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Wednesday, December 25, 2024

GRICE ITALO A-Z P PO

 

Grice e Poggi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ventennio fascista – incontro con Mussolini ad Ancona – la scuola di Sarzana -- filosofia ligure – I fatti di Sarzana – lasciato in libertà da Mussolini – massoni proibiti – filosofia ligure -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Sarzana). Flosofo italiano. Sarzana, La Spezia, Liguria. Colpito dalla violenza usata nei confronti del popolo durante le giornate milanesi e dal temporaneo esilio che doveno subire alcuni socialisti amici di famiglia. Questo lo porta a simpatizzare per quel partito che sta nascendo e al quale si iscrive. Studia a Palermo e Genova. Pubblica “La questione morale: Kant e il socialismo.” Insegna a Genova. Partecipa come delegato al congresso socialista di Ancona, nel corso del quale ha un duro scontro con il massimalista  MUSSOLINI (si veda) sul problema della compatibilità o meno del socialismo con la massoneria.  L'assemblea da in quell'occasione una larga maggioranza alla tesi di MUSSOLINI dell'incompatibilità. Si reca nelle domeniche d'inverno al palazzo genovese di via Palestro, dove RENSI (si veda) anima un vero e proprio salotto – o gruppo di gioco --, arricchito dalla presenza di illustri personalità quali PASTORINO, BUONAIUTI, SELLA, e ROSSI. MUSSOLINI si ricorda di quel suo leale tenace avversario e lo libera, come attesta una registrazione esistente nel suo fascicolo personale presso l'archivio centrale dello stato, lasciato in libertà dal tribunale speciale per la sicurezza dello stato per atto di clemenza di S. E. il capo del governo. Saggi: “Lo stato italiano” (Firenze, Bemporad); “Cultura e socialismo” (Torino, Gobetti); “Gesuiti contro lo stato liberale” (Milano, Unitas); “Filosofia dell'azione” (Roma, Alighieri); “Concetto del ciritto e dello stato romano: saggi critici” (Padova, Milani); “La preghiera dell'uomo” (Milano, Bocca); Meneghini, Socialismo spezzino, appunti per una storia, Massa; Meneghini, Meneghini Sui luttuosi fatti del luglio v. Meneghini, La Caporetto del fascismo Sarzana Mursia Milano,  Pastorino, Mio padre Pastorino, Genova Meneghini, Meneghini, Poggi Meneghini, Poggi, Pastorino, Mio padre Pastorino, Genova, Liguria Sabatelli, Meneghini, Socialismo spezzino Appunti per una storia, Massa, Centro Studi Bronzi, Fatti di Sarzana Social-democrazia. Anti-fascista e uomo di cultura, da Testimoni del tempo e della storia di Carabelli. Alfredo Poggi. Poggi. Keywords: stati pontificii, positivismo giuridico, filosofia giuridica italiana contemporanea – il concetto di diritto, il concetto dello stato italiano – incontro con Mussolini, lasciato in liberta da Mussolini, I fatti di Sarzana, filosofia ligure, criticism kantiano, Adler, saggi sulla filosofia dell’azione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pojero: all’isola -- la ragione conversazionale alla villa Pojero e la setta iniziatica – filosofia siciliana -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “Like me, he held symposia at his villa – Villa Amato-Pojero, The Giardino inglese a Palermo – lots of Brits there!” Studia a Napoli e Pisa. La sua villa ai giardini inglesi divenne luogo di incontro di un gruppo di gioco di filosofi. La sua biblioteca è punto di incontro di filosofi come GENTILE, VAILATI, Brentano, e GEMELLI. Critica il razionalismo, incapace di comprendere la meta-fisica. Dizionario biografico degl’italiani,  Istituto dell'Enciclopedia. Giuseppe Amato Pojero. Giuseppe Pojero. Pojero. Keywords: la setta iniziatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pojero” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Polemarco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotona– Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. Pythagorean cited by Giamblico.

 

Grice e Polemarco: la ragione conversazionale o PLATONE IN ITALIA – Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Thuri, Turi, Bari, Puglia. He comes from a very rich family and owns the villa in Piraeus where the ‘Republic’ of Plato is set, and in which he is featured as the host and participant. He lives most of his life in his villa at Thurii, except for a very brief sojourn in the countryside of Attica – across the pond --, where he unfortunaly falls foul of the rustic rulers and is condemned to death. The events of his last days are recounted by Plato in “Lisi”. Refs.: Cuoco, PLATONE IN ITALIA. Polemarco.

 

Grice e Poli: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale del pappagallo di Locke– filosofia lombarda -- filosofia italiana. Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Cremona, Lombardia. Si laurea a Bologna. Insegna a Milano e Padova. Pubblica il saggio di “Filosofia elementare”, un eclettico sistema di empirismo e razionalismo. I “Saggi di scienza politico-legali” considerano il diritto un insieme di scienza in quanto trattano dei principi e di arte in quanto applicazione di un principio giuridico nella valutazione dei singoli casi. Il diritto e un'espressione provvidenziale. Si distingue in naturale e in positivo. Combatte il positivismo negli “Studii di filosofia”, ri-vendicando la superiorità dello spirito sulla materia. “Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi naturalisti -- coll'analisi dell'organo-logia, della cranio-logia, della fisio-gnomia, della psico-logia comparata, e con una teoria delle idee e de' sentimenti” (Milano); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Elementi di filosofia teoretica e morale” (Padova); “La filosofia elementare” (Milano); “La scienza politico-legale” (Milano), “Filosofia” (Istituto Lombardo. Rendiconti); “Studii di filosofia” (Istituto Lombardo); Rendi-conti, “Cenni su CORLEO (si veda): il sistema della filosofia universale, ovvero la filosofia dell'identità” (Istituto Lombardo); Rendi-conti, “La filosofia dell'incosciente”, Istituto Lombardo. Memorie, Studi CANTONI, Studio della vita e delle opere. Milano, Filosofia Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Dizionario biografico austriaco. Il linguaggio, presidendo dale grandi controversie de’ filosofi intorno alla sua origine e alla sua formazione, antro non è che il complesso de’ segni destinati ad esprimere le nostre idee e i nostri sentimente. E comeche vari sono codesti segni per la loro indole e per la loro origine, cosi varia è la specia del linguaggio naturale -- ossie delle grida, dei gesti e dell’azione – e del linguaggio artificiale -- ossia della parola e della scrituttura. Fra tutte le opinioni, sembra incontrastabile, prima di tutto, che gl’animali hanni i segni d’una specidie di linguaggio naturale nelle gride e nei moti. Ma questi signi sono o incerti e inisignificanti. O quasi sempre dubii almameno per noi, senza che sia in loro il potere di perfezionarli. In secondo luogo, è dimostrate che gl’animali quantunque forniti dell’organo della loquella e dell’udito, come anche della facultata di associare e d’imitare, non poterono mai giungere all’invenzione del linguaggio veramente articolato, e cio per difetto senza dubbio della facolta superior di della ragione. Sicche i pappagalli – come il famoso riportato di Locke (Grice – si veda), che pur vanno ripetendo le voci umana, non hanno, al pari delle scimie, ne’ loro gesti una vera connessione mentale tra i suoni e le idee annessse, come il dimonstrano il loro parlare a caso ne mai correlative alle domande nuove e straordinarie, e la loro incapacita a ingrandire ed estendere il linguaggio gia appreso. In terzo luogo, è sicuro che com’è impossibile che gl’animale reseano dell’uso d’un linguaggi overamente articolato, non possedendo le idee astratte e generali delle quali esso si compone, cosi riusicrebbe loro affatto inutile, non avendo bisogno di espremiere tutti i nostri pensieri e tutti i nostri sentimenti. Baldassare Poli. Poli. Keywords: naturalisti, organologia, craniologia, fisiognomia, psicologia comparata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poli,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Poli.

 

Grice e Pollastri: la ragione conversazionale delle conversazioni sull’olismo hegeliano – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Studia a Firenze. Studia la filosofia della natura di Hegel. Si occupa in particolare di filosofare con le persone, campo nel quale dsvolge la filosofia. Ha uno sportello di consulenza presso il quartiere 4, centro di salute mentale della ASL. Pubblica Apogeo Il pensiero e la vita, Consulente filosofico cercasi, Il filosofo in azienda e L’uomo è ciò che pensa. Fonda Phronesis, una associazione per la consulenza filosofica, IPOC.  Collana “Pratiche Filosofiche” diretta da GALIMBERTI (si veda) per Apogeo e cura la collana “Dialogos”, sempre per l’editore IPOC. Insegna consulenza filosofica in numerose università italiane. Ha inoltre all’attivo ricerche in campo tradizionalmente filosofico come l’assoluto eternamente in sé cangiante. Interpretazione olistica del sistema hegeliano (La Città del Sole), alcuni articoli di filosofia politica e altri di filosofia dell’improvvisazione.  Accanto al suo impegno nella filosofia, si occupa di commenti alla musica, in particolare nel campo del jazz. Collabora con “Musica Jazz”, “Il Giornale della Musica” e “All About Jazz Italia”. Pubblica la biografia artistica di Tesi, Una vita a bottoni (Squilibri). Attivo in campo teatrale, come amatore ha esperienze di attore, recitando in lavori di Ionesco, Nicolaj, Feydeau, e Simon, e regista. Direge Sorelle Materassi di Storelli dal saggio di Palazzeschi, “La tettonica dei sentimenti” e “Siamo momentaneamente assenti” di Squarzina.  La sua teoria della consulenza filosofica e tutt'uno con una più generale concezione della filosofia e del filosofare. È all’interno di questa idea generale, che comprende una visione della società, degl’orizzonti, dei destini della filosofia e il ruolo che il filosofo si svolge, che può essere inserita la sua visione della consulenza filosofica. Il punto di partenza potrebbe essere posto in un’analisi della società e nel ruolo che in essa giocano le psicoterapie e, più largamente il linguaggio e la cultura psico-terapeutica. La sua idea sembra essere quella di chi vede in corso un processo di tras-formazione del dolore del male in una pato-logia psicologicamente rilevabile e curabile. Oggi, tanto i manuali psico-patologici come DSM-IV, quanto la cultura diffusa, da rotocalco -- sovente però confortata da medici e psicologi che sui rotocalchi scrivono --, tendono a far credere che ogni qualvolta si stia male ipso facto si sia malato e che, di conseguenza, sia necessario un terapeuta che ci guarisca. Ciò ovviamente porterebbe ad un estremo impoverimento nella capacità umana di comprendere e affrontare la vita. In un mondo in cui ogni dolore è SINTOMO e l’unica cosa che sembra avere importanza è che esso venga eliminato, la filosofia e la consulenza filosofica -- che sembrano più essere due momenti di un'unica disciplina piuttosto che due cose diverse -- non si presentano come pensiero risolutivo. Prendere decisioni e risolvere problemi sono due modi attraverso cui si banalizza la complessità e anche il fascino di ogni esperienza vitale umana. Se c’è qualcosa di davvero originale e inattuale che la filosofia offre agl’uomini ciò è giustappunto una prospettiva che vada oltre l’agire tecnico finalizzato, l’intervento manipolativo sulla realtà e, dunque, l’idea stessa di efficacia. Con questa impostazione non stupisce dunque che veda in modo estremamente critico la presenza del concetto di aiuto nella consulenza filosofica. Chi si concentra sull’aiutare il consulente rischia di fare semplicemente una psico-terapia mascherata e poco efficace. Concentrarsi sull’ausilio e la soluzione dei problemi posti dal consultante può disperdere la realtà e originale potenzialità della filosofia nel campo della considerazione dei problemi degl’individui e della loro vita. Può annullare la capacità di ri-orientare il pensiero e l’agire che la ri-flessione filosofica porta con sé come sua assoluta specificità. Può, infine, privare gl’individui e la società di quella che è forse oggi rimasta l’ultima branca del sapere svincolata dallo strabordante e a-critico dominio del produrre, del finalizzare, e della tecnica. L’onni-presenza del paradigma tera-peutico non deve fare sì che si dimentichi anche il rapporto sano che la filosofia può mantenere con la psico-logia rettamente intesa. La psicologia cioè come ricerca di ciò che è proprio del comportamento umano che ogni filosofo coltiva. Come studio sull’uomo, e al pari di altre scienze umane che cercano di coglierne altre limitate ma fondamentali dimensioni -- si pensi all’antropologia o alla sociologia --, la psicologia e tenuta in considerazione dallo sguardo del consulente. La psicologia è stata nient’altro che una conoscenza tra le molte che la filosofia dove comprendere, criticare, porre nel giusto posto che a essa spetta entro una comprensione filosofica del mondo. È se il filosofo non disdegna di occuparsi anche di psicologia, perché oggi il filosofo consulente dove temere oltre-misura di fare riferimento anche a essa? Posta in un orizzonte conoscitivo e non terapeutico, la psico-logia non è evitata, al pari di ogni altra disciplina, al consulente filosofico. Lo spazio entro cui colloca la sua azione e la sua riflessione implica una lettura della filosofia come del tutto connessa con la vita di ogni singolo uomo. Difficile cogliere la cesura tra questi e il filosofo. Se questa differenziazione ha sicuramente un valore indicativo, convenzionale, utile per distinguere chi ha fatto della riflessione il centro della vita, è difficile invece trovare una differenza essenziale tra costui e l’uomo comune. L’uomo è necessariamente filosofo. Le ragioni di questa necessità sono connesse con nell’essenza fragile, limitata, mortale dell’uomo, è da questa necessità che deriva l’urgenza dell’uomo a porsi domande, cercare senso, aspirare alla conoscenza, essere, cioè philo-sophos, amante del sapere. Ma se l’uomo è perennemente filosofo è anche perché è propria della filosofia l’incapacità di arrestarsi a un dato, a un risultato che non sia ulteriormente indagabile. La disciplina in questione così si mostra propriamente nella sua attività più che nel suo corpus di conoscenze. Anche la filosofia pratica, dunque, si conclude là dove produce qualcosa di pratico per diventare altro: morale, politica, diritto. Da questa visione se ne deduce la inapplicabilità della filosofia in generale e più specificatamente l’impossibilità di concepire la consulenza filosofica come una sorta di filosofia applicata alla vita. Il fatto è che la filosofia non si applica, oppure è sempre applicata: essendo amore per il sapere, è infatti qualcosa di perennemente in movimento -- è un agire, un fare. E non c’è fare che non sia fare qualcosa. Quello della filosofia è il filosofare, vale a dire il cercare e ri-cercare, il ri-tornare sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, il ri-flettere incessantemente per mettere a prova le nostre capacità di comprensione. Questo agire, che è pura e semplice filosofia, non può essere applicato perché lo è già sempre, non potendo avvenire senza un argomento, un tema, un problema e senza individui pensanti sui quali esso agisce, produce, come tutte le attività, effetti pratici concreti. Altri saggi: “L' assoluto eternamente in sé cangiante”; “Interpretazione olistica del sistema hegeliano”; “Studi sul pensiero di Hegel (La Città del Sole); “Il pensiero e la vita”; “Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Apogeo); “Consulente filosofico cercasi” (Milano, Apogeo); “L’uomo è ciò che pensa: sull’avvenire della pratica filosofica” (Girolamo, Trapani); “Il filosofo in azienda: pratiche filosofiche per le organizzazioni” (Apogeo, Milano); “Tesi. Una vita a bottoni, in A viva voce, Squilibri); “La consulenza filosofica”; “Breve storia di una disciplina a-tipica, in Intersezioni, Achenbach e la fondazione della pratica filosofica, in Maieusis, La consulenza filosofica tra saggezza e metodo, in“Inter-sezioni, Razionalità del sentimento e affettività della ragione”; “Appunti sulle condizioni di possibilità della consulenza filosofica”; “Discipline Filosofiche, Teoria pratica” e palle di biliardo”; “La consulenza filosofica come mappa-tura dell’esistenza, in “La cura degl’altro: la filosofia come terapia dell’anima” (Siena); “Il consulente filosofico di quartiere, in Aut aut, Analisi di Rovatti, La filosofia può curare?, in Phronesis, Prospettive politiche della pratica filosofica, in Humana.mente, Improvvisare la verità. Musica jazz e discorso filosofico, in Itinera.  Miccione, La consulenza Filosofica, Xenia. Neri Pollastri. Pollastri. Keywords: olismo hegeliano, etimologia di consultare, consolare, consultare, console – con-solus --, mutuo consiglio, Böttcher Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pollastri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il lizio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He plays a leading role in Rome’s political and cultural life. He is a friend of both VIRGILIO (si veda) and ORAZIO (si veda), and wrote a history of the civil war. He is NOT a lizio, and his most famous tract he entitles, “Contra Aristotelem”. He rather follows the philosophy of Musonio RUFO (si veda), whom he deems superior to ‘that ginnasio where an over-rated Stagirite used to ramble with friends.’ Historians debate this, since Musonio Rufo apparently was born well after P. dies – but, as Kunstermann says, ‘there is no obvious earlier candidate.’ Hohlertter suggests that the work was written by a LATER Pollio – ‘most likely Pollio Valerio’. Gaio Asinio Pollio

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il Lizio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). The author of “Contra Aristotelem” according to Hohlertter. Pollio Valerio.

 

Grice e Pollio: la ragione conversazionale dell’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Patron of Stazio (si veda). Pollio Felice.

 

Grice e Polluce: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giulio Polluce or Polideuce – Friend of Commodo to whom he dedicates a treatise entitled “Onomasticon,” a thematically arranged dictionary containing many excerpts from different authors, mainly and especially the Roman philosophers with which he was familiar and thought Commodo would find of slight interest.

 

Grice e Polo: la ragione conversazionale e la scuola di Lucania – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio, Lucania, Calabria. He is said to have been a Pythagorean, although some think he was a spelling mistake that should be corrected to ‘Eccelo di Lucania.’ He wrote a treatise on justice. Polo.

 

Grice e Pompedio: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to the historian Giuseppe, a senator who followed the Garden – Some believe that the reference is to Publio Pomponio Secondo, a statesman and author. Pompedio.

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale e il portico romano e il diritto – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Nell’analisi delle nozioni di stato e di proprietà in Pompeo e Panezio e l’influenza della dottrina stoica sulla giurisprudenza romana dell’epoca scipionico-cesariana, il portico è un fenomeno che abbraccia un arco temporale vastissimo ed è di difficile, se non impossibile definizione. Pohlenz ne ha parlato come di un movimento spirituale, ma se si dicesse che è una ‘dimensione del pensiero’ forse non si sbaglierebbe. Comincia con  * Testo rielaborato con le fonti e i riferimenti bibliografici essenziali della relazione alla 59ème Session de la Société Internationale Fernand de Visscher pour l’Histoire des Droits de l’Antiquité. [Per un primo approccio alla filosofia del Portico si v. POHLENZ, Stoa und Stoiker. Die Grunder, Panaitios, Poseidonios (Zürich); ID., IL PORTICO ROMANO: Storia di un movimento spirituale, Milano; IL PORTICO: Geschichte einer geistigen Bewegung (Göttingen); ISNARDI PARENTE, Stoici Antichi (Torino l’età del suo fondatore, il cipriota Zenone, un fenicio dalla pelle scura e di sangue semitico, attivo ad Atene, ma comprende anche ANTONINO. Non dimentichiamo, in aggiunta, la rielaborazione del de officiis di CICERONE fatta da AMBROGIO e, ancora, la fortuna medioevale dei precetti morali di Seneca che è addirittura indicato con la sua felice formula honestae vitae da Martino di Bracara come una sorta di cristiano occulto per aver intrattenuto una leggendaria corrispondenza con S. Paolo e tentato di convertire al cristianesimo un suo discepolo. La filosofia del Portico domina dunque la scena culturale romana per molti decenni durante l’ellenismo e la prima età imperiale, ma subì una repentina e considerevole decadenza. Agostino, in epist., infatti potrà dire. I seguaci del Portico sono ridotti al silenzio, al punto che le loro teorie vengono appena menzionate nelle scuole di retorica ». In effetti della letteratura del Portico a noi non è arrivato molto. A parte un Inno a GIOVE scritto da Cleante e una serie di citazioni più o meno letterali tramandate da autori di altre tendenze filosofiche, a volte addirittura ostili come Plutarco o Alessandro d’Afrodisia, conosciamo qualcosa attraverso le opere di Seneca ed Epittèto, ma dei pensatori dell’era scipionica è sopravvissuto pochissimo. Ciò nonostante, credo che le nostre conoscenze sul contributo dello [Filosofia e scienza nel pensiero ellenistico (Napoli IOPPOLO, Aristone di Chio e lo stoicismo antico, Napoli, Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e nel II secolo a.C. (Napoli HUSLER, Die fragmente zur Dialektik der Stoiker (Stüttgart-Bad Cannstatt 1987- ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione stoica (Napoli RADICE (Introduzione, traduzione, note e apparati a cura di), H. von Arnim, Stoici antichi, Tutti i frammenti, Milano ARNIM, Stoicorum Veterum Fragmenta (Lipsiae VIMERCATI (Introduzione, traduzione, note e apparati di commento a cura di), Panezio, Testimonianze e frammenti (Milano POHLENZ, La Stoa. Si v. per un primo approccio POHLENZ, sv. Panaitios, in PW. StuttgartWeimar L’epistula fu indirizzata al vescovo Dioscoro che chiedeva informazioni sull’opportunità di studiare Cicerone. 5 Per un sintetico sguardo d’insieme si v. anche REALE, Accettare i voleri della ragione, in Valori dimenticati dell’occidente, Milano, Revue Internationale des droits de l’Antiquité] stoicismo per lo sviluppo del diritto romano come scienza, e in particolare in epoca scipionico-cesariana, possano ancora migliorare. 2. I giuristi romani e la Stoa Sul rapporto tra giuristi romani e la dottrina filosofica stoica esiste già una documentazione ricchissima6 . Anzitutto, il cliché dell’uomo  6 Si v. POHLENZ, IL PORTICO ROMANO. Senza alcuna pretesa di completezza segnalo KAMPHUISEN, L’influence de la philosophie sur la conception du droit naturel chez les jurisconsultes romains, RHDFE. FREZZA, Rec. a Pohlenz, IL PORTICO: Geschichte einer geistigen Bewegung, Göttingen Göttingen SDHI.; STEIN, The Relations between Grammar and Law in the early Principate. The beginnings of analogy, in La critica del testo (Firenze; WÆRDT, Philosophical Influence on Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and Natural Law, in ANRW. DUCOS, Philosophie, littérature et droit à Rome sous le Principat, in ANRW. WINKEL, Le droit romain et la philosophie grecque, quelques problèmes de méthode, in Tij.  Da ultimo per tutti SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente (Torino  Questi, a proposito della ‘rivoluzione scientifica’ che ha riguardato il modo di operare (e di essere) della giurisprudenza romana nei decenni tra l’età dei Gracchi e quella di Cesare e, in particolare, sull’influenza della cultura proveniente dalla Grecia esplicita in questo modo il suo pensiero. In realtà, non di riduzione o di impoverimento si trattava, né di un semplice e superficiale trapianto di qualche metodica, priva di particolare significato sostanziale. Bensì di un delicato e cruciale processo di integrazione, che riuscì a proiettare il sapere giuridico romano al di là degli orizzonti che aveva acquisito, senza tuttavia fargli smarrire il senso della propria fortissima identità: in certo modo a rivoluzionarlo per dargli il compimento. Il risultato sarebbe stato, alla fine, la nascita di un nuovo modo di pensare il diritto, che ne avrebbe tramutato le procedure in quelle di una scienza senza eguali nell’antichità, non meno compatta e concettualmente densa della grande filosofia classica. Appare evidente che nello studioso salernitano sia maturato un superamento della posizione tradizionale risalente a SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana [Firenze Nocera Lo dimostrano ancora di più le seguenti parole [SCHIAVONE, Ius] Ma perché Quinto Mucio aveva deciso di utilizzare a fondo gli apparati diairetici, fino a farne il tratto caratterizzante – almeno agli occhi di Pomponio – di tutto il suo trattato? La risposta più consueta cerca di spiegarlo con un generico richiamo al clima intellettuale dell’epoca, cui non sarebbero state indifferenti un paio di generazioni di giuristi: una parentesi dovuta all’imporsi di una specie di moda. E’ un’interpretazione a dir poco insoddisfacente, elusiva di un tema essenziale: la connessione fra l’uso della diairetica e la qualità delle conoscenze per la prima volta elaborate attraverso quei modelli. Il problema, cioè, della forma logica attraverso cui a partire da Quinto Mucio e dalle sue innovazioni, l’esperienza del diritto veniva costruita e pensata. Se non si ha lo sguardo fermo su questo intreccio, si smarrisce il filo di ogni interpretazione plausibile. E non c’è da temere solo il vecchio equivoco che portava a distinguere meccanicamente fra ‘metodo’ greco e ‘contenuti’ SACCHI virtuoso che è una caratterizzazione tipica del pensiero stoico. Ateneo, citando Posidonio, ricorda la ferma presa di posizione di SCEVOLA l’augure, Q. Elio Tuberone e P. Rutilio Rufo (tutti allievi del filosofo del PORTICO Panezio: Cic. Lael.), a favore della lex Fannia cibaria. Proverbiali inoltre sono rimasti il rigore e la coerenza con cui Scevola il pontefice esercitò la sua carica di proconsole nella provincia d’Asia, coadiuvato da Rutilio Rufo suo legato proconsolare. A quest’ultimo, prope perfectus in Stoicis (Brut.), si ricollega anche il famoso otium cum dignitate che rimarrà come monito per gli uomini della sua classe; tanto che, come è noto, Cicerone ne farà una strenua difesa contro l’epicureismo dilagante soprattutto in Campania, quando scrisse, fra l’altro, negli ultimi due anni della sua vita il de finibus e le Tusculanae disputationes. Riferimenti precisi nel de oratore e nel Brutus ciceroniani indicano esplicitamente come stoici anche Marco Vigellio (qui cum Panetio vixit), Sesto Pompeo e due Balbi: Cic. De orat. Quid est, quod aut Sex. Pompeius aut duo Balbi aut meus amicus, qui cum Panaetio vixit, M. Vigellius de virtute hominum Stoici possint dicere, qua in disputatione ego his debeam aut vestrum quisquam concedere? Il primo, Quinto Lucilio (Balbo), fu sostenitore della tesi stoica prospettata nel de natura deorum. Mentre il secondo, Lucio Lucilio (Balbo), espertissimo in agendo et in respondendo, fu discepolo di  romani, quanto un rischio più grave e sottile: quello di misurare il lavoro dei giuristi con i criteri adoperati per valutare il dibattito filosofico ed epistemologico da Platone al tardo stoicismo, suggestionati solo dalla traccia superficiale di alcuni evidenti debiti della giurisprudenza verso la filosofia, e da qualche sporadica contiguità di lessico e di categorie. Mettendosi su una simile strada, non si può che arrivare alla conclusione di un drammatico impoverimento dell’impianto logico del pensiero classico, quando passa dai filosofi ai giuristi, e alla constatazione del carattere irrimediabilmente minore e senza vocazione teorica del lavoro della giurisprudenza. Ma sarebbe un’indicazione infondata, anche se è stata tante volte riproposta, da diventare un luogo comune storiografico. Athen. Dipnosoph.  = Posid. Jacoby. Per tutti CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea. Dalle origini all’opera di Labeone (Torino MÜNZER, sv. Lucilius, in PW. 13.2 (Stuttgart-Weimar   Q. Mucio Scevola il pontefice e anche maestro di Servio Sulpicio Rufo  Il Circolo degli Scipioni C’è poi il Circolo degli Scipioni 11 . Questo sodalizio culturale era frequentato, come è noto, da letterati e filosofi come Terenzio e il  Cic. Brutus: Cumque discendi causa duobus peritissimis operam dedisset, L. Lucilio Balbo, C. Aquilio Gallo, Galli hominis acuti et exercitati promptam et paratam in agendo et in respondendo celeritatem subtilitate diligentiaque superavit; Balbi docti et eruditi hominis in utraque re consideratam tarditatem vicit expediendis conficiendisque rebus. Sul rapporto tra lo stoicismo e i giuristi romani v. anche IPPOLITO, I giuristi e la città (Napoli Sul circolo scipionico si v. in generale H. BARDON, La littérature latine inconnue. I. L’époque républicaine (Paris 1952) 45 ss., 87 ss.; H. BENGTSON, Grundriss der römische Geschichte, München GRIMAL, Le siècle des Scipions, Paris Il secolo degli Scipioni. Roma e l’ellenismo al tempo delle guerre puniche (Brescia, Plataroti, CANALI, Storia della poesia latina (Milano) Anche se è stata negata l’esistenza di questo sodalizio culturale [STRASBURGER, Der ‘Scipionenkreis’, in Hermes l’espressione grex Scipionis usata da Cicerone in Lael. e la considerazione, nel paragrafo dello stesso dialogo, di Scipione, Furio, Spurio Mummio, Tuberone, Rutilio, (Virginio e Rupilio); oltre che degli interlocutori del Lelio: Mucio Scevola, Fannio e appunto Lelio, come aequales per essere stati amici o giovani devoti di Scipione, lascia pensare che questo circolo di intellettuali sia stato effettivamente sentito come tale dai suoi protagonisti. Così, con somma erudizione CANCELLI, Cicerone, Lo Stato (Milano scrive: Va da sé che non bisogna credere a un sodalizio, magari con tanto di statuto, ma a un gruppo di uomini che seguivano stesse tendenze politiche, e che facevano capo, in vario modo, a Scipione o al suo amico Lelio. Cicerone assunse appunto a comune carattere dei suoi personaggi l’essere stati amici o in relazione con Scipione e Lelio, e l’essere stati seguaci più o meno fermi dell’insegnamento paneziano ». Fra l’altro, come rileva lo stesso Cancelli, a questa lista di nomi manca solo quello di Manio Manilio, il famoso giurista (e generale di Scipione Africano a Cartagine), per ricostituire il gruppo di personaggi che partecipano al famoso dialogo del de re publica ambientato negli horti suburbani di Scipione Emiliano dove Cicerone ambienterà l’enunciazione della famosa definizione di res publica. Per l’uso di grex per indicare un ‘gruppo di amici’ o un ‘sodalizio culturale’ si v. Cic. Lael. Saepe enim excellentiae quaedam sunt, qualis erat Scipionis in nostro, ut ita dicam grege. Anche Orazio che riferisce la parola proprio ai seguaci della Stoa di Crisippo di Soli. Horat. sat.Chrysippi porticus et grex. Sul circolo degli Scipioni si v. anche F. LEO, Geschichte der römischen Literatur (Berlin BROWN, A Study of the Scipionic Circle, Iowa TATAKIS, Panétius de Rhodes. Le fondateur du moyen stoïcisme. Sa vie et son oeuvre (Paris BRUWAEUM, L’influence culturelle du cercle de Scipion SACCHI campano Lucilio, ma anche da storici come P. Cornelio Scipione, C. Fannio, C. Sempronio Tutidano e forse Emilio Sura. Altri possibili frequentatori di tale circolo furono Cassio Emìna e L. Calpurnio Pisone Frugi che normalmente viene ritenuto avversario dei Gracchi, ma la legge agraria lo ricorda come il console che insieme a P. Mucio applicò la lex Sempronia: Lex agr. l. 13 (= FIRA): Quei ager locus publicus populi Romanei, quei in Italia P. Mucio L. Calpurnio cos. fuit. Quando però Paolo Emilio porta a Roma per i suoi due figli la biblioteca di Pella, diventò possibile in questa città accedere direttamente ai testi dei filosofi greci ed in particolare a quelli degli stoici14 . Fu così che il circolo scipionico, a ridosso dell’età graccana, diventò il luogo di incontro principale tra lo stoicismo e gli intellettuali romani. L’amicizia tra l’Africano minore e Polibio nasce  Emilien (Schaerbeeck ABEL, Die kulturelle Mission des Painaitios « Antike und Abendland BRETONE, La fondazione del diritto civile nel manuale pomponiano, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani, Napoli; MARROU, Histoire de l’éducation dans l’antiquité. I. Le monde grec. II. Le monde romain (Paris  WIEACKER, Römische Rechtgeschichte, München; ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione del PORTICO ROMANO (Napoli CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 217. 12 Sul rapporto tra il poeta Lucilio e il circolo scipionico cfr. Lact. div. inst., MAURACH, Geschichte der römischen Philosophie. Eine Einführung, Plut. Aem.: Møna tÅ biblºa to† basil™vq filogrammato†si to¡q y™sin ®p™trefen ®jel™suai. [tr. M.L. Amerio (a cura di), Plutarco, Vite, vol. III (Torino Fece prelevare soltanto i libri della biblioteca del re per darli ai figli amanti delle lettere »; Isid. etym. 6.5.1: Romae primus librorum copiam advexit Aemilius Paulus, Perse Macedonum rege devicto; deinde Lucullus e Pontica praeda. Post hos Caesar dedit Marco Varroni negotium quam maximae bibliothecae construendae. Primum autem Romae bibliothecas publicavit Pollio, Graecas simul atque Latinas, additis auctorum imaginibus in atrio, quod de manubiis magnificentissimum instruxerat. 14 Per i rapporti culturali e l’influenza della cultura greca nel circolo scipionico si v. anche SACCHI, La nozione di ager publicus populi Romani come espressione dell’ideologia del suo tempo, in Tij.  Adesso si v. A. SCHIAVONE, Ius. Quinto Mucio, che non ignorava il greco aveva un accesso diretto a questi testi. Erano in gran parte opere incluse nell’imponente biblioteca di Perseo di Macedonia, trasportata a Roma dopo Pidna, da Emilio Paolo – nella capitale non si erano mai visti tanti libri – e poi utilizzata dal circolo di Scipione Emiliano. infatti proprio grazie ad una richiesta di libri e alla discussione che scaturì tra questi due personaggi Personalità di assoluto livello sul piano giuridico che possiamo ricordare tra i frequentatori di questo circolo lungo l’arco di almeno due generazioni furono Manio Manilio (ad Att.; ad Q.fr.; Lael.; de re p.; Plut. Ti. Gracc. 11.2) e Gaio Lelio, definito dallo stesso Manilio, valente giurista (de re p. Tum Manilius: Pergisne eam, Laeli, artem inludere, in qua primum excellis ipse, deinde sine qua scire nemo potest, quid sit suum, quid alienum?) che fu allievo prima di Diogene di Babilonia e poi di Panezio (de fin.  Nec ille qui Diogenem Stoicum adulescens, post autem Panaetium audierat). Anche Scevola, il pontefice massimo (console): Cic. de re p. Sed ista mox; nunc audiamus Pilum, quem video maioribus iam de rebus quam me aut quam P. Mucium consuli, l’antagonista di Crasso nella causa Curiana, prima di scegliere di seguire con il fratello di appoggiare le riforme graccane (Cic. de re; Acad. Prior.; Plut. Ti. Gracc.), pare che fu molto vicino a tale ambiente. Tra i frequentatori del circolo scipionico che aderirono alla Stoa, troviamo infine anche Furio Filo e Aulo Cascellio, che furono considerati insieme a Q. Mucio l’augure, tre dei più famosi esperti di diritto prediale dell’epoca graccana: Cic. pro Balbo Q. Scaevola ille augur, cum de iure praediatorio consuleretur, homo iuris peritissimus, consultores suos nonnumquam ad Furium et Cascellium praediatores reiciebat. Attraverso Gaio sappiamo anche cosa sia il diritto prediatorio: Gai. nam qui mercatur a populo, praediator appellatur. Il discorso tuttavia non finisce qui perché in base a Cic. de orat. apprendiamo che anche Q. Mucio il pontefice massimo aveva subito l’influenza di Panezio di Rodi: Quae, cum ego praetor Rhodum Polyb. il rapporto tra costoro iniziò da un prestito di libri e dalle conversazioni avute su di essi. Nicolai, cur., Polibio, Storie. Libri. Frammenti Roma Quadro storico in A. GUARINO, La coerenza di P. Mucio (Napoli Su P. Mucio particolari prosopografici in CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea Particolari prosopografici con fonti e bibl. In CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea] venissem et cum summo illo doctore istius disciplinae Apollonio ea, quae a Panaetio acceperam, contulissem, inrisit ille quidem, ut solebat, philosophiam atque contempsit multaque non tam graviter dixit quam facete. Il quae a Panaetio acceperam mi pare estremamente efficace18 . La corrispondenza tra il titolo di un’opera famosissima di Quinto Mucio, il Liber singularis Œron, e quella di Crisippo di Soli dimostra [insieme a D.: post hos Q. Mucius P.f. pont. max. ius civile primus constituit generatim, in libros XVIII redigendo] la vicinianza del giurista alla cultura del PORTICO. IL PORTICO ROMANO e il diritto romano Alla luce di questi dati, quindi, non stupisce se Paolo Frezza abbia dichiarato già di credere all’esistenza di una profonda influenza del PORTICO ROMANO sulla formazione e sull’evoluzione del pensiero giuridico romano. Gli esempi della fecondità di tale rapporto, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Nel rilievo che Q. Mucio Scevola dava alla bona fides si nascondono infatti i prodromi di una svolta importante per la disciplina e la struttura dei rapporti obbligatori in tema di emptio venditio e di locatio conductio Schiavone, credo con CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 1.250 ss. 19 Cfr. anche Gai. 1.188. Diog. Laert. [= SVF. App. Arnim) = Radice; SVF. (Arnim) [Radice]. Già rilevato da LEO, Geschichte der römischen Literatur. Mette in dubbio l’autenticità di quest’opera Schulz, Storia della giurisprudenza romana, che si richiama ad  KRÜGER, in St. Bonfante 2.336], ma oggi si propende per l’autenticità. v. STEIN, Reguale iuris. From Juristic Rules to Legal Maxims (Edimburg  BRETONE, Tecniche e ideologie Storia del diritto romano4 (Roma-Bari 1989), 185; C.A. CANNATA, Per una storia della giurisprudenza europea FREZZA, Rec. a M. Pohlenz, IL PORTICO. Sul rapporto tra giurisprudenza romana e filosofi stoici già il Cuiacio con dovizia di indicazioni di fonti e bibl. in J. CIUAICI, Opera. Ad Parisiensem Fabrotianam editionem diligentissime exacta in tomos XIII. distributa auctiora atque emendatiora Pars prima. Tomus primus (Prati Utile, sebbene con meno approfondimento anche J.G. HEINECCII, Historia Juris Civilis Romani ac germanici qua utriusque origo et usus in germania ex ipsis fontibus ostenditur, commoda auditoribus methodo adornata, multisque Observationibus haud Vulgaribus passim illustrata (Venetiis Cic. de off. Si v. su questo argomento LOMBARDI, Dalla fides alla bona fides Milano, FASCIONE, Cenni bibliografici sulla ‘bona fides’, in Studi sulla buona fede (Milano TALAMANCA, La bona fides nei fondatezza, ha sottolineato l’importanza e la pertinenza della già felice intuizione di Nietzsche che giudicava la bona fides del linguaggio giuridico repubblicano come una versione rielaborata in chiave ‘aristocratica e proprietaria’ (è questo il punto) della più antica fides romana. La legge agraria può essere vista, infatti, come una delle espressioni più immediate di questa nuova sensibilità dei giuristi romani verso una concezione di appartenenza dell’ager publicus distribuito ai privati in senso proprietario. Inoltre, si può leggere un legame tra gli insistenti appelli di Antìpatro di Tarso a favore del sentimento di solidarietà umana e il divieto individuato dai giuristi romani fondato sul diritto NATVRALE di approfittare dell’ignoranza del compratore. Del resto, l’impegno profuso da Aquilio Gallo, il difensore dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus malus è stato visto, insieme al rilievo della buona fede in SCEVOLA, esattamente come conseguenza di una volontà di dare maggiore riconoscimento, nell’ambito del diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dalla Stoa tra gli intellettuali romani. La sequenza evolutiva, almeno nel caso dell’aequitas, passa dal secondo giurista che fu maestro del primo, e arriva fino a Servio Sulpicio Rufo che seguì l’insegnamento dello stoico Lucilio Balbo e di Aquilio Gallo a Cercina (D. Servius institutus a Balbo Lucilio, instructus autem maxime a Gallo Aquilio, qui fuit Cercinae: itaque libri complures eius extant Cercinae confecti) giuristi romani: ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del convegno in onore di A. Burdese IV (Padova CARDILLI, Bona fides tra storia e sistema (Torino); E. STOLFI, ‘Bonae fidei interpretatio’. Ricerche sull’interpretazione di buona fede fra esperienza romana e tradizione romanistica, Napoli SCHIAVONE, Ius Per il riferimento a Nietzsche si v. Zur Genealogie der moral, Eine Streitschrift (Leipzig Genealogia della morale, in Opere, Milano Colli-Montinari. Su questi temi rinvio anche a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle scuole giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di G. Franciosi (Napoli Rinvio sul punto a O. SACCHI, Regime della terra e imposizione fondiaria nell’età dei Gracchi. Testo e commento storico-giuridico della legge agraria del 111 a.C. Napoli  v. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica SCHIAVONE, Ius SACCHI Si potrebbe anche parlare, poi, del concetto di utilitas (D.) e del suo rapporto con la nozione di iustitia (Cic. de inv.). C’è poi la nozione di matrimonio di C. Musonio Rufo, maestro stoico dell’età neroniana (autore a detta di PRISCIANO di oltre 700 libri), a cui sembra essersi ispirato direttamente Modestino (D.) con il suo celeberrimo consortium omnis vitæ. Ancora, possiamo citare il rapporto tra ius NATVRALE, ius civile e ius gentium, il famoso honeste vivere, alterum non laedere di Ulpiano [D. (Ulp. 1 regularum): Iuris praecepta sunt hæc: honeste vivere, alterum non lædere, suum cuique tribuere] e il paradigma concettuale per la teoria della legge come ente razionale obbligatorio per tutti gli uomini, che i compilatori di Giustiniano scelsero da un’opera di Crisippo di Soli. Ampio ragguaglio bibliografico sul tema in NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei guristi romani, Torino. Le parole ius, iustitia e æquitas nel mondo concettuale di Servio acquistano rilievo come espressione del ricongiungimento di legalità, legittimazione, etica e formalismo. La deduzione, ricavata da un notissimo passo delle Filippiche di Cicerone è di A. SCHIAVONE, Ius Il passo è Phil. Nec vero silebitur admirabilis quaedam et incredibilis ac paene divina eius in legibus interpretandis, aequitate explicanda scientia. Omnes ex omni ætate, qui in hac civitate intellegentiam iuris habuerunt, si unum in locum conferantur, cum Ser. Sulpicio non sint comparandi. Nec enim ille magis iuris consultus quam iustitiæ fuit. Ita ea quæ proficiscebantur a legibus et ab iure civili, semper ad facilitatem aequitatemque referebat neque instituere litium actiones malebat quam controversia tollere. D. (Modest. 1 regularum): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminæ et consortium omnis vitæ, divini et humani iuris COMMVNICATIO. Sul rapporto tra ius NATVRALE, ius civile e ius gentium mi limito a segnalare MASCHI, La concezione NATURALISTICA del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano LOMBARDI, Sul concetto di ius gentium, Roma; BURDESE, Il concetto di ius NATVRALE nel pensiero della giurisprudenza classica, in RISG. NOCERA, Ius naturale nell’esperienza giuridica romana (Milano 1962); DIDIER, Les diverses conceptions du droit NATUREL à l’oeuvre dans la jurisprudence romaine, in SDHI. ARCHI, Lex e natura nelle istituzioni di Gaio, in Scritti di diritto romano 1. Metodologia giurisprudenza. Studi di diritto privato 1 (Milano BRETONE, Storia WINKEL, Einige Bemerkungen über ius NATVRALE und ius gentium, in MJ. Schermaier-Z.Végh (ed.), Festschrift für W. Waldestein zum 65 Geburtstag (Stuttgart KASER, Ius gentium, Köln-Weimar-Wien; P.A. VANDER WAERDT, Philosophical Influence on Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and NATVRAL Law DUCOS, Philosophie, littérature et droit; S. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones (Napoli che diresse la Stoa di Atene [D.  (Marc. 1 inst.)] La nozione di res publica come effetto dell’influenza diretta del pensiero politico di Panezio. Questo elenco di dati non è certo esaustivo e può essere ancora integrato. Possiamo tuttavia affrontare due argomenti che ritengo molto significativi per dare una dimensione ancora più esatta dell’importanza del rapporto tra il PORTICO ROMANO ed evoluzione del diritto romano. Anzitutto, la nozione di stato. Panezio, per la prima volta rispetto a questo problema, mise in primo piano il momento giuridico. Lo stato è considerato dal Portico un insieme di uomini che vivono sullo stesso territorio e sono governati da una legge.  Questo enunciato è la traduzione più o meno letterale della celeberrima definizione di SCIPIONE Africano minore in Cic. de re p. Siamo in un momento di massima influenza culturale del circolo scipionico e si cerca di dare un assetto costituzionale alla res publica. perÁ nømoy: Ø nømoq påntvn ®stÁ basileÂq ueºvn te kaÁ Ωnurvpºnvn pragmåtvn? de¡ d‚ aªtØn proståthn te eµnai t©n kal©n kaÁ t©n a˝sxr©n kaÁ “rxonta kaÁ Ôgemøna, kaÁ katÅ to†to kanøna te eµnai dikaºvn kaÁ Ωdºkvn kaÁ t©n f¥sei politik©n zúvn, prostaktikØn m‚n ˘n poiht™on, ΩpagoreytikØn d‚ ˘n oª poiht™on. [D. 1.3.2 (Marcian. 1 inst.)] « Bisogna che la legge sia sovrana di tutte le cose, divine o umane. Deve sovrastare tutte le realtà buone e cattive e su di esse esercitare potere ed egemonia; deve fissare i canoni del giusto e dell’ingiusto e, per i viventi che stanno per natura in società, comanda quel che va fatto, e vieta quel che non va fatto ». Su Crisippo di Soli v. M. POHLENZ, La Stoa 39-43. Su Crisippo di Soli si v. H. VON ARNIM, sv. Chrysippos, in PW, München, coll. Dio Chrysost. or.  SVF. H.von Arnim, Radice, PORTICO Antichi, Milano]: pl∂toq Ωntr√pon ®n taªtˆ katoiko¥ntvn ÊpØ nømon dioiko¥menon. 30 Segnalo sul punto G. MANCUSO, Forma di stato e forma di governo nell’esperienza costituzionale greco-romana (Catania 1995) 73; P. DESIDERI, Memoria storica e senso dello Stato in Cicerone, in M. Pani (a cura di), Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane  (Bari) VALDITARA, Attualità nel pensiero politico di Cicerone, in F. Salerno (a cura di), Cicerone e la politica (Napoli SACCHI, La nozione di ager publicus populi Romani Cic. de re p. ‘Est igitur’, inquit Africanus, ‘res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus’. Cfr. F. CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo Stato ss. Sul significato di res publica si v. DREXLER, Res publica, SACCHI Il riferimento di Cicerone alla definizione dell’Emiliano è importante perché in essa rileva una nozione costituzionale di populus che è costruita su un’idea di legge che a sua volta è basata sul concetto di patto. Come in Papiniano D. (Papin. lib.def.): Lex est commune præceptum, virorum prudentium consultum, delictorum quæ sponte vel ignorantia contrahuntur cœrcitio, communis rei publicæ sponsio, in cui si rileva un concetto di sovranità orizzontale piuttosto che verticale. La differenza del pensiero di Panezio è tuttavia evidente anche rispetto ad Aristotele. Lo Stagirita, si limitava infatti a dichiarare che lo ‘Stato’ poteva essere la società perfetta, atta a promuovere la vita buona o migliore. Il vivere felice cui allude lo stesso  in Maia ANRW. Cosiderano res publica nel senso di ‘patrimonio comune’ ORESTANO, Il problema delle persone giuridiche (Torino KOHNS, Res publica, res populi, in Gymnasium MARTINO, Storia della costituzione romana (Napoli) Considera res publica nel senso di ‘organizzazione del popolo GAUDEMET, Le peuple et le gouvernement de la République romaine, in Labeo Gouvernés et gouvernants, in Recueil J. Bodin 23.2 (Bruxelles Per R. KLEIN, Wege der Forschung (Darmstadt Der Staat ist das Volk. Su tutto SCHMIDT, Cicero ‘De re publica’: Die Forschung der letzen fünf Dezennien, in ANRW. Si v. ora anche KOSTOVA, Res publica на цицерон. Res publica est res populi (Sofia Sul concetto di consensus si v. fra altri FRANCISCI, Arcana imperii (Milano) Forse il fatto che Cicerone (Rep.) insiste sul consensus iuris, sul vinculum iuris, ha fatto pensare che lo scrittore esponesse concetti e dottrine romane, mentre tale idea del vincolo giuridico (nømoq) era già nelle definizioni stoiche». Il governo secondo Cicerone si identifica nel consilium che è l’equivalente del platonico logistikøn e dello stoico Ôgemonikøn. Si v. per questo CANCELLI, Cicerone, Lo Stato. Non si tratta di una convenzione ARTIFICIALE come volevano la Scessi e il GIARDINO [CANCELLI, ibidem 59], né della realizzazione di un bisogno materiale come nell’ACCADEMIA [Rep.; Leg.]. E’ lo spontaneo – EX NATVRA -- sentimento che spinge l’uomo a riunirsi in società. La congregatio ciceroniana (fin.) corrispondente al f¥sei politik©n zúvn di Aristotele (pol.) che però fu recepito dagli stoici, secondo i quali, nell’uomo vi sarebbero i semina della virtù e della ‘sociabilità’ stessa: Cic. de re p.; fin.; Tusc.; Ô d| ®k pleiønvn kvm©n koinvnºa t™leioq pøliq, ˚dh pÅshq ‘xoysa p™raq t∂q aªtarkeºaq ˜q ‘poq e˝pe¡n, ginom™nh m‚n to† z∂n ’neken, o«sa d‚ to† e« z∂n. DiØ p˙sa pøliq f¥sei ®stºn, e¬per kaÁ a pr©tai koinvnºai? t™loq gÅr a‹th ®keºnvn, Ô d‚ f¥siq t™loq ®stºn? oÚon gÅr ’kastøn ®sti t∂q gen™sevq telesueºshq, ta¥thn fam‚n t¸n f¥sin eµnai „kåstoy, Æster Ωnur√poy Òppoy o˝kºaq. [Arist. pol.]: Cicerone in de off. 1.85 citando però il solo Platone. Per Panezio, invece, lo ‘Stato’ doveva essere una società basata sull’eguaglianza di diritti e mirare all’utilità comune fondata sul valore vincolante della legge. Se questo è vero, dobbiamo allora riconoscere che il filosofo di Rodi portò alla riflessione romana un dato assolutamente originale e del tutto incomparabile con altre esperienze antiche del passato e anche successive. Lo dimostra anche il confronto con un altro frammento, altrettanto famoso, del de re publica di Cicerone in cui, l’Africano minore, parafrasando Catone Censore, fa la differenza tra l’origine delle città greche e l’origine della res publica romana. Qui, forse, si coglie ancora di più il dato di novità apportato da Panezio. Catone parla del peso positivo di una tradizione (Cic. de re p. nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus), mentre Panezio, attraverso Cicerone, come abbiamo visto, parla solo del valore della legge come dato fondante (iuris consensu et utilitatis communione sociatus). Se questo è vero, sarebbe allora quantomeno da rivedere la nota affermazione per cui lo ‘Stato’/‘res publica’, e i principi che lo regolavano, avrebbero avuto origine dall’idea di Catone fondata sui mores maiorum e che questa posizione ideologica avrebbe segnato il pensiero politico romano anche negli ultimi decenni della Repubblica comunità perfetta di più villaggi costituisce la città, che ha raggiunto quello che si chiama il livello dell’autosufficienza: sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perciò ogni città è un’istituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunità che la precedono, in quanto essa è il loro fine e la natura di una cosa è il suo fine Viano (cur.), Aristotele, Politica (Milano BRETONE, Pensiero politico e diritto pubblico, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani L’idea che lo stato, e i principi che lo reggono, abbiano la loro origine nei mores maiorum, - l’idea di CATONE, - segna il pensiero politico anche negli ultimi decenni della Repubblica ». La differenza di significato è anche nel fatto che Roma era stata FONDATA DA ROMOLO  che è abile e prudens (titolare di saggezza pratica), ma non sapiens come si ritenevano i raffinati intellettuali gravitanti intorno al circolo scipionico. Cfr. Cic. de orat.; de re p. e per tutto CANCELLI, Cicerone, Lo Stato SACCHI Idea di proprietà fondiaria nel pensiero di Panezio Un altro profilo del pensiero stoico che potrebbe aver influenzato sensibilmente la riflessione dei giuristi della tarda repubblica, riguarda la nozione di proprietà. Anche questo punto credo che meriti una riflessione più attenta di quanto non si sia fatto finora. Il diritto romano, fino all’epoca dei Gracchi, come ben dimostra ancora tutto l’impianto della legge agraria conosce forme di appartenenza come la possessio dell’ager publicus, la possibilità che i lotti di terreno assegnati dal Senato venissero alienati e che i figli degli alienatari potessero ereditare dai loro padri; o che questi potessero alienare a terzi i loro cespiti immobiliari. Ma non la proprietà così come è intesa negli ordinamenti moderni che la qualificano come un diritto assoluto (o soggettivo perfetto) ovvero come la intendevano i giuristi dell’età classica, nella dottrina dei quali, la differenza tra possessio e dominum fondiario appare finalmente più nitida. Con Panezio, invece, e per la prima volta, la consapevolezza di una sostanza ontologica della nozione di una proprietà fondiaria, e la necessità di difendere tale posizione come dovere primario da parte D.  (Ulp. ad ed.): pater autem familias appellatur, qui in domo dominium habet;  (Ulp. ad ed.): Domini appellatione continetur qui habet proprietatem; pr (Nerat. regularum): Si procurator rem mihi emerit ex mandato meo eique sit tradita meo nomine, dominium mihi, ‘id est proprietas’, adqquiritur etiam ignoranti [da ricordare al riguardo che l’inciso id est proprietas è considerato una glossa da S. SCHLOSSMANN, Der besitzerwerb durch Dritte nach römischen und eutigem Rechte (Leipzig KNIEP, Vacua possessio 1 (Jena FRANCISCI, Translatio dominii, Milano; ID., Il trasferimento della proprietà (Padova BETTI, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 41 (Roma)]; CTh.: bona capite damnatorum fiscali dominio vindicare. Nel senso di dominium contrapposto a ususfructus si v. D. (Iul. digestorum): qui possessionem dumtaxat usus fructus, non etiam dominium adepti sint. Cfr. R. LEONHARD, sv. Dominium, in PW. (München) coll. Si v. ora anche indicazioni in O. SACCHI, Regime della terra e imposizione fondiaria Molto interessante il riferimento di [LEONHARD a Varro r.r.: In emptionibus dominum legitimum sex fere res perficiunt: si hereditatem iustam adiit; si, ut debuit, mancipio ab eo accepit, a quo iure civili potuit; aut si in iure cessit, qui potuit cedere, et id ubi oportuit [ubi]; aut si usu cepit aut si e praeda sub corona emit; tumve cum in bonis sectioneve cuius publice veniit. In tale fonte tuttavia, ai vari modi di acquisto della proprietà sullo schiavo, è riferito ancora il ‘parlante’ dominum secondo un uso consolidato nel linguaggio anche tecnico latino della media tarda repubblica. della res publica, vengono messe al centro di un dibattito scientifico e culturale. Per avere un’idea più precisa al riguardo, si deve fare riferimento ad alcuni noti passaggi del de officiis di Cicerone che l’Arpinate potrebbe aver tratto direttamente dall’opera maggiore di questo filosofo. Il più significativo è: Cic. de off. Sunt autem privata nulla natura, sed aut vetere occupatione, ut qui quondam in vacua venerunt, aut victoria, ut qui bello potiti sunt, aut lege, pactione, condicione, sorte; ex quo fit, ut ager Arpinas Arpinatium dicatur, Tusculanus Tusculanorum; similisque est privatarum possessionum discriptio. Ex quo, quia suum cuiusque fit eorum, quae natura fuerant communia, quod cuique optigit, id quisque teneat; e quo si quis sibi appetet, violabit ius humanae societatis. Il problema da cui parte Panezio è che la proprietà privata non esiste in natura (sunt autem privata nulla natura). Un approccio quindi comune anche al diritto romano più antico se è vero che questo aveva conosciuto ab origine, a parte il problema dell’heredium, forme di proprietà/appartenenza individuali soltanto mobiliari. Sennonchè, lo ‘stato’ e la ‘proprietà’ in Panezio hanno stessa origine e nascono da uno stesso atto storico, perché il primo nascerebbe per proteggere la seconda. In questo modo, entrambi acquisterebbero così anche una rilevanza giuridica. Guardando de off., che è un altro dei frammenti che Cicerone potrebbe aver preso direttamente dall’opera di Panezio CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo Stato 61: « Se non è lo Stato sorto per bisogni materiali dell’uomo, è però nei suoi fini primari favorire proprio anche le condizioni di benessere materiale; e la direzione dello Stato deve essere rivolta al fine di attuare il motivo stesso dell’associarsi degli uomini, Rep. che è la migliore condizione di felicità di tutti i componenti il gruppo sociale, Rep.e naturalmente la tutela stessa della proprietà privata, come si dirà in Off., Cic. de off. Sed, quoniam de eo genere beneficiorum dictum est, quae ad singulos spectant, deinceps de iis, quae ad universos quaeque ad rem publicam pertinent, disputandum est. Eorum autem ipsorum partim eius modi sunt, ut ad universos cives pertineant, partim, singulos ut attingant, quae sunt etiam gratiora. Danda opera est omnino, si possit, utrisque, nec minus, ut etiam singulis consulatur, sed ita, ut ea res aut prosit aut certe ne obsit rei publicae. C. Gracchi frumentaria magna largitio exhauriebat igitur aerarium; modica M. Octavi et rei publicae tolerabilis et plebi necessaria; ergo et civibus et rei publicae salutaris. In primis SACCHI vediamo che il tema della necessità per lo Stato di apprestare tutela alla proprietà privata viene esplicitato in modo chiaro e diretto. Leggendo Cicerone apprendiamo che coloro che sono deputati all’amministrazione dello stato (qui rem publicam administrabit) dovevano badare in primo luogo a che non ci fosse una diminuzione dei beni dei privati (ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publicae deminutio fiat). Questo perché il compito precipuo degli stati e delle città (qui l’allusione è chiaramente a de re p.: nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus) avrebbe dovuto essere quello di difendere le cose di ciascuno: Cic. de off.: Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines, tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Il rodiense su questo punto è originale anche rispetto al pensiero stoico che lo aveva preceduto perchè il problema dell’inesistenza in natura della proprietà privata, come è noto, era risolto da Crisippo con la famosa metafora del teatro, dove lo spettatore chiama suo il posto che occupa e si considera, questa, una cosa legittima. Si superava così il problema di qualificare come ‘proprio’ qualcosa che nel mondo invece si sentiva come comune a tutti.  autem videndum erit ei, qui rem publicam administrabit, ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publicae deminutio fiat. Perniciose enim Philippus, in tribunatu cum legem agrariam ferret, quam tamen antiquari facile passus est et in eo vehementer se moderatum praebuit; sed cum in agendo multa populariter, tum illud male, non esse in civitate duo milia hominum, qui rem haberent. Capitalis oratio est. Ad aequationem bonorum pertinens, qua peste quae potest esse maior? Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines, tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Cic. de fin. Sed quem ad modum, theatrum cum commune sit, recte tamen dici potest eius esse eum locum quem quisque occuparit, sic in urbe mundove communi non adversatur ius quo minus suum quidque cuiusque sit. La trasformazione del ius civile in ars iuris civilis e l’emersione del dominium quiritario A questo punto credo sia difficile negare un’influenza anche solo indiretta della riflessione paneziana sul processo di trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium quiritario in età cesariana. Il pensiero corre subito allora all’espressione dominium riferita al fondo di terra come cespite immobiliare presente in un passo di Alfeno Varo [D.  (Paul 4 epit. Alfeni dig.) Nella ricostruzione di Lenel esso si tratta del caso più tipico di esposizione di un responsum, giustificato da una necessità pratica. Ebbene, in questo frammento, la doppia locuzione dominium loci, potrebbe dirsi un apax legomenon, dato che non abbiamo testimonianze di altri giuristi coevi o anteriori in cui si ritrovi D. (lib. 4 epitomarum Alfeni digestorum): Qui duo praedia habebat, in unius venditione aquam, quae in fundo nascebatur, et circa eam aquam late decem pedes exceperat: quaesitum est, utrum dominium loci ad eum pertineat an ut per eum locum accedere possit. respondit, si ita recepisset: ‘circa eam aquam late pedes decem’, iter dumtaxat videri venditoris esset. LENEL, Palingenesia iuris civilis (Graz Sull’opera di Alfeno Varo cfr. L. DE SARLO, Alfeno Varo e i suoi digesta (Milano FERRINI, Intorno ai digesti di Alfeno Varo, in BIDR. JÖRS, sv. Alfenus Varus, in PW. (Stuttgart VERNAY, Servius et son Ecole 35 ss.; S. SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine ‘dominium’ KUNKEL, Die römischen Juristen. Herkunft und soziale Stellung SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana BRETONE, Il responso nella scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani; I. MOLNAR, Alfenus Varus iuris consultus, in Studia in honorem V. Pólay septuagenarii (Szged TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in F. Milazzo (a cura di), Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del Convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della littera Florentina. Copanello (Napoli NEGRI, Per una stilistica dei Digesti di Alfeno, in Mantovani (cur.), Per la storia del pensiero giuridico romano. Dall’età dei pontefici alla scuola di Servio. Atti del seminario di S. Marino, Torino CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea ROTH, Alfeni Digesta. Eine spätrepublikanische Juristenschrift, Freiburger Rechtgeschichtliche Abhandlungen. Neue Folge, Berlin  su cui cfr. CARRO, rec., Su Alfeno Varo e i suoi Digesta, in Index Si v. anche C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto (Milano SCHIAVONE, Ius. SACCHI un’espressione analoga . La supposizione è rafforzata dal fatto che il legislatore del 111 a.C. non usa mai, in paragrafi di legge, l’espressione dominium; inoltre, dal fatto che tale termine è assente nel lessico di Cicerone e, infine, che nel vocabolario festino troviamo la parola dominus legata a dubenus (L.) /heres (L. dunque inquadrata semanticamente nel lessico giuridico in una concezione potestativa), ma non ancora ad una definizione giuridica di proprietà. Sempre che non abbia ragione Solazzi nel considerare La vicenda dell’emersione della figura del dominium nel lessico della lingua latina e nell’ordinamento giuridico romano si può ricostruire attraverso una serie di indizi di carattere storico, giuridico, etimologico che segnano il passaggio, nella mentalità giuridica romana, della nozione giuridica arcaica di appartenenza espressa con la sequenza herus heres heredium hereditas, alla nozione di dominio assoluto espressa mediante la sequenza dubinus, duminus, dominus, dominium, dominium ex iure Quiritium. Quest’ultima indice dell’affermazione, nella mentalità giuridica romana, dell’idea di proprietà in un territorio dello stato (res publica). Per inquadrare tutto questo nella sua più esatta cornice storica bisogna valutare i termini del rapporto tra la nozione di dominium ex iure Quiritium che si rileva dalle fonti romane tecniche e non e le forme di appartenenza arcaiche fino ad una certa epoca potestas e, a livello processuale, il meum esse) di beni mobili (mancipi e nec mancipi, le ceterae res di età tardo repubblicana e di beni immobili, heredium, ager privatus, res mancipi, fundi. Sulla terminologia usata per indicare in età più antica le manifestazioni del potere del pater familias si v. COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum in età repubblicana 1 (Roma GALLO, Osservazioni sulla signoria del ‘pater familias’ in epoca arcaica, in St. De Francisci, Potestas e dominium nell’esperienza giuridica romana, in Labeo., in part. sulla nozione di proprietà romana 32 ss.; sul rapporto tra erus e dominus CORBINO, Schemi giuridici dell’appartenenza nell’esperienza romana arcaica, in Scritti Falzea MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo; TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, GARRIDO, Derecho privado romano. Casos. Acciones. Institutiones (Madrid). Il processo di affermazione del termine dominium nel lessico dei giuristi della tarda repubblica presenta in verità un percorso con andamento anomalo. Nelle opere di Cicerone sembrerebbe essere assente [cfr. COSTA, Cicerone giureconsulto (Roma FRANCIOSI, Usucapio pro herede. Contributo allo studio dell’antica hereditas (Napoli Però Festo spiega la voce heres (L.) dicendo che heres apud antiquos pro domino ponebantur [si v. G.G. ARCHI, Il concetto di proprietà nei diritti del mondo antico, in RIDA. Il dato è anche ripreso dagli eruditi giustinianei Inst.: pro herede enim gerere est pro domino gerere: veteres enim heredes pro dominis appellabant. Sennonchè Varrone, affermando in r.r. Bina iugera quod a Romulo primum divisa dicebantur viritim, quae heredem sequerentur, heredium appellarunt, stabilisce una derivazione di heredium da heres. Siamo allora già in grado di stabilire una prima connessione semantica: heres sta a heredium come dominus sta a dominium. In termini schematici abbiamo spuria la presenza della parola dominium in questo famoso passo di Alfeno Varo , nel qual caso il termine di emersione di tale figura giuridica si abbasserebbe ancora di più .  così le prime due contrapposizioni di parole in senso soggettivo/oggettivo delle prime due sequenze: heres/heredium e dominus/dominium. In base al nesso stabilito da Festo (L.) possiamo anche riconoscere un legame tra la posizione dell’heres e quella del dominus. Il che accrediterebbe l’etimologia (peraltro sin qui negata dalla dottrina: cfr. FRANCIOSI, Usucapio pro herede) di heres come un derivato da erus/herus. Lo conferma anche D.  (Ulp. ad ed.): Legis autem Aquiliae actio ero competit, hoc est domino; Serv. ad Aen. 7.490 nam (h)erum non nisi dominum dicimus; Cass. ex ps.: hereditates ab ero dicta est, id est domino. Su cui COLOGNESI, La struttura della proprietà La connessione è importante perché è un’ulteriore indizio nella direzione di riconoscere l’origine potestativa della posizione del dominus. Quanto all’etimologia di erus, questa parola è noto che significa signore era = signora. Sembra difficile pensare al gallico Ēsus che è una divinità; ovvero all’ittita eŝha (signora) che richiama l’accadico aššatu sposa o l’ebraico iššā donna. Erus sembra derivato direttamente dall’accadico ešeru legittimo: ‘colui che porta lo scettro’ che ha corrispondenti in aramaico hārā e in ebraico hōr il nobile, il libero. Cfr. sul punto G. SEMERANO, Le origini della cultura indoeuropea. Vol. 1. Rivelazioni della linguistica storica Firenze Altrettanto complesso è il problema della ricostruzione etimologica di dominus che parimenti significa signore. Si v. su questo É. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. 1. Economia, parentela, società. 2. Potere, diritto, religione, Torino tr. rist. Sul punto è interessante la glossa festina per cui alla voce dubenus (L. si legge: Dubenus apud antiquos dicebatur, qui nunc dominus. Questa fonte consente di stabilire l’etimologia di dominus in modo abbastanza affidante con un base di accadico dābinu, dappinu, dapnu nel significato di potente, dominatore. Più propriamente nel senso di dominatore ‘per titoli di valore specialmente bellico’ che, insieme all’accadico dannum nel segno di ‘potente detto di re’ o ‘di divinità’, costituisce la base semantica forse più risalente di tale vocabolo: SEMERANO, Le origini della cultura europea. Il riferimento al significato di dominatore per titoli di valore specialmente bellico è interessante perché è un dato coerente con l’uso di erus e dominus in Plauto e Terenzio nel significato di padrone di schiavi dato che in età antica la forma di procacciamento più diffusa di schiavi era la conquista bellica. Secondo COLOGNESI, La struttura della proprietà (a cui si rinvia per i passi di Plauto e Terenzio dove compare il termine dominus) la sostituzione di erus con dominus sarebbe avvenuta nel de agri cultura di CATONE. Cfr.  MARUOTTI, Proprietà assoluta e proprietà relativa nella storia giuridica europea, in Drevnee pravo-Ius Antiquum Mosca che ribadisce a p. 17 ancora la mancanza nel II secolo a.C. di vocaboli atti a esprimere compiutamente un’idea astratta della signoria giuridica su una cosa, cioè un’idea astratta di proprietà. La parola dominium, che rappresenta per l’autrice la conquista dell’astratto, sarebbe comparsa solo ad opera di Alfeno Varo (D.) o del suo maestro Servio Sulpicio Rufo, senza escludere però la SACCHI Ed allora, se crediamo che Cicerone abbia utilizzato in Cic. de off. del materiale paneziano, e non vedo come si possano superare le testimonianze di Gellio e Pliniom præf.,  possibilità che l’autore dell’espressione dominium loci riferita ad una questione di servitù prediali sia stato il giurista Paolo. Già così però FRANCIOSI, Usucapio pro herede Studi sulle servitù prediali (Napoli  riprendendo R. MONIER, La date d’apparition du dominium et de la distinction juridique des res en corporales et incorporales, in St. Solazzi PUGLIESE, Res corporales, res incorporales e il problema del diritto soggettivo, in RISG LAURIA, Usus, in St. Arangio Ruiz BRETONE, La nozione romana di usufrutto Così COLOGNESI, La struttura della proprietà In senso critico nei confronti del Franciosi v. COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum in età repubblicana, Milano Poi, però, ancora G. FRANCIOSI, Gentiles familiam habento. Una riflessione sulla cd. proprietà collettiva gentilizia, inFranciosi, cur., Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana 3 (Napoli MANZO, La lex Licinia de modo agrorum. Lotte e leggi agrarie, (Napoli SACCHI, I limiti e le trasformazioni dell’ager campanus fino alla debellatio in Ager Campanus Atti del Convegno internazionale « La storia dell’ ager campanus, i problemi della limitatio e sua lettura attuale, S. Leucio Napoli  L’ager Campanus antiquus. Fattori di trasformazione e profili di storia giuridica del territorio dalla ΜΕΣΟΓΕΙΑ arcaica alla centuriatio romana (Napoli GARRIDO, Derecho privado romano, Cfr. SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine dominium, in SDHI. Non è questa la sede per affrontare un tema complesso come quello dell’affermazione della figura giuridica del dominium ex iure Quiritium, proprietà privata immobiliare, nella giurisprudenza e nel diritto romano dell’età arcaica e repubblicana, tuttavia, sulla storia della proprietà arcaica a Roma si v. almeno WATSON, The Law of Property in the Later Roman Republic, Oxford COLOGNESI, La struttura della proprietà DIOSDI, Ownership in Ancient and preclassical Roman Law (Budapest GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano (Torino; GALLO, Potestas e dominium nella esperienza giuridica romana, in Labeo, KASER, Das Römische Privatrecht; STAERMAN, La proprietà fondiaria in Roma, in VDI. Gell. Vimercati: Legebatur Panaeti philosophi liber de officiis secundus ex tribus illis inclitis libris quos M. Tullius magno cum studio maximoque opere aemulatus est. Non esclude un’influenza diretta di Panezio neanche Francesco De Martino che ritiene possibile che questo filosofo possa essere stato fonte comune di Cicerone e Appiano. Si v. MARTINO, Motivi economici nelle lotte dei populares, in Ippolito, Nuovi studi di economia e diritto romano, Napoli. È probabile che i passi ciceroniani [Cic. de off.] derivino da Panezio, che è citato poco più sopra, il quale viveva sicuramente ancora al tempo delle agitazioni graccane e scriveva dunque sotto dobbiamo quindi riconoscere che attraverso Cicerone è possibile stabilire un legame molto stretto anche tra la nozione di proprietà privata come dominium immobiliare, la cultura stoica, e il diritto romano dell’epoca scipionico/cesariana. La cosa non sorprende se si pensa alla cd. ‘svolta ellenistica’ di giuristi come Ofilio, Trebazio e Aquilio Gallo, o allo stoicismo di Catone Uticense Lucio Elio Stilone Preconiano Il discorso sul rapporto tra Stoa e giurisprudenza romana nell’ultimo secolo della repubblica però non si esaurisce qui perché si possono aggiungere nuovi argomenti di discussione anche in ordine alla vexata quaestio della trasformazione del ius civile romano da esercizio di abilità pronetica in ars iuris civilis 49 .  l’impressione provocata da esse. Data la somiglianza degli argomenti d’Appiano e di Cicerone non è troppo ardito pensare che entrambe le fonti possano derivare da Panezio o comunque da scrittori dell’epoca, il che spiega bene la correttezza degli argomenti ». Sul punto si v. anche infra paragrafo Plin. praef. = Vimercati frgm.: Tullius de Republica Platonis se comitem profitetur, in Consolatione filiae Crantorem’ inquit ‘sequor’, item Panetius de Officiis. Cic. de fin. Nam in Tuscolano cum essem vellemque e bibliotheca pueri Luculli quibusdam libris uti, veni in eius villam ut eos ipse ut solebam depromerem. Quo cum venissem, M. Catonem quem ibi esse nescieram vidi in bibliotheca sedentem, multis circonfusum Stoicorum libris. Erat enim ut scis in eo aviditas legendi, nec satiari poterat. Parlo di svolta ellenistica seguendo IPPOLITO, L’organizzazione degli ‘intellettuali’ nel regime cesariano, in Quaderni di storia Si v. sul punto con indicazioni bibl. USSANI, Tra scientia e ars. Il sapere giuridico romano dalla sapienza alla scienza nei giudizi di Cicerone e Pomponio, in Ostraka, Mantovani, Atti del seminario giuridico di S. Marino. Per la storia del pensiero giuridico romano dall’età dei pontefici alla scuola di Servio (Torino L’ars dei giuristi. Considerazioni sullo statuto epistemologico della giurisprudenza romana (Torino ALBANESE, L’ars iuris civilis nel pensiero di Cicerone, in AUPA. Studi con Albanese, Palermo Schiavone è tornato su questo tema che era già stato al centro di un dibattito molto approfondito in storiografia. Nel suo più recente lavoro [Ius] lo studioso parte dalla ricorrenza terminologica in de oratore e in Brutus della parola ars riconducendovi, tuttavia, uno scarto di significato. Nel de oratore. Per rif. bibl. e discussione critica cfr. SCHIAVONE, Ius] ars significherebbe ancora ‘sistema’. In Brutus Cfr. per bibl. e disc. SCHIAVONE, Ius] la parola sarebbe stata usata nel significato di ‘conoscenza tecnico-specialistica di una determinata disciplina, senza alcuna SACCHI All’interno di un dibattito certamente più ampio, in questa sede mi riferirisco al ruolo svolto dalla figura di Elio Stilone Preconiano, un’intellettuale che visse proprio negli anni a cavallo tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. Fu proprio grazie a questo personaggio che a Roma si cominciò a studiare la struttura del latino. Proprio Stilone, che fu maestro di Varrone reatino, oltre che dello stesso Cicerone, sull’esempio degli alessandrini, fondò una scuola di filologia a Roma e per primo applicò l’etimologia al materiale linguistico latino mettendo in primo piano il ruolo del neologismo. Ebbene, nel processo di trasformazione del ius civile in una tèchne, insieme all’acquisizione della metodologia diairetica appresa dalle scuole filosofiche greche di varia estrazione culturale, un ruolo di primissimo piano potrebbe essere stato svolto proprio dalla metodologia filologica che trovò in Stilone e nella scuola stoica, il suo  accentuazione degli aspetti sistematici’. Alla lettera Ars traduceva sempre qualcosa che stava, in greco, tra la techne e l’epistème: nel De oratore, sottolineandone le implicazioni sistemiche; nel Brutus, il lato più genericamente gnoseologico. A mio sommesso avviso il grande salto di qualità dei giuristi romani formatisi alla scuola degli eruditi/grammatici/filosofi/linguisti di derivazione del PORTICO (che però non vuol dire rifiuto o ignoranza della tradizione filosofica precedente. Uno per tutti: Cic. Tusc. Credamus igitur Panaetio all’ACCADEMIA suo dissentienti?) è stato di passare, da una condizione di eccellenza nell’esercizio di un sapere pratico (phronètico), vicino alla forma ‘doxastica’, dove ciò che contava era la capacità di adeguare la conoscenza della norma al fatto concreto (in questo senso, saggezza), ad una ricerca di ciò che è scientificamente esatto, che appunto è campo di elezione dell’epistème. Su Elio Stilone Preconiano cfr. FUNAIOLI, Grammaticæ Romanæ Fragmenta, Stuttgart. Non come soltanto grammatico cfr. SACCHI, Il mito del pius agricola e riflessi del conflitto agrario dell’epoca catoniana nella terminologia dei giuristi medio/tardo repubblicani, RIDA. Per la posizione della dottrina prevalente su tale personaggio cfr. SINI, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C. (Torino. Sul valore che IL PORTICO ROMANO assegnava all’esatto significato delle parole si v. PARENTE, Filosofia e scienza nel pensiero ellenistico. Sulle teorie di semiotica e linguistica filosofica – filosofia del linguaggio e semantica e pragmatica del PORTICO ROMANO cfr. ATHERTON, IL PORTICO on ambiguity, Cambridge, AX, Der Einfluss der LIZIO auf die Sprachtheorie [teoria del linguaggio] der PORTICO, in Döring ed Ebert, cur., Dialektiker und Stoiker: zur Logik der stoa und ihrer Vorlaufer, Stuttgart FORSCHNER, Die Stoische Ethic. Über den Zussammenhang von Natur-Sprach und Moral philosophie im altsoischen – PORTICO ROMANO – System, Darmstadt. Sul rapporto tra le teorie linguistiche – flosofia del linguaggio, semantica, pragmatica -- di Favorino di Arles e le teorie linguistiche del PORTICO ROMANO si v. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino.] punto di massima realizzazione. E’ questo un argomento che non credo sia stato ancora sufficientemente approfondito in dottrina. A supporto di tale ipotesi si può richiamare un frammento famosissimo del de oratore, in cui CICERONE, attraverso Crasso, parlando degl’Æliana studia, rievoca con nostalgia le lezioni e i corsi tenuti da questo maestro. A leggere con attenzione le sue parole, sembra che in questo caso CICERONE stia facendo un discorso apologetico su ciò che si potrebbe considerare anche una testimonianza del primo approccio allo studio del diritto romano articolato in chiave storica. Un modello, fra l’altro, che pare sensibilmente diverso nella sostanza dallo schema isagogico offerto dal celeberrimo trattatello pomponianio: Cic. de or. Accedit vero, quo facilius percipi cognoscique ius civile possit, quod minime plerique arbitrantur, mira quaedam in cognoscendo suavitas et delectatio. Nam, sive quem haec Æliana studia delectant, plurima est et in omni iure civili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem vitamque declarant. Insieme a questo, vanno considerate altre situazioni che sono tipiche del periodo che stiamo trattando. Mi riferisco alle dispute tra i giuristi repubblicani sul significato della penus legata, agli adeguamenti terminologici del testo decemvirale e anche al complesso Schiavone Ius, in una messa a punto molto interessante, pare voler superare il giudizio negativo e minimizzante di Fritz Schulz sul rapporo tra filosofia greca e giuristi romani. Sul punto, già con riferimento al contributo stoico, si v. la posizione di Paolo Frezza per cui rinvio a retro. Da tener presente anche BRETONE, Uno sguardo retrospettivo. Postulati e aporie nella History di Schulz, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani [Festschrift für Franz Wieaker zum Geburstag (Göttingen che affronta il problema discutendo il cosiddetto ‘secondo postulato’ di Schulz, ossia l’isolamento della scienza giuridica. Significativa la seguente affermazione È nota la sensibilità grammaticale [cf. GELLNER on H. P. GRICE], ancora tutta da indagarem di parecchi fra i giureconsulti. Come gli antiquari e i filologi, essi praticano la ricerca delle etimologie. Ma non è la ricerca delle etimologie, con tutto ciò che sottintende, carica di significato filosofico?  Sul metodo diairetico si v. C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea Per la penus legata cfr. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, in Studi E. Betti 4 (Milano) 652 ss. (indicazioni bibl. SINI, A quibus iura civibus praescribebantur (con altre indicazioni bibl.) SACCHI problema della incorporazione tra lex e interpretatio. Bisogna anche aggiungere che Elio Stilone fece molto probabilmente un commento alle XII tavole. Ed allora, senza la svolta determinata dagli studi di filologia importati dalla Grecia e sviluppatisi intorno alla figura di Cratete di Mallo, che fu appunto maestro di Panezio e Stilone, sarebbe semplicemente impensabile che i giuristi romani si fossero potuti occupare di questioni del genere55 . 9. Lessus, bona fides e dominium quiritario: ars diventa scientia. Qualche esempio pratico forse può aiutare a chiarire meglio il discorso che sto facendo. Il primo, che per la verità è forse poco più di una suggestione, riguarda la storia della parola lessus che è causa di  [Sul tema dell’incorporazione tra lex e interpretatio cfr. BRETONE, I fondamenti; FRANCIOSI, Due ipotesi di interpretazione formatrice: dalle dodici tavole a Gai. e il caso dell’usucapio pro herede, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo (Napoli SACCHI, L’antica eredità e la tutela. Argomenti a favore del principio d’identità, in SDHI.; ID., Il privilegio dell’esenzione dalla tutela per vestali (Gai.). Elementi per una datazione tra innovazioni legislative ed elaborazione giurisprudenziale, in RIDA. I seguenti frammenti di carattere lemmatico mi paiono sufficienti per giustificare l’ipotesi avanzata nel testo: GRF. (Funaioli)  [Cic. top.]: is est assiduus, ut ait Aelius, appellatus ab aere dando; GRF. (Funaioli) [Cic. de leg.]: L. Aelius lessum [suspicatur] quasi lugubrem eiulationem, ut vox ipsa significat; GRF. (Funaioli) 36 [Fest.]: sonticum morbum in XII significare ait Aelius Stilo certum cum iusta causa; GRF. (Funaioli)  [Fest.]: transque dato nota vit Aelius in XII significare traditoque; GRF. (Funaioli) [Paul.-Fest.]: endoplorato implorato, quod est cum quaestione inclamare; GRF. (Funaioli) [Paul.-Fest.; Cic. de leg.]: forum – cum is forum antiqui appellabant, quod nunc vestibulum sepulchri dici solet; GRF. (Funaioli)  [Prisc.]: ELIO: inpubes libripens esse non potest neque antestari, prodiamartyreϑ∂nai; GRF (Funaioli) [Plin.]: inde illa XII tabularum lex: ‘qui coronam parit ipse pecuniave eius, virtutis suae ergo duitor ei’. Quam servi equive meruissent, pecunia partam lege dici nemo dubitavit. Quis ergo honos? ut ipsi mortuo parentibusque eius, dum intus positus esset forisve ferretur, sine fraude esset inposita; GRF. (Funaioli) [Fest.]: viginti quinque pœnae in XII significat viginti quinque asses. Sul punto v. anche O. SACCHI, Il mito del pius agricola Sullo stoicismo di L. Elio Stilone cfr. Cic. Brutus: Sed idem Aelius Stoicus esse voluit. un interessato dibattito sin dall’epoca più antica56 . Sappiamo da Cicerone che un versetto delle XII tavole (neve lessum funeris ergo habento) stabiliva che la donna romana avrebbe dovuto conservare la sua dignità di fronte al dolore per un familiare scomparso: Cic. de leg. Hoc veteres interpretes Sex. ELIO, L. ACILIO non satis se intellegere dixerunt, sed auspicari vestimenti aliquod genus funebris, L.Aelius lessum quasi lugubrem eiulationem, ut vox ipsa significat; quod eo magis iudico verum esse, quia lex Solonis id ipsum vetat. Il retore, come è noto, tornerà sul punto nelle Tusculanae Cic. Tusc. Ingemescere non numquam viro concessum est, idque raro, eiulatus ne mulieri quidem; et hic nimirum est ‘lessus’, quem duodecim tabulae in funeribus adhiberi vetuerunt. Come si vede due espertissimi esegeti antichi, Sesto Elio e Lucio Acilio , misurandosi sul significato di tale vocabolo confessarono di non comprenderne il significato (non satis se intellegere dixerunt) e avrebbero tradotto lessus nel significato di ‘abiti da lutto’ (auspicari vestimenti aliquod genus funebris). Cicerone, invece, dichiarando apertamente di seguire Stilone, dimostra di aver optato per il significato di ‘lugubre pianto’ (lessum quasi lugubrem eiulationem). Lessus, in sostanza, avrebbe il significato di ‘nenia funebre. Si v. con rif. bibl. essenziali SINI, A quibus iura praescribebantur Ritorna sul tema IPPOLITO, Problemi storico-esegetici delle XII tavole Napoli che rileva l’uso di genus in accezione diairetica e riconduce da parte d’Elio il termine lessus nel circoscritto ambito degli abiti funerari e quindi di un oggetto. Lo studioso napoletano [citando BONA, La certezza del diritto nella giurisprudenza tardo-repubblicana, in La certezza del diritto nell’esperienza giuridica romana] ipotizza che Stilone possa aver ragionato prendendo come riferimento l’opera canonizzata da Sesto Elio.Acilio fu detto sapiens nella stessa epoca di Catone Censore [Cic. de leg.; Lael.; P. in D. accettando l’emendazione di P. Atilius in L. Acilius. Così COSTA, Storia delle fonti del diritto romano (BRETONE, Cicerone e i giuristi, in Techniche e ideologie dei giuristi romani, Rimarchevole per me che un altro Acilio, senatore, fa da interprete innanzi al senato in occasione della famosa perorazione di Carneade, Diogene e Critolao ricordata anche da Cic. Acad.; Tusc.; Plut. Cato; Gell. Et in senatum quidem introducti interprete usi sunt Acilio senatore. SACCHI La soluzione di Elio Stilone, come è noto, prevalse. E la ragione è forse meno complicata di quanto si sia ritenuto finora. La spiegasione di Stilone fu probabilmente solo quella scientificamente più corretta ed è possibile che di questo Cicerone fosse pienamente consapevole. Non quindi una scelta fatta dall’Arpinate in base ad un confronto che avrebbe fatto lo stesso Stilone con le norme soloniche; né una soluzione al problema interpretativo sulla considerazione che Cicerone sarebbe stato convinto che la norma attribuita alla decima tavola avesse delle ascendenze soloniche. Il ragionamento che Federico Maria d’Ippolito fa al riguardo è sicuramente corretto. Se la soluzione interpretativa proposta da Stilone, e accolta da Cicerone quando attese alla compilazione del de legibus e quando scrive le Tusculanae disputationes, avesse prevalso per la sua corrispondenza all’omologa prescrizione solonica, Sesto Elio e Lucio Acilio non avrebbero avuto problemi interpretativi e, aggiungerei, non avrebbero sbagliato in modo così vistoso. La soluzione evidentemente va cercata in altra direzione, che, per altro, non è certo quella onomatopeica. La parola lessus o le lezioni lausum e losum indicate dal Lipsio commentando il famoso passo del Truculentus plautino in cui Theti con il suo lamento lessum fecit filio, infatti potrebbe derivare da una lingua di ceppo semitico, dato che in ebraico lahas significa strazio. Ebbene, uno dei maggiori esponenti dello stoicismo (alla cui scuola si formarono proprio Panezio e Stilone) è Crisippo di Soli, che aveva delle origini semitiche, e scrisse, come Stilone, un trattato sulle proposizioni giudicative. Evidentemente, senza l’influenza della cultura stoica, il problema del significato etimologico di lessus sarebbe rimasto per i Romani insoluto. La via  [Così BOESCH, De XII Tabularum lege a graecis petita citato d’IPPOLITO, Forme giuridiche di Roma arcaica3 (Napoli IPPOLITO, Forme giuridiche di Roma arcaica Plaut. Truc. Theti quoque etiam lamentando pausam fecit filio. Questa versione è quella accolta da LINDSAY, T. Macci Plauti Comoediae II (Oxonii che segue l’integrazione di VALLA (si veda), ma Schoell restituisce lausam e il codice Palatino lausum. Nell’edizione di ANGELIO (traduzione e note di), Le Commedie di M. Accio (sic!) Plauto (Venezia) si legge: Thetis quoque etiam lamentando lessum fecit filio, così tradotto: « A questo modo Tetide, piagnucolando, cantò ancor la nenia ad Achille suo figlio. Si v. sul punto SEMERANO, L’infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco (Milano LE NOZIONI DI STATO E DI PROPRIETA IN PANEZIO Revue Internationale des droits de l’Antiquité  giusta è suggerita invece attraverso l’analisi dei corretti significati che fu, come abbiamo visto, uno dei temi dominanti di influenza della cultura medio-stoica. Una realtà che, dobbiamo presumere, non risparmiò neanche il campo dell’interpretazione giuridico/antiquaria. Il secondo esempio riguarda la teoria della fides bona nei giuristi della scuola muciana dell’età tardo repubblicana. Bretone spiega molto bene come la fides bona (ovvero la pistis) sia rientrata nel campo semantico della fiducia perchè frutto di un pensiero giuridico evoluto. Esemplari sul punto le parole di Bretone. Come la pistis, anche la fides bona rientra nel campo semantico della fiducia. Tutti i contratti del diritto commerciale, e non solo la compravendita, hanno nella ‘buona fede’ la norma che fonda il vincolo e misura la responsabilità. Non è un valore giuridico del tutto nuovo, ma acquista ora una grande portata. Nella buona fede, un pensiero giuridico evoluto potrà individuare l’elemento comune di istituti diversi, anche nella stessa tradizione civilistica. Si potrebbe ipotizzare che la teoria della fides ciceroniana, come valore assolutamente originale per le conoscenze giuridiche dell’epoca medio/tardo repubblicana, non sia frutto solo dell’ingegno di pochi, ma anche conseguenza dell’incontro tra la filosofia stoica e le conoscenze dei giuristi romani. La questione va storicizzata. Pensiamo al contributo offerto per l’evoluzione del ius civile dalla scuola dei Mucii Ebbene, la nota teoria della fides ciceroniana sul valore del giuramento richiama proprio l’altrettanto nota teoria muciana sull’importanza della fides per la struttura dei rapporti obbligatori della emptio venditio e della locatio conductio. Ai tempi di Plauto era in voga ironizzare sulla graeca fides. I giuristi di quella che all’epoca di Scipione Africano minore si credeva fosse una nascente res publica (ma finse di crederlo anche Ottaviano Augusto) tentarono però di costruire nuovi schemi giuridici confortati proprio da nuovi schemi teorici provenienti dalla Grecia. Anche questo un segno della maturazione dei tempi. Dobbiamo rifarci, allora, ancora al famosissimo frammento del de officiis ciceroniano in cui il retore fa un discorso sul concetto di fides come ‘obbligo di onestà sostanziale’ che è un concetto che si fonda BRETONE, Storia del diritto romano Sulla scuola dei Muci cfr. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica proprio sulla nozione di fides/pistis. Cicerone in questo caso rileva con enfasi e consapevolezza: « un significato profondo in tutti quei giudizi arbitrali in cui è aggiunta la clausola ‘secondo buona fede’, ex fide bona. Resta quindi solo l’eco della fides arcaica intesa nel senso descritto prima, in un’ottica pertanto marcatamente ideologica, circostanza che Gellio, in un altro passo famoso, coglie peraltro molto bene66 . Possiamo pensare a questo punto all’influenza del pensiero stoico data la forte incidenza dell’ethos nel modo di impostare il problema da parte di Cicerone, cosa di cui peraltro ci dà anche una chiara testimonianza Gellio. La cosa non deve sorprendere se si pensa che la riflessione ciceroniana è tratta dal de officiis che, a sua volta, sarebbe stato ispirato ampiamente (almeno i primi due libri in modo quasi letterale) al PerÁ toy kau¸kontoq, Sul dovere morale, di Panezio. Se non bastassero i chiarissimi riferimenti di Plinio e Gellio, citati prima68 , è lo stesso Cicerone che elimina ogni  [Rinvio per questo a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle scuole giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di Franciosi Napoli Cic. de off. Sed, qui sint boni et quid sit bene agi magna quaestio est. Q. quidem Scaevola, pontifex maximus, summam vim esse dicebat in omnibus iis arbitriis, in quibus adderetur ‘ex fide bona’. Il virgolettato è di BRETONE, Storia del diritto romano. Il significato della nozione di buona fede pertanto nelle parole di Cicerone si slarga fino a diventare operante: nelle tutele, nelle società, nei patti fiduciari, nei mandati, nel comprare e nel vendere, nel locare: tutti rapporti nei quali si manifesta la vita comune di tutti gli uomini -- fideique bonae nomen existimabat manare latissime, idque versari in tutelis, societatibus, fiduciis, mandatis, rebus emptis, venditis, conductis, locatis, quibus vitae societas contineretur. Si v. su questo ancora BRETONE WIEACKER, Zum Ursprung der bonae fidei iudicia Fra l’altro in questo passo rileva anche un uso suggestivo del termine maiores: Gell. Omnibus quidem virtutum generibus exercendis colendisque populus Romanus e parva origine ad tantae amplitudinis instar emicuit, sed omnium maxime atque praecipue fidem coluit sanctamque habuit tam privatim quam publice. Hanc autem fidem maiores nostri non modo in officiorum vicibus, sed in negotiorum quoque contractibus sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae usu atque commercio. Sul punto si v. FEDELI, Il De officiis di Cicerone. Problemi e atteggiamenti della critica moderna, in ANRW. (Berlin dubbio al riguardo: de off.: sequimur igitur hoc quidem tempore et hac in quaestione potissimum Stoicos; de off. erit autem haec formula Stoicorum rationi disciplinaeque maxime consentanea. Come non citare, infine, Lattanzio che afferma Nella sua casa di Pozzuoli, Cicerone rivolgendosi ad Attico, dichiara esplicitamente che i primi due libri del de officiis sono deliberatamente ispirati al libro paneziano (ta perÁ toy kau¸kontoq quatenus PANEZIO, absolvi duobus) e che lo stesso titolo corrisponde alla translitterazione del titolo dell’opera paneziana. Quod de inscriptione quaeris, non dubito quin perÁ toy kau¸ kontoq ‘officium’ nisi quid tu aliud.; sed inscriptio plenior De officiis). Quanto al terzo libro del de officiis, mi pare che non si posa seriamente dubitare che sia stato ispirato dall’opera di Posidonio, maggiore allievo di Panezio, ancorchè mediata dall’epitome di un altro filosofo stoico che corrisponde al nome di Atenodoro di Tarso. A tutto questo va aggiunto che il noto frammento ciceroniano del de officiis potrebbe essere attribuito al pensiero di Panezio come mostra di credere Vimercati: de off., Vimercati: Fundamentum autem est iustitiae fides, ‘is est dictorum conventorumque constantia et veritas. Cic. ad Att. Haec ad posteriorem. perÁ toy kau¸ kontoq quatenus Panaetius, absolvi duobus. Illius tres sunt; sed cum initio divisisset ita, tria genera exquirendi offici esse, unum, cum deliberemus honestum an turpe sit, alterum utile an inutile, tertium, cum haec inter se pugnare videantur, quo modo iudicandum sit, qualis causa Reguli, redire honestum, manere utile, de duobus primis preclare disserit, de tertio pollicetur se deinceps scripturum sed nihil scripsit. Eum locum Posidonius persecutus est. Ego autem et eius librum arcessivi et ad Athenodorum Calvum scripsi ut ad me ta kefålaia mitteret; quae expecto. Quod de inscriptione quaeris, non dubito quin kau∂kon officium sit nisi quid tu aliud; sed inscriptio plenior De officiis. Sono da considerare in questo quadro anche: Cic. de off.  [Vimercati  Alesse. Fides autem ut habeatur duabus rebus effici potest, si existimabimur adepti coniunctam cum iustitia prudentiam. Nam et iis fidem habemus quos plus intellegere quam nos arbitramur quosque et futura prospicere credimus et, cum res agatur in discrimenque ventum sit, expedire rem et consilium ex tempore capere posse; hanc enim utilem homines existimant veramque prudentiam; e de off. [Vimercati Alesse. Iustis autem et fidis hominibus, id est bonis viris, ita fides habetur ut nulla sit in iis fraudis iniuriaeque suspicio. Itaque his salutem nostram, his fortunas, his liberos rectissime committi arbitramur. Harum igitur duarum ad fidem faciendam iustitia plus pollet, quippe cum ea sine prudentia satis habeat auctoritatis, prudentia sine iustitia nihil valeat ad faciendam fidem. Quo enim qui versutior et callidior, hoc invisior et suspectior detracta opinione probitatis. Quam ob rem intellegentiae iustitia coniuncta quantum volet habebit ad faciendam fidem virium. Iustitia sine prudentia multum poterit, sine iustitia nihil valebit prudentia. Specialmente nel primo di questi due frammenti, dove si dà rilievo alla posizione di coloro che mostrano si sapere e di avere competenza in quello che fanno, è immediato il riferimento a Senofonte (mem.) che dimostra quanto Panezio (e quindi Cicerone) si fosse ispirato, fra l’altro, nella sua concezione del dovere, anche a modelli socratici. Cfr. GARBARINO, Il concetto etico-politico di gloria nel div. inst.: Ab his definitionibus (n.d.r., virtutis), quas poeta (n.d.r., Lucilius) breviter comprehendit, Marcus Tullius traxit officia vivendi Panaetium Stoicum secutus eaque tribus voluminibus inclusit. Quanto al rapporto tra pensiero filosofico della media stoa e la scuola dei Muci, le fonti dimostrano che questo è stato molto stretto e non se ne può dubitare. Basti ricordare, l’illius tui di Licinio Crasso riferito a Panezio nei confronti di Mucio Scevola del celebre frammento del de oratore di Cicerone: Cic. de orat. [= Vimercati Alesse. Audivi Crassus enim summos homines, cum quæstor ex Macedonia venissem Athenas florente Academia, ut temporibus illis ferebatur, cum eam Charmadas et Clitomachus et Aeschines optinebant. Erat etiam Metrodorus, qui cum illis una etiam ipsum illum Carneadem diligentius audierat, hominem omnium in dicendo, ut ferebant, acerrimum et copiosissimum; vigebatque auditor Panaeti illius tui [= Scaevola] Mnesarchus et peripatetici Critolai Diodorus, de officiis di CICERONE, in Tra Grecia e Roma. Temi antichi e metodologie moderne, Roma; ERSKINE, The Ellenistic PORTICO. Political Thought and Action, London; ALESSE, cur. Panezio di Rodi, Testimonianze, Napoli. Insieme a questi, POHLENZ, La Stoa, ricorda: l’altro genero di Lelio, insieme a Mucio Scevola, Gaio Fannio; il nipote di Scipione Emiliano, Quinto Elio Tuberone; Publio Rutilio Rufo -- Cic. Brutus Habemus igitur in Stoicis oratoribus Rutilium; Marco Vigellio e il nipote di Scevola, Quinto Mucio Scevola il pontefice massimo, l’antagonista di Crasso nella causa curiana; inoltre, Spurio Mummio (Cic. Brutus: Spurius autem nihilo ille quidem ornatior, sed tamen astrictior; fuit enim doctus ex disciplina Stoicorum) e Manio Manilio. L’elaborazione dell’editto provinciale, fatta da Q. Mucio con l’aiuto di Rufo (che poi Cicerone riprende nel suo impianto di base) è rimasto proverbiale (e non a caso inviso ai publicani) come esempio di intransigenza stoica. Sull’esistenza di un rapporto strettissimo tra Stoa e pensiero giuridico romano dell’età cesariana non si può quindi dubitare. La questione della fides, e del suo rilievo morale, come espressione di un nuovo sentimento etico, potrebbe quindi essere visto come uno dei tanti riflessi che l’influenza del pensiero stoico produsse nelle persone di cultura a Roma a partire dal secondo secolo a.C. Cfr. sul punto specifico CARDILLI, Bona fides tra storia e sistema con riflessioni anche sul pensiero labeoniano. Ora anche A. SCHIAVONE, Ius L’impegno profuso da Aquilio Gallo, il difensore dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus malus è stato visto, insieme alla considerazione della buona fede in Quinto Mucio Scevola, esattamente come conseguenza di una volontà di dare maggiore rilievo, nell’ambito del diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dal Portico tra gli intellettuali culturalmente L’ultimo esempio ci consente di tornare alla nozione di proprietà fondiaria di cui parlavamo prima e di avviarci anche rapidamente alla conclusione. Proprio attraverso Varrone, seguiamo infatti una traccia sottile che attesterebbe un collegamento diretto tra la metodologia filologico antiquaria di Elio Stilone e i giuristi dell’età ciceroniana. Tale traccia porta fino a Servio Sulpicio Rufo e alla sua scuola che Cicerone, come sappiamo, considerava all’avanguardia. In un noto frammento di Gellio sulle favissae Capitolinae è attestato uno scambio di corrispondenza proprio tra tale giurista e Varrone e si riconosce in Servio curiosità grammaticale e un gusto antiquario di marcato stile varroniano: Gell. Servius Sulpicius iuris civilis auctor, vir bene litteratus, scriptis a VARRONE rogavitque, ut rescriberet, quid significaret verbum, quod in censoris libris scriptum esset. Id erat verbum favisæ Capitolinæ. Allo stesso modo, Alfeno Varo, Servi Sulpicii discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, risulta coinvolto in una questione filologico-esegetica sul rapporto etimologico tra i termini purum e putum -- Gell. Se queste testimonianze sono attendibili, si potrebbe dire allora che la generazione dei giuristi dell’età cesariana seppe trasformare in realtà concreta ciò che all’epoca del circolo del terzo SCIPIONE si potè  più sensibili della società romana. In questo senso mi pare molto indicativa la seguente testimonianza di VARRONE sulle conseguenze delle deliberazioni del pretore in giorni nefas: Varro l.L. Praetor qui tum factus est, si imprudens fecit, piaculari hostia facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius abigebat eum expiari ut impium non posse. Cic. Brutus Sulla scuola di Servio Sulpicio Rufo v. BRETONE, Il responso e la scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani Cfr. SCHIAVONE, Ius. Gell. Alfenus iureconsultus, Servii Sulpicii discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, in libro digestorum tricesimo et quarto, coniectaneorum autem secundo: « in foedere » inquit « quod inter populum Romanum et Carthaginienses factum est, scriptum invenitur, ut Carthaginienses quotannis populo Romano darent certum pondus argenti puri puti, quaesitumque est, quid esset ‘purum putum’. Respondi » inquit « ego ‘putum’ esse valde purum, sicuti novum ‘novicium’ dicimus et proprium ‘propicium’ augere atque intendere volentes novi et proprii significationem. SACCHI solo teorizzare. Forse non si riuscì a determinare l’ideale della res publica che rimase un modello meramente teorico, però si portò a termine il processo di trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium quiritario che fu uno dei problemi che afflisse di più gli intellettuali del circolo scipionico, se è vero quanto Manio Manilio riferisce di Gaio Lelio sul suo interesse ad applicare al diritto romano la distinzione tra ciò che era ‘proprio’ e ciò che era ‘di altri.  Sono veramente alla conclusione e vorrei citare uno dei più grandi maestri della filologia moderna, August Boeckh. Questi ha scritto, in termini solo apparentemente paradossali, che i popoli o gli individui ‘colti’, avendo evidentemente la consapevolezza di un passato da custodire e da tramandare, sentirono inevitabilmente, come segno di maturità, l’esigenza di filologhéin (filologe¡n). Popoli incolti e privi di senso della tradizione, poterono al più, filosoféin (filosofe¡n). Riflettendo su quanto detto finora, questa affermazione forse ci conduce direttamente al cuore del problema. I giuristi romani degli ultimi due secoli della repubblica, sia pure con diverse sfumature di approccio, seppero infatti sentire l’esigenza di filologhéin. Lo dimostra la cura con cui il testo delle XII tavole e conservato fino all’epoca di Sesto Elio e ancora discusso e interpretato in epoca scipionico-cesariana. Opere di taglio giuridicofilologico, come quelle di Lucio Acilio, Elio Stilone, Aquilio Gallo e [Mi riferisco a Q. Elio Tuberone, l’allievo di Ofilio, che riconobbe a Cesare e Pompeo la volontà di salvare insieme la res publica come fine della loro contentio dignitatis (Suet. Iul.). Augusto aveva adibito il principio della concordia cesariano-pompeiana come postulato necessario per la costruzione della sua idea di res publica appoggiata dagli intellettuali dell’epoca cesariana. In questo quadro si chiariscono le famose parole riferite da Macrobio ad Augusto in cui si definisce Catone Uticense buon cittadino perché non voleva che si modificasse l’ordine costituito (Macr. sat. de pervicacia Catonis ait: quisquis praesentem statum civitatis commutari non volet et civis et vir bonus est). Ampio ragguaglio sui vari tipi di costituzione teorizzati negli ambienti colti romani dell’epoca scipionica in CANCELLI, CICERONE, Lo Stato Cic. de rep. Tum Manilius: Pergisne eam, Laeli, artem inludere, in qua primum excellis ipse, deinde sine qua scire nemo potest, quid sit suum, quid alienum? Su Lelio come stoico v. anche Cic. Lael. BOECKH, Enzyklopädie und Methodenlehre der philologischen Wissenschaften, Leipzig, MASULLO, La filologia come scienza storica, cur. Garzya, Napoli]. Verrio Flacco e le incursioni non sporadiche di Servio e di Alfeno Varo in questo campo, ne sono una chiara dimostrazione. I filosofi stoici smisero di considerare (come l’ACCADEMIA) la filosofia come il tutto di fronte alle parti e fecero entrare tale disciplina in rapporto con la scienza parziale. L’attività della giurisprudenza romana, da usus consolidato nella prassi (cavere, agere e respondere) ed espressione di un sapere -- si potrebbe dire, alla greca phronètico -- seppe invece trasformarsi in ars. E questo, probabilmente, non soltanto grazie all’uso della diairetica, cioè delle metodologie importate dal mondo culturale ellenico, ma anche per effetto dell’applicazione della filologia allo studio del diritto. Mi diverte allora pensare, e concludo, che i giuristi romani potrebbero essersi comportati da ‘colti’, a differenza dei filosofi greci, che sembrerebbero essere rimasti confinati per sempre nel loro meraviglioso, ma forse ‘incolto’, isolamento. Parafrasando Nietzsche. Quae philosophia fuit, facta philologia est. Inutile dire che in questo caso il filologo/filosofo tedesco si sta richiamando ad un passaggio delle Epistulae di Seneca che fu uno degli esponenti migliori dello stoicismo romano del periodo post paneziano M. ISNARDI PARENTE, Techne. Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro, Firenze. Sul significato del concetto di ars si v. retro nt. Sen. ep. V. anche M. POHLENZ, Il Portico. Sulla figura di Nietzsche filologo rinvio alle belle pagine di M. GIGANTE, Classico e mediazione. Contributi alla storia della filologia antica, Roma, [=in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli]. Pompeo

