludi tot cts enim leta
moUil^hrachio in amicis ag^^ann eorum iniurias acjuiore animo toleramu. QeU
re autem feipfos poffeU^erant , qui omni uacare juf^e^ione uideantur,ut
d^ormes adulter'^-, sacerdotes flupri,dehdes pulfationis,&'ea qwt pa
idm ante oculos funt neque enim aperta ^ quaq^ ingentis laboris fit
tollere, ohferuantur , Caue^ muslj' potius nobis ab ufitatistut uidemus
in mor his accidere : quos illi timent , qui fiint experti. Clam
etiam fefaSiuros putant,ipiihus nullus ini micuSyUel quibus
plurimi.illhquod no obferuen^ turt hi uero,quum omnibus fere fufj^^^i
fwt,no mdeantur ob nimiam cu^odiam clam facere po- tuiffe^mukos
quoque locus,commoditas,moreSj que celant. Inuitant etiam ad iniuriam
facienda, iudicij propagandi , propuljandi , corrumpendi, uel certe
ob inopiam euadendi f^estlucrum quo que apertum, prafens,magm,prafertim
fi dm- num occultum paruum procutue fit. maior etiam utilitas
, quam ut par fupplicium excog ari pof fit : ueluti efl rannis . Sunt^
proni adiniuriam, qui inde lucrum petunt, neque quicquam malipreeter
ignominiam uerentur, quibus que id G } frcijjc fecijje laudi
afcrihiturtut parentes quacim fint qui inferant , quiq; patiantur , fatis
arbitror ex his qua in medium adduRa funt poa tere.Sed quonianon omnibus
eadem uidetur iniuria , fapeq; ufu uenit ut plus doleant laft quam par
fit,minusq; noctdffe fe putR nocentes quam fecerintCquod aliena mala no
fentimus, et noRra maiora quam fint iudicamus ) idcirco de iniuria
primu iureq^faRis,mox de maiore minoreq^ iniu ria paucis differamus,
Iniuria iureq^faRa omnia legibus primUm duabus, deinde quibus funt
bifa riam determinantur, leges aut duas appellamus il las ipfas
iu/li partes, qua ternario a nobis nume- ro in iu^i definitione funt
expojfita, comunem fcilicet, qua fecundum natura fit: (^propriam,
qua in scripta non fcriptam diuidatur. Qui- bus uero iniuria fiat ,
bipartito conflituimus.aut enim emunis laditur focietas, ciuitasq; ipfa
offenditur, ut in militUiaut unus alter ue iniuria af
jiciturf tOJT ftcitwr,ut in adulterio,qu horti quadam
eleSiione, quadam uero ^eSiuconuiA. Cueiufinodi: quid jit illud de quo
agitur definiendu eB,ur popimus iwre ne an iniuria querd^ tnur injpicere
. pr quonia iuftorum iniuftorumq^ ' duas partes connumerauimus, firiptas
fdlicetle gd,^ no ficriptas, deq- fcriptis affatim demon* firatti
eft : pauca de no fcriptis funt recenfenda. alia enim per excejfum
uirtutb uitijq;Junt, in qui hus uituperatioes,honores , infamia^iut
gratias habere benemerito,amicis praflo effe, & his fi*
milia.alia uero ex lega fcriptarum defe6iu:deejl aut fcriptis legibus,
uel qu latores aliquid effi gerit,uel quod confulto pratermiferint,cu
detet minare figillatim omnia nequiuerint.ne^enint fi de tiuinere
agatur, quo ferro, quali , quat&ue, G y coth
tO^constitui potest, Eil igitur aquum (juoddm ha numq;, quod
praterlegefcriptamiufiu cenfea- turimultaque etid lege scripta putatur
iniufla,qua aquo homq; tutari Poffunt. Bade
ratione no tan ti errores faciendi funty quanti iniuria:nec*tanti
qwt aduerfa eueniut fortuna, quati errores. nam adversa fortuna feri dicutur,quacu
prceter opinione, non ex malignitate puntterror uero no 'praeter
opinione, fed fine malignitate ft. At iniu . ria cSt* opinio e^i O’
malignitas, Aequu e/l etiatn jn rebus humanis ad ignofcendu commoueri:
eJT* non lege,(ed legis fcriptoreino uerha,fed fenten ti^:nonfa Siu,
sed voluntatet non partem, sed to tminon qui nuc, fed qui pepe, aut fere
fmp fut ritconfuierareibenefciorupotii qua iniuriaru,
accepti! quam collati meminilje :
iniuriaaquo gnimoferre, oratione potius Mam re difceptare, et ad
arbitru magis quam inforu defcendere,na arbiter equu bonuque,
iudexiuflumf^e Slaune^ gha ob caufam arbiter eligitur, nifi utaquum
ho tiumq-fuperemineat. Atq;hac deiniuriaiurec^ fa£tis
di£lafufficiat,Haior aut minor ue iniuria inultis modis cognofcitur i
eaq^ maior exiflima i 07
htr,qH<e i nudori t profcifcendi toh 4e <{uee minim
funt aimiruty ttutxitM mterdu td deturtcu ispr^fertim qui
terunciufwctur^quid kis iudicetwr ablaturus . Ma^itudo quoq; dam m
maiore facit inturid , fi par mUum juppliciurH ' excogitari, aut remediu
adkiben pofit : na ultio et pcenapro remedio fut.nec minor, cu qui
ppef fus turpitudine ferre no poteritiut qui accufatus ^ fibi uim
intulit, maledico(y carmine laceratus hh queo pependit .E/i et in
maximis, foiu aliquid fd cere,uel primu,uel cu paucis: pnefertim fiid
fa* ciat fsepe, caufam'ue legi nou<e dederit , aut cor- ceri, aut
supplicio. QM»et maior cenfetur im«-ria, quce plurimu dijiet ab humanitate, beftiaruL
fit quam ftmillimaiet qiue cogitatojit, quaq; audita homines magb timent quam
mifereantur. Am plificatur aut omms iniuria,quod euerterit multa
iufta,iufiurandu, datam dexteram,hojpitium,fi dem , affinitatem'^
contempferit. Ad haec maius redditur peccatum , fi ibi deliquerit , ubi
iniufti puniunturiquod faciunt falft te/ies. ubi enim no nocebunt,
qui apud iudtcem peccauerintfEa etia ^maiora funt, in quibus fumma
turpitudo, ingratitudo I fOdtudoli htgens.nm bis pecatyquodnon lenefi^
€ity^j}i Umde.Sedhac&‘ longeflurayfij lidmitudii artis<^
adhibuerit, facile orator fuo iiigenioaffequetur:nohisdemonflraffe fat
fitge tueri iudiciali neceffariay^uid potiffimu circa ittr luria
uerfetur.Eius generis proprium eR rita difcuteretomnes flatus capit, omne
artis exi git fupelleSiilem , omnia dicendi genera cu
ufus cxpoAulat: neiy ullum genus e/l, in ^uo df^ ,
flcilius^oriofius'^fe poffk orator exercere, ab Optimis utriuscg lingug
autoribus excerpti, quotn perducendis ad eloquentia
iliis adolefcentibus uttjfolebat. lli'k àrtaiì lì. rflltllli
hK iPAECCy P. Ili *^i a aaa^ki^Mi^kirtH
Concludo qucmC appendice con un voto. Bemékè ìm Jfibliotcca di P. sia
stata, or per a tarisia fratesca, or per incuria dei custodi,
deplorabilmente assottigliata, pure di codici e di edizioni
annotate avanza tanto da potersene fare uno studio accurato, che non ci
abbia da essere niutw dei nostri guh vani filologi a cui non nasca questo
desiderio Cosi scrive FIORENTINO (si veda), qnan;]So, tratteggiando da par sao
il sorgere ed il progressivo sviluppo della gloriosa accademia di
COSEN, rimaneva ammirato dinanzi al- Tulta figura del suo fondatore, P. Dovendo,
tre anni or sono, scegliere un argomento por la tesi di laurea, molto
opportuna ci parve l’indicazione di FIORENTINO (si veda); sicché, per quanto
fin da principio ci accorgessimo della difficoltà dell'impresa, alla
quale ci accingevamo, fiduciosi ci mettemmo all’opera, non colla
presunzione di adempiere il voto del dotto FILOSOFO, ma per mostrare che vi
era chi accoglieva il suo invito. FIORENTINO, TELESIO, Firenze Siieo. Le
Monnler. Il II I II I I m w
l ,mtm >.1. m > por dar prova, so non altro, elio la
polvere ola tignuola non meltono poi tanto spavento, da faro presto
presto strizzare Poceliio ed arricciare il naso scliifiltoso. Ora ò
appunto quel lavoro, benevolmente giudicato prima dalla commissione
esaminatrice della facoltà letteraria di Napoli, e poi da lla
Eacolfii del R. Istituto superiore di Firenze, che, riveduto e
ritoccato nello sue parti, sottoponiamo al giudizio del benevole lettore. Oli
scrittori contemporanei di P. si mostrano addirittura entusiasti di luì, non
gli risparmiano le \ìì\i alto lodi, e no magnificano con parole altisonanti il
valore e la grande erudizione; ma a ben poco si riduco tutto quel rumore,
che menano intorno: suppergiù non trovi che notizie inesatte, che
gli uni copiano dagli altri, e che ripetono sino alla noia, inni,
ditirambi, epigrammi, tirate retoriche e che so altro. Ma la critica manca
completamente, o appena si azzarda a far capolino. Degna però di nota
ò la monografia che pubblicava Jaunelli (si veda) sulla vita e sui saggi di P. De
vita et scriptìs P. consentini phiiologi celeberrimi, commentarius a Cataldo
JaimeUio, regio bibliotecario academico herculanensi et conscntino
cluciihratus; ab Jamiellio ratris filio conseutinae Academiæ pariter
socio, cditiis, præfation$ et tuxis auctui, NeapoU, tipis Banzolii.
Con tutto il rispetto dovuto al dotto e yalente archeologo, ci dispiace
di dovere fìn da ora asserire che il nostro giudizio sull’opera sua non
sarà molto lusinghiero. La vita da lui scritta è un magro e nudo
racconto che si riduce alhi semplice esposizione dei fatti, alle sole
citazioni, senza che nulla si agiti intorno al protagonista e v'imprima un po'
di varietà e movimento. P. professa a Napoli, a Roma, a Milano, a Vicenza,
a Padova, a Venezia, ha molti nemici, solivi molte persceuzioni, e
torturato dalla gotta e muore a Cosenza. E può mai questa chiamarsi
biografia? Dov'è l'uomo, che ti si presenta innanzi coi suoi
aifanni e colle suo miserie, colle sue passioni e coi suoi disinganni,
senza grave sforzo del lettore? P. corre errabondo di città in città,
trova nemici acerrimi ed ostinati, che gli si gettano addosso a
guisa di cani mordenti; ebbene, perchè tutto questo ì Xe è forse egli
meritevole per l' indole sua, X>er l'incompatibilità del suo
carattere, opx)nre quelle lotte, quelle persecuzioni sono il portato
legittimo dei tempi in cui vive, di quel tempo d' interminabili
litigi, il tempo dell' Umanesimo. Non lo dice lJannelli. Egli pare che
faccia poco conto di quel x>i'ecetto, che il valore esatto di un
uomo non si ha se non quando un tale uomo, come l>enis8Ìmo osserva
Graf, si considera [Attraverso, Looschor, Torino.] nelP ambiente sao, in
mezzo alla vita. varia e complessa di cui egli è| al tempo stesso, organo e
prodazione. Per la qnal cosa, dopo aver letto il commentario di
Jannelli, quaP è l’idea che il lettore si è fatta di P. f Oiò
che si è detto di Gaio può dirsi di Tizio, non vi è nulla che
caratterizzi l’uomo, non appare l’essere vivo d’ALIGHIERI, l'individuo
tutto intero, tutto d' un pezzo, la persona libera e consapevole di Sanctis. Oltre
a ciò non ci dice lo Jannelli se ò giustificato quel lugubre lamento, cbe emana
da tutti i saggi di P., specie dalle orazioni inedite. Se è vero quello
straziante singulto, cbe erompo da quel mesto componimento, l’ elegia Ad
Luciam, in cui si sente lo sconforto di un' anima abbattuta, un
phato9, cbe ti aggbiaccia, un tædium vilæ, che ti stringe il cuore. Su
tutto questo tace il biografo: Innanzi alle innumerevoli miserie, cbe
affliggono il suo protagonista, egli non si commuove punto, le narra
senza commenti, senza riflessioni, trascurando così completamente il lato
artistico, cbe non consiste nella semplice forma. Ma richiede anche
il concetto, consistente in quell’elemento subiettivo, in quella
speciale maniera di saper spiegare e rior- V. nostro lavoro : L'elegia e
Ad Litciam » di P. e il Bruto mitiare di Leopardi, Ariano, Stali, tip. Appaio
Irpino, ISOO. ] dinare i fatti, facendoli tutti dipendere da un'
idea unica, cbo abbracci in mirabile sintesi tntta la vita di un
individuo. Le copiose notìzie, con tanta pazienza raccolte, sono
gettate lì, senza essere state prima elaborate, non v’è sintesi, ma lunga
e pesante analisi; sicchò manca completamente la riproduzione artistica
delle notizie trovate, che f^ apparire coi suoi pregi e eoi suoi
difetti la persona presa a tratteggiare. Bisogna però convenire che,
rispetto a P., non ò cosi facile riuscire neir impresa: perchè si
possa avere una completa conoscenza di lui, non bastano le notizie,
spesso inesatte, che ci danno i filosofi contemporanei.È necessario che il
biografo sappia ficcare lo viso infondo ai preziosi manoscritti
inediti dell' insigne filologo, e studii ed analizzi soprattutto Pampio
codice, che contiene le ora zioni tenute dallo stesso, al principio dei corsi,
nelle diverse città, dove è chiamato ad insegnare. In questo codice
l’infelice umanista ci dà piena contezza dei suoi mali, dei suoi nemici
implacabili. R. Biblioteca di Napoli. Cari. aut. min. 317 per 223, di e.
164 non numerate, uè tutte interamente scritte, oltre due o più bianche,
già guardie di esso; ò legato di pelle. — Incipit € Epithalamium,
esplicit € Oratio ad. Discìpulos. Come tutti gl’altri manoscritti parrasiani,
questo, codice divenne prima proprietà di Scripando, come dalla seguente
didascalia finale : e Antonii Scrìpandi ex Jani Parrhasii testamento, e
poi passò alla Biblioteca di S. Giovanni a Carbonara, di dove alla
R. Biblioteca borbonica. Nella CaUibria Citeriore, in fonilo a quel granilo
ellis- soide, eh' è la valle del Crati, formata dalla catena degl’Appennini,
che ai contini della Basilicata si dirama in due opposti bracci, V uno
lungo il golfo di Taranto o l'altro lungo il mar Tirreno, sul fiume Crati
e Busento, sorge la (Vii- sentia di STRABONE e di Appiano Alessandrino,
la metropoli dei Bruzii, come la chiamano LIVIO, PLINIO, Antonio,
Pomponio Mela. Bella e famosa città, dal territorio ubertosissimo,
dove, facciamo nostra. L’espressione di uno dei più fervidi
apologisti di essa, Sambiasem stan gareggiando insieme Cerere e
Bacco, Pallade e Silvano, e Pomona con Flora i. Occupa una bella pagina
nei fasti civili e militari d' Italia. Ma merita soprattutto un posto
importantissimo nella storia dell' umano pensiero. Basta dare un
semplice sguardo alle opere di Barrìo, di Spiriti, di Zavarroni, d’Ughelli,
d’Amato e di tutti quegli altri filosofi calabresi, che [Ragguaglio di Cosenza,
Napoli. De Siiu et antiq. CalaMae, Roma, Memorie dei filosofi cosentini, Napoli.
Biblioi. Calabra. Napoli Italia Sacra \jSi) Pantapologia calibra,
Napoli. diuanzi alle gloriose mciuorie ili Cosenza, entusiasmati, hanno
sciolta la loro lingua alle più alte lodi, per comprendere quanti forti e
baldi ingegni abbia nei diversi tempi dati alla luce: Telesio, Galeazzo,
Coriolano e Martirano e soprattutto la fenice dei moderni ingegni,
Telesio, potrebbero illustrare, nonché una città, una nazione
intera. E P. non è anche lui nativo di Cosenza! Sebbene tutti i suoi
biografi lo credano tale, e non sorga a negarlo che solo Aceti, il quale
con scarse ragioni, gonfiate da un esagerato spirito di campanile,
sostiene che P. è nativo di Figline, villaggio presso Cosenza, puro
noi, per varii motin, dubitiamo che egli sia cosentino nel vero senso
della parola. Anzitutto perchè troviamo ritenuti per cosentini
parecchi valenti nomini di quei tempi, come Bonincasa, Cornelio,
Mazzucchio, che sono nativi di quei diversi villaggi, detti volgarmente
casali, che circondano Cosenza e sono ritenuti come tanti sobborghi di
essa. Poi perchè P. nelle sue opere, sebbene ne abbia tante volte
l'occasione, non ricorda mai Cosenza come sua patria, a differenza di
tutti gl’altri filosofi di questa città, nei qnali, come nota FIORENTINO,
si vede una certa ostentazione nel determinare la loro patria, e nell'apx)orre
al proprio nome l'epiteto di cosentino. In una lettera a Tarsia si
congratula del risveglio letterario della Calabria e specialmente di
Cosenza. In un'altra, diretta a Pagliano, parla dei [Animadcersiones in
Barrium De Situ et antique Calabriæ ed. cit. € Vir iste inter omnet acvi
sui erudi tissimus facile prìnceps, ad Fillooum, tire Felinum pertinet,
patriam tuam ac meam. De Rebus per EpisL quaesit.] cosentini mostra che non
dimentica mai Cosenza, che anzi l’ama teneramente; ma non dice mai nulla,
da cui si possa dedurre che egli stesso sia cosentino. Ne basta:
nell'orazione inedita, tenuta e Ad Patricios Neapolitanos), il ?. per ben
predisporre gli animi verso di lui, fa noto che ha già inserì guato
parecchi anni nella nativa regione dei Bruzii: e prìus I: aliquot annos
frequenti auditorio in Brutiis, unde nos ortum dncimus, interpretandis
auctoribns impendimus. Ora perchè qui ricorda i Bruzii e non Cosenza,
dove realmente insegna prima di andare a Napoli? Non crediamo parimenti
trascurabile Fultra prova, che ci fornisce un codice inedito di
Mnrtirano, cosentino, discepolo di P., da noi rinvenuto nella Biblioteca
Brancacciaua di Napoli. In questo codice iutitolato De Famliis comsentinis,
Martirano non fa menzione della famiglia del maestro, e ciò non sembra
fatto per semplice dimenticanza, poiché in un sonetto dello stesso
scrittore, sulle famiglie di Cosenza, riportato dal Sambiase e riprodotto
dal Fiorentino, si nota la medesima omissione. E in ultimo è
ravvalorata sempre più la nostra tesi da una lettera contenuta in un
altro codice inedito di P., che si conserva nella biblioteca dei PP.
Gerolamini -- Bibl. Brancacciami di Napoli. Cod. e De FamiliU
coaseatinit CommentarìuB. Ai cultori di memorìe cosentine indichiamo i
due codici inediti, che ti trovano nella stessa Biblioteca: € Rclacion de
la Ciudad de Cosonzia. De Syla Consentiae. ex historìcis, Bibl. dell'Orai, dei
PP. Gerolamini di Napoli. Cod. Pil. Cari. mise, apogr.,leg. di pelle. È
dello stesso formato dei codici della Bibl. Nazionale e
proviene. 0t0immjmtmi' I afti^fci y** In quella P.
roccoinaucla caldamente ad Inghirami, bibliotecario della Vaticana, il caro
amico Cesareo, che egli chiama suo e conterraneus. Non pare che P. gli avrebbe
dato l'epiteto di e civis i, se anche lui, come quello, fosse stato
cosentino Tenuto conto di tutte questo ragioni e delle notizie
enfaticamente forniteci d’Aceti, il quale fa menzione di un altare
gentilizio di P., di una lapide commemorativa del Cardinale P. Paolo,
esistenti in FIGLINE, come pure di altri documenti tratti e ex librìs
Baptizatorum, ci sentiamo indotti a erodere che P. fosse realmente
nativo di Figline. Ma Cosenza e per lui la vera patria di adozione, l'ama
sempre del più tenero amore, fino a quando fluì in essa i suoi giorni, e
sebbene non si sia mai dato l'epiteto di cosentino, pare che non gli sia
dispiaciuto d'essere stato creduto tale. Anche noi x)erciò, pur sapendo di
tradire in parte la verità storica, continueremo a chiamarlo
cosentino. I biografi non sono d'accordo circa le origini della famiglia di
P. Alcuni affacciano degl’ipotesi, altri fanno delle gratuite asserzioni
(“He has a corch screw in his pocket” – H. P. GRICE), fra queste degne di nota
quelle del come Morobfa, dalla stessa Biblioteca di S. Giovanni a
Carbonara, di dove pare sia venuto in proprietà di Valletta e da questo
ai Gerolamlni. — Cont. Campanarum Epist. Panhormitae », di e. 56 scrìtte,
più 6 bianche, già guardie. Incip. Ad Nicolaum . Buezotom > ; expl. € et
genus humanum. Seguono : € BpistoUe P.» di e. 30; incip. e T.
Phaedro, romanae Aeademiæ, expl. e epistola Minoritaiio ».
(1) CiiioccARELij — De iUusiribtis scriptoribiis ecc. Ncapoli.] Come
vedremo P. ò alterazione di P. Gonzaga cho, fra lo altro cose, chiama il
marchese P. di Napoli, rappresentante del ramo calabrese della
famiglia di P.; mentrOi da notizie da noi assunte', ò risultato che l’ultimo
rampollo di essa e P., marchese di Panicocoli, di Benevento. Questi, con
gentilezza degna della nobiltà ed eccellenza della sua famiglia, ci fornisce
le seguenti notizie, tratte da diplomi e privilegi. Guglielmo, nativo di PARIGI,
nella FRANCIA, portatosi in Italia all’epoca del re Carlo I, lascia il
primitivo ed originale e reale cognome di LANCIA e prese quello di P. Da
Ruggiero, suo figlio, nasce Matteo ed Andrea, che, uniti al padre,
militarono con grande onoro sotto lo stendardo di Ferrante I d*Aragona,
come apparo dal privilegio d' immunità e franchigie, confermate poi
da Carlo V. Avendo il suddetto 5ratt.eo operati molti e prestanti
servigi al suo re, ha in premio il feudo Aconaste di Alipraiido,
confermato dal re Alfonso. Illustri discendenti di Andrea e Matteo sono
Guglielmo e Gualtiero, i quali da Ferdinando il Cattolico ha in
dono il castello di Kalamo, nella terra di £se, come appare dal
breve di donazione, da noi osservato in Benevento presso il marchese
P. Da Ruggiero poi nasce una delle maggiori glorie della
famiglia, P. Paolo, valentissimo giureconsulto, che tenne cattedra a
Bologna ed in altre città d' Italia, e giunse all’onore della porpora. Ora t^ma
qui opportuno osservare che la famiglia P. si diramò poi in Messina,
Oastrogio vanni, Mineo, [Conte Berardo Candida Conzaga. Memorie delle
famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, Napoli. Archivio di
S, Agostino alla Zecca, Documento, Archivio di S, Agostino alla Zecca, —
Privilegio registrato in Lentini, Napoli, Bologna e Reggio. Ma il ramo
principale e quello di Calabria, il quale a sua volta si dirama nei
P. e ex Bugerio da cui dice Cardinale, e nei P. e De Thomasio. Da
quest'ultimo ramo, da Tommaso, consigliere di S. Chiara, e da Pellegrina
Poerio, nasce P. Discende questi dunque da illustre ed antica famiglia,
in cui pare siano stati ereditari l’cccellenza dell'ingegno e l’amore alle
>nrtn ed alle alto ed onorifiche imprese. I filosofi del tempo sono concordi
nel tessere gl’elogi dei genitori del P. , lodano la coltura e l’alto sentire
di Tommaso, non che la nobiltà d' animo della madre, che fe rapita
prematuramente all’affetto dei suoi. Non tarda molto a palesarsi in P. quella
grande tendenza ed attitudine allo studio della filosofia, e quella grande
tenacità di mente, che fin dai primi anni fa presagire nel
giovanetto uno splendido avvenire. I n primo suo maestro sta
Grasso, detto il Podacio dalla patria, Serra Pedacia. Molti filosofi no
lofiano la dottrina e la bontà del cuore, sicché sotto la guida di lui P.
fa rapidi progressi, dando presto chiare prove che il discepolo supera il
maestro. Gi rimane una lettera, indirizzata a Grasso, in cui
l'antico alunno scioglie alcune difficoltà letterarie, che quésti gli ha
proposte; ciò che in altri generato un [Loca Gaurico — Traci.Da
Nat., Op., Jamtislli, P.. — De Rebiu
ecc.Orai, in epist. Cic. ad Alt., ediz. Mattltaei, Neapoli, e In optimam matrem
meam primo desaevit fortuna integra adhue aetata. De Rebus ecc. Zavarroni. — Op. cit. fnXk'^
lAk^Ài •-T»*, che si legge nella cosi detta apologia di
Vallo. Passato un certo tempo dalla sua venuta a Lecce, P. incorse nell'ira paterna per essersi
mostrato poco disposto allo studio del diritto. Essendosi però il padre
piegato a più miti consigli, egb", allettato dal bel nome, che gode
a Gorfù Mosco, spartano, al quale accorreno da Veneziike da ogni parte
d'Italia, non che dalla stessa Grecia, tutti quelli che desideravano
pe- [De Rebus ecc, ediz. cit., Comm. del P. al e De Raptu Proserp.
Claudiani, Milano] Multa tamen in Graecia antea ilidioerat, admodum prætextatus,
in Japygla, quam regia potestata Tamìsiui, pater eius, obtinebat, usua
praeceptore Stizo, cui nihii ad summam defuit eruditionem filosoficam, præter
quam maiua nostrarum litterarum sindium. Jannblli. to«Mi«^hMiA«Mta ] notrare
nello intimo bellezze del greco, volle recarsi colà| e pare che vi si
trattenesse poco più di un biennio. Non possiamo dire con procisiono quando
egli si portasse dal nuovo maestro, pare però eerto che ritornasse
a Cosenza intorno, come ci aiTerma un passo del suo Commentario al De Raptu
Proserpinæ di Claudiano, P. parlando della Delia Oliva di Catullo,
ricorda che per fonte e non per albero
interpreta quell' Oliva quando a Cosenza ha a maestro Acciarino. Tornato a Cosenza,
riprese quindi P. lo studio del latino sotto la guida di quest' ultimo,
tanto lodato da Poliziano, e ben presto rivela i frutti del savio ed
ordinato insegnamento del dotto maestro, riportando a Callimaco quel carme, che
ha per titolo e ri ahtx », o interpretando per la fonte che esiste nella
Beozia, e non per albero, la Delia Oliva di Catullo. Giraloi, De Poctis
sui temporis. Dial. II. TIRABOSCHI, Storia della letter. it. — Roma. Spera.
— De nobil. profess. gramm, Apologia del Vailo. — e lode Corcyram profeotus,
operam Mosche dedlit 000. P., Commentario al De Raptu Proserpinæ, Poliziano.
— Epistolae, Commentario al De Raptu
Proserpinae. Non bisogna però tacerò che anche P., corno tanti altri
umanisti trova nel paciro un fiero oppositore ai suoi studi prediletti. E
ornai divenuta tradizionale nella famiglia P. la tendenza alla carriera
giuridica, sicché Tommaso si mostra dispiaciuto verso il figliuolo, che preferisce
lo studio della filosofia e dei classici a quello del digesto e delle
pandette. A quale perìodo della vita di P. deve però riportarsi
questo fatto! Jannclli, esagerando anche lo sdegno del padre verso
il figliuolo, afferma che bisogna riportarlo a quel tempo in cui quest'
ultimo apri pubblica scuola a Cosenza [V. Un accademico pmitaniano, precursore
d’Ariosto e di Parini. Ariano — Stab. tip. Appiilo-Irpino. De Uchus per
cpisloìam ecc.: e Neque vero comineinoralH), quod ut hune quantulu in cuinque
litterarum profectum iiiorarctur
indulgciuU alioqui in me patria animum depravavit Fortuna, no sumptuA ai
ooìa Musarum auppcditaret, taroquam relieta a maloribus trita semita degeneri,
quod, ut illi, leges ediscere neglexerìra. Morelli — De Patricia consentina
nofnlitaie, De vita et scriptis ecc. A. qia:«o paukasio Ciò non ò
prosaniibile, poiché Tommaso P., da uomo accorto ed intelligente quaPerai non
avrà certo atteso che il giovane avesse raggiunta l'età di 21 anno, per
costringerlo a battere la e tritam semitam gentis suae i. Più logico
invece ci sembra che egli cerca di piegarlo ai suoi volerli prima che del
tutto uwa^^N!w' luuuincrcroli quesiti di diritto, tratti dalle
opere dei pia valenti giurecbusulti, corno ULPIANO, Paolo, Modestinoi
PapiuiiiDO ecc., bisogna notare il lavoro paziente del giovanetto, reso ancora
più manifesto dai non pochi errori grafici, in esso ibcorsi, ed eliminati
evidentemente da una futura correzione. Pare però che in Tommaso P.
abbia finito col trionfare la generosità del suo animo. Sicché, specialmente
quando vide l'altro, figlio Pirro battere la strada dei suoi
antenati, dove certo venire a più miti consigli verso P., e
permettergli di seguire la naturale tendenza del suo ingegno. Non
crediamo punto di errare asserendo quindi che egli stesso lo consigliasse
a lasciare Cosenza, dove presto la scuola di luL. cra salita in
grande onore, ed a recarsi a Napoli, dove già egli occupa la carica di
regio consigliere di S.Chiara Però inclineremmo a credere che P. non si
recasso allora a Napoli per la prinia volta, poiché nell’Oratio ttd
ratritios neapoliUiìtos dice che, essendo venuto colà per salutare gl’amici, da
questi, che già per prova dovevano conoscere il suo valore letterario,
venne invitato, anzi forzato, a tenere un corso /li lezioni sulle Silve di
STAZIO. Non crediamo qui necessario trattenerci a discorrere del Pontano
e della sua Accademia, dopo il cenno che ne abbiamo fatto in altro nostro
lavoro; solo ci piace osservare che sebbene P. si assumedse il
Toppi. — Dj Orig. Tribun. Bibl. di Napoli. € Ai io praesontiaruui Viri
patritli, quum ofiilii causa, ut amicos inviseremas, A'I vostram
rempublicaiu ornatisshnain aodique vorsum me contulissem, ab eìndem post
aliquot dies inissIoDem impetrare haudqaaquam potala quod dicerent
nostrae consuetudinis iucundltate teoeri eoe.
Un Accadeimco poHtaH'ano precursore d’Ariosto e di Perini, Ariano,
Sub. Appulo-Irpino. tei*«*MÌB iimtaa lm Pantapdogia
ealabra, — Napol, De Patricia consentina nobilitate. — Venezia, Morelli. e
Ferdinando II regi admodum carut, cuius ingenita servitia laadantur, Bibl.
Nazionale di Napoli. La lettera si trova nel codice già descritto. Il
M«MkMd«M*^*k#«J)A« j V^»^tlm, Dopo avere a lungo discorso della
divinità egizianai P. cosi pone termine alla sua lettera: e Qui Fortunæ si
nonduin omnes ad unum bonos libuit excindore, si nomen Aragouium propitìa
rospicit, te, lapsis tuomm rebus, incolumen servabit, discot abs te clementiam,
mitissimoque Principi mitis aliquando fiet. Tu rnrsus maiores tuos intueri
debes, ascitos coelo, operamquo dare ut, nude per iniuriam doiectus cs,
industria virtusque te rcponant. Come ognun vede, questo principe aragonese per
iniuriam scacciato dal trono, non ò altro che Ferdinando II, il quale
dopo la battaglia di S. Germano e l' insurrezione degl’Abruzzi, non avendo
potuto mettere un argine all’invadente piena, che si era rovesciata nel
suo regno, lascia Napoli per fuggire alla volta di Ischia. Merita
similmente di essere riportato il seguente brano della lettera in
esame: e Audio te esse egregiæ iudolis adolescentnlum, animo
alucrem, iugenio potentem, frugalitatis et continentiæ in istis animis
admirandæ, patientem laboris, a voluptatibus alienum, firmiterque laturum
quicquid inædificare, quicquid tibi fortuna voluerit imponere. Dai passi
succitati, specie da quest'ultimo, in cui è descritto minutamente il
carattere di Ferdinando, chiaramente si vede come tra il principe ed il filosofo
sia esistita, pia che una semplice relazione, una vera e cordiale
amicizia, che crediamo abbia avuto origine fin da quando P. Audio è qui
adoperato noi significalo di conoscere. Cfr. CICERONE: 4 Audit igitur
mena divina de s^ngalla. A--, -1- a . lait. "-Tfc'- i r» t * mi^ ^i
i H m» ; e fo- ccndogli affidare V ufficio di e cavaleris penes capitaneos
terrarum Montaneae et Civiteducalis, potestate substituendi, cum gagiis
et emolumentis, lucrìs et obventionibus solitis et consuetis et debitis.
