Grice e Paganini: l’implicatura
conversazionale di Roma – il Virgilio di Firenze – la scuola di Lucca -- filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo toscano.
Filosofo italiano. Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina
Commedia philosophically!” -- Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’
tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal
continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of
the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by
Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually
features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’
of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian
philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso
napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero
corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole
secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari
lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra,
col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu
nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della
dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo
decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di
Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la
espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei
di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte
ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a
Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba. unipi/it/ risorse /
archivio fotografico/ persone- in- archivio/ paganini- carlo-pagano Opere.
COLLEZIONE DI OPUSCOLI DANTESCHI INEDITI O RARI DA PASSERINI CITTA DI CASTELLO
S. LAPI CmOSE i IUHI
flSOFICI DELIiA DIVINA COMMEDIA RACCOLTE E RISTAMPATE DI FRANCIOSI CITTÀ
DI CASTELLO S. LAPI RICORDATO DA UN SUO
DISCEPOLO. In la mente m'è fitta, od or m'accora, la cara e buona imagine
paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l'uom
s'eterna. In. P., ell'aspetto e nell'animo, e come uomo venuto da secoli
lontani. Io vedo specchiata nella mia mente, che spesso lo ripensa con
riverente affezione di alunno,
la sua testa
di bellezza antica.
Fronte larga e pensosa, naso
aquilino, barba e capelli nerissimi, labbra sottili e poco pronte al sorriso,
quando socchiudeva gl’occhi e china il capo meditando, era in lui somiglianza
più che fraterna col San Paolo della Cecilia raffaellesca; ma,
nell'atto di alzare lo sguardo e la mano verso gl’alunni suoi,
sillogizzando, e rammenta piuttosto il LIZIO della Bettola d’Atene. Rado e lento al parlare per abito di
raccoglimento e per difficoltà di respiro, sopravvenu agli nel colmodella
virilità, persuade. La parola viva, stillando quasi dalla forte compagine della
sua parola pensata o dell’interna stampa, cade addentro negl’animi anche men
disposti a riceverla, come la goccia, stillante giù dalla roccia, a poco a poco
scolpisce orma profonda nel sasso sottostante. Natura di pensatore disdegnoso
e chiuso in sé, pochi lo intesero e
pochissimi lo pregiarono secondoverità. Cittadino prode, vagheggiò, lontano dal
volgo, un'idea nobilissima di paese sincero, di popolo giusto e sano. Educatore
potente, ma non ricco di propria virtù
creativa, commenta dalla cattedra, come
forse niun altro sa a'nostri tempi, l'alta
dottrina di SERBATI; benché non
possede l’attitudini del divulgatore: reca luce nuova, avviva la forza visiva,
ma nella mente di pochi. Asceta del pensiero,
un po'per indole e un po'per fiera volontà d'espiazione, esercitato in
severe continenze e astinenze di fantasia e di spirito, non ha le geniali divinazioni
dell'estro; né quel lampeggiare
improvviso di parola ispirata, in che s'aprono o s'intravedono lontananze
ideali, com'appunto in chiarore di lampo lontananze di mare e di cielo. La sua
prosa, nell'antica e salda semplicità dell'espressione, rammenterebbe la linea degl’edifici ROMANI,
se il
pensiero non vi apparisse
talora frastagliato in
minute analisi, in
distinzioni sottili, che
tengono della scolastica
medievale. Tempra di
filosofo, mente austera
e teosofica. P.
nel Poema sacro
vide il tempio,
ove l'arteumana, ispirata dalla
fede, fa sentire l'Ineffabile. Questo
egli principalmente dimostra,
pur rendendo onore
all' ingegno sovrano
del Poeta, nel
discorso " La teologia
d’ALIGHIERI; discorso, che qui
non si dà,
perchè fa parte
di volume troppo noto.
Ma de' suoi
forti studi danteschi
fanno, credo, miglior
fede le chiose,
che qui si
danno raccolte e
ordinate; dove, cercando,
con occhio chiaro
e con affetto
puro, dentro al
fantasma poetico l'occulto
e il divino,
P. riuscì ad avvertire
per la prima
volta o a
far meglio palesi
germi preziosi di
verità filosofiche. Cosi nelle
permutazioni della Fortuna
(Inf.) addita i
ricorsi vichiani; e
nel sillogismo delle
vecchie e delle
nuove cuoja (Pa-
[ALIGHIERI, Firenze, Cellini]
Ordinate per ragione
di tempo. Soggiungo
che questa ristampa
e condotta con
amoi'e di sincerità
anco nelle minime cose. Ho caro
che Casini, già mio
discepolo a Modena, abbia
rammentato tre volte
(Inf.; Purg.), sia
pure inconsapevolmente, il
maestro del maestro
suo; e una
di queste tre
volte (Purg.) offerto
a' letttri della
sua diligente esposizione
del Poema la
stillata sostanza di
chiosa paganiniana. Lo
Scartazzini, commentando la
terza Cantica, cita
P. due volte,
mala seconda volta, dopo averlo
citato, se ne
discosta senza dir
perchè; e noi
Commento all'Inferno
attribuisce a me,
certo per errore
di trascrizione, ciò,
che P. argomenta sull’apodosi
della comparazione dantesca
tra gli splendori
del mondo e
quelli de' cieli.
8 rad, il
sillogismo della stona,
che sì bene
armonizza col sillogismo del
cosmo e col sillogismo
della trinità divina;
cioè le tre
grandi età della
Preparazione a Cristo,
àBÌV Avvento di Cristo
e della Santificazione in
Cristo. Cosi nettamente distinse, restringendolo alla
creatura uomo, l'amore
naturale da quello animo;
dichiara da maestro il
verso: Averroè, che il
gran commento feo„
; segna il
giusto valore della
frase "uomo non sape„ là, dove si
tocca dell'origine
dell'idee, e dimostra da par suo che cosa valga nel linguaggio
degli scolastici subietto degl’elementi.
Le note dichiarative non fanno una grinza: quanto all’altre, io già ne
apersi, o diedi
a divedere, l'animo
mio nel Libro delle
Ragioni. Ma, pur dissentendo
in parte, riconosco
' Perez, in
una sua lettera
al Paganini, scrive: Intendo assai
bene la verità
e la bellezza
di que' tre
sillogismi della Storia,
della Cosmologia, della
Teologia; armonia del
creato e dell'increato, che
non vidi mai
annunziata in forma
somigliante „. Lettera di
Perez a P. (Nozze
Perez-Fochessati), Verona, Franchini. Tommaseo si
dice lieto d'esser
corretto da P., ch'egli
giudica uno de'
più idonei a
scrutare le intenzioni,
le dottrine, le
origini del verso
dantesco; nobilmente
confessa d'avere errato,
restringendo ai corpi
Vamor naturale, ma
insieme consiglia P. di
non restrin- gere quest'amore, ch'è
Varco fatale nell'inno
dell'ordine (Parad., I,
119), entro i
confini della creatura
intelligente. Nuovi studi su ALIGHIERI,
Torino. Giuliani in una
postilla marginale, ohe
Poletto riferisce (Dizionario dantesco), volle
far suo, credo,
il pensiero di P.