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The uncle of Pompeo, the general. He is well versed in the Portico and a man of considerable learning, especially in the area of geometry. Sesto Pompeo.

 

Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A statesman and general ultimately defeated in the civil war against GIULIO (si veda) Cesare. A pupil of Posidonio at Rome. It is said that this tutelage had a great effect on him – “It changed my life” -- but it is not clear to what extent Pompeo himself became a follower of the Portico. Gnaio Pompeo Magno.

 

Grice e Pomponazzi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale materiale - l’affair Pomponazzi – la scuola di Mantova -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Flosofo italiano. Mantova, Lombardia. Important Italian philosopher. Studia a  Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico del Lizio. Scrive il “Trattato dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione” (Grataroli, Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus de immortalitate animae,” in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. É condannato da Leone X a ri-trattare la sua tesi. Non ri-tratta. Si difende con la sua Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De immortalitate animae libellus di NIFO (si veda), in cui sostiene la distinzione tra verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da ARDIGÒ (si veda). Evita ogni problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici del LIZIO, l'anima è l'atto – entelechia -- primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri umani comprendono.  La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto possibile o passivo è la capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile e soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dis-soluzione del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera. I parepatetici del LIZIO a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo. Va ricordato che per AQUINO (si veda) nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura – simpliciter -- immortale, ma per un certo aspetto -- secundum quid -- mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano.  Trae spunto da una discussione con RAGUSEO (si veda) il quale, avendo sostenuto che la teoria d’AQUINO sull'anima non si accorda con quella aristotelica del LIZIO, lo prega di provare le sue affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fanno bene gl’antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini, né puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molte-plice, non determinata ma bi-fronte – ancipitis -- media fra il mortale e l'immortale. Questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro. Vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello sensitivo e con’AQUINO, ri-levando che l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei corpi. La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte. È capovolta la tesi fondamentale d’AQUINO. L'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso assoluto -- aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter. E ricorda che per Aristotele e il LIZIO l'anima non è creata dal divino. Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi,  mentre per quanto attiene i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e alle ricompense ultra-terrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus provoca clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'apologia, dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di NIFO (si veda), professore di filosofia a Padova. Panizza chiede a P. se possono esserci cause sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di Aristotele del LIZIO, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per spiegare molti fenomeniche si sono verificati.  Dobbiamo spiegare questi fenomeni con cause naturali, senza ricorrere al demonio. É ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non puo esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con ABANO (si veda) o con Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con gl’angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo che un corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto che di per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni. Al tempo degl’idoli non c'è maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non è giunta la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima. Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che ha colto la natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino considera miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati dal divino stesso. Se il divino crea l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, è paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e determinato dall'agire degl’astri e il divino agisce indirettamente muovendo questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali dell'uomo? Nel divino, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini, che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini, a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Il portico sfugge facilmente alle difficoltà facendo dipendere dal divino l'atto di volontà. Per questo l'opinione del Portico appare molto probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione. Se il divino odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro il divino? E questa è una posizione molto peggiore di quella del Portico. Il Portico dice infatti che il divino si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria del divino, che puo fare diversamente ma non vuole, mentre secondo il Portico il divino fa così perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e limpidissima. Il suo discorso è preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, è grave e posato. Nulla tenero con gl’uomini di chiesa, isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo spirito ironico e motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teo-logi e i prelati con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa. Epperò un filosofo è un dio terreno, tanto lontano dagl’altri come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico. Trattati peripatetici del Lizio  (Milano, Bompiani);  Nardi (Firenze, Monnier); Badaloni, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); Zannier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia);  Garin, Aristotelismo o lizio veneto, Peripatetici veneti” (Padova, Antenore);  Sgarbi, “Tra tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); Vitale, “Un aristotelismo problematico: il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia. Post expositiouem primi textus primi De auima Petnis Pomponacins miiltas movet  quaestioues,  quarum  prima  est: Numquid  sit  verum  quod  peripatetici  dicuut  animam  scilicet  esse  subiectum.  Chartae In  qua  materia  suut  tres  opiniones.  Prima  est  Alberti  de  Saxouia  quod  corpus animatum  est  liic  subiectum  et  non  anima:  et  ratio  quia  illud  est  subiectum  de  quo probantur  passiones  et  proprietates.  Sed  hic  iuvestigantur  passiones  corporis  auimati, crgo.  Anterior  est  nota;  et  bvevior  probatur,  quia  sentire  moveri  et  nutriri  sunt  passiones corporis  animati,  et  forte  intelligere;  si  quis  euim  dicat  animam  sentire,  diceret  etiam tessere  (sic)  vel  filare  (sic).  Item  corpus  animatum  hic  consideratur  quod  uon  fieret nisi  esset  hic  subiectum. Alia  est  opinio  P.  V.  et  Apollinaris  dieentium  quod  ex  hoc  libro  De  anima,  et es  Pavvis  naturalibus  et  ex  libro  De  animalibus  integratur  unus  liber,  cuius  est  as- signare  duo  subiecta,  subiectum  quod,  scilicet  corpus  aniraatum;  et  subiectum  quo, scilicet  auimam:  ei  colorant  etiam  dicentes  quod  sicut  in  libro  Physicae  corpus  rao- bile  est  subiectum,  tamen  in  primis  libris  naturaUbus  principia  naturalia  sunt  sub- iectura.  Sic  in  proposito  est,  quia  anima  est  per  quam  fiunt  operationes,  et  est  subie- -ctum  qim;  covpus  vero  auimatum  est  subiectuoi  qivod. Tertia  opinio  est  omniura  bene  sentientium. AIexander,  Theraistius,  Averroes.  ROMANO (si veda);  et  videtur  etiam  quod  sit  mens  Aristotelis,  quod  dat  definitionem  de  anima et  investigat  passiones  et  proprietates  eius.  Non  tameu  dico  quod  est,  ut  demoustro; mihi  tamen  magis  phicct.  Et  Aristoteles  hoc  ubique  videtuv  diceve  quod  sit  anima. Advationes:  «illud  est  subiectum  etc»  respondetur  quod  illse  passiones  probantur de  composito  et    aniraa:  ut  autem  auima  est  principium  istavum  passiouum,  istffi passiones  sunt  auimae  ut  quo,  covpovis  autem  ut  quod. Ad  secundum:  covpus  animatum  non  est  hic  cousidevatum  ut  de  eo  pvobentuv passiones  eius;  sed  ut  est  subiectum  animae,  et  ut  ponituv  in  eius  definitione:  et  si (!)  NICOLETTI (si veda) (-)  rasura  in  coJice. propter  hoc  ipsum  esset  subiectum,  cuiuscumque  scientiae  possemus  assignare  infinita subiecta. Ad  argumentum  P.  V.  dico  quod  argumentum  supponit  falsum  quod  corpus  ma- teriale  sit  subiectum  in  libro  Phj^sicae,  imo  principia  uaturalia  sunt  ibi  subiectuin. Quem  locurn  occupet  iste  Liber.  Quaestio  secunda. Haec  est  secunda  quaestio  mota  in  prima  textus  sic de  ordine  liuius  libri,  quem- nam  locum  obtiueat  iste  liber  inter  ceteros  libros  pliilosophiae  naturalis.  Ordo  enim necessarius  est  iu  scientiis.  et  loquor  hic  de  ordine  doctrinae,et  nou  perfectionis;  quia ordine  perfectionis  est  primus  iste  liber. Ch.  2  recto  In  hac  materia  sunt  opinioues.  Avicenna  in  Naturalibus,  qucm  fere  omnes  latiui insequuutur,  tenet  quod  sit  sextus  in  ordine;  et  ponunt  lil)rum  De  plantis  in  septirao loco,  et  librum  De  animalibus  in  ultimo  loco.  Huic  sententiae  multi  adversautur. De ordine  priorum  omnes  conveuiunt,  quia  Aristoteles  ponit  illiim  ordinem  in  principio Metaphysicorum.  De  aliis  vero  disseutiimt. Averroes  in  primo  Metaphysicorum  tenet  quod  liber  De  plantis  et  De  auimali- bus  praecedat  librum  De  anima;  et  ita  volunt  Graeei.  Isti  tamen  discordant  inter  se, quia  Averroes  in  loco  citato  vult  quod  liber  De  plantis  praecedat  librum  De  animalibus.  Alii  vero  volunt  oppositum;  et  ratio  est  quia  volunt  quod  liber  De  animalibus praecedat  librum  De  anima,  quia  partes  animalium  et  animalia,  plantie  et  partes  plantarum  habent  se  ut  materia  respectu  animae:  materia  autem  est  prior  forma.  Amplius  in  definitione  animae  plantae  et  animalia  ponuutur;  et  sic  secuudum  istos  liber  De  aui- ma  est  nou  sextus  in  ordine. Isti  autem  bipartiti  sunt,  quia  aliqui  volunt  quod  liber  De  aninialibus  ponatur in  sexto  loco  et  liber  De  plautis  in  septimo:  et  adducunt  pro  se  dictum  Aristotelis in  libro  Metaphysicorum,  ubi  dicit:  «determinato  de  motu,  oportet  determinare  de  animalibus  et  plantis.  Ecce  quod  ponit  librum  De  animalibus  ante  libram  De  plantis;  et ratio  est  quia  a  notioribus  incipiendum  est;  sed  sic  est  quod  organa  in  animalibus sunt  notiora  quam  organain  plantis,  quia  tantum  cognoscimus  organa  in  plantis  per  si- militudinem  ad  animalia.  Unde  Aristoteles  hic  in  secundo  huius  dicit,  quod  radices assimilantur  ori;  et  ista  est  opinio  Themistii  et  Graecorum. Alia  est  opinio,  quam  tenet  Averroes  in  Paraphrasi  Metaphysicorum,  quod  liber De  plantis  praecedat  librum  De  animalibus;  et  ratio  sua  est,  quia  natura  teudit  de  im- perfecto  ad  perfectum:  ideo libro  De  plautis  quae  sunt  imperfectiores  auimalibus  debet praecedere  liber  De  animalibus. Quae  autem  istarum  opinionum  sit  verior  indicium  est  difficile,  nec  multi facio  hoc.  Tamen  Avicenna  in  libro  dicto  dicit,  quod  si  alius  alium  fecerit  ordinem non  multi  facit:  et  Averroes  in  loco  dicto  dicit,  quod  si  quidem  est  ordo  neeessarius sicut  in  principiis,  in  aliis  vero  non.  Dico  tamen  unum,  quod  secunda  opinio  mihi magis  placet,  et  videtur  magis  consoua  veritati.  Quod  autem  Avicenna  non  loquatur ad  mentem LIZIO,  patet  in  extremis  verbis  De  motu  animalium,  ubi  dicit:  «dixi- mus  de  animalibus  et  plantis»:  et  iu  calce  libri  De  longitudine  et  brevitate  vitae  dicit: «perfecto  libro  De  auima  et  Parvis  naturalibus,  est  perficere  scientiam  de  animalibus». Hoc  autem  non  esset  si  adhuc  sequeretur  liber  De  animalibus.  Scieudum  quidem  quod ista  clicta  possent  glosari:  sed  glosa  destruit  textum,  quia  Aristoteles  fuit  ordinatissimus. Quare  videtur  dicendum  quod  post  librum  De  mineriis  ponatur  liber  De  animalibus; deiude  liber  De  plantis;  deinde  liber  De  anima. Ad  opposita  autem  respondehir  quod  Avicenna  et  alii  recte  dicuut  loquendo  de ordine  naturae;  sed  uotandum  est,  ut  beue  dicit  Aristoteles  qiiinto  Metaphj-sicorum, quod  non  est  semper  uude  natura  incipit,  unde  etiara  apparet  nobis:  quia  autem  liber De  nnimalibus  est  faeilior,  imo  dicitur  liistoria  quae  aeque  nota  est  grammaticis  ac  phi losophis,  ideo  ab  eis  liber  incipit. Ad  Averroem  similiter  dicendum  est  quod  verum  est  quod  ordine  naturae  imper- fecta  praecedunt  perfecta;  sed  quia  nou  possumus  coguoscere  plantas  nisi  cognoscamus organaearum:baec  antem  uon  suutcognitanisicognitis  organis  aniraalium, hoc est quare liber De anlmalibus  praecedit.  Et  LIZIO  primo  Metaphysicorum  praepouit  librum  De animalibus  libro  De  plautis:  et  ita  habet  textus  graecus.  Consuli  enim  ego  Graecos  in  hoc. Nobilitas  scientiae  a  quo  sumatur. Quaestio  est  a  quo  sumatur  magis  nobilitas  scientiae,  an  a  nubilitate  subiecti, an  a  certitudine  demoustiationis,  vel  aequaliter  ab  ambobus. Thomas  eleganter  dicit  quod  irapossibile  est  quod  aequaliter  ab  arabobus  suma- tur,  quia  sunt  diversarum  specierum;  et  quia  suut  diversarum  specierum,  habent  se secundum  prius  et  posterius.  Sed  est  dicendum  quod  magis  sumitur  a  nobilitate  subie- cti;  et  ratio  est  quia  snbiectum  est  essentia  rei;  modus  autem  declaraudi  est  instru- menti'.m  adventicium  superadditum  rei,  sicut  qualitas  quaedam;  ergo  magis  sumitur  a noliilitate  subiecti.  Et  LIZIO  inprimo  De  partibus  animaliura,  capite  ultimo,  dicit: «  melius  est  scire  modicum  de  honorabilibus,  etiam  si  topiee  illud  sciamus,  quam  mul- tum  scire  de  ignobilioribus  etiam  demonstrative». Sed  coutra  argumentatur,  quia  si  a  nobilitate  subiecti  sumitur  nobilitas  scientiae, sequitur  quod  scientia  de  Deo  esset  infiuitae  perfectionis.  Consequentia  probatur,  quia sicuti  se  habet  subiectum  ad  subiectum,  ita  scientia  ad  scieutiam.  Assumo  ergo  scien- tiam  de  auima,  quae  cum  sit  aliquants  perfectionis,  situtunum:  et  probo  quod  scientia de  Deo  est  infinita,  quia  proportio  Dei  -ad  animam  est  infinita;  ergo  et  scientia  de  Deo est  iufinita.  Apollinaris  rospoudet,  et  est  responsio  Tlioraae  in  3.  Contra  gentiles  ubi quaerit  an  scientia  de  Deo,  quae  habetur  in  patria,  sit  iufinitae  perfectiouis,  Isti  qui  te- uent  scientiara  capere  nobilitatem  a  subiecto,  negant  iliam  similitudiuem,  quia  illa scieutia  est  in  intellectu  humano  qui  finite  apprehendit,  Ista  responsio  non  placet  multis,  quia  'dato  quod  Deus  sit  infinitus  et  scientia  sua  finita,  sequeretur  quod  daretur aliqua  cognitio  alicuius  creaturae  uobilior  coguitione  Dei.  Sit  euim,  verbi  gratia,  co- gnitio  quae  habetur  de  Deo,  ut  octo;  cognitio  vero  de  anima  sit  ut  unum:  et  cum  quae- libet  cognitio  ipsius  Angeli  sit  perfectior  cognitione  ipsius  animae,  erit,  verbi  gratia, cognitio  Angeli  ut  duo:  et  cum  Deus  quocumque  Angelo  dato,  perfectiorem  eo  possit producere  Angelum,  ita  perfectum,  ut  eius  proportio  ad  animam  no.^tram  erit  ut  decem; et  ita  cognitio  talis  Angeli  erit  perfectior  cognitione  de  Deo.  Et  hoc  est  maximum  in- conveuiens.  Sed  uoscitur  quod  uullum  horum  argumentorum  procedit  secundum  Phi losophum,  quia  Philosophus  tenet  Deum  esse  finiti  vigoris;  nec  posse  producere  Angelura novum,  nec  addere  sibi  illam  perfectiouem,  quia  ea  quae  faMt  necessario  facit. Quomodo  sclcntia  dc  anhna  cxccdat  alias  ccrtitudinc  dcinonstrationis. Quæstio  est  qiiomodo  scientia  de  aiiima  excedat  alias  scientias  certitudine  demon- strationis, utdicithic Averroes; cumtaraenipsemet AveiToessecnndo Metapliysicorumconi- mento  ultimo  dicit  qnod  demousti-ationes  matheraaticae  suntin  primo  gradu  certitudinis, naturales  vero  sequuntur;  et  habet  ibi  LIZIO  quod  astrologia  et  mathematica  non  est in  omnibus  expetenda,  et  in  primo  lletaphysicorum  enumerans  conditiones  sapientiae dicit  quod  ipsa  habet  demonstrationes  certiores:  quare  videtur  contradictio  et  ideo  de- bemus  conciliare  ista  dicta. In  oppositum  est  Averroes  hic,  pro  quo  est  notum  quod  AQUINO (si veda)  et  Averrois  ex- positio  non  se  compatiuntur  ad  invicera.  Dicebat  enim  AQUINO (si veda) certitudinem  de  ani- ma  ideo  esse  quia  eani  in  nobis  experimur,  et  si  sic,  expositio  Averrois  uon  potest stare,  nec  potest  dictum  Averrois  verificari,  quum  hac  ratione  etiam  scientia  de  ani- malibus  et  libri  Parvorura  naturalium  excederent  alias  scientiss,  quum  certiores  de talibus  reddamur,  quia  in  nobis  experimur  ea;  et  etiam  scientiam  divinam  excederent, cum  de  intelligentiis  parum  aut  nihil  sentiamus,  nec  eas  in  nobis  experimur.  Dato ergo  hoc,  non  tamen  scientia  de  anima  haberet  hoc  privilegiura.  nec  etiam  divina  scien- tia  excederet  hoc  modo  alias  scientias.  Xec  etiam  si  teneamus  expositionem  Themistii, dictum  Averrois  potest  verificari;  dicit  enim  Themistius  certitudinem  de  anima,  quia  con- sideratur  de  intellectu  qui  omnium  est  regula  et  mensnra;  sed  hac  ratione  etiam  ista scientia  excoderet  divinara.  quum  divina  non  considerat  de  intellectu  nostro.  Sequendo autem  expositiouem  istorura  patet  solutio  ad  argumeutum  et  ad  contradictionem.  Ad primum  dicitur  quod  aequivocatur  de  certitudine  hic  et  ibi,  quia  in  hoc  loco  dicit  qiiod scientia  de  anima  est  certa  certitudine  obiecti,  quia  est  de  rebus  in  nobis  existenti- bus,  et  in  secundo  Metaphysicorum  loquitur  de  alia  certitudine.  scilicet  demonstra- tionis.  Et  iu  aequivocis  non  est  contradictio. Ad  secundum  respondetur  ponendo  distinctionem  quoad  uos  et  quoad  naturam. Mathematica  est  de  maxime  notis  naturae sed  volendo  salvare  dictum Averrois  dicemus  certitudiuem  demonstrationis  duplicem  esse,  quoad  nos  et  quoad  na- turam:  talis  distiuctio  est  manifosta  ex  primo  Posteriorura  sexto.  Dicitur  notior  quoad nos,  quia  est  minus  diibia  nobis:  quoad  naturam  veio  est  cognitio  rei  quae  de  se est  manifesta,  sed  si  nos  lateat,  hoc  est  ex  defectu  nostri  et  non  sui,  ut  dicitur  secundo  Metaphysicorura  textu  coraraenti  primi;  et  ita  dico  quod  mathematicae  quoad  nos sunt  in  primo  gradu  coguitionis,  qiiia  causae  eorum  sunt  nobis  certiores  quam  eft'c- ctus,  abstrahunt  enim  a  motu;  et  ideo  Philosophus  sexto  Ethicae,  cap.  nono,  dicit  quod pueri  possunt  bene  in  matheraaticis  iustrui,  et  ab  hoc  doctrinales  dicuntur  cum  bene possunt  doceri.  In  secundo  autera  loco  ponuntur  naturalia  cum  in  eis  ab  eifectu  sen- sibili  noto  in  cognitionem  causae  deveniauius:  sed  cuni  effectus  sint  variabiles,  uuum  et idem  a  diversis  causis  poterit  provenire.  Unde  erunt  plura  media  ad  unam  conclusio- nem,  quia  naturalia  non  possunt  esse  ita  certa  sicut  inathematica  tantum  unum medium  habentia,  sed  divina  ipsa  (scientia)  in  ultirao  loco  est  ponenda  cum  sub  nullo sensu  cadant  ipsa  abstracta;  et  ita  uec  de  causa  noc  de  effectu  eorum  sumus  uaturaliter certi.  Sed  si  volumus  loqui  de  cognitione  quoad  naturam,  est  totaliter  ordo  praepo- sterus;  et  in  primo  loco  divinam  collocabimus  taraquam  perfectiorem,  et  quae  est  ma- ioris  entitatis;  iu  secundo  voro  loco  pouetur  naturalis  quae  firraiorem  entitatem  habet ipsis  matliematicis;  et  iuter  eas  scientia  de  anima  est  primum,  qiiia  anima  iutellectiva habet  tirmius  esse  omnibus  a  natiirali  consideratis,  et  est  certior  in  se:  licet  quoad nos  sit  oppositum,  et  propter  lioc  forte  LIZIO  vocat  scientiam  de  auima  liistoriam, propter  non  esse  tantam  certitudinem  de  illa  sicut  de  aliis.  Et  ita  hie  vult  Commen- tator  habere  scientiam  de  anima  quoad  naturam  excedere  omnes  alias  sciontias  prae- ter  divinam,  cum  anima  ipsa  sit  perfectioris  entitatis  omnibus  generabilibus  et  cor- ruptibilibus:  et  ita  patet  solutio  quia  est  aequivocatio  de  demonstratione. Sed  si  diceret  Commentator:  diiisti  matheniaticam  quoad  nos  esse  certiorem;hoc  vi- detur  falsum,  quia  mathematica  est  de  sensibili  communi,  naturalis  vero  de  seusibili proprio.  Sed  iuxta  Philosophum  secundo  huius,  sensibile  commune  non  habetur  nisi per  proprium  seutiri;  ergo  et  quoad  nos  naturalis  erit  certior.  Tum  etiam  quia  ma- thematica  procedit  demonstratione  propler  quocl naturalis  vero  demonstratione quia;  demonstratio  autem  quia  est  notior  nobis  demonstratiouQ,  pro/iter  quod.  Ergo. Item  exemplum  de  astrologia  et  geometria  non  accomraodatur  nisi  de  notitia quoad  nos;  quomodo  ergo  Averroes  loqui  potest  de  notitia  quoad  naturam?  Item  idem esset  dicere  habere  nobilius  subiectum  et  certitudinem  demonstrationis  quia  unum  de- pendet  al)  altero.  Ad  primum  respondetur  quod  licet  naturalis  scientia  sit  de  obie- cto  certiori,  non  tamen  eius  scientia  erit  certior,  eum  esse  obiectum  certum  dicat  tan- tum  cognitionem  simplicem:  sed  esse  scientiam  certiorem  dicit  relationem  causae  super effectum,  et  ita,  licet  obiectum  scientiarum  materialium  sit  minus  uotum  quoad  nos,  ta- men  eorum  causae  sunt  magis  notae  et  sensatae  quoad  nos,  ex  quibus  procediraus.  Et  hoc  nou  videnmt  moderni. Ulterius  est  alia  dubitatio,  penes  quod  attendatur  certitudo  quoad  nos  et  quoad uaturam.  Respondetur  quod  certitudo  quoad  nos  habet  attendi  penes  notitiam  causae  su- per  effectum,  et  per hoc excludunturoranes velquasi  omnes  dubitationes;quod  si  aliquando procedamus  ab  effectu  super  caiisam,  est  via  indirecta,  et  sodomitica  proprie  dici  debet, et  semper,  sive  a  causa  sive  ab  effectu  procedamus,  a  notioribus  nobis  procedimus;  sed diversimode;  aliquando  enim  in  mathematicis  procedimus  a  notioribus  nobis,  et  na- turae,  aliquando  solum  ex  uotioribus  uobis,  numquam  a  notioribus  uaturae  tantum. Utrum  spectet  ad  naturalem  considerare  de  anima. Dicendum  igitur  est  aliter  quod  consideratio  de  omni  anima  est  naturalis.  De vegetativa  et  sentitiva  uon  est  dubium;  sed  tota  lis  est  de  intellectiva;  quod  si  tenea- mus  eam  mortalera,  ut  teuuit  Alexander,  clarum  est  hoc  quia  educitur  de  potentia materiae:  sed  quia  haec  opinio  est  falsa,  ideo  relinquo  eam. Dicimus  ergo  quod  sive  intellectus  sit  unus,  sive  plures,  est  naturae  ancipitis,  et  Cb.  iMccto est  medium  inter  aeterna  et  non  aeterna,  quia  natura  vadit  ab  extremo  ad  extremum cum  medio  videmus  ut  in  animalibus;  suut  enim  quaedam  auimalia  media  inter plantas  et  animalia,  ut  spungiae  marinae,  quae  habent  do  natura  plantarum,  quae  sunt afBxae  terrae,  habent  etiam  de  natura  animali  pro  quanto  sentiunt. Similiter  inter  T6  «/o-i.    [)  TiiVi. 13 Ch.  14  lecto animalia  est  simia,  de  qua  est  dubium  an  sit  liomo  an  auimal  brutum;  et  ita  ani- ma  intellectiva  est  media  inter  aeterna  et  non  aeterna:  et  ideo  ACCADEMIA ponebat  eam  crea- tam  in  horizonte  aeternitatis.  Quibus  stantibus,  oportet  ponere  eam  duplicis  naturae  et habere  duplicem  operationem.  unam  nuUo  modo  depeudeutcm  a  corpore,  et  hoc  patet  secuudum  tiilem  in  anima,  et  etiamsecuudumP!atonem,utinfra  determinabimus  de  mente Aristotelis  et  Averrois  tenendo  autem  quod  sit  unica.  Habet  etiam  operationem  dependentem  a  corpore,  de  qua  non  est  dubium:  quo  stante  patet  quod  non  est  consi- deratio  ic  dictis  Aristotelis,  quia  si  anima  est  naturae  ancipitis,  partim  est  de  con- sideratione  naturalis;  in  quantum  mobilis  et  trausmutabilis,  est  physicae  considerationis; in  quautum  vero  ad  sUam  operationem  separatam,  est  considerationis  divinae;  et  haec  opi- nio  mihi  videtur  concordare  ciun  dictis  Aristotelis  il)i.  Mihi  autem  contingit  quod dicit  Hieronymus  quod  contingit  de  se:  «multi  latrant  in  foro  contra  me,  et  scripta  mea legunt  et  honorant  iu  thalamo  »;  nam  concurreutes  nostri  ascribunt  sibi  nostra. Numquid  scientia  de  anima  sit  difficillima. Ex  quibus  sequitur  quod  nihil  intelligitur  nisi  sit  iu  actu:  anima  enim  intel- ligit,  et  non  nisi  reclpiendo;  nihil  autem  movet  nisi  quod  est  in  actu:  quod  si  aliquid occurrat  uostro  intellectui  quod  non  sit  in  actu,  per  accidens  intelligitiir,  sieut  est materia  prima.  quae  non  est  in  actu,  vel  parum,  saltem  ita  ut  non  sit  suflBciens  mo- vere  intellectum  de  se,  sed  per  suffragia  et  intellectiones  aliorum  iutelligitur.  Quia autem  omnia  non  sunt  in  actu  aequaliter,  sciendum  est  quod  quaedam  sunt  in  actu perfecto,  ut  merito  debilitatis  intellectus  nostri  nequeant  intelligi,  sicut  Deus  et  Intelligentiae,  suut  euim  hic  in  maximo  actu:  imo  Deus  est  totus  actus.  Unde  quamvis intellectus  noster  sit  iu  pura  potentia,  et  abstracta  sint  multum  activa,  non  est  cre- dendum  quod  intellectus  possit  ea  recipere,  quia  intellectus  uoster  est  debilis  ita  ut non  possit  tautum  lumen  sustinere,  ideo  non  movetur  ab  ipsis:  et  propter  hoc  poetae fingunt  quod  luppiter  quando  accedebat  ad  aliquam  mulierem,  deponebat  suam  divinitatem.  Sic  est  de  intellectu  nostro,  quamvis  non  sit  in  pura  potentia;  quia  tamen  est delnlis  entitatis,  non  potest  recipere  maximum  lumen  Intelligentiarum  et  Dei  qui  est purus  actus:  et  iioc  maxime  est  verum  secundum  fidem  quae  tenet  Deum  esse  infiuiti  vigoris.  Aliqua  autem  sunt  quae  etsi  sint  in  actu,  tamen  intellectus  non  potest illa  recipere  ratione  debilitatis  quam  in  se  iucludunt  talia  entia,  et  ex  hoc  non  pos- sunt  agere  in  intellectu  nostro,  sicut  sunt  motus  et  tempus,  de  quibus  dicitur  quod non  sunt  apta  intelligi  ratione  debilitatis  eorum,  non  autem  ratione  intellectus.  Re- linquitur  ergo  quod  media  iuter  ista,  sicut  proportionata  intellectui  nostro  et  ex  parte modi  cognoscendi  et  ipsius  obiecti,  sunt  intelligibilia  ab  iutellectu  nostro;  et  hoc  est quod  dicit  Phiiosophus  secundo  Metaphysicorum  textu  commeuti  noni,  quod  ditficultas cognosoendi  in  nobis  nascitur  vel  ex  parte  rei  cognitae  vel  ex  parte  modi  cognoscendi; ideo  dicitur  ibi  quod  sicut  se  habot  oculus  noctuae  ad  lumen  solis,  sic  intellectus nostor  ad  manifestissima  in  natura.  Intellectus  ergo  bene  cognoscit  intermedia  quae ipsi  suut  proportionata.  Aliud  est  advertendum,  quod  ex  quo  anima  intellectiva  est naturae  ancipitis  inter  bruta  et  abstracta,  non  intelligit  nisi  cum  admiuiculo  sensuum iuxta  illud:  «necesse  est  quemcunque  intelligentem  phantasmata  speculari».  Ex  quo sequitur  quod  quae  offeruntur  sensui  a  nobis  faciliter  possunt  intelligi,  quae  non  pu- tantur  difficulter:  et  ista  difficultas est ex  parte  nostri  modi  coguoscendi,  quia  nounisi per  sensum  cognoscimus.  Aliud  etiam  est  notum,  quod  triplex  est  anima,  vegetativa sensitiva  et  intellectiva.  Stantibus  liis,  dico  quod  metapliysica  est  in  supremo  gradu difficultatis;  et  ratio  est  clara  ex  praedictis,  quia  difficultas  creatur  in  nobis  ex  eo  quod non  sumus  capaces  tanti  luminis  quautum  est  Intelligentiarum  ct  Dei,  qui  in  metapiiysica  considerantur.  Ad  hoc  accedit  secunda  ratio,  quia  iutellectus  noster  uon  intelligit  nisi  per  fenestras  seusuum,  quae  vero  in  metaphysica  considerantur  sunt  re- motissima  a  sensu.  Sed  dices:  nonne  abstracta  habent  accideutia  per  quae  possunt  cogno- sci,  ut  motus  et  tempus?  Respoudeo,  ut  beue  dicit  Comraeutator,  quod  ista  aceideutia  non ducunt  in  cognitionem  Dei  et  aliarum  lutelligentiarum  ut  sunt  de  consideratioue  nie- taphysici,  sed  ut  de  uaturali:  aeternitas  euim  niotus  creat  notitiam  naturalem:  quod enim  sunt  Intelligentiae  pertinet  ad  naturalem ;  metaphysicus  autem  considerat  altiores operationes  lutelligentiarum;  non  quia  est  sed  propter  quid  Intelligeutiarum  considerat. Utrum  dentur  universalia  realia. Praestat  maius  perscrutandum,  quia  dicit  LIZIO universale  aut nihil  est aut  posterius  est. Quomodo  est  de  ipsis  universalibus,  an  dentur  univcrsalia  realia;  et  ut  obtrun- ceraus  obtruucanda  et  dicamus  dicenda,  quatuor  occuriunt  opiniones,  quas  intendo  de- clarare  cum  suis  fundameutis.  Prima  est  opinio  Platonis,  quae  volebat  quod  in  rebus uaturalibus  singulae  speciei  corresponderetur  sua  idea  quae  esset  aeterna.  Ista  vera  sin- gularia  dependentia  suut  propter  participationem  illius  ideae.  Et  ista  talis  idea  est  quae vere  intelligitur  et  quae  vere  scitur,  et  quantumcumque  habeatmultas  ratioues  por  se, tamen  adducemus  solum  secundas  (sequentes?)  omues  alias  comprehendentes. L’ACCADEMIA,  ut  bene  recitat  LIZIO  decimo  libro  Metaphysicorum ,  imaginatus  est illara  idealeni  formam,  primo  ut  salvaret  gcnerationem;  quia  ut  bene  ad  lougum  habet videri  iu  duodecimo  Metaphysicorura  textu  coramenti  tertii  et  decimoctavo,  cum  videmus Socratem  generari  mortuo  patre,  tunc  quaerebat  a  quo  generatur  Socrates.  Non  enim  a patre,  quia  ille  nou  est:  nihil  enim  agit  nisi  ut  est  in  actu;  non  a  virtute  semiuali, quia  est  imperfecta;  nihil  autem  agit  ultra  gradum  proprium;  quare  oportet  recurrere ad  ideam  quae  est  vere  agens,  Quod  si  hoc  est  verum  de  genitis  per  propagatio- nem,  idem  erit  de  genitis  per  putrefactionem.  Similiter  est  dicendum  de  inaniraatis. Secunda  ratio  ACCADEMIA  ad  ponendum  ideas  fuit  ex  parte  scientiae  et  raodi  intelligendi: nam  aliquando  intelligimus  naturam  horaiuis  in  se  esse  risibilem,  et  ita  quia,  ut  manifestum  est,  possumus  intelligere  hominera  in  uuiversale  absque  intellectione  singu- larium.  Ista  ergo  inteilectio  aut  est  vera,  aut  falsa.  Non  falsa,  esset  enim  inconve- niens  iutellectus  ficticie  operari;  ergo  est  vera;  ergo  aliquid  correspoudet  ei  iu  re. Non  singularia;  ergo  ideae.  Ratione  etiam  scientiae,  quum  scientia  dittert  ab  opinione: quia  opiuio,  ut  singularium  et  contingentium,  non  potest  esse  scientia,  sed  tantum opinio;  ergo  alicuius  perpetui  erit  scientia,  et  talis  est  idea  secuudum  universale: ergo.  Hanc  opiniouem  damnat  Aristoteles  primo  et  septimo  Metaphysicorura;  prinio quum   destruit   generationem  univocam;  ni.m  ideae  sunt  aeternae,  siugularia  vero siint  corrtiptibilia;  modo  si  comiptibile  ab  iucoiTuptibile  geiieratur,  ergo  genera- tio  uou  est  univoca,  quia  generabile  et  iucorruptibile  differuut  plusquam  genere. Secundo,  frustra  fit  per  plura  quod  potest  fieri  per  pauciora,  et  aeque  bene;  en- tia  euim  non  sunt  multiplicanda  sine  necessitate;  Sed  generatio  potest  absque  ideis salvari,  quum  sol  et  homo  generant  hominem:  ergo.  Tertio,  ista  opinio  destruit  modum intelligendi;  quando  volo  iutelligere  aliquid  artificiale,  universaliter  iwssum  iutelligere; Ch.  25vccto  et  nou  posuit  Plato  aliquam  ideam  iu  artificialibus.  Quarto,  positis  ideis  destruitur scientia,  quia  potest  sciri  idea,  et  non  ideata:  quod  probatur,  quum  definitio  est  prin- cipium  determinationis,  et  definitio  debet  praedicari  de  definito;  idea  autem  uon  prae- dicatur  de  ideatis;  ergo  ideata  non  sciuntur;  vanum  est  ergo  ponere  ideas  ut  sciantur ideata,  quia  non  possunt  sciri. Secunda  opiuio  est  realium,  quae  est  monstruosior  prima,  quam  numquam  potui recipere,  cuius  iuveutores  fuerunt  Buridauus,  NICOLETTI (si veda) et  Scotus,  qui  voluerunt quod,  seclusa  omni  operatione  intallectus,  detur  universale  reale.  Qiiod  probant:  quum scientia  est  de  ente  reali,  ergo  subiectum  vel  erit  universale,  vel  singulare:  uon  sin- gulare,  quum  siugularium  non  est  scientia  ut  singularia  sunt;  ergo  istud  erit  uuiversale. Secundo,  intellectus  in  prima  sui  apprehensione  intelligit  universale,  quia  uni versale  est  obiectum  intellectus;  sed  non  potest  dici  quod  tale  universale  sit  causa- tum  ab  iutellectu,  qu'a  uumquam  fuit  ab  iutellectu  uisi  nunc;  ergo  tale  universale est  reale:  et  sic  dicendum  est  de  omnibus. Tertio,  desiderium  est et  potius  in  universali  et  non  huius  vel  illius;  sed  de- sideriura  est  ad  reale:  ergo  datur  universale  in  re. Quarto,  contractus  est  universalium,  quum  emptio  frumenti  nou  limitatur  ad  hoc vel  illud  frumentum,  sed  ad  frumentum  iu  generale.  Contractus  tiutem  non  fiunt  de couceptibus,  sed  de  realibus. Quiuto,  Socrates  et  Piato  magis  conveniunt  quam  Socrates  et  Brunellus:  sed  ista convenientia  non  est  conceptuum,  imo  realitatum Secunda  consideratio  est  quod  universale  reale  realiter  distin- guitur  a  singulari;  quae  consideratio  probatur  sic :  illa  non  sunt  idem  realiter,  de qnil'iis  praedicantur  contradictoria;  sed  universale  et  singulare  sunt  huiusmodi ; ergo  distinguuntur.  Auterior  patet,  et  brevior  probatur;  quia  universale  est  aeternum, et  singuhre  corruptibile:  universale  non  est  de  numero  siugularium,  uam  universalia praedicantur  de  pluribus,  singularia  nou.  Et  in  his  duabus  considerationibus  videtur convoniri  cum  opinione  ACCADEMIA.  Tertia  consideratio:  licet  uuiversalia  sint  realia et  realiter  distincta  a  singularibus,  nou  tamen.  propter  hoc  universalia  sunt  separata a  suis  singularibus  loco  et  subiecto;  patet  es  dictis  Averrois  septimo  Metapliysicorum textu  commeuti  trigesimiprimi:  Mi.xtio  universalis  cum  siugulari  est  fortior  mixtione accidentis  cum  subiecto.  Secunda  raiio:  si  universalia  esseut  separata  a  singularibus, non  videretur  quomodo  possent  declarare  essentiam  singulariura;  et  hoc  est  in  quo Aristoteles  arguit  ACCADEMIA.  Est  ergo  consideratio  responsalis  ad  quaet.itnm  quod  universalia  sunt  res  distinctae  realiter  a  singularibus. Ista  secunda  opinio  raihi  videtur  in  extremo  moustruositatis,  non  intelligibilis: nam  si  haec  natura,  ciuam  ponunt  isti,  esset  iucorporea,  adhuc  posset  esse  tolerabilis, quiim  f.d  minus  posset  iutelligi  sicut  unicns   intellectus  Averrois,   quamvis esset  una  cbimera.  Sed  ista  opinio  iudicio  meo  vult  quod  sit  una  natura  communis verbigratia  liominis,  quod  sit  in  re,  et  eadem  in  me,  et  quod  sit  composita  ex  ma- teria   et   forma, et quod   sit   in   diversis   locis.   Hæc milii   videtur   una  fatuitas. Unde  videtur  milii  quod  isti  fuerimt  astricti  propter aliqua  argumenta  ad  incurrendum  in  hunc  manifestissimum  errorem,  et  quod  dixerunt  hanc  opinionera  ore,  corde vero  nescio  quomodo    potueruut  hoc  affirmare:  et  isti   mihi  videutur  similes  Zenoni DA VELIA qui  patielmtur  infinita  tormenta, et  videbat  unum  motum  causari,  et  propter  quandam  ratiunculam  negabat  motum  esse.  Secundo,  quando  generatur  aliquid  siugulare, quomodo  hoc    singulare    ingreditur   hanc  naturam  compositam  ex  materia  et  forma? Tertio,  universale   debet  praedicari   de   suis   singularibus,    praedicatione  dicente  hoc est  hoc;  sed  universale    reale  est  realiter   distinctum  a   singnlare   per  se;  ergo  non poterit  de  singulari  praedicari  praedicatione  dicente  hoc  est  hoc;  ergo  si  natura  homi- nis  est  de  essentia  Socratis,  quomodo  poterimus  concedere  naturam  homiuis  esse  aeter- nam,  quum  uatura  Socratis  erit  corruptiliilis?  Diccs  lianc  naturam  non  esse  corruptibilem per  se  sed  per  accidens;  saltem  habebo  quod  haec  natiira  erit  corruptibilis  vel  per  se vel  per  accidens.  De  hoc  nihil  ad  me.  Quarto,  iutelligendo  formam  et materiam  Socratis videtur  mihi  quod  perfecte  Socratem  intelligam  absque  consideratione  illius  naturae, quara  nescio  si  sit  una  tuuica  sicut  in  rege.  Quinto,  uniTersale  est  quid  distinctum realiter  a  re  reali; ergo  Deus  poterit  facere  universale  et  singulare  distincta  reali- ter.  Ideo  dimitto  hanc  fatuitatem  expressam. Tertia  opinio  est  Scoti  in  hac  materia,  sicut  narratur  ab  ipso  secundo  Senten- tiarum  et  septimo  Metaphysicorum,  quaestione  propria,  quae  tres  habet  considerationes; quarum  prima  est  ista,  quod  universale  est  natura  communis  realis  apta  nata  esse  in pluribus  seclusa  operatione  intellectus;  et  iu  hoc  convenit  cura  secunda  opinione. Quae  consideratio  sic  probatur:  si  non  esset  vera  ista  cousideratio,  sequeretur  quod intellectus  sua  priraa  apprehensione  falsa  intelligeret;  quod  probatur  quia  si  ex  parte rei  non  esset  nisi  singulare,  intellectus  semper  intelligeret  singulare  in  quautum universale:  ista  autem  intellectio  esset  falsa.  Antecedens  probatur  quia  obiectum  iutel- lectus  est  universale  et  non  singulare;  si  ergo  obiicitur  singulare,  intellegitur  ut  uni- versale,  et  sic  apprehendet  semper  singulare  sub  opposito  actu,  et  per  accidens;  et  si intellectus  errabit  in  sua  prima  apprehensione,  errabit  etiam  in  pliis  intellectionibus, quum  aliae  a  prima  depeudent:  et  si  haec  prima  est  falsa,  aliae  quoque  falsae  suut,  nisi per  accidens  siut  verae;  sicut  ex  falsis  verum  concluditur.  Secuudo,  obiectum  alicuius potentiae  semper  praecedit   operationem  illius  potentiae;  sed  universale  est  obiectum inteliectus:  ergo  quamlibet  intellectionem  praecedit  universale:  ergo.  Tertio,  obiectum  alicuius  poteutiae  praecedit  operationem  illius  potentiae:  sed  uuiversale  est  obie- ctum  sensus,  ergo  universale  est  ens  reale  uullo  modo  spirituale.  Anterior  est  evidens; brevior  probatur ;  quum  aut  obiectum  sensus  est  universale  aut  singnlare:  uon singulare,  quia  dicas  tu  quod  obiectum  sensus,  ut  puta  visus,  sit  hic  color:  coutra obiectum  alicuis  potentiae  movet  illam  potentiam;  sed  sensus  visus  potest  moveri ab    alio colore,    quam  ab   isto;  ergo  iste  color  uon  est  obiectum  adaequatum  visus. (')  Qai  manca  la  transiziune  d.all'  argomentazioRe  prcceJeute,  funJata  sul  supposto  Jeiruiiiver- sale  eome  obbietto  deirintelletto,  alla  segueute  che  pone  la  tesi  deiruiiiversale  corae  oljbietto  del  senso. Et  sicut  dictiim  est  de  uno,  ita  dicatur  de  aliis;  quare  rclinquitur  quod  obiectum aJaequatum  sensus  sive  potentiae  sensitivac  est  universale.  Ergo  universale  est  ens reale  et  non  spiriluale.  Quarto,  scientia  est  rei  realis;  non  enim  determiuamus  risi- bilitatem  inesse  conceptibus,  sed  determinamus  Loc  praedicatum  reale,  scilicet  risibi- litatem  inesse  homini  per  se  primo :  et  similiter  definimiis  res  et  non  eonceptus. Quaero  ergo  aut  ista  res  realis,  verbigratia  risibilitas,  insit  per  se  primo  singu- lari  hominis  aut  universali  naturae  hominis.  Non  primum,  quia  tantum  iste  homo esset  risibilis:  ergo  haec  risibilitas  inest  per  se  primo  universali  naturae  hominis, et  sic  est  ens  reale  sicut  dictum  est.  Ergo  universale  est  illa  natura  commuuis  reaiis. Qiiinto,  in  omni  genere  est  uuum  quoddam  i.anquam  metrum  et  mensura  aliorum in  eo  genere,  sicut  in  genere  colorura  est  albedo;  sed  mensura  entis  realis  est  realis, quia  mensuratum  reale  est  a  mensura  reali.  Quæro  ergo:  aut  ista  mensura  est  hoc singuhire,   verbigratia et  quia  hoc  singulare  est  corruplibile,  talis  ergo mensura  erit  corruptibilis;  ergo  universale  reale  erit  hoc  tale  quod  est  mensura.  Sexto, contrarietas  quae  cadit  inter  contraria  est  realis;  sed  calidum  non  contrariatur  frigido per  lianc  fvigiditatem  vel  caliditatem  particuhxrem,  quum  etiam  alia  caliditas  et  frigi- ditas  sunt  contraria;  ergo  contrariantur  per  calidum,  et  sic  in  universali;  dabitur  ergo universale  reale.  Septimo,  comparo  eadem  inter  species  et  inter  genera,  sicut  dicit Aristoteles  septlmo  Metaphysicorum  et  septimo  Physicorum:  sed  in  conceptibus  specificis potest  cadere  comparatio;  ergo LIZIO  per  genera  et  species  intelligit  universalia  rea- lia,  aliter  dictum  eius  esset  falsum;ergo.  Similitudo  fundatur  super  qualitate,  et  non  su- per.  qualitate  secundum  numerum  sed  secundum  speciem  in  universali;  sed  qualitates multae  supra  quibus  fundantur  similitudines  sunt  res;  ergo  universalia  eruut  entia realia.  Octavo,  si  nou  darentur  universalia  realia,  sequeretur  quod  omnia  entia  realia inter  se  solo  uumero  differrent.  Consequens  est  falsum  et  impossibile;  ergo  et  antece- dens.  Consequentia  probatur;  quia  differentia  est  ens  reale:  scd  per  se  nihil  est  reale nisi  singulare:  ergo  omuis  differentia  erit  singularis;  quare  uulla  erit  specifica;  sed  quae differunt,  tantiim  per  differeutiam  difterunt;  ergo  omnia  quae  differunt,tantum  secuudum numerum  differunt.  Cousequenlis  impossibilitas  patet,  quia  omnia  aequaliter  differunt. Stante  ergo  hac  prima  consideratione,  ponitur  secunda  consideratio  per  quam  discrepat Scotus  a  Buridauo  quae  talis  est:  tmiversalia  realia  non  sunt  realiter  distincta  a singularibus:  probatur,  uam  quae  sunt  realiter  distincta,  possuut  ad  invicem  separari; sed  per  se  universale  reale  est  distinctum  a  siugularibus;  ergo  singalaria  possunt  esse absque  eorum  uatura  universali.  Secundo,  si  sic  esset  ut  isti  volunt,  universale  non posset  praedicari  de  pluribus  praedicatione  dicente  hoc  est  hoc.  Terlia  consideratio:  uni- versalia  distinguuntur  a  singularibns  ex  uatura  rei;  probatur,  quia  si  non  distinguerentur ex  natura  rei,  sequeretur  quod  praedicata  contradictoria  praedicarentur  de  eodem;  nam incorruptibilitas  praedicatur  de  universali,  corruptibilitas  de  singulari.  Ista  opinio  licet sit  doctissimi  viri,  tameu  mihi  videtur  esse  falsa,  et  primo  contra  primas  consequentias arguo  unico  argumento,  quod  facit AQUINO (si veda) iu  libello  De  ente  et  essentia:  prima  euim consideratio  fuit  quod  secluso  omni  opere  intellectus  datur  una  natura  communis  apta  esse in  pluribus;  sed  contra  dicit AQUINO (si veda):  aut  ista  natura  commuuis  apta  nata  esse  in  pluri- bus  est  ens  realc,  aut  intentionale  scilicet  por  opus  intellectus.  Si  secundum,  habeo  inten- tum;  si  primuni,  ergo  omne  praedicatum  attributum  speciei,  vel  ei  attribuitur  per  se, vel  per  accidens;  si  per  se,  ergo  quidquid  do  intriuseca  ratione  inest  alicui  rei  est  aptum natiim  praedicari  de  quovis  coutento  sub  illa  re;  et  isto  modo  cum  singulare  conti- neatur  sub  universali  suo,  praedicabitur  de  multis.  Si  autem  dicas  quod  hoc  praedi- catum,  verbigratia  humanitas  realis,  attribuatur  speciei  hominis  per  accidens,  quaero: aut  hoc  praedicatum  attribuitur  huic  speciei  per  accidens  proprie,  sicut  esse  risibile attribuitur  speciei  hominis;  et  tunc  arguitur  ut  prius;  aut  per  accidens  attribuitur  speciei verbigratia  quod  primo  attribuatur  individuis,  secundarlo  et  per  accidens  speciei,  sicut nigredo  speciei  corvi;  ergo  hoc  praedicatum  de  pluribus  attribuitur  prirao  et  per  se proprie  singularibus,  secuudario  vero  et  per  accidens  universalibus,  quod  est  incon- veniens;  et  hoc  argumentum. Secunda  consideratio  est  admiranda,  quum  si  unum  et  idem  est  singulare  cum univsrsale,  quot  erunt  singularia,  tot  erunt  universalia.  Item  corrumpetur  universale ad  corruptionpm  unius  singularis. Quarta  opinio  iudicio  meo  est  Averrois,  AQUINO (si veda),  ROMANO (si veda),  et  Nominalium,  licet  Nominales  in  solo  modo  respondcndi  non  conveniant  cum  istis.  Quae  opinio  dicit  qucd  secluso omni  opere  intellectus  non  est  ponendum  universale,  et  per  universale  intelligunt  quod est  aptum  natum  esse  in  pluribus  et  de  multis  praedicari,  indifferenter  se  habens  ad multa  singularia:  irao  nullum  reale  est  indifferens  ad  plura  singularia,  sed  omne  reale  est siugulare quod  probatur  per  Averroem  hic  in  commento  octavo,ubi  dicit  quod definitioues  non  sunt  generum  et  specierum  existentium  extra  animam,  sed  suut  rerum particularium  extra  intellectum,  sed  intellectus  est  qui  facit  universalitatem  in  rebus.  Et primo Metaphysicorum  textu  commeuti  sexti  dicit  speciem  esse  intentionem  existentem  in pluribus  secundum  numerum,  et  adhuc  evidentius  in  textu  commenti  vigesimisexti  et  vige- simiseptirai  eiusdem  primi  et  iu  raultis  aliis  locis.  Advertendum  tamen  est  quod  univer- sale  causatum  ab  intellectu  duplex  est,  unum  quod  dicitur  indifferens.  quod  sumitur  pro quadam  natura  commuui  iudifferenter  se  habente  ad  omnia  sua  singularia.  Alio  modo  su- mituruniversale  pro  quanto  non  intelligiturillanatura  communis  indifferens.sedultrahoc attribuitur  huic  naturae  communi  intentio.  Utrumque  enim  istorum  tit  per  opus  intelle- ctus,  primum  enim  fit  per  intellectum  agentem,  quando  verbigratia  intelligo  hominem indifferenter  se  habentem,  et  de  hoc  intellexit  Commentator  in  hoc  primo  commento  octavo; et  comrauniter  tale  universale  dieitur  primaintentio. Secundura  universale  fit  per  compa- rationem  suorum  siugularium  inter  se,  et  coliationem  sirailitudinis  inter  sua  individua. Unde  maxima  similitudo  ex comparatione  individuorum  inter  se  per  opus  intellectus  ele- cta  causat  speciem  specialissimam;  non  ita  magna  causat  genus  respectu  illius  speciei; et  ideo  minima  similitudo  causat  genus  generalissimum,  et  hoc  voluit  Averroes  duode- drao  Metaphysicorum  commeuto  quarto.  Unde  in  assimilanda  individua  inter  se  potest  fieri  intensa  vel  remissa  assimilatio,  ut  large  extendamus  vocabulum. Sed  dubitatur;  mirum  enim  videtur  quod  tantum  ex  parte  rei  sit  singulare,  et intellectus  habeat  potestatem  causandi  istud  universale. Unde  enira  intellectus  liabet tantara  potestatem  causandi  hoc  universale  quod  nou  est  re?  Ad  hoc  dicitur  quod habet  hoc  ex  sua  perfectione  et  excellentia,  cura  coniungit  separafa  per  collationem similitudinis  sumptae  ex  comparatione,  et  coniuncta  disiungit  abstrahendo  quum  . multura  habet  de  divino. Sicut  enim  ideae  omnium  entium  couiunctae  sunt  in  mente, sic  intellectus  potest  congregare  similia  iu  uuo  conceptu  et  secundum  altiorem  vel breviorem  siiuilitudinem  causat  genus  et  spesiem:  ex  quo  apparet  quod  seomidtim diversas  constructiones  intellectus  causat  diversos  effectus. Altera  dubitatio  est si  ex  parte  rei  uon  sunt  nisi  singularia,  quae  sunt entia  determinata,  et  infellectus  ea  indifferenter  inteliigit,  intellectus  ergo  intelligit determiuatum  in  quantum  indeterminatum,  et  sic  intelligit  res  aliter  quam  siut;  quare erit  falsum.  Ad  lioc  dicitur  quod  duplex  est  operatio  intellectus:  una  est  eius  prima apprehensio,  quae  est  simplicium  iutelligentia,  in  qua  sua  prima  operatione  causat primam  intentionem,  abstraliendo  a  conditionibus  singularihus  uuam  naturam  commu- nem  pluribus  singularibus,  eam  intelligendo  uou  ut  limitatam,  sed  ut  se  habet  indiffe- renter  ad  hoc  vel  illud.  Seeunda  operatio  intellectus  est  comparare  individua  inter  se, et  ex  collatioue  similitudinum  attribuere  alicui  naturae  indiffereuter  esse  genus  vel esse  speciem.  Et  si quantum  ad  operationes  istas;  sed  potest errare  iutellectus  quando  attribuit  alicui  rei  quod  non  est,  sicut  si  diceret  liominem esse  asinum,  vel  omnes  liomines  esse  unum  liominem,  vel  diceret  lineas  consideratas a  raetaphysico  non  esse  sensibiles;  et  do  exemplum  de  lineis  quae  considerantur  a  metapliysico;  possunt  enim  dupliciter  considerari,  uno  modo  ab  intellectu  abstrahente  ipsas a  sensibilitate,  et  in  isto  omnes  confitentur  iu  via  LIZIO  quod  intellectus  uon errat,  quum  abstrahentium  non  est  mendacium;  quamvis  enim  illae  liueae  sint  sen- sibiles,  tamen  intellectus  non  curat  considerare  illam  sensibiiitatem.  Alio  modo  possunt considerari  illae  lineae,  ut  puta  dicendo  illas  non  esse  sensibiles,  et  si  iutellectus  assentiret  huic  considerationi  scilicet  quod  lineae  mathematicae  sint  insensibiles,  cum  sint in  materia  sensibiii,  mentiretur.  Sic  dico  ad  rem  quod  quando  intellectus  apprehendit Iiominem  indifferentem,  quod  non  mentitur,  quamvis  Socrates  et  Plato  sint  entia  determi- nata,  hoc  enim  nou  inconvenit  quum  iutellectus  abstrahit  a  consideratione  talis  terminationis;  si  euim  intellectus  assentiret  huic  propositioui  homo  est  animal  carenti  terminatione,  capiendo  huiusmodi homo  prout  est  idem  quod  prima  intentio,  procul- dubio  mentiretur,  sicut  si  gustus  comprehendeus  dulcedinem  lactis,  non  sentiendo  eius albedinem,  et  tamen  non  errat;  ideo  intellectus  etsi  erret  componeudo  et  divideudo, tamen  non  errat  abstraheudo  ('). Dubitatur  iterum,  quia  non  videtur  quomodo  sit  verum  illud  dictum  quod  homo  sit prior  suis  singularibus,  quum  dato  pro  possibile  vel  impossibile  quod  uumquam  fueriut Iiomines  nisi  praesentes,  tunc  singulare  eius  in  eodem  tempore  vel  aeque  primo  est sicut  natura  humana  indifferens,  tel  arguitur  sic:  ab  aeterno  semper  fuerunt  singularia hominis;   ergo  non  est  verum  dicere   naturam  conimunem  indifferentem  esse  priorem. Conf.  Coniniciito  manoscritto  al  Ilff  i 'r^f/^.-iiv.-ia;  esistente  nella  Bibliotecadi BOLOGNA.  Ne  tolgo  il  seguente  estratto: An  in  secunda  operalione  iniellectus  solum  sit  veiitas  et  falsitas. Videlur LIZIO  sibi  conlrarius  in  primo  De  anima  el  sexto  Metaphysicormn,  nam  hic  dicit  quod iihi  est  enuntialio  est  vcriim  el  falsum,  et  rjus  opjwsitum  dicit tertio  De  aiiima:  intellectus simplicium  semper  vcrus  cst;  et  idern  nono  Metaphijsicorum:  sunt  tongae  ambages  de  lioc Vull  ergo  dicere  quod  intelleclus  aliquando  judicat,  atiquando  nonjudicat.  Quando  esl  sine  jtuli- cio,  neque  verus  neque  falsiis  est.  Quando  vero  judicat,  est  cum  vero  et  falso.  Quod  vcro  alibi  dicit quod  intellectus  simplicium  est  verus,  tegitur  de  vero  qui  est  sine  judicio;  unde  icicndum  quod  quando album  vidctur  ct  judicatur  esse  atbwn,  est  verus,  quia  specics  repracsenlat  objcctum  sicut  est;  si  vcro judicatur  nigrum,  tiinc  est  falsum,  quia  species  non  repraesentat  objectum  sicut  cst.  Ita  etiam  dicatur Respondetur  quod  argummtum  concludit  ex  parte  rei  homiueui  uou  esse  yrio- rem  Socrate  vel  Platoue:  sei  p;'o  tauto  dicimiis  priorem  quolibet  suo  iudividuo.  ut liujusmodi  quoUbet  stat  divisive,  quum  potest  esse  liomo  et  nou  essa  hoc  vel  illud  individuum  homiuis;  et  ideo  dicimus  homiuem  priorem  natura  Socrate,  quum  in  ordlne ad  naturam  prius  est  esse  hominem,  quam  esse  Socratem  dicta  de  causa.  Secuudo  dici- uuis  hominem  esse  priorem  Socrate  ex  parte  modi  intelligendi;  uam  possum  intelligere hominem  non  intellecto  Socrate,  quum  res  primo  concipitur  modo  uuiversali  quam raodo  particulari. Ad  argumenta  in  oppositum  adducta  respondendum  est,  nec  volo  adducere  ratioues Nominalium,  quum  ille  modus  est  sophisticus.  Ideo  aliter  respondebimus,  et  magis physice.  Ad  argumentum  primae  opinionis:  ad  primum  dico  quod  salvatur  generatio univoca  absque  ideis,  quumiu  genitis  per  propagalionem  corpora  caelestia  concurruut tanquam  cauiae  uuiversales:  iste  vol  ille  homo  tamquam  causa  particularis;  semen cum  spiritu  gignitivo  tanquam  causae  instrumentales:  et  quod  dico  de  homine  re- spectu  generandi  hominis,  est  etiam  de  aliis  iudividuis  aliarum  speciarum  generandi individua  propriae  speciei.  In  talibus  autem  genitis  per  putrefactionem  corpora  caelestia cum  aliqua  causa  particulari  sunt  causa  generatiouis  talium  animaiium.  Ad  secundum argumentum,  cum  dicitur:  «sicut  se  habet  res  ad  esse,  ita  et  ad  cognosci»;  (concedo) quantura  ad  secundam  operationem  intellectus,  non  autem  quantum  ad  primam,  quae est  simplicium  apprehensio;  aliter  sequeretur  lineas  non  posse  intelligi  absque  materia. Ad  tertium  dico  secundura AQUINO (si veda)  quod  scientia  realis  est  de  obiecto  reali quoad  considerationem,  non  quoad  modum  considerandi;  idest  scientia  realis  consi- derat  ista  particularia,  sed  non  sub  modo  particulari,  sed  secuudura  quandara  naturam communem  illorum  consideratam,  ut  est  apta  nata  esse  indifferentem  in  iioc  vel  illo individuo;  et  hoc  est  idem  quod  dicere  secundum  modum  universalem;  sic  enira  mathe- matici  considerant  lineas  sensibiles,  seu  secundum  modum  abstrahendi  a  sensibilitate. Mathematica  enim  scientia  considerat  res  sensibiles,  et  quantum  ad  hoc  dicitur  scientia  ch.  30  rccto realis,  quum  obiectum  suum  ab  ipsa  consideratura  est  reale,  modus  tamen  abstra- hendi  tale  oliiectum  non  est  realis;  ideo  mathematica  et  omnes  aliae  scientiae  reales dicuntur  reales  ab  obiecto,  non  autem  a  niodo  consideraudi ,  quum   talis  modus  fit per  opus   intellectus.    Dices ' quomodo    ergo   diftert  scientia   realis  a  scientia   rationali?  Dico quod  differt  primo  ab  obiecto,  quum  obiectura  scientiae  realis  est  reale,  sed  obiectum scientiae  rationalis  esf  rationale.    Secundo   modus    considerandi  ens  reale  est   prima do  guslv,  el  aliis  sensibus,  el  de  inlelleclii. Unde  quando  species  repraesenlal  rcm,  sic  esl  verus;  quando non,  non  est  verus.  El  sic  proprie  est  veritas  et  falsirc.-Y i:i]i\  Aralolclis  Ik  Ammalibii  trcs ciimAvcrrois Commenlariis -Vendiis  cqmd  .hinclasl^Qi. scilicet  cogiioscatur  per  propriam  speciem,  an  (m-o)  ex  solo  dibcursu  ut  tenet  Sco- tus,  forte  bene  pertractabitur  teitio  liuius.  Quia  taiLeu  hic  solet  moveri,  ideo  volo de  hoc  alic|ua  dicere. Multi  modi  recitantur  ab  istis  quorum  unus  est:  Accidens  ducit  in  cognitionem substantiae,  quia  sicut  virtus  phantastica  brutorum  ex  specie  rei  sensatae  elicit  insen- satam;  sic  intellectus  noster  ex  specie  sonsata  accidentis  elicit  speciem  insensatam substantiae.  Nam  agnus  et  ex  figura,  facie,  et  colore  lupi,  et  voce  statim  elicit  speciem inimicitiae  quae  est  insensata,  et  fugit;  et  sic  ex  specie  sensata  elicit  insensatan^  pa- riformiter,  quia  nullus  sensus  profuudat  se  ad  substantiam,  sed  intellectus  est,  qui  eam cognoscit  cognitis  primis  accidentibus  per  sensum;  et  sic  per  viam  resoluticnis  acci- dens  causat  spejiem  insensatam  substantiae;  ex  quo  enim  aecidens  tantum  causat  suam speciem  ex  accidentibus  cognitis,  statim  inteliectus  per  quamdam  congenitam  natu- ram  elicit  speciera  substantiae. Nolo  autem  recipere  impugnationem  quam  facit  hic Joannes.  Secundus  raodiis  dicendi  est,  quia  ita  est  in  actione  spirituali  sicut  in  reali  et materiali ;  sed  in  materiali  non  inducitur  forma  substantialis  in  materia  nisi  prius inductis  ciualitatibus  accidentalibus  in  rnateria;  videinus  euim  experientia  quod  in  materia  non  inducitiir  foruia  ignis,  nisi  prius  inducatur  caliditas  et  raritas  convenientes  pro forma  ignis;  sic  et  intellectus  non  potest  causare  couceptum  substantiae  nisi  prius  dispo- natur  per  conceptus  accidentium;  cum  actus  aclivornra  non  sint  nisi  in  patiente  bene disj  osito,  et  actio spiritualis  debet  proportionari  actioni  raateriali.  Erit  ergo  sensus  buius opinionis:  sicut  accidentia  faciuut  ad  generationem  substantiae,  ita  ad  cognitionem  eius. Etsi  multi  sint  conccrdes  in  boc  modo  dicendi,  sunt  tamen  adhuc  diversi  de  geueraiione speciei  in  intellectu.  Joannes  imaginatur  quod  in  virtute  phantasticasitsinuil  species  sub- stantiae  et  accidentis,  et  quod  intellcctus  non  potest  recipere  speciem  substantiae  nisi prius  recipiat  speciera  accidentis  disponentem  et  praeparantem  pro  receptione  speciei substantiae;  tamen  cum  hoc  etiam  species  substantiae  generat  notitiam  substantiao, mediante  tamen  specie  accidentis. Alii  dicunt  quod  sicut  in  actione  reali  caliditas  prius  generat  caliditatem  in  vir- tute  propria,  in  virtixte  vcro  substantiae  formam  substantialem,  sic  in  spiritualibus; et  haec  est  via  Thoraistarum  volentium  sensum  se  profundare  usque  ad  substantiam;  et talem  cognitionem  substanliae  Joannes,  VIO (si veda)  et  Apollinaris  appeilant  intuitivam,  sed '  valde  improprie  et  raale,  quia  notitia  intuitiva  terminatur  ad  rera;  nullam  autera  taleui haberaus  in  lioc  raundo,  sed  liabebimus  iu  patria.  Quod  si  in  hac  vita  cognitio  terrainatur  ad  rera,  quia  phantasraa  formaliter  terminatur  ad  rem,  non  propter  hoc  esl intuitiva. De  istis  raodis  nihil  dico  nunc,  quia  iu  tertio  huius  dicetur.  Ununi  dico  quod nullus  istorura  est  ad  mentem  Philosophi,  quia  in  isto  loco  non  loquitur  de  ista  co- gnitione  intuitiva  sine  discursu,  sed  loquitur  de  cognitioue  cura  discursu  ,  ut  patet per  Philosophum  dicentem:  videtur  autem  non  solum  quod  quid  est  cognoscere  utile;ubi patet  quod  loquitur  de  processu  demonstrativo,  ubi  per  coguitionem  causae  venimns  in cognitionem  effectus.  Et  qr.od  verum  sit  quod  non  loquitur  ad  mentem  Philosophi  patet, quiadicit Philosophus:  non  solum  accidens  ducit  in  cognitionem  substantiae,  sed  etiam e  converso.  Non  potest  autem  substantia  ducere  in  cognitionem  accidentis  nisi  discur- sive:  non   (nim  pcr  speciera  substantiae  duciraur  in  cognitionem  accidontis.  Et  ideo aliter  est  dicendum,  per  accidens  ducimur  in  cognitionem  substantiae  et  e  coni^erso,  sed per  discursum,  nam  causa  in  aliquibus  est  apta  dare  coguitionem  effectus,  et  quia, et  propter  quid;  iu  aliquibus  vero  non  solum  propter  quid,  ut  in  regressii,  nam  ali- quando  cognita  causa  per  effectum,  devenio  a  cngnitione  causae  in  propter  quid  effe- ctus;  et  prima  uotitia  est  perfectissima,  secunda  vero  non.  Ideo  dixeruut  et  bene,  quod confert ;  sed  videatis  Tljemistium  hic  dicentem  quod  est  quasi  circulus,  volens  dare intelligere  quod  quandoque  causa  notificat  effectum,  et  quia  et  propter  quid;  quan- doque  vero  propter  quid  taiitum,  et  tunc  est  demonstratio  causae  tantuiu;  qaandoque e  converso,  et  dicitur  demonstratio  signi. Est  et  alius  modus  quem AQUINO (si veda)  bene  tauglt  diceus;  quomodo  ultra  notitiam  di- scursivam  accidentia  couferant;  etest  quia  multoties  habemus  cognitionem  accidentium propriorum  et  iguoramus  ultimas  differeutias;  et  ut  dicit  Commentator  octavo  Metaphysicorum  commeirto  quinto,  loco  ipsarum  ponimus  accidentia  propria,  et  per  accideus  devenimus  in  cognitionem  substantiae.  Unde  cum  aliter  non  possumus  facere,  facimus  si- cut  possumus,  et  substantia  confertad  cognitionem  accidentis  non  solum  discursive,  sed quia  substantia  ponitur  in  definitione  accidentis;  et  sic  in  via  definitiva  et  discursiva  accidens  coufert  ad  coguitioneoi  substantiae,  et  e  contra;  et  ideo  non  approbo illos  modos  dictos,  non  quia  sint  falsi,  sed  quia  non  sunt  ab  intentionem LIZIO hic.  Ex  his  sequitur  quod  stat  me  habere  conceptum  accidentis,  et  conceptum  sub- stantiae;  et  tamen  quod  accidens  ducat  me  in  cognitionem  substantiae  et  e  contra ; sic  quia  cognitio  substantiae  confert  ad  cognitionem  accidentis  et  e  contra,  patet  de demonstratione  propter  quid,  quae  babita  prius  notificat  quia  est  ipsius  causae  per effectum,  et  ducit  nos  iu  notitiam  propter  quid  ipsius  effectus.  Similiter  stat  quod  co- gnoscam  substantiam  et  accidens,  et  quod  tamen  accidens   conferat   ad   cognitionem substantiae,  quia  stat et  hoc est  maxime  verum  de  uotitia  accidentis  imperfecta  prius  habita,  perfecta  enim  cognitio accidentis  non  potest  haberi  nisi  post  cognitionem  substantiae;  ex  quo  patet  nostram consequentiam  esse  veram,  scilicet  quod  stat  substantia  et  aceidens  ambo  esso  cognita, et  tamen  cognitio  aceidentis  confert  ad  coguitionem  substantiae  et  e  contra ;  et  hoc iu  via  discursiva  et  definitiva  nou  oportet  dubitare ,  nam  ipsum  accidens  definitur per  substantiam  et  e  contra;  et  sic  non  semper  est  verum  quod  substantia  ducat  in  co- gnitionem  accidentis,  sed  beue  propter  quid  et  e  contra,  ut  dictum  fuit.  Stat  tamen cum  hoc  quod  uotitia  s  .bstantiae  ducat  in  cognitionerc  accidentis,  ubi  piius  nullam notitiam  haberemus  de  accidente;  patet  iu  demonstratione  simpliciter,  iu  qua  ex  cau- sa  nota  nobis  et  naturae  ducimur  in  cognitiouem  quia  est  et  propter  quid  ipsins  acci- dentis.  Similiter  notitia  quia  est  accidentis  ducitin  cognitionem  substantiae,  nulla  prius habita  notitia  de  ipsa;  patet  quando  ex  notitia  accidentis  proprii  devenio  in  notitiam substantiae.  Ex  lioc  patet  quod  cognitio  accidentis  uou  semper  causatur  ab  ipso  phan- tasmate,  nbi  per  viam  discursivam  devenioiu  notitiam  aceideutis  ex  uotitia  ipsius  sub- stautiae.  Ex  quo  patet  quod  ille  modus  dicendi  non  est universaliter  verus:  sicut  res  se  ha- bet  ad  actionem  realem  ita  ad  spiritualem;bene  aliquaudo  est  verum,  non  tamen  semper; quia  nunquam  forma  potest  esse  et  recipi  iu  materia,  nisi  prius  materia  fuerit  disposita per  accidentia.  Stat  auteni  totum  oppositum  in  actioue  spirituali,ut  dictum  ost.In  mate- rialibus  prius  est  substantiu  quam  i>assiu;  iu  spiritualibus  multoties  est  totum  oppositum,  ut  qiuindo  siibstantia  esset  nobis  ignota,passione  existente  nota;et  lioc  modo  est  veiiim  de irapevfecta  nolitia,  non  autem  de  perfecta;  et  quantumcumque  accidens  notificet  substan- tiam  et  e  contra,  verius  tamen  substantia  notificat  accidens,  quam  accidens  substantiam,  et definitio  definitum  qiiam  e  contm.  Omnia  sunt  clara.  Unum  tantum  liic  esset  dubi- tanJum,  quum  ex  causa  uotificatur  effectus  et  ex  definitione  accideutis,  numquid  iila coguitio  sit  habita  pcr  discursum  an  per  propriam  speciem;  non  euim  est  verum  quod quidquid  est  per  propriam  speciem  cognoscatur;  mnlta  enim  cognoscuntur  quae  non liabent  speciem  propriam  et  substantiae  separatae  et  relationes:  imo  tenet  Scotus  quod substantia  solum  discursive  cognoscatur.  Sed  de  hoc  in  sequentibus. Ali-id  oportet  scire,  quod  substantia  ducit  in  cognitionem  accidentis  et  e  contra via  discursiva  et  demonstrativa;  quia  dicit  Averroes  quod  definitiones  et  demonstrationes,  quae  no;i  declaraut  accidentia,  sunt  vanae;  quod  eodem  modo  contiugit  quum accidentia  declarantia  ipsam  substantiam  sunt  maxime  propria;  quae  vero  non  sic.  non sunt  propria  saltem  eodem  modo.  Sic  enim  perfectissima  definitio  declarat  omnia  ac- cidentia.  Numquid  vero  proprium et  non  aliud  ducat  in  cognitionem  sub- stantiae,  credo  quod  non  semper;  beue  verum  est  quod  quanto  magis  est  prcprium et  esseutiale,  tauto  magis  ducit  in  cognitionem  substantiae. Et  sic  fiuis  imponitur  quaestionibus  super  pvimo libro  De  auima.  Deo  favente. Cli.45  veiso QVÆSTI0NES  MAXIMI  ILLItTS  PHILOSOPHI  PETRI  SCILICET  rOMPONATII SVPER  SECUNDO  DE ANIMA Utrum  definitio  animae  sit  hene  assignata. Visa  definitione  auimae  in  miltis  textibus,  Pampouuaciiis  eam  exanimat  iu  textu imclecimo.  Et  prim)  circa  p.imam  particulam  dubitatur  utrum  sit  actus,  et  videtur quodnon, quia  si  esset  astus,  esiet  forma;  sed  nou  est  forma;  igitur  etc.  Autecedens  patet, quia  forma  et  actus  idem  sunt:  brevior  probatur,  quia  si  anima  esset  forma,  esset  vel substautialis  vel  accideutalis;  sed  uon  est  aliqua  istarum;  ergo.  Quod  non  sit  accidentalis patet  per  Averroem  secundo  liuius,  coramento  secundo,  ubi  dicit  quod  secundum  quod dat  nobis  prima  cognitio  naturalis,  anima  est  substantia,  et  etiam  pars  substantiae  est siibstautia.  Secnndura  probatur  quod  uon  sit  forraa  substantialis  sic:  proprium  est  substantiae  in  subiecto  non  esse;  anima  est  in  subiejto;  ergo.  Auterior  patet  ex  praeceden- tibus;  brevior  probatur,  quia  Aris^oteles  iam  probavit  animam  non  esse  corpus,  qnia est  in  subiecto.  Item  proprium  est  substantiae  per  se  stare  et  accidentibus  substare; sed  anima  non  per  se  stat,  nec  accidentibus  substat;  ergo.  Anterior  patet  ex  praece- dentibus,  et  brevior  probatur,  nulla  enim  est  aniraa  quae  per  se  stat,  nec  intellectiva; nam  dicitur  in  primo  liuius,  quod  si  quis  dixerit  animam  p3r  se  intelligere,  est  ac  si diceret,  eam  texere  vel  filare;  et  hoc  est  ia  textu  commenti  sexagesimiquarti,  et  haec  est prima  quaestio  quara  tangit  Joannes. Dubitatur  secundo  utrura  sit  actns  priraus;  et  videtur  quod  non,  quia  ille  non est  actus  primus  quem  praecedunt  alii  actus;  sed  animam  in  corpore  multi  actus  prae- cedunt  tara  substantiales  quam  accidenteles;  ergo.  Prima  patet.  quia  primo  non  datur prius;  brevior  probatur  dupliciter,  prhiio  quia  animam  ipsam  in  corpore  praeceJuut actus  esseutiales  et  accidentales;  ergo.  Di  accidentali  patet,  quia  actus  activorum  sunt in  patiente  beue  disp  )sito,  nt  dicit  LIZIO;  unde  quomodo  aniraa  posset  iuformare materiam,  nisi  illa  esset  disposita  et  per  debitas  organizationes  et  per  debitara  pro- portionera  qualitatnm  priraarum?  Item  praeceduut  in  corpore  animara  multae  formae substaniiales  tam  partiales  quam  totales:  non  enim  est  homo  nisi  prius  sit  corpus, et  nisi  sit  cor  et  epar,  et  alia :  quis  enira  diceret  omuia  ista  membra  unica  forma informari,  cum  habeat  tam  diversas  operationes  et  complexiones?  Deinde  ponitnr  actus priraus  ad  differentiam  secundi:  lioc  non  est  universaliter  vernra  qnod  auima  sit  actus priraus,  ut  distingnatur  coutra  secundum,  quia  quaudo  homo  nutritur  in  homine,  non esset  actus  pr  raus,  quura  iu  eo  uon  est  actus  secuudus;  quare  ibi  non  esset  actus priraus,  et  iiic  tangitur  quaestio  quae  tangitur  ab  Averroe  coramento  octavo. Dubitatur  tertio  utrum  anima  sit  actus  primus  corporis ;  et  videtur  qnod  non, quia  si  ipsa  esset  actus  corporis,  tunc  esset  accidens;  hoc  autem  est  falsum;  ergo.  Con- (')  II  tcsto  di  LIZIO  e  questo:  810  ^•JX^  s^rr/  svr=\cx^n-z  -h  TZfirn  auaaro;  fjTr/.0'j  8uv5t(/si fuvj/  E^ovTo,-.  Toiouro  Ss,  0  av  r^  ojyavizov.  De  anima  II.  1-   6. CoDsequentia  probatur,  quia  omiiis  forma  adveiueus  euti  in  actu  est  accidens  ex  secundo De  generatione,  textu  commenti  quarti  huius  seeundi;  anima  autem  estt  alis  quia  per se  advenit  corpori,  quod  est  iu  actu;  ergo. Dubitatur  quarto  super  illud  verl)um  «  physici »  quia  non  videtur  bene  positum  esse, quia  in  detinitione  sribstautiae  nou  ponitur  accidens:  sed  physicus  ponitur  in  detiui-  Ch.  49recto tione  auimae  et  anima  est  substantia;  ergo.  Brevior  probatur,  quia  si  loco  «  physici  » ponitur  sua  defiuitio,  quae  est  esse  principium  motus  et  qnietis;  tuuc  in  definitione animae  ponitur  accideus.  Item  ablataista  particula  physiei  non  minus  eiit  peifecta  ct completa  ista  definitio  animae;  ergo  supevtiue  ponitur.  Consequentia  patet;  anteeedens probatur.  quia  dicunt  quod  ponitur  «  physici  »  ad  ditferentiam  artificialium,  modo  suf- ficit  pro  distinctione  corporam  artificialium  «  in  potentia  vitam  habentis  et  estdefinitio completa;  vera  autem  definitio  non  continet  superfluum  ut  in  octavo  Metaphysicorum. Dubitatur  quinto  circa  illam  partem  «orgauici»  quia  in  definitioue  organici  ponitur quantitas,  qualitas  et  .situs,  quae  sunt  accidentia  quorum  nullum  debet  poni  in  definitione substantiae.  Secundo  anima  est  simplicior  formis  elementornm,  cum  magis  accedat  ad divinum;  ergo  debet  habere  subiectum  simplicius  quam  elementa;  quare  non  debet  ha- bere  pro  subiecto  corpus  organicum.  Consequentia  potest  patere,  quia  nobilioris  for- mae  nobilius  est  subiectum;  quanto  autem  aliquid  est  simplicius,  tanto  nobilius  est, quia  magis  accedit  ad  illud  quod  ep  .  ,  citur  actus  primus  quia  ab  ea  non  proveuit  operatio,  quae  est  apta  uata  provenire, sequeretur  quod  cura  sentirem  in  rae,  nou  e.sset  actus  priraus;  unde  Themistius  di- cebat:  cavendura  est  ne  vigilemus,  quia  proderemus  actum  primum.  Pro  hoc  argumento notanda  est  discordia  in  defiuiendo  aetum  primura  et  secundura.  Latini  vohmt  quod forraa  sit  actus  priraus,  operatio  vero  secundus.  Si  ergo  sic  defininius,  secundum  argu- raentum  uihil  valet;  non  enim  probaret  animam  nou  esse  animara  actu  operantem  , sed  non  esse  ipsam  operationera.  Sed  tamen  Theraistius,  Alexander,  Averroes  et  LIZIO  videntur  velle  quod  actus  priraus  sit  forma,  a  qua  nou  provenit  operatio  apta proveuire,  actus  vero  secundus  est  forma  a  qua  provenit  operatio;  sed  quoraodo- cumque  intelligatur  nou  est  magna  difficultas.  Nam  ipsi  dicuut  quod  debet  intelligi disiunctive,  scilicet  quod  in  aliqua  anima  est  actus  priraus  et  in  aliqua  actus  secundus; in  quibus  non  est  actus  operans  est  actus  priraus;  non  facit  autera  meutionera  de  actu secundo ,  quia  non  est  dubium ,  quod  quando  anima  est  operaus  in  aliquo.  qued  ibi sit  actus  primus;  bene  est  dubium  quaudo  non  est  operans,  an  sit  actus  primus  cum appareat  mortuus. Probabilmente  6  sottinteso :  amplius. Uiruiii  sint  plures  foriuue  substantiales  in  eodeni  cuinpusitu. Quinta  opinio  qiiae  mihi  probabilior  videtur,  et  est  authenticorum  virorum  scilicet AQUINO (si veda),  ROMANO (si veda) et  Alberti  hic  iu  libro  De  anima,  licet  contrarium  videatur  dicere in  tertio  Coeli.  Dicit  haec  opiuio  quod  iu  uno  composito  non  possunt  esse  plures  formae substantiales  realiter  distinctae  sed  unica  tantum;  eadem  enim  forma  est  per  quam  So- crates,  animal,  corpus,  mixtum,  oculatus  et  huiusmodi;  et  pro  liac  duo  tautum  fundamenta adducam,  quia  alia  patebuut.  Primum  de  ratioue  formae  substautialis  est  dare  esse simpiiciter,  accidentalis  vero  per  accidens,  ut  primo  De  generatione  dicitur.  Modo  si quaelibet  forma  substantialis  dat  esse  simpliciter,  tunc  tale  compositum  habebit  duo esse  simpliciter;  quare  nou  esset  unum,  sed  duo. Alteruui  funJamentuiu  est  quod LIZIO semper,  ubi  loquitur  de  hac  materia, dicit  quod  omne  quod  adveuit  enti  in  actu  est  accidens,  quod  pariter  vel  esset  falsum vel  limitatum.  Volendo  ergo  sustinere  hanc  propositionem,  quae  mihi  verior  videtur; restat  solvere  argumenta. Ad  id  quando  dicitur:  uude  snmeretur  uumerositas  praedicatorum,  pro  hoc  notetis, ut  beue  notat  hic  Albertus  ed AQUINO (si veda),  non  inconvenit  aliqua  dispersa  in  diversis  concludi  eminenter  in  uno  perfectioii;  est  euim  substautia  sine  corporc  ut  in  abstractis, et  etiam  corpus  siue  vivente ,  et  vivens  sine  auimali ,  et  animal  sine  homine.  Ecce quomodo  ista  sunt  dispersa  in  diversis.  Cum  quo  taraen  stat  quod  ista  dicantur  esse collecta  in  uno,  ut  in  homiue  ratione  suae  perfectionis;  exemplum  accommodatum  dat Albertus:  in  civitate  suut  tribuni,  praetor,  et  consul;  praetor  est  perfeclior  tribuuo, et  consul  est  prior  praetore;  quae  tamen  omnia  sunt  collecta  in  rege  sive  in  principc: potest  euim  ipse  facere  omuia  quae  possunt  ipsi  de  per  se.  Uude  iste  est  ordo:  quando aliqua  subordinantur  ad  iiivicem,  prius  debet  esse  in  posteriori  eminenter,  sicut  trigo- uum  in  tetragono:  auima  iutellectiva  ex  sui  perfectione  omnia  quae  sunt  iu  aliis  di- spersa  iu  se  eminenter  continet  illa.  Quo  stante  faciliter  dicitur  ad  illud  argumeutura: dico  quod  est  Huica  res  raaterialiter  ,  taraen  plures  virtualiter,  a  quo  sumitur  ista uumerositas  praedicatorura.  Ex  onumeratione  enim  virtutum  sensatarum  in  ipsa  anima intellectiva  sumuntur  iila  praedicata;  quare  patet  quod  ista  numerositas  sumitur  a  re continente  illas  perfectioues  eminenter,  ut  patet  in  exeraplo  Alberti  de  rege.  Ad  secundum:  quando  dicebatur  quod  substantia  separatur  a  corpore  et  corpus  a  vivente, et  viveus  ab  animali  in  liis  quae  sunt  dispersa,  ergo  ita  debet  esse  in  liomine;  sed in  rei  veritate,  hoc  potius  arguit  oppositum.  Nam  in  imperfectis  sunt  dispersa,  uniuu- tur  tamen  iu  Iiomine  propter  perfectionem  auimae  suae  comprehendeutem  omnes  gra- dus  imperfectos  ex  sui  raagna  perfectioue,  sicut  verbigratia  rex  continet  onines  ma- gistratus  qui  snnt  dispersi  in  inferioribus;  imo  et  Deus  qui  est  perfectissimus  omnium continet  emiuenter  omnes  rerum  perfectiones,  et  hoc  est  rmum  ex  fuudamentis  Thomae. DiflScuItas  autem  est  respondere  rationibus  Scoti  tenentis  dari  formas  partiales et  formas  mixti  distiuctas  ab  aliis.  Ad  primum  si  non  remanet  eadem  forma,  quae- rebatur  de  generante  illam  formam  ita  nobilem ,  et  de  generaute  illa  accidentia ,  et idem  eftectus  numero  proveniret  a  distinctis  specie.  Hoc  argumeutum  est  fortissiraum Ch.  64  recto quod  eognoscitur  es  diversitate  respousiomim.  Tliomistae  digladiantur  inter  se  iu  hoc. Aliqiii  dant  unam  responsionem,  alii  aliam.  Gregorius  dat  aliam  in  secundo  Sententia- rnm  distinctione  decimasexta,  quaestione  secunda.  Dicam  ego  quod  mihi  raagis  placet. Videtur  mihi  primo  quod  Scotus  et  sequaces  habeant  contra  se  easdem  angustias quas  habet AQUINO (si veda),  quia  si  bos  interficiatur  gladio,  frigiditate  et  quomodocumque morialur,  semper  est  idem  bos;  modo  est  difficile  videre  quomodo  per  solum  motum localem  possit  corrumpi  bos.  TJnde  reflectitur  argumentum  contra  ipsum.  Dieebat  ipse quomodo  per  solum  raotnm  localem  potest  generari  bos  nulla  praecedente  alteratione; ero-o  sicut  omnes  generatioues  praecedit  alteratio,  ita  et  omnes  corruptiones;  et  sicut est  iuconveniens  de  uno,  ita  est  de  alio.  Tunc  refiecto  contra  te  hoc  idem  argumen- tum.  Si  bos  corrumpitur  gladio,  frigiditate ,  illa  forma  substautialis  corrumpitur  et est  idem  effectus  numero:  ergo  a  diversis  secundum  speciem  potest  proveuire  idem effectus  uumero. Dices  et  subtilius:  hoc  non  videtur  verura  de  effectu  positivo,  sed  bene  de  privativo; quomodo  enim  est  possibile  quod  per  solura  gladium  geueretur  forma  cordis  et  epatis, et  cadaveris,  et  tot  et  tanta  luembra?  Hoc  argumentum  dixi  esse  fortissiraum,  lieet apud  me  non  concludat;  nam  sumo  dictum  LIZIO in  secundo  De  generatione,  ubi diciiur  quod  terra  potest  generare  ignem,  aerem,  et  alia  multa:  si  enim  terra  agat in  aerem  per  siccitatem  nec  non  per  caliditatem,  tunc  generabitur  ignis  qui  est  ca- lidns  et  siccus;  similiter  si  agat  in  aerem  per  frigiditatem,  tunc  generabitur  aqua, quae  est  frigida  et  humida.  Ecce  quomodo  est  posdbile  quod  idem  agens  secundum speciem  causet  effectus  diversos  secundum  speciem.  et  quod  idem  effectus  secundum speciem  proveniat  a  diversis  secundum  speciem.  Hoc  autem,  ut  dicit  LIZIO,  provenit  ex  dispositione,  et  quorsum  hoc  dico?  quod  non  solum  effectus  privativus  sed  etiam positivus  potest  a  diversis  causis  secundum  speciem  causari,  et  idem  agens  secundum speciem  potest  diversos  effectus  producere.  Quare  patet  quod  non  inconvenit  quod  per frigidum  generetur  cadaver  et  per  humidum  et  calidum,  sic  et  iu  aliis;  quare  quando caliditas  agit  iu  hominem,  cum  hoc  subiectum  sit  maxime  dispositum  pro  forma  cadaveris,  ideo  uon  est  mirum  si  ex  eo  generetur  cadaver.  Similiter  humiditas  ageus  in hominem  geuerat  cadaver,  similiter  et  siccitas,  et  gladius  et  talia;  non  ergo  est  mi- rum;  quia  tale  subiectum  est  dispositum  pro  forma  cadaveris.  