Grice e Rosselli: la filosofia italiana nel ventennio
fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Diresse il
mensile “Noi”. Discusse con SALVEMINI la
tesi di laurea su “MAZZINI (si veda) e il movimento operaio”. Pubblica saggi su
riviste storiche italiane, tra’altri, “MAZZINI e Bakunin: XII anni di movimento
operaio in Italia” (Torino, Einaudi), e “PISCANE
nel Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi) -- raccolti in “Saggi sul
Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi). Inizia a far politica ed è col
fratello R. (si veda) tra i fondatori del giornale "Noi". Col
fratello e con Calamandrei, e col patrocinio di Salvemini, fonda un circolo di cultura
-- chiuso dai fascisti. Fa parte dei fondatori del gruppo fiorentino di “Italia
libera”, fra cui, oltr’al fratello, Bocci, Rochat, Vannucci, Traquandi. Adere alla
fondazione dell'unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa d’Amendola,
e partecipa alla fondazione del giornale anti-fascista clandestine, “Non
Mollare”. Arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne
nuovamente arrestato e condannato a V anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la
fuga da Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di Volpe il passaporto,
con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Calamandrei, parve sospetta
e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. A
Bagnoles-de-l'Orne è assassinato d’una squadra di miliziani della Cagoule,
formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e
di Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti
da raffiche di pistola. R. muore sul colpo, R., colpito per primo, viene finito
con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli,
dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.
Commissione di Firenze, ordinanza contro R. (“Attività antifascista”). Pont, L'Italia al
confine: l’ordinanze d’assegnazione al confino emesse dalle commissioni
provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra), Ustica
celebra la libertà dei R., profilo di Volpe, profile nel sistema informatico
dell'archivio di stato di Firenze. Fiori, Casa R., Einaudi, Franzinelli, Il delitto
R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Altri saggi: “ “Inghilterra
e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il
fascismo: lettere e scritti vari” (Firenze, Nuova Italia); Colombo, I colori
della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli);Belardelli (Catanzaro,
Rubettino); Visciola, “La scuola di storia moderna e contemporanea. La prima
fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri
dell'Italia civile, Rossi, Roma, Carocci, Visciola, “Soi "maestri".
Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in i R.: eresia
creativa eredità originale, Visciola e Limone, Guida, Napoli, Visciola, Uno
filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili: appunti sparsi per una
biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli R.. L'antifascismo e
l'esilio, Giacone e Vial, Roma, Carocci, Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”, Belardelli, Un filosofo anti-fascista” (Passigli,
Firenze); «Il filo rosso». Il carteggio di i R. con Silvestri, Gabrielli,
Storia, Franzinelli, “Il delitto R.: anatomia d’un omicidio politico” (Mondadori,
Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino, R.. Nello Rosselli. Rosselli.
Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento
italiano, Piscane. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Rosselli: la ragione conversazionale
dell’apologeticus, o implicature cucullate – la scuola di Gimiliano -- filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gimiliano). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Gimiliano,
Catanzaro, Calabria. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne
del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il
quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal
proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo Scorza,
matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della
scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo
adunque, pare non dubbio essere stato Nifo calabrese di origine, ed avere avuto
tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal
contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo
breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione,
chiaramente se ne rivela il vero. Discepolo del celebre NIFO (si veda), per la
sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus
adversus cucullatos philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in
principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis
mentem libellu” --- LIZIO -- ; “Universalia Porphiriana”. Calabria, Le
biografie degl’uomini illustri delle Calabrie, Accattatis, Di questo filosofo
si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e Franco. "Rosselli di
Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e
le sue opera. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. L'Apologeticus adversos cucullatos è un'opera del filosofo Tiberio
Rosselli (1490 Gimigliano - 1560 Africa), pubblicata nel 1519 a Parma grazie a
Girolamo Sanvitale che accoglie il filosofo calabrese presso la sua corte di
Fontanellato. Apologeticus adversos
cucullatos Autore Tiberio Rosselli 1ª ed. originale 1519 Genere Apologia Lingua
originale latino La prefazione dell'Apologeticus che consiste in una storia
delle vicende che portano alla sua composizione, è dedicata al vescovo di Lodi,
Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.
Alla fine dell'Apologeticus si legge una peroratio, che non è più rivolta allo
Sforza, ma al Conte di Belforte, Gerolamo San Vitale di Parma, suo
mecenate. Dopo questa Peroratio, si
legge la declamatio e infine sei brevi componimenti poetici in lode all'autore;
chiude il foglio il seguente colofone: “Tiberii Russiliani Sexti Calabri
Apologetici Finis ad laudem Individuae Trinitatis”. L'esemplare parigino reca sul frontespizio,
sotto i titoli, un breve “Ad librum Carmen”, composto da due distici elegiaci;
mentre nell'ultimo foglio sotto il colofone presenta la seguente annotazione a
mano: “Parmae MDXX”, e cioè il luogo e la data della stampa. Che il libro sia stato stampato a Parma
viene confermato da Girolamo Armellini, il quale, nel suo libro, intitolato
Jesus vincit, scritto proprio contro l'Apologeticus, fornisce queste
notizie: «...dopo l'abiura sotto
riportata, temendo tutti i luoghi sicuri, profugo delle varie scuole d'Italia,
si portò a Parma...ivi di nascosto stampò l'opera sua velenosa; scoperto il suo
inganno da me inquisitore, (come richiedeva il diritto) viene chiamato in
giudizio, coperto dallo scudo della contumacia; viene condannato all'anatema,
vengono requisiti i volumi stampati, vengono interdetti e bruciati. Dopo che in
seguito venne scoperto fuggiasco a Pisa, e, cosa veramente impudente, nel
mentre andava in cerca di una cattedra di filosofia, per mezzo della quale
potesse infettare i giovani col veleno della sua perfidia, con la forza e
l'aiuto dell'allora reverendissimo Cardinale Dè Medici ed ora Papa Clemente VII
codannammo che fosse arrestato e che in tale posizione fosse rinchiuso nelle
carceri di Firenze; da queste carceri tuttavia col favore di alcuni scappò
libero prima che gli fosse fatto il processo.»
Tiberio scampa all'ira di Armellini, il quale non potendolo processare,
compone contro di lui lo scritto già menzionato, il cui lungo titolo richiama
tutti i capitoli dell'Apologeticus.Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli.
Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de
propositione de inesse, universalia porphiriana, Lizio. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossetti: la ragione conversazionale
del fratello perduto – la scuola di Vasto -- filosofia aburzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vasto).
Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Vasto, Chieti, Abruzzo. Grice: “A
philosopher can also discover an ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista
poli-edrico, poeta estemporaneo, tragedio-grafo, archeologo e speleo-logo, da
Martuscelli. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione
del gran ducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei galli
punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del vice-ré
Carlo. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di S. Gavino”
(Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide
di Falicon, che gl’ispira un poema, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In
seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia
a dirigere “Il Taro”. Altri saggi: “Cantata in occasione d'essere l'augusto imperator
de’francesi Napoleone I coronato re d'Italia” (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino);
“Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode saffica” (Parma, Giuseppe
Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in
Capua (Napoli, Flautina); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana”
(Venezia); Andreola, Biografia degl’uomini
illustri del regno di Napoli’ Gervasi, La famiglia Pietrocola di Vasto; Spadaccini, “R.
e le sue battaglie per la libertà”; R. e quei versi ispirati dalla cacciata dei
francesi, Catania, R. e la grotta del monte Calvo, Mugoni, “Il fratello perduto:
R. e R.”, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleo-logo ante
litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere
della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne
celebra la scoperta con la pubblicazione di “La grotta del monte Calvo”; dato alle
stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana sub-entra nella
direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad
introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più
delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi
al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni
forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di
svago della testata. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli,
Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di Spadaccini, “R. e la Grotta
di Monte Calvo: tra mistero e leggenda” (Lanciano, Torcoliere); Martuscelli. Saggi:
“Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia: ode di Tavanti; Chiari
nella Condotta, Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, Oliva, “Abum
di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico
Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: la ragione conversazionale della
volontà e della temperanza – la scuola d’Appignano del Tronto -- filosofia
marchese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo marchese. Filosofo italiano.
Appignano del
Tronto, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “Rossi touches many Griciean points:
universalia, strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on
Aristotle’s metaphysics.” Attivo
filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni
XXII, nelle dispute dei fraticelli, che portarono alla sua espulsione
dall'ordine. Ha idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica,
filosofia naturale, metafisica e teoria politica. Soprannominato come
"doctor succinctus" e "doctor praefulgidus", come
osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento di Bolzano, e studiato
e commentato soprattutto per alcune tesi risalenti del suo commento alle sentenze,
i Libri IV Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera
riune di LOMBARDO. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia
basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di
Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Scoto.
Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene dichiarata
lecita la tesi secondo la quale Cristo e gl’apostoli non mai possedeno beni. Prende
parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine.
Insieme a Michele da CESENA, Occam e BONAGRAZIA di Bergamo, sostenne una regola
di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a
Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I
francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati minori della
bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati d’eresia. Questo
avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi
era divenuto ostile a Roma dopo che Roma
rifiuta la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di
Germania, preferendogli Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello.
Con esso Roma fra l'altro, viene accusato d’eresia, quindi delegittimato per la
sua presa di posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso,
la conciliazione di CESENA al capitolo
di Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a BONAGRAZIA
da Bergamo ed Occam. R. come lector nello studio generale dell'ordine,
sottoscrive una protesta redatta da CESENA contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i
giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII.
Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V. Scomunicato da
Giovanni XXII, R. decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi
con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la
sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”,
nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella
questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie
all'interno dell'ordine. Il tentativo di CESENA di impedire lo svolgimento
del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'ordine
conferma la scomunica di CESENA ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral
Ot, ovvero Geraldo di ODDONE, favorevole alla curia. Lui e i suoi compagni
sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. R. ispira la
protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara
invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di
metà degl’aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro
francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di
Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento.
Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione
formale -- che dove servire da esempio per tutti i dissidenti successivi -- e
si riconcilia con la chiesa e con l'ordine. Nel Improbatio, si concentra sulla
determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per
sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due
tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà
dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà
dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature del divisno si
rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa
nella creazione del divino. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata
dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del diritto di proprietà distintamente
umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà è legato agl’esseri
umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. R. convene
che, senza peccato non c’è il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non
porta immediatamente al concetto di diritto di proprietà. Sostenne che la legge
umana è responsabile della formazione del concetto di diritto di proprietà, non
la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di
Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel
contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina del Lizio del
movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si
muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve
alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso
un’altra direzione. Già Filopono mosso logiche obiezioni a questa
dottrina. Con la definizione di un “impeto”,
la discussione prosegue, ripresa d’AQUINO. Solo con R. si giunse a
conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato
come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi
commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una
quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una
forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua
impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria
dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria
della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e
sopra-naturali. Questa virtu derelicta spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite
ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave
della de-re-licta virtu includono: Un corpo viene messo in moto da un
altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di
un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale
disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in
movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo,
cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta
rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi
filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano
disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se
questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi
come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di R. per affinare i propri
concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave
nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari
sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la
ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire
prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che
l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità
con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra
giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione,
negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la
volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono.
Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per
rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo,
distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è
necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione
intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più
complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non
richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono
in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per
evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può
essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza*
apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti
razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra
causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri
saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir
reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum
quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i
principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e
il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza
divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super
libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette
sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi
libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii
Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, Ratisbona,
Chronica de ducibus ariae, Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum
fratrum minorum, in Arch. franc. hist., Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio
codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo
documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena,
Perpiniani, Monachii, in Arch. franc.
hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, Possevino,
Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A.
Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae,
Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C.
Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena, Faenza, Roma, Schabel, Il determinismo,
Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo”
in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum,
F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium
Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia
cattolica, Vaticano, Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G.
Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di
Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia,
G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius,
Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum,
Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus
illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores
atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit
Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci
Alberti Tani, Roma, Ludger Meier, De
schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta
franciscana, II, Ad Claras Aquas; Schneider, Mariani, “Francisci de Marchia
sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum
Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci
de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum
Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due
Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di
Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci
de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir
reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani,
Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium
Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones
primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.
Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones
primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata,
N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros
Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad
quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani,
Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum
Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum,
Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata);
Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata;
N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei
Lincei, Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min.
conc. "Quaestiones in
Metaphysicam", Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R.
Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium
nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull.
dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, Bennett, Offler, Guillelmi de Ockham
Opera politica, Mancunii S. Baluze Mansi, Miscellanea novo ordine digesta,
Lucae, Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, Nani,
Duba, Carron, Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum
Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones, Leuven; Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri
Commentarius in quattuor libros Sententiarum. Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia,
Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus
Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella
filosofia della natura. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores
trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad
Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini,
Roma, Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit
fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem
factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai
primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers,
Quodlibet “Acta, gesta et facta fuerunt
praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco
de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum
de Avenione. Lambert, Povertà francescana; La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e
degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze,
Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra, Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui
appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt
religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F.
d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes
religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in
Bullarium Franciscanum, Roma, Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di
un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei
Fioretti; Lambertini, F. d'Appignano ed
Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano;
Jesi, Edizione Terra dei Fioretti; G.
Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”;
“Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica,
Meteorologia Fabio Zanin, Francis of
Marchia, Virtus Derelicta. -- "How is
Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how
continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di Mariani,
Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca.
Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta,
volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva,
conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire
l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto
la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione,
sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la
deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto
perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio,
volonta contro il giudizio. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: l’implicatura di Lucrezio – la
scuola di San Giorgio -- filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (San Giorgio). Filosofo
campanese. Filosofo italiano. San Giorgio, Campania. Il più grande e puro
metafisico" nelle parole di VICO (si veda). Vive a Montefusco. Studia a
Napoli. Scrive diverse saggi tra cui il più importante rimane “Della mente
sovrana del mondo”. Altri aggi: Considerazioni
di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi, Dell'animo dell'uomo, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. IS PUTAZ10NE UNICA DELL’ANIMO DELL’UOMO
DEPUTAZIONE UNICA Nella quale fi fciolgono principalmente gli Argomenti di LUCREZIO (si veda) contro
all’Immortalità. OPERA DI R., abate
Infoiato di S. Giorgio ec. -J> fi D
All’ Illustrissimo Signor Marchese D.
LO RENZO BRUNASSI - VENEZIA. Con Licenza de' Superiori w>5' !
•yr&Si fftm/rbr Nil tam diffìcile
eff , qtiiu qiuerendo inveffigari
poffìet . Ter. Heautontim, A3, 4 . Se.
r. %
1 ILLUSTRISSIMA % ■9 ... SIGNORE tv
Ella dimora , che in quefta
noftra Città di Montefufcolo per alcun
tempo fatta avete , tanti argomenti di
virtù , e nel riguardevole Uffizio di Regio Uditore , e in_> tutti gli utti -cibila vita^ avete dati ; che in ogni parte di quella ben am- pia Provincia , la lode , e’1 nome vostro
nelle bocche degli Uomini rifuona
da per tutto . Per la qual co- fa io non folamente ho dovuto rivolgermi verfo di V oi ad ammirarvi , ed amarvi con tutti gli altri ; ma ancora ho potuto alla degniffima persona
vostrà alcun particolare oflequio preftare : e fi il mio libro dell’immortalità dell’animo, che ora efee
alla., pubblica luce, dedicare, e confecrare . Concioffiachè la V irtù fola di per fe, fen- za dover altro cercare , fia potentiffima cagione , per- ché riveriamo, ed onoria- mo colorò , che adorni ne fieno: e più quelli , che nel più alto feggio di lei col- • locati veggiamo . Nel che nondimeno , mentre l’af- : ' • fe-
lezione dell’ animo rivelente , e divoto ho fegui- ta ; nel tempo medefìmo all’ opinione del libro , e I9ia?r ip cr e do a -baflanza a ver provveduto. Perciocché io non dubito,
che-» v quella mia Opericciuola , (qualunque ella ha) oltre a’ confini dell’ Italia , ed • oltre al ter mi ne d ella pre- fenteEtà,inRegioni rimo- te , ed a futuri tempi coll’ • • autorità del tifone volo, e chiaro nome voffro nom> abbia a trapaliate. Grande fermamente , e di
gran laude degna è la Virtù vo- ftra , che fin dalla prima giovanezza con perpetuo tenore , belle , e laudevoli Opere ed alle
private., pe rione, ed alle
pubbliche cofe profittevoli
arrecan- do, fi è dimoftrata . Nel ti lumi di Giurifprudenza, quanti ivi fono , ri luffe., ella con grande ammira- zione di tutti : poiché ap- pena varcati tre luftri , a prò di litiganti , e di rei , ' tifiti a dotte , ed eleganti , e fpi- ritofeOrazioni vi udirono * * recitare . Per la qual cofa .»■ di dì in
dì Tempre più crefcendo l’ opinione del va- -
lor voftro , del pregevole
ornamento della Toga di Giudice
della Gran Corte maturamente fu il vo-
ftro merito onorato . E in * quel
gra vidimo Miniftero con lucidezza di
feienza , e con incredibile
coftanza il dritto cammino del V e- ro Tempre tenendo , e in ogni affare la prudenza ufando ; cosi bene
avete * adoperato, che l’approba- zione , e l’amore di ognu- * • no , e in quefti vicini ben avventu roti tempi il fa- vore ancora della Maeftà del Gloriofiffimo Re no- iìro avete meritato. Quin- ‘ di l’ alta di lei Regai prov- videnza , il -primo onore confervandovi intero, a moderare i Tribunali del- le Provincie, ed a tenerne gli errori , e le corruttele lontanila conofciuta V ir- tù voftra ha prefcelta . E a 2 ben la Città noftra innan- zi ad ogni altra, e tutta la Provincia , delle diritte, fagge , e fcorte maniere-, voftre con comune ripo- fo , e comun contento co- pioii frutti han ricolti . Ne folamente nella nobili^ ma fcienza delleLeggi,ma in altre parti ancora dell’ umano fapere Voi avete molte fatiche , e vigilie-, collocate: le quali e la no- ja adergono di quegli ftu- dj , e ne ajutano l’ intelli- genza , e la cognizione dilatano, e compiono
dell’ Uomo . Ne finalmente^, nelle pulitezze , e ameni- tà delle Lingue più belle non avete ancora efercita- to lo ’ngegno : poiché con elette Poefie tofcane e la- tine, della nobile Acade- mia Cofentina , e della,, famofa Arcadiadi Roma , ove liete aferitto , avete fuperata l’ opinione . Ma la voftra loda più ricca , e adorna £ difeopre , e più chiara , e luminofa nelle dovizie, e negli fplendori del-
delle magnifiche , e memorande laudi del Signor Duca di San Filippo vo- ftro degniffimo Padre . Le quali fe non diftintamen- te narrare, ne degnamen- te celebrare , che non è luogo , ne io con niuno in- gegno potrei ; perchè fon pur voihe , debbo alme- no in alcun modo addita- re. E in particolare alcuna parte del veramente ma- ravigliofo governo , che delle pubbliche cofe egli ha fatto, nel confiderabile . .Ma-
Digitizéd t Magiftrato di
Eletto del Popolo debbo rammenta- re in ogni modo . A quel- la importantiffima ammi- ri ideazione in tempi diffi- cili , e pericolofì , con tutti i fuffragj più volte chia- mato il Signor Duca , con mirabil fapienza , e con.» incredibile iludio, e fatica i pubblici affari ha condotr ti a felice fine . Egli la pub- blica falvezza fempre me- ditando , e a quella ogni penfiero, ed ogni operai rivolgendo, una cofa affai difficile ha
confeguita: che per tutto il tempo,
che quell’ immenfo pefo ha_» foftenutó, giammai ne per colpa murray-rtc-per qua- lunque fortunofo evento , ne di fterilità , ne di guer- re, ne di altro fimigliante, nella Città , e nel Regno la fcarfità , e la fame fiali potuto introdurre . Per- ciocché , oltre ad ogni al- tro ingegno di fcorto prov- vedimento , in ogni tem- po da lontane Regioni per lunghi tratti di mare co- t « piofe annone fonofì fatte approdare ne’noflxi Porti . Nel che con raro efempio di carità verfo la Patria , di o/Iequio verfo il Princi- pe , delle fue proprie fo~ ftanze molto oro ha pro- fufo . Sopra tutto di eter- na memoria degno è quel- lo, cheneiravvicinamen- todelle vittoriofe Infegne dell’invitto, pio, felice^. Re noftro, in tempi pieni di timori , e di fofpetti , premendo ancora il no- lfro Suolo le armi nemi- t'àìf b che; s che; mercè de’fuoi alti configli , nella Città , e contorni ogni cofa videfi tranquilla , e quieta . Or- che le rapine , le occifio- ni , i tumulti , che i trifti , e iediziofi Cittadini in fo- Iniglianti tempi meditar fogliono , tenefiè dalla.. Città lontani; Egli folleci- , tamente le cofe alla vita neceflarie appreftando 5 e gli animi feroci della ple- be mitigati , e addolciti » co’ Signori conciliandola tranquillità , e la
pace nel- la Città, e quindi in tutto il Regno fuori di ogni opi- nione ritenne . Onde po- tè dirti allora , che eglf il Signor Duca la Città fai- va , falve le vite , e foflanze de’ Cittadini al Gloiiofo Re noflro avefle ' conferva te . Caro pei - tan- „ * to al Re , alla Regai Cit- „ tà, ed al Regno, a.fublinii . degnità fi è veduto meri- tevolmente afcefo. E pri- ma il pregevoliffimo ono- : - - re ottenne già di dover b 2 Egli
Mf Digitized by Google Egli colla fua Famiglia , in uno qual più voleffe de’ nobiliffimi Seggi , fra Pa- trizj effer annoverato, e delcritto-. Pe^qticfte vie , e con ifplendidiffime affi- nità la fua Cafa nel più al- to luogo de’ Baroni , e Si- gnori del Regno ha folle- vata. Oltre al le nobili Fa- miglie Spina della Sarde- gna , e Poliaftri della.* fplendida Nobiltà Cofen- tina, in donando a Voi in Ifpofa la Signora Marche- fa D. Marianna Orenghi , Dama di rare doti , tutti i pregi di quella nobiliffima Famiglia nella fua propria Cala ha trasferiti.Per chiù- ' . quella chiariffima Fami- . glia ella è nobile in Ven- timiglia ,Città principale pofla nel fuolo di Genova . Ella è altresì
nobile in Roma , rocca dell’Eccle- iiaftico Imperio. Ed ivi a > | quella Repubblica faggi ,>, Togati » e prodi Capitani ; equi
Senatori in Cam- ' dere in brieve giro
più cofe pidoglio , qual fu un Giovan
Angelo Orenghi , e_> degniffimi
Prelati , e Car- , dinali ; tra quali il
Car- dinal Niccolò Orenghi di onorata memoria , alla-, Chiefa ha donati . In ol- tre alla Signoril Cafa Maf- fa degli antichi Baroni del Vaglio gli Orenghi Eret- tamente appartengono : ' della qual Cafa fu già l’A- va paterna della Signora Marchefa , che del loda- tiffimo a memoria noftra Cardinal Girolamo Maf- facafanatte , è degnifsi- - ma
Digitized by Google ma Pronipote.
Quella pic- ciola parte delle
voftre_> amplissime lodi ho io
qui potuto ricordare, molte,' e grandi cofe lafciate ad- dietro . Dal che nondi- . meno lì può vedere , che di fommo pregio è la mia fperanza , che ’l mio li- bro , che ora al volil o me- rito inchinato vi prefen- to , dedico , e confacro j ficcome 1’ accefo delìde- riadel di voto animo mio contenta in parte ; cosi fra molte genti , e pe r mol- • . : . . " te . /
. te età debba effe re
.dure- vole memoria della fervi- ti! mia ; della quale fopra ogni altra cofa del Mondo onorandomi--, -volentieri mi confermo f'- 1 Di U. S. Illuftriflima ma rno
Divotifs . , eri Obbligatifs. Servitore
- L' Abate Roflì di S. Giorgio .
Oicbè può avvenire , che quefa
mia Difputa capiti nelle mani di
alcuni , che le vane fittili- t'a , e,
pregiudizj feguono ancora della vo/gar
Ftlofofia ; e' fa di me fieri , che io
qui alcuna cofa ne dica , che mi pare
dover dire per liberarla , fe è
pnjjìbilc , dalle coloro accufe . Imperoc-
ché eglino cerfh mente bia finteranno leu* maniera di filofofare , che io ho prefo a feguire : e le dottrine , che vi arreco
t tutte, o parte come nuove , e frane
ri- fiuteranno : e nelle ofeurità ,
nelle quali forza è che alcuna volta fi
abbattano, e dove da' fienfi , e parlari
loro i miei fi dipartono ,come fogliono
in sì fatte accu - fe di leggieri
trascorrere \ fufpicberanno ancora per
avventura , che alcuna cofcu» vi fi a
fionda , che colle verità della' no- fra
Santa Religione non ben confenftt , Or
io innanzi ad ogni altra cofa /* Alti fi
fimo Dio chiamo in tefliShnio , che con-, * c quefa
+ t quejla tuia fatica altro
non ho io intefo , che quelle verità ,
quanto più per me fi è potuto , nell ’
ordine naturale ancora co * fumi della
Filofofia avvalorare , e oi di quel torrente d’Eloquenza divina , con la
qua- e vi avete fatta una fpezie di
favellare tutta vo- :lra propia ? perch
è p ropia di co tal Jcienza ? Del- a
bellezza, e’ leggiadra de’ traf porti , che ufate_» tutti opporti, dome debbono eflere , a quelli
, che ufa l'eloquenza Umana ; perchè
quefta debbe fare dello fpirito corpo ,
e voi in certo modo fate del corpo fpirito.
Voi liete degno, Signor D. Tomma- \ fo,
non già di Montefufcolo , ma della più famofa
Univerfità dell’ Europa. Laonde poiché la voilra mo- dedia, eguale alla voftra gran dottrina, e
virtù ve ne fa contento, almeno giovate
il Mondo di coterta fappfentiflìma
Scritturai la quale l’aflìcuro, che re-
cherà gloria, non che a Napoli, all’ Italia tutta , con merito grand irti rno inverfo della Pietà
, che fi ri- fonda in utilità di tutte
le Repubbliche , e molto più Criftiane:
e vi fo divota riverenza. Uantunque negl* infelici tempi del Gentilefimo denfiflìme tenebre d’ i- gnoranza delle cofc Divi- ne, (alvo il Popolo Ebreo, premettero tutta l’Umana generazione ; pure per lo Covrano magi- llero della Mondana fabbrica , e per
l’or- dinato, e collante corfo de’ moti
, e delle generazioni da una parte , e
per la virtù dell’Umana intelligenza, c
per 1* interna, e comun legge , e regola
delle operazio- ni della vita ,dall’
altra ; delle quali cofe, quella è certa
, ed illultre lignificazione , e quella
è chiara, ed indubitata cognizio- ne di
Dio ; aggiuntevi ancora te reliquie
della tradizione de’ primi. Uomini; pec
tutte quelle cagioni , era nondimeno nel- le menti degli Uomini altamente infitta A Topi-
«NI nz T opinione dell’
autorità , e del principa- toDivino,
edinfieme dell’ Immortalità degfi Animi
umani , e del t fa patta inferno
opinioni di' loro al futuro Secolo . E tra’Filofofi,i più gravi, e fublimi, purgata la Religione
dal- della Satura h ttolta
moltiplicazione delle Deità , e divinale
dei r dalFaltrc feoncezze, e fozzure della V ol- aumdeirvo- f U p Cr ttizione , vennero a
conofcere, on folo Autore dover vi
etterc, e un folo Arbitro di tutte le
cofe:c la Divina origi- ne , e Timmortal
condizione degli Animi noftri, e le pene
degli fcellerati, e i premji
degl’innocenti ebbero per fermi, e più
minuti , ed ofeuri , febbene ne la forma- zionc dell’ Univerfo, per potere, ed
in- ■ gegno di mente fovrana; ne
l’informazio- ne del corpo umano , per
condizione di mente inferiore informante
, compren- dere potettero ; tuttavia la
più parte di loro , ne provvidenza di
Mente Eterna , r ne realità di Animo
Immortale in altro modo negarono , che,
nel Mondo la rea- 4* lità del Divino
cflere, e nell’ Uomo , la . verità del
dovere onefto ritenendo . Il ■ - che i
moderni Epicurei con tutta laco- ** #
pia de’ lumi de’ noftri avventurofi tempi
non fanno ; come quelli , che per eftrema malizia , ò cecità , non de l
tut to convin- ti , per non potere
concedere in Dio rea- lità di Edere
fenza verità di legge , e nell* Uomo
verità di legge fenza realità di na-
tura foffanziale ; e per non volere l’una per l’altra in Dio , e nell’ Uomo rirenerc; fi gittan più tofto negli effremi
dell'em- pietà del totale annullamento
di ogni realità, e di ogni verità
Divina, ed umana. Ora per forza di que’
naturai» lumi , e di quelle antiche
origini , e’ non è da mara- vigliare ,
che Lucrezio, il più fiero nemi- co del
culto , e dell' Immortalità , abbia
nondimeno per vere, ed affermi alquante
cofe , che l’infelicità de’fuoi tempi fol po- tè fare, che noi conduceflfero per
diritto cammino al conofcimento del Y r
cro . Le quali prima di ogni altra cofa
convien notare, con alcune altre
offervazioni , % che lafciate addietro,
più intrigata, e ma- lagcvole fenza
dubbio rederebbono l’ in- traprefa
inveftigazione . E in prima quel
Filofofo, dopo avere argomentato, che f/To Lucrezio i tre Volgari Elementi , l’Acqua , l’Aria ,
g^EicZnti e’I Fuoco doveflono l’Animo, e
1* Anima non vagliano dell’ Uomo poter
comporre ; ."■'«g* p°' LE3Èi2 con
apertiflime parole, che quelle tre Na- gfUe.
A 2 tu- Jflfc. :
m v .lì
.aÉ Bt m
S* «fitti ftkjili
Jfr ! 4 «
il fr ■. 4 t
f V' ,,4 * %4 É*>
.* 4 . r> j2^ W m Anìmofecon - do LUCREZIO
fon di altro genere, dcu* que' dm ve -
gnono agli oc- cb\ e agli al
- tri fenfi* chi ; ma d’ altro genere
più fublime, e più vigorofo, e più
mobile di gran lunga. Nunc age ,
moveanf animum res accise : tir unde ^monl
Qu >**'«» i > nilfimo , dove fuole ella rifuggire per trarne comuni (limi argomenti in tutte le
' piùofcure, e malagevoli quiftioni
della Natura. Qnefto tcgttt*tnfinito,
nel qua- cureineU c** le truovano eflì e
copia per ogni fuftanza, mafatuol 1 * c
d ingegno per ogni lavoro, c virtù , e r
infinito. ' porere per ogni maniera di operazione. Sicché vergendo, non potere al fortuno- foconcorfo degli atomi lagrande, e mae- ftrevole opera dell’ Uni verfo afloluta- mentc affegnare;dicono f che per un tem- po infinito , dopo infiniti varj
accozza- menti , fien finalmente gli
aromi potuto a quel termine pervenire,
come nel. li- ‘ ' bro v: Nani certè neque confìtto primordi*
rerum Ordine quoque fuo, atque fataci
mente locar unt: Nec quo: quoque darent
motu: pepigere profetici . Sed quia
multa modi: multi: prìmordia rerum Ex
infinito )*m tempore peretta plagi:-,
Ponderi bufque fui : confuerunt concita ferri, Omnimditque coire , atque ormila ^er tentare
, Qut r- Ma
«v Qutcumque inter fe pqffent
congrega crenrez Troptèrea Jìi , ufi
magnum vulgata fer piane , e Semplici
cogitazioni noflre. E , in fine è affai
malagevole a ritrovar cotal ■Uyr. .
.r’iVero a forza di fillogiftici ragionamen-
ti ; poiché l’una parte, e l’altra della
contradizione , contradicenti fillogifmi
quinci, e quindi fomminiflrano , e vie
« più inviluppano la difficoltà . Onde i più _ fenfati , e collanti fon coflretti a fofpen- deré i giudizj; ed i malavveduti, c leg- gieri fi rivolgono a difendere 1’ uno
de* due Conrradittorj , e fra loro di
vili l* un contro dell’ altro
oftinatamente com- battono . Il Vero
minuto , c fcompiglia- to della foflanza
materiale ùmilmente e’ non può ne forma
fantallica dipingere, ne intellettuale ,
o ragionevole efpri- mere , nc
conchiudere fillogifmo per una contraria
ragione. 11 noflro intendi- mento,
poiché dalla parte dell’ Animo è unirà ,
che aduna , c contiene il numero, che è
la vera diffinizione dell’Intelligen- za
, ed è manifefla nel raccoglimento, che
ella fa del numero della materia nej.
fenfo, e de’ fenfi nella cognizione, e_, , ' delle varie cognizioni nell’
univerfale, cd 0 cd
in fe medcfima , per quella cagione»,
non può raggiugnere , c diftinguere quel- lo ccce/Iivo sminuzzamento, e dilfipa- menro , ne può accozzarlo , e cederlo a comporne 1’ eftcnfione . E poi una af- fai ardua imprefa di pervenirvi con argo- menti : perciocché la mente dell’Uomo nel fuo intendere, che è il Tuo edere, non avendo niuna abilità per quella ma- niera di Vero cotanto a lei dilfi
migliaa- te, fenza feorta , e fenza lume
fi svia-, qua, e là adirquctlo, o quello
con mal fondati ragionamenti; ficcome è
mani- fedo nelle molte , e varie
fentenze , del- le quali niuna ha niuno
pofitivo argo- mento per fondare il
proprio Vero ; e tutte, e ciafcuna han
molti, e forti ar- gomenti per abbattere
il Vero contrario delle contrarie .
Quindi ficuramente , fe T amor delle
parti non in rutto gli accie- cafie,
porrebbon giungere finalmente a
conofccre , che il Vero non può trovarli
nel dil’cioglimenro degli enimmi in uno
de contradittorj , ma dee ricercarli nel
temperamento, e nell’ accordo delle con-
tradizioni , e nel viluppo degli enimmi,
e nelle maraviglie. Stando così le cofe, i filosof antichi del giardino preoccupati da quel
pregiudizio , e i Novelli fpaventati
dall’ apparente^, contradizione , o
affatto non han ricerca- to il Vero
maravigliofo , o leggiermente i ~
facendolo, tolto quelli alla preoccupa-
zione, e quelli allo fpavento cedendo ,
, ' fonofi late iati fedurre dalle vicende delle forme corporali ad aver per cert3 la
mor- talità degli Animi noflri , con
ifconvolgi- roento , c rovina della Naturale
, e della , ' Morale feienza, e della Ci
vile 3 e della Di- vina altrelì.E qui
lien terminati gli avver- timenti, dopoi
quali è ormii tempo di fa- re quello,
che gli Epicurei non han fat- to, cioè
di farci a confidcrare l’ inrendi-
mentodeli’ Uomo , l’ effenza , la proprie- tà, e le operazioni lue : nc per tanto
tutta la felva degli argomenti , che di
là , o al- tronde trar fi poffono ,
penfiamo di alle- gare , che sì
trapaleremmo i limiti di uua Difpura,
eforfi alquanto ci difeofterem- Sì
arrecala mo dalla P ro P°H l foluzione , m t tanti , e teiere timo- tali ne feerremo , quanti, e
quali credere- ijlinzlonf mo P'ùf ,ire
al propolìto fenza rincrefce- delle idee
del- Vole proliffltà . JtiU* ‘Iute ^ in
primo luogo conviene allegare la ria,
a,em diftinzione, e la dilucidazione dell’Idce
della Mente, c della Materia, che ivi.,
altra guìfa propofta , che da’ Volgari non fi è fatto finora , e farà ella un
gagliardif- fìmo argomento dell’
immaterialità dell* Animo, ed agli altri
argomenti maggior forza , e lume
fomminillrcrà , che arre- cheremo
dappoi. Per non tacer nulla di quelle co
fe, che lafciate addietro ofeure-
rebbono la dottrinajleldee dellaMateria,
e della Mente , s’io non erro , elle in noi, e con noi nafeono a quello modo . Nell* Uomo di corpo, e di anima comporto, (cheunquefia l’Animo ) per erta coftitu- zione nafee certamente il fenfo del pro- prio corpo , il qual fenfo apprende la
pri- ma, ed ampia , e comune azion
Tonifican- te della lortanza corporale :
Similmente da quella cortituzione
mcdefima rifulta la cognizione , o
cogitazione del proprio animo, e del
proprio intendimento , Ia^. quale
comprende , ed efprime la prima , ed
ampia, e comune fignificazione del- 1 ’
Edere mentale . Quelle due Idee così
dirtinte , con dirtinte lignificazioni , ed cfpretTioni, fono ad ogni uno per la co- feienza della propria cognizione , e del proprio
fenfo manifede jdccome è a tut- ti
parimente manifeda la contenenza, o
inclusone , e la lignificazione , o efpref- fion loro . Cioè 1* Idea del corpo
chiara- mente contiene, ed include , e
lignifica, ed efprime P eftenfionc ; e
1* idea dell’ Animo, e dell’ Intendimento
con pari lucidezza la cogitazione
efprime, e in- clude, e contiene. Orio
non poffo ac- quetarmi a quello , che
gli altri fanno, che da quelle fole idee
della mente , £«. della materia, e da
quelle fole contencn- , ze , fenza dir
altro , traggon 1’ argomen- to della
didinzione delle due Sudanze. A mio
giudizio con troppa fretta con- iar
mqftra ìl chiudono , che 1* e de n za del corpo da F difetto dcll'ar- Sdendone, c non già P
Intelligenza , o de' cartellante Cogl fazione
; e che 1 cuenza dell Ani- in far quella
mo la Cogitazione, o Intelligenza, e non
fazione? 0 ' già 1’ Edenfionc . Ma credo in ogni modo doverd andare più oltra , e più a minuto olTervare lecofc, per poter su fondamen- tapiù falde, e più ampie fondare quella importantidìma confeguenza . Per mo- drar di padaggio il difetto , e la
debolez- za di quel corto ragionamento;
P eden- fione, che il corpo di fe
apprefenta ad apprendere, certamente ella è quell'eder medefimo , che nella coftituzione dell’ Uomo, e per quella coftituzione può il corpo oggettare,e lignificare; e che
l’in- tendimento noftro dall’altra parte
può percepire, ed apprendere: ma non è
già egli certo , che quella lignificazione
cosi fatta arrechi il primo , e principal
edere corporale, in cui è dovere che fi
riponga laSuftanza, o Edenza ;o almeno
none cofa delira, che il corpo con quel
foloef- fere tutta la fua edenza, o
Suftanza ap- presemi all’Animo a
comprendere. Oltre a ciò l’ eftenfìone ,
come è un edere uni- forme , e
univcrfale ; così è il più tenue, e
leggiero, ed è come nel frontifpizio del-
la propria codituzione dell’ Edenza cor-
porale locato ; il quale perciò la proprie- tà, cioè la propria differenza , che è
l’atto e la forma , onde fi termina , e
compie V edenza, Secreto , e ripodo,non
può disco- prire , ed efporre al primo
SenSo , ed alla prima percezione
dell’Uomo . E quella^, uniformità, e
comunità , di più per que- lla fteda
ragione di edere uniforme , e», comune,
è neceffariamente confuSa, e indiftinta:
che pe r tanto certezza, e chiarezza niuna in niuna guifa può infondere nell’ idea.La qual cofa tanto più è da
cre- dere, che nella fofianza delCorpo
del rut- to di vifìbile è uopo, che una
moltitudine di particularità infieme
adunandofi , ve- gna a confonderfi in
una uniforme , e co- mune percezione in
quella prima Idea, eh c ancor effa dal
fuo lato fottile, leggie- ra, cftrema,
cojnune , uniforme, indiftm- ta . Or chi
potrà dire , che in quella in-
diftinzione, e confufione, ed in quella
leggerezza ,ed eftremità di cofe , d’ idee, c di fignificazioni, ripor fi polla
l’eftenza? Per dir tutto in poche
parole, quella fi- gnificazione elfendo
come una produz- zionc della foftanza
corporale , che di là ft propaga nel
fenfo dell’ (Jomojegli è fen- za dubbio
un manifcfto errore ,il riporvi il primo
, e principale, e ftante , e pro- fondo
e fiere , qual’ è, e qual efter dee l’ef-
fenziale delle cofe. Finalmente fe 1» Idea contiene, e comprende , ed efprime 1* efìenfione, fermamente ella 1* adegua
an- cora, e fi combacia con lei, che
altri- menti come polla comprenderla , e
con- tenerla , non fi può dire . Adunque
l* /idea , e 1* Animo , diciam così ,
ideante , fi vede per quella via , che
coll* ellenfio- ne che apprende, ed
efprime, pofla eften- derfi ancor elfo ,
e sì P Animo nell’ idea dell’ ellenfione
dal lato della potenza , e* pareeftenfo,
quantunque nell’ideadella cognizione,
dalla parte dell’ obbictto , tale non fi
ravvili . Ed allo ’ncontro, per- che
l’idea della cogitazione non è dell*
Animo folo ; li perchè animo folitario
non è nell’ Uomo, onde il corpo ancora
nelle produzioni mentali dee in alcun.»
modo concorrere ; fi perchè nella cogni-
zione de’ materiali obbietti, ne impref-
fione , uè efpreflione fenza corporale ef- tenfionefi può .concepire ; per quella
ca- gione il corpo dalla fu3 parre fi fa
vedere in alcuna guifa cogitante dal
lato della potenza; avvegnaché dalla
parte dell’ obbietto, come tale non fi
ravvili nell* idea deli’ ellenfione . Or
come in quella ultima oppofizione si è
fatto , così in tut- te le altre, quanto
fi è detto del corpo , per far vedere
l’insufficienza dell’idea dell’
ellenfione a dimolìrare 1’ Eflenza
corporale , tanto con altrettante parole
fi può dir dell’ Animo , per fare intende- re, che l’Idea della cogitazione none fufficiente a poter diffinire l’ effienza ,
o lultanza mentale , In fine non debbo
fa- lciar di dire, che il volere colle
prime, c (empiici , c comuni idee dell’
Animo il voler noftro diffinire l’ c
(lenze delle cole , è per lenze
deill_> Dio cola tanto pericolola , quanto e per- ' refe eolie fri- verfa maniera di filofofare
. Alle quali ra- "cìidee^è'co- g*
on * quando io pongo mente, inrendo fei
pericolofa, bene perchè quella celebre dimoftrazio- nc Cartefiana in quel modo propoda,fia (lata , e fia ancora da moiri con ogni
ar- gomento fieramente combattuta .
Adun- que per quelle due prime (empiici
idee.., della Mente, e della Materia , e
per quel- le indiftinte, e comuni loro
lignificazioni, non può giuftamente
venirli a quella gra- viffima
conchiufione;ma è neceffiario ri-
guardare per tutta 1’ effienza corporale , e in tutte le fu e forme , e modi , e moti
, ed operazioni;ed oltre ciò offiervare
tut- ta Ledendone del fenfo , quanto
egli c nel proprio corpo congiunto, o
quanto da circolanti corporali obbietti
riceve. Ed ancora in tutta l’ effienza
mentale , ed in tutte le fue forme , e
modi per tutta la capacità della
Cofcienza , e della Scien- za , quanto
in fe medefima vede , o dall’altre cofe raccoglie*, e ciò fatto, fe_ troverai!!, che nell’ Elfcnza del Corpo la fola Eftenfione fifeerne da per tutto fenza niun eflerc, o potere di Cogita- zione, o intelligenza ; e nell’
£lfenza_, mentale, fé feorgeraflì folo
intelligen- za , o cogitazione in ogni
ricetto fenza niun edere, o modo di
ettenfione; al- lora , e non prima fi
potrà conchiude- re , che quefte fieno
certamente due™. Elfenze , o foftanze ,
l’ una dall’ altra™, realmente didime.
La ragione del do- ver negare alle
fempliei idee quel che fi crede dover
concedere all’intera, e compiuta
cognizione della feienza , el- la è , a
chi ben v> attende , chiariflima. La
fignificazione , ed efpreflion partico-
lare, e manchevole, qual’è quella del-
le fempliei idee , già ella molro , o po- co laici il in tenebre una parte dell’
ef- fenza , che non è in niun modo
ligni- ficata, ed efprelTa : onde
volcndofi a_> quella elfenza donar
qualche attribu- to, non fi può fare
lenza gran temerità: conciottiachè
ragionevolmente debbafi dubitare , fe
nella parte non lignificata vi rimanga
afeofa alcuna ragione efcludente quello attributo , che le fi vorreb- be concedere , e volendofi negare , non può niuno , falvo fe non è fconftgliato, e temerario , rifolverfiafarlo: percioc- ché fi dee poter fufpicare, che nella^ parte non lignificata alcuna ragion fi rimanga, che includa quel cotale attri- buto, che le rivorrebbe negare. Adun- que l’ Idea del corpo , che contie nc
l’cf- tenfione ( qualunque ella fia )
cfTcndo pur nondimeno particolare ,
forza è che ne lafci in dubbio , fe
altro vi fia nell’ effenza corporale ,
che includa la cogi- tazione, o
intelligenza; e fimilmcnte_, qualunque
ella fia 1’ idea della cogita- zione
dell’ Animo , e quantunque didi n- ta ,
e chiara fi voglia , giacché ella è .
particolare, ne fa per quella cagion fof- picare,che altro pofla efTervi nell’
Ani- mo, che includa Fedendone . E
pertan- to per fi fatte idee non può
giammai giu- gnerfi a tale , che quelle
due Eflenze fi veggano in tanta luce,
che chiaramen- te apparifea l* Animo
efTer foftanza_» cogitante , o
intelligente . Ma nel fatto di una
intera , e perfetta lignifi- cazione le
cofe danno altrimenti; imperocché ogni elTenza col fuo mcdefimo edere lignificando, per modo che l’ef- fere medefimo fia lignificare , e’1
lignifi- care altroché federe non fia
,cdel tut- to imponibile , che la
lignificazione co- tanto dall* efifere
fi difcofti,e quello da quella cotanto
fi diparta , che tutta inte- ra una
lignificazione niente affatto ligni-
fichi , di un ampio elfere che fi c; e che un ampio intero elfere non fia nulla
affatto di una perfetta lignificazione,
che fi ha. Ora egli è, o agevolmente
può elfere ad v * ognuno manifefto ,
che in quanto colla., zioneficon -
Icorta’del fenfo , e col cammino della_, ^caadejbe- feienza li olferva , o fi argomenta
nella materia, di foftanze , forme ,
lavori, ; • % movimenti, generazioni , e
qualunque operazione, per tutta cotaf
ampia, ed intera lignificazione niente
affatto fi feor- ge , ne pur
leggiermente adombrato , ne di effenza,
ne di modi di effer della men- te : ed è
parimente , o può di leggieri efferc a
tutti manifefto, che per tutta la
fignificazione , ed efpreffion mentale,
che ci viene o dalla feienza , o dalla
cofcienza, nulla affatto di materia, ne
cffenziale , ne modale, nc edere, ne ope- « ■ E i rare vi fi (cerne . Adunque egli è
im- ponibile, che la materia fia, o che
ab- bia, o produca tutto il magnifico
ede- re mentale, e che niente di quell’
ede- re dimoftri in niuna parte dell’
ampia , ed intera Tua lignificazione ; e
che la Men- te fia , o che abbia tutto
l* edere mate- riale, e niente di quello
dimoftri in_» niuna parte dell’ ampia,
ed intiera li- gnificazione Tua . Tanto
era da fard, che non fi è fatto, per
condurre quel- ; v Vi*’ la dimoftrazione
ad una chiaridi ma chia- rezza La ragione, che dalli materia drit- delP immorta- tamente efclude la cogitazione
, per la- mo Umano* 11 * ^ ^iare °S n ‘
circuizion di parole, ella 11 ° non è
altro , che quella reai diftinzio- ne,
che per tutta la foftanza materia- le
per ogni parte s’interna, per modo che
niuna parte c della materia , che o in
altre parti da fe contenute ella non fia
da dividere ; o che niente contenen- do
, non fi debba ad una ftrema minu- tezza
di ogni contenenza vuota ridur- re . Per
cotal ruinofa diftinzione , la fo-
ftanza della materia, o nell’un modo,
* o nell’ altro, ella è tutta diftinta , e tutta divifibilc: tutte le
Tue parti fon Fune fuori dell’ altre,
foni’ une all’ altre av- veniticcie ,ed
eftranee; non fi potendo a niun patto
ritrovare parte della ma- teria per
nello di reale identità nell’ altra
implicata . Anzi di vantaggio il tutto
medcfimo fi può dire in certo mo- do ,
che e’ non fia, c non infida nelle», fue
parti: inquanto che il tutto non è tale
unità , che intera, ed indivifa nel
numero delle parti fi eftenda . E le_*
•parti allo ’ncontro in certa guifa pur
puoffi affermare , che non fieno nel
tutto , inquanto che elle non fono di
quel numero , che fenza confufione_,
benché indiflinte , nel tutto fi adunino. In sì fatta maniera di efTere , più fiate
in più luoghi altrove efplicata , è
cofa^ manifefta , che le parti non
poffono in- fra di loro in guifa alcuna
comunicare; ne 1* une nell’ altre per
niuna via pe- netrare; ne può avvenire
giammai, che elle in niun
modofcambievolmente fi contengano , o
comprendano , o inchiu- dano : Ne
finalmente comunicazione, o penetrazione
, o contenenza , com- prendone ,o
inclufione alcuna può ef- fere I
L'imfene- trabVita del- la Materia ,
ovejh da ri - fOì’re . «fere ne
pur fra ’I tutto , e le parti ^ Or tutto
quello novero di ragioni, che vi-
cendevolmente l’une 1* altre implican-
do , fono ccrtiffime produzioni della
reai diftinzionc, che noi fotto una ap.
pellazion comprendiamo d’impenetra-
bilità, come le contrarie con un fol no-
me di penetrabilità nominiamo; quelle
ragioni , dico, fon la (lefliilima cecità, O amenzia della materia. Siccome quel- la profonda , e difcorrevole diftinzion reale difperde ogni penetrazione, e co- municazione di elTenza , cosi fa ancora di ogni penetrazione , e comunicazione di fcienza. Conciofliachè la Scienza, o intelligenza , ed ogni cognizione , e co- gitazione, altro che comunicazione , e penetrazione non fia: ficcome la fcomu- nicazione , e l’ impenetrabilità, altro non fono che cecità , o fconofcenza . Per Dio la facilità fola , e’1 chiarore di
que- lla luminofa dimoftrazione potrebbe
per avventura per un fol momento
farne travvedere la fermezza , e la
ficurezza. Imperocché come può la
materia in- tendere quello , che non
contiene ? E come contenere quello , che
elTa non è ? Per qual via, e con qual potere fi effon- derà la materia ad includere colla co- nofeenza quello , che efclude coll’ ef- fenza?Come diftinta effondo dall’ altre cofe, ‘comunicherà con quelle medefìme per apprenderle ? Come dentro di fé , e quali da fé (leda diftinta, ed
efclufa, potrà o a fé ri volger fi , o
in fe il fuo edere raccòrrò , per
intender fe , e le cofe fue ? In qual
modo pofta fuori del- le cofe, che ella
non è, e fuori di fe niedelìma , che non
contiene, potria 1* altrui , o’I fuo
proprio edere dentro di fe conchiudere
coll’ intelligenza ? Qual farà il
fentimento di quel tanto deuro, quanto
celebrato principio , che l’operare
fiegue all’ edere , fe non que- llo ;
che federe è regola, e norma dell*
operare : che quale, e quanta è Ceden-
za , tale , e tanta eder dee 1’ operazione: che l’operazione non può fuori eftender- d dell’edenza: che in dnc l* operare è una produzione dell’cderc, dechè
l’effon- zada operante; d’operare
mededmo,el’ operazione da edftente , e
da edo edere a rincontro. Per le quali
certi (lime regole fedi maggior lume
abbifognade, vie più lì dichiarerebbe ciò, che diciamo ; che non fi può contenere, ne includer quello, che non fi è ; come quello che non fi con- tiene, ne include , non fi può
intendere. Adunque certifiimo argomento,
e chia- rifiìmo di cecità, ed
infenfatezza , è la- diftinzion reale
coll’ impenetrabilità, fcomunicazione,
ed efclufion materiale. La diltinzione ,
che per varj divarie co- fe , e diflacca
1’ eflenze , e proibifce le coriofcenze;
nella coftituzione dcll’intut- to
divifibile material fotlanza giugneall’
ecceflo di diftinguere ; per modo che af- fatto ogni comunione tronca di eden za, ed ogni via chiude d’ intelligenza . La- onde e’ non è da maravigliare , fe in tutte le Lingue più belici’ intelligenza colla penetrazione , comprenfione, con- tenenza , ed inclufione è lignificata ;
e con contrarie appellazioni è
lignificata la fconofcenza. Ed è da
ammirar molto , che i novelli Filofofi
fien così ciechi , che la cecità della
Materia per quella via non abbiano
ravvifata, che fi pre- fenta nel primo
afpetto delle cofe , non che nel
procefio dell* invelligazione. Con
dimoftrare la cecità della materia, abbiamo inficme dimoftrata 1’ im- materialità della mente ; Imperocché fe la materia è cieca, perchè ella è di vi- libile, la mente dee eflere indi vilibiie
, perchè è intelligente . Pur
nondimeno c uopo in efla intelligenza
oflervar la di lei immaterialità, come
in efla natura diviflbilc la cecità , c
l’amenzia abbiam’ oflervata. Adunque fe
la Mente cono- °V e f ,a fce le fue
cognizioni , come per la pri- trabiitàdei-
ma, e più interna , più lucida notizia I* Mente. della colcienza è certiflimo, ella
certa- mente le Tue cognizioni , e 1’
eflere di quelle, e ’i fuo medefimo dee
in fc con- tenere : e con quelle Tue
operazioni , e con tutto il fuo eflere ,
per pcnetrevo- le comunione , e per
indiflolubil neflo d’ identità , efler
dee una cofa medelima realmente indiflinta , ed indivifa. E poiché per mezzo delle cognizioni apprende tante cofe, quante ve n’ ha_, in tutte l’Iflorie, e in tutte le
Scienze, ed Arti; la Mente quell’
immenfa am- piezza, e quel novero
infinito di forme memorabili , fcibili ,
ed agevoli con- terrà tutte nel fuo
intendere, e nel fuo eflere penetrando ,
e includendo : F con reai neffo tutte
le cofe compren- dendo, cd unificando
nella Tua intelli- genza ; e la Tua
intelligenza in tutte le cofe
eftendendo, indiftinta, ed indi vi- ta
da quelle così, come è dal fuo efte-[ re
medcfimo,e dalle fue medeGmc cogni.
zioni.Dal che chiaramente fi feerne, cfter l’intelligenza, e per confequcnte 1*
Eflcn- za mentale con tutta quell’
ampiezza , e 4 ; con tutta quella dovizia
, che accennata ■ abbiamo efier, dico,
nondimeno indiftin- ta, femplice, ed
indivifibile.Concioflìachc comunione,
penetrazione , e inclufione, Veneu-abi-
fono co ip indiftinzione , o identità una
■ hta , e rden- r ... tiù fono
um cola, c per poco una ragione , o notizia
c»fa medejì. medefima . Siccome la reai diftinzione fminuzzaper tutto la foftanza della ma* teriajondel’eflere materiale è
impenetra- bile^ incomunichevole ; così
la penetra-» zione , la comunione , e l’
inclufione per tutto realmente conduce,
e connette l’in. telligenza ; onde l’
intendere , e 1’ eflere- mentale efter
dee indiftinto, femplice* ed
indivifibile , immateriale , e immorta*
le. Certamente la fola eftre ma chiarezza di quefta dimoftrazione a non fani intel- letti può per avventura far dubitare della fermezza per un momento . Im- perocché come potrebbe la Mente, o non contenere quel , eh’ intende, o non eflerc quel , che contiene, o edere da . ciò che contiene realmente diftinta ? Come mai potrà efcludere, e (termina- re coll’eft’enza quel, che include
coll’in- telligenza ? Come fopra di fe
ritornan- do, o in fe il fuo effere
raccogliendo A )■ * 0 - ad intender fe,
e le fu e cognizioni ; trebbe poi cfler
tutta in fe, e quafi fe realmente
diftinta, ed efclufa ? E in fine il
proprio, e 1* altrui edere , nell*
intelligenza accogliendo , come può av-
venire , eh’ ella fia pofta fuori delle co- fe,che intende, e che efler dee, e fuori di
' fe medefima ancora, qual
certamente larcbbe , fe fuflc divifibile
, e materiale ? Non ci ha
dcll’indivifibi!ità,c dell’imma-
terialità argomento più ficuro di quel-
lo , che eia penetrabilità, e della co-
munione, che è l’intelligenza. L’Iden-
tità , che per varj gradi di varie cofe
fomminiftra 1* intelligenza, c connette
l’edenza; nella coftituzion della mente
giugnendo fino alla penetrabilità, ed
infelfionc , che adduce ogni comunio-
.. : Fa ne di eflere, ed ogni lume d’intendere, viene in tanta chiarezza , che egli è una maraviglia , che alcun de* Filofofi abbia difperato di poter trovare (uf- ficiente ragione deli’ Immortalità dell* Animo dell* Uomo, la quale fenza fa- tica d’inveftigazione nel primo afpctto delle cofe ci fi apprefenta. ■g?** Con quello argomento fenza fallo ^ffHré P, °mate- fino il fondo è fiato
difcopcrto dell’ riale quale efienza
materiale, che è la reai diftin-
deU^mmte 2 j one ^ e j a di vifibilità , onde la cecità , e 1’ infenfatezza immediatamente di- pende . E infiemcmente il principio, e 1* origine dell’ efienza mentale ab- biam ritrovato , che è la reale
indiftin- zione , e 1’ indivifibilità ;
onde l* im- , materialità , e
immortalità neccflaria- mente
difcendono. - * ' Ora da quel primo
fondamento del , - materiale eflere ,
molte altre proprietà procedon della
materia: ciò fono mu- tabilità , e mobil
ita ; novità, e contingen- .) , za ;
impotenza , ed inerzia ; e in fine fug-
^gezione , c dipendenza , che tutta l* ef- fenza della materia adempiono per av- ventura . Come altresì da quel princi- pi» ^ pio dell' Efler mentale molte
proprietà provengono della mente : quali
fono, coflanza , ed immobilità ;
neceffità , ed antichità ; potenza , ed
arte; e finalmen- te libertà , e
independenza , che tutto 1 ’ effer
mentale fi può credere, che_ adeguino.
Le quali cofe fono altrettan- ti
fermiflìmi argomenti, 1 * une della ceci-
tà della Materia, e l’ altre dell’ Immor- talità della Mente . Ma alla difputa di fi fatte ragioni e’ fa di meftieri
premet- tere una confiderazione , con
utilità de* novelli Epicurei , per
fargli fin da ora argomentare la
debolezza degli argo- menti Lucrcziani :
e di tutti gli altri , per agevolargli
l’ inrelligerfza di quanto im- prendiamo
a dire di quelle ducEffenze.Io
prefuppongo, che quelli novelli abbian
già fatto quel, che gli antichi non pen-
farono di fare , o fecero leggiermente ,
e trafeuratamenre : cioè che abbiano
afTai filofofato fopra la Natura imma-
teriale ; che nondimeno per la cagio-
ne , che dirò , fi fian rimafi nell’errore. Prendendo eglino la corpulenza, e la
for- za fenfibile della materia per
falda, e chia- ra verità, e realità; e
per la finezza, e fotti- 4 tutto corporeo , e dirtolu- bile, e mortale apparifee ; e dall’ altra
, per gli altri argomenti fi feerne
incor- poreo , ed Immortale : non può
niuno ne a quello, ne a quello, ne alla
mor- talità, ne all’ immortalità , non
prima avendola va nità de’ contrari
argomen- ti dimoftrata , fe non per
temerità, e per capriccio attenerfi . E
trovandoli per avventura amenduele parti
inaceslibili, cd inoperabili , c dovere allora,
che fi temperi , e fi mitighi la forza degli uni, e degli altri argomenti, affinchè o
un qualche comune effetto infieme lor
for- za comunicando , arrechino ; o lor
forza dividendo, in diverfe foftanze , o
modi, divedi effetti producano . Nel
qual tem- - pcramento,e mitigamento egli
è fenza ,e fallo riporto il Vero
maravigliofo : co- me del Vero della
Mente abbiamo già detto doverfi fare: e
come a fuo luogo in quefta medefima
Difputa, col favor di Dio , noi faremo
in effetto . Frattan- to fe lo feopo
degli argomenti Lucrc- ziani è , che la
Ragione , e l’Animo dell’ Uomo fia del
tutto diffolubile, e mortale ; che egli
prende da diffipamen- ti , fucccffioni,
vicende, e mutamenti, •che vi fi veggono
: e per contrario i contrarj argomenti
vanno a dimoftrare , che la fortanzial
ragione, e I’ Animo egli è in fe
medefimo indiffolubile , ed immortale;
non c egli un giurto, e ra- gionevole
temperamento, e mitigamen-- to del
contrarto degli argomenti , il di- re,
che l* Animo debba effere in fe, e verfo
di fe immortale per forza de’ fe- -tèéà
condi argomenti ; e che la forza de’ pri-
mi più oltra non vaglia a conchiudere,
fe non che l’Animo lia dall’ Uomo dif-
folubile , e in quello fentimento , e in
quello rifguardo mortale ancora?
La fola Compofizione , che è nell’
Uomo, ella è fufficientiflima cagione di
ogni variazione, la qual perciò a quel-
la compolìzione fola puoflì attribuire :
onde necelfità di dover dedurre , che-,
elTd Natura ragionevole immediaramen-
te patifca que’fvariamenti, ed ella deb-
ba clTer caduca e mortale , non vi li ,
fcorge niuna affatto. Gli fcadimenti,
gli avanzi, i eominciamenti,e i lini fo-
no varie guifc, evarj modidieffa com-
polizione.La compofizione è principio, ' ». 41 c radice di ogni variazione. La natura
^luziongeL ragionevole , quantunque ella
in le da ti gli argo- mutamenti
corporali immune , e libera; nienti ima*
tuttavia congiunta colla variabile ma-
reria, dee neceffariarnentfc non in altra guifa , che variando, difpiegar le fue« ragionevoli operazioni. Sarà quella Tem- pre una generai foluzione affai fondata, c forte di tutti gli argomenti di Lucre- zio , che può offufear eziandio quella
apparente evidenza, con che ha prefi i
materiali intelletti de’ Cuoi feguaci:
e’1 farà ella Tempre, finché eglino non
auran dimoftrata 1’ impofiibilità della., natura immateriale , o 1* impoflibilità del concorfo , ed unione della medefi- ma colla materia , e che a natura im- materiale fia ripugnante, il potere con quelle variazioni, che nell’ Uomo veg- giamo , in niuna guifa operare. Il che ficcome finora non han fatto, così non éda credere, che fian per fare in avve- nire . Ora ritorniamo al propofico, per dimofirare in oltre per la mutabilità, o mobilità cieca la Natura materiale; e per l* immutabilità, o immobilità , im- mortale l’intelligente: come già prima . nbbiam fatto, per la reale
difiinzione, ed efclufione dell’ una, e
per la reale_ indifiinzione , ed
inclufione dell’ altra . Nell’
eftenfione , o efirapofizione, che -
firZlonc' 1 ^- ne ^ a materia è manifcfta, noi feorgendo Ucecita della allora quella difiinzione , ed
efclufione, de tornir* ne argomentammo
la cecità , ed amenzia: e nell’
intelligenza , che è in noi , e nell* e
(Ter noftro evidente, veggendol’indiftin-
zione ,e P inclufione ; quindi raccogliem- mo ,
•*» • • tal ila de Hi Mente . . 51
mo dover la mente edere indivifibile, ed
immortale. Ora nell’ eftrapofizione me- - 4 -v dcfima , di più la mutabilità , la
mobilità, e’1 moto oflcrvando ; e nell’
intelligen- r za , di più la immutabilità
,e l’immobi- lità, e la quiete
ritrovando ; di nuovo 1* una, e l’altra
conchiufione dell’ una, e dell’altra
natura verremo a provare. V -.=■ - L’
Eftrapofizione , per cominciar dalla
prima, c la radice di ogni variazione, . 1 mutazione, e moto ; perciocché man- cando alla materia unità reale , che_, *
. aduni ,0 unifichi le parti , e 1’
edere dell’une nell’ altre implichi, e
le Arin- ga, e fermi indillolubilmente ;
per ne- celfltà deonfi poter le parti 1*
un e dall’ \ altre feparare, e
fcambiarft infra di lo- ro , e variare,
c mutare, e muovere. Il reai numero
delle parti, l’une dall’ altre in realtà
diftinte , e 1’ une fuori ~ -* dell*
altre eftftenti, è il medcfimo etter
mobile, e variabile della materia: c Ia_, fletta mutabilità , e mobilità: è il
prin- cipio di ogni attuai variazione ,
c mu- tazione , e moto . Il difetto di
quella rea- le unità, che contenga il
numero a quel ^ Materia, modo , é il
verace vuoto, col quale, e . - . G 2
nel quale dee poter muoverli la mate-
ria: che gli Epicurei ad altra manie-
ra di fallo vuoto trafportano; e i no-
velli Peripatetici , e i traviati de’ Car- tcfiani n:egano a torto, quello vero vuo- to con quel falfo degli Epicurei confon- dendo. V Annone delle parti, Fune all altre in ordine al luogo fuccedcn- ti , è come un fluflo , c una fuga delle medelime per Io fpazio: la quale di fua natura domanda I’ attuai variazione, c mutazione, e ’I moto attuale. Il moto allo ’ncontro egli è l’atto dell’
eflenfio- ne, o efirapofizionc : ed è
prefcnte,ed attuai efienfione , e
fuccelfione . Nel mo- to di per fc
conlìderato non folamenre e lubricità, e
flufTo , e fuccelfione di parti in
ordine al luogo; onde le parti fieno 1’
une fuori dell’ altre allogate : ma e
altresì fluflo f e fuccelfione in ordine
a tempo; onde le parti fieno I’ unc_,
dopo dell’ altre nel tempo efifienti : di- modo che ognuna delle parti del moto • allora ella è, quando 1’ altre fue com- pagne o fono già preterite, o fono per efiere in futuro: che o più non fono, o ad elTere non fono ancora pervenute. II che vero cdendo , come infallante- mente è ; qual maggiore (Minzione può avervi dell’ edere , e del non edere ? qual più certa efclufione di quella, che Pelle r fa del nulla, ed il nulla fa del Ee
Ae- re all* incontro ? come ciò , che c
, può mai procedere egli a contenere, ed
in- cludere quello che non è,
quantunque o fia dato da prima, o debba
edere dap- poi ? ficcome non vi ha
maggior diftin* zione dell’ edere, e del
nulla , ne più chiara efclufione ;
perciocché il nulla, che non è a niun
patto, c ogni efclufio- ne di ogni
realità; e l’ edere che real- mente è, è
ogni efclufione di ogni nul- lità del
non edere: così non ci ha mo- do più
potente a diftinguere, ed cfclu-
dere,cpcr confegucnte più certo , e
più chiaro modo di efcluderc , ed eftin-
gucre ogni intelligenza di quello, che
è il moto, che perchè fia, 1’ edere, c’1
non edere congiunge inficine : le cui par- ti deono edere tali , che una edendo , T altre afFarto non fono, dovendo e(Fc- re o preterite, o future. Non eie, ne può eflervi più chiaro argomento dice- o nio-
cita, ed infenfatezza, della mutabilità, J' 30é-' UHP nn. 1 — a
\ "W" 2 •* Wa- * >• ' le le parti non poflbn Pune dalPaltre
fce- vcrarfi , ne (cambiarli infra di
loro, ne murarli , o muoverli in niuna
guifa . J L’identità delle parti, l’unc
nelP elTere " dell’ altre
infiflenri , P unc nell’ altre pe-
netranti^ deflfo elTere invariabile , ed
immobile dell’ intelligenza , è elTa in va- #• riabilita, ed immobilità, e coftanza, e virtuofa quiete della mente. L’ inclu- sone è la virtù maravigliofa , che Uri- gne,e aduna, e contiene, econferma_. . -1 P clTcnza mentale ad eder libera, e im- mune dalle mutazioni , e da moti della materia , e ad elTere in quello riguar- do invariabile, ed immobile, e quieta. Quella identità, ed inclulione è ella il Ver
5 verace pieno della Mente, che ne i
voi- Tra ma- gari Peripatetici, ne gli
fciocchi de’ Car- ta!e ' tefiani , e
tanto meno gli Epicurei in- tendere non
han potuto finora. L.’infi- - ^ > Y'
llenza, ed infeifione delle parti, che ne luoghi eftendono,ne difpergono tem- pi , è quello che ogni corporale lubri- cità, e fltilTo, e fuccelfione allontana^. •
** ì dall’ elTere intelligente. Ma di
cotalin- - fillenza,o penetrazione , o
inclufione, egli è da fapere, che altra
cofa non è, che (lane l’atro, che 1’
Idea, o perce- zione . L* intelligenza è
principale , radicai percezione, ed
Idea: e 1* Idea, o percezione , è
prefente , ed attuale intelligenza;
nella quale 1* immobilità, cd
invariabilità del mentale edere, e 1*
indivilibilità , e Immortalità in chia-
ridimo lume lì difeoprono . La prefen-
te ,cd attuai percezione dell’ Idea , niu- na parte della potenza intelligente , e niuna parte dell’ intendevole obbierto preterendo , o in futuro rifervando, cioè ogni parte della cofa , che inten- de ,infieme comprendendo tutto aduna in un atro , ed in una prefenza di un femplice edere indi vifibiìe . Poiché l’
in- telligenza penetrando , ed
includendo tende all’ influenza di ogni
fuo clTere^ in una unità di eflenza: la
percezione c, prefente, ed attuale
inclusone, c pe- netrazione , ed
influenza. Ella è l’atto di quella
virtù, c la fermezza, c’1 ri- pofo, e la
quiete della mente, nella.., pod'cdìone
dell’ edere , c del fapere . Non vi ha
maggiore indiftinzione , ed inclufione
dell* ogni edere , cioè di quel- la
edenza, che tutto il fuo proprio esere poflìede, che di fé, e delle fue
co- fc ogni nullità efcludendo , include
ogni fua realità: onde l’atto, e la
prefenza, cioè il prefente edere attuale
, che ogni realità a fe appartenente
contiene , è nel colmo dell’
indidinzione , e dell’ in- elulione, che
ogni nullità, e vacuità, e lubricità, e
fluflo, e mutamento efclu- de. Tal
fermamente è la percezione, o idea , le
cui parti sì elleno fono a fe prefenti ,
che una parte eflendo , tutte l’ altre
con quella, ed in quella eder deono
fenza edenfione di luoghi , e fen- za
fucccflìone di tempi ; tutta prefen- te,
ed in atto in fe, e con fcco tutto il
fuo edere conchiudendo. Siccome il moto
edende, e (minuzza , e difperge le parti
della materia; ed è perciò eda
variazione , e mutazione : così la per-
cezione , o idea, diciam così, intende,
e conclude tutto l’ edere della Mente :
e per tanto è la dedìdima invariabilità,
o immobilità, o permeglio dire, è edo
ftabilimcnto , ed eda quiete della Men-
te . Non è nella natura, ne in Cielo,
ne in Terra unione più dretta , ne piu
intima , ne più falda, e indidblubile della percezione: non ci è della
percezio- ne più ficuro , ne più chiaro
argomen- to d’invariabilità, ed
immobilità , e di . . quiete . La Mente
che nell’ inclufione , ttjftmo arco - e
penetrazione deir intelligenza fi di-
menio d' m- moftra femplice edere, ed indivifibile , faòlaìwia!' ^ cm P^ ce » penetrabile. La
Materia per la compofizione ,
edeftenfione,o eftra- pofizione è divifibilc,
variabile , mobi- le : la Mente per la
penetrazione, ed ♦ inclufione è
immobile, ed invariabile. La Materia ha
il fuo proprio atto della ; , propria
edenza, che è il moto: la Men- te, ella
ancora ha il fuo proprio dei proprio
edere ,che è F Idea. Nell’ eden* dono ,
efcludone , variazione, e moto la
Materia dimoftra da fua cecità, ed
amenzia: e la Mente ndia'penetrazio&
ne , inclufione , invariabilità , ed, immo- ti lì bilica
biliti fi diicopre indiviiibiie , ed immor- tale. Non ci ha cofc più tra fe diver- fc, della Materia, e della Mente: non re ci ha piu evidente contrarietà di quel- / ra
U M/e- la, che è tra l’Idea della Mente,
e ’1 rìsela Mam- molo della Materia. Ma
affinchè niu • no rivolgendoli alla
materia , ed alla mente deli’ Uomo, ed
a’ mori , ed alle idee del medefimo, non
fi turbi, o eoa tacita oppofizionc non
contratti quella nottra dimoftrazione ;
promettiamo in luogo più opportuno di
quella Difputa far vedere , come nel
congiungimento di quelle diverfe nature,
e di que’ di- verfi modi-, vie più venga
adilluttrarfi, e confcrmarfi la prefente
dottrina. Dall* eflerc indiftinto ,
penetrevole , * * ed inclufivo dell’
intelligenza , e* fegue Quarta dì- di
neceffirà , che l’ intelligenza eflcr deg-
già interminata, e univerfale : come-, tdfà-Atuu dall’ eflerc dillinto , impenetrabile , ed
uc elclufivo della materia , necefli
riamen- te avviene, che la materia debba
efler terminata, e particolare. E benché
la penetrazione , ed inclufione
chiaramen- te voglia aver con beco
infiniti, eduni- verfalitir e l’
efclufionc , ed impenetrabilità pur con pari chiarezza arrechi terminazione , e particolarità, anzi più torto la penetrazione , ed inclufione-, paja eflere non altro, che erta infini- tà, cd univerfalità: e 1 * efclufione ,
ed impenetrabilità colla particolarità ,
e-» terminazione pajano edere una
mede- lima ragione ; contuttociò quelle
due ragioni fono due nuovi rilucenti
(Timi lumi , co* quali nuovamente per
nuo- ve vie rinveniremo coll’ uno la
ce- cità , ed infenfatezza delia materia
, e coll’ altro l’ immaterialità , ed
immor- talità della Mente . Le quali
cofee’ per- ciò conviene , quanto più c
podibile , fpiegare ,e dichiarare
paratamente. Per ^Aeco- cominciar quindi
, Univerfale c quello, che tutte le cofe
, o quelle che gli appar- tengono , cioè
tutto il numero , e tut- ta la varietà
delle differenze , forme , e modi
pienamente contiene, e sì contien egli
ciò che e’ contener dee , che le for- me
,o le differenze per lungo ordine di
cagioni l’ une dall’ altre procedenti , e tutte da una prima, e principale pen- denti , effo Univerfale dee produrre-,, eziandio. Una principale unità per altri mezza.
Digitized-by Google DELL’ UOMO.
6 1 mezzani principi inferiori, che indi
pro- vengono, ed ordinatamente gli uni
agli altri fuccedono, con fucceffive
produ- zioni fi eftende fino all*
cflremiti degli ultimi particolari a
contenergli, e pro- durgli. Or quella
cflenza, o nozione, o ragion di
univerfale , manifefta mente ella efler
dee indivifibile,ed immateria- le.
Conciofliachè eflere immateriale , ed
indivtfibile altro e* non fia, che eflere in tutti, e con tutti i particolari , e
tut- ti comunicando , penetrando,
includen- do, adunare in una fempliee,
indi via- bile unità di efienza, o
foftanza. Senza quella principale unità
contenente, e unificante , ficura mente
le diftinzioni , e le differenze de*
particolari fminuzze- rebbono , e
difperderebbono ogni co- municazione , e
contenenza: e fenza_» quel numero
contenuto , fenza fallo T uhità
rimarrebbe ruota di ogni pie- nezza , e
ubertà . Or 1* intelligenza^ deir Uomo ,
che ella efprimendo, eraf- fojtiigliando
, fi eftenda da per tutto> a
imprendere ,e conchiuder tutto il nu-
mero , e tutta la varietà dell’ Univerfo
i* Iftorie, e le Scienze x eT Arti il roa- ni fe-
y ♦ V.jt. , nifdhno a chi che
fia. Adunque l’Uni- verfale ,chc non
altro , che una ragio- ne, o nozione , o
Idea parendo elTere da fé nel primo
afpetto non dimoftra realità ; li Icorge
pofcia , ed è reale», nell’intelligenza;
la cui realità il chia- ro lume della
cofcienza a tutti dimo- ftra. E
l’intelligenza, che è una reali- tà, o
reai natura, o foftanza; c pertan- to
nel primo afpetto non arreca uni-
verfalità; fcernefi pofcia aver vera uni- verfalità nell’ idea,o nozione, o ragio- ne dell’ Univerfalc ; la cui immateriali- tà a tutti innanzi appretta 1*
evidenza», della ragione . Cotal
ritorno, e fcam- bievole
fomminiftramento proprio dì qualunque
più invitta, e piu illultre di-
moftrazione non intendongli Epicurei:
onde nell’ LJniverfale , che di per fe i
{blamente nell’ idea della Mente, tur-
tocche ben vi veggano indivifibilirà, ed
immaterialità; credon pur nondimeno
non più che ideale , e immaginario V elle- re immateriale: e poi nell’ intelligenza
, che è , e fi vede edere folo in
nature particolari , febben ravvifano
univerfa- lità; pur ii fanno a credere,
che materiale, e divisibile efler debba quella na- tura univerfale ; dovendo per forza»* di sillogiftica dimollrativa
conneffione, all’ Univerfale , per l’
intelligenxi , con- ceder realità; cd
all’ intelligenza , per l’ univerfale
donare immaterialità . Ma egli è ben
uopo quella univerfalità, che nell’Arte,
nell’ litoria, e nella Scienza fi
manifefta , deferivere più particolar-
mente : affinchè quello argomento non
paja anzi un lavoro di fantafìa , che
vero, e fermo, e fondato in Sicure , e
indubitabili realità . La nollra intelligenza, come ognun vede, mifura
tutti i modi dell’ eftenfionc , e
diftingue, e diffinifee tutte le forme
del numero ; onde eHa è aritmetica , e
geometrica : ed al medefimo modo tutte
ancora le va- rie fpezie , e varie
operazioni delle co* fe oflerva, e
difeerne, ed eftima ; on- de ilìorica, e
fisiologica può divenire. Non è adunque
la Mente una partico- lar diterrainata
dimenfione, ne c un»* certo, e
particolar numero ditermina- to; ne
finalmente è ella certa ,e diter- minata
forma , o fpezie di quelle, O quelle
nature; ma efler dee, ed è uni> 4 P»
P verfal ftwrtl* I Univer fatiti deità Screma*
del P Arte , e della Storia .
(Séif 4/. ^4 * V V,
'* { * St>\ °S n ‘ cofa efplicando , e argomen- tando: che è Io tteflo che dire, che
ella i numeri, e i peli, e le mifure,
colla_, univerfalità , dentro di.fc il
molto nell* ~ . : uno accogliendo, e il
molto dall’ uno riproducendo , diftingue
, ed efprime: ficcome con più ragioni
nel noftro Vo- lumetto Metafilico abbiam
provato per ogni parte .Ora dalla
univcrfalità, della quale abbartanza fi
è favellato, trapaf- fiamo alla
necertità, ed antichità per ri-
coglierne altri argomenti. Ma io
non prendo ad ofiervare Pef- fere
necertario , per trar quindi dritta-
mente Immortalità nuovo, c contingente per argomentar- ne cecità , ed infenfatezza nella mate- ria . Perciocché agevol cola è ad inten- dere , quanto nell’ indiftinzione la ne- c ertiti, ed antichità ; tanto nella
necef- fità , ed antichità 1* ertere
indi vifìbile , ed immateriale: ed al
primo afpctto, come /iella dirtinzione
della materia fi ravvifa torto novità, e
contingenza j co- sì nella novità ; c
contingenza 1* efler cieco, ed infenfato
fenza molto (len- to fi riconofce . Onde
il far quegli ar- gomenti , farebbe più
torto di ciò eh* è (lato detto, una
riftucchevole ripeti- zione , che di
nuovo ingegno, una di- moftrazione
novella. Benché non porta negarli #
argomenti d’ immaterialità , ed * 1
salirà nella Mente : ne 1* erter
m . ss» a negarti, che la ncccifità fopra la
indica- zione; e la contingenza fopra la
diftin- xione aggiungono una, come
dicono, nuova formalità. Adunque nella
necef- fita. fi vuol notar folamenteil
primato, .e’1 principato del proprio
edere : che è*il più forte de’
nobililfimi argomenti Platonici, da più
degli .Autori trattato con poca
dcgnità.E nella contingen- za deefi
moftrare fol la fuggezionc, e la
dipendenza , che meglio di ogni altra
cofa ne conduce a quel Vero , che nella
materia andiam ricercando . E vuolfi per
tanto dcfcrivcrc prima la necclfirà, e_
poi la contingenza: avvenendo per fimi-
glianti acribologie, che mirabilmente e
l’ idee fi dichiarino, e li fortifichino gli argomenti. Or la neceflità, che altro è Jìù*cbeelia fc non identità , o
inclufione_ Jìa . dell’clferc in una
fempliee unità; onde l’efienza con ogni
fua parte , e con fe- co medefimaè
infeparabilmente connef- fa ? E poiché
un cotal nello non può conccpirfi che
fia, fe non infra più Ra- gioni, o
elementi, o parti ; 1’ identità dell’uno
col numero inclufo;e del nu- mero coll’
uno includente; c delle par- ti if. -
tr del numero infra di loro in quell’uno» medefnno, e’ farà certamente il nello della uccelliti . E in fine non potendo» tutto ciò edere fenza intrinfeco producimento
, e fenza intrinfeco procedo dell’ uno
dall’ altro; nelj’ efienza necef» faria
, necelfiria mente eflèr dee princi-
pio, mezzo, e fine:, così che il princi-
pio internamente produca il mezzo, c’I
fine, e a quelli comparta tutto il fuo
edere , e in tutto 1* eflere di quelli fi diffonda • e ’l mezzo , e ’l fine
vicende- volmente tutto il loro edere
nel principio rifondino , e in quello ritornino ,, e fi ripolino . La necelfita è edenza., avente unità , e numero ,. principio , mezzo , e fine per interne comunica- zioni indivifibilmente congiunti . E
adun- que la necelfita in fc , e con
feco ,,eL- da fe medefima , ed avendo in
fc mer. **ìzo , e fine prodotti da un
principio,, che è ella medefima ; viene
con ciò avere il primato, e ’l
principato del fua> proprio edere ,
da ogni altra edenza m? quello rifguardo
libera, c indipenden- te. Dichiarate
così quelle nozioni, di-' eiamo’ che la
neceflirà, o non è ella_, MI» . a
fiat- “nitiVarl l.
,T> ». rx
*■- \ uX ' T ..
(. * V « • Vk *• *. K T'
-■ *- V ~ [ • rV‘
te. -a * * -V
; u. e procaccievolc la fcien- onde pròve' za • Quello è dedò ficuramente
tutto il i ™ . nerbo di quel famofo
argomento pla- tonico, che T Anima dell’
Uomo muo- va fe medelima: e perciò da fe
dipar- tirli, ed abbandonare fe (leda a
vcrun__» patto non poifa giammai. E di
queiral- tro pur di Platone , che nel
primo è im- plicato , cioè che l’Anima
dell’ Uomo,*' fia eda vita, onde il
corpo fia , e li di? t ca vivente : e
per tanto finir di vivere platonico del?
per niuna contraria forza di natura non
immortaliti . poflain niuna guifa. Perciocché qual’ai- tra cola è ella la vita , fe e* non è
un«, atto perenne , e podcrofo nelP
edere, e nell* operare? la vita è edcnza
attuola, ed atto eflenziale, o
foilanziale: è ede- re, ma perfetto,
pieno, vigorofo ope- rante : è ella
altresì operare, ma faldo, tobufto,
incettante. La qual cofa uni- camente è
polla nella generazione, comunicazione
dell’ edere . Nella vita adunque è
pofleflione dei proprio cfse- re, e del
proprio operare, che fi diftin- gue , e
fpecifica nella pollone del vero , e del
retto , e della fcienza , e della legge,
col potere ad apprenderlo, e confeguirlo
: e nella pofseflione del proprio
potere, colla fcienza ad inten- derlo, e
a reggerlo colla regola. La vi- ta
perfetta è il fapere, volere, e po- tere
della mente . Ma fonovi nondime- no
certi gradi d’ imperfetto vivere, per
gli quali a quella fommità della vita
mentale, dall’imo d’ impcrfcttiflìme vi-
te fi afccnde , che altrove forfè dilegueremo . , > : «
•divediamo ora della Novità , e Contin-
genza della materia , e del fuo eflere^ f . fpregcvole, fuggetro, e dipendente . Il
v che, per quel che dell’ intelligenza
det- to abbiamo , come facile a comprende- re , preftamente in pochi motti fpedire- roo. Siccome nell* inclufione dell’
intel- ligenza è il vincolo della
neccffità ma- . ' i mfcfio ;cosi nella
efclufione della mate- \ • • 4 ria
chiaramente feernefi l’ infragnimen- >
to, e ’1 difcioglimento della contingen- ebetekj* L * contingenza ella è sì fatta , che Z£ s
l™. 1 • parti , 1 ’ une all’ altre fono
rtra- «**• K 2 mere, • ■ ,la Mate- ria fi fpopjia dì ogni prin - CÌpGtO «
nierc,avveniticcie ,e nuove; ed al tut-
to ancora, che non in altra guifa, che
i* une all’ altre avvenendo, e congre-
gandoli infierae, compongono; e 1’ une
dall’ altre dipartendoli , c fegregando- - fi, agevolmente depongono. Come rincontro per le ragioni medefime , il tutto alle parti Tue, onde ora è
coftrut- to , ed ora diftrutto , egli è
Uranio, nuovo, e avveniticcio. E giacche
l’ in- diftinzione decedere è il nodo
infolu- biie della necedità ; ben egli è
uopo , ' che nell* ogni diftinzione-
tanta contin- genza li ritrovi , quanta
non può edere altrove. La Materia
adunque per cotai difetti non può in fe
edere, ne confetf co, ne da fe;ne può
avere interni prin- cipi , mezzi , c
fini per interne comu- nioni
infcparabilmente infieme avvinti. Il
perchè non potendo muovere, o reg- gere
fe medefìma dentro di fe ; ne_, fuori di
fe altrove in altre cpfe pe- netrare a
muovere , o reggere foftanze da fe
diftinte ; è forza che ella fi ri- manga
nuda d’ogni primato , e princi- pato di
edere, c di operare, fenza lu- me di
faperc , fenza nume di volere, . , ZT .
' efenza fermezza di potere , di fcienza ,
di arte, e di regola fprovveduta , eie- v ca , infenfata , inerte, informe, ed im-
a potente del tutto. Quel capo di fogge
-• ' ■ zione, e di dipendenza , fecondo
quel- la generai ragione del non edere ,
egli è come radice di tre più
proprie, più fpeciali dipendenze: il
primo di non intendere alcun edere, o
vero; l’altro di non appetir retto, o
bene niuno,c’l terzo, ed ultimo di non
avfcre niun_» vigore verfo niun obbietto
, di muove- nte fe medefima . E qui
altresì è cofa de- gna di maraviglia ,
che in quel generai difetto, è manifefto
lo fcioglimento , e’1 fluita della
contingenza, quafi dei non edere; onde
1* edenza , o fuftanza ^ della materia è
rifolubile , caduca, temporale . La qual
contingenza fi diri- va, e comparte ne’
tre capi fudeguen- ti: deche nel primo
di quelli c la con- tingenza del non
fapere; onde la Ma- teria è cieca, ed
infenfata :c nel fecon- do è la
contingenza del non volere ; , onde la
Maceria è difinchinevole , ed
indifferente : e nel terzo è quella del
non potere, onde la Materia è pigra,
e feioperata . Quello egli c tutto il fà- yf reomento mofo argomento Ariftotelico di
là pre- Anjtotelico rii r r • dciu Divini . *° » che qualunque corpo fi
muova , e ta debba da altro corpo efler moflfo :
on- de per non procedere in infinito ,
abbia ad efTcrvi un primario principio,
da fe movente il tutto . Conciofliachè ,
come il potere della Mente ritorna nel
Capere , e nel volere, per gir colla cognizione
ver- fo il vero , che fi conofce , e
coll’amore verfo il rètto, che fi
appetifee ; così il non potere della
materia fi ellende al non Capere , e al
non volere il vero , che non s’ intende
, e ’l buono, che non fi vuole . Adunque
come nella coCcien- n za dell’ Uomo ,da
que’ tre principi del»- trìnci} j men -
le tre poteftk mentali fi perviene, a co*
**• noCcerel’ Immortalità della mente dclP Uomo; onde poi di più conoCcijmo la cecità , ed inCenCarezza della materia;
co- sì nella conoCcenza, che abbiamo
della Materia, fimilmente da’ tre
principi de* vizj materiali , fi
comprende la cecità di quella Coftanza ,
e 1* inerzia , e 1* in- differenza, ed
impotenza:* onde poi ve- gniamo a
conoCcere 1* infinito Capere, volere, e
potere della mente del Mondo. Imperocché il primario generai ca- po viziofo, ci mette dinanzi agli occhi Come
da tre il difettofo lubrico edere della
Mare- ^{Tcomjce ria: onde argomentali
infinita efl'enza , l’impotenza^ che
l’abbia dovuta trarre dal nulla. Il primo
fpczial vizio del non Capere, ne zadeltaMe * h
fa intender chiaramente il difordinato, Um ,c turbolento, ed informe edere della_, medefimajonde fi argomenta infinita lapienza, che coftanza, ed ordine, e— ; .forma le abbia donato. Il fecondo, e’I terzo del non volerete del non potè- *>-
, re, fa veder l’ edere materiale del
tut- to impotente , ed inetto: onde fi
racco- glie dovervi edere Comma benevola
po- vV t- teda, ed onnipotente Nume, che
drit- ti, e fruttiferi inchinamenti , e
moti le abbia conceduti . L’ uno , e T
altro è egli un ben triplicato argomento
dell r Im- mortalità della Mente dell’
Uomo,e_ dell’ efidenza della Mente del
Mondo • c della fuggezione, e dipendenza
della Materia particolare dalla Mente
parti- colare dell* Uomo; e della
materia uni- verfale mondana dalla mente
univerfa- le del Mondo. Il quale
Aridotelico ar- gomento nondimeno ,
menti tenebrofe,* v altri 4W4
■' i A .->***«* Vii*.
T-' » Cowf /* della Scien- za ,
mento , quel Filofofo riftretto dentro
de’ confini deli’ attività del fenfo dalle-, materiali origini, che in quelle ofeurt- tà, e in quelle anguftie poflono parere e’ prende, e così efprime ne’ feguenti ve rii . -m* j w* Tum cum gìgnimur , & viu cum limen humus
: i&wrf ftu conveniebat , uti cum
corfore , cìr «nà Caw membris videatur
in ipfo fanguine creJTe ; velut in
cavea per fe Jìbi vivere folam Conventi
, ut fenju corpus tamen affluat orane. Siccome contro all* efiftenza
della». Mente univerfale , 1* argomento
, che dalla fenfuale origine del Mondo
trag- go* 1 più i novelli , che i
prifehi Epicu- rei, cioè che nell’Uomo,
e nel Mon- do, altro che *1 corfo de’
penlìeri loro, ed altro che la mole, e i
moti della materia non veggendo ; nell’
Uomo al- sfro che un fugace penfiero , e
nel Mondo altro che mobile materia non
elTere ar- gomentano ; quell’ argomento
, dico, per quella fola dottrina delle
due fpc-t 2,c di foftanze , c di origini
, fenza far altro, rimane fviluppato,c
fpianatoper ogni parte. Perciocché, fe
niun di lo- ro, non convinte prima di
vanità le fpi- rituali follarne, e le
fpirituali origini , che con chiari , ed
invitti argomenti abbiam dimoflrate,
crede di premerci ancora coll 'apparenze
delle origini fen- dali ; egli è
Scuramente uno feempio. Con tutto ciò e’ fa di meftieri , che quelle inviabili origini in quello luogo in alcun modo almeno deferivamo . Adunque poiché 1* eflfer neceflario , e_ T efler eterno fono i primi , e più cer- ti, e più fplendidi lumi dell’ umana co- gnizione; e poiché 1' infolubilc della.* neceflità, e 1’ antico dell’ eternità
fon proprie doti dell’elTenza indillinta
, pe- netrevole, e comunicante; e* non
altro- ve , che nelle tre principali
forme del fapere,del volere , e del
potere indi- ftinzione , penetrazione, e
comunicazio* ne può rinvenirle d’altra
parte e* non ci ha cofa più fparuta, e
vana, e fug- gevole della contingenza ,
c della novi- tà , le quali quanto dal
vincolo della_* neceflità, e dal primato
dell’ eternità li dipartono , altrettanto
dall’ edere, e dal conofcere fi
allontanano ; e come la no- vità , e la
contingenza fono proprie., dell’ cflenza
tutta divilìbile , e impene- trabile
della materia, così alla medefl- ma
materia la neceflità, e antichità, o
eternità fono improprie, e repugnanti;
e finalmente poiché non altrove 1’ ogni
diftinzione, colla divifibilità,e impene- dell; uomo- sj trabilità ritrovali, che nella cecità,
in- differenza , e impotenza materiale;
Poi- ché, dico r tutte quelle cole per
luci- dilfime nozioni, e per certilTimi
argo- menti fon vere , e manifelle , e
con- te : egli è in ogni modo da dire,
che la neceflità, e V eternità non già
nel vuo- to^ nel nulla, ma nel pieno, e
neH’cf- fererne nell* edere della
materia difttn- ta, divifibile ,
impenetrevoFe, e con- tingente, e nuovo;
ma nell’ edere del- la mente,
fndiflinto, indi vifibile, pene-
trevole, necelfario, ed eterno, lì deb-
bano allogare. Anzi che la neceflità ,
ed eternit* fiano Ta fteflìflima mental
natura primaria, e lovranare che FjLj
M ente prima altro ella non ITa, cheef-
fa neceflità, cd eternità, di Capere, vo- lere , e potere dotata . La quale per Letìfere necelfario, ed eterno, da uni- co , fupremo , libero , e indipendente principio' del fuo elfere , che è l r ogni eflfere fpiritnafe ; e dell’ elfere della
ma- teria, che è l r ogni edere
corporale, cut abbia ogni folhnza , ed
ogni potere con- ceduto, ed apprettata
ogni forma. Por, perchcogni particolare
alfuouniverfale, come a Fonte rivolo fi
dee riportare ; Umilmente è da tener per
fermo , che-* come la materia dell’ Uomo
dall’ im- menfa felva dell’ Univerfale
materia el- la è tratta ; così la Mente
particolare del medefimo ,dall’ infinito
potere della Mente univerfale è
provenuta . Ma la Mente dell* Uomo,
benché ella è in al- cun modo di
neceflità,e di antichità partecipe , e
delle tre forme ornata ; onde può fignoreggiare
la Materia, e di -vita, moto, fenfo, c
d’ideali forme fi- gnificanti cogitative
, e fenfitive fornir- la ; tuttavia
perchè ella è finita , e par- ticolare,
non può dominar la Materia, ne con
produzioni di foftanze, ne con
introduzioni di reali forme. Dal che li
raccoglie efler dritto della Mente uni-
verfalc, che ella, come ha prodotta, e
moda, e moderata la Materia univerfa-
le per la formazione di tutte le fpezic
delle cofe mondane, ad edere; così pa-
rimente abbia prodotto, e moda, e fi-
gurata la materia particolare per 1* in- * formazione , onde fieno l’idee, e forme ■
. fignificanti a fentire,e a conolccre .
Nel qual noftro diviiamento è pure , a
mio giudizio , memorevole un bel cambio
di libertà, e di dipendenza tra la Men-
te particolare, e la particolar materia
nella coftituzione dell’Uomo . Imperoc-
ché la Mente , comechè per le tre for-
me mentali aver deggia primato, liber-
tà, ed indipendenza ; con tutto ciò per-
chè è terminata, e particolare, non può
ella da fé trarre la Materia al fuo con-
sorzio, ed alla compofizionc dell’ Uo-
mo: onde per la particolarità , e termi-
nazione, ella è in quello ancora, e fug-
gett 3 ,e dipendente : e la materia, ben- ché per le tre forme viziofe materiali , di Tua natura fia dipendente , e ferva ; nulladimanco , perchè è ella con tan- ' to ingegno formata, che debba eflcrc informata al fenfo , ed alla cognizione ; è libera , ed independente dalla materia univcrfale . Conciollìachè quella forma, che è magifterio di Sovrano Sapere , non Solamente la Sottragga alla debolezza , cd alla cecità della materia, ad ogni
al- tra formazione di per Se impotente
; ma oltre ciò la debba diftinguere , e
Se- gregare dall* univerSal Seminario ,
e dal- la formazione universale dell’
altre co- •M Se. ' ¥
ri. 1 »
Vera orìgi- ne dell' Uomo rintracciata
col lume del- la filofofia . Origini ma- faiche ezian-
dio all’ umano faPere chiare
, efuminofe . Sicché per quelle vie
vienfi a co- nofccre eziandio, che dalla
mente uni- vcrfale, non già la fola
mente partico- lare per creazione; ma
infieme la par- ticolar materia deir
Uomo, quanto al- la formazione ,
immediatamente è do- vuta procedere .
Quella è ella 1* origi- ne deir Uomo,
che con quell’ altra del Mondo giunte
infieme , fono il vero pieno, perfetto,
armonico , e maravi- gliofo delle facre
origini mofaiche, con ogni ragione ,c
con ogni legge , c rego- la concordi :
quanto ofeure a’ baffi , e ca- liginofi
intelletti , tanto a’ fublimi , e purgati
eziandio dentro i confini dell* umano
faperc Iuminofe . Laddove e»,
manchevoli, e difordinate, ed inette ,e
da ogni ragione , e regola difeordanti ,
le origini di Diodoro, e di Lucrezio, e
d’ altri fenfuali Filofofanti , anche al lu- me del mondano fapere per falle fi ri- conofcono .
Per fare come un Epilogo delle co-
fe della natura dell’ Animo finora de-
putate ; prima abbiam provato , che*.
1* Animo è ineftenfo, e penetrevole .
Secondo , che elTo è immobile, ed invariabile .Terzo, interminato , ed
umver- fale T abbiam dimoftrato ;
inquanto Tini- mobilità , e T infinità
fi oppongono alla mobilità, e finizione
materiale . Quar- to , che e’ debba
avere dell’ edere ne- ceffario, ed
antico . Quinto , ed ulti- mo che egli
abbia libertà , cd indipen- denza , e
primato , e principato del proprio
efTere , e dell’ alrrui . Da tut- te , e
ciafcuna delle quali ragioni egli fi è
conchiufo , dover T Animo in__. ogni
modo edere immateriale , ed im- mortale.
Di più colf ultimo argomen- to del
primato , abbiamo feoperta la va- nità
di uno de’ principali argomenti dell*
Avverfario . Ma quante ragioni abbiamo
allegare, per convincerne della diverfi-
tà delle due nature dell* Animo , e del
Corpo ; e per conofcere T edere fpiri-
tuale,ed Immortale dell’ uno, e T eder
cieco, ed infenfato dell’ altro ; altret- tanti oftacoli pare che dinanzi ci fiamo opporti , per non intendere il concorfo, e la congiunzion loro a coftituire un_i principio di edere , e di operare nelT Uomo. Imperocché quanta fra quelle^ due nature è diderenza nella foftanz# Mto* M 2 dell’ ci- *» DELL’ ANIMO .deir edere , e nella maniera dell’
opera- re; altrettanta ripugnanza pare
dover- vi edere ad unirli infieme alla
coftitu- zione di una natura . La qual
diflicultà ella è tale, che come l’altra
dell’unità dell’ edere, e dell’ operare
dell’ Uomo , prima ha fofpinti gli
Epicurei a credere che l’animo, e ’l
corpo fiano una me- defima natura; così
la difficoltà del po- tere edere due
nature diverfe , gli ha», poi nell’
errore vie più confermati . Gonciodiachè
prima fi prefentò loro in- nanzi quella
unità , onde facilmente», ConcKiufero la
dmiglianza delle due na- ture : e pofeia
contro ad ogni più forte argomento, che
l’animo di altra natu- ra dover edere
dimoftrade , han fatto riparo con quella
ripugnanza : che na- ture cotanto
diverfe non potelfono con- venire
infieme a comporre una medeli- ma
eflenza . Sicché tutti gli argomenti
della mortalità da quelli due capi , che
ora abbiamo additati , difendono . Ed
ancora quella immaginata ripugnanza ,
cotanto ella ha potuto fopra lo fpirito
di alcuni moderni Filofofanti ; che per
le loro vie , e giuda i loro principi ,
non potendo eglino unire infieme lana-
tura fpirituale, e la corporale a formar
1 ’ Uomo , fonofi rivolti a voler riftrin- gere, e rinferrare la foftanza dell’ Ani-
irrori di mo chi ìh una parte , e chi in
un* al- t&StS. rra acl i^elabro
,come già argomentato tomo alta Se. avea
Lucrezio, che dovette farfi ; ****** T
animo di fuori venitte a compor l’Uo- *
mo , e non gii col corpo da fimiglianti
principi nafcefle . Or chi crederebbe -
che anzi quella diverfirà è ben ella la , cagione, onde la natura fpirituale, e la corporale fono inchinevoli, e prette a convenire infieme , o nel mondo alla formazione per lo produci mento di tut- te le fpezie materiali , o nell’ Uomo a produr 1* Uomo, e le forme fenfitive, e lagionevoli all informazione? 1 cotan- to egli è vero, che P inveftigazione , dal principio male avviata, per tutto il corfo, poi fino alla fine fa
traviargli Uomini dalle verità,
quantunque age- voli, e piane. E per
difingannareognu- no, noi dicemmo gii,
che la Mente 7 per 1 inclufionc , o
penetrazione è ella * i n S e & nj
°fa f attuo fa y operante; e per la
raedefima cagione è altresì invariabile,, • w ^ «P«
• f I, e per così dire,impallìbile, o impazien- te: e che la Materia, per l’ efclufione
, o impenetrabilità è infenfata, viziofa
, fcioperata ; e per tanto è oltre ciò
mu- tabile, e per così dire, paflibile ,
o pa- ziente: poiché immobilità, ed
invaria- bilità, che della Mente c
propria, egli c il medeiimo , che
impaflibilità , o im- pazienza: e
mobilità, o mutabilità, che della
Materia efler propria dimoftram- mo , è
lo flelTo che pazienza, o paflibi- lità.
In quella impaflibilità , per cui la
Mente non può edere moda, mutata,
o variata, e* può parer vizio, o difet-
to , e nondimeno è virtù: e propriamen-
te ella c l’atto pieno, perfetto , vigo-
rofo, onde la Mente è, ed intende tut-
to ciò che eder dee, ed intendere: ed
infieme produce ad edere , ed efprime
a conofccre ogni foradiera edenza. E
così la padibilità, o pazienza, per cui
la materia non è immobile, e invaria-
bile , può parere virtù ; e tuttavia è vi- zio: e propriamente ella è la potenza vacua, imperfetta, inferma, onde Ia_# materia non ha proprie forme di ede- re , ne d’ intendere ; ne di produrre, ne di
efprimere realità, o idee nell’ altre
cofe . E ficcome V atto mentale , che-
per 1* immobilità fembra dover edere
infertile, ed informe, dalla fua unitali
conduce alla moltitudine, a produrre-,
molte , e varie forme di edere , e da
intendere nella variabil materia ; così
la potenza materiale, che per la mobi-
lità par dover edere fertile , e formo-
fa,da fe trafcorre ne’ difordini,e negli
errori . Ma ben ella dalla moltitudine
all* uno,, cioè ar conciglio, all* ordine , ed alla forma eder può condotta per forza, ed ingegno della Mente , La_* Materia da fe non ha forma , ne atto
^nzTddl^L alcuno; ma per quello appunto
ella è virtù della-* tutta capace, ed
abile a ricevere ogni ^detuM^ forma, ed
ogni atto. La fodanza eden- mia.. fa,
rutta didinta , e di viflbile della ma-
teria , che in dividendo o non mai ad
alcun termino perviene, o termina in
indivifibili edremità: quanto per quedo
ella apparifce mobile, e variabile ; tan- to s’ intende eder pieghevole , ed
arren- devole , ed odequiofa a prendere tutte le forme , e i modi,, che *1 fapere, e volere mentale può ritrovare . Se la materia non
forte tale qual’ è , eftenfa ,
impenetrabile, divifibile, e variabile in ogni modo ; non potrebbe ella efler ca- pace a ricevere forme, ne reali operan- ti nel Mondo, ne ideali lignificanti
nell’ Uomo . Se la Mente non forte
ineften- fa, indiftinta, immobile , ed
invariabile; non avrebbe ella ne potere
, ne inge- gno di forme; ne potrebbe
aver virtù, ne modo d’ informar la
materia . La_. leggerezza , ed
incortinila, e variabili- tà, ella è
della abilità della materia ad erter
formata, o informata. La fermez- za , e
cortanza , ed immobilità , ella è def-
fa virtù della Mente a formare , o in-
formar la materia . La Mente per la
virtù, che è il fuo atto, è principio del- le cofe operante . La Materia per lo di- fetto, che è il fuo edere potenziale , è principio delle cofe, per così dire,paf- fivo . Quella è la più rimota attitudine
, e capacità della materia per la produ- zione del Mondo, e per la cortiruzione dell’ Uomo a concorrere, e a congiu- gnerfi colla Mente. Ma altro e* fa ben di meftieri , che polTa edere vicino
appa- recchio a sì grandi opere
maravigliofc . La Materia , fecondo l’
opinione di coloro, che nell’inizio
delle cofe vo- gliono il vuoto , dee
edere fcompiglia- ta, e fparfa in moti
difordinati , e tur- bolenti : e fecondo
1* altra degli altri , che noi vogliono,
dee darli immobile, e fcioperata:
nell’uno, e nell’altro fi- ftcma ad ogni
formazione inetta , ivi per lo
fcompiglio,e difordine, che proi- bire
ogni fruttuofa compofizione , equi per
1* immobilità , e fcioperaggine, che
toglie affatto ogni sforzo ad ogni in-
traprefa. Il perchè gli uni, e gli altri
per viediverfe s’ingegnan di adempier
quei difetti della materia, e di appa-
recchiarla, e condurla alla formazione .
Ma lafciato da parte dare il contrado
di quelle rimotc origini , che qui non
ha luogo; egli è certiflimo , che la ma-
teria di per fe impotente, ed infruttuo-
fa , con due condizioni può pervenire a
comporfi , e variarli , e a comporre , e
produrre i var j frutti delle varie fpezie delle cofe. L’uno è il contatto, che_ aduna le parti ; l’ altro è il confenfò ,
o concerto , che unifce infieme i movi- menti. La Materia quando ha le parti N con-
Due condi- zioni necejpi- riea compor-
re , e Variar la Materia; congiunte in un lol corpo , e i moti cofpiranti in un fol moto; allora è ella nel colmo dell’ eflere variabile , e
pie- ghevole , e offequioSo . La Materia
pria Sminuzzata , e raffinata , colle
parti in- ficine accolte , e co* moti
tutti in uno convegnenti , ha la
maggiore Squisitez- za dell* eflere
paffibile, o paziente, che è,o a
raflomigliar l’ idee mentali moda- li ,
o a congiugnersi con idea Softanzia- le,
la più vicina , e più pronta diSpofi-
zione. Imperocché in quello fiato, con
quelle doti la materia in certa guiSa al- lora è con Seco , e da Se , ed in Se :
ed ha il primato , e *1 principato del
Suo proprio eflere , nel tutto le parti
adu- nando; e ’l tutto alle parti
eftendendo ; e le parti fra loro, e col
tutto infieme giungendo : ficchè ne moto
in una par- te può SuScitarfi , che per
tutte V altre parti non diScorra , e per
tutto in ogni lato non fi diffonda ; ne
modo , o for- ma può imprimerli in una
parte , che», ad ogni altra infiememente
da ogni ban- da non fi comunichi . Con
che la ma- teria tanto all* eflere
mentale fi avvici- na , che ben può
tutte le idee della mente agevolmente cipri mere , e tutti i numi prontamente efeguire , c la fu- ftanziale idea fecondare , e con quella Erettamente collcgarfi acoftituir l’idea, e ’1 nume dell’ Uomo . Colla copia , e col contatto delle parti , e col confcn- fo, ed armonia de’ moti, la materia ha tutta la felva, c tutto il potere , e
tut- ta l’abilità per appreftare a Mente
fu- periore tutte le forme delle cofe ,
colla produzione di tutte le fpezie
mondane^ c per appreftare fe medefima a
Mente conforte , per la coftiruzione
dell’ Uo- mo, col producimento di tutte
le for- me ideali fenfirive, c
ragionevoli. Ma per deferivere più
particolarmen- te la maravigiiofa unione
delia Mente, e della materia nell’Uomo,
non già per hmfrabÙZ^, confermarla, che
di già abbiam fatto ; è uopo affifarci
ad oflervare le opera- t^Materi zioni
dell’ animo noftro : che giufta il nell'Uomo
veriflimo volgar principio, quale 1’ ef-
fer delle cofe, tale ancora è l’operare:
e vicendevolmente qual è quello, tale
efter dee quello infallantemente . Quan-
do l’Uomo apprende le forme fcnfibili
della materia circoftante ; e in appren-
. » N 2 dendo Sì prende ad adombrare - .t i»
. : * \ 100 f:
.. ^ Coro* Al-» . A lente
apfrc- r da le formai ì • de' fenjtbili obbietti •
li dendo quelle forme da*
piccioli indizj -, c rudimenti negli
organi de* fenfi intro- dotti , come
altrove abbiam ricordato, le difpiega ,
e dilata ; certamente allo- ra la mente
nodra , e raccoglie in uno i numeri , ed
adegua le dimenfioni , ed efprime le
modificazioni della materia . In quelle
fcnfuali figurazioni la mente ha per fuo
oggetto la materia formata ; e in quell’
edere della materia, diciatti così,
obbiettivo, la mente fi congiugne in
alcun modo colla materia ;ficchè or-
nandoli delle di lei forme , dentro di fc nel fuo eflere eftende , fpiega , e
figura la material fodanza . Similmente
quan- do da’ geometrici elementi , e
dalle-, combinazioni, e da’fillogifmi ,
la Men- te dell’ Uomo da fc giugne a
trovare forme artificiose , da
trasmettere nella materia ; quelle forme
medefime , nel fuo medefimo edere
codruifce ; molti particolari in uno ,
cioè nell’ una* fua_. Semplice , e
indivifi&ile edema , eden- Stoni,
figure, e numeri effigiando . Adun- que
nelle mentali nodre operazioni, due cofe
quanto certe , tanto memorevole
intervengono* L’una è, che la Mente
con Vf. V
M VÙk' i, % dimento . Per quello novello fiflema.» coflrutto fopra faldilfime fondamenta , S* intende bene quali fieno i principi . ; . LHj dell* Uomo: e le maniere dell’
operare , utilità del come colle più
interne, e più fecrete nuovo fijiema
guife dell* eflere mirabilmente confen-
tano : e la Mente dell’ Uomo , e dell’ U- niverfore la materia dell’ uno , e dell' altro: e TofTequio di quella, e di quel- la materia :c la virtù di quella Mente, e di quella ; dell’ una a formare , e
dell'altra ad informare, con mille altre ve-
rità finora alla maggior parte degl’ in-
gegni nafcofte , vegnono a conofcerfi
chiaramente. Sopra tutto per quefta_r> dottrina , 1* argomento di Lucrezio ,
che dal confenfo dell’animo, e del
corpo, il contatto di quelle foftanze ;
e dal con- tatto l’uniforme natura di
amendue*. Vucrezio. vuol concludere
;'nel quale tanto con- fìdanoi novelli
Epicurei ; fi difcopre-chc Secondo argomento di | / l
'egli è ufeito dal più cupole più rene-
brofo fondo dell’umana ignoranza . L’ar- gomento è efpreflo in que’ verfq : - hit.
Uh H, *tm e. L bt. enim propellere
membra, «- f I.v ’ -
Corpoream docet effe. Ubi. enim
Corripere exjomno corpus , mutar eque vultum , Atque hominem tqtum regere , ac ver far e
videturz {Quorum nil fieri fine ta8u
pqffe videinus^ '1 J«M! r i t.*V.
‘. mentale, che è la penetrazione, e i’
in» elulione . E che 1’ eftenfione, la
fuccef- fione, e ’l moto con quel
contatto , e con quel contenta, fono il
più pronto, c predo inchinamento, ed
olTequiodel- la materia. E in fine, che
P oflequio ap- prettato con quelle
condizioni , e’1 pò- cere efaltato con
quelle doti , fono la maniera più
adattata, e più conface vo- le di unire
infìeme la Mente , c la Ma- teria alla
coftituiione dell’ Uomo . Ma fe Lucrezio
colla feorta de’ tan- fi non potè
penetrare in quelle profon- dità ;
almeno dalla poteflà , e dall' im-
perio, che P Animo ha fopra il corpo,
potea coll* efempio d* illullri Filotafi
alcuna cofa argomentare di più prege-
vole, che non ha fatto. Tanto più, che
quella prerogativa cosi bene efprirae
in quelli verta : 0 Citerà pars
arùieé per totum dljjìta corpus Paret,
& ad numen mentiti momenque movetur :
' a* * - • ^ \dque Jìbi Jolutn
per fi fipit , cSr fibi goudeti Cum
ncque res animami neque corpus commove t ulta • Concioflìachè lo fptendore di cotal prin-
• . , tn« » wn io8
folo , ma tutti in un colpo avrem ricili
i nervi di tutta 1’ argomentazione Lu-
creziana . E benché con dimoftrarc lo
fcambievole inchinamento , c combacia-
mento di quelle nature , fi è in parte-,
(pianata la difficultà ; tuttavia ci c altro da dire ancora , per farne da prcflo ad offervare quella maravigliofa unità. Nel fenfo , e nella cognizione dell’ Uomo , o per la percezione delle efterne for-» me, o per la concezione dell’ interne idee ; egli è da por mente ad una cola affai memorevole , che non fi è finora nelle bocche udita , ne su i libri letta delle novelle famiglie de’ Filofofanti : cioè, che quanto da noi , o concependo fi penfa, o con percezioni fi apprende, tutto dee effere in fé raccolto , accon- cio , ordinato, e comunicante: e nien- te , che o diflìpato fia , o confufo, o difcordantc , può ne effere efpreffo da- gli edemi obbietti, ne per interne idee figurato . L’ obbietto del noftro fenfo
, e della noftra cogitazione ,
proporzio- nevolmente fecondo che più ,
o men-» vive , e chiare fono le
fenfazioni , e le idee , egli de’ bene
effere ordinarameu- • j , . ■ i * o te
confetto , c congegnato: licchè le par-
ti ciafcuna al fuo luogo adattate, etra
loro congiunte compongano ciò che_
deono comporre: e poi per lo moto, il
tutto colle parti , e le parti col tutto , _ . ed infra di loro, comunichino infieme vicendevolmente . Imperocché, come altrove è flato detto , qual’ è nella Mcn-
OlfaV è la te la penetrazione , e 1’
inclufione ; tal’ L///ES, è il moto
nella materia: onde la pene- limato
trazione, un moto della natura fpiri- ne ^ t,AaUr,a ' tuale fi può dire che fia ; c ’l moto
all’ incontro una penetrazione della
corpo- ' ralc. Oltre a ciò la
confettura, e’inu- mero, e le dimenfioni
con arte voglion ettere difpofte: ed in
numero , c mifu- ra regolatamente vuole il
moto per tut- to da un capo all’ altro
trascorrere :e di quindi nella fua
origine ridondare: e-, tutto ciò
variamente, fecondo il vario ingegno , c
’l vario modo delle cofe . Conci oflìac
he , come nell’ efprelfione_* dell’
efterne fignificazioni , o azioni , - »
tutto l’ ingegrio, e tutto il movimento
vien da fuori , e fi riproduce nel fenfo
dell’Uomo; così nelle figurazioni inter-
ne, a formar 1* opere dell’ arte , tutto r in-
V / I* * JT Luce , e le- nebre che fia- to elle.
I ,no T ingegno, e ’l movimento dall* interno fenfo
dell* Uomo provenendo, nel- le materie
efteriori pofcia fi diffonde .
Fermamente ove è diflipamento , tu-
multo , difordine , e difeordanza , qui-
vi ci ha egli un chaos tenebrofo al fen-
fo , ed all’ intendimento dell’ Uomo : ed ove è adunamento , ordine , e concor- dia con vigore , ed attività; ivi èchia- riflima luce . Sicché le tenebre non fi può dire, che altro elle fieno, fc noru» che difordine , e dilpergimento , e di- feordanza di parti, e di movimenti: e la luce all’ incontro ben fi può crede- re , che altro ella non fia , che piena
, vigorofa, ed ordinata comunicazione
di modi , e di moti . Perchè la Mente
dell’ Uomo è ragione, ordine , regola,
vir- tù, ed atto penetrevoleje le
operazio- ni mentali, fono elleno o
elementi, o congiungmmenti , o
fillogifmi di feien- ze , e di arti ;
non può per tanto la». Mente altrimenti
operare , che fimi- glianti modi
ordinati, e ragionevoli, ed attuofi, e
penetrevoli, o per le forma- zioni
producendo, o riproducendo per 1*
efprelfioni. Cioè adire,ficcome ali*
in- in intendimento noftro fon naturali , e prò- „
> prj gli elementi, o generi, le
combina- zioni, e i fillogifmi
dialettici, metafifi- ci , geometrici ,
ed altri d’ altre Facol- tà , e Scienze,
che tutti dal copiofofon- ** te della
foftanziale, ed univerfal ragio- ne ,
eh’ è della Mente , produconfi ; così
folamente le acconcie,ed ordinate, e
ragionevoli , e penetrevoli forme,
modi , ancora dell’ efterne fignificazio- ni , ed azioni fono al medefimo inten- dimento adattate, e proprie: e feonve- nevoli, e fconcie , e difadatte , e per confeguente infenfibili ,
edifintendevoli fono le cofe difordinate
, e feompiglia- te, e difeordanti . La qual
cofa , per quello tante tolte da noi
ricordato principio , che qual è delle
cofe Fede- re , taf è T operare , è
affai chiara , e ma- nifella . E come le
Scienze, e 1* Arti fono ampliarne tele
di ragioni, e di mo- ze te e /^ m di, e
lavori con penetrevole comunio ■ fino mfiìffi-
ne conteftej e le fignificazioni efterne , che figurano, c fiedono il fenfo , firnil- *
*. ^ mente con forme, e modi, e moti
mi- furati, e comunicanti compongono
di cofe fatte, o nate la Storia ; così è
da tenere per fermo, che Cielo , Terra,
Mare, e tutta la macchina mondana, di
elementi, e di congiunzioni , e fillogif- mi aritmetici, geometrici , e fiatici
co- ftrutta; e di copiofe,e vigorofc
forze, e moti fornita, da un principio
per tut- te le linee fino all* ultime
eftremità , per continuata ferie gli uni
dagli altri procedenti , tutra confcco
medefim.'L, comunichi, e in fe medefima
fotti Ita , e da fe a fe , da’ principj
a mezzi, c fini, virtù, c vita
fommimftri . I quali modi, e mori j
maeftrcvoli ingegni di fovrana fapienza
, ne’l fenfo noflro, ne 1* inten-
dimento può diftinguere , e fccrnere a
. V niun patto: e chi di proprio ingegno a s ^ fuo modo di fingergli ardifce , egli
è \ certamente un infano. E per li
quali modi, perchè ordinati, e
ragionevoli , .la materia è, per così
dire , fcibile; e è non per fe fletta :
perchè d i fe flef- f er onevor*' c ^ a
® inferma ,ed informe, dal divi- ìntlol
no Platone per tal cagione condannata
duce la Men . a rimanerli in perpetue tenebre fe pot- rà . Ecco adunque del conofcimento dell* informazione un aliai notabile
pro- fitto . La Materia dell’ Uomo , per
ordine , ed incatenamcnto de' principi , mez-
Zl , e fini , tanto nella fabbrica dell' or- gano .quanto nell’ influenza del moto, ella e comporta con tale ingegno, che tutta m fe infittente, ed in fe
raccolta, e per tutto operante, e
rivolta ad ap- prendere le forme efterne
degli obbiet- ti elterni , e a produrre
l’ interne degl’ interni : e fecondo
querte , e quelle , che fanno un concerto
di lumi a profittar nella icienza, a
regolare la vita , c ad operare
nell'arte . L* altre naturali com-
polizionl, e l’univerfo medefimo della
Matura , non fono in altro modo , che
per e fiere efpreflTe da idea nel fenfo , c ^ : ne i a n.°f; ta210ne: ma Ia magnifica
ope- ra dell umano comporto è tutta
ordi- nata ad efprimere, ed apprenderle
co- le. Il corpo organico è un
arrificiofifli- P/ r ef P rimere , e
raflbmiglta- re tutte le forme, e
apprendere e fUn ca ** cor t° bile Tfl
,e - azi** ^ de fpeciofi , ed attuofi
obbietti circo- ^ flanti . La materia
dell’ Uomo a quel modo coftrutta , e
modificata è infine una mente materiale
. Adunque la Men- P te. : r unità diir
Uon w. 1 ar
ri4« tc , modificata fecondo quella ordina* fì fwV» ta » c ragionevole modificazione del
cor- po organico, in primo luogo fente ,
o avverte quella fua modificazione : e
per tal cagione , e in oltre per 1*
intima^, unione , avverte ancora, o
fente laMa-*ì teria congiunta.
Conciofliachè quanto quel modo V è
apprettato dalla formai corporale; tanto
ella da fe per naturai virtù lo produca
: ficcome appunto av- viene nelle
minute, e variabili , e lievi
informazioni de’ fenfi, e delle cogita-
zioni particolari . Comunque egli ciò
fia , la Mente fenza fallo i* universa»
compofizione delle parti, e V univerfo
confenfo de* moti, che tutte le parti in
uno, e tutti i moti in un fol moto con-
giunge, por P influenza de’ principi ne*
mezzi , e ne* fini , e per lo ritorno di
quelli in quelli ;Ia compofizione , dico, e’1 confenfo univerfale, prima conclu- de nell’ unità della ifua univerfal cogi- tazione ; e poi , in quanto è modificata ne’ principi, fente quivi il ritorno de* mezzi, e de’ fini: ed in quelli allo’ncon- tro , fecondo i quali fimilmente è mo- dificata , fente 1’ influHo de’ principi
: onde viene a formarli un confenfo
luci- do , univerfale , con che più
efprefla- mente avverte , e fenre la Tua
unione) p’I corpo organico congiunto, e
tutte le parti, e tutte le azioni fra
loro Team* {fievolmente comunicanti . E
in cotal modo, della materia con ferma ,
e (U* bile modificazion ragionevole,
ordina- ta al fenfo ,ed allo
’ntendimento ; e deN la Meme, che è erta
lòftanzial ragione, che per naturai
producimento , e per P unione del corpo
, nel corpo imprem de quella
modificazione medefimajdell* uno , e
dell’ altro ftretri infieme , ed uniti ,
in quello già deferitto intreccio di
(labili , e fondamentali percezioni ,
•fa fic ne il fenfo ragionevole , e la cogi- dei fenfo tazion fenfuale , che è la Natura dell’ e
della cog?- Uomo. Ne è da lafciare
addietro, che uz,one • de’ due modi di
operare, l’uno della», diftribuzione
dell’ univerfale ue* molti ^particolari
, e l’altro del raccoglimen- to de’
molti particolari nell’ univerfale, -da
Mente qui con quello fecondo mo- rdo
adopera ; poiché di molte partile -di
molti momenti , e movimenti forma un
corpo folo,ed un folo movimento: ficcome fa delle forme aritmetiche , e geometriche , e dell* altre di lor
natura eflenfe, e divifibili , che aduna
nell’ine- ftenfa , e indi visìbile fua
cogitazione ; così nelle concezioni ,
quando ella da fe le inventa ; come
nelle percezioni r quando ella in quelle
già inventate , e fatte s’ incontra .
Laddove per contra- rio nelle percezioni
degli obbietti eter- ni , nell’organo
univerfale dell’ univer- fal fenfo,e ne’
particolari de’ fcnfi par- ticolari , la
fua unità , ed univerfalità già piena, e
feconda comparte ne’ mi- nuti indizj , o
immagini , all’ impreso- ne, che ne
riceve; tutte dall’intimo univerfal
fenfo, e cogitazione riprodu- cendole .
E ormai , a mio credere , ri- trovata
già 1* unità dell’ effenza , e del- la
operazione dell’ Uomo . Poiché ogni
unità, o metafilica, o fifica,o etica,
di arte , od altra come che fia , fe vi ’ ha di altro genere , certamente ella fi compie per unione di atto, e di poten- za; così che, o per identità, o per na- turai produzione, o per azion morale, o artificiofa , 1’ atto colla potenza,
c- quella con quello fi avviluppino
infa- me , © fievole fi difeopre . Imperoc- ché primamente il fenfo lucido ragione- vole , che dalla coftituzione delle due nature rifulta.è quello , che nafce,e fi eltingue coli* Uomo : e che propria- mente per gli varj gradi dell’ età quel- le variazioni , e quelle vicende
patifee: e non è già la pura , e lineerà
intelli- genza della parte pura , e
lineerà fpiri- tuale . Quel fenfo, che è
univerfale , nella già cfplicata
univerfal modifica- zione della materia
congiunta , al va- riare della materia
medefima, ne’ varj particolari modi, e
moti, che al moto, e modo univerfale
fopravvengono , o dentro dell’Uomo
fufcitati, o di fuori tra fm e Hi ,
ancor elio dee elfcr varia- mente
figurato, e mollò . E quando nel procedo
dell’ età, al variare degli anni, o
ancora per morbo , o per qualunque altra
cagione i modi ,e moti li perver- tono,
e turbano, o illanguidifcono , o
celiano, o fi cancellano in parte , o in tutto ; allora forza è che quel
fenfo , di che parliamo, più , o meno ,
tutto , o parte pervertito, e
difordinato, ofpa- ruto, o deformato ne
vegna. Ne’ qua- li cangiamenti, nella
parte materiale, e non altrove, come
defcrivonfi i modi, c fi miniftrano i
moti; così i difordini, e » fopimenti, e
i vuoti , ed ogni altro vi- zio
principalmente addivengono. E da quel
lato, onde eflo fenfo è di condi- toli
variabile, e mortale, a tutti quei
cangiamenti , ed accidenti è fortopofto , falva , e intera, e illibata rimanendo
la parte pura dell’intelligenza , che a
quel- le varietà la fola univcrfal
cognizione, o cogitazione fomminiftra ,
c’ tutte-, quelle varietà lènza
moltiplicazione , e fenza giunta
riproduce. E qualunque fa la (ecreta
guila della unione delle-, due nature, e
cheunque ne rifiliti,!! Mente , ficcome
nella reale, e (labile informazione del
corpo organico , che è come foftanzial
percezione , indiflin- ta, c indivifa ,
include, c penetra , ed adegua il vario
lavoro di quella prima', e (labile
modificazione ; e come nelle percezioni,
che fono ideali , e leggiere , e fugaci
informazioni , fimilmente indi- ftinra,
indivifa , e invariata, penetra, c
include , ed efprime quei varj minuti
modi particolari ; c sì quella prima fo- . ftanzial modificazione , come quelle fe- condane accidentali dall’ unità, e dall’ univerfalità della fua virtù , e
natura», produce , o riproduce ; così
quando quei modi, c moti fi turbano, o
ceda- no, o fi cancellano tutti, o parte
; la v Mente allora, o in parte, o all’
intutto fofpende le lue produzioni , c depone quelle modificazioni fenza pervertimcn- gbi
di 'modi to,e fenza detrimento della fua
foftan- corporali. ■ za, falva,ed intera
prima nel fenfo uni- vcrfale'
raccogliendoli ; e poi, fe elfo *
univerfal modo, e moto organico cof-
fa, o fi cancella ; nella fua propria uni- tà, ed univerfalità della fua pura natu- ra , e intelligenza raccolta , li
rivolge ad altri obbietti , e di altre
forme fi adorna , ad altro vivere , e ad
altro fapere . ' 'f Quella nofira foluzione non lafcia», luogo a dubitare della vanità, ed infcr- mezza dell’argomento Lucreziano. Im- perocché nel noftro fillema tutti , dr- cram J
* vv rz8 ciani così , i fenomeni delle fenfuali,e ragionevoli operazioni deli’ Uomo, con quei crefcimenti , e fallimenti venendo pianamente efplicati: ficchè ,dato che— È intelligenza dell* Uomo fia fodanzia- le, e la materia fia bruta, c cieca ,
co- me noi affermiamo, e niegano gli
Epicurei ; le operazioni della ragione , e—
del fenfo pur nondimeno così dareb-
bono elle, come ora danno; per certo
che quell* argomento il più riputato ,
non vale a concluder nulla . Che fe poi
fi pon mente, che gli Epicurei , con tut- « to l’ingegno loro, non han finora potu- to da niun modo, o moto argomenta- re della materia niuna diffidenza , e- abilità all’ opere fenfuali ragionevoli dell’Uomo; tantoché l’imprefa di fpie- gare quei fenomeni difperando, hari— lafciata dare; allora certamente la no-,
- dra foluzione farà ancora dell’
edere- fpirituale,e immortale dell’Animo
una novella dimodrazione. E per
ìfcorgere la convegnenza , eia bellezza
della dot- trina, tutto il penfamento è
qui ora- tempo di rapportare. Noi
adunque pri- ma poniamo due tra fe
lontaniffime-f;: cdre- r*
av A eftremità , 1’ una del più e
ccelfo flato di perfetta intelligenza, e
l’ altra della più bada condizione della
cecità della materia. Le quali Mente , e
materia in quelle eftremità conflderiamo
, che amendue per contrarie ragioni
ugual- mente da fe sbandifcono ogni
docilità. L’ intelligenza perfetta da un
lato, per 1 °& n * includono , e
penetrazione do- vrebbe ella certamente
ogni lubricità , e fluflo,e fucceflione
efcludere di dot- trina: e si perfetta
dottrina , e perfet- ta feienza in ogni
tempo pofledere : e non mai in niun
tempo docile poter ef- fere ; che fenza
il lubrico , e ’l vicende- vole di
variate, e fugaci percezioni , e ragioni
non può ftare.La Materia dall* altro
lato, nell’ eftremo deli’ impoten- za, e
deformità , per la dimoftrata im-
penetrabilità , ed ogni efclufione , doci- le in niuna guifa non può ella eflèr giammai : fe la docilità con tutta la
fua incoftanza.e lubricità , pur
tuttavia in- cludono, e penetrazione
inftantemente domanda . Appreflo , quelle due nature da quell*
*- eftremità argomentiamo poter
ricede- 4 R re zza* '
4 *t X +W rM
re a quello modo: Cioè, che Ueflfere
mentale da quella fublimità , per varj
gradini di varie foftanze giù dechinan-
do, giunga finalmente a poter congiun-
gerfi in uno colla materia , e a poter
cfprimere modi , c mori materiali : e
che T eifer della materia dall’ imo di
fila imperfezione, per varj gradi di va-
riate forme , e lavori innalzandoli fu
pervenga al fine , fino a collogarfi , e
ftrignerfi. colla Mente, e a poter railo- migliare, e lignificare modi fpirituali
, e mentali: e così nell’ Uomo , in cui
, ,
in fine quell’ingegno medefimo,fe non *
altro, ci (copre l’origine dell’ errore. Perciocché la Mente piegando all’ imo dell edere mentale, c la materia ergen- doli al lammo dell’ edere materiale a formar 1 Uomo; in quella natura , e_> -
•" propriamente nel fenfo lucido,
la Men- te per 1 edendoni , e variazioni
mate- riali , e la materia per gl’
ingegni , e lu- mi mentali li tengono
afcole : onde la Mente , materiale edere
; e la materia poter edere mentale gli
Epicurei han_» Cagiont-* creduto, alle
fole lignificazioni fenfua li rivolti .
Ma eglino avrebbon potuto w‘. penfare,
che fe la Mente nella propria fua
altezza non potria mentir la mate- r
ria : e la materia nelle fue natie badez- zc non può fimigliare la Mente ; per- che i \ i la Mente in chiara luce
feerne- rebbefi immateriale ; e qui la
materia chiaramente infenfata,c cieca fi
ravvi- ferebbe; nell’Uomo , ove 1 ’ una
fotto alle fembianze dell’ altra fi
tiene afeo- fa , è una neeelfità , che
ne 1* effer cieco della materia , ne 1’
immaterialità della mente, per altra via
, che per quella^ degli argomenti col
cammino della ragione non fi podano ritrovare . Quella è certamente una nuova di- moftrazione , che abbiam tratta dalP in- telligenza, rifguardata nell’ idea di
fo- vrana perfezione : laddove tutte le
al- tre prima allegate fono (late tolte
dall* intelligenza , confiderata nel fuo
edere generale , e comune : avvegnaché
dalla comunità de’ generi all’ idee
perfette, e da quelle a quelle fiavi
commerzio , e comunicazione vicendevole
di cogni- ' zioni,e di feienze, come nel
primo ca- pitolo della noftra Metafilica
abbiamo dimollrato . Colla dottrina della univerfal perce- zione, che fidamente 1* anima contri- ' buifee a* varj modi , e mori , che
nella materia avvengono; e con quella
dell’ univerfal fenfo dall* unione delle
due.* nature rifultante , che c la
proprietà dell* Uomo, e che propriamente
per ca- gion della parte materiale , dee
con_> quei moti, e modi efler
modificato, e modo; con quella dottrina
, dico , tut- C te le altre difficoltà vegnono
ancora a • dillrigarfi degl’
impedimenti, e de’ tur- cibamenti, che
cagiona l’ebbrezza; e de’ delirj, e de’fopimenri , edetarghi, che certi morbi arrecano ; e in particolare il pericolofo diflipamcnto , che produce la velenofa forza dell’ Epilelfia , ed
ogni altro fìmigliante accidente . Che
come tutte convegnono in quell* uno
argo- mento generale delle variazioni ,
che_ dalla materia nelle operazioni
dell* ani- mo trapalano a turbare, o
interrompe- re, o abolire il fapcre ;
così tutte con quell’ una generai
dottrina , ugualmen- te per ogni parte
fviluppate rimango- no. Cioè dire, che
quegli accidenti, che*l vino, e’I veleno
epilettico , come Lucre- zio l’appella,
e gli altri malori induco- no nell’ Uomo
, fono eglino folamente valevoli a
difordinare , o interrompe- re, o
affatto caffare le forme fenfitive, e
cogitative ne* moti , e modi corpora-
li, e non altra cofa altrove . I quali
lafcia allora la Mente di più avvivare ,
e illuftrare in tutto, o in parte, eoa-»
fofpendere, come fu detto abbiamole
fue produzioni , e con deporre le mo-
dificazioni: ed indi prima ne’ principali feggi corporali , e poi , fe più oltra è (dipinta , nella fua propria unità , ed univerfalità
fi ritira da quello ffrazio. Ma è in
alcun modo diftinto 1* argomento del timore , e del lutto, che LUCREZIO
amareggiando, ed affannando l’animo,
foventi volte conducon l’Uomo a morire. Imperocché in quel primiero
ca- po di argomenti de’ varj gradi
dell’età, e de’ varj accidenti de’ morbi
, le variazioni immediatamenre , c principal-
mente il corpo immutano, ed offendo-
no: le quali perchè nelle operazioni dell’animo ancora trasfondono i
difetti, e i difordini ; per quefto folo,
fono a LUCREZIO argomento di mortalità. Ma il timo- re, c ’l lutto fono morbi dell’ animo,
e l’animo immediatamente, e
propriamen- te conturbano , e affliggono
: e quando • l’Uomo per quelle offefe
viene a fini- re , nell’ animo è il
principio , e V origine del danno, e dall’ animo al corpo . trapaffa ; fìccomc per contrario
ne’mor- bi corporali, dal corpo all’
animo Lu- crezio argomenta , che debba
la mor- , • te trapaffa re . Così
ugualmente per gli morbi, che fono
manifeffe cagioni del- la morte
corporale , perchè varie paf- fioni
nell’ animo inducono; e dalle passioni,
doni , che fono manifede offcfc dell’ani- mo, perchè c morbo , e morte al cor- po arrecano; pare à Lucrezio dall’ima parte , e dall’ altri potere la
mortalità dell’animo argomentare : c poi
dclla_, cu ragione dell’ uno, e dell’
altro propo- ne come un nuovo argomento
, fog- giugnendo. Addere enimpartes , aut ordine trajicere
&quume(l y Aut ali quid pr or funi
de fummx detrabere illuni , Commutare
animum quicumque adori tur , * le
cogitazioni, e tra le fen(azioni,e gli
* V affetti ; così tra' le cogitazioni , e gli af- fetti c più ffretta appartenenza, e con- r • neflìonerper modo che non mai, ne
co- a • gitazione fenza ogni fenfo di
affetto, ne affetto fenza ogni lume di
cogita- zione fi può trovare . Da
cotcfte cole Quii fiati (ì fa chiaro,
che come il fapcre , cosi '1 volere
dell’ Uomo non è la pura , e fincera
parte dell’ animo ; ma è quel vo- - lece
proprio dell’Uomo, di fenfo infic- ine ,
e di ragione commifto , che dall’ unione
delle due nature dee rifultarc . Laonde
i varj moti, e modi delle va- ' i r ie affezioni, o paffioni propriamente
in • - : quel volere , e non già nella
parte pu- ra dell’ animo le loro
vicende ingerif- ’ m cono: e le anzie ,
e gli affanni , e i tedj ' del timore ,
e del lutto quella parte-, conturbano ,
e corrompono fino a con- dur 1’ Uomo mi
fero alla morte . E dell’ Animo avvien
folo, come nc’ modi del Capere , che
fofpenda le produzioni , e diponga le
modificazióni del volere ; e . intatto,
e purgato, e puro fi ritiri nel- • la
fua univerfalità , per rivolgcrfi ad
altri obbietti con altri amori più puri,
e più e più finceri . Ma perchè noi nei pre- fente ragionamento del fa pere dell’ Uo- mo, di altro genere di operazioni 4 che delle fcnfuali,e fantastiche non abbiati! fatto menzione; non è per tanto , che dentro gli angufti confini del fenfo , e dell’ efpreilioni fensuali , debba efler
ri- stretta la cogni'zion noftra . Da
quelli univerfal cogitazione , o
cognizione , ficcome perchè dalla parte
corporale è ella fenfitiva , ne debbon
nafeere Itu, fenfazioni , e l*
efpreilioni di fenfibili obbietti; così
perchè dalla parte imma- teriale, e
ragionevole, ed intelligente, le
ragionevoli cognizioni provenire ne
debbono. Siccome nel fenfo univerfa-
le , per fomma finezza , pieghevolezza,,
c mobilità , e per uniformità di virtù ,
e di foftanza, onde è come un genere
generaliifimo del fentire , fono i primi
elementi, o principi , onde rutte le par*» ticolari fenfazioni, ed efpreilioni
fenfi- bili formate ne vengono; così in
efTa_, cogitazione , o cognizione , da
ogni altra cofa fceverata, ed in fe r
ccolta, fono tutti gli clementi , o
principi delle ra- gionevoli produzioni,
e delie Scienze, S a che cd elfa
cognizione è infieme gene- rale cflenza,
e generai conofcenza : e i fuoi
elementi, onde è coftituita , fono .
inficmemente parti, o principi di quel-
la eflenza ad edere ; e fono prime nozioni, o ragioni di conofcere, o
inten- dere alla Scienza . Cotefto è il
bivio deh fapere dell’ Uomo, nel quale
in oltre., è da notare, che TUomo nella
via del fenfo è analitico , conducendofi
da’ par- ticolari a gli universali ; e
nella via. del- la Scienza è Sintetico ,
dagli universali ai particolari
avviandosi. Ma gli ele- menti del SenSo,
in quanto Sono minu- ti, imperfetti,
informi, fon pure come altrettanti
generi: e le nature fenfibili-y - in
quanto perfette, e compiute , fono *
anco in quel riguardo particolari. E le
eflenze perfette ragionevoli , e intelli- gibili, perciocché quando vi fi pervie- ne , illuminano tutta la Scienza , fono come univerSali: e i generi , perchè fo- no imperfetti, ed ofeuri, in quello ri- guardo fono come particolari da ripu- tare . Similmente come il fapere , così il volere, o dalla parte impura fenfua- le genera volontà, ed affetti
foraiglian- Bìvìodel jà ^cre delP ti , dietro a gl* incitamenti
del fenfo ; o dalla parte pura
fpirituale produce», voleri, ed
affezioni ragionevoli dietro alla guida
della Ragione. E quello è il bivio della
vita ,in cui fcorgonli le ori- gini
delle due celebrate porzioni dell* V *'
Uomo ,che il volgo de’ Filofofi , quan-
to con magnifici parlari decantavamo
con ofcuri fenfi intriga , ed ofeura .
Adunque la Mente noftra, per la virtù
tante fiate ricordata , e in tanti modi
provata di muovere , e reggere fe ftef-
fa , prima fopra le fenfazioni medefime . E ixti tiMnet certo : velut aurei , atque
oculi funi , Atq\ aliifenfus , qui
vitam cumque gubcriumt: . t Et Dilati mnust atque ‘ oculut t ntirefvs
féorjltttv Secreta a ‘nobis nequeunt
fentiret neque effe : Sed tamen in
parvo linquuntur fenipore tali i _Sic animus per fe non quii fine corpore , dr
ip/ó ' Efse hominet illiut quafi quod
va; efse videtur : .'o'F 1 .' Qs, t #
Sive aliud quidvts potius coniunaius et
i • .«li*» > yjp r i M**-
Etagere quondoquidem e****#*, corpus, adixret . V.v . -tftbv* "o >s * Tutto il nerbo di quello argomen- to egli è r a mio credere*!!) quella una sola
cosa riporto ; che 1* operare , fia^ del
Tutto , di cui è ancora 1* edere : onde
a niuna delle parti , che *1 com-
pongono , quell* edere , e quell’ opera-
re medefimo debba edere attribuito
Il fentire adunque, e *1 ragionare dell* Uomo, che certamente è dell’ Uomo’, cioè del comporto, e del tutto , all’amo mo folitario non dee poter convenire : c per confeguente 1* animo folo , fenza il corpo , e fenza 1* Uomo , non può fentire , ne ragionare , ne affatto ede- re : fcevero di fenfo,e di ragione, non potendo già avvenire , che l’animo da in niun modo . Si aggiunge a quefto , che P eder di Parte è fermamente effe- ^
t re di relazione, o di rapporto ;
onde», la parte al tutto appartenga, e
col tut- to da congiunta
infeparabilmente . Egli T-V* è vero, che
ci ha alcun genere di parte, che verfo
di fe condderata , ella anco- ra è un
tutto : quali fono le parti del .1 «à-J
tutto cftenfo, e variabile, e quali in»,
ogni altra accidentale compodzione .
Con tutto ciò cotali parti, quando elle * fono fegregate dal tutto, perdon quell’ eder di parte, con ogni altra cofa, che in
quel rifguardo lor conveniva. E che
Lucrezio a quefto ancora abbia rifguar-
dato, dalla dottrina del medefimo in-
torno alla indivifibilità de’ primi corpi , è manifefto . Volendo egli indivifibilt quei primi elementi , e volendogli va- riamente figurati ; acconfente bene , che quelli abbian parti , non già avve- niticcie , ma natie ; non quinci , e quin- di raccolte a compor P elemento , ma in quello nate: il cui edere , tutto fia dell’ elemento , che le contiene ; ed ab- biano a quello necefTario rapporto ;on- . de Pune dalP altre , e dal tutto non_, poffano per qualunque potere effer fe- parate giammai . Il luogo di Lucrezio ciUd^Lucre- è alquanto malagevole ad
intendere j zio , non ’m - Picchè P
acutezze de* più nobili Spofi- tor ‘ P
oturo falciar delufe . Il qual jj>ojì
on % nQ j ^ er j a p ua importanza abbiara volu- to qui arrecare, ed mterpetrare . , I»,
Tum porri , quorum e/l exttmum quodque cacumen Corforìs ìll\us % quei noftri cerner*
fenfitt Jam nequeunt : hi nimhrutn fine
fartibuy extat > , \ Et minima
cwtfat naturai nec fuit umquam ' Uh. U
JL Ver . Ter fe fecretum , neque pofìbac effe v
debiti Alterius quoniam ejìrpfum :
frinì* quoque , fluire a/ùe fìmiles ex
ordine parte: gmine condenfo naturavi eorforis explent . quoniam per fe nequeunt confi are ^neceffe
ejl H*rere , ««c/e ?«e Hatura nitri-
tale Jì truova la vera
ragio- ne di ejfer un tutto .
t. domanda, che dentro di fe
abbia a con- tenere tutte (e parti ,
onde è coftitui- to: e la parte allo
Scontro vuol’ efler tale, che tutta
quanta ella è, con ogni fuo eflere , (la
, diciam così, incorpora- ta nel tutto .
Di modo che l* eflere del tutto in
quello principalmente confida , che
contenga le Tue parti in guifa,chc non
pofla ne eflere, ne intenderli , len- za
che lia,e s’intenda con quella con-
tenenza : e 1’ edere di parte in quello
lia unicamente riporto , che debba del
tutto eflere , e nel tutto abbia ad ede-
re contenuta ; licchè non eflere giam-
mai, ne pofla immaginarli lenza quel rap- porto , e lenza quella , per così dire , partiva inclusone .Se quello è vero, co- me è appreflo di erto Lucrezio ancora ; egli è da tenere per fermo , che la ve- race , e fincera , e perfetra condizione dell’ efler tutto, altrove , che nella
na- tura fpirituale , c mentale non
pofla_, rinvcnirfue che la natura
corporale, e bruta non più , che di una
imperfetta limiglianza di quell’ eflere
lia capace ' Imperocché la natura
mentale , per Io fenfo ,e per l’
intelligenza di le, e dell'altre cofe che fente,ed intende ; chia- ramente dimoftra dover ella contener fé medefima, e 1’ altre eflcnze con ogni identità, e comunicazione: e fé mede- lima,e 1* altre eflenze dover penetrare da per tutto. Con che quella inclufio- ne , e quella contenenza , che *1 tutto ha delle Tue parti, e quel paflivo
incor- poramento , con cui le parti fono
nel tutto, dimoftra dover fola
perfettamen- te pofledere. Nella qual
cofa è princi- palmente riporto il
reciproco rapporto, e la neccflaria
conneflione , onde il tut- to dalle
parti , e quelle da quello , e», 1* unc
dall* altre non portano fepararrt . Per
contrario la natura corporale tut- ta
per ogni vcrfo limitata, ed efclufa, c
diftinta , di quella inclufione , e di
quello incorporamento non è capevo-
le:febbene, come qui, ed altrove ab-
biam dichiarato, può la Materia per fi-
nezza , e per fublimità , ed attività di
foftanze , e per conneflione di parti , e confenfo di moti cotanto ingentilirli, che vegna tanto , quanto a Materia è poflibile , un tutto perfetto a raflomi- gliare. Oltre a ciò, contenenza , ed
uni- V vcrfalità fono una cofa medefima
: Teflere un tutto, e l’ edere
univerfale, fono una medefima elfenza .
Donde fi può intendere , che alla
perfezione del tutto, due cofe vi fi
richieggono necef fariamenrc ; l* una ,
chc’l tutto debba aver perfetta pienezza
in ampia indivi» fibile unità; l’altra,
che tutti i partico- lari , che gli
appartengono, dentro quella pienezza
fiano realmente com- prefi . Benché
quelle due condizioni ad una fola
finalmente pofiono riferire :
concioflìachè , ne perfetta contenenza.,
fenza palfiva inclufione , ne pafliva in- clufione fcnza perfetta contenenza ,
pof- fa clfervi in alcun modo . Per
cotclle_ leggi , primieramente ogni
fpezie di tut- to, generalmente
confiderato quell’ ef- fere , dee con
tutte le fue cofe efl'erc-, • • in fe
medefimo riftrcrto,e chìufo,e da Goog[e
•J t gegno, colla noftra principal dottrina potta fcioglierlo di leggieri ; pure per produrnoi il frutto delle noftre fpecu- ’
\ {azioni , ci rifolviamo a parte
trattar- lo. Adunque quel che di tutti
gli altri argomenti abbiam fatto , e
faremo ap- prettò; di quello argomento
ancora fac- ciamo al prefcntc;
ingegnandoci a più potere fortificarlo
da ogni parte . La_. neceflità del dover
1* Anima fcparata ef- fcr fornita de’
cinque fenfi , che Lucre- zio fcmbra
voler confermare colle im- magini de’
Pittori , e de’ Poeti , che attedino l'antico comun fcntimento , ella è in fatti da quel Fiiofofo data appog- giata fopra quel fermidìmo principio ; che ogni edenza , o natura comune», dee con alcuna delle fue differenze , o proprietà elfer diterminata neceffaria- mente : e che fenza ogni fua differen- za , o proprietà non può ella dare in_» niuna guifa. Siccome allo’ncontro, pro- prietà ,o differenza niuna e! può avervi mai fenza il fondamento, diciam così, della Natura, o edenza comune. Per- ciocché 1 * Anima con generai fenfo , e percezione delie cofe , per ogni modo dover edere; anzi altro, che quel fen- fo , e quella generai percezione non ef- fere , egli è ad ognun che vi ponga»» mente , manifedo .Dal che fegue bene, che il fenfo, e la percezione generale , come con alcuna delle fue proprietà e particolari forme eder dee compiu- to, e perfetto; così quelle proprietà, e particolarità medelime di necedità egli implica nell’Anima . Fermamente non può capirfi a niun patto, come l* Ani- ma feparata poffa aver niun fenfo , o percezione , che nel tempo medefimo X ella
m: m ^ Sottilità dì
Lucrezio non inteja da gli Sfojìtori,
ella nc veda, ne oda ,nc per niuno de-
gli altri fenfi particolari, niuna percezio- ne abbia degli obbietti. Dall’altra par- te , 1’ impoflibilità di avergli in
quello flato, egli è per certo una gran
fottili- tà , con che Lucrezio la
compruova , che niuno degli Spofitori ha
potuto penetrare finora .Onde, e nel variar In-
iezioni, che ftanno bene, e nel fupplir-
vi i fcnfi,che non vi mancano, eglino
fonofi affaticati in vano . Prende egli
a conliderare i fenfl in idea, fecondo le loro, per così dire , formalità metafi- ficamente,c gli rapporta all’Anima : e infieme gli confiderà nelle loro realità
, e corpulenze filicamente , e gli
riferif- ce al corpo: e poi argomenta,
che co- me i fenfì, ne effere , ne
operare pofTono feparatamente dall’
Anima ; così allo fteffo modo non deono
potere , ne edere , ne operare feparati dal corpo , e— dall* Uomo . Concioffiachè 1* anima ila l’uno Ideale, o formale, o metafilico, onde le proprietà , o differenze de*
par- ticolari fenfi debbano procedere ;
c— 1* Uomo, e’I corpo fia V uno Reale,
o materiale , o tìfico , nel quale
quelle— proprietà , e differenze
medcfime deb- bano eflere incorporate
diverfamente , fecondo quei diverfi
rifguardi , di di- ' > verfi
principi , e procefTi.Con ciò vie- ne
egli a conchiudere , che poiché l’Ani-
ma da una parte non può edere sforni- 7
ta de’ fenfije dall’ altra non può in niu- na guifa efferne provveduta • che ella non può ne fentire , ne in altro qua- lunque modo operare, ne effere affatto dal corpo , e dail’Uomo feparata . Udia- mo le parole fue proprie, e poi vegnia- mo alla Soluzione. Vr eterea fi immortali t natura animai efi
, Et fentire poiefi fecreta a corpore
nqfiro : QuinqueiMt opinor)eam/aciendum
efifenfibus auHantt Ntc ratione alia
nofmet proponet e nobis " i t
* Tofiumus infermi animai Acheronte vocari. riHores itaque , & f criptorum Stola
priora Sic animai introduxerunt fenfibut
cucì ai r L * At ne 1* natura
ragionevole , ed intelli- gente , e’I
Tuo operare efplichiarao , e la
fenfibile non lafciamo addietro, deo- no
difdire che nel più alto, e puro dell*
intelligenza medcfima, quanto a Uomo
è conceduto , poggiando , a quelle fubli- mità non afccndtamo ? Ma nulladiman- co in cotali cofe, affai probabili
ragio- ni , e dove di farlo ci è
permelfo , giu- fte dimoftrazioni
allegando , V affare condurremo a tale,
che anzi da defide- rio di più oltra
conofcere accefi , che da difperazione
di potervi altro edere, confufi
rimanghiamo. Per rifecare ogni
rincrefcevolc lunghezza , io dico fulla
e lucidezza . Sicché il fenfo
dell’ Uomo , ove egli è più virtuofo, e
più lucido j quivi è in quefle , e
quelle parti diflinto , c divi- io : ed
ove è unito, ed uno ; ivi è tor- bido,
confufo, ed ofuro. Ma nello fla-
r è w l’Anima-, fepnrntn dee
potere operare con piìi
fran- cbezza , e vir- tù .
to della Separazione , fenza far violenza nc a ragione , ne a cofa alcuna , e’ ci convien credere, che l'Anima fottratta a quelle gro(Tezze,e da quelle angurie Sprigionata , a voler riguardare la
natu- ra di lei, e la fua virtù naturale
, quel potere medefimo , che ella ha
fopra la ; materia penetrcvole , con più
Sovrani- tà^ più vigore efcrcitar polla;
e mag- gior copia di maggior finezza, ed
atti- vità di quella materia dominare. E
per confcguente non riftretta fra quei
can- celli , ne in quelle nnnurczze
fpartita ; ma dilatata, e in fc
raccolta, con uil- folo ampliamo fenfo
universale , polla e più diftinramcntc
(cernere , e più al- tamente penetrare ,
e più chiaramente apprendere tutte le
forme ,e tutte le«, azioni delle cofe
materiali . Se l’Uomo per virtù dell’
Anima ha imperio, e po- reftà Sopra la
materia pcnetrevole in» terna ; e dona a
quella , e nc riceve a rincontro le
modificazioni ; e col minifierio della medefima produce il fenfo , e la cogitazione univerfale ; e fecondo la divilata varietà in tante maniere il difiignuc , quante in noi le ne veggo- no; . i 1 pri ,? cip > primi , e’1 temperamento loro , c l va- ftarata. g j 0 ingegno de* lavori , e tutte
le generazioni , e le fufianae , e gli ordinati
procedimenti » e k virtuofe influenze
• v de* ikir de’ Celefti corpi, e tutto il concerto r e ’1 fiftema del Mondo, e la cottruzio- ne dell* Uomo può meglio efplorare r e penetrare , ciascuna fecondo la pro- pria capacità r e virtù . Perciocché è da credere , che le menti finite emen- do, abbiano le proprie fpirituali
tnodi-i ficazioni ; onde fieno dall’
infinito cir- coferitte, ed infra di
loro diftinte.Ein particolare, che la
menre dell’ Uomo, per una cotal
proprietà di più fra ella propriamente inchinata , ed adattata a congiugnerfi colla materia per la corti- tuzione deli’ Uomo . Per quefti nottri divifamenti s’intende ciò, che dir vol- lero quei Filofofi,che di certi veli
cor- porali , gli Spiriti puri diceano
dover ef* fere provveduti ; e alcuni
Padri , che le Anime e gli Angeli
corporee fo- ftanze riputarono. Cioè non
altro eglino a-ver voluto infirmare da
quello r che noi della maniera di
operare dell’Ani- mo feparara abbiam
conchiufo , fi dee: tenere per fermo .
Cosi fimilmente è da interpetrare quella
Sentenza , che la_. Mente d’ un’ altra
mezzana natura ab- bisogni , per potere
attemperai alla materia * Finalmente , che la villa Tifac- ela non per inrromilfionc della luce». ' .
1 efterna nell’occhio, ma per
eftramillio- ne della interna verfó gli
obbietti; è fenza dubbio nata dalla
cognizione dell* imperio, e potere della
Mente fopra la materia penetrevole , e
dal minifterio, ed oflequio di quella
verfo di quella : onde è il vigore della
virtù mentale al- la produzione, o alla
percezione delle cofe.E qui poffumo dire
aver termina- ta la Dilpnra colla
foluzione degli ar- gomenti più
principali, e più forti. Per- chè dopo
avere ben fondata la reai di- fìinzionc
dell’ intelligenza : e dopo ave- re
altri punti ftabiliri, così come fatto
abbiamo delle più rilevanti verità ; gli
argomenti , che ci rimangono, così leg-
gieri, e piani 1} difcoprono; che più per non parere, che nftuf aulente gli
tralan- diamo , che per necdfiti , che
abbiano di particolar foluzione , gli
dobbiam ri- cordare, a ciafcuno
argomento adattan- do quelle generali
dottrine : il che fa- rem brevemente. E
prima veggiamo di quello, che c in quei
verfi efpreflo: Denìque cum corpus ncque at per far e mimai Dìjjìdium , quirt in tetro tabefcat odore r Quid dubitar quin ex imo y penitufque
coorta Emanar iti uti fumus y diffufa
anima vis 1 Atque ideo tanta mutatum fu
tre ruina Conciderit corpus pcnitus I
quia mota loco funt Fundamenta forar
anima r manantque per artus , Terque
viarum omnes fiexus y in corpore qui funt r
Atque / or amina : multi modi s ut nofcere pojjìs Difpertitam anima naturavi exijje per artus 5
Et prius effe /ibi diflraclam corpore in ipfo ,
Quitm prolapfa forar enaret in aCris aurar **1 ' Dalla. dillofuzione , c
putrefazione del corpo umano r che al dipartimento
1 dell’Anima fegue immantinente ,
vuol Lucrezio inferire r che L’ Anima
debba eflere fparfa per tutto il corpo:
che i di lei principj componenti fieno
con_* quelli del corpo talmente
intralciati T c intrigati ; che quella
eflcr 'debba la ca- gione , onde al
dipartirti- dell’ Anima , una totale
fovverfione al corpo ne av- venga :
ficchè tutto fi cangi , e impu- •
m- tridifca., c tramandi fuora 1*
intollcrabil fetore - E poi ne’ feguenti
verfi foggi ti- gne , che il folo
deliquio , avvegnaché allora 1 ’ Anima
non vada via , ma foi difiratta , o
opprefla languifca; tanti cangiamenti
nel volto , e negli occhi , e in tutto
il corpo produce ; quanti le grida, e le
lagrime badino a rifvcgli3re
^riterfetri ^ e ’ circoftanti . De* più migliori Inter- no» ban capì- pcrri di Lucrezio, non bene han
capi- la la forza ù t;1 la forza dell’
argomento . Eglino mo- MntO'. arS °
firan di credere , che quel Filofofo te-
glia , che F Animo , e l* Anima flano
una medefuna cofa ; e quanto qui dice
dei doverfi in morte difperderc i com-
ponimenti dell’Anima , onde il corpo
imputridifca ; che tanto intenda di dire
dell’ Animo , e dell’ Anima infieme ,
E una natura coll’ altra confondendo »
crvvéro prendendo efli 1* Anima per la
fola parte incorporale; e quella idea t * e quell’ appellazione alla mafia degli umori , e degli fpiriti non concedendo , fecondo quefto lor proprio fentimcnto. prendono l’argomento Lucrcziano: fon contenti di rifponder folamentc , che la putrefazione , e ’l fetore del
corpo morto , non è effetto della
divifio- ne, e del dilfipamento dell’
Anima; ma di altra cagione tutto
diverfa. La qual . rifpofta, fe vuolfi
comprendere la par- ... , te fenfuale ,
è certamente falfa : c fe , meffa da
banda la fenfuale , come quel- la , cui
V appellazione , e 1* idea di ani- * J '
ma non convegna , della fola parte in-
corporale fi vuole intendere ; c fenza
dubbio fcempia, ed inetta: perciocché
corre a far difcfa , dove non bifogna : . . e quella parte , ove è indrizzata 1’ op- .