Nuova raccolta di
scritti danteschi, Parma,
Ferrari e Pellegrini,
volentieri che tutte
queste chiose dantesche,
come i lavori più
gravi" Saggio cosmologico
su lo spazio„
e "Delle più
riposte armonie tra
la filosofìa naturale
e la soprannaturale„ sono
bellissimo documento d'intelligenza acuta
e serena, d'abito
di ragionare diritto
e spedito, di
chiarezza viva di
scienza convertita, per
lunga meditazione, in
nutrimento del pensiero,
in forza operosa
dello spirito. Se
non che la
maggiore e miglior
parte dell'uomo, secondo
me, non si
palesò negli scritti
e nemmeno nell'atto
dell'insegnare dalla catte-
dra; si nel conversare
casalingo e nel
costume. Tra le
ricordanze della mia
vita di scolaro
sempre mi sarà
carissima quella de
le veglie passate a
Pisa in casa
Paganini: dove, spogliata
la toga del
professore, l'uomo appariva
in tutta la
sua grande bontà
d'intelletto e di
cuore, e il
maestro ci si mutava in
consigliere, in amico,
in fratello. Quante
dispute gentili; quanto
fervore e quanta allegrezza,
nella serenità del
con- fidente colloquio, di
pensieri e di
affetti, sempre accesi
nel piacere del
vero ! Io
penso che la
sua natura di
educatore per eccellenza
ben si palesasse allora. Chi lo conobbe
solo tra le
pareti della scuola
dovette averlo in
riverenza, ma forse
non lo amò;
chi lo conobbe
in casa, dovette
' Pisa, Nistri (Annali delle
Università toscane). Pisa, Nistri,
amarlo come padre. Semplicissimo in
ogni manifestazione del suo
spirito, P. pur serba costante dignità
e non cercata
eleganza di veste,
di portamento, di
gesto e di
parola. Quando lavorava nel
suo caro orticello,
spampinando la pèrgola,
potando qualche pianta
o zappettando con
fretta allegra, portava zoccoli
alla contadinesca,
rimboccava fino al
gomito le maniche
della camicia e,
se la stagione
lo consentisse, stava
contento a sommo
il petto, come
quel del Nerli,
a la, pelle scoverta:
chi lo avesse
veduto di lontano,
poteva scambiarlo con
un forte, lindo
e sollecito massaio delle campagne toscane; ma da vicino,
anche nell'umile esercizio dell'ortolano, ciascuno
avrebbe notato quell'aura,
che si diffonde
nel volto e nella
persona da regale
nobiltà di pensiero.
Uscendo dall'orticello, lasciava
gli zoccoli, indossava una veste giornaliera,
ma (direbbe un antico) onesta, ed
entrato nel suo
studinolo, ripigliava con
alacrità nuova il
lavoro intellettuale per
qualche ora interrotto. Amico
di solitudine, mesto
e pensoso per
lo piìi, terribile
negl'impeti dell'ira, ebbe
grande gentilezza di
cuore, accorgimenti di
bontà materna. Innamoratissimo de'
giovani e de'
fanciulli, in mezzo a loro
si trasmuta come
per incanto: sorrideva
amabilmente e amabilmente parlava, temprando
per affetto la sua gagliardissima voce
a modulazioni soavi;
e l'occhio, spesso pieno
d'ombra sotto le
folte sopracciglia aggrottate,
si aifissava, tutto
schiarato, in quei
visi ridenti e
lampeggiava d'amore. Educatore di
sé in gran
parte, fidente nella
virtù del volere, sa
insegnare a quelli che lo
avvicinano, il proposito e
l'arte di migliorare
il proprio spirito.
Io, mi gode
l'animo d'aver qui
l'occasione di confessarlo,
riconosco intero da lui il principio di un'educazione intellettuale, che
a poco a poco mi rinnova, 'distruggendo
o mortificando i mali
abiti della casa
e della scuola.
Né le meditazioni
austere spensero o
scemarono nel Paganini
il senso del bello, ma lo fecero
più delicato, più fine e profondo. Delle arti figurative, conoscitore e giudice
arguto d'ogni lor
passo, molto si diletta;
ed e egli stesso disegnatore corretto. La poesia senti come pochissimi; 'Notabili
queste sue parole:
"Quello che è
difficile, sia pur
difficile quanto si
vuole, non è
impossibile; e quello,
che non è
impossibile, o prima
o poi, o
da un uomo o da un altro si fa. Pur negli saggi qui
raccolti è qualche
vestigid, benché raro e
fuggevole, del suo
sentire gentile, come
là dove accenna
l'evidenza pittrice del verbo
velare per ventilare e
dove l'armonia della
terzina: Ma ella s'è
beata e ciò
non ode „
chiama anticipazione di
quel nuovo modo
d% poesia, che Alighieri
riserba al Purgatorio
e al Paradiso.
Né soltanto la
poesia pensata ed
eletta, ma l'improvvisa e campagnuola.
Villeggiando sui colli di Pistoia,
raccolse con amore motti
e canti popolari,
e della Ninna
nanna " Quando
a letto vo
la sera „
disse cose nuove e
belle. (Lettera ai Morelli, Lucca, Canovetti] e
due tra tutti
i poeti predilesse,
perchè meglio rispondenti
all'indole e all'educazione del
suo spirito: Dante,
di cui ho
già detto, e
Virgilio. Peccato che
tante sue belle
considerazioni su questi
due poeti, onde
nel conversare quotidiano
non fu punto
avaro a' giovani,
sieno fuggite con
la sua voce,
o mutate in
seme di troppo
diversa germinazione nella
mente di chi
le ascoltò !
V hanno uomini,
che la scarsa
loro ricchezza d'intelletto
e di cuore
spargono subito per
mille rivoletti fuori
di sé: altri,
possessori di grande
ricchezza interiore, somigliano
a quelle nascoste
e profonde sorgenti
della terra, che
non si veg-
gono, ne si odono,
ma si argomentano
da la più
lieta verzura e
dal fitto fiorire
del terreno sovra-
stante. Tra questi ultimi è
da porre Pagano Paganini, che
molto seppe, molto
e bene amò;
ma parlò poco
e pochissimo scrisse:
eppure molti scritti e
molti fatti buoni,
generati o cresciuti dalla dottrina,
dal consiglio, dall'esempio
di lui, attestano
della sua ricca
e verace bontà.
Roma. Franciosi. Di un luogo
del FargatoHo d’ALIGHIERI,
che non sembra
essere stato ancora
dichiarato pie-namente. Eagionando dell'amore,
VIRGILIO, nel canto
del Purgatorio, secondo
la naturale filo-
sofia, dice: Ogni forma sujtanzlal,
che setta -
È da materia,
ed è con
lei unita, Specifica
virtude ha in
sé colletta, La
qual, senza operar
non è sentita,
Né si dimostra
ma che per
effetto Come per
verdi fronde in
pianta vita. Però
là onde vegna
lo intelletto Delle
prime notizie uomo
non sape, E
de' primi appetibili
l'affetto, Che sono
in voi si
come studio in
ape Di far
lo mele; e
questa prima voglia
Merto di lode
o di biasmo
non cape. Or
perchè a questa
ogni altra si
raccoglia. Innata v'è
la virtù che
consiglia E dell'assenso de'
tener la soglia. Da.IV Araldo cattolico: Lucca. P., lo
avverto una volta
per sempre, nello
sue oi- tazioni
della Commedia fu
solito di serbar
fede al testo
della Volgata; ma, venuto
in luco il
testo di Buti,
qualche volta amoreggiò
con questo; come
là, dove ai
plurali verdi /ronde
e primi appetibili
sostituì i singolari
bellissimi verde fronda
e primo appetibile.
.Quest'è il principio,
là onde si
piglia Cagion di
meritare in voi
secondo Che buoni
e rei amori
accoglie e viglia.
' E queste
cose son dette
per soddisfare alla
questione proposta da
Dante colle seguenti
parole: Ti prego,
dolce padre caro,
Che mi dimostri
amore, a cui
riduci Ogni buono
operare e il
suo contraro. Infatti nel canto antecedente Virgilio, trattando il
medesimo argomento, aveva
pronunziato: Né creator,
né creatura mai
fu senz'amore O
naturale, o d'animo
Lo naturai fu
sempre senza errore;
Ma l'altro puote
errar per malo
obietto, O per
troppo, o per
poco di vigore.
Mentre ch'egli è
ne' primi ben
diretto, E ne'
secondi sé stesso
misura, Esser non
può cagion di
mal diletto; Ma,
quando al mal
si torce, o
con più cura
O con men
che non dee,
corre nel bene,
Centra il fattore
adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi
ch'esser conviene Amor
sementain voi d'ogni
virtute E d'ogni
operazion, che merta
pene. Ora di
quella terzina del
primo passo: Or
perchè a questa,
ecc. trovansi nei
commentatori Questo verbo
vigliare, che dal
Biagioli viene erroneamente confuso con vagliare, e che
forse ha tratto origine dal latino, significandoesso pulire
il mucchio del
granocon una granata o con un mazzo di
frasche dalle paglie,
stecchi e simili
cose senza pregio
(lat. viliaj, ce
ne fa tornare
alla mente un
altro, che sebbene ci
paia bellissimo, e
sia vivente in
bocca dei oampagnuoli,
con tutto ciò, a quanto
sappiamo, non ha
ricevuto l'onore d'essere
accolto nei vocabolari.
