Grice e Musatti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’erote collettivo – filosofia fascista – filosofia del
ventennio – Gruppo universario fascista – la scuola di Dolo -- la scuola di
Venezia -- filosofia veneziana -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Dolo). Filosofo italiano. Dolo, Venezia, Veneto. Grice:
“Musatti reminds me of Malcolm, “Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has
explored the implicatures of ‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes
strictly from Grimm – this is a rhetorical question – and Grimm is implicating
that nobody should!” -- Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della psicoanalisi, in
Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella Villa Musatti a del
nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la villeggiatura.
Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista amico di G. Matteotti, e
della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né battezzato -- durante le
persecuzioni razziali si procura un falso certificato di battesimo dalla
parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non professa mai alcun
credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di Venezia, poi si iscrive
dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il corso di Ingegneria, e
immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laurea in
filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso di Matematica
della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Padova, ma non
sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma per il
servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato al
fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a Padova
per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era
Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova
dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente
volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il
cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle
mani di M. e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi
divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale
però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana
in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni
da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della
Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta M. rivelò che Benussi s'era suicidato, non
era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore del Laboratorio
di Psicologia dell'Padova. Porta in Italia la Psicologia della Forma con
importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la
psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di
psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi,
introdotta in Italia da Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne
il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne
allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della
psicoanalisi. Nell'Italia le teorie di Freud non erano state accolte bene né
dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale
gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne
limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della
società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), e
allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato
professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti
con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe
l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare
rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la
guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato
Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a
Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro
di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola
Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati.
Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte
francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra
di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido
della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. M. fu
il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra.
A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi.
Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro
Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro
Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. M. era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima
delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella
sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica
di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono
tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località
in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è
conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo ha
ribattezzato la sua località natale Casello 12 località M. e gli ha intitolato
il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di Benussi Anche
dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai
volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista M. confessa di sognare a volte che
in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio M., medico pediatra,
uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno
materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’
e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti
IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla
fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della
Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più
agevolmente Venezia. Musatti IX-XIII. Archivio dell'Università degli Studi di
Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova,
Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali,
Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo,
redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, Reatto, Schwartz, M. Sforza, Stufflesser,
Milano Per una storia del Centro
Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di
Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano Freud,
Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per M., la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, M. voce
dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di
Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia,
“Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari,
Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi
della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato
di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io
collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della
psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e
incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la
psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il
carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino
Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A
ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki,
Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia
diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze, Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma,
Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a
teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri,
Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano:
Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione
di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare
L. Musatti. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario
fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Musonio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Musonio di Gentile
-- Roma – la scuola di Bolsena -- filosofia lazia – lingua lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Bolsena). Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo,
Lazio. Esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre
dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia
di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a
togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove
e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura
di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la
sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma
da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del
Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi
soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa
davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel
processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei
filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito,
che già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In
seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane
sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti,
anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale,
però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi
apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri
apoftegmi e trattazioni filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto
nel suo insegnamento-È e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo
; esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte
più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da uno scritto di quel
Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la fonte più importante
dello Stobeo. Un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente
Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di
Musonio, ma non ne restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a
un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di M,
e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza
di questo da uno scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte
più antica. Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi
numerosi scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e
maestro di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di
Tiro e il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Plauto,
Sorano e Minicio Fundano. M. si avvicina ai cinici nell’assegnare alla
filosofia finalità radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei
crotonesi. Ma nel complesso dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel
sno insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i frammenti toccano
argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei, designati con le
denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero
comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece riporta al Portico
l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria del fato.
Però l'interesse di M. si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che
è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi
dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale
dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle
donne non meno che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e
alla realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di
molti discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore
importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni
uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve
dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici
giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino
la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in
primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale
di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere
ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso
delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male,
dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi
l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è
retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende
da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci
all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca.
Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è
indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita
semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei
cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico,
esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la
limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti
di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata
dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il
valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto
mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole
l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a
quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge
l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,
in concomitanza della congiura di Pisone,
e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros,
inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrità morale
e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati
da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a
GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra
civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo
episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in
pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era
teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si
impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli
ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti
dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati
con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò
fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava
chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo
stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente
stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad
intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso
non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria
dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo
attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di
Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata
dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto
da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli
altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere
Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si
apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi
nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero
studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei
figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la
filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe
deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà
qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati
per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del
matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni
bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri
genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?”
“Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo
stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale,
poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo
figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il
medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica
si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto
rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti
minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in
numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da rappresentare
la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio Aristide ed
Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano,
inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M. rappresenta, con
Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del portico
romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle
istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si
distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di
una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cioè mezzo per
conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo della filosofia
Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile, in quanto ci
persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un bene, e che né
la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi questi ultimi non
sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci impedisce di
commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi
di studio della virtù. La persona che afferma di studiare filosofia deve
praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attività,
perché la filosofia è più importante e più difficile da comprendere di
qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di altre abilità, le
persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e
abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che impareranno in filosofia.
Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto,
M. insiste sul fatto che la pratica è più importante della teoria, poiché la
pratica ci porta all’azione in modo più efficace della teoria. Sostene che
sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e abbiano la
capacità di essere virtuosi, non ci si può aspettare che qualcuno che non abbia
effettivamente imparato l'abilità di vivere virtuosamente viva senza errori più
di qualcuno che non è un medico esperto, un musicista, studioso, timoniere o
atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilità senza
errori. In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offrì a
un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi
sapere cosa è buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile per le persone.
Ma diagnosticare queste cose è proprio il compito del filosofo. Poiché un re
deve anche sapere cos'è la giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia
filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio,
saggezza, magnanimità, capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità
di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M.,
è l'unica disciplina che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua
gratitudine il re gli offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese
solo che il re aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che,
poiché l'essere umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma
quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede
l’abituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a
un letto duro, all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo
metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni
compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il
coraggio attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola
autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che
l'esilio, la povertà, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo
deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato,
deriso o sputato come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai
litigato contro nessuno per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla
vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini
che vivono nel lusso desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia
legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti
sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati
alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio
come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro
natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile
nella sua mancanza di autocontrollo. M. difende l'agricoltura come
un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o
all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio
sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha
sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che
padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base
dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e
rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo
non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo
supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre
il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo
scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua
convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica
degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle
donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione
è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli
stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i
sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe.
Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità
con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle
azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come
vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305: «Figlio di
Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico,
vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri.
Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad
Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c),
inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione
Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re
dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La
maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di
quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo
Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza
tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico,
non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The Incomplete
Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic
Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J. Sihvola,
Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, M. and Education in the Good Life: A Model of
Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio,
maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de
Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B. Irvine. Create Space. DOTTARELLI,
M. l'etrusco. La filosofia come scienza di vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo,
Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su Encyclopedia of Philosophy. Opere
di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi del II
secoloRomani del II secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito –
“Titus M. Rufum philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e
Nerone – Grice e Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di
maggior grido in quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior
numero di seguaci per l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo
infatti, lodando le virtú singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per
esse ei merito che a C. M. ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener
adsumeretur. E di Volsinio, in Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto
Claudio o sotto Caligola. Benché sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne
all'ordine equestre. L'incontriamo la prima volta in Roma, quando ne è mandato
in esilio da Nerone in quella serie di condanne che segui alla sventata
congiura di Pisone. A lui, come a Verginio Flavo, celebre maestro di retorica,
nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se, adunque,
il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale vedremo con
che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che egli dove
esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con Rubellio, che
al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni consecutivi
d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo nominis che fu
madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura pisoniana trova tra i
congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a quanto pare, e Lucano.
Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico del suo odiato
Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e trasfondeva in
tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono Tacito e
Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e timori e
fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato
nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte
di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a
Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba
all'impero. A Roma, M. si trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla
a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di
Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque
ludibrio, pluribus taedio: nec deerant qui propellerent propulsarent-que, ni
admonitu modestissimi cuiusque et aliis minitantibus omisisset intempestivam
sapientiam. Ci
si sente Tacito ammiratore del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni
che l'aveva sentito più volte a fare circa il suo amore per la filosofia -
ultra quam con-cessum Romano ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto
ex sapientia modum: e pare che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e
pietoso della fatuità d'un filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito
si scorge chiaramente un quadro, che è eloquente testimonianza
dell'atteggiamento morale e sociale di questo stoi-cismo: nei seguaci del quale
vedi l'anima piena di fede, ardente degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo
speculativo inesperto della vita, ma un'anima infiammata da profonde idealità,
non comprese dai molti. Un'anima compagna a quella dei martiri coetanei della
religione novella. Sotto la pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco,
dopo il trionfo di Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa
volta con un atto, che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del
tempo, come sotto l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore,
cosi sotto l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che
occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro
tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale
Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che
nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle
speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato
anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore
filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre
(delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e
propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza
della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori
frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a
deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta
per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di
Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus
involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et
amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto
diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli
Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto,
ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a
vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre
che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli
facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo
imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione
di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo
Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a
cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la
cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare
che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre
raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda
l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva
portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile
che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della
lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci
generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche
la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno
discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI,
587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo,
Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem,
cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni
quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una
cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d.
C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27.
SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un
errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da
Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una
pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non
è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio
vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб
ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome
ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index
historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da
sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e
d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio
e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER;
TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v.
Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve
mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca,
di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa
lettera (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa
che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con
l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di
Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la
notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe
detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato
di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i
Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy
apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci
sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente
attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto
appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE
X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste.,
Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un
Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico EPITETO (Diss.) dice: POÚpO TIS ElEYE,
l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi yap dyú ool tot',
egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il concetto di Calba
accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non a Roma, dopo
essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo assai mite
inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind. plin.)
Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello di Girolamo,
all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata Musonio fu
eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST, Gesch. d.
griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano! -Molto
probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III,
80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente
un legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava
Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead
spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE EraßEpostquam
pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo stoicismo
dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di quel
senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le insegne
pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo onde
Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto;
mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù
stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4).
Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo
Baream Soranum falso testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come
s'è visto più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e
traditore vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum
officium [Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la
condanna della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33.
- TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio
Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius
defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico,
onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio
causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat.,
Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et
artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio
devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch.
d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con
aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris,
Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND,
ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F.
VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage
de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et
belles lettres. Rufo
(si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Keywords: Etruria. Luigi
Speranza, “Grice e Musonio”, The Swimming-Pool Library. Musonio.
Grice e Mussolini: la ragione conversazionale e la
storia della filosofia di Lamanna – la scuola di Dovia di Predapio -- filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Dovia di Predapio). Filosofo
italiano. Dovia di Predapio,
Forli-Cesena, Emilia-Romagna. In his history of philosophy for ‘i licei
classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history
goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only
philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO,
which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for
‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third
volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to
end with MUSSOLINI. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello
stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is
in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not
consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks
of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the
liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE
freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes,
liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every
member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With
the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore –
and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does
Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued
from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s
idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks
of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.).
SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come
and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is
machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing
is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel
idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach. Since
L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here:
Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a
slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE
to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is
constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils
are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is
candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It
was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the
ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE
NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government
(polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even
the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to
worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the
male – virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is
interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa –
Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war.
For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in
the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only
provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are unequal. Lo stato fascista does not play with
parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national
party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici
for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel.
If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with
himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of
fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of
history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the
final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is
no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still
recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato
comunista or socialista would not!” Tra
gli scritti di M. figurano, in ordine di
pubblicazione: Dio e patria nel pensiero
dei rinnegati, New York, s.n., 1904. L'Uomo e la Divinità. Contraddittorio
avuto col pastore evangelista Alfredo Taglialatela la sera del 26 marzo 1904
alla "Maison du peuple" di Losanna, Lugano, Cooperativa tipografica
sociale, 1904. [Testo di una conferenza tenuta a Losanna per commemorare la
Comune di Parigi, conosciuto anche col titolo di Dio non esiste, col quale
viene a volte ristampato] La filosofia della forza. Postille alla conferenza
dell'on. Treves, Predappio 1908. Pio Battistini, 7 settembre 1891. Discorso
commemorativo, pronunciato nel diciannovesimo anniversario dell'assassinio,
Forlì, Lotta di Classe, 1910. Claudia Particella. L'amante del cardinale,
romanzo pubblicato a puntate su "Il Popolo", Trento, 1910. Il
Trentino veduto da un socialista. Note e notizie, Firenze, La rinascita del
libro, 1911. La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911(1911-12), Roma,
Editrice Faro, 1947. Giovanni Huss. Il veridico, Roma, Podrecca e Galantara,
1913. [pubblicato nella collana de «I martiri del libero pensiero» col
dichiarato intento di suscitare nei lettori «l'odio per qualunque forma di
tirannia spirituale e profana», fu dall'autore censurato nel 1921 e, dopo la
stipula del Concordato del 1929, scomparve dalle biblioteche e dalle librerie]
La guerra per la libertà e per la fine della guerra. Lettera ai socialisti
d'Italia di Benito M. con l'aggiunta
delle sue ultime dichiarazioni dopo le dimissioni da direttore dell'Avanti,
Firenze, Nerbini, 1914. Il mio diario di guerra (1915 - 1917), Milano, Imperia,
1923. My Autobiography, New York City, Charles Scribner's Sons, 1928
[pubblicato inizialmente a puntate sul Saturday Evening Post e poi in volume
nello stesso anno il libro, scritto come opera di propaganda per i lettori
americani, è stato scritto in realtà dall'ambasciatore statunitense Richard
Washburn Child, il quale viene riportato come "traduttore", insieme a
Luigi Barzini con materiale fornito da Margherita Sarfatti e con la possibile
collaborazione di Arnaldo M. . Il libro vide la sua prima traduzione italiana
solo nel 1971 come La mia vita, da non confondersi con La mia vita dal 29
luglio 1883 al 23 novembre 1911 spesso ristampato e riportato abbreviato con lo
stesso titolo][323] La dottrina del fascismo, 1932[324] Vita di Arnaldo,
Milano, Il Popolo d'Italia, 1932. Scritti e discorsi di Benito M., 12 voll.,
Milano, Hoepli, 1934-1940. Parlo con Bruno, Milano, Il Popolo d'Italia, 1941.
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota, Milano, Mondadori, 1944
( versione digitalizzata.). Memoriale del nord del duce, (scritto tra il 1944 e
il 1945, mai pubblicato) Opera omnia di Benito M., 44 voll., a cura di Edoardo
e Duilio Susmel, La Fenice Firenze 1951-1963, poi Volpe Roma 1978-1980. Note ^
E. Bertoni, Aurelio Saffi. L'ultimo "vescovo" di Mazzini, Forlì,
Cartacanta. ^ Sulla questione della meta finale di M. la comunità scientifica è tuttora divisa fra
sostenitori di una possibile "fuga in Svizzera" e coloro che invece
ritengono che M. avesse altri scopi
immediati. ^ Per la tesi a favore di una fuga, vedi, per esempio Aurelio Lepre,
La storia della repubblica di M. ; Salò: il tempo dell'odio e della violenza,
1ª ed., Mondadori, 1999, p. 300, ISBN 88-04-45898-4. «Svanita ogni speranza di
trattare, cercò la salvezza personale nella fuga. In questo non si comportò
diversamente da come si erano comportati Vittorio Emanuele III e Badoglio l'8
settembre, perché lasciò gli uomini che gli erano rimasti fedeli senza ordini e
senza guida. Visto, infatti, dall'interno, con gli occhi degli uomini che gli
erano più vicini, il comportamento di M. non appare dissimile da quello di Vittorio
Emanuele III così come è stato descritto da Paolo Puntoni» ^ Per la tesi a
favore di una fuga, vedi anche Franco Bandini, Vita e morte segreta di M., 3ª,
1981, Mondadori, 1978, p. 318. «(Dal capitolo "Il tiranno è morto",
premettendo i seguenti fatti all'epilogo) Occorre cominciare appena un poco più
indietro, nel momento in cui M. – spinto
da un cupo demone – si avvia con passi esitanti e già guidati da una sottile
paura, a quella fuga che sarà, prima dell'altra, la sua vera morte. Dimentico
di se stesso, di una vita pur sempre cominciata nelle battaglie e nel rischio,
incurante dell'ancor possibile rispetto e dei suoi e della Storia, che non
assolve, ma pesa ogni atto dell'uomo potente su bilance inesorabili, M. sceglie di cadere da vile, ingannando,
moralmente uccidendo coloro che gli sono ancora rimasti fedeli, pur nella
certezza della fine imminente. Va stancamente, miserabilmente verso il nord,
mezzo inclinato alla fuga in Svizzera, mezzo turbato dai fieri propositi che
ode attorno a sé, per "l'ultima battaglia" in Valtellina: e rivolge
nel pensiero non la forte accettazione del fato che si compie, ma i cavillosi
punti della sua difesa di domani, quando – come spera – potrà ancora allineare
fiumi di logore parole e giocare su vecchi e nuovi equivoci e forse galleggiare
indefinitamente sullo scontro degli opposti giudizi, come il sargasso immobile
tra il turbinare delle correnti. È disposto a tutto, anche al cappotto tedesco,
anche a tradire chi vorrebbe ancora morire per lui, i vecchi fascisti, i suoi
ministri, persino Claretta: e finge irresolutezza fin dal momento della
Prefettura di Milano, la sera del 25 aprile, non perché sia davvero incerto tra
la morte e la vita, ma perché – ancora una volta – è incapace di dire
"andiamo" e preferisce che lo dicano altri, che la cosa "nasca
da sola", perché ha forse già in mente altri articoli "del tempo del
bastone e della carota", destinati ad illustrare come questi nuovi passi
che sta facendo siano colpa di questo e di quello, di cardinali e militari, di
traditori e servizi segreti, di tutti, meno che sua» ^ Il colonnello
statunitense Lada Mocarski, in un rapporto scritto per conto dell'Office of
Strategic Services riguardo un'inchiesta da lui condotta sugli ultimi giorni
del dittatore, afferma invece che «nessuna prova circa le intenzioni e i piani
di M. è stata raggiunta durante
l'indagine e forse non esisteva alcun piano definito. È infatti ovvio che i
movimenti del Duce fossero il risultato di improvvisazioni non appena le
condizioni di fatto cambiavano». Dino Messina, Ordine da Milano: eliminate il
Duce, in Corriere della Sera, 23 febbraio 2009. URL consultato il 20 ottobre
2011. ^ Antonio Spinosa, "Parte quarta: Il cappotto tedesco. Infauste
sponde", in M. . Il fascino di un dittatore, Milano, Mondadori, 1989, p.
367. «Imbruniva quando una colonna di automobili lasciava la prefettura e
usciva da Milano, la città in cui ormai tutti gli tendevano una trappola, i
partigiani, i tedeschi, gli alleati. Doveva fuggirne per evitare il peggio.
[...] Già quella sera, a tarda ora, si apprese che le auto fuggitive avevano
raggiunto Como [...]» ^ Fra i molti, da Renzo De Felice, in diverse opere, e
Denis Mack Smith in M. . ^ Palla, p. 15. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia,
Laterza, 1973, rectius Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi, pp. 12 e 13. ^ De
Giorgi, p. 22. ^ De Giorgi, p. 21. ^ De Giorgi, p. 24. ^ De Giorgi, p. 25. ^ U.
Alfassio Grimaldi, La cattedra che M. non ebbe, in «Storia Illustrata» n. 271,
giugno 1980, p. 6. ^ Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I
romagnoli da Artusi a Fellini, Neri Pozza, Vicenza 2017, p. 139. ^ M., Benito, in The Columbia
Encyclopedia, New York, Columbia University Press, 2008. ^ B. M., Opera Omnia, vol. 1, pagg. 9-10. ^ R. De
Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg.
31 e 36. ^ L'esistenza di una relazione sentimentale non trova riscontri
univoci. È invece accertata presso la maggior parte delle fonti la sua
influenza nell'avvicinamento di M. al
marxismo. ^ La teoria dell'equilibrio economico in Vilfredo Pareto, in Ztl
Macerata. URL consultato il 19 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 19
luglio 2013). ^ Raffaello Uboldi, La presa del potere di Benito M., su
books.google.it, Arnoldo Mondadori Editore, 2010. URL consultato il 19 luglio
2013. ^ M. più tardi dirà[senza fonte]
di essersi iscritto alla Facoltà di Scienze sociali di Losanna, ma non vi è riscontro
documentale. ^ Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista 1918-1925,
Bologna, Il Mulino. ^ Furono diffuse notizie inattendibili sul suo frequentare
le università di Zurigo e di Ginevra (quest'ultima falsa notizia è riportata
nella biografia ufficiale della Sarfatti), mentre è vero che nell'estate
trascorse due mesi all'università di Losanna. ^ Mack Smith, 1981, p. 23. ^
Monografie verbanensi, su verbanensia.org. URL consultato il 20 aprile 2016
(archiviato dall'url originale il 12 maggio 2016). «Nel giugno del 1904 ottiene
il permesso di lavoro annuale, e in quello stesso anno succede a M. come corrispondente dalla Svizzera del
giornale italiano «Avanguardia Socialista»» ^ Mack Smith, 1981, p. 24. ^ B. M.,
La mia vita, p. 136. ^ Nel 1908, Benito M. in Riviera, su sanremonews.it. ^ R. De Felice,
M. il rivoluzionario, cit., pagg. 49 n.
5 e 52. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario, cit., pag. 57. ^ Trento, italiana, si trovava nel territorio
dell'Impero austro-ungarico. ^ Rosa Broll, la «santa di Susà». Intervista di M.