... pofizione , fcoperta lafcia , e
fenza di- Fefa. Si aggiugne a quello ,
che quando Lucrezio dice , dover efTere
dal profon- '• t *' do fcolfi i
fondamenti dell’ Anima , e fuora
difTipati , e difperfi ; dicono eflì ,
che con ciò s’intenda elfer 1’ animo il , fondamento del corpo; il che è ancora vero: ma eglino non intendon già per fondamenti i primi componenti , il cui dilTipamenro cagioni quello effetto. :
. ne’ corpi morti: che è per certo un
non # - affatto intendere 1 * argomento
. Ad un- cye f e “ c e re *j } 0 e que
Lucrezio tratto dalla forza del ve- PAAimi^L*
ro, tenne per fermo, che 1 ’ Anima , c
1 * Animo , cioè il principio intelligen- Mmrumt. ■Hmìz O'
te tc , c la parte corporale
miniera del fenfo , foflono due nature
didinte : per modo che contro a quella
opinione , che l’Animo altro e’ non
fotte , che un* armonia, o concerto, o
temperamento, con lunga fchiera d’
argomenti fiera- mente combatte ; e
vuole in ogni mo- do, che T Animo fia
una fpezie,ed una fodanza . Con che
viene a dire , che r Animo fia una
fpezie, ed una fodan- za didima dalla
mafia, e modi , e moti animali. Poiché
certo dell’ eflere dell’ Anima ; dell*
Animo folo , come di una cofa aflai
ofcura , va ricercando che e* fia: e in
quella ricerca dice ,che e’ non fia già
un’ armonia , o qualunque altro modo ,
ma una certa particolar foftan- za .
Appretto, comechè per l’Anima e’ dica
efiere baftevole il calore, e l’aria e
l’aurc; tuttavia a produr 1’ Animo ,
niuna di quelle cofe crede poter bada-
re: ne altro e’rirrova nella felva delle
corporali fpezie , cui pofla attribuire—
quella maravigliofa produzione . Onde
conclude , che cotal natura producitri-
ce dell’ Animo , fia del tutto nafcoda ,
ed ignota, e innominata: di che fin dal principio della Difputa nc
abbiamo alle- gate le teftimonianzc di
più luoghi .Fi- nalmente c’diftingue
bene gli utfizj dell' Animo , e dell’
Anima ; e ’1 fupremo dell’ intelligenza
, e del reggimento del corpo all’ Animo
aflegnando ; le parti dell’ ubbidire, e
dell’ efeguire all’ Ani- ma accomanda.
Ed efpreflamente ,che l’Animo, e l’Anima
fono due foftanze tra loro diftinte ,
febbene {grettamente infieme congiunte:
e per la {{retta con- giunzione, quanto
argomenta della na- tura dell’ Anima ,
vuol che dell’Animo ancora s* intenda .
Sopra il qual fonda- mento buona parte
degli argomenti di lui fono appoggiati .
Lucrezio adunque da quel fubito
cangiamento de’ corpi morti , o
languenti, non può, ne vuo- le egli
inferire il difperdimento , ed
annullamento dell’Animo ; ma sì bene
il difperdimento , e l’ annullamento dell* Anima ; cioè della parte bruta , e fen- fuale : e quindi per la {{retta unione*, delle due nature, vuole che lo lìruggi- mento dell’ Animo infieme fc ne argo- menti . La qual cofa , comechè e’ ben vedelTe non efler neceflaria conchiu- Z 2 fione di neceflfario fillogifmo ;
percioc- ché di cofe diftinte , comunque
infie- me congiunte , mancando 1*
identità dell’ edere , dall’ una all*
altra cofani non può con certezza
condurli l’argo- mento a conchiuder
nulla ; con tutto ciò, tra perchè
l’Animo una fottiliflì- ma, e le vidima
foftanza cder e* li avvi- fava; e perchè
la robuftezza , e’1 pote- re dell* Animo
nell* intendimento di lui, e degli altri
Tuoi pari, fparuta, e debi- le cofa
appariva ; per quelle cagioni pensò egli
, che come il totale disfaci- mento del
corpo , non altronde , che da quello
dell’ Anima proviene; cosi il
diflìpamento dell’Anima fenza 1* ellin-
zion dell’ Animo , non potede avvenir*.
Ed ecco come noi in efplicando il fen-
fodi Lucrezio , abbiamo infieme difciol-
to il fuo argomento . Imperocché ab-
biam fatto vedere, come edendol* Ani-
ma , e l’Animo , cioè la parte corpo-
rale minilira dclfenfo,e l’incorporale
principio dell’ intelligenza , due nature dillinte , quali ad elfo Lucrezio pajon d* edere , 1* argomento in buona Loica dal didìparaento dell’ Anima , quello :i dell’Animo non può conchiudere a ni.
^ un patto. Ne dalla (fretta
congiunzio- * •v-W, del fcnfo fono ftromenti,il cui
confen- fo , e cofpiramento , anima egli
appel- la, ciò intefe di affermare ;
quantunque , che 1 ’ animo ancora fia
divifibile , vuol che da quella si fatta
divifione fi argo- menti . E dell'
infermezza di tal con- chiufione per la
diftinzionc di quelle», due nature, che
Lucrezio appruova,e noi abbiam provata,
con tutto quello, che al precedente
argomento fi è fatto, non riman luogo a
dubitare : e così tutti gli altri a
quello finiiglianri , che dal confondere
in uno il principio in- telligente, c la
parte fenfualc , tutta_, lor forza
ritraggono. I quali tutti, non già col
folo ribattere , o fchifare i col- pi
negando, come ufano di fare i Vol-
gari ; ma la foftanza indi vifìbil e dell* Animo , e le fue maravigliofe opera- zioni, ed ogni altro dimoftrato pregio v^per tutto opponendo; e quindi da cer- ' ti , cd indubitati principj
argomentan- do; fi fa chiaramente
vedere, che’l va- rino e’ percuotono
dell’ ària . Più larga '-via ne apre il
feguente argomento a derivarvi i fonti
della principal noftra dottrina , il
quale con chiarezza è ne* .r : fe- .
iSs fegucnti verfi efplicato : . Dtnifue cur animi numquam mens , confili
umqu » Gignitur in capite , aut fedi
bus , manibufve ? fed unii >• - • •
. v Sedibus , «ir certi s regionibui
omnibus bar et ? Si non certa loca ad nafcendum
reddita cuique Sunti «ir ubi quicquam
fojjit durare creai um ; Atque ita
multimodis prò totis artubus effe y
Membrorum ut numquam exijlat prxpojìerus orda . Vfque adeo f equi tur ret rem : neque fiamma
creavi Lib. tll. Nono argo-
mento . Fluminibus /olita e/ly
neque in igni gignier algor. ^ Circa
1’ origine dell’ Anima , in prima e* ci
oppolc Lucrezio, che ella nafeer debba
infieme col corpo ; perchè fi veg- ga
col corpo, e con tutte le membra
crcfcere inficine . E poi del feggio, do- ve l’Anima fia allogata , ftabilifce che certo, diflinto , particolare , e
proprio e debba clfere. Finalmente ,
amendue quelle cofe giunte infieme , dal
nafee- re, c dall’ cficre 1’ Anima in
certo , e ditcrminato luogo, egli
argomenta , che fuori del corpo, e fuori
del fuo proprio luogo non polfa
folTiftere . Noi allo ’n- contro con
bello intreccio di metafifi. A a che
per altre opportunità ; delle cogitazio- .
ni: c nel fecondo per la finezza , c vi-
vacità del fenfo, e per lo fervore, e_.
Copia de’ fluori più (pi ri rosi; degli affet- ti ; ma ben ella è in tutti i luoghi , e ini
. tutte le parti del corpo organico colla fortanz'a > come è in tutti per 1’ opera-
. zione del fenfo , e della cogitazione
. Or due foli argomenti di quelli , che wnfaìm !r- Cì ^ am proporti , rimangono a
trattare: Sfotefuo^ de’ quali il primo
più al platonico dogma della preefiltcnza dell’ Anime va a ' '.T colpire dirittamente , che nel
punto .. f,"*; .- dell* immortalità
: che per diletto de’ * plausibili
divifi di quella (cuoia , non_* abbiam
voluto lafciare addietro , coti-, gli
altri che contro a quella medefima opinione ,o alla pitagorica Metemficosi , o
ad altro, che alla principal noftra
quiflione fono indirizzati: c’1 fecondo,
il tedio , c 1 a /Fan no di coloro , che.,, muojono , ci oppone contra , di facilif- fìma foluzione. Col quale , efpugnati
pri- ma di grado in grado i più robufti
ar- gomenti , convien conchiudere la
prc- lentc difpurazione . Il primo
adunque que’ vcrfi , che con leggiadria
, ed acutezza è da Lucrezio fpiegato
. Tr eterea fi Immortali s natura
animai , L'I . - Conflati & in corpus najeentìbus
infinuatur ; Cuì Juper cnteaElam atatem
j neminijjf nequimus f Interi iffe , c
ir qut nunc ejl , nane effe creatam * .
Nec vejìigia gejlarum rerum ulla tenemus l .-*• fi t-'Mope™ e Jl animi mutata potejlas
, Omnrs ut aBarum exciderit retinentia
rerum: No» ( ut opinor ) id ab Uto jam
longius errai . Quapropter fateare
neceffe ' eff , qu « fift ante , interìiffe
, . co col dire, che fenza giufta
cagione , ' la pura luce deli’ Anime da
Cielo in-. Terra/i traeflono , a
congiugnerti co’ tenebrofi corpi terreni
. Per quelle me- defimp ragioni Lucrezio
e’ fi avvisò, che 1 * anticipata
produzione dell’ Ani- me, e’I comun loro
nafcimcnto co’cor- pi , bollono due
ellremità , delle quali una vera , e 1’
altra falla ncccllariamen- te eflcr
dovefie . Onde mcllolì a con- vincere di
fallita il primo efiremo dell’
anticipato nafcimcnto , per quello che
1’ Anime congiunte , di andare cofe niu-
na memoria (eco arrechino al mondo;
conchiufe,che’i fecondo diremo del co-
mune, e promifeuo nalcimento dovefie
cfler vero: e per confeguente , che l’A-
nimc corporee doveflono edere ; e co-
me i corpi , elle ancora corruttibili , e mortali . Tutravia gli antichi Platonici co* loro profondi fenfi , c magnifici
par- lari , le minutezze , e le arguzie
degli Epicurei , picciola allora nazione
de’ Fi- lofofanri , aveano per nulla: e
col tem- peramento della reminifeenza-,
che ne -viva, ed cfprclla memoria , nc c
tota- 5 -' le oblivione ; e col
dimollrarc come-, l v ' l’antiche
notizie, col conjugio de’ cor- pi
porefiono effcrc ofcuratc; il prefen- te
argomento deludevano di leggieri . Ma
noi tra quelle eftremità il vero mez- zo
abbiamo apprefo, che 1 * Anime non già
co’ corpi , ne da’ corpi , ne per tan-
to innanzi a loro, ma bene in eflì nel
punto medelimo da principio ideale, a
mentale debbano effer create : e tutto
ciò dalla natura dell’Animo, c da quel-
la del corpo , e da una mirabile armo,
nia di natura , e di legge , e da ogni
parte del ragionevole umverfo compro-
vando; c’I vero del mirteto platonico
difcoperro,e la difficoltà di quello ar-
gomento abbiamo fpianata- Al
fecondo argomento , che è l* ulti- mo di
tutti ; dato , e non conceduto , che
ogni Uomo in morte fi dolga di mo- rire;
il che de’ vizioii Uomini, cui i vi-
fibili obbietti , e l’idee ofeurare, e gli affetti rapir fuo!c r è egli vero , e
non_» già de’ virtuofi , che colla
meditazion della Morte ogni fpecie , ed
ogni amo- re del prefente fecolo deporto
, vivaci idee , e acccrt affetti
nudrifeono dell’ invirtbile Mondo ; dato
dico, c noiu conceduto , che così dea la cofa , come canta Lucrezio; giuda i noftri principi rifpondiamo brevemente, che quel do* lore e* non è della pura intelligenza ,
ne dell’ Anima fola ; ma bene è del
fcnfo impuro dalla unione delle due
nature rifultante: ed è dell’ Uomo per
quella unione medefima codituito . Il
qual fen- fo, coll’ Uomo., eder mortale,
fol vie- ne a concludere 1 * argomento .
Al che Soluzione polliamo accomodare
l’acutezza di Lat- tanzio col dire, che
finche 1’ Uomo vi- mrgonunto. ve,
quando l’Anima è ancora nel cor- po
congiunta , c’ non è tempo di dover ella
fentirc la fua liberazione ; anzi più
tolto i languori, e le corruzioni corpo-
rali di quegli ultimi momenti le con-
vien fofFerirc: e quando I* Uomo è già
, morto, e’ non è tempo allora di poter
fignilicare il fuo fenlò . Sicché Lucrezio da ogni parte ingannato fi mife a dire: Db. Uh
.... quod fi immortali nofira fcret mens , * Non lavi f e morlens dijjolvi conquereretur : Sed mogis ire f mas , vcfiemque relinquere ,
ut anguis , Gaudenti frtlonga fenrx aut
ccrma cervus . fi 7 " : W Con
quella ftiedefima riTpofta , la va- nità
deirargomenro , che a’recitati ver- Dtmde c ! mo . li immediatamente va innanzi, li dimo-
fuafoivzione . * {Ira ancora . Dove dice
, che 1* Uomo in morendo, non lo
fceveramento dell’A- nima , ma il
diftruggimento (ente , ed avverte :1*
Anima non da un luogo all* altro del
corpo intera trapalare , ma_, nel Tuo
proprio luogo , come ogni altra parte
infievolire, e mancar lente appo- co,
appoco. Perciocché è da dire , che **
l’Uomo è quello che muore ; e di quel- '' la vita, e di quei fenfo, che dalle due nature rilulta, e’puo efifer vero quel
che e’ dice fentirfi , ed avvertirli in
quel punto; donde il patimento , c ’l
manca- mento , c la mortalità dell’anima
pura , e del fenfo, o intelligenza pura,
che niente di quello foflFrono , e
niente fentono,o avvertono , non dcefi a
niun patto ar- gomentare. Finché 1’ Uomo
vive, e fin- che l’Anima è col corpo
congiunta, il fenfo proprio dell’ Uomo,
e la vita pro- pria dell’ Uomo per legge
di unione è fol operante. E quivi lono i
mancamen- ti, e i profitti : e in quella
parte , di quella fono i fenfi, e l’
avvertenze, -«4 C c che fi fentono , o
avvertono . Se più rodo coll’ allegata
acutezza di Lattan- zio , che
propriamente contro a que- llo argomento
ritrovò quel nobile au- tore, non fi
vuol far difefa ; che ben_ può Ilare
. Sciolti a quello modo tutti gli argo- menti Lucreziani, perocché alcuni piti minuti, e leggieri, che o fono eftcnfio- ni,o particolareggiamenti de* più prin- f en f° cipali; o in qualunque maniera a
quelli JSf/. I* 1 rapportano ; ed altri
,che ad altro fc- , gno mirano, che al
punto dell* Immor- talità , inutile , e
nojofa opera farebbe a volergli
perseguire partita mente ; fciol- ti ,
dico, gli argomenti, e fatte le dimo-
llrazioni dell’ immortai natura dell’Ani- ma dell* Uomo, niente rimane, perchè non Ita terminata la prò polla Di Sputa . Ma tuttavia del fenfo degli Animali bruti conviene foggiugnervi un brieve ragionamento , per placare ogni Solle- citudine, ed affanno degl* ingegni
vacil- lanti, edubitoli. Imperocché
dalla co- mune , c volgare openione
nafeene-, pure un molefto argomento, o
fofpica- mento in contrario .
Concioflìachè la cognizione , che nella via del hlofohco inveftigamento fola ne fa lume nel ri- cercare l’immaterialità, e 1* immortali- tà dell’ Anima umana ; comunque , e qualunque a gli animali bruti li conce- da ; non pare , che in quel cammino pof- fa edere così ficura,e così fida feorta, come ella è in effetti . E adunque con ogni fludio da dimoftrare la fallita di quella ftolta openione:'il che altra via tenendo da quella , che finora han te- nuta i moderni Fifiologi , con altri ar- gomenti , *col favor di Dio , faremo fpeditamente . E’pare, che i difenfori dell’Immortalità dell’Anima ragionevole , ogni cognizione debbano difdire a’ Bruti ; ovvero colla cognizione conceder loro i’immareriali- tà, e l’ immortalità parimente. Percioc- ché dal dover 1* Anima ragionevole», effere immateriale, ed immortale, perche è di cognizione dotata, tanto può con- chiuderfi , che i bruti , perchè e’
non», fieno immateriali , debbano edere
di co- gnizione privi ; quanto che i
bruti ezian- dio abbiano ad edere
immateriali , per- chè abbiano
cognizione . Siccome gli C c 2 Epi- L’ opinion
volgare dit- / avori /’ Immortaliti dell" Anima-» delf Uomo
Epicurei, i quali tcgnono,che l’Animo
umano fi a materiale , non poflono , a—
mio giudizio , a’ bruti non donare alcu-
na Torta di cognizione: ne’ quali da una
parte veggono ordinate operazioni ; ed
a* quali dall’ altra non fi può negare—
qualunque più pregevole condizione, o
fpezie di materia. Ma con tutto ciò , co- me potrebbe agli Epicurei venir voglia di negare ogni cognizione a’ bruti, con dividere dal fenfo cieco la cognizione
-, c l’uno ad una fpezie di materia , e
l’al- tro ad altra fpezie aflegnare; e
lafciata l’inferior materia fenfuale a’
bruti , la miglior parte all’ Animo
dell’ Uomo ri- ferbarejcosì
de’partiggiani dell’Immor- talità , una
parte fi fon voluti lafciar con- durre a
concedere a’bruti cognizione, con
diftinguere più maniere di cognizioni: e
quelle così diftinte , come loro è paru-
to,tra l’ immateriale, e la material na-
tura , tra gli Uomini , e le beftie com-
partire. Onde non c da reftarfi in quel
-folo argomento, il quale nondimeno noi
tratteremo a fuo tempo; ma fa di me-
ftieri di una intera deputazione . In co- sì fconcia openione , e come farem
vedere dcre dappoi, a gli Uomini, ed al
fommo Dio ingiuriofa , più per forza di
pregiu- dizi 1 che per niun valevole
argomento fono eglino caduti . Nella
qual preoc- cupazione nondimeno , c
dalla quale», pofcia e’ fon giri
raccogliendo degli ar- gomenti : o più
torto le preoccupazio- ni , o i
pregiudizi mcdefimi han fatto contro al
vero, arme di argomenti. Or per
cominciare, ognun fa che 1* ingan- . no
de Volgari e non e altro, che que- de'isolg*
fto.Le operazioni animalefche fono el-
leno certamente diritte, e regolate co-
tanto, che il naturai diritto monaftico , quanto loro conviene , adempiono inte- ramente: ed al focicvole domeftico,ed infino al politico ancora in alcune fpe- zie pervengono: lafciando ftarc mille», varj particolari ingegni di operazioni in quelli , e quelli animali , che fan- no le maraviglie del volgo . Adunque per quel veriflimo principio , che ogni ragionevole azione dee da ragionevo- le principio provenire ; tantofto fenza», niuna difamina , a quelle cotali opera- zioni interno principio di cognizione», hanno eglino attribuito . E ficcome que-fio lo pregiudizio è di fuori venuto dalle cofej così dall’altra banda, da eflo Uo- mo , e dalla di lui natura, e fua manie- ra di operare un’ altro n’ è Torto nien- temeno del primiero faftidiofo . Giacché il fenfo a’ bruti in ogni modo fi dee- concedere , e’1 fenfo proprio dell’ Uo- mo nella cofcienza di ognuno fi dimo- flra edere di cognizione illudrato jquin- . di eglino, che’l fenfo altresì degli
ani- • mali di alcuna cognizione fornito
etter debba, han creduto . Per parlar
prima di quello fecondo pregiudizio ,
che han- no i Volgari in conto di
gagliardo ar- gomento, e che del primo
può di leg- gieri più prettamente
fpedirfi; batta ri- cordare, che alla
coftituzione dell’Uo- mo due diverfe
nature concorrono . Per la qual cagione
, come delle due fo- ftanze un folo
ettere , che è 1 etter pro- prio
dell’Uomo rifulta ;così parimente de’
due generi di operazioni , che a quei
diverfi principi rifpondono , un folo
operare , che è il proprio operar dell’
Uomo di amendue quelle proprietà do-
tato , dee provenire : ciò che in più
luoghi di quella Difputa, e nella soluzione degli ultimi argomenti
abbiamdi- moflrato . Donde, che ’l fcnfo
dell’Uo- mo e’ non Ha Tempi ice, e puro
Tento; e che la cognizion del medctìmo
non pu- ra , e Tcmplice cognizione ella
ila ; ma che quello con alcuna luce di
cognizio- ne , e quella con alcuno
adombrameli- . to di TenTo , efler
debbano , argomen- tammo .Giuda quel
noftro veriflimo di- viTamento, Ticcomc
chi dalla cognizio- B contórni ne dell’
Uomo inTcrir voletTe , che le jenfaiTf^fo
cognizioni degli Tpiriti puri, Toflon elle furo jènzj^ altresì commifte di TenTo , per non po-
f^orìtroije ter capire , che cognizione
Tenia ogni TenTo Ti poffa ritrovare ,
egli in grande errore fi abbaglierebbe r
così parimen- te va errato colui , che
dal TenTo dell’uomo argomentando , il TenTo anco- ra delle bedie voglia credere , che
fia_. con cognizione congiunto, per non
po- tere intendere , come TenTo Tcevro
di ogni cognizione rinvenire fi potTi .
Se nell’ Uomo Tolo le due nature
convc- gnono infieme ad edere, ed
operare: e " , fuori dell’ Uomo e’
non è altrove in al- ~ tra Tpezie sì
fatto mefcolamento :e per cotal cagione
è nell’ Uomo il TeuTo mi- do fio di cognizione , e la cognizione a_# rincontro è comporta di fenfo ; e’ pa- re per Dio una chiariflima evidenza , che fuori dell’ Uomo , come cognizione non può efferc fe non pura, fenza niu- na nebbia fenfuale ; così fenfo non pof- • fa avervi non del tutto cicco , fcnza_* ogni lucidezza di pognizione .Da tutto ciò chiaramente fi comprende , che.» quanto il fenfo limano agl’ inconfidera- ti c occafion di errare , e di credere-, ' ' che il fenfo de’ bruti è a quello
dell’ Uomo fimigliante ; tanto è chiaro
ar- gomento a’ più fenfati di tenere
per fermo, che come la cognizione del
ge- nere puro fpirituale, perchè non è
co- gnizion di Uomo, non dee erter fen- fuale : così il fenfo del puro material genere , perchè non è fenfo d’Uomo, non può erter luminofo . Intorno a che egli è affai da maravigliare ,che i Vol- gari Peripatetici , ed i Cartefiani ,
fono i g iriejìa- eglino da una medertma
cagione fta- ri fofpinti in diverfe
eftremità di erro- iia vmcÀgton ri
eftremamente contrarj . Imperocché
medejìtna fi - gjj un j jC gjj a |tri fedotti dal fenfo urna- trarfinorT. no , credendo non mai poterli
fenfo da cognizion feparareji primi per non tor- re il fenfo a’bruti , la cognizione ancora 1* han conceduta : e i fecondi per non donare a’ bruti cognizione , il fenfo
an- cora P han tolto . Le quali eftremc
ope- nioni noi ugualmente falfe
riputando , liam venuti a quello, di
dover fepara- re quelle due facoltà, per
lafciare a’bru- ti il fenfo folo, ed
alle pure immateria- li Portanze la fola
cognizione . E tanto balli aver detto di
quello fecondo pre- giudizio , per
torgli ogni forza , non fo- lo di
argomento per convincere , ma_. ancora
ogn’ illulìone di pregiudizio per
preoccupare . Ma quel primo ha egli
per le Menti degli Uomini fparfe tene-
bre più denfe, e più univerfali :che di-
cemmo già eflcr nato dal vedere gli
Animali bruti, diritte , e regolate,
ragionevoli operazioni produrre ogni
ora . E intorno a quello , onde , come
fopra abbiam notato , falli ancora il
principale argomento loro , dee rutta
la feguente Difputa aggirarli, in dimo-
ftrando,che altra cagione vi lia del di-
ritto, e ragionevole operare de’ bruti ,
che quella delP interna cognizione . B
. D d pri- no Epicurei Jo-
bachè la Mente, e la Materia colle io-
migliante. ft anzc>c co’modi loro nell’Uomo con- venendo abbian gli Epicurei medi in__. confusone ; per modo che eglino la_> Natura immateriale, che è il principio intelligente, annullando, han 1’ Anima dell* Uomo tra le pure materiali fpczie annoverata: e i modi mentali , e i mo- di, e foftanze della materia, negli ani- mali bruti avvenendo, abbian confufi i Volgari ; (ìcchè fpiritualizzata , diciam così , la materia , V Anima delle beftie nel ruolo han meflfa delle foltanze co- gnofeitive. Perchè nell’Uomo, da una parte la fola materia è al fenfo riguar- devole ; c dall’ altra le mentali opera- zioni,che ficemorrfi n'dta' cofciùiiza ,Co’ modi, e moti materiali , e loro vicen- de , e variazioni procedono ; i fenfuah Epicurei -han creduto, che la Materia a tanta finezza, e attività ,e ingegno per- venga , che poffa ella efler principio dell’ umane cognizioni . B i Volgari , ne- gli animali bruti, perchè la materia de* modi
... . 4 ' prima è bello il
vedere, che 1* inganno L 1 instino j c ’
volgari Peripatetici è a quello de- de
luefloVeJi gh Epicurei aliai fimigliante . Conciof- 2ii
modi dell’arte, e della feienza menta-
le ornata , cd ordinata , veggon produr-
re ragionevoli opere da una parte : e_,
dall’ altra al Colo Uomo , come è dove- re , concedono immatcrial principio in- telligente: fono eglino perfuafi,che la materia porta in alcun modo e/Tcre prin- * cipio di alcuna cognizione. Nella qual cofai Volgari per certo più bruttamen- te errano di coloro . Imperocché gli E- picurci , negata una volta la natura^ immateriale , che è tutto il loro
errore, concordan poi con feco rteflì ,
e giuda i proprj principi da prima
preferitti, profeguono a dire, quanto
poi afferma- no appreso dell’Anima
dell’Uomo. Ma i Volgari da’ loro principi
ben lungi fi dipartono , c apertamente
fi contradi- cono: quando , concedo che.
vi fia na- tura immateriale , c nell’
crter principio di cognizione la colei
eflTenza riporta ; pure ne’bruti alcuna
cognizione poi do- nano alla materiale
per colorir Tinca danza, e mitigar la
contradizione ; nuo- ve fpezie di nature
immateriali , e nuo- ve fpezie di
cognizione a capriccio poi fingono .
Dalla qual cola il comune aiv D d 2
go- gomcnro è tratto di coloro, che
niega- , no a’ bruti ogni qualunque cognizione: il quale argomento allegheremo noi po- fcia, fé avremo tempo, e luogo opportu- no di farlo . Ora alcune più rimote , e più gene- il fenfo i ra jj confiderazioni ci deono
condurre uniforme, a quelle f che piu
vicine tono , e pra proprie del
propofito noftro E in ogni modo in primo
luogo fi dee efplicare , come il fenfo,
o natura fenfuale è una, ed uniforme ,
che tutte le maniere , e , forme delie
fenfazioni in quella unità , ed
uniformità comprende : che medesi-
mamente è il fuo edere ampio, ed uni-
versale, qual’ è, ed efler dee ogni altra natura comunella qual verità bene in- tefa , non fi può dire quanta luce fia per arrecare a quella ofcuriflima quiftione
. •Adunque fiocone la cognizione , o
ra- gione , o natura ragionevole tutte guife, e tutte le forme di ragionare 'in una uniforme unita, ed univerfalità con- tiene, infino a perfetta luminofa Scien- za, arte, e legge ragionevole ; così al termine di perfetta material feienzà , irte, e legge fenfuale*, da fimigliante_ • w « v principio uno , uniforme , e
univerfa- ie il ienfo eziandio fi
conduce . Alle quali due nature giacché
con Peripate- tici, e non già con
Epicurei ora depu- tiamo , dobbiamo
aggiugnere la natura intelligente ;
quelle tre nature a que- llo modo
ordinando . Che la pura In- telligente
nella fua immobile uniforme s! unirà ,
tutte le intellezioni di tutti gl* uè
intelligibili accolga fenza vicende , e Nature , /«- lenza variazioni: c che l’impuro Senfo
^onroole^e tutte le fue proprie varietà
di fentire , Scnfualt . in una mobile ,
e divifibile unità con_, moti , e modi
con perpetuo flufio va- rianti , debba
contenere : E la natura ragionevole
polla in mezzo al fenfo , ed alla
intelligenza, moti fenfibili , e lumi
intelligenti inficmc congiugnendo* tut-
te le fue particolarità Umilmente in fe
aduni, fino al fine di perfetta feienza , legge , ed arte ragionevole . Sicché 1* In- telligenza fia ciò che ella è , fenza
mi- llura di fenfo ^ il Senfo fia il fuo
pro- prio edere , fenza ogni luce d’
intelligenza : e la Ragione così abbia le fue
proprietà, che mefcoli infieme col tor-
bido fenfua le , il chiaro dell’ intelligenza. Due fonimi
generi , P uno dell ’
effere—» terilene feltro dell' ejjer
immagine reale, che non è propriamen-
ove fi ritruo- f c quella, o quella fpezie particolare . v ’-> ed mela Così flando elleno quelle
cofc , ad in- ' ìarila > . aiUC0 '
tcllerti metafifici cotanto chiare, quan-
to più non fi può dire, P Intelligenza (
la Ragione, e ’l Senfo fono ciafcuna una
unità uniforme , efprelfiva , e raflomi-
• gliativa di quell’ elfere , ed a quel mo- do, eh’ è a fe convenevole. L’ Intelli- genza è un Siiiogifmo già perfetto ,che con totale penetrazione , e con cccelfi- va chiarezza comprende Puniverfo ef- fere intelligente lenza ombre, e lenza vicende . La Ragione, o cognizione uma- na non è ella altro , che un argomcnto: cioè
una poterti, o facilità, per co- * sì
dire , di rtllogizzare , che tutto l’ertere
ragionevole va a conchiudere con vi-
cende, ed ombre . Secondo che noi nel-
la noftra metafilica abbiamo rtabilito,
la ragione dell* Uomo, ella non in altro
modo giugne a conofcere gli obbietti ,
che argomentando dalle minute, e roz-
ze loro fimilitudini ; ed indi le intere , e più perfette immagini riproducendo, ed efplicando . Ella adunque ertendo co- terto Colo crtere di argomento, che è erte- .
Cfme r/tm re ideale , ed efprertivo ,
uno , unifor- e£?mto“ em- me ,
penetrevole , uni verfale: viene con ten £ a tutt^ ciò a potere efprimer tutte le differen- ze , e forme ragionevoli, una rimanen- do , ind irti nra , indivifa , con quell’
una unità efprefliva, argomentativa. La Ragione,
tutto ciò che le rt apprefenta con argomento in fc raccogliendo , e fe medefima, c ’l fuo fenCo , e le fue percezioni , e cogitazioni penetrando , c includendo , tutto il novero apprende
. delle forme, che T appartengono .
Così il fcnfo,col contatto, e col
conciglio, Comelffen- e confenfo della
più fin 3 ,e più valente E e porzione
della materia in quel modo r che noi già
dichiarammo, divenuta pe- netrevole, le
azioni, e le significazioni de’
fcnfibili obbietti , ed eziandio degl’
interni appetiti con incredibile agevo-
lezza , e virtù raflbmiglia : ed iniicme
per adattati canali , con abili dromenti
produce operazioni ad ogn’ interna-, r
ed edema lignificazione corrifpondenti .
il Senfo è Egli è il fenfo come un materiale argo- argomento* mento; cioè una elprelhone , e
riprodu- zione, con che la più virtuofa
parte del- 1* • . la materia raccoglie
in fé tutte le par- ticolari , minute,
ed imperfette lignifica- zioni , ed
azioni materiali .. A llmiglianza della
natura intelligente, e della ragione-
vole alTai più, il lenfo ancor efìfo è una efprefliva ideale unità materiale , uni- forme , ed universale: e cotale ella ef- fetido , le varie maniere dell* edere
Ten- ibile dee tutte produrre , fino a
poter pervenire a perfetta faenza , legge
, ed arte fenfuale. L’intelligenza ella
è pur- gata da ogni grettezza, e
impurità^, ed c libera da ogni mutamento
, di pure t e lucide notizie conteda in
una amplif- ^ ->•*«* •; • - ima *
- S*V-'VT & ♦ {ima faenza deli’
ogni effere intelligi- bile. Il fenfo è
impuro, variabile, tcne- brofoj e
nondimeno con cieche idee , e
combinazioni , e fillogifmi conchiude
Tumverfa materiale erprclfione , e pro-
duzione d’ ogni fenfibile obbietto . La
cognizione , o ragione di fenfo com-
mifta , e di lume d’ intelligenza , per
convenienti idee , e componimenti , e
per fillogifmi fi raccoglie in una ben
ampia fcienza lucida argomentativa .
Siccome la fcienza ragionevole è pene-
trabile, e inclufiva per interne comu-
nicazioni , e produzioni ; così il fenfo
egli è a fuo modo pur penetrevole , e
inclufivo per finezza , ed agevolezza di
materie, e moti . La fcienza ella è un*
ampia forma univerlale del vero ragio-
nevole , piena , e feconda delle ragio-
nevoli forme , fino alle più particolari, ed eftreme : c’1 fenfo è umvcrfal for- ma del vero fcnfibile , con ferie di li- mili forme fubordinate , potente a pro- durre tutte le guife delle fenfibili ope- H
&& è razioni. Il femo e della
corporal natu- cieca-. ra come una fcienza
cieca : come la_- •frtowdco- fcienza è
della natura incorporale , per fumìmfo.
E c 2 Così dire, un fenfo luminofo. Poflfono adunque i Volgari Filofofanti fé non-, credere, fofpicare almeno, chele in- finite combinazioni , e fillogifmi
ciechi de’ principi, o elementi, onde il
fenfo è coftituito, vaglion di per fe
foli , fen- za niun lume di cognizione a
produrre tutte le ordinate azioni
fignificati ve , ed operative degli
Animali . Cotefte-, '; r v tre Nature,
ciafcuna di per fe feparata- mentc nel
fuo proprio regno , hanno elleno
perfetti principi operanti . Ne all*
intelligenza e* fa uopo ne de’ pro- cedi
della ragione , ne delle macchina- zioni
del fenfo . Ne il fenfo , o degli
{labili comprendimenti dell* intelligen-
za, o delle lucide argomentazioni della
ragione abbifogna . Ma nell* Uomo ,
nel qual folo due nature convengono,
fenfo, cd intelligenza e*fi mefcolano in- fteme : e come le turbolenze fcnfuali ^rToffufeano la luce della cognizione ;
co- fienìt la cali- sì i chiarori ragionevoli
illuflrano la«. frJIAZ caligine del
fenfo. dell' intelii- Cosi dette quelle
cofe , più per after- & enza • ger
loro il malnato pregiudizio , che per
convincergli del tutto j rivolgiamo ' ‘
ormai il fermone a quelle, che maggior
forza di argomento ne pare che deb-
bano avere. Benché ne il pregiudizio e* v ’. V * •. fi è potuto combatterete non in alcun ' modo argomentando ; ne argomento niuno fi potrebbe adoperare, fé non in qualche maniera contro al pregiudizio combattendo ; ne altronde parmi po % ter meglio cominciar quella parte , che dalla famofa definizione Ariftotelica^ della Natura, la quale i Volgari di lui 'feguaci malamente interpetrando , di- fcreditano ; e i meno feorti moderni affatto non intendendo , deridono. Per- ciocché il fecrcto di quella
mifleriofa_, definizione difeoperto,
tutta affatto dif- fiderà la nebbia del
Volgare abbacina- mento. Lafciata Ilare
ogni altra cofa , che dir fi potrebbe ,
per efplicar quel- , la definizione ,
che qui non è uopo; io \ à d'^nìziow
porto ferma openione,che quel Filofo- Arìj tot elicne fo , quando e’ diffe , la natura effier prin-
u 1 A cipio di moto , e di quiete ; che
egli , * allora intefe infinuarne di più
la comu- — nicazione , e la diftinzionc
, che infic- ^ mementc la Natura ha
colla Scienza , e coir arte . Sono
certamente Natura, Scierà Scienza, ed Arre tre primarj principi , natura - j c h e ogni genere di forme
compiono Jnejcnò t , e 1* univerlità
delle cofe. La Natura mo- l?' n yù.i
timi vendo , o producendo : che produzio-
L-nivirjo c moto £ C omc più giù dimoftrere- mo)fonó una medefima cofa. L’Arte componendo , e formando ; e la Scien- za penetrando , e intendendo . La Scien- za generalmente confiderata , altro non è ella che principio di cognizione: fic- corae 1’ Arre pur prefa in generale , e* non è che principio di formazione. La Natura, ne di formazione come l’ Ar- te, ne di cognizione come la Scienza; y mafoldi moto, e di quiete e principio. Quella diftinzione di quelli tre princi- pj additar volle il Filofofo in quella fua diffinizione con ifceverar l’Idea ,
e ‘ l’elTenza della Natura dall’ idee,
ed ef viV'X fenze della fcienza,c dell’
Arte; e con rillringerla alla lua
determinata proprie- tà. Ma fono
nulladimanco quei princi- Comunìone di
pj tra loro inficme comunicanti , co-
fueì trefrìn* mG dalla defìnizion medefima è facile c ' iJ ' argomentare. Perciocché, nc l’Arte
e’ può di niuna formazione elTer
princi- pio ; nc la Scienza di
cognizione senza virrìi di produrre, che e la Naturar e Icambicvolmente nella Natura è in- ficine Ja feienza , e 1* Arre ; perchè
a_, niun patto c’ porrebbe la Natura
cfler „ principia di produzione fenza
idea , e regola, e modo di produrre ; il
che è cfler Scienza, ed Arte . Quanto è imponibile
, che v’ abbia alcun produci- mene di
cognizioni foie n tifi che r e di forme
artificiofe fenza potere di pro- durre:
altrettanto potere , o virtù nin- na e’
non può eflervi fenza modo , o regola di
produzione . La feienza , T Arte fenza
virtù di produzione fa- rebbono (lenii r
ed infruttuofe per im- potenza, e fi
rimarrebbono in una ofeu- ra, e tenue
generalità di fapere . E la Natura fenza
via , e regola , farebbe., per tumulto ,
e difordine di parti , e di moti ancor
ella infeconda , e rollereb- be in una
fparuta , e informe comunità d* edere .
Tanto la Scienza, e 1’ Arte ; quanto la
Natura , come è ben uopo t hann* elleno
potenza, ed atto, de* qua- li come di
due neceflarj principj fi com- piono. La
potenza dell* Arte , e della Scienza è
la virtù producente ; 1* idea T o
for- V i*.
o forma ,o regola è il di loro atto . Per contrario la forma , o regola, o idea è la potenza della Natura ; e ’1 fuo atto è la virtù produttiva , L’ atro proprio 'QuùIJùl^ d e i| a Scienza è la potenza della
Natu- f unita della K Natura* qua- ra : e 1 arto proprio della
Natura e la le de ! i ,i s I icn potenza
della Scienza, e dell’ Arte». ili /f* *
| • r • con bel reciproco lovvenimcnto
j foccorfo . La Regola , o idea ella è V
u- nità della Natura ; la qual fottratra
, difturbafi l* adunamento , e ’l
confenfo delle parti , e de’ moti ; onde
la Natu- ra in molte, e varie parti, e
in molti, e difeordanti mori fi frange
fi difper- de, che nulla producono . L’
unità del- la Scienza, e dell’ Arre è
egli il potere di Natura: il qual tolto,
la comunica- zione, o inclusone
s’interrompe : dal che 1* Arte , e la
Scienza in molte , e varie idee
^.cogitazioni fi fmhiuzza , • che nulla
conofcono, ne formano. Ma tuttavia. è da
notare, che 1* edere , c *1 potere della
Scienza ,e dell’Arte, quan- tunque egli
è foftanzievole , e natura- le, cfler
dee nondimeno inclufivo , pe- netrevole
, e Iuminofo: che altrimcnte la Scienza
, e l’ Arte con edere , e con po- vi *
'■l 1 za . - • ‘:\v j
xfcr* ui, ^ r*v.'
V * • * 1 - ,jr * tv* ‘ *gj -, NpJ
- - -V S •'i
*#• - ; - La Scienti 'una N aura Aquella fcientifiche , c quella
artificiofe, con edere, e con potere
penetrevole , lucido, inclufivo.E la
Scienza coll’Ar- te, non vuota, vana ,
fpoflata , fantafti- ca; ma è reale,
vera, piena, collante , poderola , per
edere , c per potere di reale
follanzievole natura: nel che l’E-
ternità della Scienza , dell’ Arte , e del- la Legge è locata : la qual cola , dopo "lunghi contraili, e’ non han potuto
net- tamente difpiegare i Volgari . E la
Na- tura non è ella informe ,
irregolare^* difordinata ; ma è formofa
, ordinata , diritta , per idee , e
regole di verace , e falda Scienza, ed
Arte : nel che la fem- piternit'a dell*
Universo è ripolla, che_* i filosofi del
GIARDINO intendere giammai non-, han
voluto. Quel che al prefente rile- va è
, che con quanto ho detto della.» •
Natura , e degli àTtrf due principi , io
fon venuto a dimollrare , che le ordi-
nate , e ragionevoli operazioni della^
Natura particolare degli animali bruti,
come quelle della Natura univerfale ,
deono poter provenire da principio in-
terno di Scienza, ed Arte cicca .
? E perchè il maravigliofo potere delle idee cieche , che alla Natura
abbia- mo attribuite, finalmente tutti
ricono- P!ìt fpezie lcano; egli è da
notare, che oltre alle ^^ orme forme
reali delle cofe, che già fono in
eletto, e fono a’fenfi nortri manifefte,
e vi ha altresì delle forme ideali , che- così appelliamo , divife in tre diftinte •
- Jpezie, o più torto in tre ufficj
diverfi. Il primo egli è dell» ideali ,
come lor di- cefi plaftiche , dalle
quali generalmen- te a formarli, ed
efplicarfi vegnono le reali . Quello
genere è egli principal- mente riporto,
e chiufo nel feno degli elementi ; onde
nella prima origin lo- ro , Erbe, e
Piante , e Animali ufeiron « fuori alla
lucè : ed al prefente ancora non di rado
ne avvengono novelle pro- duzioni . E in
fecondo luogo le mede- lime ideali ,
nelle fortanze delle cofe- per tutte le
fpezie elle ferbanfi invol- te : donde
ogni cofa può produrre il lì- mile, e
propaginar la fua fpezie. Il fe. condo
genere è dell’ ideali , cui noi di-
ciamo lignificati ve , che fpiccanfi dagli r&jt obbietti, e a rapprefentar vegnono a’ V
Maini- iioltri lenii tante varietà di
colori e di rettrici f ono forme ,
quanti già ne veggiamo . Il ter- tt Pi •
Ffa zo , che fa al propofito , è dell’ ideali di- ?** rettrici fopra tutte 1* altre di
fommo valore, e pregio, che il fovrano
uffizio hanno elle di reggere i moti, e
le ope- razioni . La Natura di tutti e
tre quei . ! generi d’ Idee eflfer dee
fornita: del pri- mo, e fovrano delle
direttrici ; affinchè i movimenti fieno
regolati, profittevo- li, e fruttuufi:
del fecondo genere del- le plaftiche;
affinchè le forme, o fpe- zie delle cole
fieno durevoli , utili , e- gradite : e
in fine del terzo delle figni- ficative
; per fomminiftrare al fenfo ac- conce
lignificazioni , ed efpreflìo ni , on-
de fi promuovano le operazioni, e le—
comunicazioni delle particolari nature
infra di loro fi compiano. E ritornando
alle direttrici, è affai ragionevole pen- famento,che cotali Idee ne’ corpi Ce- lcfti , e ne’ loro fiti , ed afpetti , c mo- vimenti fien ripofte . E non per altro , che per quelle tre Idee moderatrici è da credere , che il Mondo , magnimi-, KtlU Kd Animai fu da Platone appellato.
Nella tuv * fenf uale particolar Natura
del fenfo e’ ci ha_. ètuualapcr • fut t;
a perfezion della Natura Univer- si 0 *
natU " fale *. Oltre al fommo potere, ed al perfetta fetro concilio de’ principi coll’ idec_, plaftiche , e fignificative , avvi anco- ra la fovrana regola delle idee diret- trici per Io governo della vira. La Na- tura fenfuale ella è (opra tutte le cor- porali nature perfetta, e Copra tutte lì avanza ad imitare la Natura Univerfa- le: ficcome V Uomo,’ nel quale tutto il filloma del fenfo , fornito d’ ogni ma- niera dMdee, egli è oltre ciò governa- to dall’ Idee lucide ragionevoli , Copra tutte le terreftri foftanze rafTomiglia_, 1’
Univerfo me de fimo illudrato dall’ in-
telligenza della Mente Unìverfale . Or
poiché è neccflario , che negli Animali
bruti vi fin (ufficiente provigione d’idee direttrici ben ordinate ; per qual ca- gione e’ vi richieggono di vantaggio il reggimento delle cognizioni ? Non fo- no forfè l’ Idee cieche direttrici bade- voli a moderare 1’ arruolo moto del fea- fo ; e fecondo i movimenti interni , o fecondo l’eftcrne lignificazioni , non_» fono elleno valevoli a produrre quelle, e quelle ditcrminate operazioni ? Co- me potranno- le plaftiche idee diftribui- xc il chaos della Materia fcminale,, e-,
reggerne i moti per generar erbe , ed
alberi , ed artificiofiilìme forme di Ani- mali ; e non varranno le direttrici a. moderar l’azioni, e i moti fcnfuali per confervare la vita^E egli per avvenru- ra il fatto della confervazione della
vi- merzio tra ta P*u ingcgnofo , e piu
artihciolo del- jiicbe ? 7 e f° rrnaz '
one medefima ? Egli non ci ideejìlnifi-
ba tra quelle due fpezie d’ idee di-
eative. rettrici, e plaftiche , fomiglianza , e_ comunicazione, e commerzio si fatto , che l’impreflìoni talora delle plaftiche '
pervengon fino al fovrano feggio delle
lignificazioni, e direzioni, e quivi figni- ’• ficative, e direttive divegnono ; ed
al- lo ’ncontro le figure delle
direttrici , e lignificati ve difcendono
giù al luogo del- le generazioni , e per
così dire, plaftico - w ingegno, e
potere acquila no ? Siccome la mafia
dellgk^a*e*i*,dà*i»m così, ge- netliaca,
è egli un indigefto , e confufo chaos, e
in certo modo indifferente, e indeterminato
, che'' nondimeno l’idea plaftica
diftingue , dirermina , e forma fino a
perfetta generazione; così il mo- to
fenluale è propriamente indetermi- ' -
nato, e indifferente, e come confufo, e indigesto chaos,che tuttavia 1* idea
diret- trice dee poter diftinguere , e
formare fino all* intero governo del
vivere ani- malefco . Egli è fopra ogni
altra cofa da por mente, che il moto del
fenfo è della più preziofa.,e più
agevole mate- ria; ed c il più vigorofo,
ed efficace tra tutti gli altri, Tempre
pronto, e fpedi- to , ed operante: e che
1’ idee direttri- ci del medefimo fenfo
fono vivaci, ed efprefle, e ben
ordinate, e compiute ; cioè per diftinta
, e lunga ferie fono in sì fatto modo
compartite , che da cer- te più ampie, e
generali, che in una, prima , e
principale , ampliffima , ed unr-
verfaliffima idea fono accolte , tutte l’al- tre minori procedono; e quefte medcfi- me infra di loro 1* une dall’ altre , da quella prima comuniffima idea fino all* eftreme, e particolari ordinatamente di- pendono . Òr egli efleiido nell’animale, da
una parte quel virruofo, e per- petuo, e
univerfal movimento; e dall* altra quel
ben fornito , ed ordinato reg- gimento
di efficaci idee ; qual’ altra 'co- fa
fia uopo , perchè l’animale poffa^
agi’inrerni incitamenti del fuo corpo,
w ed agli efterni de’ corpi circoftanti re- golare le operazioni, di che la vita ab- bifogna ? Siccome fciocchiflìmo penfa- mento c* farebbe di chi alla virtù fen- iuale , altra forza d’ altra potenza ag- giugner volctfe, per muovere l’animale ; cosi
ugualmente , a mio giudizio, vaneggiano
coloro , che all* intera , perfetta
regola fcnfuale , altra regola d’ altro
ingegno vogliono fopra porre-. JtJèZjòT*
P er governarlo . Il fenfo è vigorofa vir-
tù motrice, per idee cieche direttrici,
valevole a produrre ordinate , e pro-
fittevoli operazioni . Quindi raccogliefi bene effer dovere, che 1’animai bruto, che è indocile , nafea addottrinato di quanto ha a fare per fua difefa : e per contrario l’nimai ragionevole, che è docile , imperito , ed indotto de’ Tuoi f affari e’ convien chfc nafea al mondo
, Poiché ridec del Bruto e’ sono
corpo- Ter qual co- rali , e cieche ;
deono elle con tutto rottone- 1’
apparecchio della materia, c con tut-
vnie rufea in- to il lavoro delle forme infiemementeT dotto, effer trafmefTe per via di
generazione: , Siccome l’ idee
genetliache, di fimil fat- ta, tanto
nell’Uomo quanto negli altri animali , non per difciplina fi appren- dono , ma bene per naturale operazio- ne fi fommimftrano . E poiché tutte.» ridee dell’ Uomo fono lucide , elle di neceflìtà colia luce delia cognizione, T una dietro all’ altra , e dall’ altra
l’una efplicandofi , crefcer deono a
formare la feienza . Per rimontare ali’
altezza.» de’ primi principj , di che
largamente nella fuperior Difputa fi è
favellato, la. Mente è ella in fe , e
con fe medefi- ma , ed è in fe , e con
feco operante : il perchè 1 ’ Uomo di
Mente dotato , a quella guifa operando
,- fe medefimo infegna o nella Mente
univeraale, o nella universal materia ,
da’particolari a gli universali, e da quelli a quelli discorrendo ; e in cotal
modo arti inventando, ed esplicando scienze,
ed iftorie teflendo . Ma il SenSo cicco
materiale , da ogni altra coSa e in Se , e
per poco da Se fieflo diviSo, e non può
fermamente in Se , e con Se operando come fa la ragione dell’uomo,
insegnare Se medefimo : e perciò con tutte
1’altre forme, ed operazioni , e lavori
materiali , unicamente per gencrazio
G gne efler dee formato, ed idrutto . Erme de * rano b cn dj m olto i
Volgari , che vo- ogc,u ' gliono
l’animale addottrinato per qua-
Erroredìal - lunque cognizione . Errano eziandio fan/ *•
mcdefima debbono immediatamente
procedere . Ed in ciò egli è ben latto
éeU’Vom* avvcrtire » che la Mente deli’ Uomo la Materia da una parte; e la Materia
univerfale-* jeZnoUtrfn- ^ a ^ l{ d rr3
> cileno amenduc affettano il creato
. primato, e’1 principato dclfc cofe . La
Mente dell’ Uomo per 1’ indifiolubil
m ncflTo della penetrevole , e comuniche- vole identità, per la quale in alcun
mo- do ella da fé procede, c in fé
ritorna, e in fé ripofa; avendo
principio, mez- zo, e fine
infeparabilmente connetti in una
indivifibile, reale unità; e per l a .
quale è ancora a Tuo modo proporzionevolmenro ampia, ed univcrfalc : e
la materia per la fua ampiezza , ed
uni- verfaliti , onde ogni efifere del
fuo ge- nere abbraccia , c contiene ; cd
onde * ^ in alcuna gnifa , una ,
penetrevole, e comunicante f! fa vedere . Perciocché a fondare il fourano primato , e principi-
t to dell’ efifere , due cofe infieme
concor- rono ; Luna è I* identità , che
invinci- bilmente unifee tutta l’ettenza
, o fo- flanza, e tutta in ogni parte
rendela a -fé medefima infittente, e
prefente: l’altra c l’ ampiezza , e contenenzjuwrit'er- fale , che ogni eflerc dentro di le di - ogni genere largamente comprendevi anzi primato, ed univerfalità e’ paioli di eflerc una medefima eflenza ; l’ univerfalità per efler prima, e
(bura- tta , ella è uopo , che all*
ampiezza ag- giunga r identità de’ principi
; che il tut- to alle parti, e quello a
quello infepa- rabilmente connettendo,
arrechi verace contenenza - E così
eziandio identità, c primato pajono
flmigliantemente una fola cola ; ma e*
fa di meftieri, che l’iden- tità, col
neflo infolubile dell’essenza_. abbia
infleme la contenenza. ili ogni ef-
fere, per efler perfetta, prima, e po-
derofa, e con perfezione, pienezza, e
potenza efler prima, e fourana . Orla
Mente deli’ Uomo per I* identità de*
principi, che feco adduce alcuna università : e la materia mondana per l’univerfalità
, che pare aver fe.co alcuna comunicazione, elle ambiscono il principato delle
co- fe appreflo degli Uomini ftolti .
Dal che begli nella fisiologia Torta l*
opinio- ne dell’ eternità del Mondo , e
quella dell’ autorità , e del potere
della Fortuna , ed ogni altra Scempiaggine, che fa produzione delle forme ideali, e reali, umane , e mondane fottragge all’ Idea divina : ed indi altrefi nell’Etica c egli
de- rivato il pregio del fallo , dell’
utilità, e del piacere, che colle frodi
, e colle violenze introducono nelle
Civili focie- tà la peftilenziofa
Tirannide . Ma l’una, e l’altra nell* intelligenza
de’ dotti da quelle alture nel più
infimo luogo, cia- fcuna del fuo genere
fono fiate ritrai te ; conciolfiachc la
Mente dell* Uomo fenza la vera, e piena
univerfal conte- nenza c ella rifirctta,
e circol’critta da ogni lato , minuta ,
angufta, povera ,ed impotente, c di
minute, c varianti, e caliginose
cogitazioni , e idee fol pre- veduta :
Sebbene ella per forza della r
penetrevole identità , e lumi , e Segni
della Mente uTTiVeffale , e dalla uni- .
verfal materia ricevendo , può b.Z »
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Vi V ,. ingegno
Mentale può ella, forma, ed ordine, e
bellezza, e forza acquifere Così la
Mente dell’ Uomo , 1* uni verfai eflere
e fapere , che è 1» ogni eirere , c ogni
fapere , fuori di fe avendo ; e di la
fatta accorra di edcr ella piccio- ni
porzione , e fottil produzione di quell
ampia umverfalità ; e la Materia avendo
fuori di fe ogn’ idea, che è ogni
ingegno , e forma , ed arte ; ben ella lì di- moia e/Tere una partecipazione , ed un limuiacro delia verace prima univerfal torma. Con che elleno, non già il va-
Doppio». no lantafima del loro fa4fo
pnncimrn «omento del che creano nel
fenfo degli ftolT; maj del vero
principato della fovrana Men- te divina,
doppio, rubufto,e luminofo argomento fom
mi ni Arano; quella colla cognizione , e
quella colla significazione : quella col conokere, indiritta ver- • fo 1 ogni fapere , ed ogni elTere , onde procede; e quella col lignificare, addi- tando il medelimo ogni elTere , ed o"
,w,r, a.- flf-ft * - •’.V*
K -•'Ve : vacuità» e difordine e tumulto c deformità» e
infermezza, cd ogni inutilità, e danno sbandifee » bontà » pienezza, potere,
Capere, e con erti ogni frutto, ed ornamento Ceco arrecando da»# una parte ; e dall* altra fe nell’ erbe ,
e nelle piante , negli animali » ed in
ogni altra corporale fpezie, cogli occhi
del- la fronte e* fi. vede cotal
perfetta cofpi- razione , e comunione
con tutte quel- le virtù, e bellezze: e
nell’ Uomo parti- colarmente tutto il
corpo organico con ogni fila parte
feorgefi ordinato all* in- veftigazionc
, ed al profeguimcnto del vero, c del
bello» £ nell’ Univerfo al- tresì nel
corfo regolato , e collante » negli
fplendor» della luce » nel potere della
formazione , c in quello della fi-
rnificazione, nell* infinità delle forme
reali, che opefàn ò*7'c felle ideali, che lignificano , egli è apertiflima » e
luci- didima cofpirazione , e comunione
con ogni bontà, e belleza,e utilità, e
uber- tà, e dilettamento; fe , dico ,
tutto ciò è vero , come fermamente è ;
ficcome vedefi per quello dalle cofe
difcacciata ogni vacuità di edere , che
è il nulla; ed ogni difetto di configlio
, che è il cafojcosì con indicibil
chiarezza l’ogni comunione perfetta
della mente fcer-nefi ancor chiaramente significata. Di cotali comunicazioni, e significazioni, onde è l’iomo d’ogn’ intorno cinto , e delle interne comunioni, e significazioni del proprio edere, e del proprio fapere, egli è ccrtiflima produzione V Idea di Dio ,che il divagamento , e divi/ione de’ penfieri, e ’l tumulto , e lubricità
degli affetti ofcurano, e cancellano
fino all* infano Ateifmo, che come più
fiate è per noi flato detto, è dpiù
cupo.abbiL fo dell’umana ignoranza , Ora
per ri- metterci in cammino , quello
danno an- cora inferifcono alla fcienza quei
, che per 1 * ordinate operazioni degli
Ani- •' mali bruti, non contenti delle
forme , fue cegni o idee materiali
direttrici, di vantaggio ӣ> pjcurala
vi richieggono la cognizione : quella fffi^, az '° ne illuflre fignificazione divina della
divi- na autorità ofeurando non poco ;
co- me fa altresì chiunque T idee
direttrici dell* Univcrfo non riconofce
. Percioc- ché le forme direttrici , con
più fret- to, e più certo xommercio
elleno fon ni H h 2 coll’• 4 * RJ *m._ l*E3
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iSPIEjS &, feAfl ». vv. .^•’MI j»4 V*.
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anino a fvegliarvi le ufo , o cognizione ; ma più tolto, che da un capo all’altro, non in altra maniera qualunque modi- ficazione fi diffonda, che per virtù
del- la penetrevole materia ,
fuccelfivamen- te d’ una in un’ altra
parte di fpiriti , onde tutto il corpo
abbondi , moltipli- cata, e propagata. Imperocché
ficcome è il cielo di aere , e d* etere
ripieno, e di luce, che da per tutto è
in perpetuo atto, e moto ; così il corpo dell’animale della spiritosa sostanza
è tutto in ogni fua parte irraggiato , e con pe- renne vigorofo atto-, e mo vimento ope- rante. Il qual penfamento,(ee più ac- concio a Spiegare la maravigliofa co- municazione delle cognizioni de’ len- ii , e degli affetti; e in particolare il subito
momentaneo contentò , con che l’imperio della volontà fecondano i movimenti de* membri; ed all 1 incontro jfilg»
incoi - a’ sensi nelle membra fufeitati
rifpon- rjffondenzcu, dano i penfieri ,
e gli affetti: e fe è egli più atto a
fpiegare la mirabil propaga- zione delle
figure , de’ colori, e de’ tuoni in tante parti, e in tanta diftanzaje iu ifpczieltà 1’ incredibile velocità
del- mfe le illuminazioni, e figurazioni
della luce , che non fa la comun volgare ope-
nione ; e* non dee già niuno offendere
la novità delle cofe. A quella guifaor
dimoslrata 1’origine, e la virtù, e le~,
varie guise dell’operazioni ideali, noi
fermamente abbiamo refa più accette-
vole la fentenza , che per le fole idee
direttrici , fenza niuna cognizione, si
governi la vita degli animali bruti. Pure , come per l’ ingegno, e
lume delle idee direttrici abbiam
moflrato, poter la materia avvicinar^ al
fapere della mente: così d T altra parte
, alla potestà della mente medesima poter ella farfi dapprefTo col vigore del
moto, conviene che dimoflriamo. E
adunque uopo , che ritorniamo all*
definizione lizia del moto: la quale interamente fpianancknp' vcrrenTo a conoscere
da una parte 1’atto della mente, che c
la cognizione; e dall’altro l’atto della materia, che è il moto: e ’l potere
deli’ una natura, e dell’altra;
dell’uno, e dell’altro atto , che dirittamente va a toccare il nodo di
que* fla difficile Quifiione. II moto,
dice-u jquel FILOSOFO, egli è atro di ente iiu.
potenza, in quanto in potenza: diffìnizione dcrifa c da moderni Filici,
ma che in più , e diverse maniere interpetrata , alti spro- fondi fenfi difeopre, che la coloro
leggerenza, o feempiaggine ravvi farvi non
ha potuto. Noi l’ altre cofe , che potremmo addurre, ad altro
uoporiferva- te, due fole ne feerremo,
che a fu pe- rare la malagevolezza , che
abbiamo innanzi, crediamo più opportune
. Pri- Prima /*. 1^3, il moto non è una
particolare e r P e,raz 'mn* diterminata
mutazione a produrre- #£!%£. quella, o
quella diterminata cofa, che nizione *
qualificando il subbietto , il termini,
e ’l compia in alcun modo ; ma così
?gl.' £ ? tto » e c °sì ( diciam così) attua il subbietto; che altro movendo non li faccia, ed altro non fi polTa dire , fe^ non che quello fi muova , e fi muti ge- neralmente. Il moto e già non è di quella fatta di modi , o qualità , chc^ con qualificare , o modificare f compia in elTere il corpo movente ; ma egli avviene all’ente già perfetto, e com- piuto, ed attuato con ogni atto , e per-
£ I i selezione , e compimento del Tuo
eflerè': il qual eflere perciò e* non è
in poten- za, che al moto foloy cioè a
mutazio- ne, e variazion generale, che
altroché mutazione, e variazione e* non
fia.On- de avviene eziandio, che in
qualunque modo, e quantunque muovali il
corpo , Tempre e’ rimanga libero, e
fpedito , e in potenza a muoverli più
oltra in in- finito. La mobilità adunque
ella non è certa, e diterminata potenza
a quello, o quel certo, e diterminato
atto . Il di lei atto non è tale , che
così ne di- termini Tinfinità , c T
indifferenza ; che in oltre altro atto ,
ed altra dttermina- zione , e perfezione
e’ non li abbia a», ricevere . La
mobilità non h potenza à produrre, o
operare; non è a ricevere nulla , o
patire ; non è ne attuofa , ne paziente
mmi*— * tì iiffr» tua' bene ella è ima
potenza generale , ordinata ad un
generai atto, che attuandola; tuttavia
nella fua capacità , o poffibilità ancor
la (èrbf. Quello è egli effe re in potèn- za, in quanto potenza; onde Arinotele con
profondo acume potè dire ciò che dille
del moto in quella dWfinizio-' - .
ne A* otete^tffa-cggn^ ìzrònKéT Bà r » l
tW l IH 1 ! g medefima maravigliofe
forze a conofce? re. Imperocché fa Mente
puo^lla a fd medefima rivolta, fopra di
fé ogni fu a azione adoperare : ficco me
fopra noi còti 1 altrettanti argom enti
abbia m dimostra.’ > coniQqj^iioMjfrt( l pf73^5TPa Ja yacjjj.' tà*#Plffipotenza della materia .
Siccome la cognizione, non come il moto
della' materia è atto di ente in potenzi
, in guanto potenza . La cognizione non
è* eftrinfcca , ma intrinfeca alla
foftanza mentale , e intrinfecamente la
termina, e compie ; eflfere , e forma ,
e perfezionò * in lei rifondendo. Da
qucikTnfigne 4 differenza della mente, c della materia , della cognizione, e
del moto e si viene con somma chiarezza
a conoscere da una parte il sovrano
edere della men- cognizione te pura; e
dall’altro, l’infimo edere della Ù pura materia. Imperocché nella totale acuità,
e impotenza della materia e’ben li ravvifa la suggezione, la dipendenza, e lestremo bisogno, che ella ha di ede- re moda, variata, e figurata: e per conseguente
la Cua natura vuota di ogni potere, e d’ogni atto , e luce mentale. E nella virtù della mente, che ella ha di muovere, e for ma n e c ornare Ce fteC- fa, e’bene si riconosce la sovranltà, e l’indipcndcnza,
e la pienezza, e’1 potere di defima differenza s’intende ancora, che è il
proposto nostro, la natura del senso ragionevole dell’uomo, e la natura del senso
cieco animalesco: quella nella congiunzione di mente sostanziale, colla materia
formata; e quella nella comunicazione dell’ atto mentale alla materia ii forme. Ed ecco la natura sensuale, tutta con tutte le operazioni ragionevoli , espressa,
ed effigiata nella sola materia. Quando per virtù della mente pura e paffa nella materia 1’atto mentale dell’ogni
comunicazione arimmetica, geometrica, statica;-c-+ l arrcr tfelt ogni potere
del moto nella materia più fina, agevole, ed attuosa con perpetue circolazioni,
ed ordinate diftribuzioni ,jcon
principi, progressi, e ritorni; e quello in fine dell’ogni formazione coll’ideali
plastiche, e della direzione, e jigiuficasioiie
coll’ideali direttrici significative. Ecco allora un principio movente, ampio, pieno, perfetto, poderoso
e fruttifero: onde nella materia mondana
è la direzione, e significazione ne’ corpi celesti di giorni, mesi, e d’anni, e
di ordinate stagioni, e di altri più ampii,
e più perfetti periodi, ed è 1’ogni
formazione, o produzioo^di er- 1 f - ff
dell’uomo , be , di piante, e
d’animali, e di ogni altra possibile spezie
corporale . 11 qual principio è egli la natura universale. E nelle- u^'- matene particolari coslrutte, ed ordì- vt
rjÀlc. nate con quegl’ingegni, e fornita
di quelle virtù , e forme reali, ed ideali e’proviene, e la produzione, o
formazione de simili, e la significazione e direzione di tutte le ordinate
operazioni necessarie alla vita. 11 qual principio a suo modo capa- -^ rt
* ce, e potente, ed ordinato, c egli
lana- f0 / *¥ # ^ «• +*jàf ['•" ' .^..'•a * .*« .’ •* ' S*1 % 4 f# • „ * ** ?• •* j*'*. . • • ! L.‘. i «
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"i ” « 1 * ’* *2 IwNP * ’ ’** %ìj *4** *
*7 V«> tl ^4 M Tommaso
Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti contro LUCREZIO (si
veda), Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime degl’uomini,
animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti degl’uomini,
il senso, il moto, i corpuscoli, ossessione con Lucrezio come filosofo romano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Rossi: la ragione conversazionale di Romolo;
o lo storicismo – la scuola di Torino. filosofia piemontese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piamonte. Studia a Torino sotto ABBAGNANO, Napoli, e Milano.
Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il
positivismo. Saggi: Lo storicismo, Einaudi, Torino; “Storia e storicismo, Lerici,
Milano; La storiografia Saggiatore, Milano; “Oltre lo storicismo, Saggiatore,
Milano; “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.”
CLASSICI DELLA FILOSOFIA COLLEZIONE FONDATA DA NICOLA ABBAGNANO DIRETTA DA
TULLIO GREGORY CLASSICI UTET Prima edizione: 1977 Tipografia ‘Toso, via Carlo
Capelli 93, Torino INTRODUZIONE I. È difficile isolare, nell'àmbito della
filosofia contemporanea, un indirizzo che possa essere caratterizzato in
maniera univoca, e al tempo stesso esaustiva, con la designazione di « storicismo
». Ciò dipende in primo luogo dal fatto che il termine « storicismo » — così
come si è venuto diffondendo a partire dagli anni ’20, dappri- ma in Germania e
poi in Italia — è stato impiegato per indicare posizioni filosofiche (e anche
non filosofiche) disparate, recando con sé quasi sempre una carica polemica o,
al contrario, elogiativa che gli ha impedito per lungo tempo di essere assunto
a contrassegno di un’impostazione di pensiero o di diventare una designazione
storio- grafica comunemente accettata. Nella cultura tedesca lo storicismo è
stato infatti identificato originariamente con una considerazione stori- ca dei
diversi campi della vita e della cultura fondata su un atteggia- mento
relativistico, che comportava quindi una relativizzazione dei valori alla
particolare cultura o al particolare periodo storico nel quale si sono formati.
Nella cultura italiana esso è invece servito a indicare soprattutto, almeno
fino alla seconda guerra mondiale, una concezione della storia (di derivazione
hegeliana) che affermava la fondamentale storicità di tutto il reale, e di
conseguenza la riduzio- ne di ogni conoscenza a conoscenza storica. In altri
paesi, eccetto in quelli di lingua spagnola, il termine ha avuto scarso
successo: nella cultura francese è rimasto sostanzialmente assente — tant'è
vero che il primo studio organico del movimento storicistico tedesco, cioè il
libro di Raymond Aron del 1938, è intitolato alla « filosofia critica della
storia » anziché allo storicismo — mentre nella cultura anglosas- sone ha
acquistato, in virtù della polemica di Karl Popper contro la « miseria dello
storicismo », un significato quasi sempre negativo. In epoca più recente, cioè
nel corso degli anni ’60, è subentrata una tendenza piuttosto diffusa a
identificare lo storicismo con la concezio- 10 INTRODUZIONE ne marxistica della
storia, vale a dire con il materialismo storico: tendenza chiaramente connessa
con il processo di rinnovamento del marxismo contemporaneo, operato attraverso
il recupero di autori come il Lukdcs di Geschichte und Klassenbewusstsein e il
Gramsci dei Quaderni del carcere, nonché attraverso l’incontro con altri orien-
tamenti del pensiero contemporaneo, in primo luogo con l'’esisten- zialismo. AI
di lì di queste considerazioni relative al significato del termine, e ben più
importanti di esse, vi sono però altri due ordini di motivi i quali spiegano la
difficoltà di cui si diceva. Il primo ordine di motivi consiste in una
caratteristica intrinseca allo storici- smo, ossia nel fatto che esso non è soltanto,
né principalmente, una dottrina o un complesso di dottrine filosofiche, ma è
pure un movimento che ha avuto larga influenza sulla ricerca storica e sulle
scienze sociali, e che presenta connessioni tutt'altro che irrilevanti con le
vicende politiche europee del secolo xx. Le formulazioni più propriamente
teoriche dello storicismo contemporaneo — come la teoria della conoscenza
storica e l’analisi della struttura storica del mondo umano e della relazione
dell'uomo con i valori — sono quindi aspetti di un fenomeno più vasto, al quale
continuamente rimandano. Il secondo ordine di motivi risiede invece nel legame
ricorrente dello storicismo con altri indirizzi della filosofia contem-
poranea: per un verso con l’idealismo — in tutte le versioni che si richiamano,
direttamente o indirettamente, alla concezione hegeliana della storia — e per
l’altro verso con il neocriticismo o con l’esisten- zialismo o con il marxismo
o con il pragmatismo, magari (in qualche caso) perfino con il neopositivismo.
Risulta così impossibile determi- nare un nucleo dottrinale al quale siano
riconducibili le diverse mani- festazioni dello storicismo contemporaneo, e che
sia più o meno pre- sente in tutte: al contrario, le varie forme di storicismo
divergono anche su questioni d'importanza fondamentale. La possibilità di
individuare lo, storicismo come un indirizzo a sé stante della filoso- fia
contemporanea appare perciò problematica sia per quanto concer- ne i rapporti
tra pensiero filosofico e altri campi culturali, sia all’in- terno dello stesso
pensiero fiosofico. Sarà opportuno soffermarci più da vicino su questi nessi.
Già dal punto di vista biografico gli esponenti dello storicismo contemporaneo
che siano filosofi di professione, e nient'altro che filosofi, sono assai rari,
e non certamente i più importanti. Wilhelm INTRODUZIONE II Dilthey, pur
insegnando filosofia, è stato però insieme studioso di psicologia e di
pedagogia, e ha soprattutto dedicato gran parte della propria attività
all’analisi e alla ricostruzione storica di alcuni mo- menti centrali di
sviluppo della cultura moderna, dal Rinascimento alla Riforma, dall’Illuminismo
al mondo romantico. Georg Simmel e Max Weber occupano un posto di grande
rilievo nella sociologia contemporanea; inoltre, mentre il primo è autore di numerosi
saggi di argomento artistico, letterario ed estetico, e ha ripetutamente
affron- tato i problemi concernenti la fisionomia e il significato della
cultura moderna, il secondo è pervenuto all'analisi metodologica delle scien-
ze sociali muovendo da studi sulle società commerciali del Medioe- vo, sul
diritto agrario romano, sulle condizioni dei contadini nella Germania e,
infine, sulla scuola storica di economia. Ernst Troeltsch è stato in primo
luogo un teologo, e tutta la prima fase della sua attività speculativa è
ispirata da preoccupazioni tipicamente teolo- giche: la sua successiva
riflessione sulla storia e sulla conoscenza storica è anch’essa radicata in una
problematica religiosa, e pren- de le mosse dalla consapevolezza dell’urto
della coscienza storica moderna sulla validità della fede cristiana. Friedrich
Meinecke è giunto ai problemi dello storicismo attraverso l’analisi del
processo di formazione dello stato nazionale tedesco e della struttura della
«ragion di stato » nell'età moderna; anche professionalmente, egli è stato uno
storico, e solo in secondo luogo un filosofo, In quanto a Benedetto Croce,
anch'egli è stato all'inizio — com'è noto — soprat- tutto studioso di storia e
di critica letteraria, e il suo sforzo di elaborazione filosofica è proceduto
di pari passo con l’approfondi- mento di temi di storia etico-politica, dî
estetica e di linguistica. E l’esemplificazione potrebbe agevolmente
continuare. Ma la connessio- ne con altri campi culturali non è soltanto un
dato biografico; essa è pure una dimensione intrinseca dello storicismo
contemporaneo. Da un lato, infatti, la consapevolezza del fondamentale
carattere storico dell’uomo e della realtà sociale ha condotto all’analisi dei
momenti decisivi della storia culturale europea, nel duplice intento di
delineare — secondo il programma indicato da Dilthey — la vicen- da dello «
spirito europeo » e di porre in luce le relazioni reciproche tra settori
diversi del processo storico, c contemporaneamente ha promosso il ricorso alle
prospettive concettuali che erano offerte dalle scienze sociali, in particolare
dalla sociologia. Dall'altro lato il riconoscimento della storicità della
filosofia, del suo legame con le 12 INTRODUZIONEaltre manifestazioni culturali
di un’epoca, della sua dipendenza dai risultati della ricerca condotta dalle
scienze particolari, ha mostrato l'impossibilità di una filosofia che pretenda
di configurarsi come una forma autosufficiente di sapere, fornita di validità
incondi- zionata. Non meno arduo è discriminare lo storicismo dai diversi
indiriz- zi della filosofia contemporanea con i quali è quasi sempre intreccia-
to. Ciò vale sia per il legame con l’idealismo, che risulta essenziale al
pensiero di Croce (o del suo discepolo inglese R. G. Collingwood), sia per il
nesso con l’esistenzialismo o con il marxismo o ancora con il pragmatismo,
allorché la problematica storicistica s’innesta su una piattaforma dottrinale
diversa e rispondente ad altri interessi. È vero che Croce si è proposto — fin
dal saggio Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel (1906) e
dalla Logica come scienza del concetto puro (1909) — di differenziare la
propria impo- stazione filosofica da quella di Hegel, eliminando la distinzione
hegeliana tra idea, natura e spirito e risolvendo quindi i primi due momenti
nel terzo, che viene così fatto coincidere con la realtà intera, in maniera da
identificare il processo di realizzazione dello spirito con lo sviluppo storico
e da interpretare ogni fatto come fatto storico. Cionondimeno il crociano «storicismo
assoluto » si configura come una ripresa intenzionale della concezione della
sto- ria formulata dall’idealismo del primo Ottocento e soprattutto da Hegel,
dal quale deriva il postulato fondamentale della razionalità dello sviluppo
storico e l'affermazione del suo carattere progressivo. Del resto, la stessa
qualificazione di «storicismo » è stata adottata da Croce molto tardi, nel
corso degli anni ’30, durante il trapasso dal « sistema » della filosofia dello
spirito alla posizione de La storia come pensiero e come azione e degli scritti
successivi: il saggio /! concetto della filosofia come storicismo assoluto è,
difatti, del 1939. Nel pensiero di Croce lo storicismo sorge quindi sulla base
di un’impostazione chiaramente idealistica, ed è inseparabile da que- sta. La
stessa definizione della filosofia come metodologia della storiografia ha ben
poco in comune con una concezione metodologi- ca della filosofia (quale si è
sviluppata partendo da una prospettiva neocriticistica), ma poggia su una
concezione idealistica — anzi,neoidealistica — del sapere la quale nega il
carattere conoscitivo delle scienze naturali, interpretandole come prodotto
della forma economica dello spirito, e perciò riduce la conoscenza a conoscenza
INTRODUZIONE 13 storica, vale a dire a conoscenza dello sviluppo dello spirito
nella serie infinita delle sue manifestazioni finite. Anche in vari altri
autori lo storicismo si presenta come un approccio ai problemi della storia e
della conoscenza storica condizionato dall’assunzione di presupposti propri di
orientamenti di pensiero eterogenei, ed è lungi dal configurarsi in modo
autonomo. Per esempio, la concezione heideggeriana della storicità dell’esser-
ci è strettamente dipendente dalla teoria diltheyana della storicità; ma questa
viene ricondotta a un quadro ontologico del tutto estra- neo alla filosofia di
Dilthey, risolvendosi in un elemento dell’analiti- ca esistenziale di Sein und
Zeit. Analogamente, se è vero che Karl Jaspers si è richiamato con insistenza a
Max Weber (fino ad asseri- re che egli « non ha insegnato una filosofia, ma era
una filosofia », anzi la filosofia per eccellenza del suo tempo), la
problematica storici- stica occupa un posto del tutto secondario
nell’esistenzialismo jasper- siano. Né le cose stanno in maniera diversa nel
caso del marxismo. Molte delle categorie interpretative di Geschichte und
Klassenbe- wusstsein, in primo luogo quella di « possibilità oggettiva », sono
di origine weberiana; ma il rinnovamento del marxismo intrapreso da Lukdcs
poggia non già su un’accettazione dell’impostazione metodo- logica di Weber,
bensì su uno sforzo di replica a Weber, cioè sullosforzo di sottrarre il
materialismo storico alla critica a cui egli lo aveva sottoposto. Anche la
recezione di posizioni storicistiche nel clima filosofico-culturale francese
degli anni ’60, caratterizzato in misura prevalente dall'incontro tra
esistenzialismo e marxismo — basti pensare alla Critigue de la raison
dialectigue di Jean-Paul Sartre, apparsa nel 1960 — non può certo essere
scambiata per una forma vera e propria di storicismo. Al di fuori della cultura
euro- pea, poi, l'affermazione dell'identità tra esperienza e storia e del
carattere problematico dell’esperienza in quanto sequenza di eventi storici,
formulata da John Dewey in Experience and Nature (1925), sviluppa in modo
originale temi propri del pragmatismo americano, € può caso mai essere
ricondotta a una matrice hegeliana filtrata attraverso un’interpretazione
naturalistica, non già a una piattafor- ma storicistica. In tutti questi casi
ci troviamo di fronte a forme d'incontro tra storicismo e altri indirizzi
filosofici (se non addirittu- ra, come nell’ultimo, a un'affinità piuttosto
remota), in cui esso perde inevitabilmente qualsiasi specificità. 14
INTRODUZIONE Se si vuole individuare, nell’ìmbito della filosofia contempora-
nea, un movimento storicistico che abbia proprie caratteristiche di- stintive,
e che non sia subordinato ad altre impostazioni teoriche, occorre cercarlo
nella cultura tedesca degli ultimi due decenni del secolo xix e dei primi
decenni di questo secolo, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Soltanto entro tale contesto si può legittimamente parlare di uno storicismo
contemporaneo, cioè di uno storicismo che non sia la ripresa o la
rielaborazione di una concezione della storia formulata nel primo Ottocento
(quale quella hegeliana), e che d'altra parte non costituisca un semplice
elemento di una costruzione filosofica fondata su presupposti eterogenei. Con
ciò non si vuol dire affatto che esso esaurisca il panorama dello storici- smo
nella filosofia contemporanea, in cui rientrano a buon diritto anche le altre
forme a cui si è accennato; si vuol piuttosto afferma- re che è la sola forma
di storicismo che possegga una sua caratterizza- zione autonoma rispetto ad
altri indirizzi filosofici, che cioè sia sorto fin dall’inizio come un
movimento indipendente. Anche se lo storici- smo tedesco appare legato,
soprattutto nella sua fase iniziale di svilup- po, con il neocriticismo
sviluppatosi — a partire dal 1860 — sulla base del programma di « ritorno a
Kant» avanzato da Kuno Fischer, da Otto Liebmann e da Hermann von Helmbholtz,
il suo rapporto con questo è un rapporto non tanto di derivazione o di
dipendenza, quanto di differenziazione, che comporta quindi un crescente
distac- co dai presupposti e dall'impostazione gnoseologica del neocritici-
smo. E in seguito, già a partire dal primo decennio di questo secolo, tale
legame appare come un'eredità del passato, che sopravvi- ve soltanto in figure
piuttosto marginali del movimento storicistico (per esempio nel vecchio
Rickert). Perciò la scelta presentata in questo volume si limita ai principali
esponenti dello storicismo tedesco, lasciando da parte autori che trovano la
loro collocazione primaria in altri orientamenti della filosofia contemporanea.
II. Lo storicismo tedesco contemporaneo prende le mosse dal dibatti- to
metodologico sulla conoscenza storica, cioè dalla discussione sul carattere
peculiare, sul metodo e sull’oggetto delle discipline che stu- diano l’uomo e
la realtà sociale nella loro dimensione storica. Alla base di tale dibattito
c'è chiaramente un'esigenza critica in senso kan- INTRODUZIONE 15 tiano, vale a
dire l'esigenza di determinare le condizioni che rendono possibile la
conoscenza e che ne garantiscono la validità. Se quest’esi- genza è comune pure
al movimento neocriticistico nelle sue varie ma- nifestazioni, è invece
caratteristico dello storicismo il proposito di estendere l’ìmbito
dell’indagine critica a un campo del sapere che era rimasto estraneo sia alla
considerazione di Kant sia agli interessi propri del neocriticismo, Agli occhi
di Dilthey, ma anche di Windel- band o di Rickert o di Simmel, il limite della
critica kantiana consiste nel fatto che essa si riferisca esclusivamente alle scienze
naturali, alla conoscenza fisico-matematica nella sistemazione datane da
Newton, senza rendersi ancora conto che un analogo problema di fondazione
critica si pone pure per la conoscenza scientifica dell’uomo e del mondo umano,
considerato nel suo sviluppo stori- co. Questo limite trova certamente una base
di giustificazione nella situazione del sapere all’epoca di Kant, cioè in
un’epoca in cui le scienze storico-sociali facevano appena i primi passi. Ma a
distanza di un secolo — il primo (e unico) volume dell’Einleitung in die
Geisteswissenschaften di Dilthey compare nel 1883, poco più di cent'anni dopo
la pubblicazione della Kritik der reinen Vernunft — e cioè dopo i progressi
decisivi che queste discipline hanno compiuto nella prima metà dell’Ottocento,
soprattutto ad opera del- la scuola storica, esso risulta ormai privo di
fondamento. Dilthey si trova dinanzi a un edificio concettuale nuovo, che si è
venuto in larga misura costituendo dopo Kant, e che non trova posto nel quadro
categoriale della « critica della ragion pura »; perciò si propo- ne di
affiancare ad essa una «critica della ragione storica », vale a dire
un'indagine concernente le condizioni di possibilità della conoscenza storica.
Al problema kantiano della possibilità della natu- ra (e della conoscenza
scientifica della natura) fa riscontro il proble- ma della possibilità della
storia (e delle scienze storico-sociali). Questa è l'ispirazione comune, pur
nella diversità di formulazioni e anche di presupposti, alla prima fase di
sviluppo del movimento storicistico. Su tale base Io storicismo prende
posizione contemporaneamente nei confronti del positivismo e del neocriticismo.
Sorto in un perio- do in cui il positivismo veniva diffondendosi anche nella
cultura tedesca, soprattutto nell’àmbito degli studi psicologici e
psico-sociolo- gici — particolarmente importante è, a questo proposito, l’opera
di Wilhelm Wundt — esso accoglie l’esigenza positivistica di un’anali- si
scientifica dei fenomeni del mondo umano, e quindi il rifiuto di 16 INTRODUZIONE
una considerazione metafisica dell’uomo e della storia. Da ciò la sua
diffidenza, se non l'ostilità, nei confronti della concezione idea- listica
della storia; da ciò la polemica sotterranea ma non meno accentuata verso Hegel
e la visione hegeliana del processo storico come realizzazione progressiva
dello « spirito del mondo », che sol- tanto molto più tardi cederà il posto a
un tentativo di recupero dell'eredità dell’idealismo — condotto da Dilthey sul
terreno storio- grafico — attraverso lo studio degli scritti giovanili di
Hegel, e da Windelband piuttosto sul piano teorico, attraverso la proclamazione
della necessità di un «rinnovamento dell’hegelismo » (come suona il titolo di
un saggio del 1910). Ma lo storicismo respinge, al tempo stesso, la riduzione
dello spirito a natura che gli sembra implicita nel positivismo classico; e
soprattutto respinge il tentativo di ricon- durre la conoscenza dell’uomo e del
mondo umano a un modello di spiegazione comune a tutto il sapere, che
comportava l’assimilazio- ne delle scienze storico-sociali al procedimento
delle scienze natura- li. Il distacco dal positivismo — nella versione che ne
avevano dato Auguste Comte nel Cours de philosophie positive o John Stuart Mill
nel System of Logic, Ratiocinative and Inductive — si esprime proprio nella
rivendicazione dell'autonomia metodologica della cono- scenza storica,
nell’affermazione della sua irriducibilità alla conoscen- za della natura, e
quindi nella tesi di una fondamentale dicotomia del sapere: scienze della natura
e scienze dello spirito in Dilthey, scienze nomotetiche e scienze idiografiche
in Windelband, conoscen- za naturale e « scienze storiche della cultura » in
Rickert. Il model- lo milliano di spiegazione causale è valido, secondo
Dilthey, per le scienze della natura: così per Windelband e per Rickert la
conoscen- za è, e dev'essere, orientata in vista della determinazione di leggi
generali organizzate in un sistema di leggi, a cui possano venir ricondotti i
fenomeni. Ma quel modello non è applicabile alla conoscenza dell’uomo e della
realtà, che ha per Dilthey un diverso fondamento e si serve di altre categorie;
e le leggi non trovano diritto di cittadinanza nelle scienze storico-sociali, o
per lo meno non possono costituirne il fine ultimo. Ma attraverso la critica al
positivismo si compiva anche un netto distacco dalle prospettive
neocriticistiche. Come nella Kritik der retnen Vernunft, così nelle opere dei
neocriticisti della fine dell’Otto- cento — in particolare in quelle della
scuola di Marburg, rappresen- tata soprattutto da Hermann Cohen e da Paul
Natorp — non INTRODUZIONE 17 trovava posto la dicotomia del sapere che il
nascente movimento storicistico sosteneva: nella permanente identificazione
della cono- scenza con la conoscenza fisico-matematica questo non poteva non
scorgere una sostanziale incapacità di adeguazione al mutamento di orizzonte
scientifico intervenuto dopo Kant. Anche in Windelband e in Rickert, che
rimangono più legati all’impostazione gnoseologi- ca generale del
neocriticismo, questa divergenza è esplicita: a un secolo di distanza dalla
critica kantiana il compito della teoria della conoscenza è quello di estendere
il proprio ambito alla conoscenza sto- rica, determinando anche per questa il
fondamento che ne garantisce la validità. Ben più nettamente, nell’Einleitung
in die Geisteswissen- schaften Dilthey si propone di fare per le scienze
storico-sociali ciò che Kant aveva fatto per le scienze della natura; e, al
pari di Kant, muove dal riconoscimento dell’esistenza di un complesso di
discipli- ne organizzate, dinanzi alle quali non ha senso chiedersi se siano
valide oppure no, ma occorre invece andare alla ricerca del fonda- mento della
loro validità, cioè chiedersi come siano possibili e di quali princìpi si
avvalgono nell’organizzare concettualmente il dato empirico. È un decennio
dopo, in Die Probleme der Geschichtsphilo- sophie (1892), Simmel affronterà il
compito di determinare le catego- rie della conoscenza storica e i suoi
rapporti con le scienze sociali. Tuttavia l'allargamento o — se si vuole — il
completamento della teoria della conoscenza formulata da Kant costituisce
soltanto un aspetto, e forse neppure il più importante, del distacco dal
neocriticismo. L'altro aspetto, diversamente presente nei singoli autori,
riguar- da la stessa impostazione gnoseologica del neocriticismo, vale a dire
il tipo e i presupposti dell'indagine critica. Come si è accennato, Windelband
e Rickert rimangono sostanzial- mente fedeli a questa impostazione: nei primi
saggi teorici windel- bandiani — a partire da Was ist Philosophie? e da Normen
und Naturgesetze (entrambi del 1882) e dagli altri scritti che compongo- no la
prima edizione dei Pràludien (apparsa l’anno successivo) — il distacco dal
neocriticismo avviene nella direzione di una teoria dei valori che attribuisce
alla filosofia il compito di individuare i princìpi a priori dell'attività
umana in tutti i campi, e quindi anche nell’ambi- to conoscitivo, e che li
interpreta appunto come « valori » forniti di una loro intrinseca validità indipendente
dall’esperienza, sulla base della distinzione tra essere e dover essere, tra la
necessità empirica (propria delle leggi naturali, oggetto della scienza) e la
validità ideale 2. STORICISMO TEDESCO.18 INTRODUZIONEdelle norme (di esclusiva
pertinenza della filosofia). Il soggetto del co- noscere rimane quindi il
soggetto trascendentale, capace di pervenire a una verità incondizionata sulla
base della conformità alle norme proprie dell’attività conoscitiva; rimane il
soggetto trascendentale sottratto — come Rickert ribadisce in Die Grenzen der
naturwissen- schaftlichen Begriffsbildung (1896-1902) — a ogni determinazione
empirica. La conoscenza storica trova il fondamento della propria validità, di
una validità altrettanto universale e necessaria di quella della conoscenza
naturale, nella presenza di valori incondizionati che costituiscono i princìpi
della sua elaborazione concettuale. Le cose stanno ben diversamente per
Dilthey, e anche per Simmel. Entrambi respingono infatti il postulato di un
soggetto trascendenta- le per rivendicare il carattere empirico dell'io che
indaga la storia; perciò respingono anche l’attribuzione alla conoscenza
storica di una validità indipendente dall'esperienza. Per Dilthey la conoscen-
za — quella delle scienze dello spirito ancor più di quella del- le scienze
della natura — è inseparabile dal complesso della vita umana, è cioè una
funzione dell’esistenza concreta dell’uomo in quanto individuo empirico e della
situazione storico-culturale in cui egli vive: di conseguenza la validità di
ogni sapere è condi- zionata dalla struttura complessiva della coscienza, dal
suo ra- dicarsi nell’esperienza vissuta. Perciò negli anni ’go, e ancora nei
suoi ultimi scritti, Dilthey sarà condotto ad affrontare appunto l’analisi di
questa struttura, nell'intento di mostrare come da essa scaturisca il
procedimento conoscitivo proprio delle scienze storico-so- ciali e come in essa
siano presenti le condizioni che ne fanno una forma oggettivamente valida di
sapere. Nello stesso periodo Simmel opera una netta riduzione della conoscenza
storica alla comprensio- ne psicologica, assumendo così un punto di vista
radicalmente oppo- sto a quello del neocriticismo: dal momento che i fenomeni a
cui si riferisce tale conoscenza hanno la loro radice nella vita psichica degli
individui, essa deve sempre risalire da certi dati esterni, oggetto di
osservazione empirica, all’interiorità spirituale degli indivi- dui che in
questi si manifesta. La conoscenza storica si riassume quindi nell'atto
psicologico dell’intendere, cioè in un atto che com- porta la proiezione di un
processo psichico vissuto dal soggetto conoscente a un'altra personalità, alla
quale esso viene attribuito. E le categorie di cui si avvale nell'organizzare
concettualmente il dato empirico non sono princìpi 4 priori, eterogenei a
questo dato, ma INTRODUZIONE 19 sono semplici presupposti psicologici, forniti
di una validità pura- mente ipotetica: anch’esse derivano, seppure in maniera
indiretta, dall'esperienza. AI di là del limite rappresentato dall’esclusiva
considerazione delle scienze naturali, l'impostazione gnoseologica del
neocriticismo appariva perciò scarsamente idonea al compito di fondazione della
conoscenza storica, che il movimento storicistico si proponeva. Il mutamento di
àmbito dell’indagine critica trascinava con sé anche un mutamento dei
presupposti di quest’'indagine. E qui entra in gioco un’altra componente, non
meno essenziale, dello storicismo tedesco: il richiamo all’opera della scuola
storica, alla quale viene attribuito — secondo le parole di Dilthey — il merito
di una « definitiva costituzione della scienza storica e, mediante questa,
delle scienze dello spirito ». Si può anzi rilevare una correlazione precisa
tra tale richiamo e il distacco dal neocriticismo. In Windelband e in Rickert,
che accolgono l'impostazione gnoseologica del neocritici- smo, l'eredità della
scuola storica è sostanzialmente assente: anche quando, nel primo decennio del
Novecento, essi cercheranno nelpassato le premesse di una concezione della
storia coerente con la teoria dei valori, queste saranno rintracciate piuttosto
nell’orienta- mento storico dell’idealismo post-kantiano, nella visione storica
del- la realtà presente nei successori di Kant e particolarmente in Hegel. In
Dilthey, invece, l’abbandono dei presupposti neocriticistici si accompagna alla
consapevole recezione dei risultati e della stessa impostazione di ricerca
della scuola storica. Tra questa e il program- ma di una «critica della ragione
storica » non esiste, per Dilthey, una soluzione di continuità: lo storicismo
accoglie il lavoro compiu- to dalla scuola storica e il suo edificio
concettuale per indagarne criticamente le condizioni di possibilità, in maniera
analoga a quel- la in cui Kant si era rifatto alla sistemazione newtoniana.
Dilthey compie così una scelta esplicita tra le due grandi direzioni di
sviluppo della concezione della storia che si possono individuare nella cultura
tedesca della prima metà del secolo — quella rappresen- tata dall’idealismo
post-kantiano, che era culminata nella filosofia della storia di Hegel, e
quella rappresentata dalla scuola storica, che trova il suo approdo nella
Weltgeschichte di Leopold von Ranke; ed è una scelta in favore della seconda,
cioè opposta alla scelta di Windelband e di Rickert. Tuttavia il richiamo
all'opera della scuo- la storica non va disgiunto da uno sforzo diretto a
metterne tra 20 INTRODUZIONE parentesi i presupposti più tipicamente romantici.
Nello stesso mo- do in cui recupererà in seguito il concetto hegeliano di
spirito oggettivo, ma interpretandolo come il prodotto dell’oggettivazione
della vita, cioè come il complesso delle manifestazioni dell’attività umana nel
mondo sensibile, fin dagli scritti precedenti all’Einlei- tung in die
Geisteswissenschaften Dilthey lascia cadere la nozione di « spirito del popolo
» di cui Savigny e altri esponenti della scuola storica si erano serviti per
indicare il principio creativo unitario della vita di un popolo, considerata
nel suo sviluppo storico. E anche l’individualità di ogni epoca storica, lungi
dall’esprimere — come per Ranke — il suo rapporto diretto con Dio, verrà a
designa- re, nella fase conclusiva del pensiero diltheyano, il suo carattere di
autocentralità, vale a dire l'orizzonte entro il quale si collocano tutte le
manifestazioni culturali, politiche, sociali di un’epoca, deri- vando da esso
il loro significato specifico. Polemica contro il positivismo e contro il «
riduzionismo » meto- dologico implicito nell’assunzione di un modello unitario
di spiega- zione dei fenomeni; distacco dal neocriticismo e dalla sua stessa
impostazione gnoseologica; richiamo all’opera della scuola storica, ma
contemporaneo abbandono dei suoi presupposti romantici — que- ste sono le
coordinate del movimento storicistico nella sua prima fase di sviluppo. E in
relazione ad esse si determina la posizione che i principali esponenti dello
storicismo assumono nel tentativo di perve- nire a una fondazione critica della
conoscenza storica. La stessa polemica tra Dilthey e Windelband, che ha inizio
nel 1894, dev’esse- re collocata su questo sfondo. La rivendicazione
dell’autonomia della conoscenza storica si con- figura, in Dilthey, nella forma
di una distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Fin dal
1875, nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom
Menschen, der Gesellschaft und dem Staat, Dilthey aveva sostenuto il carattere
peculiare di queste discipline e l’inapplicabilità al loro sviluppo della legge
di progresso scientifico enunciata da Comte nel Cours de philosophie positive.
Da tale punto di vista le scienze dello spirito costituiscono una totalità
caratterizzata — in contrapposizione alle scienze della natura —
dall’appartenenza del soggetto conoscente allo stesso mondo, cioè al mondo
umano, che è oggetto della loro indagi- ne. La distinzione tra scienze della
natura e scienze dello spirito è quindi fondata, in ultima analisi, su un
diverso rapporto del sogget- INTRODUZIONE 21 to conoscente con il loro oggetto:
un rapporto di estraneità nel primo caso, un rapporto dall’interno — e quindi
di fondamentale identità — nel secondo caso. Da questa differenza derivano le
varie antitesi mediante le quali Dilthey ha cercato, nell’Einleitung in die
Geisteswissenschaften, di definire la fisionomia rispettiva delle scien- ze
della natura e delle scienze dello spirito. Dal punto di vista dell’oggetto, le
prime studiano una realtà esterna all’uomo, mentre le seconde si riferiscono al
mondo umano considerato nella sua dimensione storica. Dal punto di vista della
« fonte » da cui provie- ne il dato empirico, le prime muovono dall’esperienza
esterna, cioè dall’osservazione sensibile, mentre le seconde si radicano
nell’espe- rienza vissuta che l’uomo ha di sé, della propria vita interiore e
dei propri rapporti con gli altri. Dal punto di vista del procedimento, le
prime tendono a fornire una spiegazione causale dei fenomeni, mentre le seconde
si propongono di «intenderli », avvalendosi di categorie eterogenee a quelle
della conoscenza naturale. Così caratte- rizzato, l’edificio delle scienze dello
spirito si presenta come un complesso di discipline che abbracciano lo studio
dell’individuo al pari di quello della società, l’analisi delle strutture del
mondo umano (sistemi di cultura e sistemi di organizzazione esterna della
società) al pari dell’analisi del suo sviluppo storico, cioè delle sue varie
epoche. « Universale » e « particolare », studio comparativo delle uniformità
presenti nella struttura psichica o nella struttura del mondo umano e studio
delle sue manifestazioni singole, con- siderate nella loro individualità,
costituiscono perciò i due scopi conoscitivi, tra loro inscindibili, delle
scienze dello spirito. Proprio contro questa conclusione si rivolge la polemica
di Wildelband, allorché egli affronta, undici anni dopo — nel saggio Geschichte
und Naturwissenschaft (1894) — il problema della cono- scenza storica. Anche
Windelband intende garantire l’autonomia della conoscenza storica rispetto alla
scienza naturale, ma il criterio di distinzione tra di esse viene cercato sul
terreno puramente metolo- logico, vale a dire nella diversità del loro
orientamento. Da un lato vi sono scienze che mirano alla costruzione di leggi
generali (le scienze nomotetiche), dall’altro vi sono invece scienze che mirano
alla determinazione della fisionomia di un fenomeno nella sua individualità (le
scienze idiografiche). Le prime costituiscono, nel loro insieme, la conoscenza
naturale; le seconde costituiscono la conoscenza storica. Una distinzione
siffatta risulta perciò indifferen- 22 INTRODUZIONE te al carattere « naturale
» o « spirituale » dei fenomeni studiati, su cui aveva insistito Dilthey; anzi,
la distinzione diltheyana tra scien- ze della natura e scienze dello spirito
non poteva non apparire, agli occhi di Windelband, come l’eredità di
un’antitesi metafisica. Le scienze naturali sono tali non già in quanto studino
fenomeni ontologicamente distinti da quelli spirituali, ma in quanto sono
orientate verso la conoscenza di rapporti generali, esprimibili sotto forma di
leggi; e la conoscenza storica si differenzia da esse in quanto cerca in ogni
fenomeno ciò che gli è proprio, vale a dire la sua individualità. Quando
Windelband criticava il criterio di distinzione formula- to da Dilthey, questi
era ormai impegnato in uno sforzo di appro- fondimento della posizione
dell’Einleitung in die Geisteswissenschaf- ten. In un saggio apparso nello
stesso anno, cioè nelle Ideen dider cine beschreibende und zergliedernde
Psychologie (1894), egli muoveva dal rapporto tra scienze dello spirito ed
esperienza vissuta per affrontare l’analisi della struttura della vita
psichica: se il compito di queste discipline è un compito non già di
spiegazione, ma di comprensione dei fenomeni, e se la comprensione riposa sulla
cono- scenza che l’uomo ha di sé, ossia sull’introspezione, allora lo studio di
tale struttura assume un'importanza centrale per la fondazione delle scienze
dello spirito. L'analisi della struttura della vita psichi- ca, condotta dalla
psicologia, viene perciò a coincidere con l’indagi- ne critica delle condizioni
di possibilità delle scienze dello spirito. Dilthey perviene così — in
significativa consonanza con le tesi espresse due anni prima da Simmel — a
privilegiare la psicologia come scienza «fondamentale », facendone la base e il
punto di partenza di ogni conoscenza dell’uomo e del mondo umano. Ma la
psicologia capace di assolvere questa funzione non è la psicologia
associazionistica della tradizione herbartiana, diffusa nella cultura tedesca
di fine Ottocento, che Dilthey respinge in quanto « esplicati- va e costruttiva»:
è una nuova psicologia « descrittiva e analitica » che deve porre in luce la
struttura della vita psichica, analizzarne i diversi elementi e i loro
rapporti, senza pretendere di offrirne una spiegazione che avrebbe
inevitabilmente carattere naturalistico. L'attribuzione alla psicologia di un
compito di fondazione criti- ca era esposta alle obiezioni di Windelband in
misura ancora mag- giore di quanto non lo fossero le formulazioni
dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften. Di ciò Dilthey era consapevole: e
difatti INTRODUZIONE 23 egli abbandonerà ben presto tale strada, per affrontare
direttamente la polemica con Wildelband nei Beitràge zum Studium der Indivi-
dualitit (1895-96). Nel respingere la distinzione windelbandiana tra scienze
nomotetiche e scienze idiografiche Dilthey è condotto non soltanto a lasciar
cadere la pretesa di assegnare alle scienze dello spirito un fondamento
psicologico, ma anche ad approfondire l'anali- si del loro procedimento di
ricerca. Se nell’Einlestung in die Geistes- wissenschaften uniformità e
individualità rappresentavano due aspet- ti distinti della struttura del mondo
umano, ai quali corrispondeva- no due scopi conoscitivi diversi delle scienze
dello spirito, ora il secondo termine acquista un’importanza preminente. Il
problema centrale dell'analisi metodologica diltheyana diventa quello del
sorge- re dell’individuazione sulla base dell’uniformità, vale a dire del
configurarsi in forma singolare di fenomeni che pur presentano caratteristiche
analoghe. Dilthey lo risolve inserendo tra uniformità e individuazione un
termine medio, il «tipo», che costituisce al tempo stesso l’elemento comune a
una molteplicità di fenomeni e la loro norma intrinseca. L’uniformità deriva
dal legame con la realtà naturale, con il mondo fisico e biologico che
condiziona il sorgere dei fenomeni spirituali; sulla sua base si realizza
l'individuazione, resa possibile da un insieme di forme fondamentali che sono
appun- to i vari tipi di questi fenomeni. Il compito delle scienze dello spirito
viene riposto non più nello studio separato dell’uniformità e
dell’individuazione, ma nello studio del loro rapporto: ma in tal modo il tipo
diventa il termine di riferimento del processo dell’inten- dere, il quale cessa
di identificarsi con l’introspezione — o di essere riconducibile ad essa — per
configurarsi soprattutto come compren- sione degli altri individui e delle loro
manifestazioni di vita. Il procedimento delle scienze dello spirito viene
quindi a coincidere con la comprensione, vale a dire con la «riproduzione» di
stati interiori altrui, i quali vengono « rivissuti » dall’individuo sulla ba-
se della propria esperienza. Alla distinzione tra conoscenza delle leggi e
conoscenza dell’individuale, formulata da Windelband, Dil- they contrappone pertanto
l’antitesi tra spiegazione causale e com- prensione; ma all’interno di questa
impostazione confluisce una nuo- va esigenza, quella di affermare il carattere
individuale — in ultima analisi — del mondo umano. Spetterà però a un allievo
di Windelband, Heinrich Rickert, concludere, per quanto provvisoriamente,
questo dibattito in Die 24 INTRODUZIONE Grenzen der naturwissenschaftlichen
Begriffsbildung e nella contem- poranea, più breve trattazione di
Kulturwissenschaft und Naturwis- senschaft (1899): due opere scolastiche che
avranno però larga fortu- na, e che saranno più volte ripubblicate con
modifiche e ampliamen- ti (di particolare rilievo saranno, per i Grenzen, la
seconda edizione del 1913 e la terza del ’21). Rickert riprende la distinzione
windelban- diana, cercando di ricondurla a un quadro sistematico. Il procedi-
mento della conoscenza storica e la sua autonomia vengono « dedot- ti»
attraverso un'analisi dei limiti propri della scienza naturale, cioè mostrando
che l’ideale di quest’ultima — l'ideale di un’integra- le spiegazione meccanica
della realtà, da conseguire mediante la costruzione di un sistema di leggi di
sempre maggiore generalità — si lascia sfuggire l’individualità di ogni
fenomeno nella sua immedia- tezza empirica. Da ciò la necessità di un’altra
forma di conoscenza che si riferisca proprio a questa individualità, e che
risulta irriducibi- le alla scienza naturale e al suo tipo di elaborazione
concettuale del dato. In questa prospettiva la distinzione tra le due forme di
conoscenza — scienza naturale e conoscenza storica — rimane fonda- ta su una
differenza di metodo: la medesima realtà può essere oggetto di entrambe,
indipendentemente dall’eventuale determinazio- ne ontologica dei fenomeni, ed
anzi si presenta come natura quando è considerata in riferimento a leggi
generali e come storia quando è considerata in riferimento al particolare. Ma
l’individualità storica non coincide con l'immediatezza empirica del dato;
anch’essa è infatti il risultato di un procedimento di elaborazione concettuale,
sebbene differente da quello della scienza naturale. Rickert indica la base di
tale procedimento nella relazione ai valori, vale a dire nel rapporto con
valori forniti di validità incondizionata, i quali presie- dono alla scelta del
dato empirico e alla costruzione un «indivi- duo » storico. L’individualità di
un oggetto risulta così fondata sul suo riferimento ai valori, che ne
costituisce il significato. In tal modo la conoscenza storica viene a
differenziarsi dalla scienza natu- rale anche ‘per quanto riguarda il campo di
ricerca; e questo è identificato con la «cultura», cioè con una realtà che
abbraccia tutti i possibili fenomeni a cui viene attribuito un significato in
virtù della relazione a qualche valore. Il dibattito metodologico degli ultimi
due decenni dell’Ottocento mette perciò capo a un approfondimento di rilievo
delle posizioni iniziali degli studiosi che vi hanno preso parte. Dinanzi alla
critica INTRODUZIONE 25 di Windelband, Dilthey è condotto ad accentuare
l’importanza del- l'individualità e a riformulare la distinzione tra scienze
della natura e scienze dello spirito nei termini di un’antitesi tra spiegazione
e comprensione, dalla quale prenderà le mosse l’elaborazione conclusi- va del
suo pensiero, contenuta negli scritti del periodo 1905-1911. D'altra parte la
distinzione enunciata da Windelband nel °94 trova in Rickert uno sviluppo
sistematico nell’ambito della teoria filosofi- ca dei valori; e in questo
quadro Rickert è costretto a riconoscere all’antitesi tra scienza naturale e
conoscenza storica anche una dimensione oggettiva, che il suo maestro aveva
inteso escludere. Anzi, la conoscenza storica risulta nient'altro che il
complesso delle « scienze della cultura », cioè il complesso delle discipline
che han- no per oggetto fenomeni forniti di significato, di un significato che
può essere stabilito — com’egli dirà nel 1913, richiamandosi esplicita- mente a
Dilthey — mediante l’«intendere ». Erano così poste le premesse perché venisse
messa in disparte la questione se l’autono- mia della conoscenza storica abbia
un fondamento oggettivo oppure una base puramente metodologica, mentre d’altra
parte nuovi proble- mi, suscitati dal costituirsi di nuove discipline e
dall'incontro con altri indirizzi di pensiero, si affacciavano ormai all'orizzonte
dello storicismo tedesco. III. Quando Dilthey scriveva l’Einleitung in die
Geisteswissenschaf- ten, la sociologia era ancora una scienza estranea
all'ambiente cultu- rale tedesco. In un capitolo di quell’opera egli conduce
una critica radicale dell’impostazione sociologica comtiana, coinvolgendo la
so- ciologia nella medesima condanna della filosofia della storia. Filoso- fia
della storia e sociologia rappresentano, ai suoi occhi, due espres- sioni di un
medesimo atteggiamento metafisico nei confronti del processo storico, cioè di
un atteggiamento che pretende di fare a meno del paziente lavoro delle
discipline particolari per attingere di colpo la totalità della storia, per
determinarne le leggi costitutive, le fasi e la direzione di sviluppo. È vero
che alla base della filosofia della storia c'è una prospettiva
teologico-religiosa, esplicita da Agosti- no a Bossuet e poi implicita da Vico
e da Lessing fino a Hegel, mentre la sociologia poggia su una concezione
naturalistica; ma anch'essa non è altro che una forma di metafisica, e
precisamen- 26 INTRODUZIONE te una «metafisica naturalistica della storia» che
presuppone la « subordinazione dei fenomeni spirituali all'insieme della
conoscen- za della natura ». Contro la sociologia nella formulazione datane da
Comte — ma la critica vale, in fondo, per tutta la sociologia positivistica —
Dilthey fa valere la tesi che il processo storico può essere conosciuto
soltanto attraverso l’analisi dei suoi diversi aspetti, compiuta da una
pluralità di discipline particolari, non già attraver- so la pretesa illusoria
di abbracciarlo nella sua totalità. Anche in seguito lo storicismo tedesco
manterrà la posizione critica verso la sociologia positivistica, enunciata da
Dilthey. Ma pochi anni dopo, nel 1887, un giovane studioso di formazione
filosofica, Ferdinand Ténnies, pubblicava un libro destinato a inau- gurare un
tipo di sociologia svincolato dai presupposti del positivi- smo, dal titolo
Gemeinschaft und Gesellschaft. Esso si proponeva di mostrare l’esistenza di due
diverse forme di organizzazione, designa- te appunto la prima come « comunità »
e la seconda come « socie- tà », e fondate rispettivamente su rapporti di
carattere organico e su rapporti di carattere meccanico tra gli individui che
ne fanno parte. Attraverso l’analisi comparativa delle due forme di
organizzazione Tonnies perveniva a delineare due modelli differenti di
relazioni tra gli uomini e, al tempo stesso, due momenti storicamente successi-
vi nello sviluppo dell'umanità. Il modello della comunità è quello di una
relazione organica tra i membri del corpo sociale, la quale riposa su un’unità
fondamentale delle volontà individuali e si espri- me dapprima nell’ambito
della parentela, del vicinato e dell’amici- zia: è la forma originaria di
organizzazione, che comporta il possesso e il godimento in comune dei beni,
nonché l’azione solida- le del gruppo nella difesa come nell’offesa. Il modello
della società è invece quello di una relazione meccanica, e quindi «arbitraria
», la quale riposa sull'incontro e sulla somma di volontà individuali separate
e sulla stipulazione di un contratto che le vincola all’osser- vanza di
determinate norme: è una forma derivata di organizzazio- ne, che si esprime
soprattutto nei rapporti di scambio. La comunità è universalmente diffusa, e
caratterizza in modo esclusivo ogni tipo di associazione primitiva: è propria
del villaggio, ma si ritrova an- che nella città antica e in quella medievale,
organizzata sulla base di un'economia corporativa. La società è, al contrario,
la forma specifica- mente capitalistica di associazione tra gli individui: essa
è definita dalla divisione del lavoro, dall’equivalenza tra lavoro e merce,
dalla INTRODUZIONE 27 proprietà privata, dal sorgere di un’economia monetaria,
dallo svilup- po del capitalismo e dall’allargamento del mercato fino a
dimensio- ni mondiali. In quest’analisi Tònnies proseguiva indubbiamente lo
sforzo della sociologia positivistica di individuare le caratteristiche
struttura- li della società industriale moderna, distinguendola dalle
precedenti forme di organizzazione sociale: sotto tale profilo il suo rapporto
con Comte (e in qualche misura anche con Spencer) è esplicito, ancorché non
privo di sostanziali riserve. Ma egli si richiamava soprattutto ad altri due
filoni culturali, dai quali desumeva gli elementi per determinare la fisionomia
rispettiva della comunità e della società. Nel caratterizzare la comunità egli
si rifaceva infatti — per il tramite di Otto von Gierke e della sua opera Das
deutsche Genossenschaftsrecht, apparsa tra il 1868 e il 1881 — alla scuola
storica: la «comunità » tònnesiana non è altro, in fondo, che la trasposizione
in termini analitici dell'ideale romantico di una socie- tà organica, fondata
sull’unità dello « spirito del popolo ». Ma in tal modo questo ideale veniva
per così dire storicizzato, e le categorie di cui la scuola storica si era
servita per costruire la propria concezio- ne della società venivano utilizzate
per definire una forma specifica di organizzazione sociale. Nel caratterizzare la
società Ténnies si rifaceva, assai più che alla sociologia positivistica, per
un verso a Hobbes e per l’altro verso a Marx. Dal primo egli derivava la
visione di un’organizzazione su base contrattuale, a cui gli indivi- dui
partecipano in quanto individui, mossi dalla duplice aspirazione alla potenza e
al guadagno; dal secondo traeva gli strumenti per individuare il contenuto
economico della società moderna e per identificarla quindi con il capitalismo.
Sul rapporto con la scuola sto- rica — che tanta importanza riveste in Dilthey
— si innestava così il riferimento a Marx e alla sua interpretazione della
società mo- derna come società capitalistica. Bisognerà tuttavia attendere
l’ultimo decennio del secolo perché il materialismo storico, fin allora rimasto
un indirizzo « eterodos- so» ed emarginato dagli ambienti accademici, entri
nella cultura tedesca. Nel 1894, annunciando la pubblicazione del terzo e
ultimo volume di Das Kapital (a cura di Engels), Werner Sombart richia- mava
gli studiosi tedeschi a una diversa considerazione dell’opera di Marx, e
insisteva sulla necessità di tener conto dell’analisi che questa offriva del
processo capitalistico di produzione. E proprio sul28 INTRODUZIONE terreno
dell'interpretazione del capitalismo e della sua struttura eco- nomica doveva
compiersi l’incontro tra il pensiero marxistico e la storiografia economica
ufficiale, rappresentata soprattutto dalla suo- la di Gustav von Schmoller. In
un paese che, seppur parecchi decenni dopo l’Inghilterra e anche dopo altre nazioni
continentali come il Belgio c la Francia, aveva conosciuto un rapido e fiorente
sviluppo capitalistico — fino a diventare ormai una delle potenze dominatrici
del mercato mondiale — il problema delle origini del capitalismo e dei suoi
caratteri distintivi rispetto ad altre forme di economia, nonché dei rapporti
tra l'economia capitalistica e gli altri aspetti fondamentali della società
moderna, acquistava un rilievo preminente. Ed esso costituirà, all’inizio del
nuovo secolo, il terna centrale delle maggiori opere di Sombart, a partire da
Der moderne Kapitalismus (1902), e delle contemporanee ricerche di Max Weber
sul condizionamento reciproco tra religione e sviluppo economico. Nell'ultimo
decennio dell’Ottocento lo storicismo tedesco si tro- va perciò inserito in un
panorama culturale in rapida trasformazio- ne. Esso non deve più fare i conti
soltanto con l’eredità della scuola storica e con l’edificio concettuale che
essa aveva costruito, ma ha davanti a sé una sociologia che sta sorgendo sulla
base di presuppo- sti diversi da quelli della sociologia positivistica, ha
davanti a sé altre scienze sociali che si propongono di sviluppare un’analisi
empirica di particolari settori della società; e sullo sfondo comincia a
profilarsi l'ombra scomoda del materialismo storico. Nuovi proble- mi si
impongono quindi alla sua riflessione: non più quello dell’au- tonomia della
conoscenza storica e della sua distinzione dalle scien- ze della natura — che
appaiono ormai cosa acquisita — ma i pro- blemi dei rapporti tra la sociologia
e le altre discipline, tra le scienze sociali e la ricerca storica, tra
l’interpretazione economica della storia e altre direzioni di analisi. Ad essi
rivolge la propria atten- zione Georg Simmel, dal saggio Uber soziale
Differenzierung (1890) al volume Die Probleme der Geschichtsphilosophie (1892)
e alla con- temporanea, ampia E:nleitung in die Moralwissenschaft (1892-93), dalla
Philosophie des Geldes (1900) alla Soziologie (1908). Simmel muove dal
presupposto del compito descrittivo delle scienze sociali. In esso si manifesta
il suo atteggiamento ambivalen- te verso il positivismo, dal quale accoglie il
postulato della possibili- tà di una descrizione empirica dei fenomeni sociali
ma di cui re- spinge, al tempo stesso, l’assunzione di una struttura legale
della INTRODUZIONE 209 realtà alla quale la conoscenza scientifica debba, in
ultima analisi, riferirsi. Con ciò Simmel non giunge a negare l’esistenza di
una struttura del genere, ma la considera inattingibile alla conoscenza, e
quindi irrilevante. Le leggi dei fenomeni sociali — questa tesi è formulata fin
dal 1890 — sono leggi non macroscopiche ma micro- scopiche, e regolano non già
il comportamento e il processo evoluti- vo delle varie forme di associazione e
di organizzazione, bensì i rapporti tra gli individui che ne costituiscono gli
elementi ultimi. Non esistono quindi o, se anche esistono, non si possono
determina- re — il che è la medesima cosa — leggi di sviluppo della società in
quanto tale, considerata nella sua totalità: al massimo, esistono leggi
psicologiche a cui si conforma l’azione degli individui. All’anti- tesi
diltheyana tra spiegazione e comprensione Simmel sostituisce così la
distinzione tra un procedimento esplicativo, fondato su leggi generali, e un
procedimento rivolto alla descrizione dei fenomeni; e questo gli appare l’unico
legittimo nell’ambito delle scienze sociali come nella ricerca storica.
Tuttavia la descrizione non costituisce la semplice riproduzione di una realtà
oggettivamente sussistente: essa comporta un’elaborazione del dato empirico che
può avvenire solo sulla base di categorie. Queste rappresentano l’elemento
formale della conoscenza, distinto dal contenuto: la loro funzione è di
organizzare il dato, e quindi di determinare la direzione di ricerca delle varie
discipline. Ma l’apriorità delle categorie, la loro differen- za rispetto al
contenuto della conoscenza, non significa affatto che esse siano forme
universali e necessarie dell’intelletto: al contrario, anch'esse derivano
dall'esperienza e sono diverse da una disciplina all’altra. Compito
dell'indagine critica è perciò quella di individuare tali categorie, di
stabilirne la funzione, di accertare il modo in cui operano nelle varie scienze
sociali, attraverso un’analisi del procedi- mento concreto € del campo di
ricerca di ogni disciplina. Simmel ha condotto quest'analisi non tanto in
termini generali, quanto in riferimento a problemi specifici; né è possibile
rintraccia- re nelle sue varie opere una linea coerente e unitaria di sviluppo.
In Die Probleme der Geschichtsphilosophie egli affronta l'esame dei rapporti
tra psicologia e ricerca storica, cercando di determinare i presupposti
psicologici sui quali poggia il procedimento di compren- sione di quest’ultima,
per giungere infine alla negazione del caratte- re scientifico delle leggi
storiche — a cui viene riconosciuto un valore puramente ipotetico e
anticipatorio — e al rifiuto dei vari 30 INTRODUZIONE tentativi di scoprire un
« senso » della storia scientificamente valido. Nell’Einleitung in die Moralwissenschaft
egli si propone di dimostra- re la possibilità di una conoscenza scientifica
della vita morale e di individuarne il campo di ricerca, ai confini tra
psicologia, scienze sociali e ricerca storica. Nella Philosophie des Geldes
egli prende in considerazione un concetto economico fondamentale, quello di
dena- ro, per analizzare il processo attraverso il quale il valore economico
diventa un'entità misurabile e trova quindi la propria unità di misura appunto
nel denaro. Più tardi, nel 1908, Simmel perverrà ad affrontare il problema
dell'autonomia della sociologia nei confronti delle altre scienze socia- li,
proponendone una concezione svincolata sia dai presupposti positi- vistici sia
dall’impostazione storico-tipologica ch’essa aveva trovato nell’opera di
Tònnies, La concezione simmeliana è fondata sull’af- fermazione del carattere
puramente formale della sociologia. Dal punto di vista del contenuto non è
possibile differenziare la sociolo- gia dalle altre scienze sociali: i fenomeni
che esse studiano sono pur sempre i medesimi, e sono riconducibili a processi
psichici individua- li. Ma la sociologia rappresenta un nuovo tipo di
considerazione di questi fenomeni, in quanto essa li studia non già come
fenomeni morali o economici o politici, e via dicendo, bensì nei modi di
relazione — in certa misura permanenti — tra gli individui, da cui hanno
origine i processi di « associazione ». La sociologia prescinde dal contenuto
dei fenomeni sociali, che sono sempre variabili, per limitarsi all'analisi
delle forme di associazione; essa è la « dottrina dell’essere-società
dell'umanità ». In altri termini, mentre le singole scienze sociali studiano i
fenomeni sociali in quanto qualificati nel loro contenuto, la sociologia indaga
i processi in cui i rapporti reciproci tra gli uomini dànno luogo alle
strutture della società. Il suo oggetto specifico consiste perciò nelle forme
di associazione, che costituiscono l’elemento formale onnipresente nella vita
sociale e che, pur essendo anch'esse sottoposte a un mutamento e a una
trasformazione, posseggono tuttavia un grado di permanenza supe- riore al ritmo
della vita individuale. Quando Simmel pubblicherà la Soziologie, questa
disciplina avrà ormai trovato una piena legittimazione nella cultura tedesca; e
lo stesso Dilthey — in contrasto soltanto apparente con la posizione assunta
nell’Einl/eitung in die Geisteswissenschaften — avrà parole di apprezzamento
per la prospettiva simmeliana. Nel corso degli INTRODUZIONE 3I anni ’90 e nei
primi anni del nuovo secolo la sociologia aveva cercato non soltanto di
definire teoricamente il proprio compito e i propri metodi, ma si era impegnata
in uno sforzo di analisi empirica di diversi aspetti della realtà tedesca
contemporanea, Molto tempo era trascorso da quando Heinrich von Treitschke
aveva sbrigati- vamente asserito che la conoscenza della società si esaurisce
nel- la scienza politica, in quanto ogni aspetto della vita sociale è
riconducibile allo stato: i problemi della struttura economico-so- ciale della
Germania post-bismarckiana richiedevano un altro tipo di considerazione, che
era appunto offerto dalla nuova scienza. In questo contesto si viene compiendo
la formazione di una delle più importanti personalità del movimento
storicistico, cioè di Max Weber. Partito da studi a cavallo tra storia del
diritto e storia economica, il giovane Weber prende ben presto parte a
un'inchiesta sulla situazione del lavoro agricolo in Germania, promossa dal «
Verein fir Sozialpolitik », analizzando — nel volume Die Ver- haltnisse der
Landarbeiter im ostelbischen Deutschland (1892) — il processo di trasformazione
dell’agricoltura tedesca nelle regioni orientali e i problemi, anche politici,
che ne derivavano; in seguito altri aspetti dell’economia capitalistica
contemporanea attraggono la sua attenzione, finché nel ’97 una grave crisi
nervosa non lo costrin- ge a interrompere per vari anni ogni attività. Ma già
in questo primo, intenso periodo di lavoro intellettuale viene a delinearsi il
posto centrale che, negli studi successivi di Weber, assumerà il problema del
capitalismo moderno e della sua individualità storica, cioè della sua
specificità rispetto alle altre forme di economia. Nel medesimo tempo
l’emergere di sempre più marcati interessi metodo- logici lo spinge a seguire
da vicino la discussione sul materialismo storico, che proprio verso la metà
degli anni ’go si estende dalla Germania verso altri paesi europei, e ad
avvertire l’esigenza di defi- nire il procedimento delle scienze sociali. Così
egli si accosta alla pro- blematica dello storicismo, al cui sviluppo offrirà
poi un contributo decisivo agli inizi del nuovo secolo. IV. Nel 1905, dopo
quasi un decennio dedicato prevalentemente all'analisi dei principali momenti
di sviluppo della cultura moder- na, Dilthey riprendeva il progetto di una «critica
della ragione 32 INTRODUZIONE storica », formulato nell’Einleitung in die
Geisteswissenschaften. Egli si rendeva certamente conto — ne sono prova i
tentativi piuttosto disparati di prosecuzione, compiuti negli anni ’90 — di non
essere riuscito a realizzare quella fondazione delle scienze dello spirito che
si era proposto. Anzi, si rendeva anche conto che la soluzione prospettata nel
1883 rischiava di vanificare la validità oggettiva di tali discipline,
riducendole all’immediatezza dell’espe- rienza vissuta. Infatti, se le scienze
dello spirito hanno la propria base nell’esperienza vissuta che l’uomo ha di sé
e degli altri, e se la comprensione degli altri poggia sulla capacità di
«rivivere» gli stati interiori altrui — com'era asserito nei Beitràge zum
Studium der Individualitit — è chiaro che la validità della conoscenza storica
e delle discipline che la costituiscono rimane confinata al piano psicologico.
Per dare alle scienze dello spirito un fondamento conoscitivo adeguato era
necessario abbandonare questo piano, e garantire in qualche modo l’oggettività
dell’intendere, la partecipabi- lità dei suoi risultati. Ancora una volta il
punto di partenza era offerto dall'analisi della struttura della vita psichica,
alla quale sono dedicate in massi- ma parte le tre Studien zur Grundlegung der
Geisteswissenschaften (1905-10). Ma in quest’analisi Dilthey non soggiace più,
come nelle Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, alla
tentazione di risolvere il compito di fondazione critica delle scienze dello
spirito in una descrizione psicologica del loro procedimento. Un’impostazione
del genere non poteva ormai non apparirgli inficia- ta di psicologismo, cioè di
una confusione arbitraria tra determina- zione delle condizioni di validità del
conoscere e analisi delle sue condizioni psichiche; e proprio lo psicologismo
era stato sottoposto pochi anni prima a una critica spietata da parte di Edmund
Hus- serl nelle Logische Untersuchungen (1900-1901), l’opera che segna l'inizio
del movimento fenomenologico. Come aveva rilevato Hus- serl, la psicologia è
una scienza sperimentale, che non può avanzare alcuna pretesa di fondazione;
anzi, essa stessa richiede di esser fondata nella sua validità, Dilthey, che
aveva letto attentamente le Logische Untersuchungen, recepisce questa critica:
se il punto di partenza della fondazione delle scienze dello spirito consiste
nell’ana- lisi della struttura della vita psichica, essa non è tuttavia
riducibile a quest’analisi. L'indagine critica concerne la validità delle
scienze dello spirito: al di là della descrizione delle varie operazioni
conosci- INTRODUZIONE 33 tive, sulla cui base si costituiscono le singole
discipline, si pone appunto un altro problema, quello della fondazione del loro
meto- do e dei loro risultati. In questo contesto anche l’esperienza vissuta
viene in qualche modo ridimensionata nella sua importanza. Certamente, ogni
mani- festazione della vita psichica ha la sua radice in essa, cioè nel corso
ininterrotto dell’ErleZer, nella successione di stati interiori da cui questo è
formato. Ma l’Erleben possiede una sua struttura, rappre- sentata dalla
relazione tra atto e contenuto; e dai diversi modi di questa relazione sorgono
le varie forme di atteggiamento della vita psichica, i suoi «sistemi» — cioè l'apprendimento
oggettivo, il sentimento e la volontà. La conoscenza coincide appunto col primo
di questi sistemi, nel quale è presente una tendenza verso l’oggetto, verso un
oggetto concepito — e qui è evidente la suggestione di Husserl — come « parzialmente
trascendente » rispetto all’esperien- za vissuta. Perciò essa si sviluppa su un
piano ulteriore rispetto all’Erleben: su questo piano sorgono le operazioni
comuni a ogni specie di apprendimento oggettivo, da quelle elementari (come la
comparazione, la distinzione, la relazione) a quelle proprie del pensiero
discorsivo (come la riproduzione memorativa di uno stato passato, il rapporto
tra espressione e ciò che è espresso, il giudizio, il concetto, il sillogismo),
e si compie altresì la differenziazione tra i metodi delle varie discipline, in
particolare tra scienze della natura e scienze dello spirito. In tale
prospettiva Dilthey affronta, nell’ultima delle Studier zur Grundlegung der
Geisteswissenschaften e, più ampiamente, in Der Aufbau der geschichtlichen Welt
in den Geisteswissenschaften (1910), il duplice problema della delimitazione
delle scienze dello spirito e della loro fondazione critica, Esso viene
impostato indivi- duando il fondamento di queste discipline non più
nell’esperienza vissuta, ma nel nesso tra esperienza vissuta, espressione e
intendere — comune sia all’introspezione sia alla comprensione storica, vale a
dire sia alla conoscenza di sé sia alla conoscenza degli altri. Ogni elemento
del mondo umano è infatti, per Dilthey, l’espressione di un'esperienza vissuta,
l’espressione della vita di un individuo. Ma questa espressione, la quale
comporta la realizzazione dell’esperien- za vissuta all’esterno, in forme
sensibili, è una realtà oggettiva e osservabile: a questa realtà, non alla vita
psichica nella sua immedia- tezza, si rivolge il processo dell'intendere.
L’intendere non si riduce 3. STORICISMO TEDESCO. 34 INTRODUZIONE quindi a un
atto di «penetrazione simpatetica », al rivivere un certo stato interiore
proprio o di un altro individuo; tanto meno si riduce all’introspezione, poiché
— come Dilthey afferma esplicita- mente — «l’uomo si conosce soltanto nella
storia, mai mediante l’introspezione ». Tuttavia intendere un elemento della
realtà spiri- tuale vuol dire pur sempre riportarlo all’esperienza vissuta da
cui è scaturito, ossia considerarlo come espressione della vita: l’intendere
non è altro che «un ritrovamento dell’io nel tu», la scoperta, in tutte le
manifestazioni storiche, della vita psichica dalla quale proce- dono. Il nesso
tra esperienza vissuta, espressione e intendere viene quindi a configurarsi
come un nesso circolare: come l’espressione deriva dall’esperienza vissuta e
l’intendere si riferisce all’espressione, così l’intendere deve anche risalire
— per il tramite dell’espressione — all’esperienza vissuta. Essendo fondate su
tale nesso, le scienze dello spirito risultano caratterizzate da un
«riferimento retrospetti- vo» all’esperienza vissuta. Come già nell’Ein/eitung
in die Geistes- wissenschaften, così anche nell'ultima fase del pensiero
diltheyano esse poggiano dunque sul presupposto di un’identità fondamentale tra
soggetto e oggetto, e la loro possibilità deriva appunto dal fatto che «la vita
coglie qui la vita». La loro certezza non è più immediata ma mediata, in quanto
trova una garanzia nel rapporto tra esperienza vissuta, espressione e
intendere; tuttavia anche questa garanzia trae origine, in ultima analisi,
dall’appartenenza dell’uomo allo stesso mondo studiato dalle scienze dello
spirito, vale a dire dalla struttura dell’uomo come essere storico. Perciò le
categorie della ragione storica, i modi di apprendimento del mondo umano,
coincidono con le forme strutturali di tale mondo: esse ne costitui- scono la
semplice traduzione concettuale. Dilthey rimaneva così legato, anche
nell’ultima fase del suo pen- siero, all’eredità metodologica della scuola
storica. L’insistenza sull’e- sperienza vissuta come radice di tutta la vita
psichica, sul costante « riferimento retrospettivo » ad essa delle scienze
dello spirito, e nel medesimo tempo il privilegiamento della vita considerata
come la dimensione fondamentale del mondo umano — che ha fornito lo spunto a
un’interpretazione metafisica della filosofia di Dilthey, senza dubbio
arbitraria ma tuttavia sintomatica — ne sono una chiara dimostrazione. Non del
tutto a torto Husserl estendeva allo storicismo diltheyano, nel saggio
Philosophie als strenge Wissen- schaft (1910), la critica rivolta allo
psicologismo. La « costruzione INTRODUZIONE 35 del mondo storico » delineata
negli scritti del periodo 1905-11 rima- ne sempre in un difficile, precario
equilibrio tra lo sforzo di svincolarsi dal piano dell’immediatezza, dalla
tendenziale riduzione della conoscenza storica all’esperienza vissuta, e il
permanente lega- me con la scuola storica e con i suoi presupposti
metodologici. Ma nei medesimi anni in cui il vecchio Dilthey esponeva
all'Accademia delle Scienze di Berlino i risultati conclusivi della sua analisi
delle scienze dello spirito, quei presupposti subivano una critica radicale e
definitiva da parte di Max Weber — di trent'anni più giovane — sulle colonne
prima dello « Schmollers Jahrbuch » e poi del rinnova- to « Archiv fir
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik ». Se per Dil- they la conoscenza storica
coincideva pur sempre con l’edificio con- cettuale della scuola storica, per
Weber s’identificava ormai con un complesso di discipline che si erano
costituite — la sociologia in primo luogo, ma anche la scienza economica nella
versione margina- listica — distaccandosi da tale edificio e respingendone sia
l’imposta- zione generale sia la pretesa di onnicomprensività. A queste
discipli- ne, al loro procedimento concreto e ai loro rapporti si riferisce
l’analisi metodologica di Weber, che non a caso prende le mosse dalla polemica
contro la scuola storica di economia. Quando Weber ritorna agli studi nel 1901,
il suo interesse è attratto soprattutto dal problema — largamente dibattuto in
quel periodo — del metodo della scienza economica; e a questo è dedica- to il
suo primo saggio metodologico, Roscher und Knies und die logischen Probleme der
historischen Nationalbkonomie (1903-06). Da circa mezzo secolo la scuola
storica dominava gli studi di economia negli ambienti accademici tedeschi: essa
si proponeva, in opposizione all'economia classica di Smith o di Ricardo, di
indaga- re i fenomeni economici nel loro sviluppo, come parte integrante della
totalità della vita di un popolo. Ciò facendo Roscher, Hilde- brand, Knies
avevano in realtà trasferito all'ambito economico l’im- postazione organicistica
della scuola storica, la visione del processo storico come prodotto di uno «
spirito del popolo » che garantisce, in ogni momento di sviluppo, la
connessione dei diversi aspetti della realtà sociale. Questa impostazione era
stata criticata fin dal 1883 da Karl Menger nelle Untersuchungen ùiber die
Methode der Sozialwissenschaften und der politischen Oekonomie insbesondere,
un’opera che aveva dato inizio a una celebre disputa. Weber ripren- de le
obiezioni di Menger, respingendo la pretesa di determinare 36 INTRODUZIONE
leggi di sviluppo economico, cioè tendenze evolutive dei fenomeni economici
fornite di significato legale. Ma la sua critica si estende subito all’intera
eredità metodologica della scuola storica, all’edificio concettuale che essa
aveva costruito. E a tal fine egli si richiama a un’altra opera apparsa da
poco, ai Grenzen di Rickert, accogliendo la distinzione che egli aveva
formulato tra scienze naturali e scien- ze della cultura, Rickert gli offriva
infatti gli strumenti per condur- re una duplice polemica: da un lato contro
l’oggettivismo storico, cioè contro la dottrina che ripone il fondamento
dell’autonomia della conoscenza storica in una determinazione oggettiva del
campo di ricerca, cioè in una presunta specificità ontologica dei fenomeni
storici, dall’altro contro l’intuizionismo storico, cioè contro la dottri- na
che cerca tale fondamento in qualche forma di comprensione intesa come
intuizione immediata. Se Dilthey non è nominato, cadono invece sotto i colpi
della polemica di Weber autori come Wundt, Miinsterberg, Lipps, come il Simmel
dei Probleme der Geschichtsphilosophie e il Croce dell’Estetica. Il richiamo a
Rickert aveva però anche una portata positiva. Accogliendo un criterio
puramente metodologico di distinzione tra scienze naturali e scienze
storico-sociali Weber lasciava da parte l’an- titesi — di origine diltheyana —
tra spiegazione e comprensione, e poteva rivendicare anche alla conoscenza
storica un compito di spiega- zione causale. Soltanto che questa assumeva una connotazione
parti- colare. Nelle scienze naturali, infatti, la spiegazione consiste nel
riportare un fenomeno a leggi generali, di cui esso costituisce un semplice
caso particolare: tra l'avvenimento da spiegare e le leggi vi è un rapporto di
« sussunzione ». Nelle scienze storico-sociali la spiegazione riveste invece un
carattere individuale: essa è rivolta alla determinazione del rapporto causale
specifico che intercorre tra due o più fenomeni individuali, ossia tra momenti
successivi di uno stesso processo individuale di sviluppo. Sulla strada
indicata da Rickert era quindi possibile attribuire un compito esplicativo
anche alle scienze storico-sociali, ma asserirne al tempo stesso la diversità
da quello delle scienze naturali. La metodologia storiografica di origine
romantica e — al pari di essa — anche il positivismo avevano identificato la
causalità con la legalità; rifiutando tale identi- ficazione Weber affermava,
al contrario, la specificità della spiegazio- ne causale-individuale e la sua
compatibilità con il processo dell’in- tendere. Egli perveniva così a
recuperare un elemento centrale del- INTRODUZIONE 37 l'impostazione diltheyana:
la conoscenza storica deve, a differenza delle scienze naturali, comprendere il
proprio oggetto. Ma questa comprensione è inseparabile dalla spiegazione
causale. Più precisa- mente, la comprensione consiste nella formulazione di
ipotesi inter- pretative concernenti il « senso » degli avvenimenti, che
occorre poi verificare attraverso il ricorso alla spiegazione causale. Si compie
in tal modo l’incontro tra due orientamenti di analisi metodologica, che nel
corso degli anni ’90 erano apparsi inconciliabili: da una parte la spiegazione
causale viene svincolata dal riferimento esclusi- vo a leggi generali, e si
riconosce la possibilità di un tipo di spiegazione proprio della conoscenza
storica, orientato in senso indi- vidualizzante; dall’altra l’intendere
acquista una propria autonomia metodologica nei confronti dell'esperienza
vissuta, e il suo procedi- mento viene ricondotto a regole oggettive. Su questa
base Weber affronta, nel saggio Uber die « Objektivitàt»
sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntis (1904) e nel- le
Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik (1906), il
problema dell’oggettività delle scienze storico-sociali — che rimarrà centrale
nella sua riflessione metodologica. Le condi- zioni di tale oggettività vengono
determinate per un verso nell’esclu- sione dei giudizi di valore, per l’altro
verso nel ricorso alla spiegazio- ne causale. Weber accoglie infatti la
distinzione rickertiana tra giudizio di valore e relazione ai valori, per
affermare l’estraneità del primo a ogni forma di conoscenza e per individuare
nella presenza o nell’assenza di quest’ultima la differenza principale tra
conoscenza storica e scienze naturali. Le scienze storico-sociali pog- giano su
una relazione ai valori che designa il riferimento a certi criteri di scelta
del dato rilevante per la loro indagine, i quali presiedono quindi alla sua
elaborazione concettuale. Ma nell’analisi di questa relazione Weber si distacca
nettamente da Rickert, lascian- do cadere il presupposto della validità
incondizionata dei valori. Egli muove, al contrario, dall’affermazione della
relatività dei crite- ri di scelta impiegati dalle scienze storico-sociali, e
perciò dalla constatazione del carattere inevitabilmente « soggettivo » delle
loro premesse, cioè del loro condizionamento culturale. Si pone così il
problema di stabilire come, date queste premesse soggettive, le scienze
storico-sociali possano tuttavia pervenire a risultati validi oggettivamente.
La garanzia di tale validità è rintracciata nel princi- pio di causalità, che
vale — seppure in forma diversa — sia nelle 38 INTRODUZIONE scienze naturali
sia nelle scienze storico-sociali. Ma la relatività dei criteri di scelta
incide, in realtà, sullo stesso procedimento di spiega- zione causale. Essa
rende impossibile in linea di principio, e non sola- mente di fatto,
determinare tutti gli elementi del processo causale da cui scaturisce un certo
evento: ogni spiegazione è sempre parziale, in quanto individua una particolare
serie di antecedenti e mai la totalità degli antecedenti di un fenomeno. Ciò
implica che il rappor- to tra una certa condizione o un certo complesso di condizioni
(considerate come cause del fenomeno) e il fenomeno da spiegare non è
esprimibile in un giudizio di necessità, cioè in un giudizio il quale asserisca
che, data quella condizione o quel complesso di condizioni, ne deriva
immancabilmente come suo effetto quel feno- meno; esso deve venir formulato su
una diversa base categoriale, cioè in un giudizio di possibilità oggettiva, La
spiegazione di un avvenimento consiste perciò nella determinazione delle
condizioni che lo hanno reso oggettivamente possibile, nonché del grado di
rilevanza di ognuna di queste condizioni; tant'è vero che i giudizi di
possibili tà oggettiva si dispongono lungo una scala i cui estremi sono
costituiti dalla « causazione adeguata » e dalla « causazione accidenta- le »,
cioè dalla determinazione rispettivamente dell’indispensabilità o della
non-indispensabilità di una certa condizione per il verificarsi del fenomeno da
spiegare. Un oggetto storico, considerato nella sua individualità, non è
soltanto — come si è visto — indeducibile da un sistema di leggi generali, ma
non è neppure suscettibile di una spiegazione esausti- va. Le scienze
storico-sociali possono spiegarlo sempre in maniera parziale, riportandolo a
una o più serie particolari di condizioni; e i giudizi che enunciano tale rapporto
sono appunto giudizi di possibili- tà oggettiva. Affermando l’orientamento
individualizzante della spie- gazione storica Weber non ha però inteso
escludere il riferimento a leggi generali, o per lo meno a uniformità di
comportamento dei fenomeni sociali : il sapere nomologico è anzi presupposto
indispensa- bile per la stessa formulazione di giudizi di possibilità
oggettiva. Ma esso ha una funzione puramente strumentale, nel senso che quelle
che Weber chiama «regole generali dell’esperienza » intervengono nel
procedimento esplicativo soltanto come supporto per la costruzio- ne di
processi tipico-ideali con i quali comparare il processo reale, e sono
impiegate in vista della determinazione di un nesso causale tra fenomeni
individuali. La relazione tra generale e individuale si INTRODUZIONE 39
presenta così in maniera inversa nelle scienze naturali e nelle scien- ze
storico-sociali. Nelle prime il fenomeno viene ridotto a caso particolare di
una legge, e anche il rapporto di causa ed effetto tra due fenomeni viene
considerato come una semplice specificazione di un rapporto esprimibile in
forma generale, cioè in forma di legge. Nelle seconde il riferimento a regole
empiriche generali serve inve- ce come mezzo: il sapere nomologico di cui la
conoscenza storica si avvale è costituito del resto da tipi ideali, cioè da
concetti formati attraverso un processo di astrazione dalla realtà empirica e
di accentuazione unilaterale di alcuni suoi elementi. Weber non si è però
limitato a fornire una caratterizzazione del procedimento esplicativo delle
scienze storico-sociali in termini indivi- dualizzanti, sulla linea tracciata
da Rickert; gli ha anche dato una struttura categoriale diversa da quello delle
scienze naturali. Lo schema di spiegazione della conoscenza storica, definito
in termini di giudizi di possibilità oggettiva, si presenta infatti come uno
schema « condizionale ». Sotto questo profilo — che è probabilmen- te il più
importante — la teoria weberiana della spiegazione rappre- senta un radicale
rifiuto del postulato di una struttura legale della realtà sociale, che il
positivismo ottocentesco aveva sovente associato al modello di spiegazione su
base deduttiva formulato da John Stuart Mill. Per Weber la realtà sociale non è
il dominio di leggi necessarie: in esse si possono ritrovare soltanto
uniformità di com- portamento verificabili empiricamente, la cui elaborazione
concettua- le dà luogo alle leggi che costituiscono l'apparato teorico delle
scienze storico-sociali. Perciò il procedimento esplicativo di queste
discipline poggia non già su relazioni invariabili, bensì su possibili- tà
oggettive; e i rapporti che esso pone in luce sono rapporti di condizionamento
i quali esprimono il grado maggiore o minore di probabilità del verificarsi,
sulla base di condizioni date, di un deter- minato fenomeno. Mentre Dilthey
concludeva una fase del dibattito metodologico dello storicismo tedesco, Weber
ne apriva contemporaneamente un’altra. Ci troviamo qui di fronte a una svolta
decisiva nello sviluppo del movimento storicistico, a una svolta caratterizzata
non soltanto dalla consapevole rottura con l'eredità della scuola storica, ma
anche dallo sforzo di risolvere l'indagine critica nell’analisi metodologica
del procedimento concreto delle scienze storico-sociali e del loro tipo di
spiegazione, abbandonando le ambizioni di una 40 INTRODUZIONE loro « fondazione
» filosofica. L'impostazione weberiana avrà conse- guenze durature, e di ampia
portata, sullo sviluppo di queste discipli- ne, in primo luogo della
sociologia. Del resto lo stesso Weber simpegnerà in seguito, sulla linea
tracciata nei suoi primi saggi metodologici, nella definizione del compito e
delle categorie della « sociologia comprendente », indicando il suo oggetto
specifico nelle uniformità dell'agire umano dotate di senso e affermandone
l’autono- mia, anzi l’antitesi relativa, nei confronti della ricerca storica.
Su questa base egli giungerà a fornire, in quella che è rimasta fino ad oggi
l’opera più importante della sociologia novecentesca — cioè in Wirtschaft und
Gesellschaft, pubblicata postuma nel 1921 — una sistemazione organica della
teoria sociologica e dei principali campi d’indagine della nuova scienza. V. La
problematica dello storicismo tedesco non si esaurisce tutta- via nel dibattito
metodologico al quale abbiamo finora limitato la nostra attenzione. Al
contrario, alla discussione sul metodo della conoscenza storica, sulla sua
autonomia rispetto alle scienze naturali e sui suoi rapporti con le scienze
sociali si affianca, fin dall’inizio, la consapevolezza che lo sviluppo di
questo nuovo tipo di sapere non può non incidere sull'immagine dell’uomo e
della realtà, la consapevolezza che la dimensione storica deve in qualche modo
trovare diritto di cittadinanza in una concezione filosofica generale. Molti
anni prima dell’Etz/eitung in die Geisteswissenschaften, in una lettera che
risale al 1860, Dilthey aveva individuato la caratteri- stica fondamentale di
questa nuova concezione filosofica nello sfor- zo di « comprendere l’uomo come
un essere essenzialmente storico, la cui esistenza si realizza soltanto nella
comunità». E in base a questo egli assumeva fin da allora una duplice posizione
critica: da una parte nei confronti di ogni metafisica la quale pretenda di
cogliere il significato della storia ancorandolo a un piano provviden- ziale
divino, dall’altra nei confronti di qualsiasi tentativo di ricondur- re il
processo storico a un principio assoluto ad esso immanente, Il rifiuto
dell’interpretazione teologica della storia diventerà esplicito nell’Einleitung
in die Geisteswissenschaften, in cui il sorgere delle scienze dello spirito
viene collegato al processo di liberazione del sapere dalla metafisica
tradizionale; ma era già implicito negli INTRODUZIONE 4Iscritti precedenti,
nella stessa adesione del giovane Dilthey ai presup- posti metodologici della
scuola storica. Ad esso si accompagna però l'atteggiamento polemico verso
Hegel, il rifiuto del postulato della razionalità della storia e di una visione
del processo storico come successione razionalmente ordinata di incarnazioni
dello « spirito del mondo ». Fin dal 1864, affrontando il problema dell’essenza
della storia, Dilthey la identificava con il puro e semplice « movi- mento
storico », inteso come «il lavorare di una generazione per la successiva, il concretarsi
dell'individuo in rapporti sociali ricchi di contenuto, per cui egli lavora ».
Questa presa di posizione anti-meta- fisica, sorretta dal richiamo alle
prospettive neocriticistiche, verrà poi chiaramente in luce nell’Einleitung in
die Geisteswissenschaf- ten, in cui è asserita in modo esplicito la storicità
dell’individuo e del mondo umano nel suo complesso, e in cui viene compiuto il
tentativo di dare una definizione della storia che prescinda dal riferimento a
princìpi speculativi. La vita dell’uomo si risolve nel processo storico,
nell’instaurazione di rapporti con gli altri individui e nella costruzione dei
sistemi di cultura e dei sistemi di organizza- zione esterna della società; e
ogni stato sociale è inserito in questo processo, per cui risulta « uno stato
storico ». La storicità viene in tale maniera assunta a dimensione costitutiva
non soltanto dell’uo- mo in quanto individuo, ma dello stesso mondo umano che è
oggetto delle scienze dello spirito. Dilthey ritornerà più tardi, nell’ultima fase
del suo pensiero, su queste implicazioni più generali della propria filosofia,
cercando di darne una sistemazione organica. Ma già prima esse erano ben
percepibili. Che lo storicismo avesse conseguenze di ampia portata — e
soprattutto conseguenze negative — sulla considerazione di tutti gli aspetti
della vita umana, che non soltanto richiedesse nuove prospettive di analisi ma
mettesse contemporaneamente in crisi cre- denze e sistemi tradizionali,
appariva chiaro già pochi anni dopo la pubblicazione dell’Einleitung in die
Geisteswissenschaften. Ed era quasi inevitabile che il primo terreno a venirne
investito dovesse essere quello religioso. La consapevolezza delle implicazioni
filosofi- che dello storicismo poneva infatti in questione il postulato del valore
assoluto della fede cristiana e, insieme ad esso, la possibilità di una
teologia. Dalla coscienza di questa crisi prende le mosse la speculazione di
Ernst Troeltsch. Erede della teologia liberale, allie- vo di Albrecht Ritschl,
Troeltsch avverte il carattere antinomico del 42 INTRODUZIONE rapporto tra
storia e religione: se ogni forma di vita religiosa è storicamente
condizionata, se può esser compresa soltanto in relazio- ne ai diversi aspetti
di una certa cultura o di una certa epoca, nessuna religione può aspirare a una
validità incondizionata. E quindi anche il Cristianesimo diventa una religione
come le altre, ossia un prodotto dello sviluppo storico, privo perciò di quel
fonda- mento soprannaturale che doveva distinguerlo dalle religioni non cri- stiane.
In questa prospettiva Troeltsch affronta — a partire dal saggio Christentum und
Religionsgeschichte (1897) — il problema della specificità e della validità del
Cristianesimo. Di questo problema Troeltsch ha dato soluzioni oscillanti e non
sempre coerenti, dapprima indicando nel Cristianesimo non già la religione
assoluta ma la religione più alta alla quale l’umanità sia pervenuta nel suo
sviluppo storico, e recuperando così un qua- dro storico-evolutivo che aveva
respinto nella sua polemica con- tro il tentativo di «conciliazione » tra
storia e religione compiuto dalla concezione romantica, poi andando in cerca di
un «@ priori proprio della vita religiosa che ne garantisca l’irriducibilità
alle altre forme di attività umana e affermando la presenza di valori assoluti
all’interno del processo storico. Pur nel variare delle soluzioni,
l'orientamento del suo pensiero rimane abbastanza determinato. Es- so muove
infatti dal riconoscimento che, con il sorgere della coscien- za storica
moderna, anche la considerazione della religione e quindi la costruzione di una
teologia devono collocarsi sul terreno della storia. Che cosa sia il
Cristianesimo, quale sia la sua origine, se sia giustificata la sua pretesa di
validità universale, se abbia ancora senso una teologia — tutte queste sono
questioni da affrontare sulla base di una prospettiva storica, facendo
rientrare il Cristianesimo nell’ambito di una storia generale della religione. Nel
volume Die Absolutheit des Christentums und die Religionsgeschichte (1902) Troeltsch
lascia cadere il tentativo di ricondurre tutte le religioni a un nucleo comune
o a una linea unitaria di sviluppo, per guardare invece al Cristianesimo come a
un fenomeno storico individuale, nel quale si realizza non già il possesso —
impossibile in linea di principio — ma il grado più elevato di partecipazione
alla verità religiosa. Il Cristianesimo è interpretato quindi come una
religione storicamente condizionata, da indagare nel suo sviluppo e nelle sue
diverse manifestazioni: qualsiasi fondazione della fede cristiana deve proce-
dere ormai da questo riconoscimento, senza di cui essa è destinata a
INTRODUZIONE 43 naufragare di fronte alla coscienza storica. Tuttavia la storia
non costituisce, per Troeltsch, una realtà autosufficiente e chiusa in se
stessa: al contrario, può riferirsi a valori assoluti, a una realtà
trascendente che si colloca al di fuori del processo storico e che è
accessibile soltanto in maniera parziale e in forme differenti. Troeltsch trova
così nella teoria dei valori il punto di partenza di una giustificazione della
vita religiosa. Fin dal saggio Die Selbst- dindigkeit der Religion (1895) egli
si era richiamato al neocritici- smo; cercando il fondamento della religione e
della sua autonomia in un principio trascendentale distinto da quelli che
presiedono alla conoscenza o alla moralità o all'arte: ma un fondamento del
genere rimaneva puramente formale, e non garantiva affatto la validità
oggettiva delle credenze religiose, tanto meno quella di una determi- nata
forma storica di religione. Anche in seguito il compito della filosofia della
religione è additato nella determinazione della possi- bilità della vita
religiosa come sfera a sé stante dell’attività umana; ma questa viene
individuata non tanto nella struttura della vita psi- chica — come farà Dilthey
nei saggi dedicati alla teoria dell’intuizione del mondo e, in particolare, nel
breve saggio Das Wesen der Religion (1911) — quanto nella relazione con valori
trascendenti. In tal modo il rapporto tra coscienza religiosa e valori si
configura come un caso specifico di un rapporto più generale, cioè del rapporto
tra l’uomo nella sua esistenza storica e un mondo al di là della storia, dal
quale egli deve trarre i propri criteri normativi. La posizione assunta da
’Troeltsch negli scritti di filosofia della religione degli anni ’90 e dei
primi anni del nuovo secolo era, per molti aspetti, emblematica. Nell’intento
di salvaguardare la vita religiosa dall’urto della coscienza storica e dalle
conseguenze relati- vizzanti che essa sembrava comportare, Troeltsch iniziava
un processo di recupero di prospettive metafisiche all’insegna della teoria dei
valo- ri, che sarebbe stato ripreso con maggior coerenza dall'ultimo Win-
delband e dal Rickert del dopoguerra (oltre che da lui stesso, nei successivi
scritti di filosofia della storia). Egli si rendeva ben conto che il
riconoscimento della storicità dell’uomo e del mondo umano era un'acquisizione
definitiva, e che per ritrovare nuove certezze occorreva pur sempre muovere da
tale base. Il tentativo idealistico di conciliare storia e religione — comune a
Schleiermacher e allo Hegel delle Vorlesungen tiber die Philosophie der
Religion — gli appariva una sostanziale mistificazione della vita religiosa e
della 44 INTRODUZIONE sua storia, arbitrariamente interpretata come la
manifestazione pro- gressiva di un’ipotetica «essenza» della religione. Agli
occhi di Troeltsch la realtà storica era una realtà finita, distinta dal mondo
trascendente dei valori e in un rapporto problematico con questi; di conseguenza,
il divino gli si presentava come qualcosa di lontano, di accessibile soltanto
parzialmente e con fatica, in una dimensione diversa da quella del sapere
scientifico. La concezione romantica della storia, la concezione del processo
storico come sede di realizza- zione di un piano provvidenziale, era così
respinta esplicitamente: tanto la filosofia hegeliana della storia, che nella
successione dei singoli «spiriti dei popoli» scorgeva la marcia incessante
dello « spirito del mondo », quanto la visione rankiana che in ogni epoca
ritrovava un rapporto immediato con la divinità, appartenevano per lui a un
passato ormai concluso. Il nuovo storicismo veniva perciò a differenziarsi
nettamente, nella sua concezione della storia, da quello della prima metà del
secolo XIX; e questa eterogeneità traspariva con chiarezza dalla presa di
posizione nei confronti di Hegel, Esso era così destinato a incontrar- si — in
un dialogo che non cesserà mai di essere più o meno polemico — con il
materialismo storico, il quale pure aveva preso le mosse dalla crisi della
filosofia idealistica della storia e dalla critica dei suoi presupposti. Negli
anni in cui l'emergere del problema del capitalismo moderno, della sua origine
e delle sue caratteristiche distin- tive costringeva la cultura accademica
tedesca a fare i conti con l’anali- si marxiana (ed engelsiana) del sistema
capitalistico e del suo sviluppo, il materialismo storico si trovava da parte
sua impegnato in un difficile compito di revisione delle proprie prospettive.
Il crollo del capitali- smo, che nel 1848 era potuto sembrare imminente, si
allontanava sempre più nel tempo, trasformandosi in un obiettivo di lungo
periodo; il sistema capitalistico si rivelava in grado di assorbire le spinte
del movimento operaio e di sopravvivere ai periodi di depres- sione economica;
la previsione di un progressivo accentuarsi della divisione della società in
due classi contrapposte appariva priva di fondamento. Lo stesso Engels era
costretto a riconoscere, nel 1895, la discrepanza tra teoria e realtà, tra le
aspettative rivoluzionarie e il consolidamento del capitalismo. In questa
situazione uno dei maggio- ri esponenti della socialdemocrazia tedesca, Eduard
Bernstein, avvia- va tra il 1896 e il 99 un processo di revisione dei princìpi
dottrinali del marxismo, i cui risultati — pubblicati dapprima sulla rivista
INTRODUZIONE 45 « Neue Zeit » — confluiranno in seguito nel volume Die
Vorausset- zungen des Sozialismus und die Aufgaben der Sozialdemokratie (1889).
La polemica di Bernstein si rivolge contro le interpretazioni del materialismo
storico in chiave deterministica, contro la trasfor- mazione della teoria
materialistica della storia in una dottrina della necessità storica,
esprimibile in presunte «leggi» di sviluppo. A tale polemica si accompagna lo
sforzo di sottrarre il materialismo storico al postulato della riconducibilità
di ogni fenomeno a cause (in ultima analisi) economiche, di cui gli altri
aspetti della vita sociale sarebbero semplici manifestazioni sovra-strutturali,
Contro la distinzione tra struttura economica e sovrastruttura Bernstein fa
valere infatti la tesi della molteplicità dei « fattori » del processo storico,
rivendicando quindi l’autonomia della sfera politica e soprat- tutto della
sfera ideologica rispetto ai processi economici. Ogni fenomeno dev'essere
spiegato come il risultato dell'incontro e della cooperazione di cause diverse,
tra cui quelle economiche rivestono certamente un’importanza essenziale, ma in
nessun modo esclusiva e determinante. Questa riformulazione del materialismo
storico, che tendeva chia- ramente a presentarlo non più come una concezione
generale ma come una teoria scientifica della storia, era destinata ad avere
larga risonanza — fin dai primi anni del nuovo secolo — anche nell’ambito del movimento
storicistico. Certo non in Dilthey, concentrato nella realizzazione del
programma di una «critica della ragione storica », e neppure in Windelband o in
Rickert, che si proponevano di svilup- pare una filosofia della storia sulla
base della teoria dei valori; ma piuttosto nei suoi esponenti più giovani, da
Max Weber allo stesso Troeltsch. E ancora una volta la religione diventava il
terreno principale di questa discussione, il terreno sul quale lo storicismo,
impegnato in un’interpretazione storica dei fenomeni religiosi, dove- va però
evitare al tempo stesso la loro riduzione a processi puramen- te economici e
assicurarne in qualche modo l'autonomia. Fin dal 1904 Max Weber, ritornato al
lavoro dopo una parentesi di alcuni anni, affrontava il problema dell’origine
del capitalismo e dello «spirito capitalistico », e formulava la celebre tesi
della derivazione di quest’ultimo dalla ricerca calvinistica di una «conferma»
della salvezza individuale attraverso il successo conseguito nell’agire mon-
dano, in particolare nell’attività professionale. In questa prospettiva il
rapporto tra fenomeni economici e fenomeni religiosi risultava 46 INTRODUZIONE
rovesciato: lungi dal determinare lo sviluppo della religione, il capitalismo è
esso stesso condizionato all’origine — in uno dei suoi elementi costitutivi —
da un fenomeno religioso qual è l’etica calvini- stica. Tuttavia Weber era ben
lontano da una concezione spirituali- stica della storia, del tipo di quella
enunciata da Rudolf Stammler in Wirtschaft und Recht nach der materialistischen
Geschichtsauffas- sung (1896) — nei cui confronti egli assumerà anzi una
posizione aspramente critica in un saggio del 1907. Weber concepiva piuttosto
la relazione tra economia e religione (al pari di quella tra l’econo- mia e
qualsiasi altra sfera della realtà sociale) come un nesso di condizionamento
reciproco, del quale si deve di volta in volta indagare la direzione e la
portata. Riconducendo l’origine non già del capitalismo ma di una sua
particolare componente, cioè dello spirito capitalistico, all’etica
calvinistica, Weber respingeva il materia- lismo storico come concezione
generale della storia, ma riconosceva la sua validità (e fecondità) in quanto
principio euristico, in quanto ipotesi interpretativa. In una sostanziale convergenza
con Bernstein — anche se muovendo da una posizione di critica al materialismo
storico, non già di revisione interna — egli rifiutava di ammettere un
condizionamento univoco dei processi storici, e quindi anche di quelli
religiosi, da parte di una presunta struttura economica della storia, e
affermava l’impossibilità di ricondurre qualsiasi fenomeno a cause solamente
economiche; ma rivendicava l’importanza di un’indagine diretta ad accertare il
peso del condizionamento econo- mico sulle diverse sfere della vita sociale.