Non ripetiamo tutti gli elogi proiligati nel documento in parola. Ci
limitiamo a riportare solo il seguente brano, in cui chiaramente si vede
l'alta stima, che il re Alfonso ed il principe Ferdinando avevano di P. :
' e Nos autem habentes respectum ad merita sincerae [Chàritio.
Endimione. ^ Canxooe Vili. Le rime di BenedeUo Gareih, detio il Chariteo.Napoli.
Erroneamente Tafuri crede di identificare nel Barrhasie dtà Chariteo,
Giovanni Marrasio; come pure a ingannarono coloro i quali supposero che
fosse Barrasio, regio consigliere et presidente di Camera [Archivio di
Stato di Napoli. — Collaterale prìviL Aragon. clovotionis ot fide! præfati
Pauli, ac considerantcs sorvitia per oum Majestati nostrae
praostita et impensa iis et aliis considerationibas et causis digne moti,
praefato Paulo ad eius vitæ decarsum iain dieta officia. ; haberi volumus
pro insertis et expressis et declaratis. Pare però che P. non occupa a lungo
questa carica, che, se gli procura danaro ed onori, non dove certo
concedergli il tempo necessario per dedicarsi ai suoi studi
prediletti. Ecco perchè lo troviamo a Lecce in DeeU" iiam 8cribarum carica
molto onorifica, alla quale non puo aspirare e nisi honesto loco natus,
et fide ot industria cognita. Di queste due cariche sostenute a Taverna ed a
LeccCi si rammenta P. con
rincrescimento e disgusto quando svaniti i sogni si dedica di nuovo e con
pia lena allo studio delle lettere: e lam vero piget neminisse quod ab
ingenuis ai-tibus ad calamum militiamque me tradaxit Fortuna i (3):
n P. né in questo, né in altiì luoghi ci dice quando impugna le
armi. Non crediamo però di errare, sostenendo che ciò sia avvenuto nella
lotta degli Aragonesi contro Carlo Vili e non dopo la caduta di questi, e
ut consuleret sibi patrique i, come crede lo Jannelli Come i suoi
illustri antenati, nei quali rifulge inteme- rato il sentimento della
fedeltà e della gratitudine, P.
corse subito a prestare Peperà sua in difesa del suo signore, e se
dopo, come abbiamo visto, egli si penti di ciò, bisogna rl- Apologia del
Vallo, Ipse Janus in eam provinoiam Japjgiam, quam pater rexit,
adolescens Scripturam fecit. Ouaesùa per epi%i. — Orai, ante pralect. in epist.
Cie. ad Att. h I I i*'
i ' 1 ^ 1 là i M "j i \ Mr 'cercamo la causa nel suo giusto
risentimento, quando vide la sua devozione ed il suo zelo indegnamente
ricompeasati da re Federico. Oi parrebbe quindi verosimile che P.
segue il principe Ferdinando, quando con un corpo d'esercito e mandato da
re Alfonso nelle Romagne, e che prendesse parte a tutte le vicende di
quella poca fausta spedizione contro l'Aubigny, ed alla stessa battaglia
di S. Germano. Ciò non risulta chiaramente da alcun documento, ma
siamo indotti a crederlo da quello speciale interesse, che P. mostra di aver
preso alla causa aragonese, e da quel continuo accenno all’armi, a cui,
altrimenti, non sapremmo dire in quale altro periodo della sua vita egli
si sarebbe rivolto. Torna utile riporUro i seguenti versi di un epigramma
di P. contro Nauta, suo fiero nemico (Apologia di Vallo). Si fortuna
levis de Consule Rhetora fecit. Et ferulam gerirous qua prius arma
manu. Nonne eoe. La parola co9isìU ci fa credere che P. fosse giunto a
qualche alto grado nell’esercito aragonese. i«A>^i—
•'^bA*«Jwti w>i>»i' » .a IW »^f
*m' ^rtèmtmr'nmmm in. P.
P. conchiade la sua lettera a Ferdinando d'Aragona col voto di poterlo rivedere,
prima di morire, sul trono degl’antenati: e onte meos obitus sit, precor, ista
dies >• n giorno desiato non tarda molto a spuntare: dopo
quattro mesi, Ferdinando rientra in Napoli, festeggiato dal popolo, e
cosi il voto del fedele P. fu pienamente adempiuto. Allora questi e
reintegrato, insieme col padre, nell'ufficio perduto dopo la conquista di
Carlo Vili, e ritornato a Lecce, si dedica con ogni cura all'emendazione
del testo di Solino: e Si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis
ego nomen proftteor meum: Ncapoli, Lupiis, in Japygia Apulia,
nactus antiquoe reverendaeque vetustatis exemplaria. Ma Ferdinando II
godette ben poco del possesso del trono ricuperato, poiché dopo un anno
appena morì, lasciando la corona allo zio Federico, che, inetto a
regnare, da l’ultimo crollo alla dominazione aragonese. AtSS. DibL
Nazionale di Napoli. Da una lettera contenuta nel Cod., diretta non
sapremmo ben dire se a Oiovan Battista Pio Bolognese o ad Aldo Pio
romano. Inc. Atqul tua cum bona venia fallit te ratio, mi Pie, »
MiJII *!■. "-* Vii r J rrn ' " r '~ - V t
f'^-'f^J'^come nelPavvei^a fortunai oltre che per l'amore, che ad essi lo
legaya, por la speranza e honestioris gradus, maionunqae commodorum;
ebbene ora, invece del premio dovuto, di quel posto onorato, di quegli
agi sognati, gli si getta in faccia l'accusa di traditore. Il
letterato ha forse sperato di poter col tempo raggiungere l'alto grado
del Beccadelli e del Fontano. Ma dinanzi alla dura realtà quei sogni dorati sono
svaniti, gettandolo nel più grande sconforto. Ecco come
dolorosamente egli esclama contro la maligna sua sorte: O calliditatis
inauditum genus ut Fortuna iuvando noceret, ad opes me evexit et
dignationem I Verum simulao animadvertit eius aura, simulatoque favore de
pristina vitae ratione nihU in me mutatum, passimque meas omnes
acces- siones industriae magis et probitati, quam sibi acceptas
referri, vehementer oiTensa, confestim passis alis evolavit, ne virtuUs
comes esse cogeretur. Oh come questo brano tutto rivela lo strazio di
quel cuore addolorato I e quale triste verità nelle ultime parole,
che accennano allo spietato abbandono in cui tanto spesso la fortuna
suole lasciare il virtuoso I Ma l'abbattimento morale, in cui era
caduto il F., fli puramente passeggiero : fornito di quella lealtà
incarnata nella virtù e di quella gagliardia di propositi, che reca in sé
una potenza a cui nulla resiste, dopo la penosa impressione del
momento, si senti subito forte per vincere le diflBcoltà e sopportare la
sventura. Anzi questa, ben per tempo, rivelò in lui ciò che Q
Settembrini ben definì corona e gloria della vUa, cioè un nobile [P.—
Orai, ante praelect. epist. Ciò. ad AtL, Matthaai. — Neapoli W. ,- r^'ir
s 6 grande carattere: al giovano inesperto successe l’uomo
dalla fibra gagliarda, il quale, come vedremo, nelle lunghe peripezie
della sua vita, anche quando tutto gli venne meno, ebbe ancora un terreno
sul quale restò invincibile, il coraggio e l'integrità. Ecco come
egli nobilmente si esprime. Ego nihilominus, ut meum nunquam ratus, in
qnod incostantia Fortunae ius haberet, quod alieni foret arbitrii,
quod auferrì, quod crìpi, quod amitti posset, in eodem vultu prqposìtoque
permansi, Quumque vicem meam dolerent omnes, (quod indicat incolumi statu
qualem me gessissem) solus ego furienti Fortunae laqucum mandabam. Fiere
parole, in cui tutta rifulge questa splendida figura di calabrese, che
nelle calamità della \ita resta saldo a guisa della torre dantesca, e
assicurato dalla buona compagnia che V uom franclicggia, eleva baldanzoso
la testa e con aria fiera e calma volge ai suoi calunuir.tori uno
sguardo, in cui si compcnctra generosa compassioue ed odioso disdegno per
la viltà, che striscia ai suoi piedi. Ben diverso però è il
P., che ci presenta lo Jannelli: freddo ed insensibile dinanzi a quelle
pagine palpitanti di vita reale, in cui si sente tutta l'ambascia di chi
si vede colpito in ciò che aveva di pia caro : Ponore, il nostro biografo
ci & del suo protagonista! un girella della peggiore risma, che,
ve- dendo e inane Aragoniorum imperium fatali casu in dies ruere
>) diviene, insieme col padre, aperto fautore dei Francesi. Jannelli,
a sostegno della sua asserzione, non adduce altra prova che qualche parola
di lode, che il P. a- vrebbe rivolta, molto posteriormente, ai Francesi,
durante la sua dimora a. Milano (3}; il nipote Antonio poi crede di [Orai,
cit., ed. cit., pag. %iA. De vita et icriptis ecc. > ii^i'/"
r>^.iin^ii -i.Jm'imI mk^ i' V*««>i>hi^iiilW [j^WjiWiiM; M>iM»W li»
IfiI^ l'^l 11 ^«yy Q \»t ' 'l ^^ l| tf »^rfi>>ii»Wi T i K i *
*iteto di tiranno (3}« • Lasciata Napoli, non poteva
fl P. essere più felice nella scelta della citta, destinata quale
agone dei suoi studi : in Roma infatti l'Accademia, fondata [P. Epìstola
ad Michaelciu Ricciura, ante Sedolii et Prudcntii cariuìna. i«iw*i
^i«i^i*ii> «2da Pomponio Leto, aveva raggiunta altissima fama,
chia- mando colà molti fra' più dotti letterati del tempo, quali SACCHI
(si veda) Sacchi, detto il Platina, il grammatico Venilano, il valente
grecist-a Baldo e, per non parlare di altri, Inghirami, giustamente detto
dftl P. e fiicilis, expeditns, plenus humanitatis »Fin dai primi giorni
in cui il P. conobbe quest' ultimo si senti legato a lui della più salda
amicizia, che, per mutar di eventi, fu sempre viva e sincera. Inghirami,
all'alto sapere congiungendo una non comune bontà d'animo, fu uno
dei pochi veri amici, che abbia avuto V infelice P., ed in molti casi,
come vedremo, fu per lui la vera ancora di salvezza. Libero omai dalle
fantasticherie giovanili, e spinto da quel tiranno signore dei miseri
mortali: il bisogno, l'umanista calabrese si dedica agli studii con più
amore ed alacrità che non avesse fatto x)er lo innanzi, riuscendo, dopo
non molto tempo, a completare la correzione del testo di SOLINO e
di quello di AMMIANO MARCELLINO. Ben presto occupa un degno
posto tra' più illustri let- terati, che allora professano a Boma, e
diede subito chiara Orat. ante praelec. epist. CICERONE ad Att., Orat. --
ut me, quo priroum die Romae \idit,
arotissime complexus est; ut auctoritate, gratia, testimonio suo prolixe
iuvit, ot in omni fortuna semper idem fult. R. Bibl. Naz. di Napoli. Orat. ad
Sen. Medici.Immo paupertas iampridem virtulis et doctrìnae
contubernalis est; quippe qui dum integris opibus et incolumi patrimonio
floreha* mus, litteranim studia remissius assectabamur ; ubi
vero-communis illa tyrannorum procella no», ut bonos omnes, involvit,
ardenter adeo man- suetloribus Musis operam dedimus Ammlani
Marcellini Rerum gestarum libri penes me sunt omnes quot extant, ex
antiquissimo codice Romae exserìpti.] prova del suo sapere, specie nella
disputa avuta con Antonio. Amiternino. Questi, quasi del tutto igniaro
della lingua greca, aveva messe fuori delle vuote e cervellotiche
interpretazioni, che voleva gabellare per irrefutabili. P. in sulle
prime cercò di fargli comprendere amichevolmente gli errori in cui
era caduto ; ma quando vide che si ostinava nella sua opi- nione, anzi
aveva osato finanche minacciarlo di morte, non ebbe più alcun ritegno di
rendere di pubblica ragione la poca valentia del protervo
grammatico. Essendosi cosi acquistata alta e meritata fama, gli
fti assegnata nell'Accademia la cattedra di oratoria, mandato molto
onorifico, che egli seppe disimpegnare con zelo e dottrina. Appunto in quel
tempo e scelto a maestro di Gaetani, figlio di Niccolò, duca di Sermoneta,
a di Silio Sabello, giovanetti di assai belle speranze. Parva che
un'era di pace e di tranquillità fosse sorta per l’infelice P. ; ma purtroppo
allora Boma gemeva sotto il giogo di Alessandro VI, lo scellerato
pontefice, di cui, come ben dice MACHIAVELLI, tre ancelle seguirono le
sante pedate: lussuria, simonia e crudeltà. Forse molti dei
delitti di casa Borgia saranno stati inventati dall'accesa fantasia dei
romanzieri ; ma non si può certo sconvenire che fu sparso innocentemente
il sangue -di nume- rose vittime, per sola sfrenata smania di potere. Tra
questa bisogna ascrivere i due cari ed amati discepoli del P.,
Silio e Bernardino, barbaramente trucidati dagli emissari
pontifici, Quaesita per epist.ed.
Orai, ad Seti. Mediol.: € operain dedìmas, ut et nos hactenus non
poeniteat, et aK aliia idonei esistimati »imas, qui Romae, io arce totios
orbis terraram, oratoriam publice profiteremur Vallo. Apologia; Orat.
praelec. epist. Cic. ad Att.« edix. Ciu A .111 I IWH 1
solo perchè le loro famiglie non si erano forse mostrate lige ai nefandi
voleri del Pontefice, che pur di fondare pel figliuolo Cesare uno stato,
che comprendesse tutta l' Italia centrale, non la risparmiava ad ogni
sorta d' immani scelleratezze. Poco mancò che il P. stesso non
fosse coinvolto nella disgrazia dei suoi alunni e, se ri usci a salvarsi,
lo dovette solo all' intercessione, ai consigli ed agli aiuti dell' amico
Inghirami. Allora P. si recò a Milano, dove gli erano riserbati infiniti
altri dolori. (1; Oratio ante praelec. epist. Ciò. ad Alt., ed. cit., pag.
247: € quam Bollicite euravit Phaedrus, Alcxandri VI pootificatu, ne me
Bernardini .Caietani, neo Silii Sabelli tempestaa involveret Vallo. Apologia
: € inde quoque disoessit, ususque Consilio lu- venalia, in Galliam
citeriorem migravit. Orat. € audivit in
Gallia citeriore portolo iam me tenere^ Mediolanique publice conductum
profiteri. U Parrasio a Aliano. Importanza storico-letteraria di
questo Lotta col Ferrari e col Nauta. Luigi XII, oltre
le vecchie pretese sul regno di Napoli, a causa del matrimonio di
Valentina Visconti, figlia del duca Gian Galeazzo, col suo avolo Turaine,
affacciò queUe sul ducato di Milano, e, vedendosi favorito nei suoi
disegni dalle gelosie e dalle discoi*die dei x)rincix)i italiani, si
affrettò a mettere in opera il suo disegno. Assicuratasi
l'amicizia di Alessandro VI e della repubblica di Venezia, mandò in Lombardia un
esercito, ohe in breve tempo costrinse Lodovico il Moro a lasciare il
ducato ed a riparare nel Tirolo. Ma ben presto i Francesi con
le loro soperchierie fecero rimpiangere il governo del Moro: questi pensò
di trame profitto, e, disceso rapidamente con un forte nucleo di mercenari
Svizzeri, fu accolto festosamente dai Milanesi. Il suo trionfo fu
però breve ed illusorio, poiché venuto a battaglia, presso Novara, con
l'esercito francese comandato da Trivulzio, i Buoi Svizzeri si
rifiutarono di combattere coaitro i loro compatriota del campo francese,
e cosi la sua rovina fu bella e decisa. I»!Mm iM 1 M»S»>»mmi^*mm i0mi
>m*^m tfhrfi*»*h- -««wAhAi*Fallitogli il tentativo di fnga, il
Moro fa preso e man- dato a finire i suoi giorni nella torre di Locheé ;
cosi il ducato di Milano ricadde sotto la dominazione francese.
Laigi XII propose al governo di esso il cardinale Amboise, il quale, fedele
ministro del sao re, vi riscosse ben trecento mila ducati per le spese di
guerra, inasprendo coUe sue angherie sempre più l'animo dei
Milanesi. Forse per coonestare in certo modo questa sua
condotta, il cardinale si adoperò a che fosse continuata in Milano
la nobile tradizione degli studi umanistici, ohe ivi avevano a-
vuto valenti cultori e pptenti mecenati. Si sorbava ancora colà
memorili della munificenza dei Visconti, degli onori tributati al
Petrarca dall'arcivescovo Giovanni, e degli aiuti largiti da Galeazzo,
Giammaria e Maria agli umanisti del tempo : Uberto e Pier Oandido
Decembrio, Loschi, Barzizza, Filelfo e tanti altri ; come pure era vivissimo
il ricordo della protezione accordata ai letterati dagli Sforza,
soprattutto da Lodovico il Moro, che aveva fatto della ca- pitale
lombarda uno dei principali centri di coltura d'Italia. L'Amboise
protesse anche lui i buoni studii e fti largo di aiuto agli umanisti, ohe
allora professavano a Milano: Giovan Battista Pio Bolognese,
Ferrari, e, per non parlare di altri, il celebre grecista Demetrio
Oid- oondila. TiRABoecBi. — oRosmini. — Storta diUUoM, Milano, Sax. —
Eiti. Lùter. Typogr. Mediai., Aboslati. ~ BM. Script. Mediai.,
TiRABOSCHi:Aboslati. Sax. Fiorivano allora anche valenti poeti : CATTANEO, Curzio,
Dulcino, Biffo, Leone, tutta una flora di eletti in- gegni| in mezzo ai
quali venne a brillare Aulo Giano Parrasio. Como dicemmo altrove,
questi giunse a Milano, come ci attestano chiaramente oltre la sua
lettera dedicatoria del De Raiìtn Proserpinat all'amico Cotta, pubblicata anno
maturius dalla eua venuta in questa città (VII Kalendas januarias MD), la
prima lettera inviata da Vicenza a Gian Giorgio Trissino (ex aedibus
tnis pridie , e l'asserzione di essere rimasto a professare e
octoqne per annos in Gallia Citeriore. il tempo che il P. dimorò a
Milano a ragione può dirsi il periodo più burrascoso della sua vita, a
causa delle lottOi deUe persecuzioni interminali, e di quella sterile
guerra d'in- trighi e di basse calunnie, di cui egli fu vittima.
Quel periodo però fu anche il più produttivo del grande filologo
calabrese, il quale appunto allora a noi paro che [Tirar.Aroxlati.Giovio.
— Elogia Vir. Uu. iUustr.^ L uo
Creo. Girai/ 'I. — De poetit sui temperisi Dial. I. Rosmini. — Vita ilei
Maresciallo TrivuUio. Bakoell, Novell.— Sax, Sax. — Mazzuchklu. ^ Scriu. d'
ItaJUa; Rosmiki. Vàa dai Hear. Triwd.. Sax. *yM!' .* 'ortatì. Noi
però più che ai versi di Lancino Curzio, Sacco, Plegafota, Dulciuo, Biffo,
quando non avremo assoluto bisogno della loro testimonianza, ci at-
terremo aUe orazioni inedite, pronunziate dal P. a Milano.
Sono circa una ventina, di cui alcune hanno interesse puramente
letterario, altre ci forniscono xireziose notizie biografiche.
Anecdoti Hi gloria^ bibliografia e antica, Catania, Tip. Francesca
Galati, Praefat., A P., neapol., In nuptiis J. P. et Tbeodorae
Calcondylae », Bpitalamla, De Justitia, De Jore, Praelectio, Praefatio
in.Lucium Florum ot Valerium Flaccum — lu Lucium Florum, Praefatio in
Liviuin, Praefatio in orationes Ciceronis^rraefatio in Achilleldtm
ecc. àmktw,titi ihi^t^ »«haaa-^^i Queste, che pobblieliereaio
ute^ralaieate is appevUee^ crediamo che debbano disporn ia questo nodo^
per ordìao di tempo: e Orationes II io lliootianaa. — Oratio ad
Seaa- tom Hediolaaenseoi, Oratio ia Minattannm, la Loeiom Floram, PmeCitio
ia Femoai, Praelatio ia Thebaida. Di capitale importanza, per le ootizie
che a foraiseoaa 8aografo, che coli' uno e coli' altro wu9iicre si
era formata una certa fortuna. Questi non si lasciò certo sfoggire
l'occasione di sfruttare a suo vantaggio fl giovane filologo, già
abbastanza noto nel mondo letterario, lo accolse volontieri presso di si,
e gli asse» gnò, oltre V insegnamento, fl grave e diflScfle incarico
della correzione dei codici, che egli poi pubblicava per suo conto.
n P. curò allora l' edizione di parecchie opere latine, fra cui fl
Cirii, erroneamente attribuito a Virgilio, e la Vallo, Apologia^ ediz.
di.: € habetqua (Mioatiaaut) pe- eoBÌAe samniani sludiani ;
dignlutcs afleeUl noe ad omamentoa Titat, ted ad quaestum, qao nttri
omnia diligit ex animo nemioem. Caias aiaieaa ae aimalat, io hooe
loddiaa priaom aoetit »• Oralio 10 ia kiontiaooa : € Meom foit iUod
in to benefidom, ai noaela, mona al la domi, fona, in ro privata, in ro
publica, in atodlia invi, anaUnni, ioyì ; podet lateri qui na vicarìaa,
qol diadpaloa amdiebam aohia» oC amen da n ^ provindaa aoatinabaa. P.Canim.
D§ Raptu Pro$€r. L HI: e varsna tz Ciri ma n doaoa, ot aillaUa olla
vaoilUntiboa, in boa radaginina nnoMioa^ IpdqDO Mlnntiano dadhaoa
Imprlmaodoa Vita di quest' ultìmo, cho attribuì a DONATO e non a Servio,
come molti ritenevano ai tempi suoi. Ne soltanto colla propria
attività P. mostra ol Minnziano la propria gratitudine. Questi più che dall'
amore per le lettere, spinto dalla smania del guadagno, aveva da poco
pubblicate le opere di CICERONE, in cui, con grande presunzione, aveva
messo fuori tali e tante cervellotiche correzioni, si vuote ed errate
in- tei-pretazioni, da suscitare giustamente contro di se lo sdegno
dell' irritabile genus, specie del grammatico Ferrari, valente cultore
del grande stilista latino. Si schierò poco dopo contro di lui anche un
tal Nauta, corso di origine, insieme con molti altri, i quali tutti gli
si scagliarono addosso, mettendo in mostra gì' infiniti errori, di cui
erano rinfarcite le opere pubblicate. Il Minuziano, di natura
temerario ed aggressivo, cercò di lottare contro i suoi avversari e di
difendere il suo la- voro; ma le sue argomentazioni furono abbattute dal
Fer- rari, il quale pubblicamente, manifestissimii argumentii omr-
niumque coìiseMH, lo chiamò reum lanciìuiti, praecerpti fNr^r- siqtte CICERONE.
Anche il P., come molti altri dotti, attiibuì a DONATO la Vita di Virgilio, che
altri poi, corno parrebbe realmente, attribuirono ad Elio Donato, il quale
avrebbe attinte non poche notixie dalla biografia di VIRGILIO contenuta nell’opera
di SVETONIO € De vlris illustribus »•' Valaraggi, che si occupa
della questione (Rivista di fil. class.) ritenne che la biografia
appartenesse ad un anonimo commento alle Ducolicì^e, fra le cui fonti
bisognerebbe ascrivere il commento di DONATO e forse quello di SERVIO.
P. Comm. De Raptu Proserp. Tiberìos inquam Donatus, non Servi us, ut
vulgo fere creditur. Sed Donati iam titulo nostra castigatione Minutianus
impressit. ÀRGSLATi. — Dibl. Script. Mediai. Orai. IH in
Minutianum. ì n n f^_ 1 i ~ i " ìl i --r^tr Fu allora che il
P.y vistolo in quel serio imbarazzo, per quanto convinto e dolente nel
tempo stesso di dover soste- nere un' ingiusta causa, pure fece parlare
al suo cuore la voce della riconoscenza, e prese a difendere il suo
ospite (1) e o- biecto Minervae clipeo. Essendo Minuziano poco caro alle
Muse, e non sapendo maneggiare quell'arma perfezionata del tempo:
l'epigramma, il P. si senti cosbretto a scrivere dei versi, che
quegli mandava ai suoi avvei*sari, gabellandoli per proprii (3).
Questi però non toi'darono a scoprire il vero autore, ed a
scagliai'si di conseguenza contro di lui, costringendolo cosi a venire in
campo aperto. Xon si sgomentò puuto il P., con epigrammi vibrati
e pungenti rintuzzò la petulanza d^l Nauta, che l'aveva at- [Orat.
IH in Mi- nutianum : € Ego qucm tu ingratum vocas (piget hercule
iiiciDinissa) suscepi tuas partcs, et quidem iniquissiinas^ quantumque
in. me fuit, io- deftfusum non reliqui, tucrìque conatus sum, cum sammo
capitis mei pcriculo, ut vestrum plcrosque meminisse confido.
Vatlo. — Apologia. Crediamo cbe appunto allora Lancino Curzio, fiero
nemico del Minuziano, che egli per prima forse denominò Appura Musca,
(Sax. Hiat. Liti. Typograph.) scrivesse queircpigramroa (pag. 32,
1. Ili Epigram., Milano) finemente ironico : Ad Fabium ParrhasiuM Calvum
Neapolitanum ^ sul quale il Mandalari richiamava raUcnzione del futuro
biografo del grande umar^is'a: DocU Parrhasii delltlae, FaU,
Vates nec modicus Pieridum in graft ; Ex quo pr«csos opem
dot, facit et rabl Ut sis Doctis docta refer, die : studlis
vaco. Vulgi turbae, age, die : Vale ; abl Caeo. A queirepoca
il P. non poteva aver figli, non avendo sposatela Calcon- dila cbe
intorno al 1504, né ebbe mai fratello o parente di nome Fabio, sicché,
tenuto conto di quanto abbiamo detto, riteniamo che il Curzio nel-
Tepigramma citato abbia voluto sferzare il coroo pugliese^ che si faceva
bello delle penne del giovane pavone. tAceato più fieramente e fece
oomprendere al fiero eorso che quella mano, che maneggiava la bacchetta
del pedagogo^ aveva ben saputo in altri tempi brandire nna spada:
S fòrtana kris de coosale rbetora fecH, Et lierohuai garìnms
qua prìns arma mano. Nonne eee. Ed a mostrare che alle parole
sapeva far seguire i Catti, non ebbe alcun ritegno di penetrare nella
scuola del Ferrari- e di prendere pubblicamente le difese del Minnziano.
Allora gli odii si rinfocolarono e segui tra il P. ed i due retori uno
scambio di fieri epigrammi e di virulente invet- tive (3), fino a che la
.partenza del Ferrari (15, dopo avere però ancora uua volta sfogata la
sua bile contro il Minnziano ed i tristi tempi, che lo costringevano a
lasciare quella città. n P. però non si lasciò sfuggire l'occasione
di mettere in piena luce il motivo della partenza di lui e di dare
l'ul- tima scudisciata al suo avversario: Noo te, crede mìhi,
iactae quae tempora pelliint. Aurea lalciferi qualia ficta Dei
: Sed radia ioaulsae petulans audacia lioguae, Luxua, et
omento piaguis aqualicolus. Vallo. — Apologia. {Z) Op. di. Jannelli
ha diligentemente raccolti tutti gli epigrammi del P. In Aemiliam — In
Nautam », Aroslati. Comm. De Baptu Proserp., P. I, pag. 42.
Jakiuoxi. n Minuziano, data la bassezza dol suo carattere, a
la poca stima della propria dignità, e quam post unibram la- celli
semper habuit », non comprese, né potè apprezzare il sacrifizio che il P.
aveva fatto per Ini. Appena messi a tacere i suoi nemici, egli si
dedicò con pin ardore di prima e qaaestuariis artibus » (2), e poco o
nulla riconoscente verso il suo valente difensore, lo invitò a
ritor- nare all'antico e faticoso ufficio, per contribuire cosi,
disinte- ressatamente, ad appagare la sua ardente sete di guadagno.
Non poteva certo il P. rassegnarsi più a lungo a quel tenore di
vita, che logorava le sue forze, senza nemmeno procurargli una comoila e
tranquilla esistenza ; sicché, ade- rendo al consiglio di quelli che
apprezzavano i suoi meriti, abbandonò la casa del ^Unuziano, ed apri
scuola a so in casa del carissimo e bravo discepolo Catulliano Cotta,
che generosamente gli aveva offerto ospit>alità, per strapparlo
dalle unghie deU'avaro pugliese. Questi finse di non dispiacersi
di questa risoluzione del P«, e gli concesse volentieri il permesso di
eseguirla; ma in cuor suo giurò di vendicarsi, e si apparecchiò a quella
lotta vile ed abominevole, in cui spiegò tutte le sue male arti per
rovinarlo. Oratio I io Miootianimi. (2) MSS. R. BM. N(u. di
NapoU. Cod. V. D. ISi — Oratio III in MinaUaiiiiiD »P. Epistola ante
Comm, De Raptu Proserp., Milano. e Qttom lualtos oronis onlinis
aetatisque diacipulot habeam, monim gratta earìssimos, noster in te amor
praecipuus est et sìngularis », Comm. De Rapiu Proserp., 1. IH,
€ tu nos invidiae lelit eiectos opibus et otBciis
cumulatissime iuveris. Vallo. — Apologia, — # Habeas confessum
reum (Janum) ab Alexandre vel unum discipulum abduxisse, praeter
Catullianum Cottam, euiua ospitio Janus est usus Alexandri permissu, nisi
simulata fuit eius ormtio-**tr--'» i j
nia'i ni> ih^l I» rliy-'a^iif Tf rtal^ J•l-fiiri.É" irnS
"f'"\' i^ì"fT-J*»^-^^pp««^^iit*=a n P. in sulle prime -non diede gran
peso aUe tristi insi- nuazioni del grammatico, e si limitò soltanto a
proporre agli alunni il medesimo esperimento del flautista tebano,
Ismeneo, ohe invitava i suoi discepoli ad ascoltare altri suonatori,
per Cftr loro meglio comprendere ed apprezzare recceUeuza dei-
Parte sua . Incoraggiato dal plauso generale, P. si dedica con
maggior lena ai suoi studi e riusci a pubblicare dopo non molto tempo il
suo commentario al De Raptu Proserpinae di Claudiano, dedicandolo, quale
attestato della sua gratitudine, a Catulliano Gotta (6). • n
lavoro del P., di cui ora non daremo alcun giudizio, non poteva ottenere
miglior successo : il Curzio, il Mariano, il Vallo. — Apóìo^.
Orai. I in Mi- noiianum: € poetaram genera nostrìs tantum non
verbis enumeraret, qoaaque nos anno superiore ex auctoribns graecìs
aceepta, vobiscum oomanicavimua, eadem nuper ille quasi sua, quasi nova,
inagno verbo- ram strepitu blateraret. Orat. I in Mi- natianom: €
Id nos exemplum, quod maxime probaremus, in usum revocare tentavimus, an
aliunde factum putatis, ut illam pecudem vos auditum miserlmos, quam ut
recenti periculo cognoscatis quid inter Apollinis et Marsiae cantom differat.