È questo il
verbo velare, ohe
significa nettare il
grano dalla pula,
gettandolo contro vento
; e se
pure non è una sincope
di ventilare, conviene
credere ohe i
contadini lo abbian tratto pittorescamente dall'imagine d'una
vela, che presenta la pula fuggendo via portata
dal vento.] della Divina
Commedia tre principali
spiegazioni. Una, seguita
anche da Venturi
e da Biagioli,
è del Daniello, il quale scrive: l'ordine è: la
virtù che consiglia cioè la ragione, v'è
innata cioè nata insieme con voi, perchè affìn che
ogni altra voglia, che
nasca in coi,
si unisca, accompagni
e raccolga a
questa virtù, la
qual dee tener
la soglia, ecc. Un'altra è di Lombardi,
il quale cosi
interpreta: Or perchè affinchè
a questa
prima, naturale ed
innocente voglia si raccolga, si accompagni
ogni altra morale
e lodevole virtù,
" innata v'è data
vi è fin
dal vostro nascimento,
la virtù che consiglia la ragione
che vi deve consigliare e regolare i
vostri appetiti. La
terza, infine, è
del Tommaseo, che,
a nel Commento, esprime
il concetto d’Alighieri
in questo modo. Acciocché questo
primo naturai de-
siderio e intelligeìiza sia
quasi centro ad
ogni altro vostro
volere e sapere
acquisito, avete innata
la ragione, da
cui viene il
libero arbitrio; sicché
tutti sieno non
men del primo
conformi a natura.
Qual è il
valore di queste
spiegazioni? Esaminiamole brevemente.
A veder l' improbabilità della
spiegazione del Daniello
basta considerarla rimpetto
alla ragione grammaticale.
Nel verso : Or
perchè a questa
ogni altra si
raccoglia dei due
pronomi questa e ogn'
altra, che essendo
ambedue femminili e
uniti in un
sol membro, ognuno
riferirebbe ad un
me- desimo nome, egli
al contrario riferisce
il primo al susseguente virtù,
e il secondo
al precedente voglia; attribuendo
cosi ad Alighieri un
costrutto non solamente ardito,
ma pur anco
sì strano, che
non se ne
trova esempio ne pur forse
negli scrittori latini, tuttoché la lingua loro concedesse
tanta libertà d'allontanarsi dall'ordine
naturale delle parole.
Lo stesso rimprovero
può farsi pure
a Lo- bardi;
il quale non
si diparte dal
Daniello se non
in questo, che
il primo di
quei pronomi riferisce
a voglia e
il secondo a
virtìi, cioè mette
innanzi quel che
l'altro avea messo
dopo, e pospone
quel che l'altro
avea anteposto. Ciò
non ostante ne
risulta quindi un
senso tanto differente,
da rendere la spiegazione
di Lombardi meno improbabile di
quella del Daniello;
perchè lascia a
soggetto della relazione,
accennata da Dante
in questo verso,
la prima voglia,
o l’affetto dei primi
appetibili, come rettamente
si dice, naturale
e innocente sebbene per
termine di essa
relazione non si
prendano poi le
altre voglie od
affetti, ma piuttosto
le morali e
lodevoli virtù. È
vero che le
morali e lodevoli
virtù hanno per
natura di dirigere
e ordinare gli
affetti tutti dell'animo,
e che perciò
nella espressione usata da Lombardi
sono implicitamente contenuti
anche questi, ma ciò non
basta a giustificarlo; essendo
che qui trattavasi
appunto di mostrare
come gli affetti
diventino virtù e anco
vizi, e nella chiosa di
Lombardi questa dimostrazione rimane
un desiderio, avendo egli preso,
come abbiam detto,
per termine della
relazione le virtù
bell'e formate. Con mente
più filosofica ha
studiato, come gli
altri, così questo
passo della Divina
Commedia il Tommaseo;
ha riferito tutt'e
due i pronomi
al medesimo nome
voglia, che li
antecede, e ha
scorto fors'anco la
vera relazione, che noi crediamo essersi inteso
d’Alighieri di porre
tra l'aff'etto dei
primi appetibili e ogni altro
affetto, che di
poi si svolga nell'animo nostro, senza che però
l'intendimento del poeta resti a pienoillustrato. Imperocché, ritenuto
per indubitabile che
questa valga questa
prima voglia, che
è in noi
naturalmente, e ogni
altra valga ogni
altra voglia, che
in noi possa
accendersi nel corso
della vita, v'è
da risolvere la
questione, a cui
fa luogo il
verbo raccogliersi ;
che è quanto
dire quale relazione
precisamente abbiavoluto il poeta
esprimere con esso verbo
fra quelle cose.
E qual è
questa relazione secondo
il Tommaseo? È
una relazione simile
a quella, che
i punti d'una
circonferenza, o i raggi
d'un cerchio, hanno
col centro, giacché dice:
acciocché questo primo
naturai desiderio e
intelligenza sia quasi
centro ad ogni
altro vostro volere
e sapere acquisito,
ecc. E per
fermo, raccogliersi significa
anco concentrarsi, e più d'un
esempio ce ne
offre lo stesso ALIGHIERI. Ma
siffatta spiegazione, ci sia permesso
di dirlo francamente,
non isnuda il
concetto filosofico voluto
esprimere da Dante,
lo lascia involto
nel velo della
metafora, però non
può essere avuta
per sufiiciente. Il
poeta nel canto
avea fatto dire a
VIRGILIO che amore
è sementa in
noi d'ogni virtù
e d'ogni vizio:
vuol fargli provare
la verità di
questo dettato, comune
alla pagana e
alla cristiana sapienza.
A tale uopo
egli, in persona
del suo duce
e maestro, risale
col pesiero alla costituzione
primitiva dell'essere umano:
in esso, egli
dice, oltre la
materia, v'è una
forma immateriale, fornita
di una virtù
o potenza specifica,
la quale non
si dimostra che
ne' suoi effetti,
cioè nelle sue
operazioni, come per
verdi fronde in
pianta vita. Questa
potenza specifica può
considerarsi da due
lati, in quanto
è passiva e
in quanto è
attiva: in quanto
è passiva è
l’intelletto delle prime
notizie, in quanto
è attiva è
l’affetto dei primi appetibili (AQUINO,
Cantra gent.). Quindi
non è maraviglia
che l'uomo non
sappia donde gli
vengano siffatte cose,
non essendone mai
stato privo e
appartenendo alla sua natura
in quel modo
medesimo, che all'ape,
per esempio, appartiene
lo studio, ossia
l'istinto, di far
lo mèle. Ora
quell'affetto dei primi
appetibili è senz'alcun
merito, perchè non
dipende dal libero
arbitrio ; il
quale soltanto è
principio, là onde
si piglia Cagion
di meritare. Non
per tanto esso,
non avendo per
oggetto altro che
il bene conveniente
all'umana natura, è
un affetto sotto
ogni aspetto irreprensibile. Non
si può concepire
non solo una
creatura, ma né
meno il Creatore
senza amore alcuno;
sebbene In Tece di
IV, era da
pozze: Inella creatura
ragionevole ne possano
essere di due
sorte, uno naturale,
o istintivo ;
e l’altro à^ animo,
o deliberato :
il primo dei
quali è sempre
senza errore, perchè
è l'opera della
stessa sa- pienza divina, mentre
il secondo puote
errar per malo
obietto, O per
poco o per troppo di
vigore, secondo che
dalla libera volontà
o è vòlto
a ciò che
è intrinsecamente male,
oppure anco a
ciò che è
bene, ma senza
quella misura che
risponda al suo
vero pregio. Come
accade adunque che
sia Amor sementa
in noi d’ogni virtude E d'ogni operazion che merta
pena? Ciò accade: Imperché dal
primo amore, che
Dio medesimo ha
posto nell'uomo, si
svolgono altri amori,
come dalla forza
vegetativa delle piante
nascono i ramoscelli
e le foglie,
che le adornano,
e dall'istinto del-
l'ape i vari movimenti,
coi quali essa
sugge l'umor de'
fiori, lo converte
in miele e
lo de- posita nell'alveare; 2° perchè
questi secondi amo-
ri possono esser conformi
a quel primo
essenziale all'uomo e
rettissimo, ovvero anche
difformi, siccome avviene
ogni volta che
o finiscano in
oggetto per sé
malo, o non
serbino il debito
modo ed ordine
nei beni ;
3*^ perchè la
ragion pratica, o
assecondando o promovendo
colla sua libera
efficacia cotesti amori,
fa che la
rettitudine loro o
la loro malvagità
sia imputabile all'uomo,
e, divenuti abituali,
diano carattere alla sua condotta, in altre
parole, originino le
virtù ed i vizi. E
da tutto questo
si fa manifesto,
che, quel primo
amore, si rispetto
agli amori secondi, come
rispetto alla ragion
pratica (convenientissimamente chiamata
da Dante la
virtù, che consiglia, E
dell'assenso de’ tener la,
soglia, dall'ufficio a cui è stata
destinata), è come una cotal regola od
esemplare; cioè, rispetto agli amori secondi, perchè non possono esser
ragionevoli e onesti se non seguendolo e imitandolo, e rispetto alla ragion
pratica perchè deve procurare, che essi nel fatto lo seguano e lo imitino. E
diciamo UE a cotal regola od esemplare; conciossiachè la natural tendenza a
quel bene, che conviene all'esser
nostro, per sé non
è che
un fatto, e
un fatto, in
quanto tale, non
ha la ragion
di regola o
di esemplare, ma
solamente può parteciparne
in quanto è
segno d'un'idea (San
Tommaso, ^'ttmwa, I* IP*
, ^
-della legge naturale e altrove). Se
si vuol dunque, commentando
questo luogo di Dante, andare al
fondo, non bisogna
contentarsi di rendere il raccogliersi per
concentrarsi, ma bisogna di più
ridurre lo stesso concentrarsi al suo senso filosofico, il quale non ci sembra poter esser
diverso da quello,
che abbiamo indicato,
cavandolo dal valor
logico dei concetti,
che Dante ha
espressi nei canti
del Purgatorio. Che
se il nostro
raccogliere è dal
latino colligere, e
lex è detta,
come pensa CICERONE, da
eligere, ognun vede
la profonda convenienza che quel
si raccoglia ha coll'ufficio,
che. Per tutta chiarezza
la citazione dovrebb'esser così:
Prima secundae S.
