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Wednesday, December 25, 2024

GRICE E PAGANINI

 

Grice e Paganini: l’implicatura conversazionale di Roma – il Virgilio di Firenze – la scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina Commedia philosophically!” --   Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba. unipi/it/ risorse / archivio fotografico/ persone- in- archivio/ paganini- carlo-pagano Opere. COLLEZIONE DI OPUSCOLI DANTESCHI INEDITI O RARI DA PASSERINI CITTA DI CASTELLO S. LAPI CmOSE  i  IUHI  flSOFICI DELIiA DIVINA COMMEDIA RACCOLTE E RISTAMPATE DI FRANCIOSI CITTÀ DI CASTELLO S. LAPI  RICORDATO DA UN SUO DISCEPOLO. In la mente m'è fitta, od or m'accora, la cara e buona imagine paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l'uom s'eterna. In. P., ell'aspetto e nell'animo, e come uomo venuto da secoli lontani. Io vedo specchiata nella mia mente, che spesso lo ripensa con riverente affezione  di  alunno,  la  sua  testa  di  bellezza  antica.  Fronte  larga e pensosa, naso aquilino, barba e capelli nerissimi, labbra sottili e poco pronte al sorriso, quando socchiudeva gl’occhi e china il capo meditando, era in lui somiglianza più che fraterna col San Paolo della Cecilia raffaellesca;  ma,  nell'atto di alzare lo sguardo e la mano verso gl’alunni suoi, sillogizzando, e rammenta piuttosto il LIZIO della Bettola d’Atene.  Rado e lento al parlare per abito di raccoglimento e per difficoltà di respiro, sopravvenu agli nel colmodella virilità, persuade. La parola viva, stillando quasi dalla forte compagine della sua parola pensata o dell’interna stampa, cade addentro negl’animi anche men disposti a riceverla, come la goccia, stillante giù dalla roccia, a poco a poco scolpisce orma profonda nel sasso sottostante. Natura di pensatore disdegnoso e  chiuso in sé, pochi lo intesero e pochissimi lo pregiarono secondoverità. Cittadino prode, vagheggiò, lontano dal volgo, un'idea nobilissima di paese sincero, di popolo giusto e sano. Educatore potente,  ma non ricco di propria virtù creativa, commenta dalla cattedra,  come forse niun altro sa a'nostri tempi, l'alta  dottrina  di SERBATI; benché non possede l’attitudini del divulgatore: reca luce nuova, avviva la forza visiva, ma nella mente di pochi. Asceta del pensiero,  un po'per indole e un po'per fiera volontà d'espiazione, esercitato in severe continenze e astinenze di fantasia e di spirito,  non ha le geniali divinazioni dell'estro;  né quel lampeggiare improvviso di parola ispirata, in che s'aprono o s'intravedono lontananze ideali, com'appunto in chiarore di lampo lontananze di mare e di cielo. La sua prosa, nell'antica e salda semplicità dell'espressione,  rammenterebbe la linea degl’edifici ROMANI, se  il  pensiero non  vi  apparisse  talora  frastagliato  in  minute  analisi,  in  distinzioni  sottili,  che  tengono  della  scolastica  medievale.   Tempra  di  filosofo,  mente  austera  e  teosofica.  P.  nel  Poema  sacro  vide  il  tempio,  ove  l'arteumana, ispirata dalla fede, fa sentire l'Ineffabile. Questo  egli  principalmente  dimostra,  pur  rendendo  onore  all'  ingegno  sovrano  del  Poeta,  nel  discorso  " La teologia d’ALIGHIERI;  discorso, che  qui  non  si  dà,  perchè  fa  parte  di  volume troppo  noto.  Ma  de'  suoi  forti  studi  danteschi  fanno,  credo,  miglior  fede  le  chiose,  che  qui  si  danno  raccolte  e  ordinate;  dove, cercando, con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro,  dentro  al  fantasma  poetico  l'occulto  e  il  divino,  P. riuscì  ad  avvertire  per  la  prima  volta  o  a  far  meglio  palesi  germi  preziosi  di  verità  filosofiche. Cosi  nelle  permutazioni  della  Fortuna  (Inf.)  addita  i  ricorsi  vichiani;  e  nel  sillogismo  delle  vecchie  e  delle  nuove  cuoja  (Pa-  [ALIGHIERI, Firenze,  Cellini] Ordinate  per  ragione  di  tempo.  Soggiungo  che  questa  ristampa  e  condotta  con  amoi'e  di  sincerità  anco  nelle minime cose. Ho  caro  che Casini,  già  mio  discepolo  a Modena,  abbia  rammentato  tre  volte  (Inf.;  Purg.),  sia  pure  inconsapevolmente,  il  maestro  del  maestro  suo;  e  una  di  queste  tre  volte  (Purg.)  offerto  a'  letttri  della  sua  diligente  esposizione  del  Poema  la  stillata  sostanza  di  chiosa  paganiniana.   Lo  Scartazzini,  commentando  la  terza  Cantica,  cita  P.  due  volte,  mala seconda volta,  dopo  averlo  citato,  se  ne  discosta  senza  dir  perchè;  e  noi  Commento  all'Inferno attribuisce  a  me,  certo  per  errore  di  trascrizione,  ciò,  che P.  argomenta  sull’apodosi  della  comparazione  dantesca  tra  gli  splendori  del  mondo  e  quelli  de'  cieli.    8   rad,  il  sillogismo  della  stona,  che    bene  armonizza col sillogismo del  cosmo e  col  sillogismo  della  trinità  divina;  cioè  le  tre  grandi  età  della  Preparazione  a  Cristo,  àBÌV Avvento  di  Cristo  e  della  Santificazione  in  Cristo.  Cosi  nettamente distinse,  restringendolo  alla  creatura  uomo,  l'amore  naturale  da  quello animo;  dichiara da  maestro  il  verso: Averroè,  che  il  gran  commento  feo„  ;  segna  il  giusto  valore  della  frase  "uomo  non sape„ là, dove  si  tocca  dell'origine dell'idee,  e  dimostra da par suo che cosa valga nel linguaggio degli scolastici subietto degl’elementi.  Le note dichiarative non fanno una grinza:  quanto all’altre,  io già ne  apersi,  o  diedi  a  divedere,  l'animo  mio  nel Libro  delle  Ragioni. Ma,  pur  dissentendo  in  parte,  riconosco   '  Perez,  in  una  sua  lettera  al  Paganini,  scrive: Intendo  assai  bene  la  verità  e  la  bellezza  di  que'  tre  sillogismi  della  Storia,  della  Cosmologia,  della  Teologia;  armonia  del  creato  e  dell'increato,  che  non  vidi  mai  annunziata  in  forma  somigliante „.  Lettera  di  Perez  a P. (Nozze Perez-Fochessati),  Verona,  Franchini. Tommaseo  si  dice  lieto  d'esser  corretto  da P.,  ch'egli  giudica  uno  de'  più  idonei  a  scrutare  le  intenzioni,  le  dottrine,  le  origini  del  verso  dantesco;  nobilmente confessa  d'avere  errato,  restringendo  ai  corpi  Vamor  naturale,  ma  insieme  consiglia  P. di  non  restrin-  gere quest'amore,  ch'è  Varco  fatale  nell'inno  dell'ordine  (Parad.,  I,  119),  entro  i  confini  della  creatura  intelligente. Nuovi studi su ALIGHIERI,  Torino. Giuliani  in  una  postilla  marginale,  ohe  Poletto  riferisce  (Dizionario dantesco),  volle  far  suo,  credo,  il  pensiero  di  P. Nuova  raccolta  di  scritti  danteschi,  Parma,  Ferrari  e  Pellegrini,  volentieri  che  tutte  queste  chiose  dantesche,  come i  lavori  più  gravi"  Saggio  cosmologico  su  lo  spazio„  e  "Delle  più  riposte  armonie  tra  la  filosofìa  naturale  e la soprannaturale„ sono  bellissimo documento  d'intelligenza  acuta  e  serena,  d'abito  di  ragionare  diritto  e  spedito,  di  chiarezza  viva  di  scienza  convertita,  per  lunga  meditazione,  in  nutrimento  del  pensiero,  in  forza  operosa  dello  spirito.  Se  non  che  la  maggiore  e  miglior  parte  dell'uomo,  secondo  me,  non  si  palesò  negli  scritti  e  nemmeno  nell'atto  dell'insegnare  dalla  catte-  dra; si  nel  conversare  casalingo  e  nel  costume.  Tra  le  ricordanze  della  mia  vita  di  scolaro  sempre  mi  sarà  carissima  quella  de  le  veglie  passate a  Pisa  in  casa  Paganini:  dove,  spogliata  la  toga  del  professore,  l'uomo  appariva  in  tutta  la  sua  grande  bontà  d'intelletto  e  di  cuore,  e  il  maestro  ci  si  mutava  in  consigliere,  in  amico,  in  fratello.  Quante  dispute  gentili;  quanto  fervore e  quanta  allegrezza,  nella  serenità  del  con-  fidente colloquio,  di  pensieri  e  di  affetti,  sempre  accesi  nel  piacere  del  vero  !  Io  penso  che  la  sua  natura  di  educatore  per  eccellenza  ben  si  palesasse allora.  