L’unilateralità del materia- lismo storico gli appariva nient’altro che un caso
specifico della unilateralità di ogni criterio di interpretazione: non la sua
limitatez- za, ma la sua assolutizzazione è da respingere. E difatti nei successi-
vi saggi sull’etica economica delle religioni universali — che conflui- ranno
nei Gesammelte Aufsitze zur Religionssoziologie (1920) — Weber allargherà il
proprio ambito di considerazione, affrontando lo studio sia delle influenze che
la situazione economica e i rapporti di classe e di ceto esercitano sulla
formazione e sullo sviluppo delle dottrine religiose, sia del modo in cui
queste orientano l’attività eco- nomica di determinati gruppi sociali, il loro
atteggiamento tradizio- nalistico o razionalistico nei confronti del guadagno e
del lavoro pro- fessionale. In quei medesimi anni anche Troeltsch si accingeva
a un’analisi storica delle dottrine economico-sociali sorte sul terreno del
Cristiane INTRODUZIONE 47 simo. Lo separava da Weber non soltanto un’originaria
diversità di interessi, ma anche una differente valutazione della Riforma
protestan- te, che questi considerava un elemento decisivo per la formazione
dello spirito capitalistico e quindi della civiltà moderna, mentre Troeltsch vi
scorgeva piuttosto — nel volume Die Bedeutung des Protestanti- smus fiir die
Entstehung der modernen Welt (1906) — la continua- zione di una cultura su base
teologica quale quella medievale. Ma la lunga consuetudine degli anni di
Heidelberg, dove Troeltsch insegnò dal 1894 al 1915, lo portò ad attenuare
questo giudizio e a riconoscere le possibilità di sviluppo in senso liberale e
democratico del Calvinismo, contrapposto al Luteranesimo conservatore. Così,
mentre Weber estendeva la propria analisi alle religioni della Cina e
dell’India, oltre che alla religiosità ebraica, Troeltsch dedicava alla
sociologia del Cristianesimo un’opera di ampio respiro, Die Sozial- lehren der
christlichen Kirchen und Gruppen (1908-12). Anch’egli si proponeva di indagare
lo sviluppo del Cristianesimo, dall’epoca primitiva al Cattolicesimo medievale
e poi alla Riforma, nei suoi mutevoli rapporti con la vita economica e con
l’organizzazione della società, ponendo in luce il trapasso dall’originario
atteggiamen- to di indifferenza rispetto al « mondo » a uno sforzo sistematico
di subordinarlo a fini religiosi. E in quest’impresa si trovava a dover fare i
conti con il materialismo storico, a rivendicare nei suoi confronti
quell’autonomia della religione che costituiva la preoccupa- zione dominante
degli scritti degli anni '90. Ma la posizione di Troeltsch veniva a divergere
in maniera significativa — al di là delle dichiarazioni di principio — da
quella di Weber, in quanto egli postulava l’esistenza di una causalità autonoma
della vita religio- sa e concepiva così il condizionamento reciproco tra i vari
tipi di fenomeni storici come incontro di serie causali indipendenti. Se la
critica di Weber si collocava sullo stesso versante metodologico di Bernstein,
quella di 'Troeltsch era piuttosto assimilabile alla concezio- ne
spiritualistica di uno Stammler, in quanto si richiamava a una definizione
ontologica della struttura del processo storico. Questa divergenza, ancora
celata negli anni fino al 1915, verrà chiaramente in luce più tardi, condizionando
l’elaborazione della filosofia della storia di Troeltsch e orientandola verso
un esito assai diverso da quello a cui era pervenuto Weber. 48 INTRODUZIONE VI.
Allargando la propria considerazione dal metodo della conoscen- za storica alla
struttura oggettiva della realtà studiata dalle scienze storico-sociali, il
movimento storicistico si trovava impegnato nella critica delle concezioni
della storia prodotte dalla cultura filosofica della seconda metà del
Settecento e della prima metà dell’Ottocen- to, In tale maniera si compiva, da
un lato attraverso il rifiuto della visione del processo storico come
manifestazione o realizzazione di un principio assoluto, dall’altro attraverso
la riduzione del materiali- smo storico in termini metodologici, la dissoluzione
della « storia universale ». Il processo storico tendeva ad articolarsi in una
molte- plicità di processi particolari, in una molteplicità di rapporti e di
direzioni di sviluppo non riconducibili a una matrice unitaria — sia essa il
cammino dello « spirito del mondo » o la presenza della divinità o anche
soltanto l’azione determinante della struttura econo- mica. Non più la storia
come totalità, ma la storicità dell’uomo e del mondo umano nelle sue dimensioni
concrete diventava il centro di riferimento di una considerazione filosofica
della storia. Il proble- ma del «senso» della storia, di un senso inerente al
processo storico in quanto tale ed esprimibile in una direzione di sviluppo o
in un termine ultimo, lasciava perciò posto alla ricerca del significa- to dei
singoli avvenimenti, delle singole epoche e dei loro rapporti reciproci. Questo
mutamento di impostazione non rivestiva soltanto un carattere negativo: al
contrario, esso dava luogo a un'analisi strutturale del mondo umano e della sua
storicità, alla determinazio- ne dei modi concreti in cui questa permea la vita
degli individui e della società. Tale sforzo speculativo accomuna, al di là
delle diffe- renze, autori come Dilthey o Simmel o lo stesso Weber, e costitui-
sce — accanto al dibattito sul metodo della conoscenza storica — il secondo
nucleo problematico dello storicismo tedesco.L'analisi strutturale dell’uomo e
del mondo umano viene condot- ta lungo tre direttrici principali. La prima è
rappresentata da Dil- they, il quale tende sempre più chiaramente — dopo
l’Einleitung in die Geisteswissenschaften — a trasformare la critica della
ragione storica in una filosofia dell’uomo come essere storico, riportando le
categorie delle scienze dello spirito alla struttura del mondo umano che costituisce
il loro oggetto complessivo. La seconda è rappresenta- ta da Simmel che, dopo
il 1910, compie il trapasso dalla prospettiva INTRODUZIONE 49 relativistica
formulata nel periodo precedente a una metafisica di tipo immanentistico, la
quale individua nel rapporto tra la « vita » e le sue « forme » la struttura
fondamentale dell’esistenza. La terza è rappresentata da Weber, il quale muove
dall’analisi della relazio- ne ai valori per definire su tale base l’esistenza
dell’uomo, e con essa il significato da un lato della scienza e dall’altro
della politica. Le tre direttrici di analisi si distinguono, già a prima vista,
per il diverso atteggiamento che assumono nei confronti del relativismo.
Dilthey afferma la relatività di ogni fenomeno storico e l'immanenza dei valori
alla storia; ma il suo relativismo è enunciato soprattutto in chiave negativa,
e viene a coincidere con il riconoscimento della finitudine dell’uomo e del
mondo umano — in sostanza, esso non è altro che il rifiuto di una concezione
metafisica della storia la quale pretenda di determinarne il senso attraverso
il riferimento a qual- che principio assoluto. In Simmel lo storicismo viene
invece identifi- cato col relativismo, e la conseguenza di ciò è che
l’affermazione della relatività della vita si trasforma nella sua assunzione a
fonda- mento di ogni realtà: dal relativismo, teorizzato in forma positiva, si
sviluppa così una filosofia della vita di stampo chiaramente roman- tico. Un
esplicito atteggiamento anti-relativistico caratterizza invece il pensiero di
Weber: ai suoi occhi il relativismo poggia su una teoria organicistica, che
egli respinge per sostenere l’irriducibilità dei valori al processo storico e
per qualificare il rapporto dell’uomo con i valori come una presa di posizione
che comporta una scelta tra i diversi valori e le diverse sfere di valori. Il
riferimento ai valori perde quindi quella funzione di garanzia della validità
incon- dizionata della conoscenza e dell’agire umano, che Windelband e Rickert
gli avevano attribuito. Fin dall’Einleitung in die Geisteswissenschaften
Dilthey si è proposto di determinare, sia pure in maniera sommaria, la
struttura del mondo umano come realtà storica. Questa struttura è caratteriz-
zata dalla polarità tra l'individuo e i «sistemi» costituiti in virtù delle
relazioni che si instaurano tra gli individui. L'individuo è il nucleo
fondamentale, il Grundkòrper del mondo umano, e quin- di della storia. Ma
l’individuo assume un’esistenza storica soltanto nella misura in cui entra in
rapporto con altri individui, cercando di soddisfare i propri bisogni
attraverso la divisione del lavoro e nel corso delle generazioni. Da
quest’azione reciproca, da queste relazio- ni che acquistano una loro
consistenza autonoma rispetto ai singoli 4. STORICISMO TEDESCO. 50 INTRODUZIONE
uomini, sorgono due tipi di sistemi, i sistemi di cultura e i sistemi di
organizzazione esterna della società. I sistemi di cultura — vale a dire
l’arte, la religione, la filosofia, la scienza e così via — nascono da una
comunanza di scopi presenti in una molteplicità di individui, che vi trovano la
base della loro cooperazione. I sistemi di organizzazione sociale — cioè le
varie istituzioni, dalla famiglia allo stato e alla chiesa — si reggono invece
non soltanto su interessi comuni, ma anche su rapporti di dominio e di
subordinazione, e hanno quindi sempre un carattere più o meno coercitivo. Gli
uni e gli altri si sviluppano nel corso temporale della vita, hanno cioè una
dimensione storica: anche se il grado della loro permanenza nel tempo è assai superiore
a quello dell’esistenza individuale, non per questo acquistano un’esistenza
metastorica. Questa struttura del mondo umano si riflette nell’edificio delle
scienze dello spirito, il quale comprende da un lato due discipline — la
psicologia e l’antropologia — che studiano in modo specifico l’individuo,
dall’al- tro la ricerca storica e le scienze dei vari sistemi di cultura e di
organizzazione sociale. In seguito, negli scritti del periodo 1905-1911,
Dilthey è pervenu- to a concepire le categorie delle scienze dello spirito come
la tradu- zione delle forme strutturali del mondo umano. La vita, la tempora-
lità, l'essenza e lo sviluppo, il valore, lo scopo, il significato non sono
categorie astratte, applicabili a un oggetto qualsiasi; esse sono radicate
nella struttura stessa del mondo umano, la quale condizio- na perciò il
procedimento conoscitivo delle scienze dello spirito. Su questa base il mondo
umano viene inteso come il prodotto del processo di oggettivazione della vita,
vale a dire come « spirito oggettivo» — anche se in senso del tutto differente
da quello hegeliano, ossia come il complesso delle manifestazioni storiche del-
l’attività umana — e la sua struttura è definita facendo ricorso alla nozione
di « connessione dinamica ». Questa nozione, introdotta dap- prima per
caratterizzare la struttura della vita psichica e in seguito estesa a ogni
espressione della vita, designa un insieme organizzato di elementi che ha il
proprio centro in se stesso, che si prefigge scopi suoi propri e che produce valori
peculiari. È quindi una connessione dinamica sia il mondo umano nel suo
complesso sia ogni suo elemento singolo, dall’individuo ai sistemi di cultura e
ai sistemi di organizzazione sociale; anzi, il mondo umano è una connessione
dinamica la quale si articola, al suo interno, in una INTRODUZIONE SI
molteplicità di connessioni che ne ripetono i caratteri strutturali. Non
soltanto la vita storica è orientata in vista di determinati scopi e crea
valori, ma ogni connessione dinamica è contraddistinta da scopi e valori
particolari, che la differenziano da tutte le altre. Riprendendo i risultati
dell'analisi strutturale condotta nell’Ein/ei- tung in die
Geisteswissenschaften, Dilthey riconduce i vari elementi del mondo umano al
concetto unificante di connessione dinamica. Ma accanto ai sistemi di cultura e
ai sistemi di organizzazione sociale si collocano ora anche le epoche storiche,
che vengono a costituire la struttura diacronica del mondo umano: se i due tipi
di sistemi rappresentano le forme permanenti di relazione tra gli individui, le
epoche storiche dànno alla loro attività una fisionomia diversa nel tempo. E
difatti ogni epoca, pur essendo collegata da molteplici rapporti sia con quelle
precedenti sia con quella che la segue — come Dilthey pone in luce analizzando
l’esempio dell’Illuminismo — è caratterizzata da un proprio orizzonte, nel
quale rientrano tutte le sue manifestazioni. Di conseguenza, queste traggono il
loro significato dall’appartenenza a una data epoca, e possono essere comprese
soltanto in relazione ai suoi scopi e ai suoi valori peculia- ri. La tesi
dell’autocentralità delle epoche storiche sfocia quindi nell’affermazione della
relatività di ogni fenomeno storico. Questa conclusione vale anche per il
sapere, e più specificamente per la filosofia. Negli ultimi anni di vita
Dilthey ha cercato di porre in luce le implicazioni che il riconoscimento della
fondamenta- le storicità dell’uomo e del mondo umano comporta per la filosofia
e per la sua tradizionale aspirazione a una validità universale. Dapprima nel
saggio Das Wesen der Philosophie (1905), in seguito in Das geschichtliche
Bewusstsein und die Weltanschauungen e in Die Typen der Weltanschauung und ihre
Ausbildung in den meta- physischen Systemen (entrambi del rgri), Dilthey ha
tracciato le linee di una «filosofia della filosofia » impostata sulla
considerazio- ne della filosofia come una forma non già di sapere scientifico,
bensì di intuizione del mondo. La filosofia, infatti, non è in grado di offrire
alcuna conoscenza oggettiva: il suo sforzo di affrontare il mistero del mondo e
della vita è accostabile più a quello dell’arte e della religione che non al
procedimento d'indagine delle scienze della natura o delle scienze dello
spirito. Arte, religione e filosofia trovano così la loro unità non nello «
spirito assoluto » a cui Hegel le aveva ricondotte, bensì nell’intuizione del
mondo, cioè in un atteg- 52 INTRODUZIONE giamento di fronte alla vita che è
caratterizzato da un complesso di conoscenze, di modi di sentire e di princìpi
di condotta. Tutte e tre sorgono su questa base, proponendosi di dare per vie
diverse unarisposta al mistero del mondo e della vita: l’arte lo fa in forma
intuitiva, la religione andando in cerca di un rapporto con l’invisibile, la
filosofia formulando soluzioni che aspirano a una validità universa- le. Perciò
la filosofia risulta anch’essa condizionata dal tipo di intuizione del mondo
che esprime, e la sua pretesa di dare una soluzione del problema della realtà
che valga per sempre è contrad- detta dalla stessa molteplicità delle dottrine
filosofiche. Questo condi- zionamento è però duplice, in quanto procede per un
verso dalla struttura della vita psichica e per l’altro verso dal processo
storico. In quanto esprime concettualmente un'intuizione del mondo, ogni dottrina
filosofica rientra in un tipo particolare di visione della realtà,
caratterizzata dall’importanza preminente accordata a un certo aspet- to della
struttura psichica; rientra cioè nell’ambito o del naturali- smo o
dell'idealismo oggettivo o dell'idealismo della libertà, che corrispondono alle
tre possibili forme di atteggiamento dell’uomo nei confronti del mondo. Nel
medesimo tempo ogni dottrina filosofi- ca, appartenendo a una data epoca
storica, ne riflette i problemi e le caratteristiche peculiari. La storia della
filosofia viene perciò a confi- gurarsi come lo sviluppo e la lotta reciproca
di tre tipi fondamenta- li di metafisica, che ricorrono in veste nuova nelle
varie epoche. Da quest’analisi Dilthey trae la conclusione che la filosofia
deve abbandonare la pretesa metafisica di determinare un principio incon-
dizionato della realtà. Anch’essa deve, in altri termini, riconoscere la
propria storicità, accogliendo i risultati della coscienza storica moderna.
Dilthey riprende così, a proposito della filosofia, le conside- razioni che
Troeltsch aveva formulato in riferimento alla religione. Ma, a differenza di
Troeltsch, egli si guarda bene dal proporsi una « fondazione » della filosofia
che ne ristabilisca la validità universa- le, rivelatasi ormai illusoria: egli
intende piuttosto costruire una « filosofia della filosofia » intesa come
«l’autoriflessione storica della filosofia sopra di sé», che si sviluppa in
primo luogo attraverso l’approfondimento del significato storico delle diverse
dottrine filoso- fiche. In questa prospettiva si inquadrano i molteplici studi
che Dilthey è venuto conducendo, soprattutto dopo il 1890, sulla conce- zione
dell’uomo nel Rinascimento e nella Riforma, sull’età di Leib- niz e sulla
cultura illuministica tedesca, e infine sulla concezione INTRODUZIONE 53
filosofica romantica e sull’influenza che questa ha esercitato sulla formazione
di Hegel. La relatività della filosofia è considerata non già come la
conseguenza negativa della coscienza storica moderna, come una conclusione
paralizzante a cui ci si debba sottrarre, ma come la condizione indispensabile
di una nuova impostazione di ricerca filosofica. Nei medesimi anni — a partire
dalla Philosophie des Geldes (1900) fino agli Hauptprobleme der Philosophie
(1910) e alla raccol- ta di saggi PAilosophische Kultur (1911) — anche Simmel
era impegnato nel delineare una prospettiva rigorosamente relativistica. Ma il
relativismo di Simmel aveva una base più psicologica che stori- ca, ed era
alimentato dal richiamo ad autori di matrice romantica co- me Goethe,
Schopenhauer e soprattutto Nietzsche. Il suo punto di partenza era infatti
rappresentato da un’interpretazione psicologica delle categorie: anche se le
forme del conoscere assolvono una funzione distinta dal contenuto, e servono
anzi a organizzarlo, non per questo sono eterogenee rispetto ad esso. Le
categorie deriva- no dall’esperienza, e hanno quindi un'origine psicologica,
non già un carattere trascendentale. Questa impostazione — che comportava un
netto distacco dal neocriticismo e dal suo sforzo di distinguere il piano della
validità del conoscere da quello del procedimento psicolo- gico con cui lo si
attinge — conduceva Simmel ad affermare la relatività non soltanto della
conoscenza, ma di ogni attività umana. La verità scientifica è relativa
all'assunzione di determinati presuppo- sti, i quali rivestono carattere
psicologico e non posseggono alcuna validità universale; analogamente, il
valore di un'azione morale o di un atto economico dev'essere commisurato a
criteri che sono anch'essi sempre relativi. La stessa filosofia può pervenire a
una verità soltanto relativa, la quale consiste nella capacità di esprimere
l'elemento tipico di una certa persona e di renderlo comunicabile ad altri
individui. In questo relativismo Simmel individuava l’essenza della civiltà
moderna, il risultato di un secolare processo di distacco dalla fede in una
verità universale e in valori incondizionati. Lo stesso «rovesciamento dei
valori » proclamato da Nietzsche era interpreta- to — in maniera storicamente
discutibile — come l’affermazione della relatività di ogni criterio di condotta
etica. Ma il relativismo simmeliano del primo decennio del secolo era pur
sempre definito in modo prevalentemente negativo; e in ciò stava la sua
genericità e 54 INTRODUZIONE insieme la sua ambiguità. Infatti il
riconoscimento della relatività di tutti gli aspetti della vita umana tendeva a
trasformarsi in un principio assoluto, ed esprimeva né più né meno che
l’impossibilità di trascendere la vita, considerata come l’orizzonte
onnicomprensivo di ogni attività umana. Erano così poste le premesse per il
passag- gio da una prospettiva relativistica a una metafisica della vita, che
Simmel compie negli anni successivi al 1910 e che si manifesta soprattutto nei
saggi apparsi su « Logos», nel volume Kan: und Goethe (1916) e infine nella
Lebensanschuung (1918). Di questa metafisica egli rintraccia i presupposti
remoti nella concezione ro- mantica della realtà, in particolare
nell’organicismo di Goethe; e da Goethe, l’antitesi del razionalismo kantiano,
trae la visione della vita come un processo continuo che si realizza in una
molteplicità di forme, le quali si distaccano dal divenire per acquistare una
propria autonoma consistenza. La dialettica tra la vita e le forme diventa così
il tema centrale dell'ultima fase del pensiero simmelia- no. La vita è intesa
come un corso infinito e ininterrotto, che produce forme finite e che, dopo
averle create, tende a distruggerle. Le forme nascono così dal divenire della
vita ma nel medesimo tempo gli si contrappongono, e devono quindi resistere
allo sforzo incessante che la vita fa per riassorbirle in sé e per produrre
altre forme. La vita è per Simmel contemporaneamente « più-vita » (Me4r- Leben)
e « più-che-vita » (Me4r-als-Leben): è « più-vita » nel senso che è continuo
superamento di ogni limite che essa stessa pone; è « più-che-vita » nel senso
che si auto-trascende producendo una mol- teplicità di forme finite le quali
diventano indipendenti da essa. Da questa dialettica emergono i « mondi ideali
», prodotto dell’organiz- zazione sistematica delle forme, che nel loro insieme
costituiscono lo «spirito»: ognuno di questi mondi è trascendente rispetto al
puro e semplice divenire della vita, e ha la propria base in un principio
fondamentale comune a tutte le sue forme, Tra questi mondi ideali vi è anche il
mondo della storia, nel cui ambito gli avvenimenti acquistano un proprio
significato elevandosi al di sopra del divenire della vita. In tal modo la
storicità, lungi dall'essere un attributo o una dimensione della vita, viene a
qualificare un piano di realtà trascendente rispetto ad essa, in cui la
temporalità del divenire — non dissimile dalla «durata reale» di Bergson, un
filosofo verso il quale Simmel nutriva una non casuale simpatia — lascia posto
al tempo propriamente storico. INTRODUZIONE 55 Ben diverso è l’esito a cui
perviene Weber riprendendo in esa- me, durante e dopo la guerra, il problema
del rapporto con i valori, e dando ad esso una portata più generale. Dopo i
grandi saggi me- todologici degli anni 1903-06 Weber aveva concentrato i suoi
interes- si da un lato sull’analisi dell'etica economica delle religioni
universa- li, in riferimento al problema dell'individualità del capitalismo mo-
derno, dall’altro sulla determinazione delle categorie sociologiche (alla quale
è dedicato il saggio Uber einige Kategorien der ver- stehenden Soziologie del
*13). Lo scoppio del conflitto aveva poi accentuato — come vedremo — il suo
impegno politico, che farà di lui, fino alla morte, uno dei maggiori
protagonisti del dibattito post-bellico in Germania. Sollecitato da questo
impegno, egli ritor- na nel 1917, in un saggio dal titolo Der Sinn der «
Wertfreiheit » der soziologischen und òkonomischen Wissenschaften, sul tema della
« avalutatività » delle scienze storico-sociali, per ribadire la differenza di
principio tra il compito di queste discipline e la funzione dei giudizi di
valore. Ma il discorso si allarga ben presto a un tentativo di enucleare le
implicazioni filosofiche della propria impostazione metodologica, che Weber
sviluppa sia in quel saggio sia in due conferenze tenute a Monaco nel 1919
sulla « scienza come professione » e sulla « politica come professione ».
Diversamente da Dilthey (c anche da Simmel), Weber non si propone di fornire
un'analisi strutturale del mondo umano muovendo dall’analisi del procedimento
delle scienze storico-sociali: il campo di ricerca di queste discipline non può
essere per lui oggetto di un tipo di considerazione distinto da quella
metodologica, ma può essere indivi- duato nelle sue relazioni interne soltanto
nell’ambito di questa, In altri termini, non esiste una struttura oggettiva del
mondo umano o della realtà storica a cui la filosofia possa riferirsi
prescindendo dal — o pretendendo di andare oltre il — lavoro delle varie
discipline, in un tentativo di unificarne i molteplici (e anche variabili)
punti di vista. Tuttavia la relazione di valore inerente al procedimento cono-
scitivo delle scienze storico-sociali offre la base per un discorso più ampio,
che assume il rapporto con i valori come fondamento di un’a- nalisi
dell’esistenza umana e della sua stessa storicità. Come si è visto, Weber si
era avvalso della nozione rickertiana di relazione ai valori per distinguere le
scienze storico-sociali per un verso dalle scienze naturali, per l’altro verso
dalla presa di posizio- ne pratica che è costitutiva della politica e dai
giudizi di valore in 56 INTRODUZIONE cui questa si esprime. Le scienze
storico-sociali si differenziano dalle scienze naturali in quanto hanno a loro
fondamento una relazione con certi valori i quali presiedono alla selezione del
dato empirico, orientando la ricerca in una determinata direzione; si
differenziano dall’agire politico in quanto sono neutrali nei confronti dei
fenome- ni che esse studiano. L’oggettività delle scienze storico-sociali è
perciò garantita, in primo luogo, dal fatto che il loro rapporto con i valori è
eterogeneo rispetto a quello implicito nei giudizi di valore. Ne deriva una
duplice conseguenza, e cioè che — prescindendo dalle scienze naturali, a
proposito delle quali Weber accoglie acritica- mente l’interpretazione che ne
aveva dato il positivismo ottocente- sco — l’attività umana è qualificata, in
generale, da un rapporto con i valori, ma che questo rapporto assume una
configurazione diversa nelle sue varie sfere. Si pone così a Weber il problema,
fin allora rimasto in ombra, di determinare le forme di tale relazione e di
ricondurle eventualmente a una comune modalità. La risposta a questo problema
segna il distacco definitivo di Weber dalla teoria dei valori qual era stata
elaborata da Windelband e da Rickert, e soprattutto dal suo sviluppo in senso
metafisico, verso cui Rickert si avviava in quello stesso periodo, Per Weber il
rapporto con i valori non rappresenta più in alcun modo un fondamento assoluto,
capace di garantire la validità incondizionata del sapere o dell’agire uma- no:
al contrario, in ogni momento della propria esistenza l’uomo si trova a dover
compiere una scelta tra valori e tra sfere di valori in conflitto reciproco. I
valori cessano infatti di apparire come un mondo organizzato sistematicamente,
fornito di una propria coeren- za interna: le sfere di valori sono molteplici e
non riconducibili a un ordine gerarchico, così come i valori che appartengono a
ogni sfera possono essere non soltanto diversi, ma addirittura inconciliabi- li
tra loro. Nel suo rapporto con i valori l’uomo è obbligato a una scelta
incessante, poiché l'assunzione di determinati valori come criterio di
orientamento del processo conoscitivo o dell’agire politico comporta nel
medesimo tempo la negazione o il rifiuto di altri. La relazione tra l’uomo e i
valori viene perciò a configurarsi sempre come una relazione problematica,
definita in termini di scelta da parte dell’uomo. Su questa base Weber ha
cercato di individuare il senso della scienza e, parallelamente ad esso, il
senso della politica. La scienza riveste ovviamente un'importanza tecnica, in
quanto consente l’elabo- INTRODUZIONE 57 razione di determinati strumenti
suscettibili di uso pratico. Ma il suo significato non si esaurisce in questo;
anzi, la stessa funzione tecnica della scienza — si tratti di scienze naturali
oppure di scienze storico-sociali — rimanda alla questione se si debba o no
dominare tecnicamente la vita, e in vista di quali scopi. Muovendo da
quest’analisi Weber ha indicato, nel saggio Wissenschaft als Beruf (1919), il
senso della scienza nella sua capacità di fornire all’uomo la «chiarezza »,
vale a dire la consapevolezza del proprio agire e soprattutto del rapporto tra
gli scopi che si prefigge e i mezzi dei quali si serve per conseguirli, In tal
modo la scienza, pur non potendo formulare giudizi di valore, assolve una
funzione critica nei confronti dei valori, in quanto pone in luce le condizioni
e le conseguenze della loro realizzazione: se non la validità, alme- no la
realizzabilità dei valori cade quindi sotto la sua considerazio- ne. Ma anche
il senso della politica risulta definito in base a un rapporto con i valori,
seppure di diverso genere. Nel saggio Politik als Beruf (anch’esso del ’19)
Weber muove dalla constatazione che la politica consiste sempre in rapporti di
forza, in quanto ogni agire politico è diretto all’acquisizione o al
mantenimento di un potere garantito coercitivamente; ma perviene a riconoscerne
il sen- so nella dedizione a una «causa», a un compito che dev'essere assolto
appunto attraverso la conquista e l’esercizio del potere. Il semplice dominio
sugli altri non costituisce lo scopo ultimo dell’agi- re politico più di quanto
l’utilizzazione tecnica di certi strumenti non costituisca il fine principale
della scienza: anch'esso acquista significato soltanto se vien posto in
rapporto con i valori. E infatti la dedizione a una « causa », che dà all’agire
politico la sua coeren- za interna, coincide sempre con una presa di posizione
in favore di determinati valori e contro altri. Così stando le cose, l’agire
politico non può non entrare in una relazione positiva o negativa con l’etica.
E infatti il rapporto tra etica e politica diventa un tema centrale nell'ultima
fase della riflessione filosofica di Weber — fin dall'articolo Zwischen zwei
Gesetzen del 1916 — intrecciandosi strettamente con l’analisi del rapporto
dell’uomo con i valori. Weber muove dalla distinzione tra due forme fondamentali
di etica, che obbediscono a criteri del tutto differenti: l’etica della «
coscienza » o dell’intenzione e l’etica della responsabilità, La prima è
caratterizzata dall'assunzione di un certo valore come scopo assoluto, da
perseguire sempre e in ogni caso, 58 INTRODUZIONE senza tener conto dei mezzi
che occorrono per la sua realizzazione; la seconda è caratterizzata invece
dalla considerazione del rapporto tra il valore assunto come fine e le sue
condizioni o, una volta che sia realizzato, con le sue conseguenze. L'etica
dell’intenzione si esprime in norme incondizionate, le quali prescrivono un
determina- to comportamento prescindendo dalla possibilità di attuarlo di fat-
to: la sua manifestazione più elevata è indicata da Weber nel Sermone della
montagna, nell’etica evangelica indifferente alle condi- zioni del « mondo ».
Essa è un'etica irrelativa, che non tiene conto dell’esistenza di altre sfere
di valori o, al massimo, pretende di subordinarle tutte al proprio imperativo
assoluto: come tale, è indif- ferente anche alla politica, se non addirittura
ostile ad essa. Al contrario, l’etica della responsabilità si esprime in norme
le quali tengono presenti sia le condizioni di realizzazione dei valori a cui
l'agire si riferisce, sia le conseguenze che questa comporta: il suo interesse
è rivolto non soltanto al perseguimento, ma anche all’attua- zione effettiva di
tali valori. Essa riconosce quindi l’esistenza di altre sfere di valori, e in
particolare l'importanza dell’agire politico. Tra queste due forme di etica non
c'è possibilità di conciliazione e neppure d’incontro, ma c’è piuttosto un
contrasto permanente. Non diversamente dalle altre sfere di valori, anche
quella etica contiene in sé una scissione che le impedisce di offrire agli
individui delle regole univoche e incontrovertibili di comportamento. Così
l’uomo risulta sempre coinvolto nel conflitto tra i valori, e questi vengono a
loro volta a dipendere dall’assunzione o dal rifiuto che di essi compiono, in
una situazione concreta, i singoli individui. La stessa storicità
dell’esistenza umana viene a coincidere con questa presa di posizione di fronte
ai valori, mediante la quale l’uomo è impegnato a dare un senso al mondo.
D’altra parte la validità dei valori è definita dal loro rapporto con la
storicità, in quanto lo sviluppo storico è il terreno della loro possibile
realizzazio- ne. In tale maniera i valori perdono quella trascendenza
ontologica che aveva loro attribuito Rickert, ma mantengono una trascendenza
che si può dire normativa, nel senso che assolvono una funzione di orientamento
e di guida per l'agire umano. La loro validità, se da un lato non è certo
incondizionata, dall’altro non è neppure circo- scritta a una singola epoca o a
un particolare ambito culturale. Ciò spiega perché Weber abbia sempre respinto
il relativismo, scorgen- do in esso il prodotto di una concezione organicistica
che conduce a INTRODUZIONE 59 eliminare la relazione problematica dell’uomo con
i valori. Se la filosofia dei valori ne postulava arbitrariamente la validità
per tutte le epoche e per tutte le culture, il relativismo presuppone non meno
arbitrariamente un legame necessario tra i valori e l'orizzonte stori- co di
una singola epoca o di una singola cultura: in entrambi i casi i valori cessano
di essere il termine di riferimento di una scelta da parte dell’uomo, per
configurarsi come una struttura determinante della sua esistenza.
Coerentemente, perciò, il distacco definitivo da un’interpretazione metafisica
dei valori si accompagnava negli ulti- mi saggi filosofici di Weber con la
polemica anti-relativistica, e con l’esplicito richiamo alla dottrina platonica
secondo cui «l’anima sceglie il suo proprio destino — e cioè il senso del suo
agire e del suo essere ». VII. Nel corso del conflitto mondiale il panorama
dello storicismo tedesco si trasforma rapidamente. Scompaiono intanto, in breve
volger di tempo, i maggiori rappresentanti della sua prima genera- zione. Nel
1grr era morto Dilthey, dopo aver dedicato la sua lunga esistenza al tentativo
sempre rinnovato di costruire una «critica della ragione storica» e dopo averne
dato negli ultimi anni la formulazione più compiuta. Nell'ottobre 1915 moriva
Windelband e tre anni dopo, nel settembre 1918, lo seguiva Simmel. Weber e
Troeltsch, che appartenevano ormai a una generazione successiva — in quanto
erano nati rispettivamente nel 1864 e nel 1865 — sopravviveranno ancora per
qualche anno, il primo fino al 1gzo e il secondo fino al 1923; e saranno per
entrambi anni di intensa attività intellettuale e di impegno politico. Rickert
vivrà invece più a lungo, fino al 1936; ma le sue opere, a partire da Die
Philosophie des Lebens del ’20, sono sempre più caratterizzate dallo sforzo di
affermare l’autonomia ontologica dei valori e di fornirne un’elabora- zione
sistematica, e si collocano ormai al di fuori del movimento storicistico.
Accanto a questi elementi biografici, un altro fattore interviene a modificare
in maniera profonda il panorama dello storicismo tede- sco: l’importanza
decisiva che la politica e i suoi problemi assumo- no nel dibattito filosofico.
Dilthey, Windelband, Rickert, in fondo lo stesso Simmel (pur così attento allo
sviluppo delle scienze sociali) 60 INTRODUZIONE avevano prestato scarsa
attenzione alle vicende della Germania bi- smarckiana e post-bismarckiana, o
per lo meno i loro interessi politici non si erano mai tradotti in uno sforzo
di formulazione teorica. La stessa esaltazione del passato tedesco, che si può
trovare nel lavoro di ricostruzione storica di Dilthey, e il risalto da lui
dato alle peculiarità della tradizione culturale tedesca rispetto a quella
francese o inglese esprimevano assai più il richiamo retrospet- tivo al mondo
romantico anziché un'adesione al processo di unifica- zione politica della
Germania, Del resto, la formazione di Dilthey si era compiuta prima
dell'avvento di Bismarck al potere, in un ambiente ancora permeato di motivi
liberali su cui aleggiava il recente ricordo dell'assemblea di Francoforte. Più
in generale, il prevalere del problema dell’autonomia e delle condizioni di
validità della conoscenza storica e la connessione tra analisi metodologica e
analisi strutturale avevano contribuito a dare allo storicismo tedesco
un’impronta sostanzialmente apolitica; e i suoi esponenti erano stati difatti
filosofi accademici, inseriti nella vita universitaria tedesca ma scarsamente
partecipi a ciò che avveniva al di fuori. Questo stato di cose cambia del tutto
con la prima guerra mondiale: anche Windel- band, poco prima di morire, dedica
il suo ultimo scritto, la « lezio- ne di guerra » sulla Geschicktsphilosophie
(apparsa postuma nel 1916), alla ricerca di un senso razionale della storia,
impostandola in riferimento allo scoppio del conflitto e alla rottura della
solidarietà morale tra i popoli che esso comporta. Il richiamo all’idea di
umanità, intesa come principio regolativo del processo storico, rap- presenta
la sua risposta al venir meno della fiducia in uno sviluppo ordinato e pacifico
del genere umano, che la guerra aveva drammati- camente messo in questione.
Sarebbe tuttavia errato far coincidere l'emergere degli interessi politici in
seno al movimento storicistico con la crisi del 1914-18. Già prima, infatti, il
processo di unificazione politica della Germa- nia e la soluzione bismarckiana
erano stati oggetto della riflessione sia di Weber che di uno storico a lui
quasi coetaneo, Friedrich Meinecke. Figlio di un deputato liberale, Weber aveva
esordito sulla scena politica tedesca da posizioni
nazionalistico-conservatrici, ma ben presto se ne era distaccato per
avvicinarsi al gruppo dei « socialisti della cattedra ». Nei saggi del periodo
1893-95, che traeva- no le conclusioni dell'inchiesta condotta sulla situazione
del lavoro agricolo nella Germania orientale, egli poneva in rilievo il
decadere INTRODUZIONE 6I dell’aristocrazia fondiaria prussiana in un ceto di
imprenditori capita- listici, ormai incapace di assolvere la funzione politica
di un tempo. Negli anni successivi la sua opposizione al regime personale di
Guglielmo II e alla politica imperialistica divenne sempre più aper- ta; e con
essa maturava anche una valutazione più positiva del sistema parlamentare,
favorita dallo studio e dall’esperienza diretta della democrazia americana.
Meinecke muove anch'egli da una sostanziale adesione a posizioni conservatrici,
condividendo il giudi- zio della scuola storica prussiana sul modo in cui la
monarchia degli Hohenzollern e Bismarck avevano realizzato l’unità politica
della Germania. Allievo di Droysen, di Sybel, di Treitschke, egli è il
continuatore della loro impostazione storiografica e al tempo stessso l’erede
della loro visione politica; anzi, le sue indagini si ispirano a un preciso
obiettivo di giustificazione storico-politica del processo di formazione dello
stato nazionale tedesco. Fin dalla biografia dedica- ta a uno degli eroi delle guerre
anti-napoleoniche, il maresciallo Hermann von Boyen (pubblicata nel 1886-99),
l’analisi di questo processo è diretta a mostrare il carattere positivo, e
storicamente inevitabile, della soluzione prussiana, in contrapposizione alla
vani- tà dei tentativi compiuti dal liberalismo riformatore del ’48. Non
soltanto l’edificio politico bismarckiano, ma in generale il concretar- si
delle aspirazioni nazionali tedesche in un’organica struttura stata- le diventa
— dal volume Das Zeitalter der deutschen Erhebung (1906) ai saggi raccolti
sotto il titolo Von Stein zu Bismarck (1909) e a Radowitz und die deutsche
Revolution (1913) — il centro di riferimento delle successive ricerche di
Meinecke. Bisognerà attende- re la guerra e la sconfitta tedesca perché egli
avverta finalmente i limiti della costruzione di Bisrmarck e si impegni in una
sostanziale revisione delle prospettive della scuola storica prussiana. La
prima grande opera di Meinecke, Weltbirgertum und Natio- nalstaat (1908),
costituisce infatti il tentativo più compiuto di giustifi- care l’edificio
politico bismarckiano, considerato come il punto di confluenza e d’incontro tra
la «nazione culturale » tedesca e la « nazione territoriale » prussiana.
Meinecke si propone qui di mostra- re come da una parte le aspirazioni della
cultura tedesca al consegui- mento dell'unità nazionale si siano gradualmente
svincolate dalle idee universalistiche di origine settecentesca, e come
dall'altra lo stato prussiano sia diventato, dopo il 1848, l’interprete di tali
aspira- zioni e abbia saputo realizzarle concretamente. Da Wilhelm von 62
INTRODUZIONE Humboldt a Novalis, a Friedrich Schlegel, a Fichte, a Miiller, a
Savigny, e infine a Ranke — momento conclusivo di questo proces- so — la
«nazione culturale » tedesca acquista coscienza della pro- pria individualità e
del proprio diritto di costituirsi in una struttura statale unitaria; e tale
coscienza comporta appunto il progressivo abbandono della visione cosmopolitica
dell'Illuminismo e del suo astratto ideale di umanità. Contemporaneamente la
Prussia subordi- na i propri interessi particolari a quelli della causa
nazionale tede- sca, assumendo l’egemonia del processo di unificazione politica
del- la Germania. Dopo il fallimento del ’48 Bismarck dà così esistenza storica
all’ideale nazionale che la cultura romantica aveva proclama- to, innestandolo
sulla struttura dello stato prussiano. Questa giustificazione dell’edificio
politico bismarckiano era pe- rò destinata a rivelare la sua intrinseca
debolezza al momento della sconfitta tedesca. Già prima e durante il conflitto
Weber aveva denunciato i limiti della costruzione di Bismarck, imputando ad
essa la mancanza di una classe politica in grado di dirigere il paese e di
controllare il potere della burocrazia. In numerosi saggi scritti nel corso
della guerra, e soprattutto nel volume Parlament und Regierung im neugeordneten
Deutschland (1917), egli insisteva sul- la necessità di tener distinti i
compiti del funzionario e del politico, ossia di non ridurre la vita politica
ad amministrazione; e ciò lo conduceva a sottolineare la funzione dei partiti e
del parlamento come sede di formazione di una classe politica. La situazione
della Germania guglielmina, con la sua dipendenza diretta della burocra- zia
dal potere monarchico, gli appariva caratterizzata da uno « pseu-
do-costituzionalismo » che sottraeva al parlamento la direzione e il controllo
dell'amministrazione pubblica. Se in Weber la critica a Bismarck e all’eredità
politica bismarckiana si innestava su una linea di sviluppo che risaliva
all’ultimo decennio dell'Ottocento, in Meinecke la sconfitta tedesca aveva
invece un effetto traumatico, e lo costringeva a un profondo processo
autocritico. Il suo originario conservatorismo lasciava posto alla
rivendicazione del regime demo- cratico, la quale si accompagnava alla denuncia
del militarismo prussiano e del fallimento dei suoi sogni imperialistici.
Venivano così in luce i difetti insanabili, già indicati da Weber, di una
costruzione che non era riuscita a modificare il vecchio ordinamen- to
economico-sociale di origine feudale né a rendere le masse popola- ri partecipi
alla vita politica. Quella che un decennio prima era INTRODUZIONE 63 potuta
sembrare una felice sintesi tra « nazione culturale » e « nazio- ne
territoriale », tra le aspirazioni della cultura romantica all’unità nazionale
e gli interessi della monarchia prussiana, si rivelava ora a Meinecke come una
soluzione debole, come un compromesso instabile realizzato all’insegna di una «
politica di potenza» che avrebbe condotto al fallimento del 1918. Avanzata per
la prima volta nel saggio Kultur, Machtpolitik und Militarismus (1915),
sviluppata più ampiamente nei saggi di Nach der Revolution (1919), questa
critica sfocierà in seguito — in Das preussisch-deutsche Problem im Jahre 1921
— nella revisione del quadro storiografico tracciato in Weltbiirgertum und
Nationalstaat. Più tardi ancora, nel 1924, Meinecke ne trarrà spunto per
affrontare il problema dell’antitesi tra potenza e spirito, considerati come i
momenti antinomici della vita politica. Mentre Weber e Meinecke si portavano
(al pari di Troeltsch) su posizioni apertamente democratiche, appoggiando la
repubblica di Weimar e prendendo parte alla sua travagliata esistenza, la
coscien- za della sconfitta tedesca trovava un'espressione emblematica in un’o-
pera destinata ad avere larghissima fortuna — in Der Untergang des Abendlandes
di Oswald Spengler, apparsa tra il '18 e il ’22. A differenza degli altri
esponenti del movimento storicistico, Spengler viveva ai margini della cultura
accademica: dopo aver conseguito il dottorato aveva dapprima insegnato in
liceo, e si era quindi dedica- to all'attività pubblicistica. La sua stessa
formazione filosofica non era priva di aspetti dilettanteschi: i suoi « autori
» prediletti erano Goethe e Nietzsche, ma l’uno e l’altro subivano nell’opera
spengle- riana un sostanziale travisamento. Accanto alla loro presenza non è
difficile cogliere alcuni temi caratteristici dell’ultimo Dilthey e di Simmel:
anzi, i presupposti fondamentali di Der Untergang des Abendlandes mostrano
chiaramente la loro derivazione da Dilthey, anche se si tratta di un Dilthey
interpretato (e il più delle volte frainteso) in senso relativistico. Spengler
accoglie infatti la distinzio- ne diltheyana tra scienze della natura e scienze
dello spirito, trasfor- mandola nell’antitesi tra il « mondo come natura» e il
« mondo come storia » e affermando l’irriducibilità della conoscenza storica al
metodo della scienza naturale; analogamente, egli fa propria la tesi
dell’autocentralità delle epoche storiche, traducendola nel postulato della
radicale eterogeneità delle culture e della loro recipro- ca incomunicabilità.
Su questa piattaforma s'innesta il richiamo alla 64 INTRODUZIONE prospettiva
organicistica di Goethe, in virtù del quale ogni cultura viene interpretata
come un organismo biologico che deve necessaria- mente percorrere il ciclo
vitale proprio della specie alla quale appar- tiene. Dalla visione della storia
come sviluppo di una molteplicità di culture chiuse in se stesse, destinate a
morire dopo aver esaurito il complesso di possibilità che le caratterizza al
momento della nascita, deriva la profezia spengleriana dell’imminente «
tramonto dell'Occidente », nella quale il crollo della potenza della Germania
si trasfigura nell’inevitabile destino di morte di un'intera civiltà.
L’impianto dottrinale di Der Untergang des Abendlandes si regge in primo luogo,
come si è accennato, sull’antitesi tra il «mondo come natura » e il « mondo
come storia »; e questa vien fatta coincidere con la contrapposizione goethiana
tra divenuto e divenire. Il « mondo come natura » è infatti il mondo del
divenire, caratterizzato dall’estensione spaziale e dalla necessità causale,
che trova la propria formulazione nella legge matematica; il « mondo come
storia » è il mondo del divenire, caratterizzato dalla direzione del corso
temporale e dalla necessità organica, che si esprime nella forma vivente. La
loro conoscenza comporta perciò due specie diffe- renti di logica: la natura
può essere appresa avvalendosi di una logica meccanica, che si regge sul
principio di causalità e sulla determinazione di rapporti matematici, mentre la
storia può essere colta soltanto attraverso la logica organica, che si regge
sull’intuizio- ne della forma vivente. Spengler riprende quindi da Dilthey la
distinzione tra spiegazione e comprensione, ma riduce al tempo stesso
quest’ultima — procedendo in senso opposto a Weber — a un atto intuitivo,
all’immediatezza dello « sguardo storico ». Il rifiu- to del metodo
naturalistico e della spiegazione causale mette così capo all’antitesi tra due
tipi di conoscenza, che vengono rispettiva- mente designati come sistematica e
come fisiognomica. C'è però ancora un’altra differenza, non meno importante. I
due tipi di conoscenza non si pongono più sullo stesso piano, come avveniva in
Dilthey: dal momento che ogni divenuto procede dal divenire, il «mondo come
storia » acquista una preminenza ontologica rispetto al « mondo come natura »,
e l’immagine della natura viene a dipen- dere dalla concezione del mondo,
storicamente condizionata, delle singole culture. Su questa base Spengler si
propone di realizzare una « morfolo- gia della storia universale », concepita
come studio delle forme INTRODUZIONE 65 viventi del divenire storico. Ma la «
storia universale » si articola, ai suoi occhi, in una molteplicità di forme
non riconducibili a una superiore unità. Il divenire storico non è il
progressivo dispiegamen- to di un principio unitario, ma coincide con la
ripetizione necessa- ria di una medesima vicenda, che è poi il ciclo biologico
delle culture. La struttura portante del « mondo come storia » è perciò non il
singolo individuo e neppure l'umanità nel suo complesso, ma la singola cultura,
nel suo sorgere attraverso il distacco dall’umanità primitiva — astorica per
definizione — e nel suo successivo svilup- po fino alla morte inevitabile, a
una morte cui non può sottrarsi come non può sottrarvisi nessun altro
organismo. La storia è quin- di storia di culture, e l’esistenza storica
dell’individuo è definita dalla sua appartenenza a una cultura e al suo
particolare mondo sim- bolico. Infatti, se è vero che tutte le culture
percorrono uno stesso ci- clo, esse si differenziano d’altra parte tra loro per
quanto riguarda la concezione del mondo. Ogni cultura è infatti caratterizzata,
fin dalla nascita, da un complesso di possibilità, da una propria eredità
biologica che è diversa da quella delle altre culture. La visione organicistica
della storia e l'affermazione della relatività delle cultu- re e dei loro
rispettivi mondi simbolici rappresentano così i due aspetti — strettamente
connessi — dell’impostazione di Der Unter- gang des Abendlandes. "Tra le
varie manifestazioni delle culture vi è sì una corrispondenza formale, che
consente di stabilire analogie e di dar luogo a uno studio comparativo, ma c’è
anche una radicale eterogeneità di contenuto: la matematica occidentale e la
matemati- ca indiana, tanto per fare un esempio, non hanno alcun rapporto tra
loro. Non soltanto non esiste alcuna verità assoluta, ma ogni prodotto storico
— e quindi anche ogni teoria scientifica, ogni dottrina filosofica o religiosa,
ogni norma etica — non è altro che l’espressione di una data cultura in un
particolare momento del suo sviluppo. Di conseguenza, la sua validità è circoscritta
all'ambito della cultura che l’ha prodotta, ed è ulteriormente limitata a una
certa fase del suo processo evolutivo. Ogni cultura ha un proprio orizzonte che
abbraccia tutte le sue manifestazioni, e che le rende perfino incomunicabili
alle altre culture. Spengler perviene in tal modo a preannunciare l'imminente
tra- monto dell’Occidente. L'analisi del processo evolutivo della cultura oc-
cidentale rivela infatti che essa non soltanto ha da tempo concluso la sua fase
creativa, ma è ormai prossima alla fine. Anzi, essa non è pro- 3. STORICISMO
TEDESCO. 66 INTRODUZIONE priamente più una cultura, ma è una cultura
meccanizzata e « divenu- ta», una « cultura-in-declino » (Zivilisation): ne è
prova il rovescia- mento dei valori che caratterizza l’epoca moderna, al pari
di qualsia- si epoca di declino di una cultura. Spengler accoglie così la
diagnosi che della civiltà contemporanea avevano dato i critici aristocratici
della seconda metà dell'Ottocento, da Burckhardt a Nietzsche, i quali avevano
guardato con timore e preoccupazione all’avvento della democrazia e del
socialismo, all’irrompere delle masse sulla scena storica, all’importanza
crescente del sapere scientifico e della tecnica. La stessa contrapposizione
tra Kultur e Zivilisation esprime per un verso la predilezione, tipicamente
romantica, per i valori originari e « primitivi » della cultura, per l’altro
verso la valutazione negativa dell’azione uniformante della civiltà industriale
moderna e delle tendenze egualitarie che tendono a eliminare le differenze di
ceto. Anche per Spengler la dissoluzione del vecchio ordine sociale, il
mutamento dei rapporti tra le classi, il declino dell’aristocrazia e l’ascesa
della borghesia, la preminenza dell’economia sulla politica, l’onnipotenza del
denaro sono aspetti di una crisi che investe non soltanto la Germania, ma
l’intero Occidente. A questa crisi è impos- sibile sottrarsi, in quanto essa è
il portato inevitabile del ciclo biologico delle culture e si colloca quindi
sotto il segno del destino. L'individuo può soltanto riconoscerne la necessità,
e cercare di disporsi nella direzione del processo storico anziché pretendere
vana- mente di opporglisi. L’opera di Spengler esprimeva la crisi
politico-culturale della Germania sconfitta, ma rivelava altresì l'incapacità
di analizzarne i motivi storici concreti e la tendenza a trasporla su un piano
metafisi- co. Attraverso la polemica contro la democrazia e il socialismo,
attraverso l’esaltazione degli aspetti primitivi della storia e il rifiuto
della civiltà industriale moderna, Spengler forniva elementi preziosi
all'elaborazione dell’ideologia nazista. In una serie di volumi di più
immediato intento politico — da Preussentum und Sozialismus (1919) a Der Mensch
und die Technik (1931) e a Jahre der Entschei- dung (1933) — egli avanzava
infatti la proposta di un « socialismo prussiano » capace di restaurare
l’autorità dello stato, e concepito come la continuazione dell’ideale germanico
della subordinazione dell'individuo alla volontà collettiva del corpo sociale.
Anche se Spengler guarderà sempre con diffidenza a Hitler, rifiutando di
riconoscersi nel movimento che andava al potere nel °33, non per INTRODUZIONE
67 questo si può negare l’affinità profonda tra la sua posizione anti-de-
mocratica (e anti-marxista) e l’ideologia del nazismo. La stessa affer- mazione
del dovere etico di accettare il destino poteva facilmente tradursi in un
atteggiamento di convinta adesione al nuovo regime, esaltato come il segno dei
tempi nuovi e lo strumento della riscossa tedesca. Su un versante diverso, le
conclusioni relativistiche di Der Untergang des Abendlandes ponevano in luce
un’altra crisi, quella dello storicismo; ponevano cioè in luce il pericolo di
una vanificazione dei valori a cui questo era esposto. Non a caso lo stesso
Weber, e con lui Troeltsch e Meinecke, si affrettarono a prendere le distanze
da Spengler e a denunciare le aporie della sua opera. Dopo di allora l'ombra
del relativismo graverà sempre minacciosa sulla cultura filosofica tedesca,
spingendola verso una restaurazione dei valori che ne salvaguardasse, in
qualche modo, la validità oltre l'ambito della singola cultura o della singola
epoca storica. VIII. Toccherà a ‘Troeltsch e a Meinecke tentare una risposta
alla crisi dello storicismo. Partiti da interessi e da esperienze culturali
differenti, essi si trovano alla fine del conflitto impegnati in una co- mune
battaglia contro le conseguenze relativistiche dello storicismo e contro l’«
anarchia dei valori » che questo sembra comportare. La- sciata Heidelberg nel
1915, Troeltsch si era trasferito a Berlino passando contemporaneamente
dall’insegnamento della teologia siste- matica a una cattedra di filosofia; e
qui egli incontrava Meinecke, che era approdato alla capitale l'anno
precedente. S’inizia così tra loro un periodo d’intensa collaborazione
filosofica a cui porrà termi- ne, nel febbraio 1923, la morte di Troeltschj; e
la piattaforma dottrinale definita in questi anni continuerà a ispirare per
lungo tempo l’elaborazione teorica di Meinecke, ancora sotto il regime nazista
e negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Comu- ne a entrambi è la
consapevolezza della crisi dello storicismo, intesa — secondo la formulazione
di Troeltsch, che Meinecke sostanzial- mente condivide — non già come una crisi
della ricerca storica ma come una crisi del « pensiero storico », e cioè del
significato che la storia riveste per la concezione del mondo. Lo storicismo si
configu- ra ai loro occhi come una concezione generale della realtà, che
procede « dalla fondamentale storicizzazione del nostro sapere e del 68
INTRODUZIONE nostro pensiero»: non tanto uno sforzo di analisi metodologica
delle scienze storico-sociali o di analisi strutturale del mondo uma- no,
quanto una visione complessiva del mondo e della vita. Comu- ne a Troeltsch e a
Meinecke è pure l’intento di sottrarsi alla crisi dello storicismo attraverso
una restaurazione dei valori che ne re- cuperi l’assolutezza — un’assolutezza
senza la quale l’uomo ri- mane privo di criteri di orientamento per il proprio
agire. La riduzione dei valori a prodotto storico, nella quale Dilthey aveva
visto una conquista positiva dello storicismo, appare invece una sua
conseguenza negativa, che mette in pericolo la stessa possibilità di norme
etiche. Perciò essi cercano nella teoria dei valori un punto di appoggio per
opporsi all’esito relativistico dello storicismo, che l’ope- ra di Spengler
esprimeva in modo emblematico. Già nel 1904, al suo primo approccio ai problemi
della filosofia della storia, Troeltsch si era richiamato alla definizione rickertiana
dell’oggetto storico, indicandone il fondamento nella relazione ai valori.
Anche nel periodo berlinese — in Der Historismus und seine Probleme (1922) e
poi nei saggi postumi raccolti sotto il titolo Der Historismus und seine
Uberwindung (1924) — la teoria dei valori costituisce lo sfondo
dell’elaborazione filosofica di Troeltsch. Il punto di partenza del suo
tentativo di restaurazione dei valori è rappresentato infatti dalla
caratterizzazione dell'oggetto storico co- me una «totalità individuale », a
cui è inerente una connessione di senso che la distingue in maniera radicale
dall'oggetto della cono- scenza naturale. A differenza dei processi naturali,
l’oggetto storico è costituito da un rapporto con i valori che ne garantisce
l’unità, anzi un'unità di significato la quale abbraccia i molteplici elementi
che lo compongono. Troeltsch afferma così la presenza nell’oggetto storico di
un senso immanente, il quale viene identificato con il valore (individuale) di
tale oggetto. Ciò comporta un mutamento rilevante, ancorché non esplicito,
rispetto alla posizione di Rickert. Mentre per quest'ultimo il senso
dell’oggetto storico consisteva nel riferimento a valori incondizionati che si
realizzano storicamente ma che sussistono indipendentemente dalla storia, per
Troeltsch senso e valore coincidono: il mondo dei valori non è più un mondo
fornito di autonomia ontologica, ma diventa la connessione significativa
inerente allo sviluppo storico. Al pari del singolo ogget- to storico nella sua
individualità, anche lo sviluppo storico nel suo complesso risulta costituito
dalla presenza immanente dei valori. INTRODUZIONE 69 Questi diventano perciò la
struttura assiologica della storia, la sua struttura per così dire « assoluta
». Il recupero dell’assolutezza dei valori avviene postulandone non più la
trascendenza metafisica ma l'immanenza, e quindi ‘attraverso il ritorno alla
nozione romantica di individualità. In questa impostazione Meinecke poteva
trovare una sostanziale continuità rispetto al punto di vista espresso in
Welrbirgertum und Nationalstaat. Quando nel 1918, nel saggio Persònlichkeit und
geschichiliche Welt, egli affronta per la prima volta il problema del rapporto
tra storia e valori, è proprio la nozione romantica di individualità che gli
permette di riconoscere da un lato l’autonomia della singola persona e
dall’altro la presenza nella storia di forze sovra-personali che s'intrecciano
dando vita ai fenomeni storici. Lo sviluppo storico gli appare un processo nel
quale l'uomo, pur essendo inserito in una molteplicità di serie causali,
produce tutta- via un mondo di valori spirituali che, collocandosi oltre il
livello dell’esistenza naturale, si contrappongono alla causalità della natu-
ra. Si ripropone così, sul terreno della storia, il problema kantiano del
rapporto tra necessità e libertà, concepito in termini per un verso di antitesi
e per l’altro verso di connessione. Per Meinecke lo sviluppo storico è infatti
un intreccio indissolubile di necessità e di libertà, dove il primo termine è
identificato con l’azione causale delle condizioni naturali e il secondo con la
capacità di creare valori culturali. Ma quest’intreccio è tutt'altro che una
coesistenza armoni- ca: al contrario, la realizzazione dei valori comporta una
lotta costante contro le condizioni naturali e quindi lo sforzo di rompere il
quadro della loro causalità. La drammaticità di questo rapporto è stata posta
in luce da Meinecke soprattutto a proposito del mondo della politica e, in
particolare, dell’esistenza dello stato. Nella sua seconda grande ope- ra
storica, Die Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte (iniziata durante
la guerra ma pubblicata soltanto nel ’24), egli ha additato nell’antitesi tra
potenza e spirito la struttura fondamentale della politica e l’essenza stessa
della « ragion di stato ». Ma quest’an- titesi non è altro che una
manifestazione del contrasto tra necessità e libertà. Da una parte la politica
è legata a condizioni naturali: al pari di ogni organismo, lo stato tende
all’autoconservazione e, per conservarsi, deve affermare la propria potenza nei
confronti degli altri stati e, occorrendo, in conflitto con essi, Dall'altra
parte la 70 INTRODUZIONE politica è in rapporto con i valori: anche lo stato si
propone di produrre o quanto meno di salvaguardare i valori culturali, proce-
dendo oltre la propria base naturale e abbracciando in sé la vita etica,
giuridica, religiosa, artistica di un popolo. Lo stato ha così un'essenza in
qualche modo duplice: esso è insieme necessità e libertà, natura e spirito, o
più precisamente krdtos e é:h05 — vale a dire aspirazione alla potenza e
aspirazione alla realizzazione di valori culturali. La sua esistenza si svolge
tra due poli, tra il polo della naturalità da cui prende le mosse e il polo
della spiritualità verso cui si eleva. Questo contrasto intrinseco al mondo
della politi- ca costituisce l’antinomia della «ragion di stato », nel suo
sempre rinnovato tentativo di conciliare due termini tra loro inconciliabili.
Che questo tentativo sia aleatorio, e dia luogo soltanto a sintesi provvisorie,
è dimostrato soprattutto dalla tendenza del primo termi- ne a prevalere sul
primo, cioè dalla tendenza dell'impulso alla potenza a subordinare a sé i
valori culturali. La potenza è infatti indifferente ai valori culturali e alla
loro realizzazione, è « indifferen- te rispetto al bene e al male». Ma
quest'amoralità della potenza trapassa di continuo — come dimostra la storia
dell'idea di « ragion di stato », da Machiavelli fino a Treitschke —
nell’immoralità, ossia nel rifiuto o nella soppressione dei valori culturali,
Il diritto dello stato alla propria conservazione e al proprio accrescimento lo
spinge verso una politica di potenza di stampo bismarckiano, nella quale
l'autonomia dei valori va inevitabilmente perduta. L’antinomia tra &rdtos e
éthos appare quindi, in sostanza, un aspetto particolare dell’antitesi tra il
fondamento naturale della sto- ria e l’aspirazione a valori culturali; e
l'esigenza di garantire l’auto- nomia di questi ultimi nei confronti
dell’opposta aspirazione alla potenza coincide con l’esigenza di salvaguardarne
l’assolutezza che, essa sola, può evitare che la « relatività dei valori»
degeneri in un «relativismo dei valori ». In Der Historismus und seine Probleme
(apparso due anni prima di Die Idee der Staatsrison) Troeltsch si proponeva di
offrire una via di uscita da questa difficoltà attraverso la formulazione di
una filosofia « materiale » della storia. Compito della filosofia della storia
è, in generale, quello di elaborare una « sintesi culturale » adeguata a una
certa situazione storica, e capace perciò di indicare agli individui la
direzione di sviluppo da percorre- re in riferimento ad essa. Anche per l’epoca
contemporanea si pone un problema del genere: non diversamente dal passato, la
filosofia INTRODUZIONE 71 deve oggi proporre agli uomini un ideale di civiltà
costruito attraver- so una critica immanente del processo evolutivo della
cultura occi- dentale e la determinazione delle sue possibilità di sviluppo.
Perciò la « sintesi culturale » contemporanea non può non essere condiziona- ta
dai valori specifici di un certo ambito di civiltà, ed anzi esprimere questi
valori assumendoli a criterio direttivo per il futuro. Ancora una volta,
quindi, i valori rivelano la loro intrinseca relatività; e il rapporto con
l'assoluto, lungi dal configurarsi come un dato incon- trovertibile, si
presenta piuttosto come un compito da realizzare. Il divenire storico, con la
molteplicità e la variabilità delle sue forme, si incontra e si scontra con il
bisogno insopprimibile di trovare delle norme in grado di fornire un
orientamento sicuro all’agire umano. Ma allora — come risulta chiaramente dai
saggi postumi di Der Historismus und seine Uberwindung — la conciliazione tra
relatività storica e assolutezza rimane sempre problematica. Essa è fondata, in
ultima analisi, su una convinzione personale, su un atto di fede. Una posizione
del genere era senza dubbio assai debole; né i tentativi di approfondimento
compiuti in quegli stessi anni da Mei- necke — nei saggi Ernst Troeltsch und
das Problem des Histori- smus (1923) e Kausalitàten und Werte in der Geschichte
(1924) — riuscivano a darle una base più solida. La stessa distinzione tra
causalità naturale e causalità etico-spirituale, che riposava sull’identifi-
cazione di quest'ultima con lo sforzo umano di realizzazione dei valori
culturali, si richiamava sempre alla nozione romantica di individualità,
mettendo capo all’affermazione dell’individualità del valore e della sua
inerenza al processo storico. Non a caso, un decennio più tardi, l’adesione
allo storicismo e lo sforzo di sottrarlo alle spire mortali del relativismo si
compongono non tanto sul terreno teorico, quanto in un nostalgico quadro
retrospettivo delle origini dello storicismo. In Die Entstehung des Historismus
(1936) Meinecke muove dalla convinzione che lo storicismo costituisca la
maggiore «rivoluzione » culturale dell’età moderna, in virtù della quale la
fede giusnaturalistica in una ragione eterna e atemporale ha lasciato il posto
al duplice riconoscimento dell’individualità dei singoli momenti del mondo
umano e della loro appartenenza a un processo di sviluppo che tutti li
comprende. Il diritto naturale — elemento costante della tradizione filosofica
occidentale, dal pensiero antico al Cristianesimo, dal Rinascimento all'Illuminismo
— è consi- 72 INTRODUZIONE derato da Meinecke il grande antagonista dello
storicismo, e al tempo stesso il suo immediato antecedente storico. Sorto
attraverso un secola- re distacco dall’impostazione giusnaturalistica, che ha
avuto inizio con il trapasso dal razionalismo seicentesco alla cultura
illuministica, lo storicismo è giunto alla sua piena maturità nel pensiero
tedesco di fine Settecento con Herder, con Mîser, con Goethe. In questa
prospettiva il rapporto tra Illuminismo e storicismo si presenta come un
rapporto di opposizione, ma anche di continuità: la cultura illuministica ha
messo in crisi, dall’interno, la fiducia nell’esistenza di norme razionali
immutabili, creando così le premesse di un nuovo senso della storia. Perciò lo
storicismo di cui Meinecke delinea il processo genetico è pur sempre
identificato con la concezio- ne romantica della storia e con l’elaborazione
dottrinale che questa ha subìto da parte della scuola storica tedesca, in
particolare ad opera di Ranke. E nel richiamo a Ranke, il quale concepisce «
Dio al di sopra del mondo, il mondo creato da lui, ma anche percorso dal suo
spirito, e perciò affine a Dio e al tempo stesso anche sempre imperfetto in
quanto terreno », Meinecke cerca il modo di sottrarre lo storicismo al suo esito
relativistico. Contro l’idealismo post-kantiano e contro la filosofia della
storia di Hegel egli ribadisce — in polemica con Croce, che aveva sostenuto
l’ascendenza hegeliana dello storicismo e la sua identità col «razionalismo
concreto» — l'impossibilità di ricondurre il processo storico a un principio
razio- nale; contemporaneamente egli rivendica nei confronti del movimen- to
storicistico degli ultimi decenni l’assolutezza dei valori, un’assolu- tezza
operante nell’ambito della storia che designa (rankianamente) la presenza di
Dio in ogni epoca storica. Questa impostazione, esplicitamente formulata in una
serie di saggi poi raccolti in Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der
Geschichte (1939) e negli Aphorismen und Skizzen zur Geschichte (1942), segnava
la conclusione dello sforzo speculativo dello storici- smo tedesco
contemporaneo. Ma ne segnava anche, in larga misura, il fallimento. L'ombra del
relativismo dava luogo a un tentativo di restaurazione dei valori che si
risolveva, in fondo, nel ritorno alla visione romantica della storia, a quella
visione da cui il movimento storicistico aveva cercato — a partire da Dilthey —
di svincolarsi. E significativamente l’affermazione della presenza
dell’assoluto in ogni momento del processo storico veniva a coincidere proprio
con INTRODUZIONE 73 quella relativizzazione dei valori che Troeltsch e Meinecke
si erano proposti di evitare. La via di uscita dal relativismo era trovata in
un vago e generico rinvio al senso ignoto della storia, alla possibilità di conciliare
immanenza e trascendenza su un piano inaccessibile alla logica umana.
Caratteristico prodotto di un’epoca che aveva guardato alla sto- ria con
fiducia, di un’epoca che aveva visto il consolidarsi del capitalismo
industriale e l’affermazione della potenza del nuovo stato nazionale tedesco,
di un’epoca che aspirava a penetrare scientifi- camente i processi storici
senza però ridurli naturalisticamente a processi biologici o psicologici, il
movimento storicistico non ha retto al trauma della guerra e della sconfitta.
Anche se i rapporti tra la crisi politico-culturale della Germania post-bellica
e la crisi dello storicismo tedesco sono tutt'altro che diretti, e sfuggono in
ogni caso a troppo facili semplificazioni — del tipo di quelle predilette dal
Luk&cs della Zerstorung der Vernunft — non si può negarne né la sostanziale
contemporaneità né la correlazio- ne. Intorno al 1920 il movimento storicistico
ha ormai esaurito la sua carica produttiva; e la morte di Weber può essere
assun- ta come data emblematica di questa svolta. Da allora esso guar- da al
futuro con timore, con il timore che il processo storico porti non già
all’accrescimento ma alla perdita del patrimonio culturale che la storia
precedente ha trasmesso. Da ciò il ripie- gamento sul passato che spinge
Troeltsch e Meinecke a idealiz- zare l’eredità del pensiero romantico e a
cercarvi un rifugio. Il grandioso quadro storiografico di Die Enzstehung des
Historismus è sì un esame di coscienza dello storicismo, ma ne costituisce
anche — quasi inconsapevolmente — l’elogio funebre. In una Germania dominata
dal nazismo, la quale si apprestava a tentare una rivincita che avrebbe
condotto a un nuovo più grave disastro, in unclima culturale ormai
caratterizzato dalla presenza di altri orientamenti filosofici — in primo luogo
la fenomenologia e l’esistenzialismo — non c’era più posto per lo sforzo di
analisi metodologica e di analisi strutturale che lo storicismo aveva
perseguito. Il ritorno alla concezio- ne romantica, al senso di uno sviluppo
pervaso da forze irrazionali mai completamente eliminabili, rappresentava la
resa dinanzi al pre- sente, e insieme un tentativo di fuga dalla sua opprimente
e dispe- rata realtà. Non per questo, tuttavia, l’eredità del movimento
storicistico 74 INTRODUZIONE andava perduta. Nella breve e travagliata stagione
della repubblica di Weimar esso aveva fecondato per vie diverse il sorgere
dell’esisten- zialismo, il rinnovamento del pensiero marxistico, lo sviluppo
lella sociologia del sapere. Dalla Psychologie der Weltanschauungen (1919) di
Jaspers a Sein und Zeit (1927) di Heidegger, da Geschichte und
Klassenbewusstsein (1923) di Luk&cs a Ideologie und Utopie (1929) di
Mannheim, esso ha contribuito in maniera decisiva al deli- nearsi di nuove
prospettive filosofiche e di nuove direzioni d'indagine storico-sociologica.
Anche più tardi, quando il nazismo sarà pervenu- to al potere, il movimento
storicistico continuerà ad agire soprattut- to fuori dei confini tedeschi, e
un'intera generazione di studiosi più giovani — educati nell'immediato
dopoguerra e costretti all'esilio all’inizio degli anni ’30 — recherà
all’estero l'insegnamento di Dilthey, di Simmel e soprattutto di Weber, Così lo
storicismo tedesco è sopravvissuto in forme molteplici alla propria crisi, mo-
strando la sua non ancora cessata capacità di trasfigurazione. NOTA
BIBLIOGRAFICA Vengono qui indicate soltanto opere di carattere generale, che si
rife- riscono in tutto o in parte allo storicismo tedesco contemporaneo e ai
suoi rapporti con la cultura filosofica otto-novecentesca. Le monografie
dedicate a singoli autori sono menzionate nelle rispettive note bibliografiche.
R. Aron,
Essai sur la théorie de l'histoire dans l’ Allemagne contempo- raine (La
philosophie critique de l’histoire), Paris, 1938, 19502. M. ManpeLsaum, The
Problem of Historical Knowledge, New York, 1938, parte I. C. Antoni, Dallo
storicismo alla sociologia, Firenze, 1939 (ristampa 1973). H. R. von SrBik, Geist und
Geschichte vom deutschen Humanismus bis zur Gegenewart, Miinchen, 1950-51. G.
Luracs, Die Zerstorung der Vernunft, Berlin, 1953; tr. it. Torino, 1959. P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo,
Torino, 1956, 1971?. H. Stuart HucHes, Consciousness and Society (The
Reorientation of European Social Thought), New York, 1958; tr. it. Torino, 1967. P. Rossi, Storia e storicismo
nella filosofia contemporanea, Milano, 1960. I. S. Kon, Die
Geschichtsphilosophie des 20. Jahrhunderts - Kritischer Abriss (tr. dal russo), Berlin, 1964. G.
ScHmipr, Deutscher Historismus und der Ùbergang zur parlamenta- rischen
Demokratie: Untersuchungen zu den politischen Gedanken von Meinecke, Troeltsch,
Max Weber, Liùbeck-Hamburg, 1964. M. C. Branps, MHistorisme als Ideologie: Het
« onpolitieke » en « anti-nor- mative » Element in de Duitse
Geschiedwetenschap, Assen, 1965. G. G. Iccers, The German Conception of
History: The National Tradi- tion of Historical Thought from Herder to Present,
Middletown (Conn.), 1968; tr. tedesca col titolo Deussche
Geschichtswissenschaft, Miinchen, 1971. 76 NOTA BIBLIOGRAFICA F. Tessitore, Lo storicismo, nella Storia delle
idee politiche, economiche e sociali, Torino, vol. IV, 1972, pp. 27-126. Sulla
storia e sui significati del termine « storicismo » si rimanda ai seguenti
studi: E. RorHacger, Historismus, « Schmollers Jahrbuch », LXII, 1938, pp.
388-99. D. E. Lee
e R. N. Beck, The Meaning of « Historicism », « American Historical Review »,
LIX, 1953-54, pp. 568-77. C. G. Ranp, Two Meanings of Historicism in the
Writings of Dilthey, Troeltsch and Meinecke, « Journal of the History of
Ideas», XXV, 1964, pp. 503-18. P.
Rosst, Storicismo, nella Enciclopedia Feltrinelli-Fischer, vol. XIV : Filo- sofia, Milano,
1966, pp. 446-72. M. ManpeLBAUM, Historicism, in The Encyclopedia of
Philosophy, New York, 1967, vol. IV, pp. 22-25. G. G. Iccers, Historicism, nel
Dictionary of the History of Ideas, New York, 1973, vol. II, pp. 456-64. La presente edizione I testi compresi
in questo volume sono stati tradotti ex mzovo anche quando ne esisteva un'altra
traduzione italiana. Si è fatta eccezione sol- tanto per gli scritti filosofici
di Dilthey e per i saggi metodologici di Weber, a suo tempo tradotti dal
curatore in due volumi della « Biblioteca di cultura filosofica» di Einaudi,
nonché per il primo capitolo della Soziologie di Simmel, del quale si è
utilizzata la traduzione (non ancora pubblicata) di Giorgio Giordano per i «
Classici della sociologia » delle Edizioni di Comunità, e per l’altro saggio
weberiano Wissenschaft als Beruf, del quale si è utilizzata l'ottima traduzione
di Antonio Giolitti. Anche in questi casi, però, la traduzione è stata
sottoposta a una revi- sione accurata, e in diversi passi modificata a scopo di
uniformità termi- nologica. Il curatore desidera ringraziare pubblicamente
Sandro Barbera, che ha prestato la sua valida opera di traduttore, nonché
Claudio Magris, Mas- simo Mori ed Enzo Randone, che lo hanno aiutato a
rintracciare alcune citazioni. Un particolare ringraziamento va a Massimo Mori,
che ha con- tribuito alla correzione delle bozze. WILHELM DILTHEY NOTA
BIOGRAFICA Wilhelm Dilthey nacque a Biebrich am Rhein, nel ducato di Nas- sau,
il 19 novembre 1833, figlio di un pastore calvinista. Dopo aver compiuto gli
studi liceali a Wiesbaden, si iscrisse all’Università di Heidelberg e quindi a
quella di Berlino, seguendo corsi di teologia, di filosofia e di discipline
storiche: a Heidelberg fu allievo dello storico della filosofia Kuno Fischer, a
Berlino di alcuni dei maggiori maestri della scuola storica come il filologo
classico August Boeckh, lo storico Leopold von Ranke, il geografo Karl Ritter,
nonché di un altro illustre storico della filosofia, Adolf Trendelenburg. In
virtù del loro insegna- mento la partecipazione di Dilthey al mondo della
cultura romantica, soprattutto alla poesia e alla musica da un lato e alla
religiosità dal- l’altro — partecipazione di cui è testimonianza il diario
giovanile, pubblicato postumo dalla figlia Clara Misch Dilthey col titolo Der
junge Dilthey (Leipzig-Berlin, 1933; Gottingen, 1960?) — si traduce nell’inte-
resse storico per la concezione del mondo e per le manifestazioni artistico-
letterarie, religiose, filosofiche del Romanticismo tedesco. Da questo interes-
se prese le mosse una serie di studi su Hamann (1859) e su Schleierma- cher,
che metteranno capo — dietro suggerimento di Trendelenburg — prima alla
dissertazione di dottorato De principiis ethices Schleiermache- ri (Berlin,
1964; tr. it. Napoli, 1974) e poi al primo volume di un'ampia biografia rimasta
incompiuta, il Leben Schleiermachers (Berlin, 1867-70; 2° ed. a cura di H.
Mulert, Berlin-Leipzig, 1922; 3* ed. a cura di M. Redeker, Berlin, 1970). Dopo
aver ottenuto l'abilitazione a Berlino, Dil- they diventa professore di
filosofia a Basilea nel 1867, per poi trasferirsi a Kiel nel 1868 e a Breslau
nel 1871. In quest'ultima città egli stringe amicizia col conte Paul Yorck von
Wartenburg, con il quale egli avrà un intenso e fecondo scambio intellettuale
fino alla morte di lui: testimo- nianza di questo scambio sono le lettere
pubblicate postume (nel Brief- wechsel zwischen Wilhelm Dilthey und dem Grafen
Paul Yorck von Wartenburg, Halle, 1923). Nel 1882, infine, Dilthey fu chiamato
a succedere a Hermann Lotze all’Università di Berlino, dove insegnò fino al
1906. Priva di avvenimenti esteriori di rilievo (Dilthey non partecipò mai alla
vita politica tedesca), la vita di Dilthey coincide sostanzialmen- 80 WILHELM
DILTHEY te con la sua carriera accademica e con la sua attività intellettuale.
Morì a Siusi (Bolzano) il 1° ottobre 1911. Negli anni dal 1864 (in cui scrive
il VersucA einer Analyse der moralischen Bewusstsein, presentato come lavoro di
dissertazione) al 1875 (in cui pubblica il saggio Uber das Studium der
Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat)
Dilthey ha elaborato i presupposti della propria impostazione filosofica,
staccando- si gradualmente dalle posizioni romantiche della sua gioventù e
avvici- nandosi al movimento neoccriticistico. L'Habilitationsschrift del 1864,
dedicata a un'analisi della coscienza morale che riflette da vicino l'inse-
gnamento di Trendelenburg, vuol rivendicare nei confronti dell'etica kantiana
il carattere storico delle prescrizioni in cui si esprime l’imperati- vo
categorico, e quindi la variabilità del contenuto della morale. In seguito, la
prolusione con la quale Dilthey dà inizio nel 1867 al suo insegnamento a
Basilea (Die dichterische und philosophische Bewegung in Deutschland
1770-1800), se da un lato pone in rilievo l’importanza del contributo che la
cultura tedesca di fine Settecento, da Lessing a Hegel, ha dato alla
comprensione delle manifestazioni storiche del mon- do umano, dall’altro fa
valere l'esigenza di estendere l’indagine critica alle scienze che studiano la
realtà storico-sociale. Il saggio del 1875 riprende questi temi impostando per
la prima volta in termini espliciti il problema della fondazione critica di
queste discipline, ossia delle « scien- ze dello spirito ». Questo problema
costituisce il punto di partenza di tutta la successiva produzione filosofica
diltheyana del periodo berlinese. Nel 1883 compare il primo (e anche unico)
volume dell’Ein/eitung in die Gersteswissenschaften (tr. it. Firenze, 1974), in
cui Dilthey si propo- ne di rivendicare l'autonomia delle scienze
storico-sociali nei confronti delle scienze naturali, determinandone le
caratteristiche specifiche e quin- di le condizioni che ne garantiscono la
validità. Le scienze della natura e le scienze dello spirito si differenziano —
secondo l'analisi diltheyana — in primo luogo per il loro oggetto, in quanto le
prime studiano un complesso di fenomeni esterni all'uomo, mentre le seconde
studiano invece un dominio di cui l’uomo è parte integrante e di cui possiede
una coscienza immediata. A questa differenza di oggetto si accompagna perciò
una differenza di carattere gnoscologico, dal momento che i dati delle scienze
della natura provengono dall'osservazione esterna e i dati delle scienze dello
spirito derivano, in primo luogo, dall'esperienza inter- na, dall'esperienza
vissuta (Er/ebnis) che l'uomo ha di sé e dalla com- prensione che può avere
degli altri uomini; inoltre, mentre le prime si propongono di fornire una
spiegazione causale, le seconde si avvalgono di categorie peculiari come quelle
di significato, di scopo, di valore ecc. Entrambi questi criteri di distinzione
riconducono però a una differen- WILHELM DILTHEY 8I za di rapporto tra soggetto
e oggetto: nelle scienze della natura i due termini sono eterogenei tra loro,
mentre nelle scienze dello spirito il soggetto conoscente appartiene allo stesso
mondo umano che costituisce l'oggetto dell'indagine. Ma non soltanto il
rapporto tra soggetto e oggetto, bensì la stessa struttura del mondo umano
presenta un proprio carattere specifico. Il mondo umano ha il suo nucleo
elementare, il suo Grundkéòrper (come Dilthey lo chiama), nell’individuo, e
appare costitui to da un complesso di rapporti storicamente condizionati, dai
quali sorgono i sistemi di cultura e i sistemi di organizzazione sociale. Gli
uni e gli altri devono essere compresi nella loro esistenza storica, in quanto
la struttura del mondo umano è appunto storica. Da ciò deriva l’articolazione
sistematica dell’edificio delle scienze dello spirito. Da una parte la ricerca
storica indaga le manifestazioni del mondo umano nella loro individualità;
dall’altra le discipline di tipo generalizzante cercano di scoprire le
uniformità del mondo umano. E di queste fanno parte sia la psicologia e
l’antropologia, che hanno per oggetto l'individuo, sia le scienze dei sistemi
di cultura e le scienze dell’organizzazione esterna della società, le quali
studiano rispettivamente le forme culturali (arte, religione, filosofia,
scienza ecc.) e le istituzioni politiche, economiche, giuridiche in cui si
strutturano i rapporti tra gli uomini. L'Einleitung in die Geisteswissenschaften
segna così la data d'inizio, per così dire, del movimento storicistico tedesco.
Le due direzioni di ricerca che in essa si intrecciano, cioè l’analisi
metodologica delle scien- ze dello spirito e l’analisi della struttura del
mondo umano come mondo storico-sociale, vengono riprese da Dilthey in una serie
di saggi successi- vi, particolarmente nelle /deen tiber eine beschreibende und
zergliedern- de Psychologie (1804) e nei Beitrige zum Studium der
Individualitit (1895-96). Nel primo, partendo dalla determinazione della
struttura della vita psichica, Dilthey formula il programma di una psicologia
descrittiva e analitica che si contrappone alla psicologia esplicativa e
costruttiva di impostazione positivistica, e attribuisce ad essa un compito di
fondazione rispetto alle altre scienze dello spirito — compito che verrà in
seguito messo in disparte. Nel secondo egli addita nella spiegazione e nella
comprensione i procedimenti caratteristici propri rispettivamente delle scienze
della natura e delle scienze dello spirito e, respingendo la distinzione tra
scienze nomotetiche e scienze idiografiche che Windel- band aveva formulato
(come vedremo) nel 1894, determina il compito delle scienze dello spirito nello
studio dell’individuazione storica, quale essa sorge sulla base dell'uniformità
attraverso la mediazione del tipo. Negli scritti del periodo 1905-1911 (cioè,
all'incirca, del periodo suc- cessivo alla conclusione dell’insegnamento
berlinese) il problema della fondazione delle scienze dello spirito trova la
sua più matura formulazio 6. STORICISMO TEDESCO. 82 WILHELM DILTHEY ne.
Soprattutto nelle Studien zur Grundlegung der Geisteswissenchaf- ten (1905-10),
in Der Aufbau der geschichilichen Welt in den Geisteswis- senschaften (1910) e
negli appunti manoscritti che ne costituiscono il Plan der Fortsetzung
(1910-11) Dilthey realizza nella sua forma definiti va il progetto, perseguito
fin dalla gioventù, di una «critica della ragione storica » (tr. it. Torino,
1954). Attraverso l’analisi delle scienze dello spirito egli perviene a
individuare il fondamento della loro validità nel nesso tra l’Erleben (ossia il
divenire della vita, di cui il soggetto è immediatamente consapevole),
l’espressione della vita e l’intendere: la vita si realizza in un complesso di manifestazioni
oggettive o di « ogget- tivazioni » che devono essere intese, cioè che devono
costituire il termi- ne di riferimento dello sforzo umano di comprensione. La
conoscenza del mondo umano, fornita dalle scienze dello spirito, si configura
pertan- to come una conoscenza dall’interno, che è opera dell’uomo stesso; però
questa conoscenza non è data immediatamente nell’introspezione, ma può essere
ottenuta soltanto attraverso lo studio dei prodotti storici dell'attività
umana. L’intendere implica un riferimento retrospettivo al- l’Erleben, il quale
è mediato dall'espressione; esso esprime la consapevo- lezza dello scaturire di
tutte le manifestazioni storiche dal processo produttivo della vita. D'altra
parte il mondo umano si configura come l’oggettivazione dello spirito, cioè
come « spirito oggettivo » — anche se in senso ben diverso da quello hegeliano.
E l’analisi di questa struttura pone in luce che ogni fenomeno del mondo umano
è una connessione dinamica, la quale produce valori e realizza scopi, avendo il
proprio centro in se stessa. Di tale specie sono non soltanto i sistemi di
cultura e i sistemi di organizzazione sociale, ma anche le epoche storiche, le
quali si differenziano per i loro valori e fini particolari e sono caratteriz-
zate ognuna da un proprio orizzonte; cosicché ogni epoca deve essere compresa
in base al suo sistema di valori, il quale costituisce il criterio di
valutazione di ogni sua manifestazione. Attraverso quest'analisi della
struttura del mondo umano Dilthey perviene, negli scritti del periodo
1905-1911, a riconoscerne la fondamentale storicità: già l'individuo in quanto
tale è un essere storico, e storicamente condizionati sono tutti i fenomeni del
mondo umano. La critica della ragione storica sfocia così in una critica « storica
» della ragione, vale a dire in una filosofia dell’uo- mo come essere storico.
La storicità del mondo umano coinvolge la stessa filosofia, che risulta
qualificata come una forma particolare di intuizione del mondo. Nel saggio Das
Wesen der Philosophie (1907; tr. it. Torino, 1954) e negli altri due saggi
dedicati al medesimo tema, Das geschichtliche Bewusst- scin und die
Weltanschauungen e Dice Typen der Weltanschauung und ihre Ausbildung in den
metaphysischen Systemen (entrambi del WILHELM DILTHEY 83 1911), Dilthey ha
definito il rapporto tra filosofia e intuizione del mon- do. Arte, religione e
filosofia sono tutti e tre modi di esprimere un'’intui- zione del mondo che non
è soltanto una forma di conoscenza della realtà, ma anche un complesso di
valori, di fini e di regole di condotta, ossia un atteggiamento di fronte alla
vita; e la filosofia si distinguedall’artee dalla religione per la sua
aspirazione a una validità incondi- zionata — un’aspirazione che è però
contraddetta dalla coscienza storica, la quale pone in luce il condizionamento
storico di tutte le dottrine filosofiche. Su questa base Dilthey individua le
forme tipiche di intuizio- ne del mondo (e quindi anche di filosofia) nel
naturalismo, nell’ideali- smo oggettivo e nell’idealismo della libertà, e
interpreta la storia della filosofia come una lotta tra questi tre tipi
ricorrenti. Tra la pretesa di validità incondizionata della filosofia e la
coscienza storica si determina quindi un’antinomia, la quale trova la propria
soluzione in una « filoso- fia della filosofia » intesa come indagine critica
sulla possibilità e sui li- miti della filosofia. Essa deve porre in luce il
carattere illegittimo della pretesa metafisica di offrire una spiegazione
globale della realtà, e richia- mare la ricerca filosofica alla consapevolezza
della propria relatività storica. Questa concezione della filosofia e della sua
storia ispira anche le numerose opere di storiografia filosofica a cui Dilthey
ha dedicato gran parte della sua attività. Dai primi studi su alcune figure del
mondo culturale romantico e dalla biografia di Schleiermacher egli è venuto
allargando il proprio campo di ricerca al Rinascimento, alla Riforma,
all’Illuminismo, per poi ritornare all’analisi del Romanticismo tedesco e
dell’idealismo post-kantiano. Un primo gruppo di saggi, pubblicati per la
maggior parte negli anni 1891-94 e quindi raccolti sotto il titolo generale
Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation (tr.
it. Firenze, 1927), è dedicato al Rinascimento e alla Riforma, nonché al
processo di fondazione del « sistema naturale delle scienze dello spirito » nel
secolo xvi. Un secondo gruppo concer- ne invece la cultura filosofica del
Settecento, con particolare riguardo a Leibniz e a Federico Il: particolarmente
importante tra di essi è quello dedicato alla concezione illuministica della
storia, Das achtzehnte Jahr hundert und die geschichiliche Welt (1901; tr. it. Milano,
1967). Un terzo gruppo riguarda invece gli aspetti poetici e musicali della
cultura romantica tedesca, considerati nel loro rapporto con l'intuizione del
mondo propria del Romanticismo: essi sono raccolti in Das Erlebnis und die
Dichtung (Leipzig, 1906; tr. it. Milano, 1947) e nel volume postumo Von
deutscher Dichtung und Musik (Leipzig, 1933). A questo filone di studi si
collega l’ultimo dei lavori storici di Dilthey, cioè l'ampia biogra- fia del
giovane Hegel tracciata in Die Jugendgeschichte Hegels (1905-6), nella quale la
formazione del pensiero hegeliano viene studiata nei suoi 84 WILHELM DILTHEY
legami con l’ambiente culturale del Romanticismo tedesco e indagata nei suoi
motivi « teologici ». Al centro di tutti questi scritti sta la connessio- ne
tra la filosofia e l'intuizione del mondo propria delle varie epoche,
analizzata nel ripresentarsi di certe posizioni fondamentali — corrispon- denti
ai vari tipi di intuizione del mondo — che fanno della successione delle
diverse dottrine un processo storico unitario. NOTA BIBLIOGRAFICA Le opere di
Dilthey sono state raccolte nelle Gesammelte Schriften, edite dalla casa
editrice Teubner in undici volumi (vol. IIX e XI-XII) dal 1914 al 1936. Dopo la
guerra, la casa Vandenhoeck und Ruprecht di Géttingen ha ristampato più volte
le opere di Dilthey, aggiungendovi nuovi volumi: la raccolta è tuttora da completare.
Il primo volume (a cura di B. Groethuysen) comprende l'Einlcitung in die
Geisteswissen- schaften; il secondo (a cura di G. Misch) racchiude gli studi
sul Rinasci- mento e sulla Riforma, sotto il titolo Weltanschauung und Analyse
des Menschen seit Renaissance und Reformation; il terzo (a cura di P. Ritter)
raccoglie gli studi sull’età di Leibniz, sull'età di Federico il Grande e il
saggio Das achtzehnte Jahrhundert und die geschichtliche Welt, sotto il titolo
Studien zur Geschichte des deutschen Geistes; il quarto (a cura di H. Nohl)
comprende la Jugendgeschichte HRegels und andere Abhandlungen zur Geschichte
des deutschen Idealismus; il quinto e il sesto (a cura di G. Misch, che vi ha
premesso un ampio e importante Vorbericht) raccolgono, sotto il titolo
complessivo Die geisti- ge Welt: Einleitung in die Philosophie des Lebens,
alcuni saggi fonda- mentali tra cui Uber das Studium der Geschichte der
Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat, i Beitrige zur
Lòsung der Frage vom Ursprung unseres Glaubens an die Realitàt der Aussen- welt
und seinem Recht, le Ideen iiber eine beschreibende und zergliedern- de
Psychologie, i Beitrige zum Studium der Individualitit, Das Wesen der
Philosophie, nonché diversi altri saggi di poetica e di estetica; il settimo (a
cura di B. Groethuysen) racchiude, sotto il titolo Der Aufbau der
geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, le tre Studien zur
Grundlegung der Geisteswissenschaften, l'ampio saggio che dà il titolo al
volume e il relativo Plan der Fortsetzung; l'ottavo (a cura di B. Groethuysen)
comprende i saggi dedicati alla Weltanschauungs- lehre, e cioè Das
geschichtliche Bewusstsein und die Weltanschauungen e Die Typen der
Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphy- sischen Systemen; il nono (a
cura di O. F. Bollnow) è dedicato alla Pidagogik; il decimo (a cura di H. Nohl,
e apparso nel 1958) racchiude il System der Ethik; l'undicesimo (a cura di E.
Weniger) raccoglie, sotto il titolo complessivo Vom Ausgang des geschichtlichen
Bewusst- 86 WILHELM DILTHEY sein, numerosi saggi giovanili su storici tedeschi
dell'Ottocento; il dodice- simo (a cura di E. Weniger) comprende vari saggi Zur
politischen Geschichte, a cui fa seguito l'elenco completo degli scritti di
Dilthey fino al 1883 (pp. 208-12); il quattordicesimo (a cura di M. Redeker, e
apparso nel 1966, su licenza dell’editore de Gruyter) contiene il vol. II del
Leben Schleiermachers; il sedicesimo (a cura di U. Herrmann, e apparso nel
1972) raccoglie, sotto il titolo complessivo Zur Geistesge- schichte des 19.
Jahrhunderts, una serie di articoli e di recensioni del periodo 1859-74.
Rimangono al di fuori delle Gesammelte Schriften i seguenti volumi, già
menzionati nella nota biografica: Der junge Dilthey. Ein Lebensbild in Briefen
und Tagebiichern (1852-1870), Leipzig-Berlin, 1933, e Gòttin- gen, 1960?; Das
Erlebnis und die Dichtung, Leipzig-Berlin, 1906, 1907”, 1g1o3, e Géttingen,
1965 4; Von deutscher Dichtung und Musik, Leip- zig-Berlin, 1933, e Gòttingen,
19572. Il Leben Schleiermachers è stato completato con la pubblicazione del
secondo volume, Schleiermachers System als Philosophie und Theologie (a cura di
M. Redeker), Berlin, 1966; lo stesso Redeker ha in seguito dato una nuova
edizione critica del primo volume, Berlin, 1970? Rimangono inoltre al di fuori
delle Gesammelte Schriften varie raccolte di lettere, e precisamente: il Brief-
wechsel zwischen Wilhelm Dilthey und dem Grafen Paul Yorck von Wartenburg
(1877-1897), Halle, 1923; i Briefe Wilhelm Diltheys an Beyrn- hardt und Luise Scholz
(1859-1864), « Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften »,
Philosophisch-historische Klasse, 1933, n. 10, pp. 416-71; i Briefe Wilhelm
Diltheys an Rudolf Haym (1861-1873), « Abhandlungen der Preussischen Akademie
der Wissenschaften », Ber- lin, 1936. Si veda inoltre W. Biemel, Einleitende
Bemerkung zum Brief- wvechsel Dilthey-Husserl, « Man-World », I, 1968, pp.
428-46. Tra l'ormai vasta letteratura critica dedicata all'opera e al pensie-
ro di Dilthey segnaliamo gli studi seguenti: B. GroetHursen, Wilhelm Dilthey, «
Deutsche Rundschau », CLIV, n. 4, 1913, pp. 69-92, € n. 5, 1913, pp. 24970. A. Stern, Der Begriff des
Geistes bei Dilthey, Tùbingen, 1913, 2° ed. col titolo Der Begriff des
Verstehen bei Dilthey, Tiibingen, 1926. B. ScHarpnact, Diltheys Verhdltnis zur
Geschichte, Berlin, 1927. L. Lanporese, Wilhelm Diltheys Theorie der Geisteswissenchaften,
Hal- le,
1928. G. MiscH, Lebensphilosophie und Phinomenologie. Eine Auscinander- setzung der
Diltheyschen Richtung mit Heidegger und Husserl, Bonn, 1930, e Leipzig-Berlin,
1931, infine Stuttgart, 1967?. WILHELM DILTHEY 87 K. Karsuse, Wilhelm Diltheys
Methode der Lebensphilosophie, Hiroshi- ma, 193I. A. Decener, Dilthey und das
Problem der Metaphysik, Bonn-Kéln, 1933. A. Liesert, Wilhelm Dilthey, Berlin,
1933. C. Cuppers, Die erkenntnistheoretischen Grundgedanken Wilhelm Dil- theys,
Leipzig-Berlin, 1934. J. Hennic, Lebensbegriff und Lebenskategorie. Studien zur
Geschichte und Theorie der geisteswissenschaftlichen Begriffsbildung mit beson-
derer Beriicksichtigung Wilhelm Diltheys, Aachen, 1934. J. StenzeL, Dilthey und
die deutsche Philosophie der Gegenwart, « Phi- losophische Vortrige der
Kant-Gesellschaft », Berlin, 1934. G. Masur, Wilhelm Dilthey und die
europdische Geistesgeschichte, « Deut- sche Vierteljahrschrift fir Literaturwissenschaft und Geistesge-
schichte », XII, 1934, pp. 479-503. D. BiscHorr, Wilhelm Diltheys
geschichiliche Lebensphilosophie, Leipzig- Berlin, 1935. O. F. BoLLnow, Dilthey.
Eine
Einfihrung in seine Philosophie, Leipzig- Berlin, 1936, e Gottingen, 19557, 19672. W. ErxLEDEN,
Erlebnis, Verstehen und geschichiliche Wahrheit. Unter- suchungen tiber die
geschichiliche Stellung von Wilhelm Diltheys Grundlegung der
Geisteswissenschaften, Berlin, 1937. E. Puccraretti, Introduccibn a la filosofia de Dilthey, La Plata, 1938. C.T. Grocx, Wilhelm Diltheys
Grundlegung einer twissenschaftlichen Lebensphilosophie, Berlin, 1939. L. Giusso, Wilhelm Dilthey e la filosofia come
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Diltheys, Gòttingen, 1971. G. Marini, Dilthey filosofo della musica, Napoli,
1973. Un'ampia bibliografia si trova in F. Diaz pe Cerro Ruiz, W. Dilthey y el
problema del mundo histérico, cit., pp. xrx-Lv. Del medesimo au- tore si veda
però ora il saggio Bibliografia de W. Dilthey, « Pensamien- to », XXIV, 1968,
pp. 195-258. Ma il lavoro più completo è quello di U. Herrmann, Bibliographie
Wilhelm Diltheys: Quellen und Literatur, Wernheim/Bergstr.-Berlin-Basel, 1969. SCIENZE
DELLO SPIRITO E SCIENZE DELLA NATURA * I. LE SCIENZE DELLO SPIRITO: UN
COMPLESSO AUTONOMO ACCANTO ALLE SCIENZE DELLA NATURA Il complesso delle scienze
che hanno come loro oggetto la realtà storico-sociale viene qui compreso sotto
la designazione di scienze dello spirito. Il concetto di queste scienze, in
virtù del quale esse costituiscono un complesso unitario, e la delimita- zione
di tale complesso nei confronti delle scienze della natura potranno essere
spiegati e fondati in maniera definitiva soltanto nel corso dell’analisi;
all'inizio ci limitiamo a stabilire il signifi- cato in cui impiegheremo
l’espressione e a indicare provvisoria- mente l'insieme dei fatti sul quale si
fonda la delimitazione di tale complesso unitario delle scienze dello spirito
nei confronti delle scienze della natura. L’uso linguistico comprende sotto il
nome di «scienza» un insieme di proposizioni i cui elementi sono concetti, cioè
perfet- tamente determinati, costanti in tutta la connessione di pensie- ro e
forniti di validità universale, i cui legami sono fondati, in cui infine le
parti sono reciprocamente connesse in una totalità allo scopo di poter
comunicare, cosicché un elemento della realtà può essere concepito nella sua
compiutezza in virtù di questa connessione di proposizione oppure un ramo
dell'attività umana può esser regolato in base ad essa. Indichiamo perciò *
Einleitung in die Geisteswissenschaften, libro I: Ubersicht tiber den Zusammen-
hang der Einzelwissenschaften des Geistes, Leipzig, Duncker und Humblot, 1883,
ca- pitoli u-vir, pp. 5-35, ora in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin,
vol. I, 1914, PP. 4-28 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 92
WILHELM DILTHEY qui col termine «scienza» ogni insieme di fatti spirituali in
cui si ritrovano le caratteristiche sopra indicate e a cui dunque generalmente
viene applicato il nome di «scienza»: in modo corrispondente presentiamo
provvisoriamente il nostro compito. Questi fatti spirituali, quali si sono
storicamente svi- luppati nell’umanità, e ai quali è stata tramandata — secondo
un comune uso linguistico — la denominazione di scienze del- l’uomo, della
storia, della società, costituiscono realtà che noi non vogliamo dominare, ma
anzitutto comprendere. Il metodo empirico esige che anche in questo settore
delle scienze venga determinato in modo storico-critico il valore dei singoli
procedi- menti di cui il pensiero qui si serve per la soluzione dei suoi
compiti, e che venga chiarita, nell’intuizione di questo grande processo che ha
per soggetto l’umanità stessa, la natura del sapere e del conoscere relativi a
questo campo. Un tale metodo sta in antitesi a quell'altro — di recente troppo
di frequente praticato dai cosiddetti positivisti — che deriva il contenuto del
concetto di scienza da una determinazione concettuale del sapere sorta per lo
più sul terreno delle attività proprie delle scienze della natura, e che in base
ad essa decide quali siano le attività intellettuali a cui spetta il nome e il
rango di scienza. In tal modo alcuni, prendendo le mosse da un concetto
arbitrario di sapere, hanno con miopia e presunzione negato alla storiografia,
qual è stata praticata da grandi maestri, il rango di scienza; altri hanno
creduto di dover trasformare in conoscenza della realtà quelle scienze che
hanno a loro fonda- mento imperativi, e non già giudizi sulla realtà. L'insieme
dei fatti spirituali che ricadono sotto questo con- cetto di scienza viene di
solito suddiviso in due rami. L’uno è designato col nome di « scienza naturale
»; per quanto riguar- da l’altro non si dispone, abbastanza stranamente, di una
desi- gnazione universalmente riconosciuta. Aderisco qui all’uso lin- guistico
di quegli studiosi che indicano quest'altra metà del globus intellectualis con
l’espressione di «scienze dello spiri- to». Da una parte questa designazione è
diventata — e non poco lo deve all’ampia diffusione del System of Logic di John
Stuart Mill! — abituale e universalmente intelligibile. D’al- 1. Il System of Logic, Ratiocinative and Inductive di John
Stuart Mill (1806-1873) WILHELM DILTHEY 93 tra parte, confrontata con tutte le
altre designazioni inadegua- te tra cui è possibile scegliere, essa appare la
meno impropria. ‘È pur vero che essa esprime molto incompiutamente l’oggetto di
questo studio, giacché in esso i fatti della vita spirituale non sono separati
dalla vivente unità psico-fisica della natura umana. Una teoria che voglia
descrivere e analizzare i fatti storico-sociali non può prescindere da questa
totalità della natu- ra umana e limitarsi all'elemento spirituale. Ma
l’espressione ha in comune questo difetto con tutte le altre che si sono
applicate: scienza della società (sociologia), scienze morali, scien- ze
storiche, scienze della cultura — tutte queste designazioni soffrono del
medesimo errore, di essere cioè troppo ristrette in rapporto all’oggetto che
devono esprimere. Il nome che qui si è scelto ha per lo meno il vantaggio di
designare adeguatamente l'ambito centrale di fatti a partire dal quale è stata
vista in realtà l’unità di queste scienze, abbozzato il loro ambito, com- piuta
— benché ancora in maniera assai incompleta — la loro delimitazione rispetto
alle scienze della natura. Il motivo di cui è derivata l’abitudine di
delimitare queste scienze rispetto a quelle della natura, intendendole come una
unità, è radicato nella profondità e nella totalità dell’autoco- scienza umana.
Ancor prima di procedere a indagini sull’origi- ne del mondo spirituale, l’uomo
trova in questa autocoscienza una sovranità del volere, una responsabilità
delle sue azioni, una capacità di sottoporre tutto al pensiero e di opporsi a
tutto nella libertà della sua persona, mediante cui si distingue da tutta la
natura. Egli si ritrova infatti, in questa natura — per impiegare
un'espressione spinoziana — come un Imperium in imperio®. E poiché per lui
esiste solamente ciò che è fat- a. Pascal esprime in modo molto geniale questo
sentimento della vita nelle Pensées: « Tutte queste miserie provano la sua
grandezza: sono mi- serie da gran signore, miserie di un re spodestato » (I,
3). « Noi abbiamo fu pubblicato a Londra nel 1843 e tradotto in tedesco da I.
Schiel nel 1849. Questa tra- duzione utilizza appunto il termine
Geistessvissenschaften per rendere l'espressione mil- liana moral sciences:
così, per esempio, il titolo del sesto libro (On the Logic of Moral Sciences)
risulta tradotto Logik der Geisteswissenschaften. Dilthcy fa ricorso per la
pri- ma volta al termine Geistestvissenschaften proprio in riferimento a Mill,
nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der
Gesellschaft und dem Staat (1875), ora raccolto in Gesammelte Schriften, vol.
V, pp. 31-73. 94 WILHELM DILTHEY to della sua coscienza, ogni valore e ogni
scopo della vita risiede in questo mondo spirituale che agisce in lui in
maniera autonoma, e ogni fine delle sue azioni risiede nella costruzione di
fatti spirituali. Così egli distingue dal regno della natura un regno della
storia, nel quale — in mezzo alla connessione di una necessità oggettiva, che
costituisce la natura — la libertà emerge in innumerevoli punti. In antitesi al
corso meccanico dei mutamenti naturali, il quale già contiene fin dall’inizio
tutto ciò che in esso ha luogo, i fatti della volontà producono realmente
qualcosa in virtù del loro impiego di forza e dei loro sacrifici, del cui
significato l'individuo è consapevole nella pro- pria esperienza; essi
suscitano lo sviluppo, sia nella persona sia nell’umanità — attraverso e oltre
la vuota e desolata ripetizione del corso della natura nella coscienza, della
cui rappresentazio- ne come ideale di progresso storico si compiacciono gli
adorato- ri dello sviluppo intellettuale. Invano l’epoca metafisica, per la
quale questa differenza nelle basi di spiegazione si configurava immediatamente
come una differenza sostanziale inerente alla struttura dell’universo, ha
lottato per stabilire e giustificare formule in vista della fondazione di
questa differenza dei fatti della vita spirituale da quelli del corso naturale.
Tra tutte le trasformazioni che la metafisica antica ha conosciuto presso i
pensatori medievali, nulla è stato più ricco di conseguenze del fatto che in
questo periodo, in connessione con tutti i movimenti religiosi e teologi- ci
dominanti in cui erano inseriti questi pensatori, s’introdusse nel nucleo
centrale del sistema la determinazione della differen- za tra mondo degli
spiriti e mondo dei corpi, e quindi la relazione di entrambi questi mondi con
la divinità. La principa- le opera metafisica del Medioevo, la Summa de
veritate catholi- cae fidei di Tommaso, abbozza—a partire dal secondo libro —
una struttura del mondo creato in cui l’essenza (essentia quiddi- tas) è
distinta dall’essere (esse), mentre in Dio i due momenti sono una sola cosa*.
Essa dimostra che nella gerarchia del un'idea così grande dell'anima umana che
non possiamo sopportare di es- serne disprezzati, di non esserne stimati » (I,
5) (Oeuvres complètes, Pa- ris, 1866, vol. I, pp. 248-49). a. Summa contra
Gentiles, libro I, cap. xxt1; cfr. pure libro II, cap. LIV. WILHELM DILTHEY 95
creato c'è un elemento necessario superiore, costituito dalle so- stanze
spirituali che non risultano dall’unione di forma e mate- ria ma sono incorporee
per sé — gli angeli — e dalle quali si distinguono le sostanze intellettuali o
forme incorporee che, per il completamento della loro specie (cioè della specie
« uomo »), abbisognano dei corpi. Su tale base essa elabora —in polemica con la
filosofia araba — una metafisica dello spirito umano la cui influenza può venir
seguita fino agli ultimi scrittori metafi- sici nei giorni nostri*; da questo
mondo di sostanze imperitu- re si distingue la parte del creato che ha la
propria essenza nell’unione di forma e materia. Questa metafisica dello spirito
(psicologia razionale) fu posta poi da altri eminenti metafisici in relazione
con la concezione meccanicistica della natura e con la filosofia corpuscolare,
non appena queste ultime diventarono dominanti. Ma ogni tentativo di elaborare
sul fondamento di questa dottrina delle sostanze, e con i mezzi della nuova
conce- zione della natura, una rappresentazione sostenibile dei rappor- ti tra
spirito e corpo naufragò. Quando Descartes sviluppò sulla base delle proprietà
chiare e distinte dei corpi in quanto gran- dezze spaziali la sua
rappresentazione della natura come un immenso meccanismo, considerando costanti
le grandezze di movimento presenti in questo complesso, si introdusse nel
siste- ma — insieme con l’ipotesi che una sola anima imprime dall’e- sterno un
movimento in questo sistema materiale — la contrad- dizione. L’impossibilità di
rappresentare un'influenza da parte di sostanze non-spaziali su questo sistema
esteso non veniva certo diminuita dal fatto che Descartes raccolse in un punto
il luogo spaziale di tale azione reciproca — come se potesse con ciò far
scomparire la difficoltà. L’avventurosità della concezio- ne secondo cui la
divinità sorreggerebbe con ripetuti interventi questo gioco di azioni reciproche,
oppure di quell’altra, secon- do cui invece Dio avrebbe, come il più abile
degli artefici, predisposto fin dall’inizio i due orologi del sistema materiale
e del mondo degli spiriti in modo tale che un avvenimento natu- rale produca
una sensazione e un atto di volontà realizzi una trasformazione del mondo
esterno, dimostrano nel modo più chiaro l’inconciliabilità della nuova
metafisica della natura con a. Summa contra Gentiles, libro II, cap. xvi. 96
WILHELM DILTHEY la precedente metafisica delle sostanze spirituali. Cosicché
tale problema operò come pungolo sempre stimolante, favorendo la dissoluzione
del punto di vista metafisico in generale. Questa dissoluzione si completerà
nella conoscenza — che si svilupperà più tardi — che l’Erlebnis dell’autocoscienza
è il punto di partenza del concetto di sostanza, che questo concetto sorge
dall’adattamento di tale Erlebris alle esperienze esterne — pro- dotto dal
conoscere che procede secondo il principio di ragion sufficiente — e che in tal
modo questa dottrina delle sostanze spirituali altro non è che un riportare il
concetto, formatosi in tale metamorfosi, all’ErleBnis entro cui era
originariamente da- to il suo presupposto. In luogo dell’antitesi tra sostanze
materiali e sostanze spiri- tuali subentrò quella tra il mondo esterno dato
nella percezione esterna (sensation) mediante i sensi, e mondo interiore, dato
primariamente in virtù dell’apprendimento interno degli eventi e delle attività
psichiche (reffection)?. Il problema assume in tal modo un aspetto più modesto,
che implica però la possibili- tà di un'impostazione empirica. Di fronte al
nuovo e migliore metodo si fanno ora valere gli Erlebrisse che avevano trovato
un'espressione scientificamente insostenibile nella dottrina delle sostanze
propria della psicologia razionale. Per la costituzione in forma autonoma delle
scienze dello spirito occorre anzitutto che — in base a questo punto di vista
critico — da quei processi i quali sono formati mediante un collegamento
concettuale sulla base del dato sensibile, e soltan- to di questo, si
distinguano, come un ambito particolare di fatti, quegli altri processi che
sono invece dati primariamente nell’esperienza interna, cioè senza alcuna
cooperazione dei sen- si, e sono quindi formati sulla base del materiale dell’esperien-
za interna, dato in modo primario, in occasione di processi naturali esterni,
per esser sottoposti a questi mediante un proce- dimento equivalente, per la
sua funzione, al ragionamento ana- logico. Nasce così un particolare dominio di
esperienze che ha la sua origine autonoma e il suo materiale nell’Erlebnis
interio- re, e che diventa quindi spontaneamente oggetto di una partico- 2.
Dilthey si riferisce qui alla distinzione tra sensazione e riflessione
formulata da Locke. WILHELM DILTHEY 97 lare scienza di esperienza. E finché
qualcuno non asserirà di essere in grado di derivare dalla struttura del
cervello di Goe- the e dalle qualità del suo corpo — e di rendere così meglio
conoscibile — l'insieme di passioni, di figure poetiche e di invenzione concettuale
che noi indichiamo come la vita di Goethe, non sarà neppure contestata la
posizione autonoma di una scienza siffatta. Orbene, ciò che per noi qui esiste,
ed esiste in virtù di questa esperienza interna, ciò che per noi ha valore o
costituisce uno scopo ci è dato soltanto nell’Er/ebnis del nostro sentimento e
della nostra volontà: in questa scienza sono così contenuti i princìpi del
nostro conoscere, che determi- nano in quale misura la natura può esistere per
noi, e i princì- pi del nostro agire, che spiegano l’esistenza di scopi, di
beni, di valori su cui è fondato ogni commercio pratico con la natura. Una
fondazione più approfondita della posizione autonoma delle scienze dello
spirito accanto alle scienze della natura, che costituisce qui il nucleo della
costruzione delle scienze dello spirito, sarà compiuta più avanti,
gradualmente, nella misura in cui si procederà nell’analisi dell’Erlebnis
complessivo del mondo spirituale nella sua incomparabilità con ogni esperienza
sensibile concernente la natura. Mi limito qui a chiarire il problema, facendo
cenno al duplice senso in cui si può asserire l’incompatibilità dei due ambiti
di fatti: corrispondentemente, anche il concetto dei limiti della conoscenza
della natura acqui- sta un duplice significato. Uno dei nostri maggiori
scienziati ha intrapreso la determi- nazione di questi limiti in un trattato
assai discusso, e ha di recente illustrato questa determinazione dei limiti
della sua scienza®. Supponiamo di aver tutte le trasformazioni del mon- do
corporeo in movimenti di atomi, causati dalle loro forze centrali costanti: in
questo caso la totalità del mondo sarebbe conosciuta in base alle scienze della
natura. « Uno spirito — a. E. Du Bors-ReyMonp, Uber die Grenzen des
Naturerkennens, Leip- zig, 4° ed. 1872: dello stesso autore si veda pure Die
sieben Weltritsel, Berlin, 18813. 3. Emil Du Bois-Reymond (1818-1896),
fisiologo positivista, autore delle due opere citate da Dilthey, sostenne
l'impossibilità per l’uomo di risolvere gli enigmi « trascen- denti » e la
necessità di attenersi al principio dell’ignorabimus. 7. STORICISMO TEDESCO. 98
WILHELM DILTHEY egli prende le mosse da quest'immagine di Laplace — che per un
dato istante conoscesse tutte le forze operanti della natura, e la reciproca
posizione degli esseri di cui essa consta, € che inoltre fosse anche abbastanza
sapiente da sottomettere ad anali- si questi dati, sarebbe in grado di
comprendere in una medesi- ma formula i movimenti dei massimi corpi celesti
come dell’a- tomo più leggero » ®. Siccome l'intelligenza umana nella scien- za
astronomica è una « debole copia di uno spirito di tal fat- ta», Du
Bois-Reymond indica la conoscenza di un sistema ma- teriale prospettata da
Laplace come conoscenza astronomica. Partendo da tale immagine si approda di fatto
a una concezio- ne assai chiara dei limiti entro cui è racchiusa la tendenza
dello spirito proprio delle scienze naturali. Ci sia ora concesso di introdurre
in questa considerazione del problema una distinzione relativa al concetto di
limite della conoscenza naturale. Dal momento che la realtà, in quan- to
correlato dell’esperienza, ci è data nella cooperazione della struttura dei
nostri sensi con l’esperienza interna, dalla differen- za di provenienza dei
suoi elementi costitutivi che ne deriva scaturisce un'incomparabilità tra gli
elementi del nostro calcolo scientifico, la quale esclude la derivazione dei
fatti di una deter- minata provenienza da quelli di provenienza diversa. Dalle
qualità dell'elemento spaziale perveniamo così attraverso la fat- ticità del
senso del tatto — nel quale viene esperita la resisten- za — alla
rappresentazione della materia; ogni senso è racchiu- so entro il suo specifico
ambito di qualità; e se dobbiamo apprendere uno stato della coscienza in un
momento determina- to, siamo costretti a passare dalla sensibilità alla
percezione degli stati interni. Pertanto noi possiamo soltanto accogliere i
dati nell’incomparabilità in cui essi si presentano a seguito del- a. P. S.
LarLace, Essai philosophique sur les probabilités, Paris, 1814, p. 3°. 4.
Pierre-Simon Laplace (1749-1827), matematico e astronomo francese, autore del- l'Exposition
du système du monde (1796), del Traité de mécanique céleste (1798-1825), della
TAéorie analytique des probabilités (1812) e del saggio citato da Dilthey,
diede un contributo decisivo alla formulazione della teoria — già enunciata da
Kant — dell'ori- gine del sistema solare da una massa gassosa. L'Essai sviluppa
le implicazioni filosofiche del calcolo delle probabilità. WILHELM DILTHEY 99
la loro diversa provenienza; la loro esistenza di fatto rimane per noi priva di
giustificazione; ogni nostro conoscere è limita- to alla constatazione di
uniformità nella successione e nella contemporaneità, secondo le quali esse
sono in relazioni recipro- che nella nostra esperienza. Si tratta di limiti
inerenti alle condizioni stesse del nostro esperire, cioè di limiti che
sussisto- no in ogni punto della scienza della natura, non già di barriere
esterne in cui urti la conoscenza della natura, bensì di condizio- ni immanenti
allo stesso esperire. La presenza di questi confini immanenti della conoscenza
non costituisce però impedimento alcuno per la funzione del conoscere. Se col
termine compren- dere si designa una completa trasparenza nell’apprendimento di
una connessione, allora ci troviamo di fronte a barriere contro cui urta il
comprendere. Ma, sia che la scienza sottomet- ta al suo calcolo, riconducendo i
mutamenti della realtà a movi- menti di atomi, delle qualità oppure dei fatti
della coscienza — sempre che questi si lascino sottomettere — l’inderivabilità
non costituisce impedimento alcuno alle sue operazioni. È tan- to poco
possibile trovare un passaggio da una determinatezza meramente matematica o da
una grandezza di movimento a un colore o a un suono, quanto a un evento della
coscienza: non posso spiegare la luce azzurra mediante il corrispondente nume-
ro di oscillazioni più di quel che possa spiegare il giudizio negativo mediante
un processo che accade nel cervello. Come la fisica cede alla fisiologia il
compito di spiegare la qualità sensi- bile dell’« azzurro », così la fisiologia
— che nel movimento di parti materiali non possiede neppur essa un mezzo per
far apparire d’incanto l'azzurro — trasmette alla psicologia il suo compito,
che rimane in definitiva, come in un gioco di specchi magici, affidato alla
psicologia. Ma l’ipotesi che le qualità sor- gano dal processo della sensazione
è di per sé solamente un mezzo ausiliario di calcolo, che riconduce le
trasformazioni della realtà — quali si dànno nella mia esperienza — a una certa
classe di trasformazioni al suo interno che costituisce un contenuto parziale
della mia esperienza, per poterle collocare in certo modo su uno stesso piano a
scopo di conoscenza. Se fosse possibile sostituire a fatti definiti in maniera
determina- ta, che nel contesto della considerazione meccanicistica della
natura occupano un posto stabilito, fatti di coscienza definiti in 100 WILHELM
DILTHEY modo costante e determinato, e con ciò stabilire — conforme- mente al
sistema di uniformità in cui si trovano i primi — il presentarsi dei processi
della coscienza in un accordo completo con l’esperienza, allora questi fatti di
coscienza sarebbero inseri- ti nella connessione della conoscenza naturale allo
stesso modo di un qualsiasi suono o colore. Ma proprio a questo punto
l’incomparabilità tra processi materiali e processi spirituali assume un
diverso senso, e pone alla conoscenza naturale limiti di tutt'altro genere.
L’impossibi- lità di derivare i fatti spirituali da quelli dell'ordine
meccanico della natura, che si fonda sulla diversità della loro provenienza,
non impedirebbe l’inserimento dei primi nel sistema dei secon- di. Soltanto
quando le relazioni tra i fatti del mondo spiri- tuale si presentano
incomparabili nella loro specie con le unifor- mità della natura, viene esclusa
una subordinazione dei fatti spirituali a quelli accertati dalla conoscenza
meccanica della natura: infatti qui non ci si trova di fronte a confini
immanen- ti al conoscere empirico, bensì a limiti in cui la conoscenza naturale
finisce e ha invece inizio un’autonoma scienza dello spirito, che si
costituisce intorno a un proprio centro. Il proble- ma fondamentale consiste
pertanto nello stabilire quella data specie di incomparabilità tra le relazioni
dei fatti spirituali e le uniformità dei processi materiali che esclude la
subordinazione dei primi e una loro interpretazione come qualità e aspetti
della materia, e che dev'essere di tutt’altro genere della differen- za
sussistente tra i diversi ambiti particolari di leggi della mate- ria — così
come queste si presentano nella matematica, nella fisica, nella chimica e nella
fisiologia, sotto forma di un rappor- to di subordinazione che si sviluppa in
modo coerente. L’esclu- sione dei fatti spirituali dalla connessione della
materia, delle sue qualità e delle sue leggi presupporrà sempre un contrasto
che si manifesta, in qualsiasi tentativo di subordinazione siffat- ta, tra le
relazioni dei fatti di un campo e quelle di un altro. E ciò appare chiaro
quando l'incomparabilità della realtà spiri- tuale viene ricondotta ai fatti
dell’autocoscienza e dell’unità della coscienza ad essa inerente, alla libertà
e ai fatti della vita normale ad essa collegati, in antitesi all’organizzazione
spaziale e alla divisibilità della materia nonché alla necessità meccanica a
cui soggiace il comportamento di ogni sua parte. Vecchi WILHELM DILTHEY IOI
quasi quanto la riflessione rigorosa sulla posizione dello spirito rispetto
alla natura sono i tentativi di formulare questo tipo di incomparabilità
dell’elemento spirituale con qualsiasi ordine na- turale, sulla base dei fatti
dell’unità della coscienza e della spontaneità del volere. Nella misura in cui
nell'esposizione di questo illustre scien- ziato viene introdotta la
distinzione tra i confini immanenti dell’esperire e i limiti della
subordinazione dei fatti alla connes- sione della conoscenza naturale, i
concetti di limite e di inespli- cabilità acquistano un senso esattamente
definibile, e scompaiono quindi difficoltà che si sono fatte ampiamente
rilevare nella polemica intorno ai limiti della conoscenza naturale provocata
da questo scritto. L'esistenza di confini immanenti all’esperien- za non è
affatto decisiva rispetto alla questione riguardante la subordinazione di fatti
spirituali alla connessione della cono- scenza della materia. Se ci si propone
— come nel caso di Haeckel5 e di altri scienziati — di inserire i fatti
spirituali nella connessione della natura, assumendo l’esistenza di una vita
psichica negli elementi in base ai quali si costituisce l'orga- nismo, tra un
tentativo del genere e la conoscenza dei confini immanenti di ogni esperienza
non sussiste assolutamente alcun rapporto di esclusione; su di esso decide
soltanto il secondo tipo di indagine sui limiti del conoscere naturale. Per
questo anche Du Bois-Reymond ha proseguito nel secondo tipo di indagine, e
nella sua dimostrazione si è servito dell’argomento dell’unità della coscienza
così come dell’argomento della sponta- neità del volere. La dimostrazione della
tesi «che gli elementi spirituali non possono mai essere compresi sulla base
delle Ioro condizioni materiali »° viene condotta come segue. Anche nel caso di
una conoscenza compiuta di tutte le parti del sistema materiale, della loro
reciproca posizione e del loro movimento, a. E. Du Bors-RexMonD, op. cit., p.
28. 5. Ernest Heinrich Hacckel (1834-1919), biologo e filosofo positivista,
autore di nu- merose opere di argomento zoologico e di una Generelle
Morphologie der Organismen (1866), nonché di vari volumi sulla teoria
dell'evoluzione, fu uno dei maggiori espo- nenti del darwinismo in Germania. Il
libro Die Welrétse! (1899), scritto in polemica con Du Bois-Reymond,
rappresenterà un tentativo di risposta in chiave positivistica a quelli che Du
Bois-Reymond aveva indicato come gli enigmi insolubili del mondo. 102 WILHELM
DILTHEY rimane però del tutto incomprensibile perché a un certo nume- ro di
atomi di carbonio, d’idrogeno, di azoto, di ossigeno, non dovrebbe essere
indifferente in qual modo essi sono collocati e si muovono. L'impossibilità di
spiegare l'elemento spirituale rimane tuttavia immutata anche se ognuno di
questi elementi è corredato di coscienza al pari delle monadi; in base a
quest’ipo- tesi non si può spiegare la coscienza unitaria dell’individuo*. a.
E. Du Bois-RerMonD, op. cit., pp. 29-30; cfr. anche Die sieben Welt- ritsel
cit., p. 7. Quest'argomentazione ha del resto valore conclusivo sol- tanto se
alla meccanica atomistica si attribuisce una validità per così dire metafisica.
Alla sua storia, accennata da Du Bois-Reymond, si può avvi- cinare anche la
formulazione che troviamo nel classico della psicologia ra- zionale, Moses
Mendelssohn? Leggiamo per esempio in Schriften, Leip- zig, 1880, vol. I, p.
277: « 1) Tutto quanto distingue il corpo umano da un blocco di marmo può
essere ricondotto a movimento. Ma il movimento non è altro che il mutamento del
luogo o della posizione. È evidente che tutti i mutamenti di luogo possibili al
mondo, per quanto possano essere raccolti insieme, non comportano affatto la percezione
di questi muta- menti di luogo. — 2) Tutta la materia è costituita da più
parti. Se le sin- gole rappresentazioni fossero isolate nelle parti dell'anima
così come gli og- getti lo sono nella natura, non si incontrerebbe mai la
totalità. Noi non po- tremmo paragonare tra loro le impressioni dei vari sensi,
confrontare le rappresentazioni, percepire rapporti, riconoscere relazioni. Ne
deriva chia- ramente che non soltanto nel pensiero, ma anche nella sensazione
la mol- teplicità deve convergere nell'unità. Dal momento però che la materia
non è mai un soggetto singolo ecc. ». Kant sviluppa questo « tallone d'Achille
di ogni conclusione dialettica della dottrina pura dell’anima » come il se-
condo paralogismo della psicologia trascendentale. In Lotze? questi « atti del
sapere relazionante » sono stati svilupppati in vari scritti (da ultimo nella
Metaphysik, Leipzig, 1841, p. 476) come «il fondamento insuperabi- le, su cui
può riposare con sicurezza la convinzione dell'autonomia dell'a- nima », e
costituiscono la base di questa parte del suo sistema metafisico. 6. Moses
Mendelssohn (1729-1786), autore dei P/ilosophische Gespriche (1755), dei Briefe
tiber die Empfindungen (1755), del Phédon (1767), delle Morgenstunden (1785) c
di varie altre opere, fu uno dei maggiori esponenti della « filosofia popolare
» di ispi- tazione illuministica; amico di Lessing, lo difese dall'attribuzione
di spinozismo sostc- nuta da Jacobi. Dilthey si riferisce qui al tentativo di
dimostrazione dell'immortalità dell’anima, criticato da Kant nella Critica
della ragion pura. 7. Rudolph Hermann Lotze (1817-1881), autore della
MetapAysik (1841), della Lo- gi% (1843), del Mikrokosnus (1856-58), del System
der Philosophie (1874-79) e di nu- merose altre opere, alcune delle quali pubblicate
postume, fu il maggiore rappresentante dello spiritualismo ottocentesco
tedesco: il suo pensiero ebbe larga diffusione, influen- zando la cultura
filosofica della seconda metà del sccolo in senso anti-positivistico c anti-
psicologistico. WILHELM DILTHEY 103 Già la sua tesi contiene in quel « non
possono mai essere com- presi » un doppio senso che ha come conseguenza
l'emergere, nella dimostrazione stessa, di due argomenti di portata ben
differente. Da un lato egli afferma che il tentativo di derivare fatti
spirituali da trasformazioni materiali (attualmente caduto in oblio in quanto
rozzo materialismo, e compiuto ancora sol- tanto attraverso l’ipotesi
dell’esistenza di proprietà psichiche negli elementi) non può eliminare i
confini immanenti di ogni esperienza: il che è certo, ma non decisivo contro la
subordina- zione dello spirito alla conoscenza naturale. Egli afferma allo- ra
che tale tentativo deve naufragare davanti alla contraddizio- ne tra la nostra
rappresentazione della materia e il carattere di unità che è proprio della
nostra coscienza. Nella sua posteriore polemica con Haeckel, a quest'argomento
aggiunge quell’altro che, se si mantiene tale ipotesi, si ha un’ulteriore
contraddizio- ne tra il modo in cui un elemento materiale è meccanicamente
condizionato nella connessione naturale e l’Er/ebnis della spon- taneità del
volere; una « volontà » presente negli elementi della materia che « deve
volere, voglia o non voglia, e ciò in rappor- to diretto al prodotto delle
masse e in rapporto inverso al quadrato delle distanze » è una contradictio in
adiecto *. II. IL RAPPORTO DI QUESTO COMPLESSO CON IL COMPLESSO DELLE SCIENZE
DELLA NATURA In un ambito più ampio, però, le scienze dello spirito com-
prendono in sé fatti naturali, hanno a fondamento la conoscen- za della natura.
Se si concepissero esseri puramente spirituali in un regno di persone
costituito soltanto da essi, il loro venire alla luce, la loro conservazione e
il loro sviluppo, al pari della loro scompar- sa (in qualsiasi modo ci si
rappresenti lo sfondo da cui proven- gono e a cui sono destinati a fare
ritorno), sarebbero legati a condizioni di tipo spirituale; il loro benessere
sarebbe fondato sulla loro posizione rispetto al mondo spirituale; la loro
connes- sione reciproca, le loro origini si compirebbero con mezzi pura- a. E.
Dv Bois-Revmonp, Die sieben Weltritsel cit., p. 8. 104 WILHELM DILTHEY mente
spirituali e gli effetti durevoli di tali azioni sarebbero anch'essi di tipo
puramente spirituale; lo stesso loro ritrarsi dal regno delle persone avrebbe
il suo fondamento nell’elemen- to spirituale. Un sistema composto da individui
siffatti potreb- be venir conosciuto da pure scienze dello spirito. In realtà
un individuo nasce, si conserva e si sviluppa sulla base delle funzio- ni
dell’organismo animale e delle sue relazioni col corso natura- le
dell'ambiente; il suo sentimento vitale è, almeno in parte, fondato su queste
funzioni; le sue impressioni sono condiziona- te dagli organi di senso e dalle
influenze del mondo esterno; la ricchezza e la mobilità delle sue
rappresentazioni, la forza e la direzione dei suoi atti di volontà dipendono
sovente dalle modi- ficazioni del suo sistema nervoso. L'impulso della sua
volontà comporta un accorciamento delle fibre muscolari, cosicché l’agi- re
verso l’esterno è connesso ai mutamenti di posizione delle particelle
dell’organismo, e le conseguenze durevoli delle sue azioni volontarie esistono
soltanto nella forma di trasformazio- ni all’interno del mondo materiale. La
vita spirituale di un uomo è perciò una parte — separabile solo in virtù di
un’astra- zione — della vivente unità psico-fisica in cui si manifesta
un'esistenza e una vita umana, Il sistema di queste unità viven- ti è la realtà
che costituisce l’oggetto delle scienze storico- sociali. In virtù del duplice
punto di vista del nostro apprendimen- to, l'uomo come unità vivente è per noi
(quale che sia il suo stato metafisico) una connessione di fatti spirituali fin
dove giunge la consapevolezza interiore, ed è invece un complesso corporeo
nella misura in cui apprendiamo per mezzo dei sensi. La consapevolezza
interiore e l'apprendimento esterno non si compiranno mai nello stesso atto, e
quindi il fatto della vita spirituale non ci è mai dato contemporancamente a
quello del corpo. Ne derivano necessariamente per la coscienza scientifica che
voglia cogliere i i fatti spirituali e il mondo corporeo nella loro
connessione, di cui è espressione la vivente unità psico-fisi- due punti di
vista differenti, e tra loro irriducibili. Se procedo dall’esperienza interna,
troverò l’intero mondo esterno dato nella mia coscienza: le leggi di questo
complesso naturale sottostanno alle condizioni della mia coscienza e dipendono
quindi da esse. Questo è il punto di vista che la filosofia WILHELM DILTHEY 105
tedesca a cavallo tra il secolo xvi e il nostro designava come filosofia
trascendentale. Se invece assumo la connessione della natura quale essa mi si
offre come realtà nel mio apprendimen- to naturale, e percepisco i fatti
psichici come inseriti nella successione temporale di questo mondo esterno
nonché nella sua suddivisione spaziale, troverò che le trasformazioni della
vita spirituale dipendono dall’intervento della natura o dell’e- sperimento,
consistente in trasformazioni materiali provocate agendo sul sistema nervoso:
un'osservazione dello sviluppo del- la vita e degli stati morbosi allarga
queste esperienze in un quadro complessivo del condizionamento dell’elemento
spiri- tuale da parte dell’elemento corporeo. Sorge allora il modo di concepire
proprio dello scienziato che procede dall’esterno ver-so l’interno, dalle
trasformazioni materiali alle trasformazioni spirituali. Così l’antagonismo tra
il filosofo e lo scienziato è condizionato dall’antitesi dei loro rispettivi
punti di partenza. ‘Procediamo ora dal tipo di considerazione proprio della
scienza naturale. Finché questo tipo di considerazione rimane consapevole dei
propri limiti, i suoi risultati sono incontesta- bili. Essi ricevono una più
precisa determinazione del loro valo- re conoscitivo soltanto dal punto di
vista dell'esperienza inter- na. La scienza della natura analizza la
connessione causale del corso naturale. Laddove quest’analisi ha raggiunto il
punto in cui una situazione o una trasformazione materiale è legata in maniera
regolare con una situazione o una trasformazione psi- chica, senza che sia
possibile rinvenire tra loro un ulteriore elemento intermedio, allora si può
soltanto constatare questa relazione regolare, ma non si può applicare a tale
relazione il rapporto di causa ed effetto. Noi scopriamo che le uniformità di
un ambito di vita sono regolarmente collegate con uniformi- tà dell’altro, e
l’espressione di questo rapporto è dato dal concet- to matematico di funzione.
Una concezione di tale rapporto, che consenta di paragonare il corso delle
trasformazioni spiri- tuali e di quelle corporee alla marcia di due orologi
caricati in modo identico, è in accordo con l’esperienza tanto quanto una
concezione che assuma come base esplicativa uno solo dei due orologi,
considerando entrambi gli ambiti di esperienza come manifestazioni diverse di
uno stesso fondamento. La dipenden- DI za dell’elemento spirituale dalla
connessione della natura è 106 WILHELM DILTHEY quindi il rapporto secondo il
quale la connessione universale della natura condiziona causalmente quelle
situazioni e trasfor- mazioni materiali che sono per noi collegate
regolarmente, e senza un’ulteriore mediazione, con situazioni e trasformazioni
spirituali. In tal modo la conoscenza naturale vede la concatena- zione delle
cause spingere i suoi effetti fino alla vita psico-fisi- ca; qui sorge una
trasformazione in cui la relazione tra materia- le e psichico si sottrae alla
concezione causale, e questa trasfor- mazione ne richiama a sua volta una nel
mondo materiale. In questo contesto l’importanza della struttura del sistema
ner- voso si rivela all’esperimento del fisiologo. I confusi fenomeni della
vita vengono dipanati in una chiara rappresentazione dei rapporti di
dipendenza, nella cui successione il corso naturale spinge le sue trasformazioni
fino all’uomo; queste poi penetra- no, attraverso le porte degli organi di
senso, nel sistema nervo- so: sorgono la sensazione, la rappresentazione, il
sentimento e il desiderio, che hanno poi un’azione retroattiva sul corso della
natura. La stessa unità vivente, che ci riempie col sentimento immediato della
nostra inscindibile esistenza, viene risolta in un sistema di relazioni tra i
fatti della nostra coscienza e la struttura e le funzioni del sistema nervoso
che possono essere empiricamente accertate: infatti ogni azione psichica si
mostra collegata con una trasformazione all’interno del nostro corpo soltanto
attraverso il sistema nervoso, e da parte sua la trasfor- mazione corporea è
accompagnata da un mutamento del nostro stato psichico soltanto attraverso
l’effetto che ha sul sistema nervoso. Da quest’analisi delle viventi unità
psico-fisiche sorge ora una più chiara rappresentazione della loro dipendenza
dalla connessione complessiva della natura, all’interno della quale esse
compaiono e operano, e dalla quale nuovamente si ritraggo- no, nonché dalla
dipendenza dello studio della realtà storico-so- ciale dalla conoscenza della
natura. Su questa base si può stabi- lire il grado di attendibilità delle
teorie di Comte e di Spencer in merito alla posizione di queste scienze
all’interno della gerar- chia della scienza nel suo insieme, da essi formulata.
Poiché questo scritto si propone di fondare la relativa autonomia delle scienze
dello spirito, esso deve pure sviluppare — in quanto aspetto complementare della
loro posizione nel complesso delle WILHELM DILTHEY 107 scienze — il sistema
delle dipendenze in virtù del quale esse sono condizionate dalla conoscenza
naturale e costituiscono quindi il momento ultimo e supremo della costruzione
che ha inizio con la fondazione matematica. I fatti dello spirito sono i limiti
superiori dei fatti della natura; i fatti della natura costi- tuiscono le
condizioni inferiori della vita spirituale. Proprio perché il regno delle
persone, cioè la società umana, è la mani- festazione suprema del mondo
dell’esperienza terrena, la sua conoscenza ha bisogno in innumerevoli punti
della conoscenza del sistema di presupposti che risiedono, per il suo sviluppo,
nella natura. E invero l’uomo, in virtù della sua posizione entro la con- nessione
causale della natura, è condizionato da questa secon- do una duplice relazione.
Come abbiamo visto, l’unità psico-fisica riceve continuamen- te influenze, per
il tramite del sistema nervoso, dal corso uni- versale della natura, e a sua
volta agisce su di esso. È tuttavia proprio della sua natura che le influenze
che da essa procedono assumano principalmente la forma di un agire diretto da
scopi. Per questa unità psico-fisica il corso della natura e la sua quali- tà
da un lato determina la formazione degli scopi, dall'altro contribuisce al
raggiungimento di questi scopi come un sistema di mezzi. E perciò noi stessi
esistiamo là dove vogliamo, dove operiamo sulla natura, appunto perché non
siamo forze cieche, bensì volontà che stabiliscono riflessivamente i loro scopi
indi- pendenti dalla connessione della natura. Pertanto le unità psi-
co-fisiche si trovano in una duplice dipendenza rispetto al corso naturale. Da
una parte questo condiziona, in quanto sistema di cause — a partire dal posto
della terra nell'insieme del cosmo — la realtà storico-sociale, e il grande
problema del rapporto tra connessione naturale e libertà all'interno di tale
realtà si scompone, per lo scienziato empirico, in innumerevoli questio- ni
particolari riguardanti il rapporto tra fatti dello spirito e influenze della
natura. D'altra parte, dagli scopi di questo re- gno di persone scaturiscono
effetti retroattivi sulla matura, sul- la terra — che l’uomo considera in
questo senso come propria abitazione, e in cui agisce per accomodarvisi; anche
questi effetti retroattivi sono legati all’utilizzazione della connessione
legale della natura. Tutti gli scopi si presentano in definitiva 108 WILHELM
DILTHEY all'uomo soltanto all’interno del processo spirituale, giacché so- lo
in esso esiste qualcosa per lui; ma lo scopo cerca i suoi mezzi nella
connessione della natura. Quanto poco percepibile è spesso la trasformazione
prodotta nel mondo esterno dalla potenza creatrice dello spirito! E tuttavia
soltanto su di essa poggia la mediazione in virtù della quale il valore così
creato esiste anche per gli altri. I pochi fogli che, come residuo mate- riale
di un più profondo lavoro intellettuale degli antichi nella direzione
dell’ipotesi di un movimento della terra, pervennero nelle mani di Copernico,
sono diventati il punto di partenza di una rivoluzione nella nostra visione del
mondo. A questo punto si può intuire quanto sia relativa la recipro- ca
delimitazione di queste due classi di scienze. Polemiche co- me quelle condotte
a proposito della posizione della linguistica generale sono infruttuose. In
entrambi i luoghi di trapasso che conducono dallo studio della natura a quello
dello spirito, nei punti in cui la connessione della natura influenza lo
sviluppo dell’elemento spirituale e negli altri in cui invece riceve l’in-
fluenza dell'elemento spirituale oppure costituisce il luogo di passaggio per
l’influenza su un altro elemento spirituale, le conoscenze relative alle due
classi di scienze si mescolano sem- pre. Le conoscenze delle scienze naturali
si mescolano con quel- le delle scienze dello spirito. E infatti in questa
connessione — in conformità alla duplice relazione con cui il corso naturale
condiziona la vita dello spirito — la conoscenza dell'influenza formativa della
natura si intreccia spesso con la constatazione dell’influenza che essa
esercita come materiale dell’agire. Così dalla conoscenza delle leggi naturali
di formazione dei suoni deriva una parte importante della grammatica e della
teoria musicale, e il genio del linguaggio o della musica è a sua volta legato
a queste leggi naturali: lo studio delle sue funzioni è quindi condizionato
dalla comprensione di tale dipendenza. A questo punto si può inoltre intuire
che la conoscen- za delle condizioni presenti nella natura, e formulate dalla
scienza naturale, costituisce in larga misura il fondamento dello studio dei
fatti spirituali. Come lo sviluppo ‘dell’uomo singolo, così anche la diffusione
del genere umano sulla terra e la formazione dei suoi destini nella storia sono
condizionate dall’intera connessione cosmica. Per esempio, le guerre costitui-
WILHELM DILTHEY 109 scono un elemento fondamentale di ogni storia: in quanto
storia politica, essa ha a che fare con la volontà di stati, ma questa si
presenta in armi e si impone per mezzo loro. La teoria della guerra dipende
però in primo luogo dalla conoscen- za dell’elemento fisico, che offre terreno
e mezzi alle volontà in conflitto: la guerra persegue infatti lo scopo di
imporre al nemico la nostra volontà con i mezzi della violenza fisica. Ciò
implica che l’avversario dev'essere costretto, fino a essere privo di difesa —
che è lo scopo teorico di quell’atto di violenza designato come guerra — cioè
fino al punto in cui la sua situazione diventa più svantaggiosa del sacrificio
che gli si richiede, e può essere scambiata soltanto con una situazione ancor
più svantaggiosa. In questo grande calcolo, dunque, i numeri che risultano più
importanti per la scienza, e di cui essa si occupa in primo luogo, sono le
condizioni e i mezzi fisici, mentre c'è assai poco da dire circa i fattori
psichici. Le scienze dell’uomo, della società e della storia hanno dun- que a
loro fondamento le scienze della natura, anzitutto per- ché le stesse unità
psico-fisiche possono essere studiate soltanto con l’aiuto della biologia, e
inoltre perché il mezzo in cui ha luogo il loro sviluppo e la loro attività
teleologica, e al cui dominio tale attività si riferisce in gran parte, è la
natura. Sotto il primo aspetto, il loro fondamento è costituito dalle scienze
dell’organismo, sotto il secondo prevalentemente da quelle della natura
inorganica. La connessione che si deve spie- gare in questi termini poggia da
una parte sul fatto che queste condizioni naturali determinano lo sviluppo e la
distribuzione della vita spirituale sulla superficie terrestre, dall'altra sul
fatto che l’attività teologica dell’uomo è legata alle leggi della natura e
quindi condizionata dalla loro conoscenza e utilizzazione. Il primo rapporto
indica pertanto solo una dipendenza dell’uomo dalla natura, mentre il secondo
contiene questa dipendenza soltanto come aspetto complementare della storia del
suo cre- scente dominio sulla terra. Quella parte del primo rapporto che
racchiude in sé le relazioni dell’uomo con la natura circostante è stata
sottoposta da Ritter al metodo comparativo. Brillanti intuizioni, e in
particolare la sua valutazione comparativa dei continenti in base alla
struttura dei loro contorni, lasciavano intravvedere una predestinazione della
storia universale fissata II10 WILHELM DILTHEY nei rapporti spaziali della
terra. I lavori successivi non hanno però confermato quest’intuizione,
concepita da Ritter" come una teleologia della storia universale, e poi
posta da Buckle® al servizio del naturalismo: al posto della rappresentazione di
una dipendenza uniforme dell’uomo dalle condizioni naturali è subentrata la
rappresentazione più prudente secondo cui la lot- ta delle forze
etico-spirituali contro le condizioni della morta spazialità ha continuamente
diminuito nei popoli storici — a differenza dai popoli privi di storia — il
rapporto di dipenden- za. Anche qui si è affermata una scienza autonoma della
realtà storico-sociale, che utilizza a scopo di spiegazione le condi- zioni
naturali. L’altro rapporto mostra invece — con la dipen- denza inerente
all’adattamento alle condizioni naturali — che il dominio della spazialità è
così legato al pensiero scientifico e alla tecnica che l'umanità nella sua
storia riesce a prevalere proprio in virtù della subordinazione. Natura enim
non nisi parendo vincitur®. Il problema del rapporto delle scienze dello
spirito con la conoscenza della natura può quindi esser considerato risolto
soltanto se si risolve l’antitesi, dalla quale siamo partiti, tra il punto di
vista trascendentale, secondo cui la natura è sottoposta alle condizioni della
coscienza, e il punto di vista oggettivo-em- pirico, secondo cui lo sviluppo
dell’elemento spirituale è sotto- posto alle condizioni della totalità della
natura. Questo compito costituisce un aspetto del problema della conoscenza. Se
si isola questo problema per le scienze dello spirito, non appare impos- sibile
una soluzione convincente per tutti. Le sue condizioni sarebbero la
dimostrazione della realtà oggettiva dell’esperienza interna e la comprova
dell’esistenza di un mondo esterno; per- a. Bacone, De interpretatione naturae
et regno hominis, aforisma 3. 8. Karl Ritter (1779-1859) fu uno dei maggiori
gcografi tedeschi della prima me- tà dell'Ottocento: la sua opera principale è
Die ErdAunde im Verhiltnis zur Natur und Geschichte des Menschen (1817-18, 2°
cd. 1822-58), che offre una descrizione siste- matica del Vecchio Mondo,
ispirata al presupposto (di origine herderiana) dell’indivi- dualità dei
continenti e alla considerazione dell'azione trasformatrice dell'ambiente da parte
dell’uomo. 9. Henry Thomas Buckle (1821-1862), storico inglese, autore di una
History of Civilization in England (1857-61) di ispirazione positivistica.
WILHELM DILTHEY III tanto in questo mondo esterno fatti ed esseri spirituali
esistono in virtù di un processo di trasposizione della nostra interiorità in
essi. Come l'occhio accecato dal sole ne ripete in modo variopinto l’immagine
nei luoghi più vari dello spazio, così il nostro apprendimento moltiplica
l’immagine della nostra vita interiore e la colloca in svariate maniere nei più
diversi luoghi della natura circostante: questo processo può essere però espo-
sto e giustificato logicamente come un’inferenza analogica da questa vita
interiore originaliter data in modo immediato sol- tanto a noi, attraverso le
rappresentazioni delle manifestazioni ad essa concatenate, a qualcosa di affine
corrispondente a mani- festazioni affini del mondo esterno, che sta a loro
fondamento. Qualunque cosa sia la natura in se stessa, lo studio delle cause
della realtà spirituale può accontentarsi del fatto che in ogni caso i suoi
fenomeni possono venir concepiti e utilizzati come segni del reale, e le
uniformità presenti nei suoi rapporti di coesistenza e di successione possono
venir concepite come segni di uniformità presenti nel reale. Se però ci si
introduce nel mondo dello spirito e si indaga la natura o in quanto contenu- to
dello spirito o in quanto scopo o mezzo intessuto nelle volontà, per lo spirito
la natura è appunto ciò che essa è in lui, e qui è del tutto indifferente quale
possa essere in sé. È suf- ficiente che lo spirito possa far conto nel suo
agire, comunque la natura gli sia data, sulla sua legalità, e possa gustare la
bella apparenza della sua esistenza. III. PROSPETTIVE SULLE SCIENZE DELLO
SPIRITO Le scienze dello spirito non si sono ancora costituite a com- plesso
unitario; esse non sono ancora in grado di stabilire una connessione in cui le
singole verità siano ordinate secondo i loro rapporti di dipendenza da altre
verità e dall'esperienza. Queste scienze sono cresciute nella prassi stessa
della vita, sviluppandosi in base alle esigenze della formazione professiona-
le, e la sistematicità delle facoltà al servizio di tale formazione è quindi la
forma spontanea della loro connessione. I loro primi concetti e le loro prime
regole sono state quindi trovate 112 WILHELM DILTHEY per lo più nell’esercizio
delle funzioni sociali. Jhering!® ha di- mostrato che il pensiero giuridico ha
prodotto i concetti fonda- mentali del diritto romano mediante un cosciente lavoro
spiri- tuale compiutosi nella stessa vita del diritto. Anche l’analisi delle
più antiche costituzioni greche indica in esse i precipitati dell’ammirevole
forza di un pensiero politico consapevole fon- dato su concetti e princìpi
chiari. L'idea fondamentale in base alla quale la libertà dell’individuo viene
riposta nella sua parte- cipazione al potere politico, ma questa è regolata
dall’ordina- mento statale in conformità alla funzione che l’individuo assol-
ve per il tutto, è stata dapprima decisiva per l’arte politica, e soltanto in
seguito è stata elaborata in forma scientifica dai grandi teorici della scuola
socratica. Il progredire verso teorie scientifiche comprensive si appoggiava
quindi prevalentemente sul bisogno di una formazione professionale dei ceti
dirigenti. Così già nella Grecia, dai compiti di un insegnamento politico
superiore sorsero, nell’età dei Sofisti, la retorica e la politica; e la storia
della maggior parte delle scienze dello spirito nei popoli moderni mostra
l’influenza dominante del medesimo rapporto fondamentale. La letteratura dei
Romani riguardo al- la loro comunità ricevette la sua struttura più antica dal
fatto di essersi sviluppata in forma di istruzioni per i sacerdoti e per i
singoli magistrati®. Perciò la sistematica di quelle scienze dello spirito che
contengono la base per la formazione professio- nale degli organi dirigenti
della società, come anche l’esposizio- ne di tale sistematica in veste
enciclopedica, è emersa in definiti- va dal bisogno di un compendio su quanto occorre
a tale prope- deutica; e la forma più naturale delle enciclopedie sarà sempre —
come Schleiermacher ha magistralmente mostrato a proposi- to della teologia —
quella che si articola con la coscienza di tale scopo. Con queste condizioni
limitative, chi penetri nelle a. Cir. T. Mommsen, Romisches Staatsrecht,
Leipzig, vol. I, 1871, p. 3 SBg- 10. Rudolph von Jhering (1818-1892), giurista
c filosofo del diritto tedesco, autore di Der Geist des ròmischen Rechts
(1852-65), di Der Kampf ums Recht (1872), di Der Zweck im Recht (1877-84) c di
numerose altre opere, alcune delle quali pubblicate po- stume, diede un
contributo fondamentale alla considerazione storico-istituzionale del diritto
c, in particolare, all'analisi del diritto romano. WILHELM DILTHEY 113 scienze
dello spirito troverà nelle opere enciclopediche uno sguardo d’insieme sui
singoli gruppi importanti di queste scien- ze?. Vari tentativi — che vanno al
di là di queste funzioni — di scoprire la struttura complessiva delle scienze
che hanno per oggetto la realtà storico-sociale hanno preso le mosse dalla
filo- sofia. In quanto cercavano di derivare questa connessione da princìpi
metafisici, essi sono ricaduti nel destino che tocca a ogni metafisica. Già
Bacone si servì di un metodo migliore, ponendo le scienze dello spirito allora
esistenti in relazio- ne con il problema di una conoscenza della realtà sulla
base dell’esperienza, e commisurò a questo compito le loro funzioni e i loro
difetti. Comenio" si propose, con la sua « panso- fia», di derivare dal
rapporto di reciproca dipendenza interna delle verità la successione di gradi
in cui esse devono presen- tarsi nell’insegnamento; e poiché in tal modo,
opponendosi al falso concetto di una istruzione formale, scoprì il principio
fondamentale di un’educazione futura (purtroppo al di là da venire ancor oggi),
con il principio della dipendenza reciproca delle verità preparò anche una
struttura appropriata delle scien- ze. Comte, sottoponendo a indagine la
relazione tra questo rapporto logico di dipendenza in cui stanno tra loro le
verità e il rapporto storico di successione in cui esse compaiono, creò il
fondamento per un'autentica filosofia delle scienze. Egli consi- a. Per uno
sguardo d'insieme di questo tipo su particolari campi delle scienze dello spirito,
si rimanda alle seguenti enciclopedie: R. von MoHI, Enzyklopidie der
Staatswissenschaften, Tubingen, 1859, 2° ed. non rive- duta 1873; 3* ed. 1881
(si veda inoltre la panoramica e la valutazione di altre enciclopedie nella sua
Geschichte und Literatur der Staatswissen- schaften in Monographien
dargestellt, Erlangen, vol. I, 1855, pp. 111-46); L. A. WarNnKONIG, /uristische
EnzyKlopéidie oder organische Darstellung der Rechtswissenschaft, Erlangen,
1853; F. E. D. ScHLErERMAcHER, Kurze Darstellung des theologischen Studiums,
Berlin, 1810, 2° ed. riveduta 1830; A. Bòcgn, Enzyklopidie und Methodologie der
philologischen Wissen- schaften (a cura di E. Bratuschek), Leipzig, 1877. 11.
Jan Amos Komensky, lat. Comenius (1592-1670), filosofo e pedagogista mora- vo, autore
della Didactica magna (1631) e di varie altre opere, appartenne alla comu- nità
dei Fratelli Boemi e fu coinvolto nelle guerre di religione, che lo costrinsero
all'esilio. Il suo pensiero, ispirato all'ideale della « pansofia », ha
ispirato un largo movimento di riforma educativa, in Germania e fuori. 8.
STORICISMO TEDESCO. 114 WILHELM DILTHEY derò la costituzione delle scienze
delle realtà storico-sociali co- me il fine del suo grande lavoro, e di fatto
la sua opera diede luogo a un forte movimento in questa direzione: John Stuart
Mill, Littré!”, Herbert Spencer hanno ripreso il problema della connessione
delle scienze storico-sociali®. Questi lavori assicurano a colui che si
introduca nelle scienze dello spirito uno sguardo d'insieme di tipo completamente
diverso da quello che offre la sistematica degli studi professionali. Essi
collocano le scienze dello spirito nella connessione della conoscenza, ne
colgono il problema nel suo ambito complessivo e ne intrapren- dono la
soluzione entro una costruzione scientifica che com- prende tutta la realtà
storico-sociale. Però, pieni della smania temeraria di costruzione scientifica
oggi dominante in Inghilter- ra e in Francia, privi dell’intimo sentimento
della realtà sto- rica che si forma solamente in base a una consuetudine
plurien- a. Uno sguardo d'insieme sui problemi delle scienze dello spirito, se-
condo la connessione interna in cui stanno tra loro in rapporto sotto il pro-
filo metodologico e in cui si può quindi ottenerne una coerente soluzione, si
trova abbozzata in A. Comte, Cours de philosophie positive, Paris, 1820- 42
(nei volumi IV-VI). Le sue opere successive, che contengono un punto di vista
modificato, non possono servire a questo scopo. Il più importante abbozzo di
sistema delle scienze ad esso opposto è quello di Herbert Spen- cer. Al primo
attacco a Comte (in Essays, prima serie, London, 1858) Spen- cer faceva seguire
un'esposizione più precisa in The Classification of the Sciences, London, 1864
(cfr. la difesa di Comte in E. Lirtré, Auguste Comte et la philosophie
positive, Paris, 1863). Ma la più compiuta esposi- zione del complesso delle
scienze dello spirito è ora offerta dal suo System of Synthetic Philosophy, del
quale sono apparsi per primi, nel 1855, i Prin- ciples of Psychology, e poi a
partire dal ’76 i Principles of Sociology (in relazione all'opera Descriptive
Sociology); la parte conclusiva, i Principles of Ethics — e Spencer stesso
dichiara di «ritenerli quelli per cui tutti i precedenti costituiscono soltanto
il fondamento » — tratta nel primo vo- lume, apparso nel 1879, i « fatti
dell'etica » [The Data of Ethics, London, 1879]. Accanto a questo tentativo di
delineare una teoria della realtà sto- rico-sociale, merita ancora di essere
menzionato quello di John Stuart Mill, contenuto nel sesto libro di A System of
Logic, Ratiocinative and Inductive, London, 1851 (che tratta della logica delle
scienze dello spirito o scienze morali), e nello scritto August Comte and
Positivism, London, 1866. 12. Maximilien-Paul-Emile Littré (1801-1881),
scienziato e filosofo francese, fu al- lievo e divulgatore del pensiero di
Comte, a cui dedicò vari scritti; si distaccò tuttavia dal maestro, rifiutando
l'esito religioso della filosofia comtiana, WILHELM DILTHEY 115 nale con questa
realtà nella ricerca particolare, i positivisti non hanno trovato quel punto di
partenza per i loro lavori che avrebbe dovuto corrispondere al loro principio
della connessio- ne delle scienze particolari. Essi avrebbero dovuto cominciare
il loro lavoro studiando l’architettonica dell'immenso edificio delle scienze
positive, continuamente ampliato da aggiunte, sempre trasformato dall'interno,
sorto a poco a poco attraverso i millenni, renderlo comprensibile attraverso
l’approfondimento del suo piano di costruzione e così render giustizia — con
un’intuizione feconda per la ragione della storia — alla molte- plicità di
aspetti con cui si sono effettivamente sviluppate que- ste scienze. Essi hanno
invece innalzato un edificio provvisorio che non è sostenibile più di quanto lo
siano le temerarie specu- lazioni di Schelling o di un Oken” sulla natura. È
così accadu- to che le filosofie dello spirito tedesche — sviluppate sulla base
di un principio metafisico — di Hegel, di Schleiermacher e del tardo Schelling
impieghino l’acquisizione delle scienze positive dello spirito con una
penetrazione più profonda dei lavori di questi filosofi positivi.