., in LaValsugana.it. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 74-5. ^ Lo
sfratto di un italiano dall'Austria, in La Stampa, 3 marzo 1910. URL consultato
il 27 dicembre 2012. ^ Questa l'interpretazione di (DE) Hans Woller, Ante
portas. M. in Trient 1909, in Regionale
Zivilgeselllschaft in Bewegung - Cittadini innanzi tutto. Scritti in onore di
Hans Heiss, a cura di Hannes Obermair, Stephanie Risse, Carlo Romeo,
Vienna-Bolzano, Folio 2012, pp. 483-500, cfr. soprattutto p. 497. ISBN
978-3-85256-618-4. ^ Antonio Mambelli, Archimede Montanelli nella vita e
nell'arte. Un maestro del Duce, Valbonesi, Forlì, 1938. ^ El violín de M. (in spagnolo).. ^ Benito M., L'amante del
cardinale. Claudia Particella, Salerno Editrice, 2009, ISBN 978-88-8402-673-6.
^ Benito M., Il Trentino veduto da un socialista - note e notizie (PDF), a cura
di Giuseppe Prezzolini, Firenze, Casa Editrice Italiana, 28 febbraio 1911, pp.
104. URL consultato il 26 marzo 2013.
Sul rapporto Nenni-M. si veda:
Duilio Susmel, Nenni e M. mezzo secolo
di fronte, Rizzoli, Milano, 1969; Nicholas Farrell, Giancarlo Mazzuca, Il
compagno M., Rubbettino, Catanzaro, 2013; Alberto Mazzuca, Luciano Foglietta, M.
e Nenni amici nemici, Minerva Edizioni,
Bologna, 2015. ^ A. Spinosa, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori,
Milano, 1989, pag. 33. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia, Laterza, 1973
[manca numero pag]. ^ Quello scatolone di sabbia che unì M. e Nenni. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, 1883-1920, Collana
Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. Sull'argomento vedasi
anche: Maurizio Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia,
Roma, Editori Riuniti, 1976. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 108-110. ^ I
quattro avrebbero poi dato vita al Partito Socialista Riformista Italiano. ^ R.
De Felice, M. il rivoluzionario, cit.,
pagg. 126-7. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario, cit., pagg. 136-9. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 190 sgg. In
realtà il pensiero anti-massonico era già stato portato innanzi nel XIII
congresso del 1912 a Reggio Emilia (cfr. ibid. pag. 125), nel congresso
regionale socialista romagnolo di Forlì, 16 giugno 1912, (ibid., pag. 674) e in
vari altri ambienti fin dal 1904, compreso un attacco M. ano del 2 luglio 1910
(ibid., pagg. 89-91). ^ cfr. Alfonso Maria Capriolo, Ancona 1914: la sconfitta
del riformismo italiano, in Avanti! online, 25 aprile 2014 (archiviato dall'url
originale il 19 settembre 2016). ^ Valerio Castronovo et alii, La stampa italiana
nell'età liberale, Laterza, 1979, p. 212. Vd. anche Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pag. 188. ^ Cfr. Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario,
1883-1920, Collana Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. ^
Luciano Lucci, M. partecipa alla
"Settimana rossa”, ma senza convinzione 10 giugno 1914, su
alfonsinemonamour.racine.ra.it. ^ M. propose il 27 luglio 1914 uno sciopero
generale insurrezionale nel caso dell'entrata italiana nel conflitto. Vedi Leo
Valiani, Il partito socialista italiano nel periodo della neutralità 1914-1915,
Milano, 1963, pag. 8. ^ Stando alle dichiarazioni di Filippo Naldi del 1960,
citate in Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pagg. 274-75 e 286-87.
M. interventista: l’espulsione
dal PSI, su fattiperlastoria.it. URL consultato il 21 dicembre 2023. ^ Valerio
Castronovo et alii, La stampa italiana nell'età liberale, Laterza, 1979, p.
248. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pagg. 229-236. ^ M. interventista e la cacciata dal Partito
Socialista Italiano, su vanillamagazine.it. URL consultato il 21 dicembre 2023.
^ Cfr. Antonio Spinola, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori, Milano,
1989.[manca il numero della pagina]. ^ Claudio M., Grande guerra, la verità su M.
interventista, «Corriere della Sera», 2
luglio 2002, p. 35. ^ Scrive Renzo De Felice: «Secondo Filippo Naldi, direttore
del Resto del Carlino, alle prime spese per il giornale fecero fronte alcuni
industriali di orientamento più o meno interventista o, almeno, interessati ad
un incremento delle forniture militari: Esterle (Edison), Bruzzone (Unione
zuccheri), Agnelli (Fiat), Perrone (Ansaldo), Parodi (armatori)». Renzo De
Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi,
p. 277. ^ M. resterà alla direzione del
Popolo d'Italia fino al novembre 1922, quando verrà nominato Presidente del
Consiglio. ^ Vd. la relazione della Commissione d'inchiesta sul caso M. in Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 684-88. ^ Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 276-77 e il "Rapporto Gasti" presentato alle pagg. 723-37, in
particolare pagg. 732-33. ^ Massimo Novelli, l giovane M. al soldo della Francia (PDF), in La Domenica
di Repubblica, 14 dicembre 2008, p. 31. URL consultato il 15 agosto 2011. ^ Nel
fascicolo "Corrispondenza, b. 1, fascc. 17, fotografie 1 (1895-1933)"
del fondo "Treves" conservato presso la Fondazione di studi storici
"Filippo Turati", è presente una ricca corrispondenza sull'episodio.
^ Piero Treves, Ma perché quel giorno non infilzò M. ?, La Stampa, 30 giugno
1992, pag. 19. Anche in: Piero Treves, Scritti novecenteschi, Bologna, Il
Mulino, 2006, pp. 182-184. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, cit. ^ Renzo De Felice, M. il Rivoluzionario cit., pagg. 321-22. ^ Da cui
sarà tratto il libro Il mio diario di guerra. ^ a causa di ciò ricevette un
anno di licenza di convalescenza, seguito da altri sei mesi al suo rientro in
ospedale allo scadere del primo permesso. Cfr. Foglio matricolare di M. Benito di Alessandro, matricola 12467 D.M. di
Forlì in M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 665-67. ^ Il 22 maggio del 1940, alla morte del Senatore Giuseppe Tusini,
il Duce inviò un telegramma di condoglianze alla famiglia dove citava con
riconoscenza il suo intervento chirurgico risolutivo all'Ospedale di Ronchi di
Soleschiano. Cfr. P. Marogna, Giuseppe Tusini, Archivio italiano di chirurgia,
Vol. LIX - fasc. V Vedi anche: AA. VV., Studenti al fronte, LEG (GO), 2010, p.
177- 182. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Mondadori[manca la pagina]. ^ Mack
Smith, 1981, p. 54. ^ Ludwig, Colloqui (1932), pag. 50. ^ M. Sarfatti, Dux,
pag. 158. ^ Pini, M. (1939), pp. 80-81.
^ Sebbene alcuni abbiano recentemente sostenuto ipotesi differenti sulle cause
del congedo, attribuendolo a condizioni generali di salute non buone legate a
malattie infettive, la presenza di tali patologie è stata negata dal referto
autoptico relativo al cadavere di M. . ^ Renzo de Felice, M. il rivoluzionario cit., pag. 353. ^ In una
lettera dal fronte ad Ottavio Dinale dell'11 settembre 1916 M. mostrava già di aver voglia di modificare il
sottotitolo del giornale. Vd. Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 405-6, 687 e
734. La spiegazione del cambiamento venne data comunque in breve fondo del 1º
agosto 1918 dal titolo Novità... ^ Grandi, Le origini, pag. 52. ^ Alessio
Altichieri, Le cento sterline che M. intascava dalla "perfida Albione", 6
ottobre 2009.. Il tenente colonnello Hoare, nelle sue memorie, riportò le
parole che M. gli fece pervenire nonché
le proprie conclusioni: «"Mobiliterò i mutilati di Milano, che
spaccheranno la testa a ogni pacifista che tentasse di tenere una
manifestazione di strada contro la guerra". E fu di parola, i fasci
neutralizzarono davvero i pacifisti milanesi». ^ (EN) Benito M. was MI5's man in Italy., articolo del The
Times, del 14 ottobre 2009. ^ Renzo de Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 353-56. ^ Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 414-15. Mack Smith, 1981, p. 63. ^
Un rapporto della stessa sera della Polizia di Milano indicava circa 300
presenti, compresi giornalisti e curiosi. Vd. Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pag. 504. ^ Chiurco,
vol. I, pag. 22. ^ O.O., vol. XIV, pp. 88, 102-133. ^ Vd. la relazione di
Giovanni Gasti in Renzo de Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 520-21. ^ O.O., vol. XVIII, pag. 201. In un fondo dal
titolo Non subiamo violenze! del 18 aprile 1919 dice noi dei Fasci non abbiamo
preparato l'attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la
responsabilità morale dell'episodio. ^ Mack Smith, 1981, p. 65. ^ O.O., vol. XIII, pag.
231. ^ O.O., vol. XIII, pag. 26 e 252. ^ De Felice, pag.
727[Non è chiaro di che libro si parli]. ^ La questione fiumana era già
dibattuta da tempo. Erano stati deliberati, nelle riunioni dei Fasci di
combattimento, gli invii di diverse centinaia di volontari. Vd. Renzo De
Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg.
531 n. 1 e 533 n. 1. ^ Carteggio Arnaldo-Benito M., pp. 223-224 (16 settembre
1919). ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 572. ^ È interessante il modo con cui Giuseppe
Ungaretti - all'epoca corrispondente da Parigi per «Il Popolo d'Italia» - visse
gli arresti di M. e Marinetti del 18
novembre 1919. Il poeta, molto preoccupato, cercò d'organizzare una
manifestazione a Parigi in favore degli arrestati. Racconterà Ungaretti in
un'intervista del 1933: «Nel ’19, a Parigi, facevo il corrispondente e seguivo
i lavori della Conferenza della Pace per incarico del «Popolo d’Italia». Gli
italiani si radunavano in un grande albergo dove era stabilita la delegazione
italiana. Non rammento con precisione la composizione della delegazione italiana.
Credo Nitti o Tittoni al posto di Sonnino e Orlando (…). Chissà se fra le carte
di S. Ecc T. si troveranno forse un giorno una mia lettera in cui gli dicevo
che avesse fatto bene attenzione perché oltre all’Italia ufficiale, delle
schede e dei portafogli, c’era una Italia tremendamente giovane, che avrebbe
vinto per forza o per amore. Signor delegato, gli dicevo, ho il dovere di
avvertirvi che rappresento qui il giornale dell’Italia Nuova e vi prego di fare
attenzione ai mali passi! Vi furono in quel periodo degli arresti a Milano.
