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Monday, December 30, 2024

GRICE E LAZZARINI

 Si potrebbe continuare a lungo, ma a questo punto è già ben chiaro al lettore da dove provenga quel testo riprodotto nel riquadro di qualche paragrafo fa: da un articolo presente nel libro ritrovato. Riportarne il titolo integrale equivale anche a dare le risposte alle due domande proposte (del refuso non vale la pena parlare): infatti, a pagina 136 troneggia il titolo "Il "Latino sine flexione" del Prof. Peano", breve memora a firma di Mario Lazzarini (da non confondersi con il già citato Giulio Lazzeri).  Che Giuseppe Peano, che quasi con certezza è il maggiore matematico prodotto dall'Italia negli ultimi due secoli, abbia profuso gran parte del suo tempo nel tentativo di creare una lingua che fosse a un tempo precisa e semplice, insomma perfetta sia per la matematica che per tutti gli altri scopi a cui una lingua è deputata, è cosa che si ritrova anche nelle note biografiche più frettolose sul genio cuneese; è però assai più raro, a meno che lo si ricerchi esplicitamente, imbattersi in qualche esempio scritto nel suo "latino sine flexione" Lazzarini invece ne riporta un lungo brano, dopo aver ricordato, tra le altre cose, che quello di Peano (recentissimo ai tempi della pubblicazione del XIX volume del Periodico) non è stato un tentativo particolarmente originale, visto che di lingue universali precedenti al Latino sine flexione ne erano già comparse almeno altre sette, tra cui l'Esperanto. Spiega poi come il problema di una lingua universale ben strutturata se lo fosse posto già Leibniz, il quale elencava dei principi da seguire per chi si fosse voluto impegnare nell'impresa di crearla; e si vede che Peano a quei principi leibniziani si attiene diligentemente: applica l'eliminazione delle desinenze nei casi e impiega in sostituzione delle particelle specifiche; elimina le coniugazioni dei verbi, usando solo l'infinito del verbo senza il "re" finale (dicere→dice→dire; mensurare→mensura→misurare; scire-sci→sapere,  etc.), e attua  l'eliminazione della specificazione del genere nei nomi?.In questo modo, armati di un vocabolarietto di latino in grado di ricordarci il significato di alcune parole dimenticate (oporte→ occorre; igitur→ allora, etc.) il testo dovrebbe diventare ragionevolmente leggibile, una volta appreso che nella Pisa del Duecento l'unità di lunghezza è la pertica e quella di superficie il panoro, e che un panoro equivale a 5,5 pertiche (quadrate), come ricorda Peano stesso. Peano dimostra con pochi calcoli elementari che il fatto che Fibonacci asserisca che per trovare l'area di un cerchio basta dividere per 7 il quadrato del diametro implica che per il pisano valeva l'uguaglianza n = 2. È divertente vedere Peano destreggiarsi senza timore tra pertiche e panori, ed è curioso anche l'uso spregiudicato che fa dei "numeri misti", ormai passati quasi del tutto nel dimenticatoio,  2 "Discrimen generis nihil pertinet ad grammaticam rationalem", sancisce Leibniz, e chissà cosa avrebbe pensato oggi che le discussioni su quale sia il modo più corretto per trattare al meglio il genere delle persone sono molto divisive e cariche di significati che trascendono la mera razionalizzazione della lingua.  3 Con "numeri misti" si intende quella grafia che consente di scrivere ad esempio "5½" - come fa Peano nella citazione - semplicemente accostando un numero intero e una frazione, senza esplicitare il sottinteso segno "+" È un metodo di scrittura di numeri frazionari abbastanza naturale, ma poiché di solito l'assenza di segno è caratteristica delle moltiplicazioni, la grafia può generare confusione, ed è caduta in disuso. Nei paesi di lingua inglese è però ancora abbastanza diffusa, al punto che la maggior parte delle scuole dedicano qualche lezione all'aritmetica dei numeri misti. Adam Atkinson, noto appassionato inglese di matematica ricreativa e dell'Italia ha condotto una ricerca sulla sopravvivenza dell'uso dei numeri misti nella nostra nazione, con risultati curiosi e piacevolmente  piasmentmathssesantat/divulgazione/matematica-il linguagiortiniVersa pubblicato  su  MaddMaths!:forse con le sole eccezioni dei voti  sui compiti in classe e dei tabelloni di alcune  metropolitane che segnalano l'arrivo dei treni con una precisione fino al mezzo minuto.  