CI. Claud. 2)é R£^u Proserp.^ com Comm. P.,.! MedioL 15».
/t'^Ìij.>i»;|ii.iCattaneo, il Motta, Tommaso Fedro Inghirami scrìssero
dogU epigrammi, in cui ne magnificarono le lodi ed elevarono al
cielo i pregi peregrini. In mezzo a qncsto bel coro si fece sentire
la stridula voce del Minuziano e di pochi altri suoi pari, che, non
potendo criticare il Commento, fecero dilToDdcre la insulsa
x)anzana che il P. aveva raffazzonato e spacciato per proprio un
codice di Domizio Calderine, morto pochi anni innanzi, di' cui era venuto
in possesso. Non s'accorgevano i ribaldi che in questo modo
ricono- scevano e sancivano essi stessi il merito indiscutibile -
del PaiTasio. Questa pubblicazione e le altre due : De viris
illustribuè, opera da lui attribuita a Coinelio Kepote ed il Carmen
Paschale di Sedulio cogli scritti di Pioidenzio (4), dedicati con
bellissima lettera all'amico Michele Riccio (5), gli procaccia-' reno
maggiore stima presso i buoni, e soprattutto la be- nevolenza e la
protezione di Stefano Poncherio. coltissimo Coroni, al De Ra^du; Valix) -
Apolotjia; Jannelli — RoLANOiNi Panati — livectivae in.Jaiiiim ParrhHsiuro. —
Di questo rarmiiuo incunabulo 8i conserva una copia nelli Biblioteca
Ambrosiana di Milano. CoRNELius Nkpos — Ds viris tUuslrihM, ab A. Jane
Parrhasio et Catulliano Cotta, qui editionem curavit, ix probatissimis
codidbos emendatus. — Medici. 1500. Nella seconda parte del
nostro studio esarainercrao le ragioni addotta dal P. a sostegno della
sua tesi (Cod. V. D. 15 — De viris illustrìbos cuius sit), che, per
quanto ardita e ben sostenuta, non può reggere ai* colpi della critica
moderna. Cfr. AuGUSTUS Reiffbrscueid « C. Sretoìfiii Tranquilli
praeler Caesarnm libros reliquiae, — Lipsia,^ Teubner (4) Seoulii
Cannen Paschale et Prudentius. — Mediol. Tirar. -;- Storia della Lett.^ T. VI ,
P. II, pag. 259 ; Argblati — op. cit., T. li, T. I, pag. 1503; Tafuri
Scrittori del Regno di Napoli] vescovo parigino e presidente del Senato
milanese, venuto in qualità di Gran cancelliere insieme col cardinale
d'Amboise. Grazie ai buoni ufBci del Poncherìo, il P. potè
ottenere che per quattro anni non fossero né stampate, uè vendute
le suddette opere, a danno delPautore, e in tote Mediolanensi
dominio sub poena aurei uuius prò singulis volumi- nibufl
> (1). n P. cercò di rendersi sempre più degno della stima
accordatagli dal Poncherìo, il quale, avendo conosciuto da vicino i
meriti di lui, gli fu sempre largo di beneficii e onori, sino ad
invitarlo spesso alla propria mensa (3). n Minuziano, che non aveva
potuto, o meglio aveva temuto di avvicinarsi al dotto prelato, temendo,
come la not- tola, la luce del sole, nonché il e controllo di quella
giusta bilancia, senti macerarsi maggiormente dall' invidia ed
acuire il suo sdegno contro il Parrasio. Nel secolo dell' umanesimo
la calunnia era Parma a cui solevano spesso ricorrere i e gladiatori >
della penna, in queUe loro interminabili contese, destate per lo più
dalla loro am- bizione sconfinata, e da quello spirito insofferente di
giogo, Mediolani, die primo Julii 1501, et Regni nostri quarto — Per
Regem ducem Mediolani — Ad Relacìontm Gonsilii. Dal diploma
originale, riportato dallo Jannelli, op. cit., pag. 48 e teg. Orat. I in
Mi- not. : € In praeeentia diligenter seduloque caTebimus ne patria
am- plissimi Stephani Poncherii, Senatus principis, ac saerosancti nostri
regis Archigrammatici fallare iodicium videamur, quippe quum nos, qui
sumrous bonor est, sais annumeret, ac, ut est in bonos omnes munificns,
maio- ribns in dies anctet praemiis Vallo — Apologia: « Amplissimus
Stephanus Ponoherius..... hnmanarum divinaramque rerum perìtissimns, Jane
oonviotore deleotatar ». Orat. I
in Mi- nut: € cur ad salutandam (Poncherium) nondum venitf Nempe
quia Dootna solem fugit, neo audet Uli tmtinae se committere. ìckMMttMUépiaéUMaHiMfiaà
cbe, faecimno nostre le parole del Voigi, portò 1a Tite ed il faoco nel
campo sereso dcirarie, il malconiento e P in- trigo nel campo dei
letterali. Nelle invettiTe si prendevano a narrare fin dall' infanria
le vicende dell'avversario, mescolando al vero menzogne, fingendo casi ed
azioni infamanti, accamnlando le più atroci calunnie, senza peritarsi di
inzaccherare persino i pia sacri affetti familiari. L'animo basso del
Minnziano, nato per avvoltolarsi in simili bruttare, non rifaggi daUe pia
atroci accaso, dalle pia sozze calunnie per rovinare P. Quasi non
bastasse il discredito, che cercava gettare nel pubblico, ardi finanche
d' irrompere nella scuola stessa del suo avversario e di vomitare contro
di lui, al cospetto dei discepoli, ogni sorta di contumelie. Lo chiamò
ingrato dei henefidi ricevuti, lo tacciò d' im- moralità e di tradimento,
e, per colmo di spodoratezza, lo accusò di aver commesso a Napoli un
omicidio, causa della sua precipitosa fuga da questa città. In questo
genere di lotte infamanti, dopo i successi ot- tenuti, il Minuziano
doveva ornai stimarsi invincibfle: altre ne aveva già sostenute contro
Giulio Emilio Ferrari, Baffiaele (1) OiOROio VoioT.Il Risorgimerto
dell’antichiià classiche. Firenze, Sansone, Rossi. — Il QuaUrocenio. ÌISS. R.
DM. Naz. di NapoU. Cod. V. D. 15. — Orai. I in Minot. : « netnini parcit,
oblatrat omnibus, omnium dicfa factaque probrit insectatur, ac ut
imroundus sus cum quibus volutali qoaeiit. Orat. Il ia . Minut. : «
Adests tantum frequentes, Konestissimi iuTenes, inteUigetis
profecto quantum profuerit vanissimo nebuloni innoccntissimom
hominaia tot immanibus calumniis provocassi. Orat. m in Minut. : «
Ego si nescis, versntissime veterator, non patrata caedo, qood ipss
fingis, sed odio tyrannidis patria cessi. mti f ìtai'iMH» k0mim: ^mtm^mUmam, tmfmimmé»*^mÉ
titt^^m*tì Miii jiiifc^>> I BegiO| Gioyan Battista Pio (1),
Talenti letterati, costretti dalla tristezza dei tempi a venire alle
prese con on ribaldo della peggior risma, ed a cedere forse dinanzi a
lai, per non scapitare troppo nella propria dignità. Però
avversari più fieri incontrò il Miunziano in Leone e soprattutto in Lancino
Curzio, il quale, come pare, per primo gli affibbiò il felice nomignolo
di mosca pugliese : Ut vidi, mord&x visus et nimis Appulus,
atqae Dixi : Asini in tergo est Appola Musca trueit. n P. parimenti
tenne fronte al rabula petulantis- j simus, però volle aspettare, come
disse ai discepoli, il tempo I ed il luògo propizio per scagionarsi delle
accuse, che gli •erano state inflitte (3;. Oome pare, appunto
allora il Poncherio volle dargli la più alta prova della sua stima, ed
offrirgli il mezzo per trionfare altamente sul pedante avversario.
Per la fuga del Ferrari vacava a Milano la cattedra di oratoria;
dietro proposta del degno prelato, il Cardinale Orat. HI in Minot: «
Sic in Julium Novarionsem, sic in l^aphaelem Regium, 8ic in Baptistam
Pium, perhumanos illos quidem, et, ut a multis audio, bene doctos, quasi
furore quodam percitus, olim debacchatum esse ». (2) Lakcimo
Curzio. — Epìgrammaton libri XX^ Mediolani, apud Rocchum et Ambrogium
fratres do Valle impressorcs : Pbilippus Poyot fisdebat, 1521 in
folio. Di quest'opera, importante per quanto rara, si conserva
nella Biblio» teca di Brera una delle poche copie che
rimangono. Orat. II in Minut. : € Non veni responsurus, ut
suKpicamini, maledictis jurgationibus et conviciis, quibos hesterna die
nequissimus ille bipedum, non tam ma. In qaem illa minime cadunt, quam
sanctissimas aures vestras oneravi!. Aliad certe tempus, alium locum illa
sibi poscit oratio, quod ubi consti- tatnm mibi faerit, efficiam ut
sciatis.] d' Amboise, con bellissimo diploma, invitava il P.' a oo- capar. Solo
dopo il discorso inaugurale, questi, dinanzi ni Senato milanese,
pronunziò la terza orazione contro il lilinuziano (2), bella per vigoria
e colorito d' immagini, per efficacia d,'e^ spressioni, e soprattutto per
la sicurezza e la serenità dei giudizii, dettati da una coscienza forte e
tranquilla, sotto Voshergo del sentirai pura. Degna poi di
speciale menzione è P orazione inaugu- rale tenuta anche dinanzi al
Senato milanese : se in essa trionfa, come generalmente nelPeloquenza
dimostrativa del secolo, la rettorica parolaia, ed abbondano le digressioni|
immaginate a sfoggio di erudizione, non mancano dei pen- sieri nobili od
elevati sulla vera missione dell' insegnante e dei precetti pedagogici, che
ricordano alcuno massime di quei due insigni educatori umanistici :
Guarino veronese e Vittorino da Feltro. Chioccarblli. — De illusi,
script. ^ pag. 232; Jaknblu. Georgius de Ambasia, tituli S. Sixti, praesbyter
Cardinalis, Archiepiscopus Rothomagcnsis, Comes Sartiranae, Regius
Ultramontes, Locumtenens Generalis Christianissiuii Regia etc, vacante
loco publico lecturae lectionis artis Oratoriae in inclyta urbe
Mediolani, per absenUam inagìatrì Julii Novarìensis, egregius Janus
Parrhasius Neapolitanus pelili 8ibi de ilio loco provideri. Quare nos
freti doctrina, moribus et ititeffritaU eiusdem Jani, illi annuimus, et
magistrum Janum constituimua ad pu- blicam professionem ipsius artis
Oratoriae in dieta urbe Mediolani, ad placitum Christianissimi Regia
nostri, cum solito salario (Vallo, Apol. ; centenis quinquagenis aureis)
Datum in arce Portae Jovis, Mediol., Questa orazione figura prima nel codice,
e tale fu creduta dallo Jannelli, il quale perciò non potette delineare
esattamente la vicenda della lotta. Oratio ad Se- natum
Mediolancnsem : Non enim parum refert quam quia initio di- sciplinam
sortiatur, nam quae .teneri percipiraus altius animis insidunt, ac ita
penitus radices agunt, ut nunquam vel certe difficulter evelli queant. '[ I»!»* tl^ I Milli L'oratore, dopo aver
parlato dell'efficacia singolare che un buon indirizzo educativo suole
avere sull'animo dei gio- vanetti, sino a decidere del loro avvenire,
rivolge belle ed acconce parole di ringraziamento al Senato od al
Cardinale d'Amboise, per la carica conferitagli, non senza però
accennare, con bel garbo e fine arguzia, alle molteplici prove alle quali
l'avevano prima sottoposto, certo in grazia alle calunnie di Minuziano. A
differenza degli altri umanisti, i quali tutti, ad esempio del Filelfo,
con audacia più o meno boriosa, si credevano ed amavano fiEU*8Ì credere
dispensatori di gloria, P. rifugge dalla consapevole ciarlataneria
adulatrice, come pure non sembra affatto dominato da quell'orgoglio e da
quella grande vanita letteraria, riprovevole nel Filelfo, nel Poggio, nel
Valla ed in tanti altri. Ed ecco perchè egli, con una
modestia ammirevole per e quanto rara, prega i suoi
uditori di non voler ricercare in lui altri beni all' infuori di quelli,
che gli procacciò il bisogno. n P. non poteva meglio corrispondere
all'aspettazione dei Milanesi ed alla promessa fatta di adoperarsi in
dieg magie magisque, per non sembrare indegno della fiducia riposta
in lui. I filosofi del tempo, quali il Curzio, il Giovio, Or. oit. €
H^beo Tobit gratias et quidem maximat. Viri claiiasimi, ac ai facaltaa
daretor etiam referrem, qui de nostrìs stodiis adeo aolliciti estis, ni
me, licei illuatris amplissimiqae Cardinalis Rhotomagensis, qui
Chrìstianiariaii regia peraonam auatinet, iodieio comprobatom, non tamen
prius admiaeritis ad endiendam Mediolanenaem iuventutem, quam
Tigilantisaimia veatrìa ocalia exliibitom aliquod perìcolam faeere
apecUTeritia »• (2) Vittorio Roesi.Orat. di., Cod. eit. Op. eli.,
1. di. Bugia Vir. Uu. iOusir Giraldi, Q Bosmini (2), Q Tiraboschi, n
Plegafeta (4), e tanti altri ci attestano concordemente il plauso *
riscosso : non riporteremo qui integralmente le tirate rettoriche e
le lodi entusiastiche contenate nei loro pomposi epigrammi| ci
limiteremo soltanto a citare alcuni versi di Cesare Sacco, che nella loro
forma enfatica ci rivelano, più che tanti altri, quel vero entusiasmo che
il P. riusci a destare anche nella più eletta cittadinanza
milanese: Dam legit et Janot concenlibas aera compiei,
Doleis et in nottras perstrepit aure eonue. Qoae Veneree homini
dictant modulamina vocis f Hunc gratum innumerae, non Charia una
facit. Huiua in ore sedet trìplez Acheloia prole». Canina et
Astrorum porrìgit ipse manum. Ingenita eei illi mira quam vìtIì et
arie Actio. Goncinnum quid magia esae poieetf Adde quod hanc
ditat longisaima copia rerum : Fertile doctrinae quod gerii
ingenlum ! B in verirà il P«, oltre la grande erudizione,
possedeva tutti quei dati esteriori, che tanto contribuiscono a
procao» dare all'oratore la benevolenza del pubblico : il suo
occhio vivo e penetrante, la fironte ampia e serena, che anche nel-
l'effigie ti rivela l' ingegno potente e scrutatore, il gesto di- gnitoso
e la rara bontà di eloquio rapivano ed ammaliavano le moltitudini. DmZ. i
De Poetii sui t&mparii. Viia da MarudàjOù Triwdtw. AxfoxLo Oabriillo
da S. Maku'. — BM. degli Senti. Vicendm, T. lY., pag. XY e aeg.
(^ Yallo. — Apologia. PiSRio Yalxbiano. ^De infeUcitate Utterai.^ L
I, pag. 2U OiOTio. — Slogia Vir. iOusir.^ Ed ecco perchè
dappertatto, anche da lontani paesi (1)| accorrcTano a lui giovani e
vecchi, valenti letterati e per- sone mezzanamente istruite.
Fra' più assidui uditori merita d'essere ricoi'dato Trìvulzio, che carico
di anni e di allori militari, traeva grande diletto daUe lezioni del
giovane retore. Questo pieno, incontrastato trionfo impose silenzio
al maligno Minuziano, il quale, dopo qualche tempo, si senti
spinto, forse costretto, a fare una completa ritrattazione AUora, verso il
1503, sia per suggerimento di Stefano Poncherio, sia per non dare agli
alunni il poco lodevole e- sempio di una lotta indecorosa, il P. non -si
mostrò alieno dal pacificarsi col Minuziano (4). Con questo
nobile atto egli volle prendere sul suo avver- sario la migliore delle
vendette : il perdono, e mostrargli cosi chiaramente, come disse poi ai
discepoli, che e multo speciosius est iniurias dementia vincere, quam
mutui odii pertinacia. Vallo. — Apologia : « Diesque me deficiet, si
commemorare sin- gilUtim pergaui quot e finitimis et longìnquis etiam
re^onibufi Jani traxerit eruditio, qui ceteros ante eum rhetores
indignabantur ». (2) Spbra. — De nobilit, profess. Spiriti. —
Uo- morie dei filosofi cosentini; Zayarroni. — Biblioteca eaHabra;
Tapuri. — Scrittori del Regno di Napoli, Barrio. — De Sita et antiq, Baylx.
— DicUonnaire liistor. et crit, Praefatio in Per- dum : €
Quapropter omnia praotcrìta malcdicta, quae non voluntate, non iudicio
(qood ipse non negavi t), sed irapercitus, in noe effudit, familiari-
tati, qua mihi coniunctus olim fuit, et amicorum precibus condonavi. Fraefatio
in Per^ sium : € Minutianus Alexander, ut acitis, annis abbine duobas, an
tertios agitar, ex hospite factus.hostis, utrius culpa dicere supcrscdeo,
quando fere iustum quisque afiectum indicai, quem agnoscit, amicis
auctoribus in gratiam mecum rediit, et eam (quod est in me) mansuram semper
Quum praesertim' intelligerem satis in eo Pontifico meo (Stefano
Poncherio) factu- rum,' ne morum facilitatem, ad quam ipse natus est, in
me desideraret. La soddisfazione morale provatieno sempre più vasta, le
sue osserva- . zioni sempre pia acute, i suoi commonti sempre pia
profondi. . Allora egli compose in parte, o arricchì, quei pazienti
* ed accurati lavori di compilazione, che denominò excerpta. In primo
luogo meritano di essere ricordati gli e Excerpta mitologica ex Pindaro,
che ci attestano chiaiamente quale fosse la sua erudizione in fatto di
mitologia, nelle cui CavoIo egli fra' primi trovò un' esatta
corrispondenza eoi fenomeni naturali. C&rt. Mi.,, di e. 119 non nom.,
oltre le guardie; è legato di pelle e attesta la medesima provenienza
degli altri codici : € Antonii Serìpandi ex Jani Parrhasii testamento. Ex
Qlympionicis Pindari », expl. eoa un rimedio contro la podagra € et
conforterà lo membro debole. P. Gomm. al De Ra^u Proserp. € qaod non
Cjolopea tela. È parimente un lavoro di compilazione fl codice ohe
contiene le sentenze tratte dagli scrittori antichi, di cni egli si
servii per qnanto non sempre opportunamente, in tntte le sue opere.
Da simile intento il P. appare guidato nella raccolta degli e
Excerpta ex Polisno et Polybio e negli e Excerpta historica,
grammaticalia et geographica, come pure nella compilazione del e
Dictionarium geographicum lavoro di grandissima mole, che rivela uno
studio lunghissimo ed una pazienza sbalorditoia, per disporre
alfabeticamente nomi di regioni, citta, monti, fiumi, mari ecc., tratti
come egli dice € ex Strabene, Pomponio Mela, Tacito, Pansania, Am-
miano Marcellino, Historia tripartita, Eusebio, Apollonio Bhodio,
Barbaro, Alessandrino, Nicandri interprete, Gocciano etc... >r
Meritano similmente d'esser ricordati altri due codici, contenenti
notizie di vario argomento, ricavate da diversi Cari. aot. di e* 21
interftmente scrìtta e non num., mm. ; — Antonii Serìp. etc. Ino. € si
possent homiaes »; ezpl. « plenus unguenti pa* tere videtor ».
Cart. aut. di e. 70 non num., compresa le guardia e la e. bianche
in principio in ia mazzo ad alla fine, Sarìp, atc. — Excerpta ex Poli»no
inoip.: € Antoninus et Severus imperatorei ezeroitnm dnxerunt in Parthos
». — Excerpta ex Polybio incip. : e postaaquam oonsulas » ; ezpl. : €
inde opima retnlit spolia. SS autori, ed in ultimo un
Tolaminosissimo e Nomenclator, di parecchie centinaia di pagine.
In questo modo il P. poto acquistarsi una coltura dar- vero
straordinaria, da non rendere poi di troppo esagerata la lode che gli
tributaya Toscano: llle sul Janus sftecli Varrò, ille
vetarnam Torpentem excussit^ torba magistra. Ubi, E non altro
che lui, colla sua erudizione e col suo se- vero metodo scentifico,
poteva rinfocolare negli animi l'amore per i buoni studi, e indirizzarli
a più alta e più nobile meta. Sono morti Alfonso d' Aragona, Cosimo dei
Medici, Pio n, Francesco Sforza, tutti potenti mecenati ; come sono morti
Valla, Poggio, Guarino, Biondo. Si era poi compiuto un assai importante
av- venimento, si era cioè impiantata la prima officina tipografica
noi monastero di Subiaco, por opera dei due tedeschi, Oor» rado
Schweinhcim e Arnolfo Pannartz. Notevole riscontro di date, dice il
Bossi, che par segnare il tramonto di quel periodo della Binasoenza,
che fu di preparazione e di fermento della materia letteraria.
Grazie alle insigni scoperte fatte dagli umanisti, la miglior parte della
letteratura antica, che era sfuggita all' Tariique argomenti
ex plurìbus auctorìbus digettae » : — Ine. € Persona Theodorìci », expl.
€ neo Xanthos uterqae. — Cari. aut. di Serìp. eie. — Inc. € Indice Galeoti et Me- rulae de homine » ; expl. €
Indice Hermolai. Cari. ani. Serip. etc. — Inc. e Atticas et Marcus Bratos »;
expl. € ex Eusebio, de temp. Peplum ludiae^ Rossi. — il Quattrocento, ed. oli..
dei tempi, si oiTriva allo stadio dei dotti ; non restava quindi che
saper (are buon uso di quei metodi, meglio appropriati
all'interpretazione e alla critica. A qnest' ultima quindi
spettava, come afTerma Bossi, di trarre dalle conquiste dei grandi
eruditi trapassati tutto il frutto possìbile, di affinare col savio uso i
loro metodi, di attuarli rivedendo, correggeudo, commentando la
suppellet- tile classica. Questo difficile comx)ito si
assunse e disimpegnò nel più alto modo P., col quale si delinea
netta- mente la seconda età della Binascenza, in cui la critica e
l'arte raggiungono la loro maturità. La stampa ben presto si era
propagata in Italia, e a •non lunghi intervaUi di tempo Eoma, Venezia,
Milano, Verona, Foligno, Firenze, Napoli avevano avuto la loro officina
tipografica. Non sempre però accadeva che nella revisione e
correzione dei classici vigilasse la mente esperta degli accorgi- menti
critici di un Giannantonio Gaiupano, o di un Gian-' nandrea Bussi, di un
Lascari, di un Erasmo; spesso le edizioni erano curate da avari ed
inesperti tipografi, che, spinti dal solo desiderio di guadagno, al pari
del Minuziano, stampavano e diffondevano nel pubblico le opere degli
scrit- tori antichi, riboccanti di errori. Contro questi veri
profanatori dell' arte antica si sca- gliò fieramente il P., e con tutte
le sue forze si dedico alla correzione dei testi, che nel triste stato in
cui erano ridotti dai tipografi, come egli disse, non sarebbero stati
; Maittairb. — Annal. Typogr. Orai. Ili in Mi- not* : € Et la
unquaio poteri t illum quaestom facere, quem non ex offi- cina, sed
laniena libromm, quam maùmam iadtf ». pia riconosciuti dai loro stessi autori,
se fossero ritornati in vita Fedele al suo programma, P.,
dopo la pubblicazione dello splendido commento al De Baptn Proserpiuae e
degli altri lavori, di cui abbiamo tenuto parola, mise fuori,
dedicandolo a Ponchorio, De Regionibus urbii Samae lihellus aureu» del pseudo
Vittore, che, coUe ag- giunte già apportatevi da Pomponio Leto, divenne
la più iiiH portante guida topografica di Boma. Un anno dopo vide
poi la luce V opera dal titolo : Probi instituta artium et aliorum
grammaticorum fragmenia, che dedica a Cusano, giovanetto che alla nobiltà del
casato 'congiungéva mente eletta e sentimenti generosi. Intanto il P. con
anlore incredibile emendava i classici, apportando dovunque la sua opera
di critico profondo ed illu- minato. A questo periodo di lavoro intenso e
geniale dobbiamo i seguenti importanti commenti, sfuggiti all' avarizia
fraieeea De UtIÌ indice: e De latinis vero quo me Vertam nescìo,
ita mendose ecrìbuntar et to- neunt. Utin&m non nostri temporis haec
iustior easet querela ! certe ego non plus in alienis erroribua
confutandia, quam in exponendia aoUquorum acriptia inaudarem. Sed
affirraare iuratiia et aancte poaanm, aio omnea ab Impressoribua inversoa
esse codices, ut si auctorea a postliminio mortìa in lucem revocentur,
eoe agnituri non aint. Il vero titolo deiropera del pseudo Vittóre è: Notitia
regionum Urbis Romane. Manuzio.
Instit, grammai, Spera. — De Nobil, profess.,; Bayli. — Dictionnaire
histor^ et crit.^ n. D. ecc. (4)
Parrasio. — Epistola ad M. Ant. Cusanum^ ante Probi Inst. ete.
TUM- T&ania»i'i 4>^Mfc»» n i>i ft n i fM Éi i -jfi 11 -'-v*-- !
' e all' incuria dei eustodi (1): e Valerii Maximi Prisoorum
exeui- plorum libri II (i) ; Kotulae in I Od. Q. ORAZIO Flacci; In
lOnvi Valerii Flaeei (iii) ; Commi'ntarii in ORAZIO Poeti- Cam (iv) ;
AdnotatUmei in Caesarie Commentarios; Adno- tationes in Epistolae
Ciceronii ad Atticum (yi) ; N'otae. in Statii Silvas (yn); Adnotationes
in Tibullum (vili); In Ciceronii Paradoxa adnotationes 7— Commentarii in
Livii libroe: De bello Macedonico, et in Lucium Florum (ix) >•
Parecchie altre opere, che sono andate perdate, furono composte
durante la dimora del P. a Milano ; fra queste degnissima d'essere
ricordata quella dal titolo : Quaeeitii per epietolam, di^ cui non ci
resta che un libro solo dei venti- cinque da lui compilati (2}.
Quest'opera da se sola baste- rebbe a. darci un' idea precisa della
profonda coltura del P. e dell'alta fama raggiunta. Da ogni parte d'Italia
si ri- [MSS. R. DM. Naz. di Nap. — Cod. cart. aat. XIII, B. 14 ;
Cod. cart. &at. XIII, B. 15 ; Cod. cart. aut., B. 20 ; Cod. earU aut.
XIII, B. 23 ; Cod. cart. ant. V, D. 3 ; ^ti) Cod. cart. aot. V, D. 13; Cod cart. aut. Y, D. U; Cod. cart. aut. V,
D. 22; Cod. cart aot. A proposito di quest’ultimo codice non sarà foor di
luogo ricordare il seguente brano della Frac fatto in LIVIO: e L.
Flomm praelegi, qui carptim compendioqae popoli romani scrìbit historias.
In eo castigando simol enarrandoqoe quantom Tigìlianim, quantom
laborie exhaoserim, testes mihi sunt omnes qoi tum nobis operam dabant.
Qoorom nonnollos non tam mea, quae mediocris est, eroditio trahebat ad
aodien- dom, qoam qoaedam, ni fallor, expectatio, qoa ratione curarem tot
rol» nera, vel, ot verios dicam, carnìficinam, qoam librarios (il
Minoziano) in Floro sic exercuerat, ut novae cicatrici locus non esset. OiOTANNi
Pier Cimino. — Episi, nuncup. ad CorioL Mariyr. Inst. Oramm. CharisU: e
Brat enim ad editionem iamprìdem paratom, librisqoe constabat cireiter
quinqoe et viginU ». Enrico Stefano. -^ Epist. ad Lud. Casuilvetr.^
ed. De Rebus ; NicoDBMi. — Addizioni alla Dibl. Nap. del Toppi;
Marafioti. Cron. ed amie, di Calab.; Tiraboschi. - Storia ecc.,Oinournì.—
iTótotiv Uu. d'Italie, Paris. volgevano a lui per aver schiariineuti di
questo o quel dubbio, per V interpretazione di questo o quel passo
controverso ; ed egli con una modestia, non meno rara della sua affabile
liberalità, non negava a nessuno il suo giudizio, che, come canta il Salemi,
era venerato al pari del responso deli' oracolo di Delfo o di quello di
Dodona: credas Delp&is oracula Phoebum Aut Dodonaeas ornos,
quercum|ue locutat. Da ciò appare che P. negli studi di erudizione
teneva incontrastabilmente il primato, da non temere punto di
schie- rarsi, alPoccasione, contro i più rinomati umanisti del
tempo, fosse anche un Poliziano. Certo, facciamo nostra la
giusta osservazione di FIORENTINO (si veda), il contendere la palma
all'eruditissimo Poliziano e il biasimarne i giudizii richiedeva non
piccola autorità, quando non fosse stata audacia e sfrontataggine senza
pari. Da quanto abbiamo detto chiaramente appare che un simile rimprovero
non poteva toccare a P. A questo punto crediamo opportuno far rilevare un
altro grande servigio arrecato dal P. alla scienza, durante la sua [Salerni.
— Sylvae' In Jani obùu Epieedion, e Mg. ed. Neap. Lettera a
persona ignota Non vìdeo cur ad me acribas a Politiano Domltii
sententiam non probari in illad ex prima Papinii Sylvula : RKenus et
atUmiH vidù ' domus ardita Dati. Nisi forte vis ut Politiano sabtcribam,
vel a calamuia Doroifium defendam. Quaesiux per episL^ ed. Matthae.
Lia est mihi cum Po- litiano sinuosa (a proposito di un passo di VIRGILIO.
Et audet PoHtianns asserere Trapezuntium multa fecisse rerum vocabuìa ex
imitatone veteram » eoe...Telesio. Flrenso, sncc. Le Mounier.] dimora a Milano,
quello cioè di aver contribuito non poco al sorgere della Colia
Oiurisprudenza, di cui fu caposcuola il suo discepolo, Alciati.
Senza punto occuparci dei primi due periodi della coltura del DIRITTO
ROMANO, la Glossa e lo Scolasticismo, ci limitiamo a ricordare che si
deve esclusivamente agli uma- nisti quel mo\imento reattivo all'
indirizzo precedente, in cui avevano avuto grande predominio le
peripatetiche spe- culazioni, il vuoto formalismo e l'arte delle infinite
distinzioni suddistinzioni, che avevano ridotta la dottrina del diritto
romano ad un convenzionalismo dogmatico. La lotta contro i
giuristi, cominciata dal Valla con la famosa lettera contro l'opuscolo di
Bartolo da Sassoferrato, De insigniii et armi$, trovò plauso negli altri
umanisti, soprat- tutto nel Poliziano; e se suscitò al principio un grave
scandalo, valse a rimettere in onore lo studio negletto delle fonti ed a
far conoscere la grande importanza del metodo storico-filologico. Questo
rinnovamento, iniziato dai letterati, fu poi recato completamente in atto dai
giuristi e, primo fra tutti, d’Alciati. Questi, mettendo a profitto
il suo sagace discernimento e la sua vasta erudizione, coll'aiuto di
codici da lui dissep- pelliti nelle biblioteche, riusci a restituire alla
loro esatta lezione molti passi di Erodoto, di Polibio, di Appiano;
altri emendò in Plauto, in Terenzio, in LIVIO e special- [Gravina.
— De ertu et progressu iurù civilis. € lurìspnidentiA Alciati manu ex
humo sublata, oculos ad primordia sua reflectens, vetera ornamenta
nativamque digoitatein a priscis ropetiit auctoribus ; cumque Alciati
discipuli ex Gallia et Italia universa conspirarent, eorum praesidio
iurisprudentia se in prìmaeva eruditìone atque elegantia cpllocavit*
quaeque in Imeni, Accursii et Bartoli scholis viret exsenierat, retonta
rubigine, cultu eruditoruni et industria littcrarum elegantiarum, exuit
barbarìem el nativam explicuit venustatem ».nix DI ] mente in TACITO,
determina l'indole dello stile dei migliori giureconsulti, per cogliere
il senso dei loro consigli nelle Pandette, descrisse «Uligentemente le
variazioni del diritto pubblico romano, i>er conoscere lo spirito
delle leggi in ogni età, e colla sua profonda critica gettò la luce sui
passi pia difficili e controversi (!)• Ora domandiamo :
l'Alciati a chi va debitore di questo critico indirizzo, a cui deve la
sua famaf Se qualcuno, neiracnme e ncireleganza di dettato dell’Aitore
deWclegantc giHritpruiìemza, riconobbe i lieti frutti deir insegnamento di
P., la cui scuola egli firc^- quentò dal 1504 al 1506, compiendovi,
ancora giovanissimo, gli studi d' umanità, nessuno, per quel che
sappiamo, ha aucora bene osservato che il metodo tenuto dal grande
giurista ncir emendare i testi degli antichi giureconsulti è quello
^stesso tenuto dal P» nella correzione dei clas- sici, e che da qucst'
ultimo, molto probabilmente, apprese anche i primi elementi della
dottrina del giure. B e' indu- cono in questa opinione due altre preziose
orazioni inedite: De iustitia, De iure, le quali ci attestano che iP. a
Milano, dietro invito d’Amboise, fa parte [Prima. Alciati. Orazione
inaugurale letta neir Univ. di Pavia. — Milano, Stamp. RoBBRTELLO. — A»not. ad Var. toc., 1. II :
Tibi vero gratulòr, Alciate, quod Jannm Parrìtasium^ virum doctissiiBuin,
a puerìlia nactos fuoris praeceptorein. Nunquam enim tua scrìpla lego,
quin mihi illiua recordatio viri oecurrat, adeo diligentis et perspicacia
in veterum locit emendandis, atque expUnandìs Homines qui ignorant
talem praeceptorcm tibi a pueritia contigiese admirantur postoa quantum eUam
in hoc ttudiorum genere valeaa. Ego, qui id iMsio, nec miror et laetor
»• k3) Claudio Minois. — Vita Alciati ante Emhlemata ; Quoio.