theol., quaest. giusta
la mente di
Dante, noi crediamo
di dovere attribuire al
primitivo e immanente
atto della parte
affettiva dell'anima umana.
L’interpretazione da noi proposta
non contradice adunque quella data da Tommaseo,
ma, se non
c'inganniamo, la compie,
recandola fino a
quel termine dov'egli
avrebbe ben saputo
recarla, e in
maniera a pezza
più conveniente, solo
che avesse fatto
colla riflessione qualche
altro passo nella via
medesima in cui
si era posto.
Ma se la
nostra interpretazione e
quella di Tommaseo
si possono cosi
accordare, è però
vero che in
ciò che la nostra piglia
a suo fondamento
dal canto non si
accorda punto colla chiosa quivi fatta
dall'illustre critico. Perocché
dove il poeta
dice, che creatura
non vi fu
mai senza amore,
o naturale o
d'animo, egli spiega
l'uno per amor
di corpi, l'altro
per amor di
spiriti ; noi
al contrario, come
abbiamo accennato di
sopra, L'OzANAM, che
alcuni noa sanno
stimare senza esagerarne
i meriti, il
principale dei quali
per noi è
di avere coll'opera
sua additato agi'
italiani che vi
è un lavoro
da fare, intende p&s
prima voglia il
primo moto o
dell'irascibile o del
concupiscibile, che i
moralisti insegaano esser privo
di merito e
di demerito. Dio sa
dunque in che
strano modo intendeva
a collegare colle
precedenti la terzina che qvà abbiamo esposto. ALIGHIERI
et la
philos. catholique aa
XIII siede fParis.
L'Ozanam. a proposito
di due luoghi
del Convito commenta: «Il y
a trois sortes
d'appetits. Le premier, naturel,
qui n'a point
conscience de soi,
et qui est
la tendance irrésistible
Je tous les
ètres physiques a
la satl- sfactiou
de leurs l>esoins;
le second, sensitif,
qui a 30n
mobile externe dans
les choses sensibles,
et qui est
concupisaiife ou irciscible
tour à tour;
le troisième, intellectuel,
dout l'objecr. a'est appróciable
qu'à la pensée. Ces
appótités eux-mèmes peuvent
se réduire a
un seul principe
commun, l'amour. Ma la
prima vogliu di
questo luogo del
Purgatorio è a
lui premier acte,
instantané et irrafléchi della virtù
speeipcu, dispositiou «pécitìque,
natureUe, qui ne
se révèle que
par ses eftets. intendiamo pel
naturale l'amore istintivo,
e per quello
d'animo l'amore deliberato.
E ci pare
che giustifichi questo
nostro modo d'intendere
il contesto del
canto suddetto, e l'
insegnamento comune degli
scrittori, da cui
Dante traeva, fra
i quali a
noi basti il
menzionare san Bonaven-
tura, che nel Breviloquio
distingue, appunto, due
guise di operare
delle nostre affezioni,
cioè per un
moto naturale e
per iscelta deliberata.
Di- remo pertanto, senza
timore di offendere
il grand'uomo, che la sua
chiosa di questo
sublime luogo di
Dante,il quale può
dirsi in germe
un intero sistema
di filosofia morale,
pecca nel punto
di partenza, non
afferrando la giusta
distinzione tra l'amor
naturale e gli
amori deliberati, e
pecca nella conclusione,
lasciando qualche cosa
d'indeterminato sulla relazione del
primo verso coi
secondi. Di che
però non tanto
vogliam fargli biasimo,
quanto rendergli giusta lode
d'aver saputo più addentro d'ogni
altro vedere nel
pensiero d’ALIGHIERI. Sopra
un luogo della
Cantica del Paradiso Beatrice nel
canto del Paradiso narrando
filosoficamente la creazione
delle cose, dice
degli angeli: Né
giugneriesi, numerando, al
venti Si tosto,
come degli angeli
parte Turbò '1
subietto de' vostri
elementi. Tutti gli
interpreti, per quanto
io mi sappia,
per subtetto de’ vostri elementi hanno inteso la terra.
Peraltro alcuni hanno inteso la terra comeelemento j altri
la terra come
corpo. È de'
primi, per cagion
d'esempio, Buti, che
spiega la sentenza
di questa terzina
colle seguenti parole
: Da chi
numerasse da uno
in vinti non
si giungerebbe sì
tosto al vinti,
come tosto parte dell’angeli poi che furono creati, incontanente
cadder di deìo
in terra, e
mutò o vero
turbò, secondo altro
testo, lo subietto
de’ vostri elementi,
cioè di voi omini, cioè la terra Dall'Istitutore: foglio
ebdomadario d' istruzione e
degli atti ujjicifdi
di essa. Torino,
tip. scolastica di
S. Franco. che
è subietto dell'acqua,
delVaere e del
fuoco, poiché a
tutti è sottoposta
/ e bene
lo mutò e
turbò, impera che prima e pura, e poi e infetta. Così il codice
Magli abechiano). De' secondi
poi è il
Tommaseo, perchè dopo
aver dato terra
per equivalente di
subietto de' vostri
elementi^ ag- giunge questa
ragione: La terra è soggetto
dei quattro elementi
aria, fuoco, acqua
e terra. Dove è
chiaro che terra
la prima volta
significa il corpo
o globo da
noi abitato, e
la seconda volta
r infimo de'
quattro elementi distinti
da- gli antichi. Mi
sia permesso di
dire, che né
i primi né
i secondi mi paiono aver
colpito nel segno.