Dall’approfondimento dei compiti delle scienze dello stato hanno preso le mosse
in Germania altri tentativi di fornire una struttura comprensiva nel campo
delle scienze dello spiri- to, provocando però ovviamente un'unilateralità del
punto di vista ?. Le scienze dello spirito non costituiscono un complesso for-
nito di una costituzione logica analoga alla struttura della cono- a. Il punto
di partenza è rappresentato dalle discussioni sul concetto di società e sul
compito delle scienze sociali, nelle quali si è cercata un'in- tegrazione alle
scienze dello stato. La spinta è stata data da L. von STEIN, Der Sozialismus
und Communismus des heutigen Frankreichs, Leipzig, 2° ed. 1848, e da R. von
Mont, Gesellschafts-Wissenschaften und Staats-Wis- senschaften, « Zeitschrift
fr die gesamte Staatswissenschaft », VII, 1851, PP. 3-71, ripreso nella sua
Geschichte und Literatur der Staatswissenschaf- ten, Erlangen, vol. I, 1855,
pp. 67-110. Indichiamo come particolarmente rilevanti due tentativi di
articolazione, cioè quelli di L. von STEIN, System der Staatswissenschaft, Stuttgart,
1852-56, e di A. ScHarrLe, Bau und Leben des sozialen Kòrpers, Tùbingen, 1875-78.
13. Lorenz Oken (1779-1851), naturalista, autore di numerose opere di filosofia
della natura che si ispirano all’organicismo schellinghiano. 116 WILHELM
DILTHEY scenza naturale. La loro connessione si è sviluppata diversamen- te e
deve quindi essere considerata ora così come è storicamen- te cresciuta. IV. IL
MATERIALE DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Il materiale di queste scienze è
costituito dalla realtà storico-' sociale in quanto essa è conservata nella
coscienza dell’umanità come un insieme di conoscenze storiche, ed è stata resa
accessi- bile alla scienza sotto forma di una conoscenza sociale che va al di
là della situazione attuale. Per quanto sterminato sia questo materiale, salta
tuttavia agli occhi la sua incompiutezza. Interessi in nessun modo corrispondenti
all'esigenza della scien- za e condizionati dalla tradizione — pure privi di
qualsiasi relazione con quest’esigenza — hanno determinato lo stato del- la
nostra conoscenza storica. Fin dall'epoca in cui, raccolti intorno al fuoco
dell’accampamento, i compagni di tribù e d’arme narravano le gesta dei loro
eroi e l’origine divina della loro stirpe, il forte interesse della vita in
comune ha salvato e conservato alcuni fatti dall’oscuro fluire della vita umana
abi- tuale. L'interesse dell’epoca successiva e la vicenda storica han- no
deciso che cosa di questi fatti dovesse giungere fino a noi. La storiografia
come libera arte espositiva accoglie una parte di questo sterminato complesso,
cioè quella che appare fornita di interesse da un qualche punto vista. Ne
consegue che la società odierna vive, per così dire, sugli strati e sulle
rovine del passato; i precipitati del lavoro culturale presenti nel lin-
guaggio e nella superstizione, nel costume e nel diritto, come pure nelle
trasformazioni materiali che vanno oltre le testimo- nianze, contengono tutti
una tradizione che sorregge le testimo- nianze in modo inestimabile. Anche per
la loro conservazione ha deciso la mano della vicenda storica. Soltanto in due
punti si trova uno stato del materiale che corrisponde alle esigenze della
scienza. Il corso dei movimenti spirituali nell'Europa mo- derna è conservato
con sufficiente compiutezza negli scritti che ne sono parte costitutiva. Così
pure i lavori della statistica consentono — per il breve periodo e il ristretto
ambito di paesi WILHELM DILTHEY II7 in cui sono stati applicati — di gettare
uno sguardo numerica- mente fondato nei fatti della società che quei lavori
accolgo- no: essi permettono di fornire alla conoscenza dello stato attua- le
della società un fondamento esatto. L’impossibilità di penetrare nella
connessione di questo ma- teriale sterminato conduce a tale lacunosità; anzi ha
contri- buito non poco a rafforzarla. Non appena lo spirito umano cominciò a
sottoporre la realtà ai suoi principi, esso si rivolse anzitutto, preso dallo
stupore, al cielo; questa vòlta al di sopra di noi, che sembra poggiare sul
cerchio dell’orizzonte, lo occu- pò tutto: una totalità spaziale in sé conclusa
che sempre e dovunque avvolge gli uomini. Così l’orientamento nell'edificio del
mondo fu il punto di partenza della ricerca scientifica, nei paesi orientali
come in Europa. Il cosmo dei fatti spirituali non si offre invece alla vista
nella sua immensità, ma si offre soltanto allo spirito raccoglitore del
ricercatore; esso emerge in alcune parti singole, dove uno studioso collega dei
fatti, li esamina e li accerta: allora esso si costituisce nell’interiorità
dell'animo. Un vaglio critico delle tradizioni, l'accertamento dei fatti e la
loro raccolta costituiscono quindi un primo lavoro comprensivo delle scienze
dello spirito. Dopo che la filologia elaborò una tecnica esemplare sulla
materia più difficile e bella della storia, l’antichità, questo lavoro in parte
viene condotto in innumerevoli ricerche particolari, in parte viene a
costituire un elemento di indagini ulteriori. La connessione di questa pura
descrizione della realtà storico-sociale — in quanto si propone, sulla base
della fisica della terra, con l'ausilio della geografia, di descrivere la
distribuzione dell’elemento spirituale e delle sue differenze sulla terra, nel
tempo e nello spazio — può acquistare la sua capacità di penetrazione sempre
soltanto se la riconduce a chiare misure spaziali, a rapporti numerici, a
determinazioni temporali, con strumenti di rappresentazione grafica. La
semplice raccolta e il semplice vaglio del materiale si trasformano qui
gradualmente in una sua elaborazione e articolazione concettuale. ° 118 WILHELM
DILTHEY V. LE TRE CLASSI DI ASSERZIONI PRESENTI NELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Le
scienze dello spirito, così come esse sono e operano, in virtù della ragione
immanente che agisce nella loro storia — non già nel modo che desiderano alcuni
architetti temerari, i quali vorrebbero costruirle su nuova base — congiungono
in sé tre distinte classi di asserzioni. Le asserzioni della prima classe
esprimono un reale che è dato nella percezione: esse contengo- no l’elemento
storico della conoscenza. Le asserzioni della se- conda classe enunciano il
comportamento uniforme delle parti di questa realtà, isolate mediante
un’astrazione: esse formano l'elemento teorico di essa. Le asserzioni
dell’ultima classe espri- mono giudizi di valore e prescrivono regole: in esse
è racchiu- so l'elemento pratico delle scienze dello spirito. Fatti, teoremi,
giudizi di valore e regole — da queste tre classi di proposizioni sono
costituite le scienze dello spirito. E la relazione tra orienta- mento storico,
orientamento teorico astratto e orientamento pra- tico si presenta come un
rapporto fondamentalmente comune a tutte queste discipline. La comprensione del
singolare, dell’indi- viduale rappresenta in esse uno scopo ultimo — e in ciò
esse sono la costante confutazione del principio spinoziano omnis determinatio
est negatio — al pari della formulazione di unifor- mità astratte. Dalla sua
prima radice nella coscienza fino alla vetta suprema, la connessione dei
giudizi di valore e degli imperativi è indipendente dalla connessione delle
prime due classi. La relazione reciproca di questi tre compiti nella scienza
pensante può essere sviluppata soltanto nel corso di un'analisi di teoria della
conoscenza (o, in senso più ampio, dell’auto-riflessione). In ogni caso le
osservazioni concernenti la realtà rimangono separate dai giudizi di valore e
dagli imperati- vi anche alla radice: sorgono così due tipi di proposizioni,
che sono distinte in linea di principio. Al tempo stesso si deve riconoscere
che questa distinzione all’interno delle scienze dello spirito ha come
conseguenza una loro duplice connessione. Una volta sviluppate, le scienze
dello spirito contengono, accanto alla conoscenza di ciò che è, la coscienza
della connessione dei giudizi di valore e degli imperativi, nella quale si
congiungono WILHELM DILTHEY 119 valori, ideali, regole, nonché la tendenza alla
formazione del futuro. Un giudizio politico che respinge un'istituzione non è
né vero né falso, ma è giusto o ingiusto, in quanto se ne valuta la tendenza,
il fine; vero o falso può essere invece un giudizio politico che illustri le
relazioni di questa istituzione con altre istituzioni. Soltanto se si assume
questa prospettiva per interpretare la proposizione, l’asserzione, il giudizio,
si può fondare una teoria della conoscenza che non comprima la realtà oggettiva
delle scienze dello spirito nei limiti ristretti di una conoscenza di
uniformità, secondo l’analogia con le scienze della natura, venendo pertanto a
mutilarle, ma che le compren- da e dia loro un fondamento così com’esse si sono
sviluppate. VI. LA DISTINZIONE DELLE SCIENZE PARTICOLARI IN BASE ALLA REALTÀ
STORICO-SOCIALE Gli scopi delle scienze dello spirito — cogliere l’aspetto sin-
golare e individuale delle realtà storico-sociale, conoscere le uni- formità
operanti della sua formazione, determinare fini e rego- le per il suo ulteriore
sviluppo — possono essere conseguiti soltanto mediante gli strumenti del
pensiero, cioè mediante l’analisi e l’astrazione. L'espressione astratta in cui
si prescinde da determinati aspetti della situazione, mentre se ne sviluppano
altri, non è il fine ultimo esclusivo di queste scienze, ma è il loro mezzo
indispensabile. Come il conoscere che procede per astrazione non può risolvere
in sé l’autonomia degli altri scopi di queste scienze, così né la conoscenza
storica né quella teori- ca né lo sviluppo delle regole che dirigono di fatto
la società possono far a meno di tale conoscere. La disputa tra la scuola
storica e la scuola astratta è sorta in quanto la scuola astratta ha commesso
il primo di questi errori, e la scuola storica l’al- tro. Ogni scienza
particolare sorge soltanto mediante l’artificio dell'isolamento di una parte
dall’insieme della realtà storico-so- ciale. La storia prescinde da quei
caratteri della vita di un particolare uomo o di una particolare società che si
presentano identici, nell’epoca da essa indagata, con quelli di tutte le altre
epoche; il suo sguardo è diretto a quel che c’è di distintivo e di singolare.
In ciò il singolo storico può ingannarsi, in quanto da 120 WILHELM DILTHEY tale
direzione del suo sguardo già deriva la selezione di certi aspetti nelle sue
fonti; ma chi mette a confronto il procedimen- to effettivo dello storico con
il complesso della realtà storico-so- ciale, dovrà ben riconoscerlo. Da ciò
deriva l'importante princi- pio che ogni scienza particolare dello spirito
conosce la realtà storico-sociale solo relativamente, in quanto ha coscienza
della propria relazione con le altre scienze dello spirito. L’organizza- zione
di queste scienze e il loro corretto sviluppo nella loro particolarità
dipendono pertanto dalla capacità di tener presen- te la relazione di ognuna
delle loro verità con il complesso della realtà della quale fanno parte, nonché
della costante con- sapevolezza dell’astrazione in virtù della quale queste
verità sussistono e del limitato valore conoscitivo che ad esse spetta a causa
di questo loro carattere astratto. LA COSTRUZIONE DEL MONDO STORICO NELLE
SCIENZE DELLO SPIRITO * Tre diversi compiti deve assolvere la fondazione delle
scien- ze dello spirito. Essa determina il carattere generale della con-
nessione in cui, sulla base del dato, sorge in questo campo un sapere
universalmente valido: si tratta qui della struttura logi- ca generale delle
scienze dello spirito. Occorre poi illustrare la costruzione del mondo
spirituale nei suoi campi particolari, quale avviene nelle scienze dello
spirito attraverso l’intreccio delle loro operazioni. Questo è il secondo
compito, e nel corso della sua soluzione verrà gradualmente in luce, per
astrazione dal loro stesso procedimento, la dottrina del metodo delle scien- ze
dello spirito. Infine si cercherà quale sia il valore conosci- tivo di queste
operazioni delle scienze dello spirito e in quale misura sia possibile,
mediante la loro cooperazione, un sapere oggettivo intorno ai fenomeni
spirituali. Tra questi due ultimi compiti c'è una stretta connessione interna.
La distinzione delle varie operazioni rende possibile provarne il valore
conoscitivo, e questo esame mostra in quale misura sia possibile, in virtù di
esse, tradurre in sapere la realtà che è oggetto delle scienze dello spirito e la
connessione reale in essa sussistente: in tale maniera si otterrà un fonda-
mento autonomo della conoscenza per il nostro campo, mentre * Der Aufbau der
geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, parte III: Allgemeine Sitze
fiber den Zusammenhang der Geisteswissenschaften, « Abhandlungen der kSniglich
Preussischen Akademie der Wissenschaften » (Philosophisch-historische Classe),
1910, pp. 49-123, ora in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VII,
1927, pp. 120-188 (La costruzione del mondo storico nelle scienze dello
spirito, tr. it. di Pietro Rossi, in Critica della ragione storica, Torino,
Einaudi, 1954, pp. 200-289). 122 WILHELM DILTHEY si apre la possibilità di una
connessione generale della teoria della conoscenza, il cui punto di partenza
risieda nelle scienze dello spirito. Il carattere generale della connessione
nelle scienze dello spirito è dunque il nostro prossimo problema. Il punto di
partenza è la dottrina della struttura dell’apprendimento ogget- tivo in
genere. Essa mostra in ogni apprendimento una linea progressiva dal dato ai
rapporti fondamentali della realtà, che al di lù di quello si rivelano al
pensiero concettuale. Le medesi- me forme di pensiero e le medesime classi di
operazioni di pensiero, ad esse subordinate, rendono possibile la connessione
scientifica nelle scienze della natura e nelle scienze dello spiri- to. Su
questa base sorgono poi, nell’applicazione di quelle for- me e di quelle
operazioni di pensiero ai compiti particolari e sotto le condizioni particolari
delle scienze dello spirito, i meto- di specifici di queste. E poiché i compiti
delle scienze produco- no i metodi di soluzione, i singoli procedimenti
costituiscono una connessione interna, condizionata dallo scopo del sapere.
SEZIONE I L'APPRENDIMENTO OGGETTIVO L'apprendimento oggettivo costituisce un
sistema di relazio- ni, nel quale sono contenuti percezioni ed Er/ebnisse,
rappresen- tazioni della memoria, giudizi, concetti, deduzioni, insieme al- le
loro forme composte. A tutte queste operazioni nel sistema del- l'apprendimento
oggettivo è comune la presenza in esse soltan- to di relazioni di fatto: così
nel sillogismo sono presenti soltan- to i contenuti e le loro relazioni senza
che lo accompagni alcuna coscienza di operazioni di pensiero. Il procedimento
che suppone al di sotto del dato, come sue condizioni di coscienza, singoli
atti che vengono concepiti come corrispondenti alle rela- zioni di fatto,
derivando dalla loro cooperazione la realtà del- l'apprendimento oggettivo,
contiene un'ipotesi che non può mai essere verificata. WILHELM DILTHEY 123 I
vari Erlebnisse entro questo apprendimento oggettivo so- no elementi di una
totalità determinata dalla connessione psi- chica. In questa connessione
psichica la conoscenza oggettiva della realtà è la condizione per l’esatta
constatazione dei valori e per l’agire conforme allo scopo. Così il percepire,
il rappresen- tare, il giudicare, il dedurre sono operazioni che collaborano
nella teleologia della connessione dell’apprendimento, la quale assume quindi
il suo posto nella connessione della vita. 1. La prima operazione
dell’apprendimento oggettivo sul da- to eleva a coscienza distinta ciò che in
esso è contenuto, senza far subire un mutamento alla forma della datità. Io
chiamo primaria questa operazione, in quanto l’analisi che muove dal pensiero
discorsivo non ritrova nessuna operazione più sempli- ce. Essa sta al di là del
pensiero discorsivo, il quale è legato al linguaggio e si svolge nei giudizi;
poiché gli oggetti, su cui si giudica, presuppongono già operazioni di
pensiero. Comincio qui con l’operazione della comparazione. Io trovo il simile
e il dissimile, concepisco gradi di distinzione. Davanti a me stanno due
foglioline di diverso colore grigio: si osserva la diversità e il grado di
diversità nel colore non in base a una riflessione sul dato ma come un elemento
di fatto, poiché il colo- re stesso è uno stato di fatto. Del pari distinguo,
nella mia espe- rienza immediata, gradi di piacere, quando passo dal tocco di
un tono determinato e della sua ottava a una completa armonia. Que- sta
operazione di pensiero, con cui soltanto la logica ha che fare, è semplice. E
il suo risultato, in rapporto al suo valore di verità, non è diverso
dall’osservare un colore o un suono; qualcosa che esiste diventa osservabile.
Identità e differenza non sono qualità delle cose come l’estensione o il
colore: esse sorgono in quanto l’unità psichica reca a coscienza rapporti che
sono contenuti nel dato. E poiché l’affermazione dell’identità e l'affermazione
del- la differenza trovano soltanto ciò che è dato, così come sono dati
l'estensione e il colore, esse costituiscono un analogo della percezione
stessa; ma in quanto creano concetti di rapporti logici come quelli di
identità, di differenza, di grado, di affini- tà, contenuti nella percezione ma
non dati in questa, esse appar- tengono al pensiero. Sulla base della
comparazione sorge un’al- tra operazione. Quando separo due stati di fatto
siamo di 124 WILHELM DILTHEY fronte, dal punto di vista logico — e non si
tratta affatto di processi psicologici — a un'operazione di pensiero diversa
dalla distinzione. Nel dato sono contenuti separatamente due stati di fatto, e
viene colta la loro estraneità. Così in un bosco una voce umana, il rumore del
vento, il canto di un uccello vengono colti non solo come distinti tra di loro,
ma anche come una pluralità. Quando un suono della stessa qualità, cioè della
stes- sa altezza, dello stesso timbro, della stessa intensità e della stessa
durata, ritorna una seconda volta in un altro punto del corso temporale, in
questa seconda operazione di pensiero sorge la coscienza che il secondo suono è
altro dal primo. Un ulterio- re rapporto è concepito in un secondo caso di
separazione. In una foglia verde posso separare tra loro colore e forma, e
allora ciò che coerisce nell’unità dell’oggetto, e che non può venir realmente
separato, diventa tuttavia separabile idealmen- te. Anche quando le condizioni
preliminari di quest'operazione di separazione sono molto complesse,
l'operazione stessa è tutta- via semplice. Essa è determinata, al pari della
comparazione, dal contenuto di fatto che reca a conoscenza. E qui si apre la
prospettiva sul processo di astrazione, così importante per la costruzione
della logica. La distinzione delle membra di un corpo inerisce alla realtà
concreta del corpo; in ognuna delle sue parti è mantenuta questa realtà
concreta, ma quando estensione e colore vengono tra loro separati, e il pensie-
ro si rivolge al colore, allora da tale distinzione sorge l’operazio- ne
dell’astrazione: di ciò che è stato idealmente separato viene posto in evidenza
un aspetto. L'unione di vari elementi distinti si può compiere solo sulla base
di una relazione tra questi vari elementi. Noi cogliamo il rapporto spaziale
tra stati di fatto distinti,o gli intervalli in cui i processi si susseguono
temporalmente. Anche questo colle- gare e questo unire portano soltanto a
coscienza rapporti che già sussistono; ma ciò avviene mediante operazioni di
pensiero che hanno a base relazioni, come quelle di spazio e di tempo, di fare
e subire. Questo prendere insieme è la condizione per- ché si costituisca
l'intuizione del tempo. Quando il battito di un orologio si succede varie
volte, davanti a me sta soltanto il susseguirsi di tali impressioni, ma solo
prendendole insieme diventa possibile comprendere questa successione. Questo
pren- WILHELM DILTHEY 125 dere insieme dà luogo al rapporto logico di una
totalità con le sue parti. Sulla base dei rapporti di separazione e della
gradua- le differenza delle relazioni contenute nel sistema di suoni sorge, in
questo collegamento, un complesso così condizionato che viene però in luce
soltanto nel collegamento stesso, e cioè l'accordo o la melodia. Qui appare
particolarmente chiaro co- me il prendere insieme avviene entro ciò che è
contenuto nel- l’Erlebnis di percezione o di ricordo, e come tuttavia sorge in
esso qualcosa che non esisteva senza quel prendere insieme. Noi ci troviamo qui
ai limiti che conducono al di sopra della constatazione di ciò che è contenuto
in tali rapporti, nella regione della libera fantasia. Questi esempi — e non si
tratta di nulla di più — dimostra- no che le operazioni elementari del pensiero
spiegazo il dato. Precedendo il pensiero discorsivo, esse ne contengono le
premes- se, in quanto nella comparazione si preparano la formazione dei giudizi
e dei concetti generali e il procedimento comparati- vo, nella separazione le
astrazioni e il procedimento analitico, e infine nelle relazioni ogni specie di
operazioni sintetiche. Così un’interna connessione fondante va dalle operazioni
ele- mentari di pensiero al pensiero discorsivo, dall’apprendimento del
contenuto di fatto degli oggetti ai giudizi su di essi. Ciò che è percepito
sensibilmente o immediatamente vissuto trapassa, a un ulteriore grado di
coscienza, nella rappresentazione della memoria. In essa si compie un'ulteriore
operazione del- l'apprendimento oggettivo, a cui corrisponde un particolare
rap- porto della nuova formazione con il suo fondamento. Questo rapporto della
rappresentazione della memoria con il contenuto dell’apprendimento sensibile e
dell’Erlebnis è un rapporto di riproduzione. Infatti la libera mobilità delle
rappresentazioni è, nel campo dell’apprendimento oggettivo, limitata
dall’inten- zione di adeguarsi alla realtà e tutti i modi di formazione delle
rappresentazioni sono determinati da questo orientamen- to verso la realtà. In
esso sorgono rappresentazioni totali e rappresentazioni generali, preparando un
nuovo grado della co- scienza. Questo nuovo grado viene alla luce nel pensiero
discorsivo: il rapporto di riproduzione cede qui il posto a un’altra relazio-
ne entro l'apprendimento oggettivo. 126 WILHELM DILTHEY Il pensiero discorsivo
è legato all’espressione, in primo luo- go al linguaggio. In ciò consiste la
relazione dell’espressione con ciò che è espresso, mediante la quale sorgono
forme linguistiche sulla base dei movimenti degli organi linguistici e delle
rappresentazioni dei loro prodotti. La relazione con ciò che in esse viene
espresso costituisce la loro funzione: esse han- no un significato come
elementi della proposizione, mentre la proposizione medesima ha un senso. La
direzione dell’apprendi- mento va dalla parola e dalla proposizione all'oggetto
che esse esprimono: in tal modo sorge la relazione tra Gi proposizione
grammaticale, o l’espressione effettuata mediante altri segni, e il giudizio
che produce tutte le parti del pensiero discorsivo. Qual è ora il rapporto tra
il dato o il contenuto rappresenta- tivo, condizionato dalle precedenti
operazioni degli Erlebnisse di apprendimento, e il giudizio? In questo uno
stato di fatto viene predicato di un oggetto: da ciò deriva che non si può qui
parlare di una riproduzione del dato o del contenuto rappresen- tativo. Dalla
connessione di pensiero procedo alla determinazio- ne positiva del rapporto.
Ogni giudizio è analiticamente conte- nuto in essa, e viene inteso come suo
elemento. Nella connessio- ne dell’apprendimento oggettivo ogni sua parte si
riferisce, per il tramite della connessione in cui è inserito, al fatto di
essere contenuto nella realtà. Questa è infatti la regola suprema a cui
sottostà ogni giudizio: esso deve essere contenuto nel dato se- condo le leggi
formali del pensiero e secondo le forme del pensiero. Anche giudizi che
esprimono qualità o azioni di Zeus o di Amleto sono riferiti nella connessione
del pensiero a un dato. Così tra il giudizio e le forme finora illustrate
dell’apprendi- mento oggettivo sorge un nuovo rapporto, il quale mostra due
aspetti. Questa duplicità è determinata dal fatto che il giudizio da una parte è
fondato nel dato, ma dall'altra rende esplicito ciò che in questo è contenuto
solo implicitamente, ma in forma esplicitabile. Nella prima relazione sorge il
rapporto di rappre- sentazione: il giudizio rappresenta per mezzo di contenuti
di fatto, racchiusi nel dato, elementi del pensiero che soddisfano le esigenze
di costanza, chiarezza, distinzione, legame stabile con i segni verbali che
sono inerenti al sapere. D'altro lato, i giudizi realizzano l’intenzione
dell’apprendimento oggettivo di WILHELM DILTHEY 127 avvicinarsi dal
condizionato, dal particolare e dal mutevole ai rapporti fondamentali della
realtà. Il rapporto di rappresentazione si estende all’intera connes- sione del
pensiero discorsivo entro l'apprendimento oggettivo, in quanto questo si compie
mediante il giudicare. Il dato nella sua concreta intuitività e il mondo di
rappresentazioni che lo riproduce sono in ogni forma del pensiero discorsivo
rappresen- tati da un sistema di relazioni tra elementi stabili del pensiero. E
a ciò corrisponde, nella direzione inversa, che quando si ritorna all’oggetto
questo conferma e verifica, nella pienezza della sua esistenza intuitiva, il
giudizio o il concetto. Proprio per le scienze dello spirito è particolarmente
importante che l’intera freschezza e l’intera forza dell’Er/ebris ritornino poi
direttamente, o nella direzione dall’intendere all'Erleden. Il rap- porto di
rappresentazione implica che, in determinati limiti, il dato e il pensato
discorsivo siano scambiabili. Se si sottopone ad analisi la connessione del
pensiero discor- sivo, si presentano in questa dei modi di relazione, i quali
ritornano regolarmente prescindendo dal mutamento dei conte- nuti del pensiero
e sussistono al tempo stesso in ogni luogo della connessione del pensiero,
nonché in rapporto interno tra di loro; tali forme del pensiero sono il
giudizio, il concet- to e il sillogismo, che si presentano in ogni parte della
connes- sione del pensiero discorsivo e formano la sua intelaiatura. Ma anche
le classi di operazioni del pensiero discorsivo, subordina- te a queste forme
elementari — la comparazione, l'analogia, l’induzione, la partizione, la
definizione, e infine la connessio- ne fondante — sono indipendenti dalla
delimitazione dei singo- li campi del pensiero, in particolare dalla reciproca
delimitazio- ne delle scienze della natura e delle scienze dello spirito. Esse
si distinguono secondo i compiti dell’intera connessione del pensiero, che la
realtà pone secondo i suoi rapporti generali, mentre sono le forme particolari
del metodo a esser condiziona- te dalle qualità dei singoli campi. Alla
regolarità di queste forme corrisponde la validità del loro lavoro concettuale,
e di questa acquistiamo certezza me- diante la coscienza dell’evidenza. E le
qualità più generali a cui è legata la validità di queste diverse forme,
indipendente dal mutare degli oggetti e costante nel venire e nell’andare 128
WILHELM DILTHEY degli Erlebnisse di pensiero e dei loro soggetti, si esprimono
nelle leggi del pensiero. Noi non abbiamo bisogno di superare il rapporto di
rappresentazione, quando passiamo dai giudizi di realtà ai giudizi necessari.
Un assioma di geometria è neces- sario in quanto esso esprime i rapporti
fondamentali ovunque constatabili con l’analisi dell’intuizione spaziale, e del
pari il carattere di necessità delle leggi del pensiero è abbastanza spie- gato
dal fatto che esse sono ovunque contenute analiticamente nella connessione del
pensiero. Un metodo scientifico sorge in quanto le forme e le operazio- ne
generali del pensiero vengono collegate in un tutto compo- sto mediante lo
scopo racchiuso nella soluzione di un determi- nato compito scientifico. Se si
presentano problemi simili a questo compito, allora il metodo applicato a un
campo limitato si rivelerà fecondo anche per un campo più ampio. Spesso un
metodo, nello spirito del suo scopritore, non è ancora legato alla coscienza
del carattere logico e della portata che lo carat- terizzano: questa coscienza
sorge soltanto in seguito. Essendosi il concetto di metodo sviluppato per
secoli particolarmente nell’u- so linguistico dello studioso della natura,
anche il procedimen- to che tratta una questione di dettaglio, ed è quindi
assai più complesso, può venir designato come metodo. Quando si apro- no
differenti vie per la soluzione dello stesso problema, esse vengono
differenziate come metodi diversi. Dove le forme di procedere di uno spirito
mostrano qualità comuni, la storia delle scienze parla di un metodo di Cuvier!
nella paleontolo- gia o di un metodo di Niebuhr? nella critica storica. Con la dottrina
del metodo entriamo nel campo in cui comincia a farsi valere il carattere
particolare delle scienze dello spirito. 1. Gcorges-Léopold-Chrétien-Frédéric
Dagobert barone di Cuvier (1769-1832), na- turalista frapcese, autore del
Tableau élfmentaire de l'histoire naturelle (1798), delle Legons d’anatomie
comparée (1800), delle Recherches sur les ossements fossiles des qua- drupèdes
(1812), de Le règne animal distribué après son organisation (1817) e di nume- rose
altre opere, si dedicò a studi di zoologia, con particolare riguardo
all'analisi della struttura dci molluschi e dei pesci, e di paleontologia. Le
sue indagini hanno aperto la strada all'esplorazione degli animali fossili. 2.
Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), storico tedesco, autore di una fondamen-
tale Rémische Geschichte (1811-32), impostò la propria analisi del mondo antico
sulla base di una critica sistematica delle fonti; il suo « scetticismo » mise
capo a una radi- cale svalutazione delle testimonianze antiche sulla storia
romana. WILHELM DILTHEY 129 Tutti gli Erlebnisse dell’apprendimento oggettivo
sono, en- tro la sua connessione teleologica, diretti alla penetrazione di ciò
che è, vale a dire della realtà. Il sapere forma una graduali- tà di
operazioni: il dato è spiegato nelle operazioni elementari del pensiero,
riprodotto nelle rappresentazioni, tradotto nel pen- siero discorsivo e così
rappresentato in differenti modi. Perciò la spiegazione del dato mediante le
operazioni elementari del pensiero, la riproduzione nella rappresentazione
rammemorata e la traduzione nel pensiero discorsivo possono venir racchiuse
entro il più ampio concetto di rappresentazione. Tempo e ricor- do liberano
l'apprendimento della dipendenza dal dato e com- piono una scelta di ciò che è
significativo per l’apprendimen- to; il particolare viene sottoposto agli scopi
dell’apprendi- mento della realtà mediante la relazione col tutto e mediante la
subordinazione sotto il generale; la mutabilità del dato intui- tivo viene
elevata a rappresentazione universalmente valida in una relazione concettuale;
mediante l’astrazione e il procedi- mento analitico il concreto viene inserito
in serie uniformi che consentono asserzioni di regolarità, oppure penetrato
nella sua articolazione attraverso un’opera di suddivisione. L’apprendi- mento
tende così a esaurire sempre di più ciò che ci è accessibile nel dato. 2. In
due direzioni sono logicamente collegati gli Er/ebnisse che appartengono
all’apprendimento oggettivo: nell’una gli Er- lebnisse sono in rapporto tra
loro in quanto, come gradi nell’ap- prendimento del medesimo oggetto, cercano
di esaurire me- diante esso ciò che è contenuto nell’Erlebez o nell’intuire, e
nell'altra l'apprendimento collega un elemento di fatto con l’al- tro mediante
le relazioni reciproche che vengono colte. Là si ha un approfondimento
nell’oggetto particolare e qui un’esten- sione universale: approfondimento ed
estensione che sono in dipendenza reciproca. Intuizione, ricordo,
rappresentazione totale, denominazione, giudizio, subordinazione del particolare
all’universale, collega- mento delle parti in un tutto — queste sono forme
dell’appren- dimento: senza che l’oggetto debba mutare, cambia il modo e la
forma di coscienza in cui esso esiste per noi, quando si passa dall'intuizione
al ricordo o al giudizio. La direzione ver- 9. STORICISMO TEDESCO, 130 WILHELM
DILTHEY so lo stesso oggetto, che è loro comune, le collega in una connessione
teleologica, in cui hanno posto solo quegli Erlebnis- se che compiono qualche
operazione nella tendenza a cogliere questo determinato elemento oggettivo.
Questo carattere teleolo- gico della connessione, che qui si presenta,
condiziona il passag- gio da un elemento all’altro entro di essa. E finché
l’Erlebnis non è pienamente esaurito, o l’oggettività data parzialmente e unilateralmente
nelle intuizioni particolari non è ancora perve- nuta a pieno apprendimento e a
compiuta espressione, vi è sempre un clemento di insoddisfazione, e questo
esige che si proceda oltre. Le percezioni che riguardano lo stesso oggetto sono
tra loro legate in una connessione teleologica, in quanto procedono riferendosi
al medesimo oggetto. Così una particola- re osservazione sensibile ne richiede
sempre più altre, che ven- gono a completare l'apprendimento dell’oggetto; e in
questo processo di completamento si esige già il ricordo, come ulterio- re
forma di apprendimento. Esso sta, entro la connessione del- l'apprendimento
oggettivo, in un saldo rapporto con il fonda- mento intuitivo, in maniera che
ha la funzione di riprodurre, ricordare e mantenere così utilizzabile questo
fondamento per l'apprendimento oggettivo. Qui appare assai chiaramente la di-
stinzione tra l'apprendimento dell’Erlebris della memoria che studia il
processo che sta a base di esso nelle sue uniformità, e la nostra considerazione
della memoria secondo la sua funzione nella connessione dell’apprendimento, per
cui esso riproduce ciò che è immediatamente vissuto o appreso. La memoria può
accogliere in sé, sotto un’impressione o sotto l'influenza di uno stato
d'animo, molteplici contenuti distinti dal loro fon- damento, e proprio qui
hanno la loro origine le immagini estetiche della fantasia: ma la memoria
presente in tale connes- sione teleologica, basata sulla penetrazione
dell’oggetto, possie- de la tendenza verso l’identità con il contenuto
intuitivo o vissuto dell’apprendimento oggettivo. E che la memoria abbia
compiuto la sua funzione nell’apprendimento oggettivo risulta dalla possibilità
di constatare la sua somiglianza con il fonda- mento percettivo
dell’apprendimento. In questa tendenza degli Erlebnisse conoscitivi verso un
oggetto particolare è già presen- te il procedere verso qualcosa di sempre
nuovo. I mutamenti nell’oggetto mostrano la connessione dinamica in cui esso si
WILHELM DILTHEY 13I trova, e, in quanto il contenuto di fatto può venir
spiegato solo mediante nomi, concetti, giudizi, è richiesto un ulteriore
passaggio dall’intuizione particolare all’universale. A questa tendenza verso
la totalità, l’elemento attivo, l’universale, corri- sponde il procedere delle
relazioni rintracciabili nel singolo og- getto a quelle che hanno luogo in più
grandi connessioni ogget- tive. In tal modo la prima tendenza delle relazioni
conduce alla seconda. Nella prima tendenza erano tra loro collegati quegli
Erleb- nisse di apprendimento che tendono a cogliere in maniera sem- pre più
adeguata lo stesso oggetto mediante diverse forme di rappresentazione. Nella
seconda sono invece collegati gli Er/eb- nisse che si estendono a sempre nuovi
oggetti e penetrano leloro relazioni reciproche, sia nella stessa forma di
apprendimen- to sia attraverso l’unione di diverse sue forme. Sorgono così
rapporti complessi, i quali risultano particolarmente chiari nei sistemi
omogenei, che rappresentano cioè rapporti di spazio, di suono o di numero ®.
Ogni scienza si riferisce a un’oggettività suscettibile di delimitazione, in
cui risiede la sua unità, e la connessione del campo scientifico dà ai principi
che esso rac- chiude la loro coerenza reciproca. Il completamento di tutte le
relazioni contenute in ciò che è immediatamente vissuto o intui- to
costituirebbe il concetto di mondo: in esso è racchiusa la pretesa di esprimere
tutto ciò che può venir immediatamente vissuto o intuito mediante la
connessione delle relazioni di fatto in esso racchiuse. Questo concetto di
mondo è l’esplicazio- ne che è data anzitutto nell'orizzonte spaziale.
Spiegazione, riproduzione e rappresentazione sono gradi del- la relazione col
dato, in cui l’apprendimento oggettivo si ap- prossima al concetto di mondo.
Essi sono gradi, poiché in ognu- na di queste posizioni dell’apprendimento
oggettivo quella pre- cedente costituisce la base di quella successiva. a.
Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, « Sitz-
ungsberichte der kòniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften », 1894, p.
1352 (ora in Gesammelte Schriften, vol. V, p. 132]. b. Qui lo sguardo si dirige
anche al compito logico di riduzione delle forme del pensiero discorsivo a
forme di espressione dei rapporti presenti nel dato, così come vengono posti in
luce dalle operazioni elementari del pensiero. Dai fatti contenuti nel campo
dell’apprendimento sensibile noi 132 WILHELM DILTHEY Sezione II LA STRUTTURA
DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO Allorché questa connessione dell’apprendimento
oggettivo sottostà alle condizioni contenute nelle scienze dello spirito, viene
a delinearsi la particolare struttura di tali discipline. Sulla base delle
forme e delle operazioni generali del pensiero si fanno qui valere compiti
specifici, che trovano la loro solu- zione nell’intreccio di metodi propri.
Nell’elaborazione di queste forme di procedimento le scien- ze dello spirito
sono state ovunque influenzate dalle scienze della natura; e poiché queste
hanno elaborato prima i loro metodi, si è avuto in larga misura un adattamento
di essi ai compiti delle scienze dello spirito. In due punti ciò risulta
particolarmente evidente: nella biologia sono stati scoperti per siamo condotti
a considerare l’immanenza dell'ordine entro la materia del- la nostra
esperienza sensibile, e la distinzione della materia delle impres- sioni dalle
forme di collegamento si rivela un mero strumento di astra- zione. Il principio
di identità dice che ogni proposizione vale indipenden- temente dal posto
mutevole che essa occupa entro la connessione del pen- siero e dal mutamento
che avviene nei soggetti delle asserzioni; e il prin- cipio di contraddizione
ha a suo fondamento quello di identità. In questo al principio di identità si
aggiunge la negazione, che è soltanto il rifiuto di un'assunzione che si presenta
in noi o al di fuori di noi, e si riferisce sempre a un’asserzione già
formulata, sia questa contenuta in un atto co- sciente del pensiero o in
un'altra forma. Il principio di identità esige per la proposizione una validità
costante; e perciò viene esclusa l'eliminazione di tale proposizione. Noi non
possiamo al tempo stesso affermarla e ne- garla, in quanto viene alla coscienza
il rapporto di contraddizione. E quando dichiaro falso il giudizio negativo, io
rifiuto di eliminare la pro- posizione, e ne risulta confermata l’'asserzione
affermativa: il principio del terzo escluso esprime questo fatto. Così le leggi
del pensiero non de- signano alcuna condizione aprioristica per il nostro
pensiero; e i rapporti racchiusi nella comparazione, nella separazione, nell’astrazione,
nella re- lazione, si ritrovano poi nelle operazioni del pensiero discorsivo e
nelle categorie formali, di cui si parlerà poi. Non è necessario ritenere che
il giudizio presupponga il subentrare del rapporto categoriale tra cosa e
qualità, poiché questo può venir inteso in base alla relazione tra l'ogget- to
e ciò che da esso è predicato. WILHELM DILTHEY 133 la prima volta i metodi
comparativi poi sempre maggiormente applicati alle scienze sistematiche dello
spirito, e i metodi speri- mentali elaborati dall’astronomia e dalla fisiologia
sono stati trasferiti alla psicologia, all'estetica e alla pedagogia. Anche
oggi, nello sforzo di soluzione di compiti particolari, lo studio- so di
psicologia di pedagogia, di linguistica o di estetica si chiederà spesso se i
mezzi e i metodi scoperti nelle scienze della natura per la soluzione di
problemi analoghi possano venir sfruttati nel proprio campo. Ma, nonostante
tali punti particolari di contatto, la connes- sione delle forme di
procedimento delle scienze dello spirito è, fin dal suo inizio, diversa dalla
connessione delle scienze della natura. I. LA VITA E LE SCIENZE DELLO SPIRITO
Qui vengono considerati soltanto i principi generali necessa- ri per la
penetrazione della connessione delle scienze dello spiri- to, mentre la
trattazione dei metodi appartiene allo studio della costruzione delle scienze
dello spirito. Due spiegazioni termino- logiche devono essere qui anticipate:
per unità della vita psichi- ca intendo gli elementi del mondo storico-sociale,
e con struttu- ra psichica designo la connessione in cui, nelle unità della
Vita psichica, sono tra loro legate diverse operazioni. 1. La vita. Le scienze
dello spirito poggiano sul rapporto di Erledn:s, espressione e intendere. Così
il loro sviluppo dipende sia dal- l’approfondimento degli Erlebnisse sia dalla
crescente tendenza all'esaurimento del loro contenuto, ed è nel medesimo tempo
condizionato dall’estensione dell’intendere all'intera oggettiva zione dello
spirito e dalla capacità di cogliere in modo sempre più compiuto e metodico il
contenuto spirituale delle diverse manifestazioni della vita. Il complesso di
ciò che ci si rivela nell’Erleden e nell’inten- dere è la vita come connessione
che comprende il genere uma- no. E quando per la prima volta ci troviamo di
fronte a que- 134 WILHELM DILTHEY sto grande fatto, che per noi è il punto di
partenza non soltan- to delle scienze dello spirito ma anche della filosofia,
occorre andar oltre la sua elaborazione scientifica e penetrare il fatto stesso
nella sua costituzione grezza. Infatti, dove la vita ci si presenta come uno
stato di fatto proprio del mondo umano, noi incontriamo le sue determinazio- ni
nelle varie unità della vita; incontriamo rapporti vitali, pre- sa di
posizione, l’atteggiamento, la creazione effettuata sulle cose e sugli uomini e
la sofferenza che ne deriva. Nello sfondo permanente da cui emergono le
operazioni differenziate, non c'è nulla che non contenga un rapporto vitale
dell'io. Come tutto ha qui una posizione di fronte ad esso, altrettanto viene
però a mutare la situazione dell’io secondo il rapporto che le cose e gli
uomini hanno con esso: non esistono nessun uomo e nessuna cosa che siano
soltanto oggetti per me, e che non racchiudano una pressione o un vantaggio, il
fine di una ten- denza o un’obbligazione del volere, un'importanza, una prete-
sa di esser preso in considerazione, una vicinanza interna o una resistenza,
una distanza e una estraneità. Il rapporto vi- tale, sia esso limitato a un
dato momento o duraturo, fa sì che tali uomini e tali oggetti mi rechino
felicità, estendano la mia esistenza, accrescano la mia forza, oppure vengano a
limitare in questo rapporto lo spazio della mia esistenza, a esercitare una
pressione su di me, a diminuire la mia forza. E ai predica- ti che le cose
acquistano soltanto nel rapporto vitale con me corrisponde il mutare degli
stati in me stesso che ne scaturisce. Su questo sfondo della vita emergono poi
l'apprendimento og- gettivo, la valutazione, la posizione di scopi, come tipi
di atteg- giamento che hanno luogo in innumerevoli sfumature che pas- sano
l’una nell'altra: essi sono legati nel corso della vita in interne connessioni,
le quali comprendono e determinano ogni occupazione e ogni sviluppo. Se
illustriamo ciò con il modo in cui il poeta lirico reca a espressione
l’Erlebnis, si vede che egli muove da una situazio- ne e raffigura uomini e
cose nel rapporto vitale con un io ideale, in cui la sua esistenza e entro di
essa il corso della sua esperienza vengono accentuate nella fantasia; questo
rapporto di vita determina ciò che il vero lirico vede ed esprime degli uomini
e delle cose e di se stesso. Anche il poeta epico può dire WILHELM DILTHEY 135
soltanto ciò che emerge in un rapporto di vita da lui raffigura- to. Oppure,
quando lo storico descrive situazioni e persone storiche, egli desterà
un'impressione della vita reale, tanto più forte quanto meglio raffigura tali
rapporti di vita. Egli deve porre in luce le qualità degli uomini e delle cose
che scaturisco- no e operano in tali rapporti di vita — e, si potrebbe dire,
dare alle persone, alle cose, ai processi, la forma e il colore in cui essi
hanno dato forma, dal punto di vista del rapporto di vita, a percezioni e a
immagini di memoria nella vita stessa. 2. L'esperienza della vita. L'apprendimento
oggettivo scorre nel tempo, e così in esso sono già contenute immagini di
memoria. E in quanto ciò che è immediatamente vissuto cresce continuamente e
sempre più svanisce con il progredire del tempo, sorge il ricordo del corso
della propria vita. Parimenti, sulla base della comprensione di altre persone,
si formano i ricordi dei loro stati e le immagini esistenziali delle diverse
situazioni; e certo in tutti questi ricor- di la situazione è sempre legata con
il suo ambiente di contenu- ti di fatto, di avvenimenti e di persone. Dalla
generalizzazione di ciò che in tal modo si presenta insieme sorge l’esperienza
di vita dell’individuo. Essa sorge in forme di procedimento equiva- lenti a
quelle dell’induzione. Il numero dei casi, in base ai quali questa induzione
decide, cresce di continuo nel corso della vita; e le generalizzazioni che si
formano vengono sem- pre corrette. La sicurezza che spetta all'esperienza
personale della vita è distinta dalla validità universale di tipo scientifico:
infatti queste generalizzazioni non sono compiute metodica- mente e non possono
venir racchiuse in formule rigorose. Il punto di vista individuale, inerente
all’esperienza persona- le della vita, si corregge e si amplia nell’esperienza
generale della vita: con questa io intendo i princìpi che si formano in
qualsiasi ambito di persone in rapporto reciproco e che sono comuni ad esse. Si
tratta di asserzioni sul corso della vita, di giudizi di valore, di regole
della condotta di vita, di determina- zioni di scopi e di beni: il loro
contrassegno sta nel fatto che esse sono creazioni della vita collettiva, le
quali riguardano tanto la vita dell’uomo singolo quanto la vita delle comunità.
136 WILHELM DILTHEY Sotto il primo aspetto, in quanto costume, abitudine e, in
riferi- mento alla persona individuale, come opinione pubblica, esse
esercitano, per il prevalere del numero e per il sopravvivere della comunità
alla persona singola, un potere su di questa e sulla sua esperienza o forza di
vita, che sovrasta di solito la volontà di vita dell’individuo. La sicurezza di
questa esperienza generale della vita rispetto a quella personale è maggiore,
in quanto i punti di vista individuali pervengono in essa a un equilibrio e
cresce il numero dei casi che stanno a base dell’in- duzione. D'altra parte in
questa esperienza generale si rivela, in modo ancor più forte che in quella
individuale, l’incontrolla- bilità dell'origine del suo sapere dalla vita. 3.
La distinzione delle forme di atteggiamento nella vita e le classi di
asserzioni nell'esperienza della vita. Nell’esperienza della vita si presentano
ora diverse classi di asserzioni, le quali si rifanno alla distinzione di
atteggiamento nella vita. Infatti la vita non è solo la fonte del sapere,
conside- rata nel suo contenuto d'esperienza; le tipiche forme di atteg-
giamento dell’uomo condizionano pure le diverse classi di asser- zioni. Qui si
deve soltanto constatare per adesso il fatto di questa relazione tra la
diversità di atteggiamento della vita e le asserzioni dell’esperienza della
vita. Nei singoli rapporti di fatto della vita, che si presentano tra l'io da
un lato e le cose e gli uomini dall’altro, sorgono i diversi stati della vita:
situazioni differenziate dell’io, sentimen- ti di pressione o di accrescimento
dell’esistenza, desiderio di un oggetto, timore o speranza. E come cose o
uomini esercitanti una pretesa sull'io assumono uno spazio nella sua esistenza,
come sono portatori di vantaggi o di impedimenti, come sono oggetti di
desiderio, di aspirazione, di distacco, così da questi rapporti vitali derivano
le determinazioni a essi relative, che si aggiungono all’apprendimento
oggettivo di uomini e di cose. Tutte queste determinazioni dell’io e degli
oggetti o delle perso- ne, quali scaturiscono dai rapporti della vita, vengono
elevate a riflessione ed espresse nel linguaggio: così nascono in esso
di-stinzioni come asserzioni di realtà, desiderio, esclamazione, im- WILHELM
DILTHEY 137 erativo. Se si prendono ora in esame le espressioni che si
riferiscono alle forme di atteggiamento, cioè alle varie prese di posizione
dell'io di fronte agli uomini e alle cose, risulta che esse rientrano in certe
classi supreme. Esse constatano una real- tà, valutano, designano una posizione
di scopo, formulano una regola, esprimono il significato di un fatto in base
alla più ampia connessione in cui esso è inserito. Inoltre vengono in luce Je
relazioni tra queste forme di asserzione contenute nell’e- sperienza della
vita: gli atti di penetrazione della realtà forma- no uno strato sul quale
poggiano le valutazioni, e questo strato è a sua volta la base per le posizioni
di scopo. Le forme di atteggiamento contenute nei rapporti vitali e i loro
prodotti vengono oggettivati nelle asserzioni che constata- no tali forme in
quanto stati di fatto; analogamente vengono rese indipendenti le predicazioni
di uomini e di cose, che scatu- riscono dai rapporti vitali. Questi stati di
fatto sono nell’espe- rienza della vita elevati a sapere universale mediante un
proce- dimento equivalente all’induzione: così sorgono le molteplici
proposizioni, poste in luce nella saggezza generalizzante del popolo e nella
letteratura sotto forma di proverbi, di regole di vita, di riflessioni sulle
passioni, sui caratteri e sui valori della vita. Anche in queste ritornano le
differenze che si sono osserva- te nell’espressione delle nostre prese di
posizione o delle nostre forme di atteggiamento. Ancora nuove distinzioni si
fanno valere nelle asserzioni dell’esperienza della vita. Già nella vita
medesima la conoscen- za della realtà, la valutazione, l’elaborazione di
regole, la posi- zione di scopi si sviluppano in differenti gradi, di cui
ognuno è il presupposto del successivo. Essi sono stati indicati per l’ap-
prendimento oggettivo; ma sussistono del pari nelle altre forme di atteggiamento.
Così la stima dei valori dinamici di cose o di uomini presuppone che siano
state constatate le possibilità di recar utile o danno racchiuse negli oggetti,
e una decisione diventa possibile solo mediante la ponderazione del rapporto
delle rappresentazioni di fine con la realtà e i mezzi, in essa dati, di
realizzare tali rappresentazioni. 138 WILHELM DILTHEY 4. Le unità ideali come
sostegni della vita e dell'esperienza della vita. Un’infinita ricchezza di vita
si sviluppa nell’esistenza indivi duale delle varie persone, attraverso i loro
rapporti con l’am- biente, gli altri uomini e le cose. Ma ogni singolo
individuo è nel medesimo tempo un punto di incrocio di connessioni che
pervadono gli individui e sussistono in essi, ma sovrastano la loro vita e posseggono
un'esistenza autonoma e un proprio sviluppo per il contenuto, il valore, lo
scopo che vi si realizza. Sono cioè soggetti di tipo ideale: a essi è
intrinseco qualche sapere intorno alla realtà; in essi si sviluppano punti di
vista di valutazione; in essi si realizzano scopi; per cui acquistano e
mantengono un significato nella connessione del mondo spiri- tuale. Ciò avviene
già in alcuni sistemi di cultura nei quali non c'è un’organizzazione che
racchiuda i suoi elementi, come in generale nell'arte e nella filosofia.
Altrove sorgono però unioni organizzate. Così la vita economica crea le sue
associazioni, e nella scienza nascono centri per la realizzazione dei suoi
compi- ti, e le religioni dànno vita alle organizzazioni più salde tra tutti i
sistemi di cultura. Nella famiglia, nelle varie forme intermedie tra questa e
lo stato, nello stato medesimo si trova poi la suprema elaborazione di
un’unitaria posizione di scopi entro una comunità. Ogni unità organizzata di
uno stato sviluppa una conoscen- za di se stesso e delle regole, a cui è legata
la sua sussistenza, così come della sua situazione di fronte al tutto. Essa
gode dei valori sviluppatisi nel suo grembo; essa attua gli scopi che riposano
sul suo essere e che servono alla conservazione e alla promozione della sua
esistenza. Essa stessa è un bene dell’uma- nità, realizza beni e acquista un
significato specifico entro la connessione dell'umanità. Arriva ora il punto in
cui si presentano al nostro sguardo la società e la storia. Sarebbe però erroneo
voler limitare la storia al cooperare degli uomini in vista di scopi comuni.
L'uomo singolo, nella sua esistenza individuale che poggia su se stessa, è un
essere storico. Egli è determinato dalla sua posizione nella linea del tempo,
dal suo luogo nello spazio, dalla sua situazio- WILHELM DILTHEY 139 ne
nell’azione reciproca dei sistemi di cultura e delle comuni- tà. Lo storico
deve quindi intendere l’intera vita degli indivi- dui com’essa si manifesta in
un determinato tempo e in un determinato luogo. Proprio l’intera connessione
che va dagli individui, in quanto orientati verso lo sviluppo della propria
esistenza, ai sistemi di cultura e alle comunità, e infine all’uma- nità,
costituisce la natura della società e della storia. I soggetti logici, a cui ci
si riferisce nella storia, sono tanto gli individui particolari quanto le
comunità e le connessioni. 5. Lo scaturire delle scienze dello spirito dalla
vita degli indivi- dui e delle comunità. La vita, l’esperienza della vita e le
scienze dello spirito stanno dunque in una costante connessione interna e in un
costante scambio reciproco. Non un procedimento concettuale costituisce il
fondamento delle scienze dello spirito, ma la con- sapevolezza di uno stato
psichico nella sua totalità e il suo ritrovamento nel rivivere. La vita coglie
qui la vita, e la forza con cui vengono compiute le due operazioni elementari
delle scienze dello spirito è la condizione preliminare della loro com-
piutezza in ogni parte di esse. Così anche in questo punto si nota una differenza
decisiva tra le scienze della natura e le scienze dello spirito. In quelle la
distinzione del nostro rapporto con il mondo esterno avviene sulla base del
pensiero naturalistico, le cui operazioni produttive hanno un riferimento
esterno, mentre in queste si mantiene una connessione tra vita e scienza, per
cui il lavoro della vita nell’elaborazione del pensiero costituisce la base per
la creazione scientifica. L’approfondimento in se stesso pervie- ne nella vita,
sotto certe circostanze, a una perfezione a cui neppure Carlyle? è pervenuto, e
la comprensione degli altri viene qui condotta a un livello di virtuosismo che
neppur Ran- 3. Thomas Carlyle (1795-1881), storico e filosofo romantico
inglese, autore del Sar- tor Resartus (1833-34), della History of the French
Revolution (1838), di On Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History (1841)
c di varie altre opere, contribuì in mi- sura rilevante all’introduzione
dell'idealismo tedesco, in particolare del pensiero di Schelling, nella cultura
inglese. La sua concezione della storia mette in risalto l’impor- tanza
decisiva degli « eroi ». 140 WILHELM DILTHEY ke' ha raggiunto. Da una parte le
grandi nature religiose, come Agostino e Pascal, sono gli eterni modelli per
l’esperien- za che si nutre del proprio Erlebnis, e dall’altra, nella compren-
sione delle altre persone, la corte e la politica educano a un'arte che guarda
al di là di ogni apparenza; un uomo di azione come Bismarck, al quale sono
sempre presenti per natura i suoi fini in ogni lettera che scrive e in ogni
colloquio, non può venir eguagliato da nessun interprete di atti politici e da
nes- sun critico di narrazioni storiche per ciò che riguarda l’arte di leggere
le intenzioni che stanno al di là dell’espressione. Tra la penetrazione di un
dramma da parte di un ascoltatore di forte sensibilità poetica e la più
eccellente analisi di storia letteraria non c’è, in parecchi casi, alcuna
distanza. E anche l’elaborazio- ne concettuale è continuamente determinata,
nelle scienze stori- co-sociali, dalla vita medesima: mi riferisco alla
connessione che conduce continuamente dalla vita, dall’elaborazione concet-
tuale intorno al destino, ai caratteri, alle passioni, ai valori e agli scopi
dell’esistenza, fino alla storia come disciplina scientifi- ca. Nell’epoca in
cui, in Francia, l’azione politica era fondata più sulla conoscenza degli
uomini e delle personalità eminenti che su uno studio scientifico del diritto,
dell'economia e dello stato, e la posizione nella vita di corte poggiava su
tale arte, anche la forma letteraria delle memorie e degli scritti sui carat-
teri e sulle passioni è pervenuta a un’altezza non più raggiunta in seguito, ed
è stata coltivata da persone poco influenzate dallo studio scientifico della
psicologia e della storia. Una con- nessione interna unisce qui l'osservazione
della società illu- stre, i letterati e i poeti che da essa imparano, i
filosofi sistema- tici o gli storici scientifici che si formano sulla base
della poe- sia e della letteratura. Si è visto, agli inizi della scienza poli-
tica in Grecia, che lo sviluppo dei concetti relativi alle costitu- zioni e
alle funzioni politiche ha preso le mosse dallo stesso 4. Leopold von Ranke
(1795-1886), storico tedesco, autore della Geschichte der romanischen und
germanischen Vélker von 1494 bis 1535 (1824) seguita dalla celebre
dissertazione Zur Kritik neuerer Geschichtsschreiber, di Die ròmischen Pùpste,
ihre Kirche und ihr Staat im 16. und 17. Jahrhundert (1834-36), della Deutsche
Geschich- te im Zeitalter der Reformation (1839-47) e di numerose altre opere,
è la principale figura della scuola storica tedesca. La sua attività
storiografica culmina nelle conferenze dedicate alle Epochen der neueren
Geschichte (1854) e nella Weltgeschichte (1881-1885), rimasta incompleta.
WILHELM DILTHEY I4I sviluppo della vita statale, e che muove creazioni in
questa hanno poi condotto a nuove teorie. Questo rapporto risulta quanto mai
evidente nei più antichi stadi della scienza giuridi- ca tanto romana quanto
germanica. 6. La connessione delle scienze dello spirito con la vita e il loro
compito di validità universale. Così il sorgere dalla vita e la perdurante
connessione con essa costituisce il primo tratto fondamentale della struttura
del- le scienze dello spirito; esse poggiano infatti sull’Er/eden, sul-
l’intendere e sull’esperienza della vita. Questo rapporto imme- diato, in cui
stanno tra loro la vita e le scienze dello spirito, conduce in tali discipline
a un’antitesi tra le tendenze della vita e il loro fine scientifico. Dal
momento che gli storici, gli economisti, i teorici del diritto pubblico, gli
studiosi della reli- gione sono inseriti nella vita, vogliono anche influire su
di essa. Essi sottopongono al loro giudizio persone storiche, movimenti di
massa, tendenze, ma tale giudizio è condizionato dalla loro individualità,
dalla nazione a cui appartengono, dal tempo in cui vivono. Anche quando credono
di procedere senza presup- posti, essi sono determinati da questo loro
orizzonte: ogni analisi intrapresa sui concetti di una generazione passata mo-
stra che in questi sono contenuti elementi, i quali derivano dai presupposti
dell’epoca. Però nel medesimo tempo in ogni scien- za come tale è contenuta
l'esigenza della validità universa- le. Se debbono esserci scienze dello
spirito nel significato ristret- to del termine, esse debbono porsi questo fine
in maniera sem- pre più cosciente e più critica. Sull’antitesi di queste due
tendenze si basa gran parte dei contrasti scientifici che si sono manifestati,
negli ultimi tempi, nella logica delle scienze dello spirito. Tale antitesi si
esprime nella maniera più forte entro la scienza storica, che è diventata il
punto centrale in questa discussione. La soluzione di questa antitesi si compie
soltanto nella co- struzione delle scienze dello spirito; gli ulteriori
principi gene- rali sulla connessione delle scienze dello spirito già
contengono il principio di tale soluzione. Il risultato finora da noi consegui-
to permane. La vita e l’esperienza della vita sono le fonti 142 WILHELM DILTHEY
sempre nuove della comprensione del mondo storico-sociale; la comprensione
procede dalla vita verso sempre maggiori profon- dità; e soltanto nella
reazione sulla vita e sulla società le scien- ze dello spirito pervengono al
loro più alto significato, che è in continuo accrescimento. Ma la strada verso
questa azione deve passare attraverso l’oggettività della conoscenza
scientifica. La coscienza di ciò era già operante nella grande epoca creatrice
delle scienze dello spirito. In seguito a vari disturbi che si possono
riscontrare nel corso del nostro sviluppo nazionale, ma anche nell’applicazione
di un ideale culturale unilaterale dopo Burckhardt®, noi cerchiamo ora di
elaborare questa oggettività delle scienze dello spirito in maniera sempre più
priva di pre- supposti, più critica, più rigorosa. Io trovo il principio per la
soluzione dell’antitesi che si presenta in queste scienze nella comprensione
del mondo storico come una connessione dinami- ca, la quale è centrata in se
stessa, in quanto ogni connessione dinamica particolare in essa contenuta ha in
sé, in virtù della posizione e della realizzazione di valori, il proprio
centro, ma tutte sono strutturalmente unite in una totalità nella quale il
senso della connessione del mondo storico-sociale deriva dalla significatività
delle singole parti; cosicché ogni giudizio di valo- re e ogni posizione di
scopi diretta verso il futuro, devono essere fondati esclusivamente su questa
connessione strutturale. A questo principio ideale ci avviciniamo ora nei
seguenti princì- pi generali sulla connessione delle scienze dello spirito. II.
LE FORME DI PROCEDIMENTO IN CUI È DATO IL MONDO SPIRI- TUALE La connessione
delle scienze dello spirito è determinata dal suo fondamento nell’Erlebden e
nell’intendere, e tanto nell’uno 5. Jacob Burckhardt (1818-1897), storico
svizzero, autore di Die Zeit Constantins des Grossen (1853), di Die Cultur der
Renaissance in Italien (1860) e di una postuma Griechische Kulturgeschichte
(1898-1902), nonché di varie altre opere, è uno dei mag- giori esponenti della
storiografia post-romantica; il suo libro sulla civiltà del Rinasci- mento ha
rinnovato l'interpretazione di questo periodo storico. Le sue idee sulla sto-
ria sono esposte nel corso di lezioni Uber das Studium der Geschichte,
pubblicato postu- mo col titolo Weltgeschichiliche Betrachtungen (1905).
WILHELM DILTHEY 143 quanto nell’altro si fanno subito valere importanti
differenze rispetto alle scienze della natura, le quali dànno un carattere
proprio alla costruzione di tali discipline. 1. La linca delle rappresentazioni
che procede dall’Erlebnis. Ogni immagine ottica è diversa da un’altra, che si
riferisca al medesimo oggetto, per il punto di vista e le condizioni
dell’apprendimento: queste immagini sono legate in un siste- ma di relazioni
interne in virtù dei vari modi di apprendimen- to oggettivo. La
rappresentazione totale, che così sorge dalla serie delle immagini secondo i
rapporti fondamentali racchiusi nel contenuto di fatto, è qualcosa di
rappresentato e di pensato in aggiunta. Gli Erlebrisse sono invece legati tra
loro in un’uni- tà di vita entro il corso temporale; e ognuno di essi ha così
il suo posto in un corso i cui elementi sono uniti reciprocamente nella
memoria. Non parlo qui ancora del problema della realtà di questi Er/ebrisse, e
tanto meno delle difficoltà inerenti all’ap- prendimento di un Er/ebnis: basta
che il modo in cui l’Erleb- nis esiste per me sia del tutto diverso dal modo in
cui stanno davanti a me le immagini. La coscienza di un Erlebnis e della sua
qualità, il suo esistere-per-me e ciò che in esso esiste per me, sono la stessa
cosa: l’Er/ebrnis non si contrappone a chi lo apprende come un oggetto, ma la
sua esistenza per me non è distinta da ciò che in esso esiste per me. Non vi
sono diverse posizioni spaziali da cui possa venir visto ciò che in esso esi-
ste; e differenti punti di vista, da cui esso può venir appreso, possono
sorgere soltanto in seguito, mediante la riflessione, e non incidono sul suo
carattere di Erlebris. Esso è sottratto alla relatività di ciò che è dato
sensibilmente, per cui le immagini si riferiscono all'elemento oggettivo
soltanto nella relazione con il soggetto conoscente, con la sua posizione nello
spazio e con ciò che sta in mezzo tra lui e gli oggetti. Dall’Erlebris una
linea diretta di rappresentazioni procede fino all’ordine dei concetti in cui
esso viene appreso pensando. Esso viene anzitutto spiega- to mediante le
operazioni elementari del pensiero; e qui trova- no il loro significato
specifico i ricordi, in cui esso viene poi appreso. E che cosa accade quando
l’Erlebnis diviene oggetto della mia riflessione? Io sto sveglio di notte, mi
preoccupo 144 WILHELM DILTHEY della possibilità di terminare nella mia
vecchiaia i lavori inizia- ti, rifletto su ciò che vi è da fare. In questo
Erlebris c'è una connessione strutturale di coscienza: l’apprendimento
oggettivo costituisce il suo fondamento, su questo poggia una presa di
posizione come preoccupazione e come sofferenza provocata dal- l'elemento
soggettivamente appreso, e come tendenza a andare oltre di esso. E tutto ciò
esiste per me in questa sua connes- sione strutturale. Io reco a coscienza
distinta un certo stato, pongo in luce ciò che in esso è strutturalmente
collegato, lo isolo: ma tutto ciò che vengo in tal modo a trarne fuori è
contenuto nell’Erlebris stesso e viene in tal modo solo spie- gato. Il mio
apprendimento dell’Erlebris stesso viene però svi- luppato, sulla base dei
momenti in esso contenuti, in Er/ebrisse che, sebbene separati da un lungo
spazio di tempo, sono legati strutturalmente nel corso della vita con tali
momenti: io ho coscienza dei miei lavori in virtù di un esame precedente, e con
questo stanno in relazione, in un passato ancor più lontano, i processi da cui
sono sorti tali lavori. Un altro momento si dirige verso il futuro; ciò che ora
sussiste richiederà ancora un lavoro incalcolabile da parte mia; io ne sono
preoccupato e mi oriento internamente a tale opera- zione. Tutto questo s, di e
a, tutte queste relazioni di ciò che è immediatamente vissuto con ciò che è
ricordato e anche con il futuro, mi spinge — indietro e avanti. Essere
trascinato in questa serie poggia sull’esigenza di sempre nuovi elementi,
richiesti, dall’Erleden; a ciò può cooperare pure un interesse che deriva dalla
forza emotiva di questo. È un essere trascina- to, non una volizione, tanto
meno quell’astratta volontà di sapere a cui si è fatto ricorso dopo la
dialettica di Schleierma- cher. Nella serie, che in tal modo sorge, tanto il
passato quanto il futuro o il possibile sono trascendenti rispetto al momento
riempito dall'Erlebnis: ma entrambi, il passato e il futuro, sono legati
all’Er/ebris in una serie che si articola mediante tali relazioni in una
totalità. Ogni passato è legato strutturalmente come riproduzione a un Er/ebnis
trascorso, in quanto il suo ricordo implica un riconoscimento. Anche il
possibile da venire è legato a tale serie mediante l’ambito di possibilità da
essa determinate. Così in questo processo sorge l’intuizione della connessione
psichica nel tempo, la quale costituisce il corso WILHELM DILTHEY 145 della
vita, in cui ogni singolo Erlebnis è legato a una totalità. E tale connessione
della vita non è una somma o un complesso di momenti successivi, ma un’unità
costituita da relazioni che uniscono tutte le parti. Muovendo dal presente noi
percorriamo indietro una serie di ricordi fin dove il nostro piccolo, debole e
informe io si perde nel crepuscolo, e ci spingiamo innanzi, da questo presente,
verso possibilità in esso racchiuse, che assu- mono vaghe ed ampie dimensioni.
Da ciò deriva un risultato importante per la connessione delle scienze dello
spirito. Gli elementi, le regolarità, le relazio- ni che costituiscono
l’intuizione del corso della vita, sono insie- me contenuti nel corso della
vita; e al sapere relativo al corso della vita spetta quindi lo stesso
carattere di realtà proprio dell’Er/ebnis. 2. Il rapporto di reciproca
dipendenza nell’intendere. Se negli Erlebnisse cogliamo la realtà della vita
nella molte- plicità dei suoi rapporti, quel che ci appare, in questa
prospetti- va, è sempre soltanto qualcosa di singolare, cioè la nostra pro-
pria vita di cui siamo coscienti nell’Erleden. Tale sapere resta un sapere
relativo a qualcosa di irripetibile, e nessun strumento logico può superare la
limitazione alla singolarità contenuta nella forma di esperienza dell’Erleden.
Soltanto l’intendere eli- mina tale limitazione dell’Erlebnis individuale, come
d’altro lato conferisce agli Erlebnisse della persona il carattere di espe-
rienza della vita. Estendendosi a più uomini, a varie creazioni spirituali e a
varie comunità, esso amplia l’orizzonte della vita individuale e apre nelle
scienze dello spirito la via che reca, attraverso ciò che è comune, al
generale. L’intendersi reciproco ci assicura del rapporto di comunaz- za che
sussiste tra gli individui: questi sono infatti tra loro legati da una
comunanza in cui sono intrecciate appartenenza reciproca o connessione,
uniformità o affinità. La stessa relazio- ne di connessione e di uniformità
pervade tutte le cerchie del mondo umano. Questa comunanza si esprime
nell’identità del- la ragione, nella simpatia presente nella vita affettiva,
nell’obbli- gazione reciproca del dovere e del diritto, accompagnata dalla
coscienza di ciò che deve essere. 10. STORICISMO TEDESCO. 146 WILHELM DILTHEY
La comunanza delle unità viventi è il punto di partenza per tutte le relazioni
tra particolare e universale nelle scienze dello spirito. L'esperienza
fondamentale della comunanza pervade l’intero apprendimento del mondo
spirituale, collegando la co- scienza dell’io unitario e la coscienza
dell’uniformità con gli altri, l'identità della natura umana e l’individualità.
Essa costi- tuisce il presupposto dell’intendere. Dall’interpretazione elemen-
tare, che richiede soltanto Ia conoscenza del significato delle parole e delle
regolarità con cui esse sono legate in proposizio-ni dotate di senso, cioè la
comunanza del linguaggio e del pensare, l'ambito di ciò che è comune si estende
di continuo, rendendo possibile il processo di comprensione nella misura in cui
il suo oggetto è costituito da nessi superiori di manifestazio- ni della vita.
Dall'analisi dell’intendere risulta però un secondo rapporto fondamentale, che
è determinante per la struttura della connes- sione delle scienze dello
spirito. Noi abbiamo visto come le verità delle scienze dello spirito poggiano
sull’Erlede e sull’in- tendere: ma l’intendere presuppone d'altra parte
l’utilizzazio- ne delle verità delle scienze dello spirito. Per illustrare ciò
con un esempio si prenda il compito di comprendere Bismarck: una straordinaria
quantità di lettere, di documenti, di narrazio- ni e di racconti su di lui
costituisce il materiale che si riferisce al corso della sua vita. Lo storico
deve ampliare il confine di questo materiale, per cogliere ciò che ha influito
sul grande uomo di stato e ciò che egli ha prodotto. Fin quando dura il
processo dell’intendere, la delimitazione del materiale non è ancora conclusa.
Già per conoscere uomini, avvenimenti, situa- zioni come appartenenti a questa
connessione dinamica, egli ha bisogno di princìpi generali, i quali stanno
anche a base della sua comprensione di Bismarck, estendendosi dalle qualità
comu- ni dell’uomo alle qualità di classi particolari. Lo storico darà a
Bismarck un posto tra gli uomini d’azione in base alla psicolo- gia individuale,
seguendo in lui la specifica combinazione dei tratti che sono loro comuni. Da
un altro punto di vista si ritroveranno nella sovranità del suo essere,
nell’abitudine a co- mandare e a dirigere, nell’inflessibilità del volere, le
qualità fondamentali del nobile prussiano latifondista. E, in quanto la sua
lunga vita ha occupato un posto determinato nel corso WILHELM DILTHEY 147 della
storia prussiana, ecco di nuovo un altro gruppo di princì- pi generali da cui
sono determinati i tratti comuni agli uomini di questo tempo. L'enorme
pressione che si esercitava, secondo la situazione dello stato, sulla
consapevolezza politica produce- va naturalmente le più diverse forme di
reazione. La compren- sione di queste esige princìpi generali sulla pressione
che una certa situazione esercita su una totalità politica e sui suoi ele-
menti, nonché sulle sue ripercussioni. I gradi di sicurezza meto- dica nella
comprensione dipendono dallo sviluppo delle verità generali mediante cui tale
rapporto consegue il suo fondamen- to. Risulta ora chiaramente che questo
grande uomo di azione, il quale ha avuto le sue radici completamente nella
Prussia c nel suo regno, dovrà sentire in modo particolare la pressione che si
esercita su di essa dall’esterno. Egli dovrà pure valutare le questioni interne
della costituzione di questo stato principal- mente dal punto di vista del
potere statale. In quanto poi è il punto di incontro di comunità quali lo
stato, la religione, l'ordine giuridico, e in quanto ha pure, come personalità
stori- ca, determinato e mosso în modo eminente una di queste comu- nità, e nel
medesimo tempo opera in esse, egli richiede da parte dello storico una
conoscenza generale intorno a queste comunità. In breve, il suo intendimento
giungerà a compimen- to solo in virtù della relazione col complesso di tutte le
scienze dello spirito. Ogni relazione, che deve essere elaborata nella
rappresentazione di questa personalità storica, acquista la massi- ma sicurezza
e distinzione solo attraverso la sua determinazio- ne mediante i concetti
scientifici relativi ai vari campi. E il rapporto reciproco di questi campi è
fondato infine su una intuizione totale del mondo storico. Così il nostro
esempio ci illustra la duplice relazione insita nell’intendere: l’intendere
presuppone l’Erleben, e l’Erleb- nis si eleva a esperienza della vita solo in
quanto l’intendere conduce al di fuori della ristrettezza e della soggettività
dell’Er- leben, nella regione della totalità e dell’universale. Inoltre, la
comprensione della personalità singola esige per la sua compiu- tezza il sapere
sistematico, come d'altra parte il sapere sistemati- co dipende dalla viva
penetrazione della singola unità vitale. La conoscenza della natura inorganica
si compie in una costru- 148 WILHELM DILTHEY zione scientifica nella quale il
grado sottostante è sempre indi- pendente da quello che esso fonda: invece
nelle scienze dello spirito tutto, a partire dal processo dell’intendere, è
determi- nato dal rapporto di reciproca dipendenza. A ciò corrisponde il corso
storico di queste discipline. La storiografia è in ogni punto condizionata
dalla conoscenza delle connessioni sistematiche che si intrecciano nel corso
storico, e la cui profonda investigazione determina il progredire dell’in-
tendere storico. Tucidide si fondava sul sapere politico sorto nella prassi dei
liberi stati greci, e sulle dottrine intorno allo stato sviluppatesi nel
periodo sofistico. Polibio ha riunito in sé l'intera saggezza politica
dell’aristocrazia romana, che in que- sto tempo era al culmine del suo sviluppo
sociale e spirituale, con lo studio delle opere politiche greche da Platone
fino allo Stoicismo. L’unione della saggezza politica fiorentina e venezia- na,
sviluppatasi in una élite assai evoluta e piena di vivaci dibattiti politici,
con il rinnovamento e la prosecuzione delle dottrine antiche ha reso possibile
la storiografia di Machiavelli e di Guicciardini. La storiografia ecclesiastica
di Eusebio”, dei sostenitori e degli avversari della Riforma, come Neander” e
Ritschl*, è piena di concetti sistematici riguardanti il processo religioso e
il diritto ecclesiastico. E infine la fondazione della storiografia moderna
nella scuola storica e in Hegel aveva die- tro di sé da un lato il legame della
scienza giuridica moderna con le esperienze dell’età rivoluzionaria e
dall’altro l’intera si- stematica delle scienze dello spirito sorte da poco.
Quando Ranke sembra avvicinarsi alle cose con ingenua gioia di narra- 6.
Eusebio di Cesarca (265-339), padre della Chiesa ispirato dal neoplatonismo,
au- tore del Chronicon, della Historia ecclesiastica, della Praeparatio
evangelica, della De- monstratio evangelica, del De ecclesiastica theologia e
di vari altri scritti, è una delle fonti principali per la storia del
Cristianesimo primitivo. Scrisse parecchi pampAlets di polemica anti-pagana, e
prese parte alla controversia tra Ario e Alessandro sull’inter- pretazione
della trinità. 7. Johann August Wilhelm Neander (1789-1850), storico della
chiesa e teologo te- desco, autore di diversi volumi sull’imperatore Giuliano,
su Bernardo di Chiaravalle, su Giovanni Crisostomo, su Tertulliano, nonché di
una Allgemeine Geschichte der christlichen Religion und Kirche (1825-45)
rimasta incompiuta. 8. Albrecht Ritschl (1822-1889), teologo protestante
tedesco, autore di Die Ent stehung der altkatholischen Kirche (1850), di Die
christliche Lehre von Rechifertigung und Versohnung (1870-74), della Geschichte
des Pietismus (1880-86), di Theologie und Metaphysik (1881) e di varie altre
opere. WILHELM DILTHEY 149 tore, la sua storiografia può venir tuttavia intesa
solo se si ripercorrono le molteplici fonti di pensiero sistematico, che si
sono incontrate nella sua formazione. E questa reciproca dipen- denza
dell’elemento storico e dell’elemento sistematico cresce sempre di più avvicinandoci
al presente. Proprio la critica storica, nei suoi lavori fondamentali, ha
mostrato la sua dipendenza non solo dallo sviluppo formale dei metodi ma anche
dalla più profonda penetrazione delle connes- sioni sistematiche, dai progressi
della grammatica, dallo studio della connessione del discorso, quale si è
sviluppato dapprima nella retorica, e inoltre dalla nuova concezione della
poesia — come ci appare sempre più chiaramente nel caso dei precursori di Wolf°
che hanno derivato le loro conclusioni su Omero da una nuova poetica — e dalla
nuova cultura estetica nel medesi- mo F. A. Wolf, dalle considerazioni
economiche, giuridiche e politiche in Niebuhr, dalla nuova filosofia congeniale
con Plato- ne in Schleiermacher, e in Baur!° dalla comprensione del pro- cesso
in cui si sono formati i dogmi, come l’avevano sviluppata Schleiermacher e
Hegel. E, viceversa, il progresso nelle scienze sistematiche dello spi- rito è
stato sempre condizionato dal movimento dell’Er/ebez verso nuove profondità,
dall’allargarsi dell’intendere in un mag- giore ambito di manifestazioni della
vita storica, dalla scoperta di fonti storiche fin allora ignote o
dall’emergere di grandi masse di esperienze in nuove situazioni storiche. Ciò è
già dimostrato dalla formazione delle prime linee di una scienza politica
nell’età dei Sofisti, di Platone e di Aristotele, così 9. Friedrich August Wolf
(1759-1824), pedagogista e filologo tedesco, autore della Geschichte der
ròmischen Literatur (1787), dei Prolecomena ad Homerum (1794), di una Enzyklopidie
der Philologie pubblicata postuma (1830), nonché di diversi altri vo- lumi di
argomento classicistico 0 pedagogico, occupa un posto importante nella storia
della critica omerica. 1o. Ferdinand Christian Baur (1792-1860), storico e
teologo tedesco, autore di Das manichdische Religionssystem (1831), di Die
christliche Gnosis oder die christliche Reli- gionsphilosophie in ihrer
geschichtlichen Entwicklune (1835), del LeArbuch der christ- lichen
Dogmengeschichte (1837), di Paulus der Apostel Jesu Christi (1845), di Die
Epochen der kirchlichen Geschichtsschreibung (1852-55) e di numerose altre
opere, tra cui le postume Vorlesungen ùber die christliche Dogmengeschichte
(1865-67), è il mag- giore esponente dell'atteggiamento razionalistico nella
storiografia religiosa della pri- ma metà dell'Ottocento, La sua concezione
della religione e della storia della religione si ispira in larga misura a
Hegel. 150 WILHELM DILTHEY come dall’origine di una retorica e di una poetica
in quanto teoria della creazione spirituale nella medesima epoca. Sempre tale
intreccio dell’Erleben con la comprensione di persone singole o di comunità
come soggetti sovra-individuali è stata determinante nei grandi progressi delle
scienze dello spiri- to. I geni dell’arte narrativa come Tucidide,
Guicciardini, Gib- bon, Macaulay ", Ranke producono anche nella loro
limitazio- ne opere storiche non soggette al tempo; e nella totalità delle
scienze dello spirito vi è dunque un progresso, in quanto viene gradualmente
conquistata alla coscienza storica la penetrazione delle connessioni che
cooperano nella storia, la storiografia si immerge nelle loro relazioni che
costituiscono una nazione, un'epoca, una linea di sviluppo storico, e di qui si
dischiudono poi profondità della vita, quali sono esistite nelle varie
situazio- ni storiche, che vanno al di Îà di ogni intendere precedente. Come
potrebbe venir comparata quella passata con la compren- sione che uno storico
odierno ha di artisti, poeti, scrittori? 3. La spiegazione graduale delle
manifestazioni della vita attra- verso la costante azione reciproca deî due
orientamenti scien- tifici. Il rapporto di condizionamento reciproco ci appare
dunque come rapporto fondamentale tra l’Erleden e l’intendere. Più da vicino,
esso viene a determinarsi come rapporto di spiegazio- ne graduale nella
costante azione reciproca tra le due classi di verità. L’oscurità dell’Erlebris
viene chiarita, gli errori derivan- ti dalla ristretta comprensione del
soggetto vengono corretti, l’Erlebnis medesimo è ampliato e completato
nell’intendimento di altre persone, come d’altra parte le altre persone sono
intese mediante i propri Erlebnisse. L'intendere allarga sempre più l'ambito
del sapere storico mediante la più intensa utilizzazio- ne delle fonti,
mediante il ritorno indietro nel passato finora non compreso, e infine mediante
il progredire della storia me- desima, che produce sempre nuovi avvenimenti
estendendo così 11. Thomas Babington Macaulay (1800-1859), uomo politico e
storico inglese, au- tore della History of England from the Accession of James
II (1849-61), nonché di nu- merosi Essays e Biographical Essays, recò nella sua
storiografia un'impostazione libe- rale: Dilthey si riferisce qui soprattutto
alle suc grandi qualità narrative. WILHELM DILTHEY ISI l'oggetto
dell’intendere. In tale procedere l'ampliamento di am- bito richiede sempre
nuove verità generali per la penetrazione di questo mondo della singolarità; e
l’estensione dell’orizzonte storico rende nel medesimo tempo possibile
l'elaborazione di concetti sempre più generali e sempre più fecondi. Così in
ogni punto e in ogni tempo si presenta, nel lavoro delle scienze dello spirito,
una circolarità di Erleden, di intendere e di rap- presentazione del mondo
spirituale in concetti generali. E ogni grado di questo lavoro possiede
un’unità interna nel suo appren- dimento del mondo spirituale, poiché la
conoscenza storica del singolare e le verità generali si sviluppano in
un'azione recipro- ca e quindi appartengono alla stessa unità
dell’apprendimento. A ogni grado l’intendimento del mondo spirituale è qualcosa
di omogeneo e unitario, dalla concezione del mondo spirituale ai metodi di
critica e di indagine particolare. Qui possiamo rivolgere ancora uno sguardo
all’epoca in cui è sorta la moderna coscienza storica. Essa è stata realizzata
quando l'elaborazione concettuale delle scienze sistematiche si è
coscientemente fondata sullo studio della vita storica, e la cono- scenza del
singolare è stata coscientemente fecondata dalle disci- pline sistematiche
dell'economia politica, del diritto, dello sta- to, della religione. A questo
punto poteva sorgere la compren- sione metodica della connessione delle scienze
dello spirito: il medesimo mondo spirituale diventa, secondo la diversità del
punto di vista da cui è considerato, oggetto di due classi di discipline. La
storia universale come connessione singolare, il cui oggetto è l’umanità, e il
sistema di scienze dello spirito indipendenti che si riferiscono all’uomo, al
linguaggio, all’eco- nomia, allo stato, al diritto, alla religione e all’arte,
si completa- no reciprocamente. Esse sono distinte dal fine e dai metodi che
questo determina, ma al tempo stesso cooperano nel loro costan- te legame alla
costruzione del sapere relativo al mondo spiritua- le: Erleben, rivivere e
verità generali sono legati dall’operazio- ne fondamentale dell’intendere.
L'elaborazione concettuale non è fondata su norme o valori che si presentano al
di lì dell’ap- prendimento oggettivo, ma sorge dal carattere dominante di ogni
pensiero concettuale, cioè dalla tendenza a porre in luce ciò che è stabile e
duraturo entro il corso del divenire, Il metodo si muove così in una duplice
direzione: nella tendenza 152 WILHELM DILTHEY verso il singolare procede dalla
parte al tutto e da questo di nuovo alla parte, e nella tendenza verso il
generale tra questo e il particolare ha luogo la medesima azione reciproca.
III. L’OGGETTIVAZIONE DELLA VITA 1. Se abbracciamo l’insieme di tutte le
operazioni dell’inten- dere, allora appare in esso, di fronte alla soggettività
dell'Er/ed- nis, l’oggettivazione della vita. Accanto all’Erlebris l’intuizio-
ne dell’oggettività della vita, e del suo manifestarsi in moltepli- ci
connessioni strutturali, diventa il fondamento delle scienze dello spirito.
L'individuo, le comunità e le opere in cui si sono trasposti la vita e lo
spirito, costituiscono il dominio esterno dello spirito. Queste manifestazioni
della vita, quali si presenta- no nel mondo esterno alla comprensione, sono per
così dire inserite nella connessione della natura. Questa grande realtà esterna
dello spirito ci circonda sempre: essa è una realizzazio- ne dello spirito nel
mondo sensibile, a partire dall’espressione fuggevole fino al dominio secolare
di una costituzione o di un testo giuridico. Ogni manifestazione particolare
della vita rap- presenta, nel campo di tale spirito oggettivo, ur elemento co-
mune. Ogni parola, ogni proposizione, ogni gesto e ogni for- mula di cortesia,
ogni opera d’arte e ogni impresa storica sono comprensibili solamente in quanto
un rapporto di comunanza unisce chi in essi si esprime con chi li intende;
l’indivi- duo vive, pensa e agisce di continuo in una sfera di comunan- za, e
solo in questa può intendere. Tutto ciò che viene inteso reca, per così dire,
il marchio della sua conoscibilità in base a questa comunanza: noi viviamo in
questa atmosfera, che ci circonda costantemente, e siamo immersi in essa. Noi
siamo ovunque a casa in questo mondo storico che intendiamo, ne penetriamo il
senso e il significato, siamo coinvolti in questi rapporti di comunanza. Il
mutare delle manifestazioni della vita, che agiscono su di Noi, ci spinge di
continuo a una nuova comprensione; ma nel medesimo tempo anche nell’intendere
si ha, poiché ogni mani- festazione della vita e la sua comprensione sono
legate ad altre, un movimento che progredisce secondo i rapporti di WILHELM
DILTHEY 153 affinità dal singolo individuo dato verso il tutto. E, crescendo le
relazioni tra ciò che è affine, aumentano nel medesimo tem- po le possibilità
di generalizzazione già racchiuse nella comu- nanza come determinazione di ciò
che è inteso. Nell’intendere si fa valere anche un'ulteriore qualità dell’og-
gettivazione della vita, che determina tanto l'articolazione se- condo affinità
quanto la tendenza della generalizzazione. L’og- gettivazione della vita
contiene in sé una molteplicità di ordini articolati. Dalla distinzione delle
razze fino alla diversità delle forme di espressione e dei costumi in una
stirpe, in una città, vi è un'articolazione di differenze spirituali
condizionata su base naturale. Differenze di altro tipo si presentano nei
sistemi di cultura, altre separano tra loro le epoche — in breve, molte linee
che delimitano da qualche punto di vista ambiti di vita affine attraversano il
mondo dello spirito oggettivo e si incrocia- no in esso. La pienezza della vita
si manifesta in innumerevoli sfumature e viene compresa mediante il ricorrere
di tali diffe- renze. Mediante l’idea dell’oggettivazione della vita noi
pervenia- mo per la prima volta a gettare uno sguardo sull’essenza di ciò che è
storico. Tutto è qui sorto dall’attività spirituale e reca quindi il carattere
della storicità: perfino nel mondo sensibile esso si inserisce come prodotto
della storia. Dalla distri- buzione degli alberi in un parco, dalla
disposizione delle case in una strada, dallo strumento appropriato di un
artigiano fino alla sentenza del tribunale, tutto è intorno a noi, a ogni ora,
storicamente divenuto. Ciò che lo spirito immette oggi del proprio carattere
nella sua manifestazione di vita, è domani, quando ci sta dinanzi, storia. Col
procedere del tempo noi siamo attorniati dalle rovine di Roma, da cattedrali,
dai ca- stelli della monarchia assoluta. La storia non è nulla di separa- to
dalla vita, nulla di staccato dal presente a causa della sua distanza nel
tempo. Guardiamo il risultato: le scienze dello spirito hanno, come loro datità
complessiva, l’oggettivazione della vita. Ma in quan- to l’oggettivazione della
vita diventa per noi qualcosa di inte- so, essa racchiude sempre, in quanto
tale, la relazione dell’ester- no all’interno. Perciò tale oggettivazione è
ovunque legata nel- l’intendere all’Er/eben, in cui all'unità della vita si
dischiude 154 WILHELM DILTHEY il suo contenuto, permettendo così ad essa di
interpretare quel- lo di tutte le altre. Dal momento che qui stanno i dati
delle scienze dello spirito, risulta pure che tutto ciò che è stabile ed
estraneo, in quanto proprio alle immagini del mondo fisico, deve venir
eliminato dal concetto del dato proprio di questo campo. Tutto il dato è qui venuto
alla luce, e quindi è storico; è inteso, e quindi contiene in sé un elemento
comune; è noto in quanto è inteso, e contiene in sé un raggruppamento del
molteplice, poiché già l’interpretazione del manifestarsi della vita
nell’intendere superiore poggia su un raggruppamento. An- che il procedimento
di classificazione di tali manifestazioni è quindi già presente nei dati delle
scienze dello spirito. E qui viene a completarsi il concetto delle scienze
dello spirito. Il loro ambito si estende quanto l’intendere, e l’intende- re ha
il suo oggetto unitario nell’oggettivazione della vita. Così il concetto di
scienza dello spirito è determinato, in base all’am- bito dei fenomeni che
rientrano in essa, mediante l’oggettivazio- ne della vita nel mondo esterno. Lo
spirito intende soltanto ciò che esso stesso ha creato. La natura, cioè
l’oggetto della scienza naturale, comprende la realtà prodotta
indipendentemente dall’o- pera dello spirito. Tutto ciò in cui l'uomo ha
impresso, operan- do, la sua impronta, costituisce l’oggetto delle scienze
dello spirito. E anche l’espressione « scienza dello spirito » riceve a questo
punto la sua giustificazione. Si è nel passato discorso dello spirito delle
leggi, del diritto, della costituzione: ora possiamo dire che tutto ciò in cui
lo spirito si è oggettivato, rientra nell’ambito delle scienze dello spirito.
2. Io ho finora designato questa oggettivazione della vita anche con il nome di
spirito oggettivo: tale termine è stato profondamente e felicemente coniato da
Hegel. Debbo però indicare anche con precisione il senso in cui lo uso,
distinguen- dolo da quello che Hegel gli attribuisce. Tale distinzione ri-
guarda tanto il posto sistematico del concetto quanto la sua finalità e il suo
ambito. Nel sistema hegeliano il termine designa un grado nello sviluppo dello
spirito, un grado posto tra lo spirito soggetti- vo e lo spirito assoluto. Il
concetto di spirito oggettivo ha WILHELM DILTHEY 155 pertanto presso di lui il
suo posto nella costruzione ideale dello sviluppo dello spirito, la quale trova
il suo substrato reale nella realtà storica e nelle relazioni che in essa
sussistono e si propo- ne di comprenderla speculativamente, lasciando così alle
sue spalle le relazioni temporali, empiriche, storiche. L'idea, la qua- le
nella natura si manifesta nel suo essere altro, estraniandosi da sé, ritorna in
se stessa nello spirito, sul fondamento di tale natura. Lo spirito del mondo
ritorna alla sua pura idealità, realizzando la sua libertà nel suo sviluppo.
Come spirito soggettivo esso è la molteplicità degli spiriti individuali; e
poiché in questa il volere si realizza sulla base della conoscenza dello scopo
razionale attuantesi nel mondo, nello spirito individuale si compie il
passaggio alla libertà. In tal modo è dato il fondamento per la filosofia dello
spirito oggettivo. Questa mostra come la volontà libera razionale, e quindi in
sé universale, viene a oggettivarsi in un mondo eti- co: «questa libertà, che
ha il contenuto e lo scopo della li- bertà, è anzitutto soltanto concetto,
principio dello spirito e del cuore, ed è destinata a svilupparsi come
oggettività, come realtà giuridica, etica e religiosa e come realtà scientifica
» *. In tal modo è posto lo sviluppo dallo spirito oggettivo allo spirito
assoluto: «lo spirito oggettivo è l’idea assoluta, ma solo come idea che è in
sé; e in quanto esso è sul terreno della finitudine, la sua razionalità reale
conserva in sé l’aspetto dell’apparenza esterna » È. L'oggettivazione dello
spirito si compie nel diritto, nella moralità e nell’eticità. L’eticità
realizza la volontà razionale universale nella famiglia, nella società civile e
nello stato; e lo stato realizza nella storia universale la sua essenza, in
quanto realtà esterna dell'idea etica. In tal modo la costruzione ideale del
mondo storico ha rag- giunto il punto in cui i due gradi dello spirito, la
volontà razionale universale del soggetto singolo e la sua oggettivazione nel
mondo etico come sua superiore unità, rendono possibile a. Hecet, Werke, vol. VII,
parte II (1845), p. 375 [EnzyK/opadie der philosophischen Wissenschaften, parte
III, $ 482]. b. Op. cit., p. 376 [EnzyKWopidie der philosophischen
Wissenschaften, parte III, $ 483]. 156 WILHELM DILTHEY l’ultimo e massimo
grado: il sapere che lo spirito ha di se stesso come forza creatrice di ogni
realtà nell’arte, nella religio- ne e nella filosofia. «Lo spirito soggettivo e
oggettivo devono esser considerati il cammino su cui si» costituisce la suprema
realtà dello spirito, lo spirito assoluto. Qual è stata la posizione e
l’importanza storica di questo concetto dello spirito oggettivo, scoperto da
Hegel? L’Illumini- smo tedesco, troppo spesso disconosciuto, aveva posto in
luce il significato dello stato come il più ampio ente collettivo che realizza
l’eticità intrinseca degli individui. Mai dopo i giorni dei Greci e dei Romani
la comprensione dello stato e del diritto è stata più fortemente e
profondamente espressa come in Carmen, Svarez, Klein, Zedlitz, Herzberg, i
massimi funziona- ri dello stato federiciano!. Questa intuizione dell’essenza e
del valore dello stato si è unita in Hegel con le idee antiche di eticità e di
stato, e con la penetrazione della realtà di queste idee nel mondo antico: egli
ha fatto così valere il significato dei rapporti di comunanza nella storia. La
scuola storica perve- niva nello stesso tempo, sulla strada della ricerca
storica, alla scoperta dello spirito collettivo, a cui Hegel era giunto median-
te una propria specie di intuizione storico-metafisica. Anch'essa perveniva a
una comprensione, che andava oltre i filosofi ideali- stici greci, dell’essenza
della comunità, quale si manifesta nel costume, nello stato, nel diritto e
nella fede, e che non può venir derivata dal cooperare degli individui. In tal
modo sorge- va in Germania la coscienza storica. Hegel ha raccolto il risultato
di tutto questo movimento in un solo concetto — nel concetto di spirito
oggettivo. Ma i 12. Johann Heinrich Casimir barone von Carmer (1720-1801), fu
dal 1779 al 1795 gran cancelliere e presidente della Commissione Icgislativa
dello stato prussiano; sot- to la sua direzione fu pubblicato, nel 1780-81, il
primo volume del Corpus iuris Frie- dericianum. — Karl Gottlieb Svarez
(1746-1798), collaborò alla redazione del codice prussiano, — Ernst Ferdinand
Klein (1744-1810), anch'egli collaboratore di Carmer nel- la redazione del
codicc prussiano, autore dei Grundsùtze des gemeinen deutschen pein- lichen
Rechts (1799) e di mumerose altre opere giuridiche, soprattutto di carattere
pe- nalistico. — Karl Abraham barone von Zedlitz (1731-1793), ministro di
Federico II, ebbe gran parte nella riforma del sistema scolastico prussiano. —
Ewald Herzberg (1725- 1795), anch'egli ministro sotto il regno di Federico II,
autore del Mémoire raisonné con cui il sovrano cercò di giustificare nel 1756
l'invasione della Sassonia, che diede ini- zio alla Guerra dei sette anni.
WILHELM DILTHEY 157 presupposti sui quali Hegel ha fondato questo concetto non
possono più venir mantenuti. Egli ha costruito le comunità sulla base della
volontà universale della ragione: noi dobbiamo oggi muovere dalla realtà della
vita, poiché nella vita opera la totalità della connessione psichica. Hegel ha
costruito metafisi- camente; noi analizziamo il dato. E l’analisi attuale
dell’esisten- za umana suscita in tutti noi la coscienza della fragilità, della
forza dell'impulso oscuro, della sofferenza derivante dalle tene- bre e dalle
illusioni, della finitudine presente in tutto ciò che è vita, anche dove da
essa derivano le supreme forme della vita della comunità. Non possiamo quindi
intendere lo spirito ogget- tivo sulla base della ragione, ma dobbiamo rifarci
alla connes- sione strutturale delle unità viventi che si continua nelle comu-
nità. E non possiamo costringere lo spirito oggettivo entro una costruzione
ideale, ma dobbiamo piuttosto porre a base la sua realtà nella storia. Noi
cerchiamo di intendere e di rappresenta- re con concetti adeguati questa realtà.
E in quanto lo spirito oggettivo viene così liberato dalla sua fondazione
unilaterale in una ragione universale, che esprimeva l’essenza dello spirito
del mondo, e liberato anche dalla costruzione ideale, diventa allora possibile
un nuovo concetto di esso, il quale comprende il linguaggio, il costume, ogni
specie di forma della vita e di stile di vita al pari della famiglia, della
società civile, dello stato e del diritto. Così cade anche quello che Hegel ha
distin- to, rispetto allo spirito oggettivo, come spirito assoluto: arte,
religione e filosofia rientrano in questo concetto, poiché proprio in esse
l'individuo creatore si mostra nel medesimo tempo co- me rappresentante della
comunanza spirituale, e lo spirito si oggettiva proprio in tali forme vigorose,
e può esservi ricono- sciuto. Questo spirito oggettivo contiene certo in sé
un’articolazio- ne, che va dall’umanità fino ai tipi di minore estensione: in
esso agisce questa articolazione, cioè il principio di individua- zione. E
quando l’individuale viene appreso nell’intendere, in base a ciò che è
universalmente umano e attraverso la sua mediazione, si ha un rivivere della
connessione interna che conduce da ciò che è universalmente umano alla sua
individua- zione. Questo movimento viene appreso nella riflessione, e la 158
WILHELM DILTHEY psicologia individuale abbozza la teoria che fonda la possibi-
lità dell’individuazione *. A base delle scienze sistematiche dello spirito sta
pertanto lo stesso rapporto tra le uniformità, che stanno a fondamento, e l'individuazione
che sorge sulla loro base — cioè il rapporto tra teorie generali e procedimenti
comparativi. Le verità genera- li, quali possono esservi accertate a proposito
della vita etica o della poesia, diventano così il fondamento per la
penetrazio- ne delle differenze dell’ideale morale o dell’attività poetica. E
in questo spirito oggettivo tutte le realtà del passato, in cui si sono formate
le grandi forze totali della storia, sono diventate presente. L'individuo, come
portatore e rappresentan- te dei rapporti di comunanza che in lui sono
intrecciati, gode e penetra la storia in cui essi sono sorti. Esso intende la
storia perché è un essere storico. In un ultimo punto il concetto qui formulato
di spirito oggettivo si distingue da quello di Hegel. Sostituendo alla ra-
gione universale di Hegel la vita nella sua totalità, l’Er/ebnis, l’intendere,
la connessione della vita storica, la forza dell’irra- zionale in essa
presente, sorge il problema della possibilità della scienza storica. Per Hegel
questo problema non esisteva: la sua metafisica, nella quale lo spirito del
mondo, la natura come sua alienazione, lo spirito oggettivo come sua
realizzazione e lo spirito assoluto fino alla filosofia come attuazione della
sua autocoscienza interiore sono identici, lascia alle sue spalle que- sto
problema. Ma oggi occorre viceversa riconoscere il dato del- le manifestazioni
storiche della vita come il vero fondamento del sapere storico, e trovare un
metodo per affrontare la questio- ne della possibilità di un sapere universalmente
valido intorno al mondo storico sulla base di questo dato. IV. IL MonDo
SPIRITUALE COME CONNESSIONE DINAMICA Così nell’Erleben e nell’intendere —
attraverso l’oggettiva- zione della vita — si apre dinanzi a noi il mondo
spirituale. E a. Cfr. il mio saggio Beitrige zum Studium der Individualitàt, «
Sitz- ungsberichte der koniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften », 1896,
pp. 295-335 [ora in Ges. Schr., vol. V, pp. 241-316]. WILHELM DILTHEY 159 il
nostro compito è ora quello di determinare più da vicino nella sua essenza
questo mondo dello spirito, questo mondo storico e sociale, in quanto oggetto
delle scienze dello spirito. Riprendiamo anzitutto i risultati delle indagini
precedenti in rapporto alla connessione delle scienze dello spirito. Questa
connessione poggia sul rapporto tra Erleben e intendere, e da ciò derivano tre
princìpi fondamentali. L'ampliamento del no- stro sapere intorno a ciò che è
dato nell’Erleder si compie mediante l’interpretazione delle oggettivazioni
della vita, e que- sta interpretazione è a sua volta possibile soltanto sulla
base della profondità soggettiva dell’Erledez. Così pure la compren- sione del
singolare è possibile soltanto mediante la presenza in esso del sapere
generale, e questo ha a sua volta il proprio presupposto nell’intendere.
Infine, la comprensione di una parte del corso storico si compie pienamente
solo mediante la relazio- ne della parte col tutto, e l’analisi
storico-universale della totali- tà presuppone la comprensione delle parti che
sono in essa unite. In tal modo viene in luce la reciproca dipendenza in cui
stanno tra loro l'apprendimento di ogni particolare elemento oggettivo delle
scienze dello spirito nella totalità storico-sociale di cui l'elemento fa
parte, e la rappresentazione concettuale di questa totalità nelle scienze
sistematiche dello spirito. Così nel progresso delle scienze dello spirito, in
ogni punto del loro corso, si rivelano l’azione reciproca dell’Erleben e
dell'intende- re nell’apprendimento del mondo spirituale, la dipendenza reci-
proca del sapere generale e del sapere singolare, e infine la graduale
spiegazione del mondo spirituale. Perciò noi li ritro- viamo in tutte le
operazioni delle scienze dello spirito, in quan- to formano in generale il
substrato della loro struttura. Così noi dovremo riconoscere la dipendenza
reciproca di interpreta- zione, critica, collegamento delle fonti, sintesi di
una connessio- ne storica: un rapporto simile sussiste nella formazione dei
concetti di soggetti quali l'economia, il diritto, la filosofia, l’arte, la
religione, che designano le connessioni dinamiche di diverse persone in una
operazione comune. Ogni volta che il pensiero scientifico cerca di compiere
un’elaborazione concettua- le, la determinazione dei segni distintivi costituenti
il concetto presuppone pure la constatazione degli stati di fatto che devono
160 WILHELM DILTHEY esser compresi nel concetto; e la constatazione e la scelta
di questi stati di fatto esige segni distintivi, sulla base dei quali poter
decidere sulla loro appartenenza all'ambito del concetto. Per determinare il
concetto di poesia, io debbo trarlo da quegli stati di fatto che costituiscono
l’ambito di tale concetto, e per constatare quali opere appartengano alla
poesia debbo già posse- dere un segno distintivo sulla base del quale l’opera
può venir riconosciuta come poetica. Questo rapporto è quindi il carattere più
generale della struttura delle scienze dello spirito. 1. Carattere generale
della connessione dinamica del mondo spi- rituale. Da ciò deriva il compito di
concepire il mondo spirituale come una connessione dinamica, cioè come una
connessione contenuta nei suoi prodozti duraturi. Le scienze dello spirito
hanno il loro oggetto in questa connessione dinamica e nelle sue creazioni.
Esse analizzano sia tale connessione sia quella logica, estetica, religiosa,
che si manifesta in solide formazioni e che caratterizza i vari tipi di queste,
sia la connessione presen- te in una costituzione o in un libro giuridico, che
si riferisce poi appunto alla connessione dinamica da cui è sorta. Questa
connessione dinamica si distingue dalla connessione causale della natura in
quanto, conformemente alla struttura della vita psichica, essa produce valori e
realizza scopi. E inve- ro non è un fatto occasionale, ma dipende dalla
struttura stessa dello spirito che questo produca valori e realizzi scopi nella
propria connessione dinamica, sulla base dell’apprendimento: tale carattere può
venir definito il carattere teleologico imma- nente delle connessioni dinamiche
dello spirito. Con ciò inten- do una connessione di operazioni, che è fondata
nella struttura di una connessione dinamica. La vita storica crea; essa è
conti- nuamente attiva nella produzione di beni e di valori, e tutti i concetti
relativi sono soltanto riflessi di questa sua attività. I portatori di questa
costante creazione di valori e di beni nel mondo spirituale sono individui,
comunità e sistemi di cultura in cui gli individui agiscono insieme. La
cooperazione tra gli individui è determinata dal fatto che essi si sottopongo- Wilhelm
Dilthey intorno al 190 WILHELM DILTHEY 16I no a regole per la realizzazione dei
valori e si prefiggono degli scopi. Così in ogni specie di questa cooperazione
c’è un rappor- to vitale, che inerisce all’essenza dell’uomo e lega tra loro
gli individui — quasi come un nucleo che non si può afferrare psicologicamente,
ma che si manifesta in ogni sistema di rela- zioni tra uomini. L’azione entro
di esso è condizionata dalla connessione strutturale tra l'apprendimento, gli
stati psichici che si esprimono nella scelta di valori e quelli che consistono
nella posizione di scopi, di beni e di norme. Questa connessio- ne dinamica si
rivela in primo luogo negli individui. In quanto poi essi sono punti di
incrocio tra sistemi di relazioni, di cui ognuno costituisce un centro
permanente di attività, entro tali sistemi vengono a svilupparsi beni comuni e
forme di attuazio- ne di tali beni secondo regole, a cui viene attribuita una
specie di validità incondizionata. Ogni relazione permanente tra indi- vidui
racchiude perciò in sé uno sviluppo nel quale valori, regole e scopi vengono
prodotti, elevati a coscienza e consolida- ti nel corso dei processi del
pensiero. Questa creazione che si compie in individui, comunità, sistemi di
cultura, nazioni, sot- to le condizioni naturali che sempre offrono a essa il
suo mate- riale e la sua spinta, perviene nelle scienze dello spirito alla
riflessione su se stessa. Da tale connessione strutturale deriva poi che ogni
unità spirituale 4a il suo centro in se stessa. Come l’individuo, così anche
ogni sistema di cultura e ogni comunità ha il suo centro entro di sé; in virtù
di esso l’apprendimento della realtà, la valutazione e la produzione di beni
sono collegati in un com- plesso unitario. Ora si presenta un nuovo rapporto
fondamentale nella con- nessione dinamica che costituisce l'oggetto delle
scienze dello spirito. I diversi soggetti creativi sono intrecciati in più
ampie connessioni storico-sociali, come le nazioni, le età, i periodi storici.
Così sorgono forme più complicate di connessione sto- rica. I valori, gli
scopi, i nessi che in esse si presentano, portati da individui, comunità,
sistemi di relazioni, debbono essere compenetrati dallo storico. Essi debbono
venir comparati, ponendo in luce l'elemento comune che è in essi e raccogliendo
le diverse connessioni dinamiche in sintesi. E qui dall’autocen- tralità,
intrinseca a ogni unità storica, deriva un’altra forma di 11. STORICISMO
TEDESCO. 162 WILHELM DILTHEY unità. Ciò che opera nel medesimo tempo in un nesso
recipro- co, come individui e sistemi di cultura e comunità, vive in un
continuo scambio spirituale e completa anzitutto la sua vita psichica con
quella altrui: già le nazioni vivono più sovente in una forte chiusura
reciproca e hanno perciò il loro orizzonte proprio; se però considero un
periodo come quello medievale, il suo ambito visuale è separato da quello dei
periodi preceden- ti. Anche quando i risultati di tali periodi mantengono la
loro influenza, essi vengono tuttavia assimilati nel sistema del mon- do
medievale. Questo ha così un orizzonte chiuso. E un'epoca è così incentrata in
se stessa în un muovo senso. Le varie persone dell’epoca hanno il criterio di
misura del loro operare in un elemento comune. Il nesso delle connessioni
dinamiche nella società dell’epoca ha tratti simili. Le relazioni dell’appren-
dimento oggettivo mostrano in essa una interna affinità; il modo di sentire, la
vita dell'animo, gli impulsi che ne deri- vano sono affini tra loro. E così
anche il volere si sceglie scopi uniformi, mira agli stessi beni e si trova
vincolato in maniera simile. È compito dell’analisi storica ritrovare negli
scopi, nei valori, nei modi di pensare concreti la concordanza in un ele- mento
comune che domina l’epoca. Proprio da questo elemento comune sono determinate
anche le antitesi che qui si presenta- no. Così ogni azione, ogni pensiero,
ogni creazione comune, in breve ogni parte di questa totalità storica acquista
la propria significatività in virtù del suo rapporto con la totalità dell’epo-
ca o dell’età. E quando lo storico giudica, egli constata ciò che l'individuo
ha compiuto in tale connessione, e anche in quale misura il suo sguardo e il
suo operare sono andati già oltre di essa. Il mondo storico come una totalità,
questa totalità come una connessione dinamica, questa connessione dinamica come
pro- duttrice di valori e di scopi, cioè creatrice, quindi la compren- sione di
questa totalità in base a se stessa, infine l’autocentrali- tà dei valori e
degli scopi nelle età, nelle epoche, nella storia universale — questi sono i
punti di vista da cui deve essere concepita la connessione, a cui dobbiamo
pervenire, delle scien- ze dello spirito. Così il rapporto immediato della
vita, dei suoi valori e dei suoi scopi con l’oggetto storico viene gradualmente
sostituito nella scienza, in base alla sua tendenza alla validità WILHELM
DILTHEY 163 universale, dall'esperienza delle relazioni immanenti che sussi-
stono nella connessione dinamica del mondo storico tra la forza attiva, i
valori, gli scopi, il significato e il senso. Soltanto su questo terreno della
storia oggettiva può sorgere il proble- ma se e come siano possibili le
previsioni sul futuro e sulla subordinazione della nostra vita a fini comuni
dell’umanità. L’apprendimento della connessione dinamica si forma in pri- mo
luogo in chi ne ha coscienza immediata, per il quale la successione del
divenire interiore si sviluppa in relazioni struttu- rali. E tale connessione è
poi ritrovata, mediante l’intendere, in altri individui. La forma fondamentale
della connessione sorge così nell’individuo, riunendo il presente, il passato e
le possibili- tà del futuro in un corso vitale: questo corso si riproduce poi
nel corso storico, in cui sono inserite le unità della vita. In quanto lo
spettatore di un avvenimento vede connessioni più ampie o una narrazione le
racconta, sorge l'apprendimento dei fatti storici. E in quanto questi assumono
un posto nel corso temporale, presupponendo in ogni punto l’azione del passato
e spingendo le loro conseguenze fin nel futuro, ogni avvenimen- to implica un
movimento ulteriore e il presente conduce avan- ti verso il futuro. Altri modi
di connessione sussistono in opere che, scisse dai loro autori, recano in sé la
propria vita e la propria legge. Prima di spingerci entro la connessione
dinamica da cui esse sono sorte, noi cogliamo le connessioni sussistenti
nell’opera compiuta. Nell’intendere sorge la connessione logica in cui so- no
legati tra di loro i princìpi giuridici che formano un libro di diritto. Se
leggiamo una commedia di Shakespeare, trovia- mo che gli elementi di un
accadimento, legati secondo i rappor- ti di tempo e di azione, sono qui elevati
secondo le leggi della composizione poetica a un’unità che li solleva,
all’inizio e alla fine, al di fuori del corso dinamico collegando le loro parti
in una totalità. 2. La connessione dinamica come concetto fondamentale delle
scienze dello spirito. Nelle scienze dello spirito noi cogliamo il mondo
spirituale sotto forma di connessioni che si formano nel corso temporale. 164
WILHELM DILTHEY Operare, energia, corso temporale, accadere sono quindi i mo-
menti che caratterizzano l’elaborazione concettuale delle scien- ze dello
spirito. Da queste determinazioni di contenuto non dipende però la funzione
generale del concetto nella connessio- ne delle scienze dello spirito, la quale
richiede determinatezza e costanza in tutti i giudizi. I caratteri di un
concetto, il cui nesso ne forma il contenuto, debbono soddisfare tali esigenze;
e le asserzioni, in cui i concetti sono collegati, non debbono conte- nere
contraddizioni né entro di sé né tra di loro. Questa validi- tà indipendente
dal corso temporale, che sussiste in tal modo nella connessione del pensiero e
determina la forma dei concet- ti, non ha alcun rapporto con il fatto che il contenuto
dei con- cetti propri delle scienze dello spirito può rappresentare il corso
temporale, l’operare, l'energia e l’accadere. Noi vediamo operante nella
struttura dell'individuo una ten- denza o una forza impulsiva che si partecipa
a tutte le forme più complesse del mondo spirituale. In questo mondo si presen-
tano forze collettive che si fanno valere in una determinata direzione nella
connessione storica. Tutti i concetti delle scien- ze dello spirito, in quanto
rappresentano qualche elemento del- la connessione dinamica, contengono in sé
questo carattere di processo, di corso, di accadere o di agire. E quando le
oggetti- vazioni della vita spirituale vengono analizzate come qualcosa di
compiuto, quasi di fisso, resta sempre il compito ulteriore di penetrare la
connessione dinamica in cui tali oggettivazioni sono sorte. In un ambito più
vasto i concetti delle scienze dellospirito sono rappresentazioni fissate di un
procedere, e costitui- scono la solidificazione nel pensiero di ciò che è corso
o direzio- ne di movimento. Pure le scienze sistematiche dello spirito
racchiudono il compito di un'elaborazione concettuale, che esprime la tendenza
insita nella vita, la sua mutabilità e la sua mobilità, ma soprattutto la
finalità che vi si realizza. E nelle scienze dello spirito, sia storiche sia
sistematiche, si presenta il compito ulteriore di dare alle relazioni una
corrispondente ela- borazione concettuale. È stato merito di Hegel aver cercato
di esprimere nella sua logica l'incessante corrente dell’accadere. Ma è stato
suo errore ritenere che tale esigenza fosse inconciliabile con il principio di
contraddizione: contraddizioni non risolubili sorgono soltan- WILHELM DILTHEY
165 to se si vuol spiegare il fatto del fluire della vita. E altrettanto
erroneo è stato, ed è, giungere da tale presupposto al rifiuto
dell’elaborazione concettuale sistematica nel campo storico. Co- sì nel metodo
dialettico di Hegel la varietà della vita storica è venuta a irrigidirsi,
mentre gli avversari dell’elaborazione con- cettuale sistematica nel campo
storico lasciano sprofondare in una profondità irrappresentabile della vita la
molteplicità dell’e- sistenza. A questo punto si può comprendere la più
profonda inten- zione di Fichte. Nel faticoso approfondirsi dell’io in se
medesi- mo, esso si ritrova non come sostanza, essere, datità, ma come vita,
attività, energia. In tale modo egli aveva già elaborato i concetti che
esprimono l’energia del mondo storico. 3. Il procedimento di determinazione
delle connessioni dinami- che particolari. La connessione dinamica è in sé
sempre complessa. Il punto di partenza è un’azione particolare, per la quale
cerchiamo — procedendo indietro — i momenti causanti. Tra i molti fattori, ne è
determinabile soltanto un numero limitato che abbia im- portanza per questa
azione. Quando ricerchiamo l'intreccio del- le cause del mutamento della nostra
letteratura, in virtù del quale è stato superato l’Illuminismo, distinguiamo
allora grup- pi di cause, ci sforziamo di misurarne l'influenza, e delimitia-
mo in qualche modo lo sconfinato contesto causale secondo il significato dei
momenti e secondo i nostri scopi. Così poniamo in luce una connessione dinamica
per spiegare il mutamento in questione. D'altra parte noi distinguiamo, in
un'analisi metodi- ca condotta da diversi punti di vista, le connessioni
particolari presenti nella concreta connessione dinamica; e su questa anali- si
poggia precisamente il progresso che ha luogo sia nelle scien- ze sistematiche
dello spirito sia nella storia. L’induzione, che constata i fatti e i nessi
causali, la sintesi che lega tra loro con l’aiuto dell’induzione le connessioni
causa- li, l’analisi che distingue tra loro singole connessioni dinami- che, la
comparazione — questi, o equivalenti, sono i modi in cui si costituisce in
prevalenza la nostra conoscenza della con- nessione dinamica. E noi applichiamo
gli stessi metodi quando 166 WILHELM DILTHEY indaghiamo le creazioni durature
scaturite da questa connessio- ne dinamica — quadri, statue, drammi, sistemi
filosofici, scrit- ti religiosi, libri giuridici. La connessione in essi
presente è diversa secondo il loro carattere, ma anche qui l’analisi dell’in-
sieme dell’opera su base induttiva e la ricostruzione sintetica della totalità
in base alla relazione delle sue parti, sempre su base induttiva, si
intrecciano tra loro con la costante presenza di verità generali. A questa
tendenza del pensiero verso la connessione è legata nelle scienze dello spirito
un’altra tenden- za che, procedendo dal particolare al generale e viceversa,
inda- ga le regolarità presenti nelle connessioni dinamiche. Qui si manifesta
il più ampio rapporto di reciproca dipendenza tra le forme di procedimento. Le
generalizzazioni servono a formare delle connessioni, e l’analisi della
concreta connessione universa- le in connessioni particolari è la strada più
feconda per la scoperta di verità generali. Se si tiene presente il
procedimento di constatazione delle connessioni dinamiche nelle scienze dello
spirito, viene in luce la grande differenza che lo separa da quello che ha reso
possibi- li gli enormi successi delle scienze della natura. Le scienze della
natura hanno a proprio fondamento la connessione spazia- le dei fenomeni: la
numerabilità e la misurabilità di ciò che si estende spazialmente o si muove
nello spazio rendono in esse possibile la scoperta di leggi generali esatte. Ma
l’interna con- nessione dinamica è solo aggiunta dal pensiero, e i suoi elemen-
ti ultimi non possono venir indicati. Invece, come abbiamo visto, le unità
ultime del mondo storico sono date nell’Erleden e nell’intendere. Il loro
carattere di unità è fondato nella con- nessione strutturale in cui sono
collegati l'apprendimento ogget- tivo, i valori e la posizione di scopi. Noi
abbiamo un’esperien- za vissuta di questo carattere dell'unità vivente anche
per il fatto che può costituire uno scopo soltanto ciò che è posto nel suo
volere, che è vero soltanto ciò che trova conferma di fronte al suo pensiero, e
che possiede valore per essa soltanto ciò che ha un rapporto positivo con il
suo sentire. Il correlato di questa unità vivente è il corpo che si muove e
opera in base a un impulso interno. Il mondo storico-sociale dell’uomo è
costitui- to da queste viventi unità psico-fisiche: tale è il risultato sicuro
dell’analisi. E anche la connessione dinamica di queste unità WILHELM DILTHEY
167 mostra poi qualità particolari che non sono esaurite dai rappor- ti di
unità e di pluralità, di tutto e di parte, di composizione e di azione
reciproca. Procedendo, l’unità vivente risulta una connessione dinami- ca che
si pone al di là della natura in quanto viene immediata- mente vissuta, ma le
cui parti attive non possono venir misura- te secondo la loro intensità bensì
solo valutate, e la cui indivi- dualità non può venir scissa dall’elemento
umano comune, di modo che l’umanità è soltanto un tipo indeterminato. Pertanto
ogni stato particolare nella vita psichica è una nuova posizione dell’intera
unità vivente, un rapporto della sua totalità con le cose e con gli uomini; e,
in quanto ogni manifestazione della vita procedente da una comunità o
appartenente alla connessio- ne dinamica di un sistema di cultura è il prodotto
del coopera- re di varie unità viventi, gli elementi di queste forme compo- ste
rivestono un carattere corrispondente. Per quanto ogni pro- cesso psichico
appartenente a tale totalità possa dipendere dal- l'intenzione della
connessione dinamica, tuttavia questo proces- so non è mai determinato da essa
in maniera esclusiva. L'indivi- duo, in cui esso si compie, si inserisce come
unità vivente nella connessione dinamica; e nella sua manifestazione esso opera
come totalità. La natura, per la differenziazione dei sensi di cui ognuno
racchiude un ambito di qualità sensibili omogenee, è distinta in diversi
sistemi ognuno dei quali è internamente omogeneo. Lo stesso oggetto, una
campana ad esempio, è duro, bronzeo, capace di produrre al rintocco una serie
di suoni; e ognuna delle sue proprietà occupa un posto in uno dei sistemi
dell’apprendimento sensibile, senza che ci sia data una connes- sione interna tra
queste qualità. Nell’Erlebder io esisto a me stesso come connessione. Ogni
situazione mutata produce una nuova posizione della vita intera. Del pari in
ogni manifestazio- ne della vita, che appare dinanzi alla nostra comprensione,
opera sempre tutta la vita. Perciò né nell’Erleden né nell’inten- dere ci sono
dati sistemi omogenei, che ci consentano scoprire leggi di mutamento. Comunanza
e affinità si presentano a noi nell’intendere, e questo ci porta d’altro lato a
cogliere innume- revoli sfumature di differenziazione, dalle grandi distinzioni
tra razze, stirpi e popoli, fino all’infinita molteplicità degli individui.
Perciò nelle scienze della natura domina la legge dei 168 WILHELM DILTHEY
mutamenti, mentre nel mondo spirituale domina la comprensio- ne dell’individualità,
dalla persona singola all'umanità intera, nonché il procedimento comparativo,
che cerca di ordinare con- cettualmente questa molteplicità individuale. Da
questi rapporti derivano i limiti della conoscenza spiri- tuale in rapporto sia
allo studio della psicologia sia alle discipli- ne sistematiche, che dovranno
essere illustrati più da vicino nella dottrina del metodo. Da un punto di vista
generale è evidente che sia la psicologia sia le singole discipline sistemati-
che avranno un prevalente carattere descrittivo e analitico; e qui possono
servire le mie precedenti considerazioni sul procedi- mento analitico nella
psicologia e nelle scienze sistematiche del- lo spirito, a cui mi rifaccio
nell’insieme *. 4. La storia e la sua comprensione per mezzo delle scienze
sistematiche dello spirito: il sapere storico. La conoscenza spirituale si
compie, come si è visto, attraver- so la reciproca dipendenza della storia e
delle discipline sistema- tiche; e poiché l'intenzione dell’intendere precede
in ogni caso l'elaborazione concettuale, noi cominciamo con le proprietà ge-
nerali del sapere storico. L'apprendimento della connessione dinamica,
costituita dal- la storia, sorge anzitutto in base a punti particolari, in cui
i resti raccolti del passato vengono tra loro collegati nell’intende- re
mediante la relazione con l’esperienza della vita; ciò che ci circonda da
vicino diventa mezzo per comprendere ciò che sta lontano ed è passato. La
condizione di questa interpretazione dei resti storici risiede nel carattere di
persistenza nel tempo e di universale validità umana di ciò che noi vi rechiamo
dentro. Così noi vi trasponiamo la nostra conoscenza dei costumi, delle
abitudini, delle connessioni politiche, dei processi religiosi; e il a. Cfr.
Ideen tiber eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, «
Sitzungsberichte der kòniglich Preussischen Akademie der Wissenschaf- ten »,
1894, pp. 1309-1407 [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp. 139- 237]. Si
vedano inoltre le Studien zur Grundlegung der Geisteswissenschaf- ten: Erste
Studie, « Sitzungsberichte » cit., 1905, vol. II, pp. 322-43 [ora in Gesammelte
Schriften, vol. VII, pp. 3-23], l’Eiz/eitung in die Geistewissen- schaften, e
C. Siwart, Logik, Tubingen, vol. II, 3° ed. 1904, p. 633 sgg. WILHELM DILTHEY 169 presupposto ultimo di questa
trasposizione è costituito sempre dalle connessioni che lo storico ha vissuto
in sé. La cellula originaria del mondo storico è l’Erlebnis, nel quale il
soggetto si trova in rapporto al suo ambiente nella connessione dinamica della
vita. Questo ambiente opera sul soggetto e ne subisce l'influenza: esso è
composto dall'ambiente fisico e spirituale. In ogni parte del mondo storico vi
è quindi la medesima connes- sione del corso di un accadere psichico in
rapporto dinamico con il suo ambiente. Qui sorge il problema di valutare le
influenze naturali sull'uomo e di constatare pure l’azione che su di lui
esercita l’ambiente spirituale. Come la materia prima viene nell’industria
sottoposta a di- versi modi di lavorazione, così anche i resti del passato
vengo- no elevati a piena comprensione storica mediante diverse proce- dure. La
critica, l’interpretazione e il procedimento che reca unità nella comprensione
di un processo storico si collegano tra di loro. L'aspetto caratteristico sta
però anche qui nel fatto che non si ha una semplice fondazione di un’operazione
sull’altra: la critica, l’interpretazione e il collegamento concettuale hanno
compiti diversi; ma la soluzione di ogni compito richiede conti- nuamente
cognizioni ottenute per altre vie. Proprio questo rapporto ha però come
conseguenza che la fondazione della connessione storica dipende sempre da un
in- treccio di operazioni che non può venir illustrato logicamente in modo
completo, e che mai può giustificarsi di fronte allo scetticismo storico
mediante prove incontestabili. Si pensi alle grandi scoperte di Niebuhr
sull’antica storia romana. La sua critica è in ogni punto inseparabile dalla
sua ricostruzione del corso effettivo. Egli ha dovuto constatare come sia sorta
la tradizione della più antica storia romana e quali conclusioni si possano
trarre sul suo valore storico in base a tale origine. Egli ha dovuto nel
medesimo tempo cercar di trarre da un’argomen- tazione oggettiva i lineamenti
fondamentali della storia reale. Senza dubbio questo procedimento metodico si
muove in un circolo, se si applicano le regole di una dimostrazione rigo- rosa.
E quando Niebuhr si è contemporaneamente servito della conclusione analogica da
processi di sviluppo affini, la conoscen- za di tali processi sottostà allo
stesso circolo, e la conclusione analogica qui impiegata non dà nessuna
certezza rigorosa. 170 WILHELM DILTHEY Anche le narrazioni contemporanee
debbono prima venir esaminate in riferimento alla concezione dell’autore, alla
sua attendibilità e al suo rapporto con il processo in questione. E quanto più
le narrazioni vengono a distare temporalmente dal- l'avvenimento, tanto più
diminuisce la loro credibilità, se il loro valore non può venir accertato
mediante una riduzione ad altre più antiche e contemporanee all’avvenimento
stesso. La storia politica del mondo antico ha una base sicura dove esisto- no
dei documenti, e così pure la storia politica del mondo moderno dove sono
conservati gli atti che fanno parte del corso di un avvenimento storico. Con le
raccolte critico-metodi- che dei documenti e il libero accesso degli storici
agli archivi è cominciata per la prima volta una conoscenza sicura della storia
politica. Questo può arrestare completamente lo scettici- smo storico di fronte
ai fatti, di modo che su tali fondamenti sicuri viene a costruirsi, con l’aiuto
dell’analisi delle narrazioni in rapporto alle loro fonti, e dell'esame dei
punti di vista dei narratori, una ricostruzione che possiede probabilità
storica e la cui utilità può venir negata soltanto da menti spiritose ma non
scientifiche. Questa ricostruzione non perviene certo a un sape- re sicuro
intorno ai motivi delle persone che agiscono, ma vi perviene intorno alle
azioni e agli avvenimenti, e gli errori a cui sempre rimaniamo esposti per i
fatti particolari non metto- no in dubbio l'insieme. In posizione assai più
favorevole che nella comprensione del corso politico la storiografia si trova
di fronte ai fenomeni di massa, ma soprattutto quando si tratta di opere
artistiche o scientifiche che si possono sottoporre ad analisi. 5. I gradi
della comprensione storica. Il graduale assoggettamento del materiale storico
si compie per diversi gradi, che sono sempre più immersi nelle profondi- tà
della storia. Molteplici interessi spingono anzitutto alla narrazione di ciò
che è accaduto. Qui viene in primo luogo soddisfatto il bisogno originario di
curiosità per le cose umane, in particola- re per quelle della propria patria;
e si fa pure valere la consape- volezza della nazione e dello stato. In tal
modo sorge l’arte WILHELM DILTHEY 171 narrativa, il cui modello per ogni tempo
resta Erodoto. Ma poi viene in primo piano la tendenza alla spiegazione. La
cultura ateniese nell’età di Tucidide ha per la prima volta offerto le
condizioni indispensabili per tale spiegazione. Le azioni sono state derivate,
mediante un’acuta osservazione, da motivi psico- logici; le lotte tra gli
stati, il loro corso e il loro esito so- no stati spiegati in base alle forze
militari e politiche, e sono stati studiati gli effetti delle costituzioni
statali. E quando un grande pensatore politico come Tucidide spiega il passato
me- diante il sobrio studio della connessione dinamica in esso presen- te, ne
deriva contemporaneamente che la storia ammaestra anche intorno al futuro. Per
conclusione analogica, quando si è ricono- sciuto un corso dinamico antecedente
e si è mostrata l'affinità con esso dei primi stadi di un processo, si può
prevedere il ripresentarsi di un simile corso in seguito. Questa conclusione,
sulla quale Tucidide ha fondato la capacità della storia di amma- estrare sul
futuro, è infatti di decisiva importanza per il pensie- ro politico. Come nelle
scienze naturali, così anche nella storia una regolarità entro la connessione
dinamica consente di effet- tuare asserzioni € di svolgere un’azione fondata
sul sapere. Se già il contemporaneo dei Sofisti aveva studiato le costituzioni
come forze politiche, in Polibio ci si presenta una storiografia in cui la
trasposizione metodica delle scienze sistematiche del- lo spirito nella
spiegazione della connessione dinamica della storia consente di introdurre nel
procedimento esplicativo l’azio- ne di forze permanenti, come la costituzione e
l’organizzazione militare o le finanze. L'oggetto di Polibio è stata l’azione reci-
proca degli stati che, dall’inizio della lotta tra Roma e Cartagi- ne fino alla
distruzione di Cartagine e di Corinto, costituirono per lo spirito europeo il
mondo storico; egli ha quindi cercato di derivare dallo studio delle forze
permanenti in essi operanti i singoli processi politici. Il suo punto di vista
diventa storico-uni- versale, in quanto egli riunisce in sé la cultura
teoretica greca, lo studio della raffinata politica e della condotta militare
della sua patria, con una conoscenza di Roma che era resa possibile soltanto
dal contatto con i maggiori uomini di stato della nuo- va potenza mondiale. E
numerose forze spirituali operano nel tempo da Polibio fino a Machiavelli e a
Guicciardini, in primo luogo l’approfondirsi senza fine del soggetto in se
medesimo e 172 WILHELM DILTHEY nello stesso tempo l'estensione dell’orizzonte
storico; ma i due grandi storici italiani restano affini a Polibio nel loro
procedi- mento. Un nuovo livello è stato raggiunto dalla storiografia soltan-
to nel secolo xvitr. Allora sono stati introdotti due grandi princìpi, in
quanto la connessione dinamica concreta, estratta come oggetto storico dal
grande fluire della storia, è stata 424 lizzata in connessioni particolari,
come quelle del diritto, della religione, della poesia, comprese nell’unità di
un’epoca. Ciò presupponeva che lo sguardo dello storico mirasse, al di là della
storia politica, alla storia della civiltà, che per ogni suo campo fosse già
conosciuta, mediante le scienze sistematiche dello spirito, la funzione che
esso esercita, e che si fosse già formata una comprensione del cooperare di
tali sistemi di cultu- ra. La storiografia moderna ha avuto inizio nell'età di
Voltai- re. E in seguito è stato introdotto un nuovo principio, quello di
sviluppo, a opera di Winckelmann”, di Justus Méser" e di Herder: esso
afferma che in una connessione dinamica storica è racchiusa, come nuova qualità
fondamentale che essa percor- ra — in virtù della sua essenza — una serie di
mutamenti di cui ognuno è possibile soltanto sulla base dei precedenti. Questi
diversi gradi designano momenti che, una volta con- quistati, sono rimasti
vitali nella storiografia. L'arte narrativa di intrattenimento, la spiegazione
acuta, l’applicazione ad essa del sapere sistematico, l’analisi in connessioni
dinamiche parti- colari e il principio dello sviluppo — questi momenti sono
venuti a sommarsi e a rafforzarsi reciprocamente. 13. Johann. Joachim
Winckelmann (1717-1768), archeologo e storico dell’arte te- desco, autore della
Geschichte der Kunst des Altertums (1764) e di varie altre opere, fu il maggior
teorico del classicismo settecentesco: la sua dottrina del bello ebbe larga
influenza sull'estetica di fine Settecento c della prima metà dell'Ottocento.
14. Justus Mser (1720-1794), storico tedesco, autore della Osnabriickische Ge-
schichte (1768-1824) e di altre opere, fu un rappresentante della reazione
anti-illumini- stica del pensiero tedesco della seconda metà del Settecento: la
sua impostazione sto- riografica, fondata suli’csaltazione della struttura
feudale e patrimoniale della vecchia Germania c quindi orientata in senso
fortemente conservatore, è stata considerata un importante momento preparatorio
dello storicismo romantico. WILHELM DILTHEY 173 6. L’isolamento di una
connessione dinamica dal punto di vista dell'oggetto storico. Sempre più chiaro
ci appare il significato dell’analisi della concreta connessione dinamica e
della sintesi scientifica delle singole connessioni dinamiche in essa
contenute. Lo storico non segue all’infinito, partendo da un punto, il nesso
degli avvenimenti in tutte le direzioni; piuttosto nell’uni- tà di un oggetto,
che costituisce il suo tema, risiede un princi- pio di selezione che è dato
proprio insieme al compito dell’ap- prendimento di tale oggetto. Infatti la trattazione
dell’oggetto storico non richiede soltanto il suo isolamento dalla vastità
della concreta connessione dinamica, ma l’oggetto contiene al tempo stesso un
principio di selezione. La caduta di Roma, la liberazione dell'Olanda, la
Rivoluzione francese richiedono la selezione di processi e di connessioni che
racchiudano le cause tanto particolari quanto generali, cioè le forze operanti
in tut- te le loro trasformazioni, per la rovina dell’Impero romano o per la
liberazione dell'Olanda o per il compiersi della rivoluzio- ne. Lo storico che
lavora con connessioni dinamiche deve distin- guerle e collegarle in maniera
che nessun dettaglio vada smarri- to, poiché ogni particolare viene
rappresentato nei forti tratti della connessione dinamica complessiva. In ciò
non consiste soltanto la sua capacità rappresentativa, ma questa è piuttosto il
risultato di un determinato modo di vedere. Quando si inda- gano queste salde e
profonde connessioni, risulta anche qui che la loro comprensione deriva dal
nesso tra il progredire dell’intendere storico delle fonti con una sempre più
profonda penetrazione delle connessioni della vita psichica. Se ci si avvici-
na poi alla specie di connessione dinamica che sì presenta nei maggiori
avvenimenti storici, le origini del Cristianesimo o la Riforma o la Rivoluzione
francese o le guerre di liberazione nazionale, la si può concepire come opera
di una forza totale che supera, nella sua tendenza unitaria, tutti gli
ostacoli. E si troverà sempre che in essa operano due specie di forze. L'una è
costituita da tensioni che risiedono nel sentimento di bisogni imperiosi e non
soddisfatti dalla situazione presente, in nostal- gie di ogni specie,
nell’accrescersi degli attriti e delle lotte, e anche nella coscienza di
un'insufficienza delle capacità di difen- 174 WILHELM DILTHEY dere ciò che
esiste. L’altra è costituita dalle energie che spingo- no in avanti, da un
volere e un potere e un credere di carattere positivo. Esse riposano sugli
istinti vigorosi di molti, ma sono manifestati e rafforzati da Erlebnisse di
personalità importan- ti. In quanto tali tendenze positive derivano dal passato
per dirigersi verso il futuro, esse sono creatrici: racchiudono in sé degli
ideali, la loro forma è l’entusiasmo, e in questo è insita una forma peculiare
di parteciparsi e di estendersi. Da ciò deriviamo il principio generale che
nella connessione dinamica di grandi avvenimenti storici i rapporti tra
pressione, tensione, sentimento di insufficienza dello stato di fatto — cioè
sentimenti con segni negativi e con forme di rifiuto — costitui- scono il
fondamento per l’azione, sorretta da sentimenti positi- vi di valore, da fini
da raggiungere e da determinazioni di scopo. Quando entrambi gli elementi
cooperano, si verificano i grandi mutamenti del mondo. Nella connessione
dinamica l’a- gente peculiare è perciò costituito dagli stati psichici che si
esprimono nel valore, nel bene e nello scopo, e tra i quali non si debbono
considerare come forze operanti soltanto le tenden- ze verso i beni di cultura,
ma anche la volontà di potenza, anche l’inclinazione a opprimere gli altri. 7.
I sistemi di cultura. Da ciò risulta che già la determinazione dell’oggetto di
un’opera storica implica una selezione degli avvenimenti e del- le connessioni.
Ma la storia racchiude un sistema coerente per cui la sua concreta connessione
dinamica riposa su campi parti- colari isolabili, in cui sono compiute
operazioni separate, di modo che i processi svolgentisi negli individui in
rapporto a un’operazione comune costituiscono una connessione dinamica unitaria
e omogenea. Tale relazione è già stata illustrata da me in precedenza ®: su di
essa poggia l'elaborazione concettua- le mediante cui diventano conoscibili,
nell’indagine storica, con- nessioni di carattere generale. L’analisi e l'isolamento
mediante cui vengono poste in luce tali connessioni dinamiche è quindi il a.
Einleitung in die Geistestissenschaften, p. 52 sgg. [ora in Gesam- melte
Schriften, vol. I, p. 42 sgg.]. WILHELM DILTHEY 175 procedimento decisivo che
l’analisi logica delle scienze dello spirito deve prendere in esame. Appare
subito evidente l’affini- tà di tale analisi con quella in cui viene scoperta
la connes- sione strutturale dell’unità della vita psichica. Le più semplici e
omogenee connessioni dinamiche, che compiono una funzione culturale, sono
l’educazione, la vita economica, il diritto, le funzioni politiche, le
religioni, la socia- lità, l’arte, la filosofia, la scienza. Io prendo ora in
esame le qualità di un sistema siffatto. In esso viene compiuta un’operazione. Così
il diritto realiz- za le condizioni coercitive per l’attuazione dei rapporti
della vita. La poesia ha la sua essenza nell’espressione di ciò che è
immediatamente vissuto e nella rappresentazione dell’oggettiva- zione della
vita, in maniera tale che l'avvenimento isolato dal poeta si presenta, nel suo
significato per la totalità della vita, ricco di conseguenze. In questa
operazione gli individui sono legati tra di loro. I processi particolari, che
in essi hanno luogo, si riferiscono alla connessione dinamica costituita da
tale operazione e le appartengono: così essi sono membri di una connessione che
realizza l'operazione. Le regole giuridiche del testo legislativo, il processo
in cui le parti avverse discutono, dinanzi a un tribunale, intorno a un'eredità,
secondo le regole del testo legislativo, la decisione del tribunale e la sua
esecuzione costituiscono una lunga serie di processi psichici particolari, che
si distribuiscono e si intrec- ciano in diverse persone, per risolvere infine
il compito ineren- te al diritto relativamente a un determinato rapporto della
vita. Il compimento della funzione poetica è, in grado assai mag- giore, legato
al processo unitario che avviene nell’animo del poeta; ma nessun poeta è il
creatore esclusivo della sua opera, in quanto egli trae un avvenimento dalla
saga, si trova davanti la forma epica in cui lo eleva a poesia, studia
l’efficacia di scene particolari nei suoi predecessori, impiega una misura me-
trica, deriva la sua concezione del significato della vita dalla coscienza
popolare o da individui eminenti, ha bisogno di ascol- tatori che godano
nell’accogliere in sé l'impressione dei suoi versi e nell’attuare così il suo
sogno di influenza. Così la funzio- ne del diritto, della poesia o di un altro
sistema di scopi della cultura si realizza in una connessione dinamica che
riposa su 176 WILHELM DILTHEY determinati processi, legati da tale operazione,
i quali hanna luogo in certi individui. Nella connessione dinamica di un
sistema di cultura si fa valere anche una seconda qualità. Il giudice, oltre a
esplica- re la sua funzione nell’ordine giuridico, è inserito anche in varie
altre connessioni dinamiche; agisce nell’interesse della sua famiglia, deve
realizzare una funzione economica, esercita la sua finzione politica, forse
scrive pure dei versi. Perciò gli individui non sono legati nella loro totalità
a tale connessione dinamica, ma nella molteplicità dei rapporti dinamici sono
uni- ti tra loro soltanto quei processi che appartengono a un deter- minato
sistema, e l’individuo è inserito in diverse connessioni dinamiche. La
connessione dinamica di un tale sistema di cultura si realizza mediante una
posizione differenziata dei suoi membri. La solida impalcatura di ognuno di
essi è formata da persone in cui i processi, che servono a tale funzione,
costituiscono l’occupazione principale della loro vita, sia per inclinazione
sia per motivo professionale. Tra di esse emergono poi le persone che
incorporano in sé, per così dire, l'intenzione verso tale funzione, e che per
la loro unione di talento e di professione diventano i rappresentanti di questo
sistema di cultura. E infi- ne i portatori veri e propri della creazione che ha
luogo in tale campo sono le nature produttive — i fondatori delle religioni,
gli scopritori di una nuova intuizione filosofica del mondo, gli scopritori
scientifici. Così in una connessione dinamica siffatta ha luogo un intrec- cio:
le tensioni, accumulate in un vasto ambito, spingono al soddisfacimeno del
bisogno; l'energia produttiva trova la stra- da per la quale si compie tale
soddisfacimento o suscita l’idea creatrice che spinge in avanti la società;
infine si aggiungono i collaboratori e poi i molti che l’accolgono. Procedendo
nell’analisi, ognuno di tali sistemi di cultura, che realizza un’operazione,
attua un valore comune a tutti coloro che sono ad essa indirizzati. Ciò di cui
l’individuo ha bisogno, e che non può mai realizzare, gli proviene dall’ agire
della totalità: un valore creato in comune, a cui egli può partecipare.
L'individuo ha bisogno delia sicurezza della sua vita, della sua proprietà,
dell'insieme della sua famiglia; ma WILHELM DILTHEY 177 soltanto una forza
indipendente della comunità soddisfa il suo bisogno mediante il mantenimento di
regole coercitive della vita comune, che rendono possibile la protezione di
questi be- ni. L'individuo soffre, nei tempi primitivi, sotto la pressione di
forze indomabili intorno a lui, di forze cioè che stanno al di là dell’ambito
ristretto di attività della sua stirpe o del suo popolo; ma una diminuzione di
tale pressione è ottenuta solo mediante la creazione della fede da parte dello
spirito colletti- vo. In ognuno di tali sistemi di cultura, dall'operazione a
cui mira la connessione dinamica deriva un ordine dei valori; que- sto viene
creato nel lavoro comune compiuto in vista di essa; sorgono oggettivazioni
della vita in cui il lavoro si è condensa- to; e sorgono pure organizzazioni
che servono alla realizzazio- ne delle varie operazioni nei sistemi di cultura
— libri giuridi- ci, opere filosofiche, poesie. Il bene, che la funzione doveva
realizzare, è ora creato e sarà sempre più perfezionato. Le parti di tale
connessione dinamica acquistano una signifi- catività nel loro rapporto con la
totalità quale portatrice di valori e di scopi. Anzitutto le parti del corso
della vita hanno un significato in base al loro rapporto con la vita, con i
suoi valori e con i suoi scopi, con lo spazio che qualcosa occupa in essa. E
quindi gli avvenimenti storici diventano significativi in quanto sono elementi
di una connessione dinamica, cooperando alla realizzazione di valori e di scopi
della totalità insieme ad altre parti. Mentre noi ci troviamo perplessi di
fronte alla complessa connessione dell’accadere storico, senza percepire in
esso né una struttura né delle regolarità né uno sviluppo, ogni connes- sione
dinamica, che realizza una funzione culturale, ha una propria struttura. Se
concepiamo la filosofia come connessione dinamica, essa si presenta anzitutto
come una molteplicità di operazioni: elevazione delle intuizioni del mondo a
validità universale, riflessione del sapere su se stesso, relazione della
nostra attività conforme a uno scopo e del sapere pratico con la connessione
della conoscenza, spirito critico sempre presente nell’intera cultura, opera di
collegamento e di fondazione. L’in- dagine storica mostra però che abbiamo qui
da fare ovunque con specifiche funzioni che si presentano sotto certe
condizioni storiche, ma che sono alla fine fondate su una funzione unita- 12.
STORICISMO TEDESCO. 178 WILHELM DILTHEY ria propria della filosofia. Essa è
riflessione universale che proce- de continuamente verso le più alte
generalizzazioni e le fonda- zioni ultime. La struttura della filosofia sta
quindi nel rappor- to di questo suo carattere fondamentale con le funzioni
partico- lari, in base alle condizioni temporali. Così la metafisica si
sviluppa sempre nell’interna connessione della vita, dell’espe- rienza della
vita e dell’intuizione del mondo. In quanto la tendenza a un saldo fondamento,
che in noi lotta continuamen- te contro l’accidentalità della nostra esistenza,
non trova alcuna soddisfazione duratura nelle forme religiose e poetiche di
intuizione del mondo, sorge allora il tentativo di elevare l'intuizione del
mondo a sapere universalmente valido. Inoltre nella connessione dinamica di un
sistema di cultura si può ogni volta rintracciare un’articolazione in forme
particolari. Ogni sistema di cultura ha uno sviluppo che si compie sulla base
della sua funzione, della sua struttura, delle sue regola- rità. Mentre nel
concreto corso dell’accadere non si può trova- re nessuna legge di sviluppo, la
sua analisi in connessioni dina- miche particolari e omogenee rivela la
successione di stati deter- minati dall’interno, che si presuppongono l’un
l’altro in manie- ra che dallo strato sottostante ne emerge ogni volta uno
superio- re, e che procedono a una crescente differenziazione e a un crescente
collegamento. 8. Le organizzazioni esterne e l'insieme politico: le nazioni
organizzate politicamente. a) Sulla base dell’articolazione naturale
dell'umanità e dei processi storici si sviluppano gli stati del mondo civile,
ognuno dei quali riunisce in sé connessioni dinamiche di sistemi di cultura, e
soprattutto le nazioni organizzate in forma statale. L'analisi si limita qui a
questa forma tipica dell’attuale organiz- zazione politica. Ognuno di questi
stati è un’organizzazione composta da varie comunità: la coesione delle
comunità in esso racchiuse è quindi il potere sovrano dello stato, al di sopra
del quale non esiste nessun'altra istanza. E chi potrebbe negare che il senso
della storia, fondato nella vita, venga a esplicarsi tanto nella volontà di
potenza che riempie questi stati, nel bisogno di WILHELM DILTHEY 179 dominio
verso l’interno e verso l’esterno, quanto nei sistemi di cultura? E a tutto
questo aspetto di brutalità, di temibilità, di distruzione, che è contenuto
nella volontà di potenza, a tutta la pressione e a tutta la coercizione
intrinseche al rapporto di dominio e di obbedienza, non è forse legata la
coscienza della comunità, dell’appartenenza reciproca, la gioiosa partecipazio-
ne al potere dell'insieme politico, tutti Erlebrisse propri dei supremi valori
umani? Il lamento sulla brutalità del potere dello stato è fuori luogo poiché,
come Kant ha visto, il più difficile compito del genere umano sta proprio nel
riuscire a contenere il volere individuale e la sua tendenza a estendere la
propria sfera di potenza e di godimento mediante la volontà collettiva e la
coercizione che essa esercita, e inoltre perché per tale volontà, in caso di
conflitto, la decisione risiede soltanto nella guerra, e anche all’interno la
coercizione resta l’ultima istanza. Sul terreno di questa volontà di potenza,
intrinseca all’organizzazione politica, sorgono le condizioni che rendono possibili
i sistemi di cultura. Così si presenta qui una struttura complessa, nella quale
i rapporti di forza e le relazioni dei sistemi di scopo sono legati in un’unità
superiore, e la comunan- za sorge anzitutto dall’azione reciproca dei sistemi
di cultura. Io cerco ora di illustrare tutto questo rifacendomi alla più anti-
ca società germanica a noi nota, quale ce la descrivono Cesare e Tacito. Qui la
vita economica, lo stato e il diritto si trovano legati alla lingua, al mito,
alla religiosità e alla poesia proprio come in ogni epoca successiva: tra le
qualità dei singoli campi della vita c'è un’azione reciproca che pervade in un
dato tempo la totalità. Così, nella Germania di Tacito, dallo spirito guerrie-
ro è sorta la poesia eroica che già magnificava Arminio"! nei suoi canti,
e questa poesia a sua volta rafforzava lo spirito guerriero. Da questo spirito
guerriero è derivata pure l’inumani- tà presente nella sfera religiosa, come
mostrano il sacrificio dei prigionieri e l’impiccagione dei loro cadaveri in
luoghi sacri. Proprio tale spirito influiva sulla posizione del dio della
guerra 15. Arminio (17 a. C.-21 d. C.), principe dei Cherusci, sconfisse le
legioni romane, guidate da Quintilio Varo, nella Foresta di Teutoburgo nel 9 d.
C., e in seguito gui- dò la resistenza germanica contro l'invasore,
costringendo i Romani ad abbandonare la frontiera dell'Elba per ritirarsi sul
Reno. La sua figura fu esaltata come quella di un eroe nazionale tedesco. 180
WILHELM DILTHEY entro il mondo divino, e da ciò risultava di nuovo una
ripercus- sione sul sentimento bellico. Così viene a costituirsi una concor-
danza tra i diversi campi della vita, la quale è così forte che dallo stato di
uno di essi possiamo compiere un’illazione sullo stato di un altro. Ma
quest’azione reciproca non spiega com- piutamente i rapporti di comunanza che
collegano tra loro le diverse operazioni di una nazione. Che tra economia,
guerra, costituzione, diritto, linguaggio, mito, religiosità e poesia vi sia in
questa età una straordinaria concordanza e una straor- dinaria armonia, non
deriva dal fatto che una funzione fonda- mentale qualsiasi, sia essa anche la
vita economica o l’attività bellica, abbia condizionato le altre. Il fatto non
può venir consi- derato neppure come prodotto dell’azione reciproca dei diversi
campi nella loro situazione in quel dato periodo. In termini generali, quali
che siano le influenze derivanti dalla forza € dalle proprietà di certe
operazioni, tuttavia l’affinità che lega tra loro i diversi campi della vita
entro una nazione deriva da una profondità comune che nessuna descrizione può
esaurire. Essa esiste per noi soltanto nelle manifestazioni della vita che
scaturiscono da tale profondità e che la esprimono. È l’uomo, facente parte di
una certa nazione in un dato tempo, che inseri- sce in ogni manifestazione
della vita entro un determinato cam- po della civiltà qualcosa della sua
particolare essenza; poiché i momenti della vita degli individui, legati nella
connessione del- le operazioni, non procedono da essa esclusivamente come
abbia- mo visto, ma l’uomo intero è sempre operante in ognuna di queste
attività e partecipa loro le proprie qualità peculiari. E poiché
l’organizzazione statale racchiude in sé diverse comuni- tà fin giù alla
famiglia, l'ambito più vasto della vita naziona- le racchiude pure piccole
connessioni e comunità che hanno propri movimenti, e tutte queste connessioni
dinamiche si incro- ciano nei singoli individui. Più ancora lo stato attrae
l’attività che ha luogo nei sistemi di cultura; e la Prussia di Federico è
l'esempio tipico di tale estremo aumento di intensità e di esten- sione
dell’influenza statale. Accanto alle forze indipendenti, che collaborano nei
sistemi di cultura, agiscono in essi anche le attività che procedono dallo
stato; e nei processi appartenen- ti a tale totalità statale, l’attività
autonoma e il condizionamen- to da parte della totalità sono sempre legati tra
loro. WILHELM DILTHEY 181 5) Il movimento proprio di ogni cerchia particolare
in que- sta grande connessione dinamica è determinato dalla tendenza a compiere
la propria funzione. Questa forza attiva ha in sé la duplicità della tensione e
di un’energia positiva volta alla posi- zione di scopi: tutte le connessioni
dinamiche concordano in ciò, ma ognuna ha pure la sua peculiare struttura,
dipendente dall’operazione che compie. Molto differente è infatti la struttu-
ra di un sistema di cultura, in cui si realizza una connessione articolata di
operazioni, in cui i processi individuali vengono mossi da tale connessione, in
cui lo sviluppo dei valori, dei beni, delle regole, degli scopi è determinato
dall’essenza imma- nente di questa funzione, da quella propria della
connessione dinamica di un’organizzazione politica, poiché in questa non esiste
tale legge di sviluppo immanente in una funzione, i fini mutano in genere
secondo la natura delle organizzazioni, la macchina è per così dire impiegata
per attuare un altro compi- to, mentre vengono risolti compiti del tutto
eterogenei e realiz- zati valori di classe totalmente differente. Da tale
articolazione del mondo storico in connessioni dina- miche particolari risulta
una conclusione, che ci fornisce l’indi- cazione per l'ulteriore soluzione del
problema contenuto nel mondo storico. La conoscenza del significato e del senso
del mon- do storico è stata spesso ottenuta, per esempio da Hegel o da Comte,
mediante la determinazione di una direzione generale del movimento della storia
universale; questa operazione riuni- sce il cooperare di diversi momenti in
un'intuizione indetermi- nata. In realtà risulta che il movimento storico si
compie nelle connessioni dinamiche particolari; e inoltre appare chiaro che
l’intera problematica diretta a porre in luce un fine della sto- ria è del
tutto unilaterale. Il senso manifesto della storia deve essere cercato
anzitutto in ciò che sussiste sempre, in ciò che ricorre nelle relazioni
strutturali, nelle connessioni dinamiche, nella formazione di valori e di scopi
entro di esse, nell'ordine interno in cui stanno tra loro — dalla struttura
della vita individuale fino all’ultima più vasta unità: questo è il senso che
la storia ha sempre e ovunque, che poggia sulla struttura dell’esistenza
individuale e che si manifesta nella struttura delle connessioni dinamiche più
complesse entro l’oggettivazio ne della vita. Tale regolarità ha determinato
anche lo sviluppo 182 WILHELM DILTHEY passato e ad essa è sottoposto il futuro.
L'analisi della costruzio- ne del mondo spirituale avrà soprattutto il compito
di mostrare tali uniformità nella struttura del mondo storico. In tal modo
viene pure eliminata la concezione che ha visto il compito della storia nel
progresso da valori, obbligazioni, norme, beni relativi ad altri
incondizionati: con essa ci trasferi- remmo dal campo delle scienze empiriche
al campo della specu- lazione. Infatti la storia assiste pure alla posizione di
un ele- mento incondizionato, sotto forma di valore, di norma o di bene.
Elementi del genere si presentano sempre in essa — sia come dati nella volontà
divina, sia come dati in un concetto razionale di perfezione, in una
connessione teleologica del mon- do, in una norma universalmente valida del
nostro agire, fonda- ta su base trascendentale. Ma l’esperienza storica ha
conoscen- za soltanto dei processi, per essa così importanti, in virtù dei
quali questi elementi vengono posti: essa non sa nulla, di per sé, in merito a
una loro validità universale. Seguendo il corso in cui si elaborano tali
valori, beni o norme incondizionate, essa osserva per diversi di essi il modo
in cui la vita li ha prodotti; la posizione incondizionata è stata possibile
solo in virtù della limitazione dell’orizzonte temporale. Essa guarda di qui
alla totalità della vita nella pienezza delle sue manifestazio- ni storiche, e
osserva la disputa mai appianata che si svolge tra queste posizioni
incondizionate. La questione se la subordina- zione a tale elemento
incondizionato, che è appunto un fatto storico, debba essere ricondotta in
maniera logicamente necessa- ria a una condizione generale, non limitata
temporalmente, insita nell'uomo, o se sia da considerare come prodotto della
storia, conduce alle estreme profondità della filosofia trascen- dentale, che
stanno al di là dall’ambito dell’esperienza storica e a cui neppur la filosofia
è in grado di fornire una risposta sicura. E se anche tale questione fosse
decisa nel primo, ciò non potreb- be servire allo storico per la selezione, la
comprensione, la scoperta di qualche connessione, qualora non potesse venir de-
terminato il contenuto di tale elemento incondizionato: così l'intervento della
speculazione nel campo di esperienza dello storico difficilmente potrà avere
successo. Lo storico non può rinunciare al tentativo di intendere la storia in
base a se stessa, in base all’analisi delle varie connessioni dinamiche.
WILHELM DILTHEY 183 c) Così una nazione organizzata in forma statale può venir
concepita come un’unità strutturale individualmente determina- ta di
connessioni dinamiche. Il carattere comune delle nazioni organizzate in forma
statale poggia su regolarità che consisto- no nella forma di movimento delle
connessioni dinamiche, nel- le loro relazioni reciproche e, poiché esse sono
creatrici di valori e di scopi, nel rapporto tra connessione dinamica, deter-
minazione di valori, posizione di scopi e connessione di signifi- cato entro un’organizzazione
politica. Ognuna di queste connes- sioni dinamiche è incentrata in se stessa in
un modo particola- re, e su ciò è fondata la regola interna del suo sviluppo.
Sulla base di tali regolarità, che pervadono tutte le nazioni organizza- te
statalmente, si elevano le loro forme individuali, lottando e cooperando nella
storia per la loro vita e la loro validità. In ogni nazione organizzata in
forma statale l’analisi — e soltanto questa, non già la storia dell'origine
delle nazioni inter- viene in tale connessione — distingue vari momenti. Tra
gli individui in essa racchiusi, che stanno tra loro in un rapporto di azione
reciproca, esistono uniformità di carattere e di manife- stazioni della vita;
essi hanno coscienza di queste uniformità e dell’appartenenza reciproca che su
queste riposa; in essi vive perciò una tendenza a rafforzare tale appartenenza
reciproca. Queste uniformità possono venir constatate negli individui sin-
goli, ma pervadono e caratterizzano anche tutte le connessioni esistenti entro
la nazione. L'analisi mostra inoltre in ogni nazio- ne un nesso di connessioni
dinamiche particolari. Il potere ester- no e interno dello stato fa della
nazione un'unità che opera in forma autonoma. Entro questa unità si
sovrappongono vari gruppi sociali, e ognuno costituisce una connessione
dinamica relativamente indipendente. I sistemi strutturali, che procedo- no al
di là della singola nazione, si presentano qui in rapporto con altre
connessioni dinamiche, e sono modificati dalle unifor- mità che pervadono l’intero
popolo; e la forza della loro azio- ne è accresciuta dai gruppi che si
costituiscono in base alla loro tendenza a una determinata funzione. Così sorge
la complessa struttura di una nazione organizzata in forma statale: ad essa
corrisponde una nuova interna disposizione di questa totalità. In essa viene
vissuto un valore per tutti; l’agire degli individui ha in essa un fine comune.
La sua unità si oggettiva nella letteratu- 184 WILHELM DILTHEY ra, nei costumi,
nell'ordinamento giuridico e negli organi della volontà collettiva,
manifestandosi pure nella connessione dello sviluppo nazionale. Voglio ora
illustrare in alcuni punti fondamentali la coope- razione dei diversi momenti
che fanno parte di una totalità statale organizzata, così come sono stati
determinati, nella vita nazionale di una certa epoca. A tale scopo mi rifaccio
ai Germani dell’età di Tacito. Quando Tacito scriveva, il fondamento della vita
germanica era sempre l'unione della guerra con lo sfruttamento del terre- no,
della caccia con l’allevamento del bestiame e con l’agricoltu- ra.