TJude  si  hoc  est  incon- venieus  erit  destruere  processum  LIZIO in  secundo  De  generatioue,  ut  supra  di- ctum  est;  et  si  argumentum  Scoti  concluderet,  esset  etiam  coutra LIZIO.  Responsio  ergo  stat  in  hoc  quod  non  iuconvenit,  imo  est  uecessarium  ratione  dispositionis passi,  eundem  effeclum  produci  a  diversis  causis;  et  liaec  cst  nostra  responsio  a  nutla accepta,  imo  idem  effectus  positivus  potest  a  diversis  cau&is  proveuire,  ut  dolor  provenit  a  calido,  frigido,  humido,  sicco  et  tamen  dolor  est  quid  positivum,  quia  est  tri- stis  sensatio,  sed  iustabilis. Ch.  CG  recto  Ch. "Overso  Utrum  omnis  anima  sit  divisibilis. Alia  quaestio  est  utrum  omnis  anima  dicatur  esse  divisibilis;  et  ue  iu  aequivoco labnrcmus,  non  est  sermo  noster  de  divisione  seeundum  speciem;  quia  lioc  modo  sunt divisibiles imimae,  quum  uon  sunt  eiusdem  speciei;  uec  est  iutentio  uostra  loqui utrum  sit  divisibilis  in  partes  eo  modo  quo  compo.-itum  dividitur  in  materiam  et  for- mara,  uec  de  divisione  quae  est  in  partes  essentiales.  quia  in  tertio  huius  de  hoc  vide- bitur:  sed  serrao  est  de  divisione  i)er  accidens  sicut  ad  divisionera  corporis  in  quo  est. De  qua  Aristoteles  quinto  Metaphpieorum  capite  «  de  quauto  »  locutus  est,  nec loquor  utrura  auima  sit  divi^ibilis  per  se,  quia  hoc  modo  nihil  est  divisibile  praeter quantitatera,  ut  dicitur  iu  primo  Physicorum  toxtu  commenti  septimi,  ubi  dicitur  quod omne  quod  est  divisibile,  ratione  quantitatis  est  divisibile;  ipsa  autem  quantitas  per se  est  divisibilis.  Et  notaraus  propter  sophistas  quod  nou  surao  hic  per  se  in  primo vel  in  secundo  modo,  sed  in  tertio,  idest  per  se  solitarie;  sic  intelligendo,  substantia est  per  se  indivisibilis,  idest  solitarie  sumpta  et  considerata  secliisa  qiuxutitate.  Sed disputatio  nostra  est  utrum  quaelibet  anima  sit  divisibiiis  per  accidens  sie,  quod  ipsa extensa  ad  extensionem  corporis  dividatur  ad  eius  divisiouera;  et  sermo  est  de  ani- mabus  eductis  de  potentia  materiae,  quia  auiraa  intellectiva  clarum  est  quod  non  est divisibilis,  dimissa  opinioue  CROTONE A CALABRIA ED ACCADEMIA,  qui  tenent  omnem  animam  esse indivisibilem.  In  via  peripatetica  invenio  tres  opiniones  famosas.  Uua  opiuio AQUINO (si veda) in  prima  parte  quaestionis  76  art.  8;  et  etiam  Albertus  est  istius  opiuionis. Tunc  haec opinio  dicit  quod  per  se  ec  per  accidens  anima  est  indivisibilis:  de  par  se  est  manifestum, et  omnes  concedunt  cum  sola  quautitas  sit  per  se  divisibilis;quod  autem  et  per  accidens sit  indivisibilis,probant  raultis  rationibus.  Pro  nunc  duas  tantura  adducaraus:  priraa  est supponendo  quod  totum  animal  aut  planta  informetur  per  auimam,  totura  enim  et quaelibot  pars  est  animata,  quod  non  est  nisi  per  praesentiam  animae.  Non  ergo  di- eunt  isti  est  putandura.  quod  auiraa  sit  in  una  parte  per  essentiara  iit  in  corde  et in  aliis  per  virtutera.  sed  iu  toto  per  essentiara.  Secundo  isti  accipiunt  quod  definitio de  anima  sit  vera,  scilicet  anima  est  actus  corporis.  Tunc  dicit  AQUINO (si veda):  sumamus  plantam;  si  enim  de  quo  minus  videtur  inesse  et  inest,  ergo  de  quo  magis:  cbrura  est quod  anima  plantae  est  in  tota  planta ,  et  non  tantum  in  parte.  Impossibile  autem est  quod  aliquid  extensum  sit  in  pluribus  partibus  simul.  Si  ergo  aniraa  sit  extensa, uon  potest  esse  in  pluribus  ipsius;  et  ita  dicatur  de  anima  sensitiva  liominis.  Dicit autem  Thomas,  si  sit  indivisibiiis,  quod  potest  esse  praesens  omuibus  partibus  cor- poris,  sicuti  Deus  qui  praeest  toti  universo.  Hoc  ergo  est  argumentura AQUINO (si veda):  aniraa ' informat  totam  et  quamlibet  partem,  et  est  actus  corpoii.s  ergo  est  indivisibilis,  quia si  esset  divisibilis  non  posset  hoc  facere.  Hic  etiam  Albertus  facit  rationem  multum efficacem,  quam  assumpsit  PIETRO DA MANTOVA (si veda) concivis  meus  in  scripto  suo  De  primo et  ultirao  instanti,  credo  capite  secundo:  i^atio  est  ista,  nisi  anima  esset  indivisibi- lis,  non  possemus  salvare  identitatera  individui  a  principio  usque  ad  tinem.  Proba- tur  quia  homo  a  principio  sui,  quando  erat  embrj'o,  erat  digitalis  quantitatis,  et nunc  tantao,  quod  non  potest  esse  nisi  quia  actuatus  est,  et  materia  est  variata  pro- pter  coutinuam  resolutiouem  humidi  ad  renovationem  novae  materiae  propter  nutri- menium.  Quoraodo  ergo  si  continue  a  principio  usque  ad  finem  uniatur  raateria,  potest esse  idem  numero?  quia  si  anima  est  divisibilis  ad  divJsionem  materiae,  cum  continue varietur  materia,  etiam  et  forma  variabitur;  et  ita  cum  non  remaneat  eadem  mate- ria,  nec  eadera  forraa,  nec  erit  idem  individuum.  Si  autom  ponatur  auiraa  indivisibilis,  Cli.71  verso remanet  ideutitas  individui,  quia  esse  insequitur  formam,et  quia  quando  anima  est  indivisibilis  seiuper  lemauet  eudem  aliam  iodiieus  et  aliam  matedam:  ideo  facit  ideuti- tatem  iu  supposito;  sicuti  si  esset  vas  perforatum,  iu  quo  coutinue  uova  aqua  subin- traret,  et  alia  exiret,  semper  utique  esset  idem  corpus,  uon  existente  tamen  eadem aqua,  quae  tamen  iuduit  se  iu  alias  materias.  Quae  opinio  multis  displicuit  volentibus animas  plantarum  esse  divisibiles;  quae  quidem  multum  assimilantur  formis  elemeu- torum,  iu  tautum  quod  ACCADEMIA in  Timaeo  uon  dignatus  est  eas  vocare  animas  sed  vo- cavit  naturas.  Ulterins  autem  isti  voluut  animas  animalium  esse  iudivisibiles  et  per se  et  per  accidens,  et  ratio  est,  nam  videmus  si  aliquid  aniraal  pungatur  iu  digito pedis,  statim  sentit  puncturam  per  totum  corpus,  quod  non  potest  esse  nisi  quia  anima est  indivisibilis  cuiquam  parti  corporis  praesentis  (sic).  Si  autem  anima  esset  divisibi- lis,  quouam  modo  illa  sensatio  trausiret  tam  cito  a  calce  ad  caput?  et  si  sensatio  tiat per  spiritum,  quomodo  spiritus  tam  cito  potest  trausire  de  uno  loco  ad  alium.  cura tamen  spiritus  sit  corpus?  Aliis  uou  placet  haec  opinio;  sed  volunt  quod  auima  ani- malium  perfectorum  sit  iudivisibilis,  imperfectorum  vero  divisibilis;  quam  opiniouem insequitur  AQUINO (si veda) iu  secundo  Contra  Gentiles  capite  septuagesimo  secundo .  Imperfecta  vero  quae  densa  (secta)  vivunt,  perfecta  quae  densa secta  uou  vivunt.  Istam opinionem  probaut,  quia  si  densantur  (secantur)  talia  animalia,  ut  auguillae,  partes densae  sectae  vivunt;  per  oppositum  vero  est  iu  perfectis,  quia  ipsa  habent  animam indivisibilem,  prima  vero  divisibilem. Tertia  opinio  est,  quae  magis  mihi  videtur  peripatetica,  quae  tenet  quod  quælibet  anima  praeter  intellectivam  est  divisibilis,  cum  sit  constituta  in  esse  per  subiectum, educta  de  potentia  eius.  Quae  opinio  magis  videtur  sensata;  et  ratio  pro  hac  opinioue est,  quia  si  sunt  formae  eductae,  prima  facie  denotare  videutur  quod  sint  exteusae  et divisibiles,  quia  debent  habere  couditiones  materiae.  Primum  autem  iuhaerens  mate- riae,  disponens  eam  pro  eductione  foimarum,  est  quautitas;  ergo  cum  omne  receptum recipiatur  secundum  conditiones  recipientis,  ipsae  formae  erunt  divisibiles  et  extensae. Pro  hoc  facit  dictum  Aristotelis  tertio  Coeli  textu  commenti  septimi  ubi  probat passioues  et  accidentia  esse  divisibilia,  ex  eo  quod  sunt  in  subiecto  divisibili ;  quod Diciiur  crgo  iolum  ct  sccundum  quanlilalciii  cl  sccunduin  csscnUac  pcrfcciioncm.  Toiuiii uulcm  ct  parlcs,  sccunduin  quantitalem  dicla,  formis  non  conveniunt  nisi  pcr  accidens,  scilicet  in quantum  dividunlur  divisione  subjccti  quantikUcm  habentis;  iolum  autem  vel  pars,  secundum  per- fectionem  cssentiae,  invcnilur  in  formis  per  se.  Dc  hac  igilur  lotalitale  loquendo  quae  per  se  formis compelil,  in  qualibel  forma  apparet  quod  csl  tota  in  toto  et  tota  in  qualibel  parte  ejus.  Secus  auleni csl  de  totalitate  quae  per  accidens  atlribuilur  forinis;  sic  enim  non  possumus  dicere  quod  lola  albedo sit  in  qualibel  parle.  Si  iyitvr  est  aliqua  forma  quae  non  dividatur  divisione  subjecli,  sicut  sunt  ani- mae  animalium  perfeclorum,  non  erit  opus  disiinclione,  cuin  eis  non  competal  nisi  una  lotatitas;  sed absolute  diccndum  cst  eam  lotam  essc  in  qualibet  corporis  parle    AQUINO (si veda)  Gontra  Genlilcs    Si  avvfrta  che  quaiido  le  citazioiii  di  san  Tommaso  non  sono  accompagnate cspressamente  dal  titolo  Gontra  Gcnlites  o  da  altio  titolo  specificato,  ma  solo  dal  i-idiiamo  a  Parti, Questioni  cd  Articoli,  si  intendono  riferite  alla  Sumnia  Teologica  dell"  Angelico. (-)  Uno  dci  passi  di  Aristotele  a  cui  si  riferisce  la  questione  qai  trattata  e  clie  giustifica  la  cor- rezione  proposta  allo  sbaglio  commesso  dairanianuense,  alle  parole  dcnsa  e  densanlur,  u.!-i ....  cuy.t^aTvov  sni  tu-j  s-jtouuv  sv  to];  5jaTS//vo^as-/oiv'  v.a:'  ya.p  «(VSvjgt/  sxaTSjS^v  xoiv  fisfu^j  sysi. xotl  ■/.i-rriai'i  t-rfi  zara  Ttiffov  capo  2  di,'l  libro  11,  paragrafo  8.  Cf.  capo  -5  del  libro  I,  ultimi  paragrafi del  De  Anima  e  Problemata,  sezione  IX,  paragrafl  I3-G5  e  67  della  edizione  Didot. si  ratio  sua  procedit  de  iiiis  accideutibus,  eadom  ratione  procedit  de  istis  formis  edu- ctis;  et  Commentator  in  primo  capite  De  substantia  orbis  in  tine,  dicit  quod  ex  eo  quod forma  est  constituta  in  esse  per  subiectum,  est  divisibilis  et  e  coutra;  sic  quod  se  mu- tuo  inferunt  divisum  et  constitutum  in  numerum  per  subiectum,  in  diversis  tamen  generil)us  causarum,  quia  primura  est  a  posteriori  et  secundum  a  prijri. Item  LIZIO  iu  octavo  Ph^^sicorum  ubi  devenit  ad  primum  motorem,  probat eum  esse  indivisibilem,  ex  eo  quod  est  abstractus  a  materia:  modo  si  auimae  plan- tanm  essent  iudivisibiles  non  valeret  suum  argumentum  ex  eo  quod  primus  motor est  indivisibilis.  Probat  quod  est  immobilis;  ergo  etsi  animae  plantarum  essent  indivisibiles,  essent  etiam  iramobiles.  Item  corauniter  dicitur  si  anima  esset  indivisibilis idem  moveretur  et  staret  simul. Ad  rationes  in  oppositum  potest  dici;  ad  primara  quae  est  Thomae  cum  dicitur unum  divisibile  nou  potest  inforraare  aliud  secundura  diversas  partes ;  dico  quod  illa definitio  «  anima  est  actus  etc. »  debet  intelligi  de  una  anima  totali  et  non  de  partibus animae.  Uude  sicut  doraus  est  forma  camerae  secundum  unam  partem  et  tecti  secun- dum  aliam  partem,  ita  et  anima  est  forma  nasi  secundum  unam  partera  et  pedis  se- cundura  aliam;  et  sic  de  singulis.  Ad  rationem  Alberti  dicitur  quod  licet  anima  sit divisibilis  et  materia  semper  fluat  et  refluat,  quia  tamen  a  principio  generationis  est contractum  humidnm  radicale,  quod  semper  raanet  idem  numero;  ideo  salvatur  iden- titas  numeralis.  Nou  taraen  expectes  totam  veritatem  in  generabili,  sicut  in  aeterno, nec  tantam  flexibilitatem.  sicut  in  fluvio,  sed  est  niedia  inter  illa.  Ad  argumentum  Marsilii MARSILIO DI PADOVA (si veda) «  si  pungatur  animal  »  dicitur  primo:  si  tenemus  illam  sensatlonem  fieri  per  rea- lem  tvansmutationem  spirituum,  dico:  non  demonstrat  quod  subito  fiat  illa  sensatio,  sed in  tempore  imperceptibili,  sive  modo  illi  spiritus  currant  ad  cor  tanquam  ad  princi- pium  secundum  Aristotelem,  sive  ad  cerebrum  secundum  Galenum.  Vel  potest  dici  et  melius  quod  sensatio  illa  non  fit  per  realem  transmutationera,  sed  per  spiritualera,  et  hoc non  inconvenit  sicuti  et  camera  in  instanti  illuminatur.  Ad  aliud  quod  dicit  alteraopinio de  Albertistis  dico  quod  illud  est  pro  uobis;  et  cura  dicithaec  opinio  quodanimaest  indivi- sibilis.  quia  animalia  perfecta  secta  nou  vivunt:  dicitur  quod  hoc  non  concludit;  unde  dico quod  hoc  provenit  pro  tanto,  quia  in  animalibus  perfectis  est  complexio  temperata  et mensurata  respectu  aliorum  animalium;  et,  ut  utar  seraone  Aristotelis,  una  pars  de- pendot  ab  alia.  Ideo  si  dividatur  uua  pars  ab  alia,  raoritur  aniraal:  et  haec  est  ratio Aristotelis  in  quinta  particula  Probleraatum  problemate  vigesimosecundo,  ubi  quaerit proptcr  quid  corpora  maxime  perfecta  de  facili  aegrotant,  et  hoc  dicit  esse  propter  ma- ximam  et  optiraara  suara  complexionem  et  compositionera  in  partibus  quarum  una  de- pendet  ab  altera;ideo  una  laesa,  aliae  laeduntur;  sicut  in  cithara  perfecta  una  corda  laesa tota  laeditur:   non  sic  iraperfecta.  Quod  ergo  una  parte  laesa  totum  laedatur  est  ex sui  perfectione,  et  non  ex  indivisibilitate  aniraae :  quia  enim  in  talibus  animalibus  est complexio  et  compositio,.  ideo  partes  sunt  magis  unitae,  et  dependentes  ad  invicera; ideo    si  una  pars  taliura  animalium  laeditur  vel  separatur  ab  alia,  solvitur  illa  pro- portio ,   et    commensuratio  membrorum    talium  animaliura    ad   iuvicem;  quare totum  animal  moritur,  quia  vita  consistit  in  illa  proportione;  et  hoc  tamen  secundum Averroem,  quia   fides   aliter   sentit.  Quod  si  horao  in  duas  partes  divideretur, non statira  perirct  anima  loquendo  de  ea  quae  est  educta;  cuius  signum  est  quod  manus abscissa  palpitat,  et  vidi  capxit  sectum  in  decapitatis  palpitave;  et  multi  dicuiit  loqiii, quod  tamen  uegatur  a LIZIO.  Quare  autem  non  diu  \ivat  anima diviso coriiore non est  ex  indivisibilitate  animae  sed ex sui  perfectione – cf. H. P. GRICE, SHROPSHIRE – immortality of the soul] ;  quia  liaec  anima  est  raaxime  per- fecta,  ideo  indig.^t  partibus  ad  invicem  unitis. Recitavimus  qnatuor  opiniones,  quarum  quartam  tauquam  magis  peripateticam acceptavimus,  quae  ceite  est  Commentatoris.  Uuusquisque  tamen  potest  defendere  suam opinionem,  sed  non  ut  puto  ad  meutem LIZIO;  sed  pro  clariori  intelligentia  liuius quaestionis  oportet  raovere  unum  dubium,  quia  iu  solntione  unius  argumenti  dictum est  quod  prima  definitio  animae  intelligitur  de  una  anima  totali  et  perfecta  non  de- pendente. Modo  lioc  est  dubium,  quia  per  ea  quae  dicta  sunt  aniraa  non  tantum  informattotnm sed  unamquamque  partem;  si  sic,  ergo  quaelibet  pars  est  animata,  ergo  anima  est  animata.  Quæro  de  anima  unius  partis  vel  est  actus  corporis,  vel  nou.  Si  non,  ergo  non est  anima;  sisic,  ergo  ponitur  quod  sit  actus  corporis;  ergo  sibi  competit  defiuitio  animae quae  est  actus  corporis  physici  organici ;  quod  tamen  est  falsum,  quia  illa  pars  non est  organica  ut  aliqua  particula  carnis.  Si  ergo  sic  sit,  iila  pars  nou  habebit  animam, et  sic  anima  non  erit  e.xtensa  sed  indivisibilis.  Ad  hoc  dicitur  quod  anima  informat  totum corpus,  et  quamlibet  partem,  et  quaelibet  pars  est  animata:  et  (ad  ea)  quae  dicis  contra, quia  uon  est  actus  corporis,  dico  quod  eadem  quae  primo  informat  totiim,  secundario partem;  et  sic  luiec  pars  secundaria  est  animata  per  animam  totum  informantem.  De- Jinitio  autem  illa  habet  intelligi  de  eo  quod  primo  informat  et  non  secuudario.  Dices: ista  expositio  est  cavillosa,  neque  solvit  dubitationes.  Bene  verum  est  quod  anima  primo informat  totum,  sed  accipit  animam  quae  precise  informat  miniraum  carnis.  Quaero  de illa:  velest  anima  vel  non;  si  sic,  cum  anima  sit  actus  corporis  physice  organici  istud niiuiraum  esset  organicum. Multi  moderni.  quorum  caput  est  PIETRO DA MANTOVA (si veda),  concivis raeus,  respondent  quod  quaelibet  pars  est  animata,  et  quod  in  uuo  homine  sunt  infiniti homines,  quod  quidem  non  consonat  viribus  sic,  et  est  contra  LIZIO supra  in textu  comraenti  noni  ubi  dicit:  «si  oculus  esset  animal»;  non  ergo  dieit,  quod  sit  ani- mal,  sed  loquitur  dubitative  «  si  sit  »;  et  istud  est  contra  Aristotelem  in  quinto  De  animalibus,  ubi  cum  devenit  ad  hominem,  docet  eum  esse  constitutura  ex  carne  et  osso. Et  si  diceres  LIZIO  loqui  de  uno  animali,  hoc  nihil  est.  Verum  ojwrtet  suam rationem  salvare,  quia  suraeudo  tale  minimuni  ut  est  animatum  vel  non,  dico  quod LIZIO  numquara  diceret  tale  rhinimura  esse  animatum  in  actu ,  nec  animal  iu actu,  quia  definitiones  dantur  eorum  qnae  sunt  primo  et  per  se  et  sirapliciter  et  in actu.  Ideo  illa  definitio  debet  intelligi  de  anima  per  se  in  actu,  et  non  potentia;  quia antem  illae  partes  non  proprie  dicuutur  aiiiraatue  cura  sint  in  toto  in  potentia;  ideo illa  definitio  non  datur  de  illis.  Sed  adhuc  instant  isti,  quia  definitio  explicat  essen- tiara  definiti;  si  ergo  partibus  integralibus  animae  non  competeret  haec  definitio,  ergo iu  defiuitione  animae  poueret  primo  et  per  se;  et  cum  hae  conditiones  siut  accidentales,  et  sic  defiuitio  auimae  esset  data  pcr  additamentum  scilicet  per  particulas per se,  primo.  Hoc  argumento PIETRO DA MANTOVA (si veda)  concedit  quod  quaelibet  pars  animalis estauimai.  Sed  contra;  quia  similis  (ratio)  est  contra  eos,  nara  aninial  et  unum  animal convertuutur  quarto  Metaphysicorum;  sed  per  se  hoc  est  animal,  ergo  nnum  animal  tan- tum:  quare  iu  uno  non   ernnt  infinita  aniinalia,    ut  tu  coucedis.   Sed   quia   possent negare  quod  uuura  et  ens  couvertuntur;  ideo  dico  ad  argumentnm:  primo  quod  ad  lioc quod  aliquid  definiatur,  oportet  liabere  has  conditiones,  seilicet  «  per  se  primo»:  nou  ta- men  quod  liae  conditioues  siut  iu  quidditivo  conceptu  definibilis.  Alii  dicunt,  et  iu  idem coinciduut,  quod  in  geueratis  in  quibus  terminus  ut  liomo  dicit  secuudo  auimam  et corpus;  si  definiatur,  semper  est  cum  connotatione,  ut  ex  illis  partibus  fiat  unum per  se  et  in  actu;  et  sic  licet  liae  conditiones  non  ponantur  in  definitione,  tamim connotantur  inesse  illi  subiecto. Utrum  potentiae  animae  distinguantur  reaUter  ab  anima. Circa  textum  trigesimum  secuudum  Pomponacius  dubitat  utrum  potentiae  ani- mae  distiuguautur  ab  auima  rcaliter.  Ista  quaestio  est  difficiiis,  et  Iiabet  nuiltas opiuiones.  In  ea  tamen  tres  principales  invenio;  prima  est  Tiiomae  in  prima  pavte,  quæstione  septuagesima  septima  articulo  primo,  quam  imitantur  ROMANO (si veda)  et  Joanncs Gandaveusis,  et  multi  alii  qui  volunt  quod  potentiae  animae  sint  de  secunda  specie  qualilatis  et  sint  reales  realiter  distiuctae  ab  esseutia  animae  ;  et  licet  de  lioc  siut  fereinflnita  argumeuta,  ego  tamen  potiora  adducam. Primura  argumentum  est  Tiiomae  in  prima  parte  quaestione  quinquagesimaquarta articulo  tertio,  ubi  quaeritur  utanu  potentii  Angeli  sit  eius  esseutia.  Argumentum est  quia  in  Deo  esse  et  essentia  snnt  idem;  in  aliis  vero  nou,  aiiter  euiui  divinae simplicitati  derogarent:  sicut  autera  esse  et  essentia  uon  sunt  idem  in  creaturis,  ita uec  essentia  et  potentia  erunt  idem.  Unde  si  essent  idem,  agerent  sine  aliquo  instru- mento,  sed  agereut  immediate  p^r  essentiam  solam,  quod  Deo  repugnat.  Et  propter  boc tenet  AQUINO (si veda)  quod  esse  et  essentia,  essentia  et  poteutia  non  sunt  idera  nisi  iu  Deo. Secundum  argumentum  est:  actus  et  potentia  sunt  eiusdem  geueris;  cum  ergo actus  animae,  ut  visus,  sit  accidens;  ergo  potentia  ad  videndum  erit  accidens,  quare nou  erit  idem  quod  aniraa. Tertiura  argumentum:  si  anima  esset  idem  quod  suae  potentiae,  tunc  anima semper  actu  operaretur;  quod  tameu  est  falsum,  quia  aliquando  ob  omni  opere  cessat. Consequentia  probatur;  sicut  enim  auimae  est  facere  esse  vivum  illud  iu  quo  est,  et quamdiu  stat  in  subiecto,  ad  eam  sequitur  esse ;  ita  si  essentia  animae  sit  sua  po- tentia  ad  eaui  semper  sequitur  operari  et  esse  in  actu. Quarta  ratio  est,  in  qua  multum  miratur  Aegidius,  quia  non  est  transire  de  extremo in  extremum  sine  medio;  es  quo  ergo  aniraa  est  substantia,  et  operatio  est  accidens, oportet  dare  aliquid  quod  nou  sit  totaliter  substantia,  nec  totaliter  accidens,  et  lioc est  potentia  animae. Quinta  ratio:  poteutia  est  de  secunda  specie  qualitatis,  qualitas  autem  realiter diflfert  a  substautia,  quia  suut  praedicaraenta  distincta;  ergo  aniraa  et  eius  potentia non  sunt  idem. Sextani  argumentum:  aniraa  est  una,  potentiae  plures;  ergo  anima  non  est  suæ potentiæ  realiter. Septimum  arguraentura  :  sequeretnr  quod  in  pede  esset  potentia  visiva,  et  sic pes  posset  videre,  quod  est  falsum.  Consequentia  probatvu-:  si  enim  anima  sit  idem quod  suae  potentiae,  cum  anima  sit  in  pede;  ergo  potentia  visiva  erit  in  pede. Octavo  et  ultirao:  quaecumque  suut  eadem  uni  tertio  sunt  eadem   inter  se  ;  si ergo  potentiae  animae  suut  idem  lealiter  qnod  auima,  erunt  idem  inter  se;  quare  potentia auditiva  erit  visiva  vel  olfactiva  erit  tactiva,  et  sic  de  aliis. Alia  est  opiuio  huic  ex  toto  contraria ,  quae  teuet  quod  potentiae  auimae  sint idom  realiter  quod  auima,  et  quod  differant  ab  anima,  et  inter  se  sola  ratione.  Cuius sententiae  fueruut  Nominales,  quorum  primus  est RIMINI (si veda) in  secundo  Sententia- rum,  dispiitatione  decimasexta,  quaestione  tertia,  articulo  primo;  et  liabet  tres  rationes priucipales,  quarum  prima  est  haec  quae  videtur  efficacior:  frustra  fit  per  plura  quod fieri  potest  per  pauciora  et  aeque  bene.  Sed  omnia  salvantur,  ac  si  pouamus  eas  distingui realiter  ab  illis;  ergo.  Anterior  est  clara;  brevior  probatur,  quia  non  aliqua  ratio  neque auctoritas  est  quae  cogat  ad  hoc,  ut  patebit  in  ratione  ad  obiecta.  Secunda  ratio: si  anima  et  suae  potentiae  diffeiTent  realiter,  itaque  potentia  sit  accidens;  cum  omne accidens  sit  in  subiecto,  ergo  ista  poteutia  erit  in  anima  sicut  iu  subiecto.  Vel  ergo erit  in  ea  mediante  aliqua  potentia,  vel  non;  si  nou,  ergo  anima  poterit  es  se  sola aliquid  accidens  recipere,  quare  poterit.  recipere  actum  sine  potentia  intermedia.  Si priraum,  quaero  de  illa  potentia,  et  ita  vel  procedetur  in  iufinitum,  vel  erit  deve- nire  ad  aliquam  poteutiam  quam  auima  ex  se  sola  recipiat;  quia  anima  ex  se  sola poterit  aliquid  accidens  recipere;  quare  erit  standum  in  primo,  scilicet  quod  anima es  se  sola  possit  facere  suam  operationem;  quando  enim  debemus  resecare.  melius  est resecare  in  principio,  quam  in  fine  ex  secundo  huius  textu  commeuti  centesimi  trigesi- misexti.Tertium  argumeutum:  raateria  prima  non  differt  a  sua  potentia;  ergo  nec auima.  Et  coufirmatur  quod  caliditas  agit  non  mediante  aliqua  potentia  intermedia; quare  videtur;  esse  dicendum  idem  de  anima,  quod  ipsa  faciat  suas  operationes  debitas sine  potentia  intermedia. Tertia  est  opinio  Scoti,  quae  est  raedia  inter  ista,  quae  opiaio  constat  ex  dua- bus  conditiouibus.  Prima  conditio  est,  in  qua  couvenit  cum  nominalibus,  quod  anima est  idem  realiter  cum  suis  potentiis  ;  quod  probant  quia  eorum  quae  sunt  abso- luta,  Deus  potest  creare  unum  sine  altero,  et  quorum  unum  non  sit  pars  alterius. Notamus:  dicitur  absolutum  quod  de  relativis  est  impossibile,  ut  de  patre  et  filio;  et notamus:  dicitur  «  quorum  unum  non  erit  pars  altejius,  quia  Deus  non  potest  causare compositum  sine  materia;  et  hoc  quia  materia  est  pars  illius:  potentia  autem  aniinae non  est  pars  animae,  aut  relativum,  sed  absolutum.  Sed  dices:  non  potest  facere  poten- tiam  sine  auima;  ergo  suut  idom  realiter;  nec  etiam  potest  creare  auimam  sine potentia;  quod  probatur,  quia  si  Deus  crearet  animam  nutritivam,  certum  est  quod nutriret,  cum  sit  nutritiva;  ergo  haberet  potentiam  nutriendi.  Itera  istae  poteutiae  sunt sicuti  propriae  passioues,  quae  non  possunt  esse  sine  subiecto  proprio.  Secunda  con- ditio  est,  in  qua  differt  a  RIMINI (si veda),  quod  potentiae  differunt  ab  anima  non  tantum ratione,  sed  ex  natura  rei;  quod  probatur,  quia  illa  quae  secluso  omni  opere  intel- lectus  habent  diversas  denominationes,  non  sunt  distincta  sola  ratione;  anima  autem et  suae  potentiae  se  habeut  hoc  modo;  ergo  suut  distincta  ex  natura  rei.  Anterior  est; manifesta,  et  brevior  probatur,  quia  secluso  opere  intellectus,  adhuc  anima  est  una potentiae  autem  plures.  Item  anima  est  causa  suarum  operationum;  ergo  simt  distin- ctae  plusquam  ratione.  Sed  dices  quae  harura  opiuiouum  est  raelior?  Dico  quod  quælibet  potest  sustineri,  et  de  hoc  ego  uescio  determinatara  veritatem,  multa  euim  sunt problemata    quae  omniuo    non    habent  de  se  veritatem   determiuatara,  ut   numerus stellarum;  qiiis  enim  scit  uu  stellae  siut  pares  au  impares?  similiter  et  graua  arenae. Dico  tameu  quod  opiuio  AQUINO (si veda)  mihi  magis  placet,  est  euim  magis  consoDa  dictis  LIZIO;  fuit  etiam  sententia  ACCADEMIA  et  Dionisii.  Sustinendo  ergo  eam  dicitur  ad  ratioues Nominalium  voleutium  poteutias  animae  diiferre  ab  anima  sola  ratione:  ex  eo  euim  quod anima  potest  videre,  dicitur  potentia  visiva,  et  ex  quo  potest  olfacere,  dicitur  olfactiva; et  sic  de  aliis  dicatur.  Ad  primum  cum  dicitm;  frustra  etc,  dicitur  concedendo  ante- riorem;  sed  negatur  minor,  quod  aeque  bene  potest  salvare.  Et  cum  dicitur:  patebit  etc. dico  quod  argumeuta  quae  fiuut  pro  Thoma  simt  magis  probabilia;  et  multum  ad  hoc cogunt  ut  patebit  iufra. Ad  secundum,  cum  dicitur:  ista  potentia  vel  recipitur  iu  anima  mediate  vel  nou; dico  quod  accidens  est  anima,  sed  non  proprie ;  sunt  enim  in  composito,  nec  sunt  iu coi-pore  solo;  istae  euim  poteutiae  non  producuntur  ab  anima  secundum  Thomam,  sed producuntur  a  producente  animam  qui  est  Deus;  et  ipse  dicit  hoc  modo  iu  prima  parte, quaestione  sexagesima  tertia,  articulo  quinquagesimo,  ubi  vult  quod  diabolus  in  primo iustanti  suae  creationis  non  potuit  peccare.  Quidquid  habebat,  a  Deo  habebat  et  sic peccatum  a  Deo  esset;  sicut  quando  ex  ligno  generatur  ignis,  tam  forma  ignis,  quam motus  eius  sursum  est  a  generante.  Et  cum  dicitur:  vel  recipitur  iu  auima  uiediante aliqua  altera  potentia  vcl  non :  dico  quod  secus  est  in  principio  et  iu  principiato, quia  priucipia  uou  suut  talia  proprie  sicut  principiata,  sicut  prima  principia  quae suut  causa  quod  alia  sciautur;  ipsa  tameu  uon  sunt  proprie  scita,  et  relatio  quae  est causa  referendi  alia  non  refertur  alia  relatione  quam  se  ipsa;  et  quantitas  quae  est causa  extensionis  aliorum  per  semet  extensa  est.  Ita  de  auima  dicemus,  quod  recipit actura  mediante  potentia,  sicut  videre  mediante  poteutia  visiva,  immediate  tamen  et per  se  sola  recipit  poteutiam  visivam,  quae  potentia  habet  se  sicut  priucipium  ad videudum.  Altera  responsio  est.  quod  sicut  est  de  potentia  et  de  actu,  quia  actus  est quid  extrinsecum  ab  ipsa  aniraa,  potentia  vero  est  quid  medium;  uatura  autem  nou transit  de  extremo  ad  extremura  sine  medio.  Ad  tertiura,  quod  potentia  raateriae  sit idera  quod  materia;  multi  teneut  quod  potentia  materiae  differat  a  materia;  sed  puto hoc  esse  falsum.  Quare  dico  uegando  consequentiam  quia  materia  recipit  formam  substantialem,  et  cum  actus  et  potentia  sint  in  eodem  geuere,  receptum  autem  sit  sub- stantia,  potentia  quoque  ad  illud  recipiendum  erit  substantia.  Et  cum  dicitur:  potentia caliditatis,  per  quam  agit  uon  diifert  a  caliditate,  ergo  iu  simili  uec  potentiae  ani- mae  differunt  ab  anima;  dico  quod,  sicut  dicitur  in  secimdo  Coeli  textu  coramenti  sexa- gesimiquarti  et  sexagesimi  sexti,  aliqua  sunt  ita  in  fine  naturae  ,  quae  propter  sui imperfectiouera  consequuutur  aliquam  iraperfectiouem  paucis  motibus;  aliqua  vero  suut quae  et  propter  sui  maguam  perfectionera  consequuutur  perfectam  bouitatem  paucis motibus.  Alia  vero  suut,  quae  babent  perfectam  bonitatem  siue  aliqua  operatione  ut Deus. His  habitis  dico  quod  si  qualitates  primae  agunt  absque  aliqua  potentia  inter- media,  hoc  est  propter  sui  maximam  imperfectionem;  uude  forma  prima,  quae  est imperfectissima  imraediate  potest  formas  substautiales  recipere;  auima  autem  cum  sit, pars  perfectissima  omnium  istarum  formarum  inferiorura,  non  potest  agere  absque potentiis  intermediis. Ad  arguraenta  Scoti,  ad  primum  quod  eorum   quae  sunt  absoluta  Deus  potest facere  unum  sine  altero,  dantur  duae  responsiones ;   prima   negaudo   anteriorem,  et Ch.76  verso multi  eam  negant  quum  etsi  niateria  et  forma  sint  absolutae,  tamen  Dens  non  potest  uuum  siue  altero  facere.  Et  AQUINO (si veda) e ROMANO (si veda)  teuent  oppositiim;  nec  forte  posset producere  formam  asini  sine  sua  materia,  ex  eo  quod  ad  invicem  dependent.  Nec aliquam  aliam  formam  materialem,  nec  a  Tiionia  oppositum  invenio;  nec  istam  pro- bavit  Scotus.  Alia  est  responsio,  quam  dabat  praeceptor  mens  concedendo  Deum posse  creare  unam  animam  sine  poteutiis;  et  cum  dicitur:  ista  vel  posset  nutrire vel  non;  dico  quod  posset  nutrire  non  in  potentia  propinqua  sed  remota;  sicut  si  in materia  non  esset  quantitas,  materia  posset  recipere  albedinem  non  in  potentia  pro- pinqua,  quia  albedo  recipitur  in  materia  mediante  superticie;  sed  in  potentia  remota posset  albedineni  reeipere. Quum  vero  dicitur  potentias  distingui  ex  natura  rei  ab  ipsa  anima,  diceret AQUINO (si veda) negando  illara  distinctionem,  quum  omnis  differentia  vel  est  realis  vel  rationis,  nulla vero  ex  natura  rei;  sed  quum  argumenta AQUINO (si veda) non  conclndunt,  ad  ea  volo  respon- dere.  Ad  primum,  quod  si  anima  ageret  sine  aliquibus  potentiis  intermediis  esset  ita perfecta  sicut  Deus:  istud  argumentum  est  probal)ile  sed  non  concludit;  ideo  dico cjuod  hoc  modo  nou  sequitur:  ad  probationem  dico  quod  propter  hoc  non  sequitur  esse ita  perfecla  sicut  Deus  quae  a  Deo  dependent  et  sunt  magis  potentialia  ipso. sunt  enim composita  ex  perfecto  et  imperfecfco,  quorum  unum  attestalur  forma,  alterum  materia. Deus  autem  a  nullo  dependet  et  est  purus  actus.  Ad  aliud,  actus  et  potentia  sunt in  eodem  genere,  plures  dicuntur  ad  hoc  responsiones;  ad nominales  qui  tenent  substantiam  et  accidens  esse  idem  realiter,  et  quod  qualitas,  excepta  tertia  specie,  sit  idem reaiiter,  sed  non  in  Deo;  ad  hoc  dico  quod  anterior  propositio  intelligitur  de  potentia obiectiva,  unde  potentia  caliditatis  et  actu  caliditas  sunt  in  eodem  genere,  non  autem intelligitur  de  potentia  subiectiva  per  quam  aliquid  aecidens  in  aliquo  reperitur subiecto,  et  ista  est  responsio  Scoti.  Ad  tertium  quaudo  dicitur,  si  essent  idem  ergo anima  semper  actu  operaretur,  cum  ita  se  habeat  ad  cperari  sicut  anima  ad  esse:  dico quod  licet  potentiae  siut  ideni  realiter  cum  anima,  differunt  tamen  ratione,  et  propter hoc  anima  non  semper  actu  operatur  sicut  in  Deo  potentia  creandi  et  essentia  sunt idem  quod  Deus,  et  tamen  non  semper  actu  creat  et  hoc  quia  istae  poteutiae  diffe- runt  ratione  et  plus  requiritur  ad  hoc  quod  anima  operetur  quam  quod  det  esse,  si enim  debet  exire  in  operationem  ipsa  anima,  requiritur  obiectum  extrinsecum;  non autem  ad  hoc  quod  det  esse  requiritur  aliquid  extrinsecum,  quia  dat  esse  materiae quaudo  in  ipsa  est,  et  ideo  non  semper  actu  operatur  sicut  dat  esse,  quia  aliud  est in  ratione  essentiae,  aliud  iu  ratione  poteutiae.  Ad  quartum  non  est  transitus,  dico quod  non  est  necesse,  si  sit  transitus  de  uno  extremo  ad  alterum,  quod  fiat  per  omnia media,  et  sieut  qualitates  primae  agunt  immediate,  ita  et  anima  potest  agere  im- mediate. Ad  alterum,  quod  potentiae  sunt  de   secunda  specie   qualitatis,  dico secundum Scotum  quod  istae  potentiae  ex  quo  idem  sunt  realiter  quod  anima,  quod  erunt   in eodem  prædicameuto  in  quo  est  anima. Aliter  dicimt  Nominales  quod  aliquid    accidens    realiter  est  substantia  et  tunc anima,  ut  est  potens,  erit  in  secunda  compositione  qualitatis;  sed  istae  responsiones non  videntur  multum  valere,  ut  aliquod  accidens  sit  substantia,  et  ideo  dixi  opinionem Tiiomae  magis  verara  apparere. Ad  ultimum  quod  uua  est  anima,  et  multae  potentiae:  dicitur  quod  potentia dicit  duo:  subiectum  et  terminum;  ratione  termiui  sunt  plures  poteutiae,  sicut  poten- tia  visiva  est  alia  ab  auditiva,  ratione  coloris  et  soni,  respectu  autem  animae  et  subiecti sui  sunt  idem,  sicut  in  deo  iusiitia  et  misericordia  realiter  sunt  idem,  in  ratione  tamen termini  sunt  diversa. Ad  alterum  quod  potentia  visiva  esset  in  pede,  dico  quod  in  pede est  potentia  visiva,  in  potentia  remota,  ex  eo  quod  anima  non  videt  nisi  mediante  organo  debito  quod  est  oculus.  TJltra  enim  animam,  ad  sensationem  causandam  requiritur debitum  corpus  quod  habeat  adiuvare  animam  in  tali  sensatione  ferenda;  et  si  dicitur: cum  potentia  visiva  sit  in  pede  in  potentia,  ergo  aliquaudo  reducitur  ad  actum  et aliquando  pes  videre  poterit :  dico  quod  non  inconvenit  aliquara  potentiam  remotam numquam  reduci  ad  actum.  Ad  ultimum  quod  istae  potentiae  essent  idem  inter  se. dico  quod  sunt  idem  in  potentia  remota,  nou  propinqua. Quomodo  potentiae  ab anima  fluant. Viso  hoc  restat  videre  quomodo  et  quo  ordine  potentiæ animæ  fluant  ab  aniroa, et  quomodo  sit  possibile  tot  potentias  fluere  ab  essentia  animae;  cum  tameu  sit  communis regula  quod  ab  uno  non  provenit  nisi  unum. AQUINO (si veda) ibi  in  quæstioue  sexta,  articulo  quarto  et  septimo,  dicit  quod  duplex  est  ordo,  scilicet  perfectionis,  et  originis. Secundum  primum  ordinem.potentiae  intellectivae  sunt  priores  sensitivis,  sensitivae  nutii- tivis:  secundum  vero  secundum  ordiuem,  e  contra  se  habent,  quod  enim  est  in  perfectione nobilius,  in  via  generationis  est  posterius,  et  sic  potentiae  nutritivae  erunt  priores sensilivis,  et  sensitivae  intellectivis,  quae  sunt  intellectus  et  voluntas.  Sed  quaenam sit  nobilior  potentia  an  inteliectus  vel  voluntas.  Moderni  theologi  ut  Aegidius  et  Scotus tenent  quod  voluntas  sit  nobilior,  et  hoc  quia  magis  unimur  Deo  per  actum  volun- tatis,  qui  est  amare,  quam  per  intelligere,  quod  est  actus  intellectus;  secundum  tamen ACCADEMIA E LIZIO et  theologos  antiquiores,  et  etiam  secundum  AQUINO (si veda)  intellectus  est  nobilior  voluntate.  Habetis  ergo  quomodo  ab  anima  quae  est  una,  possunt plura  provenire  ordine  qnodam, prius  enim via originis  producit  potentias  nutritivas, postea  sensitivas,  demum  intellectivas. Post  textum  quinquagesimum,  Pomponacius  movet  miilta  dubia;  primum  quia  in vigesimosecundo  et  trigesimotettio  textus,  dictum  est  quod  operationes  suut  notiores  poten- tiis,  et  obiecta  operationibus:  idem  vult  in  De  somno  et  vigilia;  ideo  quaeritur  utrum hoc  sit  veiTim,  utrum  scilicet  potentiae  distinguantur  per  actus  et  actus  per  obiecta.  Nec sermo  noster  est  de  potentia  obiectiva  aut  respectiva,  sed  de  potentia  quae  est  de secunda  specie  qualitatis;  nec  est  sermo  de  distinctione  essentiali,  sed  de  extrinseca,  hoc enim  non  est  possibile  nec  imaginabile,  quia  actus  non  snnt  intrinseci  potentiis, nec  obiecta  actibus.  Sed  dices:  propter  quid  differant  intrinsece?  dico  quod  differunt per  suas  ditferentias;  et  quia  istae  difterentiae  non  sunt  notae,  ideo LIZIO non facit  mentiouem  de  hoc,  et  quia  hoc  est  clarnm,  quia  omnia  difteruut  per  suas  ditfe- entias;  sermo  ergo  non  est  de  differentia  intrinseca.  In  hac  quaestione  ponam  quatuor articulos;  priraus  erit  de  distinctione  numerali,  secuudus  de  distinctione  specifica, tertius  de  generica;  in  quarto  dicetur  quid  senserit  LIZIO  de  omnibus  his  articulis et  alii  de  quarto  tantum  loquuntur. Utrum  unitas  obiecli  secundum  numerum  arguat  operationem  unam  secundum numerum,  et  e  contra. Quaei-itiir  ergo  de  primo  articulo  utrum  unitas  obiecti  secuudum  uumerum argiiat  operationem  unam  secuudum  numerum,  et  e  contra.  Si  ita  dicatur  de  uiiitate operationum  respectu  potentiarnm,  de  hoc  patet  quod  non  valet:  si  est  unum  obiectum numero,  ergo  una  operatio  nnmero;  quia  ego  sum  unum  obiectum,  quem  vos  omnes videtis,  et  tamen  multae  sunt  visioues,  quia  quot  sunt  bomiues,tot  sunt  visiones.  Sed quid  dices  respectu  unius  obiecti  et  uuius  potentiae?  adhuc  non  valet,  quia  nunc  Socrates videt  hauc  albedinem,  et  prius  iufinities  vidit;  iu  hoc  casu  est  idem  obiectum,  eadem potentia,  uon  tameu  eadem  operatio  numero;  et  hoc  est  quod  dicitur  in  quiutoPhysicorum quod  diversorum  motuum  stat  quod  sit  idem  terminus  uumero;  et  ita  de  hoc  dicatur,  quia licet  terminus,  scilicet  obiectum  et  potentia  sint  una  numero,  non  tamen  operatio  est  una numero  et  unitate  numeraii  obiecti  et  potentiae  sit  uua  operatio  numero.  Dico  quod  stat Cl).79verso  operationem  non  esse  unam  uumero,  staute  uuitate  numerali  omuium  istorura;  nam sit  ita  quod  uua  et  eadem  res  sit  volita  et  intellecta  a  me;  nam  uua  pulchra  puella siraul  et  eodem  instanti  potest  esse  intellecta  a  me,  non  tamen  amata  et  desiderata, quia  ego  non  vellem  eam,  et  tunc  patet  quod  sunt  diversae  operationes,  et  tamen  est idem  obiectum;  sed  hoc  est  quia  non  est  idem  obiectum  forraale,  sed  bene  materiale, Obiectum  re  formale  intellectus  est  Eus,  et  verum  obiectum  voluntatis  est  Bonum, niliil  euim  appetitur  uisi  sub  ratione  boni  contra  Scotum ;  quod  si  sic,  semper  ex unitate  formali  subiecti  licet  inferre  unitatem  operationis  stantibus  aliis  conditionibus, sicut  mihi  videtur.  Utrum  autem  e  contra  valeat:  est  una  operatio  numero,  ergo  unum obiectum  numero;  et  videtur  quod  sie,  ut  vult  Aristoteles  iu  quiuto  Physicorum,  quando tractat  de  unitate  motus.  Unde  plura  requiruutur  ut  ex  uuitate  obiecti  inferatur  uuitas operationis,  quam  e  contra;  eoque  una  operatio  non  potest  habere  nisi  unum  obiectum, sicut  unus  motus  unum  terminum.  Unde  in  quinto  Physicorum  dicit  LIZIO quod uuius  motus  est  tantum  unus  termiuus.  Sed  uumquid,  si  siut  duo  obiecta  numero  distincta, sint  duae  operationes  numero  distinctae?  Ex  una  parte  videtur  quod  sic,  quia  si  duae  sunt albedines  numero  differentes,  certum  est  quod  sunt  duae  visiones  numero  differentes; si  enim  visio,  ut  multi  tenent,  est  idem  quod  species  visibilis,  cum  duae  sint  species albedinis,  duae  quoque  erunt  visiones  numero  distintae.  Si  vero  dicas  quod  species visibilis  non  sit  idem  quod  visio,  sed  visio  causatur  a  specie  visibili,  tunc  sunt  duae causae;  ergo  duae  operationes.  Sed  iu  oppositum  videtur  quod  ex  diversitate  obiecto- rum  non  liceat  iuferre  diversitatem  poteutiarum,  quia  vos  estis  plura  obiecta  numero distincta,  et  tamen  uno  intuitu  video  vos.  Etiara  et  per  boc  est  ratio,  quia  videtur, ut  dicitur  iu  quarto  Topicorum,  quod  qui  imum  non  intelligit  nihil  intelligit;  et  con- firmatur  ad AQUINO (si veda),  quia  una  et    eadem  cera  non  potest   simul  informari  a  pluribus figuris,  ut  triangulari  et  rotunda  simul ;  ergo  nec  visio  potest  plura  videre  nec aliqua  alia  potentia.  In  hoc  Scotus  et  Thomas  sunt  oppositi;  vult  enim  Seotus  quod una  poteutia  possit  simul  habere  plures  operationes;  Thomas  vero  vult  quod  hoc  non sit  possibile,  et  ideo  de  hoc  difficile  est  inquirere  et  bene  determinare.  Videtur  forte quod  ambo  beue  dicant,  nec  est  difterentia  in  se,  sed  in  verbis  tantum ;  cum  enim dicit  Scotus:  sunt    plura  obiecta  visa,    ergo    plures  visiones;   dico   quod  est  unum obiectum  primo  visum  actu,  et  sunt  plura  ia  potentia;  sicut  si  viJeam  domum,  tota domus  est  unura  obiectum  piimo  visum  in  actu;  partes  vero  visae  sunt  in  potentia, et  sicut  obiectum  est  uuum  actu,  ita  visio  est  una  in  actu.  Unde  si  audiamus  barmouiam, in  harmonia  est  grave  et  acutum,  et  tamen  tota  barmonia  est  unum  primo  auditun  in  actu, pluresinpotentia,  sicut  lapides  in  domo;  et  ita  ego  coucilio  Scotum  ed AQUINO (si veda),  quia quando  Scotus  dicit  quod  sunt  plures  operationes,  si  plura  sunt  obiecta  ut  de  duabus albedinibus;  dico  quod  sunt  duo  obiecta  in  potentia,  et  aggregatum  est  uuum  obiectum numero  in  actu;  et  ita  si  sunt  plura  obiecta  totalia  secuudum  actum,  sunt  plures operationes  actu;  et  si  est  uuum  obiectum  totale  in  actu,  uti  de  tota  domo,  est  etiam una  operatio. Restat  modo  videre  de  operatione  et  potentia;  et  primo  utrum  valeat  «sunt  plures operationes  numero,  ergo  potentiae  numero.  Hoc  modo  clarum  est  quod  non  videtur valere,  nec  valet  quia  eadem  poteutia  est  visiva  omnium  colorum,  quae  potegt  habere diversas  operationes  numero  distinctas,  successive  tamen;  nec  e  contra  valet :  est  una potentia,  ergo  uua  operatio  numero:  patet  hoc  de  his  quae  sunt  ab  una  potentia  in diversis  temporibus.  Numquid  vero  valeat:  si  sint  duae  operationes  numero  differentes in  eodem  tempore,  sint  etiam  diversae  potentiae?  Respondeo  quod  nonvaletargumentum; potest  enim  una  operatio  vel  potentia  simul  habere  duas  operationes.  De  activis hoc  est  clarum. idem  enim  sol  simul  calefacit  me  et  te;  et  istae  operatioues  sunt distinctae  quia  istae  calefactiones  sunt  in  me  et  te;  motus  enim  est  in  moto;  in  passivis  esset  forte  hoc  modo  etiam  verum  saltem  in  actione  spirituali  ut   dicit  Scotus. Utrum  ea-  unitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  unitatem  specificam  actus.  q^  80 ve- Secundus  articulus  est:  utrum  ex  unitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  unitatem specificam  actus;  et  ex  diversitate  specifica  obiecti  liceat  inferre  diversitatem  actus specificam.  Eodem  modo  quaeritur  de  operationibus;  et  primo  videndum  est  de  obiecto et  operatione.  Utrum,  si  obiectum  sit  unum  specie,  et  operatio  sit  una  specie.  Primo in  passivis  hoc  non  videtur  verum;  nam  potentia  visiva  canis  differt  specie  a  potentia visiva  hominis,  et  tamen  obiectum  quod  est  color  est  unum  specie.  Deinde  in  activis dictant  hoc  modo:  si  enim  homo  comedat  carnes  vitulinas  et  etiam  canis,  obiectum est  rmum  specie,  scilicet  caro  vituli;  et  taraen  poteutia  uon  est  eadem  simpliciter. Sed  forte  dices  ad  hoc,  quod  istud  obiectum  non  est  idem  formaliter,  sed  solum  mate- rialiter;  et  non  propinquum  obiectum,  sed  remotum.  Sed  esto  hoc;  ego  quæro,  si  homo ab  homine  et  a  cane  videatur,  utrum  hae  visiones  sint  idem,  cum  obiectum  sit  idem specie,  imo  idem  numero.  Multi  tenent  quod  sint  distinctae  specie,  sicut  istae  poten- tiae,  ut  est AQUINO (si veda),  sicut  etsi  duae  intelligentiae  intelligant  Deum,  istae  duae  intelli- gentiae  differunt,  et  tamen  obiectum  est  unum.  Alii  tenent,  ut  ApoUinaris,  quod istae  potentiae  in  cane  et  in  homine  sunt  eiusdem  speciei,  de  quo  infra  dicam. Diceret  ergo  aliquis,  secundum  primam  opinionem,  quod  valeat:  hoc  obiectum  est unum  spccie,  ergo  operatio  est  una  specie,  stando  in  eodem  homine,  non  in  eodem  ani- mali;  sed  hoc  non  videtur  verum  quod  sit  ita:  in  eodem  tempore  oculus  videret  o, et  sensus,  et  phantasia,  et  cogitativa,  et  intellectiva  potentia.  Obiectum  est  unum  specie, et  unus  est  homo;  et  tamen  istae  operationes  difterunt  specie,  Quis  diceret  has  oranes operatioues  sensus  scilicet  et  intellectus  esse  easdem  specie?  et  ideo  videtur  mihi  ad volenclura  lioc  concludere,  opus  esse  dicere  quod  si  obieclum  est  formaliter  uinuu  specie respectu  unius  hominis  et  eiusdem  potentiae,  quod  operatio  sit  vina  specie  ;  et  hoc Ch.Slrecto  clanim  est  uniFersaliter  quod  si  openitio  est  uua  specie,  etiam  obiectum  est  unum speeie:  quia  imus  motus  est  ad  unum  termiuum  tantum. Utmra  autem  ex  pluralitate obiecti  secundum  speciera  arguatur  pluralitas  operationis  secundum  speciem,  milii videtur  dicendum  quod  sic. Utrum  sensus  sit  activus. Circa  textum  sexagesimumquintura  dubitat  Pomponacius  primo  utrum  sensus  sit activus  vel  passivus.  Ad  quam quæstionem dico  quod  est  passivus;  et  ratio  est  quia  omne quod  de  novo  recipit  denominationem  intrinsecam  et  absolutara  trausmutatur;  sed  sensus est  lioc  modo;  ergo.  Auteiior  patet,  quia  denominatio  fit  ab  intrinseco;  quia  si  esset  ab extrinseco  non  esset  transmutatio  in  recipiente,  sicut  si  ex  paupere  fiam  dives.  Et  dico absoluta,  quia  relativus  potest  advenire  alicui  absque  aliqua  transmutatione  facta  iu eo;  sicut  si  aliquis  fiat  pater:  quando  ergo  erit  transmutatio  absoiute  et  ab  intrinseco, erit  trasmutatio  in  subiecto  iu  quo  est;  quod  si  in  illo  erit  transrautatio,  talis  virtus erit  passiva.  Breviter  etiam  probatur,  quia  sensus  est  de  novo  sentiens,  et  similiter  sen- satio  est  absoluta,  et  est  ab  intrinseco, quum  sensatio  est  iramanens,  ex  uono  Metaphysicorum.  Non  tamen  negamus  sensus  esse  activos;  unus  enim  agit  in  alterum,  ut exterior  in  interiorem;  sed  sermo  noster  est  utrum  ad  sensationem  concurrat  active. Nec  etiam  loquimur  de  oculo  mulieris  menstrualae,  ille  enim  agit  in  speculnra  infi- ciendo  illud:  sed  hoc  non  est  ratione  visionis,  sed  quia  vapores  exeunt  ab  oculo,  qui inficiunt  speculum;  sed  quaestio  est  utrura  in  sentiendo  patiatur  vel  agatur,   et  nos diximus  quod  sie,  ratione  dicta;  et  sic  patet  sensum  esse  virtutem  passivam.  Viden- dum  est  modo    quid  recipiant  sensus,  ut  puta  oculus  aut  auris.  LIZIO antiquum dicunt  quod  recipit  speciera  sensibilera,  quae  est  repraesentativaobiecti,  de  qua  infra dicit  LIZIO  quod  sensus  est  susceptivus  specierura  sine  materia;  et  in  «De  sommo ct  vigilia  »  dicit  quod  a  sensibilibus  in  sensu  relinqiiuntur  quaedam  imagines  et  simulacra rerum ;  sed istae compositiones   non  habent  esse  cura  materia,   sciiicet  cum calido  et  frigido. Verum  quidam  pharmacopolae  et  pigmeutarii  sunt  in  oppositum,  et dixerunt    contra LIZIO quod  sensus  nihil  recipit.   Aliqui    dixerunt  quod  bene recipit  species  sensibiles,  sed  recipit  istas  (juxta?)   naturas  rerum.  Quae  opinio  non est  intelligibilis. Viso  quod  sensus  recipiat  speciem  seusibilera,  videndum  est  modo  quid  sit  illud quod  producit  speciem  sensibilem,  et  brevi  dicendum  est  quod  obiecta  sunt,  quae producunt  species  sensibiles,  et  hoc  dixit  in  textu  commenti  quinquagesiminoni  et  sexa- gesimi  quod  sensus  reducitur  ad  actum  a  seusibilibus  quae  suut  ad  extra;  sed  tunc  est dubitatio,  quae  est  mota  ab  Averroe  in  commento  sexagesimo,  quomodo  est  possibile ut  sensibile  ad  extra,  quod  habet  esse  in  materia,  producat  speciem  sensibilem,  quae est  perfectior  obiecto.  Cum  tamen  nihil  producat  aliquid  perfectius  se,  licet  et  Joannes extorqueat  illam  auctoritatem,  quod  Averroes  movet  illud  dubium  per  sensationera, tamen  rei  vevitas  est  quod  illara  dubitationemraovet  pro  specie  sensibili.  De  hoc  suut diversi  raodi  dicendi.  Aliqui  dixerunt  propter  dictum  Averrois,  quod  quum  obiectum, iit  puta  color,  producit  speciem  sensibilem,  quod  producit  in  virtute  unius  intel- ligentiae  appropriatae  ad  hoc,  quae  ducit  de  potentia  sensibilibus  actu  sensibilia; sicut  ponitur  etiam  de  intellectu.  quara  intelligentiam  aliqiii  dixerunt  esse  Deum, qui  est  idem  quod  intellectus  agens,  et  pro  quanto  facit  de  potentia  intelligentis  actu intelligenda,  dicitur  intellectus  agens;  pro  quanlo  vero  facit  de  potentia  sensibilis  actu sensibilia,  dicitur  sensus  agens. Aliqui  dixeruut  quod  bene  intellectus  agens  est  Deus,  sed  sensus  agens  est  intelligentia  morens  orbem  lunae.  et  hoc  quum  sensatio  est  imperfeetior  intellectione,  ideo eliam  requirit  agens  minus  nobile. Alii  dixerimt  quod  est  una  intelligentia  assistens  animalibus,  ut  anima,  siciit  intel- lectus  in  bovera.  Sed  isti  errant,  si  enim  intellignnt  quod  ista  intelligentia  immediatR concumt  ad  sensationem,  errant  in  via LIZIO qni  tenet  nullam  intelligentiam agere.  Si  vero  intelligant  mediate.  non  est  ad  propositum.  Aliqui  tenuerunt  quod  sit una  virtus  quae  sit  in  organo,  et  per  illud  organum  agat  producendo  speciem.  per organum  vero  recipiat  speciem  ;  sed  hoc  non  videtur  verum,  quia  ego  quaero,  quae sit  ista  actio.  Albertus  videretur  tenere  qund  omnis  forma,  ut  forma  est,  agit  spiri- tualiter;  ut  vero  in  materia,  realiter  agit. Quae  opinio  bene  intellecta  habet  veritatem  quum,  ego  puto,  species  sensibilis alteret  mediura  et  agat  in  oculum.  Sed  tunc  est  dubitatio  quum  res  imperfecta  producit  rem  perfectiorem  se ;  AQUINO (si veda)  e ROMANO (si veda)  dicunt  quod  in  virfute  superiorum agunt  spiritualiter,  ut  vero  sunt  entia  realia  agunt  realiter.  Non  tamen  nego  quod  in virtute  corporum  caelestiura  agant  actione  reali,  sed  hoc  non  est  ita  appropriate  in  ' rcali  ut  in  spirituali.  Quare  nnn  est  mirandum  obiectum  producere  species  in  virtute superiorum,  et  hoc  consonat  dictis  LIZIO liic  et  in  quinto  De  animalibus,  ubi  dicit istas  forraas  produci  ab  elementis  iu  virtute  superiorum;  quod  si  ita  est  in  prima eorum  perfectione,  ita  et  in  ultiraa;  et  si  replicatur:  pariter  non  dabitur  intellectus agens,  quum  ego  dicam  obiectum  in  virtute  superiorum  producere  species  intelligi- biles;  respondeo  quod  ex  perfectione  hominis  est  ut  activiun  sit  coniuuctum  passivo; unde  elementa  quae  sunt  multa  imperfecta  non  habent  activum  sui  motus  coniunctum cum  passivo,  qualiter  estin  animalibus'quae  perfectiora  sunt,  et  sic  patet  totum  illud quod  dicis  Averroes  in  illo  commento. Utrum  species  sensibilis  et  sensatio  sinl  idem  realiter. Altera  dubitatio  est,  quia  dictum  est  quod  obiectum  in  virtute  superiorum  producit  speciem.  Quaeritur  modo  utrum  ad  talem  sensationem  requiratur  aliquid  alte- rum  praeter  organum  et  speciem;  et  hoc  est  quaerere  uti-um  species  sensibilis  et  sen- satio  sint  idem  realiter.  Videtur  primo  quod  non:  quia  sicut  est  in  intellectu,  ita est  in  sensu;  sed  ad  creandam  intellectionem  in  intellectu  requiritur  aliquid  alterum praeter  intellectum  et  speciem  intelligibilem;  ergo  ita  est  in  sensu.  Anterior  patet  per convenientem  similitudinem:  brevior  probabitur:  quia  in  iutellectu  aliquando  sunt species,  et  tamen  nou  est  intellectio.  Item  aliquando  in  sensu  est  species  sensibilis. non  tamen  tunc  sentimus:  aliquando  enim  delata  sub  oculis  uon  videmus,  ut  dicitur in  De  sensu  et  sensato,  nec  tamen  est  credendum  tunc  speciem  non  esse  in  seusu, quum  istae  species  agunt  mere   materialiter. Item  tertio   apparet hoc  ex sententia LIZIO  iu  secuudo  luiius',  textu  commeiiti  trigesimiseptimi,  ubi  dicit  quod  anima  est causa  effectiva  omnium  operationum,  quae  suat  in  corpore:  modo  si  sensus,  et  species essent  per  se  sutficientes  causae  seusationis  tunc  auima  non  esset  effectivaomnium suariim  operatiorum.  Item  ex  nouo  Metaphysicorum  intellectio  et  sensatio  sunt  actioues immauentes;  cum  autem  actio  immaneus  sit  quae  mauet  in  agente,  tunc  sensus  erit causa  activa  sensationis,  cum  etiam  concuvrat  passive.  Item  et  est  quintum  argumen- tum  quod  sumitur  a  Joanne,  in  quo  multum  insistit,  quia  si  solae  species  cum  sensu esseut  sufBcientes  causae  seusationis,  tunc  sensibile  esset  perfectius  seusu:  consequens est  falsum  ut  patet;  ergo.  Falsitas  consequentis  probatur;  quia,  ut  dicit  LIZIO in quinto  De  animalibus,  quod  sentit  est  perfectius  eo  quod  uon  seutit.  Consequentia  pro- batur  quia  illud  est  perfectius  cuius  perfectissima  operatio  est  nobiliw-  iievfectissima operatioue  alterius;  si  ergo  sensus  coucurrit  passive  ad  sensationem  creandam,  et  obie- Ch.  85verso  ctum  active,  quum  sit  nobilius  concurrere  active,  quam  passive,  tunc  sensibile  erit perfectius.  In  oppositum  arguitur: frustra  fit  per  plura  etc. »  sed  absque  lioc  quod  ponamus  aliquid  alterum  praeter  speciem  sensibilem  et  sensum,  possumus  omnia  salvare; ergo.  Anterior  est  per  se  nota,  brevior  patebit  iu  solveudo  rationes  in  oppositum  factas. Item  dicit  LIZIO iu  textu  commenti  quinquagesimiuoni  et  sexagesimi  buius,  quod sensibile  reducit  sensum  de  potentia  ad  actum.  Item  hic  et  ubique,  et  in  De  sensu et  sensato  dicit  LIZIO  sensum  esse  virtutem  passivam.  Item  dicit  Averroes  in commeuto  sexagesimosecundo, quod  sensibile  reducit  seusum  ad  postremamperfectionem, et  dicit  quod  si sensus producereut  colorem  realem,  uon  esset  comprehensic;  quare credit  ibi  quod  species  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter. Eadem  est  seuteutia AQUINO (si veda)  iu  secuudo  Imius  super  textum  commeuti  centesimi quadragesimiseptimi,  ubi  dicit  quod  sensus  est  tautum  virtus  passiva.  De  hoc  sunt diversae  opiniones.  Aliqui  teneut  primam  partem,  scilicet  quod  sensatio  distinguatur realiter  a  specie  sensibili,  et  quod  istae  uon  sunt  suSicientes  causae  sensationis;  et  si quaeratur  quia  producat  effective  ipsam  sensationem,  de  hoc  aliqui  dicuiit  quod  illa virtus  quae  producit  speciem  sensibilem  producit  sensationem,  et  quod  talis  seusus agens  principaliter  coucurrit  ad  sensationem,  sive  modo  illud  sit  Deus,  aut  aliqua  alia intelligeutia,  aut  uua  virtus  in  sensu. Aliis  uou  placet  hoc,  quia  tunc  uou  solveretur,  si  anima  uou  coucurrit  ad  sensa- tiouem,  quoiuodo  sensatio  sit  actus  immanens;  ideo  alii  aliter  dicunt,  et  inter  eos  est Albertus,  quod  sensatio  producitur  a  sensu  mediaute  specie  sensibiii;  in  sensu  euim  recipitur  species,  quae  species  recepta  et  sensus  causant  sensationem;  et  hoc  dicit  ut  solvet quomodo  anima  concurrat  eftective  ad  operatioues  suas,  et  quomodo  est  actio  immauens ipsa  seusatio.  Coutra  istam  opiuiouem  multa  dicit  Gandavensis,  et  totum  eius  posse est  in  hoc:  quia  impossibile  est  eamdem  virtutem  concurrere  active  et  passive  ad  eam- dem  operationem;  ideo  si  sensus  coucurrit  passive  ad  sensationem,  non  concurrit  active. Item  species  est  dispositio  ad  sensationem;  ergo  non  concurrit  effective  ad  ipsam,  et imaginatur  ipse  alium  modum.  Quod  si  ista  non  sunt  per  se  sufiicientia  ad  sensibile, tunc  quid  causat  sensationem?  Dicit  ipse  quod  in  omni  seusu  suut  duae  potentiae uiia    passiva  et  altera activa,    et quod per passivam recipit    seusationem, et  per [Nel  significato  di  senso  niaterirtlc  o  di  organo. activara  eam  causat;  et  arguit  contra  se  Joannes,  quia LIZIO  non  ponit  in  sensu istam  virtntem  activara:  dicit  ipse  quod  bene  Averroes  eam  ponit.  qnasi  velit  praeponere Averroera  Aristoteli.  Altera  est  opinio,  quae  ut  videtur  est  Thomae,  quae  ponit  sen- sationem  uon  diiferre  realicer  a  specie  sensibili,  et  quod  \iltra  speciem  sensibilem  non reqniiitur  aliqnid  allerum  pro  seusatione  creanda;  qnam  expresse  ponit  super  textum coramt-nti  quadragesiminoni,  licet  aliqui  Tliomistae  non  coufiteantur  istam  esse  eius opinionem,  quam  opinionem  videtur  ponere  Commentator  iu  fine  commenti  sexagesimi secnndi,  ut  ibi  notavimus. Volendo  ergo  sustinere  istam  opinionem,  sic  potest  dici  ad argumeuta  in  oppositum  facta:  ad  primum  quod  sicut  est  in  intellectu  ita  est  in  sensu, potestprimo  dicinegando  breviorem.  Ad  probationem  aliqui AQUINO (si veda) coucedunt  quod intellectio  et  species  intellectionis  sunt  idem,  et  cum  dicitnr  remanere  species,  non  tamen est  intellectio;  dico  quod  illa  species  est  imperfecta,  et  species  iraperfecta  non  est  idem quod  iutellectio;  aliter  potest  dici  negando  similitudinem,  et  ratio est  quia  sensatio est  cognitio  quae  iramediate  terrainatnr  ad  rem;  sed  intellectio  terminatnr  ad  aliqnid alternm  a  re,  scilicet  ad  speciera  intelligibilem,  sicnt  in  intellectione  Beatorum  iu  qnibus  ultra  intellectum  possibilem  et  intellectionem  uon  requiritur  aliquid  alterum  uisi Deus,  qui  est  eorum  species.  Ad  alterura:  quia  aliquando  delata  sub  oculis  non  vide- raus:    beatns  Augustinus  dicit  lioc  esse  quia  ad  seutiendura  oportet  ut  intentio  sit copulala  cnra  virtute,  idest  oportet  ut  anima  ndverfat,  et  velit  sentire  obieetum.  Quod    Ch.86verso dictum  noii  bene  intelligo,  nisi  velit  dicere  hoc  esse,  quia  virtutes  interiores  sunt  rectae, et  una  operante,  altera  non  operari  potest,  omnes  enim  virtutes  habeut  spivitus  deter- minatos  per  quos  operantur;  et  Avicenna  in  sexto  Naturaliura  dicit  quod  hoc  arguit coUigantiara  ipsarum  virtutum;  et  puto  istam  esse  copulalionem  virtutis,  qua  utnntur theologi.  Staute  hoc,  dico  quod  species  seusibilis  non  est  idera  quod  sensatio,  quorao- documque  sentiatur  species  sensibilis;  si  enim  species  sensibilis   sit  in  sensu  depau- perato  spiritibus,  tunc  non  est  cognitio,  et  hoc  quia  subiectum  non  est  bene  dispo- situm.  Agens  enira  non agit  nisi  in  agente  benc  disposito;  si  autem  sit  in  patiente optime  dispodto,  clarum  est  quod  est  sensatio.  Ad  alterum-  «  quod  aniraa  non  esset causa  effectiva  oranium  suarura  operationum  »,  ista  ratio  est  multum  dilficilis;  pro  quo notamus  quod  sensatio  es  ea  parte  qua  est  cognitio,  non  dicit  actionem,  aut  passio- nera;  sed  accidit  cognitioni  quod  sit  cum  actione  aut  passione.  Unde  intellectio  Dei non  est  cura  actione  aut  passione,  nec  intellectio  Dei  formaliter  est  actio,  sed  iu  nolds, qui  de  novo  intelligimus,  accidit  quod  nostra  cognitio  sit  cum  actione  aut  passione, ut  bene  dicit  Scotns  in  Quodlibet,  quaestione  deciraatertia;  et  licet  (ut  dicit  Burida- raus   in  Sex  principiis)   existimetur  quod intellectio  et  sensatio  sint  actiones   gram- maticaliter  loquendo,  philosophice  tamen  loquendo  sunt  raagis  passiones;  et  quia  ita ost  quod  illud,  quod  recipit  sensationera  aut  intellectionem,  dicatur  sentiensvel  intelligens,  non  autem  illud  quod  efiicit  illara.  Staute  ergo  hoc,  qnod  intellectio  forraaliter non  dicat  actionem  vel  passiouera,  dico  quod  revera  est  ita,  qiiod  anima  non  est  causa effectiva  omnium  suarum  operatiouum;  et  cum  dicitur:  Aristoteles  est  in  oppositum; dico,  ut  dicit  Averroes  ibi ,  quod  existiraatur  quod  sit  causa  suarum  actionum,  non tamen  est  ita  quod  sit  causa  elfectiva  earum:  imo  dicit  Averroes  ibi,  ut  quidam  repu- tant.  Similiter  ad  quartum  quando  dicitur,  quod  sensatio  est  actio immanens,  dico quod  sensatio  non  est  actio,  imo  potius  est  passio,  quam  actio,  licet  fonnaliter  nullura liorum  sit.  Acl  quiutura  quando  dicitur,  quod  sensibile  esset  perfectius  seusu, AQUINO (si veda) iii  loco  dicto  dicit,  quod  licet  sensibile  agat  in  seiisum,  nou  tameu  est  eo  periectius,  quia, liabet  tam  perfectiorem  operationem,  quam  ipsum  sensibile.  Possumus  nos  dare  duas respousioues  ad  hoc;  piimo  quod  licet  sensibile  agat  in  sensum,  nou  tamen  est  eo nobilius,  quum  non  agit  in sensum  in  \irtute  eius:  sed  in  virtute  superiorum.  Altera responsio  est  negando  cousequeutiam:  ad  probationem,  quaudo  dicitur obiectum  con- cnrrit  active  ad  sensationem,  dico  quod  seusatio,  prout  est  coguitio,  non  dicit  forma- liter  actionem  aut  passionem:  et  licet  obiectum,  iu  quantum  agit,  sit  perfectius  seusu, qiii  patitur,  non  tamen  absolute  est  ^rfectius,  quia  sensus  seutit,  obiectum  autem  non sentit;  quod  autem  sentit  est  perfectius  eo  quod  non  sentit.  Ista  ergo  est  opinio AQUINO (si veda) non  multura  usitata;  sed  opinio  Alberti  est  multum  usitata,  et  qui  vult  eam  tenere potest  ad  obiecta  faciliter  respondere;  sensus  enim,  ut  uudus,  concurrit  passive  ad  sen- sationem,  ut  informatus  specie  seusibili  concurrit  active;  Similiter  ad  secundum  dico quod  species  concurrit  effective,  non  principaliter  sed  dispositive.  Opinio  Joauuis  nullo modo  est  vera. Utruni  sensibilla  comimmia  coinprehendantur  ab  omnibus  sensibus. Kestat  modo  dubitare  circa  seusibilia  communia;  et  primo  quaeritur  utrum  sen- sibilia  commuuia  comprelieudantur  ab  omnibus  sensibus. Averroes  in  commento  sexage- simoquarto,  Veprehendit  Themistium  dicentem  ab  omnibus  seusibus  compreliendi ,  et dicit  ipse  quod  tiia  eorum,  motus  quies  et  numerus  ab  orauibus  comprehenduntur  , alia  vero  duo,  scilicet  maguitudo  et  figura,  a  visu  tantum  et  a  tactu.  Dubitatur  ergo, primo  utrum  olfactus  possit  cognoscere  magnitudinem:  et  videtur  primo  quod  sic,  quia numerus  percipitur  ab  auditu,  et  numerus  cansatur  ex  divisione  continui;  ergo  si  auditus  comprehendit'numerum,  videtur  etiam  quod  comprehendat  continuum,  scilicetfna- gnitudinem.  Sed  dices  tu  quod  uumerus  qui  seutitur  ab  auditu,  licet  causetur  ex  di- Ch.87verso  visione  continui,  non  tameu  causatur  ex  divisione  magnitudinis;  numerus  euim  qui causatur  ex  divisione  continui  permanentis  nou  sentitur  ab  auditu,  sed  bene  numerus qui  causatur  es  divisione  continui  successivi,  ut  puta  motus,  sentitur  ab  auditu;  motus enim  est  de  uumero  contiuuorum,  tertio  Physicorum;  sed  contra  tu  dicis  quod  nu- merus  qui  causatur  ex  divisione  continui  successivi  sentitur  ab  auditu.  Contra,  quia  si quis  sentit  numerum,  qui  est  ex  divisione  coutinui,  hoc  non  est  merito  auditus,  sed est  propter  sensum  interiorem,  scilicet  propter  memorativam;  unde  si  aliquis  habe- ret  debilem  memoriam,  uon  posset  sentire  talem  nuraerum,  sed  semper  putaret  tau- tum  esse  unitatem.  Sed  dices  quod  beue  auditus  uon  cognoscit  istum  complexi- ve;  sed  talis  virtus  est  memorativa.  Sed  pro  tanto  dicitur  sensibile  comrme,  quia  me- morativa,  raediante  auditu,  cognoscit  talem  numerum;  sed  tuuc  est  dubitatio,  quo- modo  numerus  per  se  sentitur.  Ulterius  etiam  probo  quod  magnitudo  per  se  com- prehendatur  ab  auditu,  (juia  auditus  compreheudit  differentias  magnitudinis;  ergo  et magnitudinem.  Antecedens  prol)atur,  quia  cognoscit  utrum  sonus  veniat  a  dextris vel  a  sinistris  ,  ab  ante  vel  a  retro,  a  sursum  vel  deorsum;  et  si  dicitur  deci- pere  circa  hoc,  concedo;  non  tamen  sequitur  ut  non  cognoseat  istas  differentias.  Consequentia  proliatur,  quia  si  cognoscit  differentias  magnitudinis,  videtur  conveniens iit  cognoscat  magnitudiuem.  Item  videtur  implicaie  quod  sit  seusus  et  non  cognoscat magnitudinem,  quia  sensiis  nou  coguoscit  nisi  cum  hic  et  nunc;  magnitudo  autem  est cum  liic  et  nunc. Similiter  etiam  arguitur  de  olfactu  qund  ipse  cognoscit  magnitudi nem;  sed  est  dubitatio  utium  oliactus  cognoscat  numerum;  et  videtur  quod  non;  si  enim olfactus  coguoscat  duos  odores  in  eodem  tempore, videtur  qxiod  cognoscat  eos  in  unum, non  autem  duo.  Si  vero  cognoscat  eos  in  diversis  temporibus,  lioc  non  videtur  oiHcium olfactiis  sed  memorativae,  quae  recordatur  praeteritorum.  Si  vero  dicas  quod  cognoscat duo odores  specie  distinctos.  ut  duos  iu  eodem  tempore,  contra  quia  non  videtur verum  quod  ponat  differentias  inter  odores  specie  diversos,  in  ista  positione  videtur  esse necessarium  dicere  quod  omnes  sensus  cogooscant  magniludinem;  etideo  dicit LIZIO quod  omnia  sensibilia  comraunia  sunt  omnibus  sensibus  communia,  ut  bene  disit  ibi Tliemistius;  sed  puto,  ut  dicitur  in  De  sonsu  et  sensato quod  magnitudo  perfecte  cognoscitur  a  tactu  et  a  visu;  certitudinaliter  enim  comprehendunt  quae  et  quauta  sit magnifudo;  alii  autem  sensus  non  liabent  hoc;  et  ideo LIZIO videtur  appropriare comprehensionem  tigurae  tactui  et  visui,  non  tamen  ita,  quod  alii  non  comprehen- daut.  Quod  vero  dicitur  quod  sensus  exterior  uon  cognoscit  numerum,  sed  illud  est oilicium  virtutis  interioris;  dico  quod  completa  et  perfecta  comprehensio  uumeri  est virtutis  interioris,  sed  initiative  est  in  sensu  exteriori:  unde  pueri  et  letiiargici.  qui non  habent  bonam  memoriam,  bene  sentiunt  horas,  non  tamen  possunt  eas  numerare. Et  aliter  potest  di-i  quod  hoc  iutelligitur  de  duabus  campanis  simul  sonantibus, quarum  una  sit  debilis  soni,  altera  vero  mediocris;  similiter  etiam  de  duobus  odoribus dicatur,  quod  simul  ab  olfactu  sentiuntur;  si  enim  sint  diversi  specie,  tunc  ol- factus  poterit  cognoscere  illos  ut  duos,  et  uon  tantum  poterit  hoc  virtus  sensitiva  iu- terior,  verum  et  exterior.  Eestat  modo  quaerere  utrum  motus  et  quies  ab  omnibus sensibus  comprehendautur;  et  videtur  quod  non.  Primo  de  motu;  quia  motus  est  de  numero  successivorum;  sed  successiva  non  possunt  a  sensu  comprehendi;  ergo.  Anterior patet  ex  tertio  Physicorum,  brevior  probatur.  quia  si  sensus  exterior  non  potest  mo- veri  nisi  ab  eo,  quod  actu  existit,  sed  successiva  non  actu  existuut,  ergo. Anterior patet,  quia  moveri  est  pati;  omne  autem  quod  patitur ,  patitur  ab  eo  quod  est  iu  Ch.SSverso actu. Brevior  probatur,  quia  de  ratione  successivornm  est  quod  pars  sit  praeterita, parsque  futura  sit :  si  ergo  sic  est ,  totum  uou  poterit  esse  simul  in  actu  ;  quare non  poterit  movere  sensum.  Similiter  etiam  dicatur  de  quiete,  quum  quies  men- siiratur  tempore,  tempus  autem  non  totum  simul  est:  cum  ergo  per  praedicta motus non  sentiatur,  uec  etiam  quies  sentietur.  Item  privatio  per  accidens  sentitur;  quies est  privatio;  ergo  per  accidens  sentitur;  ergo  uon  est  sensil)ile  per  se.  Ad  quæstiouem  lianc  est  duplex  responsio:  prima  quod  argumeuta  concludant  veritatem,  quod sensus  exterior  formaliter  et  proprie  non  potest  cognoscere  motum  aut  quietem;  et cum  dicis:  Aristoteles  numerat  ea  inter  sensibilia  per  se;  dico  quod  sunt  per  se  ad Inmc  sensum.  quia  seusus  inteiior  non  potest  ea  cognoscere  sine  motu  et  quiete:  ex  eo enim  quod  video  hunc  esse  iu  tali,  vel  tali  loco,  deinde  in  alio  esse  in  taU  loeo, comprehenditur  a  sensu:  quod  autem  componit  esse  iu  hoc  loco  cum  esse  in  alio loco,  est  virtus  interior;  similiter  etiam  et  quies.  Coguoscere  enim  quod  hoc  nuuc non  moveatur,  est  sensus  ixterioris:  componere  autem  prius  cum  posteriori  pertinet ad  viitutem  interiorem.  Alii  vero  dicunt  quod  seusus  exterior  cognoscit  motum et  quietem. Ad  arguraeiita  in  oppositura  dicunt,  quod  eo  raodo  quo  motiis  lia))et  esse,  eo  modo sentitur;  et  qiiia  motus  nou  est  nisi  quia  mutatum  esse  est,  ideo  projjterea  quod  istud mutatum  esse  sentitur  per  propriam  speeiem.  ideo  et  motus  sentitur:  et  etiam  quia in  sensu  remanent  spacies  praeteriti  et  futuvi  per  aliquod  tempus:  sed  quantum  ad hoc  quod  dicunt  de  praeterito .  puto  verum;  imo  hoc  dicit LIZIO in  De  sensu et  sensato ,  quia  per  aliquod  tempus  species  remanent  in  sensu.  Quod  vero  dicunt quod  species  futuri  sit  in  sensu,  hoc  uon  videtur  verum.  Ad  alterum  de  quiete  di- Ch.89recto  citur,  quod  seusus  per  se  cognoscit  quietem;  est  enim  de  intrinseca  natura  sensus,  ut sentiat  quietera:  et  licet  sentiatur  per  motum,  non  tamen  est  per  accidens  sensibile, quum  hoc  tantum  arguit,  quod  non  sit  primo  per  se  sensibile,  non  vero  quod  non  sit sensibile  per  se. Ulrum  sensibilia  communia  comprehendantur  ptr  proprias  species. Altera  quaestio  est,  utrum  sensibilia  comunia  comprehendantur  per  propria  species. Joannes  tenet  quod  comprehendantur,  et  adducit  pro  hoc  dictum  LIZIO in  secundo huius,textu  commenti  centesimitrigesimitertii,ubi  dicit  quodseusibiliacommuniafaciunt motum  in  sensu.  Alii  vero,  ut AQUINO (si veda),  tenent  quod  non  cogiioscantur  per  proprias  spe- cies,  sed  tamen  cognoscantur  per  species  sensibiiium  propriorum,  nec  aliquid  faciunt nisi  faciunt  diversum  modum  sentiendi;  aliter  enim  albedo  sentitiir  in  magna  quantitate, aliter  in  parva quum  visibile  a  propinquis  et  a  remoto potest  per  eamdem  speciem  videri;  aliter  tamen  a  remotis  movet,  et  aliter  a  propiuquis. Ita  dicunt  quod  sensibile  commune  sentitur  per  speciem  proprii,  aliter  tamen  et  aliter immutat  sensibile  proprium  secundum  quod  est  in  magna  vel  parva  quantitate. Alii  volunt  et  hæc  tertia  opinio quod  magnitudo  et  figura  habent  proprias  species  per  quas  sentiuntur.  Alii  vero  non;  et  adducunt  pro  hoc  Aristotelem  in  secundo huius  textu  commenti  centesimitrigesimitertii,  ubi  esemplificat  de  magnitudine,  et figura .  et  dicit  ibi  quod  alia  comprehendimtur  magis  per  suara  positionem.  sic quies  per  motum.  Tertia  opinio  mihi  magis  placet;  sed  opinio  Joannis  non  videtur  vera; opinio AQUINO (si veda) est  multum  probabilis. Utruni  sensibilia  communia  percipiantur  non  percepto  sensibili  proprio. Alia  quaestio  est  utrum  seusibilia  coramuuia  percipiantur  non  percepto  seusibili proprio;  et  videtur  expresse  dicere  Averroes  quod  non,  in  fine  commenti  sexagesimi- tertii.  Item  expresse  opponit  quod  si  non  sit  color  aut  lux,  non  percipitur  quantitas. sicut  patet  de  igne,  quae  e?t  in  concavo  orbis  luuae,  et  tamen  non  videtur. Iu  oppositum  arguitur  de  tactu  supponendo  unum  (verum?)  quod  aequaliter  calida et  aequaliter  frigida  uon  lentimus,  ut  dicit  LIZIO inferius;  tunc  ergo  sit  una  manus aequaliter  calida  et  aequaliter  frigida,  sicut  mea;  tunc  manus  mea  non  sentit  caliditatem aut  frigiditatem  istius  manus,  et  tamen  sentit  quod  ista  manus  est  quanta;  ergo  quan- titas,  quae  est  sensibile  commune,  sentitur  absque  hoc  quod  sentiatur  sensibile  propriura. Confirmatur  quia  est  imaginabile  et  non  repuguat  quod  unus  tangat  coelum:  sit  ergo ita  quod  unus  tangat,  tunc  coelum  uon  sentitur  calidum  uec  frigidum,  nec  humidum nec  siccum,  et  tamen  sentitur  quod  sit  quantum;  ergo. Item  hoc  videtur  in  motu,  quia  aliquaudo  seutitur  pulex  serpens  super  carnem meara;  tiiiic  seutitur  motus,  uou  tameu  seutitur  aliquid  deusibile  propriuui.  Item  clato quod   aliquis  caederetur;  tuuc  iste  sentit  solutionem  coutinui  quae  est  numerus;  nu mei'us  autera  est  sensibile  coramune:  tamen  potest  essc  quod  iste  uon  seutiat  caliditatem  aut  aliquid  sensibilo  pruprium  ipsius  eusis. In  hac  quaestione  dico  quod  sensibile  commune  uou  potest  seutiri  sine  sensibili proprio.  Ad  rationes;  ad  primam:  dimitto  rationes  medicorum  qiiorumdam,qui  volunt  quod aequa'iter  calida  possimus  sentire;  et  cum  dicitur:  niliil  patitur  a  simiU;  giosaut  quod  isla est  vera  in  actione  spirituali  tautum;  sed  ista  respousio  est  contra  Aristotelem  qiii  ibi loquitur  de  actione  spirituali,  scilicet  de  sensatione;  et  credo  ego  aliter.  Dico  primo quod  quautitas  uon  percipitur  nisi  primo  percepta  resistentia;  et  ideo  aeris  non  percipimus  quantitatem  ipsius,  et  hoc  quia  aer  uon  resistit  tangenti.  Ego  aliter  dico  con- cedendo  assumptum:  et  cum  dicitur;  non  percipitur  sensibile  propriirra;  uego,  imo  per- cipitur  durities,  quia  est  proprium  sensibile  a  sensu  tactus;  ex  eo  euim  quod  percipio quod  manus  non  cedit  tangeuti  sentitur  durities;  et  ex  cousequenti  sentitur  quantitas. Ad  contirmatiouem  dico  quod  si  quis  ponat  mauum  in  coelo,  sentiret  quantitatem  coeli ex  eo  quod  sentiret  coelum  resistere  taugeuti;  et  si  dicatur:  ergo  coelum  erit  durum; dico  quod  sicut  sua  quantitas  nou  est  eiusdem  rationis  cum  ista,  ita  uec  sua  duri- ties,  quia  est  magis  quaedara  soliditas  quam  durities. Ad  aliam  de  motu,  dico  quod  aliquaudo  sentimus  seusibile  commune  cum  sensi- bili  proprio  nobis  noto ;  sensus  enim  aliqua  confundit  in  istis  sensibilibus  propriis, bicut  in  eraissioue  spermatis  sentitur  illa  delectatio,  non  tauien  sentitur  aliquid  sen- sibile  proprium  nobis  notuui;  ita  in  illo  motu  hene  sentit\ir  aliquid  sensibile  proprium, illud  tameu  non  est  nobis  notum.  Similiter  cum  dicitur  de  solutioue  continui  quae est  numerus.  dico  quod  solutio  continui  est ex  mala  complexioue;  ex  eo  enim  quod  in solutione  continui  causatur  mala  complexio,  ideo  sentitur  dolor;  mala  autem  cora- plexio  est  qiialitas  per  se  seusibilis:  vel  possumus  dicere  quod  uou  seutitur  solutio coutinui  nisi  prius  sentiaraus  duritiem  et  compressiouem  ensis. Alia  dubitatio  est,  utrum  siut  plura  sensibilia  communia  quam  ista  quinque;  et videtur  quod  sic,  quia  aequale  et  inaequale,  magnum  et  parvum,  simile  et  dissiinile, intensum  et  remissum,  videtur  quod  ista  sint  sensibilia  corarauuia,  quia  ab  omnibus comprebeuduntur;  et  tamen  ista  non  suut  numerata  a LIZIO.  Aliqui  dicunt  quod omnia  ista  iiabent  ad  ista  quinque  reduci,  ut  patet  discurreuti. Utrum  scrvatis  tribus  conditionibus  datis a  Themistio.    erretur  circa  sensibile proprium. Alia  dubitatio  est,  quia  videtur  quod  servatis  illis  tribus  couditiouibus  datis  a Themistio,  adhuc  contiugat  errare  circa  sensibile  propriuin.  Aliquando  seutitur  color, non  tamen  sentitur  quis  color  est;  sic  puto  esse  dicendum  quod  visus  non  decipitur in  colore  in  eo  quod  color,  sed  iu  eo  quod  talis  color.  Non  enim  opus  est  visura cognoscere  iu  qua  specie  coloris  sit  iste  color,  forte  quod  potest  dici  sensum  visus decipi,  quia  istae  species  coloris  confuuduutur  ad  invicem.  Sed  quia  superius  ad- ductum  est  argumentum  de  coelo,  utrum  sit  tangibile,  et  dicebatur  quod  sic,  quia coelum   resistit   tangenti;   contra   hoc   argumentum,   quum   istud   quod   dictum  est. Ch  OOversu videtur  esse   contva  Aristoteleiu  iu  quarto  Physicorura  textu  comraonti  septuagesimisexti,  ubi  dicit,  quod  si  esset  aliquod  corpus  denudatum  ab  orani  qnalitate  sensibili, Ch.  Oliecto  adliuc  faceret  distare  tantum  quautum  ipsum  est;  si  enim  imaginemus  taxillum  de- nudatum  ab  orani  qualitate  sensibili,  tautura  faceret  distare,  quantura  si  liaberet  illas qualitates;  et  tunc  in  tali  corpore  non  percipitiir  qualitas  sensibilis,  et  tamen  perci- pitur  eius  quantitas,  quia  tantum  facit  distare  quantum  faciebat  prius:  ergo  nec  potest evadere  in  hoc  sicut  iu  coolo,  quum  in  coelo  est  uua  qualitas.  qnae  est  per  se  sensibilis,  scilicet  illa  soliditas. Ad  hoc  dicendura  quod  perficitur  percipitur  qualitas  seusibilis:  imaginor  enim quod  tale  corpus,  ut  puta  taxillum,  comprimat  manura  raeam,  et  pars  compressa  recipit figuram  illius  corporis,  et  tunc  illa  tigura  seutitur  pro  quanto  recipitur  in  manu  mea,  non autem  est  in  tali  corpore;  figura  autem  recepta  in  manu  mea  non  sentitur  nisi  prius recepta  qualitate  sensibUi,  quae  est  in  manu  tantum.  Breviter  dico  quod  figura  quae sentitur  nou  est  in  tali  corpore  sicut  in  subiecto,  et  causatur  iu  manu  per  compres- sionem. Alia  dubitatio  est,  quia  ausi  sumus  taxare  Averroem  contra  dicentem  iu  commento sexagesimotertio  et  sexagesimoquinto  huius  secundi,  quod  sensus  exterior  cognoscit  subiectiim,  eo  magis  quod  dixiraus  eura  sibi  contradicere  in  tam  parvo  spatio  hic  et  in commento  centesimotrigesimoquarto  huius:  modo  videtur  esse  magna  vereeundia  quod eum  taxarim.Taxabam  etiara  iu  fine  expositiouis  textus  commenti  sexagesimiquintihuius; et  ostendi  expositionera  Averrois  non  esse  bonam.  