Chi  lo  conobbe  solo  tra  le  pareti  della  scuola  dovette  averlo  in  riverenza,  ma  forse  non   lo   amò;   chi   lo   conobbe   in   casa,    dovette    '  Pisa,  Nistri (Annali  delle  Università  toscane). Pisa,  Nistri,  amarlo  come  padre. Semplicissimo  in  ogni  manifestazione del  suo  spirito,  P. pur  serba costante  dignità  e  non  cercata  eleganza  di  veste,  di  portamento,  di  gesto  e  di  parola.  Quando lavorava  nel  suo  caro  orticello,  spampinando  la  pèrgola,  potando  qualche  pianta  o  zappettando  con  fretta allegra,  portava  zoccoli  alla  contadinesca, rimboccava  fino  al  gomito  le  maniche  della  camicia  e,  se  la  stagione  lo  consentisse,  stava  contento  a  sommo  il  petto,  come  quel  del  Nerli,  a  la, pelle  scoverta:  chi  lo  avesse  veduto  di  lontano,  poteva  scambiarlo  con  un  forte,  lindo  e  sollecito  massaio delle campagne toscane;  ma  da  vicino,  anche nell'umile  esercizio  dell'ortolano,  ciascuno  avrebbe  notato  quell'aura,  che  si  diffonde  nel  volto e  nella  persona  da  regale  nobiltà  di  pensiero.  Uscendo  dall'orticello,  lasciava  gli  zoccoli,  indossava una veste  giornaliera,  ma (direbbe  un  antico) onesta,  ed  entrato  nel  suo  studinolo,  ripigliava  con  alacrità  nuova  il  lavoro  intellettuale  per  qualche ora  interrotto.  Amico  di  solitudine,  mesto  e  pensoso  per  lo  piìi,  terribile  negl'impeti  dell'ira,  ebbe  grande  gentilezza  di  cuore,  accorgimenti  di  bontà  materna.  Innamoratissimo  de'  giovani  e  de'  fanciulli,  in  mezzo a loro  si  trasmuta  come  per  incanto:  sorrideva  amabilmente  e  amabilmente parlava,  temprando  per  affetto  la  sua  gagliardissima  voce  a  modulazioni  soavi;  e  l'occhio, spesso  pieno  d'ombra  sotto  le  folte  sopracciglia  aggrottate,  si  aifissava,  tutto  schiarato,  in  quei  visi  ridenti  e  lampeggiava d'amore. Educatore di    in  gran  parte,  fidente  nella  virtù  del  volere, sa  insegnare  a quelli che  lo  avvicinano,  il  proposito e  l'arte  di  migliorare  il  proprio  spirito.  Io,  mi  gode  l'animo  d'aver  qui  l'occasione  di  confessarlo,  riconosco intero da lui il principio di un'educazione intellettuale, che a poco a poco mi rinnova, 'distruggendo  o  mortificando i  mali  abiti  della  casa  e  della  scuola.    le  meditazioni  austere  spensero  o  scemarono  nel  Paganini  il  senso del bello, ma lo fecero più delicato, più fine e profondo. Delle arti figurative, conoscitore e  giudice  arguto  d'ogni  lor  passo,  molto  si diletta;  ed e egli  stesso  disegnatore corretto. La  poesia senti come pochissimi;  'Notabili  queste  sue  parole:  "Quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non  è  impossibile;  e  quello,  che  non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo o da un altro si  fa. Pur negli saggi  qui  raccolti  è  qualche  vestigid,  benché raro  e  fuggevole,  del  suo  sentire  gentile,  come    dove  accenna  l'evidenza  pittrice del verbo velare  per  ventilare e  dove  l'armonia  della  terzina: Ma  ella  s'è  beata  e  ciò  non  ode    chiama  anticipazione  di  quel  nuovo  modo  d%  poesia,  che Alighieri  riserba  al  Purgatorio  e  al  Paradiso.    soltanto  la  poesia  pensata  ed  eletta,  ma  l'improvvisa e  campagnuola.  Villeggiando sui  colli  di Pistoia,  raccolse con  amore  motti  e  canti  popolari,  e  della  Ninna  nanna  "  Quando  a  letto  vo  la  sera    disse  cose  nuove e  belle. (Lettera  ai  Morelli, Lucca,  Canovetti] e  due  tra  tutti  i  poeti  predilesse,  perchè  meglio  rispondenti  all'indole  e  all'educazione  del  suo  spirito:  Dante,  di  cui  ho  già  detto,  e  Virgilio.  Peccato  che  tante  sue  belle  considerazioni  su  questi  due  poeti,  onde  nel  conversare  quotidiano  non  fu  punto  avaro  a'  giovani,  sieno  fuggite  con  la  sua  voce,  o  mutate  in  seme  di  troppo  diversa  germinazione  nella  mente  di  chi  le  ascoltò  !  V  hanno  uomini,  che  la  scarsa  loro  ricchezza  d'intelletto  e  di  cuore  spargono  subito  per  mille  rivoletti  fuori  di  sé:  altri,  possessori  di  grande  ricchezza  interiore,  somigliano  a  quelle  nascoste  e  profonde  sorgenti  della  terra,  che  non  si  veg-  gono, ne  si  odono,  ma  si  argomentano  da  la  più  lieta  verzura  e  dal  fitto  fiorire  del  terreno  sovra-  stante. Tra questi  ultimi  è  da  porre Pagano Paganini,  che  molto  seppe,  molto  e  bene  amò;  ma  parlò  poco  e  pochissimo  scrisse:  eppure  molti  scritti e  molti  fatti  buoni,  generati  o  cresciuti dalla  dottrina,  dal  consiglio,  dall'esempio  di  lui,  attestano  della  sua  ricca  e  verace  bontà.   Roma. Franciosi. Di  un  luogo  del  FargatoHo  d’ALIGHIERI,  che  non  sembra  essere  stato  ancora  dichiarato  pie-namente.     Eagionando   dell'amore,  VIRGILIO,   nel    canto  del  Purgatorio,  secondo  la  naturale  filo-    sofia, dice: Ogni  forma  sujtanzlal,  che  setta  -  È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita,  Specifica  virtude  ha  in    colletta,   La  qual,  senza  operar  non  è  sentita,    si  dimostra  ma  che  per  effetto  Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.   Però    onde  vegna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie  uomo  non  sape,  E  de'  primi  appetibili  l'affetto,   Che  sono  in  voi  si  come  studio  in  ape  Di  far  lo  mele;  e  questa  prima  voglia  Merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape.   Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia.  Innata  v'è  la  virtù  che  consiglia E dell'assenso de'  tener  la  soglia. Da.IV Araldo  cattolico: Lucca. P.,  lo  avverto  una  volta  per  sempre,  nello  sue  oi-  tazioni  della  Commedia  fu  solito  di  serbar  fede  al  testo  della  Volgata; ma,  venuto  in  luco  il  testo  di  Buti,  qualche  volta  amoreggiò  con  questo;  come  là,  dove  ai  plurali  verdi  /ronde  e  primi  appetibili  sostituì  i  singolari  bellissimi  verde  fronda  e  primo  appetibile.  .Quest'è  il  principio,    onde  si  piglia  Cagion  di  meritare  in  voi  secondo  Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia.  '   E  queste  cose  son  dette  per  soddisfare  alla  questione  proposta  da  Dante  colle  seguenti  parole:   Ti  prego,  dolce  padre  caro,   Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci  Ogni  buono  operare  e  il  suo  contraro.   Infatti nel canto antecedente Virgilio,  trattando il  medesimo  argomento,  aveva  pronunziato:     creator,    creatura  mai   fu  senz'amore   O  naturale,  o  d'animo   Lo  naturai  fu  sempre  senza  errore;  Ma  l'altro  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  troppo,  o  per  poco  di  vigore.   Mentre  ch'egli  è  ne'  primi  ben  diretto,  E  ne'  secondi    stesso  misura,  Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto;   Ma,  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura  O  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene,  Centra  il  fattore  adovra  sua  fattura.   Quinci  comprender  puoi  ch'esser  conviene  Amor  sementain  voi  d'ogni  virtute  E  d'ogni  operazion,  che  merta  pene.   Ora  di  quella  terzina  del  primo  passo:  Or  perchè  a  questa,  ecc.  trovansi  nei  commentatori    Questo  verbo  vigliare,  che  dal  Biagioli  viene  erroneamente confuso con vagliare, e che forse ha tratto origine dal latino, significandoesso  pulire  il  mucchio  del  granocon una granata o con un mazzo di  frasche  dalle  paglie,  stecchi  e  simili  cose  senza  pregio  (lat.  viliaj,  ce  ne  fa  tornare  alla  mente  un  altro,  che  sebbene ci  paia  bellissimo,  e  sia  vivente  in  bocca  dei  oampagnuoli,  con  tutto  ciò,  a  quanto  sappiamo,  non  ha  ricevuto  l'onore  d'essere  accolto  nei  vocabolari.  È  questo  il  verbo  velare,  ohe  significa  nettare  il  grano  dalla  pula,  gettandolo  contro  vento  ;  e  se  pure  non  è  una  sincope  di  ventilare,  conviene  credere  ohe  i  contadini lo abbian tratto pittorescamente dall'imagine  d'una  vela,  che  presenta la pula fuggendo via portata dal  vento.] della  Divina  Commedia  tre  principali  spiegazioni.  