-» Epiii, Clar, et doct, Vir., ; Tiraboschi. Il P., nulgrailo lo tristi
vicende toccategli/ senti sempre per Milano U pia grande attrattiva, a
segno da preferirlai dopo Napoli, % tutte le altre città d' Italia, come
con belle parole dichian ai suoi discepoli. A rendetli cosi
piacevole quel soggiorno' contribuì, senza dubbio.prima V amicizia e poi
la parentela contratta col valente gecista, Demetrio Oalcondila. Questi,
chiamato a Milano da Lodovico il Moro, dopo aver insegnato, per t^ti anni
e con molto plauso, a Padova o poi a Firenze dda cattedra resa celebre
dall' Argiropulo, vi ebbe le più liete accoglienze, venendo egli a
soddisfiure quel vivo Uiogno sentito dalle menti, dopo la meta del
secolo XV, dponoscere cioè ed apprezzare le opere immor- taU dei Gì
[PrtefAtio ia Thebaida : « Egouom prìmum appuli in hanc inclytam
civitatem 6t latÌ8HÌmo dignamiperìo, eìut amplitudine captua, hanc animo
meo proprìam sedem U Nam post illam felicissimam Campaniaa
oram in tota Italia nullii usquam secessum solo virisque meliorem,
qaiqiie mihi M«diolano mls arrìdeat, invenl. n P., appena giunto a
Milano, cercò di avvicinarsi al- l' illnstre ateniese, per potere ancora
niegfio apprezzare i tesori del mondo ellenico, e trovò in lui uia guida
sagena e illuminata e affetto veramente paterno. Frequentando la casa del
Oalcoudila, ej^li ebbe agio di ammirare la coltura o le belle qualità
mora! della figliuola di lui, Teodora: sebbene questa non potes» vantare
né grande bellezza, nò forte dote, se no invaghi\ la foce sua
sposa, come si desume daunepigramma scritto in quell’occasione dall'
amico Cil^io. D'allora in poi P. abita in casa del suocera, dove
potè conoscere molti valenti letterati, venuti a ^lilant per
appren- dervi il greco, fra' quali Trissino, il quale pare abbia
fatto dimora presso lo stesso Calondila,. come « e' inducono a credere
una lettera di quest' ulmio «liretta a lui e sei altre di P., da cui
traspare la pinjgrande fami- liarità e domestichezza. Comincia cosi
un periodo di tregua nella vita di P., ma nou fu molto duraturo, poiché
vennero ditinovo a tor montarlo le strettezze finanziarie e i suoi nmici,
che gli piombarono addosso ancora più rabbiosi di praa.* I
Milanesi, se gli furono larghi di applauso onori, non [A Praefatio
in Thebaida: « placoit in spcm prolit ot rei faìnili»
Thcodoram, Demetrìi filiam, mihi adiungerc, in qua non forma, quan
ea inediocria est, ut appellat Ennius, non oiTertam dotein, quae ma «ine
morìbus ex|>etitur, animuroque ineum non facile capit, scd ingfiat
artes, intè- gritatein vitae, et super omnia |>atri8 eius affinitatem
Retavi. Jannelm. — optt., pag. n2« - [KoscoB. ~ Vita é PctUi ficaio di
Leone X, trad./ Luigi JBossi. Milano, Sonzogno, il traduttore ri u venne queste
lettere nella corrisddenza epistolare del poeta vicentino, conservata dai
Trìssino dal Yeld*Ofo. lo furono altrettanto nel ricompensare le sue
fatiche. Di ciò abbiamo chiara prova in un'altra orazione inedita, in
coi il P. candidamente fa nota ai discepoli la sua triste condì*
zionci ricordando loro, con aniarezza, il detto di Aristotele che cioè il
povero difficilmente e raramente giunge all'ac- quisto della scienza (2).
Quanto diverso era stato il suo giu- dizio sulla povertà nclVOratio ad
SetMlum McdioUinensem t Non deve recar punto meraviglia che questa
ed altre volte la miseria abbia bussato alla porta del P. • In quél
secolo, ben chiamato dal Graf il secolo dei ciarlatani, chi non si tirava
innanzi, chi non gridava e magnificava la sua merce, chi non prometteva
più di quanto potesse attenere, correva rischio di morir di fame. Bifuggendo
il P. da ogni bassezza e dalle quae$tuarU$ artibìii dei letterati del
tempo, era naturale che non guaz* zasse mai nell'abbondanza/
Il Poncherio, conosciute le condizioni poco floride in cui egli si
trovava, non mancò di venire in soccorso di lui, affi- dandogli il
proficuo incarico dell'educazione e dell' istruzione del nipote
Francesco. Ma ciò, se valse a sollevare il bi- [In L. Flomm : € Nam
quid aliud, ornatissimi ìuveoet, in tanta rerum difficultate, quid
a1ittd« inquam, facerem, quum publica stipendia non procederent, et al
qnae privatim consequor emolumenta, vix emendis olusculit satis essentf. In L.
Flomm : « Quippe ai viatica desint, ut vocat Aristoteles, omnia ad
acientiam eo- nattts irrìtus est et inania, et quantocumque labore
diligentiaque, mille- simus quisque vix evadei. AUraverio il Cinquecento^ pag. 110 e
aeg. (4) MSS. R In L: Florum : « Nunc autem quum pater
amplissirous Stephanus Poncheriua quo, quasi sacro atque inspoHato
quodam fano« boni omnes utuntur, non ho- nesta solum mihi praemia
constituerit, sed, quod magous honor est, nepotis ex fratre sui
curam'milii delegaverit.' Il M libili iiit — i j j I r II l ii — ^- 1
" lancio domestico del povero retore, noD potè ridargli la
tranquillità dello' spirito, turbata ancora una volta dagli antichi
nemici. Primo ad uscire dal suo agguato fu il perfido
Minuziano, il quale, avendo corrotto un ribaldo sacerdote, discepolo
del P., fece sottrarre a quest' ultimo il commento al De bello
Macedonico di Livio, frutto di tre anni di assiduo lavoro, pubblicandolo
spudoratamente col proprio nome (1), e dedi- candolo per giunta ai
successore del Poncherio, Carlo GoiTredo. Questo fatto indigna
fortemente P., che memore degli
altri torti ricevuti, senza alcun indugio, rese di pubblica ragione V
impudente plagio. H Minnziano, vedendosi brutto e spennacchiato, al pari
della cornacchia esopiana, per ven- dicarsi, non rifuggi da un' ultima
vigliaccheria, dal collegarsi' cioè col Ferrari, che era ritornato a
Milano, e col Nauta, contro i quali aveva lottato insieme col suo antico
ospite. A questi si uni un vero lanzichenecco della penna,
fac- ciamo nostra un'altra espressione del Graf, un tal Rolandino
Panato, che indettato e coadiuvato dai suoi amici, scrive contro P. delle
scandalose Inveetivae), che per oscenità non hanno nulla da invidiare a
quelle scritte dal Panormita, da Poggio, da Valla e da Trapezunzio. Vallo.
Apologia : « Impudentior autem praeceptor ille tuut, iropressorum
postrerout, qui Jaai castigationes in bellum Ltvil Macedonicum, grandi pretio
redemptaa, ab avarìssimo quodam sacerdote (palam rea est) intervertìt,
emendatumquo Jani labore Livium suo titulo pablicavit. Vallo. Apologia : «
Neque erubuit homo com iis in Jannui conspirare, adversus quos certo
capitis perìculo se, nomen, doctrinani, ceteraque omnia sua tutatos
fuerat P. RoLANDiKi Panati. — Inveclivae et Nautae Carmina. Questa
pubblicazione, sebbene non porti indicazione né di anno, né di luogo,
pure, come notAva Mazzucbelli, è certo che fu fatta a Milano
.mm^Smi^^mt^l^lCt TRA m A. 6IAXO TkWMAWm CS
Laudo contro fl P. o^ torto £ coBioBieliey o^ sorto di ribalderie, lo
duamò msiumm mremdiemmt, Jmmm /o€di$$immm Mcarmhcuwi, tmprmrimm, Ibtommw»
jMrtjtfi Don eitore altri Tilissini epiteti, che layia^o ndte 1/
infkaie rabula criticò i larori di Ini, ne^ loro o^ V'^fl^ letterario e
li denomiiiò amwumtmriolm. do Irrìdo di protesto eruppe daD'aniaio
dei baoai per la basse ingiarìe lanciato all' nomo dotto e morigerato:
Biffo, Cornìgero, Peloto, Bolognese Bratt- gelisto Biadano ed altri molti
alzarono la roee contro i tìK diiEunatori, e scrissero contro di loro de^
epigrammi di foooo, che non riportiamo, per non intralciare fl nostro
racconto (!)• n P. neppure questo rolto si diede per Tinto, e
riden» dosi delle nuoTe insidie dei suoi aTTcrsari, si ain^arecdiiò
a schiacciarli con pochi colpi, come scriTOTa all'amico bolognese. B non
disse dò per millantoria, polche rinsd complctomento nel suo intonto
colla pubblicazione della dtato Apologia di Vallo (3), la quale d ha
fornito tanto e ri im- portontl notizie. Nessuno dei biografi
del P., compreso lo*Jannelli, ha ossenrato che il Vallo, se ebbe in essa
la sua parto, non fli certo la prìndpale: la grande erudizione, lo stfle,
le dta- zioni, comuni ad altri lavori del P., rivelano la mano del
provetto maestro più che quella del «liscepolo. Questa volto,
dobbiamo pur dirlo, il P. fu costretto a combattere i suoi nemici colle
loro medesime armi, oppose [Jaio«blli. —Jannblli. — Op. cit.,
appendic«, Risi de Jolio «t
Musoa Appula, perque gratum fuit audire quid de utroque seotiret -
8ed, ut spero, noo agam Aesopi calvum,,nec expectabo Eiemis adrontùm
: paucis ictibus conteram. Furius Vallus Echinatus in Rolandinum, pistrìni
yernam illauda- tnxn,ante sec. ed. Comm. De Raptu eto. mmm
r*^iM «•^Ki^'^i^i>B ap"'litT-r"i
Una delle colpe attribuite al secolo dell' nmanesimo ta qnel vizio
abbominevole, per designare il quale si e tolto a prestito il nome dai
Greci. Fra le ignominie che gli umanisti, a ragione o a
torto, si gettavano in faccia vicendevolmente havvi sempre in primo
luogo la pederastia. H Bcccadelli rinfaccia questa colpa al grammatico
sanese Matteo Lupi, il Filelfo al Porcello, Poggio al Valla, il Valla a
Poggio e cosi via. Non dove sembrare quindi strano che quest^accusa
tanto comune si lanciasse anche contro il P. dal corrotto cinque-
cento, che ereditò, anzi rese più morboso questo vizio del secolo
precedente. Infatti tutti gli strati sociali, come dice il Oraf,
ne erano infetti, a comijiciare da Leone X, se vogliamo prestar
fede alle parole del Giovio ; Antonio Vignoli e il Bibbiena ne accusano
preti e frati ; il Firenzuola lo chiama manza di maggior riputazioAe, e
gli prodigsftio lodi della Gasa, Dolce, Lori, Curzio da Marignolli ed
altri dieci altri cinquanta, aggiunge il Graf. B che dire dell' ac-
cusa che grava su Francesco Bemi e sulla figura pia eletto del secolo,
Michclangiolo Buonarroti Y Siamo lieti di notare che tutti,
concordemente, assolvano il P. del fallo imputatogli, prima di tutti lo
stesso Giovio, che non la perdona a Leone X (2). Ove non potessimo
ad- durre delle prove tanto convincenti, basterebbe per poco .
riflettere sulle sante massime dettate ai discHpoli nelle ora- zioni
inedite (3), osaaiinarc l'elegia in morte di Antonio [ Attraverso il
Cinquecento Oiovio. — Ehgia ViV. Un. t7/ii5fr., p&g. 208; Spiriti, r-
ifemorM degli sct-iitori Cosentini^ piig. 25; Qinqukns. — Histoire litt,
d'Italie; Morcri. — Grand Dictionn, histor.,
MSS. R. BiU.PraefaUo in Achillcidem, Cratio ad di«cipulos, Oratio
ad Scoatam Mediolanensem, Ad Mumclplum Vlncentloum
tic t'amili' ma» w ^ ,n>»m n 1 iT_ I liwj I if^N»
iw*iift*>ff^' ii»mifjtmv%'8ai, Tisusqae sum orator Quid igitur aateal
dubilabant ne conduxisseut Thucididem Bntannicom, vel Ranam 'Sobri-
phiam? Sed utramque suspicìonem disonstl ». Questa lettera e le
seguenti sono dirette al Trissino, che allora si trovava a Milano ad
apprendere il greco, presso Calcondila. III wm^mf*
»Jfc^>»*M>W^ I ^ I 11 >WII^« fonati) quantum vix
olira Gares in Leloges, Arcades in Pelasgos, Laoed(cinono3 in Ilotost »
Fiere e generose parole che mostrano ancora una volta quanto fosse
esagerata i' accusa di coloro che negarono com- pletamente agli scrittori
del secolo XVI la coscienza morale della nazione italiana. B
che realmente il P. avesse fede nel!' avvenire, d è mostrato anche dalla
seconda orazione, dove se si notano i medesimi difetti delle altre, e
soprattutto la prolissità e una troppo sìidata erudizione, si ammirano
similmente gli alti pre- cetti pedagogici e didattici, e le sane norme
dettate ai gio- vani e ai padri di famiglia, circa i beneficii di una
buona educazione. Conosciutosi in tal modo il valoro e la nobiltà
d'animo dell' uomo bassamente calunniato, dietro l' esempio deUa
famiglia Trissino, presso la quale egli aveva trovata, nei primi tempi,
la più calda e sincera ospitalità, cominciò una vera gara tra le più
nobili famiglie vipentine, per sempre più dégnamente onorarlo e
cattivarseni) la benevolenza. Nonostante tali prove di affètto e di
stima, il P. non visse a Vicenza in quella perfetta tranquillità, come
credette lo Jannelli, per aver ignorate le importanti lettere al [Nencioni.
— Nuova Antologia, Orai. II ad Mun. Vincent : « In quo nonnulli parontet,
ut hic ordiamur, obiargatione digni sunt, qui spcs quoque suas ambitioni
donant et precibus amicorom, non minus insulse quam si gravi morbo quia
Implidtus, ut amici grar tiam colligat, oinisso perito salutiferoque
medico, se committai ignaroii cuius inscitia fonasse peidatnr. Roseci,
op. cit.,. 1. eit. : € Qni (Trissiol) nihil ad oroaodam tei- lendumque me
domi forisque omisenint, exemploqoe coeteris, nt Idem faeerent, oxtitere.
Nam cerUnt inter se Thiend, Palelli, Portensea et Cberigati quinam de me
magia promereantnr »• immmà^J^amm^t0>m^' j i>^ 1 1
^,n . »! I »« a «» «ii ' i^iai^ T i ri i ^. - ««-ìLm Trìssino:
prima la podagra (l), che aveva cominciato ad af- fliggerlo fln da quando
si trovava a Milano, e poi gì' invi- diosi e ignoranti grammatici gli
turbarono, come ftl solito, la pace dello spirito. n P. ,
irritato per i tranelli tesigli da un tal Antonio da Trento e da un
perfido sacerdote, di cui ignoriamo il nome (2), accolto nella sua scuola
in qualità d'hypodidascalos, aveva già deciso di lasciare Vicenza,
quando, per la opportuna ed elBcace intercessione del Trìssino, non solo
recedette dalla presa risoluzione, ma concesse anche il perdono all'infame
sacerdote. Malgrado i continui fastidii e le non lievi cure dell'
in- segnamento, il P. non tralasciò i suoi studii prediletti, che
continuò a coltivare con amore e profitto, pubblicando, a breve
intervallo, i seguenti importanti e pregevoli lavori: CLAVSVLÆ CICERONE ex
epistolin familiaribus (4); Breviarium Rhctoriec9 ex aptimU quibunque
Oraccis et Txitinis atictoribuM depromptum; Probiliistituta artium et
Catholica; Conieliìis Franto — De nominum verborumqM differentiU et
Fhoca grammaiiou$ — De /laudi nota, atqne de aspirationè libelluè. Questa
ricca produzione letteraria ci fa argomentare che [RoscoB. — op. cit., 1.
cit. : € torqueor incredibili po- dagrac dolore : quicquid est
mediconim, quicqutd phannacopolarain din noci uq uè conti ncnter exerceo.
L’indegno prete era Irato contro P., mal sopportando che que- Mlo avesse
chiamato nella sua scuola e prediligesse il cosentino Cesario, uno dei pochi
veri e costanti amici delPinfelice umanista, '3) RoscoB. Sacerdos
tuas est apud me laUs honcsta condì tione. Veicetiab, MDVHI, per Henrìcam
librarìam Veicet et Jo. Marlam oius flllum, in Kal. Jan., MDIX,
per Henricnm «te. MDIK, per Henricum ete VUI Id.
Febr., MDIX etc.... i/j » n i ì I II » * ! m jÈJì iV *'nM>-|f mk Iri i> i
liikJ^'- m i0> ri tf i P. negli aitimi tempi della sua
dimora a Vicenza, se visse in poco floride condizioni economiche, da
essere costretto a ricorrere talvolta al Trissino per qualche xirestito,
non dovette però essere più molestato, come per lo innanzi, da
nemici maligni e invidiosi. Allettato quindi da quella tran- quillità relativa,
succeduta alle lotte interminabili, forse egli non sarebbe cosi presto
partito da Vicenza, se non fosse sopraggiunto il pericolo della lega di
Cambrai. Appena salito sul trono di S. Pietro, Giulio II mostra il suo
fermo proponimento di ricomporre lo stato della chiesa, che era andato in
frantumi, non per favorire il miserando nepotismo, come avevano .fatto i
suoi predecessori, ma per fondare una monarchia pontificia, che potesse
dare al papato il necessai*io prestigio. A tal uopo, appena si libera di Borgia,
rivolse le sue mire contro Venezia, che si era impossessata di alcune terre
della chiesa. La Serenissima, scossa nel suo commercio per la scoperta
della nuova via, che conduceva alle Indie, e per la crescente dominazione
dei Turchi, aveva rivolta la sua at- tività a formarsi uno stato in
terraferma. Bra riuscita a mera- viglia nel suo intento, ma si era
procurato Podio del Papi e l'invidia dei principi italiani e dei
potentati stranieri, che^ il 10 dicembre 1508, conchiusero a Cambrai una
formidabile le^a e per ispegnere, come incendio comune, l'insaziabile
capl- digia dei Veneziani e la loro sete d'ingiusta dominazione RoscoB. —
op. cit., epist. V. : oco dopo II discorso inaogurale, lasciando al
téAele Cesario, che non aveva voluto abbandonarlo in qnella circostanza,
la cara dell' insegnamento, al quale aveva dovuto assolatamente ricor-
rere per poter sbarcare il Innario. n P., ritornato a Padova al
principio dell' agosto, collo spirito rinfrancato per il miglioramento
ottenuto ai suoi mali alle acque di Abano, riprese con nuova lena IMnsegna-
meuto, lasciando cosi libero il Cesario di tentare a Roma la sua
fortuna. La Mumma anetoritas deUa storica cittì, in cui per prima [
Praefalio 'm Horatil odM : « Si qois aliuii, ornatUsioii iiivenes, ex eo
loco quem net iKKiettlstimàin Romao Madiolanique et dcmum Vcìcetiae
lonuìmas, ad hanc iniquitaUm tamporum radactos ataat, ut privai im
doc«ret, ilio qai- dom fato eooTieiain faeoret tiquidem summa buius
urbis auctoriiat, celeborrimum Fatarii nomon, ubique gentiunn
venerabile, com- peniat omao salarli dotrimootoni. Lo Jannelli, noo
avendo ieooto alcun conto della lettera del P, %1 Cesario € ex Aponi
baliceia », ritenne che quest* oltiiro € excessli Viooentia (Romani) XI!!
vel Xll Kal. Jonii Sputala JJ, ex Apani balinais, e. d.: « interea vale et cara
disdpuloe eraditioni fideiqne nostrae commlsaoe ». (^
Epistola II, ex Apani balineis : « Salve, Caetari, profuemnt alU
qvaatlsper Aponi Iwlinea Bqoidem me cupio ad vot recipera klo
enln me taediam eepit remm onnlom.li Cesario non fa accontentato nei suoi
desiderii, poiché nell^ lettera inviatagli da Venesia, Il P. %|
rallegra con Ini « quod incolurois in complexu suorum vivat accoptos
(Bpist. IH) ». Da ciò argomentiamo che la maggior parte delle Iutiere del
P. gli furono Inviate a Cosensa. 1 1» jiil y i^ n i* m,tmt, ^ mi Mllb*^i^hUBk«la
iw«MHk«!fAi«^ MiaMUHMUÀli^4b*iS ^T». con Mussato emno fioriti^
gli studi! umanistioi, e il nomali celeberrimum da essa acquistato, por ^
aver accolto nelle sue mura tanti illustri letterati| quali Giovanni da
.Ba- venna, Pier Paolo Vergerio, Secco PolentonCi Gasparioo da
Barzizza, Vittorino da Feltro e, per non parlare di altri, Demetrio
Galcondila, allettarono subito il P., sino a fargli dimenticare omne
salarii detrimentum. Però i tristi aweiiimenti sopmvvenuti lo costrinsero a
lasciare Padova [L' imperatore Massimiliano, essendosi finalmei|te scosso
dalla sua inerzia a causa dei continui progressi dei Vene- ziani, nel
tempo stesso che Bodolfo di Anhalt si recavi nel Friuli, per occupare la
tcpra di Gadore, e il duca di Brunswick tentava di espugnare Gividale e
Udine, in persona per le montagne di Vicenza era sceso nel contada di
Padova. Però e non essendo ancora maggiori le forze sue, si occupava in
piccole imprese con -poca di- gnità del nome Gesario: saccheggi orribili,
eoddi spietati furono eseguiti dai feroci invasori, la cui indescrivibile
licenza fece ricordare quella delle orde barbariche. P., visto scoppiare un
cosi furioso turbine di guerra, prima che Massimiliano cingesse d'assedio
la città coi suoi 100,000 uomini, verso la n^età di agosto riparò di
nuovo a Ve- nezia, dove fu accolto amorevolmente, come forse anche
nella sua prima venuta, da Lodovico Michele, che era stato suo
discepolo a Vicenza. Guicciardini. — 7frecedente (Venezia), appare chiaro che
sia sUU. ^iy«>i V >»i I 1*1 la» ^imr !l^^ Garbono, i fratelli
Anisio, i fratelli Seripando, Angeriano e parecchi altri {ly, Col pia vivo
piacere P. frequenta i geniali convegni lei letterati napolitani e fu
accolto dovunque colle più sincero manifestazioni di ossequio. Non
mancarono, come al solito, i versi apologetici, fra' quali citiamo quelli
del prolifico epigrammista napolitano. Giano A Disio, nella cui mente il
P. destò il ricordo degli antichi soci della gloriosa Accademia
pontaniana: Qui8 non his tabulis dubia dipingitur umbra
Commeritas, qais non byali ridenta colore. Insigni virtute
vir, et spectatus amicus? Tene ego praeteream, cui Musae tempora
cireum Jusserunt hederaa, et amicaa serpere lauros. P. allora forse
rinde Filocalo da Troja, Garbone, Puccio da Firenze, alle cui
lezioni aveva assistito durante la sua prima dimora a Napoli, ricavandone
non poco profitto. Allora similmente rese sempre più saldi i vincoli
d'amicizia, che lo legavano^ al dotto e munifico Antonio Seripando (3).
Pare che egli conoscesse quest' ultimo alla scuola del Puccio (4> [So
questi scrittori, quasi tutti poco noti, rìcbiaroava testé V at- tenzione
degli studiosi 11 chia.mo prof. Flamini, cbe additava In essi « no
territorio da esplorare della gloriosa nostra letteratura umanistica Rassegna
Bibl. della ìeU. ital. Janl Anysii, Varia poemata et Satirae ad Poropejum
Colomnam cardlnalem, Neapoll, Suitzbach, Giano Anisi; Martlrano.
Bplst. ad Card, de AccoUIs Ante Comment. In Uoratii Artm Poeiie.
Parrbasll, NeapollChe realmente 11 Seripando sia stato alunno del Puccio lo
rile- viamo dair iscrìsione da lui fatta apporre nella cappella
gentilizia di Si. Giovanni a Carbonara : € Puccio quod bonarum artlum
sibl maglster foisset. Mabill. Museum 2ud.; Jannelli,—
fci^^ii^^ a*^ifc»*«^*i di P. ecc.. Ariano, Stab. tip. Appulo-irplno. Piccante l’osservazione
di Jannelli a questo punto. Quantumvis perditorum morum illum fuisse fiugamoa,
indo- cere ne sani iu animum possumus tam seno tantia votia
meretrìMA procul abaentem ad ae arcessere Parrhasium potoiasef
». Iu« Per mancanza di dati, non possiamo ben dire se per
pun- tiglio di offésa vanità femminile^ o per non allontanarsi dai
saoi vecchi genitori, la Calcondila non segui il marito quando da Milano
e si reca a Vicenza. Dalla lettera al cognato Basilio apprendiamo
solamente che, malgrado le continue insistenzci il P. non potè riunirsi
con la moglie (2), se non quando gli fu assegnato a Boma la cattedra d'
eloquenza (3). Quali che siano i motivi che abbiano spinta la
Oalcon- dila ad agire in tal modO| noi non possiamo non biasimarla
sia come sposa, sih come madre: come sposa perche resta impassibile alle
preghiere dell'infelice marito, che, per quanto colpevole, chiamandola a
sé ripetutamente, le aveva data la più ampia soddisfazione ; come madre
perche mostra di non sentire alcun affètto per l'unica sua creatura, che,
priva delle carezze e delle cure materne, a guisa di tenero fiore,
a poco a poco intristiva e periva miseramente. Nella seconda lettera al
Trìssino (Roscoe) P., dopo avergli detto facetamente che dispone con
piena libertà delle sostanze di Ini, eoque forUusé plus, quia sunt
uberiares, gli dà notisia dei compagni di greppia senza fare alcun cenno della
moglie : € Amanuensis item graecus ex Creta Nicolaus, quem
Trissineo Lisiae designave- ras Accessit Lario quoque lacu Simon Age nuno et
lopos bospita. W OuDio. epist,Sed in primis a me salutem
optimae socrui et uxori. Quum litteras ad eam dabis, de onios Toluntate
nihil ad hanc diem ex tuis literis intellexi, reditura ne sit in gratiam
contuberniumque meum, vel quid aliud in animum agitet. Ego enlm statui
vel secom vivere, vel aliud vitae genus hoc longe (Cosenza) quietius
instituere Dopo la morte di Calcondila, Teodora colla madre e col superstite
fratello Basilio (Teofilo e s ucciso a Pavia e Seleuco e morto in tenera
età) ha stabilita la sua dimora a Roma. t f '', HfcaUfciifc^M 1 tuna
querar, quam quod ex illa mortis imperturba tissima quiete me nir> sue
ad aerumnas vitao revocavit; abibara laetus ex bac inutili corporis
sarcina, si per faeroem (Antonino Siscari; cui Servio licuisset. Is enim
sani* mis opibus effecit, ut ego diutius articularis morbi carnific}nam
perpetlar. Epistola XI, ex balineis Lisaniae, pridie Kal. Septembris : €
Bar linea visa sunt »liquid opis actulisse Ego propediem
revertar, ioterea tu cura pueros beriles ac meos, ut tui moris est.
QuDio. — epist.poiché si recò a Taverna,
parC| tra l'aprile e il iiia^r^o, vi tenue un breve cor^b di lezioni* di
cui oi ò giuut4i solUiutH) V orazione. inauguralo intorno ali* importanza
o all'utilità della grauimatioa, che trascurata e quas^i disprezzata! dai
più, secondo V oratore« e la sola disoiplina che possa far acquisUiro un
vero e foudat-o sapere. Questui spontanea relegazione del P. negli
estremi conilni della Calabria dovett'i^ 1 moA, oonvcnÌM, coiupolla
uonilae oUro Piirrbasiuin ne illum pratvUrl noìulnUY ìllum l|t«uui
iot^uam Kd era lui davvero, osserva Fiorentino, il maestvro
di scuola di Taverna, che eni pure il miglior critico che avesse allora V
It-alia, si ricca di filologi. Durant-e la sua dimora in questo
villaggio, il P. rivelò up' altra bella dote del suo ingegno multiforme,
cioè la sua [ A/SS. R. DM. Siu. di ^^opoU\ CoiK V. D. 15.Oralio ad
TabornMtt : « Qao uullurn uialut pignua an>uHs erga se nioi TaWrnatea
hfbere queant, ai 'T « r grauile perizia negli studi!
atvheologici* Tare cli« nemiuMio A Tavoriia nìaiica.sato calvgoricamento
alTormaro che bisognava riconoscere presso Taverna Tubica/iono
doIPau* ticaSibari P., non potendo sopportare una ìmxÌA arro-r
gan3uì« scrisse contro l’ignorante mtttihit'HuH una dottai ed ela-
boratali dissert-a/ione, nella quale, basandosi sulle testimoniaiuo di
Aristotile, Mela, STRABONE, Tolouìco, IMìnio e parecchi altri, oltre a
determinare che V antica citt«à sorgeva tra^ flumi (1) .V^\
A\ DibL Sai. di SapiìU. Ceni. XUI. H. Itì — De SyUri, Oratili AC Tliurìo
:€.... sUm^ proivus in à\ho Upidd lincao, nihìl oiunìno sìgnanK ìisipio
shuiliMit ipii iH>r tonobran aiubulaiit^ apprehcMiduni (^uìo^uid ad
maims oooiirrìt. IH qui bonis et iuali« auotoribuH suflar- rinati,
tcstimoniis utuntur, aut miniale necc»$arìi8« aiit contra oausam certa
suam Vv« Sybari Crathi ao Thurìo : « Ao ut agnoi^oant omnes ea quae
tantum Crassus (1) olfecisrìt ox inversi» LIZIO rerbis e»s« nobis
esplicata*». il) Quoto Crasso non è punto GiOTffn&l Crasso da
IVdaco, coma poco ao- cortamentd cjr>Nlo(ta lo JanntlU «op. cit. |ui^.
8^), Anche ainmettondo che e^U noi IMS fo»5e ancor vivo, si op porrebbe a
una tale assorclone quella nobile lettera del P. ( /V Kfbtis rtc.« pa^.
ìi{ ; pr. laY., pa^. 9 ), al >uo caro maestro, dalla quale appare che
questi, più che schierarsi contro 11 suo antico discepolo, ricor- reva a
lui |>er schiariinenU e constigli. (3> .Vò\^. /?. lUbL -Vai.
di Sapoti. Cod. XUI, B, 15. — De Sybari Crathi ao Tburìo : « Quantum
fidei sit habeadum crassae minervaa magistellis, audentìbua atBrmare Sybarim
adhuc oxtara iuxta Tabemaa, Jt appallante oppidum, vel ex lioo iatelligi
datur. Faat L’animo sensibile di P. resta fieramente colpito da si brutto
fiittOy che aveva macchiata l’onorabilità della saa famiglia; sicché,
volendo honesto nomine cancellare l'onta del nefandum cHmen, pregò
caldamente il cognato Basilio di . voler interessare, presso il pontefice,
Lascari ed Inghirami, a fine di ottenere la bolla di dispensa per qnesto
matrimonio. Durante la sospirata attesa il P., per allontanarsi
forse da un luogo per lui o.