Quidam  satis  ingeniose  diserunt  quod Aristoteles  in  textu  commenti  sexagesimiquinti  nun  debet  stare  ut  iacet.  sed  debet stare  hoc  modo:  unde  patitur  ab  hoc  sensibili  per  se,  sed  patitur  ab  hoc  secundum  accidens;  et  tunc  est  congrua  expositio  Averrois,  quum  si  pateretur  ab  hoc  per  se,  non pateretur  ab  alio.  Quautum  sit  de  primo  dubio,  quidara  dixit  quod  non  est  intentio  Averrois  hic  sensum  exteriorem  cognoscere  substantiara,  sed  intelligit  de  sensu  interiori; et  si  Averroes  dicat  quod  sensus  exterior  cognoscit  substantiara,  debet  intelligi  quod per  accidens  cognoscit;  quod  per  accidens  est  duobus  modis:  uuo  modo  quia  per  sen- sura  exteriorem  sensus  interior  deveniat  in  cognitionem  substantiae,  sicut  ovis  quae per  vocem  agni  cognitam  a  sensibili  auditus,  cognoscit  agnum  esse  siium  filium;  et  ita est  sensibile  per  accidens,  quia  per  sensibile  proprium  sensus  interior  devenit  in  eius uotitiam:  non  tameu  ita  est  quod  sensus  exterior  cognoscat  substautiam;  et  iste  modus per  accidens  est  comoiunis  tam  brutis  quam  hominibus.  Alio  modo  est  hoc  per  accidens quum  accidit  sensui,  ut  sensus  est,  quod  deveniat  in  cognitionem  substantiae,  ut  sub- stantia  est;  si  enira  ex  cognitioue  coloris  vel  figurae  coguoscatur  substantia,  ut  sub- stantia  est,  hoc  nou  est  seusus,  ut  sensus  est,  sed  ut  est  sensus  aniraalis  intelligentis. TJnde  quod  sensus  hominis  interior  cognoscit  equnm,  ut  equus  est  per  sensus  exteriores, .  hoc  non  accidit  sensui  hominis,  ut  sensus  est,  sed  ut  sensus  animalis  intelligentis. Totura ergo  stat  in  hoc,  quod  si  dicat  sensum  exteriorera  cognoscere  substantiam,  debet  in- telligi  per  accidens;  quod  quidem  est  duobus  raodis:  prirao,  vel  ita  quod  per  seusum exteriorem  deveniamus  in  cognitiouem  substautiae:  alio  modo  quod  per  sensum  exte- riorem  deveniamus  in  coguitionem  substantiae,  ut  substantia  est:  in  quo  modo  includnntur duo  modi  per  accidens,  sciiicet  ut  per  sensura  deveniam  in  cognitioneni  substantiae, et  quod  per  seusum  esteriorem  devcniam  in  cognitionom  substantiae,  ut   substantia est;  et  hoc  est  illucl  quod  dicit  Aveiroes  in  commento  sexagesimotertio  de  illis  duobiis modis  [lev  accideutalitates,  et  hoc  est  etiara  ad  mentem AQUINO (si veda)  e ROMANO (si veda) hic,  et  est verum  in  se.  Sed  licet  hoc  sit  verum,  non  taraen  est  ad  mentem  Averrois,  quia  aperte  vult quod  sensus  eiterior  cognoscat  substantias;  nam  in  commento  sexagesimotertio  dieit  haec verba;quod  sensus,  circa  hoc  quod  comprehendant  sua  sensibiliapropria,  comprehendunt intentiones  individuales  praedicamentorum.  Kesponsio:  quid  apparet  apertius?  Quid  enim comprehendit  sua  sensibilia  propria  nisi  sensus  exterior?  Deinde  in  fine  commenti  dicit quod  ista  intentio   comprehendilur  a  cogitativa  et  ab  imaginativa,  et  dicit,  in  ultimis verbis,  quod  comprehensio,  quae  est  imaginativa,  est  magis  spiritualis.  Tunc  ego  quaero hoc  «  magis  spirituale  »  ad  quam  coniprehensionem  referatur:  non  ad  comprehensionem cogitativae  aut  memorativae,  quia  illæ istæ  apprehenduntur  magis  spiritualiler  ex  libro  De  somno  et  vigilia;  evgo  hoc  magis  refertur  ad  comprehensionem  sensus  exterioris: quare  secundum  Averroem  sensus  exterior  cognoscit  substantiam.  Item  confirmatur  ex dicto  Averrois  in  commento  sexagesimoquinto,  quum  movet  ibi  dubium  Averroes,  utrum seusibilia  per  accidens  sint  sensibilia  per  se,  et  ponit  ibi  rationem  unam,  quam  dam- nat;  dicit  quod  aliquis  posset  dicere  quod  ideo  non  sunt  per  se,  quum  sunt  comraunia omnibus  sensibus,  et  removet  istara  rationem.  Dicit  quod  ista  responsio  nihil valet quum  iutentiones  individuales  sunt  comrauniores  omnibus  sensibilibus  propriis.  Altera responsio, quæ correspondet   illi  suae  argumentationi,  est  quod  licet  sensibilia  per accidens  comprehendantur  ab  omnibus  sensibus,  non  tamen  ab  omnibus  simpliciter, sed  taraen ab   omnibus  sensibus  humanis.  Ecce  quod   in   hac   responsione   non   negat  sensibilia per   accidens comprehendi   ab   omnibus   sensibus;  quare  si ab omnibus,  etiam  ab  exterioribus;  et  si  nollet  ipsa  cognosci  per  propriam  speciem  a  sensu exteriori,  potuisset  dicere  ad  illam  quaestionem  quod  non  sunt  sensibilia  per  se,  quia non  cognoscuntur  per  propriam  speciem.  Quare  est  concludendum  Averroem liic  non bene dixisse et  sibi  contradicere.  De  altero  dubio,  quod  textus  sit  corruptus,  dico primo  quod  in  graeco  uon  invenitur  ille  textiis,  quem  tu  adducis,  nec  talem  exponit  Alexander;  nec  etiam  Themistius,  nec  etiam  textus  quem  nos  habemus  sic  iacet;  nec  textus Averrois.  Et  esto  quod  diflferentia  sic  staret;  tunc  peius  esset,  quum LIZIO non diceret  ibi  aliquid  novi  de  sensibili  per  accidens,  quum  illud  dictum  ita  esset  verura de  sensibili  proprio,  sicut  de  sensibili  per  accidens;  sensus  enim  non  patitur  ab  ali- quo  sensibili   secimdum   quod.  ut   tale;  propterea  in  textu  dicitur:    « unde  nihil  pa- titur».   Modo  ego  quaero  ad  quid  referatur  unde  dum   ille   textus   aeque  bene  procedat  de   sensibili  per  se,  sicut  de  sensibili  per  accidens.  Alter  autem  modus  exponendi   est  bonus,  quum    non    volumus    quod    sensibile per accidens sentiatur  per propriam  speciem. Alia  dubitatio  est,  quia  dicit  Averroes  in  commento  sexagesimotertio  quod  cogi- tativa  expoliat  speciem  substantiae  a  quantitate.  Contra:  si  sic  est,  ergo  in  cogitativa erit  species  substantiae  sine  quantitate;  et  cum  quantitas  sit  principium  determinationis,  ergo  ista  species  erit  universalis.  Ad  hoc  non  est  alius  modus  dicendi  nisi  dicere  quod  substantia  habeat  ecceitatera  propriam,  per  quam  sit  hoc,  et  non  sit  hoc per  suam  quantitatem,  sed  per  suam  ecceitatera,  sicuti  voluit  Scotus. Quid  sit  sonus. Post  textum  spptnagesimiim  primiim  qiiaerit  Pomponacius,  primo  quid  sit  sonus; in  qua  materia  est  unus  modus  respondendi.  quod  sonus  formaliter  est  motus,  et ratio  sua  est  quia  Philosoplius  hic  et  ubique  dicit  quod  sonus  est  motus  aeris,  et  dicitur  in  detinitioae  vocis  quod  est  percussio;  percussio  autera  est  motus;  et  ratio,  quia sonus  vel  est  res  permaneus  vel  successiva;  sed  non  est  permanens;  ergo  successiva. Anterior  patet  ex  sufficienti  demonstratione;  brevior  probatur,  quia  esse  soni  constituitur in  fieri;  si  ergo  est  successivus,  vel  est  motus,  vel  locus  de  prædicamento  quautitatis; sed  non  est  locus,  ut  patet,  ergo  motus.  Sed  tunc  in  qua  specie  motus  reponetur?  Di- cunt  quod  nnn  est  generatio  aut  corriiptio,  quum  generatio  et  corruptio  non  sunt motus,  sed  termini  motus;  nec  est  motus  augmenti,  quura  ille  est  tantum  iu  animatis; sonus  autem  est  in  animalibus;  nec  est  motus  alterationis,  quia  ille  est  ad  tertiam speciem  qiialitatis,  sonus  autem  nou  est  ad  istam  qualitatem,  quum  vel  esset  ad  primam vel  ad  secundam:  uon  ad  primara,  quia  per  illara  acquiritur  calefactio,  et  frigefactio, quae  non  acquiruntur  per  sonum;  nec  est  motus  ad  qualitatera  secundam,  quia  iihx non  acquiritur  nisi  prius  cognita  prima,  ex  sexto  Physicorum,  textu  commenti  decimiquarti;  si  autem  debet  esse  sonus,  non  oportet  ut  prius  acquirantur  qualitates  primae. Item  quia  qualitates  primae  et  secundae  sunt  res  permanentes,  motus  autem  est  de numero  successivorum;  quare  sequitur  quod  sonus  erit  motus  localis;  et  quia  videbant quod  non  omnis  raotus  localis  est  sonus,  imaginati  sunt,  quod  tautum  motus  localis cum  illa  percussione  aeris  et  cura  illis  dispositionibus  datis  a LIZIO  sit  sonus; ita  tamen  quod  sonus  formaliter  uon  sit  nisi  motus,  sed  connotet  istas  conditiones dictas.  Hæc  opinio  defecit,  primo  quia  motus  est  seusibile  coramune,  sonus  autem  est sensibile  proprium,  sensibile  autem  propriura  et  coramune  distinguuntur.  Sed  istud  argumentura  non  videtur  valere,  quia  licet  motus  sit  sensibile  comraune,  quia  a  pluribus sentitur  sensibus,  uon  taraen  sequitur  quod  unus  motus  numero  sit  sensibile  communiter,  qualiter  est  sonus. Sed  licet  ista  sententia  evadat  ab  hoc  argumento,  non  tamen  videtur  vera;  quare quando  dicitur:  sonus  est  formaliter  motus,  ego  quaero  an  verberans  et  verberatum imprimant  aliquid  in  aerera,  vel  non:  si  non,  quid  ergo  facit  illa  verberatio  aeris?  si  sic, ergo  oportet  per  verberans  et  verberatum  ponere  unam  qualitatem  quae  formaliter  est sonus.  Item  aeris  motus  non  acquiritur  nisi  ubi;  si  ergo  sonus  est  motus,  non  acqui- ritur  per  aerem  uisi  ubi;  et  ita  sensus  auditus  non  cognoscit  nisi  ubi,  et  cum  ubi,  velsit  locus,  ut  tenet  AQUINO (si veda),  vel  respectivus,  ut  dicit  Scotus;  tunc a sensu exteriori per  se  primo  cognoscetur  respectivus.  Si  vero  est  locus  et  quantitas,  cum  ista  sint sensibilia  communia,  non  sentientur  ab  auditu  nisi  per  sensibile  propriura;  et  istud erit  sonus  qui  est  qualitas  distincta  a  motu,  qui  est  obiectura  proprium  auditus. Ideo  ponitur  altera  opinio,  pro  qua  sciendum  est:  prirao,  quod  sonus  est  qualitas  sen- sibilis  de  tertia  specic;  vel  enim  sonus   est    substantia,  vel  accidens;  non  substantia patet,  ergo  accidens;  vel  ergo  in  qualitate,  vel  in  alio  praedicamento  quam  in  qua- litate;  ergo  est  qualitas,  et  non  est  in  alia  specie  quam  iu  tertia.  Ulterius  oportet scire  quod  esse  soni  consistit  in  fieri;  et  hoc  apparet  experimento,  quia  cessante  raotu, cessat  sonus.  Ultoriusscire  oportet  quod  est  qualitas  secunda   sensibilis  distincta  a primis,  et  licet  qualitates  secundae  genereutur  ex  primis,  ex  septimo  Metapbysicorum, textu  comenti  decimiquarti,  uon  tamen  sonus  praesupponit  omnes  qualitates  primas, vel  solum  uuam,  vel  saltem  non  omnes ;  supponit  eniin  humiditatem  in  aere.  Ad  ar- gumenta  dicitur;  ad  primum  de LIZIO quod  ista  praedicatio  «  sonus  est  motus  »  non est  formalis,  sed  est  causalis,  quia  sonus  causatur  a  motu.  Ad  secundum,  dico  quod est  de  numero  permanentium;  sed  quia  est  couiunctus  motui,  ideo  non  habet  esse  per- manens,  sed  successivum;  vel  potest  dici  quod  sonus  est  motus  alterationis,  scilicet  illius qnalitatis  quae  est  souus.  Ad  aliud  cum  dicitur: vel  est  prima  vel  secunda  qualitas»; dico  quod  est  secunda  qualitas:  et  cum  dicitur:  ergo  generatur  a  primis,  dico  quod non  generatur  ab  omnibus  piimis,  sed  beue  praesupponit  aliquas  primas,  nt  disposi- tiones  aeris:  vel  dicatur  quod  illud  uon  est  verum  in  sono,  ut  videtur  dicere  Averroes in  septimo  Physicorum  commento  decimoquarto.  Ad  alterum,  cum  dicitar:  omnis  qualitas secunda  est  permanens;  dico  quod  est  verum,  si  non  peudeat  a  motu  sicut  est  sonus, qni  in  esse  et  conservari  dependet  a  motu. Utrum  S071US  peycipiatur  ab  auditu. Altera  quaestio  est;  utium  sonus  percipiatur  ab  auditu,  et  quomodo;  et  videtur quod  non  possit  percipi,  quia  sensus  exterior  non  movetur  nisi  ab  eo  quod  actu  est; sonus  autem  non  habet  esse  in  actu  nisi  per  instans,  sicut  et  alia  successiva.  Si  ergo sonus  sentitur,  tantum  per  instans  sentitur;  hoc  autem  videtur  impossibile,  quia  in- divisibile  non  potest  sentiri,  ex  fine  De  sensu  et  sensato.  Ad  hanc  quaestionem  dicitur quod  istud  argumentum  potest  tieri  de  motu  quoad  alios  gensus,  quia  de  motu  non est  in  actu  nisi  mutatum  esse.  Dicitur  tamen  quod  sicut  motus  potest  movere  sen- sum,  esto  quod  non  sit  in  actu  nisi  per  instans,  ita  ut  sonus.  Ad  argumentum  dico  Ch.  98  recto quod  non  plus  requiritur  movere  sensum  quam  ad  esse;  ad  esse  autem  soni  non  re- quiritur  nisi  instans;  ergo  nec  ad  motorem  sensuum. Ad  alterum  potest  dici  quod  illud  dictum  LIZIO  in  De  sensu  et  sensato  est verum  de  indivisibili  iu  magnitudine,  non  in  tempore;  illud  tamen  iudivisibile  quod est  in  sono,  licet  sit  indivisibile  secundum  tempus,  est  tamen  divisibile  secundum magnitudiuem;  potest  enim  esse  ita  magnum,  ut  repleat  hanc  totam  scholam. Utrum  motus  anhelitus  sit  cx  pectore  vel  pulmone.  Alia  dubitatio  est  circa  hoc  caput,  utrum  motus  anhelitiis  sit  ex  pectore  vel pulmone.  De  hoc  enim  Commentator  commeuto  octuagesimo  tertio  facit  verba  contra Galenum;  pro  quo  sciendum  est  quod  Galenus  voluit  anhelitus  motum  esse  voluu- tarium,  et  ratio  sua  erat  quia  possumus  anhelare  et  non  anhelare,  maguificare  et diminuere  auhelitum  quando  volumus.  Item  motus  qui  fit  a  nervo  est  voluntarius; motus  auhelitus  fit  a  uervo,  ergo.  Anteriorem  supponimus  tauquam  claram;  brevior probatur.  Si  euim  incidatur  ner\us  rediens  a  cerebro  ad  pectus,  tunc  statim  cessat anhelitus :  ex  quibus  concludit  quud  si  iste  motus  est  voluntarius,  cum  pulmo  de  se non  sentiat,  quod  iste  motus  non  erit  nisi  a  pectore. In  oppositum  est  sententia  Averrois  hic  et  in  secundo  Colligeti  capite  decimo- nono,  quia  dum  dormimns  anhelamus.  Item  motus  anhelitus  proportionatur  motui  pulsus; sed  motiis  pulsus  est  natuvalis ;  ergo  et  iste.  Item  a^iparet  qucl  aliqu:.udo  uou  pas- sumus  retinere  aulielitum,  iit  iu  magnis  tristitiis,  et  iu  maguo  timore;  quare  conclu- detur  liunc  motum  esse  compositum  ex  naturali  et  voluntario;  magis  tamen  esse naturalem,  sicut  motus  palpebrae  oculi:  quare  si  est  naturalis,  nou  tautum  procedit a  pectore,  sed  etiam  a  pulmone;  sed  si  partim  est  in  nostra  voluntate  ,  tunc  argu- mentum  concludit  illud  quod  nos  dicimus,  quia  est  compositus  ex  naturali  et  voluntario.  Ad  alteram  de  nervo  dicit  ibi  Coiumeutator  qnod  Galenus  ignoravit  logicam, quia  in  tali  argumento  arguit  a  positione  antecedentis  ad  positionem  consequenlis; arguit  enim  sic :  si  non  est  nervus,  non  est  respiratio;  ergo  posito  uervo,  ponitur  re- spiratio;  quare  motus  respirationis  erit  a  nervo.  Alio  etiam  argumento  utitur  Galenus,  quia  qui  vulneratur  in  pectore  non  potest  respirare;  ergo  iile  motus  est  a  pectore. Ad  lioc  dicit  Averroes  quod  nou  est  quia  pectus  est  causa  liuius  motus  ,  sed quia  per  ingressum  aeris  frigidi  laeditur  pulmo,  unde  non  potest  respirare:  quare  concludendum  est  quod  cum  iste  motus  non  sit  tantum  naturalis,  et  quia  pulmo  desiderat aerem  pro  sui  refrigerio,  quod  iste  motus  non  est  tantum  voluntarius,  ut  dixit  Galenus,  nec  tantum  est  a  pectore,  sed  a  pulmone  causatur. Utrum  hoinu  sit  peioris  odoratus  aliis  animalihus. Circa  textum  centesimum  primo  dubitat POMPONAZZI (si veda),  quia  LIZIO  videtur dicere  iiic  quod  liorao  est  pravi  odoratus.  IJem  quoque  dicit  in  Ue  seusu  et  sensato et  in  primo  de  Natura  animalium  capite  decimoquiuto;  et  non  est  pro  hoc,  quia  ardor consistit  in  calido  et  sicco;  homo  autem  hal)et  olfactum  uimis  humidum  et  frigidum quia  habet  cerebrum  maius  aliis  animalibus. In  oppositum  videtur  sententia LIZIO  in  quiuto  De  generatione  animalium capite  primo  et  secundo,  ubi  in  primo  dicit  quod  omnis  sensus  hominis  est  perfectis- simus.  In  secundo  specialiter  loquitur  de  odoratu  ,  et  ratio  est  pro  hoc  quia  cum homo  sit  perfectissimura  animalium,  videtur  conveniens  quod  habeat  olfactum  valde bonum. De  hoc non  oportet  ulterius  quaerere,  quum  habemus  senteutiam  apertam  Ari- stotelis  in  quinto  De  generatione  animaliurn  capite  secundo;  et  Averrois  hic  et  in  De seusu  et  seusato.  Senteutia  Philosophi est  ista,  quod  quoad  sentire  a  remotis  ipsa sensibilia,  multa  animalia  excedunt  hominem,  quod  vero  ad  distincte  peicipere  ipsa sensibilia  horao  excedit  omuia  animalia.  Quorum  primum  Philosophus  attribuit  situi ipsius  organi;  sicut  enim  si  mauus  admoveatur  oculo,  longius  videt  homo,  quam  si non  ponat,  ita  propter  situm  nasi,  longius  tale  auimal  percipit  odores,  quam  homo. Quod  non  distinote  percipit  odores,  adscribit  Philosophus  ibi  ipsi  complexioui  humanae quae  est  nobilissima.  Conciliantur  illa  dicta  ex  his  quae  dicit LIZIO  ibi;  nec  ta- raen  putes  quod  sit  idem  a  longe  sentire  et  bene  distinguere  inter  differentias  sensi- Ch.l03versu  i.ijium^  quum  aliqua  a  longe  percipiunt  sensibilia  ,  nou  tameu  sciunt  inter  ea  di- stinguere,  sicut  sunt  aliqui  senes  qiii  de  longe  vident  colores,  non  tamen  sciunt  inter hos  bene  distinguere. Alia  est  dubitatio  mota  in  textu  commenti  nonagesirai  secundi,  quia LIZIO dicit  quod  non    est facile determinare de odore,  quia  differentiæ odoris  a  nobis difficulter  cognoscuutur:  uiodo  nos  diximus,  quod  lioc  videtur  falsum,  quia  difteientiae odoris  bene  ab  homine  cognoscuntur.  Ad  hoc  puto  dicendum  quod  licet  differentias odoris  bene  cognoscat,  faciliter  tamen  non  pussit  devenire  in  notitiam  eorum,  sed cum  magna  difficultate  inter  ea  possumus  distinguere;  aliquando  enim  de  aliquo  ha- bemus  scientiam,  tamen  ad  illud  cognoscendum  cum   magna  diffieultate  pervenimus. Ulrum  per  tactum  cognoscatur  hominis  prudentia. Alia  dubitatio  est  quia  dixit LIZIO quod  per  tactum  cognoscitur  horainis prudentia  et  non  per  alium  sensum.  Ideo  quaeritur  utrum  hoc  sit  verum;  et  videtur quod  hoc  possit  fieri  per  alios  sensus,  quum  in  primo  De  natura  animalium  Aristo- teles  dat  modum  quo  cognoscantur  mores  hominum  per  oculos,  nares,  aures  et  similia. Videtur  autem  quod  magis  visus  et  auditus  hoc  faciant,  primo  quia  per  visum  iudi- camus  de  corporalibus  et  incorporalibus,  per  tactum  vero  solum  corporalia  iudicamus; cum  ergo visus  ad  plura  se  extendat,  videtur  quod  per  visum  magis  arguatur  iuge- niositas,  quam  per  tactum.  Item  quia  nulhis  sensus  ita  certe  iudicat  sieut  iste  sensus. Item  quia  est  magis  immaterialis  ipso  tactu; magis  ergo  accedit  ad  intellectum;  quare \idetur  quod  exillo  magis  argaatur  ingeniositas.  Unde  in  proojmio  Metapbysicorum dicitur  quod  visus  maxime  diligitur:  videtur  etiam  hoc  esse  magis  in  auditu,  quia auditus  est  raagis  spiritualis  tactu,  et  magis  accedit  ad  intellectum.  Item  auditus  est sensus  disciplinae. In  oppositum  est LIZIO  hie.  Item  tactus  est  fundamentum  omnium  aliorum sensuum;  cum  ergo  nobiliori  coraplexioui  attribuatur  anima  nobilior,  videtur  quod  ex tactu  arguatur  prudentia  raagis  quam  ex  aliquo  alio  sensu. In  hac  raateiia  mihi  videtur  esse  diceudum  quod  tactus  magis  faciat  ad  pnidentiam,  non  quia  per  se  hoc  faciat,  ut  argumenta  concludunt,  sed  quia  tactus  est universalis  sensus  per  omnes  partes  auimalis  diffusus,  et  fundamentum  aliorum  sen- suura  tam  interioruni,  quam  exteriorum;  hinc  est  quod  tactus  raagis  est  argumentum ad  prudentiam  alio  sensu,  ex  tactu  enim  percipiraus  quod  cogitativa  et  omnes  alii sensus  sunt  boni.  NuUus  autem  sensus  potest  hoc  facere,  quia  nullus  alius  est  ita universalis  sicut  est  iste;  licet  enim  ex  visu  arguaraus  aliquara  dispositionera  ;n  homine,  non  tamen  arguimus  universalem  dispositiouem,  sieut  arguitur  ex  tactu,  et  hoc est  quia  tactus  per  totum  disserainatur.  Ad  ratioues  in  oppositum  dicitur;  ad  primam, dico  quod  visus  per  se  ratione  eorum  quae  cognoscit  magis  facit  ad  hoc;  sed  tactus, prout  est  fundaraentura  omnium  virtutum,  magis  facit  ad  cognoscendum  prudentiam; non  tamen  negamus  quando  ex  visu  et  aliis  sensibus  cognoscatur  bonitas  ingenii, sed  diciraus  quod  magis  ex  tactu  hoc  cognoscitur. Vlrum  se7isus  exterior  cognoscat  suam  operationem. Post  textum  149  dubitatur  prirao  a POMPONAZZI (si veda)  circa  primam  rationem  Aristo- telis  qua  probatur  dari  sensum  coramunem,  et  dubitatur  utrum  aliquis  sensus  exterior cognoscat  suam  operationem,  et  dicitur  quod  sic;  et  primo  de  visu,  quia  Th^mistius in  tertio  huius,  coramento  quarto  in  fine,  expresse  dicit  quod  oranis  sensus  extevior  co- gnoscit  suam  operationem,  et  aliqui  in  florentissimo  gymnasio  patavino  hoc  tenebant. Ch.llSverso Et  ratio  potest  esse  quia  si  sensus  sentit  se,  evgo  et  suam  operationem.  Consequentia patet,  qnia  est  difficilius  quod  seusus  se  cognoscat,  quam  suam  operationem  ,  quia est  maior  reflexio  cognoscere  se.  Antecedens  probatur  ,  quia  sentio  me  sentire,  imo lioc  nou  potest  esse  nisi  per  uuam  eteamdem  virtutem,  ergo  etc;  et  confirmatur  quia LIZIO in  tertio  huius,  textu  commeuti  noni,  dicit  quod  intellectus  possibilis  se  iu- telligit,  quando,  intelligeudo  alterum,  illud  alterum  fit  ipse  iutellectus;  sed  si  haec  ratio Ch.  UOrecto  valet,  valet  etiam  de  sensu,  quia  sensatum  fit  ipsum  sensitivum,  et  ita,  sentiendo sensatum,  sentiet  se  ipsum.  Item  est  ratio  Aristotelis  quia  unusquisque  cognoscit  se videre.  Vel  ergo  hoc  est  per  visum,  vel  non.  Si  primum,  habetur  iutentum;  si  se- cundum,  scilicet  quod  cognoscatur  ab  alia  virtute,  quaero  de  illa  alia;  vel  ergo  pro- ceditur  iu  infinitum,  vel  aliquis  sensus  cognoscit  suam  operationem,  quare  et  primus, quia  melius  est  resecare  in  principio,   quam  in  fine. In  oppositum  est  sententia  Alexandri,  hic  iu  Paraphrasi  de  anima,  ubi  bene  con- cedit  hoc  de  intellectu,  nou  de  sensu;  et  etiam  Themistius  iu  fine  hujus  capitis  dicit quod  etsi  supra  dictum  sit  quod  sensus  cognoscit  suam  operationem,  non  tamen  est verum.  Et  etiam  Averroes  in  textu  commenti  centesimitrigesimisexti  dicit  hoc,  et  omnes latini  in  hoc  conveniunt,  sed  quid  plus  ?  Aristoteles  ipse  in  De  somno  et  vigilia  huius est  sententlae,  sed  licet  hoc  sit  verum,  tamen  ratio  non  est  adducta  pro  hoc,  ideo est  inquirenda  ratio  de  hoc.  Alexander  adducit  hanc  rationem  quia  seutire  consistit in  pati,  sed  sensus  non  potest  moveri,  nisi  a  suo  obiecto ;  sensatio  autem  non  est suum  obiectum,  ergo  non  potest  moveri  ab  ea,  quaie  nec  eam  sentire;  quae  ratio  videtur  frivola,  quia LIZIO videtur  solvere  hanc  rationem,  primo  negando  assum- ptum  quia  Inx  et  tenebrae  videntur,  non  tameu  sunt  color.  Aliam  responsiouem  dat Philosophus  quod  visio  visus  quoquomodo  est  colorati.  Themistius  autem  hic  iuoctavo commento  nude  protulit  hanc  quaestionem  sine  ratione,  et  etiam  in  De  somno  et  vigilia.  Averroes  adducit  considerationem.  Dicit  ipse:  si  oculus  sentiret  visionem,  idem ageret  in  se  ipsum  respectu  eiusdem;  quia  pro  quanto  reciperet  visionem  esset  patiens, quia  ageret  in  eum  visio,  et  pro  quanto  ipse  visus  esset,  cognitus  esset  agens  in  seipsum,  quae  ratio  videtur  dubia.  Primo,  si  teneamus  quod  sensatio  realiter  difTerat  a specie  sensibili.ut  multi  Averroistae  teneut,  haec  ratio  non  poterit  stare,  quia  idem sensus  esset  agens  et  patiens:  agens  prout  producit  sensationem,  patiens  prout  recipit speciem  sensibilem.  Sed  vos  dicetis  illa  non  est  opinio  Averrois,  sed  coutra  quod  de intellectu  possibili  dicemus;  qui  intelligit  suam  intellectionem,  et  tamen  haec  ratio est  contra  hoc  de  hoc  intellectu;  quum  si  intelligeret  se,  idem  esset  activum  et  passivum.  Si  vero  dicas  hoc  non  inconvenire  de  iutellectu  quia  datur  intellectus  agens, pari  ratione  dicam  quod  datur  sensus  ageus,  et  dicam  quod  sensus  potest  sentire  se, et  cum  dicitur  idem  esset  nctivum  et  passivum,  dico  quod  non  inconvenit  secundura diversas  considerationes;  nam  sensus  ut  est  passivus,  non  intelligit  se.  sed  ut  est  acti- vus,  et  per  speciem  sensibilem;  sic  et  iutellectus,  qui  ut  est  iu  potentia  non  potest  se intelligere,  sed  ut  informatus  speciebus  aliorum;  et  sic  idem  potest  se  movere,  non primo:  imo  Averroes  in  quarto  Coeli  tenet  quod  elementum  potest  movere  se  secun- dum  diversas  rationes;  similiter  et  ego  dicam  quod  sensus  potest  seutire  se,  non  ut passivus  sed  ut  activus  est  per  suam  speciem.  Ideo  latiui  adducunt  aliam  respon- sionem,  q\iia  nuUa  virtus  materialis  super  se  ipsam  reflectitur  ex  libro  De  causis; sensus  autem  est  virtus  materialis,  ergo  non  potest  sentire  suam   operationem.  Assumptum   probatur  ibi,  quia  nihil  potest  se  ipsum  movere;  virtus  autem  materialis, si  iutelligeret  se,  moveret  se  ipsam.  In  rei  veritate  auctoritas  magna  est,  secl  ratio nou  videtur  bona,  quare   ipsi  habent  concedere  in  motu  loeali  quod  idem  potest  se movere,  et  ita  hoc  potest  esse  in  sensu,  et  etiam  ego  nou   intelligo  quid  sit  reflectere se  super   se.  Ego   dicain  quod  idem  potest  agere  in  se  secnndum   diversas  rationes. Post  hos  sequitur  Joannes  de  Janduno  hic  in  quaestione  propria,  qui  credit  se demonstrare  in  hoc;  et  ratio  sua  est,  quia  si  sensus  cognosceret  suam  operationem, tunc  idem  esset  in  aliquo  subiecto  secundum  esse  reale  et  spirituale,  quia  sensus  realiter habet  sensationem  ct  cognoscit  eam  ipse  sensus.  Sed  contra,  dato  hoc,  intellectus  non posset  intelligere  suam  intellectionem,  quia  habet  eam  et  realiter  et  spiritualiter,  quia eam  cognoscit:  et  hoc  non  est  impossibile,  quia  in  oculo  est  qualitas,  tamen  in  eo  reci- pitur  species  quanti,  et  etiam  uon  inconvenit  hoc,  cum  tale  esse  rcale  est  esse  spirituale; et  iu  proposito  de  hoc  non  habeo  aliquam  rationem.  Credo   tamen  considerationem unam  esse  propter  auctoritatem  tantorum  virorum;  probabiliter  taraen  potest  dici  quod ratio  latinorum  est  vera,  et  forte  volunt  dicere,  quod   nulla  virtus  materialis  supra se  reflectitur,  idest  non   cognoscit  se  primo,   et  istam  rationem  videtur  ponere  Alexander  in  Paraphrasi   ista,   capite  26,  ubi  tractatur  de  intellectu  in  actu  ;  et   hoc bene  verum  est  quia  hoc  est  diflficilliraum  ipsi  intellectui,  ergo   raulto  magis   virtuti materiali,  et  ratio  quia  species  repraesentat  illud  obiectum  cuius  est  species;  sed  quod repraesentat  se  et  suum  obiectum,  hoc  arguit  magnam  spiritualitatem,  et  quia  virtus materialis  non  est  multum  spiritualis,  ideo  non  potest  se  cognoscere  per  speciem  obiecti quod  recipit.  Unde  Deus  qui  est  maxime  spiritualis  se  ipsum  per  se  solum  perfectissime cognoscit,  nec  per  species  alienas:  sed  sensus  eo  quia  est  miuime  spiritualis  et  multum imperfectus,  ideo  non  potest  se  ipsum  cognoscere,  quae  ratio  videtur  mihi  probabilis; illa  Alexandri  non  videtur  bona,  quia LIZIO  eam  solvit  in  textu  centesimotrigesimo  octavo,  et  ratio  Averrois  nihil  valet  neque  illa  Joannis. Ad  argumeuta  dico  quod  Themistius  se  ipsum  retractat  infra,  commento  octavo. Ad  secundum  dico  quod  illud  est  per  figuram  sinechdochen,  in  qua  sumitur  pars pro  toto;  anima  enim  sensitiva  cognoscit  se  ipsam,  quare  per  unam  partem  cognoscit etiam  aliam  partem et  per  sensum  communem  exteriores.  Ad  aliud  nego  similitudinem, quia  intellectus  potest  hoc  facere  quia  est  maxirae  spiritualis,  quod  non  est  in  sensu. Ad  ultimum,  dico  quod  est  devenire  ad  intellectum  qui  per  se,  et  suam  operationem cognoscit  propter  sui  immaterialitatem. Eestat  modo  videre  quia  Philosophus  dixit  quod,  si  seusus  communis  cognoscit contraria,  ergo  patitur  simul  a  contrariis.  Aristoteles  dicit  quod  sensus  communis  est ruuis  subiecto,  non  forma:  quae  responsio  videtur  accedere  ad  dubium  motum,  ut patet,  quia  arguit  quod  contraria  erunt  in  eodem,  et  ipse  dicit  quod  est  unus  secun- dum  obiectum  et  ita  non  respondet. Alexander,  Themistius  et  omnes  dicunt  ad  hoc;  et  dicit  Themistius  quod  sentiens album  et  nigrum  non  est  album  et  nigrum,  et  breviter  dicunt  quod  secundum  esse spiritualem  non  habet  veritatem,  licet  secundum  esse  reale;  et  cum  dicitur  causae  sunt contrariae,  ergo  eifectus  sui  sunt  contrarii;  dico  quod  est  veruni  in  actione  imivoca,  et haec  est  responsio  Averrois  in  quarto  Metaphysicorum:  speeies  autem  et  obiectum  sunt (liversarmn  riitiouiim.  Sed  quare  LIZIO  uon  posuit  (eas).  dico  quod  dimisit  lioc,  quia erat  notum.  Sed  statim  erit  dutitatio,  quia  male  videtur  dicere  Aristoteles  dicendo quod  sensus  communis  est  unus  subiecto,  et  multa  ratione,  et  tamen  ipse  non  potest negare  hoc,  quia  est  imus  subiecto  et  plures,  quia  est  visus,  gustus,  et  omnes  alii sensus,  pro  quanto  terminat  sensationem  omnium.  Ad  hoc  dico  quod  argumentuna concludit,  nec  Averroes  negat  hoc,  sed  dicit  qnod  melius  est  putare  quod  sit  unus secundura  formam  et  multa  secundum  materiam,  quam  quod  sit  unus  subiecto,  et multa  secundum  formam.  Nec  ista  sunt  opposita;  est  enim  multa  pro  quanto  terminat omnes  quinque  sensus,  est  autem  unus  ut  iudicat  omnia  sensibilia.  Et  quia  potentia secuudum  operationem  suam  recipit  unitatem,  cum  dignior  operatio  eius  sensus  com- munis  sit  iudicare  de  sensibilibus,  quam  recipere  sensibilia,  et  iudicare  sit  a  forma, recipere  Vero  a  materia,  ideo  dicit  Averroes ,  quod  dignius  est  quod  dicatur  unus secundnm  formam,  et  multa  secundum  materiam,  quam  quod  dicatur  unus  secundum materiam,  ct  multa  secundum  formam,  non  tamen  ita  quod  istud  non  possit  dici; imo  ita  est,  quod  est  unus  subiecto,  et  multa  ratione,  quia  est  oranes  quinque  sensus, ut  supra  dictum  est;  sed  quia  haec  nnitas  est  a  materia,  illa  vero  a  forma,  ideo  di- guius  est,  et  non  est  quod  sit  unus  forma,  et  multa  secundum  materiara. Et  sic  iu  uomine  Dei  et  Beatae  Virginis  finit  secundus  liber  quaestionum  secuudi  De  Anima. QVÆSTIONES  LIBRI  TERTII Ulrum  iski  propositio:  omne  recipiens  dehet  esse denudatum-  a  natura   recepti, sit  vera  in  actione  reali. In  commento  quarto POMPONAZZI examinat  istam  propositionem,  scilicet:  omne recipiens  debet  esse  denudatiim  a  natura  recepti,  quia  Commentator  secundo  huius, commento  sexagesimoseptimo.  dicit  quod  est  vei-a  in  actione  reali  et  spirituali.  Primo videndum  est  in  actione  reaii  quoad  primam  partem,  scilicet  quod  esseutia  uuius  nou sit  de  essentia  alterius.  Piimo  dico  quod  stat  ut  sint  diversae  genere,  quum  materia prima  est  receptiva  qualitatis,  et  tamen  recipiens  quod  est  materia  prima,  et  receptum sunt  diversa  genere;  et  quaravis  sint  diversorum  generum,  non  tamen  oportet  esse  ita diversa  ut  uullo  modo  conveniant,  quia  oportet  agens  et  passum  in  materia  convenire ideo  materia  prima  non  potest  intelligentias  recipere,  quia  nnlla  est  uni- genitas  inter  ipsa;  possunt  ergo  esse  ambo  diversoram  generum  in  actione  reali,  sed quod  sint  idem  secundum  speciem  irapossibile  est,  quia  receptivum  habet  rationem potentiae,  receptum  vero  actus;  non  autem  videtur  duo  in  eadem  specie  fundari,  et  a forliori  nec  idem  numero  poterit  se  ipsum  realiter  recipere. Statetiam  quod  sinteiusdem praedicamcnti,  sed  remoti,  quando  illud  genus  dicitur  de  illis  analogice,  ut  materia et  forma,  quae    non  sunt  sub  aliquo  genere  univoco;  forte  etiam  quod  possunt  esse ejusdem  prædicamenti  UNIVOCI, quia  forraae  elementorum  recipiunt  formam    mixti. Est  ergo  vera  de  naturali  receptione.  sed  hoc  non  facit  ad  propositum,  quia  qnae- ritur  de  esse  spirituali;  nam  iutellectus  recipit  iioc  modo;  ideo   quaestio  consistit  in hoc:  Utrum  aliquid  possit  recipere  speciem  suimet,  vel  alicuius  quod  est  idem  specie cum  eo,  et  primo  dicamus  in  quo  est  possibile.  Primo  quod  sint  distincta  genere  est certum,  nam  oculus  spiritualiter  recipit  quantitatem;  moJo  potentia  visiva  et  quan- titas  non  sunt  eiusdem  praedicamenti.  Quod  autem  aliquid  recipiat  speciem  sui  ipsius est  impossibile,  nam  idera  esset  recipiens  et  receptum.  Ex  qua  ratione   concludebat Averroes  intellectum  possibilem  esse  immaterialem,  et  videtur   quod    ista   ratio  sit     pj^  jq^  ^^,.3^ nulla.  quia  ego  dicam  quod  intellectus  est  materialis.  et  cum  dicis:  tunc  non  reci- peret  omnes  formas  materiales,  dico    quod    hoc    verum  esset    si   intelligeret  omnes formas  materiales  per  propriam    speciem.  Sed  si  (se?)  ipsum  intelligit    per speciem alienam  ut  infra  dicetur?  Sed  contra  tu  dicis    quod  si  intellectus    intelligit   se    per speciem  alienam.  alia  tamen  intelligit  per  speciem  propriam. Sed   contra  arguitur, quia   vel    cogitativa   cognoscit  se    vel   non.   Si  priraum,   vel   per    speciem    alienam vel  per  propriam;  si  per  suam  ergo  intellectus,  quamvis    sit    materialis,  poterit   se per speciem  propriam  intelligere;  si  autem   intelligit  se  pei    speciem  aliorum  cogi- tativorum.  cum  sint   eiusdem  speciei  istae  cogitativae,  recipiens  non  erit  denudatus in  specie  a  natura  recepti.  Si  dicas  quod  cogitativa  non  cognoscit  se,  sed  intellectus eam   cognoscit,  contra.-   intellectus    non cognoscit  per   se,   et   directe  nisi  ea  quae prius    fuerant     in   cogitativa:   ergo   debet    intelligere cogitativam,  quod   cogitativa prius  se  ipsam  intellexerit,  quare  et  idem  de  intellectu  dicetur.  Si  dicas  quod  cogitativa intelligitur  ab  iutellectu  per  speciem  aliarum  rerum,  pari  modo  dicam  quod  intellectus  intelligit  se  per  speciem  aliorum,  et  sic  nou  sequitur  quod,  etsi  intellectus sit  materialis,  quod  non  omnia  iutelligat.  Et  si  dicas  quod  idem  ageret  in  se  ipsum, respondetur  quod  lioc  nou  inconvenit  in  actione  aequivoca,  ut  concedit  Scotus;  quando autem  intellectus  se  ipsum  intelligit  est  actio  aequivoca.  Item  experientia  docet quod  homo  potest  se  ipsum  in  speculo  videre,  ergo  idem  recipit  speciem  sui.  Sed  ad hoc  potest  dici  quod  tu  deciperis,  quia  credis  quod  quando  oculus  videt  se,  idei^  sit recipiens  et  receptum,  sed  non  est  verum,  et  recipiens  est  potentia  visiva,  et  rece- ptum  est  color,et  idem  non  sunt  eiusdem  speciei.  Ad  iJ  quod  dicitur  de  Scoto,  commu- niter  dicitur  quod  est  contra  LIZIO  in  septiiuo  et  octavo  Physicorum,  sed  contra adhuc  instatur,  quia  idem  amat  se,  et  amare  praesupponit  cognoscere. Item  equus  amat  suos  filios,  qui  suut  eiusdem.speciei  cum  eo;sed  dices  quod' equus  scit  tantum  figuram  et  colorem,  contra  iu  fiue  secuudi  huius  diciturquod  homu sentit  se  sentire;  modo  si  sentio  me  sentire  hoc  non  potest  esse  nisi  refiectam  me super  me,  scilicet  quod  ego  me  coguoscam,  sed  ego  sum  virtus  raaterialis,  ergo  virtus materialis  potest  se  cognoscere. Ad  hoc  respondetur  quod  non  est  per  idera,  quia  cognoscens  est  sensus  comauinis, quod  autem  coguoscitur  est  sensus  exterior,  nec  idem  est  es  toto,  unde  seusus  commu- nis  uou  sentit  se  sentire.  Et  ita  alias  solvi  hoc  argumentum. Sed  hic  sermo  non  videtur  verus,  quia  Themistius  iu  secuudo  De  auima  videtur dicere  quod  sensus  seutiat  suam  operatiouem.  Ad  illud  quod  dicebatur  de  Scoto quod  est  contra  LIZIO,  de  hoc  Deus  scit  veritatem.  Unde  per  accidens  potest aliquid  movere  se,  et  reflexe  intelligit  se.  Quare  videtur  quod  ista  propositio,  omue  reci- piens  etc.  sit  vera  in  actioue  reali,  sed  in  spirituali  est  dubia,  et  ideo  videtur  quod ratio  Philosophi  sit  vix  persuasiva,  et  nou  transcendat  rationem  probabilera.  Quauturasit de  secunda parte  suae  propositionis,  scilicet  omne  etc.  secundum  substantiam,  piimo dicemus  de  receptione  reali,  et  primo  dico  quod  receptio  alicuius  entis  realis habeat  aliquid  reale,  et  alterius  generis  ab  eo;  ut  materia  priraa  si  debet  recipere qualitatem,  oportet  ut  prius  habeat  quautitatem,  sed  hoc  est  secundum  diversa  genera, et  aliquando  recipiens  habet  aliquid  de  recepto  seeundura  idera  genus,  imo  uon  potest recipere  illud  nisi  habeat  aliquid  ex  illo.  Verbigratia  si  materia  debet  recipere  qua- litates  secundas,  oportet  quod  prius  habeat  primas,  sed  taraeu  sunt  eiusdem  generis proxirai;  sed  loquendo  de  his  quae  sunt  in  eodem  genere  proximo.  semper  recipiejis debet  habere  qualitatem  oppositam,  ut  si  materia  debet  recipere  caliditatera.  oportet ut  prius   habeat  frigiditatem.  Sed   loqueudo  de  his   quae  suiit  eiusdem  speciei,  dico quod  in  qualitatibus  intensibilibus  et  remissibilibus,  recipiens  debet  carere  specie eius  quod  recipitur  nou  absolute.  sed  solum  sub  illo  gradu;  verbigratia  si  materia debet  recipere  caliditatem  ut  octo,  debet  carere  solum  hoc  gradu  caliditatis  quae  est ut  octo,  et  non  aliis,  imo  est  necessariuni  ut  habeat  caliditatem  sub  alio  gradu  magis remisso.  Et  de  Iioc  sunt  duae  opiniones.  Aliqui  ut  Scotistae  et  raulti  Thoraistarura tenent  quod  accideutia,  solo  numero  differentia,  possuut  esse  in  eodera.  Alii  tenent  quod non,  nec  naturaliter  nec  per  potentiam  divinam  quamvis  putem  istos  non  esse  raul- tum  discordes  et  hoc  quoad  esse  reale;  sed  tota  difficultas  est  de  esse  spirituali;  pro quo  est  sciendum,  quod  lioc  potest  intelligi  tribus  modis.  Primo,  qnod  recipiens  aliquid secundum  esse  spirituale,  sit  denudatum  a  natura  recepti  spirituaUter,  ut  si  debeo  recipere  speciem  «,  oportet  quod  uon  habeam  speciem  a.  et  iste  sensus  non  est  ad  pro- positum.  Alio  modo,  quod  recipiens  aliquid  sub  esse  reali,  debet  carere  eo  sub  esse spirituali,  et  iste  non  est  ad  propositum.  Alio  modo,  quod  recipieus  aliquid  sub  esse spirituali  debet  carere  eo  secundum   esse  reale,  el  iste  tertius  modus  est  de  inten- tione  Aristotelis  et  Averrois;    unde  non  est  necessarium,    si  debeat  recipere   aliquid sub  esse  spirituali,   quod  sit  denudatus  omnino  ab  esse  spirituali.  Nam   si  ego  de beo  liabere  notitiam  cousequentis,  oportet  prius  me  liabere  notitiam   praemissarum; scd  tota  contentio  est  utrum  recipiens  sit  denudatum  a  recepto  secundum  genus,  vel secundum  speciem.  Es  una  parte  videtur  quod  sic  de  oculo  icterici,  qui,  propter  colorem  citrinum  qui  est  iu  eo,  non  potest  alios  videre ;  videtur  ergo    quod  receptivum rei  alicuius  generis  debet  carere  omni  eo  quod  est  eiusdem  generis.  Ex  altera  parte videtur  oppositura  quia  tactus  est  receptivus  qualitatum  extremarum,  et  tamen  habet illas,  quia  habet  medias;  quo  stante  est  magna  difficultas,  quare  ita  sit  in  tactu,  et nou  iu  aliis  sensibus,  et  ita  rafio  Philosophi  non  videtur  vera.  Contra  experientia  est iu  oppositum.  quia  visus  recipit  speciem  figurae  et  tamen  realiter  est  figuratus.  Item cogitativa    est   quanta  et  recipit  speciem  quantitatis.  Ad  hoc  posset  dici,  quod  nou est  simile  de  istis  virtutibus  ad  intellectum,  quia  intellectus  ultra  hoc  quod  cognoscit alia,  cogiioscit  etiam  se,  sed  istae  virtutes  nou  cognoscunt  se,  saltem  potentia  visiva. Contra,  quomodo  Deus  et  Intelligentiae  sunt  immateriales  et  tamen  cognoscunt  omnia sub  ratione  sui,  et  etiam  cognoscuut  se,  ita  et  intellectus,  quamvis  sit  materialis  poterit tamen  omnia  cognoscere  sub  ratione  illius  formae  materialis,  quam  haberet;  cuius  op- positum  superius  dicebatur.  Insuper  ista  ratio  fuudatur  super  hoc  quod  omne  recipiens debet  esse  denudatum,  etc,  sed  contra,  quia  ex  hoc  probabitur  illum  esse  materialem, quia  comprehendit  materialia,  ergo  non  debet  esse  immaterialis. Item  sicut  se  habet  materiale  ad  immateriale,  ita  immateriale  ad  materiale;  sed materiale  poterit  recipere  materiale.  Et  ita  circa  hoc  sunt  diibia;  sed  quia  LIZIO, Themistius,  Averroes  et  AQUINO (si veda) habent  hauc  rationem  pro  manifesta,  et  quia  LIZIO  numquam  dixit  aliquid  nisi  cum  ratione,  et  quia,  ut  dicit  Alexander  supra  ser- mone  istius  viri,  quis  est  magis  remotus  a  contradictione,  ideo  couabimur  defendere istam  rationem,  quae  ratio  bene  intellecta,  si  uon  est  demonstrativa,  tamen  ei  multum approximatur. Pro  qua  est  sciendum  duo  esse  in  mrmdo  multum  similia:  lutellectus  possibilis et  materia  prima  in  tantiira  quod  aliqui  dixerunt  quod  essent  idem.  Ad  quae  cognoscenda  philosophi  proeesserunt  eadem  via;  ex  eo  enim  quod  materia  prima  reeipit  . omnemformam,  concluditur  in  primo  Physicorum  quod  non  est  aliqua  earura :  ita  intel- lectus  possibilis  ex  eo  quod  recipit  formas  materiales  concluduat  quod  nou  habet  aliquam earum.  Sed  differunt  inter  se,  quia  intellectus  recipit  tantum  spiritualiter  sub  esse universali,  sed  materia  prima  recipit  realiter  sub  esse  signato,  et  ideo  intellectus  potest se  intelligere  et  non  materia  prima.  Videns  ergo  LIZIO hoc,  ex  sensatis  in  sensata procedeus,  cum  cognitum  fit  coguoscens  secundum  esse  spirituale,  sic  amans  amatum,  et  sensus  recipit  spiritualiter ;  dixit  quod  intelligere  est  sicut  sentire  et  in  textu tertio  disit  quod  oportet  iutellectum  esse  in  potentia  ad  intelligibilia.  Ulterius  vidit Aristoteles  quod  esse  materiale  impedit  spintuale,  vel  in  toto  vel  in  seusibus  aliis  a  tactu, nam  oculus  ictericus  non  potest  omnes  colores  recipere;  vel  iu  parte  ut  in  tactu,  qui cum  habeat  qualitates  medias  inter  extrema  quae  habet  sentire,  perfecte  non  potest sentire  qiialitates  tangibiles.  Uude  aequaliter  calida,  et  aequaliter  frigida  non  sentimus. Et  i-i  dicatur  quod  omnis  sensus  tam  interior  quaui  e.\terior  recipit  quautitatem, non  tamen  est  denudatus  a  quautitate:  potest  respondeii  quod  quantitas,  aut  qualitas, nec  aliquid  sensibile  commune  sentitur  per  propriam  speciem,  ut  teneut  AQUINO (si veda) e ROMANO (si veda); etdato  quod  cognoscantur  per  propriam  speciem,  dico  quod  non  seutiuntur  nisi permixta  cum  propriis  seusibilibus.  Et  quod  dicitur  de  sensu  exteriori,  dico  quod  non sentitur  per  propriam  spefliem;  scilicet  vel  si  sentitur,  diminute  sentitur. Resumendo  ergo  dicamus  quod  cum  cognitum  iiat  cognoscens  secundum  (esse)  speri- tuale,  et  quod  esse  materiale  vel  impedit  coguitionem  in  toto  vel  in  parte;  cum  ergo  iutel- lectus  habeat  omnia  materialia  sub  esse  spirituali,  et  sincere  et  perfecto  modo  ea  coguo- scat,  oportetutcareat  omnino  esse  materiali.  Unde  cogitativa,  quae  est  materialis,  nonnisi involute  et  modo  imperfecto  istas  res  materiales  cogiioscit ,  et  hoc  est  illud  quod  dixit textu  commenti  quadragesimiprimi,  quod  si  haberet  aliquam  formam  materialem,  reci- pere  probiberet  extraneam  et  obstrueret  ipsam,  et  propter  hoc  Aristoteles  maxime  laudat Anaxagoram  ponentem  intellectum,  ad  hoc  ut  imperet  omnibus,  esse  abstractum.  Aristo- teles  autem  hoc  dixit  propter  intelligere:  nam  cum  perfectissime  materialia  intelligat,  de- Ch.  129  recto  bet  ab  eis  esse  deniuiatus  et  hucusque  ista  ratio  est  probabilis;  videtur  euim  ratiouabile quod  si  omnes  formas  recipit  ut  sit  denudatus  ab  eis,  sic  ut  materia  prima  est  denudata ab  omnibus  formis  materialibus,  et  ideo  dicit  Aristoteles  textu  commenti  sexti  quod rationabile  est  ipsura  non  esse  corpus,  nec  virtus  in  corpore;  nec  aliquis  negaret  hoc, quamvis  non  sit  demonstrativum,  quia  aliqui  tenent  quod  cogitativa  omnia  materialia et  etiam  se  cognoscat,  et  tamen  ipsa  est  materialis.  Sed  alia  ratio  est  quae  probat necessitatem  huius,  quia  scilicet  omnia  intelligit,  ut  universalia  et  particularia  et  etiam abstracta;  si  esset  materialis.  abstracta  et  universalia  efficerentur  materialia;  quod  probatur  quia  omne  quod  recipitur,  recipitur  secundum  cgnditiones  recipientis;  si  ergo iutellectus  est  materialis,  cum  intellectus  recipiat  universalia  et  abstracta,  ipsa  quoque abstracta  efficerentur  materialia  quia  reciperentur  iu  divisibili;  quod  recipitur  in  divisibili  est  divisibile,  si  ergo  sunt  divisibilia  suut  et  materialia.  Unde  quamvis  omnes qualitates  de  natura  sua  siut  iodivisibiles,  tamen  efficiuntur  divisibiles  a  subiecto quanto  in  quo  suut,  ut  dicitur  primo  Physicorum  textu  commenti  decimioctavi  et  ista est  ratio  LIZIO  per  quam  probat  auimam  esse  immaterialem.  Unde  in  textu commenti  quarti  dicit  quod  si  omnia  intelligit,  necesse  est  immixtum  esse;  non  dicit si  tantum  materialia  iutelligit. Et  si  dicas  quod  ratio  Aristotelis  fundatur  super  illam  propositionem:  omne  reci- piens  etc.  ut  dicit  Averroes,  dico  quod  LIZIO  fundat  se  super  illam  propositionem,  quoad  probabilitatem  rationis,  nou  quoad  necessitatem;  demonstrativa  autem ratio  est  supor  hoc,  quod,  quia  omnia  tam  materialia  quam  immaterialia  intelligit, oportet  ut  sit  abstractus.Vtrum  anima  sit  mortalis. lu  tcxtu  octavo  qiiaerit  Pomponaciiis  xitnira  anima  sit  mortalis,  vel  non;  et  primo qiiaerendum  est  utrum  sit  materialis ;  si  enim  est  materialis  est  mortalis,  si  est  imma- terialis  est  immortalis ;  et  primo  arguo  quod  sit  immortalis  quia  in  hac  parte  arguit Aristoteles;  et  cum  duplex  sit  eflfeetus  animae  intellectivae,  silicet  intelligere  et  velle, ex  utroque  probalnmus  eius  immortalitatera.  Prirao  ex  intelligefe  per  rationem LIZIO  superius  factam.  Cum  enim  Aristoteles  viderit  auimae  operationera  esse  intelligere, ex  quo  quandoque  actu  intelligiraus,  quandoque  potentia,  cum  ista non  sit  operatio immanens.  oportet  quod  intelligere  in  quodam  pati  consistat.  Ulterius  vidit  quod  cum liaec  passio  assirailetur  sensationi,  cum  sensatio  fiat  per  spiritiialem  receptionem,  concluditur  quod  iutelligere  iiou  fiat  per  realem,  sed    spiritualem    receptionem.  Ex  liis conclusit  quod  si  intelligit  omnia  materialia,  recipiet  species  eorum  spiritualiter,  quare rationabile  videtur  quod,  cum  esse  materialiter  irapediat   spirituale,  quod  intellectus sit  immaterialis;  unde  tactus  quia  habet  in  se  qualitates  taugibiles,  non  bene  oranes percipit.  lutellectus  vero,  quia  perfecte  habet  recipere  oranes  forraas  materiales,  cura iutelligat  recipieudo,  ratiouabile  videtur  quod  non  sit  materialis,  sed  abstractus.  Non euim  esse  materiale  et  immateriale  beue  si  compatiuutur  iusimul  sic,  et  nos  diximus non  esse  simile  de  materiali  et  imraateriali,  quia  materiale  impedit  cognitionem:  esse vero  spirituale  et  abstractum  uon  impedit,  imo  auget  coguitionem,  et  ideo  immaterialia possuut  cognoscere  materialia,  et  uou  e  contra.  Sed  Averroes  adducit  aliam  rationem: quod  si  intellectus  esset  materialis  nou  posset  se  coguoscere,  quia  cum  iutelligat,  reci- piendo  reciperet  (deciperet?),  quare  se  raoveret:  quod  tameu  est  falsum in  forma  materiali,  qnamvis  in  forma  imraateriali  hoc  non  sit  iuconveuiens.  Unde  Deus  se  coguoscit,  et aliae  intelligeutiae.  Contra  hoc  tamen  sunt  adducta    quaedam,   quia   etsi   hæc  ratio     ch. ISOverso videatur  coucludere,  nou  taraeu  cogiE,  quia  uos  \idiuui3  tot  et  tauta  fieri  ab  aniraa- libus  brutis,  ut  aliqua  superent  uos  in  iustitia,   amore,  et  artificio,  ut  scribitur  iu Commento  de  natura  animaliura.  Unde  et  videtur  quod  se  ipsa  possent  cognoscere ; non  igitur  argumentum  valet  quod  sit  immateiialis  ex  hoc  quod  faciat  ita  perfectas operationes,  quia  et  alia  aniraalia  hoc  faciunt.  Etsi  ratio  haec  sit  iugeuiosa,  taraen  in ratione  LIZIO non  contiuetur.  Ad  obiecta  autem  dicit  Avicenna  in  prirao  Naturalium:  esto  quod  bruta  habeant  tam  perfectam  operationem,  et  quod  se  cognoscant,  quare hoc  concedit,  tamen  coguoscunt  se,  in  quantum  compositiim  illud,  et  non  segregando  se a  materia  et  a  quautitate;  et  dicit  hic  Alexander,  anima  nou  rauonalis  non  cognoscit uaturara  suam  distiugueudo  se  a  corpore,  et  a  quantitate,  quia  anima  rationabilis  se distincte  cognoscit,  auiraa  vero  brutorum  non  coguoscit  distincte,  quia  non  estsepa- rata  a  raateria  et  quantitate,   sed   cognoscit  se  totura   cognoscendo,  et  dicit  ex  hoc apparere  eara  non  esse  iramaterialem  quia  non  potest  se  segregare  a  raateria.  Ope- ratio  iusequitur  esse.  Si  ergo  nou  potest   se  extra  materiam  cognoscere,  non  potest esse  extra  materiam. Amplius  nou  possumus  dicere  quod  sit  materialis  quia  uuiversaliter  coguoscit,  quod nou  posset  esse  si  intellectus  esset  materialis  et  extensus,  operatio  euim  insequitur  esse ; Nel  senso  di  causa  di  errore. Ch.  i:i!  recto et  hoc  notavit  Aristoteles,  cum  dicit  qiiod  si  iutelligit  omuia  necesse  est  immixtum  esse. Ad  hnc  accedit  quod  intelligit  iudivisibilia;  separat  euim  punctum  a  linea  et  longitudi- nem  a  latitudine,  quae  virtus  materialis  non  potest  cognoscere,  uullus  enim  seusus  exte- riorum  aut  interioi-ura  cognoscit  indivisibile:  cognoscit  etiam  unitatem  quae  est  puncto abstractior.  Item  iutelligit  Deum,  et  lutelligentias,  quod  nonposset  facere  si  materialis esset,  quia  operatio  supponit  esse;  si  ergo  esset  materialis  nou  posset  operari  circa  imma- terialia.  Unde  dicit  ACCADEMIA IN FEDONE. Quomodo  purum  possit  ab  impuro  coguosci?  Item nulla  virtus  materialis  liabet  operationem  infinitam.  Intellectus  habet  operationem  infi- nitara,ergo  non  est  materialis.  Anterior  est LIZIO 8°  Pliysicorum;  brevior  patet  quia intellectuSjintelligeudo  uuiversalia,  infinita  intelligit,ut  intelligeudo  hominemin  commu- ni,  infinitos  homines  intelligit,  quia  homo  est  ut  horao  multiplicatus  in  infinitum;  et etiara  cognoscit  numeros  infinitos  et  dividit  continuura  in  infinitum,  et  intelligit  infi- nitum  terapus,  et  motum  et  relatioues,  quao  sunt  modicae  eutitatis,  et  secundas  inten- tiones.  Item  habet  operationes  circa  ens  et  non-ens ;  cognoscit  enim  utrumque,  et  utrum- que  raisurat  (niensurat).  Itera  dispersa  colligit  et  unit,  ut  individua  iu  specie:  species vero  in  geuere,  quod  nou  facit  virtus  materialis,  et  ista  est  prima  ratio. Secunda  ratio.  Nulla  res  in  sua  perfectissima  operatione  imperticitur.  Unde  aqua  si non  raoveatur  raarcescit,  et  etiam  ignis;  perfectissima  enim  operatio  animae  est  intelli- gere,  orgo  maxiraum  intelligere  erit  maximaeius  perfectio;  cura  veroraaxime  intelligat quando  abstrahit  a  corpore,  ratiouabile  est  quod  ipse  quoque  (intellectus)  sit  abstractus; aliter  enim  si  esset  materialis,  quauto  magis  esset  iu  materia  magis  perficeretur; ipse  vero  quanto  magis  a  corpore  abstrahitur  tanto  magis  perficitur.  Unde  videmns quod  isti,  qui  a  sensibilibus  istis  abstrahunt,  magis  intelligunt;  illi  vero  qui  in  istis materialibus  versantur  ignarisunt,  et  hanc  rationem  posuit  ACCADEMIA  iu  FEDONE.  Item  nulla ros  uaturaliter  sibi  repugnat;  iutellectus  maxime  coipori  repugnat,  ergo  iutellectus uon  est  materialis.  Brevior  declarabitur  in  nobis,  ratio  enim  et  appotitus  aliquando repugnant  in  raateria.  Corpus  enim  in  malum  sua  natura  inclinatur.  Intellectus  ab  hoc retrahere  nilitur:  si  omnino  esset  materialis,  quomodo  esset  ista  rebelIio?Item  intel- lectus  liber  est  et  libere  agit;  (quid)  si  autem  esset  materialis?  Quia  quae  materiae  affixa sunt  necessario  aguut,  et  quamvis  mirabilia  agant,  non  tamen  ex  ratioue  sed  ex  quadara naturali  iuclinatione  id  faciunt;  unde  omnia  talia  animalia  simile  oportet  ut  consti- tuant,  ut  hirundiues  quae  tanta  arte  nidum  faciuut,  omnes  tamen  uno  et  eodem  modo faciunt. Tertia  ratio  ex  voluntate  sumitur.  Dixiraus  quod  ex  quo  infinita  intelligit est  iramaterialis.  Item  etiam  potest  dici  de  voluntate,  voluntas  enim  nostra  in  infi- nitum  fertur;  appetiraus  enira  per  infinitura  tempus  esse ;  virtus  autem  materialis  non potest  in  infinitum  ferri,  ex    Physicorum;  intellectus  ergo  non  erit  materialis,  quare nec  mortalis.  Forte  huic  rationi  aliquis  respondebit  qnod  etiam  bestiae  appetunt hoc:  scilicet,  semper  durare;  videmus  enim  quod  fugiunt  raortem;  vel  ergo  bestiae erunt  immateriales,  vel  anima  nostra  propter  hoc  non  erit  dicenda  immortalis.  Sed istud  nihil  valet,  quia  bestiae  non  appetunt  hoc  appetitu  cognoscitivo,  quia  appe- titus  nou  fertur  in  incognitum,  bestiae  autem  non  cognoscuut  infinitum  sed  tantura secundum  hic  et  nuuc,  et  si  fugiunt  mortem,  hoc  non  est  quia  futurum  cognoscant, sed  quoniam    videtur  malum  sibi  praesens;  imo  Themistius   in  multis  locis  clamat qiiod  non  cognoseunt  nisi  obiectum  praesens. Sed  adliuc  iQstabitur,  quia  iste  appetitus  erit  vanus,  non  autem  naturalis,  quia  appetitus  naturalis  ex  toto  non  fnistratur.  Iste  autem  appetitus  est  ad  impossibile,  quare  istud  non  arguet  immortalitatem animae.  Pico  haec  nihil  valere,  imo  appetitus  iste  est  naturalis,  et  est  a  volun- tate  nostra  intrinseee;  cognito  enim  aeterno  cupimus  et  nos  aeternos  fieri  et  immor- tales;quod  etiam  declaratur  quia  iste  appetitus  est  in  omni  homine;  homines  enim  ». omnes  appetunt  esse  immortales;  si  autem  est  in  omni.  erit  naturalis.  Quod  vero dicunt  istum  appetitum  esse  ad  impossibile  nihil  valet,  et  contra  eos  reflecto  argu- mentum  quia  iste  appetitus  est  in  omni  homine,  ergo  naturalis;  si  ergo  appetitus ad  esse  semper,  est  naturalis,  non  poterit  frustrari;  quare  argumentum  est  contra  eos. Unde  dico  quod  homo,  vel  sit  intellectus  ut  voluit  ACCADEMIA,  et  videhir  etiam  esse  sententia  Thera.  3'  De  anima  s.'"  27°,  vel  saltem  est per  illum,  ut  tenuit  Averroes,  iste appetitus  non  erit  frustra:  quia  homo  est  aeternus  saltem  quoad  animam  rationalem ; et  facit  multum  ad  istud  hoc  quod  illa  quae  propter  animam  sunt  necessaria  iu  inti- nitum  appetimus;  existimatur  enim  quod  homo  infiuitas  appetit  divitias,  etsi  istud sit  impossibile  ;  unde  appetitus  divitiarum  uumquam  terminabitur,  sensitivus  autem qui  est  magis  propter  corpus  terminatur.  ut  si  quis  sitiat  et  famescat. Item  homo  cupit  Deum  maxime  imitare,  ut  intelligendo,  et  huiusmodi  quae  non potest  virtus  materialis.  Item  cum  duplex  sit  scientia,  practica  et  speculativa,  in operationibus  practicis  multa  animalia  conveniiint  cum  homine,  ut  in  construendo nidos  hirundo,  et  apes  in  aedificando,  araneae  in  texendo,  et  in  virtutibus  quoque  mora- libus,  sicut  rex  apum  in  iustitia,  amore  et  fortitudine  et  pietate,  sicut  legitur  in  2" De  historia  animalium.  In  speeulativis  vero  nullus  nisi  bomo  mentis  divinae  secreta intelligit,  atqiie  illa  ordinat;  quare  verisimile  non  videtur  quod,  cum  homo  ita  excelsa intelligat,  et  in  tam  excelsis  delectetur  speculabilibus,  et  a  voluptuosis  rebus,  et  ab omnibus  materialibus  (se)  retrahat,  quod  auima  eius  sit  materialis,  imo  videtm-  oppositum in  adiecto  quod  anima  intelligat  et  sit  materialis.  Causa  enim  intellectionis  est abstractio  a  materia.  Unde  Deus  qui  maxime  est  abstractus,  maxime  intelligit  et intelligentiae  quae  sunt  minus  abstractae  minus  intelligunt.  Istae  tres  rationes  sunt physicae,  sed  ex  operationibus  procedentes. Aliae  sunt  rationes  theologicae  hic  multo  fortiores  quas  ex  Divo  Augustino  eUcio. Prima  ratio  quae  est  4'  in  ordine  est:  quia  videmus  quod  inter  omnia  alia  terrena solus  horao  potest  suum  opificem  cognoscere,  quod  testatur  figura  recta  hominis,  quae  t;h.  132  verso ad  hoc  ei  donata  est  ut  coelum  aspiciat,  et  adorationes  et  templa  et  similia ;  cet^ra vero  non  habent  hoc  quia  tantum  terram  aspiciunt  sicut  mortalia  et  terrena;homo ergo  Doum  cognoscit,  notitia  vero  rei  comprehensae  semper,  ratione  boni,  causat  amo- rem,  ergo  homo  amabit  Deum:  cum  vero  amans  in  amatum  transrautetur,  sicut  intelligens  in  iuteliectum,  homo  in  Deum  transmutabitur.  Ex  his  autem  duobus  sequitur delectatio.  Ista  autem  unio  Dei  cum  homine,  quae  fit  per  intelligere  et  amare,  non accidit  nisi  in  anima  purgata  a  vitiis  et  istis  sensibilibus.  Unde  Eustratius  in  primo Ethicorum  dicit;  etsi  virtutes  morales  sint  propter  humanum  genus,  sunt  tamen ut  se  Deo  uniat,  quia  non  potest  eum  homo  coguoscere  nisi  animns  sit  purgatus  a vitiis,  et  ista  praeparant  nos  ad  felicitatem  summam.  Forte  dices  quod LIZIO non ponit  ista.  Dico  quod  sic  in  12  Metaphysicorum,  textu  commenti  £8  et  39,  ubi  dicit quod  voluptas  iu  amando  Deuni  est  in  nol.iis  parvo  tempore,  in  Deo  autem  seniper;  liaec ergo  est  vera  felicitas  (pev)  intellectionem  et  nnionem  Dei,  quamquam  non  potest  haberi nisi  mens  sit  ab  omni  vitio  purgata;  quaero  ergo  an  intellectus  noster  istam  felicitatem intelligat  aut  non;  si  non,  qnoraodo  ista  esset  felicitas  si  homo  non  cognosceret  se  esse felicem?  Si  dicas  quod  intelligit,  et  per  se  anima  aliqnando  non  evit,  quia  est  mor- talis,  ergo  homo  cognoscit  se  aliquando  nnn  esse;  si  sciat  se  quaiidoque  non  esse,  quo- modo  erit  felicitas?  quare  opus  erit  concedere  quod  anima  sit  immaterialis  et  immor- talis.  quod  omnes  philosophi  fatentur. Qninta  ratio.  Certum  est  quod  si  aliquod  est  animal  quod  peccet  in  complexione, compositicne  et  unitate  vel  infirmabitur  vel  morietur,  ut  dicunt  medici :  in  simili  dicit LIZIO primo  Politicorum,  quod  si  sit  aliqua  civitas  in  qua  non  sit  iustitia,  quod non  potest  mnlto  tempore  durare;  cum  ergo  iniusti  faciant  aliquod  malum,  qui  tameu honorantur  a  multis  imo  ab  omuibus,  et  etiam  corpora  eorum  honorifice  sepeliuntur post  mortem,  quaero  tum  an  Deus  scit  ista,  an  non;  si  no-n,  quomodo  est  possibile  hoc quod  omniumcustos  isfca  non  sciat;  si  scit,  vel  punit  istos  vel  non;  non  est  intelligendum quod  non,  quia  esset  iniustus,  ergo  punit;  si  sic,  vel  ergo  in  vita  vel  post  mortem; si  in  vita,  hoc  non  videtur  verum  quia  isti  multum  honorantnr  in  terris  et  quasi  Dei habentur;  si  post  mortem,  vel  punitur  corpus  eorum  vel  anima,  non  corpus  quia videmus  oppositum,  quia  corpus  solemniter  tumulatur;  si  anima  punietur,  si  esset mortalis  non  posset  puniri,  quia  non  esset;  si  ergo  debet  anima  puniri,  necesse  est immortalem  esse.  QuoJ  si  dicas  virtutes  esse  praemium  hominis  virtuosi,  vitium  autem esse  damnum  vitiosi  et  pravi  dum  sunt  in  vita,  hoc  nihil  esset;  tolleretur  enim omnis  iustitia,  quiasi  aliquis  rex  videvit  aliquid  malum  fieri  ab  aliquo  et  eum  nou puniret  ex  eo  quod  ex  vitio  quod  habet  esset  punitus,  iste  rex  iniustus  haberetur. Cum  autera  Deus  sit  maxime  ivistus  debebit  hoc  facere.  Unde  et  Aristoteles  ubique concessit  omnia  a  Deo  provenire.  Istae  rationes  etiam  contra  Averroem  procedunt animarum  pluraiitalem  negantem.  Asserit  enim  omnes  animas,  scilicet  rationales  imam tantum  esse. Sextum  argumentum  est,  quod  si  anima  est  mortalis  nihil  erit  homine  infelicius; quod  probatur  quia  felicitas  hominis  vel  erit  ante  annos  discretionis  vel  post;  non  ante, quia  nec  prima  movetur,  intelligit  autem  aliquid  aliud  et  facit  sicut  servus.  Sed  ista  feli- citas  est  post  annos  discretionis,  est  mevito  bonovura  corporis;  et  hoc  uon;  quia  multa Cli.  l33veiso  auimalia  fortitudine,  decore  et  talibus  nos  viucunt,  et  istud  provenit  mevito  natuvae,  et non  nostvi.  Item  multae  extalibus  rebus  moriuntur.  Vel  ergo  est  propter  bona  fortunae  ut honor,  divitiae,  cognitio,  et  hoc  non;  imo  ista  impediirat  uos  a  felicitate  et  aliqui  illa spreverunt.  Ergo  ista  felicitas  erit  in  bonis  naturae:  vel  eut  in  moralibus,  vel  in  speculativis  virtutibus;  non  inprimo  tantum,  quia  illae  non  complent  felicitatera,  sed suntpotius  contrariae  et  sicut  praeparatio  ad  felicitatem.  Necfelicitas  est  in  bonis  intel- lectivis,  scilicet  in  scientiis  speculativis.  Aliqui  enim  sunt  qui  eas  habent  et  taraen non  sunt  felices.  Consistit  ergo  felicitas  in  utrisque  bonis  intellectus,  scilicet  in moralibus  et  in  speculativis.  Si  ergo  auima  coguoscit  se  quando  in  folicitate  est  con- stituta  et  per  se  ipsam  sit  raortalis,  cognoscit  se  aliquando  non  fore  et  tunc  trista- bitur  cognoscendo  se  morituram,  taleque  bonum  perdituram ;  tunc  autem  homo  felix non    erit,    nec    pvius    etiam    felix.   Sicut  ergo   nunquam   homo    felix  esse   ex   siguo eognoscitur  propter   qiiod  homo  verecundatur  solus  inter  cetera  auimalia,    et  solus etiam  synderesia  habet;   hoc  autem  nou  potest  esse  nisi  quia  solus  cognoscit  se  offeudere suum  creatorem.  Et  istae  sunt  ratioues  probantes  animae  immortalitatem  tam  piiysice quam  theologice.  Pro  qua  parte  sunt  viri  doctissimi  et  integerrimi:  ACCADEMIA, LIZIO, Chaldaei,  et  omnes  leges  et  omnes  prophetae,quamyis  aliqui  dicant  quod  ACCADEMIA  non  fuerit huius  sententiae,  et  quod  ea  quae  diserit,  propter  vulgares  dixerit;  quod  dicere  impium est,  cum  in  suis  op?ribus  tam  maledicit  meudacibus. LIZIO etiam  fuit  huius  sen- tiae,  quem,  ut  puto,  Alexander  in  hoc  non  intellexit.  Est  enim  sententia LIZIO in  primo  De  anima,  textu  commenti  49,  ubi   dicit  quod  est  difBcile  ponere  animam corpori  commisceri,   item   textu  commenti  63  et  66,  ubi  dicit  quod  est  impossibile ipsum  intellectum  misceri;  item  textu  commenti  92  secundi  De  anima  dicit  de  intel-     Ch.  134  recto lectu  esse  alterum  animae  genus;  in  textu  commenti  11  et  21  idem  clamat  in  tertio  isto, textu  commenti  3,  4,  5  et  14  et  per  totum  hune  librum  tertiura.  Idem  in  secuudo  De generatione  animalium  textu  commeuti  3,  ubi  dicit  quod  solus  intellectns  extrinsecus accidit  et  cum  eo  uon  comunicat  actio  corporalis;  et  in  secundo  Metaphysicorum,  textu commenti  7,  dicit  quod  niliil  prohibet  ut  aliquid  post  mortem  remaneat,  scilicet  intel- lectus,  et   secundo Œconomicorum  dicit  quod  mulieres  debent  fidem  viris  servare, quia  a  Diis  in  aUo  seculo  felicitabuntur. Alii  deinde  sunt  etiam  dicentes  eam  mortalem  esse.  ut  fuerunt  GIARDINO nihil nisi  corpora  cognoscentes,  ut  Sardauapalus  et  Aristippus  quia  omnia  iu  luxuria  pone- bant,  et  eiusdem  seutentiae  fuit  impius LUCREZIO,  quia  cum  animam  esse  mortalem scripsisset,  etiam  se  gladio  interemit,  et  istam  senteutiam  videtur  sequi  Alexander  in libro  De  anima.  Quam  nititur  ptobare  multis  rationibus,  quas  ponit  in  commento  4° et    buae  Paraphrasis.  Et  prima  est  talis:  omnis  forma  generabilis  et  corruptibilis est  materialis,  anima  nostra  est  talis,  ergo  materialis.  Auterior  patet,  brevior  probatur quia  anima  est  terminus  generationis  et  corruptionis;  tunc  sic  generatio  est  de  non esse  ad  esse,  ergo  anima  prius  non  erat  ante  generationem ;  corruptio  vero  est de  esse  ad  non  esse  et  anima  est  terminus  corruptionis,  ergo  anima  corrumpitur;  nunc corrumpitur  et  prius  geuerabatur,  ergo  est  generabilis  et  corruptibilis.  Quod  si  dicis hoc  est  verum  in  asino  sed  secus  est  in  homine,  quia  potius  est  quaedam  separatio animae  a  corpore  quam  animae  corruptio:  istud  nihil  valet,  quia  motus  et  terminus motus  suut  in  eodem  genere,  et  si  motus  est  materialis,  forma  est  materialis;  motus autem  ad  animam  est  materialis,  quoniam  estperquantitates  proprias  qualitates  primas ergo  forma  quæ  est  acquisita  per  talem  motum,  quae  est  anima,  erit  materialis. Item  asiuus  verius  generatur  quam  homo,  quia  honio  tantum  applicaret  activa  pas- sivis  sicut  agricola  in  generatione  grani;  quod  probatur;  quia,  si  anima  est  aeterna,  vel fit  a  Deo  vel  non:  si  fit  a  Deo,  tunc  ergo  non  edusit  eam  de  potentia  materiae;  asimis vero  educit  formam  asini  de  potentia  materiae;  eodem  modo  dicatur  si  sit  aeterna  et nou  facta  a  Deo. Secimda  ratio  Alexandri  est  quod  omnis  forma  iuseparabilis  a  materia  est  materialis,  anima  est  inseparabilis  a  materia,  ergo  est  materialis. Anterior  est  manifesta  et brc\ior  probatur,  quia  homo  est  homo  per  animam;  sed  id,  quo  aliquid  est  tale,  est  eius forma:  ergo  auima  est  forma  hominis,  ergo  est  terminus;  terminus  autem  non  potest separari  ab  eo  cuius  est  terminus;  ergo  auima  non  potest  separari  a  corpore;  et  etiam quia  actus  noii  potest  a  sua  poteutia  liberari;  auirna  autem  est  actus  corporis,  ergo non  potest  a  corpore  separari,  quod  patet  ex  eo  quod  actus  et  potentia  suut  relativa; posito  autem  uno  correlativoruin,  ponitur  et  alterum,  sicut  posito  patre  necessario ponitur  filius.  Si  dices,  at  dicit  Averroes,  quod  Alexander  peccat  per  fallaciam  aequi- vocatiouis,  quuni  auima  aequivoce  dicitur  de  rationali  et  materiali,  et  quod  ea  quae dicit  Alexander  sunt  vera  de  materiali  anima,  rationalis  vero  auima  est  a  corpore separabilis,  ut  dicitur  2"  liuius,  textu  commenti  11;  contra  lioc  subtiliter  arguit  Ale- xander,  quia  quando  anima  nou  est  in  corpore,  vel  est  substantia  vel  accidens ;  non est  accidens,  ut  dat  nobis  prima  cognitio,  ut  dicit  Averroes  secundo  huius,  textu  commenti  2;  ergo  (est)  substantia  quae  est  per  se  stans.  Ex  altera  vero  parte  etiam  corpus  per se  stat;  ergo  ex  anima  et  corpore  per  se  actu  existentibus  unum  fiet,  quod  est  falsuni quia  ex  duobus  entibus  in  actu  non  fit  unum,  quia  unum  ab  altero  non  dependet, sed  fit    unum  per   accidens,  sicut  ex    nauta  et  navi;  ex  quo  patet  quod homo  non erit  quod  est  per  suam  formam,  sed  forma  in  eo  erit  sicut  motor  in  mobili.  Item  si anima  potest  esse  siue  corpore,  quae  est  causa  quod  corpori  uniatur?  Vel  lioc  est  per voluntatem,  vel  in  potestate  alterius;  si  primum,  erit  ista  opinio CROTONE IN CALABRIA et  anicularum;  si  secundum,  quod quum ista  unio  fiat  per  primas  quaIitates,ergo  anima  materialis erit,  quia  educitur  de  potentia  materiae  per  istas  qualitates,  corrumpitur  per  motum eorum,  et  hoc  sensui  apparet.  Qui  enim  bene  sunt  complexionati  bene  addiscuut,  unde molles  carne  aptos  meute,  duros  vero  ineptos esse 2°  huius,  textu  commenti  94.  Insupcr quomodo  hoc  esse  posset  quod  iret  de  corpore  in  corpus,  nisi  esset  hoc  per  motum localem;  anima  autem  non  movetur  locaI!ter,  quia  non  est  corpus;  quod  si  dicas,  ut tenet  uostra  fides,  quod  vadit  ad  paradisum,  quomodo  hoc  fit  nisi  per  motum  localem? Insuper  per  quam  viam  vadit?  Item  si  est  separata,  vel  intelligit  vel  non;  sinon,esset frustra,  quia  nihil  est  sine  sua  operatione;  si  dicas  quod  intelligit,  quomodo  hoc  fit cum  intelligere  animae  siue  immaginatioue  non  sit? Tertiaratio  Alexandri:  si  anima  est  aeterna,  immaterialis,  aut  est  una  vel  plures; sed  nec  est  una  aut  plures;  ergo  non  est  immaterialis.-  brevior  probatur,  quia  si  dicas quod  sit  una,  aut  dat  esse  aut  non;  si  nou  dat  esse  sicut AQUINO (si veda),  Albertus  et  multi alii  attribuunt  Avenoi,  istud  non  est  iraaginabile  quod  sit  uua  forma  homini  tantum assisteus,  quare  homo  uou  intelligeret  sed  tantum  cogitaret,  quia  ego  per  aliquid  quod non  est  pars  mei  non) intelligo  sed  tantum  cogito.  Qaod  si  dicas  fabulam  quam  fingit Gandavensis,  quod  homo,  sumendo  hominem  pro  aggregato  ex  corpore  et  intellectu assistente,  intelligit,  non  autem  si  sumatur  pro  corpore  tantum ;  contra  hoc  arguit Thomas  et  bene,  quia  hoc  modo  paries  videret,  quia  aggregatum  tale  videt  per  partem Ch.  ISoverso  aliquam  sui,  scilicet  per  oculum,  dato  quod  oculus  videat  parietem.  Eodem  autem  modo se  habent  phantasmata  ad  intellectum  sicut  colores  parietis  ad  visum.  Item  aggrega- tum  ex  curru  et  bove  intelligeret.  Ideo  posteriores  Averroistae  melius  dixerunt  intel- lectum  dare  esse,  et  hoc  tangit  AQUINO (si veda) in    Contra  gentiles,  ut  infra  dicemus.  Sed tunc  si  dat  esse,  ergo  forma  Platonis  erit  idem  quod  forma  Socratis;  est  enim  una anima;  si  dicas  eos  diflferre  per  animam  sensitivam,  contra:  quia  per  eam  homo  non  est horao.  Postea  quaero  quare  uuo  intelligente  alii  non  intelligaut:  quod  si  dicas,  ut dicit  Averroes,  diversificari  intellectum  per  phantasmata,  conlra:  vel  intellectus  recipit vel  non:  si  non,  hoc  est  contra  Aristotelem,  qui  dicit,  quod  iba  se  habet  iutellectus ad  intelligibilia    sicut seusus ad  seuslbilia.  Sed   de  lioc  iufra  dicemus.  Si   recipiet, ergo  idem  simul et  semel  recipiet    formas infinitas,  et  idem   siraul   coutradictoria recipiet.  Opiniones  enim  coutrariorum  siint  contrariae;  lioc  fuit  argumentum  Avicennae. Si  vero  ponas  animam  plurificatam,  coutra:  multitudo  iudividuorum  est  per  materiam quantam,  ergo  auimae  essent  materiales,  quare  et  mortales,  et  uon  recipieut  nisi  singulariter,  et non  universaliter. Si  vero  dicas  animas  differre  specie,  hoc  est  fatuum. Ulterius,  vel  ponis  diversas  animas  secundum  numerum  individuorum,  vel  quod  anima suiBciat  pluribus  individuis.  Sit  quod  quandoque  est  in  uno,  quandoque  in  alio,  sed hoc  est  fabulosum  et  opinio  CROTONE IN CALABRIA.  Demum  vel  hoc  fit  per  motum  localem, quia  quod  mobile  est  corpus  est;  si  vero  per  motum  alterationis,  anima  educitur  de potentia  materiae,  cum  idem  sit  subiectum  motus  et  terminus  motus.  Si  vero  dicas piimum,    ergo  vel  mrmdus  est  ab  aeterno,  vel  non;  si  sic,  ut  est  sententia  ACCADEMIA E LIZIO,  videre sic meo,  infinitae  auimae  erunt,  cum  iufinita  individua  processerint, nam  aliter non  patitur  infinitum.  Si  dicas  mundum  non  esse  ab  aeterno,  erunt  quasi infinitae  animae,  cum  muudus  fuerit  per  tot  saecuhi.  Simplicius  vero,  primo  Cœli,  refert apudAegyptios  fuisse  aunales  de  centum  millibus  annis.etPlato  de  duobus  millibus.Item quaero  si  est  immortalis  anima,  quare  egreditur  (ingreditur)  corpus:  vel  fit  de  novo  a  Deo vel  non;  si  non,  ergo  infinitae  animae  eriint  in  aliquo  loco  determinato.Deiude  quaudo Socrates  generatur,  quare  una  magis  informat  Socratem  quam  alia,  et  si  una  informat  quare non  alia,  et  cum  omnis  uon  informet,  nulla  erit  quae   informabit.  Si  primnm,  quod fiat a Deo    immediate,    ergo  est    novum  et  omne  novum  est  geuerabile  et  corruptibile,  ergo  anima  erit  generabilis.  Nam,  primo  Coeli,  omne  quod  incipit  esse  desinit esse.  Item  aut  auima  immediate  a  Deo  fit  vel  mediate ;  non  immediate  quia  ab  aeterno simpliciter  non  fit  aliquid  novum,  quia  aliter  mutaretur  (Deus);  nam  nunc  facit  etim- mediate  ante  hoc,  non  faciebat,  ergo  mutatur  et  in  Deo  esset  nova  voluutas,  et  electio; quod  eleganter  dixit  Averroes    Physicorum  commento  15°;  si  fit  mediate  erit  mediante motu,  ergo  generabilis  erit  et  corruptibilis,  quia  per  m-jtum  inducta  est  iu  materia. Item  masima  esset  Dei  iniustitia,  quia  poneret  animas  aetirnas  et  immortales  in  materia corporali,  a  qua  quodam  modo  ligantur.  Item  poneret  auimas,  quae  sunt  ita  nobiles. in  materia  ita  rudi  et  admodum  grossa,  siciit  in  aliquibus  hominibus,  qui  ignari  sunt. Item  dicit  Aristoteles,  primo  Cœli,  quod  immateriale  non  potest  formare  materiale,  dicit enim:  immortali  immortale  est  bene  conflatum.  Item  Aristoteles  non  fuit  huius  sen- teutiae  quod  anima  esset  immortalis,  imo  iu  decimo  Ethicorum  ponit  felicitatem  haberi in  hoc  sæculo  per scientias   speculativas,  et  primo  Ethicorum  cap.  15,  dicit  quod mortuis  uon  contiugit  felicitas. Si  ergo  non  ponit  felicitatem  post  mortem  signum  est quod  non  ponit  animam  immortalem.  Cuius  signum  est  etiara  quia  Aristoteles  num- qitam  de  hoc  determinavit,  et  miror  multum  de  Alexandro  quod  non  fecit  hauc  rationem, sed  credo  hanc  esse  causam  quia  ipse  non  putabat  aliquem  esse  huius  seuteutiae  quod anima    esset  una;  imo    nuUus    ante  Themistium  ct  Averroem  hoc   putavit.  Et  ista suut  argumenta  facta  pro  utraque  parte.  Si  euim  ponis  mortalem  hoc  non  est  con- souum  veritati  philosophorum  et  legum;  si  immortalem  et  ponis  sententiam  Averrois, hoc  videtur  impossibile ;  si  ponis  eas  esse  plnres  diflicile   est  salvare  quod  non  sint materiales.  Etita  ego  sum  iu  maximo  discrimine.  De  hac  quæstione  ego  vellem  esse ieiunus.  Dicam  tamen  quod  seusit  Alexander,  et  quod  ad  obiecta  responderet  contra se  facta. Circa  quod  est  notandum  quod  omnes  qui  pouunt  animara  intellectivam,  cou- stituunt  eam  in  horizonte  aeternitatis,  et  quod  est  media  inter  aeterna  et  mortalia. Sed  est  differentia,  quia  Christiani  ponunt  eam  abstractam  et  aeternam.  Alii  vero,  ut Alexander,  ponunt  eam  materialem  et  mortalem;esse  tamen  primam  formarum  materia- liuni.  Clterius  est  sciendum  quod  medium  participat  naturam  extremorum.  Unde  Themistius  in  prologo Physicae,  commeutosecundo,  ponitquaedamviventiaesse  interplantas et  animalia  quae  participant  natuvam  extremorum;  anima  ergo  in  medio  constituta habebit  aliquid  in  quo  conveniet  cum  aeternis  et  hoc  est  inleliigere,  et  aliquid  in quo  convenit  cum  animalibus,  et  hoc  est  sentire;  habet  etiam  aliquid  in  quo  convenit  cum  plantis  et  hoc  est  nutrire.  Erainenter  ergo  conlinet  omnes  formas  anima, licet  forte  hoc  non  coucederet  Averroes,  et  ista  opera  diversificantur  ex  modo  agendi; Ch.  137  recto  nutrire  enim,  secundum  esse,  penitus  materiale;  sentire  vero,  secundiim  esse,  spirituale; quod  tamen  non  fit  sine  conditione  materiae,  quia  cuni  hic  et  nunc  recipit;  intelli- gere  autem  uon  perficitur  cum  materia,  aut  cum  couditione  materiae,  sed  uuiversaliter tantum  sine  loco  et  tempore.  Christiani  igitur  volunt,  quod  cum  in  medio  sit  aeter- norum  et  non  aeternorum,  quod  ipsa  sit  iu  latitudine  aeternorum,  et  quod  iuduat matcrialitatem  secuudum  vires  sensitivas  et  nutritivas,  et  hoc  est  ratione  suae  imper- fectionis.  Alexander  vero  ponit  eam  in  latitudine  generabilium  et  quod,  secundum  aliqud sni.  cum  aeteruis  conveniat,  scilicet  per  intelligere  et  velle;  quod  provenit  ex  eo  quod est  media  inter  aeterua  et  nou  aeterna  et  quod  est  prima  forraarum  materialium.  Hoc non  dicit  Alexander  quod  auiraa  sit  tantum  facta  ex  elemeutis,  ut  sibi  falso  iraponit Averroes,  sed  vult  quod  sit  facta  ab  Intelligeutia,  et  videtnr  sententia  Aristotelis    De generatione  animalium  capite  tertio;  et  secundum  illud  quod  appropinqnat  aeteniis non  indiget  corporeo  organo,  ut  recte  dicit  Alexander,  et  ista  est  sententia  Aristotelis, quod  auima  intellectiva  est  sicut  locus  specierum;  et  si  beue  consideres,  ista  opinio non  est  magis  mirauda  quara  opinio  fideliura,  et  ita  est  intelligendus LIZIO  ubique,  cuvn  dicit  animam  ratioualem  esse  abstractam. Ad  argumenta  ergo  adducta Alexander  sic  respouderet. Ad  auctoritatem  primi  De  anima  posset  dicere  quod  (ut  est  sententia  The.)  LIZIO ibi  loquitur  dubitative  tantum,  cuius  signum  est  quia  dicit  LIZIO:  forsan vel  dicitur  quod  anima,  prout  habet  hanc  actionem  quae  est  intelligere,  non  eget  corporeo  organo:  et  ita  dicitur  ad  omnes  auctoiitates  prirai  De  anima,  secundi  et  tertii. Unde  quando  dicit  LIZIO quod  niliil  est  in  actu  eorum  quae  recipit,  intelligitur hoc  de  auima  secuudum  quod  habet  illas  operationes,  et  Averroes  sibi  falso  imponit quoJ    intellectus  sit  tantum  piivatio;  habet    enim  iu  coramento    quod  est  magis similis  præparatioui  tabulae,  quam  ipsi  tabnlae:  dicit  enim,prirao  ipsius,  tabulao  agra- plio,  id  est  inscriptiouis  carentiae  (sic)  est  quam  tabellae  similior;  ipsa  enim  praeparatio tabulae  est  quasi  quoddam  separatum  a  tabula  omnia  recipiens  lineamenta:  ita  intel- lectus,  quoad  iilam  potentiam,  abstractus  est  et  universaliter  recipit  omnes  formas  mate- riales,  quae  sunt cum  hic et  nunc. Quod  vero  dicit  quod  solus  est  abstractus,  et  quod extrinsecus  accidit,  responditAlexander,  commeuto  28,  quod  istud  est  verum  de  intelle- ctu  agenti,  imo  Aristoteles  textu  commenti  20  loquitur  de  agente  et  non  de  possibili. Quod  vero  dicitur  de  libro  Echonomicorum,  dico  quod  illud  est  dictura  nt  inducat homines  in  amorem  castitatis.  