L'escursione in quel dimenticato libro del 1904 si è rivelata già ampiamente sufficiente a dimostrare quanto possa essere gratificante il "viaggio nella libreria",  ', anche quando si  riduce solo a una gitarella di un paio d'ore. E si potrebbe chiudere qui anche questo articolo, una volta pagato un minimo pegno di riconoscenza all'autore dell'articolo saccheggiato; ma tutti i viaggi che si rispettino presentano almeno un paio di imprevisti, e nel nostro caso è proprio Mario Lazzarini a fornircene uno.  Come recita il suo frontespizio, il "Periodico di Matematica per l'Insegnamento Secondario" non era una rivista accademica destinata ad ospitare memorie di ricercatori professionisti, ma un giornale che perseguiva la missione di facilitare il lavoro di chi si occupava di insegnamento secondario, quindi dei professori di licei e istituti tecnici. Per quanto nel celebrato indice rifulgano tra gli autori nomi di matematici di prima grandezza, è assai probabile che tra i collaboratori più o meno abituali comparissero anche coloro che più di altri conoscevano i dettagli della didattica, cioè proprio i professori, ed è quasi certamente tra questi che occorre collocare il nostro Mario Lazzarini. Pur essendo assente dai maggiori siti specializzati in biografie dei matematici più importanti, una ricerca un po' più generale intercetta facilmente un articolo che lo riguarda.  L'autore è Hans van Maanen, direttore di "Skepter", la rivista dell'associazione olandese di  "scettici", e perciò in qualche modo consorella della corrispondente associazione italiana, il CICAP fondato da Piero Angela. Naturalmente, la maniera di gran lunga migliore per godersi l'articolo è quello di leggerlo direttamente: ma per chi si accontenta di un riassunto veloce giusto per capire come Lazzarini abbia potuto scrivere nel 1901 qualcosa che quasi un secolo dopo ha molto irritato un pezzo grosso di Nature, ne riporteremo i punti salienti.  Vista la lunga estensione temporale della storia, forse vale la pena di procedere  cronologicamente.  Premessa settecentesca - George Louis Leclerc, conte di Buffon, osserva che il valore di n è determinabile per via sperimentale con il metodo che resterà famoso nella storia proprio con il nome di "ago di Buffon": immaginando un pavimento diviso in sezioni trasversali di larghezza s, lanciando a caso un ago di lunghezza a e registrando le volte m che l'ago intercetta una delle linee del pavimento, presupponendo un numero di lanci n tendente a infinito, si può risalire al valore di a utilizzando i rapporti s/a e m/n.    Anno 1901 - Il nostro Mario  Lazzarini pubblica, sempre sul  Periodico di Matematica per l'Insegnamento Secondario, (ma  volume XVII,  non il  XIX  ritrovato  nel  "viaggio in  libreria"), un articolo in cui  afferma di aver applicato il  metodo di Buffon e di aver  ottenuto un valore sperimentale di n esatto fino alla sesta cifra decimale (3,141529) con una serie di 3408 lanci di cui 1808 positivi, e con valore di a pari a 2,5 e s pari a 3,0. Nell'articolo afferma anche di aver raggiunto il risultato grazie a una sua  5. Ho avuto invece approssimazione maggiore col disporre la retina traversalmente, vale a dire coll'utire tra loro i lati maggiori del rettangolo. Qui le espurienze vanno divise in doe serie, ginechi.  mentro ho mantenuto sempro costante la lunglezza della sbarretta.  ho fatto invece variare l'altezza della striscia compresa fra le paral-  Jele: ed ecco i rimaltati ottenuti:  1• Seme  I1- SREI  100  300  13000  9000  4000  611  1200  1600  2148  3,101  3,152  3,147  8,125  8,185  100  200  10?  1000  1,115  3,180  8,1446  1142  3.1415129  3,1416  3 Estratto dell'articolo di Lazzarini del 1901.  4 Grazie alla traduzione di Luigi Garlaschelli lo si può leggere in italiano, o direttamente sul numero 47 di Query, la rivista del CICAP, (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), o in alternativa sull'edizione digitale della rivista stessa, a questo indirizzo: https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=1800798.macchina, descritta in dettaglio, che consentiva di "meccanizzare" i "lanci casuali di un ago sul pavimento piastrellato" come richiesto dall'idea di Buffon.  