Organizzai allora una specie di Manifestazione in difesa degli arrestati alla
quale aderirono tutti gli intellettuali più in vista di Parigi alla testa dei
quali si misero gli scrittori di Littérature e del gruppo Dadà, Aragon, Breton,
Tristan Tzara, ecc., che erano quelli che facevano più chiasso. Avevamo
intenzione di invadere l’Ambasciata. Io feci annunciare a Nitti che gli avrei
bucato la pancia. Ma poi non se ne fece nulla perché gli arrestati vennero
rilasciati (Intervista di Alfredo Mezio ad Ungaretti, «Il Tevere», 17-18 luglio
1933. Su questa vicenda si veda anche F. Pierangeli, Ombre e presenze.
Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), premessa di E. Giachery, Loffredo,
Napoli 2016, p. 86; lettera di M. a
Soffici del 2 dicembre 1919, in G. Ungaretti, Lettere a Soffici 1917-1930, a
cura di P. Montefoschi e L. Piccioni, Sansoni, Firenze 1981, pp. 69-70;
Giuseppe Ungaretti e Benito M. (archiviato dall'url originale il 24 marzo
2020).). Più pacati furono i toni usati in quell'occasione da M. che nel dicembre 1919 cercò di tranquillizzare
il suo corrispondente parigino: «Carissimo, Marinetti è in libertà. Tutto bene»
(Biglietto del 13 dicembre 1919 inviato da M. ad Ungaretti, Vita d'un uomo. Saggi e
Interventi, Mondadori, Milano 1986, p. 910). ^ Per tutta la vicenda vedi Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 573-77. ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 544, pag. 590 e sgg. ^ O.O., vol. XV, pagg. 197-8. ^
Renzo De Felice, M. il rivoluzionario
cit., pagg. 592 e 658-59, M. il fascista
- La conquista del potere, Einaudi, Torino, 1995, pag. 29. A volte le richieste
di denaro erano quasi esplicitamente ricattatorie, vd. M. il rivoluzionario cit. pag. 354 e M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 45. ^ M. Drago, Allievi marescialli nelle forze armate. Teoria ed esercizi
per la preparazione alla prova di preselezione dei concorsi, Alpha Test, 1º
gennaio 2012, p. 124, ISBN 978-88-483-1469-5. URL consultato il 3 febbraio
2017. ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit. pagg. 645-47. ^ Emilio Gentile, E fu subito regime: Il
fascismo e la marcia su Roma, Gius.Laterza et Figli Spa, 1º settembre 2014,
ISBN 978-88-581-1642-5. URL consultato il 3 febbraio 2017. ^ Andrea Leccese,
Inciucio forever: La costante del trasfmormismo nella politica italiana,
Armando Editore, 1º gennaio 2014, p. 61, ISBN 978-88-6677-726-7. URL consultato
il 3 febbraio 2017. ^ Giolitti aveva esplicitato la sua intenzione di avere con
sé i "patrioti" e i "partiti nazionali" il 1º aprile 1921.
Vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La
conquista del potere cit., pag. 64. ^ La lista di associazioni che aderirono al
blocco è consultabile in Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 82 n. 4. ^ Dal Corriere della Sera del 1º gennaio 1922. ^ Dall'8 aprile al
14 maggio risultano 105 morti e 431 feriti. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 87. ^ Camera, 11 marzo 1925, pag. 2438. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Torino, 1965. ^ Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pag. 111, 138. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 151. ^ O.O., vol. XVI, pagg. 241 e 297. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 222. ^ Se i treni, se le poste hanno funzionato non lo si deve alle misure
preventive prese dal Governo, ma al concorso spontaneo, disinteressato,
entusiasta degli elementi nazionali. in Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 273. Per i pareri negativi riguardo allo sciopero vedi ibidem pagg.
222-24: Lo sciopero generale proclamato ed ordinato dall'Alleanza del Lavoro è
stato la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti. ^
Enzo Biagi, Storia del Fascismo cit. ^ Amendola, Una battaglia, pag. 186. ^
Nitti, Rivelazioni, pagg. 346-7. ^ Mack Smith, 1981, p. 87. ^ Antonino Repaci,
vol. II, pagg. 125 e 132. ^ M. stesso
asserisce, nel discorso di insediamento in Parlamento, che le camicie nere
sarebbero state ben 300 000. ^ Secondo Badoglio sarebbe bastato arrestare al
massimo una dozzina di persone e i fascisti avrebbero perso al primo
scontro[senza fonte], asserì, inoltre che "al primo fuoco, tutto il
fascismo crollerà". Renzo de Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 325. ^ Renzo de Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 358. ^ Secondo Renzo De Felice la
parte destrorsa del fascismo era di tendenza o monarchica e conservatrice di
ispirazione nazionalista, oppure revisionista, normalizzatrice e moderatamente
parlamentarista. Vd. M. il fascista - La
conquista del potere cit., pagg. 365-66. ^ Paolucci, pag. 240. ^ cfr. "Il
Parlamento è morto". Discorso pronunziato alla Camera dall'on. Filippo
Turati il giorno 17 novembre 1922 sulle Comunicazioni del Governo, in
"Critica Sociale", a. XXXII, n. 22, 16-30 novembre 1922, p. 339-349.
^ Vedi anche Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discorsi, XXVI
legislatura, Tornata. ^ Rendo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.
pag. 479. ^ Gianfranco Bianchi, Da Piazza San Sepolcro a Piazzale Loreto, Vita
e Pensiero, Roma, 1978, p.264. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 481 n. 4. La legge sarà la n. 1601 del 3 dicembre 1922 (G. U. 15 dicembre,
num. 293), vd. qui (PDF).. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 528-534. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 524 e 535. ^ Italo Scotti,
Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari 1 (1984): Il fascismo
e la Camera dei deputati: I - La Costituente fascista (1922-1928), pag. 109
(PDF) (archiviato dall'url originale il 4 novembre 2013).. ^ Renzo De Felice, M.
il fascista - La conquista del potere
cit., pag. 534. ^ "The
Italo-Greek Crisis." Economist [London, England] 8 Sept. 1923: 356+. The
Economist Historical Archive, 1843-2012. . ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 561-62. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 557-570. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 563. ^ Regio Decreto Legge 22 febbraio 1924, n. 213. ^ Renzo De Felice, M.
il fascista - La conquista del potere
cit., pag. 564, n. 3. Cfr. anche Prassi italiana di diritto internazionale - I
casi della prassi - Parte V - Cap. I - C. - a - 411/3 (archiviato dall'url
originale il 13 dicembre 2014).. ^ Alessandro Visani, La conquista della
maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924, Fratelli Frilli Editori, 2004,
in particolare nel cap. 4 l'elenco dei fatti di cronaca riguardanti risse,
aggressioni, provocazioni raccolte dall'A. nelle carte dell'ACS provenienti da
prefetture, questure, stazioni di RRCC e dalla stampa coeva, da p. 134 a p.
143. ^ Nella fattispecie i fascisti uccisi durante la campagna elettorale
furono 18 e i feriti 147: cfr. Fabio Andriola, M. prassi politica e rivoluzione sociale, e.f.c.
Le vittime della violenza fascista, invece, secondo Renzo De Felice, furono
"centinaia di feriti e non pochi morti" (fra questi anche il deputato
Antonio Piccinini), quasi tutti appartenenti a partiti d'opposizione, ma anche
alle frange dissidenti del fascismo (come nel caso di Cesare Forni e Raimondo
Sala) cfr. Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 583. ^ Fin dalla presa del potere
nell'ottobre 1922 M. e il Governo
tentarono di arginare la violenza squadristica non più necessaria, vd. Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pagg. 406-07, 440-44, 481, 584. ^ Cfr. soprattutto Alessandro
Visani, La conquista della maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924, Fratelli
Frilli Editori, 2004, in particolare il capitolo 4 e 5 e la prefazione di
Giovanni Sabatucci. ^ Renzo De Felice, op. cit. nonché Alessandro Visani, op.
cit.[Manca numero di pagina]. ^ Riferisce infatti A. Visani (op. cit.), p. 146,
come particolare cura dovesse essere tenuta nell'esporre bene che sulla scheda
elettorale non andasse apposto altro segno che la croce sul partito scelto, e
soprattutto si dovessero evitare slogan e frasi d'ogni genere. Ci si riferiva
infatti alla possibilità riferita dalle prefetture che agenti in incognito dei
partiti di minoranza avessero volontariamente spinto i più ingenui elettori del
blocco nazionale a scrivere sulle schede "Viva M. !", una pratica che
avrebbe portato all'annullamento della scheda stessa. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 563 n. 2. ^ ibidem. ^ Si veda il resoconto stenografico della seduta del
30 maggio 1924, Camera dei Deputati. ^ Così chiamata in richiamo alla
secessione della plebe ai tempi della res publica romana i quali si riunirono
sull'Aventino. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 620 sgg. ^ La morte di Matteotti
infatti sarebbe stata causata accidentalmente, durante la colluttazione seguita
al prelevamento da parte degli squadristi. ^ Scheda biografica di Matteotti, su
treccani.it. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., p. 622. ^ Ibidem, pag. 646; Renzo De
Felice, M. il fascista -
L'organizzazione dello Stato fascista, Einaudi, 1995, pagg. 55, 158 n. 2. ^
Renzo De Felice, M. il fascista - La
conquista del potere cit., pag 703. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 686-87. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 701. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 650-51, 707-08 e 722-23. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 673-74, 676, 681, 707-08, 715. ^ Renzo De Felice, 'M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 705. ^ Indignatissimo il settimanale della sinistra fascista Impero
scriverà un pezzo (dicembre 1924) intitolato Rivoluzione, non criminalità nel
quale si accusava M. di far "di
tutto per portarsi sul terreno della non-rivoluzione". Vd. Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pag. 714. ^ Per i varii articoli giornalistici del fascismo
intransigente contrario al moderatismo M. ano vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 711-15 e 723-26. ^ Ibidem, pag. 715. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 717-18. ^ R. De Felice, M. il
fascista, Einaudi, 1966. ^ Discorso alla Camera dei Deputati sul delitto
Matteotti, testo integrale di Benito M. del 3 gennaio 1925 su Wikisource. ^ Dopo il
delitto Matteotti, infatti, alcuni esponenti liberali e fascisti propendevano
per l'idea secondo cui M. dovesse
"mettersi a disposizione della giustizia". Vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 701 e 704. ^ Col discorso del 3 gennaio ebbe inizio il regime
dittatoriale fascista, data confermata dallo stesso M. nel libro "Storia di un anno: Il tempo
del bastone e della carota", Mondadori, 1944, pag. 175 (in Opera Omnia,
vol. XXXIV, pag. 411). ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 722-23. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 726. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 729. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 139-40. ^ Ibidem,
pag. 145. ^ Ibidem, pagg. 149-157. ^ Ibidem, pagg. 142 e 148 n. 2. ^ In
particolare " La Giustizia.", cfr. ibidem, pag. 142, "La
Rivoluzione liberale" e "Il Popolo", cfr. ibidem, pag. 150. ^
Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2003, p. 124. ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per
pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº 8, Anno 1965, pag.
244: "Un gruppo di squadristi si lanciò sull'attentatore: più tardi sul
suo cadavere furono contate quattordici pugnalate profonde, un colpo di pistola
e tracce di strangolamento". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M.,
Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965,
pag. 244: "Lasciamo la parola all'ex capo dei servizi politici presso la
Direzione generale della PS, Guido Leto. "Furono sospettati a turno"
egli scrive "Farinacci, Balbo, Arpinati, quest'ultimo perché proveniente
dalle file anarchiche e amico della famiglia Zamboni, e lo stesso Federzoni, ma
le indagini accurate che furono eseguite dalla questura di Bologna, diretta
allora da un eccellente funzionario, il questore Alcide Luciani, e da un altro
espertissimo funzionario, perfetto conoscitore dell'ambiente bolognese,
Michelangelo Di Stefano, giunsero alla conclusione che non v'era alcun elemento
apprezzabile per sostenere la tesi di un complotto organizzato nei ranghi
fascisti. Ve n'erano, invece moltissimi per convalidare quella di un gesto di
un isolato". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per pochi
centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965, pag. 244:
"Un'inchiesta segreta fu anche compiuta, in seguito, per iniziativa del
Sottosegretario all'interno, conte Giacomo Suardo, dal magistrato Noseda del
Tribunale Speciale; ma i risultati non differirono da quelli stabiliti dalle
indagini della polizia". ^ Renzo De Felice, M. il fascista - L'organizzazione dello Stato
fascista cit., pagg. 211-14. ^ Mack Smith, 1981, p. 199. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - L'organizzazione dello Stato
fascista cit., pag. 130. ^ Sebbene Federzoni avesse intimato lo scioglimento
dopo la presa del Ministero e dopo il 3 gennaio 1925, molte squadre vennero
ricreate dall'ambiente farinacciano provinciale e rimasero attive per diversi
anni, pur con le minacce di ritorsioni da parte di Federzoni e dello stesso M. .