2. Il nome subietto o soggetto, come sostantivo,
appartiene alla lingua
filosofica, ed ha
un senso dialettico ed un senso metafisico. Nel senso
dialettico indica uno de'termini del giudizio o della proposizione,
quello cioè del
quale l'altro, che
chiamasi predicato, isi
afferma o si
nega. E di
qui, per estensione,
nasce un altro
senso, esso pure
dialettico, quando di
questa voce si
usa a dinotare
ciò su cui verte, non una semplice proposizione, ma molti ragionamenti
ordinati e connessi, siccome sono nella scienza. In metafisica poi subietto ora
significa la causa efficiente di qualche cosa, come in quel luogo del Purgatorio. Or, perchè mai non può dalla salute Amor del suo
subietto volger yiso, Dall'odio proprio son le cose tute; ora invece
significa la causa
materiale^ come in
questi versi del
Paradiso, canto II:
Or, come ai
colpi degli caldi rai della neve
riman nudo il suggetto
E dal colore
e dal freddo
primai, ecc. E
quest'ultimo è il
significato, che io credo debba attribuirsi alla parola subtetto nella
terzina, di cui è
questione; cosicché altro
non s'intenda aver voluto Dante esprimere
in essa, se non che alcuni degl’angeli, partitisi dal
divino volere, colla
naturale loro potenza
indussero disordine nella materia
degl’elementi, de'quali è
composta questa parte
a noi destinata
dell'universo. Ciò si parrà
chiaro considerando che il nostro
poeta parla qui
da teologo e
da filosofo, uffici
ai suoi tempi
inseparati, e che
ne' tempi posteriori,
per grande sventura
delle due scienze
sovrane, non fu
stimato assai di
distinguere. Ora che
insegna la teologia
a proposito degli
angeli ribelli a
Dio? Ella insegna
che ministri, anche
dopo la loro
caduta, della Provvidenza
divina, si aggirano
in questo nostro
mondo, tri- bolandoci non
solo colle malvagie
istigazioni, ma eziandio
colle tempeste, colle pestilenze ed
altri mali di tal genere.
Sono notissimi i
passi dell'epistola di
s. Paolo agli
Efesini; dove cotesti
spiriti sono chiamati
principi aventi potestà
su quest'aria. Ma
i padri, appoggiati
ad altre autorità
della scrittura ed
ai fatti in
essa raccontati, ritennero che la potestà loro si estendesse su
tutta, in generale,
la materia ed
i corpi terrestri.
Valga, per ogni
altra, la testimonianza
d’Agostino, De doctrina
Christiana. Hinc enìm fit,
ut occulto quodam
iudicio divino cupidi
malarum rerum homines
tradan- tur illudendi
et decipiendi, prò meritis voluntatum suarum, illudentìhus eos atque
decipientibus prevaricatoribus
angelis, quibus ista
mundi pars infima
secundum pulcherrimum ordinem
rerum, divinae providentiae
lege, subiecta est.
Ora gli scolastici,
come ognun sa,
non fecero che
ripetere le dot-
trine teologiche dei Padri,
dando loro una
forma scientifica, secondo
i principii e il linguaggio
della filosofìaaristotelica; la
quale per essi,
al- meno per nove
delle dieci parti,
era pura e
pret- ta verità. Quindi
il miscuglio, che
trovasi nei trattati
di teologia degli
scolastici, degl'incon- cussi dommi della fede colle fallaci opinioni
dello Stagirita. Del qual
miscuglio n'abbiamo un
esempio in questo
stesso argomento, che
qui tocchiamo. Generalmente gli scolastici dietro al LIZIO
pensarono che altra fosse la materia
dei cieli, altra la
materia, onde è
fatto il mondo
sul- lunare; quella
fosse immutabile e
incorruttibile, questa soggetta
a mutamento e
corruzione; perocché,
dicevano, quella è
in potenza alla
sola forma che
ha, questa, al
contrario, è in
potenza a molte
forme e diverse.
Dal che san
Tommaso di Aquino
conchiude che fra
la materia de'
corpi celesti e la
materia degli elementi del
nostro mondo non
vi ha una
comunanza ohe di
con- certo: Non est
eadem materia corporis
coelestis et elementorum,
nisi secundum analogiam,
secundum quod conveniunt ratione potentiæ (Summa). E
per questo appunto Dante, nel
citato canto II
del Paradiso, appella
preziosi i corpi
celesti. Ora, che
cosa è, conforme
queste dottrine cosmologiche degli
scolastici, il subietto
degli ele- menti? Il
subietto degli elementi
è la materia
prima del mondo
sullunare, subiettata ad
una certa forma,
prima nei corpi
semplici, aria, acqua,
ecc., e di
poi nei corpi misti, minerali,
piante, ecc. Imperocché
gli scolastici per
materia e su-
bietto intendevano la medesima
cosa colla sola
differenza, la quale
trascuravano ogni volta
che loro non
bisognasse di procedere
con tutto il
rigore dialettico, che
il subietto ha
relazione con una
forma attuale, mentre la
materia ha relazione con
una forma potenziale.
Ista videtur esse
differentia inter materiam
et subiectum (dice
Alessandro d'Ales, In Metaph.
Del LIZIO), quia materia
dicit rem suam
in potentia ad
formam, ut transmutabilis est
ad ipsam per
viam motus et
fieri,' et ideo
quae sine fieri
introducun- tur, non
proprie habent materiam
ex qua: subie-
ctum autem dicit rem
suam ex hoc,
quod substentat formam;
et ideo omne
quod substentat formam
potest vocari subiectum,
licet aliquo modo
possit vocari materia. Pertanto ciò
che Dante, ne'
versi riferiti, chiama il
sìibietto de’ vostri elementi,
corri- sponde a capello,
a ciò che
Aristotile, nel Della generazione e
della corruzione, chiama,
con parole affatto
equivalenti, uTioxsifisvYjv \ìh]v.
Nel qual luogo, se il
filosofo rigetta l'opinione di
quelli, che ponevano
un unico subietto
di tutti gli
elementi, è però
manifestissimo che la
rigetta solamente in quanto quel subietto
pretendevano essere un cotal
corpo separabile e
stante da sé,
awjAa xe òv
xat Xopiaióv. Ed
invero, più sotto,
divisando l'ordine delle entità, che concorrono a costituire i corpi
primi, ossia gl’elementi, pone in primo luogo la materia, in secondo luogo la
contrarietà ed in
terzo luogo gl’elementi:
Ma poiché i
corpi primi son
fatti in questo
modo di materia,
di essi pure
conviene determinare qualche cosa,
supponendo che una
materia inseparabile, ma
soggetta a qualità
contraria, sia il loro
primo principio; perocché
non è il
calore materia del
freddo, ne il
freddo del calore, ma ciò che sottostà ad entrambi.
Laonde primieramente che
il corpo sensibile
esista in potenza, è
il principio: di
poi vengono le
stesse qualità contrarie,
come il calore
e il freddo:
da ultimo il
fuoco e l'acqua
e le altre
cose di tal
sorta. E questa
ò la costante
dottrina degli scolastici, e
a tenore di
questa vuoisi intendere quello che
ALIGHIERI accenna del
termine dell'azione perturbatrice
degli spiriti perversi.
Imperocché da una
parte troppo è
inverosimile che egli
non abbia parlato a
tenore di tal
dottrina, solendo egli
esprimere nei suoi
mirabili versi le
dottrine filosofiche della
scuola e colle
stesse formole da
lei celebrate: dall'altra,
ritenuto che la
cosa sia così,
dal passo controverso
esce un senso,
che a pieno
si accorda coli'
insegnamento teologico circa la
presente potenza degli
angeli rei. All'opposto nelle altre
due interpretazioni codesta loro
potenza si limita
a capriccio a
farsi strumento dell'odio
loro contro Dio
e gl’uomini la
sola terra, o
vuoi come elemento,
o vuoi come
corpo ; né
si tien conto
del linguaggio filosofico
dell'autore, quanto è giusto
che si faccia,
poiché la parola subietto, mi
si conceda di
ripeterlo, appartiene al
linguaggio filosofico, e qui
precisamente al linguaggio metafisico,
nel qual linguaggio subietto
non significò mai,
se la memoria
non mi fallisce,
un ordine di
più cose per
la loro collocazione nello spazio,
siccome sembra che
vogliano coloro che
hanno subietto de^
vostri elementi per
una perifrasi di
terra. Finalmente osserverò che coll'assegnare per
termine all'azione degli
spiriti angelici ciò
che di primo
si concepisce ne'
corpi come corpi,
non si attribuisce
all'Alighieri un pensiero
frivolo da sbertarsi, ma degno delle più serie
considerazioni del filosofo. Il
dominio degli spiriti
puri sulle cose
materiali, e l'origine
di certe forze,
che su esse
si manifestano, sono
due grandi misteri; i
quali forse si
compenetrano in uno,
e quest'uno è
riserbato di vedere
svelato, quanto all'intelligenza nostra
è possibile, allorcliè
i metafìsici s' intenderanno un
po' più di
fisica e i
fisici di metafisica
e tutt'e due
di teologia. Pisa. Averroè della
DiTina Commedia' È
notissimo che Dante
fra i saggi
sospesi nel primo
girone deW Inferno,
o pernon avere ricevuto il battesimo,
o per non
avere adorato Iddio debitamente, colloca
ancora Averrois, che il gran
commento feo. (Inf.,
o. IV, V.