Una,  seguita  anche  da  Venturi  e  da  Biagioli,  è  del  Daniello, il quale scrive: l'ordine è: la virtù che consiglia cioè la ragione, v'è  innata cioè nata insieme  con  voi, perchè affìn  che  ogni  altra voglia,  che  nasca  in  coi,  si  unisca,  accompagni  e  raccolga  a  questa  virtù,  la  qual  dee  tener  la  soglia,  ecc. Un'altra è  di Lombardi,  il  quale  cosi  interpreta:  Or perchè affinchè a  questa  prima,  naturale  ed  innocente  voglia  si raccolga, si  accompagni  ogni  altra  morale  e  lodevole  virtù,  "  innata  v'è data  vi  è  fin  dal  vostro  nascimento,  la  virtù che consiglia la ragione che vi deve consigliare e  regolare  i  vostri  appetiti.  La  terza,  infine,  è  del  Tommaseo,  che,  a  nel Commento,  esprime  il  concetto  d’Alighieri  in  questo  modo. Acciocché  questo  primo  naturai  de-  siderio e  intelligeìiza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  avete  innata  la  ragione,  da  cui  viene  il  libero  arbitrio;  sicché  tutti  sieno  non  men  del  primo  conformi  a  natura.  Qual  è  il  valore  di  queste  spiegazioni?  Esaminiamole  brevemente.   A veder  l' improbabilità  della  spiegazione  del  Daniello  basta  considerarla  rimpetto  alla  ragione  grammaticale.  Nel  verso :  Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia  dei  due  pronomi  questa  e  ogn' altra,  che  essendo  ambedue  femminili  e  uniti  in  un  sol  membro,  ognuno  riferirebbe  ad  un  me-  desimo nome,  egli  al  contrario  riferisce  il  primo  al  susseguente  virtù,  e  il  secondo  al  precedente voglia;  attribuendo  cosi  ad Alighieri  un  costrutto non  solamente  ardito,  ma  pur  anco    strano,  che  non  se  ne  trova  esempio  ne  pur  forse  negli  scrittori  latini, tuttoché la lingua loro concedesse tanta  libertà  d'allontanarsi  dall'ordine  naturale  delle  parole.   Lo  stesso  rimprovero  può  farsi  pure  a  Lo-  bardi;  il  quale  non  si  diparte  dal  Daniello  se  non  in  questo,  che  il  primo  di  quei  pronomi  riferisce  a  voglia  e  il  secondo  a  virtìi,  cioè  mette  innanzi  quel  che  l'altro  avea  messo  dopo,  e  pospone  quel  che  l'altro  avea  anteposto.  Ciò  non  ostante  ne  risulta  quindi  un  senso  tanto  differente,  da  rendere la  spiegazione  di Lombardi meno improbabile di  quella  del  Daniello;  perchè  lascia  a  soggetto  della  relazione,  accennata  da  Dante  in  questo  verso,  la  prima  voglia,  o l’affetto  dei  primi  appetibili,  come  rettamente  si  dice,  naturale  e  innocente sebbene  per  termine  di  essa  relazione  non  si  prendano  poi  le  altre  voglie  od  affetti,  ma  piuttosto  le  morali  e  lodevoli  virtù.  È  vero  che  le  morali  e  lodevoli  virtù  hanno  per  natura  di  dirigere  e  ordinare  gli  affetti  tutti  dell'animo,  e  che  perciò  nella espressione  usata  da Lombardi  sono  implicitamente  contenuti  anche  questi,  ma  ciò  non  basta  a  giustificarlo;  essendo  che  qui  trattavasi  appunto  di  mostrare  come  gli  affetti  diventino  virtù  e  anco vizi, e nella  chiosa  di  Lombardi  questa dimostrazione rimane un desiderio, avendo  egli  preso,  come  abbiam  detto,  per  termine  della  relazione  le  virtù  bell'e  formate. Con  mente  più  filosofica  ha  studiato,  come  gli  altri,  così  questo  passo  della  Divina  Commedia  il  Tommaseo;  ha  riferito  tutt'e  due  i  pronomi  al  medesimo  nome  voglia,  che  li  antecede,  e  ha  scorto  fors'anco  la  vera  relazione,  che noi crediamo essersi  inteso  d’Alighieri  di  porre  tra  l'aff'etto  dei  primi  appetibili  e  ogni  altro  affetto,  che  di  poi  si  svolga nell'animo nostro, senza che però l'intendimento del poeta resti a pienoillustrato. Imperocché,  ritenuto  per  indubitabile  che  questa  valga  questa  prima  voglia,  che  è  in  noi  naturalmente,  e  ogni  altra  valga  ogni  altra  voglia,  che  in  noi  possa  accendersi  nel  corso  della  vita,  v'è  da  risolvere  la  questione,  a  cui  fa  luogo  il  verbo  raccogliersi  ;  che  è  quanto  dire  quale  relazione  precisamente  abbiavoluto il poeta esprimere con  esso  verbo  fra  quelle  cose.  E  qual  è  questa  relazione  secondo  il  Tommaseo?  È  una  relazione  simile  a  quella,  che  i  punti  d'una  circonferenza, o  i  raggi  d'un  cerchio,  hanno  col  centro, giacché  dice:  acciocché  questo  primo  naturai  desiderio  e  intelligenza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  ecc.  E  per  fermo,  raccogliersi  significa  anco  concentrarsi,  e  più  d'un  esempio  ce  ne  offre  lo  stesso ALIGHIERI.  Ma  siffatta  spiegazione,  ci  sia  permesso  di  dirlo  francamente,  non  isnuda  il  concetto  filosofico  voluto  esprimere  da  Dante,  lo  lascia  involto  nel  velo  della  metafora,  però  non  può  essere  avuta  per  sufiiciente.   Il  poeta  nel    canto  avea  fatto  dire  a VIRGILIO  che  amore  è  sementa  in  noi  d'ogni  virtù  e  d'ogni  vizio:  vuol  fargli  provare  la  verità  di  questo  dettato,  comune  alla  pagana  e  alla  cristiana  sapienza.  A  tale  uopo  egli,  in  persona  del  suo  duce  e  maestro,  risale  col  pesiero alla  costituzione  primitiva  dell'essere  umano:  in  esso,  egli  dice,  oltre  la  materia,  v'è  una  forma  immateriale,  fornita  di  una  virtù  o  potenza  specifica,  la  quale  non  si  dimostra  che  ne'  suoi  effetti,  cioè  nelle  sue  operazioni,  come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.  Questa  potenza  specifica  può  considerarsi  da  due  lati,  in  quanto  è  passiva  e  in  quanto  è  attiva:  in  quanto  è  passiva  è  l’intelletto  delle  prime  notizie,  in  quanto  è  attiva  è  l’affetto dei primi  appetibili  (AQUINO,  Cantra  gent.).  Quindi  non  è  maraviglia  che  l'uomo  non  sappia  donde  gli  vengano  siffatte  cose,  non  essendone  mai  stato  privo  e  appartenendo alla  sua  natura  in  quel  modo  medesimo,  che  all'ape,  per  esempio,  appartiene  lo  studio,  ossia  l'istinto,  di  far  lo  mèle.  Ora  quell'affetto  dei  primi  appetibili  è  senz'alcun  merito,  perchè  non  dipende  dal  libero  arbitrio  ;  il  quale  soltanto  è  principio,    onde  si  piglia  Cagion  di  meritare.  Non  per  tanto  esso,  non  avendo  per  oggetto  altro  che  il  bene  conveniente  all'umana  natura,  è  un  affetto  sotto  ogni  aspetto  irreprensibile.  Non  si  può  concepire  non  solo  una  creatura,  ma    meno  il  Creatore  senza  amore  alcuno;  sebbene In  Tece  di  IV,   era  da  pozze:  Inella  creatura  ragionevole  ne  possano  essere  di  due  sorte,  uno  naturale,  o  istintivo  ;  e  l’altro  à^ animo,  o  deliberato  :  il  primo  dei  quali  è  sempre  senza  errore,  perchè  è  l'opera  della  stessa  sa-  pienza divina,  mentre  il  secondo  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  poco  o  per  troppo  di  vigore,  secondo  che  dalla  libera  volontà  o  è  vòlto  a  ciò  che  è  intrinsecamente  male,  oppure  anco  a  ciò  che  è  bene,  ma  senza  quella  misura  che  risponda  al  suo  vero  pregio.  Come  accade  adunque  che  sia  Amor  sementa  in  noi  d’ogni virtude E d'ogni operazion che merta pena? Ciò accade: Imperché dal  primo  amore,  che  Dio  medesimo  ha  posto  nell'uomo,  si  svolgono  altri  amori,  come  dalla  forza  vegetativa  delle  piante  nascono  i  ramoscelli  e  le  foglie,  che  le  adornano,  e  dall'istinto  del-  l'ape i  vari  movimenti,  coi  quali  essa  sugge  l'umor  de'  fiori,  lo  converte  in  miele  e  lo  de-  posita nell'alveare;  2° perchè  questi  secondi  amo-  ri possono  esser  conformi  a  quel  primo  essenziale  all'uomo  e  rettissimo,  ovvero  anche  difformi,  siccome  avviene  ogni  volta  che  o  finiscano  in  oggetto  per    malo,  o  non  serbino  il  debito  modo  ed  ordine  nei  beni  ;  3*^  perchè  la  ragion  pratica,  o  assecondando  o  promovendo  colla  sua  libera  efficacia  cotesti  amori,  fa  che  la  rettitudine  loro  o  la  loro  malvagità  sia  imputabile  all'uomo,  e,  divenuti  abituali,  diano  carattere  alla sua condotta, in  altre  parole,  originino  le  virtù  ed  i  vizi.  