Tra il 1901 e il 1994 - Il risultato viene accolto inizialmente con grande entusiasmo, diventa noto a livello internazionale e non sono pochi i grandi nomi della matematica che lo accolgono con sperticate parole di elogio. Il nome di Lazzarini diventa abbastanza famoso: a parte la sua, le migliori approssimazioni "sperimentali" arrivavano, e a fatica, a una precisione di un paio di decimali. Agli inizi degli anni Sessanta compaiono però i primi articoli che esprimono dubbi sulla correttezza dell'esperimento del 1901.  Anno 1994 - Lee Badger, matematico statunitense, scrive l'articolo "Lazzarini's lucky approximation of t" in cui analizza in dettaglio tutte le fragilità della memoria di Lazzarini: parte dalla strana coincidenza - già notata dai primi critici degli anni Sessanta - del rapporto 3408/1808, cruciale nel testo di Lazzarini, che è identico alla nota frazione 355/113, scoperta già nel V secolo dal matematico cinese Zu Chongzhi come approssimazione di p; prosegue notando la stranezza di quei "3408 lanci", poi passa a calcolare la probabilità di ottenere per via randomica quel risultato, giungendo alla conclusione che è una probabilità talmente bassa (circa tre parti su un milione) da ritenere che quella stima fosse il frutto o di un colpo di fortuna davvero eccezionale o di un "hoax" termine che si può tradurre come qualcosa a mezza via tra uno "scherzo" e una "beffa".  Badger, grazie a quell'articolo, vince un premio istituito dalla MAA (Mathematical Association of America), e ovviamente l'articolo viene letto anche da James Maddox, redattore capo di Nature. È naturale che un redattore capo di una prestigiosissima rivista scientifica veda la manomissione dei dati sperimentali più o meno come il proverbiale diavolo guarda l'acqua santa, e la sua ira funesta colpisce Lazzarini: titola il suo articolo come "Falsa misura sperimentale di n", usa senza mezzi termini la parola "fraud" ovvero  "frode" al posto del più morbido "hoax", e lancia perfino una specie di anatema: " ...l'articolo  di Badger dovrebbe restare come un ammonimento, a tutti coloro che inquinano la  letteratura, che i loro misfatti li seguiranno fin nella tomba".  D'altro canto, l'articolo di Hans van Maanen che ci ha consentito di scoprire questo affascinante giallo matematico sembra più orientato a smorzare lo scandalo: la descrizione accurata della "macchina per i lanci" che fa Lazzarini, a ben vedere non sembrava poi così efficiente da meritarsi d'essere costruita; l'aver posto in bella vista il numero 3408 nella tabella che riportava i suoi tentativi quando i valori intermedi esposti vanno per blocchi interi di centinaia o migliaia; insomma tutto lo spirito dell'articolo di Lazzarini sembra più uno scherzo che la rivendicazione di una scoperta. È anche possibile che, da insegnante, cercasse e suggerisse ai colleghi qualche metodo scherzoso per affascinare gli studenti, come quella complicata macchina lancia-aghi o la meraviglia di una costante matematica trovata sbattendo oggetti per terra.A voler cercare una morale da tutta la storia, non c'è che l'imbarazzo della scelta: dall'opportunità o meno di scherzare con la scienza alla troppo diffusa propensione agli entusiasmi (o alla rissa) anche tra i più autorevoli critici; o anche sulla necessità di ricordare sempre che anche gli scienziati sono donne e uomini, con tutte le caratteristiche e le debolezze degli esseri umani. E poi, a dire la verità, la morale più evidente e ovvia che ci sembra emergere è semplicemente quella che ricorda alle riviste scientifiche prestigiose e autorevoli di non concedere i loro spazi ad arruffoni incompetenti fin troppo disposti a scherzare su qualsiasi cosa pur di vedere stampate le loro sciocchezze: ma uno strano e persistente brivido lungo la schiena ci suggerisce di non evidenziare troppo questo aspetto,  chissà perché.

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