U4). Ora l'editore
pisano delle Lezioni
di Buti sulla
Divina Commedia a
questo verso fa
la nota seguente:
Averrois, sebbene commen-
tasse Aristotile, professò dottrine
opposite al greco
filosofo; onde i
commenti di lui
non furono in
molto credito appo
degl’italiani. Qui dunque il
gran commento potrebb' esser anche
detto con ironia. Noi non possiamo
pregiare la novità
di questa osservazione,
perchè ci sembra mancare affatto
di verità. E
non intendiamo come
il benemerito editore
non si sia
accorto di un
difetto sì grave,
quando lo stesso
contesto assai chiaramente
esclude il disprezzo
e lo scherno
dell'ironico parlare. Invero,
dopo aver detto
il ' DaUe
Letture di famiglia,
tomo III, decade
seconda. 32 nostro
poet Qnaest. Disput.
2>e Mente, quaest.
ne, quanto semplice
altrettanto sublime, di
Dio che si
legge neìV Esodo :
Io sono l'Essere
„ cioè l'Essere,
che essenzialmente ed
assolutamente è. Quanto
poi alla natura
dell'intelletto umano egli,
confrontandone le operazioni
con quelle del
senso, che solo coglie
gl’esterni accidenti delle
cose, veniva a
ravvisare che l'operazione
sua propria è
circa l'essenza delle cose; e
poiché quelle essenze ci
riducono all'essere in
comune coll'ag- giunta
di varie determinazioni, il
suo proprio oggetto consiste appunto
nell'essere in comune.
Ora se da
un lato l'essere,
in quanto è
essenzialmente ed assolutamente essente,
è Dio, e
dall'altro, in quanto è
appreso universalmente, è
l'oggetto proprio
dell'intelletto umano, è
piano come l'Aquinate
potesse dire, che
il lume dell'intelletto umano sia
una certa partecipazione o
similitudine di Dio o
dell'increata verità. Io
non credo, debbo
pur dirlo si
per non essere
frainteso e si per amor di schiettezza, io non credo
che Aquino giunge mai a renderai cosi esplicitamente ragione di ciò
che in tanti luoghi delle sue opere ripete sulla natura del lume
dell'intelletto e sulla sua attinenza
con Dio. Ma qualunque siano state le cause,
che ne lo impedirono, certo è che
questa spiegazione giace implicita nel
complesso delle sue dottrine e si
fa innanzi quasi
spontanea a chiunque
profondamente le mediti
e senza la
stolta paura Etodo,
che alcuni dei
suoi studiosi oggi
paiono avere, di
dire una parola di più oltre quelle dette da lui, come se la scienza
potesse star tutta racchiusa nelle parole di un sol uomo. Del resto la storia
dell'umano intelletto, giusta
il modo on- de
Aquino se la
rappresenta, è in
sostanza la seguente.
L'intelletto umano è
un'attività, che ha due
movimenti; coU'uno si
costituisce come potenza di
conoscere, coli 'altro si
svolge e perfeziona.
Col primo, onde si costituisce come
potenza di conoscere,
incontra l'essere in
universale e l'apprende.
Da tale apprensione
in cui sono
virtualmente contenute tutte
le apprensioni e tutti
gli altri atti,
che in queste
si fondano, incomincia
il secondo movimento
del- l'intelletto e in
esso si possono
distinguere tre principali
momenti, per ciascuno
dei quali nel
linguaggio della scuola tomistica vi'è una frase particolare,
che ne esprime il carattere distintivo. Imperocché innanzi
tutto nell'apprensione dell'essere
in universale sono
virtualmente contenuti i sommi
principi della ragione, che si risolvono nei concetti universali dell'^wo, dell'edenticOj dell'assoluto
e cosi via.
Ora questi concetti si
fanno attuali nell'intelletto,
quando gli è
somministrata una materia
di conoscere, lo che è
ufficio proprio del
senso. Allora l'intelletto
mediante quei concetti:
l’ illustra i fantasmi
cioè la materia somministratagli dal senso, percezione intellettuale dei
sensibili ; 2"
astrae dai fantasmi
le specie intelligibili, concezione
per via di riflessione
delle idee astratte
delle cose, ossia
delle specie e
dei generi; 3"
compone e divide
le t^pecie astratte,
giudizi e raziocini,
coi quali la
riflessione, comparando le
idee astratte, si
viene formando una
scienza più o
meno perfetta delle
cose, secondochè discopre
più o meno
delle loro relazioni. Ma
in qualunque di
questi momenti della
sua evoluzione si
trovi l'intelletto nostro,
è pur sempre
vero, che tutto
quello che egli
conosce, conoscendolo per
la verità dei
primi principi, e
quelli essendo come
i primi raggi
di quel lume
che fa di
lui una potenza
intellettiva; e questo
venendo da Dio,
anzi essendo una
certa partecipazione del lume
stesso di Dio
a noi in
parte comunicato, ne
segue che pur
nell'ordine naturale Dio solo è
quegli,
che internamente e
principalmente ci ammaestra
come è anche
la natura quella
che principalmente risana
„. Cosi AQUINO nelle
Questioni Disputate de
Magistro, ' dove
anche stanno quell'altre
belle parole : "
Che alcuna cosa
si sappia con
certezza, avviene per il
lume della ragione
divinamente infuso, col quale
Iddio in noi
favella; parole, colle Quaest.
I, nel corpo
dell'articolo in fine.
* Ivi, nella
risposta all'obiezione Si
considerino bene quelle
frasi dell' Aquinate :
" Utiiversales conceptiones,
quaruni co- gnitio
est nobìs naturaliter
insita „ (Qiiest.
cit. de Magistro
nella, risposta alla
obiez.) Lumen rationis ....
per quod principi»
cognoscimus (Tbid., nella
risposta alla obiez.) Mediantibas
tmiversalibus
conceptionibus, quae statim
lumine intellectus agcn-
tis cognoscuntur (Quest.
cit. de Mente,
nel corpo dell'articolo
in fine): e
poi si dica,
se secondo la
mente d’Aquino quali
si pone espressamente
una cotale rivelazione naturale, come
rimota preparazione a
quella soprannaturale rivelazione,
che si fa
nell'anima del Cristiano.
Io m'immagino, che mentre veniva
cosi narrando in compendio
i pensieri del
nostro grande filosofo
sulla questione dell'origine
del sapere, la
mente del lettore
mi abbia spesso
abbandonato e sia volata
ora a questo
ora a quel
luogo della Divina
Commedia, dove si
leggono sotto forma
poetica dei pensieri
somiglianti. E se
ciò è veramente
accaduto, naturai cosa
è che si
sia intanto rafforzata
in lui la
persuasione, che il
nostro gran Poeta
nei versi, che
danno argomento al mio
dire, non può
avere avuto l'intenzione
di esprimere la
impossibilità, da cui
neppure il filosofo
vada essente, di scorgere la
sorgente, donde viene
l' intelletto delle prime
notizie. Certo è
che codesti pensieri
somiglianti nella Divina
Commedia vi sono
e, ciò che
ora io desidero che
si avverta e
che importa al
mio proposito sommamente, i
più somiglianti si
trovano appunto nel
passo del Purgatorio,
che altri ha
interpretato cosi diversamente.