E  da  tutto  questo  si  fa  manifesto,  che,  quel  primo  amore,  si  rispetto  agli  amori  secondi, come  rispetto  alla  ragion  pratica (convenientissimamente chiamata  da  Dante  la  virtù,  che  consiglia, E  dell'assenso  de’ tener  la,  soglia,  dall'ufficio a cui è stata destinata),  è come una cotal regola od esemplare; cioè, rispetto agli amori secondi, perchè non possono esser ragionevoli e onesti se non seguendolo e imitandolo, e rispetto alla ragion pratica perchè deve procurare, che essi nel fatto lo seguano e lo imitino. E diciamo UE a cotal regola od esemplare; conciossiachè la natural tendenza a quel bene, che  conviene  all'esser  nostro,  per    non è  che  un  fatto,  e  un  fatto,  in  quanto  tale,  non  ha  la  ragion  di  regola  o  di  esemplare,  ma  solamente  può  parteciparne  in  quanto  è  segno  d'un'idea  (San  Tommaso,  ^'ttmwa,  I*  IP* ,  ^  -della legge naturale e altrove). Se  si vuol dunque,  commentando questo luogo di Dante,  andare  al  fondo,  non  bisogna  contentarsi  di  rendere il raccogliersi  per  concentrarsi, ma  bisogna  di  più ridurre lo stesso concentrarsi al suo senso filosofico,  il quale non ci sembra poter  esser  diverso  da  quello,  che  abbiamo  indicato,  cavandolo  dal  valor  logico  dei  concetti,  che  Dante  ha  espressi  nei  canti  del  Purgatorio.  Che  se  il  nostro  raccogliere  è  dal  latino  colligere,  e  lex  è  detta,  come  pensa  CICERONE, da  eligere,  ognun  vede  la  profonda  convenienza che  quel  si  raccoglia  ha  coll'ufficio,  che. Per  tutta  chiarezza  la  citazione  dovrebb'esser   così:  Prima  secundae  S.  theol.,  quaest.  giusta  la  mente  di  Dante,  noi  crediamo  di  dovere attribuire  al  primitivo  e  immanente  atto  della  parte  affettiva  dell'anima  umana.  L’interpretazione da  noi proposta non contradice adunque quella  data  da Tommaseo,  ma,  se  non  c'inganniamo,  la  compie,  recandola  fino  a  quel  termine  dov'egli  avrebbe  ben  saputo  recarla,  e  in  maniera  a  pezza  più  conveniente,  solo  che  avesse  fatto  colla  riflessione  qualche  altro passo  nella  via  medesima  in  cui  si  era  posto.  Ma  se  la  nostra  interpretazione  e  quella  di  Tommaseo  si  possono  cosi  accordare,  è  però  vero  che  in  ciò  che  la  nostra  piglia  a  suo  fondamento  dal  canto  non  si accorda punto colla  chiosa quivi  fatta  dall'illustre  critico.  Perocché  dove  il  poeta  dice,  che  creatura  non  vi  fu  mai  senza  amore,  o  naturale  o  d'animo,  egli  spiega  l'uno  per  amor  di  corpi,  l'altro  per  amor  di  spiriti  ;  noi  al  contrario,  come  abbiamo  accennato  di  sopra,  L'OzANAM,  che  alcuni  noa  sanno  stimare  senza  esagerarne  i  meriti,  il  principale  dei  quali  per  noi  è  di  avere  coll'opera  sua  additato  agi'  italiani  che  vi  è  un  lavoro  da  fare, intende  p&s  prima  voglia  il  primo  moto  o  dell'irascibile  o  del  concupiscibile,  che  i  moralisti  insegaano esser  privo  di  merito  e  di  demerito. Dio  sa  dunque  in  che  strano  modo  intendeva  a  collegare  colle  precedenti la terzina che qvà abbiamo esposto.   ALIGHIERI et  la  philos.  catholique  aa  XIII  siede  fParis.   L'Ozanam.  a  proposito  di  due  luoghi  del  Convito commenta: «Il  y  a  trois  sortes  d'appetits.  Le  premier,  naturel,  qui  n'a  point  conscience  de  soi,  et  qui  est  la  tendance  irrésistible  Je  tous  les  ètres  physiques  a  la  satl-  sfactiou  de  leurs  l>esoins;  le  second,  sensitif,  qui  a  30n  mobile  externe  dans  les  choses  sensibles,  et  qui  est  concupisaiife  ou  irciscible  tour  à  tour;  le  troisième,  intellectuel,  dout  l'objecr. a'est appróciable qu'à la  pensée.  Ces  appótités  eux-mèmes  peuvent  se  réduire  a  un  seul  principe  commun,  l'amour. Ma  la  prima  vogliu  di  questo  luogo  del  Purgatorio  è  a  lui  premier  acte,  instantané  et  irrafléchi della  virtù  speeipcu,  dispositiou  «pécitìque,  natureUe,  qui  ne  se  révèle  que  par  ses  eftets. intendiamo  pel  naturale  l'amore  istintivo,  e  per  quello  d'animo  l'amore  deliberato.  E  ci  pare  che  giustifichi  questo  nostro  modo  d'intendere  il  contesto  del  canto  suddetto,  e  l' insegnamento  comune  degli  scrittori,  da  cui  Dante  traeva,  fra  i  quali  a  noi  basti  il  menzionare  san  Bonaven-  tura, che  nel  Breviloquio  distingue,  appunto,  due  guise  di  operare  delle  nostre  affezioni,  cioè  per  un  moto  naturale  e  per  iscelta  deliberata.  Di-  remo pertanto,  senza  timore  di  offendere  il  grand'uomo,  che  la  sua  chiosa  di  questo  sublime  luogo  di  Dante,il  quale  può  dirsi  in  germe  un  intero  sistema  di  filosofia  morale,  pecca  nel  punto  di  partenza,  non  afferrando  la  giusta  distinzione  tra  l'amor  naturale  e  gli  amori  deliberati,  e  pecca  nella  conclusione,  lasciando qualche cosa  d'indeterminato sulla  relazione  del  primo  verso  coi  secondi.  Di  che  però  non  tanto  vogliam  fargli  biasimo,  quanto  rendergli giusta lode d'aver saputo più  addentro  d'ogni  altro  vedere  nel  pensiero d’ALIGHIERI. Sopra  un  luogo  della  Cantica  del  Paradiso Beatrice  nel  canto del  Paradiso  narrando  filosoficamente  la  creazione  delle  cose,  dice  degli  angeli:    giugneriesi,  numerando,  al  venti  Si  tosto,  come  degli  angeli  parte  Turbò  '1  subietto  de'  vostri  elementi.   Tutti  gli  interpreti,  per  quanto  io  mi  sappia,  per  subtetto  de’ vostri elementi hanno inteso la terra. Peraltro alcuni hanno inteso la terra comeelemento j  altri  la  terra  come  corpo.  È  de'  primi,  per  cagion  d'esempio,  Buti,  che  spiega  la  sentenza  di  questa  terzina  colle  seguenti  parole  :  Da  chi  numerasse  da  uno  in  vinti  non  si  giungerebbe    tosto  al  vinti,  come tosto parte dell’angeli poi che furono creati, incontanente cadder  di  deìo  in  terra,  e  mutò  o  vero  turbò,  secondo  altro  testo,  lo  subietto  de’  vostri  elementi,  cioè  di voi  omini, cioè la terra Dall'Istitutore:  foglio  ebdomadario  d' istruzione  e  degli  atti  ujjicifdi  di  essa.  Torino,  tip.  scolastica  di  S.  Franco.   che  è  subietto  dell'acqua,  delVaere  e  del  fuoco,  poiché  a  tutti  è  sottoposta  /  e  bene  lo  mutò  e  turbò, impera che prima e pura, e poi e infetta. Così il  codice  Magli abechiano).  De'  secondi  poi  è  il  Tommaseo,  perchè  dopo  aver  dato  terra  per  equivalente  di  subietto  de'  vostri  elementi^  ag-  giunge questa  ragione: La terra è soggetto  dei  quattro  elementi  aria,  fuoco,  acqua  e  terra.  Dove è  chiaro  che  terra  la  prima  volta  significa  il  corpo  o  globo  da  noi  abitato,  e  la  seconda  volta  r  infimo  de'  quattro  elementi  distinti  da-  gli antichi.  Mi  sia  permesso  di  dire,  che    i  primi    i  secondi  mi  paiono  aver  colpito  nel  segno.   2.  Il  nome subietto o soggetto, come sostantivo, appartiene  alla  lingua  filosofica,  ed  ha  un  senso  dialettico ed un senso metafisico. Nel senso dialettico indica uno de'termini del giudizio o della  proposizione,  quello  cioè  del  quale  l'altro,  che  chiamasi  predicato,  isi  afferma  o  si  nega.  E  di  qui,  per  estensione,  nasce  un  altro  senso,  esso  pure  dialettico,  quando  di  questa  voce  si  usa  a  dinotare  ciò su cui verte, non una semplice proposizione, ma molti ragionamenti ordinati e connessi, siccome sono nella scienza. In metafisica poi subietto ora significa la causa efficiente di qualche cosa, come in quel luogo del  Purgatorio. Or,  perchè mai non può dalla salute Amor del suo subietto volger yiso, Dall'odio proprio son le cose tute; ora  invece  significa  la  causa  materiale^  come  in  questi  versi  del  Paradiso,  canto  II:   Or,  come  ai  colpi  degli caldi rai della neve riman  nudo il  suggetto  E  dal  colore  e  dal  freddo  primai,  ecc.   