Cfr. Renzo De Felice, M. il fascista -
L'organizzazione dello Stato fascistacit., pagg. 63-65, 68, 123 n. 1, 170-171,
184 n. 3, 209 n. 3, 210. In occasione delle violenze di Firenze dell'ottobre
1925 M., riunendo il Gran consiglio del fascismo il giorno 5, fece approvare un
ordine del giorno in cui si ordina lo scioglimento immediato di qualsiasi
formazione squadristica di qualsiasi specie perché esse non hanno più, a tre
anni di distanza dalla Marcia su Roma, alcuna giustificazione storica e
politica. Ibidem, pag. 134. ^ Aniante, pag. 71. ^ Arpinati, pag. 256-7. ^ Renzo
De Felice, M. il fascista -
L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 91-98. ^ Alfio Caruso,
Arrivano i nostri, Longanesi &C. ^ Matteo di Figlia Alfredo Cucco, Quaderni
Mediterranea 1979. ^ G. Tricoli, Alfredo Cucco. Un Siciliano per la Nuova
Italia, ISSPE, 1987. ^ InStoria - Mafia e Fascismo.. ^ Non è da escludersi
tuttavia che Cucco fosse stato trascinato in una vera e propria trappola politica,
poiché egli - essendo dell'area farinacciana - era notevolmente inviso a M.,
che proprio in quel periodo stava "epurando" i vertici del partito
degli elementi vicini a Farinacci. Cfr. Matteo di Figlia Alfredo Cucco,
Quaderni Mediterranea 1979. ^ Sospetti di affiliazione mafiosa restarono,
tuttavia, come fa notare il biografo Matteo di Figlia in op. cit. ^ Ibidem,
nonché cfr. Alfio Caruso, op. cit. ^ Ibidem. Giampietro aveva iniziato perfino
una campagna contro le... gonne sopra al ginocchio, tanto da essere invano
richiamato alla moderazione dallo stesso ministro Rocco. Cfr. Alfio Caruso, op.
cit. ^ Ibidem. ^ La mafia e la crociata del prefetto Mori.. ^ op. cit.
"Non è vero che la mafia dei salotti impone a M. l'allontanamento di Mori. È vero viceversa che
i suoi modi hanno allarmato Roma; che M. ritiene il problema liquidato e che può ora
liquidare il liquidatore". ^ DDI, VII Serie, vol. IV, pagg. 294-5. ^
Graziotti, pagg. 77-8. ^ Mack Smith, 1981, p. 201. ^ Regio decreto 6 novembre
1926, n. 1848. ^ Legge 25 novembre 1926, n. 2008. ^ Re, regina, reggente,
principe ereditario e primo ministro. ^ Sergio Romano, Vademecum di storia
dell'Italia unita, Rizzoli, Milano, 2009, p. 86.. ISBN 978-88-586-0165-5. ^
Enzo Biagi, Amori, Rizzoli, 1988, p. 138. ISBN 88-17-85139-6. ^ il patto fu
siglato il 7 giugno 1933 e firmato il 15 luglio dell stesso anno. Salata
riporta che nel protocollo della sigla, sottoscritto il 7 giugno, fu concordato
che il patto avrebbe portato la data del 7 giugno, indipendentemente dalla data
della firma, un atto espressivo della volontà del governo. Vedi Francesco
Salata Il patto M., 1933, p. 122 ^ Francesco Salata, Il patto M., Mondadori,
Salata, Il patto M., Mondadori, 1933, p. 134. ^ L'origine del sistema
pensionistico italiano va comunque fatta risalire al 17 luglio 1898, legge n.
350 con l'istituzione di una «Cassa Nazionale di previdenza per la invalidità e
per la vecchiaia degli operai», con contributi su base volontaria. ^ Nel
momento dell'uccisione di Dollfuß, la moglie e i figli erano ospiti di M. presso una sua residenza balneare. ^
All'origine dell'incidente di Ual Ual, Salvatore Minardi, 1990, S. Sciascia
(Caltanissetta). ^ R. De Felice, M. il
Duce, tomo 1º pp. 526 e ss. ^ A tale accordo si fa riferimento in Langer,
William L. (a cura di) An Encyclopaedia of World History, Houghton Mifflin
Company, Boston, 1948, p. 990. ^ R. De Felice, M. il duce, cit. pp. 395 e ss. ^ Del Boca, p.
192. ^ Ministero per la Guerra, Relazione dell'attività svolta per l'esigenza
A.O., Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1936, allegato n. 76. ^ Del Boca,
p. 193. ^ Per un quadro completo quadro sull'uso sistematico delle armi
chimiche durante il periodo 1935-1940 sul fronte Etiopico si veda Angelo Del
Boca, I gas di M., Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Editori Riuniti, Roma,
1996. ^ Del Boca, p. 194. ^ Del Boca, pp. 194-195. ^ Del Boca, p. 196. ^ Del
Boca, pp. 196-197. ^ Del Boca, p. 197. ^ Del Boca, pp. 197-198. ^ Del Boca, pp.
198-200. ^ Del Boca, pp. 200-201 e 205-224. ^ F. Cardini e R. Mancini, Hitler
in Italia. Dal Walhalla a Ponte Vecchio, maggio 1938, Bologna, Il Mulino. ^ È
il caso per esempio del prefetto Cesare Mori. ^ Per un primo approccio
sull’origine, motivazioni e caratteristiche del diffuso consenso che il
fascismo riscosse dagli intellettuali italiani si veda, ad esempio, A. d’Orsi,
La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; G. Belardelli, Il
Ventennio degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 2005; A. Tarquini, Storia
della cultura fascista, Laterza, Roma-Bari 2011. ^ A proposito dell'adesione di
Giuseppe Ungaretti al fascismo, ed in particolare al suo rapporto con M., si
veda: Robert S. Dombroski, L’esistenza ubbidiente, letterati italiani sotto il
fascismo, Guida, Napoli, 1984, pp. 71 e 89; Filosofia fantastica. Prose di
meditazione e d’intervento (1926-1929), a cura di Carlo Ossola, UTET, Torino
1997, pp. 10-11; L. Piccioni, Vita d'un poeta, Rizzoli, Milano 1970, p. 66; W.
Mauro, Vita di Giuseppe Ungaretti, Camunia, Milano, 1990, p. 81; P. Guida,
Ungaretti privato. Lettere a Paul-Henri Michel, Pensa multimedia, Rovato-Lecce
2014, p. 38. Copia archiviata, su
laltraverita.it. URL consultato il 7 luglio 2009 (archiviato dall'url originale
il 2 febbraio 2009).. ^ Allocuzione "Vogliamo anzitutto".. ^ M. e il papa (2) (archiviato dall'url originaleil
20 maggio 2011).. ^ Copia archiviata, su anpi.it. URL consultato il 7 luglio
2009 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2009).. ^http://www.ilmanifesto.it/25aprile/02_25Aprile/9502rs14.01.htm
in Internet Archive. A Trieste operarono alcuni dei principali responsabili
della cosiddetta "Aktion Reinhardt", l'operazione che aveva portato
allo sterminio di milioni di ebrei deportati nei campi della Polonia Orientale.
Comandante delle SS e della SD nel settore adriatico (e quindi anche incaricato
della caccia agli ebrei) era il generale delle SS Odilo Globocnik, già
comandante del settore di Lublino e quindi responsabile dei campi di Belzec,
Majdanek, Sobibor e Treblinka; a Trieste operavano con lui Franz Stangl, già
comandante di Treblinka, e Christian Wirth uno degli ideatori delle camere a
gas, poi ucciso dai partigiani. Benito M.,
MEMORIA SEGRETA DI M. SULLA CONDOTTA
DELLA GUERRA, Schede tecniche aerei militari italiani e storia degli aviatori,
su alieuomini.it, 31 marzo 1940. ^ Si veda Pietro Badoglio (L'Italia nella
seconda guerra mondiale, p. 37), che riporta questa affermazione come ricevuta
direttamente da M. durante un loro
colloquio avvenuto il 26 maggio 1940. ^ Dalle colonie inglesi, e in particolar
modo dall'India, giunsero migliaia di soldati, che non era stato possibile
mobilitare precedentemente. ^ Già a Capo Spada venne affondato un incrociatore
italiano (19 luglio) e l'11 novembre 1940 alcune navi italiane furono affondate
da un attacco aereo nel porto di Taranto. L'ultimo scontro di rilievo si ebbe a
Capo Matapan, il 28 marzo 1941, una delle più gravi sconfitte nella storia
della Marina. ^ Alfassio Grimaldi, U., Bozzetti, G. (1974). Dieci giugno 1940
[i. e. millenovecentoquaranta], il giorno della follia. Italia: Laterza. ^
Ciabattini, p. 69. ^ Ciabattini, p. 68. ^ La conquista fu completata in poco
più di un mese (17 agosto). ^ Renzo De Felice, M. l'alleato, Einaudi, Ciabattini, p. 101. ^
Ciabattini, p. 102. ^ Ciabattini, p. 105. ^ M. e il re avevano un colloquio privato due volte
alla settimana, il lunedì e il giovedì. L'unica persona ammessa era il Ministro
della Real Casa. Iniziati nel 1922, gli incontri proseguirono ininterrottamente
fino al 1943, per ventuno anni.
Ciabattini. ^ Ciabattini, p. 110.
Poi arrestato dai tedeschi e trucidato alle Fosse Ardeatine). ^ Benito M.,
Memoirs 1942-1943, Weidenfeld et Nicolson, London 1949, p. 218n (in inglese).
Il testo si trova anche qui: MEMOIRS 1942-1943, su oudl.osmania.ac.in. URL consultato
il 2 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2014).. ^ Franco
o Francesco Maugeri, su digilander.libero.it. URL consultato il 17 gennaio
2024. ^ Enzo Antonio Cicchino, Saverio Polito e il viaggio di Rachele a Rocca
delle Caminate il 4 agosto 1943, su historyfilesnetwork.com, 22 settembre 2023.