non  quod  ita  sit. Ad  argumeutum:  quomodo  se  ipsam  iutelligit,  et  secuudum  eam  partem  uou  est in  materia,  et  cum  dicitur  quod  cognoscit  uuiversalia,  dicit  Alexauder  quod  cognoscit universale  comparando  uuam  rem  alteri,  sed  non  fit  hoc  per  virtutem  immateiialem, sed  per  materialem.  Cum  dicis  quod  Deum  intelligit,  dicit  quod  Deum  anima  non coguoscit  nisi  caecutiendo  ex  eo  quod  non  iutelligit  nisi  per  pliautasmata,et  hoc  nou  arguit eam  esse  immaterialem;  imo  opponitur  es  eo  quod  non  bene  cognoscit,  et  similiter dico  quod  nou  iutelligit  infinitum  uisi  caecutiendo  et  confuse,  pro  quanto  aliquid de  iufinito  percipit;  et  cum  dicis:  implicat  esse  materialem  et  intelligere,  dioo  quod intellectus  indiget  abstractioue,  sed  non  omnimoda,  quia  per  phautasmata  intelligit; imo  arguit  nostram  seutentiam,  quod,  cum  per  phautasmata  intelligat,  partim  sit  abstra- ctus,  et  partim  non,  non  ex  toto. Ad  secuudam  ratiouem  respoudetur:  non  omuimode  abstrahitur  a  corpore,  quia  eget eo  ut  phantasmate,  et  argumeutum  uon  conchidit  nisi  quod,  secundum  eas  partes  per quas  anima  iutelligit,  non  sit  materialis,  sed  a  materia  abstracta,  non  tota  anima. Et  cum  dicis:  corpori  repuguat,  dico  quod  hoc  est  per  accidens,  unde  et  canis  se  per accidens  interimit  aliquando,  et  ita  quod  corpori  repugnat,  hoc  est  per  accidens  et  per  Ch.  138  recto illam  partem  quae  abstracta  est.  Quod  autem  dicis  quod  libera  est,  respoudeo:  ut  est a  corpore  abstracta  libera  est,  ut  vero  est  in  materia,  serva  est.  Ad  tertium  cum  dicitur: apprehendit  (desiderare)  se  esse  in  infiuitum,  dicitur  quod,  ex  eo  in  infinitum  durare,  cum hoc  esse  non  possit,  arguit  eius  imperfectionem  et  materialitatem;  apparet  quod  im- possibile  est  esse.  Ad  aliam  cum  dicis  quoJ  implicat,  dico  quod  non  implicat,  quoniam, quoad  illam  partem  quae  iutelligit,  abstracta  est.  • Ad  rationes  theologorum  dicitur:  ad  primam  quae  est  quarta  inordine,  cum  dicis: si  auima  est  felix  et  cognoscit.  se  uon  futuram,  ergo  non  est  felix,  dicitur  quod  oble- ctatur  anima  et  contentatur  in  eo,  quia  cognoscit  se  habere  illud  quod  est  ei  possibile. Est  autem  impossibile  eam  semper  durare  sicut  iu  simili,  cum sit secunda  iutelligentia, intelligit:  prinium  vol  cognoscit  se  vel  non;  non  est  dicendum  quod  non;  si  se  intelligit  et  iutelligit  se  non  esse  ita  perfeftam  sicut  est  prima.  ergo  esset  invida.  Unde intelligentia  secunda  est  felix  et  cognoscit  se  hahere  id  quod  possibile  est  ei.  Textus autem LIZIO  est  contra  te;  dicit"enim  illud  esse  nobis  in  modico  tempore,  non autem  dicit  semper. Ad  quintum  dico  quod  est  contra  te  facere  animam  immortalem  et  ponere  eam iu  corpore  mortali,  et  dico  quod  Deus  ponit  malos  reges  qui  huuc  mundum  guber- nant,  alios  autem  non  cognoscit,  quia  quasi  per  accidens  sunt,  sicut  magnus  rex  cognoscit  tantum  primitates  et  proceres  qui  sunt  in  regno,  alios  vero  multos  non  cognoscit. Ad  sextum  argumentum,  scilicet  quod  nullum  auimal  esset  infelicius  homine, nego  hoe,  imo  aliquod  auimal  non  cognoscens  se  est  infelicius  homine.  Vel  dico  quod, licet  anima  cognoscat  se  morituram  quando  est  felix,  non  tamen  propter  hoc  restat quod  non  sit  felix,  quia  contentatur  eo  quod  est  possibile  ei  habere;  est  autem  impos- sibile  eam  semper  permanere.  Cum  vero  dicis  quod  pro  hac  parte  quod  anima  est aeterua  sunt  viri  optimi,  pro  altera  vero  parte  impii,  respoudeo  quod  illud  est  per accidens;  imo  multi  docti  istnd  coucedunt,  ut  Alexauder  et  alii;  imo  isti  sunt  magis docti  et  virtuosi,  quam  qui  ponebant  esse  eam  immortalem;  uam  si  quid  boni  fecenmt. propter    proemium  fecerunt,  scilicet  venturum;  qui  vero  ponuut  eam  mortalem  non fecenint  bouum  propter  pi-aemium,  sed  solo  virtutis  zelo.  Aliqui  eliam  diierunt  animam esse  immortalem  propter  vulgares. Ista  sententia  non  est  ad  mentem LIZIO,  ut  puto,  nec  in  se  vera. Primum probatur,  et  prima  huius  coniectura  sumitur  ex  eo  quod  Tlieoplirastus,  ut  voluit  Themistius,in  hoc  tertio,  commento  39°,  voluit  hoc  de  mente  Aristotelis.Tiieophrastus  autem melius  halniit  mentem  Aristotelis,  cum  eius  discipulus  fuerit;  quam  Alexander.  Item quiaAlexander,  commento  28°,  tenet  intellectum  agentem  esse  deum,et  piimam  causam, uec  paitem  esse  animae  nostrae. LIZIO autem  vult,  ut  infra  patebit,  quod  slt  pars animae  nostrae;  modo  si LIZIO vult  quod  sit  pars  animae  nostrae,  qucmodo  hoc esse  potest,  si  unum  sit  aeternum  et  alterum  non?  Item  Alexauder  se  declaraus  quo- modo  intellectus  abstractus  sit,  exponit  dictum  Aristotelis,  quando  dicit,  quod  est immixtus;  dicit  sic:  quoad  est  in  sui  operatione,  uon  indiget  organo  corporali  quoad illam  partemabslractam;  ideoest  abstractus,  et  quoniam  species  recipiuutur  iu  sola  ani- ma  non  in  organo  corporeo,  et  citat  locum  Aristotelis  textu  commauti  6°,  quodanima est  locus  specierum  et  non  tota,  sed  intollectiva,  et  in  hac  operatione  corpus  concurrit (non)  nisi  ut  obiectum  non  subiectum.  Et  secundum  De  generatione  animalium  glosam,  iu- telligit  de  intellectu  agente,  sed  ista  glosa  non  salvat  suam  sententiam;  quaerit  enim ibi  Aristoteles  utrum  omnis  anima  sit  ante  animatum,  vel  nuUa,  vel  aliqua  sic  et aliqua  non;  et  solvit.  quod  illa  quao  utitur  corpore  sicut  organo  in  sui  operatione, non  advenit  ante  aniraatum.  Sed  illa  que  non  utitiir  organo  corporeo,  extrinsecus  advenit; et  hoc  est  contra  Alexandrum,  quia  per  eum  ideo  est  separata,  quia  non  indiget  orgauo corporeo;  ergo  si  non  utitur  organo,  erit  abstractus  (intellectus)  per  Aristotelem  ibi,  et  ve- niet  de  foris;  quare  non  erit  mortalis.  Ecce  quomodo LIZIO ibi  non  intelligit  tantum de  intelligentia  agente,  ut  tu  dicis,  et  istud  nihil  concludit.  Potest  hoc  Alexander  sol- vere,  et  in  se  ista  opinio  est  impoesibilis.  Quaudo  euim  Aristoteles  vocat  intellectum  esse mortalem,  respoudet Alexander  quod  in  ista  operatione  sola  sine  corporeo  organo  erit  in opus;  et  anima  intellectiva  intelligit  immaterialia,  et  se  ipsam  et  etiam  indivisibilia.  Sed contra,  quomodo  hoc  est  possibile  quod  se  ipsam  et  immaterialia  cognoscat,  ipsa  tamen sit  mortalis;  etsi  sola  hoc  faciat,  et  non  sit  abstracta,  si  uon  habet  operationem  pro- priam  sine  corpore?  Operari  autem  praesuppouit  esse;  ergo  ipsaest  a  corpore  abstracta. Et  ista  est  ratio  Avicennae  optima.  Sed  dicis,  quod  in  hoc  est  aequivocatio,  quia animam  egere  corpore  est  duobus  modis,  ut  iufluente  iufereute et  ut  organo;  ita  quod iutelligibiles  species  in  corpore  etiani  recipereutur.  Tuuc  dico  quod  si  anima  posset  ope- rari  sine  corpore  ut  subiecto  et  inferente  species,  beue  esset  separabilis  a  corpore: sed  quia  eget  eo  ut  subiecto  et  inferente  species,  ideo  non  separatur  ab  illo;  pendet enim  ab  eo  essentialiter.  Sicut  uon  valet:  oculus  non  potest  videre  sine  corde,  ergo visio  est  in  corde;  quod  ideo  uon  valet,  quouiam  oculus  eget  corde,  tamen  ut  ab  eo species  ad  oculum  trasmittantur;  ita  anima  eget  quoque  corpore  ut  subiecto,  et  ut  eo a  quo  trasraittuntur  species,  non  autem  eget  eo  ut  orgauo.  Sed  ista  respousio  est  appa- rens  et  non  bona.  quum  dicerc  quod  auima  uon  est  separata,  quia  eget  corpore  sicut subiecto,  aut  infereute,  nihil  est  dicere,  et  omues  hoc  coucedunf;  sed  secus  est  de  tuo exemplo,  et  de  hoo  quia  oculus  non  est  iu  corde  ut  in  subiecto  sicut  anima  in  corpore est  sicut  iu  subiecto;  cum  autem  omne  quod  est  causa  causae  sit  causa  causae  in eodem  geuere  causae,  quomodo  est  possibile  quod  cum  anima  a  corpore  causetur,  et intellectio  rccipiatiir  in  anima,  quod  etiam  uou  recipiatur  iu  corpore?  Item  est  mirum quod  anima  sit  mortalis  iutelligatque  semper secundum eas  potentias  quas ille  ponit  in ea;quia  ego  credo  Alexaudrum  ponere  eam  exteusam,  sed  solum  in  quo  est. Tunc  quaero an  intelligere  fundetur  in  anima,  au  in  parte  animae;  si  in  tota  anima,  cum  sit  extensa non  recipiet universaliter,  sed  siguate  mevito  quantitatis.  Si  dicas  secundum,  cum  non constet  in  iudivisibili,  erit iu  aliqua  parte,  ergo  erit  organica ;  cuius oppositum  tu dixisti.  Sed   dicis coutra; istud   procedit  contra  Christianos,  quia  per  eos  anima  est in corpore.  Dico  quod  non  procedit  hoc  contra  eos,  quia  ponuut  animam  esse  abstractam,  non  eductam  de  poteutia  materiae,  et  non  est  in  corpore  nisi  per  accidens. Ale- xauder  autem  vult  quod  essentialiter  sit  in  corpore  et  ita  ipsi  bene  possunt  dicere quomodo  possit  se  sola  iutelligere;  et  species  recipere,  sine  corpore,  non   enim  per corpus  est  constituta  in  esse,  ut  Alexander  voluit  quod  ait  edncta  de  poteutia  materiæ,  et  quod  constituatur  iu  esse  per  subiectum;  uec  potest  salvare  quod  cum  omnis homo  appetat  se  esse  aeternum  secundum  iudividuum,  et  iste  sit  naturalis  appetitus, quod  iu  totiun  frustretur.  Licet  enim  bruta  appetant  aeterno  tempore  esse,  hoc  nou est  secundum  individuum  sed  secundum  speciem;  nec  beue  respondet  rationibus  theo- logorum  quando  dicit  quod  auima  est  felix,  etsi  sciat  se  quaudoque  non  esse,  quod  est, quia  cognoscit  se  habere  id  quod  est  ei  possibiie  habere;  et  cum  est  aeque  felicitas sicut  iu  Deo,  Responsio  satisfacit quum tenet  Alexauder  quod  iutellectus  uoster  Deo uniatur,  et  in  instauti  omnia  cognoscamus.  Sed  quomodo  est  possibile  hoc,  quod  res  materialis  Deo  uniatur,  quia  ut  dicit  Averroes  in  hoc  tertio,  commento  36°  generabile efficeretur  aeternum  et  iiigenerabile? Quæ sententia  quomodo valeat  infra  dicemus. Item  quod  dicit  de  diviua  iustitia  non  valet,  quia  tuuc  aliqui  mali  non  punirentur,  et  qui  bene  facerent  non  raererentur;  postea  videatis  quod  habeant  isti  dicere: scilicet,  quod  si  boui  dicerent  animas  esse  immortales,  ut  homines  ducereut  in  virtutem,  tunc  omnes  leges  essent  delusiones. Item  redeamus  ad  aliam  opinionem  quae  teuet  animam  immortalem,  quae  bipartita est.  Aliqui  volunt  quod  sit  uua,  et  ista  opinio  videtur  magis  fatua  opinione  Alexandri. Alii  vero  tenent  quod  sit  plurificata  secundum  substautiam  quae  informat;  et  rationes  primae  opiniouis  suut:  prima  quae  est  Themistii,  hic  commento quod si  esset  plurificata,  ergo  materialis;  multitudo  enim  individuorum  est  per  materiam quantam,  12."  Metaphysicorum,  textu  commenti  43°;  secunda  ratio,  quia  ponendo muudum  aeternum,  ut  ACCADEMIA E LIZIO volunt.  si  animae  esseut  multiplicatae. vel  essent  (ita)  quia  omnis  homo  qui  est  vel  erit  vel  fuit,  habuit  unam  aniraam,  vel progredirentur  de  corpore  in  corpus  animae:  si  primum,  lioc  est  impossibile,  quia  da- retur  iufinitum  actu,  quod  non  capit  intellectus;  si  secuudum,  erit  fabula CROTONE IN CALABRIA, quod  una  anima  modo  intret  corpus  unum,  modo  aliud;  et  istae  sunt  (rationes)  fortio- res  huius  opiniouis,  et  ista  aperte  fuit  sententia  Theraistii,  licet  AQUINO (si veda)  in  libro  contra Averroistas  non  dicit  istam  esse  sententiam  Themistii,  quaravis  ego  non  credam  illum esse  librum  Thomae;  et  hanc  opinionem  ex  hoc  couiectuvo  quod  in  commento  32°  probat intellectum  esse  unum,  quia  si  essent  plures,  esset  matevialis,  eadem  autem  est  ratio de  ageute  et  de  possibili  cum  ambo  sint  abstracta.  Item  ex  alio,  quia  in  commento  31° vult  quod  intellectus  agens  non  sit  Deus,  sed  sit  pars  animae  uostrae ;  modo  si  isti duo    intellectus   faciuut    uuam    aniraara    numero.  quomodo  uno   multiplioi  existeuti alterum  est  uiiicum?  Item  ex  alio.  cum  dicit  quod  si  intellectus  uon  esset  unus,  quo moJo  discipulus  addisceret  a  magistro?  Non  euim  addiscimus  aliquid  uisi  sit  aliquod commune  nobis  et  magistro.  Quod  ista  sit  mens  Averrois  est  clarum,  licet  ego  audi- verim  esse  quemdam  venerabilem  doctorem  senensem  qui  tenet  de  mente  Averrois animam  esse  plurificatam;  quod  evenit  quia  in  dies  novae  opiniones  insurgunt.  Istud tamen  voluit  Averroes,  ut  manifeste  apparet.  Quod  autem  senserit LIZIO dicemus in  opinione  Christiauorum.  Sed  tunc  restat  diflicultas,  et  est  comurds  arababus  opi- niouibus  praedictis,  quia  si  anima  est  aeterna,  non  per  corpus  sed  per se stans,  tunc habebit  se  ad  liominem  sicut  gubernator  ad  navim,  et  motor  ad  motum,  nou  sicut forma  ad  subiectum;  quare  non  erit  forma  per  quam  homo  est  homo.  Item  esto  quod sit  immaterialis,  quomodo  est  possibile  quod  unum  nunc  districtum  a  quocumque  alio sit  in  toto  mundo?  Ideo  posteriores  Averroistae  videntes  hoc,  dixerunt  quod  anima  (est), iu  quo  est  forma,  non  vera  sed  assistens  tantum,  sicut  rex  in  regno;  et  dicunt  non incouvenire  hoc  in  formis  abstractis,  sicut  dicunt  philosophi  quod  Deus  est  ubique. Unde  poeta  dixit:  Jovis  omnia  plena.  Et  istud  de  mente  Averrois  teuuit  Albertus, AQUINO (si veda),  ROMANO (si veda),  Scotus,  RIMINI (si veda),  Johannes  de  Gaudavo. Sed  ista  opinio  non  est  intelligibilis  nec  ad  raentem  Averrois,  ut  aliqui  propter rei  diflicultatera  tenuerunt,  et  propter  verba  in  coraraeuto  11°  huius  secundi,  cura  dicit: nondum  est  manifestum  utrum  (anima)  sit  in  homine,  sicut  nauta  in  navi.  In  multis etiam  locis  dicit  quod  est  forraa  separata. Priraura  quod  dixi  probatur;  si  enim  anima  intellectiva  non  est  forma  intrinseca  homini  per  quam  liorao  est  homo,  tunc  nullus  homo  formaliter  intelligeret.  ex  eo  quod  uon est  forma  nostra,  Itera  ego  experior  rae  intelligere  et  scire  propositiones  universales,  qua- les  uon  facit  cogitativa.  Item  est  argumentum AQUINO (si veda) quod  tunc  homo  non  intelligeret; quod  si  fingas  fabulara  Joannis  quod  homo,  pro  aggregato  (sic)  ex  corpore  et  intellectu, intelligit,  sed  non  pro  composito  tantura,  tunc,  in  siraili,  aggregatum  ex  oculo  et  muro videret,  quoniara  ita  se  tenet  murus  ad  oculum  sicut  corpus  ad  animara;  nec  ista  est  mens AQUINO (si veda), commento  27"  et  28",  dicentis  intellectum  agentera  esse  formam  et  essentiam nostram.  Primo  seeundum  Averroem  homo  est  intellectus  agens,  ipse  auteni  intellectus agens  est  pars  animae  nostrae.  Item  non  est  luens  Averrois  ista.  Videte  vos  quanta  comprehendimus  in  quaestione ista;ipse  enira  in commento  prirao  huius  tertii,aperto  dixit  quod per  aniraam  intellectivara  distinguitur  homo  ab  omnibus  aliis  speciebus,  eadem  enim  sunt principia  differendi  et  essendi.Item  in  commentoSG"  tertii  huius,  dicitAverroes  quod  non est  moveus  tantum,  sed  et  forraa.  Item  in  commento  36°  dicit  quod  ita  se  habet  anima ad  horainem  sicut  Intelligentia  ad  orbem;  sed  Intelligentia  dat  esse  orbi;  ergo  et  anima homini.  Quod  autem  lutelligentia  det  esse  orbi  probatur,  quoniam  Averrois,  capitulo primo  De substantia  orbis, dicit  quod  prius  Intelligentia  uuitur  coelo  quam  dispo.sitiones et  accidentia  coeli,  ut  quantitas,  figura,  et  alia  accidentia  quae  sunt  in  eo;  quod  si Intelligentia  uuiretur  coelo,  tautum  ut  motorem  eam  praesupponeret.  Cœlum  esset  quan- tum  et  figuratum,  quia  nihil  movetur  nisi  corpus:  si  ergo  Intelligeutia  tantum  moveret coelura,  opus  esset  orbem  prius  esse  quantum,  quara  motum  ab  lntelligentia.  Item prirao  Coeli,  textu  commenti  95°,  dicit  quod  dubiura  est  au  orbis  per  aliquid  alterum sit  sensibilis  et  intelligibilis,  et  dicit  quod  sic:  imo  de  se  est  tantum  in  pura  potentia, imo  aliqui  voluut  quod  orbis  de  se  sit  in  pura  potentia  ex  illo  loeo:   imo    Cœli textu  commenti  3'  Iutelligeiitia  veriiis  unitiu-  ei  quam  materiae  forma;  quomodo  autem  lioc  esset  nisi  Intelligentia  daret  esse  orbi?  Istam  seutentiam  dicit  AQUINO (si veda);  Al- bertus,  et  isti  alii  imponuQt  hoc  Averroi,  et  istud  ei  ascripserunt,  quia  viderunt  quod altera  poteutia,  scilicet  quod quam  intellectus,  det  esse,  videtur  magis  impossibile.  Cum vero  dicis  Averroem  dicere  quod  intellectus  est  abstractus,  iuteliigit  quod  non  est  edu- ctus  de  potentia  materiae.  Sed  tunc  augetur  ditficultas:  si  anima  per  se  stat  et  etiam corpus,  quomodo  ex  duobus  entibus  in  actu  tit  per  se  unum  ?  de  coelo  et  Intelligentia hoc  salvare  non  est  diOicile  insequeudo  Averrois  verba,  quia  lutelligentia  est  quae  dat  esse actu  orbi;  quoniam  ibi  textu  commenti  95'  dicit  quod  orbis,  seclusa  lutelligentia,  non est  nisi  in  potentia,  nec  intelligibilis,  sed  tantum  sensibilis;  et  ideo  tit  imum,  quia  unum est  actu  alter alterum in  potentia.  Sedin  homine  est  diificilius,  quia  in  homine  est cogitativa  quae  est  constituens  bominem  in  specie.  Alias  ego  dixi  quod  anima  intelle- ctiva  realiter  est  idem  quod  sensitiva.  et  quod  sensatio  corrumpitur  quoad  potentiam tantum,  sicut  est  sententia AQUINO (si veda).  Marsilius  vult  hauc  sententiam  ACCADEMIA;  et  tunc multa  possumus  ex  hoc  solvere,  Sed  est  duruui  ponere  in  intellectu  abstracto  has  potentias  esse,  et  non  assevero  hoc,  quoniam  uullus  dixit  aute  me ,  et  quomodo  hae  po- tentiae   possiut   fundavi   in   anima.  Aliud notabile est quia lntelligeutia est vera forma  in  orbe:  quod  autem  aliqui  dicunt  quod  materia  coeli  est  in  pura  potentia,  hoc non  puto  verura  esse,  irao  Averroos  in  De  substautia  orbis,  cap.  ultimo,  dicit  quod  ma- teria  coeli  est  media  inter  materiam,  hoc  est  puram  poteutiam,  et  actum  inirura;  et  octavo Metaphysicorum  textu  commenti  12':  non  habent  aeterna  materiam  talem  qualem  ge- uerabilia  habent.  Sed  quoniam  auctoritates  possunt  glosari,  induco  rationes,  ex  quibus hanc  qu  olim  coneurrenti  raeo  fuit  difEciIis:quia  si  materia  coeli  esset  ens  in  pura  poten- tia,  ergo  coelura  cura  Intelligentia  non  esset  per  se  motum,  quia  esse  quod  per  se  rao vetur  dividitur  iu  partem  per  se  moventem  et  per  se  motam;  pars  per  se  movens  est acto Intelligentia,  pars  per  se  mota  est  orbis,  quae  per  se,  si  est  in  pnra  potentia,  non  po- terit  resistere  Intelligentiae,  unde  non  erit  motus. Ad  hanc  rationem  isti  respondeut  negando  primam  compositionem,  quoniam  in  coelo pars  per  se  movens  est  Intelligentia,  pars  per  se  mota  est  materia  coeli  una  cum  eius forma.  Sed  si  ista  responsio  esset  vera,  maxime  in  via  Averrois,  tunc  iu  elemento  esset pars  per  se  movens  et  per  se  raota,  quoniam  forma  elementi  esset  per  se  movens  et compositum  esset  per  se  motum,  quod  tamen  est  coutra  Averroem  4."  Coeli,  textu commenti  22.'  et  in  aUis  locis.  Sed  tunc  tu  dices:  si  materia  coeli  esset  aliquid  ens in  actu,  non  posset  fieri  iratim  per  se  cum  Intelligentia,  sicut  dicit  Averroes  primo Physicoriim  commento  63";  et  ideo  dico  quod  ex  anima  intellectiva  et  corpore  infor- mato  per  cogitativam  iit  per  se  unum,  quia  cogitativa  non  est  hominis  essentia  per  se complens,  sed  adhuc  corpus  tale  est  in  potentia  ad  intellectum;  et  si  dicitur  ex  primo capite  De  substantia  orbis. Impossibile  est  idem  habere  duo  esse,  dico  quod  est  verum de  duobus  esse  ultimatis,  et  aeque  perfectis.  Vel  dicitur  aliter  quod  hoc  non  intervenit si  unum  sit  eductum  de  potentia  materiae,  alterum  non;  sed  tunc  est  angustia,  quia omniura  horaiuum  esset  idem  esse,  nec  Socrates  a  Platone  distingueretur,  eadem  enira sunt  principia  essendi,  et  distinguendi.  Sed  ista  positio  Averrois  potest  persuaderi  ex  eo  quod  Christiani  etiam  teneut  quod  in  homine  sit  una  tauttim  anima  iudicialis,  tota  in toto  et  tota  in  qualibet  parte,  ut  quod  tota  sit  iu  mauu,  tota  in  pede.  Sic  ergo  dico  quod omiiiiim  liominum  est  idem  esse  intellectiiale,  sed  quoad  sensitivam  et  cogitatiram  differunt,  ciiius  signum  sunt  proportiones  omnibus  commimes.  Sed  Alexander  diceret  utram- que  opinionem  esse  impossibilem;  ego  tamen  dico  quod  opinio  Cliristianorum  est  ve- rior:  potest  etiam  persuaderi  ex  eo  quod  una  Intelligentia  dat  esse  orbi  ita  magno, et  tamen  una  pars  differet  ab  altera  per  accidens,  ut  stellata  a  non  stellata,  omnium tamen  earum  partium  est  idem  esse  intellectuale.  Sed  dicet  quis:  orbis  non  habet  esse ab  Intelligentia,  siciit  est  seuteutia  Alexaudri  hic,in  Paraphrasi  de  anima,  commento  8°; et  Thomas  et  Christiani  dicuut  quod,  quamvis  anima  informet  omnes  partes  corporis, non  tamen  per  se  primo  sed  per  accidens,  et  per  accidens  differuot  istæ  partes;  sed iuteUectus  dat  per  se  omnibus  hominibus,  et  inter  se  difFerunt  homines  actu  etiam. Sed  ad  hoc  aliquis  dicet  quod  partes  sunt  actu  ab  anima  informante  et  non  in  potentia,  et  quod  inter  se  actu  differant.  Sed  est  dubium  si  anima  sit  talis  quod  sit una  numero  in  omuibus  hominibus.  Quomodo  intelliget,  an  recipiendo  an  non  reci- pjendo?  Et  est  quaerere  utrum  dentur  species  intelligibiles  de  novo  in  intellectu  rece- ptae.  De  hoe  est  una  opinio  Burlaei  7."  Physicorum,  commento  secundo,  quae  vult  quod anima  non  recipiat  de  novo  speciem;  quam  inserunt  aliqui  moderni,  quorum  scripta uon  vidi  sed  audivi  ab  eis;  erant  euim  mei  concurrentes,  et  rationes  istorum  snnt: primo  est  auctoritas  Averrois  12.°  Methaphysicorum,  commento  25",  ubi  dicit  quod  quædam  sunt  substantiae  quae  non  recipiunt  accidentia,  et  substantiae  abstractae;  intel- lectus  autem  est  abstractus  et  substantia  abstracta.  Item  si  habet  species  de  novo,  hoc esset  quia  phantasmata  imprimerent  in  intellectum  illas  species  et  cum  phantasma  sit materiale,  tunc  immateriale  a  materiali  pateretur.  Item  si  de  novo  reciperet  species, cum  istae  species  sint  singulares,  non  repraesentabunt  universaliter;  quare intellectus non  intelliget  universale.  Item  si  anima  reciperet  species,  tuuc  plura  accidentia,  solo numero  differentia,  essentin  eodem  contra  Aristotelem,    Metaphysicorum,  textu  commenli  15'. Item  si,  respectu  unius  obiecti,  plures  essent  species  in  intellectu,  tunc  essent materiales,  quia  plurificatio  individuorum  est  per  materiam,  ut  dictum  est  supra.  Sed tuuc  quomodo  fiat  intellectio  ,  discordant  inter  se.  Unus dicit  quod  fit  hoc  modo quia  anima  intellectiva  est  forma  mei,  et  omnia  intelligit  per  essentiam  suam ;  non tamen  ista  mihi  dicitur  intellectio,  nisi  dum  ego  cogitem,  et  quod  ego  non  intelligo asinum,  uisi prius cogitem  de  asino;  quia  iste  est  ordo  naturalis,  quod,  si  debeo  anima iutelligere,  debeo  de  omnibus  cogitare.  Alii  dicunt  quod  bene  intellectus  est  in  po- tentia,  sed  non  ad  species  recipiendas;  sed  per  virtutem  intellectus  agentis  forma  asini eadeni  realiter  quae  est  iu  re  ad  extra  in  intellectum  nostrum  recipitur,  accidentalis  tamen facta;  et  istud  est  magis  impossibile  primo;  etenim  hoc  intelligere  non  possum  sicut primum.  Istæ tamen  opiuioues  sunt  impossibiles,  nec  ad  mentem  Averrois  et  Themistii:  dixit  enim  Themistiu?  in  commento  15."  quod  intellectus  est  aptus  et  (se)  tenet  ad rccipiendum  omues  formas,  sicut  cera  ad  figuras,  et  dixit LIZIO quod  ita  se  habet intellectus  ad  intolligibiiia.  sicut  sensus  ad sensibiiia.  Sed  aliqui  dicunt,  et  magis  con- sentanee  loquuntur,  quod  visio  non  fit  per  species,  ut  dixerunt  in  suo  tractatu  quem fecerunt,  et  dicunt  illud  esse  contra  intentionem  Aristotelis  et  Averrois,  commento  4", qui  oppositum  huius  aperte  dicit,  quaud-o  dicit  quod  recipit  omnes  species  materiales; et  prima  ratio  est,  quia  si  nihil  de  novo  recipit  intellectus  nisi  aequivoce  ut  tu  dicis, Ch.HSverso     quaero  tunc,  quando  Averroes  probat  intellectum  possibilem  immaterialem  esse,  ex  eo quod  recipiens  est  denudatum  a  uatma  recepti,  et  si  recipiens  haberet  aliquid  de  na- tura  recepti ,  tunc  idem  se  reciperet ,  et  idem  iu  se  ageret;  do  qua  actione  loquitur Averroes?  Si  de  vera  liabeo  intentum,  quia  tunc  aliquid  verum  aget  et  recipiet  iutel- lectus  de  uovo;  si  de  actione  aequivoca,  tunc  non  est  inserviens;  idem  ageret  in  se  ipsum actione  aequivoca  ut  dicitur  ab  AveiToe;    Physicorum,  commento  4.' Secunda  ratio:  si  anima  per  sui  essentiam  (inteliigeret),  non  esset  necessaiium  ponere intellectum  agentem,  cuius  oppositum  dixit  Averroes,  commento  5°,  cum  dixit  quod Aristoteles  intelligit iutellectum  ageutem  et  intelligit  quod  habet  speciem,  et  intellectus  discurrit  et  componit  praedicatum  cum  subiecto;  quod  non  esset  si  per  essentiam intelligeret,  et  tunc  intellectus  non  esset  in  potentia  sed  esset  actus  purus. Item  si  per  essentiam  omnia  iutelligit,  omnia  eminenter  continebit  et  omnia  creabit;  cum  autem  nou  dependeat  asiuus  ab  iutellectu,  non  intelliget  asinum.  Sed  aliquis dicet  ad  hoc  quod  hoc  uon  valet,  quia  becuudura  Averroem  in  felicitate,  quam  ponit Averroes,  intellectus  possibilis  iutelliget  omnia  per  essentiam  intellectus  agentis  et  ta- men  ipse  non  est  causa omnium. Ad  hoc  dico  quod  iutellectus  agens  est  causa  omnium,  et  si  non  in  esse  reali, est  saltem  in  esse  spirituali;  omnia  enim  quae  sunt  potentia  intellecta  facit  actu  intelle- cta.  Item  quomodo  verificaretur  dictum  Aristotelis  quod  se  per  accidens  intelligeret? Item  intellectio  est  (esset?)  operatio  immauens  absoluta,  non  relativa,  quae  uon  potest esse  absque  aliqua  alteratione  intellectus  per  quam  homo  de  intelligente  in  poteutia fit  actu  iutelligeus.  Sed  dices  quod  denominatur  intelligens  nou  quod  fiat  intelligens; contra  tunc  homo  non  de  novo  intelligeret  sed  tantum  de  uovo  cogitaret,  sicut est  de beatis  in  patria,  quibus  licet  Deus  non  sit  sua  iutellectio,  tamen  fit  eis  nova  species.  Ad  rationes  et  ad  Averroem,  dico  quod  loquitur  ibi  de  Intelligeutiis  perfectissimis;  intellectus  autem  possibilis  est  infima  intelligentiarum  indigens  corpore  in  intelligendo.  Cuius  siguum  quia  dicit  ibi  quod  non  intelligunt  ista  inferiora  ipsae  In- telligentiae.  Loquitur  ergo  de  non  dependentibus  a  corpore. Ad  2",  cum  dicitur  quod  phantasma  imprimeretur  in  intellectum,  dico  quod  intel- lectus  agens  ea  universalizat  propter  quod  possunt  agere  in  intellectum,  et  ista  est causa  ponendi  intellectum  agentem.  Ad  3'",  cum  dicitur  quod  siugularitas  intelligentis aut  speciei,  per  quam  intellectus  intelligit,  nou  excludit  uuiversalium  intelligentiam, alioquin  cum  Deus  et  Intelligentiae  ipsae  sint  quaedam  substantiae  singulares,  non possuiit  universalia  intelligere,  (hoc  uon  inconvenit)  sed  materialitas  cognoscentis  et speciei,  per  quam  cognoscuut  ipsae  res,  universalem  coguitionem  impediunt. Ad  alterum  quod  plura  accidentia,  numero  diftereutia,  essent  iu  eodem,  dico  quod  est necessarium,  quia  in  (mundo?)  sunt  plures  species  numero  distinctae,  vel  saltem  si  est  uua, habet  plures  modos  diversos  cssendi,uttenent  aliqui  Thomistarum. Ad  Aristutelem  dico  ut ibi  dicit  scoliastes et  ante eum  ROMANO loquitur  ibi  de  accideutibus  quae  bene  con- trarium  habent  acquisibilibus  per  alterationem.  Item  si  per  essentiam  intelligeret  qua- tuor  qualitates,  intelligeret  (false,  cum)  altae  (tamen)  Intelligentiae  non  intelligunt  falsa. Altera  est  angustia  quae  (est):  cum  contrariorum  contrariae  sint  operationes  4.°Metaphysicorum  et  primo  Posteriorum,  si  auima  situua,  in  uno  essent  contraria:  ut  quod  Socrates sit  papa  vel  non  papa  sicut  nunc  est,  et  hoc  est  argumentum  Avicennae.  Sed  dicet  quis quod  hoc  argnmeutum  esset  contra  christianos,  qui  tenent  quod  eadem  anima  quae  est  in pede  sit  iu  mauu;  tuuc  sic  est  eadeui  anima  vel  sunt  contrariae.  Sed  Christiani  dicuut quod  secus  est,  quia  etsi  motus  gaudii  et  Iristitiae  eidem  animae  attribuatur,  hoc  estper accidens;  intelligere  autem  est  per  se  in  anima,  non  enim  est  anima  quae  gaudet  et  dolet nisi  per  accidens,  sed  per  se  est  pes  aut  manus,  et  bene  argumentum  proceJit  contra  po- nentes  in  anima  fieri  immediate  seusationem,  sicut  est RIMINI (si veda).  Sed  nos tenemus  sensationem  fieri  iu  organo.  Averroes  po.sset  et  ipse  dicere  quod  auima  con- sideratur  duplieiter:  in  se  ut  est  una  iutelligentia,  et  quoad  nos,  prout  est  forma  nostri; et  hoc  secundum  eius  duplicem  operationem;  quoad  primum  intellectum  ipsa  intelligit per  essentiam  intellectus  agentis,  ut  ego  puto;  quoad  alterum  qui  dependet  a  corpore intelligit  per  species,  et  quoad  hunc  non  debemus  dicere  solam  animam  intelligere  sed totum  compositum,  et  quod  illa  sit  per  quam  homo  iutelligit;  unde,  cum  compositum intelligat,  non  potest  dici  unum  homiuem  simul  habere  opinioues  contrarias,  sicut  dicunt  Christiani,  quod  pes  et  manus  laetantur  se  nou  auima,  contra:  est  eadem  anima et  habet  opiniones  contrarias;  dicd  quod  aliqua  in  uno  esse  habent  contrarietatem  non in  altero,  puta  iu  reali  non  in  spirituali,  sicut  albedo  et  nigredo  in  materiali  esse sunt  opposita  non  in  spirituali;  possunt  enim  eorum  species  esse  in  eodem  puucto  et simul  iu  ocuio  possent  recipi,  et  ista  quae  eontrariantur  in  esse  materiali,  in  Deo  et Intelligentiis  uniuntur.  Unde  quae  iu  natura  inferiori  opponuntur,  non  opponuntur  in natura  superiori,  quare  illa  quae  sunt  in  iutelligentia  non  habent  contrarietetem  sicut  ea que  sunt  in  cogitativa.  quod  provenit  propter  materialitatem  et  imperfectionem  cogitati- vae,et  aliqua  uuiimtur  insensu  communi  et  simul  cOgnoscuntur;quare  dico  quod  opiniones contrariorura  in  iutellectu  non  habent  contrarietatem;  sunt  enim  contrariae  ut  quod,  sci- licet  respectu  determinati  iudividui,  quia  dicitur  unum  individuum  potest  habere  diversas opiuionesirespectu  de  eodem  modo  tamen  sunt  contrariae  ut  in  quo,  seilicet  respectu  sub- stantiae  in  quo  suut;  sunt  scilicet  per  respectum  ad  animam  quae  est  una.  Alterum  argu- mentum  adducebatur:  quomodo,  si  est  uua,  potest  tot  species  babere  et  tot  falsitates  intel- Ch.HSrecto  ligere?  Dico  lioc  non  intervenire  (incouveuire)  sicut  nou  intervenit  incouvenit uuam intelligentiam  habere  duo  opera,  movere  in  quo  pendet  a  corpore  et  intelligere;  ita  anima iu  se  non  intelligit  falsa,  aut  habet  tot  falsitatum  species,  sed  respectu  individuonim  a quibus  in  hac  operatione  depeudet,  potesl  falsa  intelligere,  et  tot  species  habere;  est etiam  in  hac  operatione  dubium  an  sensitiva  et  intellectiva  sint  idem.  Alihi  videtur  Aver- roem  non  esse  huius  sententiae  inferius  in  commento  2 '  et  primo  capitulo  De  substantia orbis,  quia  necesse  est,  secundum  eum,  quod  in  mixto  omni  sit  una  forma  extensa  secundum  subiectum,  et  hoc  tenere  est  durum.  Sed,  si  hoc  sentiamus,  videtur  esse  contra eiperientiam,  quia  ego  scio  quod  sum  illemet  quod  sentio,  et  intelligo:  quomodo  autem hoc  esset  si  non  tautum  una  anima  esset?  quod  si  dicas  esse  unum  aggregatum,  est multum  difficile  sustinere,  quia    huius,  teitu  commenti  31  dicitur  ut  est  trigonura iu  tetragouo  in  poteutia,  ista  anima  imperfectior  est  in  perfectiori. Sed  vos  dicetis  quod  una  anima,  non  ratione  in  altera,  sed  analogia se  habet  sed tunc  ego  non  video  quomodo  hæc  propositio:  homo  est  animal,  sit  in  primo  modo  dicendi  per  se,  quia  non  est  plus  dicere  quam dicere  quod  habens  sensum  habet  intellectum, et  ista:habens  colorem  habet  superficiem,nisi  diceres  quod  animal,  pro  ut  a  ut  pro  sensitivo  tantum  capitur,  non  est  de  intellectu  formali  homiuis;  sed  si  sumatur  auimal  pro  eo quod  sentit  et  iuteUigit,  sic  est  de  intellectu formali  hominis,  eo  modo  capiendo  animal,  quo dicis  qiiod  coelum  est  auimal,  et  ita  auimal  lioc  modo  aualogiae  sumptum  praedicabitur per  se  de  lioraine  in  primo  modo  dicendi  per  se. Altera  est  difficultas  quomodo  una  forma  aeterna  informat  corpus  generabile;  et  LIZIO,  octavo  Pliysicorum.  dicit  quod  aeteruum  coaptatur  aeterno.  Diximus  supra  quod cum  participet  partim  de  aeterno,  partim  de  mortali,  cura  sit  infinia  intelligeutiarum, et  generabile,  liabet  uniri  cum  aeterno  per  aliquid  medium,  poterit  intellectus  infor- raare  aliquod  mortale. Quod  vero  dicis  de  8."  Physicorum,  dico  quod  secus  est  de  anima  intellectiva  et de  Intelligeutia,  quia  si  Intelligentia  iuformaret  corpus  generabile,  tale  corpus  esset  factura,  ergo  ab  altero;  et  sic,  nisi  esset  aliquod  cori.us  aeternum  motum ab intelligentia, produceretur  in  infinitum,  et  ideo  quoniam  corpus  motum  ab  lutelligentia  est  primum corporura,  non  potest  esse  nisi  aeternum,  ut  beue  deducit  Averroes  8."  Physicorum; sed  quia  non  liabent  omnia  ista  inferiora  facere,  non  oportet  ut  instrumeutum,  per  quod anima  producit  suas  operationes,  sit  corpus  aetermim,  cum  non  sit  primura  coqwrum. His  opinionibus  expeditis,  quas  puto  impossibiles,  altera  restat  quae  tenet  ammam aeternam  esse  et  plurificatam,  iu  qua  plures  sunt  difficultates:  prima,  quia  tunc  erit unum  per  se  stans  in  actu,  et  etiam  corpus  est  in  actu  ens;  ergo  ex  duobus  entibus in  actu  fit  per  se  ununi. AQUINO (si veda)  qui  inter  christianos  primus  est,  dicit  qiiodinho- mine non  est  uisi  una  anima,  et  quod  unitur  ipsa  materiae  primae  sine  medio,  et cum  sit  forma,  potest  informare  materiam  primam,  et  communicare  ei  suum  esse,  et  sic non  erunt  secuudo  in  actu.  Si  vero  volumus  tenere  quod  ex  duobus  in  actu  potest  unum fieri,  sieut  ex  orbe  et  lutelligentia,  quam  opinionem  AQUINO (si veda) in  libro  Contra  gentiles attribuit  LIZIO,  iu  textu  commeuti  27',  possimuis  dicere  quod  cx  duobus  eutibus  in  Cli.  146  recto actu  non  ultimato,  quorum  unum  ordinatur  ad  alterum,  fit  per  se  unum. Secunda  difficultas:  si  animae  multiplicantur,  quando  separantur  a  corpore,  quo- modo  differunt,  cura  differentia  individuorum  eiusdera  speciei  sit  per  materiara  quan- tam?  Ynde  12°  Metaphysicorum:  si  duo  essent  dii,  essent  materiales;  ita  anima.  si  esset pliu'ificata,  esset  materialis,  quod  repugnat  eius  simplicitati.  De  hoc  LIZIO,  sexto Naturalium,  dixit  se  credere  esse  plurificaatam,  sed  se  igiiorare  modum  dixit.  Dicemus tamen  nos,  quautura  vires  nostrae  potejunt,  te.endo  viam  Aristotelis.  Argumentum est  difficile,  sed  eam  non  tenondo  non  est  difficile.  Nam  in  via  ACCADEMIA  et  Scoti. qui  dixerunt  animas  differre  per  suas  ecceitates,  argumeutum  nihil  valet;  concedendum est  euim  ex  una  specie  intelligentiarum,  esse  plures  intelligentias  solo  numero  dif- ferentes.  Sed  tota  difficultas  stat  in  via  Aristotelis.  Inter  omnes  alios  Thomas  est minus  ab  Aristotele  remotus,  et  Aegidius  in  secundo  Quodlibeti  tenet,  quod  distinctio iudividuorum  corapletorum  fit  per  materiam  quantam,  sed  prineipia  difterunt  per  lia- bitudinem  ad  materiam  quantam.  Cum  autem  auiraae  non  sint  ipsa  individua,  sed eorum  priucipia,  non  diff"eruut  per  materiani  c^uantam,  sed  per  habitudinem  ad  eam. Sed  tum  est  difficultas  de  una  anima  quae  informaret  duo  corpora,  an  una  an  plures essent.  Item  una  est  prior  istis  respectibus;  nullimi  autem  diflfert  ab  aliquo  per  id quod  est  posterius  eo,  et  istam  opinionem  sequuntur  multi Thomistarum.  Ego  tamen puto  aliter  esse  dicendum,  (scilicet)  quod.  quaiido  dicitur  quod  differunt  animae  per  ha- bitudinera  ad  materias  diversas.  quod  sit  dicere  hoc:  quod  si  istae  animae  essent  talis naturas,  quod  (ut)  n)n  possent  informare  nisi  eamdem  materiam,  non  diiferrent  numero, sicut  uuu  lutelligentia,quae,  quia  potest  infoimare  totam  suam  materiam,  non  babet  plura iudividua  sub  se;  sed  animae,  ex  eo  quod  possunt  informare  plura  corpora  numero  diffe- rentia,  ut  esse  per  se  generabiles  et  corruptibiles,possunt  esse  diversae,numero  differentes,  et  ita  istahabitudo  erit:  posse  informare  plures  materias,  quae  habitudo  uon  differt ab  anima,  cum sit  relatio  quae  non  ditfert  a  fundamento  iu  via  praesertim  Tbomae. Et  ita  auimae  per  se  ipsas  realiter distinguuutur,  et  circumlocutive  tamquam  a signo per  istas  habitudines.  Sed  dices  propter  quod  est,  quod  non  possunt  informare  mate- rias  specie  diversas?  Respondeo  quod  hoc  est  merito  imperfectionis  earum;  ex  hoc enim  quod  simt  aptae  iuformare  corpus  generabHe  propter  sui  potentlalitTltem,  et  idem corpus  non  posset  idem  numero  permauere  sed  tautum  specie.  Quod  enim  nou  potuit perpetuari  in  individuo,  saltem  in  specie  perpetuatur,  secundo  huius,  commento  34.° Ideo  et  animæ  quæ  babent  informare  ista  corpora  generabilia,  erunt  eiusdem  speciei,  solo numero  differentes;  Intelligentiae  auteui  quae,  ex  sui  perfectione,  possimt  informare totam  materiam  eiusdem  speciei,  ideo  ipsae  uon  diiferunt  specie,  et  eorum  materia eadem  numero  semper  durare  potest;  quare  ulterius  dico  quod  si  Deus  crearet  duas animas  simul,  quod  puto  possibile  et  verum,  licet  aliqui  Thomistarum  fueriut  in  oppositum,  qui  Parisiis  fueruut  condemnati,  dico  quod  non  differrent,  ex  eo  quod  possunt duo  corpora  informare  ex  sua  natura,  et  esse  pars  generabilis  et  corruptibilis,  non per diversas  habitudines  ad  materiam.  Sed  dices:  istud  non  videtur  satisfacere LIZIO 12°  Metaphysicorum. Dico quod  bene  sequitur  quod  si  essent  plures  Dii,  non esseut  puri  actus,  quia  non  essent  perfecti,  ex  hoc  quod  non  possuut  informare  unam materiam,  nec  etiam  anima  est  purus  actus,  sed  aliquod  habet  potentialitatis,  nec etiam LIZIO  voluit  ibi  quod  Deus  esset  materialis,  sed  quod  mundus  esset  ge- nerabilis  et  corruptibilis.  Et  opiuio  Scoti mihi  iu  hoc  non  placet. Altera  difficultas  est  quod,  cum  mundus  sit  aeternus,  vel  animae  erunt  infinitae vel  de  corpore  iu  corpus  trausibunt.  In  hoc  variae  sunt  rationes.  Quidam  dixerunt muudum  esse   aeteruum,  et  quod  animae  actu  sunt  iufiuitae,  et  huius  sententiae  fueruut  Aviceuua,  Algazeles  et  Scotus  dicentes  uon  repuguare  apud  Deum  dari  infinitum,  licet  LIZIO  hoc  negaret. Aliqui  aliter  dicunt  quod  in  essentialiter  ordinatis  non  datur  infinitum,  sed  uon inconvenit  in  accidcntaliter  ordiuatis,  animae  nou  suut  accidentaliter  ordinatae.  Et quod  istud  iufiuitum  uon  sit  simpliciter  infiuitum,  sed  secuudum  quid,  sicut  totum tempus  (est)  simpliciter,  sed  futurum  est  infinitum  secundum  qiiid  a  parte  post,  et  prae- teritum  est  infinitum  a  parte  ante,  ita  auimae  a  parte  ante  sunt  infinitae ,  a  parte post  etiam  sunt  infinitae,  sed  secundum  quid.  Ista  ratio  mihi  uon  placet,  quia  da- retur  etiam  iufiuitum  in  essentialiter  ordinalis,  quia  uumeri  suut  esseutialiter  ordi- nati.  Istae  autem  animæ  suit  numeratae;  est  enim  una,  duae,  tres  et  sic  de  singulis; ergo  si  animae  esseut  infiuitae  daretur  in  numeris  processus  iu  infinitum.  Ad  hoc quidam  dicunt  quod  bene  esset  multitudo  infinita,sed  numerus  iufiuitus  non;  quia numerus  creatur  ex  divisione  continui;  non  datur  autem  continuum  infiuitum,  ex primo  Coeli,  et    Physicorum,  ergo  nec  datur  numerus  infinitus.  Ponunt  ergo  isti differentiam  iuter  multitndinem  et  numerum,  et  multi  tenent  hanc  responsionem,  sed nugae  sunt,  nec  in  isto  est  disputandimi,  quia  ego  non  credo  omnem  numerum  creari ex  divisione  coutinui,  imo  numerus  prior  est  continuo   et  illo  abstractior.  Unde  iu primo  Posteriorum  dicitur quod uuitas  est  puncto  abstractior,  et  aritlimetica  geome- tria,  et  hoc  est  contra  Aristotelem    Physicorum, ubi  cum  probavit  non  dari  infi- nitum  in  entibus  materialibus,  probat  etiam  non  dari  in  spiritualibus,  quia  implicat contradictionem,  nec  intellectus  mensurae  (?)  capit  quod  apud  Deum  detur  iufinitum,  nec Deus  posset  facere  unum  corpus  infinitum;  totum  enim  locum  occuparet,  nisi  fides sit  in  oppositum;  sed  puto  eam  ab  hoc  non  dissentire.  Ideo  quod  dicit  Scotus  de  in- finito  secundum  quid,  est  contra  LIZIO iu  tertio  Physicorum;  ubi  vult  quod  si aliquod  est  infinitum  secundum  quid,  est  etiam  iufinitum  simpliciter.  Alii  dixerunt, et  fuit  Origenes,  quod  Deus  a  principio  mundi  creavit  multa  pro  una  generatione,  qua completa,  non  amplius  creabit  aliquas  animas.  Sed  hoc  est  voluntarie  dictum,  nec  habet aliquam  auctoritatem  ad  hoc  cogentem.  Alii  dicunt:  in  aliquo  certo  terapore  renovabi- tur,  et  quod  fit  resurrectio  et  regressum  animarum  ad  corpus,  ut  disit  ACCADEMIA  quod  mundus  renovabitur  iu  auno  magno,  quod  est  in  tribus  millibus  annis,  quum  orbis  tuuc erit  in  ea  dispositioue,  in  qua  nuuc  est.  Causae  autem  sioiilis  effectus  similis  est.  Haec opinio  de  resurrectioue  est  contra  LIZIO  in    De  generatione  in  fine,  ubi  habet  quod idem  numero  non  potest  redire.  Postea  videtur  iuiustum  quod  qui  uunc   sunt  beati, possint    ad   corpora  iterum  redire:  possent    euim   peccare  et   a  corpore   paterentur. Cuius  opiniouis  fuit  CROTONE et  ACCADEMIA.  Alii  di.xerunt  quod  mundus  est  aeternus,  sed per  infinitum  teiupus  homo  non  fuit,  et  istud   non  videtur  esse  rationabile   dictum, quia  mundus  eo  tempore  non  fuisset  perfectus.  Tanta    enim  perfectione,  quanta  est homo,  caruisset.  Aegidius  dicit  in    quolibetico  quod  LIZIO  putavit  animas  esse multiplicatas  et  aeternas,  sed  non  vidit  hoc  argumeutum,  sicut  forte  non  vidit  multa alia.  Cuius  signum  est  quod  Averroes  numquam  videtur  formasse  hoc  argumentum contra  se,  quod  si  vidisset  aliquod  foriuasset.  Thomas  tandem  defaticatus  dicit  quod ipse LIZIO vidit  hoc  argumentum.  Certum  est  euim  quod  non  est  contra  Christianos  poneutes  muudum  finitum  a  parte  ante  et  a  parte  post.  Ego  non  credo  quod sic Averroes  putet  animas  esse  aeternas  et  plurificatas,  et  forte  ponit  auimas  iterum ingredi  in  corpora  dimissa  sicut  Plato  tenuit. Cuius  signum  est  quod  numquara  de hoc  loquitur  contra  antiquos.  Sed  de  hoc LIZIO forte  fuit  ambiguus,  vel  tracta- vit  de  hoc  iu   libris   qui   ad  nos  non  pervenerunt.  Et  si   dicas   tunc   daretur  resurrectio:  dico  quod  forte  LIZIO  non   negaret   in  homiuibus,  licet  forte  in  brutis. esolvRendo  ergo,  sto  in  ratione AQUINO (si veda),  quod LIZIO non  intellexit  se  sicut  forte nec  iu  aliis. Altera  est  difficultas,  quod,  cum  anima  sit  aeterna,  utrum  aliquando  inceperit esse.  In  hoc LIZIO  videtur  utrique  parti  favere;  quod  enim  inceperit  esse  duae sunt  auctoritates;  prima  est  duodecimo  Metaphysicorum,  textu  commenti  16'  et  17',  ubi LIZIO dicit  quod  causae  moventes  sunt  animae  effectuum,  sed  causa  formalis  incipit esse  cum  re  etin  quibusdam  formis,  ut  de  intellectu,  nihil  Philosophus  habet  censet post  mortem  remanere.  Ecce  ergo  quod  secus  (sic)  Aristoteles,  ut  iiti  notat AQUINO (si veda). Anima  intellectiva  incipit  esse  cum  corpore,  et  remauet  post  subiectum  compositum. Altera  est  in  secundo  De  geueratione  animalium,  cap.  3°,  ubi  dicit,  quod  anima  sensualis  et  intellectualis  prius  suut  in  actu. Si  ergo  aliquando  sunt  in  actu  et  aliquando  in potentia,  non  sunt  omnino  aeternae.  Pro  altera  parte  sunt  auctoritates  eiusdem  in  capitulo eodem,  ubi  quaerit  utrum  omnes  auimae  sint  aute  corpus  vel  non;  et  dicit  quod  solus intellectus  est  aute  corpus.  Si  est  auto,  ergo  nou  iuciiiit  csso  cuin  corporesimul.  it,.ra auctoritas  est  primo  Coeli,  ubi  vult  quod  orane  aeteruum  a  parto  ante  est  aetemuin  |,art,: post. Item  sequereUir  quod  auima  crearetur;  vel  ergo  iiuinediate  a  Doo,  vol  luediaut. Si  primum,  ergo  novitas  esset  in  Deo,  quoniam  actio  nova  ab  agento  antiquo  imn procederet,  et  novitas  quae  est  in  effectu  debot  in  causa  reduci.  Si  uiediauto  coel  eri'o materialis,  quare  generabilis  et  corruptibilis  csset. Sed  ad  istas  Averroes  posset  -i....: ad  illam  de  12"  Met,hapiiysicorum,  dicit  quod  non  fecit cxpressfr  mentionem  dniic- ptione;  est  euim  clarum  quod  omne  aeternum  a parto  post  est  aetornum  a  part ontp, in  via  saltem LIZIO.  Sod  tunc  est  dubium  quaro  dixit  quod  reiuanet  post  m-tm, cum  eadem  ratione  esset  clarum,  aetenium  enim  a  parte  anto  ost  aeternum  a  arte post.  lu  lioc  difficiie  est  respondore,  tamen  pro  uuuc  dico  quod LIZIO  it.r.iiit quia  libitum  est  ei. Ad  alteram  dico  dupliciter:  primo  modo,  quod  hoc  intelligitur  quoad  op(.\tio- nem;  prius  est  enim  in  poteutia  futelligons  quam  sit  actu  intelligens.  V«l  alit' dicatur  quod  si  LIZIO  Joquilur  ibi  de  aniiua  et  iion  operationo,  dico  quod  aim.i in  se  uon  est  iu  potentia  priusquam  iii  actu  informet,  sod  semper  cst  actu.  Si  respectu  Socratis,  est  in  potentia  ad  informandum  prius  Socratom,  quam  actu  infuiiet. Teneudo  tamen  aliam  opiniouem  possumus  dicoro  ad  auctoritatem  in opposituin:  a-  iri- mum,  quod  auima  intellectuin  praecedit  ita  non  secundum  leinpus;  quaravis  enim  iim.1 in  eodem  iustanti  boetur  (creotur)  a  Deo  et  in  corpus  infuiidatur  ut  dicit  Augiisiu.s, prius  tamen  uatuva  a  Deo  creatur,  qiiam  in  corpus  infundatur.  Aliao  autem  non  s  se habent,  quia  educuntur  de  potoutia  mato-iae  et  non   veniunt  de  foris. Ad  ultimum:  quod  omue  aeternum  a  parto  ante  est  aeternum  a  parte  ist. Aliqui  negant  aporte LIZIO  in  hoc. AQUINO (si veda)  aliter  dicit  quod  illud  inteiligiti  ci voluntate  uon  habet  verisimiJe  illud  dictura.  Ista  (propositio)  tamen  modo  valoat  quauim potest.  LIZIO  enim  ibi  universaliter  ost  loquutus. Ad  aliiid,  cum  diciturquod  i-a- ret concedo  hoc;  solus  eiiim  Deus  potest  creare,  est  enim  primus  agens,  nihil  præspponens.  Et cum  dicitur  meUate  vel immediate, dico  quod  in  creatione  animae  est dno considerare.  Primum  est  creatio  aiiimao;  secundum  estcorpoiis  organizatio.  Quoad  primii, solus  Deus  concursit:  creatio  enim  nulli  creaturao  tradita  est,  sed  solus  enim  Deus  cat uuUo  alio  mediante.  Quoad  secuudum  concurrit  Coelum  et  causae  secundao,  et  hoc  dico  - cundum  ordinem  naturae.  Cum  autem  corpus  ost  debite  organizatum,  anima  in  eo  intn- ditur,  et  cmu  dicitur  ab  antiquo  non  provecit  novum  quia  Deus  mutaretur:  dico  q>d Cb.l49recto  uon  sequitur  hoc,  quia  ista  mutatio  innovatio  non  est  ex  part«  Dei,  sed  ex  parte  corpis vel  auimae,  et  hoc  habent  dicere  etiam  illi,  qui  ponunt  Deum  esse  iutellectum  agentu, quia  ipse  immediate  causat  species  intelligibiles  a  phantasmatibus  abstrahendo  eas.  t si  dicereut  quod  pariter  Deus  posset  mundum  de  novo  creare,  ex  eo  quod  ista  novitas  ni in  Deum  sed  in  mimdmn  reduceretur,  dioo  quod  ratio  Aristotelis,  in  8"  Physicorum,  ir quam  ponit  mundum  esse  aetemum  uon  coneludit,  et  iu  via  sua  patitur  angustii. Sed  quautum  sit  in  proposito,  dico  quod  secus  est  de  anima  et  do  muiido,  quia  bce Deus  potest  de  novo  creare  animam,  sod  nou  mundum:  quia  si  crearetur  muDdi mutatio  non  esset  nisi  in  Deo  et  non  in  mundo,  quia  novitas  quae  est  in  efr ctu,  debet  reduci  in  causam  suam,  ergo  nihil  aUud  a  Deo  esset.  Ista  novitas  n; duceretur  in  aliud  corpus,  quia  non  esset,  sed  in  solum  Deum  qui  est  causa:  sed 1  anima  novitas  non  est  in  Deo,  sed  in  corpore  organizato. Alia  difficultas  est:  si  anima  simul  cum  corpore  non  corrumpatur,  sed  remaneat, uaero  an  ingi-ediatur  aliud  corpus  an  nou;  primum  non  est  dicendum  quare  est ibulosum;  sed  si  secundum,  vel  vadit  iu  paradisum,  vel  in  infernum,  vel  in  purga- irium:  quaero  per  quid  fit  iste  motus;  vel  per  alterationem,  vel  per  motum  localem, quaero  de  via  per  quam  vadit.  De  hoc  nibil  dicit  Aristoteles,  forte  quia  nescivit. ed  argiimentum  niliil  valet  et  est  contra  Averioem,  etiam  quia,  quando  Socrates  generatur,  quæro  quomodo  intellectus  incipit  eum  infomare,  et  quando  moritur,  quomodo .'sinit  informare.  Sed  ego  dico  quod  iste  motus  non  est  contiuuus ,  nec  rationis iusdem  cum  istis  motibus  inferioribus,  sed  per  generationem,  intelligendo  et  volendo, t  voluit  AQUINO (si veda),  vel   est  motus  definitivus  ut  voluit  Scotus. Altera  difficultas  est  quod  operetur  anima  a  corpore  separata.  Si  nihil,  anima  erit luslra;  nihil  autem  videtur  operari,  quia  hoc  maxime  esset  intelligere,  quia  anima cv  phantasmata  intelligit,  quae  sunt  in  corpore.  Si  autem  non  habet  intelligere,  nec abet  velle. Dico  quod  anima,  cum  est  separata,  non  iutelligit  per  pbantasmata,  sed  per pecies  infusas  a  Deo. Anima  enim  habet  duas  operationes;  prima  est  intelligere  cum phantasmata,  secunda  intelligere  sine  phantasmata  quando  est  separata,  sed  me  lemitto lcclesiae,  et  notetis  quod  de  inferno  et  paradiso,  non  tantum  memiuit  Ecclesia  sed liam  Plato  et  philosoplii,  praeter  sceleratum  LIZIO. Stat  et  altera  dubitalio:  si  anima  esset  aeteraa,  homo  non  esset  vere  generabilis  et onuptibilis.  AQUINO (si veda) dicit  ad  hoc,   quod  vere  generatur  quia  portat   ipse  tertiam utitatem  distinctam  a  partibus.  Sed  ego  puto  non  dari  illam  tertiam  entitatem.  Ideo lico  quod  iiomo  non  vere  geueratur  uec  corrumpitur,  sed  potius  generatio  homiuis  est luacdam  unio  et  corruptio  vel  segregatio;  et  hoc  habet  etiam  dicere  Averroes;  et  LIZIO  sensit  hoc  idem  dicens, separatur  autem  hoc  ab  hoc  sicut  sunt ».  Stat  argumentum iro  Averroe:  quod  fci  inteliectus  non  esset  uuicus,  scientia  esset  quautitas  activa. Repondet  AQUINO (si veda) quod  magister  et  discipulus  iu   aliquo   conveniuut  nou  ut  subiecto, ed  ut  obiecto,  et  in  primis  principiis  quoad  speculabilia,  et  de  quolibet  dicitur  esse . el  non  esse,  et  in  operabilihus,  ut  in  isto:  quod  tibi  non  vis  fieii  alteri  ne  feceris. Ultima  ratio  erat: quia  singularitas  impedit  iutelligere.  Dico  quod  uon,  sed  ma erialitas  est  quae   impedit,  et  ad  rationem  suaui,  dico  quod  non  oportet  quod  ex  duo- ijus  numero  distinctis  causetur  tertius  conceptus  sicut  secundum  Nominales.  Isti  ter- luinus  terlius  signant  se  ipsum  lerminum  per  se  ipsum  et  non  per  aliquem  clistin- ctum  sic.  Hæc  est  quae  volui  dixisse  in   hac  quæslione.  Volo  tamen  unum  dicere quod,  philosophice  loquendo,  potest  probaii quod anima  est æterna  contra  Scotum. Averroes  Tiiemistius,  Theophrastus  fuerunt  huius  opinionis,  sed  tenendum  est  quod  est  multiplicata  et  aeterna  secundum  fidem,  quia  ali- ter  periret  iustitia  divina  in  qua  Angelicus  multum  insudavit. Utrum  intellectus  intelligat  se  per  se  an  per  aliud. Pomponacius  in  textu  decimosexto,  omissis  nugis  Joannis,  breviter  dubitat  an intellectus  intelligat  se;  de  re  iu  se  nou  est  dubitatio,  qnia  in  nobismet  experimur hoc, sed  est  dubitatio  (per)  quod  intellectus   iutelligat  se.  Certum  est  quod  non  per  sui essenti;ini,  noii  liabendo  concpptum  disliiictum  a  se,  ut  liabet  Commeutator  primo  Poste- riorum:  quia  si  sic,  semper  intelligeret  se,  quod  est  falsum,  nisi  prius  alia  intellexerit: probatur  autem  quod  Iiae  esseut  causae  sufticientes  intelligibilis,  quia  esset  intellectus iutelligeus  et  ipsa  iutellectio,  et  etiam  scieutia  et  scibiie  essent  idem. A  priori  etiam  probatur  hoc:  intellectus  possibilis  est  in  pura  potentia,  modo omne  quod  intelligitur,  intelligitur  quantiLm  est  iu  actu,  nono  Metaphysiconim.  Cum ergo  ita  sit,  videndum  est  quid  sit  illud  per quod  intellectus  se  intelligit.  Pbilosophus,  in  textu  commenti  octavi,  dixit  quod  intelligeudo  alia  se  intelligit,  quia  intelligendo  asinum  quodammodo  fit  asinus;  videndum  est  ergo  an  requiratur  iina  species determinata  magis  quam  alia,  sic  quod  solum  per  unam  speciem  vel  per  quamcum- que  possit  se  intelligere;  et  quoad  mihi  videtur,  diceudum  quod  per  quamcumqTie  speciem indifterentem  possit  se  ipsum  cognoscere,  et  hoc  docet  experientia,  et LIZIO dicit hoc  superius,  quod  non  determinat  se  ad  aliquam  speciem  in  loco  illo;  sed  stat  tamen duhitatio:  si  per  quamcumqne  speciem  potest  se  iutelligere,  qnomodo  est  possibile quod  una  species,  ut  asini,  ducat  iutellectuni  in  cognitionem  asini  et  ip.sius  intellectus, vel  requirat  aliud,  et  in  hoc  stat  punctus.  Requiruutur  duo  modi  dicendi,  unus  minus probabilis,  et  est  quod  per  speciem  solam  intellectus  possit  devenire  in  stii  cognitionem,  quia  species  habet  diio  repraesentare:  primura,  illud  a  quo  deciditur,  et  hoc  per se  patet;  secuudario,  subiectiim  illius,  cum  non  debeat  esse  ingnota  suo  subiecto.  Sic ergo  per  quaracumque  speciem  duo  intelliguntur,  subiectum  et  obiectum;  sed  primo ducit  in  cognitionem  obiecti,  secundario  subiecti,  et  hoc  est  quodintellectus  concurrit effective  ad  hanc  actionem,  et  hoc  videtur  dicere  Averroes,  commento  octavo,  ubi  dicit quod  intelligendo  asinum  iit  asinus  aliqno  modo.  Sed  haec  sententia  videtnr  ambigua; quia  si  per  speciem  se  intelligat.  vel  hoc  est  voluntarium,  vel  naturale;  non  volun- tarium  quia  non  semper  hoc  possumus;  et  etiam  cum  voluntas  praesupponat  cognitionem  intellectus,  hoc  prius  esset  cognitum  de  intellectu:  si  naturale,  cum  naturalia eodem  modo  se  habeant  semper  in  omnibus,  ideo  rustici  intelligentes  asinum,  per speciem  asini  etiam  suum  intellectum  intelligerent,  et  nos  quando  aliquando  iutelligeremus,  semper  nostrum  intellectum  intelligeremus. Secundo,  hoc  videtur  inopinabile, quia,  vel  per  imam  cognitionem  intellectus  coguosceret  se  et  asinum,  vel  per  duas ; si  per  unam,  semper  quando  una  intelligeret,  aliud  etiam  intelligeret;  si  per  duas,  sic etiam  cum  sint  distincta  obiecta,  quaero  quomodo  illi  actus  sint  distincti si  ea sint  distincta,  vel  sunt  absoluta,  velpraesupponunt  aliquid  absolutum;  ergo  istae  duae intellectiones  habebunt  duo  absoluta  distincta  quae  erunt  speeies  vel  aliquid  alterum, licet  forte  sint  ab  eodem  agente;  sic  exempligratia  ego  et  tu  calefimus  ab  eodem  agente, igne,  tamen  hoc  est  per  diversas  caliditates;  alia  est  enim  caliditas  inme  etin  te.  Alius modus  dicendi  est  quod  non  tautum  intellectus,  intelligendo  se,  esset  specie  aliena, sed  ultra  illam  requiritur  aliud,  scilicet  conceptus  unus  distiuctus  a  specie;  ad  quem causandum  concurrit  species  ut  efficiens  instrumentale:  et  sic  cessat  secunda  dubitatio, quia  dicam  quod  duobus  conceptibus  distinctis  intelligitur  asinus  et  intellectus;  et species  asini  est  ut  primo  modo,  et  fit  ista  intellectio  hoc  raodo:  ex  eo  quod  intellectus cst  informatus  specie,  agit  in  seipsum  causaudo  intellectionera  sui  aliam  a  prima  et hunc  raodum  videtur  tangere  Averroes  iu  commento  octavo  in  tine,  ex  mente  Alpha- rabii;  nec    credo    intellectum, statim quod    est informatus specie, ducere se in cognitionem  sui,  sed  requiritur  discursus  et  multa  alia.  Considerat  enim  istam  speciem  a  quo  causata  sit,  et  iu  quo  modo  suscipiatur,  et  ita  veniet  in  notitiam  sui,  et  nota quod est  differentia  inter  conceptum  et  speciem,  quia  de  abstractis  liabemus  conce- ptum  et  uon  speciem;  de  materialibus  speciem  et  non  conceptum,  quia  habemus  de eis  pliantasmata,  et  intellectus  intelligitur  conceptu  diverso  aspecie  asiui,  specie  diversa. Numquid  inlellectus  suam  operationem  intelligat. Quæritur  quomoJo  intellectus  suam  operationem  intelligat.  De'se  non  est  dubi- tatio,  sed  de  modo.  Joannes  bic  dicit  fatuitates. Duo sunt  dicendi  modi,  unus,  quo,  per eamdem  intellectiouem  per  quam  intelligo  obiectura,  intelligam  etiam  intellectiones;  nec hoc  inconveniret  immaterialibus  quod  idem  duo  reputet,  ut  in  divina  essentia  repu- tantur  omnia  entia  et  ipse  Deus;  et  hoc  dicit  Joannes,  sed  credo  iioc  esse  falsum; quia  vel  ista  actio  est  uua,  vel  plures;  si  piimum,  cum  aliquid  intelligam,  semper intelligam  me  iutelligere  quod  est  falsum;  si  vero  ita  quod  sint  diversae,  quomodo differunt  istae  actiones  inter  se  ? Altera  est  opinio AQUINO (si veda) in  prima  parte,  quaestione  octuagesimaseptima,  articulo tertio,  quod  non  sit  eadem  intellectio;  et  quod  potest  operatio  esse  tunc  cum  ipsa  quae intelligitur  non  sit  illud  mediante  quo  nos  intelligimus,  sed  est  id  quod  nos  intelli- gimus  cum  et  ipsa  sit  intellectus,  et  si  diceremus  tuuc  procederemus  in  infinitum in  actibus  animae. Dicit  ad  hoc AQUINO (si veda) in  prima  parte,  quæstione  octnagesimasexta, articuIo  secundo, quod  in  actibus  anirnae  non  est  inconveniens  procedere  in  infinitum,  ut  bene  dicit AQUINO (si veda),  et  in  hac  secunda  operatione  intellectus  concuirit  effective.  Sed  tunc  est  diffi- cultas  utrum  sensus  habeat  talem  actionem.  Themistius,  in  secundo  huius,  videtur  diccre quod  sic;  tamen  ut  est  sententia LIZIO  in  De  somno  et  vigilia:  nullus  sentit  suam operationem.  Ego  puto  quod  non,  sed  quae  est  altera  ratio  quare  inteiligat  (se  intellectus) non  autem  seusus?  Dico  quod  quia  intellectus  est  super  se  retlesus,  potest  se  intel- ligere;  nulla  autem  virtus  materialis  potest  coguoscere  se,  quia  nihil  potest  agere  iu se  in  his  materialibus,  licet  in  abstractis  hoc  possit  esse  verum;  aliquid  enim  est  in  Ch.  isiverso superiori  quod  nou  est  iu  iuferiori,  etideo  abstracta  possunt  se  intelligere,  et  hoc  ex perfectione  eorum. Altera  dubitatio  est  utrum  Aristoteles  in  hoc  capite  tractet  de  obiecto  intellectus. Dicitur  quod  sic,  ut  etiam  OMNES LATINI dicunt  in  textu  commenti  noni.  Ex  altera  parte videtur  quod  nou,  quia  tunc  Aristoteles  non  observaret  id  quod  dixit  in  hoc  secundo, scilicet  quod  prius  est  tractandum  de  obiecto  quam  de  potentia.  Scilicet  in  primo capite  huius  tertii,  et  in  secundo  tractaret  de  obiecto,  scilicet  in  hoc  capite  secundo et  in  lextu  commenti  vigesimiprimi  inciperet  tractare  de  ratione  intellectus.  Forte  dices quod  Latini  male  exponant;  Theophrastus  autem  et  Averroes  melius;  cum  ipsi  aliter iutroducant.  Istud  uihil  est,  quia  prius  debuerunt  determinare  obiectiim  et  operationera quam  potentiam;  de  hoc  nullus  dicit,  ego  tamen  dicerem  quod  prius  quoquomodo determiuavit  de  obiectoquam  de  operatione,  et  hoc  quum  dicitin  textucommenti  quarti: si  ergo  omnia  intelligit,  ens  est  suum  obiectum;  et si  diceremus:  uou  desciipsit  suum  obiectura,  dico  quod  ens  non  habet  descviptionom, cum  uihil  sit  uotius  ente;  ideo  non  descripsit,  et  cum  dixit  qiiod  intelligit,  tractavit  Je operatione:  in  Iinc  vero  capite  magis  determinavit  de  obiecto  et  in  textn  commeuti  21 magis  determinato  locutus  est  de  operatione  intellectus,  imo  idom  facit  in  2"  liuius iu  cap.  De  sensu,  quia  prius  tractat  de  sensu  in  communi  et  deinde  tractat  de  obiecto scilicet  sensibili  communi  et  proprio. Vlrum  singulare  cognoscatur  ab  intelleclu  cl  quomodo. Quaeritur  etiam  quomodo  singulare  dgnoscatur  ab  intellectu  uostro  et  utrum coguoscatur  distincte,  quamvis  aliqui  dicant  quod  non;  sed  ista  opinio  videtur  falsa. Primo LIZIO  in  textu  commenti  noni  dicit  quod  singulare  cognoscitur  vel  a  diversis  virtutibns  vel  ab  uua  aliter  se  habente.  Ecce  ergo  quod  concedit  al  una virtute  cognosci;  ista  autem  virtus  non  potest  esse  sensus,  quia  sensus  tantum  circa singularia  versatur,  ergo  est  intellectus,  quia  ambo  cognoscit.  Item  intellectus  separat universale  a  particubari;  eadem  autem  est  virtus  quae  coguoscit  aliqua  et  ponit  differentiam  inter  illa,  secundo  huius  textu  commenti  centesimiqiiadragesiraisexti.  Item inductio  est  a  particularibus  ad  universalia.  Eadem  autem  est  virtus  quae  ex  par- ticularibus  colligit  universale;  nec  est  dicendura  inductionem  fieri  a  diversis  virtutibus, quia  lioc  est  falsum;  imo  audivi  uuum  doctorem  hoc  inconveniens  esse concedere.  Iteni nonne  sunt  syllogismi  particulares  quos  non  potest  facere  aliqua  virtus  sensitiva?  Procedunt  enim  ex  una  universali,  vel  ex  alia  particnlari,  quia  regulantur  pro  dici  de omni  et  de  nullo,  sensus  autem  nou  cognoscit  universalia.  Sed  videndum  est  de  modo ])er  quem  intelligitur  singulare.  Hic  simt  duae  opiniones:  prima  est Nominalium,  quae etiam  videtur  Alexandri,  quae  stat  in  tribus  considerationibus.  Prima  oonsideratio  est quod  singulare  coguoscitur  per  propriam  speciem,  quia  intellectus  ponit  distinctam differontiam  inter  universale  et  particulare;  hoc autem  non  potest  esse  nisi  habeat distinctam  cognitionem  de  illis,  et  hoc  nou  potest  tieri  uisi  per  eius  conceptum.  Item vel  cognoscitur  per  propriara  speciem,  vel  per  speciem  universalis.  Si  primum,  habeo  iutentum;  si  secundum,  cura  ista  species  ducat  nos  in  cognitiouem  omnium  singularium  iu communi  vel  in  confuso,  non  potero  habere  uotitiam  unius  determinati  individui  ut  Socrates aut  Platone. Secunda  consideratio  patet. Quod intelligitur  ab  intelleetu  est  siugulare; quae  consideratio  probaturquia  illud  prirao  inteliigitur  quod  primo  pliautasiatur;  siugulare  autem  primo  phantasiatur,  ergo  primo  intelligitur.  Priraa  propositio  est  mauifesta  exeo quod  intelligere  nostrum  depeudet  a  phantasmatibus;  brevior  patet  quia  phantasia  est  singularis.  Item  sic  se  habet  singulare  incomplexum,  sed  singulare  complexum  prius  cogno- scitur  quam  uuiversale  complexum.  Ergo  et  ita  est  de  incompleso.  Anterior  patet  ex convenienti  similitudine; brevior  probatur,q uia  sic cognosco  quod  reubarbarum sic purgat  coIeram(sic)sicut  dicitur  in  secundo Posteriorum  in  fine, et  est  primo Posteriorum,  in capite  de  ignorantia,  quod  deficiente  sensu  deficit  scienlia  illius  sensilnlis  quod  habetur jier  sensum  illum.  Item  est  tertia  ratio  quod  uti  non  coguoscitur  nisi  abstrahendo  a  par- ticularibus,  sed  abstractio  non  fit  uisi  a  noto,  ergo  siugulare  prius fait  coguitura  ab intellectu.  Tertia  consideratio  (est)  quod  uti  non  cognoscitur  nisi  ex  comprehensione  multorura  singulaiium,  et  ex  similitudiue  reperta  in  singulari  causatur  universale,  sicut accipiendo Socratem  et  Platonem,  ita  maxima  eorum  similitudine,  causant  conceptura specificum;  et  videndo  hominem  et  asiuum  ambos  habere  virtutem  sensitivam,  causatur Scilicet  singulare  eC  universale. aliiis  conceptus,  iit  puta  genevicns,  quia  noii  habet  tautara  similitiuliiiera  quanta  est  iu Socrate  et  Platono.  Non  ergo  universale  primo et  simpliciter  fit,  seJ  ex  collatioue  raul- tonuu  individuorum,  et  pro  hoc  est  auctoritas  Alexandri  hic,  et  iu  Paraphrasi  et  in capite  vigesiraoseeundo,  ubi  videtur  hoc  aperte  dicere:  dico  enim  quod  cum  sensus coguoverit  hoc  vel  hoc  album,  statim  intellectus  es  his  sensuum  intentionibus  album cognoscit.  Quid  clarius  idem  videtur  dicere  Themistius  in  primo  huius,  capite  quarto, commentoquarto; etAverroes, in  duodecimoMctaphysicorum  commento  quarto,  dicit  quod universalia  apud  Aiistotelem  sunt  coUecta  ex  particularibus  in  intellectu,  qui  accipit inter  ea  similitudincm  et  facit  ea  unum  in  actu.  Haec  ipse.  Quid  ergo  clarius  quam dicere  particularia  sunt  in  intellectu?  Dicunt  ergo  quod  particulariter  ab  intellectu cognoscltur,  et  ratio  est  quod  nulla  alia  res  videtur  posse  causare  universale,  et  ista  fuit opinio  Buridani  in  primo  Physicorum, RIMINI (si veda)  in  primo  Sententiarum, distinctione  tertia,  quæst.  priuia,  art.  primo,  quod  scilicet  cognoscatur  singulare  ab intellectu  per  propriam  speciem;  istam  tamen  specie.m  habet  a  sensu,  non  enim  potest intelligere  singulare  nisi  prius  id  senserit  sensus,  et  quod  conceptus  communis  sit posterior  conceptu  parlicularium. Altera  opinio  est  quae  huic  ex  toto  opponitur  qnam imitantur  Albertus,  AQUINO (si veda),  Scotus,  quæ et  ipsa  stat  in  tribus  cousiderationibus;  prima,  quod  singulare  non  cognoscitar  ab  iutellectu  per  propriam  speciem;  prima  ratio,  quia  receptum  non  recipitur secundum  naturam  recepti,  sed  secundum  uaturam  re  ipientis;  cum  ergo  intelloctus habeat  recipere  ipsum,  non  recipit  secundum  uaturam  singularis,  scilicet  singulariter, sed  secuudum  naturam  intellectns,  id  est  universaliter.  Item  nos  diximus  superius  quod intellectus  in  hrc  differt  a  sensu,  quia  intellectus  universaliter,  sensus  singulariter recipit. Ergo  illud  quod  in  intellectu  recipitur  uou  siugulariter  recipitur,  sed  sub  conceptu uuiversali  recipitur.  Item  non  esset  necessitas  ponendi  intellectum  ngentem;  quod probatur,  qnia  intellectus  agens  uon  ponitur  nisi  ratione  ui.iversalis  quoJ  ab  intellectu debeatrecipi.  Et  isla  est  opinio  Averrois,  in  commento  decirao  octavo,  in  fine.  Si  autem singulare  recipiatur  in  intellectu,  ad  quid  esset  ponendus  intellectus  agens. Item arguuut  moderni  argumento quod  reputant  Achiilem.  Si  intellectus  haberet  conceptus singulares  ipsorum  singularium,  sciret-ponere  differentiam  inter  duo  individua  eiusdera speciei,  et  cognoscere  differentiam  quae  est  inter  talia individua :  hoc  autera  est  falsura 'deduobus  repraesentatis,  quorum  unum  sit  repraesentatura  iu  una  hora,  aliud  in  alia. Verbigratia  pono  hic  unum  ovum.  Vel  habeo  proprium  conceptum  buius  vel  non.  Si nou,  habeo  intentum;  si  sic,  nolo  quod  aliud  ponatur:  tu  credis  illud  esse  idem  ovum. ergo  non  scias  ponere  differentiam. Secuuda  consideratio est quod  intellectus  non  intelligit  primo  siuguIare, quod  declaratur  quia  inteHigit  reflexe,  ergo  non  directe.  Consequentia probatiu-  quia  linea  recta  non  est  retlexa;assumptum  patet  hicin  textu  commenti  decimi. Item  quod  per  accidens  intelligitur  non  prirao  intelligitur;  singulare  per  accideus  intelligitur,  ergo;  assumptxrm  patet  qnia  per  se  nou  sunt  idem  numero,  brevior probatur  per  famosam  propositiouem,  quae  dicit  universale  per  se,  singulare  per  accidens iutelligitur  ab  intellectu.  Item  quod est  priraum  obiectum  prius  intelligitur,  nniversale est primum obiectum  iutellectus, ergo  prius  cognoscitur  ab  intellectu. Anterior  est clara;  brevior  probatur  quia,  ut  communis  est  sententia,  intellectns  est  universalium, sensus  vero  particulariiuu. Tertia  consideratio  est  qnani  isti  in  sna  tertia  consideratione  sibi coudicunt,  quia singulare  prins  iutelligitur,  et  uuiversale  non  intelligitur  nisi  per  compreheusioueiu s  multorum  singularium,  et  coliectio  siugularium  non  est  uisi  universaie.  Ergo  universale  cognoscitur  aute  universale  quod  est  inconveniens;  restat  ergo  dicere  quod  universale  per  speciem  universalis  primo  cognoscitur,  et  siugulare  secundario  coguoscitur; uec  oportet  liabere  couceptns  piaedictos  primo,  quoad  hoc  quod  universale  intelligatur; sed  tunc  ego  quaeram  si  particulariter  non  cognoscitur  ab  iutellectu  per  speciem  pro- priam,  quomodo  fiat  intellectio  siugularium  Dicitur  quod  species  decisa  ab  obiecto, secnndario  repraeseutat,  vel  per  se  prinio;  et  quia  est  imago  decisa  a  phantasmate, repraesentat  etiam  siugnlare,  licet  non  primo,  sed  reflexe;  de  qua  reflexiouo  di- ctum  est  iu  commento  decimo. Utraque  hornra  partium  potest  teueri,  et  Dens  de hoc  scit  veritatem,  ego  antem  nescio;  dico  tameu  quod  prima  opinio  mihi  ma- magis  placet. Quia  tameu  sua  argumeuta  non  concludunt  ad  illa  respondebimus. Ad primnm,  quod  intellectus  ponat  distinctionem  inter  nniversale  et  particulare,  lioc  argu- mentum  non  est  facile;  dico  tamen  quod  ponit  difterentiam  inter  ea,  non  per  speciem particularem  distiuctam  a  specie  universalis,  quia  non  potest  haberi  speciem  siugu- laris.  Sed  dices  unde  est  quod  ponit  ditferentiam  ad  intelligere  ea?  Dico  qnod  in  prima operatione  qnando  directe  intelligit  universale, tantnm  universale  coguoscit.  Sic  iu secunda  quando  revertitur  ad  phantasmata,  pouit  differentiam  inter  universale  et  par- ticulare,  sed  haec  responsio  non  multum  valet;  quia  si  non  est  diversitas speciernm, ergo  nec  iutellectiounm,  cum  duae  intellectiones  non  proveniant  ab  eadem  specie;  qnare si  non  habebit  speciem  singularis  non  poterlt  inter  ea  difiereutiam  pouere;  cum  tamen unum  cognoscat,  scilicet  universale,  qnia  eins  solius  habet  speciem.  Ad  secuudum, qnod  species  universalis  causat  confusam  cognitiouem  particularium,  dicitnr  quod  species nuiversalis,  quantum  est  de  uatura  sua,  non  causat  distiucte  eognitionem  paticularium:  per  accidens  autem,  in  quantum  cansatur  ab  hoc  vel  ab  hoc  particulari  determinato, ducit  in  cognitiouem  alicuius  particularis  et  non  alterius,  et  ita  per  accidens  causat distinctam  cognitionem  particularium. Ad  argumeuta  facta  pro  secunda  consideratione,  ad  probandum:  quod  primo  phantasiatur primo intelligitur,  negatur  assumptum,  et  ratio  quia  uos  phantasiamnr  parti- cularia  tantum  et  particulariter,  intellectus  antem  tantum  universale  et  universaliter intelligit.  Ad  secuudum  sicut  se  habet  complexnm  ad  complexnm  etc,  dicitur  primo concedeudo  assumptum;  ad  anteriorem,  dico  quod  non semper  necesse  est  ad  lioc quod  intelligam  uuiversale complexum,  ut prius  intellexerim  particulare  complexum; quia  possem  habere  conceptum  uuiversalem  complexum  non  habeudo  singularem. Quod  autem  dicitur  de  Aristotele,  dico  quod  illud  est  verum  in  principiis  quae habent  ortum  a  sensu,  non  de  principiis  sicut  accidit  in  geometria,  ubi  aliquando habemus  conceptum  universalem  alicuius  considerationis,  absqne  hoc  quod  habeamus conceptum  siugularem  suorum  singularium.  Et  in  libro  De  historia  animalium LIZIO docet  nos  de  moribus  aliquornm  aniraalium,  tuuc  de  his  auimalibus  habemus conceptnm  communem,  nuniqnara  tamen  haberaus  conceptus  particulares  istornm  animalium. Aliter  potest  dici  negando  assumptum  et  similitudiuem  illam,  et  ratio  est quia  quando  comprehenditur  universale  incomplexum  repraesentatur  natura  communis, sed    comprehendeudo    universale    complexum   repraeseutatnr  suppositnm ratione de limitatione  «omnis» ;  quod  si  adiungitiir,  licet  stet  primo  pro natura  in  communi, ut  dicendo  omue  reubarbarum  purgat  coleram,  ratione  de  liraitatione  omnis,  repraesentatur suppositum;  licet  euim  stet  pro  natura  in  communi,  inter  tamen  naturalia  Iiabet  exerceri in  suis  suppositis,  et  ita  non valet  similitudo.  Ad  aliud:  universale  abstrahitur,  et  ista' absti-actio  non  fit  ab  ignoto:  dico  quod  est æquivocatio de abstractione;  non  enim abstraliitur  eo  modo   quo argumentum concludit,  ut  quando  notum   a  noto   abstraliitur.  Sed  est  abstractio  ad  hunc  sensum,  quia  singulare  quod  est  in  potentia  intel- lectus  fit  actu  intellectus.  Ad  illud  quod  dicitur  in  tertia  consideratione,  scilicet  istam esse  sententiara  Alexandri,  Themistii  et  Averrois,  dico  quod  suae  tuae  auctoritates  non  sunt  verae  pro universali  quod  est  prima  intentio,  sed  pro universali  quod  est  secunda intentio.  Homo enim  et animal possuut  haberi  sine  collatione  multorum  singularium, si  pro  prima  intentione  capiantur;  si  autem  sumantur  pro secunda,  ut  sunt  genus  et species,  hoc  non  potest  esse  sine  illa  particularium  collatione  ab  intellectu  facta;  quum genus  et  species  habent  de  raultis  prædicari,  quod  non  potest  esse  sine  illa   collatione;  sed  ista  responsio  non est ad  intentionera  Alexandri,  quia  Alexander  ibi  dicit de  albo  et  albo,  et  ita  non  valet;  nec  videtur  esse illa  mens  Averrois  quia   arguit contra  Platonem;  non  est  autem  necessarium  quod  Plato  voluerit  alias  iutenMones  esse a  materia  separatas  qualiter  ponebat  ideas.  Si  uon  voluraus  tenere   quod  intellectus intelligat  singulare  sicut  mihi  videtur  esse  tenendum.  possumus  ad  argumenta  contra hoc  facta  dicere.  Ad  primum.  quod  recipiens  recipit secundum  naturam  suam,  possumus dicere:  quod  intelle:tus,seoundum  scilicet  quod  sit  abstractus,  et  quod  sit  forma  materiae et  ultima  intelligentiarum:  quoad  primum  habemus  quod  tantum  universalia  intelligat;  quo vero  ad  secundum  quia  est  fonna  materiae,  et  quia  est  naturae  ancipitis  inter  abstracta et  non  abstracta cum  medium  participet  naturam extremorum,  habemus  quod  singularia possit  intelligere,  quia  a  raateria,  saltem  quoad  operari,  dependet.  Ad  secundum  quod  est ista  difterentia  inter  sensum  et  intellectum,  dico  quod  est  differentia  inter  sensum  et intellectum  quia  sensus  non   recipit  nisi  singulare,  intellectus  vero universale   et singulare,  sed  intelligit universale  pro quanto  est  abstractus  a materia ,  singulare vero  in  quantura  a  materia  dependet  in  operari. Ad  tertium  quod  tolleretur  neces- sitas   intellectus   ageutis:  dicit  Buridanus  in  prirao  Physicorum  quod  ideo ponitur  intellectus  ageus,  quia  materiale  non  potest  agere  in  immateriale.   Sed  ista responsio  non  est  ad  mentem  Averrois  in  commento  decimo  octavo,  ubi  ponit  intellectum  agentem  solura  per  utilitatera  faciendam.  Ideo  dico  aliter,  negando consequentiam,  quod  si  solum  siugulare  iutelligeret  non  esset  necesse  ponere  ipsum;  sed  quia  ultra  hoc  et  universale  cognoscit,  et  hoc  est  magis  proprium  ei  quam  singulare  intelligere,  ideo  ponitur  intellectus  agens; quod  si  diceres a  quo  habet  cognitionem singularis,  dico  quod  habet  a  sensu.  Fit  enim  transitus  de  ordine  in  ordinem,  a  sensu ad  intellectum.  Ad  quartum  de  duobus  ovis,  dJco  quod  si  hoc  argumentuni  concluderet,  etiam  de  sensu  concluderet,  quia  non  cognosceret  sensus  singulare.  quia  virtus cognitiva  nescit  ponere  differentiam  inter  ea,  et  tamen  speeies  potnerunt  in  memoria conservari,  et  ideo  ad  praesens  aliter  non  dico.  Ad  arguraenta  facta  contra  secundam consideratiouem:  ad  primum,  dico  quod  singulare  intelligitur  reflese.  Buridanus,  primo  Physicorum,  dicit  de  reflexione  quam  dicit  Averroes  in  commento  decimo;  sed  quia illa  expositio  non  est  ad  mentem  Aristotelis,  ideo  aliter  dicimus  quod  illa  reflexio  non est  sicuti  imaginati  sunt  nostri  Latiui;  sed  cognoscit  singulare  reflexe,  quia  sicut  linea reflexa  est  gemina,  ita  est  cognitio  singularis  quia  est  per  sensum  et  iutellectum.  