In vero, se non si guarda che alla sostanza della soluzione d’Aquino, egli
insegna che la cognizione dei primi principi, donde proviene ogni
altra cognizione dell'uomo,
è il lume dell'intelletto o
della ragione possa
esser altro ohe
un massimo universale,
come appunto dimostra
che è il
Eosmini nel Nuovo
Saggio sulla origine
delle idee e
in altro sue
opere. una cognizione
in lui innata,
in quanto che
in lui è
innato il lume
della ragione, per
il quale tali
principi conosce. E non
ripete Dante in
sostanza il medesimo
nei terzetti del
canto del Purgatorio, che
furono riferiti da
principio ? Infatti
quivi egli dice:
1" che la
specifica virtù dell'anima umana, forma
sostanziale che nel
tempo stesso è scevra
di materia ed
unita con lei,
è la virtù
del conoscere e
la virtù dell'amare ;
2" che ciascuna
di queste virtù
ha i suoi
propri oggetti, cioè
la virtù del
conoscere certe prime
notizie, che la
dirigono nelle sue
particolari operazioni e la
virtù dell'amare certi
primi appetibili, che similmente
la muovono e
la guidano nelle
sue particolari operazioni,
e che 1'
intelletto di tali
notizie e l'affetto di
tali appetibili precedono perciò di
loro natura tutte
le particolari operazioni
di esse virtù
; 3" che
queste due virtù
per una legge
generale, a cui
sottostanno tutte le
forme della stessa
specie dell'anima nostra,
sempre si rimarrebbero
occulte, se uscendo
nelle loro particolari
operazioni non si
facessero in queste
sentire e per
queste non si
dimostrassero, come per
verde fronda in
pianta vita; 4°
che conseguentemente, quando
l'uomo opera o
coll'una o coll'altra
di queste virtù,
gli si rende
bensì sensibile e
gli si dimostra
quella, con cui
opera, ma non
anche quell'atteggiamento precedente di
essa, per il
quale è causa
al tutto pro-
porzionata e pronta al
suo operare, quindi
non anche l'intelletto
delle prime notizie
nell'epe-rare della seconda;
6" finalmente che
quest'intelletto e quest'affetto, solo
discopribili nel segreto dell'anima all'acuto
sguardo d'una tarda
riflessione filosofica, sono
tanto connaturali all'anima, quanto le
sono connaturali le
specifiche virtù, delle
quali non sono
che proprietà, e
da paragonarsi perciò
agli istinti, che
differenziano le varie
classi di animali,
allo studio per
es. che è
nell'ape di far
lo mèle. Lascio il resto, perchè
non legato strettamente
col tema del
mio discorso, e dall'esposto raccogliendo
quel che ne segue, dico:
che tanto è
lungi che ALIGHIERI
nel passo riferito
del Purgatorio dichiari
insolubile la questione della origine
delle umane cognizioni
e più precisamente
dei primi principi,
che all'opposto egli proprio
in quel passo
stesso ne dà
una soluzione, e
questa sostanzialmente è
quella che già
ne aveva dato AQUINO.
Che se vi ha qualcuno
che non consenta
meco nel modo
d'intendere o la dottrina filosofica d’AQUINO o quella
corrispondente di Dante
o tutte e
due, io ora
non gli contrasterò.
Intenda egli pure
a suo talento
coteste dottrine; a
me basta finalmente
che riconosca il
fatto, che in
questo canto del Purgatorio A una
ne professa, qualunque ella sia.
Imperocché, riconosciuto
questo fatto, bisogna
risolversi ad una
di queste due
cose : o
bisogna tener Dante
per uomo di
tale grossezza e
stupidità di mente
da non accorgersi
della contraddizione, in
cui cade, sen-
tenziando, come pretende la
nuova interpretazione, che
all'uomo non è
dato di sapere
là onde vegna
lo intelletto delle
prime notizie e nell'atto
stesso esponendo, sebbene
brevemente, una dottrina intorno a
questa questione : oppure
bisogna rifiutare la
nuova interpretazione, e
credere la intenzione
di ALIGHIERI lontana
le mille miglia
da quella sentenza.
In verità io non so,
se oggi neppur
un Bettinelli prenderebbe
il primo par-
tito. A questo
punto mi pare
eh' io potrei
tenere per sodisfatto
il mio debito
e quindi far
fine. Pure mi
piace di aggiungere
due altre considerazioni che mi
sembrano attissime a far sentire
sempre più quanto
sia iuammissibile la
discussa interpretazion. Si
consideri dunque in
primo luogo che
Dante, comecché uomo
straordinario, tanto che
possa dirsi di lui
quello che egli disse di Omero, cioè che sovra gli altri com'aquila vola,
ciò non
ostante è un
uomo, e tutti
si riscontrano in
lui i caratteri
generali degli uomini
dei tempi suo.Uno
di essi è
la fede, presa
questa parola nel
senso j)iù ampio
; cosicché, oltre
la fede soprannaturale propria del Cristiauo,
abbracci pur quella
meramente naturale
dell'uomo, per la
quale egli fortemente
assente a tutto ciò,
che la ragione
gli mostri come vero
o come buono.
I fatti pubblici
e privati, le lotte delle fazioni
politiche, le dispute delle scuole,
i monumenti sacri e profani, i
libri, che si
leggevano a istruzione
o a trastullo,
tutto in una
parola ciò che
appartiene a quei
tempi 94 concorre
a farci intendere, che un uomo,
che non crede con fermezza, sarebbe
stato allora quasi un assurdo.
Per questo fra
i diversi modi
di pensare, che anche
nell'età di mezzo
regnavano nelle scuole,
restò ignoto del
tutto quello, che
torna in fine
in distruzione d'ogni scienza e
dello stesso pensiero,
voglio dire lo
scetticismo. Ora che
altro è che
puro e pretto
scetticismo il dire
là onde vegna
lo 'ntelletto delle
prime notizie, uomo
non sape, se
questo si ha
da togliere nel senso che la
nuova interpetrazione propone? Imperocché
le prime notizie
son pure quelle,
sulle quali, come
su fondamento, s'innalza
tutto il sapere
dell'uomo; onde il
dubitare del suo
valore si fa inevitabile
a chiunque s'attenta
di pas- sar i
confini della riflessione
volgare, se la origine
delle prime notizie
è impossibile a
discoprirsi. Imperocché come potrebbe
egli abban- donatamente affidarsi a
principi d'origine non
pure ignota, ma
avuta da lui
per inconoscibile ?
Non potrebbero essere
altrettante misere illusioni
della sua mente?
E per qual
via liberarsi di
questo terribile sospetto,
se tutti i giudizi della mente si
fanno a norma di quei principi?
S'immagini pure chi vuole maestro di dubbio il nostro grande Poeta:
io per me
non potrò mai
farmi un' immagine
tale di nessun
uomo dei suoi
tempi e dell'Alighieri anche
molto meno, se
l'Alighieri è quello che lo dicono
le storie e
che lo manifestano
tutte concordemente e le sue
prose e i
suoi versi immortali.
Appoggiato invece a questi
documenti certissimi, dai
quali tanta fede
traluce nella ragione
e nella scienza
umana, io me
lo immaginerò pieno
di sdegnoso disprezzo
per cotesto genere
di mendace filosofia,
quale egli si
mostra nella prima
cantica della Divina
Commedia, quando, entrato
appena nella città
di Dite incontra
l'anime triste di
coloro, Che visser
senza infamia e
senza lodo. Mischiate.
a quel cattivo coro Degli
Angeli, che non
furon ribelli, Né
fur fedeli a
Dio, ma per
sé foro. Non è già,
ed eccomi all'altra
considerazione, non è già
che Dante creda
illimitata la sua
ragione umana o
che ne esageri
comecchesia il potere:
no, egli riconosce i suoi confini
e al disopra di questa naturale sorgente di cognizione ne pone un'altra
soprannaturale, la fede, destinata perdono grazioso di Provvidenza ad estendere e
compire, quanto quaggiù
è possibile, la
cognizione derivata dalla
prima. Però egli
ammette due scienze distintissime, corrispondenti a
quelle due potenze
o principi subiettivi
del nostro sapere,
la filosofia e
la teologia; e
come, menato dall'istinto
d'un animo eminentemente
poetico, che tutto
contempla nella forma
del bello, prende Virgilio come
simbolo della filosofia,
così Beatrice prende
per simbolo della
teologia. Quin- Inf.,
canto di quelle parole,
che servono d'introduzione ac-
concissima ai ragionamento, con
cui VIRGILIO nel canto del Purgatorio
si fa a
dissipare difficoltà sorte nella
mente di Dante
: quanto ragion
qni vede Dir
ti poss'io: da
indi in là
t'aspetta Pure a
Beatrice, ch'è opra
di fede. Ora
in questa introduzione sta
appunto una nuova
buona ragione per
riprovare la interpe-
trazione, che fa
dire a Dante
indefinibile per umano
ingegno là onde
regna lo intelletto
Delle prime notizie.