«j--fWtiai.iliM.i^lÉY.^lÉr.f.lfarftVWi-JJ Se in questo tempo farono ben
poche le corti che accordarono ai filosofi una vera e propria protezione, piu
tardi esse si moltiplicarono, gareggiando fra loro nel di- stribuire
onori e ricompense. Non solo le reggie e le corti dei principi potenti
divennero centri di coltura e convegni di letterati; ma le più piccole
corti, i principi più oscuri,, i cardinali e finanche i ricchi borghesi
vollero circondarsi .di letterati e artisti, che accrescessero pompa al
loro nome; di improvvisatori, novellatori, buffoni,' che li
divertissero. n principale centro di coltura nel Cinquecento fti
però Boma, dove nella corte di Leone X convennero da ogni .dove
uomini sommi e mediocri, attirati colà dalle pensioni, dai donativi, dagl'
impieghi, dai beneficii e dalle dignità eccle- siastiche, che come manna
benefica piovevano sul loro capo. Educato nella splendida corte di suo
padre Lorenzo il Magnifico, Leone X, al x>ar di questo, fu prodigo e
munift- [Per farsi un* idea del gran numero dei lelterati, che allo, a
in Roma godevano della protezione di Leone, X, basta leggere il
poemetto di Francesco Arsilli^ Depoetù Urbanis^ gli Elogia Virar, litt,
iUustrium, 4i Paolo Hiovo e il De infelicitate litteratorum di Pierio
Valeriano. Im- portante per conoscere la vita romana di quei tempi è,
fra* tanU studila r articolo del Gian» — Gioviang. ( Oiom. stor. Malgrado
ana tanta aspettazione e lo continue insistenze, il P., oome abbiamo
visto, non potè recarsi a Boma che verso la metà di febbraio del 1514;
sicohèy tenuto conto della lettera innata al Cesario, in data del 28
febbraio, non prima dei venti di detto mese egli potè iniziare il
sao corso sulle Selve di Stazio. Neil* orazione inaugurale,
pervenuta sino a noi, il Jf. mise a profitto tutti i suoi mezzi di retore
raffinato, non escluso quell'artifizio di parere nel suo esonlio
perplesso e titubante, per procacciarsi la benevolenza del pubblico,
giusta V ammaestramento di Oicerone. Dopo un accenno alla gran-
dezza del popolo romano, rivolge un cortliale saluto al La- scari e alP
Inghirami, protestando loro pubblicamente tutta la sua profonda
gratitudine. Non mancò naturalmente in tale circostanza di far cadere
destramente il discorso su Leone X e di tributare le più calde lodi al
munifico Pontefice. Oome concordemente ci attestano gli
scrittori contem- poranei, il P. destò a Boma il più schietto e generale
en- tusiasmo. Sebbene allora la città riboccasse di letterati,
alcuni dei quali di meriti indiscutibili, come Cattaneo» il Praefatio
la Sylvas Statii : € Nibil it&que dcsperandum Jano «luce et auspice
Phaedro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, bilaribua oculia
acquiesoo Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam» quod me
gravissimis apud Pontificein sententiis ornaverunt^ ubi vel nominarì
aunimus honor est. (2) MSS. R. Bibl. Nas. ut Napoli.PraefaUo
la Sylvat Statiì :€.... per quos ulrumque inibì contigli
indulgentia sacrosanctì Pontificis, divique Leonia X, qui maxime rerum
usu, incom- parabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate,
admirabili elo- quentia, proroptissimo ingenio, castissima eruditione
polle! Giovio — Elogia etc, pag. 208; Onofrio Panvinio. — Proém. Deci. 1
2Xf applausu erudii. ; Filippo Briezio — Annales mundi, T VU, pag. 130 ;
SalemI — SylvlUae^ Parrhasii Epicediatt^ eco. ^ '' i»' Fra tanti stimiamo degni
di nota i seguenti versi dettati allora da Antonio Telesio, V elegante e
terso poeta cosentino : Tlbrifl et obstupnit doctae modnlamtae
tocIs, Assonult riTifl haee quoque Tlbrl tnls. Fsf flus et buie uni es Teteres cestisse Quirites ;
Tarn Latiis sonat hic dulce magis LaUum. Attice et Actaes msgis
Urbe loquutus et Ipsa est» Hospes divino dlctus ab eloquio. Affesionato
come era ali* amico carissimo, P. si adopera a tnt- t* uomo per
procurargli a Roma conttitionem et ìocum ; ma il Cesario, malgrado le
continuo insistenze di lui, (Epist.^ non si mosse da Cownza. Forse era
rimasto poco bene impressionato alla notizia obe gli forniva il P. stesso
( Epist.) : e In Urbe singulae regione» sin- gulos babent praeceptores ex
aerario conductos, et qui nibilominus t prìvatls certam exigunt mercedem.
Troppa bollai rfMUitflri ^>rfki««»«i''*Mh^ uno
stipciKlio «li jxran lunga sui>oriorc a quello di tutti loro. Ma il P.
questa volta, reso ornai abbastanza pnitico ilolla vita, lasciò i>ure
olio i cani riu^irliiosi abbaiassero alla luna, li umiliò con un
dignitoso silenzio, che gli valse loo di letterato infelice per la sua
nota opera, volle caricare un po' troppo le tinte (!;•
Conoscendo poi la speciale protezione, di cui godeva il P«, non è
da credersi che gli fosse diminuito V assegna- mento, o per lo meno ne
fosse nt4irdata di molto la ri- scossione, come vorrebbe insinuare lo
Jannelli, il quale, temendo che al suo x>rotagonista dovesse mancare
il tempo per fondare V Accademia Cosentina, mostra gran premura di
rimandarlo in Calabria. InfaUi, adducendo a motivo la miseria di lui, la
morte del cognato Basilio e degli antichi protettori, Fedro Inghirami e
il Cartlinale d' Aragona, e in ultimo la partenza del Canlinale Adriano,
altro caldo am- miratore del nostro umanista, alTerma che questo lascia
Roma. Non occorrono molti argomenti per combattere questa
gratuita asserzione, in sostegno della quale lo Jannelli non sa addurre
alcuna prova. Basta infatti riflettere per poco su ciò che P. scrive a
eratìooe ductnt. De Rebus etc. ediz. cit., « Certe 8i quid ingenii, si
«|uid eruditionis in me, si dicendi commodi'aa est, id omne effundaa
prodendis iis, quae tot anoonira varia Icctionc compcrta, conquìsita,
col- lectaque luihi sunt in usum studiosac iuvcntutis ut siquidem
fructum lostcritas inde percipiet, acceptum rcfcrat Pontifici
prìmum Maximo, deinde Sylvie nostro, per quem conciliata mibi Pontìficis
voluntas est. .te detta partenza un anno pia tanli, quando cioè
per la morte di Leone X, essendosi seccata la fonte delle
largizioni, e non potendo, per la malferma salute, procacciarsi da se il
necessario sostentamento, P., come tanti altri letterati, lasciò Boma e
si recò a Cosenza. Quivi non visse a lungo, poiché, come ci attcsta il
suo contemporaneo Pierio Yaleriano, fu subito colpito da febbre
mortale, che, dopo penose sofferenze, lo trasse alla tomba. Nessuno dei
biografi contemporanei del P. ci ha tra- mandata la notizia circa 1' anno
della morte di lui ; sicché i biografi posterìori, ignorando gli
avvenimenti ora ri- cordati, solo perchè il Salemi aveva pubblicato
tra le sue Sylvulae anche V JUpicedion, scritto parecchi anni prima in
lode del P., credettero di avere una prova irrefra- gabile per ritenere
che questi mori. Senza punto trattenerci intorno a questa asserzione,
che cade da sé, quando si rifletta che i componimenti poetici
raccolti e pubblicati dal Salerni appaiono composti in tempi diversi,
crediamo opportuno prendere in giusta considera- [De infeliciUUe ZiM.» : €
..relìcta Roma, in Calabriam cum secessisset, in febrim subito inciditi
Nicolai Salerai consentinl Sylvuìae Epicedicae, Encomiastieae, Satyricae
ac Paraeneiica Variariimque aliamm rerum descripiiones fortasse non
inutxles Neapoli,
SulUbach, m„-*'mì^'%u',*] zione le testimonianze del cosentino Ponto
e (li Giano Anisio, suggeriteci dallo Jannelli. Tanto il primo che
il secondo scrittore, parlando di Adriano VI, eletto Pontefice il 9
gennaio 1522, ricordano con rammarico la morte recente del Parrasio. Ora,
conside- rando che questo ricorilo di una delle più grandi
illustrazioni del Ginnasio romano non può riferirsi che ai primi
tempi del pontificato di Adriano VI, quando cioè non ancora era
nota la sua avvei*sione ai buoni studìi e quell' orrore per le cose
pagane, che gli procacciò 1' odio dei letterati e i poco lusinghieri
epiteti di e furibondo nemico delle muse, della eloquenza e di ogni arte
bella >, riteniamo che il P., ritor- nato a Cosenza,, seguisse ben
presto nella tomba il suo protettore, Leone X. Dopo quanto abbiamo detto, non
crediamo sia più il caso di affacciare alcun dubbio circa V epoca della
fondazione Romiiypion — P. li, Roi io
: i Interpres, carusqno sacerdoi Parrhaslus, quem clara femat
monumenta per orbem Salbrni : Leo PaMor ovllit
Romani aethereos tandem niii;ravit In arcea, Unile suum ius8lt
propere ad meliora Tenira Praemia Parrhasium v5) Lo Jannelli,
sebbene non traesse dalle prove addotte una con- vincente deduzione, non
si scosu di molto dalla nostra tesi, ritenendo che il P. morisse €
desinente ipso anno, vel ineunte. dcU' Accademia Cosentina, attribnita al
nostro umanista. Scy come crediamo di aver dimostrato, e^li non visse
che poco tempo dopo il suo arrivo a Cosenza, è chiaro che questo
notevole avvenimento non potè compiersi se non nel primo ritorno in
questa città, e specialmente in quel periodo di circa nove mesi,
Sebbene non precisasse alcuna data,
FIORENTINO (si veda), nel suo TELESIO (si veda), si mostra
di questo stesso parere, combattendo V asserzione del Lombardi, che aveva
riportata la fondazione dell' Ac- cademia al secondo ritorno di P. Due
anni dopo però il Fiorentino, avendo letto il commentario dello
Jaunelli, mutò avviso e stimò jiiù probabile che detta fondazione avvenisse
nell' ultimo ritorno. A quanto x>are, il dotto filosofo volle
prestare troppa fede allo Jannelli ^5), il quale, come abbiamo visto,
oltre a mostrarsi non molto esatto nel xirccisare dove e come il P.
passò in Calabria il triennio, non seppe teucre Spiriti — Memorie degli
Senti coseni. Pref,^ pag. 0; Mattei Vila Patrìknsii^ odix. Dì Rebus
Tirahosthi Sloria ecc.; Signorei.u — Vicende della Coltura; Biografia
Unicers, ; Nuovo Dizion. Ist.
Ignorando 1* anno preciso della prima venuta del l*. a Cosenza, il
Fiorentino opinò* € che 1’Accademia cosentina fosse cominciata. Lombardi -*
Discorsi accademici ed altri opuscoli, terza edix., Cosenza — Pei tipi di
Giuseppe Migliaccio. Fra* non pochi errori commessi dal Lombardi
nel Saggio storico sull'Accademia cosentina, che P. S. Sai fi volle
chiamare € quadro preciso e fedele della sua origine e delle sue vicende
» nella troppo benevola prefazione, notiamo quello circa V anno della
morte del P. Op. oit., Appendice, Firenze, Succ. Le Monnier.] giasto conto
delle prove di scrittori autorevoli, attestanti tatti concordemente che
il P. muore poco dopo il suo iirrìvo a Cosenza. L'accademia cominciò
quindi ad aver vita quando appunto si trovavano a Cosenza Telesio, Franchini,
Salemi e, come pare, Galeazzo, il gentile autore di quelle tenere poesie,
che destavano nel Settembrìni il desiderio di altre. Mai come
allora Cosenza si era trovata in condizioni pia favorevoli per un vero
risveglio letterario. Caduta la Calabria sotto il dominio spagnuolo, dopo
l' iniqua divisione del regno aragonese, essa, a prcrcrenza delle altre
città, era stata fatta sogno a speciale protezione. Vi erano state
raccolte le sapreme cariche, riconfermati gli antichi privilegi e creata
quasi un' altra capitale del regno. E allora che venne su tutta una flora
di giovani baldi e volenterosi, che, spronati da vivo desiderio d' imparare,
si affollarono intomo al maestro insigne, che capitava tanto
opportunamente tra loro. Prive della pompa e dell' ostentazione
moderna, allora le Accmlemie, nei loro primordi, non erano altro che
amichevoli convegni, in cui pochi amici dotti e di buona volontà
discutevano su questo o quel passo di scrittore classico, oppure davano
lettura di qualche componimento letterario. Quest' umile principio ebbe
anche l’Accademia Cosentina, la quale pare che per un certo tempo non
fosse neppure denominata in questo modo : come ben diceva il
Fiorentino, ci ora il fatto e mancava il nome [Fiorentino — op. cit.,
edit. cit., Fra ì tanti ricordiamo i Martirano, Ciminio, Schipanio, Morelli',
Pagliano, Carlo Giar- dino eoe n P. contribui all'
incremeuto di questa istitaziono anche qaando si allontanò da Cosenza, poiché,
come ci attcstano le lettere inviate al Cesario (1), ad Andrea Puf^liano
(2), a Morelli e ai>itiM' Or
non parrebbe che cote»ti scrifU« P. > del quali pochiwlml sono
siiti impressi, valessero li predio della stampa, più che non tanto
Insulsaggini tramandate con tanta curai. PiORKNTiNO. Telesio^ T. 1.
1 fi-rfaal i j nr- -W • AULI JANI P. PRIMUS AD VITAM
EIUS NARRANDAM EX R. BIBL. NAT. NEAPOL. CODICIBUS
EXCERPSIT ET TEMPORUM ORDINE DIGESSIT PARCO.
OHAIIO AO P. NEAPOLIIANOS Ciro. Ponsitanti sacpo mociim, viri
pntritii, oruditissimi iavones, iuj;:cuiiiqiio adolcsccutuli et
coatcmplnnti qnam proeclarara prisci illi Romani publieae aclministrationis
formam/in postcrum rem populi susccpturì, per maous tradideruut, uihil
occurrit quod non summo in*renio exeogitatum, maiori studio expolitum,
maximo Consilio ac prudentia gestum indicotnr: ut niilìi quidem
undecunique eorum non modo bella, sed etìam paces per historìas
exploranti, quam apud omnes obtinent, o)nnìone diguissìmi videantur. Sed
illud praecipue militane disciplinae institutum, quo adolesceutes ad
palum intra val- ium prius impense exercerì, quam serìae dimicationi
interesse iubentur, usque adeo me delectàt, ut, in re lioet
diversa, ab iuenntibus annis hactenus observarim. Haud enim quodpiam
vulgo unquam commisimus, prin- squam per doctissimos utriusque linguae
grammaticos, prò meo ingenioli captu, eruditus in ludis litterariis satis
superqne delituisse visus sum. Et, ne ab id genus similitudine
disoe- damusy quem ad modum tirones ad palum punctim caesimqoe [V.
hoius op. In omnibus orationibus et cpistulis annum et iascrìptionem P.
non apposuit.1> HT i» rfi > nf m f^ferirò discobantur a vetoranis, ac ex
ilio commentitio pugnae Biinulaoro quod in vera dimicatione magno mox
usui foret imbibebant, ita et nos primo, quoad fiori potuit, haud
tamen 8cio an supra omnes nostri coeli ao aetatis homines, non
citra bonae valetudinis dispendium, sed eruditissimis viris non
modo nostratibns litteris, vorum etiam graeeanicis operam dedimuSy nty si quid
in communem rei litterariae utilitatem excudere libuisset, perinde ao in
penuria cellam haberemus in promptu. Ao ne sio quidem, tametsi pares huie
oneri complnribns videbamnr, au- natus, P. Papinii Statii,
poetiu*um oppido quam doctissimi, quem urbs haeo florentissima universo
terrarum orbi, quocumque latini nominis fama percrebuit, non iniuria
queat imputare, Silvarum opus haud omnibus obvium, singulis
lectionibus, enodaturum promiserìm. Scio profecto, neo me fugit quam
arduam quamque difflcilem provinoiam sim aggressus, quamque implicitos ao
inextrioabiles paone nodos absolvendos assumpserim, et vestrum fortasse
plerosque nostros hos conatus ut audaculi, ne dicam impudentis,
reprebensuros, quod huius aetatis adolescens in totius Italiae celeberrima
urbe, ubi omnium bo- narum artium studia poUent, in tanto praesertim doctissimorum
hominum conventa subgestum hoc ascendere non eru- buerim. Insta sane et
non improbanda incusatio, si aut meo consilioi aut sponte, non dicam
ultro, hoc munus obiverim. Verum hoc erga amieos nimiae indulgentiae
trìbuendum potius [OKATIONK8 BT EPI8TCLAX erity quibus dura in oinnibii9,
iikmIo honesti spociom prae se fcranty obsecumlo, iu aiudaciae crimon
incarri. Sed quaeso vos per tlcos iinmortales, viri pntritii, boui
consulite, proqae Ycstra 8olit4i hiimanit-ate statuite. Quuiu
saepe niecum parcutis omniura naturae exactum umlique opus inspicio,
uihil oecurrit, viri patritii, quod non magna cum sapieutia productum,
maxiaiaqne diligcntia di- spositum sit; scd illud imprimis ad hoiniuum
coetus non solura tuendosy veruni ctiaiu decorandos non par>i momenti
visual est, quod omnibus auimantibus gloriae ao laudis affectum iudidorit,
praccipuum, ut arbitror, ad implondos totins opcris numoros adiumentum.
Nam quid utilius, quid fnigins, quid couducibilius affectu hoc queat
invonirì T Quippe cai, si quid cxcultum, si quid politius immo utile
excogttatum est, iure ac merito referamus acceptum. Inde sunt
etenim tot ao tant;irum rerum iuveutioues, inde tot saeculis artes
incoguitae prodierunt, inde, indico, semper aliquid inventis adiicitur,
inde tot \irorum din noctuque elaborata monumenta. Kam si couditis usque
saeculis inventa altius repetamuSi omnia ab hoc affectu profecta
inveniemns. Missum facio Promethca, quem quid alimi, ut in fabnlis
est, ad snbtrahendum Superis ignora compulit, nisi ut inventi gloriam
reportarotf Omitto Liberum ao Cererera, quorum uterque hac eadem causa a
ferino ilio victu homines revooaviti quippe quum alter, ut aiunt,
>inura repcrerit, altera vemm frumcntum excogitarit. Nonne litterarum
notae ao dementai sive Cmlmus, sive alter invenerit, inde ortnm
habueret Quotusqnisque, ut ad rem litterariam adveniam, tam
maximos studiis labores impendisset, nisi uomen ao gloriam inde
adsequeretur T Eudoxus Gnidius complures sub montibns annos egisse traditur,
ut mathematica disciplina, anni rationera solisqne meatus perciperet. Sed haeo
ut remotiora fortasse praetereo. Hac nostra tempestate viri et ingenio
et doctrina praecipui multa- et nova et utilissima excudnut:
A .tifc... . patrum nostroriim memoria cnleliographia, qnam Latini
vocaut improssionom, a Germanis excogit>at>a est non tam lucri
quara gloriao cupiilitate, nam eorum plerosqno huiuact>am : De
Fortitudine he- roiva luculentissimum opu?, de quo seor$um praeter
eum nomo scripsit. rrincipvm vero ab iucunabulis ito instituit, ut
felicia rogna futura 8int quibuscumque, qualem ipso in- formata princops
obvenerit, Ohedientia^ vero partes it4i dis- sorit, ut ad hanc onines
virtut^es referantur. Quid eius Cha- ronte gravius, quid rurs«us
festivius aut elegantina T Quid Antonio doctius, in quo illud prnecipuum
duco duos totius romani eloquii principe!*, CICERONE ao VIRGILIO, sic
ira- proborum caìumniis absolutos* ^i u*ostrigilatores maiori qnam
ipsi Maronora ac Tnllium licer' 'i momorderit. Tacco Serto- riunij quo
piane uuusquisque fat-etur veterem illam scribendi felicitatcm
revocat*am. Unde vero vir doctissimus inter tot ao tanta^ occupationes
din noctuque bis studiis incubueritf Nulla alia re, quid enim sibi ad
humanam felicitatem, Bege tam praesenti deesse pot-erat, nisi ut gloriam
sibi apnd posteros compararet. Atque sic habetoto nnllos satis improbos esse ad
vir- tutem conatus. Quis enim Lucanum accnset quod huius aet4iti8|
aut paululum, supra, PharsaHa^ bella detonuitf Nemo est profecto qui
Valerium Gatullum, Propertium Naut*am, Albinm TibuUum^ Oaium d'enique
Balbum non admodum laudet, quod omnium ore cantanda adolescenies
edidernnt. Quotusquisqne invenitur qui mactum virtut^e esse non iubcat,
si poetam Oylicem Oppiauuui scripsisse compererit admotlum praetexta-
tunii quao etiam doctissimi soncs studiosissimo legantt Qnod si aut illi
quos diximusi aut oeteri, quos brevitatis causa
rtM«*«Mk«teMii*«i«MÌNarfai*«»««MMMk
I^M^^aBM>Wfc»aque orationi modnm 8t^tuam, si illnd nnum piias
admonuorim. Si quid in his qnao dixero ofTondet, omnibus enim piacere
csset immensnra, roeminisse debebitis nihil es86 in humanis quod
nndecnmqne possit esse perfectum, votastissimosque granimaticos ante oculos
penero qui etiam in plurimis lapsi dopronduntur (ueque omnibus esse
Pont4Uì08, Aurolios, AltilioSy Actios anazaros ao denique Dionisios
Superi coucessere, immo siugulis virtutes 6ÌnguIaS| ut est apud optimum
maximumque «^oetam}, et priscos illos, quomm adhuc auct-oritas vigot^
mulUi scisse non omnia. PRIVILEGIDM In R. Archivo
Ncapol. — CoUat. Prìrileg. Aragonensium. J. PAULI DB P.
Alfonsos et cetera, uniTersis et cetera, licet adioctione et
oetera, sane prò parte nobilis et egregi! viri J. Paali de P. de Gusenda,
familiaris nostri fldelis, dilecti, fait Maiestati nostre roverenter
expositam et amiliter sapplicatam qaod Panlus ipse ex concessione sibi facta ad
eius Ti- tani per Serenissimum Ferdinandum, patrem et dominam
nostmm colendissimam memorie recolonde, habuit, tonnit et possidet, 6ÌTe
exercet oiBciam magistn Oamere et magistri actomm penes Justiciarios, sen
Gapitaneos torre Tabomei nec non officiom Gavàleris penes Gapitaneos
terrarum mon- tanee et Givite dncalis cam potestate sabstituendi, cam
gagiis et emolumentis, lacris et obveutionibas solitis et consaetis
et debitis, proat in qnibasdam prìTilegiis per dictnm genito- rem nostmm
sibi propterea concessis hoc et alia clarins [Cum hoc unum monumeotom
nobis in R. NeapoliUno Tabulario invenire contigisset, facile animum indaximat,
ut hoe loco ederemns, codicis scrìptura diligenter servata. V. huiat op. aatmn
m »>t»>id i >tr il PBIYILBOIUX aDQotantor. Dignaremur sibi
ad eius vitam dieta officia iaxte tonorem dictonira privilegiorum de
speciali gratia benignins coufirmare. Nos autem habeutes respeetum ad
merita sincera devotionis et fldei prefati Paali, ao considerantes
servitia por euin Maiestati nostre prestita et impensai qneque pre-
stat adpresens, et ipsnm de bone semper in melius contiuuatione laudabili
prestiturum speramns, propter queqne in iis et longe maioribus a nobis
exauditionis gratiam ratìona- biliter promeretur, iis et aliis
considerationibns et caosis digne moti, prefato Paulo ad eius Tito
decursum iam dieta ofilcia actorum magistri et magistri Camere penes
Insticiarios seu Gapitaneos diete terre Tabeme et officium Oavalerii
penes Gapitaneos terrarum montanee et civite ducalis cnm potestate
in eisdem oIBciis substitnendi. De quorum substituendoram culpis et
defectibus Paulus ipse nostre Ourie principaliter tcncatur cum gagiis et
emolumentis, lucris et obventionibus solitisy consuetis et. debitis,
iuzta formam dictomm prenominatorum privilegiorum. Ipsaque privilegia cum omnibus et singulis in
eisdem contentisi oxpressis et narratis, qua licot presentibns non inserì
'itur, haberi tamen volnmus prò insertis et expressis et dcclaratis, si
et pront hactenus in possessione sou quasi fuit cl in presentiarum
existit. Tenore prosentium nostra ex certa scientia specialique gratia
oonfirmamus, acceptamus, approbamus, ratiflcamus atque landamus, nostreque
confirmationis, ratificationis, acceptationis et approbationis muniraine
et suffragio validamus et roboramus, volentes et decernentes expresse quod
presens nostra confirmatio sit eidem Paulo semper et omni futuro
tempore firma, stabilis, realié, utilis et fi*uctnosa; nullumque in
iudiciis vel extra, seu alias quovis modo sentiat diminutionia iucommodum
, aut impugnationis obieotum sive obstaon- lum, vel noxe alterius
detrimentum, sed in sua firmitatCì robore et officio pcrsistat.
Illustrissirao propterea et carissimo filio primogenito Ferdinando de Aragonia,
duci Cala- [('«^*MtoiV4 PRIYILBaiTTX ] briO| vicario nostro
goncrali, nostram super iis doclaranios iotontnin Mamlamus magno huius
regni Camerario ciusque locumtenenti j presentibus et rationalibus Camere
nostre Summarìe Jasticiario seu Capitaneo terre Tabeme, et tcrrarum
montanee et Oivite ducalis, Universitatibusque et hominibus ipsaram
terrarum, aliisquo univcrsis et singulis ofTìcialibos et siibditis
nostris maiorìbus et rainoribus quo>ns officio auctoritate et
dignitate fungentibus nomineque nuncupatis ad quos sea qucm prescntes per\*enerint|
et sxiectaverint seu fuerint quoraodolibet presentate. Qnatenns forma
presontium per eos et unumquemque eorum diligenter actenta X)refatum
Panlum, seu eins substitutos ad dieta officia exercenda recipiant et admittant,
retincaut atque tractent de- center et favorabiliter prout expedit in
eisdem deque gagiis et emolumentis, lucris et obveutionibns solitis
consuetis sibi respondeant et per quos decet responderi faciaut
atque mandeut integre et indiminute prout hactenus extitit consuetum. Kt
contrarium non faciant prò quanto dictus Illn- strissimus Dux filius
noster nobis morem gerore cupit, Getcri vero offlciales et subditi nostri
gratiam nostram caram habent et xienam ducatorum mille cupiunt evitare, in
quorum testimoniorum etc. Datum in felicibus Oastris apud Sulmonem per
magnificum virum Antonium de Alt^xandrolocumtcnentem etc.Regnonim nostrorum
anno primo Bex Alfonsus. Dominus rex mandavit mibi, P. Gablon
Jo. Pontakub Pasoasiub r MM^MaMHkaA^aadVAMaaataa iM^kMBaw
MF*«I tm-mdtt0mé^m^mmm>tk^tmm^^'^JmÌ^i^,^A^^^t^ UI EPISTULA AD
FEHDINANDUM II ARAGOIilUM Neapoli Quod a me de Sarapi quaeris, illustris ac
omaiissiine PrìncepSy utinara sic ad te reducendura prosit in
avitam perditumqne (?oIiuin, quo nulla tua culpa caresi ut olim
Ptolomaeo, Lagi filio, ad constituendas Aeg^'pti opes. Ilnic cnim recens
comlitam Alexandriam mocnibns sacris et novis religionibus excoleuti, per
quietem dicitur obversatos augustior humana forma iuvenis, atque monuisse
ut i>er cortes homines eius eflìgiem acciret e Ponto; id antein felix
fanstumque et amplitudini sibi gentiqne suae foro; enn- demque iuvenom
plurimo igni rutilantem cum dicto simnl in sublime raptum evanuisse. Quo
miraculo Ptolomaeus e somno excussuSy adhibitis Aegypti sacerdotibus,
imaginem nootumam visumque narravit. . Hisque extemorum ignariS| remqne
expedire nescientibus, quidam nomine Sosibius, qui vagis er- [ExsUt in
codice 'duplex huiut epistuUe exemplar. Manifeste ap*
paret eara ad Perdinandum II P. misisse, cum ille Neapoli in Aena->
rìam insulam confugerat (Kal. Mari). Quod mìnime mirarì debemu8, cum
perpendaroas, ut Erasmus Percopo. in opere, quod inscrlbitor Benedetto
Gareth^ luculente demonstravit, infelicem regem semper, etiam in roaximis
advenis rebuK, ad animum tttum erìgendum, in bona studia incubuisse. V.
huiut op. ^ fa m ^ m^»0>m.mi^mam àii w ii » m m ^, fa >t'priorum tymnno, quis haberi
deorum vellet, ad hanc senteutiam graece respondit: Siiin Deus ipse, tibt
qualein me cannine pandam : Regìa celsa poli caput est mihU caerula
venter Unda roarìs, calccsque pedum tellurìs in imo Cespite
nituntur, mea tempoia lucidus aether Arobit, et accendant oculos mihi lumina
Pboebl. Dioilorus autem Siculus, in Bibliotbecis, Osirim, Sarapim,
Liborum, Ditem patrom, Ammonom Jovem, Pana, eundom dcum esse existìmat.
Aristippus, Arcadicorum primo, [ORATI02fS8 ET EPI8TUXJLS] refert Apim,
Argivorum rcgom, Mempbim in Aegypto sodém sibi ooudidissOy qiiem postoa
Sarapim transnominatum Ari- stcos Argivus autumat ot huno ab Aegyptis
attonita sapereti- tiono coli. Xymphodorus Amphipolitanos auctor est in
bis quae de logibus xVsiao composuit, Apis tanri, cum decessisseti
salo duratum cadaver iu arca, quara Graeoi acpÓ¥ voeant, esso comlitum,
ex coque duplicato nomino Soro-apim demnnique Sarapim, nnucupatum.
Porphyrius autem philosophus Sarapim cum Plutone confundity ut ca soli
vis, unde proveniunt opes, Orcus et Pln- ton et Dis pater appellotur,
quatenus autem vitium terra sentit ad Sarapim pertineat; abstrusique
intra terram ignis inditium purpurea Dei vestis, infemae vero potestatis
basta trunca, atque cuspis deorsum conversa sit. In Aegyptura
translato Sarapi, templum prò magnitudine urbis extruetum loco cui nomen
Rhacotis antea Aiisset. Apnd Tacitum iogimus : eius templi hostium anni
certo tempore patefaciebant ipsi sacordotes, admotis ad rem divinam
aqna et igni, quo4l baco dementa maxime praestent. Dominatu
Julii Caesaris incendio consumptum recitafc Busebius. Illud addimus ex
Plutarcbo Alexandriae primum indigitari coeptum Sarapim, Aegyptiorum
lingua Plutonem significante vocabulo. Is fingebatur hunc in modum:
praestanti forma atque aetatis iutegrae iuvenis, qui subieeto ca- pite
vetusti operis quasillum gestet. In quo Macrobins, is qui deos omnes ad
unum solem confort, ipsius sideris altitudinem siguificari contendit, et vim
rerum omnium terrena- rum capacem, quas immissis radiis ail se rapiat.
Imago vero tricipitis animantis adiuncta simulacrO| quid aliud quam
tripartitum tempus ostendit, in id quod est, quod fuit, quod futurum estt
In leonis ergo capite qnod 6 tribus medium se altius erexerit, tempus
instans exprimitori inter praeteritum futurumque tam breve, ut quibusdam
nxù^ lum videatur; iu cui*sd enim semper est, it et
praecipitafe, ri--làr:.. ^.-ut i m ^iin ante desinit esse qaam
vonit. Est onim leo natura fervens ac in agendo quod iinminet validus.