AJ secundum,  quod  per  accidens  intelligitur:  dico  qnod  aliquaudo  accidit  universali  quod nou  est  accideus  in  particulari,  ut  visibile  accidit  in  auimali  et  non  homiui ;  ita  in proposito  quod  intellectus  intelligat  siugulare,  hoc  accidit  iutellectui  ut  humauus  est, iion  tamen  aecidit  ei  ut  intellectus  est,  quia  ut  humanus  potest  intelligere  singularia,  nou ut  intellectus  est; nam duodecimo Metaph3'sicovum  intellectus,  ut  intellectus  est  et  abstractus,  non  inteliigit  (singulare).  Ad  tertium dico  quod  universale  est  obiectum iutellectus  per  exclusionem,  ut  dicit  Gregorius,  quia  intellectus  pro  universali  difl^ert  a sensu;  potest  euim  intellectus  apprehendere  uuiversale  quod  non  potest  seusus,  quia  circa particularia  versatur,  sicut  est  in  sensu communi,  qui  colores,  sonos  et  omnia  seusualia cognoscit,  quae a sensibus  particularibus  cognoscuutur;  et  ultra  hoc  (sensus  communis) cognoscit  operationem  sensuum  exteriorum,  et  tamen  non  distinguitur  sensus  communis a  particulari  per  hoc  quod  talia  sensibilia  cognoscat,  sed  quia  operationes  sensuxmi exteriorum  cognoscit,  ideo  distiuguitur.  Ad  quartum:  quod  ante  universale  cognosceret universale,  dico  quod  ista  particularia  quamvis  habeant  causare  conceptum  communem uou  sunt  universale  nisi  in  materiali,  sicut  sensus  cognoscit  duo  alba  quae  possunt causare  conceptum  communem,  et  tamen  non  sequitur  quod  sensus  cognoscat  imiversale: ita ista  singularia,  quamvis  possint  causare  couceptum  communem  et  universalem, non  tameu  sequitur  quod  sit  universale  in  actu,  et  ita  non  cognoscitur  universale  ante universale. Utrum  intellectio  et  species  intelUgibilis  sint  idem  realiler. Quaeritur  ulterius  utrum  iutellectus  et  species  intelligibiles  sint  idem  realiter; posset  enim  aliquis  ex  prædictis  liabere  quod  non  sint  idem  realiter,  quum  intellectus agens  ut  dictum  est est  etiam  causa  speciei  intelligibilis, non  autem  intellectionis.  De boc  nulli  est  dubium  quod  diflerant  ratione,  quum  species  repraesentet  tantum  ipsum obiectum  non  autem  iutellectio.  In  hac  materia  est  una  opinio  quae  tenet  quod  non  distinguantur  realiter,  quia  vel  intellectio  adderet  aliquid  absolutum  vel  respectivum ipsi  speciei;  sed  uullum  liorum  addit  intellectio  ipsi  speciei,  ergo  non  differunt  realiter.  Anterior  patet: brevior  probatur  pro  pvima  parte,  quia si  intellectio  adderet  ali- quid  absolutum,  per  speciem  non  acquireretur  nova  intellectio  nisi  aliquid  absolutum de  novo  acquireretur.  Modo  non  est  fiugere  tale  absolutum  quod  intellectio  superaddat ipsi  speciei.  Item  uon  videtur  quod  iutellectio  sit  aliquid  absolutum,  quia  illud  non  est absolutum  cuius  esse  est  ad  aliud  se  habere.  Intellectio  est  talis,  ergo;  anterior  patet  ex praedicamento  relationis:  illud  enim  dicitur  esse  ad  alterum  cuius  esse  est  ad  alterum  se  habere;  brevior  patet  quia  intellectio ut  intellectio,  est  alicuius  intellectio. Item pulchrum  esset  videre quod si intellectio  est  quid  absolutum,  uon  erit  aliud  nisi  species iutelligibilis  perfectior;  modo  quaeritur  an  sint  eiusdem  rationis  istae  species  an  uon. Si  sic,  tunc  plura  accidenlia,  solo  numero  differentia,  erunt  in  eodem,  quod  est  contra Aristotelem  quinto  Metaphysicorum,  ubi  dicit  quod  quaecumque  sunt  iu  eodem  subiecto  numero,  differunt  specie.  Item  tantum  una  harum  specierum  esset  uecessaria,  alia superflua.  Nam  aut nihil  facit  superflua.  Quod  si  dicas  istas  speciesesse  diversarum ratiomim,  primo  non  est  videre  penes  quod  distinguantur,  cum  sint  eiusdem  suhstantiæ et  obiecti,  sicut  intellectio  asini  et  species  asini.  Item  in  vanum  esset  unum  istorum,  vel  species  vel  intellectio,  quum  species  est  illa  per  quam  res  cognoscitur,  et intellectio  est  etiam  perquamres  infelligitur. Probatum  est  ergo  quod  intelleotio  non addat  aliquid  absolutum  super  ipsam  speciem. Quod  etiam  non  addat  aliquid  relativum  probatur,  quia  si  adderet  aliquid  relativum tunc  intellectio  esset  de  praedicamento  relationis  quod  est  falsum,  quia  intellectio  est  de praedicamento  nctionis  vel  passionis;cum  autem PRÆDICAMENTA sintim per mixta, iutellectio non  poterit  esse  de  praedicamento  ad  aliquid.  Item  arguitur  secundo,  et  est  argumentura Scoti  in  decimatertia  quaestione,  nono  libro,  quod  illud  iu  quo  consistit  fecilitas  et  perfectissima  operatio  hominis  non  est  relativum,  sed  in  intellectione  consistit  fecilitas,  ergo. Anterior  probatur  quia  intellectio  dicit  aliquid  quod  perficit  liominein;relativum  autem, ut  tale  est,  nullam  perfectionem  includit;  brevior  patet  ex  primo  et  tertio.  Et  liic  ubi vult LIZIO quod  felicitas  consistat  in  uctu  intellectlonis,  idem  etiam  vult  Averroes  in  prologo  Physicorum,  et  ita  cum  intellectio  non  addat  aliqiiid  absolutum  aut relativum  ad  ipsam  speciem.  nou  erit  ab  ipsa  specie  diiferens.  In  oppositum,  et  pro altera  parte,  argiiitur  quod  illa  non  snnt  eadem  realiter  quorum,  uno  uon  existente, alterum  remanet.  Sed  species  et  intellectio  tali  modo  se  habent  inter  se  quod  uiium remaiiet  altero  non  existente ,  ergo.  Anterior  patet  quia  illa  quae  suut  eadem geueratione  generantur  et  corrumpuntur.  Brevior  patet  quia  dormiens  non  habet  intellectiones  et  tauien  habet  speciem;  aliter  enim  si  species  non  reraaneret  in  intellectu liominis docti non  esset  rammemoratio,  quod  est  contra  Aristotelem  primo  Poste- riorum.  Item  illa  non  suut  eadem  quorum  unum  ab  altero  efJicitur,  sed  species  et intellectio  hoc  modo  se  habeut,  ergo.  Anterior  patet  quia  nihil  potest  se  speciem  ef- iicere,  brevior  patet  quod,  ut  dictum  est,  ex  specie  .creatur  intellectum,  et  est dictum  Angelici AQUINO (si veda) quod  ex  specie  et  potentia  fit  cognitio  rei.  Item  quia  ita  se habet  intellectus  ad  intelligibile  sicut  seusus  ad  seusibile ,  quia  utraque  cognitio termiuatur  ad  obiectum  proprium,  modo  possum intelligere  existentia  et  non  exi- steutia,  nec  possibilia  existere.  Tunc  quaero  ad  qnod  terminatur  ista  intellectio non-entis;  non  ad  obiectum  quia  obiectum  non  est  uec  potest  esse ;  non  ad  phan- tasmata cum sint  singularia, ergo  ad  speciem  intelligibilem:  quare  necessario  dabitur species  intelligibilis,  ad  quam  cum  torminetur  intellectio,  erit  ab  ea  distincta  sicut species  sensibilis  est  distiucta  a  sensutione.  In  hac  quaestione  sicut  et  in  aliis  suut diversi  modi  dicendi.  Avicenna  tenuit  quod  species  iutelligibilis  et  intellectio  sint penitus  idem,  et  quod  cessante  intellectione  cesset  speeies  intelligibilis,  quum  ipse  non potuit  videre  qualiter  sit  in  virtute  coniprehensi\a  et  non  sit  cognitio  rei Hanc  opinionem  quasi  omnes  Latini  impugnant. Ideo  cmnes  fere  Latini  posuerunt  species  et  iutel- lectiones  non  distingui  realiter;  sed  dubium  est,  si  differunt,  quid  superaddat  intellectio speciei.  De  hoc  sunt  niuitae  opiniones:  prima  est  quae  est  usitata  quam  tenuit  Scotus in  13"  quæstione  Quolibcti,  et  Gregorius  Ariminiensis,  secundo  Sententiarum,  disiinctinue  septima,  quaestione  secunda,  articulo  primo. Tenent  isti  quod  intellectio  formata non  dicat  relatiouem.  Connotat  tamen  relatiouem  et  relativum  ad  obiectum;  et  lioc propter  secundum  argumentuni,  et  hoc  tenet  Tiiomas.  Utrum  vero  connotet  duos  respectus,  vel  unum  tautum  non  est  praesentis  loci,  similiter  et  utrum  sint  relativa secundum  dici  et  uon  secundum  esse,  ut  aliqui  voluerunt.  Tenet  tamen  Scotus  quod species et inteliectio non  sit  una  et  eadem  res  formaliter,  sed  tenet  quod  species  sit imperfectior  intellectione,  ita  quod  intellectio  sit  altera  species  multo  clarior  et  lucidior  ipsa  specie  prima. Et  dicitur  an  sint  eiusdem  rationis,  an  diversae.  Dicunt  quod non  sint  eiusdem  rationis  formalis,  quia  intellectio  est  essentialiter  perfectior  specie; et  lioc  dicuut  esse  quia  natm-a  procedit  de  minus  perfecto  ad  magis  perfectum,  et ita  procedit  de  specie  ad  intellectionem;  et  si  dicatur  quod  est  necessitas  ponendi  species  intelligibiles,  dicunt  cum quod intellectio  terminatur  ad  speciem  sicut  supra  dixi- raus.  Ulterius  cum  dicitur  unde  causatur  illa  diversitas  speciei  ab  intellectiono,  dicunt provenire  hoc  ex  agente  et  passo  melius  disposito,  et  etiam  quia  in  puro  iutellectu recipitur  species,  iutellectio  vero  recipitur  in  intellectu  specie  informato.  Tunc  ad  ra- tiones  iu  oppositum  dicitur:  ad  primam  cum  vel  addit  aliquid  absolutum vel  relativum,  dicitur  quod  intellectio  in  se  est  absolutum;  dico  tamen,  et  coustat,  relativum. Ad  aliam:  cum  dicitur  quoad  istud  absolutum  superadditum  speciei,  dico  quod  est  ipsa intellectio.  Ad  aliam:  cum  dicitur  an  sit  eiusdem  rationis,  dico  quod  non,  imo  inteltectio  est  esseutialiter  perfectior  specie.  Ad  alterum  cum  dicitur  uude  causatur  ista diversitas,  lioc  quod  causatiir  ab  agente  et  melius  disposito.  Ad  aliam:  cum  dicitur iu  vanum  poneretur  una  istorum,  dicitur  quod  non.  quia  species  sola  nou  potest  facere  istud  quod  facit  intellectio  quum  species  sit  imperfectior  intellectione  et  ista opinio  communiter  tenetur. Altera  est  opinio  quae  tenet  quod  species  et  iutellectio  sunt  idem  realiter,  et quod  diffenmt  ut  magis  perfectum  et  minus  perfectum.  Species  euim  est  quaedam  in- tellectio  imperfecta,  et  ita  videtur  esse  quaedam  additio  non  iu  alteram  speciem  sed iu  unum  ab  alio  esse,  et  ita  videtur  dicere  semper AQUINO (si veda),  non  assevero  hanc  esse sententiam  AQUINO (si veda),  et  dicitur  species  pro  quanto  repraesentat  obiectum  ad  extra,  dicitur  vero  intellectio  pro  quanto  per  eam  obiectum  ad  intra  intelligitur.  Differt  autem haec  opinio  a  prima,  quum  prima  non  ponit  speciem  esse  eadem  qualitate  cum  iutel- lectioue. Ista  vero  ponit  esse  eadem  qualitate  cum  specie  et  tunc  faciliter  potest  (re- sponderi)  ad  argumenta  in  oppositum  facta. Utrum  in  rebus  sit  veritas  et  falsitas  vel  in  solo  intellectu. Circa  textum  37  sunt  aliquae  difHcultates,  et  primo  utrum  in  rebus  sit  veritas et  falsitas,  an  in  solo  intellectu.  Et  arguitur  quod  iu  rebus,  quia  communiter  dicitur aurum  est  verum  vel  falsum,  et  in  duodeoimo  Metaphysicorum,  textu  commenti  quarti, dicitur  quod  unumquodque,  sicut  se  habet  iu  veritate,  ita  se  habet  in  eutitate,  unde primum  ens  est  maxime  verum.  Quod  etiam  apparet  ex  theologia  nostra.  Dixit  enim Christus. Ego  sum  via,  veritas  et  vita.  Et  pvobatur  etiam  hoc  ratione,  quia  eus  et verum  convertuntur.  Ens  autera  attribuitur  rei,ergo  et  veritas  rei  attribuitur.  Item verum  est  obiectum  intellectus,  sed  quod  est  obieclum  intellectus  non  est  in  intellectu, ergo  verum  non  erit  in  intellectu.  Auterior  patet  quia  dicitur  communiter  quod  intellectus  fertur  iu  verumsicut  appetitus  in  bonum. Brevior patet  quia  obiectum præsupponit potentiam. Item  propter quod  uiuimqiiodque  tale,  et  illud  magis est;  sed  ORATIO  est vera  propter  esse  ad  extra,  ergo  res  est  magis  vera.  Prima  nota  est;  brevior  patet  ex primo  Physieorum,  ubi  dicitur  quod  ex  eo  quod  res  est  vel  non  est,  oratio  dicitur  vera vel  falsa.  In  oppositum  est  LIZIO  hic  in  textu  oommenti  27'  et  22'  et  in  primo Physicorum,  iibi  dicit  quod  in  compositione  et  divisione  tantum  consistit  veritas  et falsitas,  et  in  6."  Metaphysicorum,  textu  nltimo,  dicit  quod  bonum  et  malum  sunt tantum  in  rebus,  verum  et  falsum  intellectu. Omissis quæ  dicit  Joanues  quia  nescit quod  dicat,  explicabo  quod  dicit AQUINO (si veda) in  prima  partequaest.  decimaeseptimae,  et  in  fine  libri  Metaphysicorum,  et  in  DE INTERPRETATIONE.  Pro  soluiione  accipio  primo  quid  nominis  istius  termini:  veritas.  Dico  quod ita  se  habet  de  veritate  sicut  de  sanitate:  ut  enim  sanitas  consistit  in  adæquatione  humorum  iu  ordine  ad  ipsum  animal,ita  veritas  est  quaedaui  adaequatio  vel  commensuratio  rei ad  intellectum,  vel  intellectus  ad  res;  ex  quo  patet  veritatem  intelligi  non  posse  sine  iu- tellectu,  etideo  in  sexto  Metaphysicorum,  textu  coramenti  ultimi,  dicit  Aristoteles  verita- tes  tantum  esse  in  intellectu,  bonum  et  malum  iu  re.  Quia  autem  veritas  sit  analogum quoddam  definita  (sic)  est  definitioue.  Vos  dicetis  in  quo  consistit  veritas  illa  quae  con- sistit  in  adaequatione  rei  ad  iutellectum  et  intellectns  ad  rem?  Dico  quod  si  res  comparatur ad  intellectum  practicum,  talis  est  vera  pro  quanto  comparatur  ad  talem  intellectum,  et  sic  omnia  sunt  vera  pro  quanto  comparantur  ad  intellectum  divinum : ex  quanto  enim  omnis  res  est  effectus  Dei,  vel  in  geuere  causae  efBcentis,  vel  finalis, omnia  habebunt  ideam  suam  in  meute  divina,  et  res, secundum  quod  habent  simili- tudinem  ideae  suae,  sunt  verae,  et  quanto  magis  assimilabuntur  suae  ideae, tanto  magis erunt  verae.  Unde  dicimus  aurum  esse  verum  pro  quanto  fert  veram  similitudiuem suae  ideae,  scilicet  auri  qui  est  iu  mente  divina.  Res  ergo  dicitur  vera  pro  quanto comparatur ad intellectum a  quo  dependet,  et hoc non  est tantum platozinare, sed  est acceptum  ex  duodecimo  Metapliysicorum,  textu  commenti  decimioctavi,  iibi  Averroes aperte  ponit  omnia  esse  iu  Deo  sicut  in  Artifice  supeiiori. Nou  enim  est  peripateticum  dicere  Deum  nou  habere  scieutiamistoruminferiorum. Si  autem  quaeratur:  Tu  dicis  quod  res  est  vera  pro  quaulo  comparatur cum intellectu practico et  factivo habente formas rerum  omuium;  ego  quaero  utrum  iste  intellectus  sit verus  an  non. Ego  credo  quod  sic,  propter  intellectum  speculativum;  intellectus  enim practicus  praesupponit speciilativum,  nam  prins  concipitur  domus  quam  fiat.  Unde  infra dicit LIZIO,  intellectus  speculativus extensione  fit  practicus.  Idem  quoque  dicitur sextoEthicae,  et  ideo  si  artifex  faoit  domum  secundum  imaginationem  apprehensam,  di- citur  vera  domus;  si  nou,  falsa. Intellectus  vero  practicus  erit  verus  in  ordine  ad speculativum.  Dictum  est  igitur  qualiter  sit  veritas  in  adaequatione  rei  ad  intellectum; dicendum  est  modo  qualiter  in  aliquo  veritas  consistat  in  adaequatione  intellectus  ad rem.  Dico  quod  illud  veiitieatur  maxime  quoad  nos.  Nostrae  enim  intellectiones  sunt verae  quando  conformantur  rei  ad  extra.  Itaque  ita  sit  ex  parte  rei.  sicut  per  intellectum  sequitur,  et  hoc  modo  intellectus  speculativus  se  habet  ad  practicum,  et  talis relatio  est  mensurati  ad  mensuram;  nam  in  prima  veritate  res  est  mensurata,  intel- lectus  mensura,  in  secunda  vero  res  est  mensura,  intellectus  autem  mensuratum.  No- tamus  tamen  hic  quod  scilicet  res  non  absolute  dicantur  verae  aut  falsae  in  ordine ad  nostrum  intellectum:  aliter  enim  una  et  eadem  res  esset  vera  et  falsa,  quum  unus horao  opinalur  uiio  modo  et  alius  alio  modo ,  quae  opinio  iraprobatur  qiiarto  Meta- physiconim  textu  commenti  decirainoui;  tamen  quoquomodo  dicuutur  verae  in  ordine  ad iios,  non  quia  intellectus  realiter  habet  mensurare  talem  rem,  sed  quia  talis  res  est apta  facere  talem  scientiam  de  se  in  nostro  intellectu;  sed  res  absolute  dicuutur  verae iu  ordine  ad  intellectum  divinum  qui  maxime  verus  est,  et  sic  patet  detinitio  veritatis,  qualifcer  est  adæquatio  rei  ad  intellectum et  intellectus  ad  ipsam  rem.  Si  autem quaeratur  utrum  Deus  sit  verus,  dico  quod  in  Deo  omnibns  modis  est  veritas,  sicut  dicit Themistius de  agenfe  quod  est  verus,  non  quoad  alia sed  quoad se  tantum  qui verus  est  intellectus.  Quauto  magis  ergo  Deus  hoc  modo  unus  erit  et maxime  verus, quum  ex  se  ipso  verus  est,  et  non  ex  alio  extriuseco  sicut  nostra  veritas. Est  etiam verus  omuibus  modis,  quum iu Deo  est  adaequatio  rei  ad  intellectum  et  intellectus  ad rem;  tanta  enim  est  sua  esseutia  quanta est  sua  intellectio,  et  tanta  est  sua  intellectio quanta  est  sua  essentia,  nec aliquo modo  de se  ipso  potest  facere aliquam deceptionera. Ad quæstionera  ergo  possumus  dicere  quod  veritas semper  habet  ordiuem  ad intellectura.  Poniuius  taraen  aliquam  veritatem  iu  intellectu,  quoad  scilicet  ad  intellectum  speculativura  cuius veritas  niensuratur  a  re.  Ponimus  etiam  aliquam  veritatem in  re,  seilicet  quoad  iutellectum  practicum  qui  niensurat  veritatem  in  re  essentialiter. In  Deo  autem  est  mensura  et  mcusuratum,  uou  quidem  realiter  distincta,  sed  secuudum  uostrum  raodura  intelligendi.  Si  quis  ergo dicat  veritatem  esse  inter  iutellectura et  verum,  djcit  qmmi  quod  iu  intellectu  non  intelligitur  veritas;  sicut  auteni  in subiecto, veritas  potest  esse  in re.  Ad  rationes  responsio  patet. Ad  prirmam,  dico quod  aurum  est  verum  et  eius  veritas  cousistit  iu  adæquatione rei  ad  iutellectum,  nou  quidera  uostruni  sed divinum.  Est  enim  verum  quia  iraitatur veram  ideam  auri  qui  est  in  mente  divina,  et  nou  ponimus  veritatem  cousistere  in ordine  ad intellectum  nostrum,  aliter  euim  sequentur  inconvenientia  quae  adducit  Ari- stoteles,  quarto  Motapliysicorum  coutra  anliquos  putautes orania,  quae  videbautur  nobis, esse  vera.  Ad  alias  quoque  patet  solutio;  veritas  enim,  ut  dictum  est,  aliquo modo  est iu  re,  et de deo  iam  dictum  est  quod  iu  eo est veritas. Utrum substantia  materialis  intelligatur per propriam  speciem. Quaeritur  hic,  propter  dicta  Averrois,  utrum  substanlia  mateiialis  intelligatur  per propriam  speciem.  Joauues  movet  hanc  quaestionem  supra,  sed  iste  locus  videtur mihi convenieutior  de  substantiis  immaterialibus.  Clarum  est  quod  non  intelligatur  per  speciem  propriam,  sed  ex  discursu,  et  arguitur  quod  sic,  primo ex  dictis  hic,  ubi  dicitur quod lapis  non  est  in  anima  sed  species  lapidis. Item  in  textu  commenti  decimiquarti ubi  dicit  quod  est  in  potentia  ad  omnes  formas.  Confirmatur,  quum  Averroes  volens probare  intellectum  possibilem  esse  immaterialem, fundatur  super  hoc  quod,  quia  est receptivus  omnium  forraarum,  et  omne  recipiens  debet  esse  denudatura  a  natura  recepti, quare  nou  habebit  aliquam  materialem. Supponit  ergo  Averroes  quod  intellectus  recipiat  omnes  formas,  quod non  est  intelligeudum  secuudum  esse  materialem. In  oppositum  arguitur:  illud  non intelligo  per propriam speciem  quod  non  habet propriura  phantasraa.  sed  substantia  uon  habet  proprium  phautnsraa ergo  etc. Anterior videtur  esse  uota,  et  brevior  probatur  quia,  cum  phautasma  sit  motus  factus  a  sensu secundum  actum,  cum  seusus  exteriores  iiou  possint  c  .gnoscere  suljstautiam,  quia  seusut non  se  profundat  usque  ad  subiectum  rei,  nec  etiam  pbantasia  poterit  sribstantiara coguoscere. In  hac  quaestione  sunt  noanullae  opiuiones  Joannis  cum  quo  sunt  omnes  fere  Aver- roistae;  putaut  substantiara  intelligi  per  propriam  speciem,  et  confirmatur  lioc  ex  dicto Averrois,  secundo  buius,  textu  commeuti  163',  ubi  dicit  quod  cogitativa  recipit  intentiones omnium  decem  praedicamentoium;  quod  si  cogitativa  potest  boc  facere  quanto  magis  in- tellectus!  Quomodo  autem  pbanlasia  cognoscat  substantiam  et  non  sensus  exteriores,  de boc  sunt  divers3,e  opiuiones. Aliqui  dicuut  quod  sensibile  producit  speciem  suam  et cum  sua  specie  est  immixta  species  substantiae,  et  primo  producit  eam  in  sensu  exterioii,  deinde  iu  coramuni,  demum  in  phantasia,  et dicunt  quod  species  substantiae,  licet sit  in  sensu  particulari  aut  communi,  ipse  tamen  uou  cognoscit  eam,  sed  sola  phantasia  inter  omnes  virtutes  eam  coguoscit. Sed  dices:  unde  est  quod  species  substantiae  cognoscitur  a  phautasia,  et  non  a sensibus  intermediis  inter  eara  et  sensibile?  Dico  quod  agens  non  agit  nisi  in  passo bene  disposito,  et  quia  alii  sensus  suut  multum  materiales  et  imperfecti,  ideo  species substantiae  nonest  apta  nata  producerc  sui  notitiam  iu  sensibus  aliis  a  pbantasia;  quia vero  ista  est  multum  spiritualis  et  perfecta,  ideo  potest  speciem  substantiae  cognoscere. Alii  vero  sunt  dieentes  speciem  substantiae  nou  esse  in  seusu  proprio  aut  communi tamen  esse  iii  phautasia.  Et  si  dicatur;  unde  est  quod  non  est  in  intermediis  sicut  in phantasia,  dicuut  quod  simile  est  de  hoc  sicut  de  existimativa  in  ove  quae  iufert  speciem  insensatam  ex  sensata.  Ovis  euim  videndo  torvitatem  et  audiendo  voceni  in  lupo, ex  istis  speciebus  sensatis  elicitis,  infert  speciem  inimicitiae  quae  est  insensata. Quia  istud  videtur  dicere  Averroes  iu  De  sensu  et  seusalo,  ubi  dicit  quod  seusus  exterio- res  cognoscunt  (per)  corticem,  interiorem  medullam;  pariforuiiter  isti  dicunt  quod  ex  sen- sibus  exterioribus  creatur  species  substantiae  in  phantasia. Isti  ergo  teneut  substantiam cognosci  jier  propriara  speciem  a  phantasia,  sive  modo  sit  secuudum  primam  opiuionem, sive  secundum  secundam,  et  tenent  uniuscuiusque  substantiae  raateiialis  esse  proprium phantasma.  De  cogitativa  non  loquor  uuuc,  quia  de  ea  inferius  erit  sermo.  Iste  uiodus deinde  improbatur  a  quibusdam  posterioribus,  pluribus  rationibus.  Sed  ego  adduco tantum  argumentum  Scoti  quod  est  tale:  data  hac  positione,  tunc  quilibet  infidelis esset  christianus:  probo,  et  suppono'quod  illud,  quod  per  propriam  speciem  cognoscitur, in  sui  praesentia  creat  notitiam,  et  eius  absentia  non  creat  cognitionem;  sed  quia  lex per  propriam  speciem  cognoscitur,  ideo  in  sui  praesentia  creat  eius  cognitiouem,  et  ex  sui absentia  non  movet  virtutem.  Sit  modo  ita  quod  sit  uuus  sacerdos  qui  consecret  unara Eucharestiam,  tunc  infidelis,  antequara  sacerdos  consecraverit  eam,  cum  per  se  pauis cognoscai^ur  per  propriam  speciem,  species  panis  potuit  movere  seusum  infidelis  quia potuit  videre et cognoscere  illum  esse  panem.  Deinde  vero,  quiun  consecrata  est,  am- plius  non  est  substautia  panis,  et si  prius  videbat  ibi  esse  panem  et  nunc  non  videat, cum  non  sit  talis  substantia,  pro  certo  cognoscet  quod,  ubi  prius  fuit  panis,  uunc  non; quare  efiiceretur  christianus  hoc  cognoscendo,  et  sicut  ipse  tenet quod  nulla  substantia cognoscatur  per  propriam  specieni,  sicut  et  Deus  cognoscitur  a  nobis  ut ex discursu, scilicet  ex  eo  quod est  ut  aliquid quod  est  primum  movens,  et  quia  uon  est  procedere  in infinitum  in  causis efficieutibus essentialiter ordinatis. Sed   istud  argumentum  non Ch.l88versQ videtuv  valere,  quia  dato  hoc  modo  loquendi  tunc  nec  liorao  aut  Ijinitum  deciperentur  aut raro.  Cuius  experientia  est  in  oppositum;  coutrarium  probatur,  et  ponemus  exemplum de  quodam   pictore,   qui   ita  pingebat    uvara  ut  aves   credentes  eam  esse  veram  ad illam  accipiendam  volabaut(sic);  tunc  ista  avis  quae  movebatur  ad  uvam  decipiebatur,et tamen  ibi  uou  erat  vera  uva,  ergo  aliquid  quod  sentitur  per  propriam  speciem,  quam- vis  sit  absens,  potest  creare  sui  cognitionem  cuius  oppositum  dixit  SCOTO.  Sed  contra quis  diceret  nou  esse  similem.  quum  uva  non  cognoscitur  ab  ave  per  propriam  speciem, sed  tautiim  avis  cognoscebat  accidentia,  panis  autem  cognoscebatur  per  propriam  speciem;  contra  sequitur  quod  aliquid  cognoscatur  per  propriam  speciera,  et   tamen  in eius  cognitioue  sit  deceptio;  quia  si  sit  aliquid  album  quod  videatur  esse  lac  ex  colore modo  substantiae,  et  similibus,  non  tamen  sit  lac,  tuuc  movebor  ad  tale  obiectum  ra- tione  dulcedinis. Ergo  per  propriam speciera  coguoscitur,  et  taraeu  decipior,  quia  si  tale obiectum  gustetur  non  est  dulce;   ergo  non  sequitur   ut  uon  decipiamur  circa  illud quod  per  propriara  speciem  cognoscitur.  Sed  dices  ad  hoc  quod  illa  deceptio  non  pro- venit  merito  sensus  exterioris  qui  habet  indicare  talem  dulcedinem,  sed  provenit  error merito  phantasmatis  qui  uon  habet  indicare  de  istis  sensibilibus  propriis;  quia  enim aliqua  pliantasia  videt  albediuem  coniunctam  dulcedini,  cum  tali  raodo  substantiae,  ideo nnnc  quoque  putat  qnod  in  tali  subiecto  sit  dulcedo,  sed  hoc  est  mutare  argumentum. Ideo  et  ego  do  aliam  responsiouem,  et  dico  quod  proprium  est  phantasiae  recipere  spe- ciem  substantiae,  dumraodo  ipsa  sit  bene  disposita,  et  recipiat  accideutia  propria  istius suhstautiae.  V.  gr.  si  volo  cognoscere  eudiviam  [sic),  uou  oportet  tantum  cognoscere  eam per  sensum,  sed  oportet  multa  sensibiJia  congregare  ad  invicem,  ut  quod  sit  tdis  odoris, saporis,  coloris,  numevi,  substantiae,  operationis  et  sirailia;  et  ista  videtur  esse  expressa mensPhilosophi  primo  huius,  textu  commenti  undecimi,  quando  dicit  quod  quando  cogno- veriraus  raulta  accidentia  propria,  tunc  de  substantia  babebiraus  aliquid  ultiraae  dif- ferentiae;  et  ita  tuum  argumentum  non  valet,  quia  infidelis,  quando  Eucharistia  nou erat   consecrata,  non  cognoscebat  substantiam  panis,  quum   non  habebat  accidentia propria  ipsius  panis  Si  enim  ea cognovisset,  etiam  panera  cognovisset,  cum  accidentia propria  sint  inseparabilia  a  suo  subiecto;  sed  hoc  videtur  mirabile  quia  videtur  quod infidelis  cognoscat  tam  propria  quam  coramunia  accidentia  panis.  Sed  dices  talia  accidentia  esse  commuuia  et  non  propvia,  quum  ista  accidentia  possuut  separari  a  paue, propria  vero  non  possunt;  quæ si  cognoscerentur  ab  eo,  etiam  panis  cognosceretur. Sed breviter isti   tandem necessario confitentur quod substantia    cognoscitur   per discursum   ex   collatione   plurium   accidentium    ad   invicera,  propriorum   scilicet   et communium. Altera  responsio  ad  argumeutum  Scoti  posset  esse:  pro  quo  scieudum  quod  ali- quae  propositiones  reputantu,-  verae  et  necessariae,  interius  tamen  speculatae  apparent falsae,  quaravis  ab  aliquibns  accipiantur  quara  niaxirae,  inter  quos  Scotus,  et  ita  illa propositio  quara  assurait  taraquam  concessara  nou  est  semper  vera:  quauuo  enim  diiMt:  si est  aliquid  quod  habet  propriara  speciem,  in  eius  praescntia  movet  virtutem,  non  autem in  sui  absentia,  ista  propositio  est  vera  et  habet  veritatem  in  sensu  exteriori,  et  ratio est  quia  immediate  movetur  a  re  et  ad  extra.  Sed  in  intellectu  aut  in  sensu  interiori non  est  vera  qualiter  propositio  debet  accipi  iu  proposito,  uam  seusus  interior  cognoscit  substautiam  et  non  exterior Ch.  100  recto Sustinendo  tamen  opinionem  Sfoti  quia  contra  eum  non  est  cleraonslratio,  ad  ea quae  sunt  in  oppositum  potest  dici:  cum  dicitur  lapis  non  est  in  anima  et  intellectus est  ia  potentia  ad  omnes  formas,  dico  quod,  etsi  talis  non  habeat  propriam  speciem, liabet  tamen  proprium  conceptum  qui  quoquo  modo  reputat  talem  rem,  quo  conce- ptu  iutellectus  deveuit  in  aotitiam  ejus.  Sicut  Deus  non  potest  cognosci  a  nobis  (') et  ita  dicatur  quod  lapis  est  in  anima  per  proprium  conceptum,  similiter  et  intelle- ctus  possibilis  est  omnia  fieri  per  hunc  modum;  dico  tamen  unum  quod  Averroes  videtur  esse  iu  oppositum  liuius,  quia  dicit in  secundo  liuius,  quod  accidit  seusui,ut liumanus  est,  cognoscere  substantiam,  licet  dictum  illud  possit  extorqueri ,  sed  eius sententiam  veram  esse  ita  concedit  etiam SCOTO,  quod  sensus  aliquo  modo  et  iuvo- lute  cura  ipsis  sensibilibus  cognoscit  substantiam.  Cognoscendo  enim  aliquid  aggregatum  ex  multis  accidentibus,  et  ipsam  substantiam  cognoscit,  sicut  suut  rustici  qui cognoscunt  lactucam  et  alias  berbas  es  aggregatioue  multorum  accidentium  simul. Forte quod  isti  possent  simul  conciliari,  sed  de  Imc  vide  quae  dicta  sunt,  secundo  Jiuius,  contra  espositionem  textus  commenti  sexagesimitertii. Utmm  substantia  producat  speciem  substantiae  in  phantasia,  an  aliud. Altera  est  dubitafio,  si  species  substantiae  sit  in  phantasia,  quid  est  illud  quod producit  eam  ibi?  non  substantia  quia  substantia  iinmediate  non  agit,  iguis  enim  nou agit  in  quautum  ignis,  sed  iu  quautum  calidus  ex  libro  De  sensu  et  sensato;  si  accideus, quomodo  accidens  potest  producere  speciem  substantiae,  cum  nihil  agat  ultra  termiuum proprium?  Propter  hoc  aliqui  Thomistarum  putant  quod  species  accidentis  proprii  producat  iu  iutellectn  speciem  ulriusque,sed  producit  speciem  substautiae  iu  virtute  substantiae. Aliqui  putant  quod  praeparato  intellectu  per  speciem  ac:ideutis  proprii,  introducatur species  substantiae  ab  ipsa  substantia,  et  hoc  tenet  Joannes:  et  concedit  ipse  substan- tiam  immediiite  agere;  vel  potest  glosari  illa  propositio  quod  substantia  non  agit  ira- mediate,  quod  sit  vera  tantura  iu  actione  reali;  ista  autera  actio  uou  est  nisi  spiritualis. Utrum  intellectus  in  omni  sua  actione  egeat  phantasmate. Altera  quaestio  est  utrum  intellectus  in  omni  sua  actione  egeat  phantasmate,  et hoc,  loquendo  de  intellectione  coniuncta,  quae  est  respectu  nostri,  per  quam  non  de novo  denominaraur  intelligeutes,  iuxta  illud  iu  prirao  huius,  quod  intelligere  vel  est phantasia  vel  aou  siue  phantasia.  lu  hac  raateria  duo  sunt  quae  faciunt  difficultateni.  Vi-  q\^  igg  ^£,.5^, detiu'  enira  primo  quod  in  omni  nostra  intellectione  non  egeamus  pliantasmate,  ex  textu Philosopohi,  ubi  dicit  quod  si  omnia  sunt  in  imagine,  non  possumus  intelligere  siae phantasmate;  quare  cum  sit  aliquid  abstractum  a  miteria  ut  Deus,  et  lutelligeutiae, illud poterimus  intelligere  sine  phantasmate;  et  pro  hoc  maxime  facit  expositio  Themistii super  textum  trigesimum  uonura.  Item  est  ratio,  quia  si  aliqua  non  sunt  iu  materia ut  substantiae  abotraetae  et  iutentiones,  ad  quod  opus  est  uti  phantasmate  ad  iutelli- gendum  illa?  Tuuc  euim  phautasraa  communicaret  falsam  cognitionem  de  talibus  rebus quum  phanta^Smata  suut  quanta  et  materialia,  talia  vero  sunt  abstracta  ab  istis. In  se  per  la  sna  so.stanza. Secundum,  quod  facit  difficultatem,  est  quia,  si  post  actualem  intellectionem,  remanent  species  in  intellectu,  postquam  intellectus  fuerit  habituatus  per  istas  specles,  videtur  quod  nullo  modo  egeamus  phantasmate. In  oppositum  est  Philosophus  primo  huius,  textu  commenti  duodecimi,  et  hic  te- xtu  commenti  35',  ubi  dicit  quod  nequaquam  est  intelligere  sine  phantasraate,  et  expe- rientia  est  in  oppositum  aeque,  quia  si  non  egeremus  phantasmate  ad  intelligendum,  tunc laesa  cogitativa,  bene  possemus  intelligere  ac  si  non  esset  laesa.  Similiter  etiam  dicatur  de  qualibet  alia  virtute  interiori.  Ad  nihil  enim  istae  virtutes  prodessent  intel- lectioni.  Hoc  autem  est  falsum,  quia  isti  phrenesi  laborantes,  etsi  sint  viri  docti,  ex altera  tamen  parte  non  possunt  intelligere,  licet  in  intellectu  eorum  sint  multi  ha- bitus  et  species.  Mihi  videtur  quod,  peripatetice  loquendo,  nihil  possemus  intelligere sine  phantasmate,  loquendo  de  intellectione  coniuncta.  Cum  vero  dicatur:  ad  quid  de- Ch.  lOlrecto  serviret  iutelligendo  ea  quae  nou  sunt  coniuncta  materiae:  de  hoc  ACCADEMIA voluit  quod intelligendo  abstracta  non  utamur  phantasmate  et  hoc  est  verum  secundum  eius  opi- nionem,  quia  ipse  voluit  quod  ab  aeterno  anima  nostra  esset  plena  speciebus  a  Deo datis  et  uon  de  novo  acquisitis,  eo  modo  quo  posuit  Aristoteles.  Sed  socundum  sen- tentiam  LIZIO  alitor  est  dieeudum,  supponendo:  primo,  quod  si  abstracta  intelli- gimus,  solum  in  ordiue  ad  ista  materialia  intelligimus,  negando,  et  dividendo  ab  illis conditiones  materiae,  sicut  dicit  hic  Themistius  quod  immaterialia  materialiter  co- gnoseimus;  quod  si  haberemus  perfectiim  notitiam  de  abstractis,  qualitor  habent  Intelli- gentiae,  aliter  esset  diceudum  ad  argumontum.  Ergo  dicitur  quod  phantasmata  desorviuut nobis  ad  intelligendum  abstracta,  quia  aliter  non  possemus  ea  intelligere,  et  non  con- cluderet  si  abstracta  perfecte  intelligeremus.  Ad  auctoritatem LIZIO dicitur  quod suum  argumentum  peccat  per  fallaciam  consequentis,  quae  est  a  destructioae  antece- dentis,  qualiter  nou  valet;  vel  aliter,  quod  alludit  ad  cognitionera  illam  per  quam sumus  felices,  in  qua  non  egemus  phantasmate;  ideo  dicit  Themistius  quod  illa  propo- sitio  est  vera  de  intellectione  quoad  nos. Ad  alterara  difficultatem,  quando  dicitur:  si  habitus  sunt  in  intellectu  ad  quid egemus  phautasmatibus?  Hoc  argumentum  non  habet  vim  contra  Averroem,  quum  in textu  commenti  trigesimi,  aperte  dicit  universalia  intellecta  colligata  esse  cura  iraagi- uibus,  et  ideo  si  sunt  cum  eis  colligata,  semper  egemus  phantasraate,  sed  eontra  Chri- stianos  et  maxirae  contra AQUINO (si veda) argumentum  habet  vim,  quum  tenemus  quod  in anima  separata  remanoant  hae  spocies  aequisitae  in  hoc  mundo,  et  taraen  tunc  non egemus  phantasmate;  ergo  eadem  ratione  videtur  quod  nec  nunc  egeamus. AQUINO (si veda)  sic  dicit quod  iste  est  ordo  naturalis  ut  quaradiu  anima  sit  coniuncta  corpori,  semper  egeat phantasmate  ad  intelligendum,  non  autem  cum  separata  est  a  corporo Utrum  cogitatlva  vel  alia  virtus  intcrior  serviat  intellectuali  operationi. Altera  quaestio  est:  cum  sint  tres  virtutes  inteiiores,  imaginativa,  cogitativa,  et memorativa,  quaeritur  quaenam  sit  illa  quae  imraediate  serviat  intellectiiali  operationi. Notum  est  enim  operationem  intellectus  dependere  ab  istis  virtutibus;  nOn  est  autem possibilo  quod  depcndeat  aeque  primo  a1)  omnibus  tribus,  quare  erit  una  quae  imme- diate  sorviat  ipsi.  Ista  difficultas  consistit  in  hoc,  quia  ex  quo  intellecta  universalia siint  colligata  cum  iutentiombus  universalibus,  ut  dixit  Averroes  iu  commento  39°,  et dependent  ab  eis  in  esse  et  conservari,  et  cura  ponimus  habitus  remanere  in  intellectu cessata  actuali  intellectione;  licet  Avicenna  sit  iu  oppositum,  tamen  in  secta  Peripa- leticorum  videtur  sibi  contradicere.  Si  ergo  habitus  remanent  in  intellectu  et  dependent a  phantasmatibus,  videtur  quod  cogitativa  non  sit  illa  quae  immediate  serviat  iutellectuali  operationi,  quia  cogitativa  non  servat  pbantasmata,  sed  est  in  medio  imaginativae, quae  servat  species  sensatas,  et  memorativae  quae  conservat  species  insensatas.  Cum ergo  species  iu  cogitativa  nou  conserventur,  sed  statim  deleantur,  videtur  quod  si  ipsa esset  ministra  ipsius  iutellectus,  quod  etiam  species  nou  remanerent  in  intellectu,  ex quo  species  sunt  colligatae  cum  inteutionibus  imaginatis;  quare  videtur  dicendum quod virtus  serviens  intellectui  sit  meniorativa  respectu  specierum  insensatarum,  aut  imaginativa  respectu  specierum  sensatarum;   ex  altera  parte  videtur  quod  talis   non  sit imaginativa  aut  memorativa quum  virtus  immediate  serviens  intellectui debet  esse uobilissima  omnium  formarum  materialinm,  et  propria  hominis  ut  homo  est,  sed  talis virtus   non  est  memorativa  aut  imagiuativa,  ergo.  Anterior  patet   ex  dictis  supra et maxime  in  coramento  vigesimo  et  trigesimo  tertio;  brevior  probatur  quia  memorativa aut  imagitativa  non  est  forraa  nobilissima  inter  alias  formas  uobiles,   sed  talis   est cogitativa  quae  est  propria  hom'.nis  in  quautura  homo;  per  eam  enim  virtutem  homo diflfert  ab  aliis  animalibus,  cum  ipsa  careant  cogitativa,  licet  memorativam  et  iraagi- nativara  habeaut,  et  loco  cogitatik'ae  habent  aliam  virtuteni  ut  existimativam. In  hac quæstione  ut  in  ceteris  multi  sunt  modi  dicendi.  Joannes  in  quaestioue  15* et  satis  ingeniose,  videtur  dieere  quod  ad  creandam  inteliectionem  non  solura  requiritur species  intelligibilis,  sed  etiam  actus  virtutis  cogitativae,  quia actus est sicut  dispositio necessaiio  requisita  ad  creandam  intellectionem;  sed  ad  hanc  speciem  intelligibilem  non requiritur  iste  actus,  scilicet  immediate  quautum  ad  speciem  pendentem  a  virtute raeraorativa,  quae,  cum  sit  virtus  conservativa,  potest  conservare  species  existeutes  in intellectu;  et  ita  tenet  Joannes  quod  ad  causandam  speciem  intelligibilem,  in  intel- lectu,  non  requiritur  iste  actus  virtutis  cogitativae,  imo  niliil  facit  ad  hoc:  sed  illud quod  immediate  ministrat  intellectui,  quoad  causandas  species  intelligibiles,  est  virtus iraaginativa  aut  meraorativa:  memoratjva  qnoad  species  insensatas,  imaginativa  quoad species  seusatas,  et  quia  hoc  non  vidt-tur  suflficere  pro  intellectione  causanda,  ideo  pro hoc  ponit  alium  actum  specialiorem  actu  imaginativae  aut  memorativae,  qui  actus est  sicut  dispositio  necessario  acquisita  ad  intellectiones,  et  quoad  istum  actum  immediate  dependet  a  cogitativa,  et  cessante  ista  actione  cogitativae  cessat  actualis intellectio.  et  ita  vult  quod,  quoad  ea  quae  remaneut  in  intellectu,  dependeat  a  memorativa  et  quoad  intellectiones  a  cogitativa,  et  habet  pro  se  dictum  Commeutatoris commento  33°  ubl,  iu  fiue  commenti,  dicit  quod  sine  hac  virtute  imaginativa  nihil  anima intelligit.  Si  quis  teueret  hanc  opinionera,  haberet  niodum  respondeudi  ad  hanc  quæstionem  satis  probabilera,  et  tunc  secuudum  hoc  patet  responsio  ad  arguraentum.  Quia enim  dicebatur  nou  reraauent  in  cogitativa  species,  sed  bene  in  aliis  virtutibus:  dicitur  quod,  quoad  istum  actum  qui  est  conservare  species,  non  dependet  a cogitativa,  sed  bene  in  hoc  actn  dependet  a  raeniorativa.  Et  patet  etiam  respousio  ad  al. terum  quum  dependet  etiara  a  cogitativa  quoad  illum  actam.  Secuudura  sententiam AQUINO (si veda)  esse"F3TfficiIius  respondere. Licet  non  viderira  hanc  materiam  iufinite  tractam 24 ab  eo,  ijosset  tamen  secundum  eum  dici  qund  immodiate  operatio  intellectus  dependet  a cogitativa;  et  cum  dicitur:  cogitativa  nou  retinet  species,  ergo  nec  intellectus  poterit  eas retinere  cessante  actuali  intellectione,  seciuidum  AQUINO (si veda) esset  negandum  quod  species intelligibiles  sint  colligatae  cum  intentionibus  imaginatis,  quia  dicit  ipse  quod  anima separata  a corpore  retinet  habitus  et  species  quas  acquisivit  in hoc  mundo.  Mihi  tamen videtur  quod  dictum  Averrois  sit  magis sensatum,  scilicet  quod  species  intelligibiles  sint colligatae  cum  intentionibus  imaginatis,  quum  si  non  essent  colligatae,  cum  species  remaneant  in  intellectu,  non  deberemus  unquiim  oblivisci,  quod  non  sequitur  secundimi Averroom,  et  licet  istud  argumentnm  non  demonstret  quia  posset  dari  aliqua  responsio apparens,  est  tamen  multum  probabile;  et  si  dicatur  quae  ergo  est  virtus  immediate ministvans  intellectui,vel  dicatur  ut  dicit  Joannes, vel  aliter  quod  cogitativa  sit  immediate serviens  iutellectui;  et  cum  dicitur  species  non  remanetin  cogitativa,  dico,  quoad  conservari,  species  pendent  ab  imaginativa  seu  memorativa;  quo  vero ad  produci  pendent  a cogitativa,  numquam  enim  intellectus  posset intelligere aliquid  qnod  sit  in  memorativa Ch.  lOSreeto  aut  imaginativa,  nisi  cogitativa  prius  illud  cogitaret,  et  iste  modus  posset  teneri;  sed liabet  contra  se  instantiam,  quia  si  species  quae  sunt  in  intellectu  pendent  a  cogitativa quoad  produci,  et  non  conservari,  tunc  non  erit  idem  producens  et  conservans,  quod  videtur inconveniens  in  istis  operationibus  intellectus;  sed  aliqui  non  Iiabent  hoc  pro  inconvenienti  sicut  dant  exemplum  de  souo  producto  in  aure:  qui  sonus,  etsi  obiectum  produceus  talem  sonum,  non  sit  praesens,  tamen  por  aliquod  tempus  durat  in  aure;  similiter  oeulus  qui  diu  versatus  est  in  colore  viridi,  licet  auferatur  obiectum  producens talem  speciem,  tamen  per aliquod  tempus  remanet  species  coloris  viridis in  oculo. Ecce ergo  qualiter  non  est  inconvenieus  agens  producens  non  esse  conservans, quura talis species  conservatur  in  ociilo, licet  non  sit  agens  eam  producens.  Si  quis  ergo  (non)  habet hoc  pro  iuconvenienti  potest  istum  niodum  acceptare,  posseut  et  alii  modi  imaginari de  quibus  non  loquor  ad  praesens  et  sic  finis  tractatus  de  intellectu. Utrum  in  absentia  sensibilis  possit  creari  sensatio. Quum  dictum  est  quod  hoc  modo  fit  seusatio,  scilicet  quod  sensibile  imprimit suum  simulacrum  in  ipsum  sensum,  et  quod  sensatio  niliil  aliud  est  quam  illud simulacruui  existeus  in  potentia  sensitiva  debite  et  sufficienter  dispositum  per  sanguinem  et  per  spiritus.  cadit  modo  dubitatio  an  iii  absentia  sensibilis  possit  creari sensatio;  et  videtur  quod  non,  quum LIZIO,  iu  textu  commenti  sexagesimi  libri secundi,  dixit  quod  sensatio  est  alteratio  et  passio  sensus  a  sensiliili;  ergo  si  non adsit  sensibile  non  alterabitur  nec  movebitur  ab  eo  sensus,  ergo  non  fiat  sensatio secundum LIZIO,  quare.  Item  secundura  nos  hoc  videtur  impossibile,  quia  sen- satio  non  est  aliud  quam  simulacrum;  modo  si  non  existet  sensibile,  non  existet eius  simulacrum,  ex  quo  tale  a  sensibili  effective  prcducitur;  ergo  implicatur  quod sensibili  non  existente  sit  sensatio.  Oppositum  tenet  Commentator  in  libello  De  somno et  vigilia  et  in  libro  de  Golliget;  unde,  ut  ipse  ostendit,  duobus  modis  accidit  quod seusatio  fiat  sine  sensibili.  Unum  modum  pouit  in  libro  De  somno  et  vigilia  et  alium modum  in  Coll.  In  libro  De  somno  ponit  quod  in  somno  accidit  quod  sentiamus sine  sensibili,  sicut  quandoque  iufirnii   sentiuut  dulcedinem  vini,  licet  non   biberint viuum,  vel   si  biberiut,  illiid  tameu  uou  est  dulce  et  est  alteiius  saporis.  Ecce  quod aeger  gustat  et  sentit  dulcediuem  viui,  licet  dulce illi uon  sit  pvaeseus.  Quomodo autem  sit  possibile,  dicat  Commentator,  et  dicit  quod  hoc  modo  fit:  uatura  primo  sen- sibile  agit iu seusura  exteriorem  impiimendo  in  illum suum simulacrum,  demum sensus  exteiior  imprimit  simulacrum  qiiod  iu  se  liabet  iu  seusum  communem,  sensus vero   communis  eodem  modo  agit  in  imaginativa,   et  in  imaginativa   reservatur ipsa species  et  hoc  fit  in  ordine  recto. In  ordine  vero  retrogrado  fit  modo  contrario.  Imaginativa  enim  quae  sibi  reservavit speciera sensibilem,  eam imprimit in sensum exteriorem,  et  sic  sensus  exterior  movetur  iterum  a  specie  sensibili,  licet  ipsum  sensibile  actu non existat, et  non   sit   praeseus.   x\lium  modum dat commentator  in libro   CoU.  quomodo   idem contiugat,  et  diiit   quod   hoc   etiam contingit  in vigilia.  Natura  sunt quaudoque  aliqui ita  abstracti  cogitando  circa  aliquod  quod  prius senseruut,  ut  eodem  modo  sensus  exterior  priucipiet  simulacriim  ipsius  rei  de  qua  cogitat, licet  talis  res  non  actu  e.xistat;  et  isti  ita sunt  angeli  visi,  dicit  Commentator, uou  quod  angeli  videautur,  sed  quia  aliquis  ila  iutense  cogitat  de  angelis  visls  (ut) species  angelorum  producatur  ab  iraagiuativa  iu  sensu  communi,  et  a  sensu  communi iu  sensu  exteriori,  et  sic  iudieabit  sensus  exterior se  videre  angelos, quod  non erit ita.  Qnod  si  ita  esset,  ut  dicit  Commentator,  quid  edt  de  lege  nostra  quae  pouit  quod angelus  Raphael  VISVS est a  Tobia?  et   quid    de  augelo  Gabriele   qui VISVS est  a  Beata  Virgine?  Possemus enim dicere quod  isti  angeli  uumquam  visi  sunt  ab  aliquo homine,  sed  homines  cogiLant.'S  de  angelis crediderunt  se  vidisse  angclos.  Similiter possemus  dicere  do  Ciiristo  quod  ipse  non  iutravit  ad  apostolos  ianuis  clausis,  quia ita  imaginabatur  de  Christo,  et  sic  periret  tota  lex  nostra;  quod  si   ita esset quid facereut  isti  raiseri  patres  et  maxime  isti  zoculautes,  qui   tantam  abstiuentiam    faciunt sed  peius  est  quod  AQUINO (si veda),  qui  fuit  vir  ita  divinus  et   sapiens,   fuit huius opinionis.  Videatis  ipsum  in  Quæstionibus  disputatis,  ubi  expresse  affirmat  quod  dia- bolus  multoties  mittit  speciem  alicuius  seusibilis  delectabilis  ad  sensus  hominis,  ut in  eis  inducat  malas  cogitationes  et  faciat eos  peccare,   et citat  Rabbi  Moyseu  qui dicit  quod  homines  aliqui  suut qui  dicuut  se  loqui  cum Deo,  et  falsum est,  quia uon  est  verum  quod  cum  eo  loquantiir,  sed  cogitando  de  illo,  videtur  eis  quod secum loquatur.  Si  ergo ita  sentit AQUINO (si veda),  quid  erit  de  lege  uostra  ?  Hanc opinionem  iuuititur  impugnare RIMINI (si veda);  et  primo,  quia  data  ista  opinioue,  auferretur tota  lex  nostra  et  omuis  certitudo  de  lege,  clarum  est  ex  dictis,  quum  secuudum  illam opiuiouem  possent  multa  uegari  quæ les  affirmat.  Quod  autem  omnis  certitudo  auferatur,  data  illa  opinione,  osteudo  quum,  secundum illam opiuionem, nou  essem  certus an  essem  uunc  iu  schola  ista,  aut  in  aliquo alio  looo;  sirailiter  non  certus  an vos essetis  Iiic au  non;  quia  facile  mihi  videtur  quod  uos  omnes  simus  iu  ista  schola  quia cogito  nos  esse  in  ista  schola,  et  sic  erit  de  quacumque  alia  re,  et  ita   nulla  erit certitudo  in  nobis.  Multa  alia  sophisraata  adducit RIMINI ad  destruendam  istam opinionem  quae  transeo  ne  sim  taedio. Credo quod  in  parte  verura  sit  quod  dicitur  a  Commentatore;  ueque  ex  hoc  aufertur certitudo,  quia,  ut  huic  vel  simili  argumeuto  respoudet  Ccmmentator,  quod  uuus  sensus decipiatur  est  possibile  sicut  oculus  iu  visione  baculi  existeutis  iu  aqua,  quia  iudicat ipsum  esse  fractum  et  quod  iu rei  veritate  non  est  fractus;  sed  quod  omnes  uut  plurcs  seusus  decipiautur  circa  idem  obiectum  uou  couliugit,  quia uuus ceitificat  alterum  sicut tactus  certificat  nos  de  baculo  quod  non  sit  fractus,  quum  per  visum  iudicatus  est  esse fractus.  Si  ergo  ibi  dicit  Commentator  quod  cerlitudo  sensibilis  non sumitur  ab  uno seusu,  solum  quia  uuus  sensus  potest  decipi  circa  uuum  obiectum,  sed  sumitur  certitudo  ipsius  seusus  ab  omuibus  aut  pluribus  sensibus  exterioribus,  quia  non  accidit quod  plures  sensus  decipiantur  circa  idem  obiectum,  ita  dico  ego  in  proposito  quod ex  opinione AQUINO (si veda) non  tollitur  omnis  certitudo,  quia  licet  in  visione  ipsius  Abraam coutigisset  quod  uuus  homo  fuisset  deceptus,  non  possemus  tamen  dicere  quod  totus populus  qui  vidit  Abraam  sit  deceptus.  Consimiliter  quaudo  Christus  apparuit  discipulis  et  iutravit  ianuis  clausis,  non  possemus  dicere  quod  hoc  fuerit  quia  ita  visiim est  omnibus  apostolis  quia  cogitabaut  de illo;  quia licet hoc possemus dicere    de uuo,  quia  hoc  est  satis  probabile,  non  tamen  de omnibus   apostolis   possemus hoc dicere,  quia  nou  est  credeudum  quod  omues,  qui  erant  sexagiuta,  imagiuareut  de  eadem re,  sed uuus  cogitabat  de  uua  et  alter  de  altera  re;  ideo  nou  posseraus  dicere  quod omuibus  illis  per  eamlem  visionem  visum  sit  videre  Christum  iutrare  ianuis  clausis. Unde  recitatur  iu  uua  epistola  Sancti  Petri quod  cum  apostolis  suporvenisset  Spiritus Sauctus,  et  loquebatur  unusquisque  magnalia  diversis  sermonibus.  Credebant  apostoli, se  esse  hebraeos,  sed  quum  unusquisque  videret  omnes  alios  eodem  modo  loqui  diversis linguis,  certificati  suut  omnes  se  uou  esse  hebraeos,  sed  hoc  esse  quia  repleti  spiritu sancto,  et  ita  cum  uostra  opinioue  salvatur  veritas  legis,  salvatur  etiam  omnis  certi- tudo,  quia  sensus  certificant  me  quod  sim  in  hac  cathedra;  et  tunc  ad  argumentum dico  quod  seusatio  fit  cum  sensibile  agit  in  sensum.  Dicitur  quod LIZIO loquitur de  sensatione  quae  est  actio  recta,  non  de  actioue  reflexa   qualis  est  sensatio   quae fit  siue  ipso  seusibili,  et  ad  argumeutum  supra  quod   maxime  fuudatur RIMINI, scilicet:  si  est  sensatio  oportet  quod  sensus    moveatur   a  sensibili,  ergo    si    sonsus debet  moveri  a  sensibili,  oportet  quod  sensibile  existat  in  actu,  quia   omne  quod movetur  secuudum  quid,  movetur  etiam  in  aetu,  ergo  repugnat  quod  sit  sensatio  et seusibile  uon  sit  praeseus;  item  LIZIO  infra,  in  capite  de  olfactu,  dicit  nihil aliud  est   olfactus,  nisi  quod  olfactibile  sit  praeseus  ipsi  olfactui  et  moveat  sensum, quare. Dico   quod    primuni    argumentum  nihil  est,    quia    infirmus   patitur a  viuo dulci  quod  sibi  videtur  amarum;  si  ergo  fiat  istud  argumentum:   iste  aeger  sentit  et gustat    hoc  vinum  esse  amarum,  ergo   hoc  viuum  est  amarum,   clarum   est quod argumentum  nou  valet.  Ita   uon  valet argumentum  Gregorii:   sensns    patitur,  ergo sensibile  est  praesens,  et  in  re  ad  extra;  sed  suflicit  quod,   si  habet  fieri  seusatio, quod  sensatio   existat  secundum esse  spirituale. Si  autem  habet    sentiri    seusibile secuudum   esse   reale,    oportet. dicit  Themistius,  quod   solvantur  tres  conditiones, scilicet  debita  dispositio   es parte organi,  et similiter ex   parte  medii   et   debita distantia  sensibilis  a  sensu.    Sciendum    tameu  quod,  licet   sentiamus    id  quod   non est  modo  dicto,  non  dicimus  tameu  tunc  quod  seutimus,  sed  dicimus  quod  videmur sentire;  sicut  ego  cum  eram  iuvenis  delectabar  mirum  in  modum   audire  sonum  ti- biarum,  et  imraorabar  per  duas  vel   tres  horas  ubi  sonarent  tibiae,  dein  exibam  et ibam  domum,  et  cum  eram  domi  videbar  audire  souum  tibiarum  quia  adhuc  reservabatur  spncies   soui  tibiarum,  et  dicebam  videor  audire  quia   sciebam    quod    uon sonabant  tibiae  ibi,  sicut  mihi  videbatur ;  ratio   autem  quare,  verbigratia,  dicimus audii-e  tibias  sonantes  est  quia  tuuc  decipimur,  et  non  vere  audinnis,  quia  iu  re nou  est  sonus  tibiarum.  Similiter  dicimus  quod  remus  videtur  nobis  fractus  et  uon dicimus  quod  est  fractus,  quia  rei  veritate  uou  est  fractus,  et  sic  verum  est  quod  nihil vere  sentitur  nisi  ilhid  sit  existens  praesens,  et  hoc  forte  volebat  Gregoriusin  secundo argnmento.  Ad  aliud  dicatis  qiiod  de  olfactu  loquitur,  de  ea  quae  est  actio  recta, non  autem  de  ea  quae  est  actio  reiiexa,  sicut  ad  praesens  nos  loquimur  de  sensatione. Utrum  cogUatlva  denudet  speciem  substantiae  a  sensihiUbus propriis  et  communibus. Dicebat  Commentator  quod  cogitativa  denudat  speciem  substantiae  a  sensibilibus propriis  et  communibus.  Circa  hoc  dubitatur  quia  non  videtur  verum;  quia  si  cogi- tativa  deuudaret  speciem  substantiae  a  seusibili  commuui  et  proprio,  tunc  cognosceret speciem  substantiæ  sine  quautitate  et  loco,  et  similiter  tempore,  et  tunc  cogitativa cognusseret  universaliter,  quia  omnis  virtus  cognoscens  aliquid  abstractum  a  quantitate  et  loco  cognoscit  universaliter,  et   sic  esset  intellectus. Item implicat quod recipiatur  species  substantiæ  sine  quantitate, quum  secundum  Commeutatorem,  primo  Physicorum,  quantitas  est  principium  individuationis.  Expugnat  ergo  quod  una  species  sit  in  cogitativa  sine  quantitate.  Secundum  quod  facit ditficultatem  est  quia  omne  receptum  recipitur  secundum  naturam  recipientis;  sed cogitativa  est  cum  quantitate,  cum  sit  virtus  materialis  et  estensa;  ergo  species substantiae  recipietur  in  ea  secundum  quantitatem.  Ad  hauc  dubitationem  dari  pos- suut  duo  responsiones;  prima  est,  quod  argumenta  differunt;  sed  Commentator  noluit quod  cogitativa  denudet  speciem  substantiae  ab  omnibus  scilicet  sensibilibus  communibus,  quia  de  facto  cognoscitur  talis  species  cum  quautitate,  sed  voluit  Comnientator quod  ab  aliquibus  sensibilibus  commuuibus  deuudet  speciem  ,  scilicet  a  motu  et  a numero.  Sed  haec  responsio  videtur  extranea,  primo  quod  faciat  Commentator  intel- lectum  perfectum  ;  secundo,  quia  cum  video  album,  video  ipsum  cum  quantitate  et similiter  cum  figura,  motu  aut  quiete,  et  cum  uumero.quia  aut  est  unum  aut  plura;  quare  videtur  quod  illa  expositio  non  sit  conveuiens.  Ideo  do  aliam  responsionem concedendo  quod  cogitativa  denudet  speciem  substantiae  ab  omuibus  sensibilibus commuoibus.  Et  tunc,  ad  primum  dicatis  quod  licet  cogitativa  apprehendat  speciem substantiae  sine  quintitate  et  situ,  non  tameu  sequitur  quod  cogiiativa  cognoscat universaliter,  quia  illa  intentio  esl;  una  et  siugularis  licet  sit  sine  quantitate;  quod si  quaeritur  per  quod  talis  species  sit  una,  dico  quod  est  una  per  se  ipsam  et non  per  ipsam  quantitatem;  formae  enim  per  se  ipsas  sunt  ununi  et  nou  per  quan- titatem,  nec  quantitas  est  causa  distinctionis  unius  ab  altera,  sed  formae  ex  se ipsis  distiugurmtur  et  priores  sunt  quautitale;  et  sic  ad  primum  prima  responsio.  Ad secundum  vero  dicemus  quod,  licet  species  substantiae  sit  recepta  in  cogitativa  per modum  quantitatis  et  extensionis,  uon  tamon  oportet  quod  extense,  et  per  modum quantitatis  reputemus.  Aliter  possemus  dicere,  sicut  AQUINO (siveda)  et  alii,  quod  omnes  animae animalium  perfectorum  sint  indivisibiles,  et  dicunt  ad  illud  argumentum  quod  fit contra  eos;  omae  receptum  recipitur  secundum  naturam  recipientis,  sed  materia  est quanta  et  estensa,  ergo  anima  quae  in  ea  recipitur  est  extensa  et  divisibilis:  dicunt isti  negando  anteriorem  illam,  secundum  quod  sic  absolute  profertur,  quia  secundum eos  non  oportet    si    aliquid    recipiatur   in    materia    extensa,  ut   illud    receptum  sit exteusiuu  et  divisibile.  Sed  dicunt  quod  iOa  auterior  curreus  per  ora  pbilosophorum debet  intelligi  secundum  capacitatem;  sic  dico  ergo  ego  in  proposito,  quod  non  oportet ut  species  substantiae  recipiatur  cum  quantitate,  licet  recipiatur    in   virtute   materiali  et  extensa,  et  ad  illam  piopositionem  omne  receptum  etc secundum capacitatem.  Quare. Utrum  tactus  sit  nobilior  visu. Circa  textum  et  commentum  34"  cadunt  aliquae  difficultales.  Prima  est  quia  videtnr contradictio  iu  dictis  Pliilosopbi  bic,  et  in  principio  Metapbysicorum.  Similiter  et  in De  sensu  et  sensato,  quum  hic  dicit  quod  habemus  perfectissimum  tactum,  in  prœmio  Metaphysicorum  dicit  quod  perfectior  est  in  nobis  sensns  visus  quia  plus  sic  nobis differentias  ostendit,  ideo  ipsum  valde  diligimus  quia  et  subcoelestia  et  ipsa  corpora  cœlestia  nobis  ostendit,  quod  non  sic  est  de  aliquo  alio  sensu.  Ideo  talis  sensus est  valde  perfectus. Ifem  in  De  sensii  et  sensato  dicit  LIZIO quod  sensus  auditus  est  valde perfectus  quia  est  sensus  disciplinae:  pe;'  auditum  enim  percipimus  verba  præceptoris, quorum  signis explieitis  a  doctore  fimus  scientes,  et  ita  in  uno  loco  videtur  dicere LIZIO visum  esse  in  nobis  perfectiorem  tactu,  in  alio  vero  loco  ipsum  auditum: liic  autem  dicit  tactum  esse  perfectissimiim  in  nobis,  quare  expressa  apparet  contra- dictio.  Dicatur  quod  verum  est  quod  visus  est  perfectior  quantum  ad  id  quod  facit cognoscere,  quia  multa  plura  et  perfectiora  cognoscimus  per visum  quam  per  taetum: per  accidens  tamen  tactus  perfectior  est  ipso  visu,  scilicet  ratione  suae  complexionis, tum  quia  est  fundamentum  omnium  aliorum  sensuum,  tam  interiorum  quam  exteriorum;  pari  ratione  dicatur  de  auditu,  quod  scilicet  auditus  est  perfectior  quantuiu ad  id  quod  facit  nos  cognoscere,  tactus  vero  ratioue  complexionis. Utrum gustus  sit  perfectior  olfaclu  vel  e  contra. Tertia  dubitatio  est  quam  hic  movet Themistius:  quia  quod  dicitur  ab LIZIO videtur  falsum,  scilicet  quod  nomina  odorum  transferautur  ab  ipsis  aliis  sensibilibus, quia  gustus  est  in  nobis  (magis)  raauifestus,  seu  maior  olfactu;  modo  hoc,  ut  dicit  Themistius,  videtur  falsum,  scilicet  quod  gustus  iu  uobis  sit  perfectior,  quia  gustus  videtur esse  æque  perfectus  sicut  olfactus,  quod  probat  Themistius  assumendo  rationem  Philosophi.  qua  ipse  ostendit  quod  olfactus  sit  in  nobis  imperfectissimus. Ratio  Philosophi fuit,  quia  non  olfacimus  r.isi  cum  laetitia  aut  tristitia,  ergo  iste  sensus  est  in  nobis valde  impsrfectus.  Modo  dicit  Themistius  eodem  modo  arguo  de  gustu,  quia  quae equidem  gustamus,  gustamus  cum  laetitia  aut  tiistitia,  quia  sapores  sunt  dulces  aut amari,  aut  ex  illis  commixti;  si  dulces,  appreheuderaus  a  gustu  cum  lætitia,  si  amaros  cum  tristitia:  sic  etiam  est  de  mediis  secundum  quod  magis  appropinquantur dulci  aut  amaro;  ergo  si  ratio  quare  in  nobis  sit  impcrfectus  olfactus,  est  quia  nonolfacimus  nisi  cum  laetitia  aut  tristitia,  eadem  ratione  coucludam  gustura  esse  in  nobis ita  imperfectum  sicut  olfactum.  Ad  hanc  dubitatiouera,  non  praeferens  me  Themistio, credo  quod  posset  sic  redici.  Notaraus,  dixi  credo  dubiose  loquendo  et  non  assertive, quia  responsionem  quam  dabo,  uon  dabo  per  modum  determinautis,  quia  si  Themistius non  est  ausus  solvere   lianc   dubitationem qui fuit  tantus  philosophus, tanto magis  debemus iios  modeste   loqui;    sed  quod  dicam,  dicam  coniecturando,    pro  quo sciendum   quod  aliqui  sunt  qui  non  laetantur  aut  tristantur  nisi  in  re  magna,  licet PORTICO dixerint  quod  nec  iu  magiiis  nec  in  parvis  debemus  laetari  aut  tristari.  Verum ACCADEMIA  et  LIZIO  oppositum  tenuerunt:  iii  rebus  magnis  licet  nos  tristari  aut  lætari, quia  hoc  est  naturale.  Neque  est  opinio  Stoicorum  quod  non  liceat  in  re  magna.  Unde, ut  scribitur,  cum  quidam  stoicus  haberet  iter  versus  Athenas,  dum  esset  in  intinere cecidit  ex  aere  tempestas  maxima;  ex  cuius  adventu  maxirae  turbatus  est  ille  stoicus; quod  cum  vidissent  qui  cum  eo  erant,  dixerunt:  tu  qui  stoicus  es  turbaris  ita  ista tempestate?  At  ille  dixit,  conturbor  quidem  quia  in  re  magna  licet  contristari.  Aliqui ergo  sunt,  qui  in  re  magna  solum  tristantur,  et  lætantur  modo  in  re  parva;  aliqui vero  sunt  qui  licet  piiidentes  sint,  ex  aliqua  modica  re  tristantur  et  lætantur,  quod  est ex  aflfectione  et  amore.  Sicut  cum  essem  Paduae  accidit  ut ibi  fieret  praeludium. Erat  autemquidam  senex,  qui  habebat  filiumin  præludio,  qui  si  modicumbene  se  habebat,  di- latabatur  os  eius  usque  ad  aui^es  pro  laetitia  quam  habebat  erga  filium;  si  non  modice, male  se  habebat  et  angustiabatur  senex  pro  tristitia.  Multi  ergo  in  parvis  laetantur. aut  tristantur.  Ubi  autera  non  sit  affectio  aliqua  aut  passio,  in  parvis  non  licet  lætari:  hoc  enim  faciunt  stulti,  sed  in  rebus  magnis  licet  tristari  aut  laetari.  Hoc  stante possumus  arguere   quod  olfactus  sit  in  nobis  iraperfectus,  quia  cum   non  sit  multa unigenitas  naturæ hominis   circa  affectionem  ad  sensum  olfactus,  ideo  si  non  olfacimus  nisi  cum  lætitia  aut  tristitia,  hoc  arguit  quod  olfactus  solum  percipit  magnas differentias  odorum,  et  ita  olfactus  arguitur  imperfectior.  Modo    cum   sit  unigenitas maxima  naturae  hominis  ad  gustum  nt  tactum,  quia  suot  sensus  salvantesindividuura  in vita,  ideo  sive  parvae,  sive  magnae  sint  saporum  differentiæ.in  perfectione  earum  laetatur aut  tristatur  gustas,  et  ideo  licet  non  gustemus  nisi  cum  laetitia,  aut  tristitia,  non  tamen sequitur  quod  sit  gustus  aeque  perfectus  sicut  olfactus:  quia  ex  quo  non  est  laetitia aut  tristitia  in  parvis,  sed  solum  iu  rcagnis,  ubi  non  est  affectio  et  homo  non  habeat affectionem  ad  olfactum,  ergo  si  non  olfaciat  nisi  cum  laetitia  aut  tristitia  non  perci- piemus   nisi  magna  olfactibilia:  et  ita  sequitur  olfactus  imperfeetio;  modo  cum  homo habeat  affectionem  ad  gustum,  licet  non  pereipiamus  gustabilia  nisi  eum  lætitia  aut tristitia. -non  tamen  ex  hoc  sequitur  gustus  imperfectio:  quia  licet  non  gustemus  nisi cum  laetitia,  aut  tristitia,  tamen  ex  affectione  quam  habemus  ad  gustum,  non  solum circa  magna  sed  et  cirea  parva  gustabilia  lætamur  aut  tristamur  in  perfectione  eorura. Ideo  non  sequitur  etc.  Quare. Quomodo  gustus  sit  quidam  tactus. Circa  textum  et  comraentum  101'  oritur  dubitatio  quam  movet AQUINO (si veda),  et  praecipue circa  iliam  partem  in  qua  LIZIO probat  quod  gustus  sit  quidam  tactus.  Dubi- tatio  ergo  est  quia  si  gustabile  est  quidam  tangibile,  et.  gustus  est  quidam  tactus, ut  dicit  LIZIO,  non  essent  nisi  quatuor  sensus  exteriores,  non  autem  quinque; quia  giistus  non  ponitur  in  numerum  cum  tactu,  quia  species  non  ponitur  in  nu- merum  cum  suo  genere.  Gustus  autem  est  species  tactus,  est  enim  quidam  taclus,  ut  Ch.228verso dicit LIZIO,  quare  etc. Respondet AQUINO (si veda)  quod,  cum  dicitur  quod  gustus  sit  quidam tactus,  hoc  potest  iutelligi  duobus  modis:  uno  modo.  qiiod  sit  species  tactus  sic  quod  et gustus  percipiat  qualitates  tangibiles,  et  lioc  modo  est  falsum  quod  gustus  sit  quidam tactus,  imo  gustus  et  tactus  sunt  diversae  poteutiae  diversa  obiecta  respieientes.  Alio modo  potest  iutelligi  quod  gustus  sit  quidam  tactus  similitudinarie,  et  isto  modo  in- telligit  Aristoteles  cum  dicit  gustum  esse  quemdam  tactum:  similitudo  autem  est  quia sicut  tactus  non  indiget  medio  extrinseco,  ita  gustus  eo  nou  indiget;  ideo  gustus,  se- cundum  hoc,  videtur  esse  quidam  tactus:  nihil  aliud  dicit  AQUINO (si veda). Ista  responsio,  licet  sit  conveniens,  non  tamen  videtur  ex  toto  satisfacere,  quia si  ideo  gustus  dicitur  quidam  tactus  quia,  sicut  tactus,  non  iiidiget  medio  extrinseco, sed  solo  iutrinseco,  ita  ut  gustus ;  pari  ratione  olfactus  dici  posset  quidam  visus, quia,  sicut  visus  eget  medio  extrinseco,  ita  olfactus:  sed  olfaetus  non  diceudum  qui- dam  visus  ;  nullibi  enim  hoc  dixit  LIZIO,  quare  nec  illa  ratione  assignata  ad AQUINO (si veda) gustus  deberet  dici  quidam  tactus. Dices  forte  quod  aeque  bene  olfactus  potest  dici  quidam  visus  sicut  gustus  dicitur quidam  tactus,  licet  LIZIO  dixerit  de  gustu  et  non  de  olfactu;  sed  licet  ita  posset dici,  illa  tamen  responsio  Thomae  non  quadrat  responeioui  quam  dixit LIZIO  quod ideo  gustus  est  quidam  tactus,  quia  gustus  est  quidam  humor,  et  humor  est  quoddam tangibile;  et  ita  videtur  velle  Aristoteles  quod  ideo  gustus  est  quidam  tactus ,  quia percipit  humorem  qui  est  quoddam  tangibile,  seu  perceptibile  a  sensu  tactus.  Dude, ut  dixit  Commentator,  impossibile  (est)  quod  gustus  percipiat  saporem  nisi  prius  percipiat humorem,  et  ita  non  vult  LIZIO  quod  gustus  dicatur  quidam  tactus  rationc  quam adduxit  AQUINO (si veda),  sed  ratione  quam  adduximus  nos. Sed  tunc  stat  altera  difBcultas   quia  humor   nou  est  sensibile  proprium   sensus tactus,  quia  seusibile  proprium  est  quod  per  se  sentitur  ab  imo  seusu  tautum;  sed  humor non  solum  a  tactu  percipitur  sed  etiam  a  gustu;  quomodo  ergo  erit  humor  sensibile proprium,  quare.  Nec  nostra  responsio  videtur  sufficiens. Ad  hoc  possent  dari  multae  respousiones.  Primo  dicerem  quod  gustus  non  percipit  illum  bumorem,  sed  cum  gustus  et  taetus  iu  liugua  fundetur,  iu  eodem  nervo, ille  nervus  est  qui  percipit  ilium  hiimorem,  non  autem  gustus.  Unde  gustus  non  posset percipere  saporem,  nisi  ille  humifieret,  nec  ob  hoc  sequitur  quod  gustus  percipiat  talem humiditatem.  Non  enim  sequitur:  hic  sensus  non  potest  percipere  sapores  nisi  me- diante  humiditate,  sicut  non  sequitur:  visus  non  percipit  colores  nisi  habeat  humidi- tatem,  nam  si  distillaretur  illa  humiditas  ab  oeulo,  nou  posset  oculus  percipere  colores, ergo  visus  percipit  illam  humiditatem,  quare. Sed  ista  responsio  non  videtur  consona  verbis Commentatoris,  quia  Commentator  non dicit  quod  gustus  non  percipit  sapores  nisi  humetiat,  sed  dicit  nisi  percipiat  humorem, et  ita  vult  Commentator  quod  sicut  gustus  percipit  sapores,  ita  percipiat  humorem.  Ideo posset  aliter  dici  quod  Commentator  erravit,  et  fuit  illius  opinionis,  vel  et  aliter  susti- nendo  Commentatorem,  gustus,  in  materia  gustus,  percipit  illumhumorem  et  non  potest gustus  percipere  sapores  nisi  illius  materia  scilicet  uervus  percipiat  illum  humorem.  Ut etiam  aliler  dicatis  quod  gustus  in  rei  novitate  veritate percipit  illum  humorem,  et  sic etiam  percipit  saporem,  et  non  perciperet  saporem  nisi  prius  perciperet  humorem.  Et cum  dicitur  quod  tunc  humor  ille  non  esset  sensibile  proprium  sensus  tactus,  conse- queuter  etc;  cum  autcm  dicitur  quod  seusibile  proprium  est  quod  ab  uno  solo  sensu sentitur;  didtiir  quocl  seusibile  iiroprium  al)  vuio  solo  seusu  sentitur  per  se  et  solitarif,  sed  bene  potest  tale  sensibile  ab  alio  senau  sentiri  non  solitarie,  sed  ut  est  coniunctum  cum  alio  sensibili;  et  sic  in  proposito,  licet  humor  percipiatur  a  gustu,  non  tamen ex  lioc  tollitur,  quando  sit  sensibile  proprium  sensus  tactus,  quia  a  solo  tactu  solitarie [lercipitur,  et  non  ut  est  coniunctus  cum  aiio  seus'bili.  Si  autem  percipiatur  a  gustu, uon  percipitur  ab  eo  solitarie,  seJ  ut  cum  eo  est  sapor,  qui  est  obiectum  proprium yustus.  Et  sic  satis.  Teneatis  respousionem  quam  volueritis. Ulrum  grave  et  leve  sint  substantiae. Modo  iu  hoc  quod  dixit  Commentator  est  dubitatio  an  grave  et  leve  sint  substan- liae.  Pro  parte  affirmativa  est  Commentator,  qui  expresse  lioc  f.itetur;  pro  parte  vero negativa  suut  plurimae  auctoritates  Philosophi  st  rationes.  Prima  est  auctoritas  Phi- iosophi  quiuto  Metaphysicorum  textu  commLMiti,  15'  ubi  expresse  dicit  quod  sicut  cali- ditas  et  frigiditas  sunt  in  terLia  specie  qualitatis,  sic  gravitas  et  levitas  sunt  in  tertia specie  qualitatis,  uon  erjo  suut  gravitas  et  levitas  formae  substantiales. Secunda  auctoritas  Philosoplii  est  iu  secundo  De  geueratione,  textu  commeuU,  ubi vult  idem,  quare.  Aliquae  auctoritates  adducerem,  sed  quia  in  istis  duobus  locis, expressa  iutentioue  et  per  se  determinat  de  gravi  et  levi,  si  vero  alibi  de  hoc  dicit aliquid,  ut  in  septimo  Metaphysicorum  ex  iucidenti,  et  cum(?)  non  ex  propria  intentione, hoc  modo,  scilicet  ideo,  volo  (vos)  esse  conteutos  his  duobus  rationibus. Ratioues  vero pro  ista  parte  adsunt  plures,  prima  vero  est  haec.  Nulla  coutraria  sunt  subitautiae, grave  et  leve  sunt  coutraria,  ergo  non  sunt  substantiae.  Alteram  ponimus  per  Aristote- lem  iu  cap.  de  substantia,  ubi  dicit  quod  in  substantia  uou  est  contrarietas,  ergo  quao sunt  contraria  uou  sunt  substantiae.  Illud  idem  dixit  LIZIO  in  quinto  Physicorum. Quod  autem  grave  et  leve  sint  contraria  pouimus  per  LIZIO  quavto  Cœli  et  in secundo  De  generatioue,  quare.  Secunda  ratio  est:  nullum  immediate  productivum operationum  est  substantia.  Proposilio  liaec  accipitur  a  Philosopho  in  De  sensu  et  sen- sato,  ubi  dieit  quod  ignis,  quatenus  igiiis,  uon  est  activus,  sed  quatenus  calidus,  et  sic non  vult  Pliilosophus  quoi  iguis  concurrat  ut  agens  immediatura  et  per  se  ad  aliquam operationem  effective,  sed  grave  et  leve  immediate  producunt  motus  ascensus  et  de- scensus,  ut  ponimus  ex  primo  Coeli,  ergo. Tertia  ratio.  NuIUim  per  se  sinijibile  a  sensu  exteriori  est  subiectum.  Ista  est communis  conceptio,  et  quasi  una  maxima,  quia,  ut  commuuiter  dicitur,  sensus  non  se profundat  usque  ad  substantiam  rei. Verum  est  quod  Commentator  voluit  quod  sensus nou  iu  quautum  seusus,  sed  ia  quantum  sensus  humanus,  cognoscit  substantiam.  Sed Commentator  iu  hac  sua  fatuitate  deviat  a  veritate  et  sibi  ipsi  contradicit.  Sed  grave et  leve  per  se  sentiuntur  secundum  sententiam  LIZIO.  Non  eiiim  est  obiectum, sicut  dicunt  quidam  paedagogi,  quod  grave  et  leve  sentiuntur  per  accidens,  quia  LIZIO  vult  quod  eontrarietas  levis  et  gravis  cum  coutrarietate  calidi  et  frigidi  faciat tactum  esse  plures  seusus;  quod  nou  esset  si  grave  et  leve  esseut  sensibilia  per accidens;  sensibilia  enim  per  accidens  non  plurifioaut  seusum,  qnare.  Item  vide- tur  irratiouabile  quod  substantia  cognoscatur a seusu,   quia  vix  intellectus  potest  coguoscere  ipsam  siibstantiam;  imo,  iit  dixit  SCOTO,  substantia  non  cognoscitur  nisi per  maginim  discursum,  licet  in  lioc  opinio  Scoti  contradicat  LIZIO.  Cum  ergo laboret  iatellectus  ad  cognoscendam  substantiam,  irrationabile  est  concedere  quod  sub- stantia  a  sensu  cognoscatur,  sive  quatenus  est  sensus,  sive  quatenus  est  humanus;  imo concedendo quod  gravitas  et  levitas  sint  substantiae,  non  solum  habemus  concedere quod  sensus,  qualis  talis  sensus,  sed  qualis  sensns,  cognosceret  substantias,  quia  non solum  homo,  sed  etiam  bestiae  sentiunt  gravitatem  et  levitatem. Item  secundum  fidem et  secundum  tenentes  quod  substantia  non  suscipiat  magis  et  minus,  non  possumus tcnere  quod  gravitas  et  levitas  sint  substantiae.  Secundum  fidem  hoc  sustineri  non  potest quia  Eucharistia  est  gravis,  quia  videmus  quod  descendit,  et  tamen  illa  gravitas  non est substantia,  quia  in  Eucharistia  non  est  aliquid  de  substantia,  quod  erat  in  illa  ante- quam  consecraretur,  neque  substantia  corporis  Christi  est  gravis;  ergo  gravitas  a  qua provenit  ille  motus  descensus  est  accidens,  et  quaedam qualitas.  Secundum  etiam  te- nentes  substantiam  non  intendi  aut  remitti,  non  possumus  hoc  sustinere  quia  gravitas et  levitas  suscipiunt  magis  et  minus,  et  nulla  substantia  recipit  magis  et  minus; ergo  gravitas  et  levitas  non  sunt  substantia,  sed  accidens.  Sed  quod  ad  Commentatorem qui  expresse  dicit  quod  sunt  substantiae?  Primo,  possumus  dicere  quod  Coraentator erravit,  nec  est  adhibenda  fides  ipsi  Commentatori,  quia  in  hac  difficultate  roperitur  solus Commentator  et  in  contradictione;  in  pluribus  enim  locis  dixit  oppositum ,  ubi  voluit quod  sint  qualitates  et  non  substantiae.  Ideo  possemus  dicere,  sicut  dicunt  legistae, quid  quando  inveniunt  aliquem  suorum  doctorum  in  uno  loco  dicentem  unum,  et  in alio  oppositum,  dicunt  quod  est  una  bestia,  quia  sibi  contradicit;  nec  talis  debetur sustineri,  quia  nescimus  quam  partem  tenuerit  pro  firmo,  cum  in  uno  loco  dicat  unum et  in  alio  contrarium,  sicut  uos  possumus  dicere;  volentes  tamen  honorare  Commen- tatorem,  dicemus  quod  una  et  propria  opinio  Commentatoris  est  quod  gravitas  et  le- vitas  sint  qualitates  de  tertia  specie  et  non  substantiae.  Quod  autem  dixitCommen- tator  in  hac  digressione,  scilicet  quod  sunt  substantiae,  non  dixit  secundum  propriam opinionem.Unde  non  possumus  non  mirari  de  quibusdam  fatuis.  quia  adscribunt  hanc opinioneraCommentatori  tamquam  sit  illius  sententiae,quia  solum  in  isto  Commento  hoc reperietis:  in  iufinitis  vero  locis  reperietis  ipsum  dicere  quod  sunt  qualitates  et  accidentia non  autem  substantiae.  Teneatur  ergo  pro  firmo  quod  opinio  propria  Commentatoris  est quod  grave  et  leve  non  sint  substantiae,  sed  qualitates  de  tertia  specie.  Sed  dices  si haec  opinio  est  Commentatoris  quomodo  vocabitur  sua  ratio,  quae  probat  quod  tangibile uon  est  unum  obiectum,  quia  scilicet  calidum  et  frigidum  sunt  in  praedicamento  qualitatis,  grave  vero  et  leve  in  praedicamento  substautiae?  Dicatur  quod  uon  probat  illud per  hoc,  sed  quia  grave  et  leve  habent  diversum  modum immutandi  sensum  tactus  a  calido  et  frigido,  quumgrave  et  leve  immutant  per  motum  localem,  illa  vero  alia  sine  motu. Ideo  ex  diversitate  modi  immutaudi  sensum  tactus  sequitur  pluralitas  in  ipso  tactu. Utrum  gravc  et  leve  cognoscantur  absque  motiv. Circa  idem  commentum cadent  difficultates,numquid  grave  etleve  non  cognoscantur  nisi  per  motumut  vero diceret  Commentator.  Videtur  enim  quod  non  possint cognosci  sine  raotu  locali,  sicut  experientia  testatur,  quia  non  sentimus  an  aliquid sit  grave  vel   leve    uisi  illud   poiideremus,  ponderatio vero  non  fit  nisi  cum  motu locali.  Hæc  etiam  videtur  sententia  Commentatoris  in  digressione  quae  dicit  quod  uon cognoscuntur  grave  et leve  uisi  mediante  motu.  lu  oppositum  arguitur  quod.cum  motus sit  sensibile  commuue,  ti  non  percipiatur  grave  aut  leve  nisi  mediaute  motu,  non  sen- tiuuturni&i  mediante  seusibili  communi;cum  autem  sensibile  commuue  non  percipiatur sine  sensibili  contrario  prius  percepto,  per  quod  ergo  proprium  sensibile  perciperetur motus  ille  mediaute  quo  cognoscimus  grave  et  leve?  Quod si  dicatis  quod  sensibile proprium  per  quod   motus   coguoscitur   sit   calidum  aut  frigidum,  hoc  non  videtur, quia  possumus  seutire  gravitatem  aut  levitatem  uulla  liarum  qualitatum  percepta,  quod ergo  eiit  propiium  et  per  se  sensibile  per  quod  iste  motus  comprehenditur,  nou  vi- detur  esse  nisi  calidum,  quare. Ad  hanc  dubitationem  cousuevi  alias  aliter  dicere ,  sed  inveni  unam  aliam  respousionem  quae  melior  est  quam  illa  alia.  Diceudum  ergo  quod  prius  percipio  hoc esse  grave  quam  percipiam  ipsum  moveri,  et  sic  de  levi  dicatur,  et  mediante  gravi- tate  percipio  motumgravis  qui  cst  sensibile  commune.  Sed  dices:  quod  dices  ad  Commentatorem  quod  dixit  quod  nou  seutitur  gravitas  aut  levita?  nisi  mediante  motu?  Dico quod  hoc  uon  dicit  Commentator  si  bene  inspiciautur  verba  eius,  sed  dicit  Commeutator: uon  sentitur  gravitas  aut  levitas  uisi  grave  aut  leve  moveatur,  et  diceret:  ergo  nou percipitur  gravitas  et  levitas  nisi  mediante  motu.  Primum  enim  verum  est,  secundum vero  falsum.  Unde, licet  motus  sit  prior  natura  quam  perceptio  iUarum  qualitatum, prius  tamen  iliae  a  sensu  cognoscuntur  quam  talis  motus,  quare. Numquid  sensus  tactus  sint  phires. Circa  illam  quaestionem.  numquid  seusus  tactus  sint  plures  secundum  sit  uua potentia,  factum  est  argumentum  quod  est  tale:  si  tactus  essent  plures  sensus,  non tantnm  essent  plures  sensus  exteriores,  sed  plures  quam  quinque;  sed  tantum  sunt quinque  sensus  exteriores,  ergo  tactus  non  est  plures  seusus  sed  unus. Ratio  est  boua quia  cst  coniradictio  talis  facta  ex  destructione  consequentis  ad  destructionem  antecedentis.  Argumentum  declaratur,  quum  si  sensus  tactus  uon  esset  unus  sed  plures,  ad minus  essent  duo  sensus,  quia  minor numerus  qui  potest  repeiiri  est  numerus  binarius; sed  alii  sensns  exteiiores  a  tactu  sunt  qnatuor:  visus,  auditus,  olfactus  et  gustus: modo  duo  et  quatuor  faciuut  sex,  ergo  ad  minus  essent  sex,  et  sic  esseut  plures  quam  quinque  et  uon  tantum  quinque Aristoteles  ubicumque  loquitur  de  sensibus erterioiibus  et  etiam  Ecclesiastes  dicifc:  peccasti  in  quinque  sensibus;  quare  sequitur quod  seusus  tactus  non  sit  plures  sensus. In  oppositum  est  LIZIO  in  capite  hoc.  Ad  hoc  argumentum  difEcile  est  respon- dere. Respondet  enim AQUINO (si veda)  quod  sensus  esteriores  sunt  tantum  quinque,  et  sensus exteriores  sunt  plures  quam  quinque,  nec  ista  contradicunt,  quod  declarat;  nam  sensus  ex- teriores,  secundum  species,  sunt  plures  quam  quinque,  quum  tactus  sunt  plures  secundum speciem,cumplures  sint  potentiae  tactivaesecundum  speciem;et  itaeuumerandopotentias tactivas  cum  aliis  quatuor  potentiis  aliorum  quatuor  sensuum  exteriorum,  secundum  speciem  plures  sunt  quam  quinque  sensus  exteriores,  seu  potentiae  sensuum  exteriorum.  Se- crmdum  vero  genus  proximum,  tantum  sunt  quinque  sensus  exteriores,  quum  potentiae  ta- ctivae  conveniunt  omnes  in  uno  geuere  proximo,  ratioue.cuius  sunt  ut  ui.a  poteutia:  et  sic sensus,  secundum  genus  proximiim,  fit  unus  sensus;  et  sic  numerando  tactura  f  um  aliis sensibus  sunt  tantura  qninque.  