L’'arrestarsi della diffusione delle stirpi germaniche ha acce- lerato il corso
naturale verso la fissazione del domicilio, e la Germania è divenuta un paese
agricolo. Da questo rapporto con il suolo e il terreno nella caccia,
nell'allevamento del bestia- me e nell’agricoltura, è derivato il legame dei
Germani di allora con la terra e con ciò che su di essa-cresce e vive: tale
legame è il primo momento decisivo per la vita spirituale dei Germani in questa
epoca, Altrettanto chiara è l’influenza del- l’altro fattore sociale, prima
accennato, di questa età, cioè dello spirito guerriero delle stirpi germaniche
nella vita politi- ca, negli ordinamenti sociali e nella cultura intellettuale
del tempo. I compiti della guerra pervadevano tutti i settori della vita; si
facevano valere nel rapporto delle famiglie con l’ordina- mento militare, cioè
nelle centurie; incidevano sulla posizione dei capi e dei prìncipi. Dallo
spirito guerriero è sorto poi anche il sistema del seguito, di importanza
decisiva per lo svi- luppo militare e politico. Il principe è circondato da un
segui- to composto da gente libera, che costituisce la sua corte milita- re:
soltanto la guerra poteva nutrire tale seguito. Esso era legato quindi al principe
dal più saldo rapporto di fedeltà, da un rapporto che a noi si rivela nel canto
eroico e nell’epica popolare con la sua bellezza propriamente germanica. Dalla
guerra scaturisce poi il regno militare di un Marbod". A questi fattori si
aggiunge l’individualità dello spirito na- zionale. Le sue uniformità si fanno
valere nel risultato delle connessioni dinamiche. Lo spirito guerriero, che le
stirpi germa- 16. Marbod, principe dei Marcomanni, contemporanco e avversario
di Arminio. WILHELM DILTHEY 185 niche di quest'epoca hanno in comune con gli
stadi primitivi di altri popoli, mostra tuttavia presso di esse una forza e un
carattere particolare. Il valore della vita di una persona singola è riposto
nelle sue qualità belliche. Da Tacito appare che i migliori di essi vivevano in
modo completo soltanto in guerra; la cura della casa, del focolare e del campo
era lasciata alle donne e agli individui inadatti alla guerra. Un carattere
peculia- re spinge questi Germani a operare nella pienezza del loro essere e ad
abbandonarsi senza riserve alla lotta. Il loro agire non è determinato e
limitato da una posizione razionale di scopi; in esso c'è una sovrabbondanza di
energia che li spinge al di là dello scopo, c'è qualcosa di irrazionale. Nella
loro passione inconsumabile e indomabile essi mettono in gioco con i dadi la
loro persona e la loro libertà. Nella battaglia si rallegrano del pericolo;
dopo la lotta cadono in una pigra quiete. Il loro mito e Ia loro saga eroica
sono totalmente perva- si da questo carattere ingenuo e inconscio che ripone il
valore e il piacere maggiore dell’esistenza non già nella serena intuizio- ne
del mondo propria dei Greci, non già nella razionale deter- minazione di scopi
propria dei Romani, ma nella manifestazio- ne illimitata della forza in quanto
tale, nella scossa e nell’esten- sione e nell’elevazione che ne deriva per la
personalità. Questo aspetto, che trova la sua suprema espressione nella gioia
della lotta, esercita la sua influenza sull'intero sviluppo dei nostri
ordinamenti politici e della nostra vita spirituale. L’ultimo tra i momenti
contenuti in una totalità nazionale, e che determinano il suo sviluppo, risiede
nella subordinazione dei gruppi minori alla totalità politica, quale essa sorge
in virtù dei rapporti di dominio e di obbedienza e dei rapporti di comunità
compresi in una volontà statale sovrana. Così in Ger- mania vengono a
susseguirsi il regno popolare in piccole comu- nità di struttura
imperfettamente differenziata, poi, sulla base della crescente divisione del
lavoro, l’articolazione professio nale e la distinzione dei ceti in una
totalità nazionale poco solida, la formazione della signoria indipendente con
la sua intensiva ed estesa attività statale negli stati territoriali, che
gradualmente stritola, in mezzo ai diritti individuali e alla volontà di
potenza dei prìncipi, l’ordinamento fondato sulle professioni e sui ceti, e
infine lo sviluppo di tali stati verso 186 WILHELM DILTHEY un continuo
ampliamento dei diritti individuali, dei diritti del- la comunità popolare nel
sistema rappresentativo, conforme a ordinamenti democratici, e d’altra parte la
subordinazione dei diritti principeschi all’impero nazionale. Se si guarda a
tale sviluppo, esso appare ovunque condizionato in duplice modo: da un lato
esso dipende dal rapporto mutevole delle forze entro il sistema statale, e
dall’altro è condizionato dai fattori dello sviluppo interno, propri dello
stato particolare, che noi abbiamo seguito. Così risulta chiara la possibilità
di sottoporre ad analisi la connessione dinamica che condiziona i momenti
particolari del- lo sviluppo di una nazione e lo sviluppo totale di essa,
distin- guendola nei suoi fattori. Le regolarità presenti nella struttura della
totalità politica determinano le situazioni della totalità c i suoi mutamenti.
Vi sono quasi degli strati successivi nell’ordi- namento di vita di questa
totalità, di cui il posteriore presuppo- ne il precedente, come abbiamo visto
dai mutamenti dell’orga- nizzazione politica. Ognuno mostra un ordine interno
in cui, a partire dall’individuo, le connessioni dinamiche formano valo- ri,
realizzano scopi, raccolgono beni, sviluppano regole di con- dotta. I portatori
e i fini di tali operazioni sono però differenti. Così sorge il problema
dell’interna relazione reciproca tra tutte queste operazioni, dalla quale esse
traggono il loro significato. Pertanto l’analisi della connessione logica delle
scienze dello spirito ci conduce di fronte a un compito ulteriore, sulla cui
soluzione getterà luce la costruzione delle scienze dello spirito in virtù del
collegamento dei loro vari metodi. 9. Età ed epoche. In un determinato periodo
di tempo si possono quindi porre in luce analiticamente singole connessioni
dinamiche e mostra- re i momenti di sviluppo in esse contenuti, determinando
inol- tre le relazioni che uniscono tali connessioni in una totalità
strutturale e le uniformità presenti nelle parti di un insieme politico: così
noi possiamo pure intendere l’altro aspetto del mondo storico, la linea del
corso temporale e dei mutamenti che esso racchiude in riferimento alle
connessioni dinamiche, come una totalità continua e tuttavia separabile in
sezioni tem- WILHELM DILTHEY 187 porali. Ciò che caratterizza anzitutto le
generazioni, le età, le epoche *, sono tendenze dominanti di profonda incidenza.
Ciò che le caratterizza è la concentrazione dell’intera cultura di un periodo
in se stessa, cosicché nella determinazione di valori, nella posizione di
scopi, nelle regole di vita dell’epoca risiede il criterio di giudizio, di
valutazione e di stima delle persone e degli orientamenti che attribuisce a una
determinata epoca il suo carattere. Un individuo, una tendenza, una comunità
acqui- stano il proprio significato in questa totalità in base al loro rapporto
interno con lo spirito del tempo. E in quanto ogni individuo è inserito in tale
periodo, ne deriva pure che il suo significato per la storia consiste in questo
suo rapporto con l'età. Quelle persone che procedono vigorosamente innanzi in
un certo periodo sono gli esponenti dell’età, i suoi rappre- sentanti. In
questo senso si parla di spirito di un’epoca, per esempio dello spirito del
Medioevo o dell’Illuminismo. Da ciò risulta pure che ognuna di tali epoche
trova una limitazione in un orizzonte di vita: con questo intendo la
limitazione per cui gli uomini di un'età vivono in rapporto al suo pensiero, al
suo modo di sentire, alla sua volontà. In essa c'è una relazione di vita,
rapporti vitali, esperienza della vita e formazione intellet- tuale, che
mantiene e lega gli individui in un determinato ambito di modificazioni
dell’apprendimento, della formazione di valori e della posizione di scopi.
Elementi inevitabili sovra- stano qui gli individui particolari. Accanto alla
grande tendenza che domina e pervade un'inte- ra età, dando a quel periodo il
suo carattere, ve ne sono altre che si contrappongono a essa. Esse mirano a
conservare l’anti- co, osservano le conseguenze dannose dell’unilateralità
dello spi- a. Già nel 1865, nel saggio su Novalis [ora in Er/ebnis und
Dichtung] ho illustrato e impiegato il concetto storico di generazione,
usandolo più ampiamente nel primo volume del Leben Schleiermachers e poi, nel
1875, nel saggio Uber das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Men-
schen, der Gesellschaft und dem Staat [ora in Gesammelte Schriften, vol. V, pp.
31-73], sviluppandolo insieme ai concetti ad esso collegati. L’ulterio- re
determinazione dei concetti di « continuità storica », « movimento sto rico »,
« generazione », «età », «epoca » è possibile soltanto nell’illustra- zione
della costruzione delle scienze dello spirito. 188 WILHELM DILTHEY rito
dell’epoca e si rivolgono contro di questo; se invece si presenta qualcosa di
creativo e di nuovo, che sorge da un altro sentimento della vita, allora
comincia entro questo periodo il movimento indirizzato a produrre una nuova
età. Ogni con- trapposizione resta quindi sul terreno dell’età o dell’epoca;
ciò che in essa si oppone ha nel medesimo tempo la struttura di quell'età. In
questo elemento creativo ha allora inizio un nuo- vo rapporto di vita, di relazioni
vitali, di esperienza della vita e di formazione intellettuale. Così i rapporti
di significato che esistono in un periodo tra le forze storiche sono fondati in
quella relazione reciproca delle uniformità e delle connessioni dinamiche, che
si possono designare come tendenze, correnti, movimenti. Da esse si pervie- ne
per la prima volta al problema più complicato di determina- re analiticamente
la connessione strutturale di un’età o di un periodo. Tale problema può venire
illustrato considerando l’Illumini- smo tedesco dal punto di vista di questa
interna connessione: compiendo l’analisi di un’età anzitutto in una nazione
particola- re, si viene infatti a semplificare il compito. La scienza si era
costituita nel secolo xvi. Dalla scoperta di un ordine legale della natura e
dall’applicazione di questa conoscenza causale al dominio sulla natura era
sorta la fiducia dello spirito in un regolare progresso della conoscenza. In
que- sto lavoro di indagine le varie nazioni civili erano unite tra loro: così
è sorta l’idea di un’umanità unita nel progresso. Si formò l’ideale di un
dominio della ragione sulla società; esso ispirò le forze migliori; così queste
si unirono in uno scopo comune, lavorando in base agli stessi metodi e
attendendo dal progresso del sapere il miglioramento dell’intero ordinamento
sociale. L'antico edificio alla cui costruzione avevano cooperato il dominio
della chiesa, i rapporti feudali, il dispotismo illimita- to, i capricci dei
principi, l'inganno pretesco — edificio sempre trasformato dai tempi e sempre
bisognoso di nuovi restauri — doveva venir mutato in una costruzione razionale
chiara e sim- metrica. Questa è l’unità interna in cui sono legate in una
totalità la vita spirituale degli individui, la scienza, la reli- gione, la
filosofia e l’arte nella connessione europea dell’Illumi- nismo. WILHELM
DILTHEY 189 Questa unità si compì in modo differente nei vari paesi,
atteggiandosi in maniera particolarmente felice e solida in Ger- mania. Qui una
tendenza generale si fece valere nella sua più alta vita spirituale. Se ci si
rifà indietro in Germania si può trovare, a partire da Freidank”, la tendenza a
subordinare coscientemente la vita a salde regole; e se si volesse designarle
come morali, il fatto sarebbe rappresentato da un punto di vista unilaterale e
determinato entro un ambito troppo ristret- to. La serietà dei popoli nordici è
qui legata a un bisogno di riflessione, che deriva da un orientamento verso
l’interiorità della vita ed è senza dubbio connesso con le situazioni politi-
che. Come nell’immobilità della vita statale le clausole giuridi- che, i
privilegi, gli accordi ostacolano il libero movimento del- la vita, così anche
nell’individuo il sentimento dell’obbligazio- ne sovrasta la libera posizione
di scopi: nel godimento della vita si scorge sempre qualcosa di illecito. I
potenti lo arraffano per sé, ma in esso c'è qualcosa che mette in crisi la loro
coscienza. Così nella filosofia tedesca del secolo xviti vi è un tratto
fondamentale che unisce tra loro Leibniz, Thomasius *, Wolff”, Lessing,
Federico il Grande, Kant e innumerevoli altri minori. Tale tendenza
all’obbligazione e al dovere era stata promossa dallo sviluppo del Luteranesimo
e della sua morale fin da Melantone. Essa era favorita dall’articolazione della
so- 17, Freidank, nome o (più probabilmente) pseudonimo di un poeta didattico
te- desco della prima metà del secolo x1tr, che seguì Federico II in Palestina:
il suo poema Bescheidenheit (pubblicato nel 1508) ebbc larga fortuna. 18.
Christian Thomasius (1655-1728), giurista e filosofo tedesco, autore di tre
libri Institutionum iurisprudentiue divinae (1688), della Introductio in
philosophiam ratio. nalem (1701), dei Fundamenta iuris naturae et gentium
(1705) e di numerose altre ope- re soprattutto di etica, fu uno dei maggiori
esponenti della scuola del diritto naturale alla fine del Seicento: la sua
opera si ispira in larga misura all'insegnamento di Pu- fendorf. 19. Christian
Wolff (1679-1754), filosofo tedesco, è il principale rappresentante del-
l'Illuminismo di derivazione Icibniziana: fu autore di numerosi manuali
scientifici e di opere filosofiche come la Philosophia rationalis, sive logica
methodo scientifico pertrac- tata (1728), la Philosophia prima sive Ontologia
(1729), la Cosmologia generalis (1731), la Psychologia empirica (1732), la
Psychologia rationalis (1734), la Theologia naturalis (1736-37), la Plilosophia
practica universalis (1738-39), lo Jus naturae methodo scien- tifico
pertractatum (1740-48), lo Ius gentium (1749), le Institutiones suris naturae
(1750), la Philosophia moralis sive Ethica (1750-53) e l'Oeconomica (1750). Il
suo lavoro di si- stemazione del sapere filosofico ebbe larga influenza nella
cultura tedesca del Settecento, e ad esso si richiamerà anche Kant. 190 WILHELM
DILTHEY cietà in base al concetto di professione e di ufficio, che Lutero aveva
introdotto nell’età moderna. E nella misura in cui la tendenza all’autonomia
della persona progrediva nell’Illumini- smo, la perfezione diventava dovere:
nella ragione vi è una legge naturale dello spirito, che richiede
dall’individuo la realiz- zazione della perfezione in sé e negli altri. Questa
esigenza è dovere: un dovere che non è imposto dalla divinità, ma che deriva
dalla legge della nostra propria natura e può venir stabi- lito su basi razionali.
Soltanto in seguito la regola razionale può venir riferita al fondamento delle
cose: questa è la dottri- na di Wolff, che si rifà indietro a Pufendorf ”,
Leibniz, Thoma- sius, e che procede in avanti fino a Kant, riempiendo tutta la
letteratura dell’Illuminismo tedesco. In questa dottrina risiede il legame che
unisce i Tedeschi dell’Illuminismo con i Tedeschi del secolo xvi, producendo
uno spirito unitario in quest’epo- ca, un qualcosa di imponderabile che,
ovunque modificato e pur sempre il medesimo, pervade l’intera nazione: una
determi- nazione del valore della vita, che sta a base della connessione vitale
dell’Illuminismo tedesco. Il nuovo schema di movimento dell’anima verso il suo
valore supremo è fondato nel carattere razionale dell’uomo. La persona
individuale realizza il suo sco- po in quanto divenuta maggiorenne in virtù
delle sue capacità razionali, realizza in sé il dominio della ragione sulle
passioni, e questo della ragione si manifesta come perfezione. In quanto la
ragione è poi universalmente valida e a tutti comune, e la perfezione della
totalità mediante la ragione è superiore alla perfezione dell'individuo — nel
senso che la perfezione di tutti ha un valore superiore a quella di una persona
sola — e sorge qui l'obbligazione suprema in virtù della quale l’individuo è
legato al bene della totalità, ne deriva la più precisa determina- zione di
questo principio come principio di perfezione di tutti gli individui, da
raggiungersi mediante il progresso della totali- tà. Questo principio dell'Illuminismo
non ha la sua base nel puro pensiero, e il suo dominio non poggia su questo, ma
in 20. Samuel von Pufendorf (1632-1694), giurista e filosofo tedesco, autore
dei De iure naturae ei gentium libri octo (1672), dei De officio hominis et
civis iuxta legem natttralem libri duo (1673) c di Eris scandica (1686), nonché
di varie altre opere di ar- gomento storico e giuridico, è la maggiore figura
del giusnaturalismo seicentesco. WILHELM DILTHEY 19I esso pervengono a
un'espressione astratta tutti i valori della vita di cui hanno esperienza gli
uomini dell’Illuminismo. Per queste menti, Wolff soprattutto, la perfezione
diventa quindi, in modo abbastanza strano, un dovere, la tendenza verso di essa
diventa una legge vincolante per l'individuo, e infine la divinità diventa per
Wolff e i suoi scolari oggetto di doveri i quali hanno il loro centro di
riferimento nella tendenza alla perfezione. La stessa esperienza della vita, in
cui sono fondate queste idee, può venir studiata in Leibniz nel modo migliore.
Essa poggia sull’Erlebnis della felicità dello sviluppo. E il gran- de
pensatore, come poi anche Lessing, ripone nel progredire medesimo la suprema
felicità dell’uomo, in quanto essa non può mai essergli offerta dal contenuto
del momento. E che tale progredire non si riferisca a questo o a quello scopo
partico- lare, ma allo sviluppo della persona individuale, comprenden- do e
legando tutto ciò che vi è in essa, Leibniz per primo lo esprime mediante il
suo Er/eden. Questo Erlebnis è stato ovun- que preparato dal fatto che
l’individuo nell’infelicità della vita nazionale veniva spinto sempre verso se
stesso, e indirizzato ai compiti culturali comuni. E così come Leibniz lo aveva
enuncia- to, esso agì dappertutto. Con i concetti di valore derivanti dalla
vita stessa, che Leibniz accoglieva, è determinato anche il compito che egli
poneva alla sua filosofia, cioè quello di deri- vare il significato della vita
e il senso del mondo dalla connes- sione dei valori individuali dell’esistenza.
Così nell’età dell’Illuminismo una connessione unitaria con- duce dalla forma
della vita all'esperienza della vita, dagli Erleb- nisse in essa contenuti alla
loro rappresentazione in concetti di valore, in imperativi del dovere, in
determinazioni di scopo, nella coscienza del significato della vita e del senso
del mondo. In questa connessione cresce la coscienza che tale epoca ha di sé, e
nel passaggio a formule astratte queste pervengono, me- diante la dimostrazione
razionale, a un carattere assoluto; ven- gono formulati valori, obbligazioni,
doveri, beni incondiziona- ti, mentre proprio qui lo storico percepisce
chiaramente la loro origine dalla vita medesima. Se nella riflessione
dell'individuo sulla vita troviamo in Ger- mania una tendenza alla sua
formazione razionale, una tenden- za analoga si sviluppa nel medesimo tempo
nella vita statale, 192 WILHELM DILTHEY sulla base delle condizioni particolari
della connessione dinami- ca della vita politica. Sempre più invadente
diventava l’attività statale nello svilup- po europeo dell’età moderna, in
tutti i vari campi della cultu- ra: nella burocrazia, nella classe militare,
nelle istituzioni finan- ziarie risiede il centro di organizzazione di tutti i
rapporti di forza, e l’attività dello stato diventa una forza propulsiva del
movimento culturale. Su questo processo influiscono ovunque la lotta reciproca
dei grandi stati per la potenza e per l'amplia- mento, e il bisogno interno di
trasformare in una totalità unita- ria le parti messe insieme attraverso le
guerre e le successioni ereditarie. L'unità degli stati moderni si concentra
nel monar- ca, nella sua burocrazia e nel suo esercito. Ma essi debbono
pervenire a una più salda articolazione dei loro organi e a un impiego più
intensivo delle loro forze. Ciò diventa possibile soltanto con una più
razionale condotta degli affari; il progres- so politico non avviene
spontaneamente ma viene prodotto. Ogni attività dell’insieme è determinata da
una razionale posi- zione di scopi. Questo insieme include sempre in sé vari
compi- ti culturali — la scuola, la scienza, anche la vita ecclesiastica, ove
essa può venir raggiunta. I prìncipi rappresentano in sé non solo l’unità, ma
anche l’orientamento culturale di tutto lo stato. Le libere forze irrazionali
della fedeltà della persona alla persona vengono sostituite da altre operanti
in modo più calco- labile e più sicuro. Così anche nella vita statale si attua
la relazione di forze che dà all’età illuministica la sua unità. All’ordine
razionale della vita e all’utilizzazione razionale della natura, di cui lo stato
ha bisogno, viene incontro il movimento scientifico fondato nel secolo xvII, e
questo trova a sua volta nello stato l'organo necessario per sottoporre tutti i
settori della vita a una regolamentazione razionale, dall'impresa eco- nomica
alle regole del buon gusto nelle arti. Nessun paese era politicamente preparato
come la Germania a questa interna relazione, nella quale risiedeva l’essenza
dell’Il- luminismo. I suoi piccoli stati dipendevano dallo sviluppo della
cultura, e la Prussia anche dal progredire delle forze spirituali necessarie
alla lotta per il potere. La circolazione delle forze religiose e scientifiche,
dalla vita delle comunità protestanti al sistema scolastico e alle università,
da queste allo sviluppo del WILHELM DILTHEY 193 pensiero religioso presso il
clero e alle teorie giuridiche presso i giuristi, e poi di nuovo giù giù fino
al popolo, non fu mai in alcun paese sviluppata come in esso. Nell’Illuminismo
tedesco cooperano forze di origine assai diversa, e connessioni dinamiche colte
in stati assai differenti del loro sviluppo. Mentre l’unità dello spirito
dell’Illuminismo si realizza nel- la scienza e nella riflessione filosofica
come nella vita sociale, essa viene ad attuarsi pure mediante l’efficacia di
questo spirito in tutti i singoli campi della vita spirituale. Nello sviluppo
del diritto troviamo in Germania un interessante esempio di tale fenomeno
nell’origine della più compiuta legislazione dell’epoca, il diritto
territoriale. A Halle, dallo spirito dello stato prussia- no si forma un
indirizzo autonomo del diritto naturale e della giurisprudenza che su esso si
fonda. Thomasius, Wolff, B6h- mer? e vari seguaci diffondono dappertutto, con i
loro scritti, la concezione giuridica di tale scuola. Essi formano i funziona-
ri adatti, per l’unità e il carattere nazionale del loro orienta- mento
spirituale, a compiere l’opera legislativa, a lungo blocca- ta, della Prussia.
Sotto l’influenza di questo diritto naturale stanno il re, che promuove tale
opera, e i ministri e i consiglie- ri che la eseguono. La stessa connessione
interna si trova nel movimento religioso dell’età illuministica: anch'esso
mostra la duplicità peculiare dell’Illuminismo tedesco, in quanto è a un tempo
polemico e costruttivo. La storia ecclesiastica, il diritto naturale e il
diritto ecclesiastico cooperano nel Protestantesimo tedesco a formare una
visione del Cristianesimo primitivo che in Bòhmer, Semler ”, Lessing, Pfaff”
diventa la forza produtti- 21. Johann Samuel Friedrich von Bòhmer (1704-1772),
giurista tedesco, autore de- gli Elementa iurisprudentiae criminalis (1733),
delle Observationes selectae ad B. Carp- zovii Practicam novam rerum
criminalium (1759) e di Meditationes sulle recenti leggi penali (1770), fu uno
dei più importanti studiosi di diritto penale del Settecento. 22. Johann
Salomon Semler (1725-1791), teologo protestante tedesco, autore delle
Vorbereitungen zur theologischen Hermeneutik (1760-69), della /nstiturio
brevior ad liberalem eruditionem theologicam (1765-66), dell'Apparatus ad
liberalem Novi Testa- menti interpretationem (1769), delle Asketische
Vorlesungen zur Beforderung einer verniinftiger Anwendung der christlichen
Religion (1722) e di altre operc, sostenne — in polemica col Pietismo — una
teologia liberale, fondata sulla distinzione della paro- la divina dalla parola
della Bibbia. 23. Christoph Matthàus Pfaff (1686-1760), teologo protestante
tedesco, autore delle Institutiones theologiae dogmaticae et moralis (1719),
del De origine iuris ecclesiastici 13. STORICISMO TEDESCO. 194 WILHELM DILTHEY
va di un nuovo ideale della religiosità e dell'ordinamento della chiesa. E
anche qui si ha la medesima circolazione delle idee che dall’insoddisfazione
per lo stato presente e dalla forza posi- tiva delle nuove idee universali,
attraverso le scuole e le univer- sità che sono indipendenti dal potere
dell'ortodossia ecclesiasti- ca e che stanno in connessione con lo spirito
scientifico, condu- ce alla formazione del singolo sacerdote che fa valere
nella città o nella campagna un Cristianesimo illuminato, affine allo spirito
dell’epoca. La religiosità cristiana non ha mai esercitato in nessun altro
tempo all’infuori dell’Illuminismo tedesco un’in- fluenza così schietta, così
coerente, così orientata verso le supre- me idee morali e religiose, e nel medesimo
tempo così concorde con il teismo cristiano. Nuovi valori religiosi di grande
portata si sono allora formati nella vita ecclesiastica e religiosa. Anche la
poesia tedesca dell’epoca è determinata dalla trasformazione dei valori e degli
scopi che si compie nell’età dell’Illuminismo. Negli stati indipendenti
tedeschi l’Illuminismo incide sulla crea- zione poetica. Muovendo dalla
Francia, anche in Germania viene elaborata la prosa moderna in rapporto con la
società colta. Vengono assegnati ai generi poetici le loro regole, e queste
disciplinano la forma superiore di arte fantastica di Shakespeare e di
Cervantes in componimenti poetici articolati in maniera strettamente logica.
L'ideale di questa poesia diven- ta l’uomo determinato dall’idea della perfezione
e dell’Illumini- smo; e la sua intuizione del mondo è la fede nell’ordine
teleolo- gico del mondo a partire dalla natura. La diretta espressione diquesto
ideale e di questa intuizione del mondo diviene la poe- sia didattica; ad essa
seguono l’idillio e l’elegia. Non viene afferrato il carattere tragico della
vita: la commedia, il dram- ma e soprattutto il romanzo diventano la suprema
espressione poetica dell’epoca, e acquistano una struttura corrispondente: un
realismo guidato da idee ottimistiche pervade ogni opera poetica. Questa
connessione unitaria, nella quale si esprime nei di- versi campi della vita
l'orientamento dominante dell’Illumini- smo tedesco, non determina però tutti
gli uomini che apparten- (1719), delle Institutiones iuris ecclesiastici (1727)
e di varie altre opere, fu uno dei maggiori rappresentanti della dottrina
teologica della prima metà del Settecento. WILHELM DILTHEY 195 gono a tale età;
e anche là dove essa influisce, trova accanto a sé altre forze. Si fanno valere
le opposizioni delle età preceden- ti: particolarmente efficaci si mostrano le
forze che si riallaccia- no a situazioni e a idee antiche, cercando però di
dare loro una nuova forma. Nella sfera religiosa si è presentato così il
Pietismo. Esso è stato la più robusta tra le forze in cui l’antico ha assunto
forme nuove. Esso è affine all’Illuminismo nella crescente in- differenza per
tutte le forme ecclesiastiche esteriori e nell’esigen- za di tolleranza, ma
soprattutto nel fatto che, al di là della tradizione e dell’autorità distrutte
dalla critica, cerca un sempli- ce e chiaro fondamento di legittimità per la
fede. Tale fonda- mento risiede nel contatto con Dio e nell’esperienza
religiosa che ne deriva. Soltanto il convertito intende la Bibbia; a lui si
rivela la parola divina che gli è partecipata in essa; egli è in grado di fare
delle scoperte, per così dire, nel campo del Cristia- nesimo. La tolleranza del
Pietismo sta nel riconoscimento di ogni fede cristiana fondata sulla
conversione: il Pietista risve- gliato da essa deve completare la propria
esperienza religiosa mediante la storia di conversioni altrui. E così vediamo
che il Pietismo appartiene al grande movimento individualistico, poi- ché esso
procede oltre il Luteranesimo escludendo la chiesa dal processo interiore della
persona. Ma nel medesimo tempo si contrappone all’Illuminismo per la sua
adesione alla fiducia di Lutero nell’esperienza religiosa derivante dal
contatto con Dio. Il Pietismo si ritrova poi in un rapporto interno con la
compiutezza raggiunta dalla nostra musica religiosa in J. S. Bach. Certo, Bach
non era pietista, ma i canti dell'anima cri- stiana, che accompagnano la
rappresentazione della vita di Cri- sto, mostrano già di per sé abbastanza
chiaramente la sua con- nessione con la soggettiva interiorità religiosa, che
era venuta in luce nel movimento pietistico. La medesima tendenza verso lo
stato di cose esistente si manifesta di fronte alle tendenze politiche del
governo illumi- nato. Essa è diretta al mantenimento del regno e dei privilegi
di ceto nei singoli stati, e alla conservazione degli antichi dirit- ti. Ma
anche queste tendenze raggiungono la loro più alta coscienza e la loro
fondazione mediante lo studio della lettera- tura illuministica di teoria dello
stato, e Ie proposte di Schlos- 196 WILHELM DILTHEY ser e di Méser cercano
anche di soddisfare i nuovi bisogni e lo spirito dell'Illuminismo. Le idee
politiche dell'Illuminismo dovevano circondare Méser quando egli, in base alla
situazione presente, sviluppava la sua comprensione di essa e le sue ten- denze
pratiche. Dall’esempio dell’Illuminismo tedesco si comprende quindi la
relazione interna delle tendenze che hanno determinato le antitesi c la
mutabilità in tale periodo, allorquando si constata- no i momenti che, entro il
suo orientamento fondamentale, rendono possibile rivolgersi verso il futuro.
Proprio la ten- denza illuministica verso ciò che è regolare ha prodotto in
diversi campi una penetrazione degli avvenimenti storici, in cui sembrava
essersi realizzata la regola. Così nel Cristianesimo primitivo si trovava il
tipo di una religiosità più libera e que- sta rafforzava la tendenza al suo
studio in Thomasius, in B6h- mer e in Semler. Le regole, che la critica
contemporanea stabili- va nell’arte, erano rafforzate dall’analisi approfondita
del tipo dell’arte antica, e da questo punto di vista Winckelmann e Lessing
illustravano l’arte antica e le leggi della creazione arti- stica, spiegando
l’un termine con l’altro. Un altro momento dell’orientamento verso i compiti
del futuro stava nel fatto che la comprensione della persona singola conduceva
a porre l’ac- cento sull'individualità della creazione e del genio. Se ci
chiediamo poi come, in mezzo al corso degli eventi che trascina la Germania e
procede dando luogo a ininterrotti, continui mutamenti, possa venir delimitata
tale unità, la rispo- sta è anzitutto questa: che ogni connessione dinamica
reca in sé la sua legge, e le sue epoche sono del tutto diverse da quelle delle
altre in virtù di tale legge. Così la musica ha un movi- mento peculiare,
secondo cui lo stile religioso che scaturiva dalla massima forza dell’ErleBnis
cristiano raggiungeva il suo culmine nella stessa età con Bach e con Hiindel,
quando l’Illu- minismo era già la tendenza dominante in Germania. E nella
stessa epoca in cui sorgono le più importanti opere di Lessing 24. Johann Georg
Schlosser (1739-1799), giurista c uomo politico tedesco, autore del Kasechismus
der Sittenlehre fiirs Landvolk (1771), dell’Anti-Pope, oder Versuch tiber den
natiirlichen Menschen (1776), dei Politische Fragmente (1777), del saggio Uber
Scelenwanderung (1781), fu esponente dell'Illuminismo tedesco; polemizzò contro
la filosofia kantiana, WILHELM DILTHEY 197 nasce il nuovo movimento creatore
dello Sturm «nd Drang, che segna l’inizio di un'epoca successiva nella
letteratura. E se ci chiediamo quali siano i legami che creano un’unità tra le
diverse connessioni dinamiche, la risposta è questa: essa non è un’unità
esprimibile in un pensiero fondamentale, ma piutto- sto una connessione tra le
tendenze della vita medesima, che si costituisce nel suo corso. Nel corso
storico si possono delimitare periodi nei quali, dalla costituzione della vita
fino alle idee supreme, un'unità spirituale si forma, raggiunge il suo culmine
e di nuovo si dissolve. In ognuno di tali periodi vi è una struttura interna
che esso ha in comune con gli altri, e che determina la connes- sione delle
parti del tutto, il corso e le modificazioni nelle tendenze: noi vedremo in
seguito a che cosa può servire il metodo di comparazione per l'apprendimento
della struttura. Nell’efficacia costante dei rapporti strutturali generali ci
si rive- la anzitutto il significato e il senso della storia. Nel modo in cui
questi dominano in ogni punto e in ogni età, determinando la vita dell’uomo,
risiede in primo luogo il senso del mondo spirituale. Il compito è ora quello
di studiare sistematicamente le regolarità che costituiscono la struttura della
connessione di- namica nei suoi portatori, a partire dall’individuo. In qual
modo queste leggi strutturali consentano di formulare asserzioni sul futuro,
può venir determinato solo se è posto tale fondamento. L'aspetto immutabile e
regolare dei processi storici è il primo oggetto di studio, e da ciò dipende la
risposta a tutte le questio- ni sul progresso nella storia, e sulla direzione
in cui si muove l'umanità. La struttura di una certa età si mostra quindi come
una connessione delle connessioni e dei movimenti particolari entro il grande
complesso dinamico di tale età. In base a mo- menti quanto mai molteplici e
mutevoli viene a costituirsi una totalità più complicata; e questa determina il
significato che riveste tutto ciò che agisce nell’epoca. Quando lo spirito di
tale età è nato da dolori e dissonanze, allora ogni individuo ha in esso e
mediante esso il suo significato. Da questa connessione sono in primo luogo
determinati i grandi uomini storici: la loro creazione non si muove a distanza
storica, ma assume i suoi fini dai valori e dalla connessione di significato
dell'età medesima. L'energia produttiva di una nazione in un dato 198 WILHELM
DILTHEY tempo riceve la sua forza maggiore proprio in quanto gli uomi- ni di
tale età sono limitati entro il suo orizzonte; il loro lavoro serve alla
realizzazione di ciò che costituisce la tendenza fonda- mentale dell’ epoca.
Così essi diventano i loro rappresentanti. Tutto in un'età acquista il suo
significato dalla relazione con l’energia che dà ad essa il suo orientamento
fondamentale. Essa si esprime nella pietra, sulla tela, nelle azioni o nelle
parole; e si oggettiva nella costituzione e nella legislazione delle nazioni.
Pieno di essa, lo storico penetra le epoche passa- te, e il filosofo cerca in
base ad essa di interpretare il senso del mondo. Tutte le manifestazioni
dell'energia che determina l’e- poca sono imparentate tra di loro. Qui si
presenta il compito dell’analisi, cioè il compito di riconoscere nelle diverse
manife- stazioni della vita l’unità della determinazione di valore e della
tendenza verso uno scopo. E in quanto le manifestazioni di vita di questa tendenza
spingono verso valori e scopi assoluti, si chiude il cerchio in cui sono
racchiusi gli uomini di questa età; poiché in esso sono contenute pure le
tendenze che vi si contrappongono. Si è visto come il tempo imprime anche su di
esse la propria impronta e come la tendenza dominante ostaco- la il loro libero
sviluppo. Così l’intera connessione dinamica dell’epoca è determinata in forma
immanente dal nesso della vita, del mondo affettivo, della formazione di valori
e delle relative idee di scopo. È storico ogni agire che si inserisca in questa
connessione: essa costituisce l'orizzonte dell’età, e da essa è determinato
infine il significato di ogni parte in questo sistema dell’epoca. Tale è
l’autocentralità delle età e delle epo- che, in cui si risolve il problema del
significato e del senso che sì possono trovare nella storia. Ogni età contiene
il riferimento retrospettivo a quella prece- dente e continua le forze
sviluppatesi in quella, ma nel medesi- mo tempo è già presente in essa la
tendenza creativa che prepa- ra l’età successiva. Come essa è sorta
dall’insufficienza dell'età che la precede, così reca con sé i limiti, le
tensioni e la sofferen- za che preparano l’età posteriore. E poiché ogni forma
della vita storica è finita, deve esservi contenuta una mescolanza di forza
gioiosa e di pressione, di estensione dell’esistenza e di ristrettezza della
vita, di soddisfacimento e di bisogno. Il culmi- ne degli effetti della sua
tendenza fondamentale è breve; e da WILHELM DILTHEY 199 un'età all’altra Ia fame
passa attraverso tutti i modi di soddisfa- cimento, senza mai poter essere
saziata. Qualsiasi cosa ci risulti in merito al rapporto delle età e dei
periodi storici tra loro, in relazione alla crescente complessità della
struttura della vita storica, è proprio della natura finita di tutte le forme
della storia che esse siano accompagnate dall’atro- fia e dalla schiavitù, cioè
da una brama insoddisfatta: e questo soprattutto in quanto i rapporti di potere
non possono venir eliminati dalla vita comune degli esseri psico-fisici. Come
lo stato sovrano dell’età illuministica produceva pure le guerre di gabinetto e
lo sfruttamento dei sudditi per il godimento della corte, al pari della
tendenza allo sviluppo razionale delle for- ze, così ogni altro ordinamento dei
rapporti di potere racchiude pure una siffatta duplicità di effetti. E il senso
della storia può venir cercato soltanto nel rapporto di significato di tutte le
forze legate nella connessione delle varie età. 10. L'elaborazione sistematica
delle connessioni dinamiche e dei rapporti di comunanza. In quanto la
comprensione della storia avviene mediante l'applicazione ad essa delle scienze
sistematiche dello spirito, l’illustrazione precedente della connessione logica
della storia ha già rivelato i caratteri generali della sistematica delle
scien- ze dello spirito. Infatti l'elaborazione sistematica delle connes- sioni
dinamiche, poste in luce entro la storia, ha come proprio fine la scoperta
dell’essenza di tali connessioni dinamiche. Per ora mi limito a stabilire solo
i seguenti tre punti di vista per l'elaborazione sistematica. Lo studio della
società poggia sull’analisi delle connessioni dinamiche contenute nella storia.
Quest’analisi procede dal con- creto all’astratto, dallo studio scientifico
dell’articolazione natu- rale dell'umanità e dei popoli verso la distinzione
delle singole scienze della cultura e la separazione dei campi dell’organizza-
zione esterna della società *. Ogni sistema di cultura forma una connessione
dinamica a. Ciò è trattato più ampiamente nell’Einleitung in die Geisteswissen-
schaften, p. 44 sgg. [ora in Gesammelte Schriften, vol. I, p. 35 sgg.]- 200 WILHELM DILTHEY che poggia su
rapporti di comunanza; poiché la connessione compie un'operazione, essa ha un
carattere teleologico. Ma qui si presenta una difficoltà riguardante
l’elaborazione concettuale che avviene in queste scienze. Gli individui, che
cooperano in tale operazione, appartengono alla connessione soltanto nei pro-
cessi in cui collaborano a realizzare l’operazione stessa, ma tuttavia agiscono
con tutto il loro essere, e quindi un campo siffatto non si può mai costruire
in base allo scopo dell’operazio- ne, poiché accanto all’energia orientata
verso tale operazione stanno sempre anche gli altri aspetti della matura umana;
e si fa valere la sua mutabilità storica. Qui risiede il problema logico
fondamentale della scienza dei sistemi di cultura; e ve- dremo come per la sua
soluzione si sono formati e combattuti metodi differenti. A questa difficoltà
si aggiunge un limite che riguarda l’ela- borazione concettuale delle scienze
dello spirito: esso deriva dal fatto che le connessioni dinamiche realizzano
operazioni e hanno un carattere teleologico. L'elaborazione concettuale non è
pertanto qui una semplice generalizzazione che ricavi l’ele- mento comune dalla
serie dei casi particolari. Il concetto espri- me un tipo, e sorge nel
procedimento comparativo. Ad esem- pio, io cerco di precisare il concetto di
scienza, comprendendo sotto di essa ogni connessione diretta a ottenere una conoscen-
za. Tuttavia entro i libri dedicati a lavori scientifici vi è molto di
infruttuoso e di illogico, cioè di erroneo: ciò contraddice all’intenzione
orientata verso la loro funzione. L'elaborazione concettuale pone in luce quei
tratti in cui è realizzata la funzio- ne di tale connessione: questo è il
compito della dottrina della scienza. Oppure, se voglio precisare il concetto
di poesia, an- che qui ha luogo una costruzione concettuale a cui non tutti i
versi possono venir subordinati. La molteplicità dei fenomeni in un campo
siffatto si raggruppa intorno a un punto centrale, costituito dal caso ideale
in cui l'operazione è realizzata in modo compiuto. La discussione intorno alla
connessione generale delle scien- ze dello spirito è pertanto conclusa. L'analisi
seguente della costruzione delle scienze dello spirito illustrerà i metodi
partico- lari in cui si realizza la connessione logica generale. IL MONDO
STORICO * 1. L'uomo storico!. Il mondo storico esiste sempre, e l’individuo non
lo conside- ra soltanto dall’esterno, ma è intrecciato in esso; né è possibile
scindere queste relazioni. Ciò che rimarrebbe sarebbe soltanto la condizione
inafferrabile dalla quale si dovrebbero derivare, astratte dal corso storico,
le condizioni necessarie di questo corso in tutte le età insieme con il dato:
problema insolubile al pari di quello della possibilità della conoscenza prima
o indi- pendentemente dal conoscere stesso. Noi siamo esseri storici prima di
considerare la storia, e soltanto perché siamo quelli diveniamo questi. Tutte
le scienze dello spirito poggiano sullo studio della storia trascorsa fino a
ciò che sussiste nel presente, in quanto questo è il limite di ciò che rientra
nella nostra esperienza relativa all'oggetto costituito dall’umanità. Quello
che può ve- nir immediatamente vissuto, inteso e tratto fuori dal passato nella
coscienza, viene qui compreso: in tutto questo noi cerchia- mo l’uomo, e anche
la psicologia è soltanto una ricerca dell’uo- * Plan der Fortsetzung zum Aufbau
der geschichilichen Welt in den Geisteswis- senschaften: Zweîtes Projekt einer
Fortsetzung, in Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VII, 1927, pp.
277-282, 287-291 (Secondo progetto: il problema della sto- ria, tr. it. di
Pietro Rossi, in Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1954, PP.
372-384). — Non sono stati tradotti alcuni paragrafi che, per il loro carattere
di puri e semplici appunti, nonché per le frequenti interruzioni del discorso,
sarebbero risultati di troppo difficile lettura. I passi omessi vengono indicati
di volta in volta nelle note. 1. Non è stata tradotta la parte iniziale del
paragrafo (Gesammelte Schriften, vol. VII, p. 276-77). 202 WILHELM DILTHEY mo
in ciò che viene immediatamente vissuto e inteso, nelle espressioni e negli
effetti che ne derivano. Perciò ho indicato come compito fondamentale di ogni
riflessione sulle scienze dello spirito quello di una critica della ragione
storica. Occorre che la ragione storica risolva il compito rimasto fuori
dall’ambi- to visuale della critica della ragione di Kant, il cui problema è
stato determinato in riferimento ad Aristotele, secondo cui la conoscenza
avviene nel giudizio. Noi dobbiamo uscire dall’aria pura e raffinata della
critica della ragione kantiana per adeguarci alla natura del tutto diffe- rente
degli oggetti storici. Qui si presentano le questioni se- guenti: io ho
esperienza immediata delle mie situazioni e sono intrecciato nelle azioni
reciproche della società come punto di incrocio dei suoi diversi sistemi, i
quali sono sorti dalla stessa natura umana che io vivo in me e intendo negli
altri. La lingua in cui penso è sorta nel tempo, i miei concetti si sono
formati in esso: io sono, fino alla profondità non più penetrabi- le del mio
io, un essere storico. In tal modo si presenta il primo importante momento per
la soluzione del problema conoscitivo della storia: la prima condizione di
possibilità della scienza storica risiede nel fatto che io stesso sono un
essere storico, € che colui che indaga la storia è il medesimo che fa la
storia. Così sono possibili giudizi storici sintetici e universalmente vali-
di. Ma i princìpi della scienza storica non possono essere formulati in
princìpi astratti che esprimano equivalenze, poi- ché, in conformità alla
natura del loro oggetto, debbono poggia- re su rapporti fondati nell’Erleden.
Nell'Erleben vi è la totalità del nostro essere, che riproduciamo poi
nell’intendere: qui è dato il principio della reciproca affinità tra gli
individui. 2. Il concetto storico.L’uomo si conosce soltanto nella storia, mai
mediante l’in- trospezione. In fondo noi tutti lo cerchiamo nella storia, anzi
vi cerchiamo anche l’elemento umano quale si manifesta nella religione, ecc.:
noi vogliamo sapere che cosa esso sia. Se vi fosse una scienza dell’uomo,
questa sarebbe un’antropologia ca- pace di intendere la totalità degli
Erlebnisse secondo la loro connessione strutturale. L’uomo singolo realizza
sempre una WILHELM DILTHEY 203 sola possibilità del suo sviluppo, che poteva
sempre assumere un’altra direzione in base all'orientamento del suo volere.
L’uo- mo in generale esiste per noi solo sotto la condizione di certe
possibilità realizzate. Anche nei sistemi di cultura noi cerchia- mo una
struttura antropologicamente determinata, nella quale si attua un x; e noi lo
diciamo essenza, ma questa è soltanto una parola per designare un procedimento
spirituale che costi- tuisce una connessione concettuale in questo campo. Anche
qui le possibilità di tale campo non vengono esaurite. L'orizzonte si allarga.
Infatti, anche quando lo storico ha dinanzi a sé un materiale limitato, mille
fili lo conducono sempre più avanti nell’illimitatezza di tutti i ricordi del
ge- nere umano. La storiografia comincia in quanto, muovendo dal presente e dal
proprio stato, si rappresenta ciò che ancora qua- si vive nella memoria della
generazione presente; ciò costitui- sce un ricordo ancora in senso proprio.
Oppure vengono stesi degli annali in cui si registra, procedendo negli anni,
ciò che è accaduto. Col procedere della storia lo sguardo si allarga al di là del
proprio stato, e una sezione sempre più vasta del passato entra nel regno dei
morti della memoria. Di tutto ciò è rimasta l’espressione dopo che la vita
stessa è trascorsa, sia sotto forma di espressione diretta, con la quale certe
anime hanno manife- stato ciò che sono state, sia sotto forma di narrazioni
relative ad azioni e a situazioni di individui, di comunità e di stati. E lo
storico sta in mezzo a tutti questi resti di cose passate, e di manifestazioni
di anime racchiuse in fatti, parole, suoni, imma- gini di anime che da tempo
non sono più. Come deve egli evocarle? Tutto il suo lavoro diretto a tal fine
poggia sull’inter- pretazione dei resti conservati. Si pensi a un uomo che non
abbia alcun ricordo del suo passato, ma che pensi o agisca soltanto in base a
ciò che questo passato ha prodotto in lui, senza esser cosciente di alcuna sua
parte: tale sarebbe anche la situazione delle nazioni, delle comunità,
dell'umanità medesi- ma se essa non riuscisse a completare i resti, a
interpretare le espressioni, a ricondurre la narrazione dei fatti dal loro
isola- mento alla connessione in cui sono sorti. Tutto questo è inter-
pretazione, ossia un’arte ermeneutica. Il problema è ora di vedere quale forma
questa assuma quando essa è completamente staccata dall’esistenza individua-
204 WILHELM DILTHEY le, e si debbono formulare asserzioni su soggetti che
costituisco- no in qualche senso delle connessioni di persone, cioè su sistemi
di cultura, nazioni o stati. Anzitutto occorre qui un metodo per ritrovare, in
questa illimitata azione reciproca tra esistenze individuali, delle rigoro- se
delimitazioni, quando queste mancano invece nell’unità vi- vente della persona.
È come se si dovessero tirare linee e disegnare figure che rimangono ferme
nella corrente continua di un fiume. Tra questa realtà e l’intelletto non
sembra possibi- le alcun rapporto conoscitivo, poiché il concetto separa ciò
che è legato nel fluire della vita e rappresenta qualcosa di valido
universalmente e per sempre, indipendentemente dalla mente che lo ha formulato,
mentre il fluire della vita è ovunque soltanto singolare, e ogni onda va e
viene entro di esso. Questa difficoltà, dopo che Hegel contrappose per primo la
conoscenza intellettuale, caratteristica dell’Illuminismo, all'essenza del mon-
do storico € umano, costituisce il problema proprio del metodo storico. Ma
questo problema può venir risolto: non abbiamo bisogno di rifugiarci
nell’intuizione e di rinunciare ai concetti, ma dobbiamo invece rielaborare i
concetti storici e psicologici. È stato merito geniale di Fichte aver formulato
tali concetti adatti alla vita psichica e in generale allo spirito, mettendo
l'energia al posto della sostanza, e ponendo le attività spirituali in
relazione con le precedenti e in antitesi con quelle contempo- ranee, in modo
che venga a delinearsi un progredire che diven- ta possibile in virtù del
tempo, dell’energia che in questo opera e dell’unità che si differenzia.
Tuttavia egli si è limitato a formulare questo schema di dinamica psichica, ma
la sua realiz- zazione si richiama ai concetti kantiani anziché alla realtà.
Her- bart e Hegel non sono pervenuti neppur essi all'aria aperta del mondo
storico reale. Tuttavia ciò è stato l’inizio di uno sconvol- gimento di tutto
il pensiero relativo al mondo storico, in una connessione interna che
scaturisce nella maniera più chiara nel Romanticismo, prima con Niebuhr e poi
con Hegel e con Ran- ke, conducendo così alla moderna storiografia. Noi
possiamo liberarci dalla confusione concettuale in cui quest’antitesi tra realtà
storica e conoscenza intellettuale si esprimeva allora me- diante concetti
ispirati al principio di identità, in quanto guar- diamo alla natura stessa dei
concetti storici. Il loro carattere WILHELM DILTHEY 205 logico è l'indipendenza
dell’asserzione dal soggetto in cui si presentano e dal momento in cui essa ha
luogo: la loro validità è indipendente dal luogo e dal tempo in senso
psicologico. Il loro contenuto è invece l’accadere, il corso di qualsiasi
specie; l’asserzione è indipendente dal tempo, mentre ciò che viene espresso è
il corso temporale. Anzi, non tutti i concetti storici ri- sultano
correttamente formulati da questo punto di vista; ma, soltanto in quanto lo
sono, possono occupare un posto nell’ap- prendimento del mondo storico. Nel
medesimo tempo i concet- ti esistenti debbono spesso venir rielaborati in modo
che possa esprimersi in essi ciò che è mutevole e dinamico. In fondo il
problema appare simile a quello della matematica superiore, che cerca di
dominare i mutamenti della natura. Ogni parte della storia, ad esempio un'età,
non può venir colta me- diante concetti che esprimano qualcosa di stabile in
essa, cioè in un sistema di relazioni tra qualità definite, quali sarebbero
state per l’età illuministica l'autonomia nello stato o l’Illuminismo nella
vita spirituale. In tal modo non si coglie la natura specifi- ca del tempo, ma
si tratta piuttosto di un sistema di relazioni le cui parti sono dinamiche e
inoltre mostrano continui muta- menti qualitativi nell'azione reciproca.
Infatti le relazioni me- desime, poggiando sull’azione reciproca tra forze,
sono mutevo- li, cioè ognuna di esse racchiude in sé una regola di mutamen- to.
Applicando questo al periodo illuministico risulta che l’'ordi- ne sociale che
era esistito fino al termine del secolo xvi e all’ini- zio del xvi diventa
impossibile poiché i contrasti tra gli interessi particolari della nobiltà, dei
ceti e del governo, e quelli tra gli interessi delle province tra di loro e in
rapporto all'insieme, non consentono in Germania il sorgere di una volontà
statale unitaria, una cura comune per il tutto e un continuo persegui- mento
degli scopi statali. Diverse sono invece le epoche nelle quali, in Inghilterra,
in Francia e in Italia, si fa valere la medesima insufficienza dell’esistenza
politica. Essa diventava insopportabile verso l’esterno, poiché l'aspirazione
alla potenza in questi stati concorrenti si manifestava assai diversamente che
in qualsiasi epoca precedente. Essi erano sorti l’uno accanto all’altro,
condizionati nella loro forma soprattutto dall’eredità e dalla guerra, senza
ancora esser legati da nessuna letteratura 206 WILHELM DILTHEY unitaria e da
nessuna lingua comune sviluppatasi entro di que- sta. Tale letteratura, e tale
lingua, fu creata per la prima volta per gli Italiani da Dante. In tal modo
sorse la tendenza all’uni- tà nazionale, che però non trovò alcuna possibilità
di attuazio- ne per la politica contrastante dei tiranni e delle repubbliche,
secondo la situazione delle forze. Tale sviluppo ha avuto luogo altrimenti sia
in Inghilterra sia in Francia; mentre per la Ger- mania il momento decisivo è
stata la terribile pressione che grandi stati quali la monarchia universale
spagnola e la poten- za francese hanno esercitato su un paese che è stato in
tal modo costretto a cercare la sua unità nazionale. Sorge però ora la
questione del modo in cui può formarsi nel- lo storico una connessione che non
è prodotta da una mente né è immediatamente vissuta, e neppure può venir
ricondotta all’Er- lebnis di una persona, in base alle sue espressioni e alle
asserzioni relative ad esse. Ciò ha come presupposto la possibilità di for-
mare soggetti logici, e non psicologici. Devono quindi esserci strumenti per
delimitarli e un fondamento di legittimità per ap- prenderli come unità o
connessione. Noi cerchiamo l’anima: questo è l’ultimo punto a cui siamo
pervenuti nel lungo sviluppo della storiografia. Ma qui si pone il problema:
certamente ogni azione reciproca avviene tra unità psichiche, ma per quale via
noi troviamo un’anima dove non c'è anima individuale? La base più profonda è
offerta dalla vita e da ciò che da essa procede, dal raggiungimento della
vitalità e, per così dire, dalla melodia della vita psichica nell’eliminazione
di ogni rego- la rigida”. 3. Il progresso. Quando si parla della storia, il
presupposto dell’intendere storico sta nel fatto che vi sia un significato dei
momenti storici e un senso del corso storico. Secondo questo presuppo- sto,
anche se lo scopo della sua esistenza è posto nell’individuo stesso, nella
storia dovrebbe tuttavia esserci un progredire della 2. Non sono stati tradotti
i paragrafi sulle nazioni e sullc ctà (Gesammelte Schrif- ten, vol, VII, p.
282-87). WILHELM DILTHEY 207 felicità individuale e un estendersi della
felicità a molti: questa è insomma la concezione dei moderni storici inglesi.
Ma tale concezione procede al di là di se stessa: anche se qui il progres- so
della vita individuale di generazione in generazione è conce- pito come
un’azione quasi meccanica di accumulazione di valo- ri, viene in tal modo
presupposto un modo di azione nella cui natura è insito un progresso. Proprio
in questa maniera agisce nella storia un rapporto in virtù del quale il suo
corso ha un senso; infatti questo termine designa soltanto il presupposto in
base al quale può venir inteso il corso storico, ma non un’affer- mazione su
qualche forza distinguibile dal modo di agire mede- simo, la quale possa
conferire alle varie parti del corso il loro significato core un'essenza
immanente a questo corso. In ciò risiede soltanto la condizione sotto cui può
venir intesa la storia, e il prodotto e il risultato di questa è la storia
universale. Ma anche qui non c’è alcun presupposto ulte- riore su qualsiasi
agente unitario nella storia, sia esso un agente immanente o una condizione
reale, il quale possa venir considerato nella filosofia della storia come
provvidenza o co- me scopo immanente o come forza di svolgimento storico. 4. La
connessione storica universale: dalla fatticità all’ideale. Le epoche sono
differenti tra loro per struttura. Ad esem- pio, il Medioevo contiene una
connessione di idee affini che dominano nei suoi vari campi, quali le idee di
fedeltà nel feudalesimo, la successione di Cristo come principio di obbe-
dienza, il cui contenuto è costituito dalla trascendenza dello spirito rispetto
alla natura in virtù dell’abnegazione, la succes- sione teleologica di gradi
nella scienza. Ma si deve riconoscere che lo sfondo di queste idee è la
violenza, che questo mondo più alto non può superare. E ovunque è così: la
fatticità della razza, dello spazio e dei rapporti di violenza costituisce la
base che non può mai venir elevata spiritualmente. È stato un sogno di Hegel
credere che queste età costituiscano un grado dello sviluppo della ragione:
rappresentare un’età implica sempre un chiaro sguardo su tale fatticità, Ma c’è
tuttavia una connessione interna, la quale con- 208 WILHELM DILTHEY duce dai
rapporti condizionanti, dalla fatticità, dalla lotta delle forze allo sviluppo
degli ideali. Ogni situazione data in questa serie senza fine condiziona un
mutamento, poiché i bisogni, che trasformano le energie esistenti în attività,
non possono mai venir soddisfatti, e il desiderio di ogni specie di
soddisfacimento non può mai venir saziato. Ogni forma della vita storica è
finita, e contiene perciò un insieme di forza gioiosa e di pressione, di
estensione dell’esisten- za e di ristrettezza della vita, di soddisfazione e di
penuria, provocando così le tensioni di forza e una nuova distribuzione da cui
derivano di continuo altre azioni. Inoltre, soltanto in pochi punti della vita
storica vi è un temporaneo stato di quiete, le cui cause sono diverse —
equilibrio, forze opposte, ecc.: ma la storia è movimento. Anche nello stesso
procedere c’è una felicità, poiché in esso si risolve la tensione e si realizza
l’ideale. Tra la morta necessi- tà di fatto e Ja più alta vita spirituale sta
il continuo sviluppo dell’organizzazione, dell’istituzione, dell'impiego
regolato della forza: l'intelletto crea, per così dire, meccanismi che servono
al soddisfacimento dei bisogni, perfezionandoli di continuo. Lo scopo, che
l’intelletto pone, dà luogo a tali meccanismi, che possono essere tanto
ferrovie quanto armate, tanto fabbriche quanto miglioramenti costituzionali:
essi costituiscono il cam- po proprio dell'intelletto, che cerca mezzi per
certi scopi e calcola le azioni come cause. Qui appare una combinazione, la
quale rivela propriamente l’essenza della storia. La sua base è la fatticità
irrazionale, da cui deriva da un lato il parteciparsi della tensione fino ai
meccanismi e dall’altro la differenziazione in nazioni, in costu- mi, in forme
di pensiero, fino all’individualità su cui riposa la vera e propria storia
dello spirito. 5. Realtà, valori, cultura. Gli avvenimenti diventano
significativi in quanto si riferisco no a una connessione per la quale essi lo
sono. Se mi formo un concetto di connessione di valore fondata
sovra-individualmente e trascendentalmente — poiché trascendentale è ogni
determina- zione avente la sua base nel sovra-individuale — allora sorge la
WILHELM DILTHEY 209 questione se tale procedimento sia possibile, anche se si
inten- dessero soltanto punti di riferimento formali, dotati di caratte- re
incondizionato, per ciò che è empirico. Ma se si lascia da parte tale
fondazione mediante la filosofia trascendentale, non c’è più alcun metodo per
stabilire norme, valori o scopi incondi- zionati: ve ne sono soltanto di quelli
che avanzano la pretesa a una validità incondizionata, ma che, per la loro
origine, sono inficiati di relatività. Noi attribuiamo invece un significato
effettivo a qualsiasi connessione di tipo reale o ideale, in rapporto a cui un
uomo o un avvenimento acquisti questo carattere. Quando considero nella
connessione dinamica un luogo in quanto tale, come fa Meyer?, e lo valuto in
conformità al presente, dovrei però avere prima un criterio che serva a
determinare ciò che è significativo nel presente, perché altrimenti sarebbe
significati- vo tutto ciò che ha agito sull’infinita serie delle situazioni
presenti. E una cosa è chiara: che io trovo significativo nel presente ciò che
è fecondo per il futuro, per la mia azione in esso, per il progredire della
società verso tale futuro. E qui vedo in maniera assai chiara, nella mia
posizione pra- tica, che, se voglio regolare il futuro, io parto da giudizi
univer- salmente validi su ciò che deve essere realizzato. Il presente non
contiene situazioni, ma processi e connessioni dinamiche, che racchiudono anche
il procedere verso il futuro di qualcosa che può venir prodotto. La frase di
Bismarck, secondo cui egli sareb- be stato collocato dalla sua religione e dal
suo stato in una posizio- ne nella quale il servizio di tale stato era più
importante di ogni altro compito culturale, aveva per lui una validità univer-
sale in virtù del suo fondamento religioso. Da ciò deriva che noi dobbiamo
ammettere tale rapporto anche per il passato. In un’età si sviluppano norme,
valori, scopi universali, in rap- porto ai quali deve esser anzitutto compreso
il significato delle azioni. Se questi debbano venir determinati solo in una
limita- zione o incondizionatamente, è una questione ulteriore. Sembra 3.
Eduard Meyer (1855-1930), storico tedesco autore di una monumentale Ge-
schichte des Altertums (1884-1902), nonché di altri importanti volumi sulla
cronologia dell'antico Egitto, su Cesare e Pompeo, sulle origini del
Cristianesimo. Dilchey si ri- ferisce qui alla tesi sostenuta in Zur TAcorie
und Methodik der Geschichte, Halle, 1902. 14. STORICISMO TEDESCO. 210 WILHELM
DILTHEY che anche in una nazione abbia luogo un antagonismo a propo- sito dei
valori. In questa maniera si perviene al principio che lo svilu po di tali idee
si muove entro contrapposizioni (Kant, Hegel) che sono contenute entro il corso
dello svolgimento delle istitu- zioni, di modo che il loro rapporto reciproco
rende sempre possibile un’altra posizione più ampia e più libera. Anzitutto non
vi sono valori che valgano per tutte le nazioni. Nell'Impe- ro romano si è
sviluppata una concezione aristocratica dell’uma- nità come sostegno
dell’humanitas; nel Cristianesimo l’umani- tà è divenuta soggetto di valore;
tale concezione si è poi trasfor- mata nell’Illuminismo. La storia è essa
medesima la forza pro- duttiva delle determinazioni di valore, degli ideali e
degli sco- pi, in base a cui viene commisurato il significato di uomini e di
avvenimenti. In tale processo questo rapporto mostra una dupli- ce direzione,
verso le epoche e verso il progresso dell'umanità. 6. Il problema del valore
nella storia. Si dice che in tal modo sorga soltanto la coscienza della
relatività storica. Senza dubbio la relatività è propria di ogni fenomeno
storico per fatto che esso è finito... Si pone però il problema seguente: ciò
che viene espresso nelle categorie stori- che sussiste soltanto come momento
del movimento storico? in altri termini, nella storia è contenuto qualcosa che
ha valore solamente in quanto sorge, agisce e tramonta in questa connes- sione?
ed è possibile per caso una determinazione di valori separata da questo corso?
L’ultimo problema di una critica della ragione storica su questa direzione è il
seguente. Ovunque nella storia c’è formu- lazione e selezione nella ricerca
della connessione interna, ovun- que c'è un progresso secondo i rapporti di
finitudine, dolore, forza, antitesi, accumulazione, che lega una parte della
storia con le altre, e la forza, il valore, il significato e lo scopo sono
ovunque gli elementi a cui è legata la connessione storica: ma la connessione,
il valore, il significato, lo scopo, quali essi vengono colti nell’esperienza,
costituiscono l’ultima parola del- lo storico? La strada che imbocco è
determinata dai seguenti princìpi: WILHELM DILTHEY 2II il concetto di valore
deriva dalla vita, e il criterio per ogni giudizio è offerto da concetti
relativi di valore, di significato e di scopo, propri di certe nazioni e di
certe epoche. Occorre perciò illustrare come questi si siano ampliati in
qualcosa di assoluto: ciò vuol dire, insomma, il pieno riconoscimento del-
l’immanenza dei valori e delle norme, anche presentantisi come incondizionati, nella
coscienza storica. 7. Conclusione. La coscienza storica della finitudine di
ogni fenomeno stori- co, di ogni situazione umana o sociale, la coscienza della
relati- vità di ogni specie di fede è l’ultimo passo verso la liberazione
dell’uomo. Con esso l’uomo perviene alla sovranità di trovare in ogni Erlebnis
il suo contenuto e di darsi a questo completa- mente, senza il vincolo di
nessun sistema filosofico o religioso. La vita si libera dalla conoscenza
concettuale; lo spirito diven- ta sovrano rispetto a tutte le ragnatele del
pensiero dogmatico. Ogni bellezza, ogni santità, ogni sacrificio, rivissuti e
interpre- tati, schiudono delle prospettive che rivelano una realtà. E così
pure accogliamo in noi tutto ciò che c’è di malvagio, di terribi- le, di brutto,
riconoscendo che occupa un posto nel mondo e che racchiude in sé una realtà, la
quale dev'essere giustificata nella connessione del mondo: qualcosa su cui non
ci si può illudere. E di fronte alla relatività si fa valere, come il fatto
storico essenziale, la continuità della forza creatrice. Così dall’Erleden,
dall’intendere, dalla poesia e dalla storia deriva un'intuizione della vita, la
quale esiste sempre in e con questa. La riflessione la eleva a distinzione e a
chiarezza concet- tuale. La considerazione teleologica del mondo e della vita
viene riconosciuta come una metafisica che poggia su una visione unilaterale,
non arbitraria cioè ma parziale, della vita, e la dottri- na di un valore
oggettivo della vita come una metafisica che va oltre ogni possibile
esperienza. Ma noi abbiamo esperienza di una connessione della vita e della
storia, in cui ogni parte ha un significato. Come le lettere di una parola, la
vita e la storia hanno un senso, e come una particella o una coniugazione,
nella vita e nella storia vi sono momenti sintattici che hanno un significato.
Ogni uomo procede alla sua ricerca. Nel passato 212 WILHELM DILTHEY si è
cercato di penetrare la vita in base al mondo; ma c'è solo la via che procede
dall’interpretazione della vita al mondo, e la vita esiste solo nell’Erleben,
nell’intendere e nella compren- sione storica. Noi non rechiamo nella vita
nessun senso del mondo. Noi siamo aperti alla possibilità che senso e
significato sorgano soltanto nell’uomo e nella sua storia. Ma non nell’uo- mo
singolo, bensì nell’uomo storico, poiché l’uomo è un essere Storico... I TIPI
DI INTUIZIONE DEL MONDO E LA LORO ELABORAZIONE NEI SISTEMI METAFISICI *
INTRODUZIONE SULL’ANTITESI TRA I SISTEMI Tra i motivi che sempre dànno nuovo
alimento allo scettici- smo, l’anarchia dei sistemi filosofici è uno dei più
potenti. Tra la coscienza storica della loro illimitata molteplicità e la pre-
tesa di ognuno di essi a una validità universale sussiste una contraddizione
che sostiene lo spirito scettico in misura maggio- re di qualsiasi
dimostrazione sistematica. Illimitata, caotica, la molteplicità dei sistemi
filosofici sta alle nostre spalle e si esten- de intorno a noi: in ogni tempo,
fin da quando esistono, essi si sono esclusi e combattuti a vicenda. E non si
intravvede alcuna speranza che si possa giungere a una decisione tra di essi.
La storia della filosofia conferma questo effetto che l’antitesi dei sistemi
filosofici, delle intuizioni religiose e dei princìpi etici ha sull’incremento
della scepsi. La lotta tra le spiegazioni del mondo del pensiero greco più
antico produsse la filosofia del dubbio all’epoca dell’illuminismo greco.
Quando le campa- gne di Alessandro e l’unione di differenti popoli in regni più
grandi misero davanti agli occhi dei Greci le diversità dei costumi, delle
religioni, delle visioni della vita e del mondo, si * Die Typen der
Weltanschauung und ihre Ausbildung in den metaphysischen Systemen, nella
raccolta Weltanschauung, Philosophie und Religion in Darstellungen (a cura di
M. Frischeisen-Kéhler), Berlin, Verlag Reichl und Co., 1911, pp. 1-51, ora in
Gesammelte Schriften, Leipzig und Berlin, vol. VIII, 1931, pp. 75-118 (tradu-
zione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 214 WILHELM DILTHEY formarono le
scuole scettiche, le quali estesero le loro operazio- ni corrosive anche ai
problemi della teologia — il male e la teodicea, il conflitto tra la
personalità divina e la sua infinitez- za e perfezione — e alle assunzioni
concernenti il fine etico dell'uomo. Anche il sistema di credenze dei popoli europei
moderni e la loro dogmatica filosofica vennero seriamente scos- si, nella loro
universale validità, dal momento in cui — alla corte di Federico II
Hohenstaufen — Maomettani e Cristiani pervennero a un raffronto reciproco delle
loro convinzioni e nell'orizzonte del pensiero scolastico penetrò la filosofia
di Averroè e di Aristotele. E quando l’antichità risorse, quando gli scrittori
greci e romani furono compresi nei loro autentici motivi e l'epoca delle
scoperte geografiche pervenne a conosce- re in misura crescente la varietà dei
climi, dei popoli e dei loro modi di pensare presenti sul nostro pianeta,
scomparve del tutto la fiducia degli uomini nelle credenze fin allora salda-
mente delimitate. Oggi i viaggiatori accertano e annotano con cura i più diversi
tipi di fede; noi registriamo e analizziamo i potenti, grandi fenomeni delle
convinzioni religiose e metafisi- che che si trovano presso i ceti sacerdotali
dell'Oriente, nelle città-stato greche, nella cultura araba. Noi guardiamo
indietro alla sconfinata distesa di rovine delle tradizioni religiose, delle
affermazioni metafisiche, dei sistemi dimostrati: lo spirito uma- no ha tentato
e saggiato, nel corso di molti secoli, possibili- tà di ogni tipo per fondare
scientificamente la connessione delle cose, per rappresentarla poeticamente o
per annunciarla religiosamente; e la ricerca storica condotta con metodo
critico indaga ogni frammento, ogni residuo di questo lungo lavoro compiuto
dalla nostra specie. Ogni sistema esclude l’altro, lo confuta; e nessuno riesce
a dimostrare se stesso. Nelle fonti storiche non ci è dato trovare nulla di
analogo al sereno dialo- go che caratterizza la Scuola d’Atene dipinta da
Raffaello, espressione della tendenza eclettica di quel tempo. In tal modo la
contraddizione tra la crescente coscienza storica e la pretesa delle filosofie
a una validità universale è diventata sempre più aspra, e sempre più generale
la disposizione alla curiosità dilet- tevole nei confronti di nuovi sistemi
filosofici, quale che sia il pubblico che possono raccogliere intorno a sé e il
tempo per cui possono trattenerlo. WILHELM DILTHEY 215 2. Assai più in profondo
delle conclusioni scettiche che muo- vono dal carattere antitetico delle
opinioni umane giungono però i dubbi cresciuti sul terreno della progressiva
formazione della coscienza storica. Era un tipo d’uomo compiuto, dotato di un
contenuto spirituale determinato, che costituiva il presupposto dominante del
pensiero storico dei Greci e dei Romani. Questo stesso tipo stava alla base
della dottrina cristiana del primo e del secondo Adamo, del figlio dell'uomo.
Il sistema naturale del secolo xvi era sorretto dal medesimo presupposto. Il
siste- ma naturale scoprì nel Cristianesimo un paradigma astratto e durevole di
religione — la teologia naturale; dalla giurispruden- za romana astrasse la
dottrina del diritto naturale e dalla produ- zione artistica greca un modello
di gusto. Secondo questo siste- ma naturale, in ogni diversità storica erano
quindi contenute forme fondamentali, costanti e universali, di ordinamenti
socia- li e giuridici, di fede religiosa e di eticità. II metodo di de- rivare
dalla comparazione delle forme di vita storica un ele- mento comune, di
estrarre dalla molteplicità dei costumi, delle proposizioni giuridiche e delle
teologie, attraverso il concetto di un tipo supremo, un diritto naturale, una
teologia naturale e una morale razionale — secondo un procedimento che, a
parti- re da Ippia!, si era sviluppato attraverso lo Stoicismo e il pensiero
romano — dominava ancora il secolo della filosofia costruttiva. La dissoluzione
del sistema naturale ebbe ini- zio con lo spirito analitico del secolo xvi.
Esso prese l’avvìo dall'Inghilterra, dove la più libera prospettiva su forme di
vita, costumi e modi di pensare barbari e stranieri si incontrerà con le teorie
empiristiche e con l'applicazione del metodo analitico alla teoria della
conoscenza, alla morale, all'estetica. Con Vol- taire e Montesquieu questo
spirito passò poi in Francia. Hume e d’Alembert, Condillac e Destutt de Tracy?
videro nel fascio I. Ippia di Elide, sofista vissuto tra la seconda metà del
secolo v e la prima del secolo Iv a. C., si occupò di problemi matematici e
astronomici, nonché di grammati- ca, di retorica e di dialettica. Dilthey si
riferisce qui alla distinzione tra « leggi scritte », proprie delle singole
città, e le « leggi non scritte », comuni a tutti gli uomini e aventi il loro
fondamento nella natura. 2. Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy (1754-1836),
sviluppò la teoria della co- noscenza di Condillac nell'« ideologia »,
concepita come analisi delle facoltà e del pro- 216 WILHELM DILTHEY di impulsi
e di associazioni — così concepirono l’uomo — illi- mitate possibilità di far
emergere le forme più svariate tra la diversità di clima, di costumi e di educazione.
L'espressione classica di questo modo di considerazione stori- ca furono la
Natural History of Religion e i Dialogues concer- ning Natural Religion di
Hume. E dai lavori di questo secolo xvi scaturì già l’idea dello sviluppo, che
doveva poi dominare il secolo xix. Da Buffon? fino a Kant e a Lamarck* viene
acqui- sita la conoscenza dello sviluppo della terra, del succedersi su di essa
di differenti forme di vita. D'altra parte si formava, in lavori di importanza
decisiva, lo studio dei popoli civili: a partire da Winckelman, Lessing e
Herder, questi lavori applica- rono ovunque l’idea di sviluppo. Da ultimo,
nello studio dei popoli primitivi si trovò l’elemento intermedio tra la
dottrina scientifica dello sviluppo e le conoscenze storico-evolutive fonda- te
sulla vita statale, sulla religione, sul diritto, sui costumi, sul linguaggio,
sulla poesia e sulla letteratura dei popoli. In tal modo il punto di vista
storico-evolutivo poteva venir realizzato nello studio dell’intero sviluppo
naturale e storico dell’uomo, e il tipo «uomo» si risolveva in questo processo
di sviluppo. La dottrina dello sviluppo così formatasi è necessariamente legata
alla conoscenza della relatività di ogni forma di vita storica. Di fronte allo
sguardo che abbraccia la terra e tutto il passato scompare la validità assoluta
di qualsiasi singola forma di vita, costituzione, religione o filosofia. Così
la formazione della coscienza storica distrugge, ancora più radicalmente della
disputa tra i vari sistemi, la fede nella validità universale di qualsiasi
filosofia che abbia voluto esprimere in modo rigoroso la connessione del mondo
mediante una connessione concettua- cesso di formazione e di combinazione delle
idec. La sua opera principale è rappre- sentata dagli E/4ments d'idéologie (1801-17).
3. Gcorges-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), grande naturalista autore
di una monumentale Histoire naturelle, générale et particuliòre (1749-1804),
intraprese per primo un tentativo di classificazione sisternatica delle specie
viventi affermando la loro continuità nell’ambito della « catena » degli
esseri. 4. Jcan-Baptiste-Pierre-Antoine de Monet de Lamarck (1744-1829),
naturalista au- tore di numerose opere tra cui la Philosophie zoologique (1809)
e la Histoire naturelle des animaux sans vertèbres (1815-22), fu tra i
fondatori della teoria evoluzionistica: egli affermò la capacità di
trasformazione delle specie biologiche in conseguenza del rap- porto con
l'ambiente, nonché la trasmissibilità dei caratteri acquisiti nel corso della
trasformazione. WILHELM DILTHEY 217 le. La filosofia deve cercare non già nel
mondo ma nell’uomo la connessione interna delle proprie conoscenze. Intendere
la vita vissuta dell’uomo — questa è l’aspirazione dell’uomo mo- derno. La
molteplicità dei sistemi, che hanno cercato di coglie- re la connessione del
mondo, è in connessione manifesta con la vita; essa è una delle sue creazioni
più importanti e più istrutti- ve, per cui la stessa formazione della coscienza
storica, che ha esercitato una funzione così distruttiva rispetto ai grandi
siste- mi, dovrà fornirci gli strumenti per eliminare l’aspra contraddi- zione
esistente tra la pretesa di validità universale di ogni sistema filosofico e
l'anarchia storica di questi sistemi. I. VITA E INTUIZIONE DEL MONDO 1. La vita.
La radice ultima dell’intuizione del mondo è la vita. Diffu- sa sulla terra in
innumerevoli corsi di vita particolari, rivissuta in ogni individuo, saldamente
assicurata nella risonanza del ricordo — dal momento che, in quanto mero attimo
del presen- te, si sottrae all’osservazione — e d’altra parte afferrabile più
compiutamente in tutta la sua profondità, così come essa si è oggettivata nelle
sue manifestazioni, da parte dell’intendere e dell’interpretazione che non in
qualsiasi percezione interiore e in qualsiasi apprendimento del proprio
Er/ebris, la vita ci è presen- te nel nostro sapere in innumerevoli forme, e
mostra tuttavia o- vunque gli stessi tratti comuni. Tra le sue diverse forme ne
met- to in rilievo «24. Non spiego, non separo in parti; mi limito a descrivere
lo stato che ognuno può osservare in se stesso. Ogni pensiero, ogni azione
interna o esterna emerge come una punta raccolta e penetra avanti. Mi è però
anche possibile rivivere uno stato di quiete interiore; esso è sogno, gioco,
distrazione, sguardo all’intorno e lieve agilità — come sostrato della vita. In
esso comprendo altri uomini e altre cose non soltanto come realtà che stanno
con me e tra di loro in una connessione causale: da me si dipartono in ogni
direzione relazioni vitali, io mi rapporto a uomini e cose, prendo posizione
nei loro confronti, soddisfo le loro esigenze verso di me e mi attendo 218
WILHELM DILTHEY da essi qualcosa. Le une mi rendono felice, ampliano la mia
esistenza, accrescono la mia forza; le altre esercitano su di me una pressione
e mi limitano, E dove la determinatezza della singola tendenza che spinge in
avanti lascia spazio all’uomo, egli nota e sente queste relazioni. L'amico è
per lui una forza che innalza la sua esistenza, ogni membro della famiglia ha
un posto determinato nella sua vita, e tutto quanto lo circonda viene da lui
inteso come vita e come spirito che si sono oggetti- vati. La panca davanti
alla porta di casa, l’albero ombroso, la casa e il giardino hanno in questa
oggettivazione la loro essen- za e il loro significato. È in questo modo che la
vita di ogni individuo crea da sé il proprio mondo. 2. L'esperienza della vita.
Dalla riflessione sulla vita sorge l’esperienza della vita. I singoli eventi,
che il fascio di impulsi e di sentimenti richiama in noi all'atto dell’incontro
con il mondo circostante e col destino, vengono in essa raccolti in un sapere
oggettivo e uni- versale. Nello stesso modo in cui la natura umana è sempre la
medesima, sono comuni a tutti anche i tratti fondamentali dell'esperienza della
vita: la transitorietà delle cose umane e la nostra forza di godere l’attimo;
la tendenza delle nature forti o anche limitate a superare questa transitorietà
con la costruzione di una solida impalcatura della loro esistenza; l’in-
soddisfazione delle nature meno resistenti o più pensierose di fronte ad essa e
la nostalgia per un elemento realmente duratu- ro in un mondo invisibile; la
penetrante potenza delle passioni che, come un sogno, creano immagini
fantastiche finché in esse si smarrisce l'illusione. Così l’esperienza della
vita si forma in maniera differente nei singoli individui. Il loro substrato
comu- ne in tutti è formato dalle intuizioni della potenza del caso, della
corruttibilità di tutto ciò che possediamo, amiamo o an- che odiamo e temiamo,
della costante presenza della morte, che determina onnipotente per ciascuno di
noi il significato e il senso della vita. Nella catena degli individui sorge
l’esperienza universale della vita. Sulla base della ripetizione regolare delle
singole esperienze si forma — nella coesistenza e nella successione de- WILHELM
DILTHEY 219 gli uomini — una tradizione di espressioni, che col trascorrere del
tempo acquistano una precisione e sicurezza sempre mag- giore. La loro
sicurezza poggia sul numero sempre crescente dei casi da cui perveniamo a una
conclusione, sulla loro subor- dinazione a generalizzazioni precedenti e su una
continua veri- fica. Anche dove, in un singolo caso, i princìpi dell’esperienza
della vita non vengono recati a coscienza, essi agiscono su di noi. Tutto
quanto ci domina sotto forma di costume, di consuetudi- ne, di tradizione, è
fondato su tali esperienze della vita. Ma sempre, nelle esperienze particolari
come in quelle universali, il tipo di certezza e il carattere della formulazione
è assoluta- mente diverso dalla validità universale propria della scienza. Il
pensiero scientifico può controllare il procedimento sul quale poggia la sua
sicurezza, può formulare esattamente e fondare le sue proposizioni: la nascita
del nostro sapere dalla vita non può essere controllato nello stesso modo, e
non possiamo proget- tare formule fisse per esprimerla. A queste esperienze
della vita appartiene anche il saldo siste- ma di relazioni entro cui
l’identità dell'io è collegata con le altre persone e con gli oggetti esterni.
La realtà di se stesso, delle persone estranee, delle cose intorno a noi, e le
loro relazio- ni regolari formano l’impalcatura dell’esperienza della vita e
della coscienza empirica che in essa si forma. L’io, le persone, le cose circostanti
possono essere designati come fattori della coscienza empirica, che ha la sua
consistenza nelle relazioni reciproche di questi fattori. E quali che siano le
procedure del pensiero filosofico mediante cui esso astrae dai singoli fattori
o dalle loro relazioni, questi rimangono i presupposti determinan- ti della
vita stessa, indistruttibili al pari di essa e non modifica- bili da alcun
pensiero, in quanto sono fondati nell'esperienza della vita di innumerevoli
generazioni. Tra queste esperienze della vita le più importanti sono quelle che
fondano la realtà del mondo esterno e le mie relazioni con esso, poiché
limitano la mia esistenza, esercitano su di essa una pressione che non posso
eliminare e ostacolano le mie intenzioni in una maniera inattesa e non
modificabile. L’insieme delle mie induzioni, la somma del mio sapere riposa su
questi presupposti fondati nella coscienza empirica. 220 WILHELM DILTHEY 3. Il
mistero della vita. Dalle mutevoli esperienze della vita emerge, di fronte
all’ap- prendimento orientato verso la totalità, il volto della vita: vol- to
contraddittorio, vitalità e al tempo stesso legge, ragione e arbitrio, volto
che offre aspetti sempre nuovi, e quindi chiaro forse nei particolari ma
completamente misterioso nell’insieme. L’anima cerca di raccogliere in un
complesso le relazioni della vita e le esperienze in esse fondate, ma non vi
riesce. Al centro di tutte le cose incomprensibili stanno la procreazione, la
nascita, lo sviluppo e la morte. Il vivente sa della morte, e non è tuttavia in
grado di intenderla. Già dal primo sguardo a un morto, la morte risulta
incomprensibile alla vita: su ciò poggia anzitutto la nostra posizione di
fronte al mondo come a qualcosa di altro, di estraneo e di terribile. Nel fatto
della morte vi è quindi una forza che costringe a rappresentazioni fantastiche
che hanno il compito di rendere intelligibile questo fatto; fede nei morti,
culto degli antenati, culto dei trapassati generano le rappresentazioni
fondamentali della fede religiosa e della metafisica. E l’estraneità della vita
si accresce nella misura in cui l’uomo sperimenta nella società e nella natura
una lotta permanente, l’annientamento continuo di una creatu- ra da parte di
un’altra, la spietatezza di ciò che opera nella natura. Emergono strane contraddizioni
che nell'esperienza del- la vita vengono sempre più forti alla coscienza e non
sono mai risolte: tra l’universale transitorietà e la volontà in noi pre- sente
verso qualcosa di saldo, tra la potenza della natura e l'autonomia del nostro
volere, tra la limitatezza di ogni cosa nello spazio e nel tempo e la nostra
facoltà di oltrepassare ogni limite. Questi misteri hanno impegnato i sacerdoti
egizi e babi- lonesi al pari della predicazione cristiana, Eraclito al pari di
Hegel, il Prometeo eschileo al pari del Faust di Goethe. 4. La legge di
formazione delle intuizioni del mondo. Ogni grande impressione mostra all'uomo
la vita in un aspetto particolare; il mondo appare in una luce diversa; dal
momento che queste esperienze si repetono e si connettono, sorgono le nostre
disposizioni interiori nei confronti della vita. WILHELM DILTHEY 221 Da una
relazione vitale la vita intera riceve una colorazione e un’interpretazione
nelle anime affettive o pensierose — così sorgono le disposizioni universali. Esse
cambiano man mano che la vita mostra all'uomo aspetti sempre nuovi; ma nei
diver- si individui predominano, secondo la loro essenza, determinate
disposizioni di vita. Gli uni si attaccano alle cose concrete, sensibili, e
vivono nel godimento immediato; altri perseguono, attraverso il caso e il
destino, grandi scopi che dànno durata alla loro esistenza; vi sono nature
gravi che non sopportano la transitorietà di ciò che amano e posseggono, e alle
quali la vita appare quindi priva di valore e quasi intessuta da vanità e da
sogni, oppure che cercano qualcosa di permanente al di là di questa terra. Le
più universali tra le grandi disposizioni di vita sono l’ottimismo e il
pessimismo. Essi si differenziano però in svariate sfumature. A chi lo
contempla in qualità di spettato- re, il mondo — estraneo — appare come uno
spettacolo vario- pinto e fuggevole; a chi governa ordinatamente la propria
vita secondo un progetto, lo stesso mondo appare invece familiare, di casa:
egli sta nel mondo a pie’ fermo e appartiene ad esso. Queste disposizioni di
vita, le innumerevoli sfumature della posizione di fronte al mondo,
costituiscono il terreno per laformazione delle intuizioni del mondo. In queste
si compiono, sulla base delle esperienze di vita in cui sono operanti le molte-
plici relazioni vitali degli individui nei confronti del mondo, i tentativi per
risolvere il mistero della vita. E proprio nelle loro forme superiori si fa
valere in modo particolare un procedimen- to: la comprensione di un dato
incomprensibile mediante uno più chiaro. Ciò che è chiaro diventa mezzo di
comprensione o fondamento di spiegazione di ciò che è incomprensibile. La
scienza analizza, e quindi sviluppa relazioni generali dalle si- tuazioni
omogenee così isolate; religione, poesia e metafisica originaria esprimono il
significato e il senso della totalità. Quel- la conosce, queste intendono. Una
tale interpretazione del mon- do, che rende trasparente la sua essenza
molteplice attraverso un'essenza più semplice, comincia già col linguaggio, per
svi- lupparsi poi nella metafora in quanto sostituzione di un'intui- zione
mediante un’altra affine che la rende in qualche senso più chiara, nella
personificazione che avvicina e rende com- prensibile umanizzando, oppure
attraverso ragionamenti analo- 222 WILHELM DILTHEY gici, che determinano il
meno noto a partire dal più noto sulla base dell’affinità e così si accostano
ormai al pensiero scientifi- co. Ovunque la religione, il mito, la poesia e la
metafisica originaria cercano di rendere qualcosa intelligibile e capace di
suscitare impressione, ciò avviene mediante il medesimo proce- dimento. |, 5.
La struttura dell’intuizione del mondo. Tutte le intuizioni del mondo, quando
si propongono di fornire una soluzione compiuta del mistero della vita,
contengo- no di regola la stessa struttura. Questa struttura è sempre una
connessione in cui, sulla base di un'immagine del mondo, ven- gono decise le
questioni relative al significato e al senso del mondo, e da essa vengono
derivati l’ideale, il sommo bene, i princìpi supremi della condotta della vita.
Essa è determinata dalla legalità psichica in virtù della quale l'apprendimento
del- la realtà nel corso della vita costituisce la base per la valutazio- ne
delle situazioni e degli oggetti secondo i criteri di piacere e di dispiacere,
di gradevole e di sgradevole, di approvazione e di disapprovazione; e questa
valutazione della vita forma quindi a sua volta il substrato delle
determinazioni del volere. Il nostro comportamento attraversa regolarmente
queste tre posizioni del- la coscienza, e la natura peculiare della vita
psichica si fa valere nel fatto che in tale connessione dinamica persiste lo
strato sottostante: le relazioni presenti negli atteggiamenti in base a cui io
giudico gli oggetti, provo piacere di fronte ad essi e sono indirizzato alla
realizzazione di qualcosa in essi, deter- minano la costruzione di questi
diversi strati e costituiscono in tal modo la struttura delle formazioni in cui
la connessione dinamica della vita psichica. trova la propria espressione. La
lirica mostra nella forma più semplice questa connessione — una situazione, una
successione di sentimenti da cui spesso sca- turisce un desiderio, una
tensione, un'azione. Ogni rapporto vitale si sviluppa verso una connessione in
cui le medesime forme di atteggiamento sono legate strutturalmente. Così anche
le intuizioni del mondo sono formazioni regolari in cui si esprime questa
struttura della vita psichica. Il loro substrato è sempre un'immagine del
mondo; essa sorge dall’atteggiamento WILHELM DILTHEY 223 dell’apprendere quale
si presenta nella successione regolare dei gradi del conoscere. Noi osserviamo
processi interiori e oggetti esterni. Noi spieghiamo le percezioni che in
questo modo sorgo- no rendendo in esse trasparenti, mediante le funzioni clementa-
ri del pensiero, i rapporti fondamentali del reale; quando le percezioni
svaniscono, esse vengono tuttavia riprodotte e ordina- te nel nostro universo
di rappresentazioni, che ci solleva al di sopra dell’accidentalità delle
percezioni; la saldezza e la libertà che lo spirito acquisisce a questo
livello, il suo dominio sulla realtà giungono poi a compimento nella regione
dei giudizi e dei concetti, dove la connessione e l’essenza del reale vengono
colte come fornite di validità universale. Quando un’intuizione del mondo
giunge al suo pieno sviluppo, ciò avviene di regola a questi gradi di
conoscenza della realtà. A questo punto su di essa si costruisce un altro
atteggiamento tipico, in un’analoga regolare successione di livelli. Nel
sentimento di noi stessi assa- poriamo il valore della nostra esistenza,
attribuiamo a persone e a oggetti che ci circondano una capacità di influenza
sulla nostra esistenza, in quanto la elevano e la estendono: quindi
determiniamo questi valori secondo le possibilità di recar giova- mento 0 danno
che sono contenute negli oggetti, valutiamo tali possibilità e cerchiamo per
questa valutazione una misura in- condizionata. In tal modo situazioni, persone
e cose acquistano un significato in rapporto al complesso della realtà, e questo
ne riceve un senso. Percorrendo questi gradi nell’ atteggiamento del sentire si
forma per così dire, nella struttura dell’intui- zione del mondo, un secondo
strato; l’immagine del mondo diventa fondamento della vita e della comprensione
del mon- do. Secondo la medesima legalità della vita psichica, dall’ap-
prezzamento della vita e dalla comprensione del mondo emer- ge uno stato
supremo della coscienza: gli ideali, il sommo bene e i princìpi supremi in cui
l'intuizione del mondo ottiene la sua energia pratica — come dire, la punta con
cui essa si apre un varco nella vita umana, nel mondo esterno e nella
profondità dell'anima. L’intuizione del mondo si fa ora forma- trice,
plasmatrice. riformatrice! E anche questo stato supremo dell’intuizione del mondo
si sviluppa attraverso gradi differen- ti. Dall’intenzione, dalla tensione,
dalla tendenza si sviluppa- no le posizioni di scopo durevoli indirizzate alla
realizzazione 224 WILHELM DILTHEY di una rappresentazione, il rapporto tra
scopi e mezzi, la scelta tra gli scopi, la selezione dei mezzi e infine la
connessione delle posizioni di scopo in un ordinamento supremo del nostro
comportamento pratico — in un progetto complessivo di vita, in un sommo bene,
in norme supreme dell’agire, in un ideale di formazione della vita personale e
della società. Questa è la struttura dell’intuizione del mondo. Ciò che è
confusamente contenuto come un fascio di compiti nel mistero della vita, viene
qui elevato a una connessione consapevole e necessaria di problemi e di soluzioni.
Questa progressione si svolge secondo gradi determinati in maniera regolare
dall’inter- no: ne consegue che ogni intuizione del mondo ha uno svilup- po e
nel corso di questo perviene all’esplicazione del suo conte- nuto; essa ottiene
così gradualmente durata, saldezza e poten- za, nel corso del tempo: essa è un
prodotto della storia. 6. La molteplicità delle intuizioni del mondo. Le
intuizioni del mondo si sviluppano in condizioni diffe- renti. Il clima, le
razze, le nazioni determinate attraverso la storia e la formazione degli stati,
le delimitazioni temporalmen- te condizionate secondo epoche ed età in cui le
nazioni coopera- no, si collegano alle condizioni specifiche che producono la
molteplicità delle intuizioni del mondo. La vita, che nasce in queste
condizioni specificate, ha moltissimi aspetti; lo stesso vale per l’uomo che
apprende la vita. A queste differenze tipi- che si aggiungono quelle delle
singole individualità, del loro ambiente e della loro esperienza di vita. Nello
stesso modo in cui la terra è ricoperta di innumerevoli forme viventi, tra le
quali ha luogo una lotta continua per la sopravvivenza e per lo spazio vitale,
nel mondo umano si sviluppano le forme di intuizione del mondo, contendendosi
tra loro il potere sul- l’anima. Si fa così valere un rapporto regolare per cui
l’anima, spinta dall’incessante mutamento delle impressioni e dei desti- ni,
nonché dalla potenza del mondo esterno, deve tendere a una saldezza interiore
per potersi contrapporre a tutto ciò: essa viene condotta dal mutamento, dalla
discontinuità, dallo scivolare e dal fluire della sua costituzione, delle sue
intuizioni WILHELM DILTHEY 225 della vita, a una valutazione durevole della
vita e a fini ben definiti. Le intuizioni del mondo che promuovono la compren-
sione della vita e conducono a fini utili, si conservano e sop- piantano quelle
che meno rispondono a queste esigenze. Si compie così una selezione tra di
esse. E nella successione delle generazioni le intuizioni del mondo più vitali
si sviluppano verso una forma sempre più compiuta. E come nella molteplici- tà
della vita organica opera la stessa struttura, così anche le intui- zioni del
mondo sono formate secondo un medesimo schema. Il profondo mistero della loro
specificazione ha la sua base nella regolarità che la connessione teleologica
della vita psichi- ca imprime alla particolare struttura delle formazioni di
intui- zione del mondo. i AI centro dell’apparente accidentalità di queste
formazioni vi è, in ognuna di esse, una connessione teleologica che scaturi-
sce dalla reciproca dipendenza delle questioni contenute nel mistero della
vita, e in modo particolare dal rapporto costante tra immagine del mondo,
apprezzamento della vita e fini della volontà. Una comune natura umana e un
ordine dell’individua- zione stanno in salde relazioni vitali con la realtà; e
quest'ulti- ma è sempre e dovunque la stessa, la vita mostra sempre gli stessi
aspetti. In questa regolarità della struttura dell’intuizione del mon- do e del
suo differenziarsi in forme particolari si presenta un momento impercettibile:
le variazioni della vita, il mutamento delle epoche, le trasformazioni della
situazione scientifica, il genio delle nazioni e degli individui. In virtù di
ciò cambia incessantemente l’interesse ai problemi, la potenza di determi- nate
idee che sorgono dalla vita storica e che la dominano; nelle intuizioni del
mondo si fanno valere, secondo il luogo storico che occupano, combinazioni
sempre nuove dell’esperien- za della vita, disposizioni interiori e pensieri
sempre nuovi: esse sono irregolari in conformità ai loro elementi, alla forza e
al significato che questi ultimi assumono nel complesso. Tuttavia, a causa
della legalità che opera nel profondo della struttura e del- la regolarità
logica, esse non sono aggregati ma formazioni. A questo punto, sottoponendo
queste formazioni a un proce- dimento comparativo, risulta inoltre che esse si
ordinano in grup- pi all’interno dei quali sussiste una certa affinità. Come le
lingue, 15. STORICISMO TEDESCO. 226 WILHELM DILTHEY le religioni, gli stati
rivelano — in virtù del metodo comparativo — certi tipi, certe linee di
sviluppo e regole di trasformazione, la stessa cosa si può mostrare anche nelle
intuizioni del mondo. Questi tipi attraversano la singolarità storica delle
formazioni particolari. Essi sono sempre condizionati dalla particolarità
propria del campo in cui sorgono. Ma volerli derivare da tale particolarità è
stato un grave errore, proprio del metodo costrut- tivo. Soltanto il
procedimento storico comparativo può accostar- si alla determinazione di questi
tipi, delle loro variazioni, dei loro sviluppi e incroci. La ricerca deve
pertanto tener sempre aperta, nei confronti dei suoi risultati, ogni
possibilità di prose- cuzione. Qualsiasi analisi è solamente provvisoria. Essa
è e rimane nient’altro che uno strumento per vedere in modo stori- camente più
profondo. E al procedimento storico comparativo si collega sempre la sua
preparazione mediante l’osservazione sistematica e l’interpretazione
dell’elemento storico che ne scatu- risce. Anche quest’interpretazione
psicologica e storico-sistemati- ca della realtà storica è esposta all'errore
del pensiero costrutti- vo, che in ogni campo dell’ordinamento vuol porre alla
base un rapporto semplice, come se fosse un impulso formativo in esso presente.
Riassumiamo ora quanto è stato fin qui posto in luce in un principio, che la
considerazione storica comparativa conferma in ogni punto. Le intuizioni del
mondo non sono prodotti del pensiero; esse non nascono dalla mera volontà di
conoscenza. L'apprendimento della realtà è certo un momento importante, ma è
soltanto un momento. Esse scaturiscono dall’atteggiamen- to di vita,
dall'esperienza della vita, dalla struttura della nostra totalità psichica.
L’elevazione della vita a coscienza nella conoscenza della realtà, nella
valutazione della vita e nell'operazione della volontà è il lungo e difficile
lavoro che l'umanità ha compiuto nello sviluppo delle intuizioni della vita.
Questo principio della dottrina delle intuizioni del mondo riceve conferma se
poniamo mente al corso della storia nel suo insieme: mediante tale corso
risulta confermata una conseguen- za importante del nostro principio, che ci
riporta al punto di partenza di questo saggio. La formazione delle intuizioni
del mondo è determinata dalla volontà rivolta alla stabilità dell’im- magine
del mondo, della valutazione della vita, dell’azione del- WILHELM DILTHEY 227
la volontà, derivante dal carattere fondamentale — sopra de- scritto — della
successione di gradi dello sviluppo psichico. Sia la religione sia la filosofia
cercano la stabilità, l’efficacia, il dominio, la validità universale. Ma su
questa via l'umanità non ha fatto un solo passo avanti. La lotta reciproca tra
le intuizio- ni del mondo non è pervenuta ad alcuna decisione in nessuno dei
suoi punti nodali. Certamente la storia compie una selezio- ne tra di esse, ma
i grandi tipi permangono autosufficienti, indimostrabili e indistruttibili, gli
uni accanto agli altri. Essi non devono la loro origine ad alcuna
dimostrazione, perché non possono essere risolti da alcuna dimostrazione. I
singoli gradi e le formazioni specifiche di un tipo vengono sì confuta- te, ma
la loro radice nella vita perdura, continua ad agire e produce sempre nuove
formazioni. II. I TIPI DI INTUIZIONE DEL MONDO NELLA RELIGIONE, NELLA POE- SIA
E NELLA METAFISICA Prendo le mosse da una distinzione tra le intuizioni del
mondo che è condizionata dai campi della cultura in cui esse compaiono. Il
fondamento della cultura è formato dall’economia, dalla vita sociale, dal
diritto e dallo stato. In ciascun campo domina una divisione del lavoro in
virtù della quale la singola persona assolve, in un determinato luogo storico
del suo operare, una funzione determinata. Qui la volontà è inquadrata in
compiti delimitati che vengono ad essa assegnati dalla connessione teleo-
logica propria di un dato campo. La scienza introduce in que- sta connessione
pratica della vita, mediante la conoscenza, una regolamentazione razionale del
lavoro; in questo modo sta in connessione strettissima con la prassi e, poiché
anch'essa sotto- stà alla legge della divisione del lavoro, ogni scienziato si
pre- figge, in un determinato campo e in un determinato punto del lavoro
conoscitivo, un compito limitato. La stessa filosofia è sottomessa, in una parte
dalle sue funzioni, a questa divisione del lavoro. Invece il genio religioso,
poetico o metafisico vive in una regione in cui è sottratto al vincolo sociale,
al lavoro racchiuso in compiti delimitati, alla subordinazione a ciò che 228
WILHELM DILTHEY può venir raggiunto nei limiti del tempo e della situazione
storica. Ogni riguardo a tale vincolo falsifica anzi la sua com- prensione
della vita, che deve porsi di fronte a ciò che è dato in piena spontaneità e
sovranità. Essa diventa non vera già a causa della limitazione della
prospettiva, del riferimento a una situazione temporale — a causa di una
qualsiasi tendenza. In questa regione della libertà sorgono e si formano le
intuizioni del mondo più valide e più potenti. Le intuizioni del mondo sono
però distinte nel genio religio- so, in quello artistico e in quello metafisico
secondo la loro legge di formazione, la loro struttura e i loro tipi. 1.
L'intutzione religiosa del mondo. Le intuizioni religiose del mondo
scaturiscono da un partico- lare rapporto di vita dell’uomo. Al di là della
realtà dominabi- le in cui l’uomo primitivo — in quanto guerriero, cacciatore,
la- voratore e fruitore del suolo — produce trasformazioni nel mon- do esterno,
mediante il suo agire fisico, in una razionale posizio- ne di scopi, il campo
di tale operare si estende fino all’inaccessi- bile, a ciò che non è
attingibile da parte della conoscenza. E in quanto di qui gli sembrano
procedere effetti che gli procurano fortuna nella caccia, successo nella
guerra, mentre nella malattia, nella follia, nella vecchiaia, nella morte,
nella perdita della moglie, dei figli, del gregge, si scopre dipendente da
qualcosa di sconosciuto, nasce allora la tecnica diretta a influenzare questa
realtà incomprensibile — che non si lascia dominare dall’attività fisica — con
le proprie preghiere, con le proprie offerte, con la propria subordinazione.
Egli vuole acco- gliere in sé le forze di esseri superiori, stabilire un buon
rappor- to con essi, unirsi ad essi. Le azioni dirette a questo fine costituiscono
il culto originario. Nasce la professione dello stre- gone, del guaritore o del
sacerdote; man mano che questo ceto si organizza sempre più saldamente, in esso
si concentrano abilità, esperienza, sapere, e vi si forma un modo di vita
parti- colare che lo separa dagli altri membri della società. In questo modo
nelle piccole comunità chiuse dell’orda e della tribù na- sce una tradizione di
esperienza religiosa della vita, che si è sviluppata nel rapporto con gli
esseri superiori, e di ordinamen- WILHELM DILTHEY 229 to spirituale di vita; e
dalle pratiche del culto magico lo svilup- po di questa religiosità
superstiziosa perviene a poco a poco fino al processo religioso, nel quale
l'animo e la volontà dell’uo- mo vengono assoggettate mediante una disciplina
interiore al volere divino. II momento decisivo risiede nel modo in cui le idee
religiose primitive si sviluppano sulla base degli Er/ebnis- se, sempre e
dovunque ricorrenti, della nascita, della morte, della malattia, dei sogni,
della follia, sulla base di interventi malvagi o benefici dell'elemento
demoniaco sul corso della vita, sulla base di strane commistioni di ordine
nella natura — che comporta sempre un rapporto teleologico di colui che
apprende nei confronti di essa — e infine sulla base del caso, della forza
distruttiva e del conflitto. Il secondo io presente nell’uomo, le forze divine
del cielo, nel sole e nelle stelle, il demoniaco nella foresta, nella palude e
nelle acque — queste rappresentazioni fondamentali determinate da rapporti
vitali costituiscono i pun- ti di partenza di una vita fantastica condizionata
affettivamen- te, che viene alimentata da esperienze religiose sempre nuove.
L'influenza dell’invisibile è la categoria fondamentale della vi- ta religiosa
elementare. Il pensiero analogico combina poi le idee religiose fino a tradurle
in dottrine concernenti l’origine del mondo, dell’uomo e dell’anima.
L'influenza del soprasensibile, presente nelle cose e negli uomini, conferisce
loro un significato religioso. Queste cose e questi uomini sono sensibili,
visibili, distruttibili, limitati, e tuttavia sono una sede di influenze divine
o demoniache. Il mondo è pervaso da un rapporto religioso di cose e persone
singole, concrete e finite, con l’invisibile, in virtù del quale il loro
significato religioso risiede nell'influenza dell’invisibile ce- lata in esse.
Luoghi e persone sacri, immagini della divinità, simboli, sacramenti sono tutti
casi particolari di questo rappor- to: nella religione esso ha lo stesso
significato che possiede il simbolico nell'arte e il concettuale nella
metafisica. E la tradu- zione diventa, all’interno del rapporto religioso —
proprio a causa dell’oscurità della sua origine — una potenza di eccezio- nale
efficacia. Questa è la base di tutto l’ulteriore sviluppo religioso. Men- tre
negli stadi primitivi opera in prevalenza lo spirito della comunità, il
passaggio verso gradi superiori si compie in virtù 230 WILHELM DILTHEY del
genio religioso — nei misteri, nella vita dell’eremita, nel profetismo. A
influenze particolari tra l'uomo e gli esseri supe- riori subentra, nel genio
religioso, un rapporto dell’uomo nella sua totalità nei confronti di essi.
Questa esperienza religiosa concentrata raccoglie quindi le idee religiose
elementari per tradurle in intuizioni religiose del mondo, le quali hanno la
loro essenza nel fatto che qui l’interpretazione della realtà, l'apprezzamento
della vita e l'ideale pratico scaturiscono dal rapporto con l’invisibile. Esse
sono contenute nel discorso meta- fisico e nelle dottrine della fede; poggiano
su una costituzione della vita; si sviluppano nella preghiera e nella
meditazione. Tutte le formazioni tipiche di queste intuizioni religiose del
mondo comportano, fin dal loro inizio, l’antitesi tra esseri bene- fici ed
esseri malvagi, tra esistenza sensibile e mondo superiore. L’immanenza della
religione universale negli ordinamenti della vita e nel corso naturale,
l’Uno-Tutto spirituale che costi- tuisce la verità, la connessione e il valore
di tutte le cose particolari e a cui l’esistenza particolare deve quindi fare
ritor- no, la volontà divina creatrice che produce il mondo e che crea gli
uomini secondo la sua immagine o che sta in opposizione a un regno del male e
per combatterlo prende al suo servizio gli uomini pii — questi sono i tipi principali
delle varie intuizioni religiose del mondo. E come fin dall'inizio il rapporto
con l'invisibile è separato dal lavoro e dal godimento inerenti all’esi- stenza
sociale terrena, così queste intuizioni religiose del mon- do sono in contrasto
permanente con la concezione mondana della vita: in questa si fa spesso valere,
all’interno di tale antitesi, un naturalismo originario che trae la sua energia
e la sua potenza proprio dall’antitesi nei confronti delle intuizioni religiose
del mondo. Nelle epoche religiose troviamo quindi la lotta tra tipi diver- si
che mostrano una chiara affinità con quelli della metafisica. Il monoteismo
giudaico-cristiano, la forma cinese e indiana di panenteismo e — per contro —
la posizione e il modo di pensare naturalistici sono i gradi preliminari e i
punti di par- tenza per l'ulteriore sviluppo della metafisica. Ma il rapporto
religioso, con la sua magia, con le sue forze, le sue figure e i suoi luoghi di
culto religiosi, con le immagini del simbolismo religioso, costituisce sempre
il substrato delle intuizioni religio- WILHELM DILTHEY 231 se del mondo, nello
stesso modo in cui il popolo costituisce l'ampio strato inferiore della vita
comunitaria della chiesa. In queste intuizioni del mondo si conserva sempre un
nucleo oscu- ro, specificamente religioso, che il lavoro concettuale dei
teologi non è mai in grado di spiegare e di giustificare. Mai può essere
superata l’unilateralità di un’esperienza che scaturi- sce dal rapporto di
preghiera, di sollecitazione, di sacrificio di sé con esseri superiori e che
dalle relazioni dell'anima con essi perviene a coglierne i predicati. Di qui
nasce un rapporto per cui l’intuizione religiosa del mondo è sì la preparazione
di quella metafisica, ma non può mai risolversi completamente in quest’ultima.
La dottrina giu- daico-cristiana del dio puramente spirituale, che crea
liberamen- te, e delle anime formate a sua immagine si è trasformata
nell’idealismo monoteistico della libertà; le differenti forme del- la dottrina
religiosa dell’Uno-Tutto hanno preparato il panen- teismo metafisico; nella
speculazione indiana, nei misteri e nel- la Gnosi si è sviluppato lo schema
dell’emanazione della molte- plicità del mondo dall’Uno e del ritorno in esso,
qual è stato elaborato dai neoplatonici, da Bruno, da Spinoza e da Schopen-
hauer. Altrettanto chiara è la connessione che dal monotei- smo conduce alla
teologia scolastica dei pensatori giudaici, ara- bi e cristiani, e da essa a
Descartes, a Wolff, a Kant e ai filosofi dell'età della Restaurazione nel secolo
xrx. Ma per quanto il lavoro concettuale che la teologia compie nelle
intuizioni reli- giose del mondo possa accostarle alla metafisica, la loro
legge di formazione e la loro struttura le separano pur sempre dal pensiero
metafisico. Il punto di vista unilaterale della costituzio- ne religiosa della
vita e dell’intuizione religiosa del mondo costituisce il loro limite. L’animo
religioso è sempre, con le sue esperienze, nel giusto. Lo spirito progressivo
riconosce che il fissarsi dell'anima al mondo sopra-sensibile — questo prodotto
storico della tecnica sacerdotale — manteneva in piedi l’ideali- smo, sia pure
in virtù di una trasposizione artificiosa, e impone- va un disciplinamento
della vita, sia pure con ascetica rigidi- tà, ma anche che il procedere dello
spirito nella storia deve cercare posizioni più libere nei confronti della vita
e del mon- do, le quali non devono essere legate a tradizioni che scaturisco-
no da discutibili origini misteriose. 232 WILHELM DILTHEY 2. Le posizioni
dell’intuizione del mondo nella poesia. Nella religione cose e uomini
acquistavano la loro significati- vità in virtà della fede nella presenza in
essi di un forma soprasensibile. La significatività dell’opera d’arte consiste
nel fatto che un elemento singolare, un dato sensibile viene separa- to dal
nesso dei rapporti di causa ed effetto ed elevato a espres- sione ideale delle
relazioni vitali così come esse ci parlano con il colore e la forma, la
simmetria e la proporzione, gli accordi dei suoni e il ritmo, il processo psichico
e l’accadimento. C'è in tutto questo una tendenza a formare un’intuizione del
mon- do? In sé, la produzione artistica non ha niente in comune con
l’intuizione del mondo; ma il rapporto della costituzione vitale dell’artista
con la sua opera ha qui tuttavia dato luogo a una relazione secondaria tra
opera d’arte e intuizione del mon- do. L’arte si è sviluppata, in un primo
momento, sotto l’influen- za della religione. L'ambito delle cose sacre è il
suo oggetto più prossimo; gli scopi della comunità religiosa si fanno valere
nell’architettura e nella musica; in questa connessione l’arte ha elevato il
contenuto della religiosità all’eternità in cui scompaio- no i dogmi
transitori, e da questo contenuto è scaturita la forma interna dell’arte più
alta — come mostrano l’epica reli- giosa di Giotto nella pittura, la grande
architettura ecclesia- stica e la musica di Bach e di Handel. Ciò che
costituisce quindi l'andamento storico del rapporto dell’arte con le intui-
zioni del mondo è il fatto che la costituzione vitale dell’artista è pervenuta
a una libera espressione sulla base di questo appro- fondimento religioso
dell’arte. Questo non dev'essere cercato nell’introduzione di un’intuizione
della vita nell’opera d’arte, bensì nella forma interna delle formazioni artistiche.
È stato compiuto uno sforzo considerevole per comprovare la presenza di tale
elemento nella pittura e per mostrare l’influenza delle tipiche costituzioni
vitali — da cui scaturiscono l’intuizione naturalistica del mondo, quella
eroica e quella panenteistica — sulla forma delle opere pittoriche. Un analogo
rapporto si po- trebbe mostrare anche nella creazione musicale. E quando arti-
sti della potenza spirituale di un Michelangelo, di Becthoven, di Richard
Wagner arrivano, in virtù di un impulso interiore, a formare un'intuizione del
mondo, questa contribuirà a raffor- WILHELM DILTHEY 233 zare l’espressione
della loro costituzione vitale nella forma arti- stica. Tra le arti, però, la
poesia ha un rapporto particolare con l'intuizione del mondo. Infatti il mezzo
in cui essa opera, il linguaggio, le consente un'espressione lirica o una
rappresenta- zione epica o drammatica di tutto ciò che può venir visto, udito,
vissuto. Io non voglio qui tentare di definire l'essenza e la funzione della
poesia. Svincolando un avvenimento dal nesso delle relazioni della volontà, e
trasformando la sua rappresenta- zione in questo mondo dell’apparenza in
un’espressione del- la natura della vita, la poesia libera l’anima dal peso
della realtà e nel medesimo tempo ne rivela ad essa il significato.
Soddisfacendo la segreta aspirazione dell’uomo, imprigionato dal destino e
dalle proprie decisioni nei confini di una vita determinata, ad attuare nella
fantasia quelle possibilità di vita che non ha potuto realizzare, essa amplia
l’io dell'uomo e l'orizzonte delle sue esperienze di vita. Essa gli apre lo
sguar- do verso un mondo più alto e più forte. In tutto questo si esprime però
il rapporto fondamentale su cui poggia la poesia: la vita costituisce il suo
punto di partenza; i rapporti vitali con gli uomini, le cose, la natura
diventano il suo nucleo; nel bisogno di raccogliere le esperienze che
scaturiscono dai rapporti di vita sorgono così le disposizioni universali della
vita, e la connessione di ciò che si è esperito nei singoli rapporti di vita è
la coscienza poetica del significato della vita. Queste disposi- zioni
universali stanno alla base del libro di Giobbe e dei Salmi, dei cori della
tragedia attica, dei sonetti di Dante e di Shakespeare, della grandiosa
conclusione della Divina Comme- dia, della grande lirica di Goethe, di Schiller
e dei romantici, nonché del Faust di Goethe, dei Nibelunghi di Wagner e del-
l'’Empedocle di Hòlderlin. La poesia non vuole quindi conosce- re la realtà
così come fa la scienza, ma vuol mostrare la significatività dell’accadimento,
degli uomini e delle cose, pre- sente nelle relazioni vitali; così il mistero
della vita si con- centra qui in una connessione interna di tali relazioni,
intessu- ta di uomini, di destini, di circostanze. In ogni grande epoca poetica
si compie di nuovo, secondo una successione regolare, il passaggio dalla fede e
dai costumi ad essa relativi, che si forma- no sulla base dell’universale
esperienza di vita della comunità, 234 WILHELM DILTHEY al compito di rendere
nuovamente intelligibile la vita in base ad essa stessa. Questa fu la via che
ha condotto da Omero ai tragici attici, dalla fede cattolica alla lirica
cavalleresca e all’epi- ca, dalla vita moderna a Schiller, Balzac, Ibsen. A
questo passaggio corrisponde la successione delle forme poetiche nella quale
dapprima si forma l’epica e quindi il dramma realizza la massima
concentrazione, elaborando in una concezione della vita la connessione dei
rapporti di azione, di carattere e di destino creati dalla vita, mentre il
romanzo dispiega infine l’illimitata pienezza della vita ed esprime una
coscienza del significato della vita. Concludiamo. L’emergere della poesia
dalla vita la porta direttamente a esprimere nell’accadimento un'intuizione
della vita stessa, concepita sulla base della sua particolare costituzio- ne.
Essa si sviluppa poi nella storia della poesia, in cui questa si accosta
gradualmente al suo fine di intendere la vita in base a essa stessa,
esponendosi con piena libertà alle grandi impres- sioni vitali. Pertanto la
vita mostra alla poesia aspetti sempre nuovi. La poesia indica in tal modo le
possibilità illimitate di vedere la vita, di valutarla, di dare ad essa una
nuova forma. L'accadimento diventa così simbolo, ma non di un pensiero, bensì
di una connessione osservata nella vita — osservata a partire dall’esperienza
di vita del poeta. È così che Stendhal e Balzac vedono nella vita un tessuto —
creato senza finalità dalla natura stessa, in virtù di un oscuro impulso — di
illusio- ni, di passioni, di bellezza e di corruzione, in cui la volontà forte
si acquista la vittoria; Goethe vi scorge invece una forza formatrice che
riunisce in una connessione dotata di valore le forme organiche, lo sviluppo
umano e gli ordinamenti sociali; Corneille e Schiller vedono in essa il teatro
di azioni eroiche. Ognuna di queste costituzioni vitali corrisponde a una forma
interna della poesia. Di qui ai grandi tipi di intuizione del mondo non c’è che
un passo, e il legame della letteratura con i movimenti filosofici conduce un Balzac,
un Goethe, uno Schil- ler a questa perfezione suprema della comprensione della
vita. In tal modo i tipi dell’intuizione poetica del mondo preparano quelli
della metafisica, oppure trasmettono la loro influenza a tutta la società.
WILHELM DILTHEY 235 3. 1 tipi di intuizione del mondo nella metafisica. Tutti i
fili del discorso si intrecciano nella dottrina della struttura, dei tipi e
dello sviluppo delle intuizioni del mondo nella metafisica. Riassumo i rapporti
che sono qui decisivi. I. Il processo complessivo del sorgere e del
consolidamento delle intuizioni del mondo spinge all’esigenza di elevarle a un
sapere universalmente valido. Anche nei poeti di maggiore ca- pacità di
pensiero le grandi impressioni sembrano illuminare sempre la vita sotto nuovi
aspetti: la tendenza al consolidamen- to conduce al di là di esse. Nel nucleo
delle religioni univer- sali rimane qualcosa di bizzarro e di estremo, che
scaturisce dai più accentuati degli Erlebnisse religiosi, dalla fissazione
dell'anima nell’invisibile propria della tecnica sacerdotale, e che è
inaccessibile alla religione. L’ortodossia si irrigidisce su que- sto; la
mistica e lo spiritualismo tentano di riportarlo all’Erle- ben; il razionalismo
vuole afferrarlo concettualmente e si vede costretto a dissolverlo: così la
volontà di dominio presente nel- le religioni universali — che si era
appoggiata all'esperienza interiore dei credenti, alla tradizione e
all’autorità — viene sostituita dall’esigenza della ragione di trasformare in
conformi- tà a se stessa le intuizioni del mondo e di fondare razionalmen- te
la propria validità. Quando l’intuizione del mondo viene così elevata a una
connessione concettuale, e quando questa viene fondata scientificamente,
presentandosi così con la pretesa di validità universale, allora nasce la
metafisica. La storia mostra che, dovunque essa compaia, lo sviluppo religioso
l’ha prepara- ta, che la poesia la influenza e che la costituzione vitale delle
nazioni, il loro apprezzamento della vita e i loro ideali agisco- no su di
essa. L’aspirazione a un sapere universalmente valido dà a questa nuova forma
di intuizione del mondo la sua struttu- ra propria. Chi è in grado di dire
quali siano i punti in cui la tenden- za al conoscere, che opera in tutte le
connessioni teleologiche della società, diventa scienza? Il sapere matematico e
astronomi- co dei Babilonesi e degli Egizi si è svincolato dai compiti pratici
e dal legame con la casta sacerdotale, ed è così diventato autonomo, soltanto
nelle colonie ioniche. E quando la ricerca 236 WILHELM DILTHEY prese a suo
oggetto la totalità del mondo, la nascente filosofia e le scienze entrarono in
una relazione strettissima. Matemati- ca, astronomia, geografia diventarono
mezzi di conoscenza del mondo. L'antico problema della soluzione del mistero
della vita impegnò i Pitagorici o Eraclito così come aveva impegnato i
sacerdoti dell'Oriente. E se la potenza avanzante delle scienze naturali fece
del problema della spiegazione della natu- ra il centro della filosofia nelle
colonie, nel suo sviluppo ulterio- re tutte le grandi questioni inerenti al
mistero del mondo ven- nero discusse nelle scuole filosofiche, le quali erano
appunto orientate verso la relazione interna tra conoscenza della realtà,
direzione della vita e volontà negli individui e nella società, ossia verso la
formazione di un’intuizione del mondo. La struttura delle intuizioni del mondo
nella metafisica è stata determinata anzitutto dalla loro connessione con la
scien- za. L'immagine sensibile del mondo si trasformò in immagine astronomica;
il mondo del sentimento e delle azioni della vo- lontà fu oggettivato in
concetti di valori, di beni, di scopi e di regole; l'esigenza di forma
concettuale e di fondazione portò gli indagatori del mistero del mondo a fare
della logica e della teoria della conoscenza la loro base: lo stesso sforzo di
soluzio- ne condusse dai dati condizionati e limitati a un essere universa- le,
a una causa prima, a un sommo bene, a uno scopo ultimo; la metafisica diventò
sistema e quest’ultimo procedette, attraver- so l'elaborazione di
rappresentazioni e concetti insufficienti che si erano formati nella vita e
nella scienza, a formare concetti ausiliari che oltrepassavano qualsiasi
esperienza. Al rapporto della metafisica con la scienza si aggiunse quel- lo
con la cultura mondana. In quanto la filosofia si trasmette allo spirito di
ogni connessione teleologica presente nella cultu- ra, essa ne riceve nuove
forze e al tempo stesso partecipa a questa l’energia della sua idea
fondamentale. La filosofia conso- lida i procedimenti e il valore conoscitivo
delle scienze; ela- bora le esperienze non metodiche della vita e la
letteratura che le riguarda, traducendole in un apprezzamento generale della
vita; eleva a una connessione unitaria i concetti fondamentali del diritto, scaturiti
dalla prassi del negozio giuridico; pone i princìpi relativi alle funzioni
dello stato, alle forme di costitu- zione e alla loro successione, sorti dalla
tecnica della vita politi- WILHELM DILTHEY 237 ca, in rapporto con i compiti
supremi della società umana; intraprende a dimostrare i dogmi oppure, quando il
loro nu- cleo oscuro risulta inaccessibile al pensiero concettuale, esercita su
di esso la sua opera universale di distruzione; razionalizza le forme e le
regole della pratica artistica sulla base di uno scopo proprio all’arte:
ovunque essa vuol imporre la direzione della società da parte del pensiero.
Infine, un’ultima cosa. Oguno di questi sistemi metafisici è condizionato dal
posto che occupa nella storia della filosofia; esso dipende da un certo stato
del problema ed è condizionato dai concetti che ne scaturiscono. Così nasce la
struttura di questi sistemi metafisici — la connessione logica in essi presente
e nel medesimo tempo la loro irregolarità condizionata in varie maniere,
l'elemento rap- presentativo che esprime in determinati sistemi un determinato
stato del pensiero scientifico, e nel medesimo tempo l'elemento della
singolarità. Pertanto ogni grande sistema metafisico diven- ta un complesso che
irradia in molteplici direzioni, che illumi- na ogni parte della vita a cui
appartiene. Un unico sistema metafisico universalmente valido — tale è la
tendenza di tutto questo grande movimento. Il differenziar- si della metafisica
che scaturisce dalla profondità della vita appare a questi pensatori come
un’aggiunta accidentale e sog- gettiva, che dev'essere eliminata. Il lavoro
sterminato rivolto alla creazione di una connessione concettuale dimostrabile
in maniera concorde — nella quale sarebbe quindi possibile risol- vere
metodicamente il mistero della vita — acquista un signifi- cato autonomo; nello
sviluppo verso questo fine ogni sistema trova il suo posto in base allo stato
del lavoro concettuale. Il corso di questo lavoro si compie nei paesi civili
dell'Europa, dapprima negli stati mediterranei e poi, a partire dal Rinasci-
mento, negli stati romano-germanici — in uno strato superiore che soltanto di
tempo in tempo viene influenzato dalla religiosi- tà prevalente al di sotto di
esso, e che cerca sempre più di sottrarsi a tale influenza. 2. In questa
connessione compaiono distinzioni tra i sistemi che sono fondate sul carattere
razionale del lavoro metafisico. Alcune indicano certi stadi del suo sviluppo,
come quella tra 238 WILHELM DILTHEY dogmatismo e criticismo. Altre percorrono
l’intero processo: esse scaturiscono dallo sforzo che la metafisica compie di
rap- presentare in una connessione unitaria quanto è contenuto nel-
l'apprendimento della realtà, nell’apprezzamento della vita e nella posizione
di scopi; e il loro oggetto è costituito dalle possibilità di risolvere questi
problemi fondamentali. Se ponia- mo mente alle fondazioni della metafisica, ci
si presentano le antitesi tra empirismo e razionalismo, tra realismo e ideali
smo. L'elaborazione della realtà data viene compiuta sulla base degli opposti
concetti dell’uno e dei molti, del divenire e dell’es- sere, della causalità e
della teleologia, e a tutto ciò corrispondono differenze tra i sistemi. I
differenti punti di vista a partire dai quali viene concepito il rapporto tra
il fondamento del mondo e il mondo, tra l’anima e il corpo, si esprimono nelle
prospetti- ve del deismo e del panteismo, del materialismo e dello spiritua-
lismo. E in base ai problemi della filosofia pratica si producono altre
differenze, tra cui si deve sottolineare quella tra l’eudemo- nismo — e la sua
prosecuzione nell’utilitarismo — e la dottrina di una regola incondizionata del
mondo morale. Tutte queste differenze trovano il loro posto nei campi
particolari della meta- fisica e designano le varie possibilità di sottoporre
questi cam- pi — sulla base di concetti opposti — al pensiero razionale. Tutte
quante possono essere considerate, nel contesto di tale lavoro sistematico,
come ipotesi in virtù delle quali lo spirito metafisi- co si avvicina a un
sistema universamente valido. Sono così sorti infine i tentativi di
classificare i sistemi metafisici da questo punto di vista. Alle prevalenti
contrapposi- zioni dei concetti nella riflessione, fondata sulla natura della stessa
elaborazione concettuale della metafisica, corrisponde per- ciò nel migliore dei casi una duplicazione
dei sistemi, con l’anti- tesi tra punto
di vista realistico e idealistico, o un’altra analoga. A chi potrebbe sfuggire il significato che il
lavoro concettua- le della filosofia ha
compiuto nei campi più diversi? Esso prepa-
ra le scienze indipendenti; essa le abbraccia. Di questo punto ho già detto prima in maniera dettagliata. Ma
ciò che distin- gue l’attività
metafisica dal lavoro delle scienze positive è la volontà di sottomettere ai metodi scientifici
— che si sono formati per i singoli
campi del sapere — la connessione dell’u-
niverso e della vita stessa. Questi metodi superano i limiti dei WILHELM DILTHEY 239 procedimenti delle scienze particolari
mirando all’incondizio- nato. 3. A questo punto è possibile chiarire l’idea
fondamentale da cui ha preso le mosse in
generale il nostro tentativo di una
dottrina dell’intuizione del mondo, e che definisce anche que- sto lavoro. La coscienza storica ci riporta
al di qua della tenden- za dei
metafisici a un sistema unitario universalmente valido, al di qua delle differenze da essa derivanti che
dividono i pensato- ri, e infine al di
qua del collegamento di queste differenze in forma di classificazioni. La
coscienza storica assume a proprio oggetto l’antitesi effettivamente esistente
tra i sistemi nella loro costituzione complessiva. Essa vede queste
costituzioni comples- sive nella loro connessione con il corso delle religioni
e della poesia. Essa mostra inoltre come tutto il lavoro concettuale della metafisica non abbia fatto un solo
passo in direzione di un sistema
unitario. In tal modo essa considera l’antitesi tra i sistemi metafisici come fondata sulla vita
stessa, sull'esperienza della vita,
sulle posizioni nei confronti del problema della vita. Su tali posizioni poggia la molteplicità dei
sistemi e al tempo stesso la possibilità
di distinguere al loro interno determinati
tipi. Ognuno di questi tipi abbraccia la conoscenza della realtà, l'apprezzamento della vita e la posizione di
scopi. Essi sono indipendenti dalla
forma dell’antitesi in cui, in base a punti di
vista contrapposti, vengono risolti i problemi fondamentali. L'essenza di questi tipi si manifesta
chiaramente se si guar- da ai grandi
geni metafisici che hanno espresso la loro costitu- zione personale in sistemi concettuali con
pretesa di validità. La loro tipica
costituzione vitale è tutt'uno con il loro carattere: essa si esprime nel loro ordinamento della
vita; riempie ogni loro azione; si
manifesta nel loro stile. E se i loro sistemi sono ovviamente condizionati dallo stato dei
concetti in cui vengono alla luce,
tuttavia i loro concetti — storicamente considerati — sono soltanto strumenti ausiliari per la
costruzione e la dimo- strazione della
loro intuizione del mondo. Spinoza
comincia il suo trattato sulla via per arrivare alla conoscenza perfetta con l’esperienza vitale
della nullità dei dolo- ri e delle
gioie, della paura e della speranza della vita quotidia- na; prende la decisione di cercare il vero
bene, che garantisce 240 WILHELM
DILTHEY una gioia eterna, e risolve
quindi questo compito nella sua Ethica
attraverso il superamento della schiavitù verso le passioni nella conoscenza di Dio come fondamento
immanente della molteplicità delle cose
transeunti, e attraverso l’amore intellet-
tuale infinito di Dio che procede da questa conoscenza, e in virtù del quale Dio, l’infinito, ama se
stesso nei limitati spiriti umani.
L'intero sviluppo di Fichte è l’espressione di una tipica costituzione dell'anima — dell’autonomia
morale della persona di fronte alla
natura e a tutto il corso del mondo; e così la sua parola ultima, con cui si chiude la grande
azione di volontà di questa vita
tempestosa, è l'ideale dell'uomo eroico, in cui la funzione suprema della natura umana — che si
compie nella storia in quanto teatro
della vita morale — è legata all'ordine
sopra-terreno delle cose. E l'enorme influenza storica di Epicu- ro —
che pure dal punto di vista intellettuale rimase molto al di sotto dei massimi
pensatori — sta nella pura chiarezza con cui egli ha espresso una tipica
costituzione dell’anima. Essa consiste nella serena subordinazione dell’uomo
alla connessione regolare della natura e nel godimento sensibilmente gioioso,
e tuttavia riflessivo, dei suoi
doni. Così intesa, ogni genuina
intuizione del mondo è un’intui- zione
che nasce dallo stare entro la vita stessa. Le giovanili annotazioni di Hegel, sorte dal contatto
delle sue esperienze
metafisico-religiose con l’interpretazione dei documenti del Cri- stianesimo primitivo, costituiscono un
esempio di siffatte intui- zioni. Questo
stare dentro la vita si compie nelle prese di
posizione nei suoi confronti, nelle relazioni vitali. È questo, del resto, il significato profondo del detto
ardito, secondo cui il poeta sarebbe il
vero uomo. A queste prese di posizione si
rivelano dunque certi aspetti del mondo. Non ci azzardiamo qui a continuare. Noi non conosciamo la legge
di formazione in base a cui dalla vita
scaturisce il differenziarsi dei sistemi
metafisici. Se vogliamo accostarci alla comprensione dei tipi di intuizione del mondo dobbiamo rivolgerci alla
storia. E ciò che di essenziale la
storia ha qui da insegnarci è la possibilità di
cogliere la connessione tra vita e metafisica, il collocarsi nella vita come centro di questi sistemi, la
coscienza delle grandi connessioni dei
sistemi che percorrono la storia e in cui esiste un atteggiamento tipico — per quanto si
voglia poi limitarli o WILHELM DILTHEY
24I frammentarli. Si tratta cioè di
vedere in profondità sulla base della
vita, di seguire le grandi intenzioni della metafisica. È questo il senso nel quale proponiamo una
distinzione di tre tipi principali. Per
tale distinzione non c’è altro strumento
che la comparazione storica. Il suo punto di partenza è che ogni mente metafisica si pone di fronte al
mistero della vita da un determinato punto di vista, quasi dovesse dipanarne
l’intri- co: questo punto è condizionato dalla posizione rispetto alla vita, e
a partire da esso si forma la struttura specifica del suo sistema. Possiamo
quindi ordinare i sistemi in gruppi secondo il loro rapporto di dipendenza, di
affinità, di attrazione e di repulsione
reciproca. Ma qui si presenta una difficoltà propria di ogni comparazione storica. La
comparazione, infatti, deve presupporre
un criterio di selezione delle caratteristiche presen- ti in ciò che si compara, e questo criterio
determina poi l’ulte- riore
procedimento. Pertanto ciò che qui propongo ha un carat- tere del tutto provvisorio. Il nucleo di
questo può essere soltan- to l’intuizione
che è scaturita da una lunga consuetudine con i
sistemi metafisici. La loro stessa comprensione in una formula storica può avere un carattere solamente
soggettivo. Rimane aperta la possibilità
di disporre logicamente la cosa in modo diverso, unificando per esempio le due
forme di idealismo op- pure legando l’idealismo al naturalismo, oppure
procedendo in altre maniere. Questa distinzione di tipi deve servire soltanto a
vedere più profondamente nella storia, e ciò a partire dal- la vita. III. IL
NATURALISMO I. L’uomo si trova determinato dalla natura. Essa comprende il suo corpo non meno del mondo esterno. E
proprio la situa- zione oggettiva del
corpo, i potenti impulsi animali che lo
scuotono, determinano il suo sentimento della vita. Quella visio- ne e quella considerazione della vita che ne
esauriscono il corso nel soddisfacimento
degli impulsi animali e nella subordi-
nazione al mondo esterno, da cui traggono il loro nutrimento, sono vecchie come l’umanità stessa. Nella
fame, nell’impulso 16. STORICISMO
TEDESCO. 242 WILHELM DILTHEY sessuale, nella vecchiaia e nella morte
l’uomo si vede sottopo- sto alle potenze
demoniache della vita della natura. Egli stesso
è natura. Eraclito e l’apostolo Paolo la descrivono entrambi, con analoghe parole piene di disprezzo, come
la concezione della vita propria della
massa legata ai sensi. Essa è permanen-
te; non c’è periodo in cui non abbia dominato una parte degli uomini. Anche al tempo del più rigido dominio
della casta sacerdotale orientale
esisteva questa filosofia della vita dell’uo-
mo sensibile; e anche quando il Cattolicesimo reprimeva ogni espressione teorica di questo punto di vista
si parlava molto di « Epicurei »; ciò
che non era consentito di esprimere in princì-
pi filosofici risuonava tuttavia nelle canzoni dei Provenzali, in alcune poesie di corte tedesche, nelle epopee
francesi e tedesche di Tristano. E
proprio ciò che Platone dipingeva come la vita
di piacere e la dottrina edonistica dei proprietari e dei commer- cianti, si ripresenta ai nostri occhi come la
filosofia della vita della gente di
mondo del secolo xvii. Al soddisfacimento
dell’animalità si aggiunge un elemento nel quale l’uomo è mmag- giormente dipendente dal suo ambiente: la
gioia del proprio rango e del proprio
onore. Alla base di questa concezione del
mondo sta sempre lo stesso atteggiamento: la subordinazione della volontà alla vita animale dell’impulso
che domina il cor- po e alle sue
relazioni con il mondo esterno. Il pensiero e
l’attività teleologica da esso diretta sono qui al servizio di quest’animalità, si realizzano nel suo
soddisfacimento. Questa costituzione
della vita trova la sua espressione anzi-
tutto in una parte considerevole della letteratura di tutti i popoli — a volte come forza intatta
dell’animalità, più spesso in lotta con
l'intuizione religiosa del mondo. Il suo grido di battaglia è l'emancipazione
della carne. In quest’antitesi contro il necessario ma tremendo disciplinamento
dell'umanità da par- te della religione consiste il diritto storico, relativo,
della reazio- ne di un' affermazione sempre risorgente e operante nella vita
naturale. Quando questa costituzione della vita diventa filoso- fia, allora sorge il naturalismo. Questo
afferma teoricamente ciò che in essa è
vita: il processo della natura è la realtà unica e intera; fuori di esso non esiste nulla; la
vita spirituale è distinta soltanto
formalmente, in quanto coscienza, dalla natu-
ra fisica, secondo le qualità contenute in questa, e tale determi- WILHELM DILTHEY 243 natezza della coscienza, vuota di contenuto,
deriva dalla realtà fisica secondo la
causalità naturale. La struttura del naturalismo
— da Democrito a Hobbes e da questo al
Sistème de la natureS — è uniforme: il sensismo
come teoria della conoscenza, il materialismo come metafisica e un duplice atteggiamento pratico — da un lato
la volontà di godimento, dall’altro la
conciliazione con il corso prepotente ed
estraneo del mondo, attuata sottomettendosi ad esso nell’os- servazione.
La legittimità filosofica del naturalismo poggia su due pro- prietà fondamentali del mondo fisico. Come
sono preponderan- ti all’interno della
realtà data nella nostra esperienza l’estensio-
ne e la forza delle masse fisiche! Esse circondano come qualco- sa di smisurato e continuamente più esteso le
rare manifestazio- ni spirituali; così
considerate, queste appaiono come interpola-
zioni nel grande testo dell’ordine fisico. Perciò l’uomo natura- le, nella considerazione teorica di tali
rapporti, deve trovarsi totalmente
soggetto a quest'ordine. Al tempo stesso la natura è la sede originaria di ogni conoscenza delle
uniformità. Già le esperienze della vita
quotidiana insegnano a constatare queste
uniformità e a contare su di esse; le scienze positive del mondo fisico si accostano, attraverso lo studio di
queste uniformità, alla conoscenza della
loro connessione regolare. Così esse realiz-
zano un ideale di conoscenza irraggiungibile per le scienze dello spirito, fondate sull’Er/edez e
sull’intendere. A questo punto, però, le
difficoltà inerenti a questo punto di
vista spingono il naturalismo, in una dialettica incessante, verso formulazioni sempre nuove della sua
posizione nei con- fronti del mondo e
della vita. La materia da cui il naturalismo
procede è un fenomeno della coscienza; in tal modo esso cade nel circolo vizioso di voler derivare da ciò
che è dato sola- mente come fenomeno per la coscienza la coscienza stessa. È
impossibile derivare dal movimento, che ci è dato come fenome- no della
coscienza, la sensibilità e il pensiero. L’incompara- bilità di questi due
fatti conduce — dopo che il problema si è rivelato insolubile nei più disparati
tentativi compiuti dal mate- 5. È il
titolo dell'opera principale di Paul Heinrich Dietrich barone d’Holbach (1723-1789), pubblicata nel 1770, in cui sono
sistematicamente esposti i princìpi del ma-
terialismo illuministico. 244
WILHELM DILTHEY rialismo antico fino al
Sistème de la nature — alla tesi positivi-
stica della corrispondenza tra fisico e spirituale. Anche questa è esposta a forti obiezioni. Infine, la morale
del naturalismo origi- nario si mostra
incapace di spiegare lo sviluppo della società.
2. Cominciamo con l'aspetto gnoseologico del naturalismo. Il naturalismo ha il suo fondamento gnoseologico
nel sensismo. Col termine « sensismo »
intendo il riconducimento del proces- so
della coscienza o delle funzioni all'esperienza sensibile ester- na, delle determinazioni di valore e di scopo
al criterio del piacere e del dispiacere
sensibile. Il sensismo costituisce l’espres-
sione filosofica diretta della costituzione naturalistica dell’ani- ma. È qui dato, fin dal suo porsi, il problema
psico-genetico del naturalismo, quello
di derivare dalle singole impressioni
l’unità della vita psichica come una unitas composttionis. Il sensista non rifiuta né il fatto
dell’esperienza interna né l’elabo-
razione concettuale del dato, ma trova nell’ordine fisico la base di ogni conoscenza della connessione regolare
del reale, e le proprietà del pensiero
diventano per lui, in maniera immediata
o per il tramite di una teoria, una parte dell’esperienza
sensibile. La prima teoria sensistica è
stata formulata da Protagora*. Nella metafisica
precedente la forza universale della ragione
operante nel pensiero umano non era stata ancora separata dalle proprietà fisiche dell’uomo, dal
processo di respirazione e dalle
immagini dei sensi concepite come corporee. Protagora insegnò che la percezione nasce dalla
cooperazione di due movi- menti, l'uno
esterno e l’altro organico, che ha luogo nell’uo- mo; dato che per lui la percezione e il
pensiero erano insepara- bili, egli
derivò dalle percezioni sorte in tal modo l’intera vita dell'anima. Egli spiegò anche il piacere, il
dispiacere e l’impul- so sulla base della cooperazione dei due movimenti. Era
dun- que senza dubbio un sensista. Egli scoprì inoltre fin da allora, muovendo
da questo punto di vista, le conseguenze fenomenisti- che e relativistiche in
esso implicite. La dottrina relativistica di 6. Protagora di Abdera, il
maggiore rappresentante della Sofistica, vissuto nella se- conda metà del secolo v a. C., elaborò una
teoria sensistica della conoscenza e formu-
lò il principio secondo cui «l’uomo è misura di tutte le cose »,
tradizionalmente in- terpretato — come
anche qui da Dilthey — in senso relativistico. WILHELM DILTHEY 245 Protagora considera ogni
conoscenza, ogni posizione di valore e ogni determinazione di scopo determinato
dall'elemento pura- mente empirico dell’organizzazione umana; essa esclude
quindi che sia possibile comparare queste funzioni con i processi ester- ni a
cui esse si riferiscono. In tale maniera la conoscenza, la determinazione di valore e la posizione di
scopo posseggono una validità soltanto
relativa, cioè nella correlazione con
questa organizzazione. È qui eliminato il legame tra il sogget- to e il suo oggetto, presente nell’assunzione
di un’identica ragio- ne universale che
agisce nell’universo, e che in quanto simile
riconosce il simile. L'organizzazione sensibile mostra nel regno dell’animalità — che giunge fino all'uomo —
le forme più diverse, e da ognuna di
esse deve sorgere un mondo totalmen- te
differente. La fattualità meramente empirica dell’organizza- zione sensibile, il fatto che ogni pensiero è
vincolato ad essa e l'inserimento di
tale organizzazione nella connessione fisica co- stituiscono il fondamento di tutte le
dottrine relativistiche del-
l'antichità. Com'è possibile,
sulla base di questi presupposti, un’esperien-
za e una scienza empirica? Questo era il problema successivo. Matematica, astronomia, geografia, biologia
si sviluppavano continuamente, e la
scepsi sensistica doveva rendere comprensi-
bile la loro possibilità. Già il probabilismo di Carneade” conte- neva in sé la tendenza a istituire un
equilibrio positivo tra i presupposti
sensistici e le scienze empiriche. Nella sua scepsi la validità della coscienza viene riposta,
anziché nei rapporti (così conformi allo
spirito greco) di riproduzione di una realtà ester- na oggettiva da parte delle rappresentazioni,
nell’accordo inter- no delle percezioni
tra di loro e con i concetti, in una connessio-
ne priva di contraddizioni. Nell’ideale della massima probabili- tà raggiungibile, nella distinzione dei suoi
livelli, si otteneva un punto di vista
in base al quale si poteva contemporaneamen-
te combattere la metafisica e assicurare al sapere empirico una misura, anche se modesta, di validità. Ma soltanto quando la grande epoca della
fondazione della scienza matematica
della natura riconobbe, nel secolo xvi,
l’esistenza di un ordine della natura secondo leggi, il sensismo 7. Carneade (219-129 a. C.), filosofo della
Media Accademia. 246 WILHELM DILTHEY entrò nel suo ultimo e decisivo periodo. La
scienza naturale si era costituita come sapere empirico inattaccabile; il
sensismo era costretto a riconoscere questo fatto, a collegarsi ad esso e a
superare le conseguenze scettiche dell'epoca antecedente. Fu questa la grande
impresa di David Hume. Egli stesso ha consi- derato la sua filosofia come una
prosecuzione della scepsi acca- demica.
E infatti in lui ricorrono i caratteri principali di questa scepsi: la fattualità meramente
empirica della nostra organizzazione
sensibile e del pensiero ad essa connesso; di
qui l’eliminazione di qualsiasi rapporto di riproduzione tra lo spirito che apprende e il mondo oggettivo, e
quindi lo sposta- mento della conoscenza
nel mero accordo interno delle perce-
zioni tra di loro e con i concetti. Ma questi princìpi acqui- stano nella sua analisi il loro sviluppo più
fecondo: dalle rego- larità
dell’accadere nascono le abitudini di determinate associa- zioni; nella capacità di associazione ad esse
inerenti risiede il fondamento esclusivo
dei concetti di sostanza e di causalità. Ne
derivano conseguenze che avrebbero costituito i fondamenti del positivismo. La connessione del mondo
diventa, in virtù dei legami di sostanza
e di causalità, un effetto secondario dei fatti
animali dell’abitudine e dell’associazione; la scienza empirica viene limitata alle uniformità di coesistenza
e di successione dei fenomeni,
escludendo ogni sapere concernente le relazioni
interne, l’essenza, la sostanza o la causalità; queste uniformità
co- stituiscono l'oggetto del nostro
sapere riguardo ai fatti spirituali e
fisici: tutte le‘parti del mondo sono legate in un’unica legalità. Il sensismo è l’intimo spirito del sistema
di David Hume; ma i suoi grandi
risultati si sono svincolati dai presupposti
metafisici nella teoria positivistica della conoscenza di D’Alem- bert. Il positivismo diventò un metodo, e nei
confronti di questo punto di vista
fenomenistico il naturalismo stesso fece
valere — con Feuerbach, Moleschott*, Biichner? — la « solare evidenza del sensibile », e con Comte la
reciproca connessione 8. Jakob
Moleschott (1822-1893), biologo e fisiologo, autore della Physiologie des Stoffwechsels in Pflanzen und Tieren (1857) e
di Der Kreislaut des Lebens (1852), è
uno dei più noti esponenti del positivismo materialistico tedesco. 9. Ludwig Biichner (1824-1899), medico e
filosofo, autore di Kraft nad Stoff (1855),
di Natur und Geist (1857), di Die Stellung des Menschen in der Natur
(1869), è un al- tro importante esponente
del positivismo materialistico tedesco.
WILHELM DILTHEY 247 dei fatti
fisici e la dipendenza da essi di quelli psichici, così come insegnava la nuova fisiologia del
cervello. La metafisica del
naturalismo trovò il suo fondamento mec- canicistico nell’età successiva a
Protagora. La spiegazione mec- canicistica è, in sé e per sé, un procedimento
proprio delle scienze positive, e quindi è compatibile con diverse visioni del
mondo: la metafisica meccanicistica sorge soltanto quando nel- la realtà non si
vede altro che il meccanismo, quando certi
concetti che, per la conoscenza della natura, sono strumenti del suo procedimento vengono considerati come
entità. Le cause dei movimenti vengono
riposte nei singoli elementi materiali
dell'universo, e a questi elementi vengono ricondotti, secondo un metodo qualsiasi, i fatti spirituali.
Dalla natura viene espul- sa
quell’interiorità che la religione, il mito e la poesia vi aveva- no collocata: ora la natura è diventata senza
anima, e da nessuna parte una
connessione unitaria pone limite alla sua
interpretazione tecnica. Soltanto questo punto di vista permette di dare al naturalismo una forma
rigorosamente scientifica. Il suo
problema diventa ora quello di derivare il mondo spirituale dalla disposizione meccanica delle parti
corporee ordinate se- condo leggi. Una letteratura sterminata si è proposta di
risolvere questo compito. I suoi culmini
sono il sistema epicureo e la splendida
esposizione datane da Lucrezio; il tenebroso e possente sistema di Hobbes, che concepì in modo coerente
l’intero mondo spiri- tuale dal punto di
vista dell’impulso da cui scaturisce la lotta
per il potere degli individui, dei ceti e degli stati; nella Fran- cia del secolo xvrri il sistema della natura,
che espresse nelle sue fredde formule il
mistero degli uomini più miscredenti e
dei libertini di tutti i tempi; infine la fanatica dottrina
materia- listica di Feuerbach, Biichner,
Moleschott e compagni. La potenza di
queste dottrine poggiava sul fatto che esse
erano state costruite sul terreno della realtà esterna spaziale che cade sotto i sensi, accessibile al
pensiero esatto delle scienze della
natura. In nessun luogo esse contenevano un oscu- ro residuo di forze impenetrabili. Non c’era
angolo in cui 248 WILHELM DILTHEY potesse celarsi un elemento spirituale
autonomo o un elemento trascendente. Tutto era razionale e naturale. Infatti
l’anima di questa metafisica materialistica è la lotta contro la potenza della
religiosità e della metafisica spiritualistica con le loro oscu- rità. E la sua
legittimità storica risiedeva nello sforzo di supera- re l’alleanza della
chiesa con il dispostismo all’interno della
società. In un tale ordinamento
delle cose non c'è spazio alcuno per la
considerazione del mondo dal punto di vista del valore e dello scopo. Valori e scopi sono qui ciechi
prodotti del corso della natura, i quali
hanno un interesse particolare soltanto per
l’uomo, poiché l’uomo è per se stesso, in virtù della sua vita interiore, centro del mondo e tutto misura in
conformità ai suoi sentimenti, alle sue
aspirazioni, ai suoi fini. di L’ideale di vita del naturalismo doveva
essere duplice, in base al suo doppio
rapporto con il corso della natura. A causa
della sua passione l’uomo è schiavo del corso della natura — ma uno schiavo accorto e calcolatore che si
pone al di sopra di esso in virtù della
potenza del pensiero. Già l’antichità
sviluppò entrambi gli aspetti dell’ideale natu-
ralistico. Il sensismo di Protagora aveva già in sé le condizioni dell’edonismo di Aristippo! Per quest’ultimo,
infatti, tanto le percezioni sensibili
quanto i sentimenti e i desideri sorgono
nei contatti dell'organizzazione sensibile con il mondo esterno; essi non possono quindi esprimere i valori
oggettivi contenuti nella realtà ma
soltanto il rapporto in cui il soggetto, con il
suo sentimento, si pone nei loro confronti. Da ciò Aristippo concludeva
che nel piacere — inteso come il movimento migliore che abbia luogo nella
nostra organizzazione sensibile — risiede il criterio e il fine del giusto
agire. Nella connes- sione fisica della nostra animalità con la natura esterna,
quale si palesa nei movimenti sensibili, dev'essere ricercato il criterio e il fine dell’arte di vivere. La riflessione
socratica diventa qui gioco sovrano del
pensiero formale che calcola i valori del
10. Aristippo di Cirene (435-366 a. C.), filosofo socratico, fu il
maggiore rappre- sentante dell’edonismo
nel pensiero greco. WILHELM DILTHEY
249 piacere e che si eleva al di sopra
delle convenzioni, cioè sopra gli
ordinamenti oggettivi della vita. Ma nell’apprendimento ot- tico e nel godimento estetico — che tanta
importanza rivestiva per lo spirito
greco — c'era un altro ideale, e anche questo si collocava nell’ambito di quella metafisica
naturalistica che ha i suoi rappresentanti
in Democrito, in Epicuro, in Lucrezio. Ad
esso condussero le esperienze dell'impulso vitale. Si tratta della tranquillità d'animo che nasce in colui che
accoglie in sé la connessione sempre
salda e duratura dell’universo. Tale costitu-
zione dell'anima trovò la sua espressione nel poema didattico di Lucrezio. Egli riviveva in sé la potenza
liberatrice della grande visione
cosmica, astronomica e geografica del mondo
creata dalla scienza greca.
L'universo smisurato e le sue leggi eterne, la nascita dei sistemi del mondo, la storia della terra che
si copre di piante e di animali e che
infine produce l’uomo — questa concezione
gli consentì di osservare molto al di sotto di sé gli intrighi politici e le povere marionette divine
adorate dal suo popolo. Anzi la stessa
vita dell'individuo, con la sua sete di godimento e di potere, la lotta delle esistenze
particolari sul teatro dell’Im- pero
romano si rimpiccioliva da questo punto di vista cosmico: « pio è chi guarda all’universo con spirito sereno
». Già nell’antichità l’esperienza che,
nel corso del mondo, compie l’uomo che
desidera la felicità dei sensi aveva dissolto
la rigidità della dottrina del piacere sensibile come fine della vita. Accanto a quello sensibile si era
affermato il durevole piacere spirituale. Già allora la scuola epicurea si era
proposta di risolvere — mediante l’assunzione di uno sviluppo progressi vo — il
compito decisivo di derivare la cultura, in tutta la sua ricchezza e grandezza,
dai sentimenti del piacere e del dispiace- re sensibile. Ma solamente l’epoca
moderna approntò strumenti
scientificamente validi per la spiegazione naturalistica dello svi- luppo spirituale: la comprensione della vita
spirituale in base all'ambiente, la
derivazione della vita economica dagli interessi dell'individuo, la derivazione della cultura
intellettuale dal pro- gresso economico
e infine la teoria dell'evoluzione, che consentì di porre a fondamento delle caratteristiche
intellettuali e morali degli uomini
l’accumularsi di trasformazioni minime avvenute
nel corso di smisurati spazi di tempo. L'ideale naturalistico 250 WILHELM DILTHEY quale fu enunciato, al termine di un lungo
sviluppo culturale, da Ludwig Feuerbach
— l’idea dell’uomo libero che in Dio,
nell’immortalità e nell’ordine invisibile delle cose riconosce i fantasmi delle sue aspirazioni — ha
esercitato un'influenza po- tente sulle
idee politiche, sulla letteratura e sulla poesia. IV. L’IDEALISMO DELLA LIBERTÀ Prendiamo nuovamente le mosse dal fatto dell’affinità
tra un gran numero di sistemi che,
essendo fondata su una costitu- zione
vitale e su una posizione nei confronti del mondo, rac- chiude in sé la soluzione dei problemi
inerenti al mistero della vita secondo
una determinata tendenza, e in tal modo riunisce questi sistemi in un secondo tipo di
intuizione del mondo. I. L’idealismo della libertà è una creazione
dello spirito atenie- se. L'energia
formatrice, plasmatrice, sovrana in esso presente diventa con Anassagora !, Socrate, Platone e
Aristotele princi- pio di comprensione
del mondo. Cicerone ha espresso con vigo-
re il suo accordo, il suo sentimento di affinità con Socrate e tutta la
scuola socratica della storia greca successiva. I grandi apologisti e padri
della Chiesa cristiana si trovano in un consa- pevole accordo sia con lo
spirito socratico sia con la filosofia romana. La scuola scozzese poggia
completamente sull’orienta- mento di pensiero di Cicerone ed è al tempo stesso
consapevo- le della propria comunanza
con gli antichi scrittori cristiani. E
proprio la coscienza di tale affinità collega a questi scrittori precedenti Kant e Jacobi !, Maine de
Biran" e i filosofi france- si a
lui imparentati fino a Bergson. rt.
Anassagora di Clazomene (500 circa-428 a. C.), filosofo ionico, elaborò la teo-
ria del nous, ossia dell'intelletto divino che regola la mescolanza degli
clementi i qua- li costituiscono la realtà fisica, inserendo in essa un
principio ordinatore: a questa dottrina si riferisce esplicitamente Socrate,
nel Fedone platonico. 12. Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), autore di una
seric di lettere polemiche contro Moses
Mendelssohn Uber die Lehre des Spinoza (1785), traduttore di Bruno, claborò una « filosofia dell'identità »
criticando sia Kant sia l’idcalismo post-kantiano. È una figura centrale nel dibattito sullo
spinozismo che caratterizza il pensiero tede-
sco verso la fine del secolo xvi.
13. Frangois-Pierre Maine de Biran (1766-1824), autore dell’Essui sur
les fonde- WILHELM DILTHEY 251 La coscienza di tale affinità è
accompagnata da un'aspra polemica dei
rappresentanti di questo indirizzo contro il siste- ma naturalistico. La coscienza della completa
diversità dal natu- ralismo nella
concezione della vita, nell’intuizione del mondo e nell’ideale ispira ognuno di questi
pensatori, e si afferma con la massima
intensità nei più profondi. Ma anche l’opposizione al panteismo fu resa sempre più consapevole
da questo ideali- smo della personalità.
Se il panteismo greco più antico si era
distaccato dalla personificazione religiosa della divinità e dal rapporto personale con essa, Socrate si
oppose a questo pantei- smo, e la
filosofia romana dominante insistette sull’affinità con Socrate. Anche la più antica filosofia
cristiana si sente unita ai
rappresentanti dell’idealismo della libertà e della personalità in antitesi sia al naturalismo sia al panteismo.
La stessa posizione emerge nella
polemica della più tarda filosofia cristiana contro l’idealismo oggettivo di Averroè. Essa si
manifesta poi durante il Rinascimento
nella lotta di Giordano Bruno contro ogni
forma di filosofia cristiana e di quest’ultima contro il nuovo panteismo bruniano. A partire da questo
periodo essa prosegue poi nel conflitto
tra Spinoza e tutte le dottrine della persona- lità o della libertà, o tra
Leibniz e numerosi esponenti della dottrina della libertà, infine nelle lotte
tra Kant, Fichte, Jaco- bi, Fries e Herbart da un lato, Schelling, Hegel e
Schleierma- cher dall'altro. Tutte le grandi polemiche filosofiche degli ulti-
mi secoli acquistavano un carattere appassionato in virtù del legame in cui le varie soluzioni autentiche
di un problema stanno con le diverse
intuizioni del mondo. Il conflitto di
Bayle! con Spinoza ha alla radice un’esigenza di libertà nei confronti del determinismo. Il conflitto di
Voltaire con Leibniz ments de la
psychologie (1812), del saggio Des rapports des sciences naturelles avec
la psycologie (1813) e di numerosi altri
scritti — tra cui il Journal intime, pubblicato po- stumo — è il capostipite dello spiritualismo
francese dell'Ottocento: la sua posizione
esercitò una larga influenza sul pensicro spiritualistico, fin verso gli
inizi del nuovo secolo. 14. Jakob Friedrich Fries (1773-1843),
autore di una Neue Kntik der Vernunfe
(1807) e di numerose altre opere, in cui è formulata un'interpretazione
in chiave psi- cologica della filosofia
kantiana. 15. Pierre Bayle (1647-1706),
autore delle Pensées diverses sur la comète (1682) e soprattutto del celebre Dictionnaire
historique et critique (1695-97, 2° ed. 1702), fu una delle grandi fonti di ispirazione della
cultura illuministica francese, che da lui derivò il suo atteggiamento critico nei confronti
della tradizione e il ricorso all'analisi erudita 252 WILHELM DILTHEY si richiama a una presa di posizione
pratica della coscienza che muove dall'uomo
e che tende quindi in un primo luogo a
garantire la libertà contro la metafisica contemplativa fondata sull’intuizione dell'universo. Rousseau
contrappone con enorme successo alle
forme più diverse di naturalismo o di monismo
una filosofia della personalità e della libertà. La discussione tra Jacobi e Schelling tocca i principali
problemi che separano idea- lismo
oggetttivo e filosofia della personalità; e nessuna disputa è stata mai condotta con tanta passionalità.