Teinporis vero praeteriti cervix lupi rapacis a sinistra parte oriens
argumentum ore- ditur, eo quod por id animai rerum transactarum memoria
aufertur. Oeterum canis caput a dextra adulantis specie renidenS| futuri
temporis eventum declarat, de quo nobis spes licet incerta blanditur.
Quis enim non suas cogitationes in longum porrigit! Maxima porro xìtae iactura
dilatio est; illa prinium quemque extrahit diem, illa eripuit praesentia,
dum ulteriora promittit; perdimus hmlicrnum, quod in manu fortunae
positum, disponimus, quod in nostra dimittimus. Olamat ecce
poetarum maximus, velut divino ore instructns: Maxima quaeque dios
aevi prìuia fugit. Quid cunctarisy inquit, quid cessasi nisi occupas,
fngit; cum occnpaverìs tamen fugiot. Itaque cum celeritate temporis
utcndi velocitate ccrtandum est, et velut ex torrente rapido nec semper
cnrsuro, cito hauriendum. Audio te esse egregiae indolis adolcscentulum,
animo alaorem, ingenio potentem, frugalitatis et continontiae in
istis annis admirandae, patientcm laboris, a volnptatìbus alienum,
fìrmiterque laturum quicquid inaediflcare, quicquid tibi fortuna voluerit
imponere. Cui si nondum omnos ad unum bonos libuit excindere, si nomen
Aragonium propitia respicit, te, lapsis tuorum rebus, incolumem servabit,
discet abs te clementiam mitissimoque principi mitis aliquando
fiet. Tu rursus maiores tuos intueri debes ascitos coelo, operamque dare
ut nude per iniuriam deiectus es, industria vir^ tusque te reponat. Ante meos
obitus sit, precor, ista dies. Deditus ac devotns ORATIO IN ALEXANDRUM
MHiUTIARUM Mediolani Ismcnias ilio Thebanus, sammus oetate sua
libiceli, quos in arto discipulos habobat, iis auctor erat ut alios
eiaa- dom studii profossores ot quidem malos adiront. Quod ita foro
putabat, ut ot illi quid in canondo soqaondum aut fa- giendum essot ab
alionis erratis erudirontur, ot oius alioqniii non iniucundao
modulationi, oomparationo peioris, gratiae plus aoooderot. Id
nos oxomplum, quod maximo probaromus, in usnm revocano tentavimus: an aliunde
factum putatis, ut iUam pocudom (Minutianum) vos audituin misorim^ quam
ut roconti perìculo cognoscatis quid intor Apollinis ot Marsyao cantnm
differatt Non dubito, qnae vostra sagacitus ost, qnin onmes in-
tolligatis illum noo ingonio, noe oruditione valore, qui per se nihil
unquam parit, ab aliis omnia suppilat, ao ut igni^ vissima volucris
relictis cadaveribus saturatur, ot, quo nihQ impudentius, oiusotiam, quom
tortio quoque verbo crudelissime lacerat, quo se potiorom iactat, inventa
recitare -pro som non oruboscit. V. huius op. Audistis, arbitror,
audistis, ornatisf^imi mveues, cum, nudins quartns an quintus abbino est,
poctarara genera nostrìs tantum non verbis enumeraret, quaeque nos anno
superiore ex auctoribus graecis accepta, vobiscnm oommunicavimus j
eadem nuper ille quasi sua, quasi nova, magno verbornm strepitn
blatteraret. Et audety proh Superi, se nobis ilio eomponere ! qui
negligentiae nomon suae praetendit inseioiae, qui turpe non dueit
oeoupationibns excnsare, quod haotonus magistri per- sonam non
sustinuisset et satis buio inelytao ei>itati factum putat, si prò tot
annorum iactura recipiat in posterum foro diligentem. Quae cum dioit homo
parum consideratus non yidet alterutrum necessario sequi: aut ante
adventum meum ab ilio Tos esse despectos, ad quos illotis, ut aiunt,
pedibns et imparattts acoederet, ut, si quid in litteris curae
posthao adhibuerit, eius omnino mihi gratia deboatur, cuius opera
sit effectum ne vos, ut antea, scopas solutas existimaret; aut certe
illud se non amore disciplinarum, quas arrogantissime Sibi vendicat, non
virtntis, a cuius itinere iampridem longius aberraret, non suae denique
existimationis, quam post umbram lucelli semper habuit, ad hoc adductum, sed
spemercedis, quam desertus erat a vobis amissurns. Et Ì8 unqnam
poterit illum quaestum, quem non ex officina sed laniena librorura quam maximum
facit, vestris rationibus non anteponeref non hercle magis quam pisois in
Bieco TÌTere. Nam ubi cupido diTitiarnm invasit, ncque disciplina, neqne
artes bonae, ncque ingenium ullum pellet, ut non minus vere quam graviter
ait Sallustius. Sed fac eum maxi- me velie: quid tandem praestabitf an
alius nuno est quam olim ftiit, cum per libellos a Senatn toties
efiBagitatus ut ab aede Musarum raucus hic anser exploderetur T nempe
ille ipse est et aliqnando tot annorum cessatione deteriora
Sed quid hoc refert, si discipuli non facilitate sermonis, m n mwtt*
fi *»m,mii i ,Ama d j T b ^\''mì k 'ì è Ì%tV m0 m imi tì mktmmwt h mut m m^m T
»éb'^^mmmmÌèmiJÈm ORATIOXES ET SPISTULAB] non rerum memoria, quod
par esset, seti oviclianis ariibns alliciu Dturf An non illius earmiais
in meutem venii: Promittas facito ; quid enim promittere laodit. Pollieitis
dives quilibet esse potest. Invenias aliquos adeo veeordes ut oassam spem
precio mercentur et quo, dii boni, precio ! iactar temporis; quo nihil
esse preoiosius in vita qui Theophrasto mature non erednnt, exacta mox
aetate, sero sentient. Qnod ne nostris auditoribus usu veniai, si unquam
àlias in praesentia diligenter seduloque cavebimns, cum mea spenta
vestrique causa, quibns ut amantissimis nostri consnltam volumus, tum ne
P. A. Stephani Ponoherii, Senatus prìnoi- pis, ao sacrosancti nostri
regis Archigrammatioi fidlere iodicium videamur, quippe quum nos, qui summus
honor est, snis aanumeret ao, ut est in bonos omnes muniflcus, muoribus
in dies auctet praemiis, ut Glaudiani mei Carmen usurpare iam
libeat: Crescite virtutes fecundaqne floreat aeUt, Nfciu patet
ingeniis campus, certusque inerenti Stat favor ; ornatur propriis
industria doni. Surgitae sopitae,
quas obruit ambitus artes : Nil licet invidiae, Stephanus dum prospicit
orbi. Non est amplius vulpi locus, nusquam iam nebnlones, nusquam Lysonis
excussor emissarius, iacet cmentus iUe dalator, in acie linguae qui nccem
gerebat. Quod si verum non est, nec malis artibus, ut omnes afiirmant,
sed, nt ipso gloriatur, industria pervenit ad opes et dignitatem, dicai,
dbsecro, cur nuno cadem non assequitur, quando nberiora tìptutum praemia sunt
proposita, naetus indnlgentissimam Praesidem, qui benigna fovet ingenia T
cur ad enm sàlutan- dum nondum venit? Nempe quia
noctua solem fingit, neo audet homo lovissimus illi trutinae se
committere. Sed Tersipeìlcm, quem, ut Lysonis sui suecessorem,
intrinseoos odit, foris amare simulat, de quo ad aurem garrit, eundemque
palam laudat, ita frigide tamen ut ad noTeroae
tomn- 'fììtii'il«^iThMli tf ì f ifci /T fu 1^ |^, Y-1 i ib» ri
I] gnitione doctiorum, quo diatius in admirationc sui detineati apad
quera quantum proficiat quisque sontitf Sua cuiusque ros agitur ; per me
sit omnibus integrum audire quem maxime probat. Equidem neminem invitum
detineo, neque si velim posse confido, quod Appula musca saopissime
gloriatur. Quoties onim pracdicasse creditis ita discipulos addiotos
habore, ut ne ipso quidem Varrò, si reviviscat, co plures Mediolani sit habiturust
Sed illud gravins, dicam autem quod ab co milies au- divi : Yos a
pccudibus differro quicquam negat. Non onim ratione, ncque iudicio, scd
impctu quodam ferri, contuma- citerqne contendere prò sententia, cui
quisquo semel inhaeserit. In Tobis uunc est enScorc, quominus nimiae
licentiae littcrator ca vere dixerit, neque committere ut patientia
nostra diutius abntatur. ORATiO AD SENAIUM MEDiOLANENSEM Gratulor
litteris, |i:aiuIoo mihi, Patrcs optimi, qui tandem iuveni qiiocl diu
multumqne frustra clcsicleraram, ne nostri temporìs priucipcs aut eorum
ma;;istratus, in quorum manu rcs est, tcmoro cuipiam docendi munus
iniungeront, quo nihil indignius, nihil roipublicae porniciosius
excogitari poterat. Non cnini parum rofert quam quis initio disciplinam
sortiatur; nam quae teneri percipimus altius animis insidunt, ao ita
penitus radices agunt, ut nuuquam, vel certe difficulter eyelli quoant. Intellcxit hoc prudentissimus vates Horatins et
hunc in modum testatus est: Quod semel est iiubuta recens servabit
odorem Testa dia. Deinde subdit: Sinccruin est nìsi vas,
quodcumque infundis acescit. Habeo vobis gràtias et quidem maximas,
viri clarissimi, ac si facultas darctur, etiara referrem, qui de nostris
studila adeo solliciti estis, ut me, licet illnstrìs amplissimique
do- [V. buius'op. «*aa«^ mini Oardinalis Bothomagensis, qui
Ghrìstianissimi regia personam sastinet| iudicio comprobatum, non tamen
prius admiseritis ad eradiendam Mediolanensem iuventutem, quam
vigilantissimis vestris ocalis exhibitum aliquod porìoolnm fa- cere
spectaretis. Non enim nobis exciderat illud Plaatinum: Pluris est
oculattts testìs unus, quam aoriti deeoin. Novistis,
Patres optami, novistis quid hoius sanotissimi Senatns ordinem deceat:
non oportero mmusoolis bominnm, neque simplici cuinsqne testimonio facile
credi. Oondonant pleraque mortales odio, nonnulla etiam gratiae ; ncque
reve- rendissimi domini Gardinalis divina mensy gravioribus ne-
gotiis occupata, minimis quibusque vacare potest. Quid vero nnnc
agam, viri clarissimi, quom sere già- diator in barena consilium capiat
mibique necesse sit in consessu disertissimi Senatus, virorumque
doctissimorumi quos adesse iussistis, ex tempore verba faceref Fateor
hoc etiam periculum bone pcriculo nos quandoque fccfsse ; sed in
ludo litterario, non in foro; sed nostri generis hominibns, non tot
eloqucntissimis viris et illa auctoritate præditis audientibus, qui,
quoque me verte, virtutum fulgoribus in- gentes occurritis.
Sed unum me, Patres optimi, consolatnr, quod apnd prudentes, ut in
lucubratis operibus censura severior est, ita in snbitis orationibus
venia prolixior; nulla enim res potest esse eadem festinata simul et
examinata, neo esse quicquam omnium, quod habeat et laudem diligentiae
suae simul et gratiam celeritatis; Bxstant a nobis evigilati commentarii
atque leguntur, in quibus non recuso vel.etiam malevolorum subire
iudicium, dummodo ne quid ingenio valeamus ex hac tumul- [TttDo Parrhaalat
iam ediderat laculentissimos commeDtarios, qui iDscrìbuDtar: Corneliut
Nepos De viris iUusiribus, MedioU.; Sadalii Carmen Paschaie et
Prudentins, Mediol.; Comm. De Rc^ffiu Preeerpinae CL Claadiani, Medici, prid. Kal.
Sext. MmMié MM«.M^U^«MiteM«iM*^F««iid»w*i*MM rn«kM^*«taa^k«Bi^M.* rt*««>w»rfk
MkW« ««wAi«aitfkÌHa ORÀTIOMKS ET BPISTUULB] tuaria dictìone stataatis. Neo
opes, arbitror, in nobis exigitìs so! I nn , TI ir• • f. P.A .-•Qnod si non tantum
profecisti, quantum par osset, tua non mea culpa taxi ; quid cnim facias
homini tot quacstuariis artibus occupato? lam vero illud cuiusmodi
fuerit, omnes probe nostis, quom Julius AeinìliuSy vir, ut a raultis
accepi, plurimae lectioniR, ex hoc loco, prò dii iramortales, (et audebis
negare?) manifestissiinis arguinentis, omniuinque con- sensu te reum
lancinati, praecerpti inversique Cicoronis ageret. Ego quom tu ingratnm
vocas ( piget horcule memi- nisse) suscepi tuas partes et quidem
iniquissimas, quantumque in me fuit, indefon^um non reliquia tuoriquo
conatus snm oum summo capitis mei periculo, ut vestrnm plerosque
meminisse conAdo. I mine et confer illa sapidissima tua tuceta,
illum panem secundarium, illam vappam, quam nobis appouebas. Neo eo dico
ut expostulem, qui potus cibique (quod tu non negas) parcissimus semper
oxtiterim; sed compononda fue- runt aliquando beneficia, ne tibi semper
ingratus viderer. Quod si nihil praeterea contulissom, nonne minerval
mea diligentia quaesitum satis est ad aequandas rationes f an tuas
dumtaxat in ephemeridem contulisti, quod facis cum papyri glutinatoribus,
quos semper aliqua summa defraudas f Vae tibi si non intelligis minorem
lucri quam fldei iacturam esse 1 In quo ingratus tibi videor ! an de vi
queri non debui, ne ingratus tibi viderer 9 Ao in illa querela quid est
dictum a me cum contumelia, quid non moderate, quid non remis- sins
quam scelerìs atrocitas exigebatf Sed alibi furoris arcem habet
callidissimus veteraton invidia miser aestuat, invidia coquitur, invidia
rnmpitor, nollet extare cuius comparatione detegeretnr, Andistis,
eru- ditissimi iuvenes, audistis cum clai*a voce clamaret :
descende de pulpito, si vis ut taceam. Egone descenderem, stolidis-
sime, ab ilio suggestu, in quo certa disciplinarum ratione locatus sum,
in quo me Pater amplissimus et divinus Cardinalis Botbomagensis, approbante
universo Senatu, statuit PRÆFAIiO IN PEBSIOM^) Mcdiolani Chilo,
sapiens uuas e scptom quos votostas in Graecia consecravit, iam senez
eoqao prailentiori nam serìs venit usus ab annis, ut inqnit OVIDIO, qnom
forte qnompiam glo- riantem audisset nnllam se inimicum habere, an nuUam
e- tiara amicnm haberet, interrógavit, amicicias et inimicioias
iuvicem consequi et addaci necessario ratus, ut apnd Gellium Plntarchas
memorat. e Hai >, in Aiace farente Sophocles ita monet, e hac fini
amcs, tamqnam forte fortuna osurus, bao itidem tenos oderis, tanqaam
paulo post amatams. Per tot onim vitae salobras quis ita circomspecte
potest incedere qain offensiones aliqnando non incnrrant f Sammae illnd
qoidem felicitatis est dnas forocissimas affectiones amoris atque odii
intra saam qnamqne modom continere. Qnod si minns contingaty qaom non
omniam sit in Gorinthnm navigatìo, proximae laudis illad est ad lenitatem
nos qaam primom dare, nec in vita mortali inimicicias perpetnas
exercere. Minutianos Alexander, nt scitis, annis abbino
daobns, an tertins agitar, ex hospite factas hostis, utrins colpa
dicere V. httius op. ORATIOIIKS ET EP18TUULA superscum licuit, quod
aliquando receperam, sicut aes alieuum dis^olYere cessavimus, ut
omnes intelligatis, hactenus satisfaciendi votum mihi non
defìiisse, sed faoultatem. Quod si Fabius Quintilianus, ob
eiusdem generis iniunc- tam sibi provinciam, mores accuratius excolendos
et studia sibi duxit, quo Domitiani, perditissimi principis,
opinioni responderet, quantopere laboraudum mihi censetis in
utroque, ne sapieutissimum sacrosaucti Pontiflcis iudicium
fefellisse yidear, qui sicut opibns et imperio, quae malis
indignisque plerumque contingunt, nitro co- [EPISTULA AD LAURENTIUM
PEREGRINUM Mediolani] olro. Non it4i iiiro oontubernii, qnoiitem, pnruin
inilii probatiSi ut in- dole inoruinque olo;raiiti:i ne bonnrum ariiuiu
8tmlio potes a me expecUire oiniìia qiiae a, non ininria desideras
expHoari, nam neque Do- mitius, neque Piemia, interpretes alioqui
diligentissimi, moltoque minus infra classem ma^struli eins verbi vim
peroe- perunt in hoc poeta. Juvenalis enim reponere non in significatione
scribendi sarciendive, sed prò eo qnod est parem gratiam referre videtur
accipere. Sieuti ad Lentulum soribenSi V, huiut op. CICERONE per haec in
Epistolarum famiìiarium libro primo: cCur, inqoit, vatdciiiiam landarim,
peto a te ut id a me neve in hoc reO| neve in aliis reqoiras, ne tibi ego
idem rcponam Cam veneris», idest eadem in te regeram. Atreus
apudSe- necam poetam : e Sceleri modos debetar, onm facias scelus,
non abi reponas, idest nlciscaris. Metaphora sampta est ab iis qui
matitant, invicemque convivantar. Haec babai saper ea quae a me
qaaesisti ; integrnm sit seqni quod maxime probabis. Probabis enim quod
aptissime loco et sensuii qui sis ingeniosissimuSi congruct, Sed ben !
tn vide qnid agas, qui cursum reflectas ad Sirenas ; est sane
pericnlum, ne te mansuetioram Musaram delinimenta avocent a molestissimo
legam studio. Cogita tibi, vale. iuquit € Jane, qui centra tui saeculi
mores in uno altero ve libello tam lente sedeas t non illa nunc aetas
est, quom invenes quod imitari vellent diu audiaut, omnes ad vota fe-
8tinaut| ncc expectandum habent, dum mihi tibique libeat prò re dicere.
Sed saepe ultroiuterpellant, atque alio transgredientem revocant et propcrarc
se testantnr. Utque Philostrati leones ex eadem praeda bis cibum non capiunt,
sed ex calida recentique semel pasti reliqiiias aspemantur, eodem
pacto nostri temporis homines una do re saepe disserentem non facile
x>atiuntur. Quare nisi novi quid in mcilium promas, quod discipuli
probenty vereor ne solus in scholis relinqaaris Qnibus ego monitis, ut par
erat> a priore scntentia de- turbatus, animi dubius aliquandiu
pepeudi. Nam quam vis et ipsa res et auctor monebat, ambiguuiu iiuncn
erat quam in partem homines essent accepturi, si Lucium Florum
nostra ope propemodum convolescentemy nt parum periti medici, non
penitus obducta cicatrice, desererem ; tlifficilis anceps- qne
deliberatio , din multnmque agitata , nostri innneris auspicia
retardavit, donec animo sedit ocii^mei rationem vestris commodis
posthabere. Diebus itaque festis, quos alii genialiter agitabunt, quae
restabant ex Floro, pomeridianis Haec Demetrìi Chalcondylae moniU maximam
Parrhasii nostri laudem praa se ferunt, nam manifestis argumentis eins
magnuin et Msiduum in castigandis scrìptorìbus stodium nobis patefadont
tk é m u mtàutmm^tÈm^im^m^^mnm* itiàm OBATIOMES ET EPI8TULAS
horis intoipretabimur, in eius vero locum (qaod (ànskiiii folixque sit
omnibus ) Livionì sustitucmns illum, qnem vetustos adco suspoxit, adoo venerata
est, ut nihil ad hoo aeyi rcliqueriti qnod in eius no>'um praeconium
possit excitari. Quis euini post Fabium non dixit in conciouibus
Livium, supra quani narrar! possit, cloquenteinf Qnarum tanta vis
ad persnndenduni iam tuni crcdebatur, ut Metio Pompusiano capitale fuerit
apud Domitianum, quod eas excerptas ad usum uiemoriae circuaiferret.
Quanto niitius sacrosancti nostri Ro£^s in^^euium, per quein non haee
ediscere solum licet| sed ipso praeceptores nitro conduciti qui
iuventutem Hber»- liter institnant, Quis vero Livium nescit in
exprimendis alTectibnSi quoa mitiores appcllant, inter historìcos primos
obtineref Nam quoil ab ultimis Ilispaniao Galìiarnniqne flnibus
illustres in urbem viri venerint, ut unum Livium salutarenti epistola
Plinii Nepotis ita porcrcbruit, ut sit in tanta notioia reforre
supcrvacanoum. Furor est autem, furor in quaestionem vacare, quod olim
Valla, Sallustiusne doctior fìierit an Livins, et eos invicera comparare, a
quibus discere magis oon- venit. ntrique summi extit-ore ac cadesti
quadam providentia componcndis moribus alendis. EPISTULA Nli.-DE LIVIO
INDICE Mediolani Timon ìlio Phliasius, óloqueutiac sapicniiacquo
stadiosusi ut undecimo Successionum libro scrìbit Sotion,
iutcrrogatus ab Arato Solense quo pacto posset Homeri poema consequi
castigatuniy respoudit: e Antiqua lego exeniplaria, non ea quae nuper
emendata snnt >• Eius, ut reor, auctoritatem secutns, Probus
exemplaria undique coutracta inter se oouforre coepit, ex eorumque fide
corrigere ceteraf atqne di- stinguere et adnotare curavit et soli liuic
noe ulli praeterea grammaticae parti deditus, ut Suetonius auctor est, ad
famam dignationemqne pervenit. At, ut quidem sentio, non i^ niurÌHi nam
quam sit hoc laboriosum, quam non omnium, Cioero testatur ad Quintnm
fratrem. cDe libris, inqnit, Tyrannio est cessator ; Ohrysippo dicam, sed
operosa res est et hominis perdiligentis; sentio ipso, qui in summo
studio nihil assequor. De Latinis verOi quo me vertam, nescio, ita
mendose In codice V. F, 0, in quo omnes quae Parrhasii tupersont epistulae
collectae sunt, nonnulla Quaesita^ ut hoc De LIVIO indice^ omni indicio
signoque careni, ad certuni signiflcandum viruro, cui inscrìpta sint. V, huios op. oratioubs xt bpistui^àx scribuntur et
veneunt. Utinam non nostri temporis haec iostior essct querela! certe ego non
plus in alienis erroribos coufutamlis, quam in cxponendis antiquorum
scriptis insodsircm. Sccl afiirmare inratus et sancte possum, eie omnes
ab impressorìbus inversos esse codices, ut, si anctores a pestìiminio
mortis in lucem revoceutur, cos agnituri non sint. In
quo non recuso quin mentiri indicer, nisi LIVIO Decada istao. apertissime
probabunt. Ao ut ita facile omnes iutelligant, ab ipsis argumentis
incipiam. Sjllabos et elenchos graece dicitur is quem latini vo-
cant indicem, cuins adeo studiosi fuerunt antiqui, ut PLINIO integrum volumen
elencho dederit, et CICERONE per epistolam potati ut eius libris index
ailinngatnr. Lampius etiam, Piatarchi filius, hac una re claruit, quod cleuchon
operibus pa- tris addidisset, ut est apud Suidam. Qais huuo
indiccm LIVIO praetexuerit in obsouro est; aliqui tamcn Florum suspicantur. Ego
nihil aiBrmo, sed qui- cumque fait, doctus certe fuit et plenns
auctoritatis in scholis, ut quidam de suo multa addidisset, quae, licet a
LIVIO transcripta sint, adulteraut et vitiant alienar nm lucubrationum
sinceritatcm, ut dcpreudimus iu antiquissimo codice, qui mauavit ab cxemplari PETRARCA,
viri, sua tempestatOi dootissimi. PRÆLECTiO AD DiSCiPULOS Mediolani.
Tollite iampridem, victricia tollita sigoa Virìbut utenduiD quatf'fecimos
Libuity adolescentes ingennii pomorìdianis iis aaspiciis, iisdom
V08 hortari verbis ad repetenda litterarum stadia, qaibas apud Lacanam
Oaesar ad instaurandum bellara militos sao8, qaando non cnm aurìore maj^que
infesto ' hoste Oaesari fntura res erat, qaam nobis hoc
tempore. Stat ecce in nos ignorantia gravissima adversaria, centra
qnam, cum anno saperiore freqnentes mecnm strenne pngnayerìtiSy frigoris atqne
solis patientissimi| nunc nisi reparata constanter acie consistemns omnes
prompti, labores emnt irriti, pessimeqne de rationibns nostris actnm.
Haeo enim nos omnibus omamentis et oommodis exnet; nam quid ant
conseqni potost ant praestare qui, quid optandnm, qnidve fngiendnm sit,
ignoratf Usns mnltarnm remm perìtia comparat homini prndentiam ; nnlla tamen re
magis ignorantia prostemitnr, qnam litterarum cognitione, qua si qnis a
teneris annis imbntus, poetas et historiarum scriptores accurate
versat Hano attalimas Pradectionem ad venim paternumqo« P. in
discipolot demoDStrandum amorem ab^i^mt^mimm'^'mmm^^111^1»» 1 1 r if , m I mi
II \ km ru ni^im OnànOVEB ET BPISTULAX indeqae mores et instituta
mortaliuiii disciti ao daoe demaìn philosophiai Wtae probitatem cum
eniditìone coniimgiii Ì8 sane diis immortalibus par in torris
habetnr. Itaque ne tanto nos pracmio spolict ignoranza, resamp- tis
viribns, bellicis exeroitationibusi antea firmatis, daòram qaoqae
raonsiain requie refeotiS| integri et reccntes ad ca- pcssenda denuo
studia consnrgite. ConsurgitOy inquani| adulesccntes optinii|
consurgite ad solitam litterarnm palaestram, et iam sublata atque
explieita signa prosoquimiui, ut adversus ignoi-antianii horainis
acer- rimam hostcnii fortiter et impigre mecum decematis. In quo
quidem bello commilitonis et non imperitissimi dncis offido fungar.
Etenim nullum laboremi nnllas vigilias, nullnm deuiqne periculum recusaboi ut
in arcem sciontiae, ad quam nati sumus, victores triumphantesque vos
perducam, Atque, ut verba ad rem conferamnsi institutos auctores,
4°orum enarrationem vindeniiarum feriae intcrruperunt| resumemoa ab
eminentissimo poeta sumpto initio. epìstola ad PIUM. Mediolani. Atquiy
taa cuni bona venia, fallit te ratio, mi Pie, nam nec extat apud Solinum:
e Armenia tigribus feconda; nec sic unquam scrìpsi, sed : e Armenia voi
Hircania feta tigribus est>, ut ait Soliuus; in quo velini dicas utrnm
codicem mendosnm su- spicaris ab antiqnis exemplaribus inter se collatis,
an qnod ea locutio latina non sit, ant parum tersa. Liceat apud te
gloriari : si quis alter in emaculando Solino laboravit, in iis ego nomen
proflteor meum, Neapoli, Lupiis ( nrbs ea^ Apnliae est), Bomaeque nactus
antiqua reverendaeque vetustatis exemplaria, quibus adhibitis et
cxcussis, castigatissimum mihi codicem reddidi. Sed et hic alterum habeo
vetustissimum, qui Merulae fiiisse di^itur. In iis omnibus /e/n tigriÒM
est' et non fecìinàa^ et ita dixit, ut Maro feta armiè^ et feta
furentibut auètriiy alludens ad animàlium speluncas et subterranea cubilia.
Scio quis iUius emendationis auctor fiierit, sed is me perducere non
potuit, ut ei, magis quam vetustiorum codicum fidei, crederem. Non prò
explorato afArmare possamus cui Parrhaslos hanc io- Bcripiierìt
epistulam, oam daos illi hoc nomine amicot fuisse compe- rimnt : Joannem
Baptiatam Pium Bononiensem, et Aldam Piam Romanum. — V. haiui op.ifc
IWli^fc ^ntU^tì^^ìimAm EPiSlULA NI. -DE A.
MARCELLIIO Mcdiolani Ammianì Marcollini Btrum gestnì'um libri penes
me soni omnos quot extant, ex antiqaissimo codice Bomae exeriptì;
nec alium prope froqueutius in manibas habeo, qaod inde quaedam non
vulvaria liccat hanrire, Sed quid oportott iii>^ Illa Juliani mentione
Marcellinura citare, nisi qnotiens in rem meam faciebat ex rebus Juliani
f Curiosi certe nimis est inaccurate illud a me factum putare V. hoiui
op. OBÀTIONBS BT XPISTUUUB piena fnigis optimae; et haec in causa fuenmt
ut Latatium potius quam Lactantium nominarem, quom plus apud omnes
sanae mentis homines valere debeat antiqaoram codicum fldes, quorum magna
mihi copia Neapolii Bomaeque con- tigit, quam particnla vulgatis inserta
codicibns ab iis qui testimonium iuscriptionis ab se perversaesibi ipsi
conftnxeront. ORATIO HD MUNICIPIOM VINCENTililiM Veicetiao lat. (0 Veni, Patres optimi, tandem veni,
8oriu9 oxpcctatione Tostra moaquo voluntate, quod immanium barbarorum
grave diuturnnm iugum non facile fuit ab attritis excutcre cervicibus,
quippe qui necopiimta Victoria extulonmt aDimos, tantumque sibi
pcrmittuut in omnes Italos ( o miseram temporum conditionem ! quis hic ita non
ingcmisoat et frontem feriat ? ) quantum vix olim Gares in Leleges,
Arcades in Pelasgosy Lacedaemones in Dotos. Ilabeo diis
immoi*talibus gratiam, quorum uumine servatus hio a OBÀTIOmBS BT
SPI8TUULX sanguine gliscnut sic in omni crudelitate eznltanti nt
vix acerbis sociorura funcribns satientorf Errat, Patros
optimi, si quis arbitratur ipsos deos Ulyssi magis extitisse propitios, a
cyclopum fanoibns elapso, qnam mihi dum cruentas Gallorum manus effagi.