URL consultato il 17 gennaio 2024. ^ Marco Riscaldati, DAL GRAN CONSIGLIO AL
GRAN SASSO I 50 terribili giorni che videro l’Arma protagonista, in Notiziario
storico dell'Arma dei carabinieri, Anno IV, n. 7. ^ Sandro Russo, M. prigioniero a Ponza (1), su Ponza Racconta. ^
Cfr. Fabrizio Montanari. Nenni-M., amicizia impossibile, in Quotidiano on line
24emilia.com. ^ L'8 febbraio 1943, alla vigilia del suo compleanno, Nenni fu
arrestato dalla Gestapo a Saint-Flour, in Rue de la Franze n.13, nella Francia
di Vichy (cfr. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'Ovra: agenti, collaboratori
e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Nenni,
Intervista sul socialismo italiano, Laterza). Venne condotto prima a Vichy e
poi fu rinchiuso nel carcere parigino di Fresnes per circa un mese (cfr. Enzo
Santarelli, Pietro Nenni, UTET, Il 5 aprile venne consegnato dai tedeschi a due
carabinieri alla frontiera del Brennero, probabilmente su richiesta di M., che
così lo salvò dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Condotto
nel carcere romano di Regina Coeli, Nenni fu poi confinato nell'isola di Ponza.
^ Cfr. Arrigo Petacco, La Storia ci ha mentito, MONDADORI, che riporta degli
appunti che il Duce scrisse durante il crepuscolo di Salò. ^ La grande storia,
Rai Tre, 3 settembre 2010. ^ Di Michele, Vincenzo,, L'ultimo segreto di M.,
Felice, M. l'alleato: la guerra civile
1943-45, Torino, Einaudi. La Provincia autonoma di Lubiana era stata annessa
all'Italia nel 1941. De iure, continuò a essere considerata tale fra paesi
dell'Asse fino alla fine del conflitto. Ovviamente, tale annessione non era
considerata legittima dagli Alleati. ^ Renzo De Felice, M. l'Alleato, tomo II, Einaudi. ^ Il Teatro
Lirico aveva assunta la funzione della Scala, gravemente colpita dai
bombardamenti alleati. ^ Elena Aga Rossi e Bradley F. Smith Operazione Sunrise,
Mondadori. ^ Mack Smith, 1981 "La ragione offerta (in cui è difficile
scorgere un qualsiasi senso logico) fu lo shock subito nell'apprendere che i
tedeschi erano scesi a patti senza informarlo". ^ Per l'intera vicenda,
cfr. Fabio Andriola, Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M.,
SugarCo. ^ Mack Smith, 1981. ^ Secondo, fra gli altri, Raffaele Cadorna (La
riscossa: dal 25 luglio alla liberazione, Milano, 1948), Leo Valiani (Tutte le
strade conducono a Roma, Firenze, 1947) e Silvio Bertoldi (La guerra parallela,
Milano 1996), M. avrebbe appreso il 25
aprile della decisione del CLNAI di giustiziarlo. Secondo Silvestri (Turati
l'ha detto: socialismo e democrazia cristiana, Milano, 1946), che però è fonte
isolata, avrebbe proprio confidato questa valutazione. ^ Fabio Andriola,
Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M., entrambi per i tipi
della SugarCo. ^ Pier Luigi Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo: la
fine di M., ed. Mondadori, 1962, p. 117. ^ Che a seguito dell'armistizio aveva
per decreto luogotenenziale assunto tutti i poteri costituzionali. ^ Comandante
del Corpo Volontari della Libertà ^ Raffaele Cadorna, Milano, La riscossa: dal
25 luglio alla liberazione, 1948. Per la sintesi del vasto relato del generale,
si è fatto riferimento a Ray Moseley (M., Taylor Trade Publications). Audisio,
In nome del popolo italiano, Edizioni Teti, 1975). ^ Fondazione ISEC -
cronologia dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945.. Fondazione ISEC - cronologia
dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945.. ^ Vincenzo Costa L'ultimo
federale, il Mulino 1999, p. 107. Sempre secondo Costa, nell'attentato
partigiano erano morti cinque soldati tedeschi della Propaganda Staffel e due
popolane milanesi. Una trentina fra civili e militari germanici erano i feriti.
^ Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, cfr. fotografie alle
pp. 1586 e 1587. ^ Ibidem, p. 1606. ^ Fra i molti testimoni, era presente anche
il giornalista Indro Montanelli. ^ L'autopsia effettuata sul corpo di M. (archiviato
dall'url originale il 2 giugno 2012)., Controstoria. ^ Filmati e foto d'epoca
girati a Piazzale Loreto - Milano e all'obitorio.. ^ Tettamanti Franco, 1946,
commando a Musocco Rubata la salma del duce, in Corriere della Sera. Ex multis,
recentemente, Pasquale Chessa, Guerra civile 1943-1945-1948. ^ Gherardo Casini
Editore, Santarcangelo di Romagna, 2003 e 2010, collana Frammenti di storia. ^
Come ravvisabile ad esempio nel discorso pronunciato da Benito M. il 2 aprile 1923 a Milano. ^ Domenico
Venturini con prefazione di Amilcare Rossi. Pubblicazioni d'Opere per
l'incremento della Letteratura fascista. Dante Alighieri e Benito M. . Roma,
Casa Editrice Nuova Italia, 1932. ^ Roberto Gervaso, Il dito nell'occhio,
Rusconi, 1977, p. 25. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi 2004.. ^ Copia
archiviata, su cssem.org. Baioni. Risorgimento in camicia nera. Studi,
istituzioni, musei nell'Italia fascista. Roma, Carocci, 2006. ^ Brano tratto da
La Dottrina del fascismo, di Giovanni Gentile e Benito M., ( cfr.(archiviato
dall'url originale il 30 marzo 2009).), sviluppata sin dal 1929, inserito
nell'edizione de L'Enciclopedia Italiana del 1934, (Volume XIV, p. 849):
«Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in
tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva
sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è
un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e
rovinosi che un solo re che sia tiranno.[...] Il fascismo respinge nella
democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e
l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del
progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè
se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello stato, il
fascismo poté da chi scrive essere definito una 'democrazia organizzata,
centralizzata, autoritaria.» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la
rivoluzione fascista, su treccani.it. «Ateo militante negli anni giovanili,
quando era socialista rivoluzionario, dopo la conversione all’interventismo e
l’espulsione dal Partito socialista, alla fine del 1914, M. era rimasto ateo, anticlericale e pagano, e
tale si professava quando diede vita al fascismo: «Noi» scriveva all’indomani
della sconfitta» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la rivoluzione fascista,
su treccani.it. «Pochi mesi dopo, nell’agosto, M. inneggiava all’impero spirituale del
cristianesimo «che non ha territori, ma ha ancora un’idea nella quale si
raccolgono quattrocento milioni di uomini sparsi sulla faccia della terra»: «È
un impero che conta oramai la sua vita a millenni. Sui flutti agitati della
storia è ancora la barca del divino ebreo Gesù quella che galleggia meglio di
tutte le altre»64. E un mese dopo, M. ripudiava l’anticlericalismo e
l’anticattolicismo» ^ Fonte: Corriere della Sera, 18.04.1996, "M. rubacuori. Ha avuto 15 amanti".. ^ M.
Sarfatti The Life Of Benito M. scaricabile. ^ Mimmo Franzinelli, Il duce e le
donne. Avventure e passioni extraconiugali di M., Mondadori, Luzzatto, Così il
Duce distrusse la famiglia segreta, su archiviostorico.corriere.it, Archivio
storico del Corriere della Sera.Pieroni, La vera storia del bigamo Benito, su
archiviostorico.corriere.it, Archivio storico del Corriere della Sera. URL
consultato il 23 aprile 2009. ^ Marco Zeni, La moglie di M., Trento, Effe e
Erre, Serri, Claretta l'hitleriana, Longanesi, 2021, p. 47. ^ Alberto Bertotto,
Tutti i fgli di Benito M. -
Voceditalia.it, su voceditalia.it. ^ Claretta Petacci, M. segreto. Diari 1932-1938, Rizzoli, È morta
Elena Curti, la figlia naturale di M., in repubblica.it, 17 gennaio 2022. ^
Roberto Festorazzi, La pianista del duce. Vita, passioni e misteri di Magda
Brard, l'artista francese che strego Benito M., Milano, Simonelli, 2000, p. 41
^ Antonio Spinosa, I figli del duce, Milano, Rizzoli, 1983 Milleduci. Si è spenta a 99 anni Elena Curti,
figlia naturale del dittatore. Da Albino Benito a Glauco di Salle e Asvero Gravelli,
chi sono i M. illegittimi, segreti e
sospetti., su tag43.it. ^ M. : una figlia segreta da una pianista, su news.ch.
URL consultato l'8 giugno 2023. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato..
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Grice e Mustè: la
ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale nella filosofia
dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di Gentile – la
scuola di Roma – filosofia romana -- filosofia lazia – lingua lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Flosofo italiano. Roma, Lazio. Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista
dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività
didattica e di ricerca, collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova
serie” della “Rivista trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca
alla Sapienza. Lavora alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi
Filosofici" dell'Università "La Sapienza" in qualità di
“Segretario e Curatore dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato
professore a contratto di Storia della filosofia. Insegna a Roma. È
membro del Consiglio scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione
scientifica per la Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha
collaborato con l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il
contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice),
Enciclopedia machiavelliana e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa.
Ha diretto la rivista "Novecento". Fa parte del Comitato scientifico
di alcune riviste, tra cui: "Giornale critico della filosofia
italiana", "Annali della Fondazione Gramsci", “La Cultura”,
“Filosofia italiana”. Scrive su diverse riviste scientifiche, tra le quali, con
maggiore continuità: "Giornale critico della filosofia italiana",
"La Cultura", "Studi storici", "Filosofia
italiana". Nel è stato nominato dal
Ministero dei beni culturali Segretario del "Comitato nazionale per il
bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa". Dal al ha
insegnato Ermeneutica filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla
Pontificia Università Antonianum. Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte
alla storia della filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e
al marxismo. Per quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e
le figure fondamentali (sino al profilo complessivo) e le premesse nella
filosofia dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti
(soprattutto con il libro su La scienza ideale). Di particolare interesse gli
studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato
saggi e ricerche al pensiero di Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero
marxista italiano: del è la monografia
su Marxismo e filosofia della praxis, che ricostruisce la storia del marxismo
italiano da Labriola a Gramsci. Sono noti i suoi studi sul pensiero politico
nell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle figure di Rodano,
Balbo, Noce. Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale
la storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche. Particolare
attenzione ha poi rivolto (con il libro
su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla
teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della
storiografia. Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione
con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in
generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo
storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di
documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale
delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla
tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo
della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Rodano, Cristianesimo e società opulenta,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul giudizio
politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di Noce, in
«Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS
University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico
della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni
della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in
«La Cultura», La storia: teoria e
metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del
dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi --
Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P.
Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di
Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di
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Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.
Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo
storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La
Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e
politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica
nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr. Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,,
Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca,
«Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as
Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di
storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni,
Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e
il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia
italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella
storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana»,
Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali
di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico
della filosofia italiana», La “via alla
storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a Storia
notturna di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della
filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza
Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1.
Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M.
su Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo-
storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e
Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile,
troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con alcuni
dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai
(Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da
Guzzo) e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra
cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di
Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo,
erano apparsi in Italia: quelli di Zuccante, che Tocco aveva presentato alla
Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti, Mignosi, Labriola, Banfi,
Levi, Brocchieri. Ma a proposito di
Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia filosofica
italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello storico del
cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Pascal. Se allarghiamo lo
sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali rimangono quelli di
Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato Spaventa), ma anche di
Gomperz e di Tannery. Di Zeller, Gentile possede i primi due volumi
dell’edizione Mi piace ricordare che la ricerca su libri, opuscoli e
periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul sito della
Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di
digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano
Colli: cfr. Colli. Anche il catalogo dei corrispondenti dell’archivio di
Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi
Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi on-line”
del Senato della Repubblica. italiana della Filosofia dei Greci curata da
Mondolfo; e di Tannery conservava la seconda edizione, di Pour l’histoire de la
science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al figlio Giovannino.
A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel quale elogiò la sua opera
di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e avvicinandovi, ap-
punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di Gomperz. Proprio a
Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo riferi- mento nella
prolusione palermitana su Il concetto della storia della filosofia, dove parlò
di un «concetto equivalente al mio, che nella storia della filosofia si
riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga recensione che nel 1909
dedicò al Socrate di Zuccante, ne parlò come di «uomo di gusto», sia pure privo
del «bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto la critica della
testimonianza di Senofonte. Gentile si trovò di fronte, fin dalla giovinezza,
due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi. In primo luogo le
pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate, dapprima discu- tendo
sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di Giovanni Maria Bertini
Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso sulla filosofia
italiana, dove aveva aggiunto, come appendice, lo Schizzo di una storia della
logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il secondo riferimento è
Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era stata ripubblicata da
Benedetto Croce per l’editore Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica,
nel discorso preliminare del all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa,
si limitò a un breve cenno alla discussione con Bertini8, e anche nella
Prefazione al Gentile. Bertini. Ma la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era
stata presentata in una seduta. Poi in Bertini. Da una lettera a Spaventa, si
apprende che l’articolo di Bertrando era solo il primo di una serie di scritti
socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, in Spaventa Gentile Gentile e Socrrate
volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da
ritenere, per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse
in maniera determinante nella sua prima lettura di Socrate. Spaventa confuta
l’interpretazione di Bertini, cercando di definire i rapporti, da un lato, tra
Socrate e la filosofia antica, e, d’altro lato, tra Socrate e la filosofia
moderna. Per tale confutazione, si era appoggiato al capitolo hegeliano delle
Le- zioni sulla storia della filosofia e all’opera di Zeller, ma anche, per
deter- minare i caratteri generali del pensiero greco, alla traduzione francese
di Claude Joseph Tissot della Storia della filosofia di Heinrich Ritter10.
Tuttavia, la lettura di Socrate risultò ben diversa da quanto quei libri
potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve, che se per Hegel è Parmenide il
vero iniziatore della filosofia, perché ha sollevato il pensiero alla massima
astrazione dell’essere11, per Spaventa la filosofia inizia propriamente con
Socrate, che ha scoperto la dimensione del “concetto”, superando il naturalismo
immediato della precedente vita greca. La critica a Bertini si appuntava su
questo aspetto. Per Bertini, di fronte all’attacco dei sofisti, Socrate aveva
restaurato l’ethos greco, sal- vandolo dalla dissoluzione. Per Spaventa, le
cose andavano diversa- mente. Non solo Socrate non aveva restaurato la vita greca,
ma le aveva inferto «il vero colpo di grazia» (La dottrina di Socrate, in
Spaventa), ponendo un nuovo principio, quello della «soggettività universale»:
caratterizzata la filosofia presocratica come indistinzione immediata di
pensiero ed essere, Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due termini, senza
tuttavia trovarne l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno
questo compito ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei
distruttori, si presentavano quali profondi innovatori, anche se il loro
soggettivismo era piuttosto un individuali- smo, fermo alla dimensione naturale
ed empirica dell’individuo. So- crate trasformava, con la dottrina del
concetto, questo individualismo in un autentico, universale soggettivismo: «in
questo senso» – scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che che ne dica il
professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa Parmenide, Hegel [Ritter Cfr.
Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a Da questo punto di vista,
Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico o morale, ma come un
filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il carattere della sua
filosofia veniva indicato in un radicale formalismo. Bisogna prestare
attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione, per certi versi
anticipando i temi della sua riforma della dialettica. Formalismo significava
che Socrate, scoprendo il principio nuovo della «soggettività universale», lo
riconosceva solo nella forma, nell’attività dialogica della ricerca della
verità, in quanto presupponeva, alla maniera di tutto il pensiero antico, il
contenuto og- gettivo e naturale: se per i moderni, scriveva, la soggettività è
non solo «universale» ma «assoluta», «il puro rapporto del pensiero a se
stesso», per Socrate «non è già il soggetto che determina l’essere oggettivo,
ma l’essenza oggettiva delle cose che determina il soggetto». La visione
moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma della dialet- tica, il
pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva qui rovesciata, nel
senso che l’essere si delineava come il cercato, come la verità ideale del
soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente decisiva
nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti tutti i
temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e poi
soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza di
verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della propria
posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui i Magna
moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua identificazione con
l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la fonte era in parte
aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la psicologia, cioè la cognizione
della parte irrazionale dell’individuo, delle passioni: la sua soggettività
«universale» non riusciva a cogliere né il contenuto del concetto né la base
irrazionale dell’individuo, restando sospesa tra il particolare e l’universale
e non potendo intravedere la sintesi e l’unità tra i due momenti, cioè
l’autentica realtà e immanenza del concetto. Nella memoria su La dottrina di
Socrate, con la quale vinse il premio della Regia Accademia di Scienze Morali e
Politiche di Napoli, Labriola non citò mai lo scritto di Spaventa, ma certo ne
riprese [Si veda per questo aspetto Mustè La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile
e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del
formali- smo, a cui dedicò la parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò
fino alle conseguenze estreme, mostrando come «il suo di Socrate sapere è pura
esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora trovarlo» (Labriola). In secondo
luogo, insisté sulla mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia, con
accenti e motivi molto simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella
polemica con Ber- tini. Ma certo mutava il quadro complessivo
dell’interpretazione, anzi tutto per la scelta, molto radicale, di affidarsi
esclusivamente o quasi alla testimonianza di Senofonte, non attribuendo,
scriveva, «a Socrate nessun principio, massima, o opinione che non sia, o
esplicitamente riferita, o indirettamente accennata da Senofonte»; poi per il
fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva ora a recidere i rapporti
tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica (ibid., 555), superando il
problema stesso che aveva animato la discussione tra Spaventa e Bertini. Per
Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate come semplice filosofo
– scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno poteva
essere considerato come «il creatore del principio della soggettività», neanche
di una soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva parlato. Al
contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee fondamen- tali di
lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di sviluppo della
religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della divinità «come
intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per questo «a isolare
la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione agli studi che
allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò Socrate come
concreta espressione della crisi della storia greca, come l’emergere di una
colli- sione tra forma della tradizione e volontà dell’individuo: per cui,
sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé quella certezza» che
l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con l’esercizio del dialogo,
le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata da Cambiano, Il Socrate di
Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli, Questioni socratiche: tra
Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono rispettivamente nel primo e nel
terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda opportunamente un breve quanto penetrante
articolo di Giannantoni, Il Socrate di Labriola, apparso nel supplemento di
“Paese sera”. Tra gli altri studi, mi limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide
osservazioni di Poggi domande induttive sulla definizione, sul «cosa è» la
giustizia, la virtù, la santità. Per certi versi, Labriola seguiva la linea
interpretativa di Spa- venta, ma ne modificava la prospettiva, calando Socrate
non più nel centro problematico della storia della filosofia ma in quello della
vita religiosa e sociale del mondo greco. A prescindere dallo sviluppo
peculiare che ebbe nella memoria di Labriola, la tesi spaventiana del
formalismo di Socrate restò alla base delle prime riflessioni di Gentile. Già
nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove il problema principale, sulle
orme di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e quindi della profonda
differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e quello, platonico ma
soprattutto prove- niente da Malebranche, delle idee determinate e formate
(Gentile) – i riferimenti a Socrate risentono della discussione di Spa- venta
con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la
memoria di Aurelio Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla
filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della
Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di
Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere
l’individualismo empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur sottolineando
la sua distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il concetto del
pensiero come pro- duttività» (Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno
sviluppo più organico nella recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò
«l’interpretazione soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato,
insistendo piuttosto sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un
articolo di Victor Brochard, affermò anzi che la tesi dello storico francese
andava «rovesciata», perché non Demo- crito aveva appreso da Protagora i
princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa questo, Protagora, era stato
«scolaro» di quello, di Democrito (Gentile). Questo tema del rapporto tra
Socrate e Protagora era d’altronde essenziale nell’equilibrio del libro, perché
tanto Rosmini che Gioberti avevano appunto confuso i due momenti
(l’individualismo e il soggettivismo), lasciando oscillare la figura di Socrate
tra Protagora e Platone: «il Gioberti» – spiegava Gentile Gli articoli di
Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si veda la 4° edizione ampliata,
Paris, con l’introduzione di Delbos). Gentile e Socrate 45 «come il
Rosmini, non conosce altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo
protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate
Platone, «altrimenti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione di
Protagora» (Gentile). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di
Socrate non andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la
successiva dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche
la presenza di Socrate nel saggio su La filosofia della prassi, dove, per
dimostrare che Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e
non dal mate- rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo
dell’antico filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della
praxis: perché, spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene
formato da trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio
inquisitivo», cioè del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva –
importava per Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva
costruzione, una continua e progressiva prassi» (Gentile). Altrove scriveva che
il merito di Socrate «consiste appunto nel superamento di quella dualità di
volontà e intelletto, che è presup- posta così dal determinismo come dal
concetto del libero arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse
approfondito questo aspetto, sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano
dell’unità di libertà e ne- cessità razionale» (Gentile). Di questa singolare
definizione di Socrate come primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nei
Discorsi di religione, quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista
coscienza del suo carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si
oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico»: e quasi per dare un
esempio di tale oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di
Platone e Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione socratica nel realismo
del «mondo delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del
pen- siero. . Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione
di Spaventa, cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando
Gentile iniziò a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna
aggiungere, ad approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e
dialettica del pensare, tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio
della successiva lettura di Socrate può essere indicato, d’altronde,
nella lunga recensione al Socrate di Zuccante, dove Gentile, richiamandosi
implicitamente (senza mai citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due
aspetti fondamentali della pro- pria interpretazione. In primo luogo, in un
passaggio di particolare im- portanza, rielaborò e chiarì la tesi del
formalismo socratico, definito appunto come la sua «gloria». Scrisse infatti:
la verità è che la ricerca socratica è prevalentemente umana, perché l’uomo coi
sofisti era venuto al primo piano della speculazione, segna- tamente nella
rettorica. E lo stesso tentativo di sollevare a scienza la rettorica, operato
dai sofisti, ne mette a nudo l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno
di quella più schietta e più concreta scienza dello spirito, che Socrate
persegue col suo motto divino: conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità
del suo interesse speculativo, teorico, e del suo interesse morale, pratico:
qui anche la radice del formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo
stesso Socrate. Il quale supera la forma rettorica con l’affermazione del
contenuto della rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non
definisce altro che la forma: il concetto come universale, non intravveduto da
nessuno dei filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il
concetto stesso del giusto (morale). In che consiste il valore di questa
scoperta, che è la gloria di Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il
senso del formalismo socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta
logica di Socrate, affermando che si trattava non solo, e non tanto, della
scoperta del concetto, ma del «concetto del concetto», della «essenza dello
spirito»: se i filosofi prece- denti sempre avevano adoperato concetto e
definizione, ora Socrate sollevava il pensare a «pensiero del pensiero»,
conferendo agli uomini una «seconda vista», quella della schietta universalità.