Anche la polemica di Herbart contro la
filosofia monistica deriva la propria vee-
menza dalla convinzione che il monismo poneva in questione le grandi verità del sistema teistico, mentre
egli si ergeva a difensore della visione
cristiana del mondo, che nelle sue radici
più profonde è teistica. L’asprezza con cui Fries e Apelt'‘ conducono la
loro battaglia contro la speculazione monistica è condizionata in egual misura
dall’odio verso la deformazione delle scienze sperimentali della natura
compiuta da Schelling e da Hegel e dall’odio verso la dissoluzione del teismo
cri- stiano sotto il manto di una difesa del Cristianesimo. De
A questa coscienza di comunanza reciproca e di antitesi, che rispettivamente unisce tra loro i
rappresentanti dell’idealismo della
libertà e li separa sia dall’idealismo oggettivo sia dal naturalismo, corrisponde l’effettiva affinità
tra i diversi sistemi di questo tipo. Il
legame che in questi sistemi tiene insieme
l'intuizione del mondo, il metodo e la metafisica consiste nel fatto che l’atteggiamento, che con sovrana
autosufficienza si contrappone a ogni
datità, contiene in sé l'indipendenza dello
spirituale da tale datità: lo spirito è consapevole della sua
essen- za come distinta da ogni
causalità fisica. Con profonda penetra-
zione etica Fichte ha colto la connessione tra il carattere di un certo gruppo di pensatori e l’idealismo della
libertà, in antitesi a ogni sistema
della natura. Questa libera potenza dell'io si come strumento critico. Dilthey si
riferisce qui alla polemica con Spinoza, condotta nella voce « Spinoza » del Dictionnaire. 16. Ernst Friedrich Apelt (1812-1859),
allievo c continuatore di Frics, del cui pen-
siero diede un'esposizione nella Mezaphysik (1857). WILHELM DILTHEY 253 trova quindi legata nel rapporto con altre
persone non già fisicamente, bensì nella
forma e nell’obbligazione morale; nasce
così il concetto di un regno di persone in cui gli individui sono vincolati da norme e tuttavia
interiormente liberi. A que- ste
premesse è poi sempre connessa la relazione degli individui liberi, responsabili e interiormente legati
in virtù della legge, nonché del regno
delle persone, con una causa originaria perso-
nale e libera. In base alla costituzione vitale ciò è fondato sul fatto che la spontanea e libera vitalità si
scopre come una forza che determina
altre persone secondo la loro libertà, ma nel medesimo tempo avverte che in
essa stessa altre persone sono divenute una forza da cui essa viene determinata
in modo corrispondente alla propria spontaneità. Così questa vivente for- ma di
determinazione attiva e passiva diventa lo schema della connessione universale
in generale: essa viene per così dire
proiettata nella stessa connessione universale, la si ritrova in ogni rapporto in cui sta il soggetto del
pensiero sistematico, fino al più
comprensivo. In tal modo la divinità viene sottratta alla connessione della causalità fisica e
concepita come qualcosa che la governa —
come una proiezione della ragione che pone
scopi, fornita di potenza autonoma nei confronti della datità. Anassagora e Aristotele hanno determinato
filosoficamente ed espresso con
precisione questo concetto di divinità mediante il rapporto della divinità con la materia.
Quest'idea di un dio personale acquista
la sua formulazione metafisica più radicale
nel concetto cristiano della creazione del mondo dal nulla, dal non-esistente; essa esprime infatti la
trascendenza della divini- tà rispetto
alla legge causale, che regna nel mondo naturale secondo la regola ex ni/tilo nihil. La
trascendenza di Dio rispet- to alla
coscienza del mondo, la quale connette le sue verità in base al principio di ragion sufficiente,
viene poi giustificata criticamente da
Kant: Dio è presente soltanto alla volontà, che
lo richiede in virtù della sua libertà. Sorge così la struttura comune a tutti i
sistemi che rientrano in questo tipo di
intuizione del mondo. Dal punto di vista gno-
seologico questo tipo si fonderà, non appena diventa filosofica- 254 WILHELM DILTHEY mente consapevole del suo presupposto, sui
fatti della coscien- za. Nella
metafisica questa intuizione del mondo passa attraver- so diverse forme. Essa compare dapprima nella
filosofia attica come concezione della
ragione formatrice, che plasma il mondo
della materia. La grande scoperta di un pensiero concettuale e di una volontà morale indipendenti dalla
connessione naturale, e della loro
connessione con un ordine spirituale, costituisce in Platone il punto di partenza di tale
concezione, e anche in Aristotele ne
rimane il fondamento. Preparata dalla nozione
romana di volontà e dall’intuizione, anch'essa romana, di un rapporto di governo di Dio nei confronti del
mondo, si forma nel Cristianesimo la seconda concezione, cioè la dottrina della
creazione. Essa costruisce un mondo trascendente sulla base delle relazioni
esperite nell’atteggiamento del valore. I concetti di Dio propri della
coscienza cristiana sono il rapporto del padre con i suoi figli, il contatto
con Dio, la provvidenza come simbolo del
governo del mondo, la giustizia, la misericordia. Un lungo cammino è stato poi percorso da qui
fino al supremo raffinamento a cui tale
coscienza di Dio perviene nella filosofia
trascendentale tedesca. In un’asciutta ed eroica grandezza l’idea- lismo della libertà costruisce qui — come
appare nel mondo più compiuto in
Schiller — il mondo soprasensibile che esiste
soltanto per la volontà, poiché è posto dal suo ideale di un’aspi- razione infinita. 4.
Questa intuizione del mondo possiede un fondamento uni- versalmente valido nei fatti della coscienza.
In quanto coscien- za metafisica
dell’uomo eroico, essa è indistruttibile: si rinnove- rà sempre in ogni grande natura attiva. Essa non può tuttavia definire e fondare il
suo principio in maniera
scientificamente valida. Anche qui si mette però in moto una dialettica incessante che procede di
possibilità in pos- sibilità, ma che è
incapace di pervenire a una soluzione del suo
problema. La volontà operante consapevolmente nella famiglia, nel diritto e nello stato fu sviluppata dal
pensiero romano in concetti di vita, e
questi vennero alla fine ricondotti a un’inna-
ta predisposizione verso la condotta della vita. In tal modo la WILHELM DILTHEY 255 sicurezza della condotta della vita
poggiava su un elemento irraggiungibile
e indimostrabile. La regolarità dell’ordinamen-
to della vita fu fondata su presupposti innatistici, che tuttavia potevano essere provati soltanto sulla base
degli ordinamenti della vita, sulla base
del reciproco accordo dei popoli. In que-
sto modo la filosofia romana della vita fondò il suo idealismo della personalità. Su di esso la coscienza
cristiana determinò come principio di
tale punto di vista la trascendenza dello spirito, la sua indipendenza da
qualsiasi ordine naturale. Ma la trascendenza è soltanto un'espressione
simbolica della volontà nel sacrificio, nel procedere oltre il nesso naturale
della motiva- zione attraverso l’abbandono della vita, ossia della forza di
vivere in vista della realizzazione di un ordine di vita soprasen- sibile. L'ideale del sacro vale come prova di
se stesso, ma nessuna formula consente
di elevarlo a coscienza logica. Kant e
la filosofia trascendentale si proposero quindi di determinare e di fondare in maniera universalmente valida
questa volontà ideale. Si fece valere,
rispetto al corso del mondo, un elemento
indeterminato come norma suprema e supremo valore. Il tenta- tivo falli. Ma esso si rinnovò nell’idealismo
personalistico fran- cese, da Maine de
Biran a Bergson, e nella forma idealistica del
pragmatismo quale si presentò in James e nei pensatori a lui affini, nonché nella grande corrente della
filosofia trascendenta- le tedesca. La
sua potenza è indistruttibile; cambiano solamen- te le sue forme e i modi di dimostrazione.
Questa potenza poggia su una
costituzione vitale che prende le mosse dall’uo- mo che agisce ed esige una regola salda per
la posizione di scopi. Schiller è il poeta di questo idealismo
della libertà, così come Carlyle è il
suo storico: Umiliato a servire un
vile, Alcide viveva un tempo un'aspra
dura vita in un’eterna guerra: contro
l'Idra ebbe a lottare ed abbatté il
leone, per liberar gli amici si
gettò vivo dentro la barca del
nocchiero dei morti. Ogni gravame, ogni
tormento getta l'inganno della Dea
implacata 256 WILHELM DILTHEY sulle docili spalle dell’odiato, finché
finisce il suo cammino finché, spogliato il suo terreno involucro, il Dio
fiammante sciogliesi dall'uomo e beve le sottili aure dell'etere. Lieto del
nuovo, insolito aleggiare si leva in alto, e la visione cupa della vita
terrena, cade e cade!?, V. L’IDEALISMO OGGETTIVO Legati da una connessione
reciproca si presentano poi altri
sistemi che divergono dai due tipi finora descritti. Essi forma- no la massa principale di ogni metafisica, si
estendono per l’intera storia della
filosofia, e il loro stretto legame con i
grandi fenomeni affini della fede e dell’arte rimanda a un'intui- zione del mondo che attraversa la religione,
la concezione arti- stica, e il pensiero
metafisico. I. Intendiamo determinare l'ambito in cui
questo tipo si pre- senta all’interno
della metafisica. La massa centrale dei sistemi
filosofici non può venir assegnata né al naturalismo né all’idea- lismo della libertà. Senofane!, Eraclito,
Parmenide e i loro continuatori, il
sistema stoico, Giordano Bruno, Spinoza, Shaf-
tesbury ', Herder, Goethe, Schelling, Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher — tutti questi sistemi
rivelano un tipo chiara- 17. Scuuter, Gedichte, Das Ideal
und das Leben, vv. 131-46 (tr. it. di G. A.
Alfero). e 18. Scnofane di Colofone, filosofo ionico
vissuto tra la scconda metà del secolo vi e l’inizio del secolo v a. C.,
critico della concezione antropomorfica della divinità: alcune testimonianze,
molto discusse, ne fanno il maestro di Parmenide e il fondatore della scuola
eleatica. 19. Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury (1671-1713), filosofo
inglese, au- tore dell'Inquiry
Concerning Virtue or Merit (1699), della Letter Concerning Enthu- siasm (1708), della Characteristics of Men,
Manners, Opinions, and Times (1711) e di
numerosi altri scritti, fu uno dei principali rappresentanti del deismo;
elaborò la teoria del senso morale come
base e criterio di valutazione del comportamento umano. WILHELM DILTHEY 257 mente comune, che diverge completamente
dagli altri che ab- biamo già esposti. Essi sono reciprocamente legati da un
rapporto di dipenden- za e dalla più
definita coscienza della loro affinità. Lo stoici- smo era consapevole della
propria dipendenza da Eraclito. Gior- dano Bruno ha utilizzato in un ambito più
vasto i concetti fondamentali degli Stoici; Spinoza è condizionato dallo
Stoici- smo e dal complesso di idee filosofiche che aveva come centro Giordano
Bruno. In Leibniz la grande prospettiva spirituale del Rinascimento trova la sua espressione più
compiuta, in anti- tesi al rigido
monismo spinoziano. Dopo la dissoluzione delle
forme sostanziali, nel Rinascimento non viene più riconosciuta alcuna realtà in mezzo tra la connessione
divina e le cose particolari: il mondo è
l’esplicazione di Dio, che si è scompo-
sto in esso nella forma di una molteplicità illimitata; ogni cosa particolare rispecchia in sé l’universo.
Questa è anche la pro- spettiva di
Leibniz. Se la sua dipendenza dalla situazione intel- lettuale del tempo gli consente di concepire
la divinità come individuo, la
dipendenza dalla sua cultura teologica lo ha indot- to a mettere in primo piano le relazioni con
la teologia: il panenteismo rimane la
sua intuizione fondamentale, e la nuova
grande idea del suo sistema è la concezione dell'universo come una totalità singolare in cui ogni parte è
determinata dalla connessione ideale di
significato del tutto. Tale sistema è intera-
mente determinato dalla questione del senso e del significato del mondo. Il suo parente più prossimo è
Shaftesbury, influen- zato sia dallo
Stoicismo sia da Giordano Bruno. I grandi ideali- sti oggettivi tedeschi vivono nella sfera di
influenza di Leib- niz, sono
condizionati da Shaftesbury attraverso il movimento poetico tedesco, in modo particolare per il
tramite di Goethe e di Herder; e la loro
dipendenza da Spinoza, in parte diretta,
in parte mediata dal precedente movimento letterario, è prova- ta e può esser dimostrata in un ambito ancor
più ampio. Questi sistemi costituiscono
così una connessione storica non meno sal-
damente conclusa di quella del naturalismo e dell’idealismo della libertà. Essi hanno sempre espresso nel modo più
deciso anche la loro antitesi verso gli
altri due tipi di intuizione del mondo.
Con quanta durezza Eraclito giudica il materialismo della ple- 17. STORICISMO TEDESCO. 258 WILHELM DILTHEY bel In quale netta opposizione lo Stoicismo
si pone nei confron- ti del sensismo
epicureol Esso è però al tempo stesso consapevo- le, in quanto rinnova
l’ilozoismo, del proprio distacco da Plato- ne e Aristotele. Giordano Bruno ha
condotto, con una passione senza pari, la lotta contro ogni forma di visione
cristiana del mondo e di ideale di vita cristiano. La stessa passionalità
irrom- pe in Spinoza, tra le catene delle dimostrazioni, in quelle ap- pendici stilisticamente libere che erano
state originariamente composte in forma
autonoma, come manifestazioni della sua
disposizione di vita. Schelling e Hegel indirizzano manifesti e pamphlets contro l’idealismo della libertà e
in particolare con- tro Kant, Fichte e
Jacobi, in quanto filosofi della riflessio-
ne. Prescindendo dall’invettiva di Schopenhauer, la critica di Schleiermacher alla dottrina etica è
fondamentalmente un unico grande scritto
polemico contro l’etica sensistica e contro la limi- tativa etica dualistica di Kant e di Fichte,
in favore dell’ideali- smo
oggettivo. Se il procedimento
comparativo segue questi indizi, esso è
in grado di riconoscere l'affinità dei membri di questo gruppo, reciprocamente così legati, e la struttura ad
essi comune in virtù della quale sono
riuniti a formare un medesimo tipo di
intuizione del mondo. La connessione di princìpi che costitui- sce la struttura di questo tipo comprende una
posizione gnoseo- logico-metodologica
della coscienza, una formula metafisica che
contiene varie possibilità di formazione di sistemi metafisici, e infine un principio di formazione della
vita. La posizione
gnoseologica-metodologica della coscienza nei
confronti del mistero del mondo consisteva, nella prima delle tre intuizioni, nel passaggio dalla
conoscenza delle uniformità presenti nel
mondo fisico a generalizzazioni che permettevano di subordinare anche i fatti spirituali a
questa legalità meccani- ca esterna. Per
contro l’idealismo della libertà ha trovato nei
fatti della coscienza il punto saldo per una risoluzione univer- salmente valida del mistero del mondo; esso
richiedeva l’esisten- za e la
possibilità di constatare determinazioni universali della coscienza, non ulteriormente risolvibili, che
con forza sponta- WILHELM DILTHEY
259 nea producono la formazione della
vita e dell’intuizione del mondo nella materia della realtà esterna. Il terzo
tipo di atteg- giamento gnoseologico-metodologico è completamente distinto
dagli altri due. Esso può venir rintracciato in egual misura in Fraclito come
nello Stoicismo, in Giordano Bruno come in Spinoza e Shaftesbury, in Schelling,
Hegel, Schopenhauer e Schleiermacher.
Esso è fondato infatti sulla costituzione vitale di questi pensatori. Diciamo che un
atteggiamento è di tipo contemplativo,
estetico o artistico quando in esso il soggetto si riposa, per così dire, dal lavoro conoscitivo
delle scienze natura- li e dall’agire in
riferimento ai nostri bisogni, agli scopi che ne derivano e alla loro realizzazione nel mondo
esterno. In questo atteggiamento
contemplativo la vita del sentire, in cui la ric- chezza della vita, il valore e la felicità
dell’esistenza vengono avvertiti
anzitutto in modo personale, si allarga in una specie di simpatia universale. In virtù di tale ampliamento
del nostro io nella simpatia universale
noi riempiamo e animiamo la real- tà
intera con i valori che sentiamo, con l’operare in cui realiz- ziamo la nostra vita, con le idee supreme del
bello, del bene e del vero. Le
disposizioni che la realtà suscita in noi, le ritrovia- mo nuovamente in essa. E nella misura in cui
allarghiamo il nostro sentimento
particolare della vita nella partecipazione al-
la totalità del mondo e avvertiamo la nostra affinità con tutte le manifestazioni del reale, la gioia della
vita si rinsalda e cresce la coscienza
della propria forza. È questa la costituzione
dell’anima in cui l’individuo si sente tutt'uno con la connessio- ne divina delle cose e in tal modo affine a
qualsiasi altro membro di questa
connessione. Nessuno ha espresso questa co-
stituzione dell'anima in modo più bello di Goethe. Egli loda la fortuna di poter « sentire e godere » la
natura. .. Né tu m’accordi appena il freddo stupore d'un
ospite ma, come nel cuore a un amico, mi dai di fissare nel fondo del suo
essere. Guidi davanti a me la schiera dei viventi e a riconoscere m'insegni i
miei fratelli fra piante mute, in aria c in acqua 2. 20. GoetHE, Fasst, vv.
3221-27 (tr. it. di F. Fortini). 260 WILHELM DILTHEY Questa costituzione
dell'animo trova la soluzione di tutte le
dissonanze della vita nell’armonia universale delle cose. Il senti- mento tragico delle contraddizioni
dell’esistenza, la disposizio- ne
pessimistica, l'umorismo che coglie realisticamente la limita- tezza e l’angustia opprimente dei fenomeni,
ma nella loro pro- fondità scopre
l’idealità vittoriosa del reale, sono soltanto gradi- ni che conducono alla percezione di una
connessione universale di esistenza e di
valore. La forma di apprendimento è
nell’idealismo oggettivo sem- pre la medesima: non già l’ordinamento dei casi
secondo rap- porti di affinità o di uniformità, ma l’intuizione complessiva
delle parti in un tutto, l'elevazione della connessione della vita a
connessione del mondo. Il primo tra questi pensatori a riflettere sul suo
procedimen- to filosofico fu — a quanto ne sappiamo — Eraclito. Egli ha avuto una profonda coscienza
dell’atteggiamento contemplati- vo e ha
espresso la sua antitesi nei confronti del pensiero perso- nificante della fede, nei confronti della
percezione sensibile — che, presa da
sola, egli tiene in scarso conto — e nei confronti della cosmologia scientifica. Il filosofo fa
oggetto della sua ri- flessione ciò che
lo circonda da vicino, costantemente, giorno
per giorno, dove egli ritrova dunque sempre le medesime cose. Essere presente a ciò che ci accade: con
questa espressione viene genialmente
raffigurata la profonda saggezza in virtù del-
la quale i fenomeni del corso del mondo, evidenti agli occhi della massa, diventano invece per il filosofo
autentico oggetto di stupore e di
meditazione. In base a questo atteggiamento
contemplativo Eraclito concepiva il corso del mondo come sem- pre identico — come il continuo fluire e la
corruttibilità di ogni cosa, ma anche
come un ordine concettuale presente in
ogni suo punto. In tal modo il sentimento tragico del trascorre- re incessante del tempo, in cui il presente è
sempre e non è più, si risolve ai suoi
occhi nella coscienza di una regolarità
nell'universo che permane in mezzo a tale fuga. Nello Stoicismo domina la stessa intuizione
dell’universo co- me un tutto di cui le
cose particolari sono parti, c in cui esse
vengono tenute insieme da una forza unitaria. Esso ha elimina- to il rapporto di subordinazione dei fatti a
unità concettuali astratte, che
prevaleva in Platone e Aristotele; in luogo della WILHELM DILTHEY 261 relazione logica del particolare con
l’universale subentra, nel suo sistema,
il rapporto organico di un tutto con i suoi elemen- ti — cioè quella forma di apprendimento che
Kant ha posto in stretta relazione, come
intuizione del finalismo immanente del-
la realtà organica, con la forma dell’intuizione estetica. E dopo che erano scomparse la sillogistica e
la sisternatica scolastica — che avevano
impiegato le forme sostanziali al
servizio della teologia cristiana, per fondare un mondo trascen- dentale
— le medesime categorie di intuizione del mondo si presentano nel periodo di
transizione dal Medioevo all’età mo- derna: l’intero e le sue parti,
l’individualità di queste par- ti fino alle più piccole. Già in Nicola Cusano
compare quella finissima concezione estetica dell’universo secondo cui la
cosa particolare, in quanto contrazione
del tutto, rispecchia in sé l'universo.
Spinoza è il rappresentante di questa dottrina dell’u- niverso come uzità, e anche l’intuizione
leibniziana del mondo è scaturita —
nonostante il suo concetto di Dio, fondato sulla monadologia e connesso con la sua tendenza
teologica — da questa costituzione
dell’anima. La piena consapevolezza gnoseo-
logica di tale atteggiamento contemplativo si ha in Schelling, Schopenhauer e Schleiermacher. L’intuizione
intellettuale di Schelling,
l'atteggiamento estetico contemplativo, libero dal vo- lere, di Schopenhauer — in cui il soggetto
non segue più le relazioni reciproche
delle cose in base al principio di ragion
sufficiente, ma coglie nei fenomeni ciò che ne costituisce l'essen- za — e infine la religione come intuizione e
sentimento dell’u- niverso nei Discorsi
di Schleiermacher: queste sono le diverse
forme nelle quali si esprimono i vari aspetti del medesimo atteg- giamento, che è proprio di questo tipo di
intuizione del mondo. Da tale atteggiamento deriva la formula
metafisica comune a tutta questa classe
di sistemi. Tutti i fenomeni dell’universo
sono duplici: da un lato, cioè nella percezione esterna, essi sono dati come oggetti sensibili e stanno, in
quanto tali, in una connessione fisica;
d’altro lato recano in sé, considerati per
così dire dall'interno, una connessione vitale che può essere 262 WILHELM DILTHEY rivissuta nella nostra interiorità. Questo
principio può essere quindi espresso
anche come affinità di tutte le parti dell’univer- so con il fondamento divino e tra di loro.
Esso corrisponde alla concezione di una
simpatia universale che nel reale, in ciò che
si manifesta nello spazio, avverte ovunque la presenza della divinità. La coscienza di quest’affinità è il
carattere metafisico fondamentale comune
alla religiosità degli Indiani, dei Greci e
dei Germani; e da essa deriva, nella metafisica, l’immanenza di tutte le cose — come parti di un tutto — in
un fondamento universale e di tutti i valori in una connessione di significato
che costituisce il senso del mondo. La contemplazione, l’intui- zione, che
nella propria vita rivive quella del tutto — in qual- siasi modo possa
interpretarla — coglie nei fenomeni dati ester- namente un’interna connessione
divina. Da questo medesimo atteggiamento
sorge infine di regola la concezione deterministi- ca; qui il singolo si scopre determinato dal
tutto, e la connessio- ne dei fenomeni
viene concepita come caratteristica interna,
quali che siano le determinazioni che vengono ad essa at- tribute.
4. Ciò che è contenuto in questa
formula dell’idealismo oggetti- vo come
costituzione della connessione del mondo, la religiosi- tà, la poesia e la metafisica lo esprimono
tutte soltanto in modo simbolico. Esso è
assolutamente inconoscibile. La metafisica se-
para soltanto aspetti particolari dalla vitalità del soggetto, dalla connessione vitale della persona,
proiettandoli nell’immen- sità come
connessione del mondo. Ne scaturisce una nuova
incessante dialettica che conduce di sistema in sistema finché, esaurite tutte le possibilità, viene riconosciuta
l’insolubilità del problema. È questo fondamento del mondo volontà oppure
ragione? Se lo determiniamo come
pensiero, occorre però una volontà
perché qualcosa nasca. Se lo si concepisce invece come volontà, essa presuppone un pensiero che ne determini
lo scopo. Volon- tà e pensiero non si
lasciano però ridurre l’uno all’altro. A
questo punto la possibilità di pensare logicamente il fondamen- to del mondo si arresta, e ciò che rimane è
soltanto il rispec- WILHELM DILTHEY
263 chiamento in esso della vita
mediante la mistica. Se si concepi- sce
il fondamento del mondo in maniera personale, questa me- tafora esige tuttavia di essere delimitata da
determinazioni con- crete. Se invece si
applica ad essa l’idea dell’infinito, scompaio-
no di nuovo tutte le sue determinazioni, e anche qui rimane soltanto l’impenetrabile, l’inconcepibile,
l’oscurità e la mistica. Se è fornito di coscienza, esso ricade sotto
l’antitesi di soggetto e oggetto; d° altra parte non possiamo comprendere come
qual- cosa di inconscio possa produrre la coscienza che gli è superio- re;
siamo nuovamente di fronte a qualcosa di inafferrabile. Non ci è possibile
pensare come dall’unità del mondo possa
nascere una molteplicità, dall’eterno qualcosa di mutevole: ciò è logicamente inconcepibile. Il rapporto di
essere e pensare, di estensione e
pensiero non viene reso comprensibile dalla parola magica dell’« identità ». Così, anche di
questi sistemi metafisi- ci ciò che
rimane è soltanto una costituzione dell’anima e un’in- tuizione del mondo. Goethe ha dato
l’espressione più alta di questa
intuizione del mondo. « Che sarebbe un
Dio che agisse soltanto dall'esterno,
facesse rotare intorno al dito l'universo! A Lui s’addice di muovere il mondo
dall’interno, di albergare la Natura in
Sé, Sé nella Natura, così che il mondo,
che in Lui vive, vibra ed è, mai senta
mancanza della Sua forza, del suo spirito » %!. 21. GoetHE, Gort und IVelt, procmio, vv. 1-6 (tr. it.
di F. Amoroso). WILHELM WINDELBAND
NOTA BIOGRAFICA Wilhelm
Windelband nacque a Potsdam l’rt maggio 1848. Frequen- tò dapprima l’Università di Jena, poi quelle
di Berlino e di Gòttingen, dedicandosi
inizialmente a studi storici e sviluppando in seguito i suoi interessi — sotto la duplice influenza di
Kuno Fischer e di Hermann Lotze — in
direzione della filosofia. Dopo aver conseguito il dottorato a Gòttingen con la dissertazione Die Lehren vom
Zufall (Berlin, 1870), Windelband
ottiene l’abilitazione a Lipsia nel 1873, con il volume Uber die Gewissheit der Erkenntnis (Berlin, 1873),
nel quale emerge chiara- mente la sua
adesione al movimento neocriticistico e, in particolare, all'interpretazione della filosofia in chiave
di teoria della conoscenza. Nel 1876
diventa professore all’Università di Zurigo, da dove si trasferisce l'anno seguente a Friburgo e nel 1882 a
Strasburgo; nel 1903, infine, viene
chiamato all’Università di Heidelberg quale successore di Kuno Fischer, e qui
insegnerà fino al momento della morte, sopraggiunta il 22 ottobre 1915. La
parte più cospicua della produzione di Windelband è costituita da numerose
opere di storia della filosofia, che hanno avuto larga diffusione e risonanza
anche al di fuori dei paesi di lingua tedesca. La prima di queste opere, Die Geschichte der
neueren Philosophie in ihrem
Zusammenhange mit der allgemeinen Kultur und den besonderen Wis- senschaften (Leipzig, 1878-80; tr. it.
Firenze, 1925), rappresenta un mo- dello
di interpretazione neocriticistica della storia della filosofia moder- na, considerata come avente il proprio centro
nello sviluppo della teoria della
conoscenza. Il carattere specifico del pensiero moderno rispetto a quello antico e medievale viene individuato
nel distacco dalla metafisica e nello
sforzo di pervenire a un'indagine critica; cosicché l'opera di Kant viene presentata come il punto di
confluenza dei suoi principali
indirizzi, ossia come la sintesi tra razionalismo ed empirismo.
Nella successiva Geschichte der
Philosophie (1889-92), poi ripubblicata con il
titolo di LeArbuch der Geschichte der Philosophie (Freiburg i.B., 1903;
tr. it, Firenze, 1910-12), si riflette
invece il passaggio dall’originaria prospetti-
va neocriticistica alla teoria dei valori: il presupposto della
centralità del problema gnoseologico
viene messo in disparte, e la filosofia si allarga ad abbracciare una molteplicità di problemi
teoretici e pratici, studiati nel 263
WILHELM WINDELBAND loro rapporto con
la vita culturale e con la vita politico-sociale. Lo stesso vale per la Geschichte der alten
Philosophie (Miinchen, 1883) e per la
monografia P/aton (Stuttgart, 1900; tr. it. Palermo, 1914). Negli anni successivi al 1880 Windelband è
pervenuto a elaborare, sulla base del
richiamo a Kant, i presupposti di quell’impostazione filosofica che sarà indicata come «teoria dei
valori». Attribuendo alla filosofia il
compito di determinare i princìpi 4 priori che garantiscono la validità del conoscere, egli li interpreta
come valori forniti del duplice
carattere dell'universalità e della necessità, ossia come valori
incondizio nati: in riferimento alla
conoscenza, la filosofia si configura come teoria critica in quanto si pone il problema della
validità del conoscere e individua i
valori su cui essa si fonda. Ma tale tipo di considerazione non è limitato al campo della conoscenza,
bensì si estende anche alla moralità e
all'arte. In una serie di saggi raccolti col titolo di Préludien (Freiburg i.B.-Tiibingen, 1883) e via via
arricchita nelle successive edizio- ni
(Tiibingen, 19027, 1907°, 1911*, 1914%; tr. it. Milano, 1947) Windel- band delinea una concezione della filosofia
come ricerca e individuazio- ne dei valori che costituiscono la norma
intrinseca dell'attività umana nei suoi diversi campi, distinguendo così la
validità normativa dei valori dalla validità empirica delle leggi naturali. Ciò
che è proprio dei valori non è l’esistenza di fatto, bensì il « dover essere »;
anche se non trovano una realizzazione
empirica, non per questo i valori cessano di valere incondizionatamente. Essi fanno parte di una
« coscienza normale » che si colloca su
un piano trascendente rispetto alla realtà empirica, e sul quale questa non può incidere. Il compito
della filosofia diventa perciò quello di
stabilire i valori che stanno a base rispettivamente del conosce- re, dell'agire e del sentire — secondo la
tripartizione kantiana delle facoltà
umane. In questa prospettiva Windelband ha affrontato, nel discorso rettorale di Strasburgo Geschichte
und Naturwissenschaft (1894), il
problema della conoscenza storica; e l’ha affrontato in aperta polemica con Dilthey. Egli respinge infatti
la distinzione tra scienze della natura
e scienze dello spirito a causa del suo fondamento oggetti vo, e vi sostituisce una distinzione
puramente metodologica tra due gruppi di
discipline differenziate in base al loro orientamento conosciti- vo: le scienze nomotetiche, dirette alla
determinazione di leggi generali, e le
scienze idiografiche, rivolte alla comprensione dell’individuale. In quanto insieme delle scienze idiografiche, la
conoscenza storica appare quindi
caratterizzata dallo sforzo di determinare la fisionomia individua- le di ogni avvenimento, poco importa che esso
appartenga alla natura o all'ambito dei
fenomeni spirituali. Nell'ultimo
periodo della sua vita Windelband ha sviluppato le implicazioni metafisiche della teoria dei
valori, affiancando all'esigenza del
ritorno a Kant il richiamo alla visione storica del mondo elaborata WILHELM WINDELBAND 269 dall'idealismo post-kantiano. Nel volume
Die Philosophie im deutschen
Geistesleben des 19. Jahrhunderts (Tiibingen, 1909) e in alcuni
saggi del 1908-10, poi raccolti nei
Pràludien, egli addita nell’orientamento
storico dell'idealismo post-kantiano l’eredità principale della
filosofia del- l'Ottocento, riprendendo
su tale base la polemica contro il naturalismo e contro il tentativo di ridurre la storia a
natura. Nell’Ein/eitung in die
Philosophie (Tiibingen, 1914) egli formula la distinzione tra
scienza naturale e conoscenza storica da
un altro punto di vista, cioè in riferi-
mento al rapporto tra realtà empirica e valori: la scienza naturale
si presenta come una conoscenza priva di
rapporto con i valori, mentre la
conoscenza storica diventa una conoscenza in relazione ai valori, dal
mo- mento che la realtà storica è il terreno della realizzazione empirica dei
valori. Nella postuma e incompiuta « lezione di guerra » sulla Geschickts-
philosophie (Berlin, 1916), infine, il senso della storia viene definito in
base all'idea di umanità, kantianamente intesa come principio regolativo e quindi come postulato che deve consentire
la valutazione dei singoli
avvenimenti. NOTA BIBLIOGRAFICA Non esiste alcuna raccolta delle opere
filosofiche di Windelband, né esse sono
state ristampate in epoca recente. Si dispone invece di ristampe aggiornate dei manuali di storia della
filosofia: il Lehrbuch der Geschichte
der Philosophie (completato da H. Heimsoeth fin dalla 13? ed., del
1935), è stato ancora pubblicato dalla
casa editrice Mohr, Tiibingen, 1957!, e
così pure la Geschichte der abendlindischen Philosophie im Altertum (a cura A. Goedeckenmeyer), Miinchen,
1963. Limitata è anche la letteratura
critica sulla filosofia di Windelband,
spesso considerata insieme con quella di Rickert. Tra gli studi in
propo- sito segnaliamo i più importanti: H. Ricxert, Wilhelm Windelband, Tiibingen,
1915. A. Ruce, Wilhelm Windelband, « Zeitschrift fir
Philosophie und philo- sophische Kritik
», CLXII, 1916-17, pp. 54-71 e 188-221.
K. WieperHoLt, Wertbegriff und Wertphilosophie, « Erginzungshefte » alle « Kantstudien », Berlin, 1920. B. W. ScHescHicHs, Die Kategorienlehre der
Badischen philosophischen Schule,
Berlin, 1938. B. JarowenKgo, Wilhelm Windelband: ein Nachruf, Prag,
1941. C. Rosso, Figure e dottrine
della filosofia dei valori, Torino, 1949, e Na- poli, 1973 ?, cap. V. CHE COS’È
LA FILOSOFIA? (CONCETTO E STORIA DELLA FILOSOFIA)* I nomi hanno un loro destino
— di rado, però, strano come quello del termine « filosofia ». Se ci rivolgiamo
alla sto- ria chiedendo che cosa propriamente sia la filosofia, e ci guar- diamo intorno tra quelli che sono stati
definiti, e ancora vengo- no definiti, «
filosofi », per sapere come concepiscono ciò che hanno fatto e fanno, ne otteniamo risposte
così diverse e diver- genti tra loro che
sarebbe un'impresa disperata voler ricondurre
questa variopinta e cangiante molteplicità a un’espressione sem- plice, e costringere la pienezza di tali
mutevoli fenomeni sotto un concetto
unitario ". Certamente un
tentativo di questo genere è stato compiuto
abbastanza spesso dagli storici della filosofia. Si è voluto pre- scindere dalle particolari determinazioni di
contenuto con cui ogni filosofo è solito
porre — già nell’esposizione del compito
che si prefigge — la quintessenza dei punti di vista che ha acquisito. Si pensava di poter così pervenire
a una definizione puramente formale,
indipendente sia dal mutare delle intuizio-
ni temporali e nazionali, sia dall’unilateralità delle convinzioni personali, e quindi adatta a comprendere
tutto quanto è stato chiamato «
filosofia ». Ma sia che s’intenda designare la filoso- a. Sulle definizioni della filosofia si
veda più particolarmente W. Win-
DELBAND, Lehrbuch der Geschichte der Philosophie, Tibingen und
Leipzig, 4° ed. 1907, $$ 1€2. * Was ist Philosophie? Uber Begriff und Geschichte der
Philosophie (1882), in Pràludien,
Freiburg i.B. und Tibingen, Akademische Verlag von ]. C. B. Mohr, 1884,
Pp. 1-53 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 272 WILHELM WINDELBAND fia come saggezza, o come scienza dei
princìpi, o come dottri- na
dell’assoluto, o come auto-conoscenza dello spirito umano, o in qualsiasi altra maniera, la definizione
rimarrà pur sempre troppo ampia o troppo
ristretta: sempre ci saranno formazioni
storiche che, indicate col nome di filosofia, non si lasceranno subordinare all’una o all’altra di quelle
determinazioni for- mali. Sarebbe inutile ripetere cose spesso dette ed esibire
le istan- ze negative (che è facile far emergere dalla storia) contro simi- li
tentativi. Vale invece la pena indagare con un po’ più di precisione i motivi
di questo fenomeno. È noto che, per ottene- re una definizione valida, la
logica pretende l’indicazione del
concetto di genere prossimo superiore e dell’attributo specifico: entrambe le esigenze non possono però venir
soddisfatte in questo caso. Anzitutto si affermerà subito che il
concetto superiore nel quale rientra la
filosofia è quello di scienza. Sarebbe un’obiezio- ne ben debole dire che nel nostro caso la
specie coincide talora completamente col
genere: così per esempio alle origini del
pensiero greco, dove appunto ancora non c’è che una scienza indivisa, o più tardi, in certi periodi,
quando la tendenza uni- versalistica di
un Descartes o di uno Hegel riconosce le altre
«scienze » soltanto nella misura in cui si lasciano ridurre a parti della filosofia. Ciò dimostra soltanto
che il rapporto tra questa specie e il
genere non è costante; ma lascia inalterato il
carattere della filosofia come scienza. Tantomeno sarebbe possi- bile confutare la subordinazione della
filosofia al concetto di scienza con la
dimostrazione che nella maggior parte delle
dottrine filosofiche sono sempre presenti elementi e procedimen- ti non scientifici. Anche quest’obiezione
dimostrerebbe solo quanto poco la
filosofia reale abbia finora assolto il suo compi- to. Del .resto la storia delle altre
«scienze» offre fenomeni paralleli a
questo, come l’epoca fabulatoria della storia, la fan- ciullezza alchimistica della chimica o il
fanatico periodo astrolo- gico
dell'astronomia. Nonostante ogni imperfezione, quindi, la filosofia meriterebbe la qualifica di scienza
a patto di poter stabilire che tutto
quanto si definisce come filosofia vuole essere
scienza, e può anche — con una corretta esecuzione — esserlo. Ma non accade così. Una simile subordinazione
sarebbe già pro- WILHELM WINDELBAND
273 blematica se si mostrasse — ed è
possibile, anzi è stato mo- strato — che
i compiti che i filosofi si sono imposti non soltan- to occasionalmente, ma che hanno indicato
come loro autentico fine, mai e poi mai
possono essere risolti per via di conoscenza
scientifica. Se la dimostrazione — introdotta per la prima volta da Kant, e da allora ripetuta in mille
varianti — dell’impossibi- lità di una
fondazione scientifica della metafisica è giusta, tut- te le «filosofie » di tendenza essenzialmente
metafisica escono dall’ambito della «
scienza »; e ciò colpisce seriamente non feno-
meni subordinati, ma proprio quelle vette della storia della filo- sofia
i cui nomi sono sulla bocca di tutti. I loro « poemi concet- tuali » non
possono quindi venir sussunti sotto il concetto di scienza in senso oggettivo,
ma soltanto in senso soggettivo: essi si proponevano di compiere, e credevano
di aver compiuto scientificamente ciò che non si può affatto compiere
scientifica- mente. Ma neppure è
possibile trovare tra i rappresentanti
della filosofia l'universalità di questa pretesa soggettiva, che cioè la filosofia debba essere scienza. Per
non pochi tra di essi, intanto,
l'elemento scientifico vale al massimo come mezzo, più o meno inevitabile, per lo scopo vero e
proprio della filosofia. Chi vede in quest’ultima un’arte della vita — come i
filosofi dell’epoca ellenistica e romana — non cerca più il sapere per il
sapere, come invece conviene a una scienza. Se poi al sapere scientifico si
chiede soltanto un prestito, è del tutto indifferen- te dal punto di vista
della scientificità che lo si faccia per scopi
politici, tecnici, morali, religiosi o di qualsiasi altro tipo. An- che tra quelli che intendono la filosofia
come conoscenza, molti sono chiaramente
consapevoli che non possono acquisire tale co-
noscenza mediante la ricerca scientifica: senza pensare ai mistici (per i quali tutta la filosofia è
illuminazione), quanto spesso si ripete
nella storia la confessione che le radici ultime di una convinzione filosofica non devono essere
ricercate in un procedi- mento dimostrativo
di tipo scientifico! Come ancoraggio a cui
la filosofia deve tenersi stretta, sopra le onde del movimento scientifico, viene indicata a volte la
coscienza con i suoi postula- ti, a
volte la ragione come percezione di un’insondabile profon- dità vitale, talora l’arte come organo della
filosofia, talora una comprensione di
tipo geniale, un’« intuizione » originaria, talo- ra una rivelazione divina: Schopenhauer,
l’uomo in cui molti 18. STORICISMO
TEDESCO. 274 WILHELM WINDELBAND contemporanei onorano il filosofo par
excellence, confessa più volte che la
sua dottrina non è stata acquisita, né può essere dimostrata, mediante un lavoro metodico, ma
prende forma soltanto davanti allo
«sguardo» d'insieme che solo riesce a
dare un’interpretazione complessiva ai risultati conoscitivi del- la scienza.
La filosofia è quindi ben lungi dal poter essere semplicemen- te subordinata al concetto di scienza, come
spesso ci si immagi- na, sviati da
tendenze posteriori e definizioni consuete. Certa- mente il singolo può ben costruirsi un concetto
di filosofia che consenta tale
subordinazione: ciò è accaduto, accadrà sempre, e noi stessi vogliamo tentarlo. Ma quando si
considera la filosofia come una
formazione storica reale, quando si confronta tutto quanto è stato indicato come filosofia nei
movimenti spirituali dei popoli europei,
una sussunzione del genere non è consenti- ta. La consapevolezza di questo
fatto si manifesta in varie forme. Nella storia della filosofia essa assume la
forma per cui, di tempo in tempo, riappaiono aspirazioni a «elevare a scien-
za», finalmente, la filosofia. A ciò si connette il fatto che, anche laddove vi
sia sempre conflitto tra indirizzi filosofici,
ognuno di essi mostra la tendenza a pretendere per sé solo il carattere della scientificità, negandolo alla
prospettiva avversa. La distinzione tra
filosofia scientifica e filosofia non scientifica è un'espressione di battaglia di cui da
sempre ci si compiace. Platone e
Aristotele hanno contrapposto la loro filosofia, in quanto scienza (èriotiUn), alla Sofistica
come opinione (865x) ascientifica e
piena di pregiudizi; e con un capovolgimento che si potrebbe quasi dire uno scherzo della
storia, oggi i rinnovatori positivistici
e relativistici della Sofistica tentano di contrapporre la loro dottrina, in quanto filosofia «
scientifica », a quelli che ancora
accreditano la grande conquista della scienza greca. Tra chi sta al di fuori della mischia, non
considerano scienza la filosofia coloro
che nella sua storia non vedono altro che la
«storia degli errori umani ». Infine colui al quale la superficia- le presunzione del moderno enciclopedismo non
ha ancora fatto perdere il rispetto per
la storia, chi sta ancora pieno di stupore
di fronte alle grandi formazioni concettuali della filosofia, do- vrà diventare consapevole che non è sempre il
significato scien- tifico della
filosofia ciò a cui rende il suo tributo, bensì qui WILHELM WINDELBAND 275 l'energia di una più nobile intuizione della
vita, là l’artistica armonizzazione di
idee contrastanti — qui l'ampiezza di rap-
presentazioni di portata universale, là Ia forza ordinatrice del lavoro combinatorio del pensiero. In realtà i fatti storici esigono di
prendere le distanze da una
subordinazione così incondizionata della filosofia al concet- to di scienza, quale viene quasi ovunque
ammessa. L’aperto sguardo dello storico
sarà piuttosto costretto a vedere in es-
sa un fenomeno culturale ramificato e proteiforme che non si lascia schematizzare o rubricare con
semplicità. Egli compren- derà che con
quella usuale sussunzione si fa torto alla scienza non meno che alla filosofia: alla filosofia
in quanto si costringe in un ambito
troppo stretto la sua aspirazione verso un ambito sempre più vasto, e alla scienza in quanto la
si rende così responsabile di tutto
quanto confluisce da molte altre fonti
nella filosofia. Anche ammesso
che si possa sussumere il fenomeno storico
della filosofia sotto il concetto di scienza e attribuire tutto quan- to
vi si oppone all’imperfezione delle singole filosofie, sorge la questione non
meno ardua di come si debba distinguere, all’in- terno di questo genere, la
filosofia, in quanto specie particola- re, dalle altre scienze. Anche a questa
seconda questione la storia — e soltanto di questa stiamo in definitiva parlando
— non dà nessuna risposta universalmente
valida. Le scienze pos- sono
distinguersi in parte secondo i loro oggetti, in parte secon- do i loro metodi; ma in nessuna di queste due
prospettive è possibile rintracciare un
segno distintivo permanente per tutte le
manifestazioni storiche della filosofia.
Per quanto riguarda gli oggetti, accanto a sistemi filosofici che fanno oggetto della loro indagine tutto
quanto esiste o perfino tutto quanto «è
possibile», ve ne sono altri, altret-
tanto significativi, che delimitano strettamente il loro campo d'indagine, per esempio ai « fondamenti
ultimi» dell’essere e del pensiero, o
alla dottrina dello spirito, o alla teoria della scienza, e così via. Interi campi del sapere
che per l’uno sono, se non l’unico,
almeno il terreno principale dell’elaborazione
filosofica, vengono invece dall’altro espressamente esclusi dal dominio della filosofia. Vi sono sistemi che
non vogliono esser altro che etica; ve
ne sono altri che, delimitando la filosofia
276 WILITELM WINDELBAND alla
teoria della conoscenza, si propongono di lasciare l’indagi- ne dei problemi morali ed estetici alla
storia dell’evoluzione psicologica e
biologica. Vi sono sistemi in cui la filosofia viene totalmente risolta in psicologia; ve ne sono
altri che tracciano uno scrupoloso
confine rispetto alla psicologia, considerata co- me una scienza empirica. Di molti « filosofi
» presocratici non conosciamo che alcune
osservazioni e teorie, che al giorno d’og-
gi releghiamo nella fisica, nell’astronomia, nella metereologia ecc., ma che nessuno designerebbe mai come
filosofiche: nei sistemi successivi
compare talora come elemento integrante
una propria visione della natura: talora, invece, vien fatta una rinuncia di principio ad essa. In ogni
filosofia del Medioevo il centro di
gravità dell'interesse sta in problemi che sono oggi oggetto della teologia; lo sviluppo della
filosofia moderna allon- tana sempre più
da sé, di secolo in secolo, tali questioni. I
problemi del diritto o dell’arte rappresentano qui gli oggetti più importanti della filosofia; là si negava
invece la possibilità di una loro
trattazione filosofica. Tutta l’antichità, e anche la maggior parte dei sistemi metafisici
anteriori a Kant, non ha avuto sentore
di una filosofia della storia: oggi essa è diventa- ta una delle discipline più importanti. Da questa diversità degli oggetti della
filosofia risulta ora per lo storico una difficoltà non irrilevante, e finora
quasi mai trattata in linea di principio®: con quale estensione e in quali
limiti, cioè, egli debba assumere nella storia della filosofia le dottrine e i
punti di vista formulati da un filosofo, prescinden- do dal significato biografico
che possono avere per la caratteriz-
zazione della sua personalità. Qui sembrano aprirsi soltanto due vie pienamente coerenti: o si segue la
storia in tutte le stranezze delle sue
denominazioni e si lascia che l'esposizione
storica vaghi, allo stesso modo dell’interesse « filosofico», da un oggetto all’altro, oppure si pone a
fondamento una determi- nata definizione
della filosofia e in base ad essa si compie la
scelta e la distinzione delle singole dottrine. Nel primo caso si paga l’« oggettività storica » con una
molteplicità sconcertante e a. Cfr. il
mio saggio Geschichte der Philosophie, in Die Philosophie im Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts
(Festschrift fiv Kuno Fischer), Hei-
delberg, 1904-5, vol. II, p. 190 sgg.
WILHELM WINDELBAND 277 con la
mancanza di connessione tra gli oggetti; nel secondo caso l’unitarietà e la
capacità di penetrazione così acquisite poggiano sull’unilateralità con cui si
impone come schema un presupposto, determinato personalmente, nel movimento
stori- co. La maggior parte degli storici della filosofia hanno im- boccato,
senza rendersene conto (o anche senza poterlo fare), una via di mezzo, sviluppando le teorie di
quei filosofi che si addentrano nel
dettaglio delle scienze particolari soltanto nella loro connessione di principio con il
complesso della dottrina e rinunciando
in misura maggiore o minore (secondo l'estensione del loro lavoro) a riprodurre la
realizzazione specifica. Siccome non
esiste per questo un criterio determinato, e nemmeno può esistere in una maniera che possegga una
validità universale di per sé evidente,
al posto di esso sono subentrati per lo più
l’arbitrio dell’interesse personale o l’accidentalità di una certa sensibilità.
Di fatto, per il modo con cui si configurano i rapporti storici, questa difficoltà non può essere
superata in linea di principio; essa
viene rammentata qui soltanto come conseguen-
za necessaria del fatto che non è possibile stabilire in modo universalmente valido l’oggetto della
filosofia in base alla com- parazione
storica. La storia dimostra piuttosto che nell’ambito in cui si può indirizzare la conoscenza non
vi è nulla che non sia già stato incluso
una volta nella filosofia, e così pure nulla
che non ne sia stato una volta escluso.
Tanto più comprensibile appare allora la tendenza a cercare il carattere specifico della filosofia non
già nell'oggetto ma nel metodo, e a
ritenere che la filosofia tratti bensì gli stessi og- getti delle altre scienze, ma con un metodo
suo proprio: di qui il fatto che essa respinge da sé determinati oggetti
inaccessibili al suo metodo, mentre deve esercitare una pretesa permanente di
possesso su altri, particolarmente appropriati al suo modo di procedere. Un
tentativo di tal genere — compiuto su larga scala da Wolff, che per ogni gruppo
di oggetti della conoscen- za
scientifica accostava una disciplina filosofica a una disci- plina « storica » (come si diceva allora:
oggi si direbbe « empiri- ca») — può
essere teoricamente formulato molto bene come
progetto. Ma anch'esso non basta a una determinazione storica del concetto di filosofia — per il semplice
motivo che anche tra 278 WILHELM
WINDELBAND i filosofi che assumono per
la loro scienza un metodo particola- re
(e sono una piccola parte) non c'è il minimo accordo riguar- do a questo « metodo filosofico ». Non è
quindi possibile parla re con validità
storica universale di un particolare modo di
trattazione scientifica il cui impiego costituisca l'essenza della filosofia, né si può sostenere che tale
essenza possa trovarsi nell’aspirazione,
anche incompiuta, a questo metodo. Giacché
da un lato tutti quelli secondo cui la filosofia oltrepassa il lavoro scientifico non vogliono,
conseguentemente, saperne di un metodo filosofico;
d’altra parte proprio coloro che vogliono
«elevare a scienza » la filosofia cedono molto spesso al deside- rio di comprimerla entro metodi di altre
scienze sperimentati in campi
particolari, per esempio entro i metodi della matema- tica o dello studio induttivo della natura.
Infine, laddove si è imposto un metodo
specifico della filosofia, quanto esso è lonta-
no dall’essere universalmente riconosciuto! Il metodo dialettico della filosofia tedesca appare ai più un
capriccio stravagante e stupido; e se
Kant credeva di aver stabilito per la filosofia il metodo «critico », gli storici non si sono
messi ancor oggi d’accordo su ciò che
voleva dire. Queste osservazioni
potrebbero essere tirate in lungo con
un'infinità di esempi. Ma per quanto riguarda il significato logico inerente a un'istanza negativa, anche
quando essa abbia un'estensione minima,
i casi qui menzionati bastano a dimostra-
re che è impossibile — qualunque sia la via imboccata — trova- re mediante l’induzione storica un concetto
universale di filoso- fia che comprenda
se non altro tutti i fenomeni storici che
vengono chiamati «filosofia». Se non è possibile sussumere senza residui la filosofia sotto il concetto
generico di scienza, tanto meno è
possibile farlo rispetto ad altri concetti generici di attività culturali come l’arte o la
poesia: bisogna perciò rinunciare alla
possibilità di trovare per via storica il concetto superiore prossimo comprensivo della
filosofia. Nessuno mette- rà in dubbio che ogni filosofia è un prodotto
spirituale, una formazione della rappresentazione; ma nessuno vorrà conside-
rarlo come un punto di vista in qualche modo utilizzabile. Sembra che ai
filosofi accada come a tutti gli individui umani che si chiamano Paolo, e nei
quali non è assolutamente possibi- le
indicare un segno comune ir virtà del quale essi recano WILHELM WINDELBAND 279 tutti questo nome. Ogni denominazione si
fonda sull’arbitrio storico e può quindi
rimanere più o meno indipendente e di-
stante dall’essenza di ciò che deve denominare: così sembra valere, se si considera l’intero corso
temporale, anche per il termine «
filosofia », poiché la comunanza della parola non cor- risponde a un’unitarietà dell'essenza da
determinare concettual- mente. Se ci si
limita a brevi periodi e a singoli ambiti cultura- li, si potrà forse trovare al loro interno un
significato costante connesso col nome
di filosofia: ma esso cessa di valere non
appena si segue il termine nella sua applicazione attraverso tutta la storia. Certamente, questo risultato della
considerazione storica ap- pare quanto
mai preoccupante: se esso rimanesse privo di inte- grazione, una storia universale della
filosofia risulterebbe priva di senso.
Avrebbe, appunto, lo stesso valore — per tornare al paragone di prima — del tentativo di scrivere
la storia di tutti gli uomini che si
chiamano Paolo. È chiaro allora che proprio
a quei « pensatori autonomi » che hanno costruito un loro con- cetto di filosofia rigidamente determinato,
come Kant e Her- bart, la consueta
storia della filosofia — che doveva offrire loro elementi così poco affini — è rimasta
estranea e antipatica, mentre le epoche
di eclettismo (che non sanno mai che cosa si
debba propriamente denominare filosofia) sono state anche quel- le in cui più si è occupati storicamente di
filosofia. Se però la riflessione
storica deve mantenere un senso razionale, essa presup- pone (anche se non è in grado di mostrare un
concetto universa- le di filosofia) che
il mutamento sperimentato nel corso dei
secoli dal termine « filosofia» non significhi mero arbitrio e accidentalità, ma anzi abbia un senso
razionale e un valore specifico. Se
nonostante le stranezze delle digressioni individua- li la storia del termine « filosofia » è
l’espressione di uno svilup- po
profondamente significativo nella connessione della vita cul- turale dell'umanità europea, allora la storia
di questo e dei fenomeni particolari in
esso compresi acquisisce un senso auto-
nomo e fornito di valore non già malgrado, ma proprio in virtù di questo mutamento di
significato. Del resto le cose non
stanno, di fatto, diversamente; e solo quando si è chiarita la storia del
termine « filosofia » si è an- che in grado di determinare ciò che nel futuro,
aspirando a 280 WILHELM WINDELBAND una validità più che individuale, possa
essere legittimato a por- tare questo nome. Dobbiamo ai Greci sia il termine
sia il primo significato di qriocepla.
Divenuto denominazione tecnica — pare — ai tem-
pi di Platone, il termine significa esattamente ciò che oggi noi Tedeschi designamo col termine « scienza
»* che, per fortu- na, è molto più
comprensiva di quanto non lo sia la science
dei Francesi e degli Inglesi. È il nome che assume un bambino appena nato. Saggezza, che si tramanda di
generazione in gene- razione nella forma
di antichissime narrazioni mitiche; dottri-
na morale, espressione riflessa dell'anima popolare; intelligen- za pratica che, accostando esperienza a
esperienza, agevola alla nuova
generazione il cammino della vita; conoscenze pratiche acquisite nella lotta per l’esistenza in
singoli compiti e nella loro soluzione,
e accumulate col trascorrere dei tempi in un
potere e in un sapere imponente — tutto ciò è esistito da sempre in tutti i tempi. Ma la «curiosità»
dello spirito di cultura liberato dalla
necessità della vita, che nella nobiltà del-
l’ozio comincia a indagare per possedere il sapere soltanto di per se stesso, senza alcun scopo pratico,
senza guardare all’edifi- cazione
religiosa o alla nobilitazione morale, per trovare godi- mento in esso come valore assoluto e
completamente indipen- dente — questo
puro impulso al sapere è stato sviluppato per
la prima volta dai Greci, che sono così diventati i creatori della scienza. Analogamente all’«impulso al
gioco », essi han- o no tratto fuori
dagli intrecci delle rappresentazioni mitiche, a. Non bisognerebbe mai
dimenticare che nelle traduzioni sorgono pa- recchi fraintendimenti quando si
rende piXogopfa con « filosofia », incor- rendo così nel pericolo che il
lettore moderno intenda il termine nel sen- so attuale, assai più ristretto.
Basterà un esempio tra i molti. Un noto pas-
so di Platone viene facilmente tradotto nel modo seguente: « La
sventura dell'umanità non avrà termine
finché i governanti non filosoferanno o i
filosofi non governeranno, ossia finché potere politico e filosofia non
coin- cideranno ». È comodo sorridere sc
per « filosofia » si pensa alle fantasti-
cherie metafisiche e per « filosofi » ai professori sprovvisti di senso
pratico e ai dotti solitari! Ma si
traduca correttamente; e quando allora si trova
che Platone non ha preteso altro se non che il governo stia nelle mani
della cultura scientifica, si vedrà
forse come egli abbia profeticamente precorso,
con quella massima, lo sviluppo della vita europea. WILHELM WINDELBAND 281 dalla dipendenza a bisogni etici e
quotidiani l'impulso al sape- re,
trasformando così la scienza, al pari dell’arte, in organi autonomi della vita
culturale. Nella nebulosità fantastica della natura orientale gli esordi
dell’impulso artistico e scientifico si rdono nel tessuto di una vita
complessiva indistinta: i Greci, come guide dell’occidentalismo, cominciano a
distinguere l’indi- stinto, a differenziare quanto è ancora embrionalmente non
di- spiegato e a introdurre, per le
supreme attività dell’uomo civi- le, la
divisione del lavoro. La storia della filosofia greca è così la storia della nascita della scienza: tale è
il suo senso più profondo e il suo
significato intramontabile. Lentamente l’im-
pulso scientifico si svincola dai fondamenti generali in cui è originariamente incapsulato; allora esso si
comprende, si espri- me con fierezza e
petulanza e infine giunge a compimento
producendo, in completa chiarezza e in tutta la sua estensione, il concetto di scienza. Dalla ricerca di
Talete! sul fondamento primo delle cose
fino alla logica di Aristotele, è tutto un gran- de sviluppo tipico il cui tema è la
scienza. Questa scienza si indirizza
perciò a tutto quanto può diven- tare
oggetto del sapere, o sembra poterlo diventare: abbraccia il Tutto, l’intero mondo della
rappresentazione. Ciò che l’im- pulso al
sapere divenuto autonomo trova davanti a sé come mate- riale per la propria attività nei racconti
mitici del passa- to, nelle regole di
vita dei saggi e dei poeti, nelle conoscenze
pratiche di un popolo di commercianti impegnato in svariate attività — tutto ciò è ancora così poca cosa
che può essere agevolmente riunito in
una sola testa ed elaborato con pochi
concetti fondamentali. Così, in Grecia la filosofia è scienza unica e indivisa. Ma il processo di differenziazione già
avviato deve necessa- riamente
procedere. Il materiale cresce, e di fronte allo spirito conoscente e ordinatore si articola in
diversi gruppi di oggetti, che appunto
perciò esigono una trattazione differenziata. La filosofia comincia a dividersi: le singole «
filosofie » si separa- no e ognuna di
esse pretende ora per sé sola il lavoro di una
vita di un ricercatore. Lo spirito greco entra nell'età delle
scien- 1. Talete di Mileto, filosofo
ionico vissuto tra il secolo vil e il secolo vi a. C., è tradizionalmente considerato il punto di
partenza della speculazione filosofica greca.
282 WILHELM WINDELBAND ze
specialistiche. Se ora ogni disciplina assume il nome del proprio oggetto, dove
rimane il nome di filosofia? In un primo tempo esso si lega all’universale. Il
possente spirito sistematizzatore di Aristotele, in cui quel processo di
differenziazione ha trovato il suo compimento, creò tra le altre anche una
filosofia «prima », cioè una scienza fondamentale che — detta anche, più tardi, metafisica —
trattava della connes- sione suprema e
ultima di tutte le conoscenze. Qui tutti i con-
cetti prodotti nei singoli compiti della scienza si unificavano in un quadro complessivo dell’universo, e per
questa suprema fun- zione
onnicomprensiva fu quindi mantenuto il nome originario della scienza complessiva. Soltanto che, nello stesso tempo, comparve
un altro elemen- to che aveva la sua
base non in un movimento puramente
scientifico, ma in un movimento culturale generale. Quella divi- sione del lavoro scientifico avvenne
nell'epoca di decadenza della Grecità.
Alle culture nazionali subentrò una cultura uni- versale in cui la scienza greca costituiva sì
un vincolo essenzia- le, ma retrocedeva
rispetto ad altre esigenze, oppure si poneva
al loro servizio. Dalla Grecità si passò all’Ellenismo,
dall’Elleni- smo all’Impero romano. Si
andava istituendo un enorme mecca- nismo
sociale, che divorava la vita nazionale con i suoi in- teressi particolari, che contrapponeva
l’individuo, come atomo effimero, a una
totalità impenetrabile ed estranea, che con l’acu- rizzarsi della lotta sociale costringeva
infine il singolo a render- si il più
possibile indipendente, e a preservare per sé il massimo di felicità e di serenità, sottraendolo al
grande strepito, nella quiete dell’esistenza
individuale. Dove i destini del mondo ester-
no passavano annientando interi popoli e potenti imperi, la felicità e il godimento sembravano rifugiarsi
nell’interiorità del- la persona, e così
per tutti i migliori la questione della giusta
direzione da dare alla vita personale divenne la più importante e scottante. Di fronte alla vivacità di
questo interesse si indebo- liva il puro
impulso al sapere: la scienza veniva ancora apprez- zata soltanto nella misura in cui poteva
servire a questo interes- se, e quella «
filosofia prima » sembrava offrire la sua immagi- ne scientifica del mondo solo allo scopo di
comprendere quale posizione spetta
all’uomo nella connessione universale, e come
egli possa di conseguenza indirizzare la propria vita. L’esem- WILHELM WINDELBAND 283 pio tipico di questo
movimento lo vediamo nello Stoicismo. La subordinazione del sapere alla vita è
il carattere universale del- l’epoca: per essa la filosofia è quindi arte di
vivere ed esercizio di virtù. La scienza non è più uno scopo in sé; essa è il
più nobile strumento di felicità. Il nuovo organo dello spirito uma- no sviluppato dai Greci entra in uno stato di
dipendenza desti- nato a durare a
lungo. Col trascorrere dei secoli esso
cambia padrone. Mentre le scienze
particolari entrano al servizio dei singoli bisogni sociali — tecnica, insegnamento, medicina,
legislazione ecc. — la filo- sofia è
anzitutto quella scienza complessiva che deve insegnare come l’uomo possa diventare al tempo stesso
virtuoso e felice. Ma quanto più il
mondo perdura in questa situazione, quanto
più una sfrenata ricerca del godimento e la mancanza di con- vinzione invadono la società, tanto più si
frantuma l’orgoglio della virtù, tanto
più il desiderio di felicità dell'individuo appa- re privo di prospettive. Con tutto il suo
splendore e con tutto il suo desiderio
di piacere il mondo esterno si spopola, e sempre più l’ideale si sposta dalla regione mondana
in una regione trascendente, più alta,
più pura. L'idea etica si trasforma in
idea religiosa, e ora «filosofia» significa conoscenza di Dio. L’intero apparato della scienza greca, il suo
schema logico, il suo sistema di
concetti metafisici sembra ora destinato soltanto a fornire un’espressione conoscitiva adeguata
all’aspirazione reli- giosa e a una
convinzione piena di fede. Nella teosofia e nella teurgia che si trasmettono dagli agonizzanti
secoli di transizio- ne alla mistica del
Medioevo questo nuovo carattere della « filo-
sofia» emerge non meno di quanto emerga nel duro lavoro concettuale con cui tre grandi religioni
tentarono di assimilare a sé la scienza
greca. In questa forma, come ancella della fede, la filosofia si manifesta nei lunghi e
difficili secoli di apprendi- stato dei
popoli germanici: l'impulso al sapere sì è fuso nell’im- pulso religioso e non
ha, accanto ad esso, un suo autonomo diritto. La filosofia è il tentativo di
sviluppo scientifico e di fondazione delle convinzioni religiose.
Nell’emancipazione dal dominio esclusivo della coscienza re- ligiosa risiedono
le radici del pensiero moderno, che affondano
profondamente nel cosiddetto Medioevo. Anche l'impulso al sapere si rifà libero, riconosce e afferma il
proprio valore specifi- 284 WILHELM
WINDELBAND co. Mentre le scienze
specialistiche seguono, con compiti e me-
todi in parte nuovi, la loro strada, la filosofia ritrova negli ideali della Grecia il puro sapere fine a se
stesso. Essa si scrolla di dosso la
finalità etica e religiosa diventando di nuovo la scienza complessiva della totalità del mondo,
di cui vuole acqui- sire la conoscenza
per proprio conto e per se stessa, senza
appoggio estraneo. La « filosofia » diventa metafisica in senso stretto,
sia che riproduca i sistemi dei grandi filosofi Greci, sia che intenda
poetizzare in una combinazione fantastica le nuove intuizioni offerte dalle
scoperte dell’epoca, sia che vada alla rigorosa scuola di una matematica
fornita di antica dignità eppure ancor giovane, sia che voglia cautamente
costituirsi con le conoscenze della
nuova indagine della natura. In tutti i casi
essa vuole fornire, indipendentemente dal conflitto delle opinio- ni religiose, una conoscenza autonoma del
mondo fondata sulla «ragione naturale »,
e si contrappone così alla fede in qualità
di «sapienza mondana ». Ma
accanto a questo interesse metafisico ne compare fin dall'inizio un altro, che prende gradualmente
il sopravvento. Sorta in opposizione
alla scienza tutelata dalla Chiesa, questa
nuova filosofia deve anzitutto mostrare come intenda produrre il suo nuovo sapere. Essa procede da indagini
sull’essenza della scienza, sul processo
del conoscere, sull’adattamento del
pensiero ai suoi oggetti. Se questa tendenza è inizialmente me- todologica, assume però sempre di più il
carattere di teoria della conoscenza.
Non indaga più soltanto sulle vie, ma sui
limiti della conoscenza. E proprio l’antitesi, che ora si ripete e si approfondisce, tra i sistemi metafisici
suscita la questione se sia in generale
possibile la metafisica, cioè se la filosofia abbia un proprio oggetto, se abbia diritto a
esistere accanto alle scien- ze
particolari. E alla questione si dà
risposta negativa! Il secolo che nella
sua suprema fiducia nel sapere pensava di padroneggiare la storia con la sua filosofia — il secolo xvi —
è quello che riconosce e confessa che la
forza conoscitiva dell’uomo non basta
per abbracciare la totalità del mondo e per penetrare i fondamenti ultimi delle cose. Non esiste
metafisica: la filosofia ha distrutto se
stessa. Che cosa può ancora significare il suo
vuoto nome? Tutti i singoli oggetti sono divisi tra le scienze WILHELM WINDELBAND 285 particolari; la filosofia è come il poeta,
giunto troppo tardi alla spartizione del
mondo. Infatti l’attività di ricucitura dei risulta- ti ultimi delle scienze specialistiche è ben
lungi dal costituire la scienza
dell’universo: essa è compito di una diligente compila- zione o di una combinazione artistica, non
della scienza. La filosofia è come il re Lear, che ha suddiviso tutto il suo
tra i figli e ora è costretto a subire di farsi gettare sulla strada come un
mendicante. Però dove massimo è il pericolo, l’aiuto è vicinissimo. Se è stato
possibile dimostrare che la filosofia che voleva essere meta- fisica è
impossibile, con queste indagini è sorto un nuovo ramo del sapere, il quale ha bisogno di un nome.
Anche se tutti gli altri oggetti sono
stati divisi senza residuo tra le scienze speciali- stiche e si è dovuto definitivamente
rinunciare a una scienza dell’intuizione
del mondo, quelle stesse scienze sono però un
“- forse uno dei più significativi, e pretendono di essere oggetto di una scienza specifica che stia
con esse nello stesso rapporto in cui
queste stanno con le cose. Accanto alle altre
scienze compare come disciplina particolare e chiaramente de- terminata una zeoria della scienza. Se non è
una conoscenza del mondo che riunisce
tutti gli altri punti di vista, ora è però
l’auto-conoscenza della scienza, l'indagine centrale in cui tutte le altre scienze trovano la loro fondazione.
A questa « dottrina della scienza » si
trasmette il nome, divenuto privo di oggetto,
di filosofia: essa non è più la dottrina della totalità del mondo o della condotta della vita, ma è la dottrina
del sapere — non è più una metafisica
delle cose, ma è una « metafisica del sapere ». Se si fa attenzione al mutamento che si è
così compiuto attraverso due millenni
nel significato del termine, appare chia-
ro che la filosofia — anche se non è mai stata completamente scienza e, quando pur voleva essere scienza,
non si è costante- mente rivolta al
medesimo oggetto — si è tuttavia mantenuta
in una determinata relazione con la conoscenza scientifica; e che — questa è la cosa più importante — il
mutare di tale relazione dipende dal
cambiamento di valutazione, avvenuto
nello sviluppo della cultura europea, nei riguardi della cono- scenza scientifica. La storia del termine
filosofia è la storia del significato
culturale della scienza. Non appena il pensiero scien- tifico si rende autonomo come impulso del
conoscere in vista 286 WILHELM
WINDELBAND soltanto del sapere, esso
assume il nome di filosofia; quando poi
la scienza unitaria si divide nei suoi rami, la filosofia diven- ta conoscenza del mondo connettiva,
conclusiva, universale. Non appena poi
il pensiero scientifico viene di nuovo ridotto a strumento della riflessione
etica e della contemplazione religio- sa, la filosofia si trasforma in arte di
vita o in formulazione di convinzioni religiose. Quando la vita scientifica
ridiventa libe- ra, anche la filosofia ritrova il carattere di conoscenza
autono- ma del mondo, e quando comincia a rinunciare alla soluzione di questo compito si trasforma in una teoria
della scienza. All’inizio scienza
complessiva e indifferenziata, nella diffe-
renziazione delle scienze particolari la filosofia diventa in par- te quell’organo che connette le operazioni di
tutte le altre scienze in conoscenza
complessiva, in parte uno strumento al
servizio di una condotta di vita etica o religiosa, in parte in- fine l'organo nervoso centrale in cui deve
pervenire alla coscien- za il processo
vitale degli altri organi. Dapprima identica con la scienza, la filosofia è in seguito il
risultato di tutte le scienze
particolari o la dottrina di ciò in vista di cui la scienza esiste, o infine la teoria della scienza
medesima. Sempre la concezione di ciò
che vien chiamato filosofia è caratterizzante
rispetto alla posizione che la conoscenza scientifica assume nella valutazione dei beni culturali di ogni
epoca. Sia che la si consideri come un
bene assoluto oppure soltanto come un mez-
zo in vista di scopi superiori, sia che la si ritenga o no in grado di comprendere il fondamento vitale
ultimo delle cose, ciò si manifesta nel
senso che di volta in volta si collega col
termine « filosofia ». La filosofia di un'epoca è il termometro del valore che questa attribuisce alla
scienza: proprio per- ciò la filosofia
appare ora essa stessa come scienza, ora come
qualcosa che procede al di là di questa, e quando viene conside- rata come scienza, essa abbraccia la totalità
del mondo, oppure è l'indagine
sull’essenza della conoscenza scientifica. Quanto diversa è la posizione che la scienza assume
nella connessione della vita culturale,
altrettanto equivoca e multiforme è la filo-
sofia; e da ciò si comprende che dalla storia non si può ottene- re nessun concetto unitario di essa. S'intende che questo sguardo d'insieme alla
storia del termi- ne « filosofia » è una
considerazione di massima che si concen-
WILHELM WINDELBAND 287 tra
sull’interesse principale delle diverse epoche e che non vuol negare né dimenticare il fatto che le quattro
tendenze particola- ri qui distinte scorrono parallele in tutti i periodi per
ognuno dei quali è stato abbozzato uno specifico significato complessivo di
«filosofia ». Già nella filosofia greca si fanno valere certe tendenze a
trasformare la filosofia in arte di vita o in critica della conoscenza; e
d’altra parte l'ideale di una conoscenza fine
a se stessa non è mai scomparso completamente dall’orizzonte dell'umanità europea. Ma le inclinazioni dei
singoli cedono il passo al predominio
della coscienza complessiva: perciò è sol-
tanto possibile proporre una tale considerazione di massima. Quanto però gli individui procedano tuttavia
per la loro strada, risulta particolarmente
chiaro se si tiene presente che nella
nostra epoca si sono ancor sempre rinnovate quelle quattro concezioni della filosofia, dopo che erano
state messe in ombra da quella più
importante. Infatti non si è ancora
presa in esame la trasformazione più
importante che la filosofia ha subìto, ossia quella che si ricolle- ga al nome di Kant. Essa si colloca
immediatamente dopo quella quarta fase,
in cui la filosofia si è configurata come
teoria della scienza. Che cosa vuol dire teoria della scienza? Rispetto ad altri oggetti teoria vuol dire la
spiegazione di dati fenomeni in base
alle loro cause e la determinazione delle leggi
secondo cui si compiono i processi causali del gruppo di feno- meni in questione. Nel medesimo senso si
concepiva prima di Kant anche il compito
della filosofia: essa doveva comprendere
la scienza. Essa doveva cioè spiegare l'origine delle rappresenta- zioni e mostrare le leggi secondo cui esse si
trasformano in prospettive scientifiche,
in concetti generali e in relazioni tra
concetti fondate su giudizi. È del tutto evidente che, se la filosofia viene così intesa come una scienza
che deve spiegare geneticamente il
pensiero scientifico, si risolve completamente
in indagini sulle leggi di sviluppo dello spirito: essa è allora per metà psicologia individuale, per metà
storia della cultura — vale a dire
quello che i Francesi chiamano ideologia”. Essa 2. Il termine, coniato da Destutt de Tracy
negli El4ments d’idbologie (1801-4),
designa quella corrente filosofica che, richiamandosi a Condillac, ne
sviluppa l’imposta- zione gnoscologica
nel senso di un'analisi del processo di formazione delle idee, dei loro rapporti e della loro combinazione. 288 WILHELM WINDELBAND mostra in base a quali leggi generali viene
a formarsi, secondo una necessità naturale, la certezza dell’individuo e il
modo di rappresentazione dei popoli civili. Da ciò si comprende la ten- denza
psicologica che caratterizza tutte le manifestazioni signi- ficative della
filosofia nel secolo precedente Kant. Questa filoso- fia è quindi
essenzialmente un'applicazione di conoscenze psico- logiche e storiche al concetto della scienza:
essa si propone di spiegarla nello
stesso modo degli altri fatti spirituali. È però facile trovare che tale trattazione,
fondata sul proce- dimento delle altre
scienze, non soddisfa affatto lo scopo per
cui si andava alla ricerca di quella « teoria della scienza ».
Infat- ti il compito di una teoria del
genere dovrebbe appunto essere non
soltanto quello di distinguere e di descrivere, tra l’intera massa delle rappresentazioni e dei nessi
delle rappresentazioni, quelle che sono
di solito designate come scientifiche, ma di
mostrare perché proprio a queste competa un valore di verità, in modo che non solo vengano generalmente
riconosciute di fatto come scientifiche,
ma meritino di essere riconosciute come
tali. Si voleva appunto sapere da che cosa dipende il fatto che le conoscenze acquisite dalla
scienza posseggono un valore necessario
che oltrepassa la loro origine accidentale, e in quale modo la scienza debba procedere per
assicurare ai suoi risultati tale
valore. Questo problema non può essere risolto
indicando il processo conforme alle leggi naturali attraverso cui viene prodotto, negli individui o nella
specie, ciò che pretende al titolo di
scienza. Tale necessità naturale di origine psicologi- ca si ritrova infatti senza eccezione in
tutte le rappresentazioni e i rapporti
tra rappresentazioni; in essa non c'è mai un crite- rio per decidere sulla questione del valore.
Se la filosofia pre- kantiana trattava
quindi sempre il problema gnoseologico nel
senso di cercare l’origine delle rappresentazioni, e portava avan- ti il dibattito sulla questione se le nostre conoscenze
siano fon- date, per quanto riguarda la
loro origine, sull’esperienza o su
concetti innati, o su entrambi (e secondo quali rapporti tra i due termini), sul terreno di questa
impostazione psicologica il problema non
poteva mai essere deciso. Per la psicologia può
essere interessante stabilire se una rappresentazione è sorta per l'una o per l’altra via: ma per la teoria
della conoscenza la WILHELM WINDELBAND
289 questione è soltanto se le
rappresentazioni siano valide, cioè se possano essere riconosciute come vere.
La grandezza di Kant risiede proprio nel fatto che, con un lavoro intellettuale
indicibilmente arduo e complicato, si è ele- vato al di sopra dei pregiudizi
della filosofia della sua epoca fino al punto di vista secondo cui per il
valore di verità di una rappresentazione
è del tutto indifferente il processo naturale del suo pervenire alla coscienza. Il modo e la
maniera in cui, sulla base di leggi
psicologiche, perveniamo come individui, come
popoli, come genere umano alla produzione di determinate rappresentazioni e alla fede nella loro
correttezza, non deci- dono per nulla
del loro valore assoluto di verità. Il processo
naturale del corso della rappresentazione può, nell’individuo come in tutti, condurre egualmente all’errore
come alla verità; esso domina dovunque,
e perciò la sua indicazione non costitui-
sce una prova della validità di certe rappresentazioni in anti- tesi ad altre. Se in definitiva anche Kant si è visto
quindi costretto, nella sua rinuncia
alla precedente metafisica, a definire la filosofia come metafisica non delle cose ma del sapere,
per lui questa teoria della conoscenza
non era una storia dello sviluppo indivi-
duale o storico-culturale, e neppure una teoria genetico-psicolo- gica, bensì un’indagine critica. Poco importa
come, per quali motivi e secondo quali
leggi sono pervenuti alla coscienza,
nell’individuo o nel genere umano, quei giudizi per i quali si pretende una validità universale e necessaria
— la filosofia non indaga la loro
causalità, bensì la loro fondazione: essa non è
spiegazione, ma critica. Non è
qui il luogo* di approfondire con quali mezzi e in a. A. questo proposito l’autore rimanda
all’esposizione della filosofia
kantiana, condotta dal punto di vista sopra sviluppato, che è
contenuta nella sua Geschichte der
neueren Philosophie, Leipzig, 4° ed. 1907, vol. II. Per coloro che si occupano più da vicino di
questa difficile questione, ag- giungo
esplicitamente che la soluzione del problema, i suoi presupposti e il suo metodo devono essere tratti unicamente
dalla Critica della ragion pu- ra,
mentre i Prolegomeni espongono soltanto la storia della scoperta kantia- na, cioè il processo psicologico attraverso
cui egli è stato condotto alla com-
prensione di questa « verità ». Cfr. anche la mia Geschichte der
Philosophie cit., $$ 38-40. 19.
STORICISMO TEDESCO. 290 WILHELM WINDELBAND quale modo Kant abbia compiuto
questa critica, o mostrare come abbia faticosamente elaborato il nuovo
principio per sot- trarlo agli intrecci di una considerazione psicologistica.
Qui è sufficiente far risalire in piena chiarezza il concetto assolu- tamente
nuovo di filosofia che la critica kantiana ha inaugu- rato. In quanto filosofia teoretica, essa
vuol essere soltanto un’indagine sulla
legittimità con cui si attribuisce a certe rap-
presentazioni e rapporti tra rappresentazioni il carattere di una superiore necessità e validità universale,
che oltrepassano la ne- cessità
dell’origine empirica. Le rappresentazioni vanno e ven- gono; come ciò avvenga, può spiegarlo la
psicologia: la filoso- fia indaga quale
sia il valore che ad esse spetta dal punto di
vista critico della verità.
Questo principio, sviluppato dapprima per la teoria della conoscenza e nell’elaborazione del suo
compito specifico, viene da Kant esteso
con grande consequenzialità. La conoscenza
scientifica non è l’unico campo della vita psichica in cui noi distinguiamo — tra i fenomeni condizionati
per quanto ri- guarda il loro processo
causale in modo conforme a leggi na-
turali — quelli a cui si attribuisce un valore necessario e univer- salmente valido e quelli in cui ciò non
avviene. Nel campo morale assumiamo lo
stesso valore, completamente indipenden-
te dal modo di origine psicologica, per valutare la bontà o la cattiveria delle azioni, dei sentimenti e dei
caratteri; nel cam- po estetico lo
assumiamo per valutare quei sentimenti particola- ri che, senza alcun riferimento a scopi
consapevoli o a interessi di qualsiasi
specie, caratterizzano il loro oggetto come gradevo- le o sgradevole. In entrambi questi campi
spetta quindi alla filosofia il compito,
del tutto parallelo al compito della teoria
della conoscenza, di indagare la legittimità di tali pretese. An- che qui non si tratta di una quaestio facti,
ma di quaestio iuris. In questa
generalizzazione la filosofia « critica » si manifesta come la scienza delle determinazioni di
valore necessario e universalmente
validi. Essa indaga se esista una scienza, cioè
un pensiero che possegga con validità universale e necessaria il valore della verità; indaga se esista una
morale, cioè un volere e un agire che
posseggano con validità universale e necessaria il valore del bene; indaga se esista un'arte,
cioè un intuire e un sentire che
posseggano con validità universale e necessaria il WILHELM WINDELBAND 29I valore della bellezza. In tutte queste tre
parti la filosofia sta dinanzi al suo oggetto — e quindi nella prima parte,
quella teoretica, anche dinanzi alla scienza — non come le altre scien- ze
stanno di fronte ai loro oggetti particolari, bensì criticamen- te, cioè in
modo da sottoporre a esame il materiale effettivo del pensare, del volere, del
sentire in base allo scopo della validità
universale e necessaria, e in modo da escludere e da respingere tutto quanto non regge a questo esame. In tal
modo — per citare soltanto l’esempio più
eminente e più noto — Kant dimostra che
la metafisica nel vecchio senso di scienza dell’in- tuizione del mondo non può essere stabilita
con validità univer- sale, per quanto
necessariamente l'impulso psicologico del sape-
re possa condurre a ciò. È
facile capire in quale rapporto specifico, di comprensività e tuttavia di completa trasformazione, questa
nuova determina- zione concettuale della
filosofia stia con quelle precedenti. Que-
sta filosofia lascia cadere completamente la pretesa di costituire tutta la scienza; ma in quanto indaga nella
sua parte teoretica i fondamenti su cui
poggia la validità universale di ogni pensie-
ro scientifico, assume l’intero ambito delle scienze come pro- prio oggetto. Essa lascia però a una scienza
particolare — alla psicologia — il
compito di comprendere la storia evolutiva e la
conformità alle leggi di questo suo oggetto, per indagare da parte sua su che cosa si fonda il valore di
verità delle rappresen- tazioni, quale
che ne sia l’origine. In quanto però estende
questa sua critica a tutte le determinazioni di valore universal- mente valide dello spirito razionale, essa
appare come indagine generale sui valori
supremi; e se la trasformazione successiva
del senso del termine « filosofia » era caratterizzante del
signift- cato attribuito nelle varie
epoche alla conoscenza scientifica,
nella risposta complessiva alle questioni critiche fornita con le sue tre grandi opere Kant diede anche una
formulazione total- mente nuova di
questo interesse, cioè una formulazione adegua-
ta alle condizioni della cultura contemporanea *?. Come si è già ricordato, molto tempo doveva
trascorrere prima che il principio kantiano
fosse inteso e pervenisse a un a. Si
veda, in questo stesso volume, il discorso su Kant [Immanuel Kant: zur Sikularfeser seiner Philosophie, in
Praludien, 1° ed., pp. 112-45]. 292
WILHELM WINDELBAND predominio esclusivo.
Tra i suoi successori Herbart è stato quel- lo che vi si è maggiormente
attenuto dal punto di vista forma- le. Altri hanno immediatamente tradotto i
suoi risultati in una metafisica o in una scienza filosofica universale, le cui
determi- nazioni ultime essi dovevano poi, per esplicita ammissione, cercare in
postulati etici o in intuizioni estetiche. Molti hanno pensato di limitare nuovamente la filosofia a
una teoria della conoscenza, e la
maggior parte di questi sono ricaduti, o con
indagini autonome o riproducendo teorie del secolo xvni, nella tendenza psicologica. Non sono mancate
neppure le ri- chieste di ricondurre la
filosofia a un’indagine esclusiva di ciò
che ha significato per gli scopi pratici della vita umana. Tutti questi tentativi sottostanno all’uno o
all’altro perico- lo: essi negano il
carattere specifico della filosofia facendone o
una scienza in generale o una scienza delimitata in modo preci- so rispetto alle altre. Nel primo caso fanno
della filosofia un «romanzo » di
concetti, nell’altro un ragù composto di rifiuti provenienti dalla psicologia e dalla storia
della cultura. La filo- sofia può
rimanere o diventare scienza autonoma soltanto se porta alle estreme conseguenze, con pienezza
e rigore, il princi- pio kantiano. Senza
quindi disconoscere la mutevolezza storica
del significato del termine «filosofia », senza rifiutare a nessu- no il diritto di chiamare «filosofia » ciò
che gli aggrada, fac- cio per l'appunto
uso di questo diritto derivante dalla mancan-
za di un saldo significato storico — sulla base dell’analisi stori- ca sviluppata — intendendo per filosofia in
senso sistematico, e non storico, la
scienza critica dei valori universalmente validi. La scienza dei valori universalmente validi
designa gli oggetti; la scienza critica
designa il metodo della filosofia. Sono
convinto che tale concezione non è che Ja realizzazio- ne compiuta dell'idea fondamentale di Kant.
Ma non mi sarei mai permesso di
pretendere per questa definizione il nome di
« filosofia » se non potessi dimostrare in modo convincente — indipendentemente dallo sviluppo storico, e
senza fare uso delle formule della
dottrina kantiana — la necessità di una
scienza particolare del genere, in cui il nome svolazzante di « filosofia » possa trovare un solido appiglio.
Da quando Kant ha fatto stare in piedi
l’uovo di Colombo, non è difficile
ripetere il trucco. WILHELM
WINDELBAND 293 Tutte le proposizioni in cui esprimiamo i nostri punti di vista
si distinguono, nonostante l'apparente identità grammati- cale, in due classi
che devono essere esattamente separate l’una dall’altra: i giudizi e le
valutazioni. Nei primi viene espressa la connessione tra due contenuti
rappresentativi, nelle seconde è
espresso un rapporto della coscienza giudicante con l'oggetto rappresentato. Vi è una fondamentale
differenza tra le due proposizioni «
questa cosa è bianca» e «questa cosa è buo-
na », nonostante che la loro forma grammaticale sia del tutto identica. In entrambi i casi al soggetto
(secondo la forma gram- maticale) viene
attribuito un predicato; ma questo predicato è in un caso — in quanto predicato
del giudizio — una determi- nazione compiuta in sé, ricavata dal contenuto di
ciò che è oggettivamente rappresentato, nell'altro è — in quanto predica- to
della valutazione — una relazione che rimanda a una co- scienza la quale pone
uno scopo. In un giudizio si esprime
ogni volta il fatto che una determinata rappresentazione (il soggetto del giudizio) viene pensata in una
relazione, diversa secondo le diverse
forme di giudizio, con un’altra determinata
rappresentazione (predicato del giudizio). In una valutazione, invece, a un oggetto rappresentato nella sua
completezza, e quindi presupposto come
conosciuto (il soggetto della proposi-
zione valutativa), viene aggiunto il predicato della valutazione, mediante il quale non si accresce affatto la
conoscenza del soggetto in questione, ma
si esprime il sentimento di approva-
zione o di disapprovazione con cui la coscienza valutante sta in rapporto con l’oggetto rappresentato.
Tutti i predicati del giudizio sono
quindi rappresentazioni positive, le quali si riferi- scono al mondo rappresentato come concetti di
genere, come qualità, attività, stati,
rapporti ecc. Una cosa è il corpo, che è
grande, duro, dolce ecc., che si muove, urta, si arresta, ne trascina altri ecc. Tutti i predicati della
valutazione sono inve- ce espressioni
dell'accordo o disaccordo da parte della coscienza rappresentante: una cosa è gradevole o
sgradevole, un concetto è vero o falso,
un'azione è buona o cattiva, un paesaggio è
bello o brutto ecc. È chiaro che una valutazione non contribui- sce affatto alla comprensione dell'essenza
dell’oggetto valutato. La cosa deve anzi
essere presupposta come nota, cioè come
compiutamente rappresentata, prima che abbia un senso dire di 294 WILHELM WINDELBAND essa che è gradevole, buona, bella ecc. E
tutti questi modi di predicare della
valutazione hanno senso soltanto nella misura
in cui si prende in esame se l'oggetto rappresentato corrispon- da o no
a uno scopo in base al quale la coscienza valutante lo concepisce. Ogni
valutazione presuppone, come sua misura, uno scopo determinato, e ha senso e
significato soltanto per chi riconosce tale scopo. Ogni valutazione compare
quindi nel- la forma alternativa dell’approvazione o della
disapprovazione. Il soggetto
rappresentato della proposizione corrisponde o non corrisponde allo scopo, e per quanto diversi
siano i gradi di corrispondenza o di non
corrispondenza (cioè di contraddizio-
ne), e altrettanto diversi siano quindi i gradi di approvazio- ne e di disapprovazione, dev’esserci o
accordo o disaccordo se si vuol parlare
in generale di una valutazione conseguente.
Questa distinzione tra giudizi e valutazioni sarebbe meglio compresa nel suo significato fondamentale e
di ampia portata se non effettuassimo
sempre una particolare combinazione tra i
due elementi. I giudizi, cioè le connessioni puramente teoreti- che tra rappresentazioni, che si compiono in
forme diverse, vengono formulati — nel
processo della rappresentazione comu- ne
come nella vita scientifica — solamente in quanto viene ad essi accordato o negato un valore che supera
la necessità dell’as- sociazione,
conforme alle leggi naturali, cioè in quanto vengo- no dichiarati veri o falsi, affermati o
negati. Nella misura in cui il nostro
pensiero è orientato verso la conoscenza, cioè
verso la verità, tutti i nostri giudizi sottostanno subito a una valutazione che esprime la validità o non
validità della connes- sione tra
rappresentazioni compiuta nel giudizio. Il giudizio puramente teoretico è dato propriamente
soltanto nella doman- da o nel
cosiddetto giudizio problematico, nei quali si compie solamente un certo collegamento tra
rappresentazioni, ma non ci si esprime
sul loro valore di verità. Non appena un giudizio viene affermato o negato, insieme con la
funzione teoretica si è compiuta anche
quella di una valutazione dal punto di vista
della verità. A questa valutazione che si aggiunge al giudizio non diamo nessuna espressione linguistica
quando la valutazio- ne è affermativa,
poiché la tendenza al valore di verità dei
giudizi viene presupposta come ovvia nella comunicazione, men- tre la disapprovazione si esprime mediante la
negazione. Ogni WILHELM WINDELBAND 295 asserzione cosiddetta affermativa (A è B)
implica quindi l’opi- nione che il
giudizio, il quale connette le rappresentazioni A e B nel modo espresso, deve
valere come vero; e ogni asserzione negativa (4 non è B) implica l’opinione che
quel giudizio già espresso, o di cui si teme la formulazione, dev'essere
ritenuto falso. Tutte le proposizioni conoscitive contengono quindi im-
mediatamente una combinazione di giudizio e di valutazione: sono connessioni tra rappresentazioni del cui
valore di verità si decide affermando o
negando?*. La distinzione tra giudizio
e valutazione è quindi della mas- sima
importanza, poiché su di essa si fonda l’unica possibilità che ci è rimasta di determinare la filosofia
come scienza partico- lare,
profondamente distinta dalle altre già in virtù dell’ogget- to. Tutte le altre scienze devono infatti
stabilire un giudizio teoretico:
l'oggetto della filosofia è costituito invece dalle valuta- zioni.
Le scienze particolari devono, in quanto scienze storiche o descrittive, formare giudizi che
attribuiscano a determinati og- getti,
dati all’interno dell'esperienza, determinati predicati — in parte singolari e in parte costanti — di
qualità, di stati, di attività, di
rapporti con altri oggetti; oppure, in quanto scienze esplicative, devono ricercare quei giudizi
generali da cui è possi- bile derivare,
come casi specifici, tutte le qualità, gli stati, le attività e le relazioni delle cose
particolari. Una scienza natura- le
descrittiva constata che a una determinata cosa — per esem- a. Questa distinzione — estremamente
importante, anzi fondamentale per la
logica — tra i due elementi del « giudizio », appena sfiorata da Descartes nella quarta Meditazione e trattata
di sfuggita da J. F. Fries (Neue Kritik,
Heidelberg, 1807, vol. I, p. 208 sgg.), è stata recata a una precisa comprensione soltanto nella logica
moderna in virtù delle indagini sul
giudizio negativo di C. Stowart (Logik, Tiibingen, 1873-78, vol. I, $ 20), di R. H. Lotze (Logik, Leipzig, 1874, p.
61) e specialmente di J. Berc- Mann
(Reine Logik, Berlin, 1879, vol. I, p. 177 sgg.). Dal punto di vista psicologico ha richiamato l’attenzione su di
essa, anche se in forma baroc- ca, F.
Brentano (Psychologie, Wien, 1874, vol. I, p. 266 sgg.). Sull'argo- mento si vedano i mici Beitràge zur Lehre vom
negativen Urteil, nelle Strassburger
Abhandlungen zur Philosophie: Eduard Zeller zu seinem stebenzigsten Geburstage, Freiburg i.B. -
Tiibingen, 1884, pp. 165-95, e il saggio
Vom System der Kategorien, nelle Philosophische Abhandlungen, C. Sigwart zu seinem siebzigsten Geburtstage,
Tibingen, 1900, pp. 41-58. 296 WILHELM
WINDELBAND pio a una pianta o a un
organismo psichico — spettano questi o quei predicati, o in modo costante o
subordinatamente a certe condizioni; una scienza storica deve accertare che
singoli uomini o popoli si sono trovati in questi o quei rapporti, hanno
compiuto queste 0 quelle azioni, hanno vissuto questi o quei destini. Una
scienza esplicativa stabilisce col nome di leggi quei giudizi generali dai quali, nella loro
qualità di premesse maggiori, deriva
come conseguenza necessaria il corso dei muta-
menti in cui le cose reali e le loro situazioni stanno in rap- porto reciproco di causa o effetto. Le
scienze matematiche, infine, formulano —
indipendentemente da qualsiasi evento
temporale — giudizi generali sulla necessità intuitiva con cui le forme spaziali e numeriche stanno tra
loro in relazioni determinate. Tutti questi giudizi, per quanto siano
particolari in un caso e generali
nell’altro, per quanto variamente e diversamente si configuri il loro significato gnoseologico,
contengono connessio- ni tra
rappresentazioni, cioè connessioni tra un soggetto rappre- sentato e un
predicato rappresentato, il cui valore di verità deve venir determinato dalla
scienza. In base al presupposto che ad alcuni dei giudizi possibili si
attribuisce la verità e ad altri no, le scienze cercano di stabilire l'ambito
complessivo di quanto dev'essere oggetto di affermazione, e a tale scopo
di negare con una motivazione esplicita
ciò che rischia di essere affermato
erroneamente. Esse compiono quindi nel campo del conoscere affermazioni e negazioni,
approvazioni e disapprova- zioni, e
nella loro articolazione estendono tale attività a tutti gli oggetti accessibili in generale alla
comprensione umana. Da questo punto di
vista alla filosofia non rimane più nien-
te da fare. Essa non può voler essere né una scienza descrit- tiva, né una scienza esplicativa, né una
scienza matematica: trova tutti i gruppi
di oggetti già occupati dalle scienze partico-
lari, che si riferiscono ad essi in una di queste tre maniere, e consisterebbe soltanto di prestiti se
volesse, con scelta arbitra- ria,
abbracciarne qualcuno. Il compito della filosofia non può consistere nell’affermare o nel negare, come
fanno le altre scien- ze, giudizi in cui
devono venir riconosciuti, descritti o spiegati
determinati oggetti. L'oggetto
che ad essa rimane è costituito dalle valutazioni. WILHELM WINDELBAND 297 Ma anche nei loro confronti deve, se vuol
essere autonoma, porsi in un rapporto totalmente diverso da quello che le altre
scienze hanno con i loro oggetti. La filosofia non deve né descrivere né
spiegare le valutazioni: questo è compito della psicologia e della storia della
cultura. Ogni valutazione è la reazione di un individuo che vuole e sente di
fronte a un determinato contenuto
rappresentativo. È un processo della vi-
ta psichica che risulta necessariamente per un verso dallo stato di bisogno, per l’altro dal contenuto della
rappresentazione. Ma sia il contenuto
della rappresentazione sia lo stato di bisogno
sono a loro volta prodotti necessari del movimento complessivo della vita, Come tali essi devono venir
compresi; e dal momen- to che non basta
a spiegarli la psicologia individuale — poiché
gli scopi e i bisogni in base a cui l'individuo sottopone a esame il proprio contenuto rappresentativo
per approvarlo o disapprovarlo sono per
molti versi comprensibili soltanto in ba-
se al movimento della società — bisogna far intervenire la storia dello sviluppo della cultura umana per
comprendere in tutta la sua estensione
l’origine conforme a leggi delle valutazioni
e per riconoscere le leggi secondo cui procedono tali valutazioni. La trattazione psicologica e
storico-evolutiva delle valutazio- ni e
della loro conformità a leggi costituisce quindi di per sé un problema del tutto legittimo della scienza
esplicativa dello spirito. La scienza
esplicativa assolverebbe il suo compito soltan-
to in modo incompleto se si arrestasse di fronte a questi fatti. In base alle leggi psicologiche e ai
movimenti dello spirito sociale è
necessario spiegare in quale modo le forme di valuta- zione riconosciute nella nostra coscienza
comune siano sorte attraverso il suo
sviluppo naturale, come noi abbiamo imparato
a distinguere il vero, il bene, il bello dai loro contrari, e come il modo e la maniera particolare in cui
effettuiamo tali valuta- zioni, cioè la
configurazione specifica che abbiamo assegnato a questi scopi supremi che determinano la
misura e il valore, siano condizionati
dalla necessità della nostra storia. Queste
indagini corrispondono perciò a un compito incontestabile della scienza: non costituiscono una disciplina
autonoma, ma devono essere messe insieme
da vari capitoli della psicologia e della
storia della cultura. Chi voglia chiamare «filosofia » queste combinazioni quanto mai interessanti — come
fanno fin dall’e- 298 WILHELM
WINDELBAND tà illuministica i «
filosofi » inglesi e francesi e come, imitando- li, è accaduto qua e là anche
da noi — /adeat sibi: non intendiamo discutere sui nomi. Però dobbiamo
protestare in nome della filosofia tedesca inaugurata da Kant se con tale
denominazione si vuol importare anche da noi l’opinione super- ficiale che non
esista, al di là di questa storia dello sviluppo psicologico e storico-culturale, nessun
compito scientifico supe- riore. La filosofia, quale noi la intendiamo, ha un
punto di parten- za del tutto diverso.
Tutte le valutazioni che si compiono
negli individui e nella società sono prodotti necessari della vita psichica. Da questo punto di vista esse sono
tutte egualmente legittime: comunque
siano apparse, hanno tutte — una volta
apparse — una causa sufficiente. Senza di queste, infatti, non sarebbero apparse. Come fatti empirici, quali
vengono spiegati dalla psicologia e
dalla storia evolutiva, esse semplicemente esi-
stono alla stessa stregua. Appartengono alla realtà empirica e, co- me oggi ogni altra cosa, hanno cause sufficienti
di esistenza e le loro leggi di origine
e di movimento; sottostanno a tali leggi
come gli oggetti a cui le valutazioni si riferiscono e che, in quanto fatti empirici, sono sottoposti alla
stessa necessità natura- le conforme a
leggi. Le sensazioni e le rappresentazioni con i sentimenti di piacere e dispiacere che esse
suscitano; le connes- sioni tra
rappresentazioni insieme alla certezza con cui vengo- no dichiarate vere o false; le determinazioni
della volontà e le azioni, come le
valutazioni in virtù delle quali vengono caratte- rizzate come buone o cattive; le intuizioni e
i sentimenti che le valutano come belle
o brutte — tutto questo è, come fatto
empirico dello spirito umano individuale o generale, prodotto necessario di condizioni e leggi date.
Tuttavia — e questo è il fatto fondamentale
della filosofia — siamo incrollabilmente
convinti che, accanto a questa necessità naturale che coinvolge tutte le valutazioni e i loro oggetti senza
eccezione, vi sono certe valutazioni le
quali valgono in modo assoluto anche se di
fatto non pervengono a un riconoscimento 0 per lo meno non pervengono a un riconoscimento generale.
Certamente ognuno pensa necessariamente
così come pensa, e ritiene vere le rappre-
sentazioni sue o di altri perché tali deve necessariamente rite- nerle: tuttavia siamo convinti che di fronte
a questa necessità WILHELM WINDELBAND
299 del ritenere vero, che si compie secondo una legalità naturale, vi è wna
determinazione di valore assoluta in base a cui si deve decidere del vero o del
falso, non importa che ciò accada o no di fatto. Noi tutti abbiamo questa
convinzione: infatti nella misura in cui dichiariamo vera una qualsiasi
rappresentazione in base al corso
necessario del nostro rappresentare, questa dichiarazio- ne non significa altro se non la pretesa che
ciò debba valere non soltanto per noi,
ma per tutti gli altri. Non importa se
tale pretesa venga soddisfatta nel caso singolo, se sia giustifi- cata nel caso singolo: ma è chiaro che la
valutazione delle rappresentazioni dal
punto di vista della verità presuppone un
criterio assoluto di questo genere, che deve valere per tutti. La stessa cosa vale per i campi dell'etica e
dell’estetica. Certamen- te ciò che uno
giudica buono o cattivo da un lato, bello o brutto dall’altro, è condizionato secondo leggi
dalla situazione cultura- le e dal corso
della vita personale di ciascuno; ma in entrambi i casi le predicazioni in tal modo espresse
implicano la pretesa di valere per tutti
e di essere necessariamente riconosciute da ognu- no nello stesso modo. Per quanto queste
valutazioni si configu- rino in modo
relativo nella loro realtà empirica, si elevano pur sempre alla pretesa di una validità assoluta,
e trovano il loro senso nel presupporre
la possibilità di una valutazione assoluta.
Sono questa pretesa e questo presupposto a distinguere le tre forme caratteristiche di valutazione — che
possiamo chiamare di valutazione logica,
etica ed estetica — da tutte le mille forme di valutazione in cui si esprime
soltanto il sentimento individua- le di piacere o dispiacere per un oggetto
rappresentato. A chi prova piacere per un colore, a chi gusta una cosa *, a chi
prova gioia in un oggetto perché ne trae un qualche vantaggio non capiterà mai,
purché sia provvisto di buon senso, di pretendere che tutti gli altri facciano propria la sua
valutazione. La confor- mità alle leggi
delle funzioni psicologiche comporta certamente
il fatto che in esseri organizzati in modo eguale o analogo tendano a comparire le stesse sensazioni, e
con la stessa intensi- a. Il modo di
esprimersi abituale parla, con la fluidità delle sue desi- gnazioni, anche di un gustare e di un odorare
« buono » o « bello ». È au- spicabile
che nell’espresssione scientifica si eviti sempre questa negligenza. 300 WILHELM WINDELBAND tà di sentimento. Ma se, in virtù di
qualche disturbo abituale o di una
disposizione momentanea, questo o quell’individuo diverge da questa maniera generale di
sentire, in ciò non vedia- mo una cosa degna di particolare attenzione e non ce
ne stupia- mo affatto. Quanto più però risaliamo da queste tonalità ele-
mentari del sentire ai sentimenti molto più vari e complessi di piacere e
dispiacere, che sono connessi a rappresentazioni com- poste di cose e di rapporti
tra cose, tanto più si restringe — senza
che ciò ci meravigli o ci colpisca — l’accordo tra gli individui. La molteplicità delle combinazioni
non consente, no- nostante l’identità
conforme a leggi dei processi fondamentali,
un'identità di risultati. Nessuno presuppone una validità univer- sale per i propri sentimenti di piacere o di
dispiacere; nessuno pensa neppure che vi
sia un criterio assoluto con cui determina-
re per chiunque la valutazione del carattere gradevole delle cose. Una pretesa siffatta non ha senso, e
un’edonistica, cioè una dottrina del
piacere, può essere soltanto un capitolo della
psicologia e della storia evolutiva, mai una disciplina filosofica. Chi addossa quindi alla filosofia Ia
responsabilità di decide- re nella polemica
tra ottimismo e pessimismo, chi esige da essa
che pronunci un verdetto assoluto sulla questione se il mondo sia più adatto alla produzione di piacere che
di dispiacere o viceversa, costui lavora
— supposto che proceda a un livello
superiore al dilettantismo — in base all’illusione di trovare una determinazione assoluta per un campo in
cui nessun uomo ragionevole l’ha mai
cercata. Di una valutazione dell’universo
dal punto di vista edonistico si potrebbe infatti parlare soltanto se esistesse un metro di legittimazione per i
sentimenti soggetti- vi di piacere e
dispiacere. Ma siccome questo manca, agli otti-
misti e ai pessimisti non rimane che mettersi a fare un calcolo approssimativo dei singoli sentimenti
empirici di piacere e di dispiacere e
una valutazione dei loro rapporti di quantità e di intensità, che è priva di qualsiasi base
solida. Se qualcuno vuol chiamare tutto
ciò filosofia, fabeat sibi; io lo considero una
scarica dell'impulso al piacere, che appartiene alla storia della patologia del pensiero umano?. a. Cfr. il mio Der Pessimnismus und die
Wissenschaft, « Der Salon », 1877, nn.
7-8. WILHELM WINDELBAND 301 Una volta esclusa l’edonistica rimangono
soltanto tre forme di valutazione in cui la pretesa di universalità si impone
come elemento essenziale — cioè le forme caratterizzate dalle tre coppie di
concetti del vero e del falso, del bene e del male, del bello e del brutto. Vi
sono dunque soltanto tre scienze fonda- mentali propriamente filosofiche: la
logica, l’etica e l'estetica. La
psicologia * è una scienza empirica in parte descrittiva e in parte esplicativa; la metafisica nel vecchio
senso di un sapere dogmatico concernente
i fondamenti ultimi di tutta la realtà è
un’assurdità: invece la teoria della conoscenza, la filosofia del- la natura, la filosofia della società e della
storia, la filosofia dell’arte e la
filosofia della religione sono legittimate solamente in quanto vengano trattate non in senso
metafisico ma in senso critico, dal
punto di vista di quelle tre scienze filosofiche fonda- mentali, come loro ramificazioni,
applicazioni o integrazioni. In tutte e
tre occorre quindi prendere in esame la pretesa
della valutazione logica, etica ed estetica a una validità univer- sale. Bisogna osservare subito che a
un’identica impostazione problematica
corrisponde un’indagine metodologicamente iden-
tica e sistematicamente parallela per le tre discipline; ma non per questo viene minimamente condizionata o
pregiudicata un'identità del risultato e
della risposta. Si potrebbe per esem-
pio pensare che la filosofia critica confermi il diritto della valutazione logica a una validità universale,
e che invece si veda costretta o a
respingere del tutto o a riconoscere soltanto
con limitazioni assai rilevanti la pretesa corrispondente in uno degli altri due campi. In questo caso il
campo in questione sa- rebbe totalmente
abbandonato, proprio a causa della mancanza
di un criterio assoluto, alla trattazione psicologica e storico-evolu- tiva. Ma poiché è presente la pretesa a una
validità universale, e poiché tale
pretesa non può venir presa in esame né dalla
scienza descrittiva né dalla scienza esplicativa, dev’esserci assolu- tamente un'indagine filosofica, anche se
questa dovesse portare a risultati
semplicemente negativi. Anche chi dovesse dunque pervenire con indagini critiche o anche
mediante una prevenzio- a. Ho già
difeso la causa della completa separazione della psicologia dalla filosofia nella mia prolusione
zurighese Uber den gegenivàrtigen Stand
der psychologischen Forschung, Leipzig, 1876. 302 WILHELM WINDELBAND ne più o meno chiara
alla convinzione che nell’uno o nell’altro di questi campi — o anche in tutti e
tre — sono possibili sempre e soltanto valutazioni relative (come avviene nel
campo dell’edonistica) e mai valutazioni assolute, sarebbe tuttavia co- stretto
ad ammettere il fatto della pretesa a quest'ultime, e pertanto a concedere la
legittimità dell’impostazione filosofica.
E solo di questo qui si tratta: non si debbono anticipare i risultati della filosofia. Se l’oggetto della filosofia è così
determinato, ci si domanda in che cosa
consista la critica a cui esso deve venir sottoposto, e quale sia il procedimento scientifico che la
rende possibile. Se qui si è sempre
parlato anzitutto della pretesa alla validi-
tà universale e alla necessità delle valutazioni logiche, etiche ed estetiche, occorre indicare con maggiore
esattezza che questa validità universale
non è una validità di fatto e che la necessità
non è necessità causale. Chi è convinto della verità di un giudi- zio è di solito ben lontano dal credere che
questo giudizio sia riconosciuto, o
anche soltanto possa venir riconosciuto, da tutti. Nella nostra lotta per la verità,
l’universalità effettiva del rico-
noscimento è una prospettiva del tutto esclusa. D'altra parte, per situazioni culturali inferiori c'è senza
dubbio una validità universale effettiva
di rappresentazioni e di modi di valutazio-
ne che sono manifestamente erronee e sbagliate. L'importante non è quindi che tutti gli esemplari della
specie Homo sapiens siano unanimi nel
riconoscimento di un giudizio; e neppure è
possibile trovare, attraverso un’induzione comparativa delle va- lutazioni reali, una validità universale in
senso filosofico. Poi- ché cause
identiche hanno effetti identici è possibile — e accade di fatto in mille modi — che gli stessi
motivi provochino ovunque lo stesso
errore. Per la verità o la falsità di una rappre- sentazione è del tutto
indifferente il numero degli uomini che la riconoscono o la respingono. La
validità universale di cui qui si tratta non è una validità di fatto, bensì
ideale; non è una validità reale, ma una validità che dovrebbe essere. Lo
stesso discorso vale per la necessità di queste valutazio- ni. Causalmente necessarie sono sia la pazzia
sia la saggezza, sia il peccato sia la
virtù, sia il sentimento della bellezza sia il
suo contrario. Il sole della necessità naturale splende sui giusti come sugli ingiusti. La necessità con cui
sentiamo la validità WILHELM
WINDELBAND 303 delle determinazioni
logiche, etiche ed estetiche è anch'essa una
necessità ideale: non è una necessità dell’essere costretti e del non
poter altrimenti, ma del dover essere e del non dover fare altrimenti. È quella
necessità superiore che non si esaurisce completamente nella necessità naturale
a cui sono sottoposti il nostro rappresentare, il nostro volere e il nostro
sentire; è la necessità del dover essere. Nessuna legge naturale costringe
l’uo- mo a pensare, a volere e a sentire
nel modo in cui dovrebbe sempre pensare,
volere e sentire secondo la necessità logica,
etica ed estetical Se quindi la
filosofia deve stabilire i princìpi della valutazio- ne logica, etica ed estetica, non può
limitarsi a chiedersi quali
determinazioni abbiano in questi campi una validità universale, oppure a indagare quali si facciano valere o
si siano fatte valere con una necessità
psicologica e storico-evolutiva. In nessuna di
queste due direzioni si può trovare un criterio di ciò che deve avere validità. La massa, o anche soltanto la
maggioranza, non è il tribunale di
fronte a cui si decide il valore assoluto, e
la dimostrazione delle cause del suo comportamento non è una fondazione della sua legittimità. D'altra parte nell’energia con cui il
singolo si attiene, con- tro un mondo
che lo contraddice, a ciò che ha riconosciuto per vero, buono o bello, non si manifesta
l’ostinazione dell’arbitrio individuale
ma un impulso della convinzione che in lui si è
fatto strada qualcosa che dovrebbe valere per tutti e di cui non può fare a meno. Entro la necessità naturale
del movimento della storia umana,
certamente, la difesa di questa convinzione
può sembrare disperatamente analoga all’illusione personale: lo scopritore di una nuova verità, il
riformatore della vita etica, il creatore
di una nuova arte appare ai suoi contemporanei — e forse anche a molte generazioni di posteri —
come un infatua- to. Ma per quanto sia
difficile, anzi impossibile decidere nel
singolo caso quale dei due fenomeni sia presente in un dato momento, tuttavia noi tutti crediamo nella
possibilità di distin- guere, noi tutti
siamo convinti che — anche se non sempre lo
comprendiamo, e soprattutto se non lo comprendiamo subito — esiste un diritto del necessario in senso
superiore che dovreb- be valere per
tutti. Noi crediamo in una legge superiore a
304 WILHELM WINDELBAND quella
dell'origine naturale di tutte le nostre valutazioni: cre- diamo a un diritto
che ne determina il valore. Ho detto che tutti ci crediamo. Non dimentico così
quei teorici del relativismo che in tutte queste determinazioni e con- vinzioni
non vedono altro che prodotti necessari della società umana? Ma essi non
intendono presentare la loro teoria soltan-
to come si trattasse di una semplice opinione; vogliono anzi provarla e dimostrarla. E che cosa significa
dimostrare? Signifi- ca presupporre che
al di sopra della necessità del movimento
delle rappresentazioni c'è una necessità superiore che tutti do- vrebbero riconoscere. Chi dimostra il
relativismo, lo annienta. Il relativismo
è una teoria in cui nessuno ha ancora veramente
creduto, in cui nessuno potrebbe credere: è una fable conve- nue?.
Perciò ovunque la coscienza empirica scopre in sé questa necessità ideale di ciò che deve valere
universalmente, si imbat- te in una
coscienza normale, la cui essenza consiste per no: nel fatto che noi siamo convinti che essa debba
essere reale, del tutto indipendentemente
dalla realtà che riveste nel dispie-
garsi della coscienza empirica, sottoposto alla necessità natura- le. Per quanto ristretto sia il grado e
l’ambito in cui questa coscienza normale
penetra quella empirica e si fa valere all’in-
terno di essa, ciononostante tutte le valutazioni logiche, etiche ed estetiche sono costruite in base alla
convinzione che esista una coscienza
normale a cui dobbiamo elevarci se le nostre
valutazioni debbono pretendere una validità universale necessa- ria: una coscienza normale che non vale nel
senso del riconosci- mento fattuale, ma
che dovrebbe valere — e che perciò costitui-
sce non già una realtà empirica, ma un ideale in base a cui dev'essere commisurato il valore di ogni
realtà empirica. Le leggi di questa
«coscienza in generale » — secondo l’espressio-
ne kantiana — non sono più leggi naturali, che valgono in ogni circostanza e secondo cui devono
configurarsi i singoli fatti, ma sono
invece norme, che devono appunto valere e la
cui realizzazione determina il valore di ciò che è empirico. a. Su questo, come su ciò che segue, si
veda più particolarmente il sag- gio
Kritische oder genetische Methode?, raccolto in questo stesso volume [Préludien, 1° cd., pp. 247-79]- WILHELM WINDELBAND 305 La filosofia non è quindi altro che la
riflessione su questa coscienza normale, l'indagine scientifica intorno a
quelle, tra le determinazioni di contenuto e le forme della coscienza empi-
rica, che rivestono valore di coscienza normale. Nella coscien- za empirica di
un individuo, dei popoli, dell’umanità esse sor- gono necessariamente così come
sorgono stupidità, abiezioni, mancanza
di gusto: compito della filosofia è di rintracciare, entro il caos dei valori individuali o
effettivamente universali, quelli a cui
inerisce la necessità della coscienza normale. In nessun caso è possibile derivare tale
necessità da qualcosa: la si può
soltanto indicare; essa non viene prodotta, ma solo recata alla coscienza. L'unica cosa che la filosofia
può fare è di la- sciar scaturire questa
coscienza normale dai movimenti della coscienza
empirica e di confidare nell’evidenza immediata con cui la sua normalità, non appena giunta a
chiara coscienza, si mostra operante e
valida in ogni individuo, così come essa deve
valere. Un principio come il principio logico di non contraddi- zione, o un principio come il principio
morale della coscienza del dovere, non
sono dimostrabili. Nella vita reale delle rappresenta- zioni e della volontà si può soltanto recarli
alla coscienza, a una chiara
formulazione, e occorre confidare che in ognuno, purché si rifletta seriamente, la coscienza normale
si faccia valere e riconoscere con
evidenza immediata. Non potremmo più avere
alcun rapporto logico e scientifico con chi rifiutasse la validità delle leggi del pensiero; non potremmo
intenderci moralmente con chi rifiutasse
qualsiasi dovere. Il riconoscimento della co-
scienza normale è il presupposto della filosofia: è, in astratto, il medesimo presupposto che sta in concreto a
fondamento di tutta la vita scientifica,
etica ed estetica. Ogni intesa su qualco-
sa che gli individui debbono riconoscere al di sopra di sé come norma valida, presuppone questa coscienza
normale. La filosofia è quindi la
scienza della coscienza normale. Essa
penetra la coscienza empirica per stabilire in quali punti emerga in questa tale validità universale
normativa. È essa stessa un prodotto
della coscienza empirica, e non si contrappo-
ne a questa come qualcosa di proveniente dall’esterno; ma pog- gia sulla convinzione — costitutiva di ogni
valore della vita umana — che in mezzo
ai movimenti naturali della coscienza
20. STORICISMO TEDESCO. 306 WILHELM WINDELBAND empirica abbia una
necessità superiore, e indaga i punti in cui questa viene alla luce. Questa
«coscienza in generale» è quindi un sistema di norme che, come valgono
oggettivamente, così devono pure valere soggettivamente, e tuttavia soltanto in
parte valgono nel- la realtà empirica della vita spirituale dell’uomo. Solamente
in base ad essa si determina il valore
del reale. Queste norme rendono pertanto
possibile formulare valutazioni universalmen- te valide per la totalità degli
oggetti che vengono conosciuti, descritti e spiegati nei giudizi delle altre
scienze. La filosofia è la scienza dei princìpi della valutazione assoluta. Non
si incorrerebbe in contraddizione se si sostenesse che questa coscienza normale
è ciò che il linguaggio popolare inten-
de propriamente col termine «ragione », cioè l'elemento sovra- individuale che deve valere universalmente, e
perciò si potrebbe chiamare la filosofia
scienza della ragione. Ma preferisco rinun-
ciare a questa denominazione perché il termine «ragione» è stato usato dai filosofi tedeschi con
significati così diversi che il suo
impiego in una definizione sarebbe equivoco e darebbe luogo a vari malintesi. La filosofia come scienza della coscienza
normale è essa stessa un concetto ideale
che non è realizzato e la cui realizza-
zione — come risulterà anche in seguito — è possibile solo entro certi limiti: le fondamenta per la sua
costruzione sono state poste dalla
filosofia kantiana. Ma dal punto di vista di
questo concetto anche ciò che si chiama storia della filosofia, e che dev'essere trattato come tale, acquista
subito un altro aspet- to ben
definito. La validità della coscienza
normale come misura assoluta di
valutazione logica, etica ed estetica sta sì, come presupposto imprescindibile, a base di tutte le funzioni
superiori dell’uomo e soprattutto di
quelle che, in quanto prodotti della cultura
sociale, hanno come contenuto la creazione e la conservazione di ciò che sta al di sopra dell’arbitrio
degli individui; ma si manifesta in
primo luogo come impregiudicata e ovvia subordi- nazione a una coscienza complessiva prodotta
dal processo ne- cessario dell'anima del
popolo. Soltanto in seguito alla scossa
che questo subisce subentra la riflessione su una misura ideale a cui tutti dovrebbero piegarsi, e da tale
riflessione si sviluppa la WILHELM
WINDELBAND 307 tendenza a elevarsi a
questa coscienza normale, a farla valere
nella coscienza empirica. Ma lo spirito umano non si identifica con questa coscienza ideale: esso sottostà
alle leggi del suo movimento naturale, e
soltanto a tratti conduce a un risultato
in cui si afferma l’evidenza immediata della validità normativa. Il processo storico dello spirito umano può
quindi essere considerato dal punto di vista secondo cui si è gradualmente
manifestata in esso — in mezzo al lavoro sui singoli problemi, al mutare dei
suoi interessi, all’intreccio dei suoi fili particolari — la coscienza delle
norme, e secondo cui esso rappresenta, nel suo movimento progressivo, una
penetrazione sempre più pro- fonda e
comprensiva della coscienza normale. Nulla impedisce di concepire, in base a questa determinazione
del concetto di filosofia, la
progressiva consapevolezza delle norme come il
senso autentico della storia della filosofia. Questa è appunto una delle linee che, muovendo da un saldo
concetto della filoso- fia, si può
ricostruire all’interno della storia, senza però preten- dere di abbracciare in tal modo tutto il suo
contenuto così ramificato. Questa linea
corre lungo le vette che, sull’ampio
sfondo delle altre rappresentazioni, hanno raggiunto l’etere del- la coscienza normale, e designa anche le più
alte frastagliature dello sviluppo
storico-culturale. Infatti la riflessione sulle nor- me assolute è semplicemente il prodotto di
ogni attività cultura- le, e alla
filosofia rivendichiamo soltanto il compito di recarle alla coscienza nella loro connessione e nella
loro articolazione necessaria,
attraverso una indagine scientifica.
Una storia della filosofia di questo genere sarebbe quindi una scelta che dovrebbe mostrare il progresso
graduale in cui lo spirito scientifico
ha lavorato alla soluzione del compito che
abbiamo qui formulato. Perciò
essa non cessa affatto di essere una scienza empirica, come dev'essere appunto ogni disciplina
storica. Se si conside- ra la storia dal
punto di vista di un compito da risolvere,
allora si ha soprattutto il dovere di indicare il processo causale attraverso cui essa ha proceduto per fasi
successive alla sua soluzione. I compiti
non si realizzano da soli; essi vengono
realizzati. Anche le determinazioni della coscienza normale a cui il pensiero filosofico si innalza sono
venute alla luce nel processo naturale
del movimento storico del pensiero, come
308 WILHELM WINDELBAND
determinazioni di contenuto della coscienza empirica. La sto- ria della filosofia deve cogliere questa loro
origine empirica, senza pregiudizio del valore
che ad esse spetta quando sono penetrate nella coscienza empirica in virtù
della loro evidenza normativa ?. Perciò questa concezione non dev'essere
interpretata nel sen- so che essa statuisca — per esempio secondo la ricetta
hegelia- na — una misteriosa auto-realizzazione delle «idee », in virtù della
quale le mediazioni empiriche appaiano come un accesso- rio non necessario. Nella conoscenza empirica
non abbiamo altro luogo in cui
trasportare le idee all’infuori delle te-
ste degli uomini pensanti, e soltanto in queste esse sono, se pervenute alla coscienza, forze determinanti
e operanti. La sto- ria della filosofia
non deve considerarle come fattori, ma deve
spiegarle come prodotti. Il « principio » che il filosofo trova diventa una forza operante nel movimento
empirico dello spiri- to solamente per
il fatto che egli lo reca alla coscienza come
risultato del suo lavoro. Oppure
il filosofo è forse qualcosa di diverso che un uomo tra uomini? In realtà non gli è concessa una
forza di pensiero di tipo differente da
tutti gli altri; ed egli stesso lo dimostra
nel modo migliore quando, con la pubblicazione delle sue ope- re, esprime il desiderio di far pensare gli
altri come lui e procede pertanto —
nonostante l’intuizione intellettuale e simi-
li doti mistiche — dall’assunzione che gli altri debbano compie re, sotto la sua guida, lo stesso suo
movimento di pensiero. Ma le sue idee
non sono sorte in modo diverso da quelle degli
altri. Come tutti quanti, egli passa da una fanciullezza senza idee a una lenta maturazione; dall'ambiente
in cui è nato ed è stato educato assorbe
conoscenze e punti di vista che si fissano
in lui come un tesoro di « verità » originario, ed egli le
arricchi- sce con la propria ricerca e
il proprio giudizio. Ma l’orizzonte di
pensiero e la direzione d'interesse che gli pongono le questio- a. L'autore ha cercato di trattare la
storia della filosofia da questo pun- to
di vista, abbozzato nel 1884, nel suo LeArbuch der Geschichte der Phi- losophie. Si vedano, nella quarta edizione
(Tibingen und Leipzig, 1907),
l'introduzione e i paragrafi conclusivi, e inoltre il saggio Geschichte
der Philosophie, sopra citato. WILHELM WINDELBAND 309 ni rimangono pur sempre tracciati in modo
inevitabile dalla somma complessiva di
ciò che ha fino a quel momento pensato e vissuto. Così dai lati più diversi,
dalle premesse più remo- te si forma — come avviene in ogni uomo — una massa di
rappresentazioni spesso eterogenea ma fusa in tutte le direzio- ni, un sistema
psichico che tende, come sempre, all’unificazio- ne. Ma invece di
accontentarsi, come avviene nella maggior
parte degli uomini, del compromesso superficiale tra le rappre- sentazioni più visibilmente contrastanti, e
invece di lasciarsi imporre da una delle
opinioni dominanti le linee più generali
della concezione del mondo, il quadro delle singole prospetti- ve, l'individuo la cui attività designamo
come filosofia è in grado di cercare
mediante il proprio sforzo di riflessione — in
virtù della situazione personale, delle doti spirituali e
dell’ener- gia del carattere — una
connessione unitaria delle sue rappre-
sentazioni. Non si deve però mai dimenticare che quest'attività di ricerca è completamente condizionata in
tutta la sua direzio- ne e in tutta
l’estensione del contenuto rappresentativo, e quin- di naturalmente anche nel suo risultato,
dall'intera massa del materiale di
pensiero già esistente. Nessun principio filosofico cade dal cielo o piove in grembo al filosofo,
ma è il risultato conclusivo della sua
molteplice attività di pensiero. Che nella
realizzazione definitiva di uno stato di equilibrio certe rappre- sentazioni si dimostrino più potenti e
significative di altre, è cosa ovvia; ma
questa forza e questa significatività competono
ad esse 12 primo luogo anche soltanto nelle condizioni statiche di questo sistema individuale di
rappresentazioni. Se al filosofo è
capitato di trovare, con uno sforzo maggiore o minore, un principio unitario per disporre tutto il suo
materiale ideale, le varie parti di
questo materiale staranno però chiaramente in un rapporto assai diverso con esso. Alcune — e
soprattutto quelle che sono determinanti
per cogliere tale principio — si connetto-
no facilmente e quasi per proprio conto all'immagine del mon- do così costituita; altre si dimostrano
invece più o meno refrat- tarie. Infatti
altre opinioni, che provengono da regioni comple- tamente diverse e hanno un aspetto del tutto
indifferente, devo- no a volte accettare
di essere spostate e trasformate a profit-
to di quel principio fondamentale; questo apre ora anche nuovi ambiti di rappresentazione e nuove
conoscenze; di fronte ad 310 WILHELM
WINDELBAND esse le vecchie idee
vengono relegate sullo sfondo e, se non
soppiantate del tutto, almeno parzialmente trasformate, conti- nuando
però a costituire il materiale su cui soltanto può farsi 0 l’attività
assimilatrice e trasformatrice della nuova for- a. Ma di rado vedremo un
filosofo nella felice situazione di mr disporre tutto il suo materiale rappresentativo
in un’inti- ma relazione uniforme con il principio da lui scoperto; e tra
le idee contrastanti ve ne saranno
sempre alcune che non cedono al nuovo
principio, ma sono talmente radicate nell’anima con la loro forza originaria che — ad onta della
loro mancanza di relazione, o
addirittura della loro contraddizione rispetto a quel principio — si conservano accanto ad
esso e pretendono, con non minore forza,
un posto spesso assai significativo nell’in-
tuizione umana del mondo. Ne derivano smagliature e spacca- ture nel sistema, ma esse sono superate e
nascoste nella certezza soggettiva del
filosofo. E quanto più energicamente egli
cerca di mantenere insieme le sue diverse convinzioni, tanto più lo vedremo incline a cedere
all’illusione di considerar- le in
accordo laddove in realtà non lo sono affatto né possono diventarlo, oppure a ipotizzare tra di esse
una connessione che mai, per la loro
stessa natura, possono acquisire. Si spiega così l’eterogeneità degli elementi che, in numero
più o meno gran- de, si trovano — in
ogni sistema filosofico — in un’antitesi
altrimenti incomprensibile rispetto al cosiddetto principio fon- damentale. Anche la caratteristica
circostanza che proprio in questi punti
i filosofi siano soliti insistere nel modo più rigido sulla necessaria omogeneità di concezioni
disparate, risulterà comprensibile se
riflettiamo che soltanto le convinzioni intima-
mente legate con la personalità del filosofo possono mantenersi indipendenti dal principio appena scoperto, e
che un sentimen- to di certezza
altrettanto salda fonde ora insieme rappresenta- zioni altrimenti diverse, di modo che ne
viene straordinaria- mente rafforzata la
capacità di scoprire, sotto la spinta di que-
sto interesse, passaggi e connessioni apparenti. Ma tutte queste mancanze di connessione e queste
contraddizioni con i loro artificiosi
intrecci non potrebbero esistere se un sistema filosofi- co crescesse in modo organico fin dall’inizio
completamente indipendente, in base
all'impulso del suo principio fondamenta-
le. Esse sono invece del tutto comprensibili se abbiamo chiaro WILHELM WINDELBAND Z1I il fatto che il molteplice materiale
ideale, prodotto e trasmesso dai lati
più diversi, deve raccogliersi e fissarsi nella testa del filosofo molto tempo
prima che questi abbia anche soltanto pensato alla ricerca del suo principio; e
che quindi tale princi- pio deve compiere più tardi, nell’assoggettare a sé il
materiale preesistente, un lavoro di difficoltà assai diversa e talora comple-
tamente insolubile. La concezione teleologica della storia della filosofia dal
pun- to di vista della soluzione
successiva di un compito espresso in un
saldo concetto di filosofia è quindi una considerazione che è giustificata in quanto tale, ed è forse
necessaria e auspicabile nell’interesse
della filosofia così determinata. Ma essa non costi- tuisce di per sé sola tutta la storia della
filosofia. La storia è constatazione
empirica e spiegazione empirica. Se anche nei
confronti di tale oggetto questo compito deve mantenere la sua purezza, esso richiede una trattazione
psicologica e storico-cul- turale. D'altra parte, però — occorre metterlo ancor
più in risalto di fronte alle
inclinazioni e alle tendenze attuali — la filosofia ha l’interesse più vivo a saper conosciuto e
riconosciuto il fatto che questo
processo naturale ha condotto, in virtù della riflessio- ne sulla coscienza normale, a convinzioni che
non esistono sem- plicemente come ne
esistono anche altre e che non sono perve-
nute a validità soltanto perché tale è stato il risultato del corso delle rappresentazioni, ma che posseggono
l’assoluto valore di dover avere
validità. Non bisogna dimenticare che questo pro- dotto della necessità naturale si identifica
con una necessità superiore, quella
normativa. Il movimento empirico del
pensiero umano conquista alla coscienza
normale, l’una dopo l’altra, le sue determinazioni. Noi non sappiamo se esso arriverà a un
termine; ancor meno sappiamo se la
successione storica, in cui ci appropriamo di
alcune di queste determinazioni, abbia un significato che indi- chi una loro connessione interna. Per la
nostra conoscenza, la coscienza normale
rimane un ideale di cui riusciamo a cogliere
soltanto il margine. Il pensiero umano può soltanto o, come scienza empirica, comprendere il singolo dato
nella sua connes- sione causale e nella
sua determinatezza fornita di valore, oppu-
re, come filosofia, riflettere, con l’aiuto dell’esperienza, sui prin- 312 WILHELM WINDELBAND cìpi evidenti di una valutazione assoluta.
Una comprensione completa della totalità della coscienza normale da un punto di
vista scientifico ci è negata. Nell’ambito della nostra esperien- za traluce a
tratti l’ideale; e se dobbiamo essere convinti della realtà di una coscienza
normale assoluta, ciò riguarda la fede personale, non più la conoscenza
scientifica. STORIA E SCIENZA DELLA
NATURA * È un prezioso privilegio del
rettore quello di poter intratte- nere gli ospiti e i colleghi
nell’anniversario della fondazione dell’università, su un oggetto tratto
dall’ambito della disciplina di cui egli si occupa: ma il dovere che
corrisponde a tale privilegio crea particolari preoccupazioni al filosofo.
Certamen- te, gli è relativamente facile trovare un tema che possa contare con sicurezza su un interesse generale. Ma su
questo vantaggio prevalgono di gran
lunga le difficoltà che comporta il modo
specifico di indagine della filosofia. Ogni lavoro scientifico è rivolto a collocare il suo oggetto
particolare in un ambito più vasto e a
decidere le singole questioni sulla base di prospettive più generali. E fin qui la filosofia si
comporta come le altre scienze; ma,
mentre queste possono considerare, con una sicu- rezza sufficiente per l'indagine
specialistica, tali principi come saldi
e dati, alla filosofia è essenziale il fatto che il suo speci- fico oggetto di ricerca è costituito appunto
dai princìpi stessi e che quindi non può
derivare le sue decisioni da qualcosa di
più generale, ma deve di volta in volta determinarsi nel modo più generale. Per la filosofia in senso
stretto non esiste alcuna indagine
specialistica: ogni suo problema particolare estende spontaneamente le sue direttrici fino alle
questioni ultime e supreme. Chi vuol
parlare filosoficamente di cose filosofiche
deve avere sempre il coraggio di prendere posizione in modo complessivo, e deve anche avere il coraggio,
difficile da conser- * Geschichte und
Naturwissenschaft (discorso rettorale tenuto all'Università di Strasburgo, 1894), in Pràludien, Tiibingen,
Verlag von J. C. B. Mohr, 3° cd. 1907,
PP. 355-379 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 314 WILHELM WINDELBAND vare, di condurre i suoi uditori nell’alto
mare delle riflessioni più generali,
dove la terraferma minaccia di scomparire al-
la vista. Da tali riserve il
rappresentante della filosofia potrebbe sen- tirsi tentato o a tracciare
soltanto un quadro storico della sua disciplina o a trovare rifugio nella
particolare scienza empirica che gli indirizzi e le consuetudini accademiche
ancora gli asse- gnano — la psicologia. Anch’essa offre una quantità di oggetti
che toccano chiunque e la cui trattazione promette un bottino tanto più sicuro quanto più vari sono i punti
di vista metodolo- gici e oggettivi che
il vivace movimento di questa disciplina
ha recato in luce negli ultimi decenni. Ma rinuncio a entrambe le vie d’uscita: non voglio né sostenere
l’idea che non esiste più filosofia ma
soltanto storia della filosofia, né quell’altra
secondo cui la filosofia — come Kant l’ha nuovamente fondata — potrebbe restringersi nell’angusta cornice
della scienza spe- cialistica il cui
valore conoscitivo è quello che Kant stesso stima- va di meno tra le discipline teoretiche. In
un'occasione come l'odierna mi sembra
invece doveroso testimoniare che, anche
nella sua forma attuale di rifiuto di ogni pretesa metafisica, la filosofia si sente all’altezza di quelle
grandi questioni a cui deve non soltanto
il contenuto significativo della sua storia, ma
anche il suo valore nella letteratura e la sua posizione nell’inse- gnamento accademico. Così il rischio insito
nel compito mi stimola a illustrare con
un esempio quell’impulso dell'indagine
filosofica per cui ogni problema specifico si allarga fino agli enigmi ultimi della visione umana del mondo e
della vita, e a mostrare qui la
necessità con cui ogni tentativo di recare a intelli- genza piena quanto è apparentemente noto con
chiarezza € semplicità ci spinge,
rapidamente e inarrestabilmente, fino ai
confini estremi della nostra facoltà conoscitiva, circondati di oscuri misteri. Se a questo scopo scelgo un tema tratto
dalla logica, e in particolare dalla
metodologia, dalla teoria della scienza, è per-
ché penso che in questo modo possa venire in luce in modo particolarmente chiaro e comprensibile
l’intima connessione tra il lavoro
filosofico e il lavoro delle altre scienze. La
filosofia non è mai stata né vive estranea alla scienza in un mondo inventato col pensiero, ma è esistita e
sussiste in un WILHELM WINDELBAND
315 ricco scambio reciproco con ogni
conoscenza vitale della realtà e con
tutti i contenuti di valore della vita reale dello spiri- to. Se la sua storia
è stata la storia degli errori umani, il motivo risiede nel fatto che essa
assumeva in buona fede come compiute e certe, dalle teorie delle scienze
particolari, ciò che anche all’interno della scienza poteva valere al massimo
come verità in divenire. Questa connessione vitale tra la filosofia e le altre discipline appare nel modo più chiaro
proprio nello svilup- po della logica,
che non è mai stata altro se non la riflessione
critica sulle forme di conoscenza reale ad essa preesistenti. Mai un metodo fecondo si è sviluppato sulla base
di una costruzione astratta o di
riflessioni meramente formali dei logici: ad essi spetta soltanto il compito di recare alla sua
forma universale ciò che è stato
eseguito con successo nelle singole scienze e di determinare in tal modo il suo significato,
il suo valore conosci- tivo e i limiti
della sua applicazione. Da dove la logica moder- na ha preso — per menzionare l'esempio più
eminente — in antitesi con la sua
progenitrice greca, la rappresentazione
matura dell’essenza dell’induzione? Non dall’enfasi program- matica con cui l’ha raccomandata e
scolasticamente descritta Bacone, bensì dalla
riflessione sull’efficace applicazione che que-
sta forma di pensiero ha ottenuto dai tempi di Keplero e di Galilei nel lavoro specifico della ricerca
naturale, raffinandosi e rafforzandosi
da un problema particolare all’altro.
Sulle medesime connessioni riposano però ovviamente anche i tentativi della logica moderna di
tracciare, nel dominio del sapere umano
sviluppatosi in modo così vario, linee concettual- mente determinate al fine di delimitarne le
singole province. Il mutevole predominio
esercitato negli interessi scientifici del-
l'età moderna dalla filologia, dalla matematica, dalla scienza naturale, dalla psicologia, dalla storia, si
rispecchia nei diversi abbozzi di un
«sistema delle scienze», come si diceva una
volta, o di una « classificazione delle scienze », come viene chia- mata oggi. Gran parte di responsabilità
spetta alla tendenza universalistica
che, disconoscendo l’autonomia dei singoli cam-
pi del sapere, voleva sottoporre tutti gli oggetti alla costrizione di un unico metodo, di modo che per l’articolazione
delle scienze restavano soltanto punti
di vista oggettivi, cioè metafisi- ci.
L’uno dopo l’altro il metodo meccanicistico, il metodo geo- 316 WILHELM WINDELBAND metrico, il metodo psicologico, il metodo
dialettico, e da ulti- mo il metodo storico-evolutivo hanno preteso di ampliare
il loro dominio, dallo stretto campo della loro feconda applicazio- ne
originaria, possibilmente a tutto l’ambito della conoscenza umana. Quanto più
grande appare il contrasto di queste diver- se tendenze, tanto più cresce per
la riflessione della teoria logi- ca il
vasto compito di realizzare una giusta ponderazione di quelle pretese e una separazione equilibrata
dei loro ambiti di validità attraverso
le determinazioni universali della dottrina
della conoscenza. Grazie a Kant si è compiuta la differenziazio- ne metodologica della filosofia dalla
matematica e, nelle linee generali,
anche dalla psicologia. Da allora il secolo xix ha sperimentato accanto a una certa paralisi
dell’impulso filosofi- co, all’inizio
sovraeccitato, una più varia molteplicità di tenden- ze e di movimenti nelle scienze particolari:
nell’appropriarsi di numerosi problemi
di specie nuova l’apparato metodologico si è modificato da tutte le parti, estendendosi e
raffinandosi in misu- ra prima
sconosciuta. Intanto i diversi procedimenti si sono variamente intrecciati tra di loro, e nel
momento in cui ognuno di essi pretendeva una posizione dominante nella visione
del mondo e della vita dei nostri giorni, per la filosofia teoretica sorgevano
nuove questioni. Su tali questioni, senza pretendere affatto di esaurirle,
intendo attirare la vostra attenzione. Non occorre quasi menzionare il fatto
che le divisioni alle quali qui miro non
possono riflettere l’articolazione che Ie scien- ze trovano nella separazione delle facoltà
universitarie. Questa è infatti sorta
dai compiti pratici delle università e dal loro
sviluppo storico. Lo scopo pratico ha spesso unificato ciò che da un punto di vista puramente teoretico doveva
essere separato, e ha staccato ciò che
doveva essere strettamente unificato: lo
stesso motivo ha mescolato per vari versi le discipline propria- mente scientifiche con quelle pratiche e tecniche.
Non si deve però pensare che ciò sia
andato a tutto detrimento dell’attività
scientifica. Piuttosto, le relazioni pratiche hanno anche qui avu- to la conseguenza di provocare uno scambio
tra i diversi campi del sapere più ricco
e vitale di quello prodotto nel caso delle
più astratte combinazioni di un materiale omogeneo, quali av- vengono nelle accademie. Tuttavia i mutamenti
che gli ordina- menti delle facoltà
delle università tedesche hanno subito negli
WILHELM WINDELBAND 317 ultimi
decenni, in modo particolare per quanto riguarda quella che una volta era la facultas artium,
indicano una certa tenden- za ad
attribuire un'importanza maggiore ai motivi metodologi- ci di articolazione. Se si seguono questi motivi con un interesse
soltanto teoreti- co, si può anzitutto assumere come valido il fatto di
contrappor- re la filosofia — e quindi, come sempre, anche la matematica — alle
scienze empiriche. Le prime due possono essere raccolte sotto il vecchio nome
di scienze «razionali », anche se in un significato del termine assai
differente e che non si può qui
discutere più da vicino. Basti per ora esprimere il loro caratte- re comune in forma negativa, dicendo che non
sono indirizzate immediatamente alla
conoscenza di qualcosa che è dato nell’e-
sperienza, anche se le prospettive da esse acquisite possono e debbono essere impiegate a tale scopo nelle
altre scienze. A questo momento
oggettivo corrisponde, dal lato formale, un
comune carattere logico, in quanto entrambe — la filosofia come la matematica — non poggiano mai le loro
affermazioni su singole percezioni o su
masse di percezioni, anche se l’occa-
sione di fatto, psico-genetica, delle loro indagini e delle loro scoperte può risiedere in motivi empirici.
Per scienze empiriche intendiamo invece
quelle che hanno il compito di conoscere
una realtà comunque data e accessibile alla percezione: la loro caratteristica formale consiste quindi nel
fatto che per la fonda- zione dei loro
risultati hanno in ogni caso bisogno, accanto ai presupposti assiomatici universali e alla
correttezza del normale procedimento di
pensiero parimenti richiesta per ogni tipo di
conoscenze, di una constatazione dei fatti attraverso la per- cezione.
Per la divisione di queste discipline dirette alla conoscenza del reale è attualmente corrente la
distinzione tra scienze della natura e
scienze dello spirito: io la considero però, in questa forma, poco felice. Quella tra natura e
spirito è un’antitesi oggettiva che è
pervenuta a una posizione predominante al
tramonto del pensiero antico e agli inizi di quello medievale, e che nella metafisica moderna si è fatta
valere, con la massima decisione, da
Descartes e da Spinoza fino a Schelling e a He-
gel. Se giudico correttamente la disposizione della filosofia più recente e le conseguenze della critica
gnoseologica, questa sepa- 318 WILHELM
WINDELBAND razione rimasta aderente al
modo generale di rappresentazione e di
espressione non può più ora venir ritenuta così sicura e ovvia da diventare senza riesame il
fondamento di una classifi- cazione. A ciò si aggiunga il fatto che a
quest’antitesi tra oggetti non corrisponde un’antitesi tra modi di conoscenza.
Se Locke tradusse il dualismo cartesiano in una formula soggetti- va,
contrapponendo percezione esterna a percezione interna (sensation e reffection)
come organi distinti di conoscenza da un
lato del mondo corporeo esterno, della natura, dall'altro del mondo spirituale interno, la critica della
conoscenza dell’epoca più recente ha
fatto sempre più vacillare questa concezione e
ha per lo meno posto fortemente in dubbio la legittimità dell’as- sunzione di una « percezione interna» come
modo particolare di conoscenza. Non è
neppure ormai possibile ammettere che i
fatti delle cosiddette scienze dello spirito siano fondati
semplice- mente sulla percezione
interna. Ma l’incongruenza tra un prin-
cipio oggettivo e un principio formale di divisione si manifesta soprattutto nel fatto che tra la scienza
della natura e la scienza dello spirito
non è possibile inserire una disciplina empirica di tanta importanza come la psicologia, la quale
dev'essere caratte- rizzata in base
all'oggetto solo come scienza dello spirito e, in certo senso, come il fondamento di tutte le
altre scienze, men- tre il suo intero
procedimento, il suo comportamento metodolo-
gico, è dall’inizio alla fine quello delle scienze della natura. Perciò essa ha dovuto accettare talvolta la
designazione di « scienza naturale del
senso interno » o anche quella di « scien-
za della natura spirituale ».
Una divisione che mostri difficoltà di tal genere non ha alcu- na consistenza dal punto di vista
sistematico: ma per ottenerla ha forse
bisogno soltanto di piccole trasformazioni nella sua formu- lazione concettuale. In che cosa consiste
l'affinità metodologica della psicologia
con le scienze naturali? Evidentemente nel
fatto che anch'essa, al pari di queste, constata, raccoglie ed elabora i fatti soltanto dal punto di vista e
allo scopo di intende- re la conformità
a leggi generali a cui questi fatti sono sot-
toposti. Certamente la diversità degli oggetti comporta che i metodi particolari di accertamento dei fatti,
nonché il modo della loro utilizzazione
induttiva e la formulazione alla quale
possono venir ricondotte le leggi scoperte, siano molto differen- WILHELM WINDELBAND 319 ti; e sotto questo aspetto la distanza
della psicologia, per esem- pio, dalla
chimica è di poco maggiore a quella che intercorre tra la meccanica e la biologia.
Ma — ed è questo che qui importa — tutte queste differenze di carattere
oggettivo stanno in secondo piano rispetto all'identità logica che tali
discipline posseggono per quanto riguarda il carattere formale dei loro fini
conoscitivi: esse cercano sempre leggi dell’accadere — sia che si tratti di un movimento di corpi, di
una trasformazione di materia, di uno
sviluppo della vita organica o di un proces-
so del rappresentare, del sentire e del volere. Viceversa, la maggior parte delle discipline
empiriche, che sono state da parte di
altri designate come scienze dello spiri-
to, è decisamente diretta a rappresentare nel modo più compiu- to ed esauriente un evento singolo, più o
meno esteso, con una sua realtà
singolare e limitata nel tempo. Anche da questo lato gli oggetti e gli strumenti tecnici
particolari con cui è assicura- ta la
loro comprensione sono quanto mai diversi. Si può infatti trattare di un singolo avvenimento o di una
serie complessiva di azioni e di
vicende, dell'essenza e della vita di un singolo uomo o di un intero popolo, del carattere
specifico e dello sviluppo di una
lingua, di una religione, di un ordinamento
giuridico, oppure di un prodotto letterario, artistico, scientifico — e ognuno di questi oggetti richiede una
trattazione adeguata alla sua
particolare fisionomia. Ma sempre lo scopo conoscitivo rimane quello di riprodurre e di intendere
nella sua realtà di fatto una formazione
della vita umana, che si è presentata nella
sua configurazione singolare. È chiaro che con ciò si designa l’intero
ambito delle discipline storiche. Noi ci troviamo quindi di fronte a una
divisione puramente metodologica delle scienze empiriche, che deve essere
fondata su concetti logici sicuri. Il principio di divisione è costitui- to dal
carattere formale dei loro fini conoscitivi. Le une cerca- no leggi generali, le altre fatti storici
particolari: per esprimer- ci nel
linguaggio della logica formale, il fine delle une è il giudizio generale, apodittico, mentre quello
delle altre è la proposizione singolare,
assertoria. Questa distinzione si ricolle-
ga così a quell’importantissimo e decisivo rapporto presente nell’intelletto umano, che fu riconosciuto da
Socrate come la relazione fondamentale
di ogni pensiero scientifico: il rapporto
320 WILHELM WINDELBAND
dell’universale con il particolare. A partire da questo punto si è divisa la metafisica antica, in quanto
Platone cercava la real- tà negli
immutabili concetti di genere, mentre Aristotele la cercava nell’essere singolo che si sviluppa
secondo uno scopo. La moderna scienza
della natura ci ha insegnato a definire ciò che è in base alle necessità
durevoli dell’accadere che in esso sì compie; ha messo la legge naturale al
posto dell’idea platonica. Perciò possiamo dire che nella conoscenza del reale
le scien- ze empiriche cercano o il generale nella forma di legge di natura o
il singolare nella forma storicamente determinata; esse considerano da un parte la forma sempre
permanente, dall’altra il contenuto
singolare, in sé determinato, dell’accade-
re reale. Le prime sono scienze di leggi e le seconde sono scienze di avvenimenti; quelle insegnano ciò
che è sempre, e queste ciò che è stato
una volta. Il pensiero scientifico — se è
consentito elaborare nuove espressioni — è nel primo caso n0- motetico, nel secondo idiografico. Se
vogliamo attenerci alle vecchie espressioni,
possiamo pure parlare in questo senso di
un’antitesi tra discipline naturali e discipline storiche, fermo restando che in questo senso metodologico lo
psicologia dev’es- sere senz’altro compresa
tra le scienze naturali. In generale,
rimane da considerare che quest’antitesi meto-
dologica classifica solo il modo di trattazione e non il contenu- to del sapere. Resta possibile — ed è di
fatto vero — che gli stessi oggetti
possono essere sottoposti a un'indagine nomotetica e al tempo stesso a un'indagine idiografica.
Ciò dipende dal fatto che l’antitesi tra
il sempre eguale e il singolare è, per un
certo verso, relativa. Ciò che all’interno di periodi di tempo assai grandi non subisce nessun mutamento
immediatamente percepibile e può quindi
venir considerato nomoteticamente in
base alle sue forme immutabili, può tuttavia risultare da una prospettiva ulteriore valido per un periodo
di tempo pur sem- pre limitato, cioè
qualcosa di singolare. Così una lingua è
dominata, in tutte le applicazioni particolari, dalle sue leggi formali, che rimangono le medesime in ogni
mutamento dell’e- spressione; ma d’altra
parte questa stessa lingua particolare,
con le sue specifiche leggi formali, è soltanto una manifestazio- ne singolare e transitoria nella vita
linguistica dell’uomo. Lo stesso vale
per la fisiologia del corpo, per la geologia e in un WILHELM WINDELBAND 32I certo senso perfino per l'astronomia: con
ciò il principio stori- co viene
trasferito nel campo delle scienze naturali.
L’esempio classico a questo proposito è costituito dalla scien- za della
natura organica. Come sistematica, essa riveste caratte- re nomotetico in
quanto, nel paio di millenni per cui è stata finora condotta l’osservazione
umana, può considerare i tipi identici dell'essere vivente come la loro forma
conforme a leg- gi. In quanto storia dello sviluppo, che rappresenta
l’intera successione degli organismi
terrestri come un processo di discen-
denza o di trasformazione che si compie gradualmente nel corso del tempo e la cui ripetizione su
qualche altro pianeta non soltanto non
possiede nessuna garanzia di certezza, ma
neppure qualche probabilità, essa è invece una disciplina idio- grafica, cioè storica. Già Kant, anticipando
il concetto della moderna teoria della
discendenza, chiamava colui che avesse
osato affrontare quest’« avventura della ragione » col nome di futuro « archeologo della natura ». Se ci chiediamo come la teoria logica si sia
finora atteggiata nei confronti di
quest’antitesi decisiva tra le scienze partico-
lari, ci imbattiamo esattamente nel punto in cui questa è rima- sta più che altrove bisognosa di riforma. Il
suo intero sviluppo mostra la più decisa
predilezione per le forme di pensiero no-
motetico. Certamente si tratta di un fatto ben spiegabile. Dal momento che ogni ricerca e dimostrazione
scientifica si svolge nella forma del
concetto, l’indagine sull’essenza, sulla fondazio- ne e sull’applicazione di ciò che è generale
rimane l'interesse più prossimo e più
importante della logica. A ciò si aggiunga
l'influenza del corso storico. La filosofia si è sviluppata muoven- do da ricerche di scienza naturale, dalla
questione della pbsic, cioè dalla
permanenza dell'essere nel mutare dei fenomeni; e seguendo un corso parallelo — che non mancava
neppure della mediazione causale
rappresentata dalla tradizione storica del
Rinascimento — la filosofia moderna è pervenuta alla propria autonomia con l’aiuto della scienza della
natura. Perciò non poteva accadere se
non che la riflessione logica si rivolgesse in
primo luogo alle forme di pensiero nomotetico, facendo dipen- dere durevolmente da queste le sue teorie
generali. Ciò vale ancor sempre: tutta
la nostra dottrina tradizionale del concet-
to, del giudizio e del sillogismo è ancor sempre ritagliata sul 21, STORICISMO TEDESCO. 322 WILHELM WINDELBAND presupposto aristotelico che il principio
generale sta al centro dell'indagine logica. Basta aprire un qualsiasi manuale
di logi- ca per convincersi che non soltanto la grande maggioranza degli esempi
viene scelta dalle discipline matematiche e dalle scienze naturali, ma che
anche i logici che si mostrano piena- mente sensibili al carattere specifico
della ricerca storica cerca- no pur
sempre i punti di riferimento ultimi delle loro teorie sul versante del pensiero nomotetico. Sarebbe
auspicabile — ma le premesse in questo
senso sono ancora troppo scarse — che la
riflessione logica rendesse giustizia alla grande realtà presente nel pensiero storico, nella stessa misura in
cui ha inteso coglie- re le forme
dell'indagine naturale fin nei suoi particolari. Concedetemi per ora di considerare un po’ da
vicino il rapporto tra sapere nomotetico
e sapere idiografico. Come si è detto,
all’indagine naturale e alla conoscenza storica è comune il carattere di scienza empirica: entrambe
hanno cioè come punto di partenza — o,
in termini logici, come premesse delle
loro dimostrazioni — delle esperienze, dei fatti della percezio- ne. Esse coincidono inoltre nel fatto che né
l’una né l’altra possono appagarsi di
ciò che l’uomo ingenuo pensa solitamente
di esperire. Entrambe hanno bisogno, come loro fondamento, di un'esperienza scientificamente purificata,
criticamente vaglia- ta e sottoposta a
esame nel lavoro concettuale. Nella stessa
misura in cui bisogna disciplinare accuratamente i propri sensi per stabilire le sottili distinzioni presenti
nella conformazione di esseri
strettamente imparentati, per vedere con successo attra- verso un microscopio, per cogliere con
sicurezza Îa sincronia dell’oscillazione
di un pendolo e della posizione di una lancet-
ta, nello stesso modo occorre fatica per determinare il carattere specifico di una scrittura, per osservare lo
stile di uno scrittore o per cogliere
l'orizzonte spirituale e l'ambito di interessi di una fonte storica. Per natura l’una e l’altra
cosa possono essere fatte soltanto in
maniera imperfetta. Se quindi la tradizione
del lavoro scientifico ha fatto sorgere, in entrambe le direzio- ni, una quantità di strumenti tecnici sempre
più raffinati — di cui il discepolo
della scienza si appropria nella pratica — ogni
metodo specifico poggia da un lato su punti di vista oggettivi già acquisiti o per lo meno accolti in via
ipotetica, dall’altro su connessioni
logiche spesso assai complicate. Qui occorre osserva- WILHELM WINDELBAND 323 re di nuovo che finora l’interesse della
logica si è rivolto molto di più alla tendenza nomotetica che alla tendenza
idiografica. Sul significato metodologico degli strumenti di precisione, sul-
la teoria dell’esperimento, sulla determinazione della probabili- tà in base a
molteplici osservazioni di un medesimo oggetto, e su questioni analoghe, si
hanno indagini logiche approfondite; ma
i problemi paralleli della metodologia storica non hanno trovato eguale attenzione da parte della
filosofia. Ciò è connes- so con il fatto
che — com'è nella natura stessa della cosa, e
come conferma la storia — l’ingegno e l’opera della filosofia e della scienza naturale si sono incontrati
molto più spesso di quanto non sia
avvenuto tra la filosofia e la storia. Eppure
sarebbe di estremo interesse per la dottrina generale della cono- scenza portare alla luce le forme logiche in
base alle quali si compie, nella ricerca
storica, la critica reciproca delle percezio-
ni, formulare le «massime di interpolazione » delle ipotesi e determinare così anche qui quale parte
assumono nell’edificio della conoscenza
del mondo, che si sorregge reciprocamente
con tutti i suoi elementi, da una parte i fatti e dall’altra i presupposti generali con cui li
interpretiamo. Tutte le scienze
empiriche coincidono in definitiva però nel
principio ultimo, che consiste nell’accordo senza contraddizio- ne di tutti gli elementi della
rappresentazione relativi al medesi- mo
oggetto: la distinzione tra indagine naturale e storia ha inizio soltanto dove si tratta di utilizzare
i fatti a scopo conosci- tivo. Qui
vediamo che l’una cerca leggi, l’altra forme. Nella prima il pensiero conduce dall’accertamento
del particolare al- l'apprendimento di
relazioni generali, mentre nella seconda es-
so si arresta alla caratterizzazione accurata del particolare. Per lo scienziato naturale il singolo oggetto dato
alla sua osservazio- ne non possiede
mai, in quanto tale, valore scientifico; esso gli serve solo in quanto si ritiene giustificato
a considerarlo come un tipo, come un
caso specifico di un concetto di genere, e a
trarne fuori questo concetto: in ciò egli riflette soltanto su quei caratteri che sono appropriati alla comprensione
di una generalità conforme a leggi. Allo
storico si pone invece il compito di far
rivivere una formazione del passato nella sua
intera configurazione individuale, rendendola idealmente pre- sente. Egli deve compiere nei confronti di
ciò che è realmente 324 WILHELM
WINDELBAND esistito un’opera analoga a
quella dell’artista nei confronti di ciò che è nella sua fantasia. Qui ha le
sue radici l’affinità della creazione storica con quella estetica, delle
discipline storiche con le Belles lettres. Da ciò consegue che nel pensiero
naturalistico predomina la tendenza all’astrazione, nel pensiero storico quella
all’intuitivi- tà. Quest’affermazione risulterà inattesa soltanto a chi si è
abi- tuato a limitare
materialisticamente il concetto di intuizione
alla recezione psichica di ciò che è presente in modo sensibile, e ha dimenticato che c’è intuitività — cioè
vitalità individuale di ciò che è
presente idealmente — tanto per l’occhio dello
spirito quanto per l'occhio del corpo. Certamente quella conce- zione materialistica è al giorno d’oggi molto
diffusa, ma susci- ta serie riserve.