Qydopos enim dnmtaxat in advenas appnlsosqne saeviebanti ii ne
notos quidem saisque parcunt. Ulysses uno vini cado Poljphemum sibi
pene conciliavit, ii beneflciis obsequiisque redduntar
importuniores. Nam quid in eos a me publice priyatimque, domi
fo- rìsque profoctum non est f Quis centra ganeo, quis adulteri
quae mulier infamis, quis corruptor iuvcntutis ita iactatus est unquam,
ut ab iis, innocentissimus optimeque de se me- ritusy ego t Caput omnium,
satorque scelerum fuit AllobroX| qui virtutis præmia malis aiidbus
assccutns ini rcSv oye^v fiùaiìjQ'Aiktl^y Inito^ &pcv(jij idest ex
asinis et quidem lenUs repente cquus exiluit. Is enim nostri
generis omncs odio prosequitur ob intestiuas inoxpiabilcsque simultates, quas cum
clarissimo nostro conterraneo Michaele Bitio, iurisconsultorum
nostri codi facundissimo, gerit, nude quave de causa susceptas in
pracscntia dicere nihil attinet. In me Tcro praecipue debaochatur et furit
impotentissime, quod una alteraye epistola Bitium laudavi, semel in
editione Sedulii Prudentiique, Obristianorum poetarum, quos omnium primus e
pulvere situque vindicavi, iterum per initia patriae Historiae, quam
Bitius ipso condidit, mihique castigandam 'dedit. lUud autem
nullo pacto forre potuit me sua causa no- luissc quorundam Mediolauensium
liberos a nostris aedibus exturbare, quo vacuus apud me contubernio locus
Allobro- Ritii opus inscrìbitar: De Regibits Hispaniae HierusàUm^
GaOiae ete. Histort\ Roma. P. epistula, impressa in huias operit
prìacipio, data est ad Ritiuin Mediolani, Rai. Coi.W lm é'^ m^i P. gìbus
esset snìs. Ex iUo Mioutulttin quendam, nostrae pròfessionis acmulnm, qui nihil
quoestus aliquot annos propeme fcceraty extollerey amplecti, fovere quo
stomachum mihi faceret, ìgnarus ineptiarum longe grandiores offas a me
sae- penumero voratas; ac incidit in illam quoque suspicionem, quam
garriens ad aurem Minutulus, de quo iam dixi, dolator augebati a me sua notari
tempora vitaeque sordes eo opere, cui titulum feci: e De Rebus per
epistolam qunesitis, quod adhuc domi sanatur, propediem vcstris auspiciis
exi- turum {1\ Quare non ita multo post a cena cuiusdam rediens senatoris
ad primam facem, ex ictu lapidis in capite vulnus accepi ; nec alieni
dubium quin homo sexagenarins, qui plus in capulo, quam in curuli sella
suspendit nates (ut iSocete Naevius ait in Pappo) percussores immiserita
indignamque cædem, quantum fuit in ipso, patraverìt, quom satis constet
ab emissariis eius excursoribus ingentis spe praemii soUicitatum
Michat^lc'm chirurgum, qui me curabat, ut malum venenum medicamentis
infunderet. Exponere supersedeo quam gestierit, quantum sibi placuerit
indomitis moribus Allobrox, quod eo periculo motus in patriam me
recipere statueram, quanto rursus dolore sit affectus, ubi sensit ab
amplissimo patre Stephano Poncherio, Lutetiae Parisiorum Pontifice, cuius
immerito vicem gerit, a decedendi Consilio revocatnm. Quid itaf nolite
quaerere, Patres optimi, nolite quaerere, quando felicioribus etiam saeculis
tam perverso principes ingenio sunt inventi, qui prò hostibus haberent
eos qui excellerent in communibus studiis essentque superiores ingenio. P.
aiteveratio valde congrùit cam illis Ciminii verbis in Epistola nufte ad
Corìolanum Martyranun ante Itist. Gramm. Charh : € In prìmiff autem
deflenda est illios divini operis iaotura, De Rebus cilicet per epistolam
quaesitis, quod ipse saepenunìei'o vidi. Erat enim ad editionem paratura,
libiisque constabat quinque et viginti
»• iaHto«*««aMataiiBrf*«Mtfi*i^^A«#^*MM«aa*»wiI H
V, W.« ll* 1^1i^i^>tft»at0t .i> i»timm
ORÀTlOVEa ST BPISTULAX Trahat anrì splendor et lucri capiditas alios :
ego pecuniae captum nauquam habui; sequantar alii annouae
liberalitatem, vhiique praostantiam, an^^uillarum saginara, quas Tester
amnis Dutrit Eretenus, ab Aeliano laudatasi ego, magistra philoso-
phia cum Vairone didioi sitienti therìacum mulsum, exurìeiiti pancm
cibarium siligineum, excrcitato somnum soaTem. Discesserint bino alii pecunia
divites, ego contentus ero yestra benevolentìa, acri iudicio, gravissimo
testimonio parta gloria: quamquam nobis est in animo, si liceat, aetatis
reliquum vobiscum exigere, proqne mea virili parte oaptuque ingenti
sedulo commodis vestris inservire; sic enim publice privatimque de nobis
meriti. Dies me deficiet, si commemorare volucro quibus ofBciis
florentissima vostra respublica, yestrique cives me prosecuti sint et
x)rosequantur. Itaque ne cuiquam videar eorum magnitudinem non sentire,
quod unum possnm, pollicear industriam meam quantamcumqne vestrom
ncmini defuturam ; praeterqne publicum docendi munns, quod mihi
delegastis, epistolam tertio quoque die iuventuti yestrae dictabo, quod antea
facturum perncgaveram: tantum bonefacta in omni re valont, ut est apud
Propertium. Denique enitar ac elaborabo, si minus cmditionem, qnae in
nobis alioqui mediocris est, egregiam certe voluntatem vobis omnibus omni
ex paite probare, quibus existimationem meam commendo meque dodo. Dixi
(lì Cum illa sola edere st&tuUsemus monumenta, qoibns maxime ad
narrandam P. vitam usi sumus, permultas omisimus orationes, ut
luculentissimas duae aliaa quas Veicetiae habnit. li I ri PBAEFATID IN
HORATII ODAS PaUvii. Si qais alias, ornatìssimi invenes, aat
litterator ani eloqaeutiae inagister, ex eo loco, qaem nos honestissimniii
Bomae, MediolaDiqao et demum Veicetiae tennimus, ad hano iniquitatem
temporum rcdactas esset, ut privatim doceret| ille quidem fato convicium
facoret seqae de fortnna praefa- tionibus alcisceretur, nt olim
Licinianns ex consnle rhetor in Sicilia. Sed ego qui rerum omnium esso
vicissitudinem non magis ex Eunuche Torentiano, quam certa vitae
experientia didiciy sic ad omnia quae Tel inferuntur, vel accidunt
homini me comparavi, ut prosperos optem successns, adversa fàcile
patiar. Quamquam, si yernm fateri Tolnmns et a Tobis oblatam conditionem recta
via reputare, nihil est our agi nobiscnm male existimem, qnod longe minoris
solito profitear; siqnidem summa hnius urbis auctoritas
celeberrimumque Patavii nomen, ubiqne gentium yenerabile, compensat
omne salarii detriraentam V. holQS op r«M4^w»aM EPISTULA AD
LUOOVICUM MOITALTUM Agelli Admircutur alii Siciliani^ quod omnia qaae
gignit sive soli sive hominis ingcnio proxima siut iis quae
iudioantur optima; qnod in ea prìmutn inventa comoedia ac mimica
cavillatio; quod Giclopuin gentem testentar vasti specus et Lestrìgonam
sedes etiam nunc vocentnr; quod inde Lais illa, qaam propter insignem
formam Gorinthii sibi vindicaront, et inde Oeres, magistra satiouis
framentariae, et Prosorpinæ fama sit; qnod ibidem campus Ennensis
in florìbus semper et omni vernus die, et Daedàli manna demersum foramen
ostendat, quo Ditem patrem ad raptum Proserpinae exeuntem fama est
hausisse lucem. Gommemoreut amnium, fontinm, stagnorum, ignium et
salinarum miracula, ao arnndinnm feracitatem tibiis aptissìmarum.
Laudent Achatem lapidem, quem Sicilia primnm dedit, in Achatae fluminis
ripa repertum. Tollat in coelum vetns adaginm Syracusarum maximas opes
aerìsque olementiamy qnod in ea etiam cum per hiemem conduntnr serena,
nnllo non die sol est. Addant Alphe! Et Arethusae fabnlosos V. haias
op.«t Mq.;A HMM««Ml«««M iniiiiri* OBÌ.TIONB8 ST XPISTULAS
amores, et quicqaid mendacia poetaram vnlgaverant. BqoL- dom non adeo
principem nrbium Sidliae Syraoosas ezi- stimo, qaod ambita moenium
quatuor oppida oompleeterotar, Aohradincm, Neapolim, Bpipolas et Tychen,
qaam qaod cxempla pietatis cdiderint, Emantiam et Oritoncm, qui dao
iavenes, iucendiis Aotnae exuberantibas, sablatos parentes ovexcrunt
inter flammas illaesi ignibas; quam qaod Archimedis incanabula fuorint,
qui praoter sideram diaoiplinam machinaiìas conimentator extitit,
oppugnationemqae liaroelli triennio distulit; quam qaod Thcocritam
protaUt illam rustioae Masae perurbanum pootam, multosqae praeterea
qaorum immoHales animae loqaantnr in libris. Inter qnos ipso tantnm praestas,
qaantom ceteris mA^mtt»tìLiém^l£ PRÆFATIO IN SÌLVAS SUTII Roma. Si quis in
hoc honcstissimo eonsessu t4icitus secum forte qaaerat, andò ovenerit ut
ego, promtns alioqui paratnsqne somper habitus ad dicendum, quemque totics ex
tempore perìcnluni bono periculo multis in locis fccissc constons fama
nunciabat, apnd T09 hacsitare cunctarique Bim visus, ac, voluti
mutato solo vocis usum penlidisscm, quod in Agro Locrensi cicadis
acoidere Pliuii tradit historia, quibusdam quasi tergiversationibus extraxerim
muueris obeundi diem, dabit is facile mihi veniam, quom pluribus
iustisque de causis id a me factum sciet. Ego, ornatissimi
viri, licet in dolio flgulinam non discami quod agore vulgari quoque
proverbio vetamur, octoque iam per annos in Gallia Citeriore persouam
rhetoris haud inglorìe sustinuerim, tamen insolentia loci, diversitate
auditorumi nimiaque vestra de nobis expcctatione tardior
efficiebar. Denique, si res aliter ceciderit, malo ezistimarì
magnitudinem Bomanorum ignorasse, quod apud eos audeam docere, quam
humanitatem, si non audeam, quom praesertim V. huius op.^riSi"»rr. «e
:r-* --^.o»: it...». prò me staro vidoara duos atriusqne linguae
signiforos et qaos nulla remotior latet oruditio : Janam Lascharim,
non minus ingenaaram artium studio quam natalibus et imperia toriis
imaginibns illustrem; Thomamque Phædrum, Bomanae Academiæ principem,
sacerdotiis et iugenio partis opibus insignem, quorum tanta verbornm
pondera semper esso duxi, ut uno suo verbo cum mca lande coninnctOy omnia
asseouturum me confldam. Nil itaque desperandum Jano duee et auspice
Phacdro, in quorum blando obtutu, tranquillo vultu, hilaribus oculis
acquiesco. Quibus ingentes ago gratias, habeboque dum vivam, quod me
gravissimis apud Pontificem sententiis ornaverunt, ubi vel nominari
snmmus honor. est, Nam Grispi Passioni sententia quorundam magis
expotcndum iudicium quam benoficium, quorundam beneftoium quam iudicium.
Our iUis ego non omnia debeam, per quos utrumque mihi contigit
indnlgentia sacrosancti Pontificis di- viquo Leonia X, qui maxime reram
usn, incomparabili prudentia, suprema gloria, incredibili felicitate,
admirabili eloquentia, promptissimo ingenio, castissima eruditione pellet
eaque morum sanctitate quo suus olim conterranous Leo, cuius ante vivendi
rationem quam nomen affectavit Reliqua deincept, ut minime none Nh M
il makttmtmamm^mmmt^m^mir •iM^tfiM—^yj PRAEFATIO IN ORATOREM. Roma.
Antequani docendi muuus instaurem, coDsilii mei ratione in vobis, auditores
optimi, qaibas me maxime probatam oupioy rcddemlam censui cor e tot
aureis divinis CICERONE oporibas Oratorem potissimam dolegerim, car, repudiata
priore sootontiay Moronis Aeneidem prosecutums accesserim, quom
paucis abhinc mensibus ex hoc ipso sugesta a. me enarratum ili Bucolica
pronunciassem; quod nisi me insta de cansa diotnm mutasse oonstiterit,
equidem non recuso quin apnd vos levitatis et inconstontiae culpam
inourram Nominem vestrnm latet, auditores ornatissimi, qnantas invidiae
procellas anno superiore sola patiencia i)er(regerim; quodque lenti
maleqne de me sentientis opinionem subire maluerim, quam, quod CICERONE
turpissimum vocat, contentiosi senis: huius meae lenitatis uberrimo
fructu percepto sacrosancti augustissimique Leonis X indicio quo nuUnm
maios homini contingere potest, a me «non difficulter impetravi, si
qua deinceps huiusmodi tempostas impenderet, aliquid de iure meo magis
accedere, quam nomen boni viri litiumqae fu^itantis emittore V.
buius up. PRÆFATIO IN EPISTOLAS AD ATTICOM, Roma. Quom scdnlo mccum reputo qnnm
inulta nccidant homini prneter spein^ libot npud vos auditore? carissimi
qnod Aenoas Ycrgilianuf oxclawat usurpare: Hcu nìhil iavitis fas
quenquam fidere divit. Etenim quem rcbar annum tranquillitatis et ocii
plenum foro, is acerbissimos mihi casus atque gravissimas attulit
aerumnas, quæ nostrorum studiorum rationes tantum evorteruut; id quod eventurum
non temere quisquam iudieasset in tanto bonorum Principum proventn,
quorum opibus ao indulgentia benignissime fovebamur. Ut enim missa
faciam quae sacrosanctus Pontifex Maximus ex aorario mihi largitnr,
ne iam obductas imidiae cicatrices inutili recordatione refricemus; ut etiam
taceam snffragia patris amplissimi Julii Medicis, quem nuper ad proximam
Pontifici dignitatem divinæ virtutes OTexerunt; ut hebraicae latiuaeqne
linguae instauratoris Hadriani mnniflcentiam in me transeam: certe
Lisias AragoniuSy antistes ille meus omni laude superior, ea TÌtae mihi
commoda suppeditat, quae studia possint igna- vissimi cuiusque
exoitare. Y. httiuB op. l«ow^^IN •«* i m i r ii»* Ìkerii, in
quo mihi eottidie lectissimorum virorura subeunda censnra est} quos
nulla, quamlibet remot^a, latet eruditio, quique anres non hcbetes,
oculos acres, ingeuia habent acutissima. Proinde vigilandum sompor, multao euim
insidiae sunt boni, ut ille Jove uatus suis praecipit filiis, et quo minus
ingenio possum co magis subsidio adhibebam industriam, qnae quanta
fuerity quia tempus et spaoium datum non est, intelligi tnm non potuit.
Nam post illa vit4ilibus mlaota vulnera, quae paucis ante mensibus apud
vos oratione perpetua deploravi, quid erat ineommotli, quod mihi deesse
videretnr, aut cui novae calamitati locus ullus iam relictus ! Eadera
tamen for- tuna, quae eoepit urgere, reperit novum maerorem, afUictumque
duplici luctu senem tantulum respirare passa non est. Duum enim carìssimorum
desiderio funestam domum, diuturna couiugis insuper et mea valetudine
concussit, et qua (dii boni) valetudine, coelitus iuvecta: quippe quam
adversis sideribus conflatam Gàuricus, astrologorum nostri
temporis emineutissimus, certa matheseos ratioue deprehendit; Lunae
enim deliquium perniciem nobis erat allaturum, nisi salutaris stella
Jovis intercessisset. Et mors mihi quidem molesta non fuisset, ut in qua
propositam mihi scirem laborum ac mise- Deflet hìc Parrhatiut Thomae Phædri
et Batilii ChalcondylM mortem. Y. huius op. In Tractattt tistroìogico (TU
Op.,) Luca» Oàuricat horoscopum pcrscripait, quein noi io hoc opere
retulimus. Il- fciniiji' ( iti II' tmmu^Mbummmi
tf^^MUi-m^t^^M riariim omninm qiiietem; seti illnd nmitn nos angobat,
qnod apnd vos absolvero tiilem moam, qnaeqne pollioitus in has
Epistola^ ad AtUcnm fiieram praest-aro non potnissem. Quo nuno lactAndam
mihi mairis est, quod ex orci fnucibns eroptns, iiicnndissimo Ycstro conspeotu
fruor, quod intuoor et contcìnplor uunmqucmque vestrum, quorum nomo ost
cui non mca salu^^ ncque cava fuerit ac ipsi mihiy ctiius non extct
aliquod in nos moritumi cui non sim devinctns memoria benefloii sompiterna;
ncque cnim vos oculornm coniecturay SiHÌ assiduam mihi frequcntiara
praostitistis, egoquo non minus signiflcntione voluntatis et
benovolontiae, qnam robu9 ipsis astringor. Itaque vel hao potissimum
de causa corporìs inflrmitotcm animi virtute superavi, ut satis
aliqua ex parte nostro erga vos officio faciamus. Quod huo usque non
distulissem, nisi memet quidam casus incredibilis ac inopiuus
oppressisset. Nam prìdie oius dici quo rcditurus ad iutormissnm docendi
mnnns eram, in summo pedo enatos abscessus, (àjrocrrysux Graoci vocant)
brevi ita altas egit radices, ut igni ferroqne vix excindi potuerit. Ego
nihilo- niinus, ulcere etiam nunc manante, reclamantibus ad unnm
medicis, quom prìmum flgere gressum licuit, bue exilui: tam nihil
autiquins habeo vestris commodÌ8. Ncque vero hoc dico, quo me vobis
venditem; our enim blandiar bis, quorum erga nos amor, honestis artibus
qnae- 8ÌtuS| odeo cre\ity ut non haberet quo progredi iam possit t
atqni potius haec ad impetrandam veniam pertinent, ne qnis vestmm forte
mihi succenseat, quoti ad diem praesto non ftierim. Nano acquis animis
attendite nostramque de hia ambagibus ad Atticum coniecturam cognoscite.
Nam si nsquam alibi, hic certe necesse est iuterpretem divinare ; nomo
vero desperet od huius operìs calcem nos aliqnando perventuros quod hoc anno
cessatum sit. Temporis iactoram focile reparabimns, si viatornm nobis exemplnm
proponemns, Ili si serins quam volnerìnt forte surrexeriuti
proporando.«M^B#«**^à«Ì»«^ÌAM »mim»i*a^lìkmami^Jmt^mmm*tI IH
ìàH^ti^mtm^t^mim ri II ORATIONES ET SriSTUULS etinui citius, quam si
tic noot4! vigilass^ent, perveniunt quo to- luut. Quoiiiani vero,
prinoipiis cogiiitU, multo facilius oxtrema percipiuutur, autequam quae
rtvtaut mloriamnri Epistolao argumcutuin brevissime repet4im. Huius
Episiolae superiore partieula noster Oieero reti- ilebat Attioura
certiorera de ratione suae petitioDÌ8, idest quot in oa eompetitores
haberet, atquo ex his qui certi quive partim Armi viiloroutur. Nunc mldit
etiam diem quo prensaudi initium Taeturus ipso sit, et quorum suffragiis
ao ope nit4itur ad cousulatum, quidve in ea re Pompouium sua causa
facere velit. r>rf ai n » i é" . ' i^-«i»*iii^i»v'
V 4» n . Il«fc — «nlBÉ PRÆLECTIO IH EPISTULAS AO ATTICOM
•tei «iMa .jm i > i r- > ir >i Mj i a ni n i n i nr - •arh^fc-Émli OBATIOXES ET EPISTULAB
SBLBOTAK. Oratio ad Patritios neapolitanos. Privilogium. Epistula ad
Ferdinandum Aragoninm. Oratio I in Alexandmm Minutianum. Oratio II in
Alexandram Miuutiannm. Oratio ad Senatnm Mediolanensem. Oratio in Alexandrum
Minatianum vni. Praefatio in Persinm. Praefatio in Tbebaida Oratio in L.
Floram. Epistola ad Laurontinm Peregrinum Praefatio in Livium
Epistola NN. — De LIVIO indice. Praelectio ad discipolos Epistola ad Piom
Epistola NN. — De A. Marcellino Epistola NN. De Lotatio
«Mfc^lt I» M w r ^•fc.
l^-^r-^^T«.L-^, .a£^&.-'-^jJ:-L^.-c'-.^a:ji::^ ^niDiox Oratio
ad Municipium VincentiDum Praefatio in Horatii Odas • XX. Bpistula
ad Ludovicum Mouialtum Praefatio in SUvas Statii Praefatio in
Oratorem Praefatio in Epìstulas ad Atticam Praelectio in Epistnlas ad
Atticam. Dello stesso autore L’ Eleqfa. c Ad Lucia di Aulo Uìaco Farrosio
« il Brnto minore dì G. Leopardi Ariano Stab. Tip. Ap- pnlo-irpino
Un Accadbmico Pontakiaito elei seo. PpeonrBOPe del- l' Ariosto ode) Panai
Stiano Stab Tip Apputo ir- pÌHO Di prOBSima pubblicazione
P. Filoloqo c la sua Biblioteca. Paolo Pabzanbsb Tita ed
opere. Scritti ihrditi di ParzanoBo feon prefazione noU). In
preparazione STunn Dahtebchi Anxcdoti HuvzoinANi FOLELOBB
iBPmO La Bcdola Sabda e i Codd d' Arborea Prezzo del pbesektb vomuE
LiB^ 3, lANI PARRHA^ SII CONSENTINI V RI
0OCTISSIMI RH AE^ toricx Compendium, Atijp id qitfdeni ab
optimis quibusque tam Grafcisquam Latinis autoribus^ in
adolcfccntum iuorum ad artifiaum rationem^ dicendi perducendo^ rum
gratiam at(j ufumjCJfe» cerptum^ lom.AUxmder^raPkmsadfiudiof
J. AHIOMIVS CA£ S As rius Lepori. 7’'^ ^ I ' 0^ i a iV
-V -.•’.,: 7 .v 'i' l J K -r- * '; . ? ^ ' -
^ l mdi^ifitmeUadlJchtnox^ad toUenddg ht eo crudiores etiam
fordes harcbant^anmtm fjfTudmanu^ adijciens> difftum equidem
cumprimis iudicaui,qucm in publicum prodire , multo quam antea cr
adipatiorem er nitidiorem nunc demum cu* rorem: id^tuopotifiimum nomine ^
HicolacyUtz^ quam te ex animo cum obfingulorem patris tuiyopti mi
certhtq; doilipmi uiri in me beneuolentiamy tum egregiam indolem tuam
amplexar ac diligam 'mteUi geres: ad huius ipfius autoriSyParrhafif
dicoyfcrip ta, olim per occafionem diligentius inuefliganda con '
tendetesicr quod uel procipuum eratyolacrius etiam hthifcefiudijsyadquie
faneiam otas ijlcec tuaaj^- ratyte exerceres. Qjto certe fietyUt non
[oluofi id quod te maxime decetyqudq; nos ^ te ^hocepimus, ele- gie
tueare: fed magnum quoq; ( patrii exemplum fe- ddiho imitatus) tui ufumy
cum patrue % tum bonis aliquando omnibus probeas. valcy Bapleeypifidie
Calendas Septembres. M. \ D. XXXIX ^ IN lANI
PARjifUASII RHE^i? (b*D M P E N D-I V.U I N D £X. -
borigincs 8^.4 • Aar^.,9a8.& arris nomi. «
Ado(^cenria:lau$. ne digna quar.iQ.i^. * 81, .♦ 9 Ajs celanda * ,.i
4 * 7 Ægyptii fe primos ho Ars naturae inii^trix* , minu e(Te
uoIut.x.t|^ 15’. » Æquum bonum.^o^» Ars qua'm nahiracerc ’ if inde
riordux i6,ij Æquitatis rario. to^4 Arris oificium %uf,
‘ A Aetatum ratio &diuer Ailmio accufatori • fitas 80.18
pro flrraametp.dj.i; ‘ - AifeiHiUu morio.94. 4 Ai^umptiua
quaUtas* dcAffei^ib. agere pol uideinridicialiius. ^
licetur Parrhafms. Allumpriuarordo Agere>&a^b‘o,quarc Afyftata
4z.i* oratoris propria.iy.s Aiyftatorumodi qribt ^ /
Alcibiades »o,zj 4j. 1 * S » ' Albini defenlTo. f 4.« Athenis
primum elos . Ambiguum, quenri^ data opera» r
Amicitiarlaus 79 .»o 5. f AmpliBcIdi ratio* 7^, Auaricia
adolefccnriae y X5.&77 S pemiciofiflima Antipho ».« %z
Arbiter a iudice quid Audere, etiam bonis rc ' , differat tod.19
busconiun(fl:um,fug7 l' Arih^Otelis rhetorica.
endumtamen.4.i7 r »4» • Bonuiv . • ^ - I
. N ' E J B B Onum quid . ^7.4 Bonisomnibus
ex coepta uirtute,abuti homines poife.u.i) L,Brunis &
PopiUa primi in funere lait - dati Romst. 77 10 - C C AlIiftratus
i^,ii Capita rpcdali^& generalia. 6x.i “ ( u
Val. Catulli natalis.s* Caufa jt.19 Caufa
(implexquar.^t x.quarne cppofira . 3 Caufaru tria genera.
j^. 8.&?7. t8 Cethegus Suadae me= duUa 4.7
Cacofyftata 44.19 Cicero cotra Fabium & alios defenfus .
i 6 , 5.inde.&z8. 8.6^ AS- Cicero iam fenior
in eloquenda fe exer« cuir Mo r?.. h
E X. Cinxia luno 88.1^ Circumftanda,quac fa dt
hypothefin.34.tx Circumftannae partes» t Civitatis
laus .» Clifthenes 3*S Comam nutrire folin Lacones
73.^ Comparano 34.3 Comparationis mo Gontrouerfia 31.19
DeHbcratiufl genus pxCoucrfatione facile 39. I ' qualis
quilcp fit coU Deliberatiui generis ligi gt.15 duo officia
66.7 Corax Deliberatiui
genens fi Coryhriiu nauigare, nis 38.11 noeftomnium.pro
Demonftratiuumges uerb. 18.4 nus 39*7 Corporis bona.79.10
Demonftratiui gene* Corporis magnitudo ris finis 38.i5k .
autparuitas proprium; CrafTi elegans diftu; 9»* 4 7x,
10 Demonftratiui gene* Cupiditas, iucundi ris ratio 71.15
fons 97.11 Demonftrariuo gene* Cupiditatefieri qugdi
riineflfe etiam pers gantur 96-416 fnafionem 37*8
t)emoftheci ‘I I N D
pemofthenes Plato nis 6c .C^Uftrati au ditor ' ; ‘u 4 o
Deprrcatio Dem oftli.ehis indu « peprecado apud
iudi cesnMlla. Depulfio * pr .19 ^cffdiarplurcs fe^to
rfs piale( 5 lica 8 C rhetorica quid differarir^.^
ftale C^Quadtio duili5* Rhetorica &.diale(fti9 jt. 8 caqd
differant. 7 .i V { N 1 . -j,. ; ’lin P.