E  quest'ultimo  è  il  significato, che io credo debba attribuirsi alla parola subtetto nella terzina, di  cui  è  questione;  cosicché  altro  non  s'intenda aver voluto Dante esprimere in essa, se non che alcuni degl’angeli, partitisi  dal  divino  volere,  colla  naturale  loro  potenza  indussero  disordine nella materia degl’elementi,  de'quali  è  composta  questa  parte  a  noi  destinata  dell'universo. Ciò  si  parrà  chiaro  considerando  che  il  nostro  poeta  parla  qui  da  teologo  e  da  filosofo,  uffici  ai  suoi  tempi  inseparati,  e  che  ne'  tempi  posteriori,  per  grande  sventura  delle  due  scienze  sovrane,  non  fu  stimato  assai  di  distinguere.  Ora  che  insegna  la  teologia  a  proposito  degli  angeli  ribelli  a  Dio?  Ella  insegna  che  ministri,  anche  dopo  la  loro  caduta,  della  Provvidenza  divina,  si  aggirano  in  questo  nostro  mondo,  tri-  bolandoci non  solo  colle  malvagie  istigazioni,  ma  eziandio  colle  tempeste,  colle  pestilenze  ed  altri  mali  di  tal  genere.  Sono  notissimi  i  passi  dell'epistola  di  s.  Paolo  agli  Efesini;  dove  cotesti  spiriti  sono  chiamati  principi  aventi  potestà  su  quest'aria.  Ma  i  padri,  appoggiati  ad  altre  autorità  della  scrittura  ed  ai  fatti  in  essa raccontati, ritennero che la potestà loro si estendesse su tutta,  in  generale,  la  materia  ed  i  corpi  terrestri.  Valga,  per  ogni  altra,  la  testimonianza  d’Agostino,  De  doctrina  Christiana. Hinc  enìm  fit,  ut  occulto  quodam  iudicio  divino  cupidi  malarum  rerum  homines  tradan-  tur  illudendi  et decipiendi, prò meritis voluntatum suarum, illudentìhus eos atque decipientibus prevaricatoribus  angelis,  quibus  ista  mundi  pars  infima  secundum  pulcherrimum  ordinem  rerum,  divinae  providentiae  lege,  subiecta  est.  Ora  gli  scolastici,  come  ognun  sa,  non  fecero  che  ripetere  le  dot-  trine teologiche  dei  Padri,  dando  loro  una  forma  scientifica,  secondo  i  principii  e  il  linguaggio  della  filosofìaaristotelica;  la  quale  per  essi,  al-  meno per  nove  delle  dieci  parti,  era  pura  e  pret-  ta verità.  Quindi  il  miscuglio,  che  trovasi  nei  trattati  di  teologia  degli  scolastici,  degl'incon-  cussi dommi della fede colle fallaci opinioni dello Stagirita.  Del  qual  miscuglio  n'abbiamo  un  esempio  in  questo  stesso  argomento,  che  qui  tocchiamo.   Generalmente gli scolastici dietro al LIZIO pensarono che altra fosse la materia  dei  cieli,  altra la  materia,  onde  è  fatto  il  mondo  sul-  lunare;  quella  fosse  immutabile  e  incorruttibile,  questa  soggetta  a  mutamento  e  corruzione;  perocché, dicevano,  quella  è  in  potenza  alla  sola  forma  che  ha,  questa,  al  contrario,  è  in  potenza  a  molte  forme  e  diverse.  Dal  che  san  Tommaso  di  Aquino  conchiude  che  fra  la  materia  de'  corpi celesti  e  la  materia  degli  elementi del  nostro  mondo  non  vi  ha  una  comunanza  ohe  di  con-  certo: Non  est  eadem  materia  corporis  coelestis  et  elementorum,  nisi  secundum  analogiam,  secundum  quod  conveniunt ratione potentiæ (Summa).  E  per  questo  appunto Dante,  nel  citato  canto  II  del  Paradiso,  appella  preziosi  i  corpi  celesti.   Ora,  che  cosa  è,  conforme  queste dottrine cosmologiche degli  scolastici,  il  subietto  degli  ele-  menti? Il  subietto  degli  elementi  è  la  materia  prima  del  mondo  sullunare,  subiettata  ad  una  certa  forma,  prima  nei  corpi  semplici,  aria,  acqua,  ecc.,  e  di  poi  nei  corpi  misti,  minerali,  piante,  ecc.  Imperocché  gli  scolastici  per  materia  e  su-  bietto intendevano  la  medesima  cosa  colla  sola  differenza,  la  quale  trascuravano  ogni  volta  che  loro  non  bisognasse  di  procedere  con  tutto  il  rigore  dialettico,  che  il  subietto  ha  relazione  con  una  forma  attuale,  mentre la  materia  ha  relazione con  una  forma  potenziale.  Ista  videtur  esse  differentia  inter  materiam  et  subiectum  (dice  Alessandro  d'Ales, In  Metaph.  Del LIZIO),  quia  materia  dicit  rem  suam  in  potentia  ad  formam,  ut  transmutabilis  est  ad  ipsam  per  viam  motus  et  fieri,'  et  ideo  quae  sine  fieri  introducun-  tur,  non  proprie  habent  materiam  ex  qua:  subie-  ctum autem  dicit  rem  suam  ex  hoc,  quod  substentat  formam;  et  ideo  omne  quod  substentat  formam  potest  vocari  subiectum,  licet  aliquo  modo  possit  vocari  materia. Pertanto  ciò  che  Dante,  ne'  versi  riferiti, chiama  il  sìibietto  de’ vostri  elementi,  corri-  sponde a  capello,  a  ciò  che  Aristotile,  nel  Della generazione  e  della  corruzione,  chiama,  con  parole  affatto  equivalenti,  uTioxsifisvYjv  \ìh]v.  Nel  qual  luogo, se il  filosofo  rigetta  l'opinione di  quelli,  che  ponevano  un  unico  subietto  di  tutti  gli  elementi,  è  però  manifestissimo  che  la  rigetta  solamente  in quanto quel  subietto  pretendevano essere  un  cotal  corpo  separabile  e  stante  da  sé,  awjAa  xe  òv  xat  Xopiaióv.  Ed  invero,  più  sotto,  divisando l'ordine delle entità, che concorrono a costituire i corpi primi, ossia gl’elementi, pone in primo luogo la materia, in secondo luogo  la  contrarietà  ed  in  terzo  luogo  gl’elementi:  Ma  poiché  i  corpi  primi  son  fatti  in  questo  modo  di  materia,  di  essi  pure  conviene  determinare qualche  cosa,  supponendo  che  una  materia inseparabile, ma  soggetta  a  qualità  contraria, sia  il  loro  primo  principio;  perocché  non  è  il  calore  materia  del  freddo,  ne  il  freddo  del  calore, ma ciò che sottostà ad entrambi. Laonde  primieramente  che  il  corpo  sensibile  esista  in  potenza, è  il  principio:  di  poi  vengono  le  stesse  qualità  contrarie,  come  il  calore  e  il  freddo:  da  ultimo  il  fuoco  e  l'acqua  e  le  altre  cose  di  tal  sorta.  E  questa  ò  la  costante  dottrina  degli  scolastici, e  a  tenore  di  questa  vuoisi intendere  quello che  ALIGHIERI  accenna  del  termine  dell'azione  perturbatrice  degli  spiriti  perversi.  Imperocché  da  una  parte  troppo  è  inverosimile  che  egli  non abbia  parlato  a  tenore  di  tal  dottrina,  solendo  egli  esprimere  nei  suoi  mirabili  versi  le  dottrine  filosofiche  della  scuola  e  colle  stesse  formole  da  lei  celebrate:  dall'altra,  ritenuto  che  la  cosa  sia  così,  dal  passo  controverso  esce  un  senso,  che  a  pieno  si  accorda  coli'  insegnamento teologico circa la  presente  potenza  degli  angeli  rei.  All'opposto nelle  altre  due  interpretazioni  codesta  loro  potenza  si  limita  a  capriccio  a  farsi  strumento  dell'odio  loro  contro  Dio  e  gl’uomini  la  sola  terra,  o  vuoi  come  elemento,  o  vuoi  come  corpo  ;    si  tien  conto  del  linguaggio  filosofico  dell'autore, quanto  è  giusto  che  si  faccia,  poiché  la  parola subietto,  mi  si  conceda  di  ripeterlo,  appartiene al linguaggio filosofico,  e qui precisamente al linguaggio metafisico,  nel qual linguaggio  subietto non  significò  mai,  se  la  memoria  non  mi  fallisce,  un  ordine  di  più  cose  per  la  loro  collocazione nello  spazio,  siccome  sembra  che  vogliano  coloro  che  hanno  subietto  de^  vostri  elementi  per  una  perifrasi  di  terra. Finalmente osserverò  che  coll'assegnare  per  termine  all'azione  degli  spiriti  angelici  ciò  che  di  primo  si  concepisce  ne'  corpi  come  corpi,  non  si  attribuisce  all'Alighieri  un  pensiero  frivolo  da  sbertarsi, ma degno delle più serie considerazioni del  filosofo.  Il  dominio  degli  spiriti  puri  sulle  cose  materiali,  e  l'origine  di  certe  forze,  che  su  esse  si  manifestano,  sono  due  grandi  misteri; i  quali  forse  si  compenetrano  in  uno,  e  quest'uno  è  riserbato   di  vedere  svelato,    quanto  all'intelligenza  nostra  è  possibile,  allorcliè  i  metafìsici  s' intenderanno  un  po'  più  di  fisica  e  i  fisici  di  metafisica  e  tutt'e  due   di  teologia.   