Quanto più ci si abitua, ovunque si presentano
delle rappresentazioni, a mettere in evidenza il più possibile quel che vi è da toccare e da vedere, tanto più si
espone la sponta- nea facoltà
dell’intuizione — a causa del prevalere dell’intuizio- ne ricettiva — al pericolo di rattrappirla
per mancanza di esercizio, e poi ci si
meraviglia quando la fantasia sensibile
diventa pigra e incapace di funzionare non appena non può più toccare e vedere in modo corporeo. Per la
pedagogia vale infatti lo stesso che per
l’arte, e in particolare per l’arte dram-
matica, dove oggi ci si dà ogni pena per tenere impegnati gli occhi, sicché non rimane più nulla per
l’intuizione interiore delle forme
poetiche. Che però la forza
dell’indagine naturale consista nell’astra-
zione e invece quella della storia nell’intuitività, risalta ancor più chiaramente se si comparano i risultati
della loro ricerca. Per quanto intricato
possa essere il lavoro concettuale di cui la
critica storica ha bisogno per elaborare i dati della tradizione, il suo fine ultimo è tuttavia quello di
trarre fuori dalla massa del materiale
la vera forma del passato per tradurlo in chiarez- Za piena di vita; ciò che essa fornisce sono
immagini di uomini e di vita umana, con
tutta la ricchezza delle loro configurazio-
ni singolari, conservate nella loro piena vitalità individuale. Così per bocca della storia ci parlano lingue
e popoli passati, sollevati dalla
dimenticanza a nuova vita, e così pure la loro
fede e le loro figure, la loro lotta per il potere e per la
libertà, la loro poesia e il loro
pensiero. Quanto diverso è il mondo che
WILHELM WINDELBAND 325
l'indagine naturale costruisce davanti ai nostri occhi! Per quanto
intuitivi possano essere i suoi punti di partenza, i suoi scopi conoscitivi
sono le teorie, sono le formulazioni — in ulti- ma istanza matematiche — delle
leggi del movimento: essa lascia dietro di sé — in modo autenticamente
platonico — la singola cosa sensibile che nasce e perisce, in un’apparenza priva di realtà, e aspira alla conoscenza
della necessità legale che domina, in
un'immutabilità atemporale, ogni accadere. Dal
variopinto mondo dei sensi essa estrae un sistema di concetti costruttivi entro cui vuol cogliere la vera
essenza delle cose che sta dietro i
fenomeni, un mondo di atomi, incolore e muto,
senza la terrestre fragranza delle qualità sensibili — il trionfo del pensiero sulla percezione. Indifferente a
ciò che è transito- rio, essa getta la
sua àncora in ciò che rimane eternamente
eguale a se stesso. Non cerca il mutevole in quanto tale, ma la forma immutabile del mutamento. Ma se l’antitesi tra i due tipi di scienze
empiriche è così profonda, si comprende
perché tra di esse deve scoppiare, ed è
di fatto scoppiata, la battaglia per esercitare un'influenza decisi- va sulla visione generale del mondo e della
vita. Ci si domanda che cosa sia più
prezioso per lo scopo complessivo della nostra
conoscenza, se il sapere concernente le leggi o quello riguardan- te gli eventi, se la comprensione
dell’universale essenza atempo- rale o
quella dei singoli fenomeni temporali. È chiaro fin dall’i- nizio che questa questione può venir decisa
soltanto in base a una riflessione sui
fini ultimi del lavoro scientifico. Mi
limito ad accennare di sfuggita alla valutazione che si fonda sull’utilità. Di fronte ad essa
entrambe le direzioni di pensiero sono
in egual misura legittime. Il sapere riguardante leggi generali ha sempre il valore pratico di
rendere possibile la previsione di
situazioni future e l’intervento in vista di scopi dell’uomo nel corso delle cose. Ciò vale sia
per i movimenti del mondo interno sia
per quelli del mondo materiale esterno:
nell’ultimo, in particolare, la conoscenza acquisita in virtù del pensiero nomotetico consente la produzione
degli strumenti con cui si amplia in
misura sempre crescente il dominio dell’'uo-
mo sulla natura. Ma l’attività diretta a scopi nella vita comune dell’uomo dipende in grado non minore dalle
esperienze del sapere storico. L'uomo è
— per variare un antico detto — l’ani-
326 WILHELM WINDELBAND male che
ha una storia. La sua vita culturale è una connessio- ne storica che diventa
più spessa di generazione in generazio- ne: chi vuole entrare in questa per
cooperarvi in modo attivo deve possedere la comprensione del suo sviluppo. Una
volta spezzatosi questo filo bisogna poi — lo ha mostrato la storia stessa —
rintracciarlo e riannodarlo di nuovo con fatica. Se la cultura contemporanea dovesse essere sepolta
a causa di un evento elementare — o
nella configurazione esterna del nostro
pianeta o nella configurazione interna del mondo umano — possiamo star certi che le generazioni
successive ne scaveranno con diligenza
le vestigia così come noi facciamo con quelle
dell’antichità. Già per questi motivi l'umanità deve portare il suo grande fardello storico, e se col
trascorrere del tempo esso minaccia di
diventare sempre più pesante, al futuro non man- cheranno i mezzi per alleggerirlo con cautela
e senza danno. Ma non è questo l’utile
in questione: qui si tratta infatti del
valore intimo del sapere, non certamente della soddisfazio- ne personale che il ricercatore ha nel suo
conoscere, e soltanto in virtù di esso.
Questo godimento soggettivo che proviene
dalla scoperta e dall’accertamento è in definitiva presente in egual modo in ogni tipo di sapere. La sua
misura viene deter- minata molto meno
dall’importanza dell’oggetto che dalla dif-
ficoltà dell'indagine. Senza
dubbio vi sono accanto a ciò distinzioni oggettive, c quindi puramente teoretiche, nel valore
conoscitivo degli ogget- ti: ma la loro
misura non è altro che il grado in cui essi
contribuiscono alla conoscenza complessiva. L’elemento singolo rimane oggetto di curiosità oziosa se non
diventa pietra di costruzione in una
struttura più generale. In senso scientifico il
« fatto » è così già un concetto teleologico. Non una qualsiasi realtà costituisce un fatto per la scienza,
ma soltanto ciò da cui — per dirla in
breve — essa può apprendere qualcosa. Questo
vale soprattutto per la storia. Accadono molte cose che non sono fatti storici. Che nel 1780 Goethe si
sia fatto costruire una campana di casa
e una chiave, e il 22 febbraio una cassetta per
le lettere, è documentato dal conto di un fabbro tramandato in modo assolutamente autentico: ciò è quindi
accaduto del tutto realmente e con
certezza, ma non per questo è un fatto storico
— né storico-letterario, né biografico. Si deve d’altra parte
obiet- WILHELM WINDELBAND 327 tare che è impossibile, entro certi limiti,
decidere in anticipo se al singolo elemento, a ciò che si offre all’osservazione
o alla tradizione, spetti o no questo valore di «fatto». Perciò la scienza deve
fare come Goethe in tarda età: fare provvista, raccogliere ciò di cui può
impadronirsi, paga dell’idea di non trascurare nulla di ciò che potrebbe
utilizzare in seguito, e della fiducia
che il lavoro delle generazioni future — nella
misura in cui non ne sarà impedito dalle vicende esteriori della tradizione — conserverà, come un grande
setaccio, quan- to è utilizzabile e
lascierà cadere ciò che è inutile. Ma
questo scopo essenziale di ogni sapere particolare, cioè lo scopo di inserirsi in un grande complesso
unitario, non è affatto limitato alla
subordinazione induttiva del particolare al
concetto di genere o al giudizio universale: esso si realizza in egual misura dove la caratteristica singola
diventa elemento significativo di
un’intuizione complessiva. Quell’attenersi a ciò che è conforme al genere è una unilateralità
del pensiero greco, diffusasi dagli
Eleati fino a Platone, che trovava il vero essere, come la vera conoscenza, soltanto
nell’universale. Da lui si è poi
trasmessa fino ai giorni nostri, in cui Schopenhauer si è fatto portavoce di questo pregiudizio
rifiutando alla storia il valore di
scienza autentica perché essa coglierebbe sempre il particolare, e mai l’universale. È certamente
esatto che l'intellet- to umano può
rappresentarsi il molteplice soltanto perché co- glie il contenuto comune dei singoli elementi
dispersi; ma quanto più aspira al
concetto e alla legge, tanto più deve
lasciare dietro di sé il singolare in quanto tale, dimenticarlo e abbandonarlo. È ciò che vediamo laddove si
tenta, in modo specificamente moderno,
di « fare della storia una scienza natu-
rale », come si è proposta la cosiddetta filosofia della storia del positivismo. Che cosa rimane in definitiva,
in una simile indu- zione di leggi,
della vita dei popoli? Un paio di banali generali- tà, che si fanno scusare soltanto se
accompagnate da un’accura- ta analisi
delle loro numerose eccezioni. Di
fronte a ciò occorre tener fermo il fatto che ogni interes- se e ogni valutazione, ogni determinazione di
valore dell’uomo si riferiscono al
singolo e a ciò che è singolare. Pensiamo soltan- to come si indebolisce presto
il nostro sentimento non appena il suo oggetto si moltiplica o si mostra come
un caso eguale tra 328 WILHELM WINDELBAND mille. «Non è la prima» — così suona
uno dei passi più crudeli del Faust!. Nella singolarità e
nell’incomparabilitàdel- l'oggetto si radicano tutti i nostri sentimenti di
valore. Su ciò poggia la dottrina spinoziana
del superamento dei moti dell’ani- mo
attraverso la conoscenza: per essa la conoscenza è infatti un tuffarsi del particolare nell’universale,
del singolare nel- l'eterno. Ma che ogni valutazione vitale dell’uomo
dipenda dall’unici- tà dell’oggetto,
risulta anzitutto dalla nostra relazione con le
personalità. Non è forse un'idea insopportabile che un essere caro e amato possa esistere tal quale anche
soltanto una seconda volta? Non è
pauroso e impensabile che debba esistere nella
realtà un secondo esemplare di noi stessi, con questa nostra peculiarità individuale? Di qui l’orrore, la
spettralità inerente alla
rappresentazione del sosia — anche se a una distanza tem- porale molto grande. È sempre stato per me
penoso il fatto che un popolo pieno di
gusto e di sentimenti raffinati come quello
greco si sia abbandonato alla dottrina, che attraversa tutta la sua filosofia, secondo cui nel ricordo
periodico di tutte le cose deve
ritornare anche la personalità, con tutto il suo agire e il suo patire. Come è svalutata la vita se si
conosce con esattezza quante volte è già
esistita e quante volte si ripeterà! com'è
spaventosa l’idea che già una volta io sono vissuto e ho sofferto, ho desiderato e lottato, amato e odiato,
pensato e voluto, e che quando il grande
anno cosmico è trascorso e il tempo ritorna,
devo recitare sempre di nuovo lo stesso ruolo sulla stessa sce- nal E ciò che vale per la vita individuale
dell’uomo vale ancor più per l’insieme
del processo storico: esso ha valore soltanto
se è singolare. Questo è il principio che la filosofia cristiana ha vittoriosamente affermato nella Patristica
contro l’Ellenismo. Al centro della
visione del mondo erano in primo piano la
caduta e la redenzione del genere umano come fatti singolari. Si trattava della prima grande e forte
percezione dell’inalienabi- le diritto
metafisico della conoscenza storica, ossia del diritto di mantenere il passato, in questa sua realtà
singolare, per il ricordo
dell’umanità. 1. GoerHE, parte I, scena
« Giornata cupa - campagna » (è la scena in prosa, im- mediatamente successiva al « Sogno della
notte di Valpurga »). WILHELM WINDELBAND
329 D'altra parte le scienze idiografiche hanno però bisogno a ogni passo di
princìpi generali, che possono prendere a pre- stito in una fondazione
completamente corretta soltanto dalle discipline nomotetiche. Ogni spiegazione
causale di un processo storico presuppone rappresentazioni generali del corso
delle co- se; e se si vuol ricondurre le dimostrazioni storiche alla loro pura forma logica, esse conservano sempre —
come premesse supreme — le leggi
naturali dell’accadere, in particolare dell’ac-
cadere psichico. Chi non avesse alcuna notizia del modo in cui gli uomini pensano, sentono e vogliono, non
naufragherebbe soltanto nell’abbracciare
insieme i singoli eventi per giungere
alla conoscenza degli avvenimenti, ma già nell’accertamento critico dei fatti. È certamente assai strano
con quanta indulgen- za siano state in
fondo accolte le pretese della scienza dello
spirito nel campo della psicologia. Il grado notoriamente molto imperfetto con cui sono state finora
formulate le leggi della vita psichica
non è mai stato di impedimento agli storici: in
virtù di una conoscenza naturale dell’uomo, in virtù della sensi- bilità e dell’intuizione geniale essi
sapevano quel che basta a intendere gli
eroi e le loro azioni storiche. Ciò dà molto da
pensare e mette seriamente in dubbio se la concezione dei processi psichici elementari, impostata dai
moderni secondo uno schema
matematico-naturale, possa fornire un contributo apprezzabile alla nostra comprensione della
vita reale del- l’uomo. Nonostante tali insufficienze di
realizzazione nel caso singo- lo appare
chiaramente che nella conoscenza complessiva, in cui ogni lavoro scientifico deve in definitiva
unificarsi, questi due momenti rimangono
l’uno accanto all’altro nella loro particolare
posizione metodologica. Quella conformità delle cose a leggi ge- nerali offre il saldo quadro della nostra
immagine del mondo esprimendo, al di
sopra di ogni mutamento, l'essenza eterna-
mente eguale del reale; e all’interno di questo quadro si dispie- ga alla memoria della specie la connessione
vivente di tutte le singole
configurazioni fornite di valore per l'umanità. Questi due momenti del sapere umano non
possono essere ricondotti a una fonte
comune. Certamente la spiegazione cau-sale del singolo accadimento con la sua
riduzione a leggi gene- rali induce a ritenere che dovrebbe essere possibile,
in ultima 330 WILHELM WINDELBAND istanza, comprendere in base alla conformità
delle cose a leggi naturali anche la particolare configurazione storica
dell’evento reale. Così Leibniz riteneva che tutte le vérités de fai: abbiano
le loro cause sufficienti nelle vérizés eternelles. Ma egli poteva postularlo
soltanto per il pensiero divino, non realizzarlo per quello umano. È possibile
illustrare questo punto con un semplice schema logico. Nella considerazione
causale qualsiasi evento partico- lare assume la forma di un sillogismo in cui
la premessa mag- giore è una legge naturale, ossia un certo numero di necessità
legali, la premessa minore è una condizione data nel tempo o un complesso
unitario di condizioni del genere, e infine la conclusione è il singolo
avvenimento reale. Nello stesso modo in cui la conclusione presuppone dal punto
di vista logico le due premesse, l’accadere presuppone due specie di cause: da
un lato la necessità atemporale in cui si esprime l’essenza durevo- le delle
cose, dall’altro la condizione particolare che si pre- senta in un determinato
momento del tempo. La causa di un'esplosione è nel primo significato — quello
nomotetico — la natura del materiale esplosivo che esprimiamo in forma di leggi
fisico-chimiche, mentre nell’altro significato — quello idiografico — è un
movimento singolo, cioè una scintilla, una vibrazione o qualcosa di simile.
Soltanto i due elementi presi insieme causano e spiegano l'avvenimento, ma
nessuno è una conseguenza dell’altro: la loro connessione non appare fonda- ta
in essi stessi. Quanto poco la premessa minore presente nella sussunzione
sillogistica è una conseguenza di quella mag- giore, altrettanto poco nel corso
dell’accadere la condizione che si aggiunge all’essenza universale della cosa
può essere derivata da questa essenza legale. Occorre piuttosto ricondurre a
sua volta questa condizione, in quanto evento temporale, a un’altra condizione
temporale da cui essa è derivata secondo una necessità legale; e così via 17
infinitum. Non si può pensa- re concettualmente un termine iniziale di questa
serie infinita; e anche quando si tenti di rappresentarlo, la situazione
iniziale risulterà pur sempre qualcosa di nuovo che si aggiunge all’es- senza
universale delle cose, senza derivare da essa. Spinoza ha espresso questo punto
attraverso la distinzione tra due forme di causalità, quella infinita e quella
finita, e ha così eliminato WILHELM WINDELBAND 33I con geniale semplicità molte
obiezioni su cui i logici moderni si sono affannati 2 proposito del « problema
della pluralità del- le cause». Nel linguaggio della scienza odierna si
potrebbe dire che lo stato presente del mondo consegue dalle leggi gene- rali
della natura soltanto presupponendo lo stato immediata- mente precedente, e
questo a sua volta presupponendo il suo precedente, e così via; ma una
particolare determinata disposi- zione degli atomi non deriva mai dalle leggi
generali del movi- mento. Da nessuna « formula universale » si può pervenire
im- mediatamente alla particolarità di un singolo punto tempora- le: a questo
scopo occorrerebbe ancor sempre la subordinazio- ne alla legge dello stato
precedente. Dal momento che non esiste alcun termine fondato su leggi generali
al quale si possa pervenire seguendo a ritroso la catena causale delle
condizioni, nessuna sussunzione sotto quel- le leggi può aiutarci ad analizzare
il dato temporale fino ai suoi fondamenti ultimi. In ogni esperienza storica e
individuale rimane quindi per noi un residuo di incomprensibilità — qual- cosa
che non può essere espresso né definito. In tal modo l'essenza ultima e intima
della personalità resiste all’analisi condotta con categorie generali; e questo
elemento impenetrabi- le si manifesta alla nostra coscienza come il sentimento
dell’irri- ducibilità causale del nostro essere, cioè come il sentimento della
libertà individuale. A questo punto è già venuta fuori una quantità di concetti
e di problemi metafisici. Per quanto quelli possano essere infelici e questi
mal posti, ne sussiste pur sempre il motivo. L'insieme del dato temporale si
manifesta nella sua indeducibile autono- mia accanto alla conformità a leggi
generali in base alle quali esso pure si realizza. Il contenuto dell’accadere
del mondo non può essere compreso in base alla sua forma. Su questo scoglio
sono naufragati tutti i tentativi di derivare concettualmente il particolare
dal generale, i «molti» dall’«uno», il «finito» dall’« infinito »,
l’«esistenza» dall’« essenza ». Si tratta di una frattura che i grandi sistemi
di spiegazione filosofica del mon- do sono soltanto riusciti a nascondere, ma
non a riempire. Ciò è quanto vide Leibniz allorché indicò l’origine delle vérités
eternelles nell’intelletto divino e l'origine delle vérités de fait nella
volontà divina. Ciò è quanto vide Kant allorché 332 WILHELM WINDELBAND trovò
nel felice ma inafferrabile fatto che tutto quanto è dato nella percezione può
essere ricondotto sotto le forme dell’intel- letto, e quindi ordinato e
compreso, un indizio di connessioni teleologiche divine che va molto al di là
del nostro sapere teoretico. Di fatto nessun pensiero può fornire risposte
conclusive a ta- li questioni. La filosofia può mostrare fin dove giunge la
forza conoscitiva delle singole discipline; ma al di là di queste, nep- pure
essa può conquistare un punto di vista oggettivo. La legge e l'avvenimento
rimangono l’una accanto all’altro come le gran- dezze ultime e incommensurabili
della nostra rappresentazione del mondo. Qui sta uno dei punti-limite in cui il
pensiero scientifico può soltanto determinare il compito e porre la que-
stione, con la chiara coscienza che non sarà mai in grado di risolverli.
HEINRICH RICKERT NOTA BIOGRAFICA Heinrich Rickert nacque a Danzica il 25 maggio
1863. Frequentò dapprima l’Università di Berlino e poi quella di Strasburgo,
dove nel 1888 conseguì il dottorato — sotto la guida di Windelband — con la
dissertazione Zur Lehre von der Definition (Freiburg i.B., 1888). Dopo aver
ottenuto l’abilitazione a Heidelberg, con il volume Der Gegenstand der
Erkenntnis (Tibingen, 1892), diventa professore all'Università di Friburgo, dove
nel 1894 succede al filosofo positivista Alois Riehl. In questo periodo egli
pubblica le sue opere più significative, da Die Grenzen der
naturwissenschafilichen Begriffsbildung (Tiibingen, 1896-1902, 19132, 1921°4,
19299) a Kulturwissenschaft und Naturwis- senschaft (Tibingen, 1899, 1910°,
1915*, 192145, 192647), dal saggio Geschichisphilosophie (Heidelberg, 1905) ad
alcuni importanti articoli sulla teoria dei valori apparsi nella rivista «
Logos ». Nel 1916, dopo la morte di Windelband, gli succede sulla cattedra di
Heidelberg, dove continuerà a insegnare fino alla morte, avvenuta il 28 luglio
1936. Anche Rickert muove da un’impostazione neocriticistica, e in questa
prospettiva egli affronta, in Der Gegenstand der Erkenntnis, il proble ma del
rapporto tra soggetto e oggetto. Ma già in questo libro la garanzia della
validità della conoscenza viene individuata in un « dover essere » che appare
indipendente dalle condizioni psicologiche del cono- scere, cosicché l’analisi
gnoseologica risulta ricondotta ai presupposti della teoria dei valori.
Successivamente, in Die Grenzen der naturtwis- senschaftlichen Begriffsbildung
e in Kulturwissenschaft und Naturivis- senschaft, Rickert riprende la
distinzione windelbandiana tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche
cercando di recuperare, al tempo stesso, una distinzione oggettiva tra la
natura e il mondo storico-sociale, identificato con la cultura. Egli cerca infatti
di derivare dalla distinzione tra i due gruppi di discipline, e dalla diversità
del loro orientamento conoscitivo, le caratteristiche differenzianti della
natura e della cultura. La medesima realtà si presenta come natura oppure come
cultura secon- do il punto di vista dal quale essa è considerata: perciò la
natura è la realtà considerata in riferimento al generale, cioè determinata
nella sua struttura di leggi, mentre la cultura è la realtà considerata in
riferimen- to all’individuale, cioè costituita da un complesso di fatti e di
rapporti 336 HEINRICH RICKERT particolari. Ma l’individualità dell'oggetto
storico non è altro, per Ri- ckert, che la sua relazione con determinati valori
culturali, i quali presiedono all’elaborazione concettuale della conoscenza
storica e valgono come suoi criteri di scelta. Scienza naturale e conoscenza
storica si differenziano quindi non soltanto per il loro diverso orientamento
cono- scitivo e per il diverso modo di configurarsi della realtà che
costituisce il loro oggetto, ma anche per la presenza o l’assenza di un
riferimento ai valori: mentre la conoscenza della natura prescinde da qualsiasi
relazione di valore, cosicché la natura si presenta come un sistema di rapporti
regolati da leggi generali, la conoscenza storica seleziona il dato empirico in
base a criteri di valore. La cultura — oggetto della conoscenza storica — è
perciò la realizzazione storica dei valori, di valori incondizionati che
sussistono di per sé, indipendentemente dall’e- ventuale riconoscimento che'
possono ricevere da parte degli uomini. Questo rapporto con i valori
costituisce il « senso» della cultura, e dà perciò significato all’azione
storica degli individui e alle varie forme storiche di cultura. Negli anni
successivi al 1g1o Rickert appare sempre più impegnato nel tentativo di dare
una formulazione sistematica della teoria dei valori, alla quale fa riscontro
un’interpretazione metafisica del processo storico. E questo tentativo appare
accompagnato, soprattutto in Die Philosophie des Lebens (Tibingen, 1920), dalla
presa di posizione pole- mica contro i più svariati indirizzi della filosofia del
Novecento, respon- sabili ai suoi occhi di negare la trascendenza e
l’assolutezza dei valori e ricondotti all’etichetta della filosofia della vita
— una designazione che serve per qualificare tanto Nietzsche, Dilthey, Simmel,
Spengler, quanto James e Bergson, e che verrà in seguito estesa anche a Weber e
a Jaspers. Nel primo volume, il solo pubblicato, del System der Philoso- phie
(Tibingen, 1921), Rickert cerca di elaborare un sistema dei valori fondato
sulla distinzione di sei sfere di valori: tre sfere di carattere contemplativo,
che sono quelle della scienza, dell’arte e della religiosità, e tre sfere di
carattere pratico, che sono quelle della comunità etica, della comunità erotica
e della comunità religiosa con la divinità. In questo quadro la storia viene
interpretata come l'organo di riconoscimen- to dei valori, in quanto questi,
pur avendo una loro autonoma esistenza su un piano trascendente rispetto alla
realtà empirica, possono essere individuati soltanto sulla base di determinati
beni culturali storicamente realizzati. L'ultima fase del pensiero di Rickert —
da Die Logik des Pridikats und das Problem der Ontologie (Heidelberg, 1930) a
Grundprobleme der Philosophie (Tibingen, 1934) e ai saggi raccolti nel volume
postumo Unmittelbarkeit und Sinndeutung (Tibingen, 1939) — è caratterizzato
dall'accentuazione del carattere ontologico della teoria dei valori e dal
HEINRICH RICKERT 337 duplice richiamo a Hartmann e a Heidegger. I! problema del
rapporto tra cultura e mondo dei valori viene a configurarsi come il problema
del posto dell’uomo nel mondo; e l’analisi antropologica appare fondata sulla
determinazione del legame dell’uomo con i diversi modi dell’esse- re. L'uomo
nasce e cresce come essere naturale, e diventa «uomo culturale » ponendosi in
relazione con i valori, cioè con una realtà trascendente che stabilisce il
senso della sua esistenza e del suo sforzo di realizzazione storica dei valori.
22. STORICISMO TEDESCO. NOTA BIBLIOGRAFICA Ricordiamo qui le altre opere di
Rickert: Psycho-physische Kausalitàt und psycho-physischer Parallelismus,
Tibingen, 1900; Das Eine, die Ein- heit und die Eins: Bemerkungen zur Logik des
Zahlbegriffs, Heidelberg, 1911, 1924?; Kant als Philosoph der modernen Kultur,
Tiibingen, 1924; Die Heidelberger Tradition und Kants Kritizismus, Berlin,
1934. Nume- rosi sono gli articoli apparsi in « Logos », nelle « Kantstudien »
e in va- rie altre riviste, dei quali indichiamo qui soltanto i principali:
Uber die Aufgabe einer Logik der Geschichte, « Archiv fir systematische Philoso-
phie », VIII, 1902, pp. 137-63; Zwei Wege der Erkenninistheorie, « Kant-
studien », XIV, 1909, pp. 169-228; Vom Begriff der Philosophie, « Lo- gos », I,
I9I0, pp. 1-34; Lebenswerte und Kulturwerte, « Logos », II, 191I- 1912, pp.
131-142; Vom System der Werte, « Logos », IV, 1913, pp. 295-327; Uber logische
und ethische Geltung, « Kantstudien », XIX, 1914, pp. 182- 221; Psychologie der
Weltanschauungen und Philosophie der Werte, « Lo- gos », IX, 1920-21, pp. 1-42
(in polemica con Jaspers); Die Methode der Philosophie und das Unmittelbare,
«Logos», XII, 1923-24, pp. 235-80; Vom Anfang der Philosophie, « Logos », XVI,
1925, pp. 121-62; Die Er- kenninis der intelligibeln Welt und das Problem der
Metaphysik, « Logos », XVI, 1927, pp. 162-203, e XVIII, 1929, pp. 36-82;
Geschichte und System der Philosophie, « Archiv fiir Geschichte der Philosophie
», XL, 1931, pp. 7-46 e 403-48; Wissenschaftliche Philosophie und
Weltanschauung, « Logos », XXII, 1933, pp. 37-57. Le opere di Rickert non sono
state più ristampate in epoca recente, né di esse esistono traduzioni italiane.
Tra gli studi dedicati alla filosofia di Rickert segnaliamo i seguenti: O.
ScHLunke, Die Lehre vom Bewusstsein bei Heinrich Rickert, Leipzig, IQII. A.
Faust, Heinrich Rickert und seine Stellung innerhalb der deutschen Philosophie
der Gegenwart, Tibingen, 1927. F. FepeRIcI, La filosofia dei valori di Heinrich
Rickert, Firenze, 1933. G. GurvitcH, La théorie des valeurs de H. Rickert, « Revue philosophique de
la France et de l’étranger », CKXIV, 1937, pp. 80-88. HEINRICH RICKERT 339 B. W.
ScHescHics, Die Kategorienlehre der Badischen philosophischen Schule, Berlin,
1938. E. Pact, Pensiero esistenza
e valore, Milano, 1940, pp. 47-53. G. Rammino, Karl Jaspers und Heinrich Rickert. Existentialismus
und Wertphilosophie, Bern, 1948. C.
Rosso, Figure e dottrine della fiosofia dei valori, Torino, 1949, e Na- poli,
1973”, cap. IX. A.
Mitter-Rostowsra, Das individuelle als Gegenstand der Erkenninis: eine Studie
zur Geschichtsmethodologie Heinrich Rickerts, Winterthur, 1955. H. Sere, Wert und Wirklichkeit in der
Philosophie Heinrich Rickerts, Bonn, 1968. Una bibliografia ormai invecchiata,
ma che fornisce molte indicazioni sugli scritti di Rickert e su Rickert nei
primi decenni del secolo, si trova in F. FeperIci, La filosofia dei valori di
Heinrich Rickert cit., pp. 99-106. LA FILOSOFIA DELLA STORIA* INTRODUZIONE
All’inizio del secolo xx le scienze filosofiche si trovano anco- ra, in gran
parte, sotto il segno della restaurazione. La loro ultima fioritura è dipesa
dal ridestarsi dell’interesse per Kant, e anche le idee con cui la filosofia di
orientamento kantiano deve oggi combattere non sono sorte nella nostra epoca,
ma derivano da un periodo ancora precedente dello sviluppo filosofico. Si
tratta per lo più di respingere di nuovo il naturalismo illumini- stico, su cui
l’idealismo di Kant non è riuscito a riportare una vittoria definitiva. Nello
stesso modo, se qualcuno volesse soste- nere che anche Kant è almeno in parte
superato, non si potreb- be dire che ciò sia avvenuto ad opera di idee
elaborate di recente: quasi tutti i progressi reali compiuti rispetto a Kant
risiedono essenzialmente nella direzione imboccata dai suoi im- mediati successori,
a cui oggi ci si comincia a rifare. Per questo motivo lo studio della storia
della filosofia riveste oggi un grosso significato, e per questo motivo
festeggiamo un uo- mo come Kuno Fischer, che non soltanto ha molto contribui-
to a rianimare la comprensione di Kant, ma ha anche riavvici- nato alla nostra
epoca le idee dei suoi grandi discepoli. Non bisogna temere di dover
ripercorrere il processo di sviluppo che * Geschichtsphilosophie, in Die
Philosophie im Beginn des zwanzigsten Jahrhun- derts: Festschrife fiir Kuno
Fischer (a cura di W. Windelband), Heidelberg, Carl Winter*s
Universitàtsbuchhandlung, 1904-5, vol. II, pp. 51-133 (traduzione di San- dro
Barbera e Pietro Rossi). 1. Kuno Fischer (1824-1907), storico della filosofia
di orientamento hegeliano, au- tore di un'importante Geschichte der neueren
Philosophie (1854-77) e della monografia Hegels Leben, Werke und Lehre (1901):
la sua opera ha largamente ispirato l'interpre- tazione in senso idealistico
dello sviluppo del pensiero filosofico moderno. 342 HEINRICH RICKERT ha
condotto da Kanta Fichte, da questi a Schelling o a Schopen- hauer, e poi fino
a Hegel. La nuova epoca comporta nuove questioni, che esigono risposte nuove:
nulla si è mai ripetuto nella vita storica. Ma non si deve chiudere gli occhi
dinanzi alla prospettiva che l’idealismo kantiano e post-kantiano contie- ne un
tesoro di idee che è ancora lungi dall’esser stato utilizza- to completamente e
dal quale possiamo trarre, se dobbiamo misurarci con i problemi filosofici
della nostra epoca, una quan- tità di idee preziose. Ciò vale per nessun'altra
disciplina filosofica più che per la filosofia della storia. Benché negli
ultimi tempi l’interesse per essa sia straordinariamente aumentato, la
filosofia della storia non può, almeno per quanto riguarda i suoi concetti
fondamen- tali, avanzare la pretesa di insegnare qualcosa di mai udito, di
nuovo. Proprio le speculazioni che vengono considerate partico- larmente «
moderne » vivono quasi esclusivamente di idee che hanno trovato la loro formulazione
nell’Illuminismo; e anche la tendenza che combatte questi indirizzi
illuministici è costret- ta a riconoscere con gratitudine che alcune delle sue
armi migliori sono state forgiate in parte da Kant, e in parte ancora maggiore
dagli idealisti post-kantiani, in particolare da Fichte e da Hegel. Chi volesse
quindi avere un quadro della situazio- ne attuale della filosofia della storia
e dei suoi movimenti, dei suoi problemi principali e delle diverse direzioni
che Ja loro soluzione assume, potrebbe tentare — per acquisire i concetti
fondamentali — di seguire all’indietro i fili che portano all'i- dealismo
tedesco e più in là, procedendo verso il passato, fino all’Illuminismo. Ma
anche nell’ambito della filosofia della sto- ria non si tratterà di una mera restaurazione
dei precedenti. Per rendersene conto basta pensare allo sviluppo della scienza
storica nel secolo xx; e in ogni caso nei sistemi del passato dobbiamo
distinguere ciò che è valido in modo durevole da ciò che è « storicamente »
divenuto. Per la filosofia della storia ciò è stato fatto soltanto in parte.
Occorreranno ancora varie inda- gini, del tipo di quelle condotte da Lask?
sull’idealismo di 2. Emil Lask (1875-1915), filosofo tedesco allievo di
Windelband, autore di Die Logik der Philosophie und die Kategorienlehre (1911)
e di Die Lehre vom Urteil (1912). Rickert si riferisce qui al volume Fichtes
Idealismus und die Geschichte, Tibingen, 1902. HEINRICH RICRKERT 343 Fichte e
la storia, perché emerga il significato durevole di queste idee. Già per questo
motivo l’orientamento storico non si presta a un rapido sguardo sul presente. E
anche a prescinde- re da ciò, qui non è consigliabile procedere in modo
esclusiva- mente storico. Nonostante tutta la gratitudine che proviamo per il
nostro passato filosofico, nonostante il riconoscimento della sua superiorità
di originalità creativa, occorre augurarsi di venir fuori della nostra
situazione di epigoni, di non procede- re soltanto dall’epoca dell’Illuminismo
all’epoca di Kant, ma di tentare di percorrere la nostra via; e proprio la
filosofia della storia ha forse più occasioni per porre in rilievo che il
filosofo non può mai essere soltanto uno storico, che la filosofia non può mai
arrestarsi alla storia. Lasciamo quindi da parte il passato e tentiamo di
sviluppare un orientamento sistematico. Ma anche su questa via ci imbattiamo in
difficoltà. L’inten- sa familiarità con la storia ha recato con sé non soltanto
una grande ricchezza di idee filosofiche, ma anche una confusione considerevole
e quindi un’insicurezza che si estende ai concetti più elementari del nostro
lavoro. Alla questione di che cosa sia in generale la filosofa non esiste
alcuna risposta che goda di riconoscimento generale, e ciò che vale per la
totalità varrà per le sue parti. Se vogliamo procedere senza arbitrio, dobbiamo
anzitutto richiamare i diversi significati che si connettono all’e- spressione
« filosofia della storia » e giustificare il nostro concet- to di tale scienza.
Anzitutto tre concetti emergono chiaramente. Della filosofia in generale si
dice che sarebbe la scienza dell’universale, in antitesi alle scienze
particolari. Filosofare vorrebbe quindi dire cercare una conoscenza complessiva
della realtà, fornire l’insie- me di ogni conoscenza scientifica. Se su questa
base si determi- nano i compiti di una filosofia della storia, essa deve
raccoglie- re — mentre le scienze storiche particolari hanno a che fare con i
campi particolari della vita storica — ciò che quelle singole discipline hanno
scoperto in un quadro complessivo uni- tario, in uno sguardo d’insieme sulla
totalità, in breve, in una storia universale. Filosofia della storia in questo
primo significa- to del termine equivarrebbe quindi a storia universale. Ma la
generalità di un’esposizione può essere intesa in modi diversi. Se, per
richiamarci nuovamente al concetto della filosofia in 344 HEINRICH RICKERT
generale, si pone ad essa il compito di fornire una conoscenza complessiva
della realtà, allora non si può ritenere che essa possa accogliere in sé tutta
la pienezza di contenuto del mate- riale conosciuto dalle discipline
particolari. La sua generalità deve piuttosto essere sempre connessa con una
generalizzazione nel senso che il contenuto del sapere specialistico va perduto
in grado maggiore o minore, e in definitiva tale generalizzazione può spingersi
al punto che soltanto i « principi » generali diven- tano oggetto di indagine.
Di qui deriva anche un nuovo concet- to della filosofia della storia. In questo
modo tale disciplina deve lasciar da parte il contenuto particolare della vita
storica, per indagare sul suo «senso» universale o sulle sue «leggi»
universali. Anche senza un’ulteriore determinazione dei concet- ti di senso e
di legge, sorge così il concetto di una scienza dei princìpi storici, che si
distingue nettamente dal concetto di storia universale. E infine, se storia non
significa ciò che è ac- caduto, bensì rappresentazione di ciò che è accaduto o
scien- za della storia, si perviene a un terzo concetto. In ogni caso,
quest’ultimo concetto si accorda con un punto di vista, varia- mente
rappresentato, in merito ai compiti della filosofia in ge- nerale, per cui essa
— specialmente nella sua parte teoretica — deve avere per oggetto non tanto le
cose stesse, quanto il sapere relativo alle cose. La filosofia della storia può
quindi essere considerata anche come scienza del conoscere storico o come una
parte della logica nel senso più ampio del termine. Forse si sentirà ancora la
mancanza di una disciplina che si occupi del significato del pensiero storico
per la trattazione dei problemi generali dell’intuizione del mondo e della
concezione della vita. Ma a tali questioni sarà facile rispondere se il lavo-
ro finora solo indicato è stato compiuto e non c'è quindi moti- vo di elencare
un quarto tipo di filosofia della storia. Certamen- te la storia universale, la
dottrina dei princìpi della vita storica e la logica della scienza storica
sembrano essere, di fatto, tre scienze egualmente legittime, ognuna delle quali
ha i suoi problemi particolari, e che hanno però tutte diritto al nome di
filosofia della storia. Ma se si guarda con maggior precisione, si presenta
subito un quadro diverso. Come la storia universale deve sussistere accanto
alle singole discipline storiche? Dev’essere concepita HEINRICH RICKERT 345
come una mera somma delle scoperte di quelle? Certamente no. Da essa si esigerà
al minimo che esponga in modo unitario la totalità storica. Ma che cos’è questa
totalità, in cui con- siste il principio della sua unità e della sua
articolazione? Attra- verso questioni di questo genere il primo tipo di
filosofia della storia conduce, nella trattazione dei suoi concetti fondamenta-
li, al secondo tipo. Ma anche i concetti di cui la scienza dei princìpi ha
bisogno per determinare il suo compito non posso- no venir presupposti come
ovvi, sia che si pensi a «leggi» universali a cui dev'essere sottoposta ogni
vita storica, sia che si voglia porre a fondamento della totalità dello
sviluppo storico un «senso» unitario. In questi concetti vi sono dei problemi.
Mentre ognuno ritiene ovvio cercare le leggi natura- li, si contesta però
decisamente la possibilità di indicare leggi storiche; prescindendo da questo,
perché nel campo delle scien- ze naturali le leggi vengono ricercate dalle
stesse discipline particolari, mentre per la storia questo compito spetta a una
disciplina filosofica? Con quale diritto, inoltre, ipotizziamo un senso del
corso storico, e quali strumenti abbiamo per ricono- scerlo? La filosofia della
storia come scienza dei princìpi non può cominciare il suo lavoro senza
affrontare questioni di tal genere; né potrà rispondere ad esse se non ha
chiara l’essenza del conoscere storico in generale, cioè se non possiede
nozioni logiche. Vediamo così la seconda delle tre discipline condurre alla
terza, nello stesso modo in cui la prima conduceva alla se- conda. Da ciò
deriva pertanto tra i diversi tipi di filosofia della storia — che a prima
vista sembravano costituire tre scienze indipendenti, ognuna con problemi
differenti — una connessio- ne tale che la logica della storia deve costituire
il punto di partenza e il fondamento di tutte le indagini di filosofia della
storia. Fino a quale punto, poi, i problemi della scienza dei princìpi e della
storia universale debbano trasformarsi in proble- mi logici, se devono poter essere
risolti in generale, è cosa che soltanto l’indagine concreta può stabilire. Ma
già da ora è certo che non è arbitrio, ma necessità, se prendiamo qui le mosse
da uno sguardo d'insieme sui problemi e sui dibattiti più importanti della
logica della storia. 346 HEINRICH RICKERT I. LA LOGICA DELLA SCIENZA STORICA
Anteponendo questa parte entriamo immediatamente nel campo della filosofia
della storia, in cui la nostra epoca può maggiormente pretendere una certa
originalità. Per la formula- zione e la trattazione logica dei problemi si
trovano nella filoso- fia dell’idealismo tedesco osservazioni sì molto valide,
ma isola- te e asistematiche; e nella filosofia pre-kantiana del passato e del
presente non si è fatto nulla per rispondere a tali questio- ni. Nonostante
l’evidente connessione tra logica della storia e filosofia della storia in
senso lato, i primi tentativi di compren- dere a fondo, nel suo carattere
specifico, l’essenza logica della scienza storica non risalgono molto
all’indietro di Paul*, di Navil- le‘, di Simmel e soprattutto di Windelband.
Anche sulle questio- ni più elementari, infatti, domina finora in questo campo
il più violento contrasto di opinioni; anzi, una logica della storia che meriti
questo nome deve ancora combattere per la giustifi- cazione della sua
esistenza. Non soltanto si crede — come fa per esempio Lindner® — di poter
trattare scientificamente i problemi della filosofia della storia senza una
fondazione logi- ca, ma si è addirittura contestato il diritto di esporre un
concet- to puramente logico della storia e del metodo storico. I moti- vi non
consistono soltanto nel fatto che in tali questioni sono intervenuti molti ai
quali fa difetto la preparazione necessa- ria per trattare problemi del genere.
E neppure derivano sol- tanto dalle difficoltà che si presentano in questo
campo: solo che si imbocchi la via giusta, l'essenza logica della storia non è
più difficile da comprendere di quella di altre scienze. Ma proprio su questa
strada non esiste, stranamente, alcuna concor- dia. Sembrerebbe ovvio che chi
va alla ricerca di chiarezza in questo campo cerchi un orientamento, almeno
preliminare, nel- 3. Hermann Paul (1846-1921), glottologo tedesco, autore dei
Prinzipien der Sprach- geschichte (1880), fu un rappresentante del metodo storico
nello studio della lin- guistica. 4. Adrien Naville (1845-1930), filosofo
svizzero di origine positivistica, autore del volume De la classification des
sciences, Paris, 1888 — al quale si riferisce qui Rickert — e di altri scritti
di teoria della conoscenza. 5. Theodor Lindner (1843-1919), filosofo e storico
tedesco, autore della Geschichts- philosophie: das Wesen der geschichtlichen
Entwicklung (1901), e di una Weltgeschich- te scit der Volkerivanderung
(1901-16). HEINRICH RICKERT 347 le opere dei grandi storici universalmente
riconosciuti, e stabili- sca anzitutto ciò che distingue il pensiero storico da
quello delle altre scienze. Sembrerebbe poi ovvio che debba essere anzitutto
compresa la struttura logica della scienza storica qua- le essa esiste, prima
di pronunciare un giudizio sul suo valore scientifico. Ma in questo caso
l’ovvio non coincide con ciò che avviene di solito. Talvolta il riferimento
alle opere dei grandi storici viene piuttosto respinto — per esempio da
Lamprecht* e da Tònnies” — come non scientifico: queste esposizioni non
conterrebbero vera scienza. In particolare, proprio coloro che per tutto il
resto non si stancano di celebrare l’esperienza co- me unico fondamento di ogni
sapere, nell’indagine logica delle scienze empiriche si mettono al lavoro
utilizzando un concetto di scienza storica fissato in precedenza e mai
realizzato; e poiché non trovano mai gli storici sulla via che conduce al loro
ideale, pensano che sia anzitutto necessario elevare a scienza la storia. In
teste di questo genere si è così fissata l’idea di un’antitesi tra scienza e
storia, e proprio questi pensatori si sentono stranamente chiamati a istruire
la scienza storica sui suoi veri fini. Non ci si deve meravigliare del fatto
che la maggior parte degli storici non vuole saperne di simili speculazioni
estranee alla storia. Così avviene che storia e filosofia spesso non si
comprendono più, ed entrambe soffrono di questa situazione. L’astorica
filosofia della storia che un tempo aveva avuto larga risonanza soprattutto
nella forma delle teorie (non della pras- si) di un Taine® e di un Buckle e che
oggi viene rinnovata, 6. Karl Lamprecht (1856-1915), storico tedesco, autore di
importanti saggi meto- dologici come Alte und neue Richtungen in der
Geschichtswissenschaft (1896), Was ist Kulturgeschichte? (1896-97), Die
kulturhistorische Methode (1900) e della Einf@zhrung in das historische Denken
(1912), nonché di una monumentale Deutsche Geschichte in dodici volumi
(1891-1904), è il maggiore rappresentante dell’orientamento positivi. stico
nella storiografia tedesca dî fine Ottocento. 7. Ferdinand Tònnies (1855-1936),
sociologo tedesco, autore di Gemeinschaft und Gesellschaft (1887), di Die Sitte
(1909), della Kritik der òffentlichen Meinung (1922), del- la Einfiihrung in die
Soziologie (1931), nonché di una nota monografia su Hobbes (1896) e di vari
scritto sul marxismo. 8. Hippolyte-Adolphe Taine (1828-1893), storico e
filosofo positivista francese, au- tore della Philosophie de l'art (1865), del
libro De l'intelligence (1870), di numerosi saggi di critica e di storia
letteraria, nonché di un'ampia opera, rimasta incompiuta, su Les origines de la
France contemporaine (1876-93), fu il maggiore rappresentante dell'impostazione
positivistica nell’ambito dell'estetica. 348 HEINRICH RICKERT più con passione
che con chiarezza, per esempio da Lamprecht, è stata abbastanza respinta, per
gli scopi della scienza storica empirica, da Droysen’, Bernheim”, von
Below", Eduard Me- yer e altri. Ma in questo dibattito metodologico tra
storici — in cui sono state introdotte anche questioni come quelle della
libertà e della necessità, della conformità alle leggi e dell’acci- dentalità,
della teleologia e del meccanicismo — molto è rimasto non chiarito da un punto
di vista filosofico, nonostante alcuni preziosi risultati: perciò anche gli
storici si mostrano talvolta assai perplessi quando, seguendo la
«caratteristica dell’epoca » che torna a farsi più filosofica, passano dalle
loro indagini specialistiche a considerazioni più generali. Ma di questa situa-
zione soffre molto di più la filosofia. A causa della incompren- sione del
pensiero storico, che proprio nella nostra epoca è quanto mai importante, la
filosofia è condannata a una profon- da mancanza di influenza; e fino a qual
punto tale mancanza d’influenza sia connessa alla separazione dalla storia
risulta in modo particolarmente chiaro dal fatto che, se oggi si manifesta
talora un interesse filosofico nei rappresentanti delle cosiddette scienze
dello spirito, esso è per lo più mediato dal legame con indagini di metodologia
della storia. Ai nostri giorni l’incomprensione dell’essenza del lavoro sto-
rico viene naturalmente in luce con la massima chiarezza nei rappresentanti dei
dogmi naturalistici, oggi nuovamente di mo- da; e non fa una differenza
essenziale se questo naturalismo si presenta come materialismo o come
psicologismo. In entrambi i casi il riconoscimento della storia come scienza
significhereb- be uno scuotimento dei concetti naturalistici fondamentali. In-
fatti dove si identifica la realtà con la natura, vi è tanto meno spazio per la
storia quanto più si pensa in modo coerente. Ma l’estraneità della nostra
filosofia alla storia ha motivi ancor più 9- Johann Gustav Droysen (1808-1884),
storico tedesco, autore della Geschichte des Hellenismus (1836-43) e della
Geschichte der preussischen Politik (1855-86), nonché di un Grundriss der
Historik (1868) che espone in forma sistematica i principi del me- todo
storico. ro. Ernst Bernhcim (1850-1942), metodologo della storia tedesco, autore
di un fortunato Le/lrbuch der historischen Methode und der
Geschichtsphilosophie (1889). rt. Georg von Below (1858-1927), storico tedesco,
autore di Der deutsche Staat des Mittelalters (1914), di Die deutsche
Geschichtsschreibung von den Befreiungskriegen an bis zu unseren Tagen (1916),
nonché di altri studi di storia costituzionale ed economica. HEINRICH RICKERT
349 profondi. Per quanto il naturalismo come intuizione del mon- do sia stato
in linea di principio completamente superato per merito di Kant, nella sostanza
tale superamento non procede in direzione del pensiero storico. Nel seguace di
Newton vi sono al massimo le premesse per una comprensione di questo pensie-
ro, e la metodologia di Kant è ancora dominata quasi del tutto — e proprio
nella sua più importante opera teoretica — dall’interesse per la matematica e
per la scienza naturale. Dfatto, quindi, ci si può richiamare a Kant — come fa
per esempio Max Adler! — con una certa parvenza di legittimità se si ricusa al
lavoro storico un vero e proprio carattere scientifi- co. Si aggiunga infine
che tra le scienze della natura — nella misura in cui sono scienze sistematiche
— e la filosofia — che anch'essa aspira a un sistema — c’è un’affinità formale
maggio- re di quella che esiste tra la filosofia e la storia, la quale non può
mai diventare una scienza sistematica. Si deve anzi parlare di un antagonismo
tra pensiero storico e pensiero filosofico, che nessuno può anche soltanto
desiderare di accantonare: la filoso- fia dovrà sempre combattere lo storicismo
come intuizione del mondo. Ma tutto ciò fa apparire ancor più urgenti i compiti
di una logica della storia. Il naturalismo viene respinto non meno dello
storicismo, e la filosofia può sperare di aver ragione dello storicismo
soltanto se ha compreso a fondo l’essenza e il significato del pensiero
storico. Da tutto ciò deriva per la logi- ca il compito di superare
completamente nella sua unilateralità il naturalismo metodologico, ancora
rappresentato pure da Kant, e di pervenire così a una comprensione di ogri
lavoro scien- tifico. L'affermazione che finora poco si è fatto per la
soluzione di questo compito incontrerà forse opposizioni se si tengono pre-
senti le molte indagini sull’essenza delle «scienze dello spiri- to» intraprese
da Mill in poi; e certamente non si può dire che 12. Max Adler (1873-1937),
sociologo e filosofo austriaco, autore di Marx als Denker (1908), di
Marxistische Probleme (1913), di Kant und der Marxismus (1925), di Das
Soziologische in Kants Erkenntniskritik (1925), del Lehrbuch der materialistischen
Ge- schichtsauffassung (1930) e di varie altre opere, fu uno dei maggiori
esponenti del cosiddetto austro-marxismo, orientato verso un’interpretazione in
chiave kantiana di Marx, Rickert si riferisce qui al volume Kausalitàt und
Teleologie im Streite um die Wissenschaft, Wien, 1904. 350 HEINRICH RICKERT
tutti questi lavori siano privi di valore. Ma nelle indagini (per altro verso
estremamente preziose) condotte per esempio da Dilthey, Wundt!, Miinsterberg! e
da altri, il punto decisivo, che rende possibile una reale comprensione logica
della storia, non è stato affatto toccato (come da parte di Wundt e di
Miinsterberg) oppure (come in Dilthey) non è stato elaborato in modo preciso e
posto al centro, in modo da diventare real- mente fecondo in una logica della
storia. Ciò trova già espres- sione nella terminologia consueta, che
contrappone le scienze dello spirito alle scienze della natura. L’antitesi tra
natura e spirito è oggi tutt'altro che univoca. I pensatori che si sono
occupati dell'essenza delle scienze dello spirito determinano in modo assai
diverso anche il concetto fondamentale di spirito, e sono d'accordo soltanto su
un punto, cioè che esistono in gene- rale due gruppi diversi di scienze
empiriche. E nemmeno si può sperare che dal concetto di spirito si pervenga a
un accor- do sull’essenza del pensiero storico. Questi tentativi contengo- no
alla loro base troppi presupposti per lo più di carattere metafisico, che
offrono soltanto degli appigli a un naturalismo estraneo alla storia. L'unico
concetto di spirito con cui oggi si può lavorare senza bisogno di una
fondazione più precisa è quello di realtà psichica in antitesi a quella fisica:
che ciò che chiamiamo piacere o ricordo o volontà non sia un corpo, è infatti
ammesso da tutti i pensatori che meritano di essere presi in considerazione. Ma
quest’unico concetto di spirito, sen- z’altro utilizzabile, è del tutto
inadeguato per una delimitazio- ne delle diverse scienze e per la comprensione
dell’essenza della 13. Wilhelm Wundt (1832-1920), psicologo e filosofo tedesco,
autore dei Bei- trige zur Theorie der Sinneswahrnehmung (1858-62), delle
Vorlesungen fiber die Men- schen- und Tierseele (1863-64), dei Grundziige der
physiologischen Psychologie (1874), della Logik (1880-83), della Eekik (1886),
del Systera der Philosophie (1889), della Einleitung in° die Philosophie
(1901), della Volkerpsychologie (1904) e di varic altre opere, fu il maggiore
esponente del positivismo in Germania: è considerato il fonda- tore della
moderna psicologia scientifica, basata sul metodo sperimentale. Rickert si
riferisce qui alla terza parte della Logik, che reca il titolo Logi der
Geisteswissen- schaften (vol. Il-2, 2° cd. Stuttgart, 1895). 14. Hugo
Miinsterberg (1863-1916), psicologo c filosofo tedesco, autore dei Grund- zige
der Psychologie (1900-1918), della Philosophie der Werte (1908), di Psychologie
und Wirtschaftsleben (1912), dei Grundzige der Psychotechnik (1914) e di varie
altre opere, si ispirò da una parte all'insegnamento di Wundt e dall'altra alla
filosofia dei valori. HEINRICH RICRERT 35I storia. Il naturalismo può a buon
diritto sostenere che, se l’ele- mento spirituale nel senso sopra indicato non
è certamente corpo, appartiene però del tutto alla natura, e dev'essere quin-
di indagato scientificamente allo stesso modo di tutti gli altri oggetti
naturali. Esso può sostenere che non si tratta soltanto di una teoria, ma che
la prassi della psicologia moderna eleva questa certezza al di sopra del
conflitto tra le diverse prospetti- ve metodologiche. Di fronte a queste
affermazioni i sostenitori dell’antitesi tra scienze della natura e scienze
dello spirito saran- no disarmati finché non avranno determinato il loro
concetto fondamentale in modo incontestabile, e nel caso del concetto di
spirito ciò non sarà mai possibile con mezzi logici, o in ogni caso lo sarà
soltanto qualora si sia già acquisito il concet- to logico della storia. La
dottrina del metodo non ha alcun bisogno di impegnarsi dapprima in tutte queste
questioni controverse, se rivolge la sua attenzione soltanto a ciò che vuol
porre in chiaro, cioè al metodo. Il metodo consiste nelle forme utilizzate
dalla scien- za nell’elaborazione del suo materiale. Con ciò non si vuol negare
che il metodo sia variamente condizionato dal carattere specifico del
materiale. Anche un’indagine che rifletta sulla diversità di contenuto delle
singole scienze può condurre quin- di a questo o a quel risultato, prezioso dal
punto di vista logico. Ma questi risultati si presenteranno in modo più o me-
no accidentale, e una logica che vuol raggiungere il suo fine con sicurezza e
per la via più breve prescinde pertanto da tutte le distinzioni di contenuto
delle singole scienze, per poter me- glio comprendere le distinzioni
metodologiche di carattere for- male. Essa deve soltanto riflettere sul fatto
che nelle scienze empiriche agli oggetti si contrappone sempre un soggetto
cono- scente che — siano essi oggetti spirituali o corporei, processi naturali
o prodotti culturali — li assume come « dati », e che il soggetto si prefigge
il fine di conoscere questa o quella parte, o anche la totalità del mondo dato.
Si riconoscerà allora facilmen- te che la conoscenza non consiste in una
riproduzione o in una copia, ma in una comprensione trasformatrice degli
oggetti. A dimostrarlo già basta, prescindendo da tutti gli altri motivi, la
semplice riflessione che la realtà data — da cui muove ogni scienza empirica —
si presenta, nella totalità come in ogni sua 352 HEINRICH RICKERT parte, come
una molteplicità sterminata che nessuno è in grado di riprodurre. Il contenuto
di ogni giudizio che asserisca qual- cosa sulla realtà è necessariamente, in
confronto alla realtà stes- sa, una grossa semplificazione. La scienza può
perciò anche essere considerata come una trasposizione del materiale dato
intuitivamente in immagini di pensiero, per le quali si preferi- sce usare il
nome di concetto per distinguerle dall’intuizione. In questo processo di
trasformazione concettuale consiste il me- todo della scienza. Inoltre — ed è
questa la cosa principale — le forme del lavoro scientifico, in quanto
strumenti per il conseguimento del fine scientifico, devono dipendere nel loro
carattere specifico dalla specificità formale dei fini a cui il soggetto tende
nel conoscere. La logica deve quindi indagare i compiti, formalmente diversi
tra loro, che le diverse scienze si pongono e cercare di comprendere i metodi
scientifici nella loro diversità come gli strumenti, necessariamente
differenti, per il conseguimento di questi diversi fini o come i modi, anch'essi
necessariamente differenti, della trasformazione e del- l’elaborazione
concettuale del materiale intuitivamente dato. Ovviamente, le distinzioni
metodologiche che ne risultano so- no, al pari delle distinzioni dei fini,
puramente formali; ma proprio in virtù di questo loro carattere puramente
formale esse devono valere come elementi fondamentali e decisivi per la
comprensione dell’essenza logica di un metodo scientifico. La logica ha a che
fare sempre e soltanto con le forme del pen- siero. Se da queste determinazioni
generali del compito di una logica delle scienze particolari ci volgiamo ai
concetti fonda- mentali che la logica della scienza storica deve sviluppare in
modo particolare, sarà necessario in primo luogo recare alla coscienza la
massima antitesi formale presente nella nostra con- cezione della realtà
empirica, cioè chiedersi che cosa significhi logicamente quest’antitesi e
indicare quale termine dell’antitesi sia determinante per la rappresentazione
storica della realtà. Che vi siano due tipi sostanzialmente diversi di
apprendimento della realtà, si può forse comprenderlo nel modo migliore guar-
dando alle conoscenze pre-scientifiche che possediamo di una parte più o meno
grande del mondo. Sarebbe illusorio credere di avere qui una copia della realtà
quale essa è. Prima che la HEINRICH RICKERT 353 scienza si accinga al suo
lavoro è sorta già sempre qualche specie di elaborazione concettuale, e la
scienza trova come pro- prio materiale i prodotti di questa elaborazione
concettuale pre- scientifica, non la realtà libera da interpretazioni. La
massima distinzione formale in questa elaborazione concettuale pre-scien-
tifica è però quella seguente. La maggior parte delle cose e degli eventi ci
interessano solamente per quello che hanno in comune con altri; e quindi noi
facciamo attenzione a questo elemento comune, anche se di fatto ogni parte
della realtà è individualmente diversa da ogni altra e nulla nel mondo si
ripete esattamente. Poiché l’individualità della maggior parte degli oggetti ci
è del tutto indifferente, noi non la conosciamo; per noi questi oggetti non
sono che esemplari di un concetto di genere, che possono essere sostituiti da
altri esemplari dello stesso concetto: anche se non sono mai identici, noi li
vediamo come tali e quindi li designamo soltanto con nomi di genere. Questa
delimitazione, a tutti nota, dell’interesse a ciò che è generale (nel senso di
ciò che è comune a un gruppo di ogget- ti), o apprendimento generalizzante,
sulla cui base riteniamo a torto che nel mondo esista qualcosa come l’identità
e la ripeti- zione, è per noi al tempo stesso di grande valore pratico. Esso
articola in un modo determinato la molteplicità e la policro- mia della realtà,
e ci rende possibile di orientarci in essa. D'altra parte l'apprendimento generalizzante
non esaurisce affatto ciò che ci interessa nel nostro ambiente, e che quindi
conosciamo di esso. Questo o quell’oggetto viene piuttosto pre- so in
considerazione proprio per quello che è ad esso peculia- re, e che lo distingue
da tutti gli altri oggetti. Il nostro in- teresse e la nostra conoscenza si
riferiscono quindi proprio alla sua individualità, a ciò che lo rende
insostituibile; e se anche sappiamo che esso si lascia cogliere, al pari degli
altri oggetti, come esemplare di un concetto di genere, tuttavia non voglia- mo
considerarlo identico ad altre cose, ma vogliamo estrarlo espressamente dal suo
gruppo: ciò trova la sua espressione lin- guistica nella designazione con un
nome proprio anziché con un sostantivo di genere. Anche questo tipo di
articolazione, o apprendimento individualizzante della realtà, è così corrente
che non richiede una ulteriore analisi. Ma una cosa è importan- te e dev'essere
sottolineata: la conoscenza dell’individualità di 23. STORICISMO TEDESCO. 354
HEINRICH RICKERT un oggetto non costituisce neppur essa una copia nel senso che
noi conosciamo l’intera molteplicità del suo contenuto, ma an- che qui si
compie una determinata scelta e trasformazione, cioè si estrae un complesso di
elementi che, in questa partico- lare composizione, appartiene soltanto a
quell’urico oggetto de- terminato. Dobbiamo quindi distinguere l’individualità
che spet- ta a qualsiasi cosa o evento — il cui contenuto coincide con la sua
realtà, e la cui conoscenza non può essere raggiunta né merita di essere
oggetto di aspirazione — dall’individualità per noi significativa, e
consistente di elementi determinati; e dobbiamo aver chiaro che questa
individualità in senso stretto (la sola a cui di solito si allude) non
costituisce una realtà, al pari del concetto di genere, ma è soltanto un
prodotto del nostro apprendimento della realtà, della nostra elaborazione
concettuale pre-scientifica. La distinzione qui illustrata deve suscitare in
alto grado l'interesse della logica. In primo luogo, non soltanto ogni lavo- ro
scientifico si richiama a processi pre-scientifici e ai loro risul- tati, ma
dev'essere in larga misura inteso come elaborazione sistematica di ciò che è
stato cominciato in modo non arbitra- rio. Inoltre tale distinzione è
particolarmente significativa sia perché è puramente formale — in quanto
qualsiasi oggetto può essere appreso in modo generalizzante e in modo
individualiz- zante — sia perché, come antitesi tra generale e particolare,
rappresenta la massima distinzione che si possa pensare da un punto di vista
logico. Se deve avere un significato per i metodi delle singole scienze, la
logica deve anche fare di esse il punto di partenza delle proprie indagini. Per
quanto riguarda la considerazione generalizzante degli oggetti, non c'è alcun dubbio
non soltanto sulla sua importan- Za pratica, ma anche sulla sua importanza
teoretica per la scienza. Il metodo di molte scienze consiste in una subordina-
zione del particolare al generale, che coincide con la formazio- ne di concetti
di genere e con la considerazione degli oggetti come esemplari di questi.
Conoscere significa allora comprende- re ciò che non è conosciuto come caso
particolare di ciò che è noto, in modo da eliminare l’individuale, il
singolare, e da accogliere nella scienza soltanto l'elemento comune. Il fine
su- premo di questa conoscenza è di ricondurre la realtà da cono- HEINRICH
RICRERT 355 scere sotto concetti universali in modo che questi ultimi si
uniscano, mediante rapporti di sovra-ordinazione e di subordi- nazione, in un
sistema unitario, e che si tenda — dove è possibile — a concetti il cui
contenuto valga ir modo incondi- zionatamente universale per gli oggetti da
indagare. Dove si perviene a questo tipo di conoscenza, si è colto ciò che
chiamia- mo le leggi della realtà. Del tutto legittimo è poi anche il tentativo
di applicare questo metodo di comprensione a tutti i campi della realtà e di
andare quindi ovunque alla ricerca di leggi, sia nella realtà spirituale o in
quella corporea, sia nei processi naturali o nella vita culturale. Ciò può
essere certamen- te più difficile in un campo che in un altro, e anzi qualche
volta i concetti incondizionatamente universali sono inconoscibi- li all'uomo;
ma la considerazione generalizzante non è mai esclusa in linea di principio, e
da ciò sembra risultare una conseguenza metodologica fondamentale. Si può cioè
conclude- re che il pensiero scientifico coincide con la formazione di concetti
generali e che quindi, da un punto di vista puramente formale, esiste soltanto
“r metodo scientifico. L’antitesi tra ap- prendimento generalizzante e
apprendimento individualizzante avrebbe allora significato per la logica
soltanto nella misura in cui la scienza elimina ovunque l’individuale mediante
concetti generali; e proprio perché nella nostra analisi non si è tenuto alcun
conto della peculiarità del materiale delle diverse scien- ze, la divisione
consueta in scienze della natura e scienze dello spirito sembra svanire, almeno
nel suo significato metodologico formale. Piuttosto, la vita spirituale dev'essere
trattata in modo generalizzante al pari del mondo corporeo: perciò anche la
scienza storica è naturalmente costretta ad applicare il metodo generalizzante.
Di fatto, sono questi i motivi migliori su cui poggiare la proclamazione di un
metodo universale, perché si tratta di motivi puramente formali e, nella misura
in cui l’apprendimen- to generalizzante celebra i suoi massimi trionfi nelle
scienze della natura, qui abbiamo nel medesimo tempo il miglior fon- damento
del naturalismo metodologico. Ma una logica che vo- glia comprendere le scienze
così come realmente esistono non si accontenterà di questo. Dal giusto
principio che ogni realtà può essere sottomessa a una considerazione
generalizzan- 356 HEINRICH RICKERT te essa non concluderà che la formazione di
concetti generali è senz'altro identica con il procedimento scientifico. Essa
si chie- derà piuttosto se tutte le scienze applicano effettivamente que- sto
procedimento e dovrà rispondere negativamente osservando il lavoro scientifico
che è presente nelle opere di tutti gli stori- ci. Questo fatto è così evidente
che anche i sostenitori di un metodo universale di tipo generalizzante o del
naturalismo me- todologico non possono negarlo. Essi cercano di aiutarsi dicen-
do che la scienza storica è oggi ancora imperfetta e per questo motivo non si
adegua al sistema sopra indicato, ma che quanto più progredirà, tanto più si
servirà anch'essa dell’unico meto- do scientifico, cioè del metodo
generalizzante. Questo punto di vista è però insostenibile, e non soltanto —
come si deve sem- pre sottolineare nel modo più energico — per il fatto che la
realtà di cui la storia tratta non può essere ricondotta sotto concetti
generali — e infatti questa è un’affermazione indimo- strabile per la logica
che procede in modo formale — ma semplicemente perché rientra nell’essenza
della scienza storica che, non appena comprende se stessa, essa non vole
compiere un'elaborazione della realtà in riferimento a ciò che vi è di comune
negli oggetti, e non vuole compierla perché su questa via non è mai possibile
conseguire i fini che essa si pone in quanto storia. Ma quali sono questi fini,
nel loro carattere formale? Se l'oggetto storico — si tratti di una
personalità, di un popo- lo, di un’epoca, di un movimento economico o politico,
religio- so o artistico — dev'essere rappresentato come una totalità, occorre
in ogni caso coglierlo nella sua singolarità e nella sua individualità
irripetibile, e assumerlo nella rappresentazione co- me se non potesse essere
sostituito da nessun'altra realtà. Per- ciò la storia non può servirsi, se si
prende in considerazione il suo fine ultimo, ossia la rappresentazione
dell’oggetto nella sua totalità, del procedimento generalizzante, poiché questo
coinci- de con un’esclusione dell’individuale e conduce così al contra- rio
logico di ciò a cui la storia aspira. È quindi ancora una volta del tutto
indifferente che l’oggetto storico sia un oggetto corporeo o spirituale, un
prodotto culturale o un processo natu- rale; importa solo che, dove è presente
in generale un interesse storico per una qualsiasi realtà, si tende a una
rappresentazione HEINRICH RICKERT 357 con un contenuto individuale, perché
questa soltanto si presta alla soluzione del compito proprio della scienza
storica. Ciò non deve significare che la storia cerchi di fornire una copia
dell’individualità del suo oggetto: tanto poco essa potrebbe in- fatti
ottenerla, quanto poco nelle conoscenze pre-scientifiche possediamo copie degli
oggetti designati con nomi propri. Né deve significare che la storia
rappresenti il suo oggetto indivi- dualizzandolo in tutte le sue parti, ma vuol
dire che viene anzitutto presa in considerazione soltanto l’individualità del
tutto e che questa non coincide affatto, se prescindiamo dall’i- dea di una
copia, con la somma delle individualità delle sue parti. Infine, non si può
negare che per raggiungere il suo fine la storia ha bisogno di concetti
generali e procede in modo generalizzante, così come, all’inverso, nelle
scienze generaliz- zanti non si può fare a meno della rappresentazione
dell’indivi- duale come punto di partenza per la formazione di concetti
generali. Si deve provvisoriamente rendere consapevole il carat- tere logico
del fize ultimo di ogni rappresentazione storica, e la struttura logica del
risultato che necessariamente corrispon- de a questo fine. Se si va alla
ricerca di esempi, è naturalmente del tutto indifferente l’«indirizzo » a cui
appartiene l’opera storica che si prende in considerazione. Prendiamo la
Weltgeschichte di Ranke o Les origines de la France contemporaine di Taine, la Deutsche
Geschichte im 19. Jahrhundert di Treitschke! o la History of Civilisatton in
England di Buckle, la Begrindung des Deutschen Reiches durch Wilhelm I di
Sybel! o la Caltur 15. Heinrich von Treitschke (1834-1896), storico tedesco,
autore del volume Die Gesellschaftswissenschaft, ein kritischer Versuch (1858),
della Deutsche Geschichte im 19. Jahrkundert (1879-95), degli Historische und
politische Aufsitze (1886-97), delle Vorlesungen iiber Politi (pubblicate
postume nel 1897-98) e di numerosi altri scritti, fu il maggiore rappresentante
della storiografia ottocentesca tedesca di ispi- razione nazionalistica. Egli
si richiama a Hegel per formulare una concezione dello stato come fine supremo
della società, polemizzando contro il liberalismo e negando \la possibilità di
una scienza sociale autonoma nei confronti della scienza politica. 16. Heinrich
von Sybel (1817-1895), storico tedesco, autore della Geschichte des ersten
Kreuzzuges (1841), di Die Entstchung des deutschen Konigtums (1844), della
Geschichte der Revolutionszeit, 1789-1800 (1853-79), di Die Begriindung des
deut- schen Reiches durch Wilhelm I (1889-94) e di varie altre opere, fu uno
dei principali rappresentanti del punto di vista nazionale-liberale nella
storiografia tedesca dell'Ottocento; nel 1856 fondò la « Historische
Zeitschrift ». Sotto il profilo 358 HEINRICH RICKERT der Renaissance in Italien
di Burckhardt, lo Scharnhorst di Max Lehmann" o la Deutsche Geschichte di
Karl Lamprecht: ovunque, in corrispondenza ai titoli delle opere, che indicano
la totalità storica, troviamo una serie di avvenimenti trattati così come si
sono svolti una sola volta nel mondo e — quale che sia il modo in cui li ha
plasmati lo storico — rappresentati nella loro particolarità e individualità.
Forse che la Deutsche Geschichte di Lamprecht (il quale crede di lavorare con
un metodo nuovo) contiene come elemento costitutivo soltanto ciò che è dato
trovare in altri esemplari del concetto generico di nazione, vale a dire nello
sviluppo del popolo francese, inglese o russo, e ciò che si è ripetuto spesso e
si ripeterà in tempi diversi e in luoghi diversi? Basta porre questa domanda
per vedere che anche uno storico che rifiuta in teoria la concezione «
individualistica », nella prassi tratta sempre il suo oggetto in modo
individualizzante. Ma tale procedimento, che appartiene all'essenza di ogni
rappresentazione storica, non è applicato in nessun'opera di discipline non
storiche — sia che si occupino di corpi o della vita spirituale. La Lehre von
den Tonempfindun- gen di Helmbholtz ! o il Keimplasma di Weismann", la
Medizi- metodologico è importante il suo saggio Uber den Stand der neueren
deutschen Ge- schichtsschreibung (1856). 17. Max Lehmann (1845-1929), storico
tedesco, fu allievo di Droysen e soprat- tutto di Ranke; insegnò a Marburg e
poi a Gòttingen. Le sue opere principali sono Ja biografia di Scharnhorst
(Leipzig, 1886-87) — alla quale si riferisce Rickert nel testo — e un'altra
importante biografia di Stein (apparsa nel 1902-1905). 18. Hermann Ludwig
Ferdinand von Helmholtz (1821-1894), fisico, anatomista e fisiologo tedesco,
autore del volume Uber die Erhaltung der Kraft (1847), dello Handbuch der
physiologischen Optik (1856-67), di Die Lehre von den Tonempfin- dungen als
physiologische Grundlage fiir die Theorie der Musik (1863), dei Populàre
wissenschafiliche Vortrige (1865-76), delle Wissenschafiliche Abhandiungen
(1882-95), e di numerosi altri scritti, fu uno dei maggiori scienziati della
scconda metà del- l’Ottocento. I suoi contributi vanno dalla fisica (scoprì la
legge della conservazione dell'energia) all'elettrologia, dalla geometria
all'ottica geometrica, dall'anatomia alla fisiologia del sistema nervoso. 19.
August Weismann (1834-1914), zoologo e biologo tedesco, autore di Uber die Berechtigung
der Darwinschen Theorie (1868), di Uber den Einfluss der Isolierung auf die
Artbildung (1872), delle Studien zur Deszendenztheorie (1875-76), di Die Konti-
nuiràt des Keimplasmas als Grundlage einer Theorie der Vererbung (1885), di
Uber den Riickschritt in der Natur (1886), degli Aufsitze tiber Vererbung
(1892), di Das Keim- plasma (1892), di Die Allmacht der Naturziichtung (1893),
di Uber Germinalselektion (1896), dci Vortrige tiber Deszendenziheorie (1902) e
di varie altre opere, si richiamò a Darwin, di cui riprese e sviluppò la teoria
della selezione naturale. È considerato uno dei fondatori della genetica
moderna. HEINRICH RICKERT 359 nische Psychologie di Lotze”® o la
Entwicklungsgeschichte der Tiere di von Baer”, il Treatise on Electricity and
Magnetism di Maxwell? o Gemeinschaft und Gesellschaft di Tonnies —
nell’esposizione definitiva tutte queste opere considerano nei loro oggetti —
come risulta già dai titoli — soltanto ciò che consente di ritenerli eguali ad
altri esemplari dello stesso concet- to di genere, e di cui si può quindi dire
che si ripete a piaci- mento. Che vi siano non soltanto scienze generalizzanti
dello spirito, ma anche scienze individualizzanti dei corpi, non ha alcuna
importanza in questo contesto. Noi non ci occupiamo della differenza tra
spirito e corpo, ma soltanto della diffe- renza formale dei fini e dei metodi
scientifici; e anche ai fanatici del metodo scientifico sarà difficile
rifiutare la differen- za che abbiamo indicato. È quasi inconcepibile che si
possa ancora discuterne. Stabiliamo quindi come punto di partenza di una logica
della storia che non soltanto nelle nostre conoscenze pre-scienti- fiche vi
sono due modi di apprendimento della realtà distinti in linea di principio,
quello generalizzante e quello individua- lizzante, ma che ad essi
corrispondono due modi di elaborazio- ne scientifica della realtà differenti
nei loro fini ultimi e così pure nei loro risultati ultimi. Ciò non vuol dire
ovviamente che si debbano separare tra loro due gruppi di scienze, in modo che
ne risulti al tempo stesso il principio di una divisione del lavoro
scientifico. Distinzione logica non significa divisione reale, e l’antitesi
formale non deve né può servire alla divisione reale, poiché quest’ultima si
collega a differenze oggettive del materiale, non già a differenze logiche. È
quindi del tutto erroneo combattere il valore logico dell’antitesi dicendo che
essa frantumerebbe il lavoro scientifico in modo contraddittorio rispetto ai
fatti e che vorrebbe separare ciò che di fatto è 20. Rickert si riferisce qui
alla Medizinische Psychologie oder Physiologie der Scele, Leipzig, 1852. 21.
Karl Ernst von Bacr (1792-1876), zoologo c biologo tedesco, autore di Uber
Entwicklungsgeschichte der Tiere (1828-37), delle Reden und kleine Aufsàtze
(1864-76), del volume Zum Streit îîber den Darwinismus (1873), delle Studien
auf dem Gebiete der Naturwissenschaften (1874). 22. James Clerk Maxwell
(1831-1879), fisico inglese, autore del Treatise on Electricity and Magnetism
(1873), di Matter and Motion (1876) c di varie altre opere, diede un contributo
decisivo alla formulazione della teoria elettromagnetica della luce. 360
HEINRICH RICKERT ovunque in un rapporto di cooperazione. Si tratta soltanto
del- la distinzione concettuale di due diverse tendenze di apprendi- mento
nelle scienze, che possono molto spesso, e fors’anche sempre, cooperare di
fatto; e questa distinzione concettuale sa- rebbe necessaria anche se non si
potessero separare due tipi di scienze neppure in riferimento ai loro fini
ultimi. Se si cerca ora di determinare in modo più preciso l'essenza del
procedimento individualizzante, occorre anzitutto porre in rilievo che il
metodo della scienza non coincide con quell’ap- prendimento individualizzante
della realtà che possediamo nel- le nostre conoscenze pre-scientifiche. Anche
nel caso dell’ap- prendimento generalizzante noi parliamo di metodo soltanto
dove l'elaborazione concettuale viene compiuta sistematicamen- te. Che cosa
corrisponde nella storia a quella connessione siste- matica di concetti più o
meno generali? Nell’indicazione di questi elementi che costituiscono la
scientificità del metodo indi- vidualizzante la logica della storia dovrà
scorgere — una volta che abbia trovato il suo punto di partenza — il suo ulteriore
compito. Qui si potranno naturalmente porre in luce soltanto alcuni punti che
in tempi recenti hanno dato occasione a que- stioni controverse, e che sono
particolarmente adatti a chiarire la differenza del procedimento
individualizzante da quello ge- neralizzante. Cominciamo con un'ulteriore
analisi del concetto che abbiamo posto in risalto fin dall’inizio: il concetto
di totalità storica. L'individualizzazione pre-scientifica estrae spesso gli
oggetti dal loro ambiente in modo da separarli l’un l’altro e quindi da
isolarli. Ma l'elemento isolato in quanto tale non è oggetto di interesse
scientifico, e nulla è più sbagliato che identificare il metodo
individualizzante con il mettere insieme fatti isolati — così come fanno i suoi
avversari. Piuttosto la storia, al pari delle scienze generalizzanti, deve
cogliere tutto in una connes- sione. Ma in che cosa consiste la connessione
storica? A parti- re da ogni oggetto storico essa si estende in certo modo
lungo due dimensioni, che si potrebbero designare come la dimensione della
larghezza e quella della lunghezza; occorre cioè anzitut- to stabilire le
relazioni che uniscono l'oggetto con il suo a1- biente e poi seguire nel loro
legame reciproco i diversi stadi che percorre dall'inizio alla fine, ossia,
come si usa dire, impa- HEINRICH RICKERT 361 rare a conoscerne lo sviluppo.
Certamente, un oggetto così rappresentato è poi, a sua volta, parte di un
ambiente più grande e di uno sviluppo anteriore, e lo stesso vale poi per
questa connessione più comprensiva, di modo che scorge una serie a due
dimensioni che conduce fino ai limiti della totalità storica ultima. Dove stia
questo limite, non è ancora possibile chiarirlo con i concetti finora
acquisiti. In una specifica ricerca storica il punto dove si cessa di perseguire
la connessione stori- ca dipende dalla scelta del tema. Qui si tratta
provvisoriamente soltanto di fissare il concetto di una connessione storica in
gene- rale come connessione di una serie evolutiva di stadi diversi
reciprocamente connessi, concepita nel legame col proprio am- biente. Ciò è
tanto più necessario quanto più sono derivati di qui errori largamente diffusi
sull'essenza del metodo storico. La connessione può essere definita, in
antitesi ai singoli oggetti, come l’elemento generale della storia; e da ciò è
poi sorto il punto di vista secondo cui anche la scienza storica procederebbe
in modo generalizzante. L'inserimento di un oggetto nel suo ambiente — così
come lo storico lo compie — è un processo estraneo al procedimento delle
scienze generalizzanti. Il mi- lieu è sempre individuale, e viene preso in
considerazione dallo storico nella sua
individualità. Esso è generale soltanto
nel senso che i singoli individui in esso inseriti ne costituisco- no le parti. Ma che il rapporto della parte
con il tutto non sia identico al
rapporto tra l'esemplare e il concetto di genere ad esso sovra-ordinato, è cosa che non dovrebbe
richiedere discus- sione. Proprio perché
la storia deve sempre considerare il parti-
colare nel generale, cioè considerarlo come elemento di un tut- to, essa deve venir assegnata (in riferimento
ai suoi fini ulti- mi) alle scienze
individualizzanti: lo stesso risultato si ricava da una considerazione dello sviluppo storico.
Anche lo sviluppo è generale soltanto
nel senso che costituisce una totalità la
quale comprende le sue parti. Nella storia lo sviluppo significa sempre il sorgere di qualcosa di nuovo, di
qualcosa non mai esistito finora; e
poiché nei concetti di legge entra soltanto ciò
che può essere considerato come qualcosa che si ripete a piaci- mento, i concetti di sviluppo storico e di
legge si escludono a vicenda. Soltanto
l’equivocità del termine «sviluppo» rende
362 HEINRICH RICKERT possibile
unificare un procedimento storico-evolutivo con un procedimento scientifico fondato su leggi e
parlare di «leggi dello sviluppo »; per
esempio dove — come nell’embriologia sto-
rico-evolutiva » — si guarda alle serie evolutive per quel che han- no di comune, e dove quindi z07 si deve
prendere in considera- zione il divenire
storico del nuovo nel suo carattere specifico. In breve, gli sviluppi storici non sono altro
che individualità storiche concepite nel
loro divenire e nel loro crescere, e pertanto la loro rappresentazione è possibile, analogamente
a quella della connessione con
l’ambiente storico, soltanto con un metodo in-
dividualizzante. Anzi, la connessione storica « generale » non è che la totalità storica stessa, non già un
sistema di concetti universali: la
storia considera appunto sempre questa totalità
nella sua particolarità, nella sua singolarità e nella sua indivi- dualità.
Se poi indaghiamo anche sul ruolo che i concetti generali hanno nella scienza storica, ci imbattiamo
anzitutto nel fatto che tutti gli
elementi dei giudizi e dei concetti storici sono generali. E tali devono essere già perché li
si indica con parole generalmente
comprensibili, e perché le parole debbono la loro comprensibilità soltanto al fatto di
possedere un significato ge- nerale,
cioè comune a più oggetti. La storia lavorerà quindi sempre con concetti generali di realtà, che
costituiscono gli elementi ultimi dei
propri concetti individuali, e perverrà alla
loro rappresentazione individualizzante solo mediante una de- terminata combinazione di questi elementi generali.
Ma ciò non esaurisce ancora il
significato dei concetti generali nella
storia. Essi risultano indispensabili proprio anche per istituire la connessione storica. Il nesso reciproco
dei diversi stadi di una serie
storico-evolutiva o di un oggetto storico con il suo ambiente è sempre un legame causale, e la scienza
storica deve rappresen- tare questi
rapporti di causa ed effetto per esprimere il legame delle parti con la totalità. Certamente non
di rado si afferma che gli oggetti
dell'indagine storica — o una parte di essi —
sono esseri « liberi » e che perciò lo storico non dovrebbe inda- garne le connessioni causali. Tuttavia, anche
prescindendo dal- la questione se il
concetto di libertà sia da identificare in gene- re con quello di assenza di causa, e se il
problema della libertà non debba essere
trasferito dalla filosofia teoretica all’etica, in HEINRICH RICKERT 363 ogni caso il concetto di assenza di causa non
ha alcun senso per una scienza empirica.
Anche la storia deve presupporre che
ogni suo oggetto sia l’effetto necessario di avvenimenti prece- denti, e deve quindi indagare anche la
connessione causale. Ancora una volta ci
imbattiamo in un punto che può suscita-
re molte questioni controverse. Si è cioè proclamata l’esistenza di un « metodo causale » della storia che
dovrebbe essere analo- go al metodo
delle scienze generalizzanti. Ciò può essere ritenu- to esatto soltanto se si identifica il
concetto di causalità con il concetto di
conformità a leggi. Se si fa questo, certamente ogni scienza che indaghi connessioni causali — e
quindi anche la storia — è una scienza
di leggi; ma questa identificazione non
ha alcuna legittimità. Per possedere realtà empirica, i legami causali devono piuttosto essere realtà
individuali, poiché non vi sono altre
realtà al di fuori di quelle empiriche individuali. Invece le leggi sono sempre generali e
possono perciò valere, se devono essere
più che concetti, soltanto come realtà metafisi- che. Ma la dottrina del metodo deve
mantenersi libera da pre- supposti
metafisici; essa può quindi parlare soltanto di legami causali individuali in quanto realtà
empiriche e di leggi in quanto concetti
generali. L'espressione « metodo causale» —
che è particolarmente usata come antitesi al procedimento « te- leologico» — è perciò un'espressione polemica
che non dice nulla, proprio perché ogni
scienza empirica ha a che fare con
connessioni causali, e le connessioni causali in quanto tali sono ancora indifferenti rispetto alle differenze
di metodo: esse per- mettono, al pari di
ogni altra realtà empirica e individuale, sia
un apprendimento generalizzante sia un apprendimento indivi- dualizzante.
Ma — e con ciò ritorniamo al significato dei concetti genera- li — anche se ogni connessione causale
storica tra due stadi di una serie
storico-evolutiva è un processo in cui la causa produ- ce qualcosa che non esisteva prima, la
rappresentazione di que- sti nessi
causali storici è possibile, al pari di ogni rappresenta- zione dell’individuale, soltanto utilizzando
elementi concettuali che abbiano ognuno
per sé un contenuto generale e che solo nella
loro composizione particolare esprimono l’individualità del rea- le; nella rappresentazione di legami causali
individuali si ag- giunge invece
qualcosa che richiede di fatto l’uso di concetti 364 HEINRICH RICKERT generali in un senso particolare. Lo storico
non vuole cioè indicare soltanto la
successione temporale di causa ed effetto,
ma anche acquisire uno sguardo sulla recessità con cui da questa causa individuale e irripetibile
scaturisce quest’effetto in- dividuale e
irripetibile; e qui non si può evitare una deviazione attraverso concetti generali di rapporti causali
ed eventualmen- te attraverso leggi
causali. Per quanto il legame causale non
possa essere generalmente designato come realtà empirica, per esprimere scientificamente la sua necessità
noi possediamo soltan- to lo «schema»
spaziale e temporale del « dovunque» e del
« sempre », e perciò alla rappresentazione scientifica anche della necessità causale individuale si collega
sempre la formazione di un concetto
generale o (dove si può pervenire ad essa) di una legge causale generale — circostanza che
spiega al tempo stesso il consueto
scambio tra legge e causalità. Ciò costringe anche la storia, se vuol gettare un ponte tra una
causa individuale e il suo effetto
individuale in modo che la connessione causale si lasci cogliere come necessaria, a impiegare
concetti generali di connessioni
causali. Essa raggiunge il proprio fine scomponen- do il concetto dell’oggetto individuale — che
dev'essere colto come effetto necessario
— nei suoi elementi sempre generali e
poi connettendo questi elementi, egualmente generali, del con- cetto della causa individuale, in modo che
ognuno di questi legami tra elementi
concettuali generali esprima la connessione
causale necessaria delle realtà ad essi sottoposte. Fatto que- sto, la storia ricompone gli elementi
generali del concetto di causa,
considerati di per sé, in un concetto che rappresenta l'individualità di questa causa: essa ottiene
in tal modo, mediante una deviazione
attraverso concetti causali generali,
una prospettiva scientifica sul legame necessario della causa sto- rica individuale con l’effetto storico
individuale. Ovviamente, in questo modo
è stato indicato soltanto un ideale logico la cui realizzaziorie può essere raggiunta solo
parzialmente dove non si riesce a
collegare causalmente tutti gli elementi del concetto di effetto a elementi del concetto di causa;
e quindi soltanto di rado potrà
scomparire dalle rappresentazioni storiche un resi- duo causalmente non derivabile. In casi del
genere si parla anche di libertà, perché
manca la possibilità di scorgere la
necessità causale. Non sì può in questa sede discutere più da HEINRICH RICKERT 365 vicino quali mezzi la storia possegga per
cogliere nel modo più compiuto possibile
la necessità di un nesso causale storico, e in
quale rapporto stia quindi con le scienze generalizzanti. Ma è fin d’ora chiaro che anche per lo storico è
importante la cono- scenza di leggi
causali — circostanza che spiega perché si vuol
fare della storia una scienza di leggi. Altrettanto chiaro è però che con questa importanza dei concetti di
legge non cambiano per nulla i fini
della storia. I prodotti del pensiero generalizzan- te sono per essa sempre soltanto deviazioni o
strumenti e servo- no, al pari degli
elementi generali dei concetti storici, a una
rappresentazione che vuol cogliere la totalità storica in modo individualizzante. Neppure mediante un'esposizione di tutti i
casi in cui il procedimento
generalizzante è soltanto mezzo di una rappre-
sentazione individualizzante si potrebbe esaurire il significato che i concetti generali hanno nella storia.
Ciò che si prende in considerazione nella sua singolarità e individualità è
sempre e soltanto la totalità storica, non già tutte le sue parti. Molte di es-
se non vengono rappresentate dalla storia qualora non abbiano alcun significato
per l’individualità del tutto, e anche la mag- gioranza delle parti
rappresentate viene raccolta sotto concetti generali di gruppo. Anzi, si può
sostenere che in una rappresen- tazione storica non c'è bisogno che siano
presenti concetti di oggetti parziali, i quali contengano soltanto ciò che è
singolare e individuale, e che in essa si formano esclusivamente concetti di
gruppo che contengono ciò che è comune a una pluralità di oggetti. Tali concetti di gruppo sorgono
necessariamente quan- do lo storico non
sa abbastanza degli avvenimenti che rappre-
senta per poter penetrare nella loro individualità, ed è perciò costretto ad accontentarsi di un concetto
generale. Ma in moltis- simi casi, e
forse anche in tutti, lo storico vuole formare di fatto un unico concetto di gruppo, e allora
sembra procedere, anche riguardo al suo
fine, in modo generalizzante. In relazio-
ne a ciò si può meglio comprendere anche una questione assai dibattuta. Si è ritenuto che la « vecchia
tendenza » della storio- grafia sia
«individualistica », ma soltanto perché attribuisce troppo valore ad avvenimenti politici o di
altro genere, e quin- di a singole
persone. La « nuova » tendenza dovrebbe, per non rimanere in superficie, occuparsi di meno
delle azioni politi- 366 HEINRICH
RICKERT che di singole personalità e di
più dei movimenti di massa, penetrando
così l'essenza autentica dello sviluppo culturale. AI vecchio metodo « individualistico » si
contrappone pertanto un nuovo metodo «
collettivistico », e questo viene valutato, proprio perché forma soltanto concetti generali, come
il nuovo metodo della storia, l’unico
veramente scientifico e da tempo in uso nel-
le scienze naturali. Ammettiamo pure,
per comprendere il significato logico di
questo punto di vista, che sia vero che lo storico operi soltanto con concetti di gruppo — infatti questa
proposizione è logica- mente assurda
come quella secondo cui la storia dovrebbe for-
mare un sistema di concetti generali — e immaginiamoci per esempio una rappresentazione della
Rivoluzione francese che tenga conto
soltanto dei movimenti di massa, perché ciò che le singole persone hanno compiuto appare
inessenziale. Si potreb- be allora dire
che la storia procede realmente, in base al nuovo metodo, in maniera non soltanto
collettivistica ma anche gene-
ralizzante, come una scienza naturale? Tanto ovvia quest'idea appare ai rappresentanti del nuovo metodo,
altrettanto essa è falsa, perché — e
questo motivo è sempre determinante — sol-
tanto le parti della totalità possono essere ricondotte a concetti generali. Anche una storia che proceda in
maniera collettivisti- ca considera
sempre la totalità nella sua individualità, e anche i concetti generali di gruppo devono venir
formati in modo da essere adatti alla
rappresentazione dell’individualità del tutto.
Di metodo generalizzante si potrebbe parlare soltanto nel caso che si dovesse rappresentare una rivoluzione
qualsiasi e non già — come presupponiamo
e come dobbiamo presupporre fin- ché la
rappresentazione ha carattere di storia — questa determi- nata Rivoluzione francese, che ha avuto
inizio nel 1789 e così via. La
contrapposizione tra metodo « individualistico » e meto- do « collettivistico » è quindi fuorviante.
Tutti gli storici proce- dono in modo
più o meno collettivistico, e lo hanno sempre
fatto. La circostanza che oggi qualcuno lavora il più possibile con espressioni generali come quelle di
epoche e di movimenti di massa, parlando
soltanto di fattori psico-sociologici e dichia-
rando inutilizzabile ogni « psicologia individuale » (che del re- sto soltanto i dilettanti possono porre in
relazione con la conce- zione «
individualistica » della storia), per dare a intendere a HEINRICH RICKERT 367 sé e agli altri di procedere al modo della
scienza naturale, può forse dar luogo a
una storia vaga e indeterminata oppure con-
durre, trascurando le personalità essenziali, a una falsifica- zione diretta dei fatti, ma non può cambiare
per nulla il carat- tere individualizzante
del metodo storico. Dobbiamo anzi fare
un passo più in là. Anche i concetti generali di gruppo impiega- ti dalla storia non sono — pur contenendo
soltanto ciò che è comune a una
pluralità di oggetti — concetti generali nel senso di quelli che forma una scienza
generalizzante procedente in modo
sistematico. Lo storico può cioè ritenersi soddisfatto di un concetto di gruppo soltanto se in esso è
già contenuta nel medesimo tempo
l’individualità di tutti gli elementi di tale
gruppo, per lui significativa nella connessione storica. Perciò il fine in riferimento al quale sono formati i
concetti storici di gruppo non
costituisce una generalizzazione del tipo di quella compiuta dalle scienze generalizzanti, bensì
una rappresentazio- ne
dell’individualità di gruppo. Anche questi concetti generali sono sempre prodotti di un procedimento
individualizzante, nella misura in cui
il principio che determina i loro elementi
può essere compreso soltanto in base ai fini della storia indi- vidualizzante. Si può anche designarli come
concetti collettivi individualizzanti,
per distinguerli sia dai concetti collettivi ai
quali si tende nelle scienze generalizzanti, sia dai concetti gene- rali impiegati strumentalmente nella storia. Questa distinzione può forse suonare un po’
sofistica finché non si sarà trattato di
un altro aspetto del metodo storico.
Occorre cioè richiamare ora l’attenzione sulla circostanza, già rammentata, che l'apprendimento
individualizzante non consi- dera tutta
la molteplicità individuale di una realtà, ma compor- ta una scelta trasformatrice. Alla base di
questa scelta e di questa trasformazione
dev'esserci nella scienza storica un principio, e soltanto il suo chiarimento esplicito
completerà la comprensio- ne
dell’essenza logica del metodo storico.
Per pervenire a un tale principio riflettiamo nuovamente sulle nostre conoscenze pre-scientifiche.
Esse dipendono dall’inte- resse che il
nostro ambiente suscita in noi. Ma che cosa vuol dire avere interesse per gli oggetti? Vuol
dire che non ci li- mitiamo a
rappresentarceli, ma che li riferiamo al tempo stes- so alla nostra volontà e li poniamo in
relazione con le nostre 368 HEINRICH
RICKERT valutazioni. Dove apprendiamo
qualcosa in modo individualiz- zante, la
particolarità dell'oggetto deve in qualche modo essere collegata con valori che non sono collegati a
loro volta con nessun altro oggetto; se
ci arrestiamo a un apprendimento gene-
ralizzante, il collegamento con il valore dipende soltanto da ciò che è allo stesso modo presente in altri
oggetti e che può quindi essere
sostituito da altri esemplari del medesimo concet- to di genere. Questo è l’aspetto non ancora
illustrato della differenza tra
apprendimento generalizzante e apprendimento
individualizzante: anche in riferimento ad esso i due metodi scientifici mostrano un’antitesi di
principio. Se dalla generalizzazione pre-scientifica
si procede a subordi- nare
scientificamente gli oggetti a un sistema di concetti genera- li, non soltanto si astrae dall’interesse per
ciò che è singolare e individuale, ma si
allenta sempre più, con il progredire del
processo di formazione del sistema, il legame dell’elemento co- mune a più oggetti con i valori. Se cioè ogni
concetto generale è subordinato a un
concetto ancor più generale, e se alla fine
tutti i concetti sono ricondotti al concetto generalissimo verso cui tende l’indagine, allora anche gli
oggetti per i quali il sistema deve
valere possono essere considerati come egualmente forniti di valore o egualmente privi di
valore: infatti il princi- pio che determina ciò che è essenziale in un oggetto
non può più essere ora l'interesse originario, ma può essere soltanto la
posizione che l’oggetto assume nel sistema di concetti generali. La divisione
tra essenziale e inessenziale, originariamente com- piuta sempre in base a
punti di vista valutativi, viene così respinta da una scienza generalizzante, e
al tempo stesso sosti- tuita dal fatto che l'elemento generale o comune
coincide ora, in quanto tale, con l’essenziale. Lo svincolarsi degli oggetti da
tutte le relazioni di valore costituisce perciò l’altro aspetto, non ancora
considerato, del metodo generalizzante, e ci indica contemporaneamente l’altro aspetto, non
ancora considerato, del-
l’individualizzazione scientifica. Può quest’ultima egualmente distinguersi dall’individualizzazione
pre-scientifica per il fatto di
svincolare gli oggetti da tutti i valori? Non si scorge in virtù di quale principio diverso dalla relazione di
valore debba sorgere l'apprendimento
individualizzante. Se sciogliamo un oggetto da
tutte le connessioni con i nostri interessi, esso potrà venir
conside- HEINRICH RICKERT 369 rato semplicemente come esemplare di un
concetto generale. L’individuale può
diventare essenziale soltanto in riferimento a
un valore, e quindi eliminando ogni relazione di valore si elimi- nerebbe anche l’interesse storico e la storia
stessa. Viene così alla luce non
soltanto una connessione necessaria tra considerazione generalizzante e considerazione avalutativa,
ma anche una con- nessione altrettanto
necessaria tra apprendimento individualiz-
zante e apprendimento legato ai valori: per cogliere la struttu- ra logica della storia anche sotto questo
aspetto, occorre perciò conoscere più da
vicino il tipo dei valori e del loro legame con
gli oggetti storici. Anche qui è necessario, naturalmente, una volta accertato l’elemento comune presente
nella relazione di valore
pre-scientifica e scientifica, separarle nettamente tra loro. Che i valori abbiano nella scienza un ruolo
determinante, anzi debbano essere
princìpi dell’elaborazione concettuale, sem-
bra contraddire l’essenza della scienza. A buon diritto proprio dallo storico si esige che rappresenti le
cose il più « oggettiva- mente »
possibile, e per quanto questo fine non possa essere raggiunto completamente da nessuno, si può
però in ogni caso indicarlo come ideale
logico. Come si accorda con tutto ciò
l’affermazione che le relazioni di valore appartengono all’essen- za del metodo storico? Per comprendere questo
fatto occorre chiarire che c’è un tipo
di relazione di valore che non coincide
con una presa di posizione e con una valutazione pratica, e che gli oggetti possono essere riferiti ai valori
anche in maniera puramente teoretica.
Certamente, se dalla molteplicità del rea-
le si trae fuori questo elemento come essenziale, e si lascia in disparte quell’ altro come inessenziale,
si può sempre de- signare tutto ciò come
una presa di posizione nei confron- ti
della realtà, nella misura in cui l’essenziale è ciò che è fornito di valore
per la conoscenza scientifica. Ma questo tipo di valutazione non manca in
nessuna elaborazione concettuale della scienza — sia essa generalizzante o
storica — perché il fine della scienza deve sempre valere come valore per
conferire un senso al lavoro scientifico. Se si vuol comprendere nella sua
particolarità l’essenza della relazione di valore nella scienza storica si deve
perciò prescindere totalmente da questa valuta- zione, per quanto importante la
sua presenza possa essere per la trattazione di altri problemi filosofici. Qui
importa soltanto 24. STORICISMO TEDESCO. 370 HEINRICH RICKERT stabilire se, per
il fatto che l’individualità di un oggetto di-
venta essenziale in virtù del riferimento a un valore, ne derivi necessariamente anche una valutazione
positiva o negativa del- l'oggetto; e a
tale domanda occorre rispondere in modo decisa-
mente negativo. La rappresentazione storica implica una rela- zione di valore soltanto nella misura in cui
l'oggetto, appreso in modo
individualizzante, ha un qualche significato per un valore; ma non ha bisogno di pronunciarsi sul
fatto se esso possegga un valore
positivo o negativo e può quindi prescinde-
re del tutto da ogni valutazione, che dev'essere sempre positiva o negativa. Noi dobbiamo distinguere con
precisione la valuta zione pratica e la
relazione puramente teoretica di valore. An-
zi, se pensiamo che non conosciamo mai la realtà così com’era, ma che ogni conoscenza è già una
trasformazione della realtà, diventa
chiaro che non si può disputare del valore positivo o negativo di un’individualità se tra coloro
che disputano non c’è già un comune
apprendimento individualizzante della realtà,
sorto da una relazione di valore puramente teoretica e indipen- dente dalla diversità delle loro valutazioni
pratiche; altrimenti non si disputerebbe
affatto della stesse individualità. Perciò,
quanto il conoscere teoretico e la valutazione positiva o negati- va sono due processi distinti in linea di
principio, tanto poco la relazione
puramente teoretica di valore è in contraddizione con la conoscenza scientifica. Lo storico non
valuta i suoi oggetti in quanto storici,
ma trova di fronte a sé dei valori —
come quelli dello stato, delle organizzazioni economiche, del- l’arte, della religione ecc.; e in virtù
della relazione teoretica degli oggetti
con questi valori, vale a dire in riferimento al fatto se e come la loro individualità
significhi qualcosa per questi valori,
la realtà si articola ai suoi occhi in elementi
essenziali e inessenziali, senza ch’egli debba pronunciare un giudizio di valore diretto, positivo o
negativo, sugli oggetti. L'essenza della
relazione di valore storica diventa del tutto
chiara se fissiamo ancora un secondo punto, in virtù del quale l’individualizzazione scientifica si
distingue da quella pre-scien- tifica; e
già i concetti di valore prima utilizzati come esempi vi alludono. La relazione teoretica di valore
nella storia non è soltanto indipendente
da una valutazione positiva o negativa, ma deve anche essere 207 arbitraria
sotto un altro punto di HEINRICH RICKERT 371 vista, cioè in riferimento ai
valori con cui gli oggetti vengono posti in relazione. Ciò si consegue però
solamente in quanto lo storico articola la realtà in elementi essenziali e
inessenziali in relazione a valori universali, ossia a valori quali quelli
incorpo- rati negli esempi sopra indicati dello stato, dell’arte, della reli-
gione ecc. Per quanto ciò sia in fondo semplice, anche di qui sono sorte molte
contese e molte incomprensioni. In particola- re, si è ancora una volta ritenuto
che il metodo della storia sia un metodo generalizzante a causa
dell’universalità dei valori. Certamente — così si può giustificare questo
punto di vista — lo stato è per esempio un concetto generale, e se gli eventi
storici vengono rappresentati come eventi politici, l’elemento politico in essi
presente, in virtù del quale sono storicamente essenziali, è pur sempre
l'elemento comune. Così essi vengono ricondotti sotto il concetto generale di
politico nello stesso mo- do in cui nelle scienze generalizzanti gli oggetti
vengono appre- si come esemplari di un concetto di genere. È veramente giusto
questo? È esatto che valori universali sono nel medesimo tem- po concetti
generali. Ma, in primo luogo, la storia non si prefigge mai di formare o anche
soltanto di ordinare sistemati- camente
questi concetti universali di valore, come dovrebbe fare se fosse una scienza generalizzante;
essa si trova già di fronte concetti
universali di valore, e solamente la filosofia del- la storia, non già la scienza storica
empirica può — come vedremo avanti —
porsi il compito di pervenire a un sistema di
concetti universali di valore. Inoltre — e questa è la cosa princi- pale — l’universalità del valore non ha per
la storia il significa- to di contenere
ciò che è comune a più valori particolari:
importa soltanto il fatto che la storia riferisce i suoi oggetti a valori i quali valgono come valori per tutti
coloro a cui si rivolge, o per lo meno
vengono da tutti intesi come valori. Del
resto, il riferirsi degli oggetti ai valori conduce a un apprendi- mento individualizzante, poco importa che i
valori siano pura- mente individuali
oppure universali nel senso indicato: questa
differenza riguarda infatti soltanto la validità dei valori, non già la struttura logica della relazione di
valore. In breve, che per giungere a
risultati universalmente validi la scienza storica abbia bisogno di valori universali non incide
affatto sull’antitesi tra il metodo
storico individualizzante riferito ai valori e il 372 HEINRICH RICKERT metodo generalizzante avalutativo delle
scienze di leggi. Volen- do, si può anzi
dire che ogni scienza, per avere validità univer- sale, deve sempre «subordinare » il
particolare all’universale. Ma questa
frase è, per la sua indeterminatezza, molto equivoca e in ogni caso non dice nulla. Se si vuole
adoperarla nella dottrina del metodo
occorre distinguere rigorosamente una « su-
bordinazione » generalizzante a concetti avalutativi di genere o di legge da una « subordinazione »
individualizzante a concet- ti
universali di valore; e la cosa migliore sarà di impiegare il termine « subordinazione » soltanto per
designare il rapporto reciproco dei
concetti generali e il rapporto dell’esemplare con il concetto di genere ad esso superiore,
altrimenti possono sorge- re soltanto
errori. Se con questa prospettiva più
esatta sull’essenza del procedi- mento
individualizzante ritorniamo ancora una volta ai concet- ti storici che sembravano costituire, per la
generalità del loro contenuto, un’istanza
negativa contro la caratterizzazione della
storia come scienza individualizzante, è possibile comprendere meglio i concetti storici di gruppo nella
loro differenza dai con- cetti storici
di gruppo generalizzanti. Essi non hanno soltanto — come tutti i concetti relativi a parti
storiche — lo scopo di espri- mere
l’individualità del tutto storica a cui appartengono; ma an- che la scelta di ciò che è essenziale è
determinata, nella loro for- mazione,
dal valore universale dominante. In altri termini, non già l'elemento comune in quanto tale
costituisce di per sé l’essen- ziale, ma
la circostanza che il suo contenuto consiste dell’elemen- to comune a una pluralità di oggetti ha per
unico fondamento il fatto che soltanto
l’individualità del gruppo, e non l’individuali- tà delle singole parti, riveste significato
per il valore universa- le, e che quindi
già il concetto di gruppo contiene individualità sufficiente a esprimere ciò che è essenziale
per la rappresentazio- ne
individualizzante riferita ai valori. Il principio di elaborazio- ne concettuale dei concetti storici
collettivi è quindi esattamen- te lo
stesso che per tutti gli altri concetti storici: ancora una volta risulta quanto poco senso abbia
definire collettivistico il procedimento
della storia, in riferimento al suo carattere /ogi- co. La polemica tra il cosiddetto metodo
collettivistico e il cosiddetto metodo
individualistico è una polemica sul contenu-
to della scienza storica, e non ha nulla a che fare con i proble- HEINRICH RICKERT 373 mi logici del metodo. Anche una
rappresentazione che proceda in modo
puramente collettivistico non soltanto sarebbe — come si è già visto — individualizzante, ma
sarebbe anche guidata, al pari di
qualsiasi rappresentazione storica, da punti di vista valutativi.
Il grosso ruolo che i punti di vista valutativi hanno nella storia viene del resto sempre più
riconosciuto e meglio compre- so nei
tempi recenti, anche se non sempre l’attenzione è rivol- ta ai due punti più importanti, cioè alla distinzione
della rela- zione teoretica di valore
dalla valutazione pratica e all’universa-
lità dei valori. Naturalmente qui non è possibile trattare in mo- do esaustivo tutte le questioni connesse con
i valori; ci limitere- mo però a porre
in rilievo almeno due punti. Un'indagine
logica non potrà mai proibire allo storico di
oltrepassare la relazione teoretica di valore per assumere una posizione valutativa nei confronti dei suoi
oggetti; e forse nessu- na
rappresentazione storica è mai del tutto libera da valutazio- ni positive o negative. Si deve però anche
stabilire che, dove sembra essere presente un giudizio di valore, non sempre si
intendeva realmente formularlo. In ogni rappresentazione stori- ca si troveranno
cioè proposizioni che accompagnano soprattut- to le azioni umane con un
predicato di lode o di biasimo, che constatano qui un atto di bontà o di
coraggio, là un delitto; e proprio questo sembra distinguere la storia dalle
scienze di leggi, per le quali il vizio e la virtù sono prodotti quanto lo sono
il vetriolo o lo zucchero. È anche chiaro che lo storico può prendere posizione
con proposizioni del genere. Ma in moltissimi casi i predicati di valore
servono soltanto all’accerta- mento di fatti e alla caratterizzazione puramente
teoretica degli avvenimenti. Quando per
esempio un’azione viene designata come
criminale, ciò può anche voler dire che le fonti costringo- no ad assumere che siamo di fronte a un atto
che generalmente si definisce delitto; e
se un altro storico accompagna quest’azio-
ne con un altro predicato, ciò non significa necessariamente che egli valuti altrimenti lo stesso stato di
fatto, ma che egli può anche assumere un
altro stato di fatto che poi deve, naturalmen-
te, designare in modo diverso. Nella trattazione dei fattori valutativi presenti nella storia ci si dovrebbe
porre in ogni caso la domanda se il
predicato di valore ha realmente l’intenzione
374 HEINRICH RICKERT di valutare,
o se non serva piuttosto soltanto allo scopo di
utilizzare il significato terminologico ad esso generalmente con- nesso per stabilire un fatto, nello stesso
modo in cui ciò av- viene con
significati che non possono essere impiegati a scopo di valutazione. Se quindi la comparsa di valutazioni può
sembrare in parec- chi casi più
frequente di quanto non sia in realtà, occorre
d’altra parte porre in rilievo che in certo senso anche le valuta- zioni sono un elemento indispensabile della
scienza storica. Se è certo che la
relazione teoretica di valore non è una presa di posizione pratica e che perciò lo storico può
sempre astenersi da qualsiasi
valutazione dei suoi oggetti, altrettanto certo è che nell’ambito dei valori a cui riferisce i suoi
oggetti egli dev’esse- re in qualche
modo, anche come storico, un uomo che compie
valutazioni. Nessuno che non ponga i valori politici in relazio- ne alle proprie valutazioni positive o
negative, che non abbia cioè un qualche
rapporto valutativo nei confronti di questioni
politiche, scriverà o leggerà di storia politica: senza essere egli stesso un uomo che compie valutazioni in
questo campo, non comprenderebbe infatti
i valori che guidano la selezione del
materiale storico, e non avrebbe quindi il minimo interesse storico per esso. Ma ciò che vale per la
storia politica deve parimenti valere
per la storia dell’arte, della religione, dell’eco- nomia ecc. Spesso ciò non viene neppur
osservato, come certe cose evidenti: vi
sono anzi molti storici i quali credono non
soltanto di stare con i loro oggetti in un rapporto semplicemen- te conoscitivo, ma anche di essere, in quanto
storici, puri spetta- tori. Di fatto lo
storico si distingue dal ricercatore che procede in modo generalizzante anche perché nel suo
lavoro non soltan- to deve riconoscere
come valore il fine scientifico ch'egli perse-
gue, ma prende anche posizione se non verso gli oggetti storici, almeno nei confronti dei valori universali a
cui riferisce in modo individualizzante
i suoi oggetti. Quale significato abbia
per l’« oggettività » delle scienze storiche il fatto che c’è
storia soltanto per esseri capaci di
valutazione, in quale rapporto que- sta
oggettività stia con l’oggettività delle scienze generalizzan- ti o scienze di leggi, le quali non hanno
bisogno di riconoscere altro valore se
non quello stesso della scienza generalizzante,
non può venir discusso in questa sede. Qui si deve soltanto HEINRICH RICKERT 375 comprendere la struttura logica della scienza
storica quale esi- ste di fatto, e in
particolare descrivere l’essenza del suo meto-
do riferito ai valori e individualizzante, così come viene real- mente esercitato, e penetrare questo metodo
nella sua necessità logica che risulta
dai fini della storia. In base ai
fondamenti indicati non si è finora parlato del
carattere specifico del materiale storico, e non si è quindi nep- pure potuto rispondere alla questione del
modo in cui pervenia- mo a rappresentare
non soltanto in modo generalizzante, ma
anche in modo individualizzante, il materiale di cui tratta- no le scienze storiche. Il motivo di ciò
dev'essere finalmente indicato per
rendere comprensibile l’essenza della scienza stori- ca, e ciò in quanto lo specifico carattere
materiale degli oggetti storici può
essere inteso in base all’essenza logica del metodo storico. Decisiva è qui, ancora una volta, la
connessione dell’ap- prendimento
individualizzante con l'apprendimento riferito ai valori. La rappresentazione individualizzante
costituisce cioè un bisogno soprattutto
dove più stretto è il nesso degli oggetti
con i valori. Se ripensiamo all’elaborazione concettuale pre- scientifica, vediamo che essa è sempre
caratterizzata dal fatto che sono in
prevalenza uomini quelli che vengono considerati come individui, e che in questi uomini è
particolarmente signifi- cativo in virtù
della sua individualità ciò che è espressione
della loro vita psichica. Anzi, il nostro apprendimento indivi- dualizzante è talmente dominato
dall’interesse per la vita psi- chica
degli uomini che equipara addirittura il concetto di indi- viduo con quello di personalità, e si è
costretti a riflettere esplicitamente
sul fatto che un qualsiasi oggetto mostra pari-
menti un’impronta assolutamente individuale. Se e fino a qual punto la storia in quanto scienza che
riferisce i suoi oggetti non a valori
individuali puramente personali, ma a valori uni- versali, debba rappresentare le personalità,
dipende soltanto da ciò che le
personalità significano nella loro singolarità per i valori universali; perciò
l’individualizzazione scientifica può al-
lontanarsi di molto da quella pre-scientifica. Dal momento pe- rò che ogni storia viene fatta da uomini,
anche la rappresenta- zione scientifica
del singolare e del particolare dev'essere preva- lentemente rivolta alla vita psichica degli
uomini; e questo è il motivo per cui le
scienze storiche sono sempre state inserite tra
376 HEINRICH RICKERT le «scienze
dello spirito». Comprendiamo ora con tutta chia- rezza perché questa designazione esprime una
caratteristica se- condaria dal punto di
vista logico e non è neppure adatta,
anche prescindendo da ciò, a caratterizzare in modo compiuto il materiale della scienza storica. Infatti
non è soltanto la vita spirituale, ma è
in misura prevalente Ja vita spirituale che
interessa lo storico nella connessione con i processi corporei; inoltre non tutta la vita spirituale, e
neppure tutta la vita psichica
dell’uomo, ma soltanto una determinata e relativamen- te piccola parte della vita psichica degli
uomini viene presa in considerazione
come materiale da parte della scienza storica.
Anche volendo limitare questa parte per conseguire una ca- ratterizzazione ancor più esatta del
materiale storico, ciò può avvenire
ancora una volta soltanto in base alla comprensione che abbiamo realizzato dell’essenza del
metodo storico, e cioè appunto in
riferimento alla particolarità dei punti di vista valu- tativi che nell’elaborazione concettuale
individualizzante sono determinanti per
la selezione di ciò che è essenziale. Il fatto
che si tratti sempre di valori umani universali può venir espres- so anche dicendo che diventano storicamente
essenziali soltanto gli oggetti che
posseggono un significato in relazione a interes- si sociali. Perciò, in virtù della
connessione storica delle parti con la
totalità storica o con la società, l’oggetto principale della ricerca storica non è l’uomo in genere,
concepito come svincola- to da essa, ma
è l’uomo come essere sociale — e ciò soprattutto perché partecipa alla realizzazione dei
valori sociali. Certamen- te, il
concetto di societas dev'essere qui preso in senso tanto ampio da comprendere anche comunità come
quelle degli scien- ziati o degli
artisti. Se chiamiamo con il nome di cultura il
processo con cui i valori sociali universali si realizzano nel corso dello sviluppo storico, l’oggetto
principale della storia dev'essere la
rappresentazione delle parti o della totalità della vita culturale umana, e ogni materiale
storicamente importante deve avere un
qualche legame con la vita culturale umana,
poiché soltanto allora vi è un motivo per riferirla ai valori universali e indagarla nella sua
particolarità e individualità. I valori
che guidano la selezione di ciò che è essenziale nella storia devono perciò essere designati anche
come valori cultura- li universali —
così come li abbiamo incontrati, per esempio,
HEINRICH RICKERT 377 nei concetti
di valore dello stato, del diritto, dell’arte, della religione, dell’organizzazione economica.
S'intende che lo stori- co non può dire
che cosa sia progresso culturale o regresso
culturale, poiché in tal caso passerebbe dalla relazione teoreti- ca di valore alla valutazione pratica. Non
c'è bisogno che i suoi ideali culturali
assumano un'importanza determinante per
l'elaborazione del suo materiale; ma egli dev'esserein grado di comprendere i valori culturali universali
degli uomini e dei popoli che
rappresenta, per poter separare l’essenziale dall’ines- senziale in virtù di una relazione puramente
teoretica di valore. Inoltre l'indagine
storica non è limitata ai processi culturali.
Particolarmente quando occorre conoscere le cause degli avveni- menti storici, possono risultare
significativi anche oggetti che ap-
partengono semplicemente alla « natura », e che diventano im- portanti proprio con riguardo alla loro
individualità: per esempio la particolarità
del clima di una determinata regione, la posizio- ne geografica di un paese, e così via. Ma per
trovare posto in una rappresentazione
storica questi oggetti devono sempre sia
connettersi causalmente con processi culturali sia essere conside- rati nel loro significato per i valori
culturali; e al centro di una scienza
individualizzante resterà sempre una qualche parte dello sviluppo singolare della vita
culturale. Che con ciò non sì intenda
affatto vantare un particolare « metodo storico-cultura- le», come oggi sovente vien fatto in antitesi
al metodo della storia politica, non
richiede un’esplicita assicurazione. La logi-
ca non può decidere la questione del « campo di lavoro specifi- co» della storia, e neppure perviene alla
questione dell'essenza del metodo
storico. Se si vuol parlare di un’antitesi tra storia politica e storia culturale in genere, l’una
e l’altra devono però applicare il
medesimo procedimento individualizzante; può sol- tanto darsi che la storia culturale, nel
senso più ristretto in cui oggi talvolta
la si intende, applichi concetti di gruppo in misu- ra più ampia di quanto non faccia la storia
dei processi politi- ci. Noi sappiamo
però che un numero maggiore o minore di
concetti di gruppo non cambia per nulla l’essenza del metodo storico. A prescindere da ciò, non è affatto
stabilito che la storia culturale sia
configurata in modo più « collettivistico »
della storia politica. Tali
questioni hanno a che fare con la dottrina del metodo 378 HEINRICH RICKERT soltanto nella misura in cui devono essere
tenute scrupolosamen- te lontane dalle
indagini logiche. Il dilettantismo logico dei
giorni nostri ha anche qui prodotto disorientamento, ma non possiede ancora un'importanza tale da
giustificare un esame più ravvicinato in
questa sede. Il termine « cultura » viene qui
usato nel senso che la vita politica è una parte della vita cultu- rale in genere. Esso non designa altro che
l’insieme degli oggetti che hanno un
significato diretto per la realizzazione dei valori universali e che, a causa di questa relazione
di valore, non possono mai essere
rappresentati in modo esaustivo da una
scienza generalizzante, ma richiedono invece di essere appresi da una scienza individualizzante. Con ciò è
subito chiaro in qual senso la scienza
storica sia una necessità per gli uomini
civili. L'uomo civile riferirà sempre la realtà ai valori culturali universali, cosicché deve sorgere la domanda
relativa al modo in cui si è compiuta la
realizzazione della cultura nel suo
sviluppo singolare: a tale questione può dare risposta soltanto la storia individualizzante, mai una scienza
generalizzante. II. I PRINCÌPI DELLA
VITA STORICA Se guardiamo ancora una
volta indietro, utilizzando i con- cetti
che abbiamo fornito si può delineare un sistema delle scienze empiriche in cui alla storia è
assegnato — in riferimen- to sia al suo
metodo che al suo materiale — un posto stabile;
sulla base di questa prospettiva si possono comprendere e af- frontare gli altri gruppi di problemi di
filosofia della storia. Dal punto di
vista del metodo le scienze particolari procedono o in modo generalizzante e sistematico o in
modo individualiz- zante e quindi non
sistematico. Il loro materiale consiste o di oggetti naturali, svincolati dai valori, o di
processi culturali, che sono invece
riferiti a valori. Questo è soltanto uno schema
generalissimo: non si deve quindi dire — si dovrà sempre sottolinearlo — che le diverse discipline
lavorano in modo esclu- sivamente
generalizzante o esclusivamente individualizzante, che trattano soltanto di oggetti naturali o
soltanto di processi culturali, e che
gli oggetti naturali devono essere rappresentati soltanto in forma generalizzante e i processi
culturali soltanto HEINRICH RICKERT
379 in forma individualizzante. Al
contrario, i diversi metodi sono
strettamente congiunti nella trattazione dei diversi materiali, e i princìpi di divisione qui forniti possono
collegarsi in maniera differente. Il
procedimento generalizzante parte da fatti indivi- duali, mentre quello individualizzante ha
bisogno di concetti generali come
strumenti di rappresentazione e di connessione.
Accanto alle scienze naturali generalizzanti vi sono discipline che trattano dei processi naturali in modo
individualizzante e quindi, anche se
mediatamente e indirettamente, in riferimento
ai valori, come per esempio la storia dell'evoluzione degli orga- nismi; e viceversa la vita culturale può,
nonostante la relazio- ne di valore,
essere sottoposta a una rappresentazione generaliz- zante. Anzi, anche prescindendo del tutto
dalla psicologia, mol- te delle
cosiddette scienze dello spirito — come per esempio almeno in parte la linguistica, la
giurisprudenza, l'economia — sono
scienze culturali non certo storiche, ma sistematiche; il loro metodo non coincide necessariamente con
quello delle scienze naturali
generalizzanti, e la loro struttura logica costi- tuisce quindi uno dei problemi più difficili
e interessanti della dottrina del
metodo. Ma per quanto grande possa essere la varietà delle aspirazioni
scientifiche che la logica non deve
criticare, ma semplicemente riconoscere come fatti, e per quan- to i princìpi logici di divisione debbano
quindi limitarsi a distinguere concettualmente
ciò che è strettamente connesso nel- la
realtà, la storia — la quale tratta degli uomini, delle loro istituzioni e delle loro imprese — può essere
solamente designa- ta, con riguardo ai
suoi fini ultimi, come scienza individualiz-
zante della cultura. Il suo scopo è sempre la rappresentazione di una serie di sviluppo singolare, più o
meno comprensiva; e i suoi oggetti sono
essi stessi” processi culturali oppure stanno in relazione con valori culturali. In tal modo
questa scienza risul- ta in linea di
principio distinta per il suo contenuto da tutte le scienze naturali, procedano esse in modo
generalizzante o indi- vidualizzante, e
metodologicamente distinta anche da tutte le
scienze culturali che trattano i loro oggetti in modo sistematico. La logica della storia deve muoversi entro
questo quadro. Soltan- to allora essa
può penetrare che cosa è realmente la storia, e sol- tanto così può essere utile a una filosofia
che voglia comprendere il significato
della storia reale per la soluzione dei suoi problemi. 380 HEINRICH RICKERT La costruzione di scienze del futuro, oggi
particolarmente cara alla logica della
storia, non ha invece alcun valore né per la
ricerca particolare né per la filosofia, se non quello di un esem- pio scoraggiante. Anche la questione d ei princìpi
dell’accadere storico, che prendiamo ora
in esame, può trovare risposta soltanto se ci si appoggia sul concetto di ciò che viene di
fatto rappresentato come storia dalle
scienze storiche. Già sappiamo che questi
princìpi vengono cercati o in leggi generali o nel senso genera- le della vita storica. Se si vuole pervenire
a chiarezza sui compi- ti della
filosofia della storia come dottrina dei princìpi, occorre determinare che cosa si può intendere quando
si parla di legge oppure di storia, e
chiedersi che cosa meriti il nome di princi-
pio della storia. Ne risulterà che l’alternativa tra legge e senso della storia, al pari della lotta tra metodo
generalizzante e metodo
individualizzante, investe le due tendenze principali contrapposte della filosofia della storia
contemporanea, e che la decisione in
questo scontro dipende essenzialmente, ancora una volta, dalla comprensione dell'essenza logica
della scienza stori- ca empirica. Il termine «legge» appartiene a quelle
espressioni la cui equivocità ha dato
occasione a molteplici oscurità e fraintendi-
menti. Mentre nell’identificazione tra legge e causalità la causa - lità viene unilateralmente considerata come
forma dell’appren- dimento
generalizzante, esiste d’altra parte un uso linguistico secondo cui « conforme a legge » equivale
senz'altro a « necessa- rio ». Il
termine può allora designare la necessità di ciò che è singolare e particolare, e anche la necessità
di un imperativo o di un valore.
Pretendere di vietare in ogni caso quest’uso sareb- be pedantesco, e non avrebbe successo. Nella
filosofia, però, bisognerebbe evitarlo
almeno nei punti decisivi; e in ogni caso,
se alla filosofia della storia viene posto il compito di cercare le leggi della storia, ciò ha un senso chiaro
soltanto se per legge si intende la
legge naturale. La necessità della legge non signifi- ca allora la necessità di una realtà
individuale, ma universalità
incondizionata di un concetto, e più precisamente il nesso ne- cessario di almeno due concetti generali e il
nesso necessario delle realtà
corrispondenti soltanto nella misura in cui la legge dice che, quando un oggetto individuale
mostra tra le altre HEINRICH RICKERT
381 caratteristiche anche quelle che costituiscono
gli elementi di un concetto generale,
con esso è dovunque e sempre connesso real-
mente un altro oggetto che, tra le altre caratteristiche, pos- siede anche quelle che costituiscono gli
elementi dell’altro con- cetto generale.
In breve, la conoscenza della legge è la forma di apprendimento della realtà a cui tende, come
ideale supremo, ogni scienza
generalizzante della natura. Che la
scienza storica empirica non si ponga mai il fine ultimo di trovare leggi in quest’accezione,
già lo sappiamo. Lo storico che fa
questo cessa di essere storico e di volere una
rappresentazione storica del suo oggetto. Perciò, dal momento che scienza storica empirica e scienza di
leggi si escludono concettualmente tra
loro, si può dire che il concetto di « legge
storica » contiene una contradictio in adiecto — dove ovviamen- te il termine «storico» ha soltanto il senso
formale o logico già indicato, e questo
principio riveste carattere logico anche
nella misura in cui è indipendente non soltanto da ogni idea sul materiale della storia, ma anche da ogni
visione sull’essen- za della realtà in
genere. Esso vale tanto presupponendo il
materialismo o il parallelismo psico-fisico quanto presupponen- do una metafisica spiritualistica o una
dottrina metafisica della libertà. Anche
la storia di un oggetto le cui leggi ci fossero
note senza alcun residuo non consisterebbe mai di queste leg- gi, ma le utilizzerebbe soltanto come
mezzi. Ma ciò che vale per la scienza
storica empirica non vale necessariamente
per la filosofia della storia. Poiché è logicamen- te legittimo rivestire ogni realtà con un
sistema di concetti generali, e poiché
non occorre essere seguaci del materialismo o
del parallelismo psico-fisico per ritenere possibile che ogni esse- re accessibile alle scienze empiriche possa
venir ricondotto a leggi generali,
sembra che si possa senz'altro ritenere che il
filosofo della storia — il quale, in quanto filosofo, non è uno storico, ma ha sempre a che fare con l’universale
— scopra leggi valide per lo stesso
materiale che le scienze storiche empi-
riche tendono ad apprendere in modo individualizzante. Dal momento che tale materiale è costituito
principalmente dalla vita sociale degli
uomini, da ciò sorge l’idea di una sociologia
come filosofia della storia che ricerca leggi — un'idea che è più vecchia della terminologia di Comte, ma che
trova molti segua- 382 HEINRICH
RICKERT ci anche ai giorni nostri. Per
tale via, questi sociologi cercano una
conoscenza che conduca al di là delle singole rappresenta- zioni storiche, con la loro aderenza al
particolare, e penetri l'essenza
universale di tutto lo sviluppo storico. Evidentemente — così ritengono almeno i più cauti
rappresentanti di questo punto di vista
— la conoscenza storica di ciò che è singolare e individuale non è priva di valore, ma
costituisce, al contrario,
l'indispensabile fondamento di una considerazione ulteriore — ossia costituisce, dal punto di vista della
filosofia della storia, soltanto il
fondamento, il lavoro preparatorio. Su questa base si deve poi innalzare l’edificio di una
filosofia della storia com- prensiva,
che abbracci nelle sue leggi il ritmo e quindi i princì- pi di tutta la vita storica. Se passiamo a valutare questo punto di
vista, vediamo infat- ti che, se il
termine «storico» designa non già il metodo,
ma il materiale della storia, il concetto di legge storica non contiene per lo meno nessuna contraddizione
logica; e in ogni caso è un'impresa del
tutto legittima ricercare le leggi della
vita sociale degli uomini. Del tutto diverso è però chiedersi se abbia un senso designare come princìpi
dell’accadere storico le leggi
eventualmente trovate attraverso la considerazione genera- lizzante del materiale che la storia
rappresenta in modo indivi- dualizzante,
e se sia quindi corretto chiamare la sociologia col nome di filosofia della storia. Questa è
qualcosa di più che una questione
terminologica; e se ad essa si risponde affermativa- mente in base al principio che si possono
trovare leggi per ogni realtà, quindi
anche per gli oggetti delle scienze storiche,
si trascurano due punti d'importanza decisiva. I princìpi storici devono cioè essere in primo luogo princìpi
della cultura e in secondo luogo
princìpi dell'universo storico. Sono appropriate a tale scopo le leggi nel senso di leggi naturali? Ciò che soprattutto importa può venir
chiarito nel modo migliore se si ripensa
al fatto che né la conoscenza pre-scientifi-
ca, né una qualsiasi conoscenza scientifica della realtà empirica riproduce questa realtà quale esiste
indipendentemente dalla nostra
elaborazione concettuale, ma che ogni conoscenza si co- stituisce soltanto in virtù di un
apprendimento che trasforma la realtà.
Nel suo processo di formazione la scienza può essere guidata soltanto dai fini che si è posta come
scienza generaliz- HEINRICH RICKERT
383 zante o individualizzante, e una
scienza generalizzante potrà quindi
sperare di pervenire a leggi soltanto se si libera da tutti gli interessi per la realtà che non siano
quelli indirizzati a determinare
concetti incondizionatamente generali per il pro- prio campo. Essa deve poter separare ciò che
ad altri modi di apprendimento appare
connesso, e deve comprendere sotto un
concetto ciò che in rapporto ad altri interessi non sembra avere assolutamente nulla in comune. Quanto
essa si allontani così
dall’apprendimento pre-scientifico risulta particolarmente chiaro allorché si determinano le leggi più
comprensive. Basta considerare che le
scienze di leggi conducono a una separazio-
ne di principio dell’elemento fisico spaziale dall’elemento psi- chico inesteso, e quindi alla
rappresentazione di due mondi tra i
quali non è più possibile istituire alcuna connessione reale, mentre per il nostro apprendimento
pre-scientifico — e anche per il nostro
apprendimento storico — i due campi sono inscin- dibilmente legati tra loro. Oppure si pensi
come il trattamento imposto dalle
scienze di leggi faccia sempre più scomparire il carattere di cosalità della nostra immagine
del mondo e intro- duca al suo posto, in
misura crescente, concetti di relazione.
Una scienza della vita sociale degli uomini richiederà evidente- mente, in linea di principio, la medesima
libertà di trasforma- re la realtà
mediante l’elaborazione concettuale generalizzan- te; se ciò viene applicato al suo rapporto
con la vita storica, ne risulta che la
sociologia — nel caso che voglia essere al tempo stesso filosofia della storia — non possiede
questa libertà di distruggere ogni forma
di apprendimento della realtà diversa da
quella determinata dal suo fine di una conoscenza di leggi. Se della sociologia si deve realmente poter
dire che tratta il medesimo materiale
della storia, essa dovrà per lo meno cercare
le leggi della vita culturale, in quanto ogni scienza storica ha a che fare o con processi culturali o con
realtà che sono in relazio- ne con
questi. Ma la cultura non è affatto una realtà libera da interpretazioni, che possa venir sottomessa a
una qualsiasi elabo- razione e trasformazione
concettuale; da una parte la cultura è
una sezione determinata della realtà, di cui non si sa se per essa, e soltanto per essa, valgano concetti
di legge, dall’altra tale sezione è una
realtà già articolata e trasformata in modo
ben determinato da valori culturali. Chi può dire se questa 384 HEINRICH RICKERT articolazione, dalla cui consistenza
dipende se designamo una realtà come
cultura, si conserva allorché cerca di farsi valere l'apprendimento generalizzante? Se però
questo non avviene, allora la sociologia
in quanto scienza di leggi rappresenta insie-
me con l’altra vita sociale — non storica — anche la medesima realtà trattata dalla storia, ma non
l’apprende come la medesi- ma realtà,
ossia non la rappresenta come cultura; e quanto
poco importi da questo punto di vista la comunanza del mate- riale, appare chiaro non appena si pensi che
l'oggetto comune non è che una parte di
quella sterminata molteplicità che, in
quanto tale, non soltanto non può confluire in nessuna scienza, ma di cui possiamo parlare solo in generale,
mai in particola- re, perché non la
conosciamo libera da interpretazioni. C'è
perciò non soltanto un’inconciliabilità tra metodo generalizzan- te e metodo individualizzante nelle scienze
particolari, ma man- ca pure ogni
garanzia di conciliabilità tra la considerazione delle scienze di leggi e la considerazione
delle scienze della cultura; anzi a
causa della stretta relazione tra pensiero indivi- dualizzante e pensiero riferito ai valori è,
se non logicamente impossibile, almeno
molto improbabile che i concetti di legge
possano sempre coincidere nel loro contenuto con i concetti culturali generali. Con ciò è tolto il
terreno, già in linea di principio, al
programma di una sociologia intesa come filosofia della storia, la quale poggi sul principio
che dev'essere possibile trovare leggi
per una qualsiasi realtà. Il tentativo di determina- re leggi della vita sociale mantiene
ovviamente il suo buon diritto, ma nulla
ci autorizza a considerare queste leggi come
princìpi della vita culturale, semplicemente perché sono leggi della medesima realtà libera da
interpretazioni di cui tratta la storia.
A ciò si può credere soltanto se, indulgendo a un inge- nuo realismo concettuale, si scambia il
nostro apprendimento pre-scientifico e
scientifico della realtà con la realtà stessa.
Poiché in un certo senso qui non andiamo al di là delle possibilità logiche e — almeno secondo quanto
si è detto finora — soltanto un caso
miracoloso potrebbe far sì che i concetti di
legge e i concetti culturali coincidano sempre, per giungere a chiarezza occorre ancora mostrare
esplicitamente in quale caso ogni
ricerca di leggi della vita culturale è priva di senso. Il punto decisivo sta nuovamente nel concetto
del rapporto che la HEINRICH RICKERT
385 totalità ha con le sue parti.
Anzitutto, in quali casi l’apprendi-
mento della realtà come cultura può accompagnarsi con l’ap- prendimento generalizzante? Dal momento che i
valori cultura- li sono sempre, in quanto
valori universali, anche concetti di
contenuto generale, gli avvenimenti storici — i quali diventano essenziali in virtù della loro individualità
in riferimento a un valore culturale
universale — possono essere considerati come
esemplari di questo concetto generale. Infatti, anche se il proce- dimento individualizzante è sempre riferito a
valori, questo principio non può essere
rovesciato in modo da affermare che ogni
valore universale rende individualizzante la rappresenta- zione. Anche quei processi che vengono in
luce, per esempio, in una storia
dell’arte o del diritto possono essere visti come esemplari del concetto generale di «arte » o
di « diritto»; e se in tal modo si deve
sciogliere anche la relazione di valore che
le cose hanno, in virtù della loro individualità, con il valore culturale di arte o di diritto, una
rappresentazione generalizzan- te di
questo tipo rimane tuttavia rappresentazione di processi culturali anche nel senso che essa considera
gli oggetti co- me cultura; infatti il
concetto culturale di arte o di diritto
è ciò che delimita il campo e determina quali oggetti di- ventano esemplari di tale sistema di concetti
generali. Ciò che vale per questi valori
culturali può naturalmente valere anche
per tutti gli altri: si può quindi pensare che quelle grandi unità della vita storica che chiamiamo
popoli civili ven- gano tutte concepite
come esemplari di un sistema di concetti
generali in cui poi si esprimono le leggi che valgono per lo sviluppo sempre ricorrente d’un qualsiasi
popolo civile. Certa- mente, per i
motivi prima addotti, non si può mai chiamare
tutto questo col nome di storia; inoltre, se tale compito viene indicato come possibile, si deve pensare
soltanto alla possibilità logica,
lasciando da parte le difficoltà di fatto che si oppongono a una siffatta impresa. Infatti qui importa
solamente conce- dere al programma di
una scienza della vita culturale fondata
su leggi tutto quanto è pensabile per poi, fatto questo, poter decidere con maggiore sicurezza se la scienza
di leggi a cui si aspira, concepita
nella sua perfezione, sia in grado di soddisfa-
re le pretese di una filosofia della storia come dottrina dei princìpi della vita storica. 25. STORICISMO TEDESCO. 386 HEINRICH IUCKERT Se si vuol rispondere a questa domanda
occorre tener presen- te che la
filosofia della storia, comunque si possa altrimenti determinare il suo compito, non dev'essere
filosofia dell’oggetto di un'indagine
storica particolare, bensì filosofia dell’oggetto di una storia universale, e deve al tempo
stesso stabilire i princìpi
dell’universo storico. Per universo storico si deve però in ogni caso intendere — per quanto
indeterminato possa essere questo
concetto — la totalità storica più comprensiva possibile, e quindi qualcosa di singolare e di
individuale nel suo concetto, a cui ogni
oggetto considerato da una scienza storica particola- re appartiene come elemento individuale;
inoltre, dai princìpi della storia
pretendiamo che siano i princìpi dell’unità di que- sto universo. Già da questo risulta che una
scienza di leggi, in quanto dottrina dei
princìpi storici, non soltanto incontra dif-
ficoltà più o meno grandi, ma è anche logicamente impossibile. Non si obietti che anche la totalità
dell’universo è, in base al suo
concetto, qualcosa di singolare e che quindi, se quest’argo- mentazione fosse giusta, non dovrebbero
esserci leggi che valgo- no — come
assumiamo per esempio nel caso della legge di
gravità — per la totalità dell’universo. Le scienze generalizzan- ti non hanno mai a che fare con la totalità
dell’universo nel- lo stesso modo in cui
la filosofia della storia ha a che fare
con l'universo storico. Esse vanno alla ricerca di leggi soltan- to nel senso che vogliono stabilire ciò che
vale per tutte le sue parti. Mai però
pensiamo di considerare queste parti come
elementi della totalità, e le leggi generali non possono affatto essere princìpi dell’unità di questo tutto.
Quanto più esse sono generali, tanto più
ogni parte è soltanto esemplare di un gene-
re, ed è quindi sciolta da tutte le determinazioni che la rendo- no un elemento della totalità. Se assumiamo
quindi che la sociologia abbia raggiunto
il suo fine supremo e abbia trovato
leggi per tutte le parti dell’universo storico, ad esempio per lo sviluppo di tutti i popoli civili, allora
questi sarebbero diventa- ti per essa
esemplari di un genere, e — in quanto esemplari — concettualmente isolati l’uno dall’altro.
Essi non potrebbero ve- nir ricondotti
all'unità dell’universo storico individuale, poiché come elementi di una connessione storica
dovrebbero sempre essere individui, e le
leggi trovate dalla sociologia non potrebbe-
ro venir utilizzate come princìpi dell’unità degli elementi indi- HEINRICH RICKERT 387 viduali dell’universo individuale. Il
concetto di legge come prin- cipio
dell'universo storico è quindi per la filosofia della storia logicamente assurdo, tanto quanto lo è il
concetto di legge storica inteso come
fine di una scienza storica empirica. Certa-
mente la filosofia della storia guarda al « generale », ma soltan- to nella misura in cui essa ha a che fare con
l'universo storico, e proprio perciò il
suo oggetto rimane sempre uno sviluppo
singolare e individuale, che ha come suoi elementi degli indivi- dui. La sociologia come scienza di leggi può
quindi, per quan- to possa essere
fornita di valore sotto altri aspetti, offrire alla storia concetti ausiliari per l’analisi di
connessioni causali, ma non può mai
prendere il posto della filosofia della storia. Da questo punto di vista devono essere
valutati anche tutti i tentativi di
riconoscere « fattori » o « forze » generali della vita storica. Dal momento che ogni storia tratta
di uomini, e in ogni uomo si possono
distinguere un aspetto corporeo e un
aspetto spirituale, è evidentemente possibile effettuare una divi- sione di tali forze in fisiche e psichiche, e
si potrà fors’anche dare con successo
uno sguardo d’insieme ancor più specializza-
to a quei fattori che agiscono nell’accadere storico. Ma, quale che sia il giudizio che si può dare nel
singolo caso sul valore di tali sforzi,
non soltanto è necessaria, a causa della separazio- ne tra apprendimento naturale e apprendimento
culturale della realtà, la massima
precauzione nell'impiego di tali teorie gene-
ralizzanti, ma soprattutto non ci si deve mai illudere che que- ste forze e questi fattori generali siano — e
neppure determini- no — ciò che è
storicamente essenziale. Si tratta piuttosto sol- tanto di condizioni senza le quali non
possono esserci avveni- menti storici;
ma proprio perché sono condizioni assolutamente
generali, non hanno interesse né per lo storico empirico né per il filosofo della storia. Così, per esempio,
il calore del sole è un fattore che non
possiamo eliminare da nessun avvenimento
storico; e tutta la storia avrebbe avuto un corso diverso — anzi non ci sarebbe stata nessuna cultura — se gli
uomini non si fossero potuti capire con
il linguaggio. Ma il calore del sole e
il linguaggio non sono certamente « princìpi storici ». È pro- prio il carattere di incondizionata
generalità che toglie ad essi interesse
storico. Anzi, prescindendo del tutto dal fatto che una scienza delle forze e dei fattori generali
della vita sociale possa 388 HEINRICH
RICKERT essere chiamata filosofia
della storia, si può ben dubitare che le
molteplici conoscenze naturali, psicologiche e culturali che vengono qui prese in considerazione possano
congiungersi in una scienza unitaria.
Almeno finora questa scienza non esiste
affatto, né ci sarà in futuro; e se lo storico sente il bisogno di una visione delle « forze » generali che
agiscono nel campo di cui egli tratta,
si rivolge alle scienze particolari generalizzanti, cioè all’antropologia, alla psicologia, alla
sociologia e così via, che lo
informeranno nel modo più preciso. Non
recheremmo un contributo essenziale al chiarimento del principio generale a cui dobbiamo qui
limitarci se preten- dessimo di approfondire
nei particolari i diversi gruppi di pro-
blemi considerati; si deve soltanto sottolineare ancora che lo storico può cercare insegnamento presso le
scienze particolari generalizzanti
solamente per quanto riguarda i fattori più o
meno costanti della vita storica, mentre non deve attendersi dalle scienze generalizzanti alcuna risposta
per parecchie que- stioni che si
riferiscono all'essenza generale della vita storica — e in particolare per le questioni che
vengono qualificate come problemi di
filosofia della storia. Qui ci limitiamo a un
esempio sul quale le più diverse tendenze della scienza storica empirica e della filosofia della storia
cadono in errore. Si tratta della
questione concernente il ruolo che hanno nella storia gli individui abitualmente designati in modo
eminente come indivi- duo, cioè le
singole personalità. Qui proprio la concezione che rifiuta sia la trattazione empirica sia la
trattazione filosofica della storia in
favore di una scienza di leggi ha interesse a
sottolineare che questo problema non è suscettibile di una solu- zione generale in senso cosiddetto «
individualistico »; e ciò ri- sulta
ancora una volta da una prospettiva logica. Certamente è del tutto sbagliato dire che nella storia non
interessano affatto le singole
personalità, e che determinante è solamente la vita « generale » delle masse; ma altrettanto
falso è cercare sempre i fattori
decisivi nelle imprese di singole personalità e spiegare la storia — seguendo Carlyle — come una somma
di biografie. Purtroppo, l’alternativa
che qui viene in luce è molto spesso
posta in connessione con la questione dell’essenza logica della storia, cosicché i rappresentanti del punto
di vista secondo cui la storia procede
in modo individualizzante (nel senso da noi
HEINRICH RICKERT 389 indicato)
vengono al tempo stesso ritenuti seguaci di una storia di personalità; e invece il metodo
individualizzante non ha il minimo
rapporto con il culto degli eroi. Al contrario, proprio perché la storia è la scienza
dell’individuale, la filosofia della
storia non può decidere in favore dei grandi uomini la questio- ne del significato che posseggono le singole
personalità. Il moti- vo è lo stesso che
vieta di cadere nell’estremo opposto e di fare
dell’elaborazione di concetti collettivi un principio di metodo. L'affermazione che importano sempre le
personalità sarebbe anzi prodotto di
un’elaborazione concettuale generalizzante, os-
sia una legge storica. Per ogni aspetto particolare dell’accadere storico si deve indagare quali movimenti di
massa e quali im- prese meramente
personali abbiano avuto un’importanza deci-
siva per i valori culturali dominanti: soltanto allora è possibile rispondere alla questione del significato dei
singoli uomini per tutti gli aspetti
particolari della storia. Di fatto, né le afferma- zioni generali sull’importanza decisiva delle
masse, né quelle sul ruolo delle singole
personalità devono la loro popolarità a
un'elaborazione concettuale generalizzante; esse devono venir ricondotte a un’arbitraria unilateralità nel
privilegiamento di questi o quei valori
culturali, e quindi a una scelta arbitraria
del materiale storicamente essenziale — come risulterà ancor più chiaramente rispondendo alla domanda sui
princìpi della vita storica. Per quanto riguarda la questione del
significato delle leggi storiche,
concludiamo accennando ancora a un punto che ha
dato parimenti occasione a dispute. Si tratta cioè ancora di mostrare che non soltanto certi problemi
largamente trattati di filosofia della
storia non ammettono nessuna decisione genera-
le, ma che anche dove uno storico afferma un principio valido per ogni vita storica, non è affatto detto
che si tratti sempre di un prodotto
dell’apprendimento generalizzante. Prendiamo co- me esempio una tesi di Ranke che ha avuto una
parte rilevan- te nella polemica sulle
leggi storiche. Essa contiene — come
dice von Below — una «verità universale: la nozione che la vita interna degli stati dipende in larga
misura dai rapporti reciproci tra gli
stati, dai rapporti mondiali », e viene al tem-
po stesso designata come una scoperta scientifica di prim’ordi- ne. Ci si può chiedere se questa verità
universale non sia una 390 HEINRICH
RICKERT legge storica, anche se
soltanto nel senso, logicamente privo di
contraddizione, di una legge valida per il materiale rappresenta- to in modo individualizzante dalla storia.
Chi conosce la conce- zione storica di
Ranke, risponderà negativamente a tale doman-
da. Per questo grande storico i « rapporti mondiali » costituisco- no un complesso determinato di stati civili
in connessione reci- proca, e Ranke
considera come facenti parte del suo « mondo »
storico soltanto gli stati che sono in connessione con questi stati civili, e che quindi ne sono anche
influenzati. Nel princi- pio sopra
menzionato — se esso deve valere in modo assoluta- mente generale ed essere quindi libero da
ogni contenuto pro- priamente storico —
abbiamo di fronte non già un prodotto
della scienza generalizzante e una «scoperta» scientifica, ma soltanto la formulazione di un presupposto
metodologico con cui Ranke si accosta, e
deve accostarsi — se vuole trattare
tutto in termini di storia universale, nel senso da lui inteso — alla rappresentazione individualizzante dei
singoli stati. Lo stes- so vale per
altre affermazioni generali, come per esempio quel- la che ogni individuo, per quanto grande, è
rinchiuso entro confini dati dalla
situazione culturale del suo popolo. Ciò è
assolutamente evidente, poiché anche qui non si afferma altro che la connessione reale di ogni parte
storica con la totalità storica. Un
sistema di princìpi generali siffatti non potrebbe mai servire come scienza ausiliaria
generalizzante della storia nella
ricerca di connessioni causali, ma può soltanto contenere i presupposti che dobbiamo assumere se
dev'essere in generale possibile la
storia in quanto rappresentazione scientifica di con- nessioni storiche. Così si mostra nuovamente
che non ha alcun senso cercare nelle
leggi i princìpi dell’accadere storico.
Ma proprio perché il rifiuto di una filosofia della storia come scienza di leggi è risultato come
conseguenza necessaria della
comprensione dell’essenza logica della storia, sembra con ciò di essere andati troppo in là nella
dimostrazione. Infatti, per quanto false
siano nel loro contenuto tutte le teorie sociolo- giche che pretendono di essere filosofia
della storia, esistono di fatto dei
tentativi di determinare leggi valide per la totalità singolare dello sviluppo storico, e questi
sarebbero senz’altro impossibili se il
concetto di una scienza di leggi come filosofia
della storia contenesse una contraddizione logica. Ciò è certa- HEINRICH RICKERT 39I mente esatto, e pertanto occorre ancora
mostrare che, laddove i princìpi
dell’accadere storico sembrano determinati in forma di leggi, essi non sono mai enunciati, da un
punto di vista formale, come leggi nel
senso delle leggi naturali. E dal fatto
che intendiamo ciò che qui è realmente presente deriva al tempo stesso una risposta alla questione di ciò che
può essere designa- to come principio
della vita storica. È caratteristico di
quasi tutti i tentativi di trovare la legge
naturale dell’universo storico il fatto che tale legge debba conte- nere contemporaneamente la formula del
progresso della sto- ria: con ciò è
subito posto in chiaro l’elemento essenziale. Si capisce quanto debba essere allettante
abbracciare d’un solo col- po legge
naturale, legge di sviluppo e legge di progresso, come credeva di aver fatto Comte con la sua legge
dei tre stati — teologico, metafisico e
positivo — e quanta popolarità goda quin-
di ancor oggi questo tipo di sociologia, che promette di rende- re tanto. Ma si capisce anche, non appena si
sia ottenuta chia- rezza sull’essenza
logica della storia, che tali promesse non
potranno mai essere mantenute. In primo luogo, progresso o regresso sono concetti di valore, più
esattamente concetti che esprimono un
incremento o una diminuzione di valore; e di
progresso si può parlare soltanto se si possiede un criterio di valore. In secondo luogo, il progresso indica
il sorgere di qual- cosa di nuovo, che
non è mai esistito nella sua individualità.
Ma il concetto di un criterio di valore, come concetto di ciò che dev'essere, non può mai coincidere con un
concetto di legge, che contiene sempre
ciò che è o deve necessariamente essere,
e che non ha quindi alcun senso esigere. Dover essere ed essere necessariamente si escludono l’un
l’altro sotto il proft- lo concettuale,
e solamente a causa della già menzionata equivo- cità del termine «legge » si può parlare di
una legge di progres- Inoltre il
sorgere di qualcosa di nuovo, di non ancora
esistito, non rientra in alcuna legge, poiché una legge contiene soltanto ciò che ricorre ripetutamente. Se
per progresso si inten- de quindi in
primo luogo il sorgere di qualcosa di nuovo e in secondo luogo un incremento di valore, e per
legge una legge naturale, allora il
concetto di legge di progresso è due volte
logicamente assurdo. Quando l’universo storico è unificato in virtù di una «legge», articolato in
riferimento al sorgere di 392 HEINRICH
RICKERT qualcosa di nuovo e designato
come progresso, la legge non può mai essere
una legge naturale. Perciò la «legge» di Com-
te è anche di fatto una formula valutativa. Per lui il positivo vale come dover essere, come ideale assoluto.
In base a questo egli considera lo
sviluppo dell’umanità e stabilisce ciò che i
suoi diversi stadi rappresentano di nuovo e di valido per la realizzazione del suo ideale. Una scienza di
leggi, che deve sciogliere i propri
oggetti da ogni vincolo valutativo e conside-
rarli come esemplari indifferenti di un genere, non può fare nulla di simile. Qui non è possibile — e neppure necessario
per il chiarimen- to del principio —
illustrare criticamente i vari tentativi com-
piuti per porre in luce presunte leggi come princìpi dell’accade- re storico e per dimostrare che queste leggi
contengono, più o meno celati, concetti
di valore, e quindi non sono leggi. Basti
ricordare esplicitamente quello che è legato al nome di Darwin e che può essere definito come il tentativo
di dare al concetto di sviluppo storico
un carattere puramente naturalistico in vir-
tù della dimostrazione che proprio la legge naturale dello svi- luppo garantisce il suo necessario incremento
di valore. Ogni progresso da un livello
inferiore a uno superiore è condizionato
— così si sostiene — dalla legge universalmente valida della selezione, che sempre più elimina ciò che è
cattivo e aiuta ciò che è buono a
riportare la vittoria. Perciò tale legge deve nel medesimo tempo essere il principio dello
sviluppo storico e del progresso. A
parecchi ciò suona assai plausibile, ma non occor- re pervenire a un'illustrazione più
ravvicinata delle idee sulla cui base si
sono ottenuti i più diversi concetti di progresso per mostrare che siamo qui dinanzi a un
fraintendimento totale della biologia di
Darwin. Se questa teoria deve fornire una
spiegazione puramente naturalistica, essa deve rinunciare a qual- siasi teleologia dei valori, e quindi anche
evitare completamente l'impiego di
concetti valutativi come «superiore » e « inferio- re». La selezione naturale non elimina
affatto ciò che è cattivo conservando il
buono, ma aiuta semplicemente a far vincere il
più adatto alla vita in determinate condizioni; e questo proces- so può essere chiamato progresso soltanto se
si fa della vita in quanto tale, in
qualsiasi forma si manifesti, un valore assoluto. Ma ciò sarebbe del tutto privo di senso,
perché ogni vita ha HEINRICH RICKERT 393
dimostrato capacità vitale per il fatto stesso di esistere, e quindi da questo punto di vista cade ogni
differenza di valore. Sulla base dei
concetti darwiniani non si può valutare la vita
umana superiore a quella animale, e quindi designare come un progresso lo sviluppo che conduce all'uomo.
Perciò è del tutto impossibile formulare
u na qualsiasi distinzione di valore all’in-
terno della vita umana in base a punti di vista propri della scienza naturale. Soltanto quando si è già
presupposta come fornita di valore —
sulla base di un criterio di valore — una
determinata formazione, si può definire come progresso lo svi- luppo che conduce ad essa. Ma non sarà mai
possibile derivare dalle leggi naturali
del processo di sviluppo — che devono
essere le medesime per ogni stadio, se devono essere leggi generali — il principio del progresso. La
circostanza che certe formazioni
naturali, come per esempio gli uomini, vengono
valutate come «evidentemente » superiori rispetto ad altre for- me ci spiega sì la possibilità di una storia
evolutiva individualiz- zante degli
organismi e conduce i rappresentanti di una filoso- fia naturalistica della storia a ingannarsi
sull’uso che continua- mente fanno di
princìpi di valore, ma non cambia nulla al fatto che dai concetti propri della scienza
naturale non si può deriva- re alcun
valore. Da quest’illusione sono infine dominati anche coloro che vogliono costruire una filosofia
della storia sul con- cetto di razza —
per lo più ispirati dalla nozione darwiniana di
«razze favorite nella lotta per l’esistenza ». Essi trascurano il fatto che, per edificare una qualsiasi
filosofia della storia, sono costretti a
utilizzare questo concetto in modo del tutto acritico e infondato, come concetto di valore; e tale
procedimento è tanto più sospetto in
quanto con ciò discreditiamo il concetto —
estremamente importante per la filosofia della storia — di na- zione, che è un concetto culturale e designa
l’individualità di un popolo. Il
concetto di nazione civile non ha nulla in comu- ne con il concetto naturalistico di razza —
tutt'altro che esente da obiezioni, del
resto, anche dal punto di vista della scienza
naturale — di cui si fa oggi un abuso così dilettantesco. La germanità non risiede nel sangue ma
nell'animo — ha detto Lagarde”, un uomo
non sospettabile di apprezzare poco l’ele-
23. Paul Anton de Lagarde (1827-1891), orientalista c filosofo tedesco,
autore 394 HEINRICH RICKERT mento nazionale; e alla base di questa
espressione sta la stessa idea che proibisce
di elevare concetti naturali, come quello di
razza, a princìpi di filosofia della storia. La dimostrazione che le presunte leggi
storiche sono formu- le di valore ci ha
al tempo stesso indicato la strada attraverso
cui devono essere effettivamente cercati i princìpi dell’accadere storico: ancora una volta è qui decisiva la
comprensione dell’es- senza logica della
scienza storica. L'universo storico non è nien-
t'altro che la totalità storica più ampia possibile, concepita in modo individualizzante, e poiché la relazione
di valore è la conditio sine qua non
dell’apprendimento individualizzante in
genere, possono essere solo concetti di valore quelli che costitui- scono il concetto dell’universo storico. Ma
soltanto ciò che ese- gue questo lavoro
e rende possibile connettere in unità — come
elementi individuali — le diverse parti dell’universo storico, merita il nome di principio storico; perciò
la filosofia della storia in quanto
scienza dei princìpi è, se deve avere un compi-
to, la dottrina dei valori da cui dipende l’unità e l’articola- zione dell’universo storico. In riferimento a
questi valori si può anche interpretare
il senso unitario dell’intero sviluppo.
L'’interpretazione di tale senso ha sempre rappresentato di fatto l'aspirazione della filosofia della storia,
anche quando si crede- va di dover
cercare leggi perché non si distingueva tra legge e valore, tra essere necessariamente e dover
essere, tra essere e senso, e non si era
consapevoli che ciò che non si può riferire
a valori è assolutamente privo di senso. Neppure il naturalismo ha voluto rinunciare a interpretare il senso
della storia, né del resto sarebbe
facile rinunciarvi. Tutta la vita culturale è vita storica e gli uomini civili — a cui
appartengono anche i natura- listi — non
possono in quanto tali tralasciare di rendersi conto del senso della cultura, e quindi del senso
della storia. Sorge qui un compito che
non può essere assolto né dal naturalismo,
che scioglie la realtà da ogni relazione di valore, né dalla scienza storica empirica, che rappresenta il
corso storico in base di Uber das
Verhdltnis des deutschen Staates zu Theologie, Kirche und Religion {1873), dei Politische Aufsitze (1874), di
Uber die gegenwirtige Lage des deutschen
Reiches (1876) e di vari altri scritti, cditore di Giordano Bruno,
formulò una filoso- fia della storia di
ispirazione teologica. HEINRICH
RICKERT 395 a una relazione di valore
puramente teoretica; perciò ci si
attende dalla filosofia della storia, come dottrina dei princìpi dell’accadere storico, la soluzione di questo
compito necessario e inevitabile . Meno semplice della questione dell'oggetto
di questa filoso- fia della storia è
affrontare il problema del modo di trattazio-
ne. Qui è possibile prospettare soltanto #2 compito, contro la cui possibilità di soluzione non vengono
avanzate obiezioni di rilievo. Esso si
riallaccia alle operazioni effettive degli storici e dei filosofi della storia, cercando di
mostrarvi la funzione dei valori
culturali come princìpi della rappresentazione. Per qual- che lavoro questo compito è, almeno in parte,
di così facile soluzione da non aver
affatto bisogno di un’indagine particola-
re. In una storia dell’arte o della religione devono in ogni caso esserci dei valori artistici e religiosi, ai
quali vengono riferiti gli oggetti da
rappresentare. Ma non sempre le cose vanno nel
senso che un determinato punto di vista valutativo emerge subi- to come elemento dominante. Soprattutto nelle
opere più com- prensive, le quali hanno
per oggetto lo sviluppo di interi popo-
li o intere epoche, si incontrano i punti di vista più diversi, ed è un’occupazione assai attraente quella di
chiarire perché lo stori- co tratti
estesamente certi avvenimenti e soltanto brevemente altri, e non tratti per nulla di processi
altrettanto reali. Gli storici stessi
non sempre sono consapevoli dei motivi di questo fatto. Non possono esserlo perché spesso non
sanno nulla della struttura logica della
loro attività e credono di non stabilire
relazioni di valore in genere. Tanto più importante è allora chiarire esplicitamente i loro presupposti e
mostrare da che cosa essi dipendano
nell’elaborazione del loro materiale. Occor-
re perciò mostrare che ogni storico, specialmente quando non si limita a indagini particolari, possiede una
specie di filosofia della storia che è
decisiva per ciò che egli ritiene importante e
non importante; ed è certamente un compito che vale la pena affrontare quello di porre in luce la
filosofia della storia presen- te
soprattutto nei grandi storici. Anche in uno storico così «oggettivo », com'è per esempio Ranke,
agiscono presupposti filosofici ben
determinati intorno al senso della storia, e così dev'essere per il fatto stesso che egli
voleva trattare tutto dal 396 HEINRICH
RICKERT punto di vista della storia
universale. Giustamente Dove ha
osservato che Ranke si è opposto alla partecipazione unilatera- le non già mediante la neutralità, ma
mediante l'universalità del sentimento
simpatetico, riconoscendo in tal modo implicita- mente la relazione ai valori. Ma se le cose
stanno così, non ci si può limitare a
questo. In che cosa consiste l'universo dei
sentimenti simpatetici in questo grande storico? Un’indagine orientata in vista di tale scopo recherebbe
forse maggiore luce sulla questione
riguardante le tanto discusse «idee » di Ranke.