NEAPOLITANI VIRI CTISSIMI RHETORICAE Compendium» AQVIBVS
PRIMVMETIN* uenta Rhetorica >6^ cele^ brata» Cap,i»
Rhetorics toresyqta^ leges tulerunt, tllm pnmt creduntur
exercuifjeieaq- duce feros animos eff^ciffe pati entes focietatis , ^
coetus, Winc ex oh feruatio^ ne, quum queere£ta,qu
re& non uidcbantur • Marte etiam geni^ I
RHETORICAE COMP. f genitus Populus , tanfim defidice
altricem rejpuebant» Et quia a Grcecis petenda eratf ^gre ferebant
ah illis quicquam accipere : indi-» gnum putantes, quos armis rerunuygloria
uicif» fentydiqua tamen in re fateri fuperiores.Vnde fi ^ui Uteros
callebant Gracas, magna eas indu-» firia difiimukbant,ne apud fuos ciues
autoritatc imminuerent.Paulatim tame utilis hone/ia^ ap-
paruittprimus^ L . Plocius G alius, fub ipfi^ U Crafft extremis
temporibus, eo ipfo die quo Vd lenus Catullus natus eft , docere eam
latine cce pittad quem ingens cocurfus. Aegre ferebat Ci
cero,non^idem fibiliceretquod doSiifiimoru autoritate teneretur, qui
extimarent, Graecis exercitationibus ali melius ingenia poffe,
LJtin de*Voltacilius,q Gn.Pompeiu docuit, primus^ hbertinoru hi/ioria
no nifi ab honeflifiimis tra- ftrfr/ folitam fcribere aufus cfi,
rhetorica artem profeffus eUitantuml^ breui interieSio tempore
fumpfit incrementi , ut CICERONE (si veda) iam finior, cum Hircio &
Panfa grandibus pr rhetorica nulla pracepu ab autonhus
defcrip^ ta funti uel quod nulla materia diRans ah huma- nis rebus
excogitari poteB , qua in aliquo ex tri hus generibus propria rhetorica
aliqua falte ex parte non cadatiuel quia qua degena^ali dicen- da
^ent , ex propria praceptis facile mtelligi pofpnt . Hanc igitur propriam
ex fententia M. Tullij breuiter ^ circufcripte definiamus-) par-
tem effe ciuilis fcientia,id efi politica, ciuilis au tem rationis una
pars eR-, qua in opere fine tumultuialtera-) qua in quaftionibus hteq^ cofiftit
cuius magna et ampla pars artificiofa eloquetia* ayiT> INTER
RHETORI- cam 8^ dialccfiicam. Cap» 5«. E t quonia d^aleRica
cognata putat An- ftoteleSyage fi lubet qd inter fe differat in
fpictamus . Nofttm eR illud Zenonis , qui manu prolata utriufque uim
expreffit . amba enim ad unum fere eundemq; finem argumentationes reperiuntinec
fecum, fed ad alios agunt, fola^ ex omnibus fcientijs,de cotrarijs
ratiocinantur.neu tra determinata quapiam re, quomodo fe habeat^
fcientia eR: fed facultates quada funt inuenien- darurationU , hinc idm
quaft hAet fubieSiu^^ut ft diiddisy neutr i perfeSie fcictU
cfje duum certum proprium fuhieShum mdlu ha^ \ he^leorjum. Sed
tiwie D Ule6ticofitione longe ab illius diuer fa, contenta eR, acciditq;
dialectico, ut appa- renti fyllogijrno uti nequeat : fit enim fiam
cd uillator, fi eum prudens elegerit. At oratori tam eo quod eR ,
quam quod apparet , uti permtffum eC^:dum tamenperjuadeat, ad quodunum
omnis nititur ars oratoria, AN RHETORICA SIT ars E St^ alia
inter eruditos cotrouerfia ,fu ne ars rhetorica: fuosi^hahet
quceq^fin^ tetia acerrimos defenfbres,tantis^ animis non- nulli ex
artiu numero eam explodunt,ut ne coid tijs quidem fcriptis in eam
calumnijs temperd rinttillis maxime nifi argumentis, quodars
reru fit qiue friuntur, rhetorica opinionibus conflet^ no
fcientiatnec cognitis penitus^ perfjpeCtis re- bus, et nunqfallentibus,ad
unum^ finem fj^eCia tibus cotineatur,utnec femper ueris agatidua^
femper fint caufe^ut neceffe fit altera falfum tu A 5 ni
tO rri.Addm et illud, ob umadtSiiomsgenerdad mdgire
popularem'^ fenfum iccomoitnda, nui Um irteefje poffe,At^id poRremo
ohijdut,ca put totius rhetoricae e^e dicere:quod ipfum arte tradi
non poteh,Ad c^uae fmgula ne articuktim occurramus,in caufa nobis
e^Qtantilianus,qui libro fecundo omnes fententias confutando, eo
rem deduxit , ut artem effe crate ufurpatum : Qjw in re clarus quif^
efi,ht > ea fe exerceat , ^ diei partem illi plurimam im-^
fy pendat, utipfefe fuperk. G audeat, fi ad doShri- nam prouocetur: nec
turpe putet docere alios, id quod ipfis fuerit difeere
hone^iijiimum,memine - rit tit tmcn uirginem effe inuSim
eloquentUmj nec turpi lucdlo proflituendam, tuncq^ laborum
'EJoqucntt^ juormfruEtum fat rm^um capere Je fiat, . quum
occafionem adipifcitur publicandi qu. rit, non doceat : nec
ingenia melius ahjs uacatu-^ ta , detineat atque obruat . quibus
deliramentis plenos ij»n tunc effe grammaticorum cemmen^ • B 2
tarioi tO tortos, conquerebamur Seneca et Quimilianfff,
Exerceat poftremo difcetes, inflet, molejius fit
potejlatemq^adipipendcerhetoricte non minus in di fcemium,quam docentium
dm^entiojoliett datconfijiere, aVALES ESSE DEBEANT
Rhetori cf candidad«. Cap^ lo^ A Ge nunc uici^im,
quales efje debeant Rhetoricit candidati , inf^iciamus.neq» enim ex
omni ligno fit Mercurius . Mali nihil m ea proficienucum quia mens uitijs
occupata, pid cherrimi operis jiudio uacare non potefh tum quia
omnem malum , /lultum effe oportet, Mti autem iudicio carent , &
confiiiotquibus maxime nititur ars rhetorica , nam ut caterarum re-
rum, fic etiam eloquentiae fundamentum efifa- pentia,Sit
liberaliter inftitutus,bonis corvoris ap tbryne, prime ornatus i?hry nem
meretricem Athenienses prudentifimi eloquetifimiq> ,no tam Kyperi dis
oratione, qiMnqud admirabili, petfuap, quam uifo eius
peSiore(quodfpeciofiflmum , diauStd ^ibiades*
ueAent^erm)apfoluerHnuAlctbUdeSi cui R*P. relji>onfo Apollinis,
tanqtmmfortif^imo Gra eorum flatwtm in comitio erexit, populum Athe
tiienfem pulchritudine poti^ime habuit fihi ofc- noxium. Nec mirum, fi
illi populo placent, quos eximia j^ecie natura donare dignata e ^ :
quum credatur ccele/lis animus in corpus uenturus, dignum prius
fibi metari hofhitium uel quo «e- nent , pro halitu fuo fibi jingere
habitaculum, unde aliud ex altero crefeat: esr quum fe pariter
iunxerint,utraque maiora fint.Vtcunque, fatis conRat,mirum effe quantum
^atice forma maie flasq- corporis fibi conciliet. Dotibus idem ani-
mi fit infhruSius , filiis qua ingenerantur ap-
pellantur^nonuoluntariatut docilitas , memo- ria,quaf^e omnia appellantur
uno ingenij no- mine : filiis , qua in uoluntatepofita, proprio
nomine uirtutes dicuntur ^ Ante omnia tamen ingenio opus eft :
quodquibufdam animi atq^in- gentj motibus eget oratio , qui ad
excogitandum acuti, ad explicandum omandumq^ uberes, et ad memoriam
firmi fiint (^dtuturm . magnamq-in oratione pofiident artem facetia,
lepores,lacef- findirej^ondendiq^ celeritas, /ubtii urbanitate
B 3 coniuttSia: tl conimSia : qu N
Ec minor dijfenfio eflin eius materia i illis orationem, abjs argumenta
perluaji* hdja,ciuilesabjs quce^iones jiatuentibus^ Noiy de ea
inter optimos conuenvtt , aperimusi t prius quid fit ipfa materia
oRenderimus^Ejl enim materia , in qua omnis ars, ^ ea facultas qiue
conficitur ex arte,uerfatur,Vt ergo medici nauulnerOy^^morbU fic
rhetoricae omnes res^ quacunque oratori ad dicendum fubieSla funt^
materia appellatur.Nec obflat,quod fi deornni^ tus rebus dicat, propriam
ergo non habeat mato rianhfcdmultiplicem : quum alia quoque artei VtatedaH
mino* '5S V I* DE CIVILIBVS QVAESTIonibus, Sacarum
gencru -r bus* Cap«. x6, Solent autem res oratori
fuhieBa cendum^ d plerifque (^uMones ciuiles ap pellari :
quod non omnia quk‘. pofhefitn uocant . 1« hdc genercttim
Jiquid ftueritHT , ut ExpetemU ne fmt liter ae . \n iU (t
definitcejunt perfonce^ C'onfiituti cum ad uerfario confligendum, ubi rei
dominus (qui fie^ pe alienus, fepe immicus eR ) quafi machinatio^
ne quadam, nuncadiram,odtum,triRiciam,ht^ ticiam,fexcenta oppoftta,eR
detorquendustillk magnum eR opus, & (ut inquit Cicero) nefcio m
de humanis operibus longe maximum^ DE CIRCVNSTANTIA, QJTAB
fedthypothefim^. Cap 17«. N Vnc quoniam thefimab
hypothejife-* perauimus,et quomodo quceflione uti de beat orator
oRendimus: reliquum eji,ut quid fit quod hypothefim faciat, demonRremus,
ER enim rerum quell^ere,auieqHid fit, enumera fione facilius ^uam
dehnitionc aeprchendttUK Sunt autem eius partes lex Quarum
coniun^iio^ onat.Elocutio,(]ua idonea uerba ^ fen tentias
inuentionibus dijhofitts acc6modamus„ MemorUyquie rerum uerborumq^fida
efl cuflo-- dia * Pronunciatio , quicej e,in quas fpeaes
diuidantur. Hermagoras, quo duce po ttj?ima rhetorum pars ufa efl,quatuor
modis fie- najjerit: per cequale,unicu, fine circunflantia, modi 4«
inexplicahtle.Aequale e/i, quum eadem ex utra- t que parte dicuntur: ut ,
Dj(o adolefcentes uicini f ormo fas uxores habebant,
noSiuobutamfa£H media uia,accufant Jeinurcemadulterij, Vntcu, t
quum ex una parte tantum con/iat, ex altera ni- hil affertur: ut Leno,
qua parte fciebat uenturos " adolefcentes, foueamfecit, quailli
pertere ,Smr ^ arcun/iantia,quum aliquid deeH in qtueflionei quod
faciat caufam : ut,¥iliumpater abdicat, neq; ulla additur caufa
abdicationis, Inexplicabi ^ le (fi, quum ludex haeret impeditus, nec f
nem iu dictj uidet ullum lUtLexeH, feptemiudicesde " * : reo
cognofeant , maioris partis fententia fanSia - • fit , duo quendam
abfoluunt, duo pecunia mul- ^ Siant, tres capitis condemnant :
rapitur ad pee- iiam,contradicit.\t€m,Alexander in fomnijs ad- ^
monetur^nonejfe credendum fomnqs,Plura de- / tndf 44 ff
wde oh ferumtpoftmtas cmofior ,nm Con^ ’ nertihile id affelUtur^
qtmm tota a£do conuerti^ twr a litigantiusmcutn^ fuis prioribus utitur
rd tiomhuSyfrladunlarij . hocmodoiExigebatqtur “ dm A amico
pecuniam cum ufura , quafi credi^ f i
tamtofferebatilklineufurajquafidepofitim,ln^ . terim lex fertur denotas
tAults : petit creditor tanquamdepofitamyrtegat debitor tanquam
credi € tS, Non uerijimile ecquod contra opinione dici . turtut fi
Cato ambitus accufetur.quodtame ft m caute agatur , haud procul ahefi
quin cmfiftat» 7 Jmpofme eR^quum id dicitur quod fit contra re rum
naturcefidm; ut fi infantem accufemus adul f terij , quod cum uxore
cuharit aliena .Turpe quod omninoreijcitur :utfiuir precium pojcat
^adulterij.Sine colore efi, quum nulla caufa faSH
inuenitur:utdecemmilitesbelli tempore fibipol’- Cdcofyfid' hces
amputauerut,reifunt LtftreipuhUc4e. Sunt ta. f^alue
IpecieSyqtutcacojyRatayidefimale con^ *■ fiflentia appellantur.ut^aticum
, quum aut ali^ quiserrorinhiRoria^yautinquamsexcircun-' *
fiantijs. Impenfum, quum penes unum omnis iudi^ cijuis eftyparumq^mer
habet in quo dicendo Iere a ir ,Pr iunguntur: et
fic accufatur faailegus,utfur etia dicatur efje. In tranfuttm uero, uno tantum ac- cu farnus crimine
, fiue illo quod intendimus, fi- ueillo ad duod reus tranfferri poHulat
aSiio^ nem . Sed hcec multarum fitnt nundinarum , qtue non una
difceptatione pofiint abfoluLSum- ma tamen h^c fit, expedire dificentibus
quadri- partita fieri diuifionhuel qafacdior fit,uel quod
defendendaru caujaru ratio id exigere utietur, ut primo fi pote fi
negemus , proxime fi non id ^ obijctturfaSiu afferamus, tertio (quadefenfio
e^ honefiifitmdjfi reBefaSiu cotendamus.quco fideficiut,una fuperefi
falus,aliquo iurisadiuto- rio elabendi d crimineiquodfit per
tranflatione^ DE STATV CONIECTV- ralu Cap«. 24^ C
Onk^iuralis autem fiatus, quod incerta conieSittris Juj^iciomhus^ indaget,
di- D yo ‘ , £}us:re^'^a nonnullis nono
uerho , nc nefch m LdUno-, mutus f quodmeouideatur utrum maSia
fit:tumfit-,quum quod ah uno obijciturf alter pernegat. nec folumfaiium ,
fed et aiSium ,qucerit:poteflq;in omnia tempora Sflrihui.De
prceterito enim conijcimus,An fenatores Romn Ium occiderintide prcefenti
,Bono ne animo er- ga Tullum fit Metiuside futuro, Num fi Alba no
diruatur, Miquid incommodi ad Romanos Jit per uenturum . In his omnibus agit conieSiura^eafic ab aliquo
manife^o figno, quod lege moribus f liceat, nec necefarto rem arguat. Ac
(utapei:^ tius agamus) fex eiufmodi objeruantur. aut emm defa6lo
tantum , non de perfona conflat: aut ae ^erfona conflat, non defaSio: aut
de de utroque non conflat :aut fi defaSio, de uoluntate no con flat
: aut quum de re ipfa quaeritur, non dtfaSio /diquo, an aliquid fuerit
illud de quoefl qute^tiot 4Ut mutua eflaccufatio., PE STATV
DEFINITIVO, Cap. 25, D Uflnmu€tiam commodum aliquod - .-i
afferimus. c? O X m
i* Genus. de
statv generaliJ Cap* 26 ^ A t quum quid faShtm i ^ quo
nomine appellari debeat conuenitiet tme quan tum, e^r cuiufmodi ,
& omnino fine ulk nominis cotrouerfia quale fit qu tetnpus : illa ,
pdicet negocialiSj iudicial^ pnetmtmqi rejpiciant, ut fuo loco
demonftra- hitur.Age uero nunc iuridicialem , cuius contro
uerfia ex re iam faSla proficiJcitur,inlj>icidmus:
negocialem poji paulo traSiaturi- In iuridickli luxiiicialU,
aut reusfeciffe quippiant,^uod uetitum fit^fate- tunaut
uetitum negat* ft negat, abfoluta ejl iuri-^ ^ " lam
,af- , . Ahjoluta* foluta duobus jit modis, faSti
qualitate , & iuris ratiocinatione . FaSli qualitas eji , cum
ofiendir i mus nihil nos fecijp pemiciofum.lurb ratiocm'. tio
modis fit quatuor.lege,ut occidit filiuindem^ natum quis : licet id
lege,more, ut apud Scythas fexagenarij e pontibus mittutur,Athenis id
Scy tha fecit, tuetur fe more gentis fu • ^ »
Vietatioeri minis. Remotio criminis.
' con^itutio, quatuor locis diuiditurt com^aratioh
ite, relatione criminis, remotione criminis, con- cej^ione , Comparatio
fit, qumfaSia compen- ftntur, ^ aut maiori incommodo prolj^e^lurtt
efje contendimus , aut deliSlo meritum compara mus : comparaturq; id quod
in crimen uocatur^ ad id quo fe reus profriffe afjerit , ut quidam mu
, ro ciuiMis deturbato hoflesfugauit, reus efl Itt fe
reipublicte.lbi comparatio efl^ quod enim mu rosdeiecit,uideturl
trem , eir Mfione m Clodium, At fi non in eum qui paffus e^i,fed in
alium,uel aliudcrimen tranf fertur,tunc remotio criminis appellaturiut de
eo qui porcam tenuit in fcedere cum Numantinis, Vnde remotio
criminis duobus modis con/iat: fi aut caufam in alium tranfferamus , aut
faS^um: uel fi in perfonm remonemus, aut in rem ,ut pu. tdtuH
partibus in- jj>e6iis , legitimam confideremus . Efl autem le
Legitima, ^tima conRitutio , quum ex fcripto controuersia nafcituriin
funt in legitima confitutione, Quod fi ex plunbus [criptis controuerfia
ndfcatur, contra^ ^md de TranflationeaSiionis fit omnis
coHtro^ nerfiaM enim ah alio nos accufari debere dici^ musyoutnon
nos^aut non apnd hos , aut non had lege,non hoc cfimine^non hac pcena^ uel
aete^ ris id genus Illud tamen animaduertendum iit
Tranflatione^quodaut omnino de commutatio- ne ali 4 Tranfidtia
undefiat^ .'-t 4p J-ANJ huj; eds
partes feantur,^uas pnefcripfimusSe quU iks principales , alus
incidentes effe dixr mus , lUud multos implicitos hahetyjTi
plures tus in caufa inueniantur^quem potilsimum eliga^
mus, quem'ue principalem ejje iudicemusf H«ic jcrupulo facile
occurri per nos poterit , fi illud imprimirobferuauerimus,quid fit
quod compre' • hendat , quidue fit quod comprehendatur ^ qui
Trutcipdlis enim alteru in fe habuerit, is erit principalis: qui
uero quafi membrum accefferit , incidens erit is Incidens,
iudicandus, huius proprium e^l , confirmire principalem.Qupd fi neuter
comprehendatur, tunc principalis cenfendus , qui imperarit :
incidens, qui feruierit.Si uero nujqua aut feruire aut com
. prehendi Ratus uHusapp^erit,tucuterq^prin- Copiexm • ^
efiappellandusieao; controuerfia,quonu controuer^ J ^ i ' a ^ i
duos m feplures ue ftatus mpleqti^, cpmplexi Uanominatur. QJTAE
CAVSA SIMPLEX SIT, 8^ qu 2 c conmntfla,. Cap^ A Tque uel ob
hanc rem poti fimum fla- tim caufa difeutienda efl,fimplex'ne fit
tn comund^inet^enim eadem utriuf^ efl ratig. quoniam St
quonim multum intereR, utrum de unare an Se plurihus agatur .
Simplex , ahfoiutam continet qua^ionem,at ConiunSla,aut ex pluribus quce
Co/«'w^ /lionibus iunSiaefttut quum Verres accufatUTi quodmulta
furatus fit, quodciues Romanos nei carit, quod peculatu commi ferit ,
autft ex com paratione , quum quid poti fimum fit confidera-^ tunut
utrum Cicero accufet,uelC(ecdius.qu(t , caufe cognitio maximo efi
adiumento ad conA tutioneminueniendam, DE genere caufe,
conftitutione ip utrum caufa fimplex fit an con^
iun6iainj^e6iis,qua^io,ratio,iudicatio,firma- mentumq^funteognofeenda^nam
defaipti& rationis controuerfia fatis efi; a nobis eo loco de
monfhratum,ubi de generali egunus confiitutio- ne,C^^ipnem autem quum
dicimusffummam illam in qua caufa uertitur ,intelligi uolumust - -
Sunt enim pleraque minores exfummisdepen^ dentes,quasj^cialia
nonnulli capita appelknt^ quum lANi ^Mum fummas dias ,
generalia nominauerintEfl .QB^o ergo auaftio hcec , materia , quce
ex intentione . fmma.
depulfione'^nafcituriut,Oreflesmatremiure fe ocadiffe
att:qi{^efiio,an iure occiderit » Subfe tquitur ratio, qtue caufam
continetiquia quodfa^ ciu efje confiat, j^er eam defenditur . ut,
Occidi matrem , quia patrem illa meum necauerat ex qua ratione
necejfead iudicationem peruenitur^ qu eloquentiae lumi moftendenda,
licet TheophraHo refragrante^ GENVS DEMONSTRAtiuum*.. Demosrati
ut generis præcepta dare, funt qui minime neceffarium effe
arhitren-, tur:quoduixcenfeatur quifqua effe qui nefciaty, quaefmt
in homine laudanda.cum tamen mu fu. jit cottidiano,eoqs tandem
excreueriti principi- PUS doRorum confilia afpemantihus , pefimoq^
dicendi genere in iudicijs induSlo , ut fere folum hodie materiam
praeftet oratoribus : non erit ah, f hnnc iplim etiam locum ddigeittius
tradam E 4 uerimuSy yl lANi uerims.Eiusfirtem
honefium effe diximus, fiue enim qumquam laudamus, fiueuituperamus,
id quod dicimus honefium effe contendimus. Nam fyoneRum bonum eR ,
ideo ergo laudatio, & potipima, d uirtutis dehetfon^ te
proficifci, fine qua nihil laudari poteji ^ Eam in quatuor laedes
^iferefapientesi in pruden- 'Virtutum tiam, Mittam, temperantiam,
fortitudinem, 4- praclara omnes quidem, et qua mutuis adiuuen tur
auxilijstaptiores tamen quadam ad laudatio- nem,Si enim uirtus
benefaciendi quada uis e^ certe eas partes qua plurimum
conferunthomi- mhus,maximas effe oportet^unde luftitia ^for
titudoiucundij^ima in laudationibus, qua domi foris^pra^o fint, nec tam
pofiidentibus quam generi humano fruSluofe putentur: prudentia
uero,ac temperantia, tenues ac pro nihilo exi/H , mantur , iungenda tamen fiunt
omnestquod non minus fape moueant mirabilia, quam iucunda ^
^ata , Et quoniam fingularum uirtutum quada funt partes et ^tcia,
propterea euagandum e^, habet enim in fe Prudentia memoriam,inteUigen
ttdm, prouidentiam : Eortitudo,perfeuerantiamy patientiam,
fidentiam^magnifitentid: luflitia, re E Ugfonmp Ugionem, pietatm,
ohferumim, ueritatem, uIti enem : Temperantia uero continentiam,
clemen tiam , modelham^ compleSiitur » His omniVus fuo ordine
resgems accommodare, no tamglo- riofum quam difficile ludicatur, Optimu
aute mrtutum condimenta, quod ornati fime dici facillime audiri po
f it, fmper eji exiftimatum,fi aliquid magno labore ac periculo fine
aliquo emo Jumento pramwuefaSium oRendatur . ea enim pneflantis
ejje uiri uirtus cenfetur, qu^efruSiuo fa altjs, ipsi autem lahoriofa,
aut periculosa, vel certe gratuita fit.Etneuirtutum tantummodo
partibus immoremur , magna fylua oritur lauda- tionum, ex hominum uita ,
deq; his qua cottidie in ea emerguntt ut funt illa omnia quibus
pramia funtpropofna, femperqs in pramijs honor pecu- nia proponitur
, Commendantur ^quamor- tuos magis confequuntur, quam uiuosine fui
gra tiaquenquam aliquid facere arbitremur, Nec mi nus foletU
celebrari, qua egifje nullus efi metus, neq; pudor: quemadmodu fertur
Alceo Sappho refpondiffeMonimenta item,^ publica lauda- tiones, in
d^unShs potifintum, magnam faciunt ad-
gdmtationmiquMquamliiudis fiunt gratia, nec nobis, fed altjs
utilitati funu^rafertim bene meri tis. S unt etiam morerconfuetudinesq-
earum gen tium,apud quas laudamus, cottfiderand con^at.qui pe des
uelociteragit,curfor:qui premere poteji,^ retinere,luSlator:qui pulftndo
pellere,pugil:qui utrumc^ hoc , id eft retinere ^ premere pote/l,
pancratiafiestqui omnia fimul, pentathlus. Magna fane junt hac cum geRu , tum
ffe^atu bo- na.fed nifi externis illis, id e^ fortuna bonis, op
timis ad felicitate infhrumentis, adiuuentur, man ca reddetur
felicitas,et qua undecuq^ laudari no potefl.Vnde non mediocris laus ex
fortuna to- nisderiuatur.ea funt nobilitas , liberi, amicitia,
glonOf, ghria, honor , eSr qtce fequttnttfr, Nohilitas,0'
duitatis f/l, ^•jamiliceAlla uetu^ate, libeitatey feliatate,
rehuscj^geflis commendatmhacillis ipfis rehus , uiris etiam ac
mulieribus, uirtute aut Jiuitijs,aut alia re laudata claris, legitimisly
nata lihus celebratur. Uberi magno funt ornamento, fi multi funt,
fi (ut uno completior uerbo) boni* mares ultra corporis bona, temperantia
placent, t^fortitudine‘fixminie, forma, proceritate, pudicitia, lanificio,
Amicitia multorumbonorum. expetutunqua bona fore amico putent,propter
ipfium amicu agant , Diuitia nummis, agris,pra dtjs, fupelle 6
iili,mancipijs,armentisq; continen tur:multitudine, magnitudine,
pulchntudine, ex ceUentialaudantwr, eafirma, amoena, utiliaque esse
debent. Gloria datur,haberi in precio, putari^ id conjecutum , quod uel plures
uel boni pru dentes dejtderent. gloria diti fimos beneficos ple
rumq- fequitur , uel eos qui conferre queant be- neficia , Honons autem
partes fiunt,facra, cele- brationes , decantationes carminum, panegyri-,
d, fepulchra, flatua, alimenta publice: ^qticc barbaris placent,
adorationes , inclinationes, cebitus , in corporis /latu cernitur ^ Hiratioe/l
infpicienda : animi magnitudo tunc, potiffimu furgit, fortitudo uero illa
bellica (nam domeftica grauioris eflatatis) incrementum ha '
bettneq^fupereft quod fieres d fortitudine, nifi fe in iuuenta
patefecerit. Virili autem atati tantum demitur de laude, quantum de
uirtute de, fideratur ^Itaque oportet idatatis uiros effe per-
fe£liflimosi neq^qulcquam facere, cuius pudeat aut pceniteat. tunc
prudentia, rerum cognitio^, magnificentiaq; apparent. AtfeneSius
patien, tiaplacet:dulcedine morum, comitate, affabilita teq;dHe^at.cenfeturq;praclara,
fi corpus non reddat infirmum J rebus publicis no auertittnon '
facit deni^ ut ueru fit illud , Bis pueri fenes: qua- les funt creduli,
obliuiofi,diffoluti, luxuriofnqui . inomni atate turpes , in feneSia uerq
funtfcedtf B.HBTOtt.ICAE COMP, pm^ SeptimmiUHdfupereA
tempus, qu6dj^ i^m hominis infequi dixermus . in uerycn non femper
dccafio efi : quod non omnerfepul-* tos di^a memoratu feqimtur,Si quando
tamen traSlare cotigerit , teftimoma,fi qua allata funtyr ucenfeantur,tam
diuina quam humana . in qms dedicationes temploru, confecratmes ,
fiattuti ' A mommenta, publica decreta numerantur, hahk
&fuumlocum ingeniorum monimenta^u^era^ . - ro laudem ante obitum
confequutur.Afferunt et laudem liberi parentibus, di]cipulipr ^4 ’ ci Uerfus caperent, permijkAdem'que
mfunehrr laudatione hunc ordinem ofiendit , ut defunSii. prius
Copiofelaudentur, fuper^lites inde benigne moneantur, filij mox
defimS^orum fratres^ aS tdntais ip forum imitationem inuitentur:
parens tumpofhremo & maiorum,fquifuperfunt^do^ BrawluSS
confoktione leniatur, Romani ambitio^ hoc genus troEtauerunt , rmdta
fcripfhrutn: eirch I libr. dUctfaSia ^ no funttex quibus rerum rioflrarum
Ro^a?. tiftorU eflfaShimendofior .^am illas imerire rionfinebant familia
, fed fua quafi ornamenta tcmtmimenta feritabant, & ad ujpfm fi
qunei^ . . gmerisoccidif[et,&admemoriamla^
fnefticarum, illu& andamq; nobilitatem fltam: ttec alius
quifquam id ojficij fumebatfibi, nifi quidefuniioeJfetcoiunSiifiimus, Sed
iam fatis vituperan- dedimus praceptoru in hominibus laudandis t et
di eade qua exegiffet fane ratio , ut aliquid de uituperatione laudandi
ra diceremus,nifi hic ipfe labor eadem nobis exem I ; . uituperationis
idem fit ordo, qui laudadonis i praceptac^uituperandi contra*
rijs ex uitijs fumantur , non folum in hominis tata, fed^ ante hominem ,
&poft obitum, itt it iePmle,MeliOyM:^>MoHid
memori^fro&Hf ‘ ^.Vridr fatis conf^y fine uirtutum ukiorut^i^ •m
P» V f^wrww * 'I "JW* - - tcSiaagams,
contentihisqtuediBafmtyadho thtiies laudandos pauca de cateris rebus in
mple^, laudibus extollendo, quoaonus fiufch pere uolentibus,imprimis a
Deo Opt. Maxjnci piendu efljnueniffel^ eum , oftendiffeq; nuptias
mortalihustid'^ ita pro confejfo effe,ut non mo^ do nos in hac pia uera4
tANi ^ UiiuSytion auiditpudohs
ji^ifjcatione, uocis t- m ’ V / 0 ' , ^ ^
po/?remo ^freyfjpme pr ' lia, qu(t propter
fdpfum aut ex confuetudinea^ eit , aut ex appetitu uel rationali
(}urluntas emm coniefl,cumratiorteineq»quifquani)diqidduidt nifi
honu putet)uel etiam irrationali,cufnfacitit ira ^cupiditas.Neceffee^
ergo, qtuecun(j^ho niines agunt, feptem tantum caujis faceret fortuna, ui,
natura, confuetudine, ratione, ira,cuph 7* ditate . Fortuna accidunt,
quce nec femper,nec ^ plerum(y , nec ordine fiunttcumipfaFortuna,ac
cidentium rerum fubitus fit atf inopinatus euera % tus ft^atura ea jieri
dicuntur, que remus: neceffee]}, iucunda omnia uelprafentii
fentiendo,uel praterita repetendo, uel futura ff e rando cotineri,
Qjuecunq; tame prafentia dele Bat , eademq- fferatibus memoriaq;
repetentib, iucunda funtinec fecus e contrario^ Vnde ^ in
RrfETOKiCAB COMP. prtimfi hi pra^enty qui ipfi laudandi funt,
qui- bus'^ fidem adhibeamus . cum eorum nihili fat iudicium, qui
nullo m precio habeantur. Amare etiam, amariq;, beneficia conferre,
egentibus o- pem ferre, fuauifima:quod his abundemus, qus-
'vr' lAiarPARRHASir T homines, nam prd parente e^ conditor^
pr* maioribus populi a quibus origine duxerint. junt ix fua auguria
, eX uaticinia t multumq^ hahent mBoritatis qui Aborigines, id efi
indigenmplexi, laudibus extollendo, quod onus fufch pere udentibus,
imprimis a Deo Opr. Pto.inci piendueflunueniffel^ eum ,
oflendiffeq^nuptias mortalibusudcj-itaproconfeffoeffeyUtnonmodo nos
in hac pia uera^ religione, fed etiam uetu flasloui lunonic^acc^tum
connubium retule^ rit , turbam^ dmrum ingentem proeffe nuptijs uoluerit,
nec contenti loueadulto, Iunoneriu efi^ j^ffnoHprM res intueri
prafentes,Uf^enimpf aut animi promotione cogatur^ d^obatio aut earum
rerue^h ^uaedb or^^reno :^cogitantur,fid d caujareisque defmmtunut
jqtubusfita^ fiiutabuLe, teftimoniayfa£htiConuentayleges,et
Mteraidgenus. auttotaindij^utationeyautar^ •gumentatione orationis
collocata eh : Mt in hae \ '^ear^unentis inueniendis y in dia de
traSiandis • ^ cogitandum. Conediatio fit dignitate hondt eSediatm,
ms, rebus geftiSyexifHmatibneuite remusi neceffe ejl, iucunda omnia
uel pr con- Jueta agere iucundum mauifeilo fit, quis credat tantum
afferre iucunditatis uicifiitudinem f necy iniuria, cum fittietafis mater
fit Similitudo , In- efi & fua indifcendoimitando'que
‘iucunditas: ifuce^ imitatione confequimur, etiam fi ipfa ni- hil
in fe haheant iucunditatis. ocium denique ip- fum^ac iram , ri/«m j
afferentia deleSiant ♦ Po- C z ftrema ) too
fkcmOitludmmqtue fecundum naturmkctm ditate ajferut, idcirco quo
coniunStiora fimt,eo funt iucundiora: ut homo homini ^ mas mari*
qua ex fententia feipjum magis homo amet necef fe e/lj quam reliquosicum
fua ipfius cauft ccete^ ros amet.Liberi deinde,& qua inter chara
adntt merantur^ quanto plus ad homine accedunt, tan to plus
afferunt iucunditatis. Et iucundo qui^ dem per^e6io,eademq^ ratione
iniucundo'(cwn eadem oppofitorum fit difciplina') facile erit co^
^ofcere, qua caufa fit inferenda iniuria : ad Vtiuria affj Juccedat
oportet, quales fint qui iniuria cateror dentes qui* afpcmt.Sunt autem,
qui facile inferre poffe ar^ hitrantur, uel celare jperant: aut fi
deprehenji fint, nullas, uel quam mmimas daturos fe pcenas: plusq;
in iniuria lucri, uoluptatis'ue, quam in luen da pcena damni mcerorisq-
inejfe exiftimantJniu riam facile fe poffe inferre eloquentes ,
diuiteSf aSiionihus exercitati, experti, multis nixi amici*
tijs,clientelis^:uelfi ipfi careant, in habenti* hus amicis, feu
focijs,feu miniflris,quod illorum fe patrocinio tutos putent,Praterea fi
amici iudi cibus fint , uel his qui iniuriam perpetrant* ludi*
rhetoricae COMP. tot cts enim leta moUil^hrachio in amicis
ag^^ann eorum iniurias acjuiore animo toleramus ♦. QeU re autem
feipfos poffeU^erant , qui omni uacare juf^e^ione uideantur,ut d^ormes
adulter'^-, fa* cerdotes flupri,dehdes pulfationis,&'ea qwt pa
idm ante oculos funt neque enim aperta ^ quaq^ ingentis laboris fit
tollere, ohferuantur, Caue^ muslj' potius nobis ab ufitatistut uidemus in
mor his accidere : quos illi timent , qui fiint experti. Clam etiam
fefaSiuros putant,ipiihus nullus ini micuSyUel quibus plurimi.illhquod no
obferuen^ turt hi uero,quum omnibus fere fufj^^^i fwt,no mdeantur
ob nimiam cu^odiam clam facere po- tuiffe^mukos quoque
locus,commoditas,moreSj que celant. Inuitant etiam ad iniuriam
facienda, iudicij propagandi , prop>uljandi , corrumpendi, uel
certe ob inopiam euadendi f^estlucrum quo que apertum, prafens,magm,prafertim
fi dm- num occultum paruum procutue fit. maior etiam utilitas
, quam ut par fupplicium excog^ari pof fit : ueluti efl ^rannis . Sunt^
proni adiniuriam, qui inde lucrum petunt, neque quicquam malipreeter
ignominiam uerentur, quibus que id G } frcijjc t02
fecijje laudi afcrihiturtut parentes quacim fint qui inferant , quiq;
patiantur , fatis arbitror ex his qua in medium adduRa funt poa
tere. Sed quonianon omnibus eadem uidetur in- iuria , fapeq; ufu uenit ut
plus doleant laft quam par fit,minusq; noctdffe fe putR nocentes
quam fecerintCquod aliena mala no fentimus, et noRra maiora quam
fint iudicamus ) idcirco de iniuria primu iureq^faRis,mox de maiore
minoreq^ iniu ria paucis differamus, Iniuria iureq^faRa omnia
legibus primUm duabus, deinde quibus funt bifa riam determinantur, leges
aut duas appellamus il las ipfas iu/li partes, qua ternario a nobis
nume- ro in iu^i definitione funt expojfita, comunem fcilicet, qua
fecundum natura fit: (^propriam, qua in fcripta ^ non fcriptam diuidatur.
Qui- bus uero iniuria fiat , bipartito conflituimus.aut enim emunis
laditur focietas, ciuitasq; ipfa of- fenditur, ut in militUiaut unus
alter ue iniuria af jiciturf ftcitwr,ut in adulterio, qu horti
quadam eleSiione, quadam uero ^eSiuconuiA * Cueiufinodi:quid jit illud de
quo agitur de^ finiendu eB,ur popimus iwre ne an iniuria querd^
tnur injpicere . pr quonia iuftorum iniuftorumque duas partes connumerauimus, firiptas
fdlicetle gd,^ no ficriptas, descriptis affatim demonfiratti eft : pauca
de no fcriptis funt recenfenda. alia enim per excejfum uirtutb
uitijq;Junt, in qui hus uituperatioes,honores , infamia^iut gratias
habere benemerito,amicis praflo effe,& his similia.alia uero ex lega
fcriptarum defe6iu:deejl aut fcriptis legibus, uel qu^ latores aliquid
effi gerit,uel quod confulto pratermiferint,cu detet minare
figillatim omnia nequiuerint.ne^enint fi de tiuinere agatur, quo ferro,
quali , quat&ue, G y coth tO^ JANI PARRHASII
constitui poteft, Eil igitur aquum (juoddm ha^ numq;, quod
praterlegefcriptamiufiu cenfea- turimultaq^ etid lege fcripta putatur
iniufla,qua aquo homq; tutari Poffunt. Bade
ratione no tan ti errores faciendi funty quanti iniuria:nec*tanti
qwt aduerfa eueniut fortuna, quati errores.nam gduerfa fortuna feri
dicutur, quacu- cibus loj.^. pro fabula, melius forfan legacur, fama
45.10, it' inien BASIEEAE IN OFFICINA
Roberti Vumtcr, Anno 153^* Menie Septembri. Giovanni Paolo Parisio
(all’epigrafe), Aulius Ianus Parrhasius. Aulio Giano Parrasio. Parisio.
Keywords: implicatura, implicatura retorica, Cicerone, filosofia italiana,
gl’antichi romani, Livio, Catullo, Orazio, Cicerone, Stazio, l’oratoria, il
gusto per l’antico in Italia. PARRHASIANA, Vico, Sabbaldini sull’importanza da
Parisio, grammatica speculativa, grammatica modista, ars grammatica, probo, Donato,
Prisciano, la grammatica, la dialettica e la retorica, grammatica razionale,
psicologia razionale, breviario, compendio, o manuale di retorica latina – il
parlar o conversar greco – la retorica d’Aristotele – il parlar o conversare
latino – la retorica o ars oratoria di Cicerone – diritto romano --
giurisprudenza--. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Parisio” – The Swimming-Pool Library. Parisio.
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