In vero qual
era precisamente lo
scopo, a cui
mirava il ragionamento
di VIRGILIO? Ad ALIGHIERI,
non avendo inteso
bene il principio
da cui era
partito il suo
Maestro nel ragionamento antecedente, con
cui questi aveva
voluto spiegargli la
natura dell'amore, era
venuto a turbargli la
mente e ad
impedirgli di comprendere
come l'amore potesse
essere la radice
di ogni merito
o demerito dell'uomo
che opera, questa
obiezione : Ohe
se amore è
di fuori a noi offerto,
E l'animo non
va con altro
piede, Se dritto
o torto va,
non è suo
merto. Ora Virgilio,
perchè la mente
di Dante vedesse chiaro come il merito e il demerito
dell'operare dell'uomo stesse insieme
con quello che
egli aveva detto
circa il principio
del suo operare,
cioè circa l’amore, non
doveva aggiun- ger nulla
di nuovo, ma
solamente ritornare sulla
natura dell'amore e
più spiegatamente dirgliene
l'origine. E questo
infatti è quello
che egli fa,
quando, dopo averlo
avvertito che da lui non si aspetti che quanto in questa
materia può sapere la naturale ragione
dell'uomo, prende a dirgli: Ogni forma sustanzial, con quel che segue.
Ora qui
è da riflettere,
che conoscere e
amare sono cose
cosi connesse, che un
subietto privo di
conoscenza è impossibile
che ami, e
privo di amore
è impossibile che
sussista ; perchè
col solo conoscere
non sarebbe intero, e un subietto non
intero è lo
stesso che un
frammento di subietto.
Dante la sapeva
bene questa connessione strettissima dell'amare
e del conoscere,
che era uno
dei più comuni
insegnamenti dei filosofi
dei suoi tempi
e dei più
incontroversi; onde, se
la opinione sua
quanto al conoscere
fosse stata, che
non se ne può
sapere l'origine, si sarebbe sentito obbligato a professare un'opinione simile
anche quanto all'amare, e per conseguenza in questo luogo del Purgatorio non
avrebbe indotto Virgilio ad ammonirlo. Quanto ragion qui vede Dir
ti poss'io, ma
questi gli avrebbe
dichiarato a dirittura
e senza andare
in troppe parole,
che non poteva
dirgli nulla, perchè
nulla la ragione
ne vede, e
che per tutta
questa bi- sogna gli
conveniva aspettare i
più alti ammae-
stramenti di Beatrice. Pertanto quell'womo non sape del luogo esaminato
del Purgatorio non è da intendersi
secondo la nuova
interpetrazione, ma si in quello
stesso stessissimo significato
che lia l' noni,
non se n^avvede
in un altro
luogo della medesima
cantica, dove il
nostro Poeta, esprimendo
una delle più
note leggi dell'attenzione intellettiva,
dice: Quando per
dilettanze ovver per
doglie Che alcuna
virtù nostra comprenda,
L'anima bene ad essa si
raccoglie; Par che
a nulla potenzia
più intenda, E questo
è contra quell'error,
che crede. Che
un'anima sopr'altra in
noi s'accenda. E
però, quando s'ode
cosa o vede,
Che tenga forte
a sé l'animo
volta, Vassene il
tempo, e l'uom
non se n'avvede.
Ch'altra potenzia è
quella, che l'ascolta,
Ed altra è
quella, che ha
l'anima intera; Questa
è quasi legata,
e quella è
sciolta. In ambedue i
luoghi ci significa
la mancanza di una cognizione
propria della riflessione;
ma ne l'una
né l'altra cognizione
manca all'uomo per
un invincibile ostacolo,
che stia nella
sua stessa natura,
bensì per una
accidentale condizione in cui
si trova. Onde,
finche egli rimane
in questa condizione,
necessariamente rimane anche
privo di quella
cognizione; ma egli
può pure uscirne
e il potere
uscirne non consiste
in altro, che
nel potere riflettere
su di se
e su quello che
in sé avviene.
Fin qui i
due casi, a cui si
riferiscono i due
luoghi del Purgatorio,
sono eguali del
tutto; la loro
dififerenza comincia solo
a mostrarsi, quando
si prende a
considerare la natura dell'oggetto,
del quale si
tratta d'acquistar cognizione per
via di un
ripiegamento del pensiero
su noi stessi.
Perocché nel caso
contemplato nel canto quest'oggetto
è lo scorrer del
tempo, e nel
caso contemplato nel
canto è invece
la provenienza delV
intelletto delle prime
notizie. Or chi non vede, che il ripiegare il pensiero su noi stessi per
avvertire la successione delle nostre modificazioni e il movimento del tempo, è
assai più facile che il ripiegare il pensiero su noi stessi per risalire fino
all'origine prima di ogni nostro conoscimento? Chi non vede, che d'ordinario ogni
uomo adulto, eccettuate
le circostanze di
breve durata, a
cui l'Alighieri accenna
nell'esporre il primo caso, è
capace di fare e fa realmente
quella semplice riflessione,
che è necessaria per
accorgersi del tempo
che passa; ma
che all'opposto pochissimi
degli stessi uomini
adulti, o per
nativa ottusità di mente,
o per difetto
di conveniente educazione
intellettuale, o per
impedimento posto dai
casi e negozi
della vita, sono
capaci di fare
le molte riflessioni
e complicate ed
astruse, colle quali
soltanto è possibile
di elevarsi fino
a quel fatto
primo, in cui
s'inizia la potenza
stessa del conoscere?
Ma quello che
è difficile, sia
pur difficile quanto
si vuole, non è impossibile; e quello,
che non è impossibile,
o prima o
poi, o da
un uomo o
da un altro
si fa; e cosi
si va effettuando quella idea di progresso,
che, se per i singoli uomini ha
il valore di una legge morale, per tutta
insieme l'umana famiglia
ha quello d'una legge
ontologica, voglio dire
d'infallibile necessità. E a chi
quest'idea, in sui
primi albori della
civiltà moderna, più
che al nostro
Poeta illuminòla mente
e die potenza
a operare? Luoghi del
Poema di Dante CHIOSATI O CITATI DA P. Inf. Pura. Par. Autori o libri allegati
nelle chiose. Agostino LIZIO Alessandro Afrodisiaco Alessandro d'Ales Apocalisse Atti degli Apostoli Averroè
Bartolo da Sassoferrato Bettinelli Biagioli FIDANZA
Bossuet fiuti (Da) Francesco Oano Melchior Cesari Antonio
Condorcet Conti Daniello Bernardino Epicuro Esodo Evangeli Fichte
Fracastoro Girolamo Giustino Martire Hegel Ippocrate Livio Lombardi Baldassarre Lucrezio Muratori Lodovico Cenerò
Orazio Ovidio Ozanam Pacuvio Paolo Petrarca ACCADEMIA Renan Retorici ad
Erennio Rosmini Antonio
Sartini Scoto Michele Schelling Peder.
Guglielm Seneca Socrate Tolomeo da LuccaTommaseo Nicolò Aquino Varchi
Venturi Pompeo Vico Vigne (Delle)
Piero Virgilio Vives Gian Lodovico P. bicordato da un suo discepolo Di
un luogo del Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato
pienamente Sopra un luogo della Cantica del Paradiso JuAverroè della divina
Commedia Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante Sopra un luogo del canto
del Paradiso. Di un luogo filosofico della divina Commedia. Tavola dei luoghi
del Poema di Dante chiosati o citati da
P., Tavola degli Autori
o libri allegati
nelle Chiose. cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano
Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Paganini” – The Swimming-Pool Library.
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