Pisa. Averroè  della  DiTina  Commedia'    È  notissimo  che  Dante  fra  i  saggi  sospesi  nel  primo  girone  deW  Inferno,  o  pernon  avere ricevuto il  battesimo,  o  per  non  avere  adorato  Iddio debitamente,  colloca  ancora   Averrois,  che  il  gran  commento  feo.   (Inf.,  o.  IV,  V.  U4).   Ora  l'editore  pisano  delle  Lezioni  di  Buti  sulla  Divina  Commedia  a  questo  verso  fa  la  nota  seguente:  Averrois,  sebbene  commen-  tasse Aristotile,  professò  dottrine  opposite  al  greco  filosofo;  onde  i  commenti  di  lui  non  furono  in  molto  credito  appo  degl’italiani.  Qui  dunque il  gran  commento potrebb' esser  anche  detto  con  ironia. Noi non  possiamo  pregiare  la  novità  di  questa  osservazione,  perchè  ci  sembra mancare  affatto  di  verità.  E  non  intendiamo  come  il  benemerito  editore  non  si  sia  accorto  di  un  difetto    grave,  quando  lo  stesso  contesto  assai  chiaramente  esclude  il  disprezzo  e  lo  scherno  dell'ironico  parlare.     Invero,  dopo  aver  detto  il    '  DaUe  Letture  di  famiglia,  tomo  III,  decade  seconda.    32   nostro  poet  Qnaest.  Disput.  2>e  Mente,  quaest.  ne,  quanto  semplice  altrettanto  sublime,  di  Dio  che  si  legge  neìV Esodo  :   Io  sono  l'Essere    cioè  l'Essere,  che  essenzialmente  ed  assolutamente  è.  Quanto  poi  alla  natura  dell'intelletto  umano  egli,  confrontandone  le  operazioni  con  quelle  del  senso, che  solo  coglie  gl’esterni  accidenti  delle  cose,  veniva  a  ravvisare  che  l'operazione  sua  propria  è  circa  l'essenza delle cose;  e  poiché  quelle  essenze ci  riducono  all'essere  in  comune  coll'ag-  giunta  di  varie  determinazioni,  il  suo  proprio  oggetto consiste  appunto  nell'essere  in  comune.  Ora  se  da  un  lato  l'essere,  in  quanto  è  essenzialmente ed  assolutamente  essente,  è  Dio,  e  dall'altro, in  quanto  è  appreso  universalmente,  è  l'oggetto proprio  dell'intelletto  umano,  è  piano  come  l'Aquinate  potesse  dire,  che  il  lume  dell'intelletto umano  sia  una  certa  partecipazione  o  similitudine di  Dio  o  dell'increata  verità.  Io  non  credo,  debbo  pur  dirlo  si  per  non  essere  frainteso e si per amor di schiettezza, io non  credo  che Aquino giunge mai  a  renderai cosi esplicitamente ragione di ciò che in tanti luoghi delle sue opere ripete sulla natura del lume dell'intelletto e  sulla sua attinenza con Dio. Ma qualunque siano state le cause,  che ne lo impedirono,  certo è che questa  spiegazione giace implicita nel complesso delle sue dottrine e si  fa  innanzi  quasi  spontanea  a  chiunque  profondamente   le  mediti   e   senza  la   stolta  paura    Etodo,    che  alcuni  dei  suoi  studiosi  oggi  paiono  avere,  di  dire una parola di più oltre quelle dette da lui, come se la scienza potesse star tutta racchiusa nelle parole di un sol uomo. Del resto la  storia  dell'umano  intelletto,  giusta  il  modo  on-  de Aquino  se  la  rappresenta,  è  in  sostanza  la  seguente.  L'intelletto  umano  è  un'attività, che  ha  due  movimenti;  coU'uno  si  costituisce come  potenza  di  conoscere,  coli 'altro  si  svolge  e  perfeziona.  Col primo, onde si costituisce come  potenza  di  conoscere,  incontra  l'essere  in  universale  e  l'apprende.  Da  tale  apprensione  in  cui  sono  virtualmente  contenute  tutte  le  apprensioni e  tutti  gli  altri  atti,  che  in  queste  si  fondano,  incomincia  il  secondo  movimento  del-  l'intelletto e  in  esso  si  possono  distinguere  tre  principali  momenti,  per  ciascuno  dei  quali  nel  linguaggio  della  scuola tomistica vi'è una frase particolare, che ne esprime il carattere distintivo. Imperocché  innanzi  tutto  nell'apprensione  dell'essere  in  universale  sono  virtualmente  contenuti i sommi principi della ragione, che si risolvono nei concetti universali dell'^wo,  dell'edenticOj  dell'assoluto  e  cosi  via.  Ora  questi  concetti si  fanno attuali nell'intelletto,  quando  gli  è  somministrata  una  materia  di  conoscere,  lo  che  è  ufficio  proprio  del  senso.  Allora  l'intelletto  mediante  quei  concetti:  l’ illustra  i  fantasmi  cioè  la  materia  somministratagli  dal senso, percezione intellettuale  dei  sensibili  ;  2"  astrae  dai  fantasmi  le  specie  intelligibili,  concezione  per  via di  riflessione  delle  idee  astratte  delle  cose,  ossia  delle  specie  e  dei  generi;  3"  compone  e  divide  le  t^pecie  astratte,  giudizi  e  raziocini,  coi  quali  la  riflessione,  comparando  le  idee  astratte,  si  viene  formando  una  scienza  più  o  meno  perfetta  delle  cose,  secondochè  discopre  più  o  meno  delle  loro  relazioni.   Ma  in  qualunque  di  questi  momenti  della  sua  evoluzione  si  trovi  l'intelletto  nostro,  è  pur  sempre  vero,  che  tutto  quello  che  egli  conosce,  conoscendolo  per  la  verità  dei  primi  principi,  e  quelli  essendo  come  i  primi  raggi  di  quel  lume  che  fa  di  lui  una  potenza  intellettiva;  e  questo  venendo  da  Dio,  anzi  essendo  una  certa  partecipazione del  lume  stesso  di  Dio  a  noi  in  parte  comunicato,  ne  segue  che  pur  nell'ordine  naturale Dio  solo  è  quegli,  che  internamente  e  principalmente  ci  ammaestra  come  è  anche  la  natura  quella  che  principalmente  risana  „.  Cosi AQUINO  nelle  Questioni  Disputate  de  Magistro,  '  dove  anche  stanno  quell'altre  belle  parole :  "  Che  alcuna  cosa  si  sappia  con  certezza,  avviene per  il  lume  della  ragione  divinamente  infuso, col  quale  Iddio  in  noi  favella;  parole,  colle Quaest.  I,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine.   *  Ivi,  nella  risposta  all'obiezione  Si  considerino  bene  quelle  frasi  dell' Aquinate  :  "  Utiiversales  conceptiones,  quaruni  co-  gnitio  est  nobìs  naturaliter  insita    (Qiiest.  cit.  de  Magistro  nella,  risposta  alla  obiez.) Lumen  rationis  ....  per  quod  principi»  cognoscimus  (Tbid.,  nella  risposta  alla  obiez.) Mediantibas  tmiversalibus  conceptionibus,  quae  statim  lumine  intellectus  agcn-  tis  cognoscuntur   (Quest.  cit.  de  Mente,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine):  e  poi  si  dica,  se  secondo  la  mente  d’Aquino    quali  si  pone  espressamente  una  cotale  rivelazione naturale,  come  rimota  preparazione  a  quella  soprannaturale  rivelazione,  che  si  fa  nell'anima  del  Cristiano.   Io  m'immagino, che mentre  veniva  cosi  narrando in  compendio  i  pensieri  del  nostro  grande  filosofo  sulla  questione  dell'origine  del  sapere,  la  mente  del  lettore  mi  abbia  spesso  abbandonato e  sia  volata  ora  a  questo  ora  a  quel  luogo  della  Divina  Commedia,  dove  si  leggono  sotto  forma  poetica  dei  pensieri  somiglianti.  E  se  ciò  è  veramente  accaduto,  naturai  cosa  è  che  si  sia  intanto  rafforzata  in  lui  la  persuasione,  che  il  nostro  gran  Poeta  nei  versi,  che  danno  argomento al  mio  dire,  non  può  avere  avuto  l'intenzione  di  esprimere  la  impossibilità,  da  cui  neppure  il  filosofo  vada essente, di  scorgere  la  sorgente,  donde  viene  l' intelletto  delle  prime  notizie.  Certo  è  che  codesti  pensieri  somiglianti  nella  Divina  Commedia  vi  sono  e,  ciò  che  ora  io  desidero che  si  avverta  e  che  importa  al  mio  proposito sommamente,  i  più  somiglianti  si  trovano  appunto  nel  passo  del  Purgatorio,  che  altri  ha  interpretato  cosi diversamente. In vero, se non si guarda che alla sostanza della soluzione d’Aquino, egli insegna che la cognizione dei primi principi, donde proviene  ogni  altra  cognizione  dell'uomo,  è il  lume  dell'intelletto  o  della  ragione  possa  esser  altro  ohe  un  massimo  universale,  come  appunto  dimostra  che  è  il  Eosmini  nel  Nuovo  Saggio  sulla  origine  delle  idee  e  in  altro  sue  opere.   