Genus  autem  proximum  secundum  quod  potentiae  tactivae  conveniunt  seu  in  quo  conveniunt  et  fiunt  quodammodo  una  poteutia,  sunt  sie  quia omnes  potentiae  tactivae  percipiuut  proprias  contrarietates,  per  se,  per  medium  iutrinsecum,  et  per  accidens,  per  medium  extrinsecum;  et  ideo  quia  omnes  potentiae  tactivae in  hoc  genere  proximo,  scilicet  in  uno  modo  percipiendi  sua  tangibilia,  ideo  ratione huius  generis  proximi,  omnes  firmt  ut  una  potentia  et  tactus  fit  uuus  sensus;  seciin- dum  ergo  speciem  sensus  exteriores  sunt  plures  quam  quinque,  secundum  vero  genus propinquum  sunt  praecise  quinque;  et  hoe  modo  loquitur  Aristoteles  de  sensibus  exterioribus  cum  dicit  iilos  esse  quinque,  et  non  prirao  modo  secundum  speciem.  Sed  ista responsio  licet  videatur  prima  facie  satisfacere,  interius  tamen  perscrutanti  videtur  non posse  stare,  quia  si  concedis  quod  potentiae  taotivae  sint  plures  quam  quiuque,  et  una  secundum  genus  proximum,  quod  sumitur  ex  modo  sentiendi  per  se,  per  medium  in- triusecum,  et  per  aecidens,  per  medium  extrin.^ecum ;  si  ista  sit  causa  praecisa  quare potentiae  tnctivae  siut  una  potentia,  quia  scilicet  omnes  sentiunt  per  se,  per  mediuni intriusecum,  sequitnr  quod  tantum  essent  quatuor  sensus  exteriores,  quura,  cum  gustus  et  tactus  eodem  modo  sentiunt,  scilicet  per  medium  intrinsecum,  gustus  et  tactus cssent  unus  sensus,  quia  conveniunt  in  uno  geuere  proximo  quod  est  sumptum  ab  uno modo  sentiendi.  Item  non  tantum  quatuor,  sed  duo  essent  sensus  exteriores.  Probatur quia  tres  sensus,'  visus,  auditus  et  olfactus  sunt  uuus  sensus,  cum  conveniunt  in  uno genere  proximo  sumpto  ex  eodem  modo  immutandi  seu  sentiendi,  quia  omnes  illi  tres  sen- liunt  per  se,  per  medium  extrinsecum;  gustus  vero  et  tactus  essent  uuus  alius  sensus, ut  visum  est,  quare  tantum  duo  essent  sensus  exteiiores.  Ideo AQUINO  in  prima  parte et  in  Quæstionibus  disputatis  dedit  aliam  responsionem  et  eura  secutus  est  ROMANO liie  in  expositione.  Dicunt  enim  quod  sunt  quinque  sensus  exteriores,  quia  simt  quinque modi  immutandi  ipsos  sensus:  sumuntur  autem  isti  modi  sic:  quia  in  mutatione  sensuum  exteriorum,  aut  obieetum  tantum  specialiter immutatur,  et  ex  isto  modo  immutandi  sumitur  una  potentia  quae  est  potentia  visiva;  aut  obiectum  realiter  immutatur per  motum  localem,  organum  vero  specialiter,  et  ex  isto  modo  sumitur  iraa  alia  po- teutia  quae  est  potentia  auditiva;  aut  obiectum  conveuienter  immutatur  per  motum •  alteratiouis  et  orgauum  specialiter,  et  ex  hoc  modo  sumitur  tertia  potentia  quae  est potentia  olfactiva,  fit  enim  olfactio  per  fumalem  evaporationem  quae  non  est  sine  motu alterationis;  :n  tactu  vero  et  gustu  est  etiam  immutitio  realis  ex  parte  obiecti,  et  ex  parte organi  et  sensus,  sed  aliter  et  aliter.  Omnia  aliter  immutantur  tactus  et  aliter  gustus.  quia tactus  immutatur  realiter  a  qualitate  propria  et  tangibili  cuius  est  perceptivus:  gustus \  vero  realiter  immutatur  non  secundum  qualitatem  propriam,  sed  secundum  qualitatem alienam,quia  immutatur  realiter  ab  humore  et  specialiter  recipit  sapores.  Non  enim  opor- tet  quod  si  gustus  habeat  pereipere  dulcedinem,  ut  gnstus  fiat  realiter  duk-is,  sed  bene oportet  quod  fiat  actu  bua.idus.  Oportet  autem  quod,  si  debeat  percipere  caliditatem et  alias  qualitates  tangibiles,  ut  tactus  fiat  actu  calidus,  frigidus  et  sic  de  aliis.  Et ideo  ex  ista  diversitate,  qnae  est  inter  irarautationem  realem  tactus  et  immutationem realem  gustus,  sumitur  diversitas  potentiae  tactivae  a  potentia  gustativa,  et  sic  sumun- tur  isti  duo  sensus.  Priraura  ergo  ex  istis  quinque  raodis  immutandi,  quibus  sensus cxteriores  contingit  immutari,  sumitur  numerus  sensuum  exteriorum.  Kedeun^lo  modo io ud  propositum  argnraei;ti,  dicniit  qiiod  liotentiae  tactivae  in  specie  snnt  plures;  in  ge- nere  tamen  proximo  omnes  sunt  ut  uua  potentia,  quia  omnes  potentiae  tactivae  conveniunt  in  lioc,  qund  eodem  modo  inimutantnr  ut  dictum  est.  Quare. Licet  in  quarta  re-ponsioue  esset  difficultas  quam.  tetigi  snpra,  dum  legerem  commentum  dc  Inimido,  quum  dicunl  gustum  percipere,  ad  hoc  nt  species  saporis  compreliendat;  quia,  ut  supra  diximu^,  non  videtur  possibile  quod  gustus  percipiat  hnmorem, quia  sensibile  proprium  est  qnod  nou  conlingit  altero  sensu  sentiri:  cum  ergo  humor sit  seujibiie  proprium  sensus  tactus,  quomodo  pnssibile  erit  talis  humor  a  gustir  percipi?  Sed  de  hoc  satis  dictum  iam. Verum  circa  lianc  responsionem  Thomae  et  Aegidii,  insurgit  multo  maior  difficultas; quia,  licet  venim  sit  quod,  si  tactus  debeat  percipere  calidum,  frigidum,  liumidum  et  sic- cum,  (debeat  eadem  fieri)  licet  hoc  de  sicco  non  appareat;  non  enim  mihi  videtur,  nec  ita est  quod  si  manus  mea  sentiat  aliquid  siccnm  ut  manus  mea  fiat  sicca;  non  tamen  vertnn est  in  qnalitatibus  sequentibus  quatuor  qualitates  primas.  Nec  si  tango  aliquid  leve,  manus  mea  fit  levis,  nec  si  dunim  dura,  nec  si  nuUe  mollis,  uec  si  asperum  aspera.  Dice- rera  enim:  hoc  est  extrema  fatuitas;  mihi  videtur,  quod  ratione  continui,  quia  asperum leve  et  aliae  qualitates  taugibilcs  sequentes  primas  qualitates  non  sunt  qualitates  activae, sed  bene  eas  sequuntur;  ideo  uon  oportet  quod  si  tango  aliquid  grave  quod  illud  tale  indu- cat  gravitatcm  in  ra;inu  mea,  et  sic  de  aliis  et  ita  nou  videtur  quod  omnes  potentiae  tactivae habeauteumdem  modum  immutandi  utdicit AQUINO (si veda), quia  ut  diximus.licet  duae  potentiae tactivae  habeant  eumdem  modum  immutandi, scilicet  potentia  perceptiva  calidi  et  frigidi, et  potentia  perceptiva  Iniraidi  et  sicci,  licet  de  sicco  nun  videatur  verum;  aliae  tamen  poten- tiae  liabent  uiodum  immutandi.  Ideo  pctentiae  tactivae  non  possunt esse  una  poteutia  in genere  proximo  si  deberet  sumi  genus  proximum  ab  illo  modo  immutandi  quem  po- suit  AQUINO (si veda) in  ipso  tactu;  quia,  ut  diximus,  illud  non  potest  esse  unum  genus  pro- xiunnu,  cuni  uon  sit  idem  modus  immutandi  omnes  potentias  tactivas;  ideo  do  aliam respousioneff .  Su;.    Non  sic  autem  est   de   tactu,  quum  tactus   per   se  primo pereipit  omnes  contrarietates  tangibiles.  Ideo  ratio  valet  de  tactu  quum  per  se  primo percipit  plures  contrarietates,  non  valet  autem  de  sensu  communi,  quura  sensus  communis non  est  per  se  primo  perceptivus  plurium  contrarietatum,  sed  per  se  primo  percipit  unam contrarietatem  innominatara.  Sed  ista  responsio  non  videtur  sufficiens  quum  ista  dicam de  tactu,  quod  scilicet  tactus  non  per  se  prinio  comprehendit  illas  contrarietates,  sed per  se  primo  tactus  est  perceptivus  unius  contrarietatis  innominatae,  quae  similiter vocetur  a  et  Ib;  et  ita  sicut  SENSVS COMMVNIS est  unus,  ita  sensus  tactus  erit  unus. Dixit AQUINO (si veda),  in  prima  parte,  in  Quæstionibus  disputatis,  quod  probabiliter  potest  teneri quod  sensus  tactus  sit  unus  sensus,  nec  aliqua  ratio  demonstrativa  est  in  apprehensioue; sed  quod  dicemus  sustinendo  Aristotelem?  Sustinendo  opinionem LIZIO  dicemus, quod  non  est  eadem  ratio  de  sensu  communi  et de  tactu,  quia  non  est  eadem  ratio deservo-et  de  domiuo,  quia  enim  sensus  coramunis  est  sensus  interior,  et  communis virtus  pro  eius  unitate  non  requirit  uuitatem  contrarietatum;  imo  stat  cum  unitate eius  pluralitas  contrarietatum;  modo  in  sensu  par.iculari  et  exteriori  est  bene  neces- sarium  qtiod,  si  seusus  est  unus,  debeat  esse  unius  contrarietatis  tantum  per  se  primo perceptivus.   Cum  ergo  tactus  sit  seusus  particularis   et  exterior,    si  nou  erit  unius contrarietatis  tantum  per  se  primo  perceptivus,  nou  erit  unus  sensus:  modo,  ut  apparet,sensus  tactus  est  per  se  primo  perceptivus  plurium  contraiietatum,  ut  contrarietates calidi  et  frigidi  et  similiter  contrarietates  humidi  et  sicci,  quorum  nulla  ad  alteram reducitur,  quare.  Ideo  necessario  tactus  debet  poni  plures  sensus  nou  autem  unus;  non autem  est  sic  de  seusu  coramuni. Sed  adhuc contra  nostram  determinationem insurgit  difficultas,  quam  fugiemus fugiendo  ad  sensum  particularem,  quod  si  talis  sensus  percipit  plures  contrarietates est  plures  sensus,  et  si  percipit  tantum  uuam  contrarietatem  est sensus  unus.  Modo obiicieudo  dicet  quis  quod  non  possumus  ad  hoc  fugere,  quum  visus  est  uua potentia  particularis,  et  tamen  percipit  sua  obiecta  quae  magis  distant quam  obiecta  sensus  tactus,  visus  enim  perceptivus  est  coloris  et  lucis;  modo  magis  distant lux  et  color,  quam  calidum  et  frigidum,  humidum  et siccum  et  quam  aliæ  differentiæ,  seu  contrarietates  qualitatum  tangibiiium,  quum  lux  est  qualitas  aeterna, color  vero  est  qualitas  non  aeterna;  omnes  autem  qualitates  tangibiles  sunt  genera- biles  et  corruptibiles;  modo  plus  differunt  aeternum  et  corruptibile,  quam  corruptibile et  corruptibile;  ergo  color  et  lux  magis  differuut  quam  qualitates  tangibiles,  seu contrarietates  earum  ad  iuvicem  differant;  non   ergo  est  coiicludendus  seusus  tactus esse  plures  sensus  ex  eo  quod  est  sensus  particularis  perceptivus  contrarietatum  plurlum  omnino  distinctarum,  quia  videmus  quod  visus  est  una  potentia  ut  communiter conceditur,  et  tameu  visus  est  una  potentia  particularis  percipieus  sua  obiecta  magis differentia  quam  obiecta  et  contrarietates  sensus  tactiis,  quare.  Ad  hoc  dari  possunt duae  responsioues  secundum  quod  duae  sxmt  opiniones  de  luce.  Prima  respousio  est secundum  tenentes  quod  lux  sit  idem  subiecto  quod  color,  licet  color  et  lus  forma- liter  distinguantur;  nam  secundum  istos,  color  nil  aliud  est  nisi  lus  obumbrata,  et ista  lus  et  color  sunt  idem  subiecto  et  materialiter,  distinguuntur  autem  formaliter, quia  lux  est  lux  pura,   color  vero  lux  non  pura.  Secundum  ergo  hanc  responsionem negatur  quod  color  et  lux  magis  differant  quam  contrarietates  tangibiles,  imo  sunt unum  et  idem  subiecto,  licet  formaliter  distinguautur.  Secundum  vero  alteram  opi- nionem  quae  teuet  quod  non  sint  realiter  idem  color  et  lux,  est  dicendum  quod  in comparatione  ad  ipsos  sensus  magis  differunt  obiecta  tactu-j,  quam  lux  et  color,  licet in  se  et  esseutialiter  magis  differunt  lux  et  color  quam  obiecta  tactus,  ut  probat  argumentum.  Quomodo  autem  iu  comparatione  ad  ipsos  sensus  altera  est  diversitas  inter calidum  et  frigidum,  et  huraiJum  et  siccum,  verbigratia,  quam  inter  lucem  et  colorem, declaro,  quia  comparando  lucem  et  colorem  ad  visum,  lux  et  color  se  habeut  in  qua- dam  aualogia;  primo  enim  percipitur  lux  dein  color:  color  enim  mediante  luce  percipitur,  ut  supra  dixit  LIZIO,  cum  dicebat:  color  est  actus  diaphani  secundum  actum in  actu  ilhiminati,  ut  exponebat  Commentator,  et  sic  color  percipitur  mediante  luce. Modo  in  contrarietatibus  tangibilium  non  est  talis  aualogia  quum  omnes  tales  con- traiietates  per  se  primo  percipiuntur  a  tactu,  nec  una  percipitur  mediante  alia.  ideo remauet  quod  tactus  sit  pUires,  licet  seusus  visus  sit  unus  sensus. Sed  circa  totum  quaesitum  est  ima  difficultas  per  se  et  seorsum  distincta ab  Jiis  quae  hucusque  dicta  sunt ,  quia  non videtur  omnino  necessarium  quod  tactus  sit  una  potentia  et  imus  sensus,  non  autem  plures,  quum  illa  potentia,  quæ  iudicat  circa  plures  coutrarietates  est  una  potentia ;  sed  tactus  iudicat  circa  plures contrarietates,  per  tactum  euim  et  non  per  alterum  sensum  iudicamus  an  hoc sit  calidum,  frigidum,  humidum  et  siccum ;  ergo  sensus  tactiis  est  unus  sensus  et una  potentia.  Hae  ratione  utitur  Philosophus  hic  inferius,  ubi  probat  quod  datur  alius sensus  a  quinque  sensibus,  qui est  sensus  interior,  quare.  Ad  hoc  dicatur  quod  non est  tactus  qui  ponit  differeiitiam  inter  tangibilium  contrarietates,  neque  est  una  aliqua  poteutia  tactiva,  quae  afferat  iudicium  de  pluribus  quam  de  una  contrarietate tangibilium,  sed  sensus  communis  est  qui  de  omnibus  illis  iudicat.  Decipimur  autem nos et credimus quod sit sensus tactus illud)  quod  de  omuibus  illis  iudicet,  quum potentiae  tactivae  coucurrunt  initiative,  sed  non  principaliter  ad  hoc  iudicium. Cum  enim  unaquaeque potentia percipit  suam  contrarietatern ,  suut  occasiones sensui  communi  ut  omnes  illas  contrarietates  comprehendens  de  illis  iudicet ;  ideo cum  poteutiae  tactivae  sunt  ut  principium  occasionale  huius  iudicii,  credimus  nos quod  hoc  iudicium  fiat  ab  una  potentia  tactiva,  sed  non  est  ita.  Ideo  error  est  in ista  existimatione.  Sed  rursus  iustabit  quis  uostrnm  quando  ita  dicam  quod  visus non  est  qui  iudicat  de  istis  coloribus,  sed  dicam  quod  est  sensus  communis,  qui  aftert hoc  iudicium,  et  ponit  differentiam  iuter  unum  colorem  et  alterum ,  sicut  tu  dicis de  tactu,  sed  secundum  communem  existimationem  visus  est,  quod  iudicat  de  istis  coloribus;ergo  et  tactns  iudieaMt  de  oiunibus  qiialitatibus  tangibilibiis  et  sic  teuebimus quod  sit  una  potentia  tactiva,  quae  omnes  qualitates  tangibiles  compiehendat,  ad  hoc ut  inter  illas  possit  ponere  differentias  et conveuientiam. Dici  possit  primo  conce- deado  quod  verum  est  quod  non  est  visus  qui  iudicat  de  coloribus,  sed  est  sensus communis;  visus  autem  solum  initiative  coucurrit  ad  hoc  iudicium,  sicut  quod  di- cebatur  de  tactu.  Vel  aliter  dicatis  quod  visus  est  qui  ponit  differentiam  inter  ipsos colores,  tactus  autem  nou  est  qui  ponit  differeutiam  inter  tangibiies  qualitates,  quum est  aliqua  diversitas  in  visu  et  tactu:  sed  super  hoc  considera  tu. Utrum  sensus  tactus  sint  fmiti  vel  infiniti. Cum  determiiuitum  sit  in  praeterita  quaestione  quod  seusus  tactus  est  plures,  oportet  secundo  loco  videre  an  sensus  tactus  sint  infiuiti,  an  finiti  et  quia clarum  est  quod  non  suut  infiniti .  ergo  fiuiti.  Ideo  cum  sint  fiuiti  quaerimus de  modo  eorum,  quot  sciiicet  sint  sensus  tactus,  seu  poteutiae  taciivae.  In  hoc  quae- sito  reperiuntur  multae  ac  vaiiae  oidniones.  Aliqui  tenueruut  quod  duao  tautum  essent potentiae  tactivæ,  aliqui  quod  qualuor,  aliqui  quod  quiuque,  aliisex,  alii  septem,  ut diximus,  ergo.  Una  est  opinio  quae  tenet  quod  potentiae  tactivae  sunt  tautum  duae,  una quae  est  perceptiva  calidi  et  liigidi,  et  raediorum,  alia  quae  est  pereeptiva  iuimidi  et et  intermediorum.  Aliae  vero  contrarietates  tangibiiium  aut  reducuntur  ad  has  duas contrarietates  primas  et  ab  eisdem  percipiuntur  potentiis  tactivis ,  aut  sunt  sensibilia communia.  Uude  potentia  perceptiva  humidi  et  sicci  perceptiva  est  duri  et  mollis, qnum  durum  siccum est, molle vero esfc humidum.  Ideo per  eauidem  potentiam  hanc coutrarietatem  con,prehendimus  per  quam  comprchendimus  humidum  et  siccum;  de gravi  autem  et  levi  dicit  haec  opinio  quod  sunt  sensibilia  coramunij,  ut  videtur  dixisse supra  Comraentator,  ubi  dicit  quod  ista  diio  pe;cipiuntur  sine  motu;  et ita  cum  motus  sit sensibile  comraune,  et  grave  et  leve  aut  sunt  motus,  aut  non  percipiuntur  nisi  mediante  motu,  erunt  ergo  grave  et  leve  sensibilia  commuuia;  de  aspero  autem  et  leni aliqui  dicunt  quod  reducantur  ad  humidum  et  siccum,  quia  asperitas,  scilicet  in  qua una  pars  supereminet  alteri,  provenit  ex  siccitate: levitas  vero  ubi  onines  partes  sunt aequales  et  nullum  alteri  supereminet,  provenit  ab  hiimiditate  et  ifca  reducitur  hacc contrarietas  ad  contrarietatora  quae  est  iu  humido  et  sicco.  Pouimus  ergo,  secundum banc  opiuiouem,  qualiter  omues  contrarietates  tangibilium  percipiuntur  a  duobus  poteutiis  tactivis,  et  ita  quod  tactus  sit  tantum  duo  sensus.  Aliquibus  autem  non  placuit liaec  opinio,  et  primo  quoad  hoc  quod  diximus  de  duro  et  mclli,  quod  reducuntur  ad liumiduui  et  siccura,  quia  non  coguoscinius  durum  per  solam  siccitatem;  non  euim coguoscimus  aliquid  esse  durum  ex  eo  quod  est  siccum,  sed  ex  eo  quod  est  comprehen- sivum  (compressivum?)  a  tactu  non  cedit  tactui;  similiier  nec  perapiraus  aliquid  esse raolle  percipiendo  illud  esse  humidum,  sed  ex  eo  quod  videmus  illud  cedere  tactui,  et sic  haec  opinio  videtur  falsa. Nec  stat  talis  opinio  cum  raeute  C  'mmentatoris,  quia  in  hoc  capite  Commentator vult  quod  per  aliam  poteutiam  percipiantur  oranes  hae  qualitates  tangibilium.  Unde, secundum  ipsum,  alia  est  poteutia  calidi  et  frigidi,  alia  humidi  et  sicci,  alia  gravis et  levis;  non  autem  secundum  eius  intentionem  poteutia  perceptiva  calidi  et  frigidi, et  potenlia  perceptiva   humidi    et   sicci  suut   potenliae   perceptivae  oranium  aliarum  contraiietatum  tanglbilium,  quare  secuudum  sententiam Commentatoris  non  tantum  sunt duae  potentiae  tacti\ae,  sul  plures  quam  duae. Quod  etiam  dixit  liaec  jirima  opinio de  gravi  et  le\i,   quod  sunt  sontibilia  communia  et  non  percipiuntur  uisi  mediaute motu,  non  videtur  esse  ad  mentem  Aristotelis,  quum  hoc numquam  posuit  Aristo- teles,  scd   ista   enumerat  inter  differenfias  tangibilium,  tamquam  obiectum  proprium sensus  tactus,  neque  videtur  forte  necessarium  quod  percipiatur  motus,  si  debeat  gra- vitas  et  levitas  ccmpreliendi:  quia  si  ista  duo  perciperentur  mediante  raotu,  cum  motus sit  sensibile  commune,  per  quod  percipietur  ipse  motus?  Aut  enim  per  sensibile  pro- priimi,  aut  per  sensibile  commune;  sed  non  videtur  quod  motus  percipiatur  mediante sensibili  proprio,  neque  mediante  sensibili  communi.  Non  viJletur  ergo  quod  si  debeam grave  et  leve  comprehendere,  (oportere)  ut  mntum  i|isum  comprehendam.  Quod  autem dixit  hæc  opinio de  aspero et  levi, quod  siilicet  roducuntur  ad  figuram,  videtur  esse satis  tolerabile  dictu.  QuiS,  ergo  hæc  opinio  videtur  in  multis  deficere,  ideo  altera  veperitur  opinio  quæ  tenet  quod  potentiæ  tactivae  sunt  quatuor,  scilicet:  prima  quae percipit  contrarietatem  calidi  et  frigidi,  secuuda  quae  percipit  contrarietatem  humidi  et sicci,  tertia  quaeperciplt  contrarietatem  gravis  et  levis,  quarta  quae  percipit  contrarietatem  duri  et  mollis.  De  aspero  autera  et  de  leni  non  ponitur  poteutia  ab  illis  quatuor distiucta,  quae  talis  contrarietatis  sit  perceptiva,  quia  haoc  aut  reducuntur  ad  figuram, aut  ad  contrarietatem  quae  est  iu  humido  et  sicco,  et  ideo  percipiuntur  ab  illa  potentia,  quare. Aliqui  alii,  non contenti  his  quotuor  potenfiis  tactlvis,  ponunt  unara  aliam  poten- tiam  tactivam,  quæ  attenditur  penes  dolorem  et  laetitiam. Ratio  autem  cur  ponant  hanc  potentiam  tactivam,  est  quia per  tactum  cognoscimus  delectationem  et  tristitiam,  sed  nou  peraliquam  potentiam  determinatam  ista  cognoscimus;  quia  aliquando sentimus  delecfationem  aut  tristitiam,  et  tamen  non comnrehendimus  calidum  et  siccum, durum et  molle:  sicut  si  quis vestrum  pingat  papillas mulieris, ex  illo tactu sentietis magnam  delectationem,  et tamen  in  tali  delectatione  nou  sentietis  anil  quod  tangitis sit calidum,  frigidum,  nut  humidum  et  siccum,  aut  grave  et  leve.  Similiter  si  quis patiatur  magnum  dolorem  seutit  maxiraam  tristitiam,  et  in  percipiendo  dolorem  sensit iiuanta  est sic,  quum  nescit  an  sit  calida  vel  frigida,  humida  vel  sicca;  ergo  delectatio et  tristitia  percipiuntur  per tactura,  et clarura est  ad  sensum;  et  cura  non  percipiatur ab  ali(iua  quatuor  potentiarum, videtur esse necessarium  ponere  quintam  potentiara, quae  sit  delectationis  et  tristitiae  porcepiiva. Istam  opinionem  insequentes  inter  se diversificati  suni;  quia  quidam  volunt  quod  haec  sit  tantum  una  potentia  tactiva  dispersa  per  totum  animal,  aliqui  vero  voluut  quod  sint  duae  potentiae,  uua  quae  est in  raerabris  genifalibus,  et  hæc potentia  percipit  maximam  delectationem,  qnae  possit csse  in  ipso  tactu:  delectatio  enim  quae  datur  in  actu  venereo  est  tanta,  ut  dixit Hieronimus,  ut  si  angeli  coireut,  duni  essent  iu  concubitu,  oblivis^erentur  de  oraui- bus  rebus. Aliqui  alii  ponunt  aliam  potentiam  tactivam  in  gutture,  et  haec  perceptiva  est delectafionis  in  gusta  secundum  contemporantiam  cibi,  in  qualitatibus  primis.  secnn- dum  quam  ipsum  cibura  est  conveniens  auiraali;  ista  autem  delcctafio  gulae  est  ibi  vere et  proprie  delectatio,  sed  non  est  fanta  quanta  in  venereis.  Cum  autem  istae  duae delectationcs  non  suut  lu  (|uacumque   parte  uostri  corporis;  sed  uuaquaeque  illarum fit  in  certo  et  determinato  loco;  ideo  iiosiierimt  isti  has  duas  virtutes  sensitivas  partiales  in  membris  nostri  corporis ,  unam  scilicet  in  membris  genitalibus  et  alteram in  gula.  Aliqui  alii  ponunt  tertiam  potentiam  perceptivam  tristitiae  et  laetitiae,  quam dicunt  esse  dispersam  per  totum  corpus  animalis,  et  ista  tertia  potentia  est  perceptlva laetitiae  et  tristitiae,  quæ fiimt  iu  toto  corpore,  sicut  quando  liabemus  scabiem,  sen- timus  magnum  pruritum  per totum corpus,  quem  cum  quaerimus  manu  amovere,  carpendo  ipsam  cutem,  sentimus  raagnam  delectationem  per  totum  corpus ;  verum  post hanc  delectationem  quae  est  iu  pruritu,  insequitur  maguus  dolor  et  tristitia,  qualiter non  est  iu  delectatioue  venerea  et  delectatione  gulæ;  nec  ista  delectatio  est  tanta, sicut  sunt  illae  duae.  Licet  Couciliator  fuerit  vir  magnus,  mihi  tamen  videtur  quod ista  sua  opinio  ponens  illam  quiutam  potentiam  tactivam,  quae  est  perceptiva  lætitiae  et doloris  sit  contra LIZIO,  quum  si,"  praeter  iilas  quatuor  potentias,  essetponere hanc  quiutam  potentiam,  LIZIO  fuisset  vakle  dimiuutus,  quum  Aristotelis  (sit  sen- tentia),  ego  credo  quod  sit iu testu  commenti,  quod  obiecta  tactus  sunt  diffe- rentiae  corporum  generabiliura  et  corruptibilium.  quatenus  generabllia  et  corruptibilia, quod  non  est  de  dolore  et  tristitia;  ueque  Aristoteles  in  hoc  loco,  neque  alibi  ut  in quinto  De  animalilms  enumerat  dolorem  et  tristitiam  inter  obiecta  tactus,  sed  bene enumerat  semper  alias  contrarietates.  Argumentum  taraen  hoc  non  est  deraonstrativum sed  probabile,  quia  posset  respondere  Conciliator  quod  LIZIO  solum  enumerat obiecta  tactus  magis  famosa.  Secunda  ista  opinio  non  videtur  nimis  suificiens,  quia non  potcst  bene  evadere  difficultates,  quia  cum  tactus,  secundum  Conciliatorem,  dolorem  sentiat,  tactus  cognoscet  se  dolere  et  sic  cognoscet  tactus  suam  operationem propriam.  quae  est  sentire,  quare  tactus  erit  virtus  reflesiva  sui  super  se,  quod  est falsum.  Tertio  deficit  haec  opinio,  quum,  licet  laetitia  et  dolor  non  fiant  siae  cognitione  tactiva,  uon  tameu  ista  duo  sunt  operationes  potentiae  tactivae,  sed  operationes Cli.  apprehensivae,  quae  est  una  virtus  distiucta  a  virtute  tactiva;  ideo  cum  dolor  et  tri- stitia  non  sentiantur  a  virtute  tactiva,  sed  ab  apprehensiva,  non  est  pouenda  illa  quiuta potentia  tactiva,  quae  habeat  laetitiam  et  dolorem  comprehendere,  quare  nullo  modo potest  stare  opinio  Conciliatoris.  Quare  puto  quod  melius  sit  tenere  quod  tantum  sint quatuor  poteutiao  tactivae.  Pro  solutione  autem  argumeuti  Conciliatoris,  est  tria  considerare  iu  ipso  dolore  aut  laetitia:  primo  causam  doloris  et  tristitiae  (sic),  secimdo res  quae  est  dolor,  vel  lætitia,  tertio  coguitiouem  doloris  et  laetitiae.  Tunc  dico  quod causa  laetitiae  est  impressio  conveniens  iu  ipso  tactu,  causa  vero  tristitiae  est  mala  et disconveniens  impressio  facta  in  ipso  tactu  a tangibili, et  haec  causa  percipitur  ab  ipso  tactu. Tristitia  vero  et  lætitia  sunt  qualitates  factae,  seu  genitae  in  virtute  apprehensiva,  quae qualitates  insequuntur  cognitionem  tactivam,  scilicet  illarum  passionum  convenientium aut  disconvNJuientium.  Unde  si  tactus  cognoscat  impressionem  sibi  illatam  a  tangibilibus  sub  modo  convenieutiae,  virtus  apprehensiva,  quæ  sequitur  cognitionem ta-,  ctivam,  laetatur:  si  vero  tactus  coguoscafc  impressionem  sub  modo  disconvenientiae, vittus  apprehensiva  contristatur;  neque  ex  I.oc  quod  virtus  apprehensiva  dolet,  aut tristatur sic  e.\  conveuienti,  aut  disconvenienti  impressioue  facta  iu  tactu,  oportet  ut ipse  cognoscat  laetitiam  aut  dolorem;  nou  ergo  est necessarium  pouere  quiutam  po- tentiam  tactivam  ex  eo  quod  laetamur  aut  tristamur ,  aut  ex  eo  quod  coguoscimus   laetitiam   aut  tristitiara,   sicut   posuit   Conciliator,  quia,  ut   diximus,  nou  est potentiae  tactivae  laetari  aut  tiistaii ,  sed  bene  potentiae  tactivae  est  percipere  qualitatem  impressam  convenienter  aut  disconvenienter,  ex  qua  convenienti  aut  discou- venienti  impressione oiiginatur  dolor  et  tristitia,  quare  argumentum  Conciliatoris  nullius  est  valoris.  S.d  dices:  tu  ponis  quod  tactus  nou  est  qui  doleat,  sed  tamen  oportet q>!od  virtus  tactiva  sit  iu  operatione,  si  virtus  appreliensiva  habeat  dolere  aut  tri- &tari.  Sed  contra:  quia  in  usu venereo  maxime  laetamur,  et  tamen  non  sentimus  calidum.  frigidum,  Immidum  et  siccum,  ergo  non  oportet  virtutem  tactivam  esse  in operatione  dum  percipimus  laetitiara: similiter  dicatur  de dolore.  Quomodo  ergo  hoc reducis  ad  aliquam  quatuor  potentiarum  taclivarum  cum  a  nulla  potentia tactiva percipiatur?Illud  argumentum  reputatur  insolubile,  sed istud  argumentum  aeque  bene vadit contra  Conciliatorem  quam  contra  nos:  quum  ycet  Conciliator  ponat  quod  lætitia  et  tristitia  sint  qualitates  tactivae,  quæ percipiuntur  ab  illa  quinta  potentia; oportet  tamen  ut  det  causam  ipsius  delectationis, aut  contristationis,  quod  piius  debeat cognosci  ab  aliqua  potentia  tactiva;  non  possunt  autem  creari  lætitia  et  tristitia,  nisi a  primis  quatuor  qualitatibus;  ergo  oportet  illas  esse  coguitas  ab  aliqua  potentia  tactiva, et  ita  oportet  etiam  concedere,  quod  virtus  tactiva  perceptiva  calidi  et  fiigidi, et  virtus  perceptiva  humidi  et  sicci  sint  in  operatione;  si  illa  scilicet  quinta  potentia debeat  percipere  laetitiam  et  tristitiam,  quia  lætitia  et  tristitia  non fiunt  sine  cognitione praecedente: quare  aeque  bene contra  Conciliatorem  procedit  argumentum  factum  de venereis  sicut  coutra  uos,  quia  in hoc  casu  sentitur  maxima  delectatio,  et  tameu  non sentitur  calidum,  frigidum, vel humidum  et  siccum;  quare  ideo  oportet  solvere  argu- meutum  pro  nobis,  et  pro  ipso  Conciliatore.  Dico  ergo  itaque  quod  iu  actu  venereo, ubi  sentimus  tautam  delectationem.  sunt  calidum,  frigidum,  huraidum  et  siccum reducta  ad  temperamentum,  sed  tamen  tactus  non  cognoscit  an  hoc  sit  calidum  au fvigidura,  humidum  an  siccura;  uec hoc  inconvenit,  sicut  videmus  quod  boni  coqui  faciunt  quaudoque  sapores  adeo  delicatos  ut  nescimus  an  sint  dulces,  aut  alicuius  al- terius  certi  saporis;  similiter  piotores,  admiscendo  varios  colores  ad  invicem, faciunt unum  quoddam  quod  uon  est  albedo,  neque  nigredo,  uec  per  visum  iudicamus  nos illud esse  albedinem  aut  nigredinem,  sed  percipit  visus  uuum  quoddam,  quod  nescit an  sit  album  aut  nigrum.  Bene  tamen,  cognoscit  visus  quod  illud  tale  commixtus  est color,  sed  quis  color  sit,  non  potest  discernere,  et  similiter  de  tactu  in  venereis  ;  in emissione  euim  seminis  illa  delectatio  creatur  ex  commixtione  temperata  calidi  et fiugidi,  nec  sentio  an  ibi  sit  ealidum vel frigidum.  Sed  contra  hanc  responsionem  insur- git  difficultas,  quia  diximus  quod  in  emissione  seminis  est  caliditas,  et  tamen  uon  cogno- scit  tactus  an  illud  contemperaraentum  sit  calidura,  frigidum;  sed  itera  contra,  quia  si ita  esset,  sequeretur  quod  sensus  deciperetur  circa  proprium  sensibile,  quod  est  couti"a sententiam  LIZIO  superius,  ubi  dixit:  quod  sensibile  proprium  est  quod  ab  uno sensu  contingit  sentiri,  et  circa  ipsum  non  decipitur  sensus ;  quia  in  illa  emissione seminis  est  calidum,  frigidura  et  tamen  tactus  non  percipit  calidum  ibi  existens. Si vellem  ad  hoc  dare  responsionem  corarauuem,  facile  evadereraus  argumentum,  dicendo quod  seusus  non  decipitur  ciica  proprium  sensibile  secundum  genus,  sed  bene  deci- pitur  visus  (nou)  quum  color,  sed  quum  est  hic  vel  ille  color  ut  albus  vel  niger.  Ita dicerem  quod  tactus  in  emissione  serainis  non  decipituT  iu  iudicando  an  ibi  sit  qualitas prima,   sed  bene  decipitur in  iudicaudo quæ illarum  quatuor  sit  ibi,   sed quia hæc  respoiisio  nou  est  ad  mentem  Commeiitatoris  ut  iiim  diximus ,  ideo  do  aliam respousionem  quam  iudico  esse  verara,  et  ad  mentem  LIZIO et  Averrois.  Dico ergo  quod  tactus  non  decipitur  circa  proprium  obioctum  secundumgeuus,  uec  secim- dum  speciem,  similiter  uullus  alius  sensus,  si  salventur  tres  conditiones  positae  a  Tlie- mistio:  scilicet  debita  distantia  sensibilis  ab  ipso  sensu,  debita  dispositio  ex  parte orgaui,  et  debita  dispositio  ex  parte  medii.  His  tribus  servatis,  uou  decipitur  sensus circa  proprium  sensibile ,  sed  bene  decipitur  altera  earum  deficiente,  et  sic  est  in actu  veuereo;  decipitur  enim  sensus  tactus  quia  ibi  est  defectus  ex  paite  organi,  et propter  talem  defectum  non  potest  tactus  rectum iudicium afferre de illo  sensibili; hic  autem  defectus  potest  propter  alteram  daarum  provenire.  Secuuda  causa  est  ma- xima  delectatio,  seu  appetitus  et  passio:  passiones  enim  corrumpunt  iudicium,  ex  ni- mio  enim  dolore  aut  lætitia  potest  tactus  impediri  a  recto  iudicio.  Altera  causa  est, quia,  sicut  si  oculus  habet  colorem  citrinum,  sicut  habent  aegrotantes  febre  colerica, t.ilis  visus  quodcumque  videt  iudicat  citrinum  propter  indispositionem  orgaui  visus, ieu  oculi,  sic  dico  qiiod  in  tactu,  ex  eo  quod  iu  emissione  sunt  quatuor  qualitates multum  commixtae  cum  euiittitur  semeu,  una  species  confundit  aliam  et  non  permittit tactum  rectum  afferre  iudicium  de  altera.  Illud  ergo  commixtum  ex  quatuor  primis qualitatibus  percipitur  a  potentia  perceptiva  calidi  et  frigidi,  et  a  poteutia  perceptiva humidi  et  sicci.  Sed  non  recte  percipitur  calidum  et  frigidum;  quare  salvatur  quoJ potentia  tactiva  sit  iu  operatione  dum  apprehensiva  lætatur  aut  tristatur,  et  Conciliator,  iudicio  meo,  ad  hoc  idem  debet  deveuire.  Sed  dices:  ex  toto  non  solvitur  difli-  ? cultas  quam tu non potes negare, quando sentiamus dolorem et laetitiam:  et  timc stat argumeutum  Conciliatoris:  quum cognoscimus  dolorem  et  lætitiam  et  non  per aliam  potentiam  quara  per  potentiam  tactivam,  non  per  aliam  quatuor  dictarum  potentiarum,  ergo  debet  dari  quintam  potentiam  tactivam  quac  cognoscet  lætitiam aut  tristitiam.  Quare  si non esset  auctoritas LIZIO,  adherirem  opinioni  Conciiiatoris:  sed  quia LIZIO  uumquam  posuit  lætitiam  et  tristitiam  inter  obiecta  potentiarum  tactivarum,  ideo  puto  esse  aliter  diceudum,  quae  scilicet  sit  potL'utia  cognoscitiva  doloris  et  lætitiæ.  Pro  quo  debctis  scire  quod  circa  hoc  suut  variae  et diversae  opiniones,  quae  scilicet  sit  virtus  c ognoscens  laetitiam  aut  dolorem.  Geutilis  in secundo,  ibi  iu  illa  parte  Doloris,  et  Jacobus  de  Forlivio  qui  est  etim  insecutus  dicuut quod  virtus  cognoscitiva  doloris  et  laetitiae  est  sensus  communis. Ugo  vero  Senensis ponit  quamdam  imaginativam  imperfectam  dispersam  per  totum  corpus  quae cognoscit dolorem  et  lætitiam.  Conciliator  vero  vult  quod  sit  illa  quinta  potentia  tactiva,  et sic  circa  hoc  quod  sit  potentia  cognoscitiva  doloris  et  laetitiae  sunt  opiniones iudicabiles judicabitis  autem  quae  sit  melior;  quae  enim  opinio  sit  veraDeus  scit;  sed  mihi videtur  quod  tristaii  aut  laetari  non  sit  op^ratio  virtutis  tactivae,  sed  est  operatio  ap- preheusivae,  quae  virtus,  iu  sua  operatione,  insequitur  cognitionem  potentiarum  tactiva- rum,  quae  sunt  in  operatione.  A  qua  vero  virtute cognoscatur  lætitia,  et  tristitia sum  cum  Ugone  aut  Jacobo,  nullo  modo  cum  Conciliatore.  Quare.  Et  sic  Deo  duce  expliciuut  quaestiones  Maximi  Philosophi  Ponponatii  Mantuani super tres  libros  LIZIO  de  Anima. SUrrLEMEXTA QUARUMDAM QUÆSTIONUM QUAE  PRIU.S  IMPEKFECTE  TEADITAE  SUNT. Utrum nobilitas  sclmtiac  sumatvr  a  nobilitate  subiecli  vcl  a  certitudine  dcmonstrationis. Circa  quæstionein  illam  piimi  De  anima,  numquid  nobilitas  scientiæ  sumatur a  subiecti  noLilitate,  vel  a  certitudine  demonstrationis,  et  praecipue  coutra  rationem qnae  teuet  qnod  a  nobilitate  subiecti  snmatnr  nobilitas  soieutiae;  ciica  quam  ra- tionem  dubitatur,  quia  haec  respousio  uon  videtur  vera,  nam  magis  videtnr  quod pertectio  scientiae  est  sumenda  a  certitudine  quam  a  uobilitate  subiecti. Ratio  satis  evidens  est,  qnia  cum  certitudo  sit  qnalitas,  et  se  babeat  nt  forma, subiectum  vero  ut  materia;  modo  forma  e.->t  perfectior  materia;   ideo,  cum  perfectio certitudiuis  sit  ut  forma,  perfectio  vero  subiecti  nt  materia,  altior   et  nobilior erit perfectio  certitudinis,  qnam  subiecti,  et sequeretur  qnod  scientiae,  quae  sunt  de  eodem subiecto  essent  aeqnaliter  perfectae,  quod  est  falsura;  quia  si  una  scientia  conside- raret  Deum  in  quautnm  est  iutjjligens,  et  alia  in  quantum  est  primns  motor,  valde pjrfectior  est  scientia  quae  consideret  Deuui   iu  quantum  est  iutelligens,    quara   ilia quae  cousideiet  Deum  iu  quantura  est  piimns  raotor.  Coutraria  videtur  nola,  quia istae  duae  scientiae  considerant  de  eodem  obiecto,  ergo   sunt   einsdem  perfectionis, cum  perfectio  scientiæ  attendeuda  sit  peiies  perfejtionem  iu  subiectis. Tertio  arguitur: data  illa  positione,  sequeretur,    quod  scientia  quae  esset  de  subiecto  iftinitæ  perfectiouis, illa  scientia  essat  infinita, contraria  tenet   quod    si    subiectnm    est    ali- quantisper  perfectum,  scientia  est  aliqnantisper  perfecta,  et si subiectnm  sit  iu  du- plo  perfectius  ,  scieutia  erit  in  duplo  perfectior  et  ita  procedendo;  ergo  si  subiectum  - sit  iutiuitae  perfectiouis,  scieutia  illius   erit   infiuite  perfecta;  sed  coutra  est  falsum quia Metaphysica  et  Theologia  quae  considerant  de  Dec  sint  infinitae,  quia  cum  lales scientiæ  sint qnalitates  in  nostro  intellectu,  qui  est  actu    finitus,  non  possunt  esse infinitae,  aliter  finitum  actu  reciperet  actu  infiuitum;  tanien  quia  soli  Deo  conceditnr infinitas  perfectiouis,  sustineudo AQUINO (si veda),  dicitur  vel  priuium:  cum  dicis  quod  nobi- litds  sit  a  certitudine  demonstrationis  nego.  ct  cum  probas  quia  certitudo  se  habet  ut forma,  cum  sit  qualitas,  perfectio  vero  obiecti  ut  materia;  modo  forma  est  nobilior materia;  dico  quod  iHa  propositio:  lorma  est  nobilior  materia,  intelligenda  est  in  eodem genere;  itaque   si  aliquo  duo  sint  eiusdem  generis  quorum  unura   se  habe.it  nt  forma,  alterum  vero  nt  materia;  illud  quodse  habet  ut  forma  est  nobilius  eo  qnod  se  ha- bet  ut  materia,  sed  si  suut  diversorum  generum,  dico  quia,  nt  dietum  est,  obiectum  se habet  ut  substantiale,  et  certitudo  ut accidentale. Ad  argumiutam,  cum  dicis:  sequeretur qnod  scientiae  quae  essentde  eodem  subiecto  esseut  aequaliter  perfectae;  dicas  quod  illa propositio:  perfectio  scientiae  attenditur  penes subiectum,  habent  intelligere  de subiecto formali.  Ad  argumentum ergo  non  iuconvenit  id  quod  deducitur  si  illae  scientiae  sint de  eodem  subiecto  formali  et  eodem  modo  considerato,  sed  non  sunt  duae  scientiae quae  eodem  modo  considerant  Deum:  nam  una  scientia  est,  qiuie considerat  Deum iii  quautimi  est  iiitelligens,  alia  vero  quateuiis  primus  motor.  Prima  cousidevatio  est valde  perfectior,  quia  Deus  ut  intelligeus  babet  rationem  perfectiorem  quam  ut  pri- mus  motor.  Ad  tertium,  si  teneamus  uon  esse  aliquid  iufimtimi  in  actu,  tunc  fal- sum  esset  quod  scientia  Dei  esset  infinita,  et  sic  faciliter  solveretur  argumentimi; sed  quia  fides  catbolica  tenet  Deum  esse  infiniti  sic,  ideo  oportet  respoudere  ad  ar- gumentum,  quod  est  valde  diflicile.  Ideo  isti  negant  similitudiuem  ut  primum  in quaestione  principuli,  quia dicuut  quod  licet  Deus  sit  infinitus  tamen  fiuite  compreJienditur,  ergo.  Ad  quod  aliqui  dicuut  negando consequeutiam.  Ad  probationem,  dicuut ad  anteriorem  negando  eam,  quia  secuudum  quod  isti  dicuut,  non  oportet  probationem  scientiae  adaequari  praecise  perfectioni  obiecti,  et  ita  falsum  est  quod  assmmebatur, quod  si  obiftctum  sit  perfectionis  ut  duo,  quod  scientia  illius  sit  perfectionis  ut  duo, et  sic  de  aliis,  quare  nou  sequitur:  obiectum  est  iufiuitae  perfectionis,  ergo  scientia  iliius est  infinita.  Katio  et  fandamentum  Luius  opiuionis  est  quia  iutelligeus  non  potest  perfecte iutelligere  Deum,  neque  est  capax  infinitatis  Dei,  et  sic  neque  scientia  Dei  estinfinita. Ulrum  anima  sit  immortalis  secundum  LIZIO. Circa  commentum  duodecimum  dubitatur  et  moveo  quaestiouem  quam  etiam tetigi  iu  quaestione  mea  de  immortalitate  aiiimae,  quia  tenent  AQUINO (si veda)  el  Commentator, quod  secundum  LIZIO  auima  intellectiva  sit  immortalis,  licet  diversificetur  in eorum  positione.  Tunc  arguo,  sic  abiicieudo  auimam  esse  immortalem  secimdumAri- stotelem.  Siintelligere  est  pbantasia  aut  non  siue  phantasia,  ipsa  anima  est  inseparabilis a  materia,  sed  intelligere  nou  est  sine  phautasia  ergo  anima  non  est  separabilis  a  cor- pore.  Ratio  est  conJitioualis  cum  positione  accidentis,  qualiter  arguraentum  valet  de forma.  Prima  propositio  est  Aristotelis  in  textu  12°,  secunda  etiam  est  Aristotelis, quod  apparet  per  ipsum,  nbique  locorura  ubi  loquitur  de  ipso  intelligere,  et  in tertio De anima, quod  intelligere  uon  potest  esse  sine  phantasia,  quia  necesse  est  intelligentem phantasmata  speculari:  boc  idem  habetis  ab  ipso  Pliiiosopbo  iu  quiuto  De  seusu  et  sensato,  et  iu  primo  Posteriorum  et  in  infinitis  locis,  uee  prohibemur  quod  in  breviori propositioue  uon  acceperim  illa  duo,  sed  solum  illud  ultimum  «  anima  non  est  sine phantasia»,  quia  idem  est  ac  si  adeo  illa  accipiam,  cum  ab una  parte  disiunctive  ad totum  valeat  argumentum;  quare  sequitur  qnod  auima  sit  mortalis.  Sed  dices quod illa  absolute  est  falsa,  quia  solum  est  verum  de  ipso  intelligere  animae  nostrae  pro  hoc saeculo,  non  autem  p;o  alio  statu;  vel  secundum  Averroera,  solum  habet  veritatem illam  brevior  de  iutelligere  auimae  nostrae  secundum quod  anima  est  natm-alis  forma,  non  autem  secundum  quod  se  iutelligit,  quia  in  ista  intellectione  non  indiget phantasmate.  Sic  ergo  illa  secundum  AQUINO (si veda)  est  vera  iu  hoc  statu,  uon  autem iu  alio  in  quo  nostrum  iutelligere  est  sine  phantasia;  secundum  vero  Averroem est  vera  secuudum  quod  uobis  est  forraa,  uon  autera  secundura  quod  se  intel- ligit,  Sed  coutra,  quum  ista  dicta  AQUINO (si veda) et  Averrois  praesuppouunt  animara  esse immortalem,  sed  hoc  est  quod  iuquiritur,  utrum,  scilicet,  sit  imraortalis  et  utrum habeat  aliquam  talem  operationem.  Sed  dices,  ut  dicitThomas,  quod  oportet  primo probare  utrum  anima  sit  imraortalis  et  abstracta,  deinde  probare  utrum  habeat operationem   propriam.  Sed  dico:  si  ita est, quod  soraniavit LIZIO  in  textu  12°, quod  ista  quaestio  est  necessaria  ad  cognoscendum  abstractionem  animae  ,  simiji- ter  et  Commentator  quod  oportet  ponere  ante  oculos  nostros  utrum  anima  ha- beat  aliquam  operationera  sibi  propriam  iiecne,  si  volumus  coguoscere  abstractio- nem  animae?  Si  euim  prius  oporteret  probare  quod  anima  sit  immortalis  et  dein. hoc  habito,  quod  habemus  aliquam  talem  operatiouem  propriam,  quomodo  quaestio quaerens  de  anima  utrum  habeat  operationem  aliquam  propriam  sibi,  esset  necessaria ad  cognosceudum  quod  anima  est  abstracta,  cum  Ari.<toteles  dicat  oppositum.  ut  diximus?  Similiter  non  oporteret  ponere  istam  quaestionem  aute  oculos  nostros,  scilicet utrum  habeat  operationem  aliquam  sibi  propriam,  in  volendo  cognoscere  qualitatem abstractionis  animae  ad  probandum  quod  auima  intellectiva  sit  immortalis  in  teitu quinto  et  sexto  et  septimo.  Prima  ratio  quia  reeipit  omnes  formas  materiales,  et  secunda ratio  quia  intelligere  non  est  in  organo,  cum  non  intelligat  anima  cum  hic  et  nunc. Tertia  ratio  quia  in  hoc  est  differentia  inter  sensum  et  intellectum,  quia  sensus  post magnum sensibile non comprehendit minus sensibile,  intellectus autem  post  magnum sensibile,  intelligibile  apprehendit  etiam  minus  intelligibile:  es  quibus  concludit quod  anima  nostra  est  immortalis. In omnibus  enim  autem  istis  rationibus supponit  LIZIO  quod  egeat  corpore  tauquam  obiecto,  ergo  in  omnibus  istis  supponit LIZIO  quod  anima  sit  mortalis.  Vullis  videre  quod  ad  principia  LIZIO sequatur quod  anima  nou  possit  separari  a  corpore?  Quia  ponit  LIZIO in  definitione  illius  corpus  organicum,  ergo  vult  LIZIO  quod  anima  intellectiva,  sicut  et  aliae animæ,  sit  virtus  organica;  ergo  secundum  LIZIO  anima  semper  est  cum  corpore, et  ita  non  potest  a  corpore  separari.  Dices  forte  quod  non  oportet  ad  sciendum  ani- mam  esse  immortalem  scire  an  habeat  aliquam  operationem  propriam  et  abstractam, sed  Toluit  LIZIO  qund,  si  perfecle  debeamus  scire  quod  anima  sit  immortaIis, oportet scire  quod  nec  egeat  corpore  tanquam  subiecto,  et  ita  non  est  necessarium  sciie  ista secundo  De  aniraa,  ad  sciendum  animam  esse  immortalem,  et  hoc  est  nltimum  ad quod  possunt  confugere.  sed  contra  hic  deficit  una  ratio. Item  vultis  videre  quod  secundum  LIZIO  auima  non  sit  immortalis,  et  quod uon  habeat  aliquam  operationem  propriam  et  abstractam  a  corpore,  advertatis) quia tunc,  secundum  LIZIO,  consideratio  quidditiva in  genere  causae  formalis  non  staret usque  ad  animam  intcllectivam:  quia  anima  nostra  in  aliqua  operatione  per  se  non egeret  materia,  et  sic  quantuni  ad  istam  operationem  qua,  secundum  Averroem,  intelligit semper,  vel  secundum  AQUINO (si veda),  pro  aiio  statu,  non  consideraretur  a  physico  sed  a  metaphysico,  ex  quo  non  eget  corpore  in  ista  operatione,  et  sic  dictum  LIZIO  in  primo  De  anima  plus  uou  esset  verum  quia  consideralio  naturalis  stat  usque  ad  ani- mam.  Itera  ex  felicitate  ad  idem  argno,  quia  Aristoteles  mmiquam  somniavit  illam  felicitatem AQUINO (si veda),  quia  uihil  posuit  LIZIO  post  mortem,  sed  existimavit  LIZIO quod  felicitas  animae  nostrae  solum  sit  in  hoc  mundo  et  in  scientiis  speculativis.  Imo ipse  AQUINO (si veda),  in  libro  Contra  gentiles,  asserit  quod  de  mentc  LIZIO omnis  felicitas  est  in  hoc  saeculo  et  quod  felicitas  animae  est  in  cognitione  scieutiarum  speculativarum.  et  maxime  in  raetaphysica,  nec  somniavit  illam  felicitatem  quam  ponit Averroes  de  copulatione  intellectus  possibilis  cum  agente;  qniia  si  videatis  omues  libros LIZIO  ubi  loquitur  de  felicitate  et  maxime  libros  Ethicae,  ubi  ponit  felicitatem in  scientiis  speculativis,  (videbitis  quod)  felicitatem  nou  iu  alio  mundo,  quam  in  hoc Cli.  '2munilo,  posuit  LIZIO,  uec  illaiii  AQUINO (si veda),  quia  aliam  vitam  uon  crididit;  quare concludendum  est  secundum  LIZIO  animam  esse  immortalem. Ulmm  definitio  de  anima  sit  bene  assignala. Contra  arguitur  quod  uon  sit  convenienter  assignata  sic.  Haec  dcfinitio  non  cora- petit  cuiiibet  contento  super  definito,  ergo  non  est  couvenienter  assignata,  patet consequentia:  anterior  probatnr  quia  non  competit  animae  intellectivae,  quod  patct quia  iutellectus  uullius  corporis  est  actus,  quia  sic  oporteret  intellectum  uti  organo corporeo,  quod  est  falsum  et  eontra  Aristotelem,  et  omnes  LIZIO.  Quare. Ad  hoc  argumentum  primo  respondeo  secundum  AQUINO (si veda),  secundo  secundum Commentatorem,  tertio  secundum  nos.  Dicit  ergo  AQUINO (si veda)  iu  prima  parte,  in Quæstionibus  disputatis,  et  in  multis  aliis  locis  ubi  pertractat  hanc  materiam  semper dat  hanc  responsionem,  dicendo  quod  intelleetus  noster,  quantum  est  de  ratione  sui et  ratione  potentiarum  intellectivarum,  sic  non  est  actus  corporis;  sed  ratione  poten- tiarum  sensitivarum  sic  est  actus  corpoiis.  Quando  ergo  dicitur  iutellectus  nullius corporis  est  actiis,  intelligitur  de  intellectu ratione  potentiarum  intellectivarura.  Sed contra  hanc  ratiocinationem  arguo  sic:  quia  si  anima  intellectiva,  quatenus  intellectiva est,  non  est  actus,  ideo  quatenus  inteilectiva  est,  non  erit  anima  qiiod  est  contra  LIZIO  ponentem  illam  esse  definitionem  communem  omni  animae;  imo,  secundum AQUINO (si veda),  dictam  univoce  de  omnibus  animabus,  et  sic  etiam non esseut quatuor gradus animatoriim, quod est contra  LIZIO  ponentem  quatuor  gradus  animae  in  qunrum numero  ponit  animam  intellectivam.  Posset  ad  hoc  forte  dicere AQUINO (si veda),  quod  intel- lectiva  essentialiter,  et,  quautum  est  ratione  sui  intellectus,  nou  est  anima.  et,  ut  sic,  non sunt  quatuor  gradus  animatorum,  sed  tamen  est  anima,  prout  intellectus  est  coniuuctus sensitivae,  et  sic, ratione  sensitivæ,  sunt quatuor gradus animæ. Sed  miror  de  hac  ratiocinatione,  quia  expresse  non  potest  stare  cum  eius  sententia,  quum  ipse  ponit,  quod Deus  non  posset  eam  facere  quin  essentialiter  dependeat  a  corpore,  ideo  non  videtur quod  sit  actus  corporis,  nisi  quatenus  iutellectiva  est.  Item  siimo  essentiam  animae intellectivae  in  homine:  tunc  ipsa  est  substantia, vel  ergo  forma,  vel  materia,  vel  compositum.  Non  compositum,  quia  sic  non  esset  pars  hominis;  nec  materia  ut  omnes  concedunt,  ergo  forma  et  non  nisi  corporis. Ideo  intellectiva,  quatenus  talis,  non  est  forma nisi  corporis.  Item  ipse  dicit  quod  intellectiva  est  actii  pars  essentialis  ipsius  liominis, ideo  oportet,  quod  cum  ex  ipsa  et  corporo  fecit  imum  per  se,  quodipsa  sit  actus et corpns  potentia,  aliter  non  fieret  unum  per  se,  et  per  consequens  non  videtur  quod sit  alicuius  quam corporis, ideo non  video  qualiter  illa  ratiocinatio  stare  possit.  Ad hoc  forte  diceretur,  quod  non oportet  animam  iutellectivam  actii  semper  dependere  a corpore,  licet  corpus  ponatur  in  eiiis  definitione,  sed  sufficit  quoad  aptitudinem,  sicut raoveri  sursum  est  definitio  levis,  quantumcumque  leve  non  semper  moveatur  sursum, sed  sufficit  quod  raoveatur,  vcl  posset  moveri,  et  est  simile  illi  quod  dicunt  theologi de  accidente  ut  est  quantitas,  quia  quautitas  essentialiter  dependet  a  subiecto,  sive  sit vero     [i,  subiecto,  sive  sit  non  in  subiecto,  ut  in  sacramento  altaris.  Istud  videtur  incredibile. [II  MS  ha  immortalem  in  luogo  di  mortalem.  confusione  cviclento  del  copista  corae  risulta da  tutto  il  contesto  della  questione,  il  cui  senso  complessivo  non  puo  esser  dubbio,  non  ostante qualcbe  iiaeitczza  clie  la  tia.scrizione  dcve  avei'  fatto subire alla compihiziuue primitiva. qtiod anima intellectiva esseutialiter  et  iu  se  dependeat  a  corpore  et  non  dependeat ab  ipso  in  suo  opere  quod est  iutelligere.  Itera  Deus  et natura  nih  1  aguut  frustra; si  ergo Deus  de  necessitate,  ut  teuet  AQUINO (si veda),  infundat  auiraam  corpori  sic  quod  uou posset  Deus  creare  animam.  quin  iufuudat  corpori,  valde  frustratoria  esset  ista  unio auimae  ad  corpus  si  iu  quacuraque  sua  operatione  non  indigeret  corpore.  Itera  Ari- stoteles  in  Prooemio  Metaphysicorum;  omuis  bomo  natura  scire  desiderat;  cuius  signum,  [tit  ibi  dicit  Phiiosophus,  est  sensuum  delectatio,  ut  ibi  expresse  vult  quod iutelligere animæ  nostræ  ortum  habeat  a  sensu.  Ad  hoc  credo  quod  AQUINO (si veda) diceret, et  est  ultiraa  ratiocinatio qnam possit  dare,  quod  verura  est  quod  intellectus  eget corpore  pro  sua  operatione,  sed  non  semper,  sed  pro statu  isto. Pro  alio  vero  non. Sed  haec  ratiocinatio  non  consouat  auribus  (sic)  LIZIO,  quia  esset  maximum inconveniens  quod  Deus  inoarceraverit  ipsam  per  tam  paucum  tempus  in  corpore,  et  defiuiatur  quod  non  egeat  corpire  uisi  pro  statu  isto. Ad  illud  vero  quod  dicunt  tlieologi  de  aceideute,  quod  possit  esse  sine  subiecto et  tamen  seniper  dependeat  a  subiecto,  dico  qnod  accidens  existere  sine  subiecto  est merum  impossibile  apud  LIZIO,  et  ad  illud  quod  dicunt,  quod  non  oportet  animam intellectivara  actu  semper  depeudere  a  corpore,  sed  aptitudiue:  istnd  uon  est  impossible,  quia si  sola  aptitudo  suflBceret  in  definitiouibus,  tunc  diei  primo  posset  quod  aliquid  esset homo,  et  actu  taraen  non esset animal ratinoale. Sufficeret  euim  secundum  ratiocinationem  quod  esset  aptitudine. Quare  relinquamus  istum  modura  dicendi,  et  ponaraus  illum  Averrois  qui  sic  respondet.  Conveuit  Commentator  auimam  esse  iramortalcra.  sed  unicara  in  oranibus  hominibus,  in  qua  positione  surrexit  quaedam  nova  secta  de  novo  incipientium  philosophari dicentium,  ad  mentem  Averrois,  quod  aniraa  intellectiva,  in  iutelligendo,  semper  eget organo  non  tamquam  subieeto,  sed  ut  obiecto,  et  ita  anima  intellectiva  est  actus  corporis. De  hoc nihil  vel  parum  dixi  in  mea  quaestione,  quia  non  credebam  aliquem iecto esse  ita  fatuura,  qui  lioc  diceret.  Sed  ista  ratiocinatio  est  contra  sententiara  Commen- tatoris  in commento  duodecimo  prirai De  anima,  ubi  dicit  quod  non  est  intelligendum, sicut  intellexit  Alexander,  quod  iutelligere  non  sit  sine  imaginatione. Vult  ergo Comraentator  quod  anima  intellectiva  iutelligat  sine  indigentia  organi.  Itera  est  contra Commentatorem  in  commento  tertio  huius  tertii,  qui  dicit  quod  intellectio  qua  anima intelligit  est  siue  corporeo  organo. Quare  opinio  illa  cum  verbis  Commentatoris  stare non  potest.  Ideo  aliter  dicuut  alii  et  magis  ad  mentem  Commentatoris, quod  anima intellectiva  habet  duas  intellectiones,  unara  iu  ordine  ad  nos,  scilicet  quoad  nos,  et ut  sic,  non  potest  intelligere  nisi  mediante  organo,  et  ideo,  ut  sic,  anima  intellectiva est  actus  corporis.  quæ opinio  mihi  videtur  extrema  fatuitas:  primo,  quia  ponere  illani ciconiam sic  est  somnium, quod  somniavit  Commentator  praeter  oranera  rationem,  quia aniraa  iutellectiva  non  esset  quidditative  considerabilis  a  philosopho  naturali,  sed  a metaphysico.  Ideo  omissa  etiam  ista  opinione  Commentatoris,  remanet  tertia  ratiocinatio  quara  solam  puto  esse  ad  mentem  LIZIO,  licet  in  se  falsa  sit ;  et  quod  haec sit  opinio LIZIO  confirmant  sanctissimi  et  sapientes  viri,  Gregorius  Nazianzcnus.  El  non  iniendil  per  hoc, hoc,  quod  apparel ex  hoc sennone,  superftcic  tenus,  scilicel  quod intelligere  non  sil  nisi  ciiin  imaginalione.  Vedi  .\verroe  al  Commento  12  del  De anima,  versione latina, Venezia,  et  N.,  quod  scilicet  aaima  intellectiva  sit  mortalis,  quæ opinio est  impossibilis,  quia  oppositum  monstravit  nobis  redemptor  noster  et  attestatur  raa- gnis  martyriis.  Dico  ergo  quod  intellectus,  ut  intelligens  est,  non  est  actus  corporis, quia  Deus  benedictus  in  intelligendo  et  volendo  non  eget  corpore,  quia  ipse  est  ante corpus,  et  similiter  aliæ  intelligentiæ in  intelligendo  non  egent  corpore;  sed  quia secuudum  LIZIO  lutelligentiae  non  influunt  in  haec  inferiora,  nisi  per  corpora coelestia,  ideo  ut  sic  Intelligentiae  dicantur  animae  corporum  coelestium,  sed  lioc  est improprie,  et  non  vere.  Cuius  triplex  ratio  potest  assignari,  quod  scilicet intelligentiæ  uon  sint  vere,  nec  proprie  dici  possint  animae  corporum  coelestium.  Prima  ratio, quia  Intelligentiae  sunt  vere  et  complete  existentes,  absque  aliqua  indigentia  corporis coelestis,  cuiusmodi  non  sunt  verae  animæ,  ideo.  Secunda  ratio  est  quia intelligentiæ nihil  recipiunt  a  corporibus  cœlestibus,  imo  dant aliquid  ipsis, verum  autem  animæ aliquid  recipiunt  a  corporibus.  Ideo. Tertia  ratio  est  quia intelligentiæ  creant effective,  etsi  non  productive,  tamen conservalive  corpora  cœlestia,  sed  verae  animæ  non  effective,  sed  formaliter  creant sua  corpora.  Quare  Intelligentiae  non  sunt  vere  et  proprie  animae  appellandae,  ideo istis  non  proprie  competit  definitio,  sed  aliquo  modo. De intellectiva  autem  dico  quod,  secundum  LIZIO,  essentialiter  et in  essendo et  in  intelligendo  depeudet  a  corpore,  neque  potest  esse  sine  corpore,  neque  intelligere  sine  organo  corporeo. Quod  enim  post  mortem  intelligamus  non  est  ratio,  sed in  hoc  mundo  quod  intelligamus  per  organum  corporeum  tanquam  per  obiectum  est rdtio,  quia  videmus  quod  dormientes  uon  iutelligunt.  Item  quia  intelligimus  quodcumque  velimus;  semper  enim  se  affert  nobis  aliquid  obiectum  corporeum, et  ita  sive  intelligamus  materialia,  sive  immaterialia,  semper,  in  intelligere  intellectus  nostri,  apparet organum  ut obiectum  intellectus;  ergo,  quatenus  intellectus,  non  iudiget  corpore,  quia non  omnis  intellectus  indiget  corpore,  quia  intellectus  quales  sunt  Deus et inteliigentiæ  nullo  egent  corpore  in  suo  intelligere,  non  ut subiecto, sed  ut obiecto;  et  ita anima  nostra  intellectiva est  media  inter  abstracta  et  bruta,  quia  animæ  abstractorum nullo  modo  egent  corpore  neque  ut  obiecto,  neque  ut subiecto;  animae  autem  brutorum omniuo egent  corpore,  tanquam  obiecto  et  subiecto,  quia  coguoscuut  cum  liic et  nunc;  anima  autem  nostra secundum  quod  est  intellectiva  realis  utitur  in  intelligeudo  organo corporeo,  nec  ex  toto  absolvitur  ab  organo  corporeo,  uec  enim  ex toto  et  omni  modo  iu  intelligendo  eget  organo  corporeo,  quia  nou  eget  eo  ut  subiecto,  cum  intellectio  non  fiat  cum  hic  et  nunc,  sicut  vegetatio  et  sensatio,  quae  sunt operationes  eiusdem  animae;  hic  autem  et  nunc  est  conditio  materiae. Anima  autem nutritiva  secundum  quod  realiter  eadem  est  cum  vegetativa  et  sensitiva,  et  sic  in  suis operationibus,  quæ  sunt  pertinentes  ad  vegetationem et sensationem,  indiget  corpore ut  subiecto, quia omnes tales operationes  fiunt  cum  conditionibus  materiae,  quae  sunt hic  et  nunc;  ideo  iu  talibus  operationibus  anima  intellectiva,  quatenus  sensitiva  aut vegetativa,  indiget  corpore  ut  subiecto;  modo  cum  operatio  eiusdem  animæ  intellectivæ,  quatenus  intellectiva  est,  quæ  est  intelligere,  fiat  sine  conditionibus  materiae, quae  sunt  hic  et  nunc:  ideo  in  ista  sua  operatioue  non  eget  corpore  ut  subiecto,  sed bene  ut  obiecto,  quia  quidquid  intelligatur  ab  anima nostra  intelligitur  per  aliquid corporeum. Ideo  media  est  inter  animas  cœlestium  et  brutorum. Quomodo  potentiæ  anirnae  fluant  ab  anima. Circa  quæstionem  illam:  quomodo  potentiae  fluant  ab  ipsa  anima.  nota  quod ista  quaestio  est  perfectior  quam  illa  sit  quae  est  in  Expositione  magna.  Est  igitur videndum  ex  quo  modo  potentiae  fluant  b  subiecto;  utrum  quodam  ordine  germinent ab  auima  vel  inordinate,  quod  est  quaerere  utrum  poteutiae  animae  servent  determinatum  ordinem  sic  quod  una  sit  prior et  altera  posterior,  vel  inordinate  fluant  ab anima  sic quod  illa  potentia.  quae  nnnc  est  prior,  aliquando  erit  posterior,  et  sic  de  aliis  animao potentiis.  Ubi  dicatis  quod  non  inordinate  procedimt  istae  potentiae  ab ipsa  anima,  imo servant  ordinem  certiim  ac  determinatum,  quia  natura  in  operationibus  ordinate  procedit;  si  ergo  inordinate  fluerent  istae  potentiae  ab  anima,  non  fluerent  ab  anima  se- cundum  opus  naturae;  tum  qnia  istae  potentiae  differunt ad  invioem specie,  ergo  habent  ordinem  essentialem  ad  se  invicem. Sciatis  ergo  quod  cum  tripliees sint  animæ in  genere,  scilicet  vegetativa,  sensitiva  et  intellectiva,  quæ  talem  ordinem  ad  se  invicem servant,  quia vegetativa,  via  originis, prior  est  sensitiva  et  intellectiva,  ita potentiae  animae  vegetativae,  via  originis,  sunt  priores  potentiis  animae  sensitivæ et  intellectivæ.  Similiter  quia,  via  originis,  auima  sensitiva  est  prior  intellectiva , ita  potentiæ  sensitivæ, via  originis,  sint  priores  potentiis  intellectivae. Si ergo sit Sorates generandus,  quando  generatnr,  prius  prodncuntur potentiæ  animæ vegetativæ,  postea  sensitivæ,  demum  intellectivæ.  Cuius  ordinis  signum  est quia  una  potentia  alteri  ministrat;  vegetativa  enim  ministrat  sensitivæ,  quod  obiicitur?  nam  si  quis  vestrura  ieiunet,  ita  debiiitabitur  ut  non  erit  sic  quasi  in  se,  nec quasi  poterit  videre.  Hoc  non  est  es  alio,  nisi  quod  anima  vegetativa  non  ministravit sensitivae,  sicuti  solet:  nec  loquor  de  istis  bouis  patribus,  quia  in  illis  hoc ex  ieiunio nou  evenit;  similiter  sensitiva  ministrat  intellectivae, quia  ministerio  sensus  accipiuntur species  intelligibiles  in  intellectu.  Cum  ergo  anima  vegetativa  ministret  scnsitivae et sensitiva intellectivae, ideo  anima  vegetativa,  via  originis,  prior  est  sensitiva,  et  sen- sitiva  intellectiva.  Loquendo  vera  de  ordiue  perfectionis  est  modo  contrarium ,  quia intellectiva  est  prior  sensitiva.  et  seusitiva  vegetativa.  Talis  etiam  ordo  intelligatur de  suis  potentiis:  quia  hucusque  locJiti-  sumus  de  potentiis  animae  in  generali,  nunc modo  de  potentiis  animae  in  speciali  quaerendum  est,  ulrum  potentiae  animae,  puta vegitativae,  ordinate  fluant  ab  anima  aut  iuordinate.  Ad  hoc  dico,  quod  potentiae  cuius- cumque  animae  ordinate  fluunt  ab  anima,  ut  si  loquamur  de  potentiis  vegetativae, dico  quod  tales  potentiae  servant  ordinem  certum  inter  se.  Unde  si  loquamur  de  or- dine,  secundum  viam  originis,  potentia  vegetativa  est  prior,  quam  augmentativa  et augmentativa  prior  quam  generativa;  prius enim  Socrates  genitus  verbigratia  nutritur, quam augeatur: nutritiva  enim  administrat  augmentativae.  Si enim  Socrates  debet  augeri, opoxtet  ut  nutriatur,  si  tamen  potentia  augmentativa  prior  est, via originis, quam  sit potentia  generativa,  quia  augmentativa  administrat  generativae;  non  enim  in  quacnmque  aetate  potest  Socrates  generare, sed  cum  per  virtutem  augmentativam  perveuit  ad aetatem  idoneam ad generare.  Sed,  via  perfectionis,  generativa  prior  est  quam  augmentativa,  et  augmentativa  qnam  nutritiva.  Idem  ordo  est  in  potentiis  sensitivis.  Via  euim originis,  sensus  exteriores  priores  sunt  sensibus  interioribas  et  illis  ministrant,  nam seusus  interior  non  potest  discurrere,  nisi  praecesserit  operatio  alicuius  sensus exterioris. Via  vero  perfectionis,  seiisus  interior  prior  est  exteriori.  Idem aecidit de  poteutiis intellectiis,  qiiae  sint duao,  scilicet  intelligere et velle. Via  enim  originis,  intelligere prius  est  qiiam  velle,  et  illi  ministrat,  nam  uon  possumus  aliquid  velle,  nisi  intelligamus  illud. Via  vero  perfectionis,  est  iu  contrarium. VISVM est  ergo  quod,  et  in  generali,  loquendo  de  potentiis  unius  animae  ad  potentias  alterius  animae,  et  etiani  loquendo de  ipsis  animae  potentiis  iii  speciali,  scilicet  comparando  ad  invicem  potentias  eiusdem animae,  semper  potentiae  auimae  servant  certura  et determinatum  ordinem. Oriturmodo dubitatio  de  sensibiis  exterioribus  ,  utrum  sensus  exteriores  ordinate  proveuiant  ab eadem anima  aut  inordinate.  Haec  quaestio  est  valde  difficilis,  et  causa  et  ratio  dificultatis  est  quia,  cum  nullus  quinque  sensuum  exteriorum  ministrat  alteri,  videtur quod  nullus  sit  altero  prior,  et  sic  non  videtur  quod  habeant  aliquem  ordinem  ad  se invicera,  nec videtur  quod  inordinate  proveniaut  ab  eadem anima,  cura  sint  specie  dif- ferentes;  modo  ab  eadem  causa  non  possunt  effective  potentiæ  differentes  specie aeque  primo  proveuire.  Quare. Et  hauc  dubitationem  tetigit  AQUINO (si veda)  in  prima parte.  Ad  quam  dixit  quod  non est  aliquis  ordo  inter  istas  potentias,  sed  bene  servatur  ordo  iuter  eorum  obiecta. Unde,  via  originis,  obiectum  tactus  prius  est  quam  obiectum  gustus;  nara  taugibile est  prius,  natura,  gustabili  et  obiectum  gustus  est  prius,  natura,  quara  sit  obiectum olfactus,  et  obiectum  olfactus  est  prius  obiecto  auditus,  et  obiectum  auditus  est prius,  quam  obiectum  visus,  sed in hoc mihi non sitisfacit AQUINO (si veda),  quia  necesse  est inter  istos  particulares sensus et  exteriores  ponere  ordinem  perfectionis  et  origiuis, cxmi  uon  possiut,  via  originis,  simul  ab  eadem  anima  provenire,  ut  dictum  est,  ne- que  sunt  aequalis  perfectionis  secuudura  Aristotelem.  Ideo  cvedo  aliter  esse  dicen- dura  in  hac  materia,  quara  dixerit AQUINO (si veda).  Dico  igitur  quod  in  sensibus  exteriori- bus  est  ponendus  ordo  perfectiouis,  et  similiter  ordo  originis.  De  ordine  perfectiouis non  dubitandura  secundmu  LIZIO:  visus  enim  est  perfectior  quam  alii  sensuum exteriores,  et  ita  vult  Aristoteles  quod  uuus  sit  altero  perfectior  et  ita  sit ordo  perfectiouis  ipsis  seusibus  exterioribus;  etiara  inter  istos  sensus  exteriores  servatur ordo  secundura  origiuera;  ubi  do  vobis  regulam  cognoscendi  quis  sensus  sit  prior,  via originis,  et  quis  posterior.  Ubi  advertatis,  quod  semper  seusus  exteriov  est  priov,  via oviginis,  qui  est  imperfectior,  et  ille  est  posteriov  qui  est  perfectior. Quia  evgo  visus est  pevfectiov  oranibus  aliis,  ideo  via  oviginis  est  posteiiov  oranibus  aliis. VISVS enira pvaesupponit  omnes  alios  seusus  exteriores,  nara  in  quocumque  est  visus,  simt  alii quatuor  sensus,  et  ila  gradatira  procedendo  semjer  perfectiov  est  posterior,  via  ori- ginis,  iraperfectiori,  et  ipsum  praesupponit.  E  contra  vero,  sensus  imperfectior  prior  est, via  originis,  perfectiori ,  neque  imperfectior  praesuppouit  perfectionera;  et  ita  tactus, qui  est  iraperfectior  omnibus  rliis  sensibus  exterioribus,  prior  est  illis,  via  originis,  nec quemquarn  illorum  praesupponit  Non  puto  tamen  quod  inter  hos  exteriores  sensiis sit  tanta  conuexio  sicut  in  aliis  potentiis  auimae,  quia  in  aliis  animae  poteutiis  sem- per  una  est  ministrans et  altera  rainistrata;  nec  sic  autera  est  de  sensibus  exterioribus,  quia  nuuc  non  est  (unus)  ministvans  et  altev  raiuistvatus,  sed  bene  in  extevioribus sensibus  unus  praesuppouit  alterum  via  originis.  Sed  contra  hauc  nostvam  senten- tiam  avguituv  quia,  si  ita  esset  ut  diximus,  omne  habens  visura  habevet  auditura. Consequentia  patet,  quia,  secuudum  nos,  visus,  via  originis,  praesupponit omnes alios qiiatuor  sensus  cxteriores,  secl  couscquens  est  falsum,  quia  dixit  LIZIO  in  Prœmio primi  Metapbysicorum  quod  apes  nou  habent  auditum  et  tamen  habent  visum.  Nam, ut  experentia  constat,  apes  habent  oculos  et  vident. Nam  dixit  VIRGILIO in Georgicis de  apibus  quod  iucedunt  per viginti millia ad colligenda  mella,  et etiam videmus  nos quod  omnes  ingrediuntur  in  alvearium  per tam  parum  foramen,  quod  non  esset  si apes non  haberent  visum. Item  dictum  fuit  mihi  quod  duo  sint  genera  colubrorum,  unum quod  non  videt,  sed  audit,  aliud  genus  quod  non  audit,  sed  videt. Unde  dicitiir  quod coluber ille qui non videt  posset  videre,  et  qui  nou  audit  posset  audire. Homines  non possent  in  terris  vitam  degere  propter  maliguitatem  talium serpeutium;  propter hoc dicitur  quod  natura  uni  negavit  auditum,  alteri  visum;  ergo  in  aliquo  animali reperitur  visus  ubi  noa  reperitur  auditus,  et  est  contra  uostram  opinionem. Stando  ergo  in  nostra  opinioue  quod  inter  sensus  exteriores  sit  ordo  originis,  ut diximus,  scilicet  quod  sensiis  imperfectior  est  prior,  via  originis, perfectiori. Ad primum  argumentum  possemus  primo dicere  quod  LIZIO in  Prooemio Metaphysicornm tuerit  illius  opiniouis,  quod  apes  non  audiant,  sed  in  nono  De  historiis  animalium  fuit alterius opiniouis.  quia  ibi  dixit  quod  multum  delectantur  apes  sonis,  quia  rustici cum  volunt  adi'ocare  exaraeu apum dispersum, sonant  iustrumenta  rusticana ,  ad quem  sonum  cuvruut  apes,  quae  cum  sic  adunatae  fueriut,  rustici  apponunt  aliquem alvearium  in  quo  intrant  apes  quae  erant  dispersae. Possemus  aliter  dicere  quod  illud prooemium  non  est  LIZIO,  ut  commimiter  creditur;  fertur  enira  communiter  quod verso illud  prooemium fuerit  Theoidirasti. Et  dicatis  quod,  concesso  quod  illud  prooemium sit LIZIO,  non  tamen  assertive  dicit  Philosophus  quod  apes  non  audiaut,  sed  loquitur cum  hac  particula  et  dictione  forte et  ita in illo prooemio fuit dubiiis an apes babeant  auditum  an  non, sed in  nono  De historiis animalium,  determinando  de  apibus, dixit  assertive  quod  apes  habeant  auditum, et  dat  experientiam  dictam  quod  apes multum  laetantur  sono,  quare  nostra  opinio  est  multum  cousona  cum  mente LIZIO. Ad  aliud  de  colubro  quod  habet  auditum  et  non  visum, credo  quod  illud  mihi  dictum  sit una  fanfalucata  et  impossibile.  Dedimus  in  hesterna  lectione  nonnullas  ratiocinationes  ad  argumentnm  quod  probat  contra  nos  de  apibus.  Ultra  illas  ratiocinationes possot  dari  una  alia  ratiocinatio,  quae  est  quod  verum  est  quod  omne  habens  visum habet  auditum;  sed  non  oportet,  si  aliquid  animal  habeat  visum  perfectum,  quod  tale animal  habeat  auditum perfectum,  et  sic  de  aliis  sensibus  dicatur.  Dico  ergo  iu  proposito  quod  apes  et  habent  visum  et auditura,  sed  VISVM habent  valde  perfectum, auditum  vero  valde  debilem,  et  ita  debilem  ut  nou  audiant  sonum  nisi  sint  prope ipsum;  nec  inc nvenit  quod  apes  habeant  auditum  et  non  perfecte  audiant,  nee  quod in eis  frustre^^ur  perfecta  auditio.  quia  non  inconveuit  secundum LIZIO,  quod aliqua  pote^/cia  frustretur  in  individuo,  sed  bene  inconveniret  quod  in  toto genere  animalium  irustraretur  visio  sine  auditione;  videmus  enim  quod  in  mulo  et  mula  sunt omuia  organa  servientia  generationi,  et  vulva  in  mula  et  virga  satis  magna  in  mulo et  tamen  non  possunt  generare. Ecce  quod  in  Iiis  frustratur  potentia  ad  generationera, nec  hoc  inconvenit,  nec  dedit  natura  mulo  virgam  tam  magnam  nec  mulae  vulvam ut  ex  mulo  et  mula  proveniat  generatio,  sed  hoc  fecit  natura  ad  ornamentura  talium aniraalium;  sed  bene  esset  inoonveniens  quod  in  quolibet  animali  frustraretur  potentia recto ad  generatiouem;  sic  iu  proposito  dico  de  apibus  quod  apos  habeut  orgauum  auditus, verso et  aiidiunt  sonos,  sed  valde  debiliter  audiunt,  et  non visi es loco  propinquo, et  ex suo  debili  auditu  dicebat  Pliilosophus  in prœmio  Metaphysicorum  duljitative,  quod forte  apes  non  habent  auditum,  verum  in  iiono  De  historiis  animalium  fuit  certificatus LIZIO  quod  habeaut  auditum  et  quod  audiaut,  licet  valde  imperfecte. Utrum  species  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter. Circa  quaestionem  illam:  utrum  species  sensibilis  et  sensatio  sint  idem  realiter, praeceptor  meus  tetigit  unam  novam  opinionem  quae  est  unius  excellentissimi  doctoris. Iste  enim  vir  doctissimus,  volens  salvare  doctores  antiquos,  dicit  quod  ad  visionem  crean- dam,  albedo  producit  speeiera sui  in  sensu,  et  tunc  ab  ista  specie  et  ab  anima  effective producitur  sensatio. Unde  dicit  quod  species, ut  species,  producitur  effective  a  sensibili. Ut  autem  ista  species  est  cognitio,  producitur  ab  auima,  et  sic obiectum  concuriit  mere etfective  ad  sensationem,  anima  vero  active  producendo  cognitionem,  et  passive  reci- piendo  speciem,  et  sic  salvat  iste  vir  quod  sensibilia  reducant  animam  de  potentia  ad actum,  scilicet  mediate.  Salvat  etiam  quod  sensatio  sit  operatio  animae,  quia  non  solum passive  concurrit  auiraa  ad  sensationem,  sed  etiam  effeetive  cum  ipso  simulacro. Et  sicut dicit  de  sensatioue,  quod  species  dependet  eliective ab obiecto,  sed  ut  cognitio  ab  anima, ita  dicit  esse  de  voluntate.  Sed  ista  opinio  in  multis  est  defectuosa,  primo quia  ista opinio  contradicit  doctori  suo AQUINO (si veda),  qui  dicit  in  expositione  textus  commenti centesimi  quadragesimi huius  secundi,  ubi  digreditur  disputando  de  sensu  communi au sit perfectior  sensibus  exterioribus proprii-;,  expresse  dicit  quod  licet  sensus  exterior agat  in  sensum  communem  producendo  in  illo speciem  sensibilem  quae  est  in  eo,  ut oculus  speciem  albedinis, unusquisque  tamen  sensus  particularis  et  proprius  passive et  recipiendo  concurrit  ad  sensationem  propriam. Esto enim quod concurrant  sensus proprii  effective  ad  creandam  sensationem  alienam  ut  sensus  communis,  non tollitur tamen  propter  hoc ,  ut  recte  dicit  AQUINO (si veda),  quod  sicut  seusus  communis  solum  patiendo  concurrit  ad  propriam  sensationem,  ita  sensus  exteriores  soli  passive  ad  suas proprias  sensationes  concurrant.  Ubi  expresse  fatetur AQUINO (si veda)  quod  quilibet  pure  pas- sive  et  nullo  modo  active  concurrit  ad  proprias  sensationes.  Dico,  secundo,  quod  illa opinio contra AQUINO (si veda) est etiam iu se falsa, ponendo quod ad cognitionem creandam, et  simulacnim et anima sensitiva concurrant effective,  quum  si duo agentia simul effective concurrant ad  productionem alicuius  effectus, hoc potest contingere tribus modis. PRIMO MODO quod  ambo  agentia  sint  eiusdem  rationis,  quorum  utrumque  sit  insufficiens  et  impotens  ex se producere talem affectum,  sed  ambo  eura  possiut  simul producere. SECUNDO MODO accidit quod duo agentia  simnl  concurrant,  quorum  utrumque est alterius rationis  ab  altero, et unum disponit, alterum vero inducit. TERTIO MODO accidit  quod  duo  agentia  concurrant,  unum  ut instrumentum, alternm vero ut  principale,  nec  aliquo  alio  modo  possunt  aliqua  duo  concurrere  ad  eumdem effectum. Primo modo concurrant  duo  agentia  ad  eundem  effectum  sicut  Socrates  et  Plato concurrunt  ad traheudam  navim;  nam  si Socrates sit  solnm poterit  movere  ut  duo,  similiter  et  Plato, navis  autem resistere  ut  tria,  erbigratia,  nec  Socrates  de  se  nec Plato de se  erit  potens trahere  navim,  sed  ambo  simul bene essent  potentes  trahere  navim, et Socrates  et Plato sunt einsdem  rationis  in potentia  motiva. Isto  modo primo, non  potest  hæc opinio dicere quod sensus et sensibile concurrant ad sensationem creandam. Primo quia sensus et sensibile sunt diversarum rationum tum quia si  in infinitum  augeretur  potentia  sensitiva,  similiter  et ipsi sensus poterunt de se sine altero  producere sensationes. Secundo  modo, accidit quod duo agentia simul  concurrant  ad eumdem effectuai, quorum unum subordinatum alteri, et est ut agens instrumentale, agens in  virtute alterius. Alterum  vero agens est  principale.  Hoc accidit in scissione lignorum de scindente et securi. Nam Socrates, verbigratia, scissor lignorum  concurrit,  ut  agens  principale,  ad istam  actionem  quae  est  scissio,  securis vero conciirrit ad eamdem actionem, ut  agens instrumentale, quod agit  in virtute principalis agentis. Isto etiam modo concurrit sol et  homo ad productionem  homiuum,  quia sol  ut  principale  agens  concurrit, homo vero ut instrumeutale et in virtute solis. Isto etiam modo non potest dicere hæc opinio quod sensus et sensibile  concurrant effective ad sensationem, ponendo  scilicet  quod  unum  horum  duorum  agentium  effective  concurrat  ut agens principale, et alterum ut  instrumentale, quum, si sic, aut sensus concurreret effective, ut agens  principale,  et  sensibile ut instrumentale motum a sensu et agens in virtute eius. Et est maxima fatuitas, quia fatuum est  dicere  quod cœlum aut pars cœli, ut  polus arcticus, qui a nobis ita longe abest,  concurrat  ad visionem motum  a virtute  mea visiva, et in virtute oculi mei. Aut erit e contra, scilicet sensibile concurret ut principale, sensus vero ut instrumeutum. Et hoc modo non potest dicere, quia tenet  iste  quod  sensus  principalius concurrat  ad  sensationem  quara ipsum sensibile. Item si ita esset, cognitio esset prior simulacro, quia actio potentiæ sensitivæ immediatius  concurreret ad sensationem quam actio ipsius sensibilis, sed actio sensus non est aliud quam  cognitio, actio  vero  obiecti est simulacrum. Tertio modo contingit ut duo agentia effective coucurraut ad producendum aliquem  effectum, unum disponendo materiam pro actione alterius, alterum  vero inducendo formam in materia disposita  sibi oblata. Sicut si habeat fabrefieri navis,  in ista factione navis, concurrit agens seu artifex,  qui liabet secare  ligna, ex quibus habet navis constitui. Qvæ cum fuerint secta, alius artifex, machinator et ædificator  navium  Ch.  ^oSverso compaginat et format navim. Istæ autem  duae actiones sic se habent quod prima, tempore, præcedit  secundam. Nara sector  liguorum,  prius,  tempore, secat ligna quam architectus inducat in illis formara navis;  sed uec hoc modo potest ista opinio imaginari quod sensus et sensibile effective concurrant ad sensationem  producendam, quum operationes talium  agentium, sic  effective concurrentium ad eumdem effectum, sunt  operationes diversæ,  et  diversorum  agentium,  et  sic  operatio  sensibilis  esset. (Uversa  ab operatione sensus. Non ergo concurrerent siraul sensus et sensibile ad sensationera, cura sensatio  sit  sola  una operatio, sciiicet  ipsa  cognitio; taraeu quasi sic concurrerent sensus et sensibile. Tunc sensibile  concurreret  dispositive ad  sensationera,  et sic convei"teretur ista opinio  cura  prima  opinione,  quia  tenuit  peima  opinio quod  species sensibilis disponat  animam sensitivam ut reducat se de potentia ad actum. Item multoties est imaginatio in oeulo,  et tamen non est  visio, scilicet cum  non  est  intentio ad illiid,  sed ad aliquid  aliud;  cum vero  advertis, subito sit cognitio et sensatio. Aut ergo aliquid est genitura  de novo  iu imagine, vel intentio  ipsius  simulacri, vel  aliquid  aliud.  Non  intentionem imaginis, nec aliquid  aliud  generat  sensus  in  simulacro. Quomodo ergo  concurrit  effective  sensus  ad sensationem, cum recepto simulacro, nihil in  eo  generet?  Dico e  contrario quod  ista opinio  habet  eadem  argumenta contra se quæ et  prima opinio. Nam cum ista attribuat  actionem  sensni,  non  recte  dixisset LIZIO  quod sensatio sit  ab ipso  sensibili,  qvia  sensibile  solumraodo dispositive  concurrit,  sensus  autem est  principale  efficiens. Et ita tamen saepe errasset Aristoteles in  attribuendo  operationes  efficienti  disponenti,  quæ  debebant  attribui efficienti priucipali. Quare  non  evasit iste  vir  ab  argumentis  quæ  fiunt  contra  comuninem  opinioiiera.  Alias  autem  duas  opiniones  circa  hanc  materiam  videas  in  expositione magua  et  in  quæstione  propria :  numquid species sensibilis et sensatio sint idem realiter. 1 DEO AUSPICE, ET  VALETVDINE  BONA COMITE FINIS IMPONITVR QUÆSTIONIBUS TOTIVS ANIMASTICI NEGOCII MAXIMI ILLIVS PHILOSOPHI PETRI POMPONATII MANTUANI DUM AN.XX PUBLICE PHILOSOPHIAM PROFITERETUR  BONONIAE Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords: peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto, lizio, corpore, materialismo, animo-anima, Aquino, Nifo -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Pomponio: la ragione conversazionale e l’orto romano –  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A statesman and author. Sometimes misspelled “Pompedio.” The historian Josephus said he was a senator that followed the Garden. Publio Pomponio Secondo.