Grazie a Socrate, il pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé
stesso, sostituendosi all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più
limitativo dell’assenza di un contenuto assoluto, era il carattere del suo
formalismo, inteso appunto come considerazione della forma logica in sé stessa.
Negli scritti di questo periodo, l’accento cominciava a battere con più forza
sulla continuità tra Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele
[non] si fa un passo avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone
(Gentile). Non solo infatti, come precisò nella prolusione palermitana su
Il concetto della storia della filosofia, Platone aveva «trasformato» il
concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro oggetto della mente»; ma
iniziò a riportare la filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a
quella parme- nidea, che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e
del So- fista: «Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile
e realmente immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si
doveva arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che
Socrate, dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle
idee, l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di
Cratilo. Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su
Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti
dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti;
in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo
che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare
piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere
affermato «il carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse
che quel con- cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una
forma che, conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione»,
era piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del
mondo: offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente
negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni
che, nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di
più, in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base
dell’erronea teoria platonica e aristotelica del concetto», presupponeva la
scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito
che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La
filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come
si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di
Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla
stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di
Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a
rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino
nell’uomo» e dunque di anticipare lo
spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone
aveva convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come
un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in
sé dalla nascita». Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta
ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai
accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà
(Gentile). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il
Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della
soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria
filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del
«primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà
e grandezza» (Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto
l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella
più tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e labrioliano)
della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più radicale,
dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte in tutto il
pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e decisiva avvenne
certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in modo particolare
nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo, acquistò il volto più
complesso di fondatore del logo astratto: che era uno svolgimento dell’idea,
comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in Socrate, e non in Par-
menide e nei filosofi presocratici, andava indicato l’autentico inizio della
filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il problema fondamentale era
quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva più nitido il quadro
dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al centro del natu- ralismo
quella che definì «la disperata posizione di Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107),
quintessenza dell’intero mondo mitico e presocratico e carattere della «seconda
natura» delle idee, stabilita da Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate
appariva come colui che aveva operato «la netta distinzione tra genere e
individuo», non riuscendo certo a trovare la sintesi tra i due momenti, ma
lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la via platonica tanto quella
aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a Platone, Socrate era
delineato come colui che «scopre il concetto come unità in cui concorre la va-
rietà delle opinioni»: affermazione di grande significato, Gentile e
Socrate perché, almeno in senso formale,
indica una rottura dell’intero natu- ralismo antico, un presagio – se così può
dirsi – della sintesi e della vera individualità, che solo il pensiero moderno,
osservando il con- cetto come conceptus sui e come autocoscienza, arriverà,
dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi
del Sistema di logica, la figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più
preciso significato, all’interno della dialettica del logo astratto e del logo
concreto. Possiamo dire che il punto centrale della considerazione delle forme
storiche del logo astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è
poi il passaggio dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato, inteso
come momento eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello
fondamen- tale, se non altro perché, superando la posizione, disperata e
assurda, di Parmenide, Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo
del pensiero antico, che in Platone (con la teoria della divisione) e in
Aristotele (con la teoria del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e
un adeguamento. All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava
con meno forza, rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e
Platone, ma indicava con molta più forza la differenza tra So- crate e
Parmenide. È vero che, in un passaggio non privo di ambiguità, disse che
Parmenide rappresentava «il fondatore della logica dell’astratto», colui che
«per primo cominciò a intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo
quale presupposto del pensiero» (Gentile). Ma subito precisò che tale
fondazione del logo era in verità una negazione del pensiero, perché il suo
essere, privo di determina- zione e di differenza, è in realtà mancanza di
pensiero, il nulla del pen- siero, il semplice immediato: e per Gentile, così
come per Spaventa, non è l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica,
come acca- deva in Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate
in- fatti, come ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce
aveva sostenuto nella Logica), che «nasce formalmente la scienza della logica»
(Gentile), che viene posto non «l’immediato essere astratto», ma la
«mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato onde si
definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere naturale di
Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove Croce. chiariva: «la logica comincia propriamente
con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva della
immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati e
degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del pensiero:
identità che sia unità di differenze» . Nel concetto socratico, nella
definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella dialettica
platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo necessario. Più
precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il fondatore della
logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza di A
(essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità e
l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è
già rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A,
generando la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e
definitorio. Così, il passaggio (che impegnò il secondo volume dell’opera) dal
logo astratto al logo concreto indicava anche il merito e il limite della
posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo
chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione del
pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò
inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al
pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma
«mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo
astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto nell’astratto»
(Gentile). La lettura del momento socratico sembrava così compiuta nei ter-
mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita, Gentile delineò una
intera storia della filosofia, che doveva fare parte della collana «La civiltà
europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere solo la prima parte,
fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a cura di Bellezza, ci
rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero lavoro (che si
sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco, Martinetti, Croce
e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si riferisce alla
parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla sezione terza,
che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici, accademici e
neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi
Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo ultimo
scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro
dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica.
Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della
filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide
ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima
intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere
di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere,
si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo»,
cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il
cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il
successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito
naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire,
nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende
perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di
elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto
che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e
che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico
compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la
potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di
Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola,
che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto
gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che
«preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono
possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si
diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile
proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte
an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di
Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa
«un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone,
che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate
storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque
Aristotele, pur «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio,
cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto
del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così Socrate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane
per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una
delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come
vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc-
casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël,
aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di
Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la
tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando
quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto
saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola,
che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni
altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava
una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile
osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi
esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia
concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga
sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine
etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica
e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora
in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con
riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del
dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate diverse letture di
Döring e di Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come
Heinrich Maier o Georg Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di
Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una
semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una
semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia
antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore
della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva,
nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente
della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del logo
andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, il
maggiore dei Sofisti (Gentile), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova
«fede nel pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con
la loro opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e
della verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo,
possiamo dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come
aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno
dialogare della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e
universale costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui
i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo
ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione
spaventiana del «formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne
metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto
alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di
Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del
giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra-
scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile
trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo,
come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a
Ruggiero: la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta
affermazione del Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo
confessare che mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta
importanza e tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier)
controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in
tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un
merito, non un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne
sottolineò l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica.
Limite che emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come
idea», dove, per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema
centrale di Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano
e il mondo naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva –
Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui
si nasce, si vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane
pur sempre da fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di
Socrate, per offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo
«formalismo» ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al
naturalismo e al mito eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo
sull’«essere come idea», che copre quasi la metà della parte scritta
dell’opera, costituisce in effetti una delle pagine più importanti, e in fondo
drammatiche, che Gentile abbia composto negli ultimi giorni della sua vita.
Parlò di «un nuovo abisso, che si de- lineava tra Socrate e Platone, come
quello che aveva diviso la filosofia umana di Socrate da quella naturalistica
che lo aveva preceduto; e ne preparò l’analisi con una sottile considerazione
delle scuole socrati- che minori, culminante nella figura di Euclide, che
«proveniva dall’eleatismo» e che per primo, inaugurando l’opera che sarà di
Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale socratico dalla mente dell’uomo
nella realtà in sé. Di fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin
da Aristippo o Teodoro, il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il
«formalismo» di un contenuto antico, quello della natura, della trascendenza,
del realismo. Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria,
appoggiandosi ai suoi veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab-
batté «la barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio
possente che è la metafisica. All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva
fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente,
vita, dottrina (Gentile). Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al
primo volume di Ruggiero Gentile e Socrate Quando, in una decina di pagine di
forte intensità, entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare
con più precisione il passag- gio che si era consumato dal formalismo di
Socrate alla metafisica di Platone, Gentile non mancò di osservare che la
«soluzione» che la dot- trina delle idee aveva dato al «problema» di Socrate,
unificando ciò che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen-
tare, perché metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva
tra eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone
riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare
Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. Il poderoso sforzo da lui tentato
di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile
dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire. La
vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un
fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia:
perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea
– scriveva – è lo stesso che dire essere») e il dialogo, che Socrate aveva
coltivato come ricerca sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica
oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente
nella relazione che hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che
è norma e fine della soggettiva» Gentile parlava bensì di conquista del
pensiero platonico, di progresso, ma in tutta la sua pagina circolava
l’impressione del regresso e della decadenza, del passo indietro, della
chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel brano in cui, mettendo
a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone, affermò che il primo, di
fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen- siero come «relazione»,
«soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro quella relazione aveva
ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e perciò l’aveva
annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve
il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la
relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa».
E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un
blocco, da prendere LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come
l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è. Che era una critica della metafisica
platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale
restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità inesplosa
dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe
ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla
dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Opere
varie. Biella: Amosso. CERASUOLO.“Il “Socrate” di Labriola.” In La cultura
classica a Napoli. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica
dell’Università degli Studi di Napoli. BROCHARD, Études de philosophie ancienne et de
philosophie moderne. Paris: Alcan. COLLI.
Biblioteche di filosofi nella biblioteca di filosofia della Sapienza romana.”
Culture del testo e del documento. CROCE, Logica come scienza del concetto
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Teoria generale dello spirito come atto puro. Firenze: Sansoni. Storia della
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Firenze: Sansoni. Spaventa. Firenze: Le Lettere. HEGEL, GEORG WILHELM
FRIEDRICH, Lezioni sulla storia della filosofia. Firenze: La Nuova Italia. Lezioni
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logica. Roma-Bari: Laterza. LABRIOLA,“La dottrina di Socrate secondo Senofonte
Platone ed Aristotele.” In Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educa-
zione, a cura di L. Basile e L. Steardo. Milano: Bompiani. MAIER, Socrate. La
sua opera e il suo posto nella storia. Firenze: La Nuova Italia, ed. or.
Sokrates: sein Werk und seine geschichtliche Stellung. Tübingen: Mohr. MUSTÈ,
“Il senso della dialettica nella filosofia di Bertrando Spaventa.” Filosofia
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POGGI, STEFANO, Introduzione a Labriola. Roma-Bari: Laterza. PUNZO Labriola.
Celebrazioni del centenario della morte. Cassino: Edizioni Dell’università
Degli Studi di Cassino, RITTER, Histoire de la philosophie ancienne, 4 voll.,
traduit de l’allemand par C.J. Tissot. Paris: Ladrange, SPAVENTA. Lettere,
scritti e documenti pubblicati da Benedetto Croce. Napoli: Morano, SPAVENTA,
Opere, a cura di Gentile. Firenze: Sansoni. Marcello Mustè. Mustè. Keywords:
la filosofia dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo,
democrazia, kratos – natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il
principio politico, liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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