una  cognizione  in  lui  innata,  in  quanto  che  in  lui  è  innato  il  lume  della  ragione,  per  il  quale  tali  principi  conosce.  E  non ripete  Dante  in  sostanza  il  medesimo  nei  terzetti  del  canto del  Purgatorio,  che  furono  riferiti  da  principio  ?  Infatti  quivi  egli  dice:  1"  che  la  specifica  virtù  dell'anima umana,  forma  sostanziale  che  nel  tempo stesso  è  scevra  di  materia  ed  unita  con  lei,  è  la  virtù  del  conoscere  e  la  virtù  dell'amare ;  2"  che  ciascuna  di  queste  virtù  ha  i  suoi  propri  oggetti,  cioè  la  virtù  del  conoscere  certe  prime  notizie,  che  la  dirigono  nelle  sue  particolari  operazioni e  la  virtù  dell'amare  certi  primi  appetibili, che  similmente  la  muovono  e  la  guidano  nelle  sue  particolari  operazioni,  e  che  1'  intelletto  di  tali  notizie e  l'affetto  di  tali  appetibili  precedono perciò  di  loro  natura  tutte  le  particolari  operazioni  di  esse  virtù  ;  3"  che  queste  due  virtù  per  una  legge  generale,  a  cui  sottostanno  tutte  le  forme  della  stessa  specie  dell'anima  nostra,  sempre  si  rimarrebbero  occulte,  se  uscendo  nelle  loro  particolari  operazioni  non  si  facessero  in  queste  sentire  e  per  queste  non  si  dimostrassero,  come  per  verde  fronda  in  pianta  vita;    che  conseguentemente,  quando  l'uomo  opera  o  coll'una  o  coll'altra  di  queste  virtù,  gli  si  rende  bensì  sensibile  e  gli  si  dimostra  quella,  con  cui  opera,  ma  non  anche  quell'atteggiamento  precedente di  essa,  per  il  quale  è  causa  al  tutto  pro-  porzionata e  pronta  al  suo  operare,  quindi  non  anche  l'intelletto   delle   prime   notizie  nell'epe-rare  della  seconda;  6"  finalmente  che  quest'intelletto e  quest'affetto,  solo  discopribili  nel  segreto dell'anima  all'acuto  sguardo  d'una  tarda  riflessione  filosofica,  sono  tanto  connaturali  all'anima, quanto  le  sono  connaturali  le  specifiche  virtù,  delle  quali  non  sono  che  proprietà,  e  da  paragonarsi  perciò  agli  istinti,  che  differenziano  le  varie  classi  di  animali,  allo  studio  per  es.  che  è  nell'ape  di  far  lo  mèle. Lascio il resto,  perchè  non  legato  strettamente  col  tema  del  mio  discorso, e dall'esposto  raccogliendo  quel  che  ne  segue, dico:  che  tanto  è  lungi  che  ALIGHIERI  nel  passo  riferito  del  Purgatorio  dichiari  insolubile  la  questione della  origine  delle  umane  cognizioni  e  più  precisamente  dei  primi  principi,  che  all'opposto egli  proprio  in  quel  passo  stesso  ne    una  soluzione,  e  questa  sostanzialmente  è  quella  che  già  ne  aveva  dato AQUINO.   Che se vi  ha  qualcuno  che  non  consenta  meco  nel  modo  d'intendere  o  la dottrina filosofica d’AQUINO o  quella  corrispondente  di  Dante  o  tutte  e  due,  io  ora  non  gli  contrasterò.  Intenda  egli  pure  a  suo  talento  coteste  dottrine;  a  me  basta  finalmente  che  riconosca  il  fatto,  che  in  questo  canto  del Purgatorio  A  una ne professa, qualunque  ella  sia.  Imperocché,  riconosciuto questo  fatto,  bisogna  risolversi  ad  una  di  queste  due  cose  :  o  bisogna  tener  Dante  per  uomo  di  tale  grossezza  e  stupidità  di  mente  da  non  accorgersi  della  contraddizione,  in  cui  cade,  sen-  tenziando, come  pretende  la  nuova  interpretazione,  che  all'uomo  non  è  dato  di  sapere    onde  vegna  lo  intelletto  delle  prime  notizie e  nell'atto  stesso  esponendo,  sebbene  brevemente,  una  dottrina intorno  a  questa  questione :  oppure  bisogna  rifiutare  la  nuova  interpretazione,  e  credere  la  intenzione  di  ALIGHIERI  lontana  le  mille  miglia  da  quella  sentenza.  In  verità  io  non  so,  se  oggi  neppur  un  Bettinelli  prenderebbe  il  primo  par-  tito.   A  questo  punto  mi  pare  eh'  io  potrei  tenere  per  sodisfatto  il  mio  debito  e  quindi  far  fine.  Pure  mi  piace  di  aggiungere  due altre  considerazioni che  mi  sembrano  attissime  a  far  sentire  sempre  più  quanto  sia  iuammissibile  la  discussa  interpretazion.  Si  consideri  dunque  in  primo  luogo  che  Dante,  comecché  uomo  straordinario,  tanto  che  possa  dirsi  di  lui quello che egli disse di Omero, cioè che sovra gli altri com'aquila vola, ciò  non  ostante  è  un  uomo,  e  tutti  si  riscontrano  in  lui  i  caratteri  generali  degli  uomini  dei  tempi  suo.Uno  di  essi  è  la  fede,  presa  questa  parola  nel  senso  j)iù  ampio  ;  cosicché,  oltre  la  fede  soprannaturale propria del Cristiauo, abbracci  pur  quella  meramente  naturale dell'uomo,  per  la  quale  egli  fortemente  assente a  tutto  ciò,  che  la  ragione  gli  mostri  come vero  o  come  buono.  I  fatti  pubblici  e  privati, le lotte delle fazioni politiche,  le dispute delle  scuole,  i monumenti  sacri  e  profani,  i  libri,  che  si  leggevano  a  istruzione  o  a  trastullo,  tutto  in  una  parola  ciò    che    appartiene  a  quei  tempi    94   concorre  a  farci intendere, che un uomo, che non crede con  fermezza, sarebbe stato allora  quasi un  assurdo.  Per  questo  fra  i  diversi  modi  di  pensare,  che anche  nell'età  di  mezzo  regnavano  nelle  scuole,  restò  ignoto  del  tutto  quello,  che  torna  in  fine  in  distruzione  d'ogni scienza  e  dello  stesso  pensiero,  voglio  dire  lo  scetticismo.  Ora  che  altro  è  che  puro  e  pretto  scetticismo  il  dire    onde  vegna  lo  'ntelletto  delle  prime  notizie,  uomo  non  sape,  se  questo  si  ha  da  togliere nel senso che la nuova interpetrazione  propone?  Imperocché  le  prime  notizie  son  pure  quelle,  sulle  quali,  come  su  fondamento,  s'innalza  tutto  il  sapere  dell'uomo;  onde  il  dubitare  del  suo  valore si  fa  inevitabile  a  chiunque  s'attenta  di  pas-  sar i  confini  della  riflessione  volgare,  se  la  origine delle  prime  notizie  è  impossibile  a  discoprirsi. Imperocché  come  potrebbe  egli  abban-  donatamente affidarsi  a  principi  d'origine  non  pure  ignota,  ma  avuta  da  lui  per  inconoscibile  ?  Non  potrebbero  essere  altrettante  misere  illusioni  della  sua  mente?  E  per  qual  via  liberarsi  di  questo  terribile  sospetto,  se  tutti i giudizi della mente si fanno a norma di quei principi?  S'immagini pure chi vuole maestro di dubbio il nostro grande  Poeta:  io  per  me  non  potrò  mai  farmi  un'  immagine  tale  di  nessun  uomo  dei  suoi  tempi  e  dell'Alighieri  anche  molto  meno,  se  l'Alighieri è  quello  che  lo  dicono  le  storie  e  che  lo  manifestano  tutte  concordemente  e  le  sue  prose  e  i  suoi  versi immortali. Appoggiato   invece  a questi  documenti  certissimi,  dai  quali  tanta  fede  traluce  nella  ragione  e  nella  scienza  umana,  io  me  lo  immaginerò  pieno  di  sdegnoso  disprezzo  per  cotesto  genere  di  mendace  filosofia,  quale  egli  si  mostra  nella  prima  cantica  della  Divina  Commedia,  quando,  entrato  appena  nella  città  di  Dite  incontra   l'anime  triste  di  coloro,   Che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo.  Mischiate.   a quel cattivo  coro  Degli  Angeli,  che  non  furon  ribelli,    fur  fedeli  a  Dio,  ma  per    foro.  Non  è  già,  ed  eccomi  all'altra  considerazione, non  è  già  che  Dante  creda  illimitata  la  sua  ragione  umana  o  che  ne  esageri  comecchesia  il  potere:  no,  egli riconosce i suoi confini e al disopra di questa naturale sorgente di cognizione ne pone un'altra soprannaturale, la fede, destinata perdono grazioso di Provvidenza ad  estendere e  compire,  quanto  quaggiù  è  possibile,  la  cognizione  derivata  dalla  prima.  Però  egli  ammette due  scienze  distintissime,  corrispondenti  a  quelle  due  potenze  o  principi  subiettivi  del  nostro  sapere,  la  filosofia  e  la  teologia;  e  come,  menato  dall'istinto  d'un  animo  eminentemente  poetico,  che  tutto  contempla  nella  forma  del  bello, prende Virgilio come simbolo  della  filosofia,  così  Beatrice  prende  per  simbolo  della  teologia.  