 

Grice e Pontara: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale, o se il fine giustifichi i mezzi filosofia trentina – filosofia italiana -- (Cles). Filosofo italiano. Cles, Trento, Trentino. Grice: “I like Pontara: he wrote a whole essay on Kant’s problem about the reduction of the categorical to the the prudential imperative, “Se il fine giustifica i mezzi.” Uno dei massimi studiosi della nonviolenza. Fortemente dubbioso dell’eticità del servizio militare. Insegna a Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, e Trento.  Uno dei fondatori di “Per la Pace”. Studia etica pratica e teorica, meta-etica e filosofia politica. “Se il fine giustifichi i mezzi” (Mulino, Bologna). Studia non-violenza, Pace, Utilitarismo, in Dizionario di politica (Pomba, Torino); Neo-contrattualismo, socialismo e giustizia,  Democrazia e contrattualismo (Riuniti, Roma); Filosofia pratica (Saggiatore, Milano); Antigone o Creonte. Etica e politica (Riuniti, Roma); “Etica e generazioni future” (Laterza, Bari); La personalità non-violenta” (Abele, Torino); “Guerre, disobbedienza civile, non-violenza” (Abele, Torino); “Breviario per un'etica quotidiana” (Pratiche, Milano); “Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, Teoria e pratica della non-violenza” (Einaudi, Torino). G. Pontara. Pontara. Keywords: Grice on the mythic status of the contract in ‘Meaning Revisited’, Grice against the quasi-contractualist, se il fine giustifichi i mezzi, contrattualismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pontara” – The Swimming-Pool Library.

 

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