Quin-   Inf.,  canto di  quelle  parole,  che  servono  d'introduzione  ac-  concissima ai  ragionamento,  con  cui VIRGILIO nel  canto del  Purgatorio  si  fa  a  dissipare  difficoltà sorte  nella  mente  di  Dante  :    quanto  ragion  qni  vede   Dir  ti  poss'io:  da  indi  in    t'aspetta  Pure  a  Beatrice,  ch'è  opra  di  fede.   Ora  in  questa  introduzione  sta  appunto  una  nuova  buona  ragione  per  riprovare  la  interpe-  trazione,  che  fa  dire  a  Dante  indefinibile  per  umano  ingegno    onde  regna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie.  In  vero  qual  era  precisamente  lo  scopo,  a  cui  mirava  il  ragionamento  di  VIRGILIO?  Ad ALIGHIERI,  non  avendo  inteso  bene  il  principio  da  cui  era  partito  il  suo  Maestro  nel  ragionamento antecedente,  con  cui  questi  aveva  voluto  spiegargli  la  natura  dell'amore,  era  venuto  a  turbargli la  mente  e  ad  impedirgli  di  comprendere  come  l'amore  potesse  essere  la  radice  di  ogni  merito  o  demerito  dell'uomo  che  opera,  questa  obiezione  :   Ohe  se  amore  è  di  fuori  a  noi  offerto,  E  l'animo  non  va  con  altro  piede,  Se  dritto  o  torto  va,  non  è  suo  merto.   Ora  Virgilio,  perchè  la  mente  di  Dante  vedesse chiaro come il merito e il demerito dell'operare dell'uomo  stesse  insieme  con  quello  che  egli  aveva  detto  circa  il  principio  del  suo  operare,  cioè  circa l’amore,  non  doveva  aggiun- ger  nulla  di  nuovo,  ma  solamente  ritornare  sulla  natura  dell'amore  e  più  spiegatamente  dirgliene  l'origine.  E  questo  infatti  è  quello  che  egli  fa,  quando,  dopo  averlo  avvertito  che  da lui non si aspetti che quanto in questa materia può sapere la naturale ragione  dell'uomo, prende a dirgli: Ogni forma sustanzial, con quel che segue. Ora  qui  è  da  riflettere,  che  conoscere  e  amare  sono  cose  cosi  connesse,  che  un  subietto  privo  di  conoscenza  è  impossibile  che  ami,  e  privo  di  amore  è  impossibile  che  sussista  ;  perchè  col  solo  conoscere  non sarebbe intero, e  un  subietto non  intero  è  lo  stesso  che  un  frammento  di  subietto.  Dante  la  sapeva  bene  questa  connessione strettissima  dell'amare  e  del  conoscere,  che  era  uno  dei  più  comuni  insegnamenti  dei  filosofi  dei  suoi  tempi  e  dei  più  incontroversi;  onde,  se  la  opinione  sua  quanto  al  conoscere  fosse  stata,  che  non  se  ne  può sapere l'origine, si sarebbe sentito obbligato a professare un'opinione simile anche quanto all'amare, e per conseguenza in questo luogo del Purgatorio non avrebbe indotto Virgilio ad ammonirlo. Quanto ragion  qui  vede  Dir  ti  poss'io,  ma  questi  gli  avrebbe  dichiarato  a  dirittura  e  senza  andare  in  troppe  parole,  che  non  poteva  dirgli  nulla,  perchè  nulla  la  ragione  ne  vede,  e  che  per  tutta  questa  bi-  sogna gli  conveniva  aspettare  i  più  alti  ammae-  stramenti di Beatrice. Pertanto quell'womo non sape del luogo esaminato del Purgatorio non è da intendersi   secondo  la  nuova  interpetrazione,  ma  si  in  quello  stesso  stessissimo  significato  che  lia  l' noni,  non  se  n^avvede  in  un  altro  luogo  della  medesima  cantica,  dove  il  nostro  Poeta,  esprimendo  una  delle  più  note  leggi  dell'attenzione  intellettiva,  dice:    Quando  per  dilettanze  ovver  per  doglie  Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda,  L'anima  bene  ad  essa  si  raccoglie;   Par  che  a  nulla  potenzia  più  intenda, E  questo  è  contra  quell'error,  che  crede.  Che  un'anima  sopr'altra  in  noi  s'accenda.   E  però,  quando  s'ode  cosa  o  vede,  Che  tenga  forte  a    l'animo  volta,  Vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede.  Ch'altra  potenzia  è  quella,  che  l'ascolta,  Ed  altra  è  quella,  che  ha  l'anima  intera;  Questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta. In  ambedue  i  luoghi  ci  significa  la  mancanza  di  una  cognizione  propria  della  riflessione;  ma  ne  l'una    l'altra  cognizione  manca  all'uomo  per  un  invincibile  ostacolo,  che  stia  nella  sua  stessa  natura,  bensì  per  una  accidentale  condizione in  cui  si  trova.  Onde,  finche  egli  rimane  in  questa  condizione,  necessariamente  rimane  anche  privo  di  quella  cognizione;  ma  egli  può  pure  uscirne  e  il  potere  uscirne  non  consiste  in  altro,  che  nel  potere  riflettere  su  di  se  e  su  quello che  in    avviene.  Fin  qui  i  due  casi,  a  cui  si  riferiscono  i  due  luoghi  del  Purgatorio,  sono  eguali  del  tutto;  la  loro  dififerenza  comincia  solo  a  mostrarsi,  quando  si  prende  a   considerare  la natura  dell'oggetto,  del  quale  si  tratta  d'acquistar cognizione  per  via  di  un  ripiegamento  del  pensiero  su  noi  stessi.  Perocché  nel  caso  contemplato nel  canto  quest'oggetto  è  lo  scorrer del  tempo,  e  nel  caso  contemplato  nel  canto  è  invece  la  provenienza  delV  intelletto  delle  prime  notizie. Or chi non vede, che il ripiegare il pensiero su noi stessi per avvertire la successione delle nostre modificazioni e il movimento del tempo, è assai più facile che il ripiegare il pensiero su noi stessi per risalire fino all'origine prima di ogni nostro conoscimento? Chi non vede,  che d'ordinario  ogni  uomo  adulto,  eccettuate  le  circostanze  di  breve  durata,  a  cui  l'Alighieri  accenna  nell'esporre  il primo caso, è capace di fare e  fa  realmente  quella  semplice  riflessione,  che  è necessaria  per  accorgersi  del  tempo  che  passa;  ma  che  all'opposto  pochissimi  degli  stessi  uomini  adulti,  o  per  nativa ottusità  di  mente,  o  per  difetto  di  conveniente educazione intellettuale,  o  per  impedimento  posto  dai  casi  e  negozi  della  vita,  sono  capaci  di  fare  le  molte  riflessioni  e  complicate  ed  astruse,  colle  quali  soltanto  è  possibile  di  elevarsi  fino  a  quel  fatto  primo,  in  cui  s'inizia  la  potenza  stessa  del  conoscere?  Ma  quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non è impossibile;  e quello,  che non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo  o  da  un  altro  si  fa;  e  cosi si va effettuando quella idea di progresso,  che,  se per i singoli uomini ha il valore di una legge morale,  per  tutta  insieme  l'umana  famiglia  ha  quello d'una  legge  ontologica,  voglio  dire  d'infallibile necessità. E a chi  quest'idea,  in  sui  primi  albori  della  civiltà  moderna,  più  che  al  nostro  Poeta  illuminòla  mente  e  die  potenza  a  operare? Luoghi  del  Poema  di Dante  CHIOSATI O CITATI  DA P. Inf. Pura. Par. Autori o libri allegati nelle chiose. Agostino LIZIO Alessandro Afrodisiaco Alessandro  d'Ales Apocalisse Atti degli Apostoli Averroè Bartolo  da  Sassoferrato Bettinelli Biagioli FIDANZA Bossuet fiuti  (Da)  Francesco Oano Melchior Cesari Antonio Condorcet Conti  Daniello  Bernardino Epicuro Esodo Evangeli Fichte Fracastoro Girolamo Giustino Martire Hegel Ippocrate Livio Lombardi  Baldassarre Lucrezio Muratori Lodovico Cenerò Orazio Ovidio Ozanam Pacuvio Paolo Petrarca ACCADEMIA Renan Retorici  ad  Erennio Rosmini  Antonio Sartini   Scoto  Michele Schelling  Peder.  Guglielm Seneca Socrate Tolomeo da LuccaTommaseo Nicolò Aquino Varchi Venturi  Pompeo Vico Vigne  (Delle)  Piero Virgilio Vives Gian Lodovico P. bicordato da un suo discepolo Di un luogo del Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato pienamente Sopra un luogo della Cantica del Paradiso JuAverroè della divina Commedia Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante Sopra un luogo del canto del Paradiso. Di un luogo filosofico della divina Commedia. Tavola dei luoghi del Poema di Dante chiosati o  citati da P., Tavola  degli  Autori  o  libri  allegati  nelle  Chiose.  cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini” – The Swimming-Pool Library. 

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