Si potrebbe mostrare che la filosofia della storia di Ranke è stata soggetta a trasformazioni, ma che tra i
fattori di cui si compongono queste idee
tutt'altro che semplici hanno sempre
avuto un ruolo essenziale i punti di vista valutativi dominanti della concezione della storia di Ranke. In
tali indagini, e in altre analoghe,
storia e filosofia devono avere uno stretto con- tatto.
Ancor più importante tra i punti di vista filosofici è però l’analisi dei tentativi che procedono oltre
la scienza storica em- pirica in quanto
stabiliscono esplicitamente princìpi della vita
storica, e cioè princìpi che servono alla comprensione dell’inte- ro sviluppo umano e all’interpretazione del
suo senso. Qui occorre quindi non
soltanto l’analisi, ma anche la critica; occor-
re cioè — dopo aver determinato fino a qual punto i principi della vita storica siano valori, e in che
cosa essi consistano — indagare con
quale diritto questi punti di vista valutativi venga- no considerati decisivi per il senso generale
dello sviluppo uni- versale.
Naturalmente anche qui possiamo di nuovo indicare soltanto qualche esempio. Si prenda, come
esempio particolar- mente caratteristico,
la cosiddetta concezione materialistica del-
la storia, proprio nella forma originaria del Manifesto comuni- sta e nella misura in cui si limita — del
tutto indipendentemen- te dal
materialismo teoretico o metafisico — a un’interpretazio- ne della vita storica empirica. Già il fatto
che essa sia sorta come elemento di un
programma politico indica dove devono
24. Alfred Dove (1844-1879), storico tedesco, autore della Deutsche
Geschichte im Zeitalter Friedrichs des Grossen
und Joseph l (1883), della Kaiser Wilhelms
geschichtliche Gestalt (1888), di Grossherzog Friedrich von Baden als
Landesherr und deutscher Fiirst (1902) e
di varie altre opere, editore delle opere complete di Ranke.
HEINRICH RICKERT 397 essere
cercati i punti di vista valutativi che la ispirano. Essa può venir compresa soltanto se si considera
che gli interessi dei suoi fondatori si
rivolgevano alla lotta del proletariato contro la borghesia e che la vittoria del proletariato
ne costituiva il valo- re centrale,
assoluto. Poiché la cosa essenziale in riferimento a questo valore è oggi la lotta tra le due
classi, si cerca di comprendere l’intera
storia come storia di lotte di classe e di
ricondurla in tal modo a unità. I nomi dei partiti in lotta cambiano: liberi e schiavi, patrizi e plebei,
baroni e servi della gleba, artigiani e
garzoni si contrappongono tra loro. Ma ogni
volta è essenziale, in riferimento al punto di vista valutativo dominante, il fatto che si tratta di
oppressori e oppressi, di sfruttatori e
sfruttati i quali lottano tra loro ai diversi gradi dello sviluppo storico. Così si ottengono i
princìpi generali dell’accadere storico,
e anche la formazione futura viene pari-
menti determinata dal valore assoluto, dall’auspicata vittoria del proletariato sulla borghesia. Nella fase
attuale di lotta la cosa principale,
l'elemento decisivo, è la lotta per i beni econo- mici. Perciò nella storia la vita economica
dev'essere sempre la cosa principale, e
le epoche della storia devono articolarsi in
base alle diverse formazioni economiche: da ciò deriva la conce- zione « materialistica », cioè economica.
Quanto tutta questa concezione dipenda
da punti di vista valutativi, è cosa che non
richiede un’ulteriore dimostrazione. Che poi non si accontenti di considerare come elemento essenziale ciò
che è riferito al suo valore assoluto,
ma faccia coincidere l'essenziale — secon-
do un realismo concettuale ingenuo a cui si aggiunge qui ancora il realismo concettuale nient’affatto
ingenuo degli hege- liani — con ciò che
è « propriamente reale », e conceda a tutta
la restante vita culturale soltanto un'esistenza di grado inferio- re, non cambia in nulla il quadro che abbiamo
delineato. Que- sto errore è tipico
delle costruzioni di filosofia della storia che
non sono consapevoli di utilizzare come punti di vista dominan- ti dei valori, e al tempo stesso serve a
mantenere l'oscurità sul principio
direttivo perché, una volta compiuta la separazione tra due diversi tipi di reale e trovata nella
vita economica — in conseguenza di un
platonismo con segno rovesciato — la
«causa vera e propria» di tutti gli altri avvenimenti storici, deve poi necessariamente sorgere la parvenza
che la concezio- 398 HEINRICH
RICKERT ne materialistica della storia
constati semplicemente dei fatti,
partendo sempre dalla vita economica intesa come fondamento. Queste ipostatizzazioni metafisiche
dell’elemento economico so- no però soltanto
esagerazioni, e possono essere eliminate senza
intaccare il nucleo filosofico del materialismo storico. In ogni
ca- so, uno sguardo ai princìpi di
valore di questa filosofia della sto-
ria fornisce anche il punto di vista da cui deve prendere le mosse la critica. La questione decisiva
consiste nel sapere se sia legittimo
scorgere il valore assoluto nella vittoria del proletaria- to in campo economico, e quindi in un bene
economico. Natu- ralmente la questione
non dev'essere decisa in questa sede. Si
potrà al massimo ritenere fin d’ora poco probabile il fatto che princìpi di valore ottenuti in base a punti
di vista politici di partito siano
adatti anche all’interpretazione del senso della storia universale. Infatti una quantità
sterminata di aspirazioni e di imprese
umane di tutti i secoli appare, da questo punto di vista, del tutto priva di senso. Non ci si può tuttavia limitare a queste
supposizioni. Pro- prio l’idea che la
filosofia della storia non soltanto deve chiarifi- care analiticamente i principi delle opere di
storia empirica e delle costruzioni di
filosofia della storia, ma deve anche assume-
re criticamente posizione nei loro confronti non appena questi princìpi avanzano una pretesa di validità
universale, indica che il compito
principale di una scienza dei princìpi storici si colloca in una direzione del tutto diversa.
La critica è possibile sempre soltanto
sulla base di un criterio di valore; inoltre, per poter definire unilaterale una concezione
della storia, si deve in qualche modo
disporre di una concezione onnilaterale. La
dottrina dei princìpi dell’accadere storico si svilupperà quindi in una scienza autonoma soltanto se nella
determinazione dei princìpi storici
aspira tanto alla completezza sistematica
quanto a. una fondazione critica. Essa deve cioè porsi come fine la determinazione di un sistema di valori;
inoltre essa prende in considerazione
non soltanto la valutazione di fatto, ma an-
c he la questione della validità dei valori culturali, e per questo ha bisogno di un valore assoluto a cui poter
commisurare le valutazioni effettive.
Questo valore fornirà al tempo stesso an-
che il punto di vista decisivo per la determinazione di un sistema di valori, cosicché il problema della
sistematizzazione HEINRICH RICKERT
399 e quello della validità dei valori
culturali si connettono stretta- mente
tra loro. Ma come la filosofia della storia deve pervenire a un sistema di valori che renda ad essa
possibile interpretare il senso
dell'intero corso storico? Con questa domanda pervenia- mo all'ultima e più importante questione
della dottrina dei princìpi
storici. Si affaccia qui l’idea di
attribuire questo compito a un tipo
particolare di indagine psicologica: certamente non alla psicolo- gia «esplicativa» — sia che si tratti di «
psicologia individua- le » della vita
psichica in generale oppure di psicologia della vita sociale, condotta secondo un metodo
naturalistico — ma soltanto a una
psicologia dei valori culturali. Tutta la storia non solo tratta essenzialmente di uomini civili, ma è
scritta esclusivamen- te da uomini civili.
I valori generalmente riconosciuti dall’uo-
mo civile devono — a quanto sembra — essere nel medesimo tempo i princìpi di una storia universale
dell'umanità civile. È così possibile
concepire una psicologia della cultura che indaghi il complesso dei valori culturali universali
e li rappresenti siste- maticamente,
fornendo contemporaneamente un sistema dei
princìpi dell’accadere storico in cui trovino il loro posto tutti i sistemi di valore ottenuti analizzando le
opere storiche e di filosofia della
storia, e a cui essi debbano essere commisurati. È questo in ogni caso il senso più profondo,
anzi l’unico, che si può attribuire
all’affermazione che la psicologia dev'essere la base della filosofia della storia: esso sta
anche alla radice dello sforzo di
Dilthey, totalmente incompreso dagli psicologi, per delineare il programma di una « psicologia
descrittiva e analiti- ca» da affiancare
alla psicologia esplicativa. Per quanto sugge-
stiva possa apparire l’idea di procurare in questo modo alla filosofia della storia un fondamento
puramente empirico, e quindi sicuro, la
sua realizzazione incontra una difficoltà insu-
perabile. Questa psicologia della cultura non può limitarsi al- l’indagine « dell’uomo civile » nel senso di
accertare e sistema- tizzare le
valutazioni comuni a tutti gli uomini civili, poiché da questo procedimento generalizzante
deriverebbe un sistema di valori
estremamente povero, in cui potrebbero essere contenu- ti soltanto pochi dei princìpi di una storia
dell’universo sto- rico. La psicologia
della cultura dovrebbe piuttosto rivolgersi
alla vita storica stessa in tutta la sua pienezza e molteplicità, 400 HEINRICH RICKERT per conoscere tutti i valori culturali; e
come potrebbe pervenire in questo modo a
punti di vista che rendano possibile un’artico-
lazione e un dominio di questo materiale? Per separare entro la molteplicità della valutazione
l’essenziale dall’inessenziale, essa
dovrebbe già possedere ciò che deve invece cercare: la conoscenza dei valori che sono princìpi di
una storia universale e princìpi dello
stesso universo storico. Così la psicologia della cultura come filosofia della storia entra in
un circolo da cui non può sfuggire. Non è possibile avvicinarsi al fine di una
rappresentazione e fondazione
sistematica dei princìpi storici per via puramente empirica, attraverso la mera analisi delle
valutazioni effettive. Occorre piuttosto
in primo luogo riflettere, prescindendo del
tutto dalla molteplicità del materiale storico, su ciò che vale assolutamente ed è presupposto di ogni
giudizio di valore, ossia che pretende a
una validità più che individuale. Soltanto quan- do si siano trovati valori validi
atemporalmente si può riferire ad essi
tutti quanti i valori culturali empiricamente constatabi- li, che si sono sviluppati nel corso della
storia, e tentare così una disposizione
sistematica e al tempo stesso una presa di
posizione critica. Solamente se è possibile ottenere valori sopra- storici, si può allora realizzare una
filosofia della storia come scienza
particolare dei princìpi dell’universo storico e interpreta- re il senso della storia dell’universo. Ma la
riflessione sui valori sopra-storici non
appartiene più al campo della filosofia della
storia come disciplina filosofica particolare; essa può venir
intra- presa soltanto in connessione con
la determinazione di un siste- ma
filosofico in generale. La filosofia della storia come dottrina dei principi viene così a dipendere dal
complesso delle indagi- ni filosofiche,
in particolare dalla dottrina del senso del mondo o — nel caso che tale questione non sia una
questione scientifi- ca — dalla dottrina
del senso della vita umana. I fondamenti
della filosofia della storia coincidono pertanto con i fondamen- ti di una filosofia come scienza dei valori
in generale. L'indagine volta a
determinare il concetto della filosofia
della storia come dottrina dei princìpi storici in generale può essere condotta soltanto fino a questo punto.
Non si può qui rispondere alla questione
se la determinazione di valori assolu-
ti possa ancora rientrare nei compiti della scienza, poiché es- HEINRICH RICKERT 401 sa è identica alla questione riguardante il
concetto di filosofia scientifica in
generale. Qui importava solamente mostrare che
le leggi non possono essere princìpi della storia, e quindi mo- strare che, se possono ancora esserci
problemi di filosofia della storia al di
fuori della logica della storia, questi devono riassu- mersi nella questione del senso della storia,
e inoltre che l’inter- pretazione di
questo senso richiede ancora un criterio di valore fornito di validità sopra-storica. Si deve
ancora aggiungere che la filosofia come
scienza critica e sistematica dei valori non ha
bisogno di presupporre come criterio nessun valore assoluto de- terminato dal punto di vista del contenuto.
Anche se si riesce soltanto a ottenere
un valore incondizionato puramente forma-
le, si può tuttavia trarre l’intero contenuto del sistema dei valori dalla vita storica, per quanto questa
sia asistematica per definizione. Anzi,
la filosofia della storia che ricerca il senso
della storia dovrà servirsi di princìpi di valore puramente for- mali, proprio perché questi devono essere
tali da valere per tutta la vita
storica. Certamente, in base a questo presupposto si può concepire un sistema di valori che
possegga completezza sistematica
soltanto sotto il profilo formale, mentre riguardo al contenuto non può mai essere concluso perché
la vita storica continua a svilupparsi e
quindi sorgono valori culturali sempre
nuovi, determinati nel contenuto, i quali devono trovare la loro collocazione nel sistema. Perciò il sistema
di valori può essere definito
sistematico in riferimento al suo contenuto soltanto nella misura in cui la conclusione
sistematica ci si presenta come un compito
altrettanto necessario quanto insolubile, e
l'oggetto della filosofia come scienza dei princìpi risulta pertan- to un’« idea » nel senso kantiano — come
sempre avviene quan- do l'oggetto è
l’incondizionato nella pienezza del suo contenu- to. Alla realizzazione dell'idea di un
siffatto sistema di valori dovrebbero
quindi contribuire tutte le epoche, con la coscienza che esse non potranno mai condurlo a termine.
Ciò non cancel- la però il significato
di questo lavoro. Al contrario, chi si
decide a compierlo trarrà coraggio tanto da uno sguardo sul passato quanto da uno sguardo verso il
futuro. Se prescindiamo dai problemi che
nel corso dei secoli si sono svincolati dalla
filosofia e sono stati attribuiti alle scienze particolari, ne
risulta che tutti i filosofi importanti
hanno cercato di lavorare in vista 26.
STORICISMO TEDESCO. 402 HEINRICH
RICKERT di un sistema di valori nel
senso sopra indicato, poiché tutti hanno
indagato sul senso della vita, e già questa domanda presuppone un criterio assoluto di valore.
Essi devono quindi venir considerati
tutti come precursori. Ma il fatto che a tale
questione fondamentale per ogni filosofia non soltanto non si è ancora risposto, ma non si potrà neppure mai
rispondere con una completezza di
contenuto, finché sorgerà nuova vita stori-
ca, costituisce appunto soltanto un motivo che accresce l’impor- tanza del lavoro diretto a risolverlo:
infatti la coscienza tanto della grande
necessità quanto dell’insolubilità di un compito ci dà la sicurezza della sua «eternità », e
quindi il conforto fich- tiano che
coloro i quali collaborano alla soluzione della questio- ne diventano, in virtù del loro lavoro,
«eterni» come lo è il compito
stesso. III. LA FILOSOFIA DELLA STORIA COME STORIA
UNIVERSALE Ora possiamo finalmente
rivolgerci ai problemi della terza
disciplina che pretende il nome di filosofia della storia. Essa vuol fornire, in antitesi alle scienze
storiche particolari, una storia
universale, cioè rappresentare il « mondo » storico o l’uni- verso storico. Come può conseguire il suo
fine? Il suo compito consiste forse
nell’abbracciare in una totalità le rappresentazio- ni delle scienze particolari e — se per
questa via non è possibile ottenere una
totalità realmente conclusa — nel riempire con
costruzioni più o meno ipotetiche le lacune che la ricerca delle scienze particolari lascia ancora nella
storia universale? Un sem- plice
riassunto non può avere valore come lavoro scientifico autonomo, e il tentativo di formulare
supposizioni laddove lo sguardo dello
specialista non perviene a ipotesi realmente fonda- te susciterebbe lo scherno di tutti gli
storici. Una filosofia della storia del
genere è superflua se non altro per il fatto che la storia universale viene scritta dagli storici
stessi. Come la filoso- fia in generale
non ha più, in quanto scienza dell'essere, compi- ti autonomi che si riferiscano alla realtà
empirica da quando su ogni campo
specifico della realtà ha avanzato le sue pretese una scienza particolare, così una conoscenza
complessiva della totalità storica, la
quale si distingua dalle indagini scientifiche HEINRICH RICKERT 493 particolari soltanto per il fatto di non
limitarsi a una parte, non può
certamente essere più compito della filosofia della storia. Non soltanto la rappresentazione di
ambiti storici parti- colari, ma anche
la storia universale dev'essere — come scienza
storica — lasciata esclusivamente agli storici, che ne sono i soli competenti, nello stesso modo in cui
soltanto gli addetti alla ricerca
empirica possono accertare scientificamente qualco- sa in merito all’essere della natura, in
generale come in partico- lare. La
filosofia si renderebbe ridicola se credesse di poter fare in questo campo più delle scienze. Ma con ciò il problema di una trattazione
filosofica del materiale rappresentato
dal complesso delle scienze storiche em-
piriche è tutt'altro che deciso. Anche se considera non soltanto le forme ma altresì il contenuto della
totalità storica, la filoso- fia ha nei
confronti di essa un compito che non può essere
affrontato da nessuna scienza storica empirica; e proprio la circostanza che la storia universale viene
scritta in modo pura- mente storico da
storici può servire alla determinazione di
questo compito filosofico. Cerchiamo quindi, in base alla com- prensione dell'essenza logica della scienza
storica, di chiarire anzitutto il
concetto di una rappresentazione empirica della
storia universale, e poi di vedere quali questioni, a cui gli storici non possono in quanto tali dare una
risposta, rimangano ancora alla
filosofia. La «storia universale » —
così come l’ha scritta per esempio Ranke
— non si distingue affatto nel modo dalla rappresenta- zione di oggetti particolari; e così ha
voluto, del resto, il suo autore. Egli
era anzi convinto — come riferisce Dove? —
che «in ultima analisi non si può scrivere nient'altro che storia universale »; e in ogni caso la
«storia universale» è scaturita in Ranke
dal lavoro scientifico particolare, senza l’ag-
giunta di un principio nuovo. Per noi è qui soprattutto impor- tante considerare che cosa Ranke, come
storico, intenda per «mondo » storico,
cioè per la totalità di cui egli tratta. In un
passo egli dice che l'impulso alla conoscenza viene trascinato 25. La frase citata da Rickert si trova
negli Aufsétze und Veròffentlichungen zur
Kenntnis Ranke, in Ausgewihlte Schriften vornelimlich historischen
Inhalts, Leipzig, 1898, p. 170. 404 HEINRICH RICKERT ad abbracciare l’intero ambito dei secoli e
degli imperi dalla convinzione che nulla
di umano gli è distante ed estraneo. Ma,
di fatto, Ranke è ben lungi dal trattare nella sua storia universa- le di tutti i secoli e di tutti gli imperi, e
non l’avrebbe fatto neppure se gli fosse
stato concesso di portare a termine la sua
opera. Egli stesso lo osserva quando dice che, se la vocazione di Alessandro non fosse stata quella di
attraversare l’India e di scoprire la
parte orientale dell'Asia, questa regione « per secoli ancora non sarebbe entrata a far parte
dell'ambito della storia universale ».
L’« universo» di Ranke può essere determinato
soltanto come una parte della storia dell'umanità a noi nota, e non come l’ultima più comprensiva totalità
storica in senso logico; anzi, la sua
esigenza di una trattazione storico-universa-
le del materiale storico consiste essenzialmente solo nel fatto che egli non vuole limitarsi a un popolo
singolo, ma seguire le connessioni che i
diversi popoli appartenenti a un determinato
ambito culturale stringono tra di loro. Non soltanto Ranke non ha mai tentato di fatto di stabilire
concettualmente l’universo storico, ma
neppure poteva tentarlo, se voleva restare uno stori- co. In primo luogo, un compito di questo
genere può essere risolto soltanto con
l’ausilio di un sistema di valori culturali nel
senso già indicato, dalla cui determinazione lo storico è quanto mai lontano; in secondo luogo il «senso
storico» deve fare resistenza non
soltanto alle leggi storiche, ma a ogni altra
specie di sistematica, poiché questa lo priverebbe della libertà e dell’ampiezza di considerazione di cui ha
bisogno per un ap- prendimento
impregiudicato di ogni avvenimento storico nel
suo carattere specifico. Perciò tutti gli storici, anche quando scrivono di storia universale rimanendo
tuttavia storici, non procederanno in
linea di principio in maniera diversa da Ran-
ke. Tale supposto difetto è stato di recente sottolineato decisa- mente in una «storia universale» su base
«etno-geografica ». Ma questo tentativo
di trattare storicamente suite le parti della
terra ha realmente cambiato qualcosa da un punto di vista di principio? Esso non può valere, in ogni caso,
come delimitazio- ne sistematica
dell’universo storico. Anzi, ciò che la storia gua- dagna in generalità esteriore e quantitativa,
va necessariamente perduto come unità
interna, perché il principio direttivo non è
un concetto culturale. HEINRICH
RICKERT 405 L’inevitabile « difetto »
di ogni rappresentazione puramente
storica della storia universale ci indica al tempo stesso i com- piti di una trattazione filosofica
dell’universo storico. In anti- tesi
alla storia, la filosofia non rinuncerà mai alla tendenza alla sistematizzazione. Ovviamente, finché si
tratta di fatti stori- ci essa deve
sempre appoggiarsi alla scienza storica empirica e sottomettersi senza condizioni alla sua
autorità. Ma per il resto può vedere in
tutte le rappresentazioni puramente storiche,
incluse le più ampie, soltanto del materiale che essa elabora sistematicamente a modo suo. Certamente, essa
può farlo solo se ha risolto in misura
maggiore o minore il suo compito di
scienza dei princìpi. Ma se è pervenuta anche soltanto all’ini- zio di un sistema criticamente fondato dei
valori culturali, nel senso prima
indicato, la filosofia può apprendere anche il conte- nuto della storia in modo tale che non ne
derivi un sistema di concetti generali
come in una scienza generalizzante, ma una
delimitazione e articolazione sistematica dell’universo storico. Per quanto riguarda la delimitazione, nel
concetto di totalità storica ultima
rientra così tutto ciò che è essenziale, per la
sua individualità, in riferimento ai valori culturali universali suscettibili di venir fondati criticamente, e
quindi più che empi- rici. Certamente,
l’universo storico che sorge in questo modo
può essere soltanto un’« idea » in senso kantiano, cioè non può mai essere definitivamente concluso — al pari
del sistema dei valori culturali — dal
punto di vista del contenuto; esso appar-
tiene quindi — per dirla con Medicus* — alla « dialettica trascendentale » di una critica della ragione
storica. Ma questa circostanza non
esclude l’autonomia della sua trattazione siste- matica, in quanto filosofia della storia.
Anzi, la relazione al sistema di valori
permette al tempo stesso un'articolazione del-
la totalità storica: è cioè possibile delimitare reciprocamente determinate parti come suoi elementi più
importanti, come le 26. Fritz Medicus
(1876-1956), filosofo tedesco, autore di uno studio sulla Kants Philosophie der Geschichte (1902) e di
importanti lavori sulla vita e sul pen-
siero di Fichte, nonché di varie opere teoriche come le Grundfragen der
Aestetik (1917), Die Freiheit des
Willens und ihre Grenzen (1826), Macht und Gerechtig- Keit (1934), Vom Wahren, Guten und Schònen
(1943), nonché editore delle opere di
Fichte. Rickert sì riferisce al saggio Kant und Ranke, «Kantstudien »,
VIII, 1903, pp. 129-92. 406 HEINRICH RICKERT sue «epoche » o i suoi « periodi »,
ordinandole in modo che il senso della
storia non si esprima soltanto in un’astratta formula di valore, ma anche nella rappresentazione
dello sviluppo stes- so. In una
filosofia della storia siffatta anche la selezione di ciò che è essenziale deve distinguersi da quella
che compiono le scienze empiriche:
infatti non appena si considerano non già
tutti i valori culturali forniti di universalità empirica, ma sol- tanto quelli che hanno trovato la loro
fondazione nel sistema dei valori, la
ricchezza dei particolari storici retrocederà e si parlerà soltanto delle « grandi» epoche o
periodi. Dove si vogliano scorgere i
rappresentanti di queste epoche — se in
singole personalità o in movimenti di massa — può naturalmente essere deciso, ancora una volta,
soltanto caso per caso. Così pure non si
può rispondere pregiudizialmente rispet-
to all’ ‘indagine storica alla questione se gli elementi più com- prensivi del processo di sviluppo singolare
siano le diverse epo- che che si
susseguono, oppure le diverse individualità dei popo- li che in parte cooperano nel medesimo tempo.
Qui importa soltanto chiarire il
carattere sistematico di una trattazione filoso- fica dello stesso oggetto che le scienze
storiche trattano storica- mente, e
distinguere in tal modo nettamente la filosofia della storia dalle scienze storiche empiriche.
Anche con la storia la filosofia, nel
senso sopra indicato, deve procedere astoricamen- te. Perciò Ranke aveva ragione quando si
sentiva in opposizio- ne alle
costruzioni di storia universale intraprese dai filosofi, e temeva un’irruzione della filosofia nel campo
dello storico. T'ut- tavia egli non ha
reso giustizia, nel suo giudizio, alla filosofia della storia, perché sentiva questa differenza
più che formularla concettualmente in
modo netto. Egli stesso ha cercato — se non
nella Weltgeschichte, almeno nelle conferenze Uber die Epo- chen der neueren Geschichte — qualcosa che si
accosta per un certo verso a una
filosofia della storia. Ma questa rappresenta-
zione è impostata in modo troppo storico per essere una filoso- fia e si presenta quindi come una forma di
trapasso o una forma mista, che
evidentemente non perde affatto il valore
come manifestazione di una personalità geniale, ma che tutta- via, riguardo alla sua struttura logica,
dev'essere definita appun- to come una
forma di trapasso. Essa vuole cioè essere per un certo verso sistematica, e nel medesimo tempo
non riconosce HEINRICH RICKERT
407 in parte i presupposti di cui
nessuna sistematica di filosofia della
storia può fare a meno. In tal modo essa dimostra quanto sia necessario distinguere concettualmente in
modo netto tra scienza storica empirica,
non sistematica, e filosofia della sto-
ria. Se ciò è avvenuto, e se il filosofo della storia rinuncia a fare irruzione nelle scienze storiche, la sua
considerazione siste- matica dello
sviluppo storico complessivo possiede un diritto incontestabile 4ccazzo alla rappresentazione
storica e non siste- matica della vista
storica. Ma affinché tale distinzione,
e al tempo stesso anche la necessità di
questo tipo di filosofia della storia risulti perfetta- mente chiara, bisogna ancora prendere in
considerazione un secondo punto, che è
connesso nel modo più stretto con l’aspira-
zione alla sistematizzazione. All'essenza del senso storico non appartiene soltanto la mancanza di
sistematicità; l’apprendi- mento
impregiudicato del corso storico presuppone anche una fede nel « diritto » di ogni realtà storica.
Perciò lo storico deve cercare, in
quanto storico, di astenersi da un giudizio di valore diretto sui suoi oggetti, e la logica della
storia deve pertanto separare nettamente
la relazione teoretica di valore dalla valuta-
zione pratica. Invece la filosofia, che deve assumere criticamen- te posizione nei confronti dei valori
culturali, non sa nulla di un «diritto»
proprio dell'elemento storico in quanto tale; in modo altrettanto deciso di quello in cui
riconosce il procedi- mento puramente
storico dell'indagine specifica, lo storicismo
come intuizione del mondo appare ad essa un’assurdità. Que- sto storicismo, che si crede così positivo,
si manifesta come una forma di
relativismo e di scetticismo e, se pensato fino in fondo in modo coerente, può condurre al
nichilismo completo. Si sottrae a
quest'apparenza soltanto perché rimane aderente a una qualche struttura della molteplicità
storica, collegando ad essa il « diritto
di ciò che è storico» e traendone quindi una
ricchezza di vita positiva. Ciò lo distingue sì dal relativismo e dal nichilismo formulati in modo astratto, ma
in linea di prin- cipio non lo innalza
affatto al di sopra di questi. Se fosse
coerente, esso dovrebbe concedere a qualsiasi essere storico il diritto di ciò che è storico; ma non è in
grado di aderire a nulla, proprio perché
dovrebbe aderire a tutto. In quanto intui-
zione del mondo, esso assume come principio la completa assen- 408 HEINRICH RICKERT za di princìpi, e quindi dev'essere
combattuto nel modo più deciso dalla
filosofia della storia. Nella
concezione dell’universo storico l'opposizione allo sto- ricismo si manifesta nel fatto che la
filosofia della storia abban- dona la
considerazione storica, riferita ai valori in modo pura- mente teoretico, in favore della valutazione
critica. Che cosa ciò significhi,
risulta chiaro nel modo migliore per il fatto che così riacquista il suo diritto il concetto di
progresso. Tale cate- goria non
appartiene certamente ai princìpi della scienza stori- ca empirica. Al pari della relazione a un
sistema di valori, questa categoria
eliminerebbe la valutazione impregiudicata dei
processi storici nel loro carattere specifico e toglierebbe
sovrani- tà — come Ranke ha giustamente
detto — al passato. La filosofia della
storia, invece, non può fare a meno di questa
categoria se vuol superare il nichilismo storicistico. Essa deve giudicare, in connessione con l’articolazione
dell’universo stori- co, i diversi stadi
del processo di sviluppo singolare con riguar-
do alla funzione che essi hanno assolto per la realizzazione dei valori criticamente fondati. A tale scopo la
filosofia della storia deve non soltanto
togliere sovranità al passato — in consapevo-
le antitesi rispetto alla considerazione puramente storica — in vista del presente e del futuro, ma deve pure
giudicarlo, cioè commisurare il suo
valore a ciò che dev'essere. Ovviamente,
alla questione se il corso della storia rappresenti ovunque, o anche soltanto in alcune parti, una serie
progressiva continua o un incremento di
valore, può rispondere solo l’indagine stessa.
All’inizio sussiste la possibilità sia di un regresso continuo sia di un’oscillazione in su e in giù, cioè di
un'alternativa di progresso e di
irrigidimento. Si può anzi pensare che nella
vita storica non sia possibile mostrare, in riferimento ai valori, né un avanzamento né una decadenza. Ma, quale
che possa essere la decisione in
proposito, in ogni caso tutti i filosofi che
si sono realmente occupati in modo individualizzante di storia, cioè dello sviluppo culturale umano, e non
hanno soltanto cer- cato come sociologi
le leggi della vita sociale, si sono accinti
alla considerazione del corso storico impiegando un criterio di valore; e soltanto così hanno potuto
articolare e giudicare le epoche
dell’universo storico. Anche un filosofo come Schopen- hauer, che non voleva saperne di filosofia
della storia perché HEINRICH RICKERT
409 lo sviluppo storico non mostrava
ai suoi occhi alcun progresso e gli
pareva quindi completamente privo di senso, ha contribui- to a una filosofia della storia nel senso
sopra indicato; e soltan- to per il suo
risultato puramente negativo — ma non riguardo
alla posizione del problema della filosofia della storia — è differente, in linea di principio, dagli
altri filosofi della storia. Il
carattere sistematico e al tempo stesso valutativo della tratta- zione filosofica dell’universo storico può
rimanere poco chiaro soltanto dove, come
spesso avviene, non si è in grado di distin-
guere tra essere e dover essere, tra realtà e valore, oppure dove, a causa della diffidenza dominante
contro la fondazione scientifica dei
valori, ci si azzarda solo in modo celato a esprime- re giudizi di valore, per suscitare la
parvenza di una trattazio- ne puramente
contemplativa. La ricerca dei giudizi di valore e la dimostrazione della loro sostanziale
inevitabilità diventa- no, a causa
dell’oscurità e dell’indeterminatezza oggi molto diffuse in questo campo, un compito tanto più
urgente della filosofia. Queste considerazioni hanno però soltanto lo
scopo di mo- strare quale compito si
pone alla filosofia accanto alle scienze
storiche empiriche, non appena essa può presupporre come idea un sistema di valori culturali.
Un’indicazione in proposito sa- rebbe
possibile soltanto in connessione da un lato con un siste- ma filosofico e dall'altro con i risultati
delle scienze storiche — cosa che non si
può dare in questa sede. Perché l’esposizione
non rimanga troppo schematica, gettiamo ora uno sguardo in- dietro sul passato della filosofia della
storia. Una compara- zione dei concetti
prima enunciati di universo storico e di una
storia universale di carattere filosofico, che ne deriva, con la configurazione attuale — ancor oggi
sostenibile — di questa disciplina può
forse servire nel modo migliore a illuminare la
situazione odierna. Inoltre, collegarsi al passato è qui vantaggio- so anche perché ora abbiamo a che fare con /a
forma dei problemi in cui la filosofia
della storia ha occupato inizialmen- te
e prevalentemente gli uomini, e perché occorre nello stesso tempo mostrare, mediante uno sguardo
retrospettivo, quanto poco arbitrario
sia il mostro modo di considerare la filosofia
della storia, orientato in base alla logica. Ne risulterà infatti che anche per questa via arriviamo alla fine
ai problemi che 4I0 HEINRICH
RICKERT sono stati una volta i problemi
principali della filosofia della storia. È stato sovente sottolineato — e l’ha
mostrato soprattutto Dilthey — che, se
non il concetto di storia in generale, almeno
quello di universo storico era estraneo ai Greci, e che soltanto il Cristianesimo ha reso possibile l’idea di
una « storia universa- le » nel senso
rigoroso del termine. Decisiva è qui la rappresen- tazione dell’unità del genere umano. Nel suo
aspetto principa- le, essa appare
prodotta dalla relazione delle sue diverse parti con Dio: infatti tutti i popoli devono
cercare Dio, e in tal modo il genere
umano nel suo sviluppo singolare assurge all’i-
dea di una totalità conclusa. Dio ha creato il mondo e gli uomini, e tutti gli uomini discendono da una
sola coppia. Così la storia universale
ha inizio in un determinato momento del
tempo, e terminerà col giudizio universale. Quest'ultimo decide in quale misura lo sviluppo abbia assolto il
suo compito di esprimere il suo
significato. Peccato originale e redenzione sono i due termini che articolano le epoche di
questo processo in modo tale che ne
scaturisce una serie di gradi di sviluppo. È
chiaro come su tale base sia possibile delineare una storia univer- sale in cui ogni avvenimento, che è significativo
in riferimento al senso della storia,
diventa elemento della totalità, grado di
sviluppo di una connessione unitaria.
Manca però, per completare il quadro nei particolari, un elemento essenziale. Per quanto all’inizio
nella filosofia cristia- na ci si dia
poca pena dei problemi del mondo esterno, le
rappresentazioni religiose si legano gradualmente nel modo più intimo con una determinata immagine del
cosmo, tratta essen- zialmente
dall’antichità. Il corso del tutto è delimitato non solo temporalmente dalla creazione e dal
giudizio universale, ma anche trasferito
su una scena che si può abbracciare spazial-
mente. Si pensi per esempio al mondo di Dante — un mondo che può essere disegnato nella sua totalità.
Esso forma un globo in sé concluso, in
mezzo al quale sta il teatro del- la
storia universale, la terra. Sopra questo globo, spazialmente separato da esso, vi è la sede di Dio, a cui
sulla terra fa riscontro Gerusalemme, e
così via. Con questi presupposti si può
realmente parlare di una «storia universale » nel senso rigoroso del termine, e nell’ambito
esattamente delimitato di HEINRICH
RICKERT qII tale rappresentazione si può
anche abbozzare un quadro effica- ce di
tale storia universale. Mentre lo sguardo dei pensatori greci si posava sul ritmo eterno
dell’accadere, oppure doveva rivolgersi
all'immagine di un regno di forme soprannaturali, ma in ogni caso del tutto astoriche e
atemporali, ora l’essenza vera e propria
del mondo è vista nello sviluppo singolare del
mondo, riferito a Dio. La molteplicità dei tentativi di filosofia della storia intrapresi su questo terreno
comune non ci riguar- da in questa sede.
È lampante che il loro concetto e la loro
articolazione dell’universo storico mostrano logicamente la me- desima struttura del concetto prima esaminato
e dell’articolazio- ne della totalità
storica ultima; e che, in particolare, i loro
princìpi fondamentali siano concetti di valore risulta chiaro già considerando il loro carattere
filosofico-religioso — Dio è il valore
assoluto. La storia universale vuol essere una specie di « giudizio universale », e proprio in un
senso che questo termi- ne non ha in
Schiller. Essa vuol fornire in maniera provvisoria un conto del valore del corso storico, che
deve poi essere salda- to in modo
definitivo da Dio nel giudizio universale.
Qui ci interessa inoltre stabilire che cosa ha tolto il terreno a tutti questi tentativi di filosofia della
storia. Si tratta in larga misura della
trasformazione, avvenuta all’inizio del mondo mo- derno, delle rappresentazioni del cosmo — di
quella trasforma- zione ancora oggi
importante perché ha creato in linea di
principio l’immagine del mondo che dobbiamo ritenere definiti- va, e in ogni caso l’unica finora
scientificamente sostenibile. Come ha
mostrato soprattutto Riehl ”’, qui non è decisiva tanto la sostituzione del punto di vista geocentrico
con quello eliocentri- co, poiché
mutando la posizione della terra entro l'universo si sarebbe ben potuto concludere un compromesso.
Decisiva è piut- tosto la distruzione
dell’idea diun cosmo chiuso, che si può
abbracciare con un solo sguardo. La dottrina dell’infinità del mondo di Giordano Bruno fu lo scoglio su cui
doveva naufraga- re ogni filosofia della
storia che voleva essere « storia universa-
27. Alois Richl (1844-1924), filosofo austriaco, autore di Redlistische
Grundziige (1870), di Moral und Dogma
(1871), di Uber Begriff und Form der Philosophte (1872), di un'ampia opera su Der philosophische
Kritizismus und scine Bedeutung fiir die
positive Wissenschaft (1876-87), di Zur Einfàhrung in die Philosophie
der Gegenwart (1903), nonché di vari
volumi storici su Kane, Nietzsche, ecc.
412 HEINRICH RICKERT le » nel
senso rigoroso del termine. Di ciò che è temporalmente e spazialmente illimitato vi è soltanto
scienza di leggi; e la storia universale
perde così per sempre il suo significato vero e
proprio. Nel medesimo tempo diventa problematico anche il concetto di una totalità storica in generale,
e non sembrano esserci vie di soluzione.
Anche la storia del « mondo» umano non è
più quell’unità necessariamente riferita, nella sua indivi- dualità, al valore assoluto. Il suo teatro,
la terra, ha perduto il suo significato
nel cosmo infinito. Essa è diventata l’esemplare indifferente di un genere, e altrettanto
indifferente diventa, nella prospettiva
di una scienza di leggi, tutto quanto di singo-
lare e di particolare avviene su di essa. È importante sottolinea- re che tutte queste trasformazioni sono
avvenute, in linea di principio, per
opera delle dottrine di Copernico e di Giordano
Bruno e non già — come molti ritengono — per opera della biologia moderna. La teoria dell’evoluzione
ha certamente un valore straordinario
per la scienza. Abbiamo prima mostrato
che essa non è in grado di fornire princìpi filosofici positivi per una considerazione storica; dobbiamo ora
aggiungere che essa non trova più da
distruggere gli elementi essenziali della
vecchia filosofia della storia, almeno per chi abbia anche soltan- to pensato fino in fondo l’idea
dell’illimitatezza temporale del mondo.
Tra le scienze naturali è stata quindi realmente impor- tante per le questioni relative
all’intuizione del mondo non già la
biologia ma l'astronomia, e anche quest’ultima ha semplice- mente avuto un significato negativo, almeno
per i problemi di filosofia della
storia. Possiamo anzi dire che il passo
decisivo per la nuova svolta positiva
nella trattazione dei problemi di filosofia della storia era già stato compiuto prima che la biologia
evoluzionistica fosse giunta anche
soltanto ai suoi inizi: infatti questa trasformazione prendeva le mosse — come sempre accade quando
si tratta dei fondamenti ultimi del
nostro pensiero filosofico — da Kant,
che oggi si crede in modo alquanto sorprendente di poter con- futare con il darwinismo, cioè partendo dalla
funzione del tutto particolare presente
nella connessione tra problemi gnoseo-
logici e problemi etici. Kant stesso ha paragonato la sua teoria della conoscenza all'impresa di Copernico, e
noi possiamo segu i- re questo paragone
anche in un’altra direzione. L'idealismo
HEINRICH RICRERT 413
trascendentale ha significato, proprio in virtù del « punto di vista copernicano », una conversione nella
via che la filosofia credeva di dover
imboccare sulla base della nuova immagine
del mondo fornita dall’astronomia: una conversione, però — e questo è l'elemento decisivo — la quale
lascia del tutto intatta la nuova
immagine del mondo e ciononostante rende possibile riprendere i vecchi problemi. Grazie a Kant
l’uomo viene po- sto di nuovo — con il
pieno riconoscimento della moderna
scienza della natura — al «centro» del mondo: certamente non in senso spaziale, ma in modo ancor più
significativo per i problemi della
filosofia della storia. Ora tutto «gira» nuo-
vamente intorno al soggetto. La «natura» non è la realtà assoluta, ma è determinata nella sua essenza
universale da forme di apprendimento
soggettive, e proprio la totalità « in-
finita» del mondo non è che un’«idea » del soggetto, l’idea di un compito a lui necessariamente posto, ma
nello stesso tempo insolubile. In virtù
di questo « soggettivismo » i fonda-
menti della scienza empirica della natura risultano non soltan- to intatti, ma addirittura più saldi;
completamente sepolti so- no invece i
fondamenti del naturalismo come intuizione del
mondo che rifiuta ogni senso a ciò che è storico. Questo lavoro di distruzione, che sgombra anzitutto la via
dagli impedimenti che si frappongono a
concepire un essere come storia, è tanto
più importante in quanto, dato lo stretto legame della teoria della conoscenza con l’etica, comporta
immediatamente la fon- dazione di una
costruzione positiva di filosofia della storia.
L'uomo non sta al centro della « natura » solamente con la sua ragione teoretica, ma si comprende al tempo
stesso, con la sua ragione pratica, come
ciò che dà un senso oggettivo alla vita
culturale, cioè come personalità consapevole del dovere, autono- ma, «libera»; e questa ragione pratica
possiede il primato. Che cosa può ancora
significare di fronte a questo il fatto che
il teatro della storia rappresenta spazialmente e temporalmente una piccola particella destinata a
scomparire, posta in un punto qualsiasi
dell'universo? Per il soggetto autonomo, teoricamente e praticamente « legislatore », questi
rapporti spaziali e tempo- rali sono ora
diventati del tutto indifferenti nella trattazione delle questioni di valore. Nell'indagine
della « natura », inclusa la vita
psichica, l’uomo autonomo lascia piena libertà alla scien- 414 HEINRICH RICKERT za che ha distrutto la vecchia immagine del
mondo. Ma egli non concederà mai che questa
scienza concernente l'essere delle cose
abbia qualcosa da dire sul valore o sul disvalore, sul senso o sulla mancanza di senso del corso del
mondo, poiché è assolutamente certo — in
quanto ragione pratica — della sua «
libertà », che costituisce il senso autentico del mondo e della sua storia.
Kant non ha creato egli stesso un sistema di filosofia della storia, ma sulla base del suo pensiero ne
sono sorti uno dopo l’altro, e in ciò
dobbiamo riconoscere certo un'influenza non
inessenziale. Il corso singolare dello sviluppo dell'umanità ha nuovamente potuto essere concepito — con
l’aiuto dei concetti assoluti di ragione
e di libertà — come unità, e venir artico-
lato nei suoi diversi stadi in modo tale da misurare ogni stadio in base al suo contributo specifico alla
realizzazione del senso del mondo.
Questa possibilità di acquisire di nuovo un rappor- to positivo con la vita storica è ciò che
conferisce alla fi- losofia
dell’idealismo tedesco il suo significato predominante e intramontabile per il futuro che possiamo
prevedere. Una filosofia che ne sia in
linea di principio incapace potrà sì
compiere qualcosa di significativo per problemi specifici, ma non produrrà mai un'intuizione del mondo
veramente com- prensiva, soddisfacente
per gli uomini civili, e tanto meno po-
trà avanzare la pretesa di essere progredita al di là della filoso- fia dell’idealismo tedesco. Dominato
dall’idea che lo scopo del- la vita
terrena dell’umanità sia quello di orientare con la liber- tà tutti i suoi rapporti secondo ragione,
Fichte ha costruito filosoficamente, per
la prima volta dopo Kant, la «storia uni-
versale » come totalità unitaria; e anche Hegel ha abbozzato in base al concetto di libertà il suo sistema
di filosofia della storia, che abbraccia
molto più delle postume Vorlesungen,
raggiungendo in tal modo il culmine — ancor oggi per molti versi incompreso — di questo tipo di
considerazione filosofica della storia.
Non possiamo addentrarci qui nel contenuto del
suo sistema; e neppure importa sottolineare le differenze che separano tra loro i concetti di libertà di
Kant, di Fichte e di Hegel. Qui importa
soltanto che la filosofia dell’idealismo tede-
sco ha trovato un concetto di valore incondizionato che le ha permesso di trattare filosoficamente, nel
modo che si è detto, la HEINRICH
RICKERT 415 totalità del corso
storico, che questo concetto di valore era al
tempo stesso abbastanza formale da servire come punto di riferi- mento per la storia universale — come viene
grandiosamente espresso soprattutto da
Hegel — e infine che non c’era più
bisogno, almeno in linea di principio, di presupposti del tipo di quelli adoperati dalla filosofia della
storia distrutta dalla moderna scienza
della natura. Per la filosofia della storia del
nostro tempo sorge così la questione se sia possibile, sul ter- reno dell’idealismo fondato da Kant e nel
pieno riconoscimento di tutti i
risultati della moderna scienza della natura, trovare anzitutto un punto di vista valutativo che
consenta di trattare filosoficamente la
storia universale, e quindi pervenire a una
filosofia della storia che in linea di principio mostri — con riferimento al sapere storico del nostro
tempo, e mantenendo intatta ogni
diversità di contenuto — la stessa struttura for- male dei sistemi di filosofia della storia di
Fichte e di Hegel. Ma con questo, e
proprio richiamandoci a quei pensatori, il
problema di una trattazione filosofica dell’universo storico non sembra ancora sufficientemente chiarito. La
filosofia della sto- ria dell’idealismo
tedesco è sì indipendente dalle dottrine della
scienza naturale, ma proprio per questo è tanto più dipendente da presupposti sull'essenza merafisica che
sta alla base del «mondo fenomenico »
della storia. Già la dottrina della libertà
di Kant è connessa con il suo concetto metafisico di un caratte- re intelligibile, e in Hegel appare del tutto
chiaro quanto la sua filosofia della
storia sia fondata metafisicamente. È possibi-
le svincolare la filosofia della storia dalla metafisica, oppure essa presuppone sempre due specie di essere,
cioè un mondo dei fenomeni in cui si
svolgono gli avvenimenti storici e un mondo
della realtà vera, posta al di là dei fenomeni, a cui gli avveni- menti storici devono essere riferiti se
devono raccogliersi in uno sviluppo
unitario e articolato? Soltanto ora siamo pervenuti al punto decisivo, e in virtù della connessione
che lega tra loro i di- versi problemi
di filosofia della storia l’importanza di tale que- stione risale ancora più indietro. Abbiamo scoperto
che l’inter- pretazione del senso
generale della storia presuppone l’idea di un
sistema di valori incondizionati, a cui sia possibile commisurare i valori culturali forniti di generalità
empirica. Questo sistema non sarà forse
realmente fondato soltanto se lo si è ancorato — 416 HEINRICH RICKERT per così dire — metafisicamente e si può
quindi essere certi che l’essere
storico, nel suo fondamento metafisico, è anche dispo- sto alla realizzazione di ciò che dev'essere?
Anche per la scien- Za storica empirica
i presupposti metafisici sembrano indispensa-
bili. Vi sono pensatori a cui la storia appare come qualcosa di « spettrale » finché i suoi oggetti, e in
particolare le personalità storiche,
vengono considerati semplicemente come realtà imma- nenti. Quelle che agiscono sul teatro della
storia devono essere anime dotate di
essenza, metafisiche, e noi dobbiamo poterle
pensare in certa misura inserite in una grande connessione « spirituale », che si innalza al di sopra
delle anime singole e di cui nulla sa Ia
semplice esperienza, ma che costituisce il
sostegno dei valori incondizionati e senza la quale tutta la storia sarebbe un disordine senza senso, che
non avrebbe nessun significato
indagare. È necessario almeno accennare
a una presa di posizione anche nei
confronti di questi problemi; e noi cominciamo con la questione dei presupposti metafisici di
cui neppure la scien- za storica
empirica può fare a meno, perché soltanto così si può rispondere alla domanda sulla necessità
di assunzioni meta- fisiche per la
ricerca del senso della storia e per la trattazione filosofica della storia universale. Bisogna in primo luogo ammettere
incondizionatamente che molti storici
hanno una fede che, a volerla formulare concet-
tualmente, assumerebbe un carattere metafisico; altrettanto cer- to è che questa fede contribuisce a far apparire
loro veramente significativa l'indagine
della vita storica. Anche qui si può rin-
viare di nuovo a Ranke, il quale designa le grandi tendenze della storia come idee di Dio, attraverso cui
si realizza il piano provvidenziale
divino; e nel medesimo modo si potrebbe mo-
strare che altri storici assumono presupposti sovra-empirici. Non ne sono certamente liberi soprattutto
coloro che ritengono di aver trovato le
«leggi di sviluppo» di ogni vita storica:
infatti presso di loro tale fede assume sì, sotto l'influenza della moda, un abito naturalistico, diventando la
fede in concetti di leggi intesi come
forze operanti, ma non per questo cessa di
essere metafisica. Né si può respingere il problema presente in una fede come quella manifestata da Ranke
spiegando che tutto ciò sta al di fuori
della scienza e non esercita la minima
HEINRICH RICKERT 417 influenza
su di essa, poiché quest'idea è giusta soltanto nel senso che la fede — come dice Ranke della sua
dottrina delle idee — non fa mai
violenza sulle particolarità della vita sto-
rica. Per il resto, anch'essa appartiene ai presupposti della
ricer- ca storica, nella misura in cui
vi è presente la convinzione che, quando
conferiamo alla vita storica in genere un significato «oggettivo », si tratta di qualcosa di più
che di un'assunzione arbitraria. Ma con questo non si è ancora detto, d'altra
parte, che proprio l'elemento metafisico
presente nella fede sia impor- tante a
tal fine. Lo storico in quanto storico farà bene in ogni caso a considerare la sua fede come semplice
fede e a guardarsi dal pericolo di
immettere nelle sue indagini una qualsiasi meta- fisica formulata scientificamente. Egli si
porterebbe altrimenti sul terreno della
teoria delle due specie di essere, a cui abbia-
mo già accennato, e si imbatterebbe subito in grandi difficoltà se dovesse fare dichiarazioni sul rapporto
degli avvenimenti storici, che si
svolgono soltanto nel mondo dell'esperienza, con la realtà trascendente. Anzi, già l’idea che
gli avvenimenti storici siano semplici «
fenomeni» di un essere metafisico ad
essi sottostante non è adatta a far apparire allo storico più significativa la sua ricerca, ma al contrario
gli guasta necessaria- mente ogni gioia
nel suo lavoro. Allo studioso di scienze
naturali può forse essere indifferente che i suoi oggetti sia- no fenomeni o realtà assolute. Egli li
considera soltanto co- me esemplari di
un genere, e i concetti generali di cui va in
cerca mantengono in ogni caso la loro validità. Invece gli avvenimenti che sono essenziali nella loro
individualità perdo- no il loro
significato se non possono venir considerati come realtà, e se nell’essere immediatamente
accessibile alla scienza non si realizzano
anche i valori a cui lo storico riferisce gli
oggetti. L'esigenza di una realtà autentica presente dietro di essi non deve quindi mai la propria origine a
un interesse della scienza storica. Essa
deve piuttosto venir ricondotta agli effetti
di quella strana « teoria della conoscenza » che riduce il mondo dell’esperienza a mera parvenza, a velo di
Maia, affermando che il suo
riconoscimento come realtà condurrebbe al sonnam- bulismo o — come si dice oggi —
all’illusionismo. Per il pensiero non
sfigurato in questa o in analoga maniera la vita 27. $TORICISMO TEDESCO. 418 HEINRICH RICKERT data immediatamente non può mai essere un
sogno o un fanta- sma; e lo storico
empirico deve in ogni caso attenersi al
mondo accessibile alla sua esperienza. In esso egli deve vedere l’unica realtà che gli importa come storico,
accantonando la questione del suo «
substrato » metafisico. Ma possiamo
arrestarci a un sistema di valori inteso come
definitivo anche se cerchiamo i princìpi della storia e ne inter- pretiamo il senso? Oppure l’assunzione di una
validità incondi- zionata di questi
valori include l'assunzione di una realtà tra-
scendente, e da ciò non deriva per la filosofia — che non può lasciare in sospeso tali questioni — il
compito di determina- re il rapporto dei
valori con questo mondo metafisico?
Anche qui si deve ammettere che il presupposto di una validità incondizionata dei valori ci conduce
fuori del mondo immanente, e quindi nel
trascendente, e che affinché nulla
rimanga oscuro si deve affermare — nei confronti di una filoso- fia puramente immanente — la validità di
valori trascendenti. Ma assai poco si è
fatto se si crede di dover andare oltre,
spiegando che questi valori indicano anche un qualche essere trascendente. In primo luogo non ci si può
spingere, con buona coscienza scientifica,
oltre questa indicazione del tutto indeter-
minata; inoltre ogni tentativo di determinare più da vicino la realtà trascendente deve trarre il proprio
materiale dalla realtà immanente o
arrestarsi a pure negazioni. Non c’è bisogno di
dimostrare che non si può asserire nulla di scientificamente attendibile in merito al rapporto di una
realtà del tutto indeter- minata, o
determinata in modo puramente negativo, con il
mondo immanente. La realtà trascendente rimane quindi un concetto completamente vuoto e infecondo
anche per la filoso- fia della storia
come dottrina dei princìpi. Questa disciplina ha perciò fatto abbastanza chiarendo a se stessa
questo punto e accontentandosi dell’aspirazione
a determinare un sistema di valori
incondizionati. Non si obietti che il concetto di un do- ver essere trascendente, che è qui
presupposto, potrebbe essere dimostrato
vuoto e infecondo con i medesimi argomenti impie- gati per il concetto di essere trascendente.
Certamente non è possibile determinare
che cosa significa un essere trascendente
se non dicendo che qui si tratta di valori forniti di validità sopra-storica, atemporale, incondizionata;
anche qui il concetto HEINRICH RICKERT
419 viene perciò acquisito per mezzo
della negazione, in quanto partiamo dal
valore condizionato e togliamo ad esso la condi- zionatezza. Il concetto che ne deriva ha però
un significato del tutto differente da
quello che sorge quando, per ottenere il
concetto di essere trascendente, partiamo dal concetto dell’esse- re immanente e neghiamo la sua immanenza. Con
questa nega- zione togliamo all’essere
ogni contenuto, mentre al dover essere
lasciamo il contenuto e gli togliamo soltanto una limita- zione, che gli impedisce il pieno dispiegarsi
di una tendenza in esso presente — la
tendenza a valere. Questa differenza tra
essere trascendente e dover essere trascendente può forse venir chiarita nel modo migliore richiamandoci al
concetto kantiano di idea. Kant
trasforma appunto il concetto di realtà trascen- dente nel concetto di dover essere
trascendente, stabilendo in tal modo sia
il diritto sia l'illegittimità di una scienza che aspiri all’incondizionato. La stessa cosa
avviene se ci arrestiamo al dover essere
trascendente e rifiutiamo un essere trascenden-
te: proprio la filosofia della storia come scienza dei princìpi non ha alcun motivo di seguire l’indicazione
dei valori trascen- denti verso un
essere trascendente. Sono, appunto, soltanto valo- ri quelli che essa trova come princìpi della
vita storica, e ad essa interessa
solamente la validità dei valori in quanto valori. Inoltre, questa validità incondizionata deve
già essere salda pri- ma che si possa
anche soltanto parlare di un’indicazione verso
una realtà trascendente; occorre cioè che l’unico problema signi- ficativo per la dottrina dei princìpi storici
sia già risolto prima che si presenti il
problema di una realtà trascendente in genera-
le. Perciò anche la filosofia della storia, nella misura in cui ha a che fare con i princìpi della vita storica,
può lasciare in sospeso i problemi
metafisici così come fa la scienza storica
empirica, perché in ogni caso tali problemi non appartengono a questa parte della filosofia. Ma che cosa accade allora con la storia
universale filosofica se siamo costretti
ad arrestarci, dinanzi alla questione della
realtà trascendente e del suo rapporto con l’essere immanente, a un won liquet, o addirittura a respingere
l’idea di una realtà metafisica in
generale? Forse che la rappresentazione filosofica sistematica dell’universo storico, la quale
non si limita ai valori ma li pone
esplicitamente in collegamento con il contenu- 420 HEINRICH RICKERT to dell’essere storico, non perde ogni senso
se in certa misura avvicina soltanto
dall’esterno i suoi valori alla vita storica e
non può affatto presupporre se e come l’essere storico immanen- te è connesso non soltanto mediante la
relazione di valore, ma anche realmente,
con il proprio fine della realizzazione dei
valori? Non c’è dubbio che qui siamo di fronte a un problema straordinariamente difficile, e che le
aspirazioni metafisiche del- la nostra
epoca — così come si esprimono soprattutto nelle opere di Eucken® — acquistano, da questo
punto di vista, un significato da non
sottovalutare anche per la filosofia della sto-
ria. Neppure in questo contesto si può certamente ammettere che il mondo dell’esperienza abbia bisogno di
una struttura metafisica, perché
altrimenti il mondo non sarebbe, per così
dire, abbastanza reale e acquisterebbe qualcosa di spettrale. Infatti, se non possiamo abbracciare
abbastanza realtà nell’espe- rienza
immediata, nessun pensiero che si muova in concetti astratti potrà riempire questa lacuna. Ma —
ci si può effettiva- mente chiedere — la
relazione necessaria della realtà storica
con valori incondizionati non presuppone un legame superiore tra essere e dover essere, e nel medesimo
tempo una specie di realtà che non
possiamo più concepire come immanente? Qui
l’idea di una realtà metafisica sembra inevitabile, e quindi la filosofia della storia appare connessa alla
metafisica nel modo in cui avviene, per
esempio, in Hegel. Ma non dobbiamo forse
anche qui dire che con la semplice idea
di un'indicazione verso un legame metafisico dei valori con la realtà empirica si esaurisce pure
tutto ciò che la scienza è in grado di
pensare, e che è del tutto sufficiente assumere una qualsiasi relazione necessaria — non
ulteriormente determinabi- le — della
realtà con i valori? Se consideriamo ancora, per 28. Rudolf Christoph Eucken (1846-1926),
filosofo tedesco, autore dei Prolego-
mena zu Forschungen tiber die Einhcit des Geisteslebens in Bewusstsein
und Tat der Menschhest (1885), del fortunato
volume Die Lebensanschauungen der grossen
Denker (1890), di Der Kampf um einen geistigen Lebensinhalt (1896), di
Der Wakr- heitsgchalt der Religion
(1901), delle Grundlinien einer neuen Lebensanschauung (1907), di Der Sinn und der Wert des Lebens
(1908), della Einfiihrung in cine Phi-
losophie des Geisteslebens (1908), di Mensch und Welt (1918) c di
numerose altre opere, anche di argomento
storico, cbbe larghissima notorietà per le sue doti di scrittore € per il carattere al tempo stesso
popolareggiante e retorico del suo idcalismo, Nel 1908 cbbe il premio Nobel per la
letteratura. HEINRICH RICKERT 421 esempio, la filosofia della storia di Hegel,
troveremo che la metafisica ha un peso
molto limitato nella descrizione di tutte
le particolarità. Per delimitare e articolare l’universo storico è importante solamente il concetto di libertà
come concetto di valore e la convinzione
generalissima che lo sviluppo verso la
libertà è in qualche modo inerente all’essenza stessa del mondo. Qui sono però presenti solo i due presupposti
già accennati di un valore assoluto e
della sua necessaria relazione con la realtà
storica in generale. Per il resto la filosofia della storia di Hegel si muove entro concetti che derivano dalla
vita storica imma- nente e che si
riferiscono soltanto a questa vita immanente.
Non si procede così in tutti i tentativi di filosofia della storia che hanno la forma di una storia universale?
non dobbiamo anzi dire che anche per il
filosofo della storia una maggiore
quantità di metafisica non soltanto non è richiesta, ma può addirittura diventare dannosa? A lui, come
allo storico empiri- co, ciò che
interessa è lo sviluppo della cultura nel mondo
immanente, nel mondo spazio-temporale. Se questo mondo im- manente viene perciò ridotto da qualche
metafisica a una realtà di secondo grado,
se la vera realtà — in cui i valori
supremi coincidono con l’essere supremo — viene concepita come atemporale e aspaziale, lo sviluppo
spazio-temporale, sin- golare e
individuale, perde allora subito ogni senso anche dal punto di vista della filosofia della storia,
così come dal punto di vista della
storia empirica. A quale scopo tutto quel proces- so di lotta dell'umanità, che nel corso dei
millenni riesce a realizzare solo
approssimativamente e imperfettamente ciò che
è per sempre reale nella più profonda essenza del mondo? Se nel tempo possiamo scorgere soltanto un filo
del tessuto del velo di Maia, allora non
esiste più una filosofia positiva della
storia. In tal caso il suo compito consiste solo nel comprendere la vanità di tutto ciò che è storico, in
quanto scorre necessaria- mente nel
tempo, e nel negare con Schopenhauer ogni senso
alla storia. Se dev’esserci non soltanto una scienza storica empi- rica, ma anche una filosofia della storia,
proprio l’elemento temporale presente
nel mondo dev'essere in ogni caso assoluta-
mente reale. Ma — ci si potrebbe
infine ancora domandare — non si può
forse attribuire anche a ciò che è temporale una realtà metafisi- 422 HEINRICH RICKERT ca, €
l’essere trascendente deve proprio venir concepito come necessariamente atemporale, se si vuole
pensarlo? Qui sembra aprirsi ancora
un’ultima strada per la quale unificare tra loro filosofia della storia e metafisica. Ma si
tratta di una semplice apparenza, perché
nella filosofia della storia il nervo del pensie- ro metafisico viene reciso dall'assunzione di
una realtà metafisi- ca di ciò che è
temporale. Quel che ci dava soltanto un’indica-
zione sull’essenza trascendente del mondo era appunto la con- vinzione della validità trascendente dei
valori e l'esigenza del loro nesso reale
con la realtà storica. Ma la trascendenza del
valore significa proprio la sua validità atemporale, e soltanto una realtà atemporale potrebbe essere il
sostegno metafisico di valori
atemporali; ma per instaurare un legame necessario dello sviluppo storico con valori atemporali non si
può fondare la validità dei valori su un
essere metafisico che si esaurisce nel
tempo. Una metafisica che voglia essere la base della filosofia della storia si imbatte quindi nelle maggiori
difficoltà non appe- na aspira a una
formulazione concettuale dei suoi presupposti
trascendenti che sia in qualche modo diversa da quella con- tenuta nel concetto di dover essere
trascendente. Per trova- re nel corso storico
temporale un senso oggettivo, abbiamo biso-
gno dell’atemporale. Ma non appena poniamo questo elemento atemporale come realtà metafisica e priviamo
quindi della vera realtà il corso
storico, annulliamo ogni senso della storia e
ogni possibilità di una sua trattazione filosofica. C'è una via per sfuggire a questo circolo, oppure ogni
metafisica della sto- ria deve
naufragare in esso? Non siamo costretti, anche in una trattazione filosofica della storia
universale, a scorgere nei valo- ri
atemporali e nella loro relazione necessaria, ma scientifica- mente indeterminabile, con la realtà
temporale i presupposti ultimi a cui
dobbiamo arrestarci ? Se si dovesse
rispondere positivamente a questa domanda —
e almeno finora non vediamo alcuna via che ci permetta una risposta negativa — i compiti della filosofia
della storia, che all’inizio sembrava
scindersi in tre diverse discipline, si configu- rerebbero in modo del tutto unitario. Dovendo
lasciare all’inda- gine delle scienze
particolari l’intero campo dell’essere empi-
rico e rinunciare a cogliere l’essenza metafisica del mondo, alla filosofia rimane come campo specifico il
regno dei valori. Essa HEINRICH
RICKERT 423 deve trattare questi
valori come valori, indagare sulla loro vali-
dità e penetrare le connessioni teleologiche di valore. Uno di questi campi di valori è quello della
scienza, in quanto essa aspira alla
realizzazione dei valori di verità, e la filosofia della storia ha quindi a che fare anzitutto con
l’essenza della scienza storica. Essa la
concepisce come la rappresentazione individua-
lizzante dello sviluppo singolare della cultura, vale a dire del- l’essere e dell’accadere fornito di
significato, nella sua individua- lità,
in riferimento ai valori culturali. Da ciò deriva allora che i princìpi della vita storica sono essi
stessi valori, e la trattazio- ne di
questi valori con riguardo alla loro validità diventa perciò il secondo compito della filosofia della
storia, che però coincide in ultima
analisi con il compito della filosofia come scienza dei valori in generale. In tal modo le due
indagini che risultano necessarie stanno
in una connessione sistematica, e in questa
connessione si inserisce infine anche il terzo gruppo di questio- ni di filosofia della storia. Esso costituirà
la conclusione dell’in- tero sistema
filosofico, poiché in esso si cerca di mostrare quan- to dei valori criticamente fondati si è
realizzato nel corso prece- dente della
storia, e quali sono state le grandi epoche di questa realizzazione dei valori, per comprendere
dove oggi stiamo in questo processo di
sviluppo e dove dobbiamo cercare il nostro
compito per il futuro. La filosofia della storia, partendo dalla logica della storia, tratta perciò sempre di
valori: in primo luogo dei valori da cui
si possono derivare le forme concettuali
e le norme della ricerca storico-empirica, quindi dei valori che costituiscono — in quanto principi del
materiale storicamente essenziale — la
storia stessa, infine dei valori la cui graduale realizzazione si compie nel corso della
storia. GEORG SIMMEL NOTA BIOGRAFICA Georg Simmel nacque a Berlino il 1° marzo
1858, figlio di genitori ebrei
convertiti al Protestantesimo. Compì gli studi universitari all’Uni- versità di Berlino, dove seguì i corsi di
storici come Theodor Mommsen e Heinrich
von Treitschke, di psicologi come Moritz Lazarus e Her- mann Steinthal, di etnologi come Adolf
Bastian, nonché dello storico della
filosofia greca Eduard Zeller. Fin da questi anni la personalità di Simmel rivela interessi culturali molteplici,
che caratterizzeranno anche in seguito
la sua produzione filosofica. A Berlino egli consegue nel 1881 il dottorato, con la dissertazione Das Wesen
der Materie nach Kants Physischer
Monadologie (Berlin, 1881), e tre anni dopo ottiene l’abilita- zione. I pregiudizi razziali ancora
largamente diffusi negli ambienti
universitari tedeschi, uniti all’impressione di dilettantismo che il
suo stile filosofico poteva a prima
vista suscitare, resero lenta e difficile
(nonostante l’appoggio di amici influenti, come lo stesso Max Weber)
la carriera accademica di Simmel,
relegandolo per molti anni nella posizio-
ne di libero docente; e soltanto nel 1901 egli ottenne la nomina a professore straordinario. Ma le sue lezioni
berlinesi furono largamente frequentate,
e da esse trassero spunto allievi destinati a diventare famo- si, come per esempio il giovane Gyorgy
Luk£4cs. Soltanto nel 1914 Simmel fu
chiamato a coprire una cattedra di filosofia, all’Università di Strasbur- g0; e qui morì quattro anni dopo, il 28
settembre 1918. Le prime opere di
Simmel sono caratterizzate da un prevalente
interesse per le scienze sociali, che si traduce — sul piano filosofico
— nello sforzo di affrontare il problema
critico delle scienze sociali e, in
connessione con queste, della conoscenza storica. Dal saggio Uber
soziale Differenzierung (Leipzig, 1890)
alla Einleitung in die Moralwissenschaft
(Stuttgart-Berlin, 1892-93) e alla Philosophie des Geldes (Leipzig,
1900), la ricerca positiva sui fenomeni
sociali si intreccia con il tentativo di
determinare l'ambito e l'orientamento di indagine delle scienze
sociali, ponendo in luce la loro
struttura logica e la loro relazione con altre
forme di conoscenza scientifica. Su questo terreno Simmel prende
posi- zione nei confronti della
concezione positivistica delle scienze sociali,
affermandone il compito descrittivo e respingendo il postulato
dell’esisten- za di una struttura legale
della realtà storico-sociale. Nello stesso tempo 428 GEORG SIMMEL egli si propone, richiamandosi a una
prospettiva kantiana, di determina- re
le categorie che stanno a base dell’elaborazione concettuale delle scienze sociali. Ma queste categorie vengono
da lui interpretate non già come
princìpi 2 priori, bensì come punti di vista relativi sulla base dei quali le singole discipline si organizzano
metodologicamente. Infatti Simmel
intende non tanto stabilire in linea generale il campo di ricerca delle scienze sociali, quanto analizzarle nei
loro procedimenti specifici e nei loro
rapporti reciproci. Nell'Einleitung in die Moralwissenschaft egli affronta il problema dell’impostazione
della scienza morale — consi- derata
come una scienza che si pone al confine tra psicologia, scienze sociali e ricerca storica — nell’intento di
svincolare l’etica dal domi- nio di
concetti generali per portarla sul terreno dell’osservazione empiri- ca e quindi della descrizione dei
comportamenti umani. Nella Philoso- phie
des Geldes egli analizza il significato del concetto di denaro in relazione al concetto di valore, ponendo in
luce la sua trasformazione da valore
sostanziale in valore funzionale, cioè in designazione simbolica del diverso valore delle cose. Nell'ambito di
questa prospettiva di origi- ne
kantiana, anche se profondamente modificata, Simmel si è pure proposto, in Die Probleme der
Geschichtsphilosophie (Leipzig, 1892,
19057, 1907°), di determinare le condizioni di validità della
conoscenza storica, considerata nelle
sue basi psicologiche e nei suoi rapporti con le scienze sociali. Egli ha individuato il
fondamento della conoscenza stori- ca
nell'identità tra soggetto e oggetto — identità che rende appunto possibile la comprensione; cosicché le
categorie storiografiche diventano
presupposti psicologici, i quali assolvono la funzione di
organizzare concettualmente il dato
empirico. Perciò la loro validità risulta relativa, e parimenti relativi sono i risultati a cui
pervengono sia le scienze sociali sia la
conoscenza storica. Il culmine di
questa prima fase della produzione simmeliana è
rappresentato dalla Soziologie: Untersuchungen iiber die Formen der Vergesellschaftung (Leipzig, 1908), in cui Ja
distinzione della sociologia dalle altre
scienze sociali viene formulata su una base puramente forma- le, attribuendo a queste il compito di
studiare i fenomeni sociali nel loro
diverso contenuto (morale, economico, politico, e così via) e a quella l’analisi delle forme di associazione
che costituiscono la struttura propria
della società in quanto tale. La sociologia così intesa prescinde quindi dallo studio del contenuto della
società, per limitare la sua indagine ai
modi di relazione tra gli individui; essa ha per oggetto la maniera in cui i rapporti tra gli individui
si costituiscono come fenome- ni
sociali. L'autonomia della sociologia dalle altre discipline
storico-socia- li viene perciò ottenuta
attraverso la rigorosa determinazione del suo
carattere « formale ». Già prima
della Soziologie, attraverso la critica della nozione kantia- GEORG SIMMEL 429 na di a priori e lo studio di Goethe, di
Schopenhauer e di Nietzsche — filosofi a
lui particolarmente congeniali — Simmel veniva enunciando i princìpi di quel relativismo destinato ben presto
a tradursi in una « filosofa della
vita». Dal volume su Kant (Leipzig, 1904; tr. it. Padova, 1953) a Schopenhauer und Nietzsche
(Leipzig, 1907; tr. it. Torino, 1923),
fino a Hauptprobleme der Philosophie (Leipzig, 1910; tr. it. Firenze, 1920) e ai saggi raccolti col
titolo di Philosophische Kultur
(Potsdam, 1911), egli ha respinto il tentativo di cercare un
fondamento assoluto del conoscere, così
come delle altre manifestazioni della vita
umana, affermando la necessità di riconoscere il carattere relativo
dell’at- tività dell’uomo in ogni campo
— e quindi anche il carattere relativo
della verità filosofica. Nel periodo successivo, e soprattutto negli
anni di Strasburgo, questa prospettiva
relativistica mette capo all'affermazione
dell’intrascendibilità della vita. In Der Konflikt der modernen Kultur (Miinchen-Leipzig, 1918; tr. it. Torino, 1925) e in Lebensanschauung (Miinchen-Leipzig, 1918; tr. it. Milano,
1938) la vita si configura come il
principio ultimo e incondizionato dal quale traggono origine tutte le
forme della realtà, le quali sono poste
in essere dalla vita e tuttavia si contrappon-
gono al suo fluire. La vita è infatti un processo infinito, creatore di
forme finite che si organizzano su un
piano trascendente rispetto alla vita, costi-
tuendo così i diversi mondi ideali dello spirito: la vita cerca di
travolgere queste forme, mentre esse
cercano di sfuggire a una distruzione inevitabi- le. La vita può essere quindi definita al
tempo stesso come « più-vita » e «
più-che-vita »: « più-vita » in quanto processo temporale continuo che cresce su se stessa, superando i limiti che
essa si pone, e « più-che-vita » in
quanto produzione di forme finite che emergono da tale processo. Simmel ha applicato questa impostazione
all'analisi dei più svariati fenomeni
culturali, in particolare dei fenomeni artistici. Egli ha anche ripreso in esame — in alcuni saggi che vanno
da Das Problem der historischen Zeit
(1916) a Die historische Formung (1917-18) e a Vom Wesen des historischen Verstehens (Berlin,
1918) — il problema della storicità,
considerata dal punto di vista della dialettica tra la vita e le sue forme. Il rapporto tra la vita e la
storia si presenta, in questi scritti,
come il rapporto tra il processo temporale della vita (che, in quanto
tale, non è ancora storico) e un mondo
ideale che emerge da esso, contrappo-
nendosi alla vita e cercando di resistere alla sua opera
distruttrice. L'elaborazione concettuale
della conoscenza storica coincide quindi con
lo sforzo di costituzione di questo mondo ideale, e il procedimento
della comprensione sul quale la
storiografia si fonda appare qualificato non
già come un rapporto immediato, bensì come una relazione che
presup- pone il riferimento all’alterità
di un diverso individuo. NOTA
BIBLIOGRAFICA Ricordiamo qui le altre
opere di Simmel: Philosophie der Mode, Ber-
lin, 1905; Kan und Goethe, Berlin, 1906, e Leipzig, 1907 ?, 1916?,
19184; Die Religion, Frankfurt a.M.,
1906, 19122, 19225; Goethe, Leipzig, 1913;
Rembrandt: cin Runstphilosophischer Versuch, Leipzig, 1916;
Grundfra- gen der Soziologie: Individuum
und Gesellschaft, Berlin-Leipzig, 1917;
Der Krieg und die geistigen Entscheidungen, Miinchen-Leipzig, 1917.
Al- tre raccolte di saggi sono le
seguenti: Zur Philosophie der Kunst: Philo-
sophische und kunstphilosophische Aufsétze (a cura di Gertrud Simmel), Potsdam, 1922; Schulpidagogik (lezioni a cura
di K. Hauter), Osterwieck / Harz, 1922;
Fragmente und Aufsitze aus dem Nachlass und Veròffentli- chungen der letzen Jahre (a cura di G.
Kantorowicz), Miinchen, 1923;
Rembrandtstudien, Basel, 1953; Bricke und Tiìr: Essays des
Philosophen zur Geschichte, Religion,
Kunst und Gesellschaft (a cura di M. Landmann,
in collaborazione con M. Susman), Stuttgart, 1957. Dei numerosi
articoli di Simmel ci limitiamo a
segnalare quelli non compresi nelle raccolte che abbiamo menzionato: Zur Metaphysik des Todes,
« Logos », I, I9I0, pp. 57-70; Das
individuelle Gesetz, « Logos », IV, 1913, pp. 117-60, poi anche in forma di volume (a cura di M. Landmann),
Frankfurt a.M., 1968; Der
Fragmentcharackter des Lebens, « Logos », VI, 1916-17, pp. 29-40;
Frag- ment iiber die Liebe, « Logos »,
X, 1921-22, pp. 1-54; tr. it. Milano, 1927.
Le opere di Simmel sono state largamente ripubblicate nel
dopoguerra. Tra le ristampe della
Scientia Verlag citiamo quella della Einle:tung in die Moralwissenschaft, Aalen, 1964‘, quella
della Philosophie des Geldes, Aalen,
1958, e quella della Soziologie, Aalen, 19584; sono stati inoltre riediti Uber soziale Differenzierung,
Amsterdam, 1966 2, e Haupitprobleme der
Philosophie, Berlin, 19507, 1966. Un'importante raccolta di documen- ti è il Buch des Dankes an Georg Simmel.
Briefe, Erinnerungen, Biblio- graphie (a
cura di K. Gassen e M. Landmann), Berlin, 1958, apparso in occasione del centenario della nascita. Oltre alle traduzioni italiane già
pubblicate sono in preparazione quel- la
della Philosophie des Geldes (per i « Classici della sociologia »
U.T.E.T.) e della Soziologie (per i «
Classici della sociologia » delle Edizioni di Co- munità).
GEORG SIMMEL 431 Dell’ampia
letteratura critica concernente l’opera e il pensiero di Sim- mel segnaliamo gli studi seguenti: A. MAMELET, Le relativisme philosophique
chez Georg Simmel, Paris, 1914. M. Apter, Georg Simmels
Bedeutung fiir die Geistesgeschichte, Wien-
Leipzig, 1919. M.
FriscHersen-KonLER, Georg Simmel, « Kantstudien », XXIV, 1919, pp. 1-51.
W. Kwevets, Simmels Religionstheorie: ein Beitrag zum religibsen
Pro- blem der Gegenwart, Leipzig,
1920. S. Kragaver, Georg Simmel, «
Logos », IX, 1920-21, pp. 307-38. W.
Frost, Die Soziologie Simmels, « Acta Universitatis Latviensis » (Ri- ga), XII, 1925, pp. 219-313, e XIII, 1926,
pp. 149-225. V. JANKÉLÉvITcH, Georg Simmel,
philosophe de la vie, « Revue de méta-
physique et de morale », XXXII, 1925, pp. 213-57 e 373-86. N. J. Sevrman, The Social Theory of Georg Simmel,
Chicago, 1925, e New York, 19662. M. Srernuorr, Die Form als soziologische
Grundkategorie bei Georg Sim- mel, «
Kélner Vierteljahrshefte fiir Soziologie », IV, 1925, pp. 214-59. W. Fagran, Kritik der Lebensphilosophie
Georg Simmels, Breslau, 1926. G. Loose,
Die Religionssoziologie Georg Simmels, Dresden, 1933. H. MiLLEr, Georg Simmel als Deuter und
Fortbildner Kants, Dresden, 1935. R. Heserte, The Sociology of Georg Simmel:
The Forms of Social In- teraction, nel
volume An Introduction to the History of Sociology (a cura di H. E. Barnes), Chicago, 1948, pp.
249-73. « American Journal of Sociology », LXIII, 1958, n. 2
(fascicolo commemo- rativo del
centenario della nascita di Durkheim e di Simmel), con ar- ticoli di K, D, Narcete, K. H. Wotrr, L. A.
Coser, T. M. Mis. Georg Simmel, 1858-1918 (a cura
di K. H. Wolff), Columbus (Ohio),
1959. M. Susman, Die geistige
Gestalt Georg Simmels, Tibingen, 1959. H.
Miier, Lebdensphilosophie und Religion bei Georg Simmel, Berlin- Miinchen, 1960. A
Banri, Filosofi contemporanei (a cura di R. Cantoni), Milano-Firenze, 1961, cap. V. 432 GEORG SIMMEL I. Bauer, Die Tragik in der Existenz des
modernen Menschen bei G. Simmel, Berlin, 1962. R. H. WeincartNER, Experience and Nature:
the Philosophy of Georg Simmel,
Middletown (Conn.), 1962. P. Gorsen, Zur
Phinomenologie des Bewusstseinsstroms: Bergson, Dilthey, Husserl, Simmel und die lebensphilosophischen
Antinomien, Bonn, 1966. H. LiepescHùtz, Von Georg Simmel zu Franz
Rosenzweig: Studien zum jiidischen
Denken im deutschen Kulturbereich, Tiibingen, 1970. Un elenco completo degli scritti di Simmel
è dato da E. RosenTHAL e K. OsertaenDER,
Books, Papers and Essays by Georg Simmel, « Ame- rican Journal of Sociology », LI, 1945, pp.
238-47. Ma la bibliografia
più completa degli scritti di e su
Simmel è quella di K. Gassen, in Buch des
Dankes an Georg Simmel cit., pp. 309-65, la cui ultima parte — concer- nente la letteratura critica — è riprodotta
in Georg Simmel, 1858-1958, cit., pp.
357-75- Georg Simmel nel 1901. I PRESUPPOSTI PSICOLOGICI DELLA RICERCA STORICA * Se la teoria della conoscenza in generale
muove dal fatto che il conoscere —
considerato da un punto di vista formale —
è un mero rappresentare e il suo soggetto è un’anima, la teoria del conoscere storico è ulteriormente
determinata dal fatto che la sua materia
è il rappresentare, il volere e il sentire di perso- nalità, e che i suoi oggetti sono anime.
Tutti i processi esterni — politici e
sociali, economici e religiosi, giuridici e tecnici — non sarebbero per noi né interessanti né
comprensibili se non scaturissero da
movimenti psichici, e non suscitassero altri movi- menti psichici. Se non vuol essere un gioco
di marionette, la storia dev'essere
storia di processi psichici, e tutti gli avvenimen- ti esterni che essa descrive non sono che
ponti gettati tra gli impulsi e gli atti
di volontà, da un lato, e i riflessi del sentimen- to suscitato da quegli avvenimenti esterni,
dall’altro. Questo fatto non è cambiato
neppure dalla concezione materialistica
della storia, la quale vuol derivare i movimenti storici dai bisogni fisiologici degli uomini e dal loro
ambiente geografico. Infatti non c'è
fame che metta mai in movimento la storia
universale se non fa male; e ogni lotta per i beni economici è una lotta per le sensazioni di comodità e di
godimento, dal cui carattere di scopo
trae il suo significato ogni possesso esteriore. Anche le condizioni del terreno e del clima
sarebbero indiffe- renti per il corso
della storia, tanto quanto il terreno e il clima di Sirio, se non influenzassero direttamente
e indirettamente la costituzione
psicologica dei popoli. Se vi fosse una psico- * Die Probleme der Geschichtsphilosophie,
cap. I: Von den Psychologischen Vor-
aussetzungen in der Geschichesforschung, Lcipizig, Verlag von Duncker
und Hum- blot, 1892, pp. 1-33
(traduzione di Sandro Barbera c Pietro Rossi). 28. STORICISMO TEDESCO. 434 GEORG SIMMEL logia come scienza di leggi, la scienza
storica sarebbe psico- logia applicata
nello stesso senso in cui l'astronomia è matemati- ca applicata. Se il compito della filologia è
quello di conoscere ciò che è
conosciuto, la ricerca storica ne costituisce soltanto un ampliamento, in quanto accanto a ciò che è
conosciuto — ossia a ciò che è
teoreticamente rappresentato — deve cono-
scere anche ciò che è sentito. Questo carattere di interiorità dei processi storici, che fornisce il punto di
partenza e il termine di ogni
descrizione della loro esteriorità, richiede una serie di presupposti specifici che è compito della
teoria della conoscenza storica porre in
luce. Dietro l’4 priori assoluto
dell’intelletto, da cui prendiamo le
mosse, c'è un secondo « priori valido all’interno dell'intelletto e quindi relativo. Quando varie
rappresentazioni particolari vengono
raccolte in un concetto generale, quando un soggetto e un predicato vengono riuniti in un giudizio,
più giudizi in una massima, il materiale
è separabile dalla forma che lo contiene,
e ciascuno dei due elementi può essere rappresentato da solo. Per quanto in questo materiale possa già
essere presente molto o poco di
aprioristico e di spontaneo, nella relazione che qui consideriamo vi è un contenuto dato su cui
l’intelletto compie un'ulteriore
funzione, la quale è da parte sua 4 priori nei
confronti di quel materiale; essa non è presente nel contenuto, ma si aggiunge ad esso. Se però, secondo la
schematizzazione kantiana, esistono
soltanto tre specie di 4 priori — quello della
sensibilità, che ha per materiale le sensazioni, quello dell’intel- letto, che ha per materiale le intuizioni, e
quello della ragione, che ha per
materiale i giudizi — o propriamente una sola
specie, poiché le altre devono essere ricondotte all’ priori dell’intelletto, la considerazione empirica
mostra facilmente l’in- giustificata
angustia di questa divisione. Vi sono chiaramente moltissimi gradi di 4 priori, così come vi
sono mescolanze molto diverse tra la
forma aggiunta e il contenuto preesistente.
In particolare, poi, non c'è alcun metodo che ci conduca a un sistema saldamente concluso — e garantito da
ogni spostamen- to di confine — delle
funzioni con cui elaboriamo il materiale
conoscitivo dato di volta in volta. Tra le forme più generali, accessibili a ogni materiale e superiori
all’esperienza individua- le, e le forme
specifiche, acquisite empiricamente e applicabili GEORG SIMMEL 435 come a priori soltanto a certi contenuti,
non vi sono distinzio- ni nette e
sistematiche, ma trapassi graduali: così per esempio tra la legge causale o la connessione in un
concetto di ciò che è identico in
oggetti diversi, da un lato, e i presupposti metodi- ci (o di altro tipo) di un particolare
settore della vita, di una particolare
scienza, dall’altro. Ogni formazione giuridica pre- suppone l’aspirazione a un determinato stato.
Che i rapporti umani consentano il
conseguimento di uno stato del genere
solamente mediante norme stabilite e determinazioni di pene per la loro trasgressione è un 4 priori molto
generale che ha per conseguenza una
certa formazione, cioè un legame di rap-
presentazioni preesistenti. Ma per la formazione di leggi que- sta forma di connessione non è tanto generale
quanto può esserlo la connessione
causale tra motivazione psichica e azione
esteriore, che — parimenti necessaria per l’elaborazione giuridi- ca — può essere istituita tra i fenomeni, ma
non tratta imme- diatamente da essi.
D'altra parte l’a priori che costituisce la
forma del diritto è, a sua volta, un elemento generale rispetto ai presupposti da cui scaturisce nel caso
particolare la formula- zione giuridica.
Così il principio che la prova spetta all’accusa- tore, o la diversa validità del diritto
consuetudinario, produce un'elaborazione
dei fatti in vista dello scopo di conoscere che
cosa sia giusto — un’elaborazione che non è presente nel mate- riale stesso, ma che solo in esso compie la
sua funzione interpre- tativa, Con pieno diritto Kant ha rivolto il proprio
senso critico contro gli empiristi che
volevano limitare le loro ricerche alla
semplice recezione di impressioni sensibili, alla registrazione di elementi di fatto comprovabili
immediatamente. Egli ha mo- strato che,
senza neppure avvedersene, essi fanno continuamen- te uso di proposizioni metafisiche non
dimostrate e che sol- tanto in base a
queste istituiscono quella connessione tra i dati sensibili che fa di quest'ultimi
un'esperienza intelligibile. Ma
l'influenza e la necessità dei presupposti inconsci e indimostrati si estende molto al di là di ciò che mostrano
le indagini di Kant. In ogni momento sia
la teoria che la prassi fanno uso di
forme di connessione del materiale empirico, cioè di quella facoltà plastica dello spirito in grado di
fondere ogni contenu- b ce) to dato — attraverso il modo di ordinarlo, di
accordarlo e di 436 GEORG SIMMEL sottolinearlo — nelle più diverse forme definitive.
Queste con- nessioni che — espresse in
forma di principi — appaiono come
presupposti 4 priori, rimangono inconscie nella misura in cui la coscienza in generale si dirige più al
dato, a ciò che è relativamente esterno,
che non alla propria funzione interna.
Infiniti contenuti di pensiero attraversano lo spirito, prima che abbia coscienza del fatto che pensa; esso
osserva gli oggetti del mondo esterno
molto prima dei processi che avvengono al suo
interno, e quanto più il processo è interno, ossia quanto più è — si potrebbe dire — psichico, tanto più
tardi esso ne consegue la coscienza, che
inerisce piuttosto ai suoi stimoli esterni. E
tanto più la coscienza inerisce a questi ultimi quanto più essi, con la varietà del loro mutare e la nettezza
delle loro antitesi, stimolano
continuamente la sensibilità psichica alla distinzione, mentre le funzioni formali dell'anima sono di
numero più limi- tato e si offrono ai
contenuti più diversi in modo sempre egua-
le, producendo in virtù della loro esistenza permanente e della loro universalità endemica quella
consuetudine ad esse che fa scivolare la
coscienza al di sopra di loro come su qualcosa di assolutamente ovvio. Anche qui vale la
profonda osservazione di Aristotele che
ciò che viene per primo nell’ordine razionale
delle cose — la funzione conoscitiva dello spirito — viene per ultimo nella nostra considerazione e
osservazione. Ma in quale misura questo
dominio inconscio delle forme di connessione si
estenda sul materiale dei fatti, non è stato riconosciuto da Kant in tutta la sua ampiezza a causa della
netta separazione da lui operata tra l’a
priori e ogni elemento empirico. Poiché
oggi estendiamo l’esperienza molto più in alto di quanto non facesse Kant, per noi l’4 priori si estende
anche molto più in profondità. Nel
rapporto reciproco tra gli uomini ognuno deve
in ogni momento presupporre negli altri la presenza di processi spirituali che non può constatare
immediatamente, ma senza i quali le
azioni di questi altri apparirebbero una mescolanza di impulsi improvvisi, priva di senso e di
connessione: noi li completiamo così
come completiamo la macchia cieca che inter-
rompe la nostra immagine, senza avvertire l'interruzione, dato che tale integrazione ci appare cosa ovvia.
Come comprendia- mo l’interno soltanto
per analogia con l’esterno — cosa che il
linguaggio già indica quando designa tutti i processi psichici GEORG SIMMEL 437 con termini tratti dal mondo
dell’intuizione esterna — così d’altra
parte intendiamo l’esteriorità degli uomini soltanto in base all’interiorità sottostante. Ma proprio
per questo motivo integriamo anche
l’esterno così come lo richiede la connessione
interna già postulata, cioè in quanto esiste in generale una connessione interna. Si può ben affermare che
nessun cronista ci racconta in modo
preciso ciò che ha visto dello sviluppo di
un avvenimento al quale ha assistito: lo conferma ogni interro- gatorio giudiziario di testimoni, ogni
narrazione di un tumul- to. Pur con la
migliore intenzione di attenersi alla verità, il narratore aggiunge a ciò che ha
immediatamente visto elementi che
completano l’avvenimento nel senso che egli ha tratto fuori dal dato: e anche l’ascoltatore deve sempre
vedere nel suo spirito, in base alle sue
esperienze e alla fantasia da esse deter-
minate, più di quanto gli viene effettivamente detto. La fisiolo- gia dei sensi ci ha mostrato innumerevoli
casi in cui integria- mo inconsciamente,
in oggetti e movimenti particolari, le im-
pressioni frammentarie dei sensi così come lo richiedono le esperienze già fatte. Nel caso di avvenimenti
complessi avviene esattamente lo stesso;
nel caso degli avvenimenti storici l’inte-
grazione esterna è essenzialmente determinata da ipotesi psichi- che, dalle esperienze relative alla
continuità e allo sviluppo della vita
psichica, alla correlazione esistente tra le sue ener- gie, al corso dei processi teleologici. Non
soltanto tutto questo è presupposto per
impulso da parte dei rapporti esterni, ma,
una volta che ciò sia presupposto, gli avvenimenti esterni vengo- no integrati nella misura in cui anch'essi —
commisurati alle leggi dell’esperienza
relative alla connessione tra interno ed
esterno — forniscono ora ai processi interni una serie parallela ininterrotta. Proprio questa integrazione
spontanea di ciò che è esterno
costituisce una delle prove più forti del fatto che anche l'interno non è semplicemente derivato dai
fatti, ma viene ag- giunto ad essi sulla
base di presupposti generali. Partendo dal-
l'aspetto puramente esterno che uno offre all'altro si inferisco- no, in base a innumerevoli presupposti, le
idee e i sentimenti dell’altro — che al
massimo rappresenta un’inferenza dall’ effetto
alla causa. Nelle faccende quotidiane troviamo sufficienti occa- sioni di comprovare la correttezza di tale
inferenza, poiché il comportamento
esterno dell’altro, previsto in anticipo, risponde 438 GEORG SIMMEL realmente senza eccezione al nostro agire
che giunge fino a lui. Soltanto per
processi psichici superiori e più complicati queste inferenze diventano incerte, inducono a
innumerevoli errori e forniscono così la
prova che anche nei casi più sicuri si
tratta solo di presupposti, i quali vengono collocati dinanzi al dato e debbono la loro sicurezza all’utilità
pratica, ma non a un’interna necessità
che li fa scaturire in maniera razionale da
quel dato. Questi presupposti
della vita quotidiana si ripetono ora nel-
la ricerca storica in modo più compiuto e più ricco di influenza che in qualsiasi altra scienza, compresa
perfino la psicologia. Quest'ultima
assume infatti i presupposti in questione come
oggetti d'indagine ®. La ricerca storica assume invece i presup- posti psicologici senza che siano comprovati
e in modo non metodico. Anche se questi
presupposti fossero così ovvi che ogni
fatto esterno potesse disporsi senza difficoltà e in modo del tutto univoco sotto il presupposto ad
esso adatto, la loro determinazione
costituirebbe già un compito considerevole. Que- sto diventa però estremamente più sottile e
più difficile in quan- to talvolta
vediamo connesse allo stesso avvenimento interno conseguenze esterne totalmente differenti.
Ciò è per noi com- prensibile soltanto
in virtù di una diversità degli elementi con-
comitanti o delle conseguenze psichiche di quel primo avveni- mento, che dev'essere quindi ricondotto ora
sotto una norma psicologica, ora sotto
un’altra del tutto opposta. Per esempio
Sybel® racconta, a proposito del rapporto tra il Comitato di salute pubblica e gli hebertisti nel 1793:
«Essi {gli hebertisti] erano stati fin
allora in rapporti eccellenti con Robespierre,
perché quest’ultimo si era appoggiato sulle loro forze e aveva perciò assecondato i loro desideri. Ciò che
però li separava fin da allora in modo
irrevocabile era la semplice circostanza che
Robespierre era diventato la guida del supremo potere statale, mentre gli hebertisti erano rimasti in una
posizione subordina- a. Certamente
essa assume, anche da parte sua, parecchi presupposti che rimangono impliciti in tutte le
conoscenze di altro genere da essa
dipendenti. b. Cfr. H. von SyBet,
Geschichte der Revolutionszeit von 1789 bis
1798, Diisseldorf, 1853-79, vol. II, p. 364. GEORG SIMMEL
439 ta». I fatti esterni — Robespierre
asseconda i desideri degli hebertisti;
essi si legano a lui; egli ottiene una posizione domi- nante; essi si distaccano da lui —
costituiscono, in base ai presupposti
psicologici sottostanti, una serie ben comprensibile. E tuttavia tali presupposti non sono affatto
così cogenti e univo- ci come appaiono a
prima vista. Abbastanza spesso accade che,
assecondando i desideri di qualcuno, dimostrandogli favore con le proprie azioni, se ne ottenga la simpatia
e la dedizione pratica; ma accade anche
il contrario. Così si racconta, nelle san-
guinose faide familiari del Trecento, di un nobile ravennate che aveva riunito tutti i suoi nemici in una
casa e che avrebbe potuto senz'altro
sopprimerli; invece di farlo, li lasciò liberi e per di più fece loro ricchi doni: quelli
avrebbero allora agito contro di lui con
raddoppiata violenza e malizia e non avrebbe-
ro avuto pace fino al suo annientamento — e ciò, aggiunge il racconto, perché la vergogna per il beneficio
ricevuto non li avrebbe lasciati in
pace. Anche qui la serie degli avvenimenti
esterni ci è pienamente comprensibile perché integriamo come presupposto psicologico e come elemento di
mediazione appun- to quella depressione
del sentimento di personalità che spesso
trasforma il beneficio ricevuto in un tarlo roditore nel benefica- to, rendendolo nemico del benefattore. Per il
nostro scopo è indifferente il fatto che
nell'esempio precedente siano tramanda-
te testimonianze dirette di partecipanti, che ne esprimano la costituzione psicologica, di modo che lo
storico aveva biso- gno di addurle come
presupposto: infatti non soltanto egli
deve accettare la tradizione immediata in. innumerevoli casi analoghi, in cui viene riferito qualcosa di
puramente esterno, ma l’accetterebbe
anche soltanto se riconosce come possibile sia
l’una sia l’altra costituzione psicologica e può ricostruirla in virtù della propria esperienza connessa.
Inoltre noi comprendia- mo che
l’assunzione di Robespierre a capo del governo compor- tava azioni ostili degli hebertisti contro di
lui, per il solo fatto che ne suscitava
l’odio e la gelosia. Accetteremmo però senz'al-
tro come probabile anche la narrazione del risultato opposto: che cioè il pieno dispiegarsi della potente
personalità di Robe- spierre, la
posizione dominante a cui era pervenuto, avesse
spezzato anche interiormente ogni opposizione di quel partito te)
in quanto esso, sapendo di non poter far nulla contro, avrebbe 440 GEORG SIMMEL voluto almeno mantenere con la docilità e
la subordinazione una qualche
partecipazione al potere — un comportamento che
comprendiamo benissimo, in base alle norme psicologiche pre- supposte se, per esempio, ci viene raccontato
a proposito del senato romano nell’epoca
della dittatura militare. Nell’un caso
ci soddisfa il fatto che il beneficio o il consegui- mento del potere abbia un effetto psichico di
adesione, nell’al- tro che abbia un
effetto di distacco, senza però trovare in esso, come atto esterno, il fondamento di questa
diversità. Piuttosto, sulla costituzione
psicologica che ha deciso tra le due alternati-
ve ci informa soltanto l'avvenimento successivo, che però è comprensibile solo in virtù dell’ipotesi di
quella precedente affe- zione
psichica. Facciamo ancora un secondo
esempio. Knapp* dice, a pro- posito
della situazione agraria russa dopo l’abolizione della ser- virtù della gleba: «I contadini si
impegnarono a fornire al signore
fondiario determinate prestazioni in cambio di un sala- rio. I contadini lo fecero molto mal volentieri,
poiché il muta- mento di base giuridica
non consolava il contadino della conti-
nuità del fatto di lavorare per il signore; e neppure al signore la cosa era di grande aiuto perché la
prestazione dei contadini, ora pattuita
anziché obbligata, veniva effettuata malamente no- nostante che fosse pagata ». La prima
motivazione presuppone come ovvio, o
almeno tale da non richiedere un’ulteriore discus- sione, che la conseguenza di una determinata
situazione sul modo di sentire non muta
finché questa rimane esteriormente la
medesima, anche se è mutato del tutto l'elemento interno che produceva in origine quella conseguenza.
La seconda moti- vazione presenta come
cosa chiarissima il fatto che il conta-
dino su cui non si ha più un potere assoluto, ma con cui bisogna scendere a patti, lavori peggio di
prima. Se i fatti mostrassero che in
Russia i redditi economici sono costantemen-
te aumentati dopo il 1864, motivi psicologici esattamente opposti avrebbero connesso causa ed effetto in modo
non meno plausibi- le; si sarebbe
senz’altro considerato che non già l’agire e-
sterno, ma il fondamento etico e il motivo per cui ciò accade a. G. F. Knapp, Die Bauern-Befreiung und
der Ursprung der Landar- beiter in den
dlteren Theilen Preussens, Leipzig, 1887, p. 82. GEORG SIMMEL 44I sono decisivi riguardo al fatto di lavorare
con piacere e amore oppure con
sentimenti opposti. E riguardo alla coercizione al lavoro contadino, dalla Prussia ci giunge
invece, prima dell’abo- lizione della
servitù della gleba, la lamentela costante che la corvée è il lavoro peggiore, il più
negligente e privo di coscien- ziosità.
Senza voler trarre da esempi di questo genere — che si trovano in ogni parte di qualsiasi opera
storica — uno scetticismo a basso prezzo
e ingiustificato nei confronti dell’interpretazione psicologica in generale, tali differenze di
interpretazione possibi- le devono
renderci attenti al fatto che non si può considerarle come un fattore sempre eguale, e quindi trascurabile.
Piuttosto, la constatazione dell’una o
dell’altra conseguenza, sulla base di un
ulteriore avvenimento esterno, è decisiva per stabilire la costituzione psichica che dominava la
situazione iniziale e per- tanto — come
la direzione di una retta è determinata da due
punti stabiliti — il carattere complessivo dello sviluppo. Ma questi presupposti, e il significato della
scelta tra di essi, rivesto- no una
particolare importanza negli innumerevoli casi in cui le imprese esterne non sono tramandate in modo
scevro di dubbio e univoco, e in cui
l'accertamento e l'ordinamento dipendono
dalla loro probabilità psicologica. Anche nei casi più sicuri, però, non è il «semplice fatto» che decide
dell’intelligibilità della conseguenza,
ma sono i principi psicologici a cui il « sem-
plice fatto » si subordina come premessa minore, per far appari- re l'avvenimento successivo come possibile e
intelligibile. Die- tro le azioni
visibili degli uomini si sottintendono scopi e senti- menti invisibili, che sono necessari per connettere
in modo intelligibile quelle azioni. Se
non potessimo procedere al di là del
materiale storico realmente constatabile, sarebbe in forse la costruzione di un qualsiasi sviluppo, la
possibilità di compren- dere un
qualsiasi elemento singolo in base a un altro. Helm- holtz ha detto una volta che la dimostrazione
della legge causa- le sarebbe assai
debole se dovesse venir derivata dall’esperien-
za; i casi della sua piena dimostrabilità sono rari in rapporto al numero sterminato di quelli che si
sottraggono a una più completa
penetrazione causale. Se ciò vale già per i processi della natura sottostante la vita psichica,
ancora più rara deve diventare la
dimostrazione della causalità in base alla stretta esperienza laddove il complicato e oscuro
elemento dei processi 442 GEORG
SIMMEL cerebrali si inserisce tra i
processi visibili dei quali si indaga il
legame causale. È chiaro che avremmo una prospettiva comple- ta se penetrassimo fino in fondo le influenze
e le trasposizoni esterne e corporee che
hanno luogo tra i singoli atti di una
personalità storica, e conoscessimo inoltre il valore psichico di ogni processo cerebrale presente in questa
serie. Questo è però un ideale
irraggiungibile; cosicché noi ci aiutiamo almeno inse- rendo dei processi psichici dietro e tra i
processi esterni. Qui l'elemento
ipotetico, che esige una particolare considerazione metodologica, non è tanto l’ipotesi di un
elemento psichico in generale, che
risieda inafferrabile dietro i fenomeni, quanto il contenuto specifico dei processi di coscienza
supposti. Certamen- te anche tale
elemento — per quanto possa sembrare straordina- rio considerarlo ancora come ipotesi — non è
affatto un fonda- mento così semplice e
indiscutibile della narrazione storica; e
non lo è perché il rapporto tra processi coscienti e processi inconsci in noi è assai incerto. In
particolare, quando si tratta di
movimenti di interi gruppi che possiamo spiegare anche soltanto in base a posizioni di scopo e a
impulsi sentiti, sono spesso
determinanti processi organici che non hanno alcun aspetto di coscienza. Tanto qui quanto negli
individui singoli moltissimo di ciò che,
per la sua conformità formale a uno
scopo, viene ricondotto a cause interne alla coscienza accade per suggestione, o per un meccanismo motorio
ormai fissato da cui sono da lungo tempo
esclusi gli elementi coscienti, o per
uno stimolo inconsapevole. Come la formazione conforme a scopi dell'essere vivente induce gli spiriti
che riflettono ad am- metterne una causa
intelligente, perché si è abituati a considera-
re la conformità a scopi soltanto come conseguenza di una volontà cosciente e pensante, così noi ci
rappresentiamo — com- piendo lo stesso
errore — le più svariate azioni umane come
effetti di una posizione cosciente di scopi, anche se procedono da tendenze del tutto meccaniche e da
necessità inconscie. Se i movimenti dei
nostri organi interni, il lavoro del cuore, i pro- cessi di digestione, avvengono nel modo più
utile per il conse- guimento degli scopi
vitali, e senza che ne abbiamo affatto
coscienza, lo stesso sviluppo che ha regolato questi processi poteva ben ordinare anche i nostri processi
cerebrali in modo tale da promuovere la
vita senza bisogno di una coscienza.
GEORG SIMMEL 443 Anche se si
affermasse che la scienza storica deve descrivere soltanto la storia dei processi coscienti,
tuttavia i processi incon- sci si
inseriscono in modo così vario tra quelli coscienti e ne costituiscono così diffusamente il substrato
che senza il ricorso ad essi non si può
conseguire una spiegazione sufficiente dell’e-
lemento cosciente; e questa spiegazione fallisce necessariamen- te se alla base di ogni azione visibile si
vogliono porre idee chiare e una
cosciente conformità a scopi. Stabilire se dietro l’azione stia un processo psichico cosciente
esprimibile con paro- le — e una
risposta positiva costituisce il presupposto di ogni narrazione storica — è una questione
particolarmente difficile nel caso di
quei processi che devono realmente a una coscienza la conformità della loro forma a uno scopo e
l’impulso alla loro realizzazione in
determinate situazioni, ma che in seguito
l'hanno perduta poiché l’azione si è gradualmente trasformata in un’azione meramente riflessa e istintiva.
Se per esempio la conformità a scopi e
la necessità hanno indotto un gruppo a
guerre ripetute, da ciò può svilupparsi una tendenza bellica, e dinanzi alle sue successive manifestazioni
sarebbe vano cercarne la ragion
sufficiente nella coscienza di chi agisce. Oppure, la sottomissione e la servilità di un ceto
rispetto a un altro posso- no essere
sorte da cause del tutto coscienti; se però queste sono durate un lungo periodo, non si può più
interrogare la coscien- za degli
individui per averne informazioni sullo scopo del parti- colare comportamento in questione: per quanto
uno scopo pos- sa essere ancora sempre
presente, la coscienza di esso è in ogni
caso tramontata e l’azione se ne presenta priva. È però evidente che l’azione comparirà facilmente anche
quando lo scopo non sussiste più, e un
qualsiasi impulso esterno o abitudine interna
produce uno stimolo formalmente affine a cui l’azione risponde in modo riflesso. È perciò ben chiaro a base
di quali errori stia il presupposto
ingenuo che cerca senz'altro in processi psichici coscienti la connessione significativa tra le
azioni dei singoli o dei gruppi,
facendole scaturire dal carattere teleologico di quei processi.
Del resto la scienza storica lavora di fatto anche in base al presupposto di un inconscio parziale o
totale. Sentiamo parlare dalla tendenza
di parecchie stirpi a impadronirsi irresistibilmen- te di ciò che sta intorno e a spostare in
avanti senza sosta, 444 GEORG
SIMMEL come spinte da un impulso di
crescita fisica, i loro confini; si
parla dell’oscura spinta dei popoli tedeschi verso l’Italia come dell’istinto dell’uccello migratore, che
impulsi del tutto incon- sci spingono a
seguire determinate direttrici del cielo; d'altro lato si parla dell'immobilità e dell’indolenza
di alcune stir- pi, le quali certamente
spesso non pervengono alla coscienza del
singolo ma determinano il suo comportamento come una forza naturale, mentre egli crede di essere
attivo e capace di reazione. Occorre
infine ricordare quelle formazioni oggettive
che fondano propriamente — come un possesso collettivo spiri- tuale — la società: il diritto e il costume,
il linguaggio e il modo di pensare, il
culto e la forma di commercio. Certamen-
te, tutto ciò non sarebbe mai sorto senza l’attività cosciente degli individui; ma questa non si è quasi mai
orientata verso la formazione che alla
fine ne risulta come se costituisse il suo
scopo. Ciascuno lavora piuttosto alla propria parte, mentre la totalità di cui è parte si sottrae al suo
sguardo; il confluire dei contributi, il
costituirsi della forma sociale che questo materiale individuale assume non rientra più nella
coscienza del singolo lavoratore. Nella
coesistenza con gli altri egli cerca l’espressio- ne più adeguata per la sua inclinazione e per
il suo ritegno, per la sua indifferenza
e per il suo interesse, scoprendo in tal modo
certe parti delle forme di rapporto speciale; il suo bisogno religioso lo spinge a parole e ad azioni in
cui crede di trovare i ponti più sicuri
verso il principio divino, e in questo modo
costruisce l’edificio del culto; mediante certe regole di pruden- za cerca di proteggersi dalle soperchierie
nella conduzione de- gli affari, e così
fonda le usanze commerciali comuni. Di ogni
azione mossa dall’interesse particolare che non abbia carattere distruttivo, di qualsiasi relazione tra
uomini rimane — quasi come caput mortuum
— un contributo alla formazione dello
spirito pubblico, dopo che i suoi effetti sono stati distillati attraverso mille sottili canali sottratti
alla coscienza dell’indivi- duo, Ciò
vale particolarmente per il tessuto della vita sociale: nessun tessitore sa che cosa sta tessendo.
Tuttavia le formazio- no sociali
superiori possono sorgere soltanto tra esseri che pos- seggano una coscienza degli scopi; ma essc
sorgono, per così dire, accanto alla
coscienza degli scopi propria degli individui,
in virtù di un processo formativo che non ha luogo in essa — e GEORG SIMMEL 445 ciò già per il fatto che per ottenere
quell’effetto sociale è richie- sta la
conformità e la contemporaneità di innumerevoli azioni di altri, che l'individuo può prevedere
soltanto in casi raris- simi. In breve,
dietro le manifestazioni storiche visibili non si può ipotizzare come loro funzione costante
una piena coscien- za, al fine di
interpretarle e di collegarle; ma sebbene una tale coscienza debba costituire nel complesso il
presupposto dello storico, egli lo
sospende abbastanza spesso. Una filosofia della
storia dovrebbe stabilire in quali casi Io storico — guidato
dall’i- stinto o dalla riflessione —
astrae dalla conformità cosciente a
scopi nelle azioni umane. Essa dovrebbe cioè indagare quando dobbiamo porre a base della spiegazione
dell’accadere una vo- lontà e un
pensiero cosciente, e quando siamo soliti rinunciare a tale ipotesi. Il compito specifico non
consisterà qui nel deter- minare per la
storiografia leggi pratiche in merito alla giustifi- cazione di questa o quell’ipotesi. Ciò
sarebbe possibile soltanto alla
psicologia. La teoria della conoscenza dovrebbe piuttosto soltanto stabilire in quali casi al nostro
bisogno di spiegazione basta l’una e in
quali l’altra ipotesi. Le rappresentazioni stori- che — non come devono essere, ma come esse
sono realmente — dovrebbero venir analizzate
in base ai princìpi secondo cui, anche
inconsciamente, decidono sull’ipotesi di una coscienza o di un’inconsapevolezza sottostante alle
azioni fisiche. Presupponendo questa
coscienza, passiamo ora a ipotizzare i
suoi contenuti. Anzitutto, anche a questo proposito si tratta di un presupposto molto generale. Che tali
elementi psicologici di connessione che
lo storico aggiunge agli avvenimenti siano veri
oggettivamente, cioè valgano a indicare realmente gli atti di coscienza delle persone che agiscono, non
avrebbe alcun interes- se per noi se non
comprendessimo questi processi in base ai
loro contenuti e al loro corso. Se ciò non avvenisse, quella interpretazione corretta potrebbe essere
ottenuta con qualsiasi mezzo — come per
esempio quando essa non ha bisogno della
ricostruzione psicologica da parte dello storico, ma è in appa- renza immediatamente data dalle
manifestazioni e dalle confes- sioni
delle singole personalità; tuttavia non potremmo conce- dere ad essa il carattere di verità. Che cosa
significa allora questo comprendere, e
quali sono le sue condizioni? La prima
condizione consiste chiaramente nel fatto che quegli atti di 446 GEORG SIMMEL coscienza vengono riprodotti in noi, cioè
che possiamo (come si dice) «
trasferirci nell'anima delle persone ». Comprendere una proposizione significa che i processi
psichici di colui che parla, consegnati
nelle parole, vengono da queste appunto stimolati nell’ascoltatore; non appena si ha una
differenza essenziale tra le rappresentazioni
di due persone, la parola che va dall’una
all'altra viene fraintesa o non è compresa. Una riproduzione diretta di questo genere ha luogo ed è
sufficiente soltanto dove si tratti di
contenuti teoretici di pensiero, per i quali non è essenziale che essi abbiano il loro punto di
partenza nelle rap- presentazioni
proprio di questo individuo. Nelle conoscenze og- gettive o logiche io mi rapporto all’oggetto
del conoscere nell’i- dentico modo di
colui di cui « comprendo » le rappresentazio-
ni; egli me ne comunica soltanto il contenuto e dopo di ciò viene di nuovo, per così dire, escluso. Da
allora il contenuto è presente
parallelamente nel mio pensiero e nel suo, senza dover subire trasposizioni o modificazioni per il
fatto di avere in questo la propria
origine. Questo rapporto già si
modifica in qualche maniera laddove si
tratta non di un semplice processo teoretico di idee, che ci si può rappresentare come rispecchiamento del
comportamento og- gettivo dello cose
(che si offre a tutti nella stessa misura) nelle forme logiche, ma è in questione la
comprensione di processi soggettivi. Noi
pretendiamo tuttavia di comprendere ogni spe-
cie e ogni grado di amore e di odio, di coraggio e di disperazio- ne, di volontà e di sentire, senza che le
manifestazioni in base a cui
comprendiamo tali affetti ci pongano nella stessa parziali- tà ad essi propria. Tuttavia quel processo
psichico che chiamia- mo comprensione
può consistere solamente in una trasformazio-
ne psicologica, in una condensazione o anche in un rispecchia- mento sbiadito di quegli affetti: in tale
processo deve in qual- che modo-esserci
il loro contenuto. Se sopra abbiamo indicato
come compito della storia quello di conoscere non soltanto ciò che è conosciuto, ma anche ciò che è voluto e
sentito, questo compito può essere
risolto solamente in quanto esiste qualche
specie di trasposizione psichica per partecipare al voluto e al sentito. Infatti quell’essere sentito reale,
che ha avuto luogo in qualche momento
del passato, non costituirebbe altrimenti la
condizione sotto la quale avviene ciò che chiamiamo compren- GEORG SIMMEL 447 sione. Chi non ha mai amato non comprenderà
mai colui che ama, il debole non
comprenderà mai l’eroe, né il collerico
comprenderà il flemmatico; e viceversa la nostra comprensione dei movimenti, dei tratti del volto e delle
azioni altrui si esprime tanto più
facilmente quanto più sovente abbiamo noi
stessi sentito gli affetti di cui costituiscono il simbolo; si
espri- me anzi più o meno facilmente
nella misura in cui la nostra situazione
interiore del momento ci dispone a sensazioni analo- ghe o a sensazioni distanti, agevolando o
rendendo difficile la riproduzione
psicologica. La ripetizione degli atti di coscienza che si compiono nell’altro individuo è quindi
presente in qual- che forma — della cui
origine non possiamo ancora farci un
quadro positivo — nella comprensione dei propri, ed è indi- spensabile a questo scopo. La trasformazione che diventa così
necessaria mostra ora un approfondimento
significativo se, più che al contenuto della
comprensione, si guarda al fatto che si tratta del processo di rappresentazione di un altro, di un
non-io, che è appunto un non-io.
Certamente, nel caso di oggetti umani si pongono in dubbio le conseguenze gnoseologiche della
convinzione che gli oggetti conoscitivi
non ci sono dati nel loro in sé, ma
soltanto come rappresentazione. La storia — si potrebbe dire — ci è accessibile in un modo completamente
diverso dalla natura. La distinzione tra
io e non-io avrebbe un senso completamente
diverso se entrambi i termini fossero anime; infatti essi sarebbe- ro differenti soltanto dal punto di vista
numerico, e non in linea generale, e se
nessuno spirito può penetrare all’interno della
natura, potrebbe però penetrare all’interno di un altro spirito che esso rispecchierebbe in sé in modo del
tutto adeguato. Con un pilastro così
esile non è quindi ancora possibile gettare un
ponte sull’abisso tra io e non-io. Anzitutto, la loro identità generale non elimina la necessità di
esteriorizzazioni, di traspo- sizioni e
di simbolizzazioni di ogni sorta che servano a mediar- li. Un rispecchiamento immediato, una comprensione
immedia- ta derivante dall’identità di
natura sarebbe una lettura del pen-
siero e telepatia,oppure presupporrebbe un'armonia prestabilita non meno mirabile di quella leibniziana.
Piuttosto, la stessa cono- scenza di un
processo spirituale costituisce, da parte sua, un processo che può venire soltanto stimolato e
dev'essere compiu- 448 GEORG
SIMMEL to dal soggetto. Ma ciò
trasformerebbe alla fine il parallelismo
di fatto da un rapporto diretto in un rapporto indiretto; in definitiva, nonostante tutte le inevitabili
complicazioni, un pro- cesso psichico
potrebbe rispecchiarsi in un’altra anima con la
medesima precisione con cui le parole affidate a un apparecchio telegrafico si riproducono in quello della
stazione ricevente, anche se ciò che sta
nel mezzo e che fa da tramite sono
processi completamenti eterogenei. Ma la difficoltà più profon- da consiste nel fatto che i processi così
prodotti in me, nel medesimo tempo non
sono i miei: io li penso come storici,
anche se li rappresento ed essi sono quindi mie rappresentazio- ni come processi (e rappresentazioni) di un
altro. E neppure basta, se vogliamo
conoscere un altro, che ripro- duciamo
in noi stessi i suoi processi psichici e aggiungiamo: non sono io, è lui a sentire così! In primo
luogo, infatti, secondo questo
presupposto io sento effettivamente così, e quel- l'aggiunta non può essere i forma di
supplemento al contenu- to, di modo che
entrambi rimangano reciprocamente isolati,
ma deve penetrare quel contenuto, accompagnarlo immediata- mente come suo esponente. Questo sentire ciò
che propriamen- te non sento, questo
riprodurre una soggettività che è però
possibile, ancora una volta, soltanto in una soggettività che si contrappone oggettivamente a quella — ecco
l'enigma del cono- scere storico, per la
cui comprensione le nostre categorie logi-
che e psicologiche sono chiaramente strumenti ancora troppo grossolani. In questo conoscere sono
certamente presenti en- trambi gli
elementi — vale a dire il compimento da parte
propria dell’atto in questione e la coscienza che è accaduto in altri; ma questa è soltanto una scomposizione
successiva in elementi di cui il
processo della conoscenza storica non mostra
coscienza alcuna. Qui non si tratta tanto di una scomposizione successiva di elementi che preesistevano
separati, così come nel- l'intuizione
del mondo esterno la sensazione e l'intuizione spa- ziale non esistono separatamente per poi
riunificarsi in quella. La proiezione di
un rappresentare e di un sentire sulla persona-
lità storica è un atto unitario, la cui condizione preliminare è che io abbia provato nella mia vita
soggettiva i processi psichici in
questione. Ma poiché vengono ora riprodotti come rappresen- tazioni di un altro, essi subiscono una
trasformazione psichica GEORG SIMMEL
449 che li distacca dall’esperienza
soggettiva della personalità cono-
scente così come vengono distaccati da quella della personalità conosciuta. Anche se queste ultime due
coincidono in linea generale, anche se
amore e odio, pensiero e volontà, piacere e
dolore sono — come avvenimenti personali nell'anima del sog- getto conoscente — esattamente i medesimi che
hanno avuto luogo nell’anima
dell’oggetto conosciuto, non già la cono-
scenza storica, bensì quel processo di rappresentazione trasfor- mato dalla proiezione su un altro,
costituisce questa identità immediata.
Una cosa del tutto analoga avviene nel rapporto tra pensiero e materia: se il substrato
trascendente dell'anima e quello del
mondo esterno fossero realmente identici, ciò non comporterebbe ancora che le rappresentazioni
che l’anima si fa del mondo esterno
siano effettivamente identiche a quelle che
formerebbe l’in sé del mondo o un suo immediato rispecchia- mento. La conoscenza del mondo rimarrebbe
sempre nelle for- me di esperienza ad
essa proprie, indipendentemente dall’iden-
tità dei substrati che la delimitano da entrambe le parti, anche se quest’identità istituisce forse la
possibilità del rappresentare in
generale. In esatta analogia, l’identità psicologica tra cono- scente e conosciuto è sì il fondamento,
nell’ambito storico, della possibilità
di conoscenza in generale, ma di per sé non significa ancora che la rappresentazione proiettata
fuori del soggetto pos- segga
un'identità di contenuto con i processi soggettivi presen- ti nella personalità storica. Non seguirò qui oltre questa metamorfosi, la
quale procede col contenuto psichico
primario in quanto questo è reso oggettivo
e con esso sì conosce un’altra personalità: piuttosto, assumendola come presupposto, metterò l’accento
sull'identità psicologica di contenuto
tra il soggetto e l'oggetto del conoscere storico che questo esige. Se si potessero comprendere i
processi storici sem- plicemente
subordinando gli atti psichici i quali si distanziano troppo da quelli che si compiono nell'anima
dell’osservatore, di fatto non li si
comprenderebbe e la loro descrizione susciterebbe nella nostra anima tanto poca reazione quanto
un discorso fatto in una lingua a noi
sconosciuta. In primo luogo, quindi, lo
storico presuppone che la sua anima possa istituire in sé gli stati psichici dei suoi personaggi, cioè che
una qualche analo- gia, per quanto
remota, delle loro azioni accertate con le proprie 29. STORICISMO TEDESCO. 450 GEORG SIMMEL azioni permetta di concludere che lo sfondo
di coscienza, che le stesse azioni hanno
o avrebbero in lui, sia presente anche in
quelli. Quando Ranke esprime il desiderio di dissolvere il pro- prio io per vedere le cose così come sono
state in sé, il compi- mento di tale
desiderio eliminerebbe proprio il risultato che ci si aspetta. Una volta dissoltosi l’io, non
rimarrebbe nulla con cui cogliere il
non-io. L’intromissione dell’io non è un’imperfe- zione della quale un tipo ideale di
conoscenza possa fare a meno; questa può
eliminare soltanto certi aspetti dell'io, ma
voler dissolvere l'io in generale è una contraddizione logica non soltanto perché esso costituisce, alla
fine, il sostegno di ogni rappresentare
in generale — infatti anche Ranke aveva
limitato a questo la sua manifestazione — ma anche perché i suoi contenuti specifici sono punti di
passaggio indispensabili di qualsiasi
comprensione di altri individui. Questa partecipa- zione simpatetica alle motivazioni delle
persone, al complesso e ai singoli
aspetti del loro essere, del quale vengono tramandate soltanto espressioni frammentarie, questo
processo di trasposi- zione in tutta la
molteplicità di un enorme sistema di forze,
ognuna delle quali viene compresa soltanto perché la si rispec- chia in sé — questo è il senso vero e proprio
della pretesa che lo storico sia e debba
essere artista. La concezione comune
secondo la quale questa pretesa sarebbe giustificata solamente una volta che si sia conclusa la ricerca dei
fatti, e limitata- mente all’esposizione
per il lettore, è del tutto errata; infatti
anche il fisico, il filologo, il giurista, in breve ogni studioso
che scriva per gli altri, in particolare
per cerchie più vaste, dev’esse- re
artista nell'esposizione. Ma già per il fatto che lo storico interpreta, elabora, ordina i fatti in modo
che producano l’im- magine coerente di
un processo psicologico, la sua attività si
avvicina a quella poetica, e ne risulta distinta soltanto di gra- do, per la libertà che quest’ultima possiede
nell’organizzione del suo materiale. Una
volta che il poeta si è deciso per un
determinato carattere, una volta che ha spinto i rapporti tra i suoi personaggi in una determinata direzione,
anch'egli non è più libero, e tutto ciò
che fa accadere si discosta soltanto in
misura limitata dall’esperienza psicologica media su uomini e casi analoghi. Se il processo poetico che,
muovendo dalla libe- ra invenzione, deve
legarne la successiva organizzazione nell’o-
GEORG SIMMEL 451 pera d’arte
definitiva alle leggi conosciute dell’accadere ha per motto «siamo liberi al primo momento, nel
secondo siamo schiavi», la ricerca
storica si limita a rovesciarlo. Nel primo
momento, cioè rispetto al materiale di fatti con cui ha inizio il suo lavoro, essa è vincolata; invece è libera
nell’elaborazione di tale materiale in
una totalità del corso storico, cioè è lasciata
al funzionamento di categorie soggettive e al processo formati- vo nell’anima dello storico. Ciò che
Schopenhauer spiega a proposito
dell’essenza dell’attività estetica — che cioè l’intellet- to si spoglia della preoccupazione del
proprio io per trasferirsi completamente
nell’oggetto da cui non lo separa più nessuna
duplicità di essenza, ma che anzi si rispecchia senza residuo in esso, cosicché in questo attimo non è affatto
altro da quest’og- getto — rappresenta
di fatto, prescindendo dal rivestimento metafisico,
l'elemento decisivo anche per lo storico, anzi per chiunque acquista una qualsiasi conoscenza
storica. Ogni ripro- duzione e ogni
comprensione di un oggetto psicologico signifi-
ca che il soggetto comprendente percorre in sé il processo psi- chico nella cui conoscenza si immerge e che
esso è realmente — nella misura in cui
l’io consiste nel suo processo di rappre-
sentazione — in questo attimo *.
a. Per lo storico la difficoltà particolare consiste nel fatto che egli
può ricavare l'immagine complessiva di
una personalità soltanto dalle sue ma-
nifestazioni specifiche, ma d'altro lato può interpretare e raggruppare
cor- rettamente questi elementi soltanto
in base all'immagine complessiva della
personalità che sta a loro fondamento. Questo circolo logico viene, al
pari di molti altri simili, risolto
nella prassi in quanto gli elementi che si pre-
suppongono a vicenda si sviluppano in un’azione reciproca e
gradualmen- te. La conoscenza
assolutamente corretta del carattere e della tendenza com- plessiva di una persona potrebbe naturalmente
essere ottenuta soltanto sul- la base di
un’interpretazione assolutamente corretta delle sue espressioni, e viceversa; se quindi occorresse
l’incondizionata correttezza e completezza
di entrambe le conoscenze, non si potrebbe pervenire a nessuna delle
due. Soltanto perché sia l’una sia
l’altra sono ottenute pezzo per pezzo, in quan-
to in entrambe si ha un incremento graduale che dalla congettura e
dall'as- sunzione ipotetica conduce fino
alla certezza, ognuna delle due parti serve
all’altra come punto saldamente accertato per la determinazione di un
ana- logo punto dall’altra parte, la cui
connessione con punti successivi con-
ferma ulteriormente il primo. Da qualche parte si deve cominciare in
mo- do dogmatico o ipotetico, e soltanto
l'attendibilità delle indagini successive
che da esso procedono può decidere sulla verità del fondamento;
nell’ele- 452 GEORG SIMMEL Per quanto riguarda la questione generale
attinente alla teo- ria della
conoscenza, non è che lo storico colga le personalità storiche perché è identico ad esse — infatti
questo è appunto da stabilire — ma
presuppone la propria identità con esse per-
ché vuole coglierle e non può farlo altrimenti. Si ha qui lo stesso rapporto che Kant aveva affermato a
proposito della co- noscenza della
natura: noi non conosciamo la realtà perché il
pensiero e l’essere coincidono, ma essi coincidono perché noi conosciamo la realtà, ossia perché il nostro
intelletto introduce la sue forme
conoscitive nell’essere, perché lo elabora come sua rappresentazione secondo le leggi di cui ha
bisogno in vista dell'esperienza. Lo
storico respinge come improbabili o non
vere le azioni tramandate quando esse fanno riferimento a una base psichica che gli sembra insostenibile
nel suo processo .di penetrazione dello
stato psicologico della persona altrimenti
presupposto, e che quindi urta contro la logica dei fatti psicolo- gici. Nel caso di un’improbabilità esteriore,
fisica, la differenza rispetto al
rifiuto della tradizione è chiaramente soltanto gra- duale, ed esiste soltanto nella misura in cui
le leggi fisiche della natura sono da
noi conosciute in modo più certo delle
leggi psichiche. A proposito di
questa riproduzione degli avvenimenti psichi-
ci da parte dello storico occorre considerare due aspetti: in primo luogo le forze naturali e le categorie
presenti nella sua mento spirituale
non solo il fondamento sorregge l'edificio, ma anche l’e- dificio sorregge il fondamento. Il rapporto
della totalità con il particolare, che
ovunque presenta alla metodica del conoscere gli enigmi più ardui, mostra le proprie difficoltà anche dove si
tratta della totalità e della sin- golarità
di un individuo. La medesima difficoltà conoscitiva si presenta in riferimento all'essenza e alla tendenza di
interi popoli e gruppi, di interi
periodi di tempo, oltre che di avvenimenti particolari. Uno dei compiti
più sottili della-teoria della
conoscenza sarebbe quello di elevare alla coscien- za, e di indicare nel caso singolo, il modo
effettivo di questa reciprocità — come
la nostra interpretazione storica consideri gli elementi particolari che sono ambigui, se non privi di senso senza un’immagine
del tutto; quali siano i mutamenti
tipici a cui la tendenza generale, assunta a titolo di pro- va, porta nell’apprendimento degli elementi
particolari; se le conoscenze orientate
verso il particolare e verso la totalità siano collocate in modo stratificato l'una sull’altra; in quale
rapporto questi strati si estendano quan-
to più s'innalza l’edificio complessivo, e così via. GEORG SIMMEL 453 anima, il cui campo di validità delimita
l'ambito di ciò che può in generale
essere intelligibile e penetrato simpateticamente mediante la sua coscienza; in secondo luogo
le esperienze di fatto che dànno
contenuto a queste facoltà e a queste forme,
indicando alla coscienza quali, tra le sensazioni e le idee che sono in generale possibili alla sua anima,
vengono realizzate nel mondo animato che
lo circonda. La critica della conoscenza
deve distinguere per bene i due momenti. Lo storico può infatti respingere alcuni avvenimenti come
impossibili e ordinarne al- tri soltanto
in un determinato modo, perché i processi psichici che dovrebbe altrimenti stabilire non gli
sono intelligibili, cioè non possono
essere compiuti da lui stesso. Qui come altro-
ve non si tratterà ovviamente di idee o di impulsi particolari dei personaggi storici, bensì della
connessione tra di loro, del comparire
di un’idea o di un impulso a condizione che ne
siano già stati accolti altri. D'altro lato egli potrà sì seguire interiormente tali avvenimenti psichici e
determinate combina- zioni tra di essi,
che la tradizione sembra offrire, ma dovrà
modificarli perché la sua esperienza della vita gli mostra che è possibile riprodurli nella fantasia, ma che
non si presentano nella realtà. Qui Ia
filosofia della ricerca storica trova i suoi
oggetti di ricerca nelle influenze a cui sono sottoposte da en- trambi i lati le immagini storiche, e che
vengono di solito osservate almeno nei
casi in cui superano troppo la misura
media della soggettività. Le differenze che devono essere istitui- te non soltanto nella rappresentazione
storica, ma anche nella determinazione,
per esempio, del corso della vita di Cesare o di Gregorio VII o di Mirabeau, a seconda che la
natura dello storico sia grande o
limitata, risultano evidenti; lo stesso vale
per quelle che derivano dall'ambito di esperienza dello storico — se cioè egli ha formato la sua intuizione
della vita in base a ristretti rapporti
piccolo- borghesi o nel grande commercio mon-
diale, se in una comunità politicamente sottomessa o in una comunità libera. In sostanza già lo sappiamo,
perché possiamo immaginarcelo anche
senza una particolare considerazione, e
perché vi sono alcuni esempi flagranti che impediscono di tra- scurare questo fatto. Ma la conoscenza
scientifica richiede inda- gini sul
numero più grande possibile di casi, anche proprio su quelli in cui la soggettività sembra ritrarsi
del tutto — inda- 454 GEORG
SIMMEL gini che avrebbero bisogno di
quella fine capacità investigativa che
ha prodotto risultati così splendidi soprattutto nella filolo- gia classica. Certamente, pregiudizi e toni soggettivi
sono sempre correg- gibili nel caso
particolare. Nel momento stesso in cui si pongo- no in luce e se ne mostra l’origine
psicologica, si può anche prescindere da
essi. Ma con ciò si dimentica di solito che,
anche dopo aver rifiutato questa scorza, non rimane soltanto oro puro, che la nuova conoscenza è sì libera
da questo determi- nato presupposto
soggettivo, ma non da ogni presupposto in
generale. Si corregge una data concezione, ma la si corregge solo introducendone un’altra. Non soltanto i
presupposti del conoscere in generale,
dell’intellectus ipse nelle sue forme più
generali, devono essere accettati da ogni contenuto empirico particolare, poiché a volerne prescindere
nell'interesse di una verità puramente
oggettiva non si potrebbe più rappresentare
nulla; ma queste forme universalmente date esistono di nuovo solo negli spiriti particolari, e quindi
nella loro tonalità e modi- ficazione
individuale, di modo che questo spirito individuale costituisce in certa misura, nella sua
tendenza complessiva e nella sua
disposizione caratteriologica, l’a priori per l’a priori generale nella sua momentanea realizzazione.
Comunque ci rappresentiamo
sistematicamente quelle forme universali, esse
hanno soltanto il significato di concetti generali che non si ritrovano tal quali nella realtà — e qui
nella realtà del conosce- re — ma che
compaiono sempre e solo con una differenza
specifica, che si può certo mettere da parte, ma soltanto se se ne pone al suo posto un’altra. Ciò che
concepiamo come unità e sviluppo del
carattere, come coerenza tra scopo e mezzi, come causazione psicologica, si presenta a ogni
uomo che opera con il loro aiuto non in
una forma astratta ma in forma personale,
esercitando i suoi effetti sul materiale storico non come catego- ria logica — questo sarebbe l’ideale
irraggiungibile del conosce- re — ma
come forza psicologica, sostenuta dalla personalità con il complesso delle sue esperienze, dei
suoi istinti, dei suoi sentimenti. Come
nessun uomo è uomo in generale, né consiste
soltanto delle proprietà comuni a tutti gli uomini, così il cono- scere non è mai un conoscere in generale, né
consiste soltanto dell’esercizio delle
forme @ priori universali del pensiero. Si
GEORG SIMMEL 455 può certo
costruire l'uomo in generale in modo astratto e sot- traendo tutte le differenze specifiche, ma
non appena si vuol avere un uomo reale
occorre nuovamente aggiungere qualcosa
di specifico e di individuale — anzi, soltanto nell’ambito di questo lo si può rappresentare
intuitivamente; ed esattamente lo stesso
avviene con le forme 4 priori del pensiero e con la loro conferma pratica *. Nell’organizzazione del materiale storico in
base alle espe- rienze interne ed
esterne dello storico agisce certamente una
grandezza incommensurabile che ne rende assai difficile l’anali- si gnoseologica. Noi possiamo, nonostante
tutto, ricostruire ne- gli altri — e con
la sicura sensazione della loro piena esattezza
— processi psichici che non abbiamo provato né in noi né in altri. È molto facile spiegare tutto questo
come una semplice trasformazione di
esperienze reali. In primo luogo, infatti, il
a. Qui si tratta di un 2 priori singolare, e il cui carattere specifico
non è di facile comprensione. Se
ammettiamo l’a priori nella teoria della cono-
scenza, pensiamo a rappresentazioni determinate nel contenuto e da
stabi- lire concettualmente, che si
possano poi indicare in modo sempre eguale
nell'esperienza conclusa; cosicché l'universalità e necessità dell’4
priori ne costituisce la caratteristica
essenziale. Qui si tratta però di un « priori il cui contenuto non è universale ma
individuale, e in cui non c’è nulla di
universale e necessario se non il fatto che questa posizione della
conoscen- za viene riempita e
determinata da qualche 4 priori, mentre rimane com- pletamente indeterminato e accidentale quale
degli infiniti compimenti pos- sibili
debba avere nel caso presente. La questione così importante per la critica kantiana, se cioè l’4 priori del
conoscere possa esso stesso venir co-
nosciuto 4 priori, trova in questo caso una soluzione in quanto resta
ferma la sua generale necessità 4 priori
— cioè la conoscenza che le categorie lo-
giche agiscono soltanto nella tonalità di un’intera individualità — ma
il contenuto specifico di questo 4
priori dell'a priori è del tutto variabile e può essere costruito solo caso per caso. Che la
conoscenza storico-psicologica accordi
all’4 priori dell’individualità un'influenza molto maggiore della co- noscenza della natura esterna, dipende dal
fatto che sulle categorie dell’or- dine
e della valutazione (su cui esso manifesta la sua influenza) non si può raggiungere, per motivi facilmente
spiegabili, un accordo così largo come
quello che si ha in riferimento alle categorie relative al mondo ester- no. Nel caso di quest'ultime l'individualità
non si rileva nella tonalità del- le
categorie logiche perché in tale direzione si hanno soltanto differenze individuali evanescenti, anche se ben nette
per i grandi periodi culturali.
L'elemento logico e l'elemento psicologico possono qui concrescere in
una unità che non vi sarebbe ragione di
scindere. 456 GEORG SIMMEL confine tra forma e materia potrebbe, in
questa prospettiva, essere assai
arbitrario e significare più una denominazione ag- giunta dall’esterno che non una distinzione
oggettiva — pre- scindendo del tutto dal
fatto che la formazione spontanea del-
la forma, oppure della materia, non sostituirebbe per noi un enigma minore; inoltre rimarrebbe ancora da
spiegare perché una forma in cui
rechiamo dall’interno il contenuto empirico
dato per altra via possegga appunto quella sicurezza soggetti- va della sua possibilità e della sua realtà,
mentre altre, che sono altrettanto
possibili per la nostra fantasia e che non manca- no, al pari di quella, di una conferma
empirica, non comporta- no una tale
sensazione. Il talento più appariscente e imprevedi- bile sotto questo aspetto viene di solito
designato come geniali- tà: il genio
sembra creare da sé le conoscenze che l’uomo non geniale può ricavare soltanto
dall'esperienza. In base agli stimo- li
più tenui si presenta nel genio un’immagine intimamente coerente e convincente di processi
spirituali, di connessioni di idee e di
passioni di personaggi storici, della cui mentalità non esistono più esempi da gran tempo; accostando
gli elementi più disparati e
interpretando quelli più straordinari, la sua fan- tasia domina un materiale che non può avergli
messo a disposi- zione la sua
esperienza. Accontentarsi di una completa inespli- cabilità di questa genialità
storico-psicologica è quindi partico- larmente
pericoloso, perché la questione non riguarda soltanto pochi grandi geni, ma tra questi e l’uomo
comune vi sono innumerevoli
manifestazioni intermedie, anzi proprio quest’ul- timi mostrano abbastanza spesso le premesse
occasionali della riproduzione geniale,
apparentemente sovra-empirica, di proces-
si psichici ad essi altrimenti estranei. Questo fatto ci tocca tanto più da vicino, in quanto il genio
storico può, a sua volta, soltanto
affidare le sue deduzioni a parole le quali possono stimolare e agevolare negli altri i processi
che rivestono interes- se per lui, ma le
quali devono in definitiva lasciarne a loro il
compimento. Per non dover considerare del tutto come un mi- racolo questo grande campo della comprensione
di processi psichici che non sono
oggetto della propria esperienza, possia-
mo interpretarla come un processo in cui diventano coscienti certe disposizioni ereditarie latenti. Le
generazioni precedenti hanno lasciato in
eredità alle successive, in una forma qualsiasi, GEORG SIMMEL 457 le modificazioni organiche connesse in modo
non ancora spiega- to ai loro processi
psichici; la smisurata ricchezza, la pic-
colezza e la reciprocità delle singole parti di questa eredi- tà non pervengono però in generale a una
chiara coscienza. Ora, noi chiamiamo
genio un uomo in cui questo insieme dato
è ordinato in modo così favorevole che la sua riproduzione ha luogo facilmente, in base a stimoli minimi, e
perviene in misura sufficiente a una
chiara coscienza. In lui si compiono processi
psichici quanto mai lontani dalla sua esperienza individuale, perché essi sono immagazzinati nel suo
organismo come ricordi della specie ed
eccezionalmente in modo che le innumerevoli
contro-tendenze e gli innumerevoli offuscamenti che scaturisco- no dalla stessa fonte non li escludono dalla
coscienza. In ba- se a ciò comprendiamo
anche gli occasionali lampi di genio di
persone per altri versi non geniali, e la generale possibi- lità di seguire la comprensione aperta dal
genio, se alle di- sposizioni ereditarie
presenti anche in loro vengono assicu-
rati, attraverso la chiara espressione e stimolazione di grup- pi affini, gli aiuti psicologici necessari per
arrivare alla co- scienza. La dottrina
mistica di Platone, secondo cui ogni ap-
prendere non è che un ricordare!, assumerebbe così un senso reale. Se riproduciamo in noi uomini da tempo
scomparsi con tutta la ricchezza dei
loro più intimi impulsi, se il loro caratte-
re — formatosi in condizioni completamente estranee, mai vi- ste da noi — viene incontro al nostro sguardo
emergendo da una tradizione
frammentaria, è chiaramente vano voler spiega-
re questa capacità in base alle esperienze della vita individuale nello stesso modo in cui non si può derivare
da questa fonte la conformità allo scopo
di movimenti istintivi o la direzione e la
correttezza degli impulsi etici. Come il nostro corpo racchiude in sé le acquisizioni di uno sviluppo
millenario e conserva ancora
immediatamente in organi rudimentali le tracce di epo- che precedenti, così il nostro spirito
contiene — come mostra la più semplice
riflessione — i risultati e le tracce di processi psichici trascorsi dei più diversi gradi di
sviluppo della specie. L'intera misura
della nostra comprensione, anche per quegli
esseri viventi che si discostano molto dal nostro modo di senti- I. Simmel si riferisce qui alla teoria
della reminiscenza, esposta nel Fedone.
458 GEORG SIMMEL re, può quindi
venire dal fatto che l'eredità della specie contie- ne però, oltre al nostro carattere
essenziale, tracce del carattere degli
antenati e ci rende così possibile il comprendere — vale a dire il compimento dei loro medesimi processi
psichici. Il cono- scitore geniale di
uomini è soltanto l’erede prediletto (per que-
sto aspetto) della specie, e lo storico geniale rappresenta solo un suo rafforzamento. Infatti la comprensione
storica è distinta solo per grado dalla
comprensione dei personaggi e dei rappor-
ti contemporanei. Anche questi ultimi ci offrono fenomeni este- riori, non mai completi, e dal punto di vista
dell’empiria sensi- bile ogni altro uomo
è per noi un automa, ogni sua parola è
mero suono, in cui possiamo introdurre un’anima soltanto in base al nostro proprio io. Il processo del
conoscere storico è solo
quantitativamente differente dal processo del comprendere che noi compiamo sull’esteriorità di tali
immagini: esso trova soltanto un
materiale molto più incompleto e incoerente, indica- zioni ancora più insicure, uno spazio ancora
maggiore per le congetture e una
necessità più comprensiva. Ma se per tutto
ciò dobbiamo rimandare alle oscure disposizioni ereditarie che ci rendono comprensibile anche ciò che non
abbiamo vissuto di persona, la scissione
tra i presupposti universalmente validi,
che applichiamo agli avvenimenti per poterli comprendere, e le interpretazioni soltanto personali, si
aggrava straordinariamen- te. Se la
comprensione geniale — ma anche ogni altra forma di comprensione — dell’accadere storico
scaturisce da questa fon- te, ai nostri
strumenti conoscitivi è del tutto precluso scompor- re analiticamente quei presupposti fino ai
loro elementi ultimi e ricondurli alle
loro fonti; per questi casi dovrà bastare una
constatazione e una registrazione di fatto. Se la ricostruzione psicologica del consueto
contenuto stori- co procede con relativa
sicurezza e in accordo generale, ciò
deriva dal fatto che qui si tratta essenzialmente di interessi c di movimenti di interi gruppi, e che essi
costituiscono il fonda- mento e il punto
di arrivo anche delle azioni dei singoli perso-
naggi storici. Questi sono straordinariamente più semplici e univoci delle condizioni individuali. Nel
caso di grandi mas- se si tratta sempre
delle basi primarie dell’esistenza, degli inte-
ressi generali, grandi e grossi, in cui molti uomini possono incontrarsi e al di sopra dei quali si
sollevano solamente le GEORG SIMMEL
459 individualizzazioni più sottili e
difficili dei moti psichici. Nello
stesso modo in cui una collettività non può dissimulare di proposito la sua volontà e il suo pensiero
— cosa che è invece possibile
all'individuo — essa non lo fa neppure involon-
tariamente, ma documenta invece le sue tendenze, le sue azioni e reazioni psichiche con la stessa chiarezza
delle manifestazio- ni degli impulsi
semplici propri di una massa in quanto tale,
contrapposti agli impulsi differenziati di una persona. Proprio per questo motivo le basi psichiche dei
movimenti storici diven- tano ora più
comprensibili a chiunque: quanto più è sicuro che in ogni individuo si trovano gli interessi
più bassi e primiti- vi, e quindi
ereditati da più lungo tempo, tanto più probabile gliene riuscirà la riproduzione. Dove sono in
gioco questioni puramente individuali,
la diversità delle individualità impedi-
rà spesso la riproduzione, cioè la comprensione; ma ciò che vogliono gruppi interi — e che l’individuo
vuole in relazione ad essi — è presente
con alto grado di sicurezza in ogni
individuo, e può quindi essere stimolato. Perciò anche nel cono- scere storico si cela la soggettività e la
personalità della penetra- zione
simpatetica, che attribuiamo più facilmente ai processi della personalità singola. Assumendo come oggetto
i processi psichico-sociali e
penetrandoli simpateticamente, noi non abbia-
mo l’idea di essere relegati nella nostra soggettività e nell’acci- dentalità delle sue esperienze interne, ma
dobbiamo rappresen- tarci qualcosa di
oggettivo. E tuttavia questo elemento oggetti-
vo è, qui come altrove, soltanto un elemento soggettivo molto generale, e contiene solo sensazioni che
sembrano rimosse dal- la sfera personale
perché nessuna personalità può sottrarsi ad
esse. Ma, alla base, anche le sensazioni che portano in luce movimenti sociali (la necessaria sovra- e
subordinazione nei gruppi,
l'unificazione per scopi generali o la divisione in vista dell’utilità individuale, l'elevazione e la
trasformazione da par- te di idee
religiose e politiche) possono essere valutate, anzi constatate, soltanto in virtù di una
penetrazione simpatetica di carattere
personale. Anche quello che, in movimenti del gene- re, pensiamo di poter cogliere con le mani,
possiamo in realtà coglierlo soltanto
con l’anima. La diversità dell’ priori
con cui interpretiamo e ordiniamo i
fatti storici trova quindi propriamente la sua manifestazione 460 GEORG SIMMEL più appariscente in un punto del tutto
differente, cioè quando la
rappresentazione è diretta da un pregiudizio determinato nel contenuto. Il caso più decisivo è quello in
cui una tendenza preesistente assegna
alla ricerca il fine a cui deve pervenire,
considerandola e presentandola come corretta e compiuta soltan- to nel momento in cui vi perviene — proprio
come si dichiara corretta una qualsiasi
ricerca soltanto se soddisfa la legge causa-
le. Se qui prescindiamo dalle falsificazioni coscienti o semi-con- sapevoli che avvengono per scopi pratici,
personali o di partito, soprattutto la
difficoltà trattata nella nota di pp. 451-52 aprirà un vasto campo all’a priori tendenzioso. Alcuni
elementi particola- ri di una
personalità o di un periodo sono dati; in base ad essi si forma un'immagine della loro totalità e
del loro carattere interno; a questo
punto nuovi elementi particolari verranno
molto facilmente considerati apocrifi se non si adattano a que- sta immagine già fissata, oppure saranno
modificati fin quando non si accordano
con essa. La convinzione oggettiva orientata
in questo senso riceverà facilmente appoggio dagli interessi dell'animo: quando, per esempio, in certi
momenti sorge l’im- pressione di un
carattere grandioso o di elevata eticità, allora subentra un interesse personale per esso che
stabilirà in una direzione determinata i
presupposti per l’apprendimento di ogni
fatto futuro. Anche qui si fa valere il significato psicologi- co della prima impressione. Come le prime
convinzioni della vita trovano ancora
sgombro il campo dello spirito e possono
stabilirsi in vario modo con una forza che non incontra ostaco- li, in modo da decidere dell’accettazione o
del rifiuto delle convinzioni future,
così lo stesso processo si ripete per il partico- lare campo e problema del conoscere. Il
giudizio ricavato in modo impregiudicato
dal primo fenomeno diventa pregiudizio
rispetto al secondo, e ogni fenomeno che si presenti successiva- mente trova davanti a sé una direzione
prestabilita dell’intuire e del
giudicare, da cui viene abbastanza sovente trascinato sen- Za opporre resistenza o almeno costretto a un
compromesso. È facile scorgere che qui
siamo davanti a un problema a due facce:
l’una rivolta verso l’aspetto soggettivo, alla forza di gravità del pensiero che tende a mantenerlo
nella direzione già presa, cioè nel
pregiudizio soggettivo che assume 4 priori il
vecchio a criterio del nuovo; l’altra rivolta verso l’aspetto
ogget- GEORG SIMMEL 461 tivo, in quanto nelle persone e negli
avvenimenti viene presup- posta l’unità
e la continuità che quella tendenza psicologico-sog- gettiva sembra rendere possibile e
giustificare. La questione della parte
rispettiva dell’oggetto e del soggetto nella conoscen- za, da Kant limitata in modo inopportuno ai
rapporti più generali che sono
immodificabilmente comuni a tutti i processi
del pensiero, sorge anche di fronte a questi processi specifici del conoscere, diretti da princìpi già molto
complessi. Quell’unità caratteriologica
sia degli individui che dei gruppi appartiene
chiaramente ai presupposti 4 priori di ogni ricerca storica*. Ora, però, questa unità non è qualcosa di
formale, non è uno schema generale in
base a cui sia possibile determinare in antici-
po il rapporto dei suoi contenuti empirici. Un errore profondo è insito nella fede che in base all'unità
della personalità uma- na si possa
inferire il suo comportamento necessario secondo a. Attraverso una singolare svolta
dell’unità così presupposta viene al- la
luce il quadro delle manifestazioni di interi gruppi. Soltanto singole vo- ci o singoli accidenti diventano di solito
consapevoli in modo esatto; sol- tanto
quando si collocano in un ambito tenuto insieme da interessi o da legami noti per altra via, essi sono
manifestazioni dell’insieme di tale am-
bito. Come dell’individuo sono sempre note soltanto singole
manifestazio- ni, che tuttavia
circoscrivono per noi l'insieme della sua personalità, così i sintomi particolari si estendono a partire
da un gruppo fino a un movi- mento
psichico — caratterizzato in modo determinato — del gruppo nella sua totalità. Cito a caso dalla Romische
Geschichte di THEoDoR MoMmMSsEN (Berlin,
1854-55): « un grido di sdegno attraverso l’Italia intera » (vol. II, p. 145); Mario si dimostrò «un condottiero
che manteneva ? soldati di- sciplinati e
tuttavia di buon animo, guadagnandone al tempo stesso l’amo- re con un rapporto cameratesco » (vol. II, p.
192); l'aristocrazia « non si dette la
minima pena di nascondere la sua rabbia e la sua apprensione » (vol. III, p. 190); « i partiti respirarono »
(vol. III, p. 193). E da Die Cultur der
Renaissance in Italien di Jacos BurcKHarDT (Basel, 1860): « con un’in- genuità terrificante Firenze confessa la sua
simpatia guelfa per i Francesi » (vol.
I, p. 89); « nei momenti cattivi sorge qua e là la vampa della peni- tenza medievale, e il popolo impaurito vuole
impietosire il cielo con flagel- lazioni
e alte invocazioni di misericordia » (vol. II, p. 232). Mentre l’unità dello sviluppo caratteriologico costruisce
una successione completa in ba- se a
singoli elementi dati, qui si ha la stessa cosa per la loro coesistenza l'uno accanto all'altro. Come là viene
presupposta l’anima individuale, qui
viene presupposta per così dire l’anima sociale come talmente unitaria
che il dato immediato, rna solo
frammentario, permette anche di inferire un'e-
guale costituzione di ciò che non è dato. 462 GEORG SIMMEL certe norme e certe conseguenze. Al
contrario, osserviamo piut- tosto un
certo ordine e una certa serie di sviluppo dei fenome- ni psichici che li percorre tutti, e l’unità
della personalità è solamente un nome
che designa la loro connessione di fatto —
non già una connessione da costruire in modo puramente logi- Parlando di questa unità in generale
s'intende che le azioni e le
rappresentazioni di un uomo sono costituite in mo- do che noi le comprendiamo come produzioni di
un'anima numericamente semplice e
immutabile. Ma dal momento che si tratta
di una semplice x di cui non possiamo dire nulla di più, l’unità di tale essere significa che
possiamo ricondurre l’una all’altra le
rappresentazioni dell’uomo e spiegarle recipro-
camente. C’è però bisogno di certi princìpi il cui dominio ci rappresenta l’unità della personalità, la
quale non può essere percepita
immediatamente. Se individuiamo quindi l’unità del- la personalità nel fatto che quest'uomo, la
cui vita è amareggia- ta da una pesante
sventura, vede anche nel mondo che lo
circonda soltanto dolore e dissonanze, e se diciamo che si tratta dello stesso elemento per il quale
egli teme sempre nuova sventura per sé e
rende difficile la vita ai suoi simili,
noi conosciamo appunto delle regole psicologiche in base a cui possiamo ricondurre geneticamente tali
processi l’uno all’altro. Queste sintesi
non sono intelligibili perché siano unitarie, ma le chiamiamo unitarie perché sono
intelligibili; e ci appaiono
intelligibili perché siamo abituati a osservarle. Perciò non si reca alcun disturbo all'unità della
personalità se accanto al proprio dolore
si scorge l'aspirazione a rendere felici gli altri, o se accanto ad esso emerge, in certo senso
come surrogato, un ottimismo teoretico —
come spesso accade in uomini fisicamen-
te disgraziati. In un avaro, l’unità della sua personalità ci sembra garantita sia ch’egli non ceda ciò che
ha ottenuto in vista di alcuna
probabilità futura, sia che lo getti a piene mani non appena speri in un guadagno da usura. I
fenomeni conside- rati in sé e per sé, e
in base al loro contenuto, non sono ancora
decisivi rispetto al fatto di costituire un’unità, ma sono decisivi soltanto rispetto alla possibilità di
scoprire, in base a qualche regola nota,
un legame causale tra di essi. Così noi ipotizziamo da un lato un’affinità di contenuto tra le
azioni di un indivi- duo, dall’altro una
certa dissomiglianza — quando cioè circostan-
GEORG SIMMEL 463 ze esterne
mutate influenzano il suo agire. E mentre ciò pre- suppone l’immutabilità del nucleo interno,
proprio una trasfor- mazione di questo
nucleo rientra nell'immagine di una persona-
lità unitaria quando si prendano in considerazione le diverse età della vita. La conclusione che si trae,
in base a certi modi di azione di una
persona, in merito alla possibilità o all'impossi- bilità di altri modi di azione non è una
conclusione logica immediata, ma dipende
da un'esperienza psicologica reale as-
sunta come premessa maggiore. C’è appena bisogno di accenna- re all'influenza che tutto questo — e la sua
estensione a pe- riodi e a gruppi —
esercita sulla costruzione del processo stori-
co, sull’interpretazione dei fatti particolari, sull’integrazione della tradizione e sulla sua critica. Il
compito più importante per la filosofia
della ricerca storica sarebbe ora quello di deter- minare le norme particolari che assumiamo —
sulla base del- l’« unità » dei
caratteri — come criteri delle tradizioni e come veicoli di rappresentazione; la latitudine
entro la quale spie- ghiamo tuttavia
come possibili azioni divergenti; gli sviluppi e le modificazioni che riteniamo ovvie seguendo
il principio inter- no della
personalità, e quelle per cui dobbiamo invece cercare una spiegazione nelle circostanze esterne. Vi
sono indubbiamen- te procedure ben
precise di questo genere, in base alle quali si
agisce, che vengono tacitamente presupposte tra lo storico e il lettore, ma alla cui consapevole
constatazione non si è ancora pervenuti.
Un problema ancora più profondo si apre poi quan- do indaghiamo sulla duplicità di motivazione,
sopra menziona- ta, della presupposta
unità dei soggetti storici: in quale mi-
sura l’esperienza psicologica oggettiva e in quale misura la tendenza soggettiva al rafforzamento della
capacità di pensiero e alla
semplificazione della conoscenza cooperano nella forma- zione delle immagini storiche — vale a dire
alla formazione che in base ai fatti
originariamente dati abbozza uno schema
del processo successivo, limitando così la portata della divergen- za caratteriologica da ciò che si era
stabilito all’inizio. Nel caso dei
presupposti più generali con cui elaboriamo il materia- le della conoscenza — gli assiomi matematici,
le rappresentazio- ni primarie di
sostanza e di forza, la legge causale, i princìpi logici e così via — tale questione può
trovare risposte più semplici.
L’idealismo deriverà senz'altro questi presupposti dal 464 GEORG SIMMEL soggetto, negando qualsiasi partecipazione
dell’oggetto e dell’e- sperienza al loro
sorgere. Il realista empirico, al contrario,
affermerà proprio per queste rappresentazioni fondamentalissi- me l’accordo incondizionato con l’oggetto, e
la loro fonda- zione nell’esperienza
continua di esso. Una così chiara separazio-
ne di principio non è possibile nella nostra questione. Già l’identità generale tra l’anima che indaga e
l’anima che è indaga- ta rende probabile
che le tendenze più generali della prima
trovino un riflesso nella seconda, giustificando quindi la loro assunzione, e che il risultato della ricerca
sia determinato nello stesso senso da
entrambi i lati. Il realista deve concedere che
abbastanza spesso, e in modo abbastanza osservabile anche sen- za una critica particolare, presupposti e
massime soggettive che servono all’unità
e alla semplicità del pensiero sono deci-
sivi per l'elaborazione storica. D'altra parte, anche ammetten- do le influenze psicologiche di più vasta
portata su tale elabora- zione, non si
potrà negare che, pur con la rinuncia a ogni
convinzione monistica che ci si porta dietro, la realtà offre prove sufficienti in favore
dell’interpretazione realistica; e in
generale, quanto più alti e complicati sono gli ambiti a cui ci solleviamo, tanto più è impossibile separare
di un tratto e con un'alternativa netta
i loro elementi costitutivi 4 priori e quelli
a posteriori. Uno dei compiti più alti della filosofia della storia potrebbe essere però la determinazione dei loro
limiti e in particolare della loro
azione reciproca, il vicendevole rafforza-
mento tra il fattore soggettivo e il fattore empirico di quella rap- presentazione di un'unità presente negli
uomini, negli avveni- menti, nei gruppi
e nelle epoche. Queste considerazioni
possono essere riassunte nella proposi-
zione: la psicologia è l’4 priori della scienza storica. Il compito della teoria della conoscenza nei
suoi confronti è quel- lo di determinare
le regole mediante le quali si perviene, in
base ai documenti e alle tradizioni esteriori, ai processi psichi- ci, e le regole sufficienti a istituire una
connessione « intelligibi- le» tra
questi ultimi. IL PROBLEMA DELLA
SOCIOLOGIA * Se è vero che il conoscere umano si è
sviluppato partendo da necessità
pratiche, perché la conoscenza del vero è un’arma nella lotta per l’esistenza tanto nei
confronti dell’essere extra- umano
quanto nella concorrenza degli uomini tra di loro, da lungo tempo esso non è però più legato a
questa origine, e da semplice mezzo per
gli scopi dell'agire è diventato esso stesso
uno scopo definitivo. Ciononostante il conoscere, perfino nella forma sovrana della scienza, non ha rotto
dappertutto le rela- zioni con gli
interessi della prassi, anche se esse non si presenta- no ora come meri effetti di quest'ultima,
bensì come azioni reciproche dei due
domini esistenti ciascuno per diritto autono-
mo. Infatti non soltanto il conoscere scientifico si presta, nella tecnica, alla realizzazione di fini esteriori
della volontà, ma, d’altro lato, dalle
situazioni pratiche, interne ed esterne, sorge
il bisogno di comprensione teorica; talvolta si manifestano nuo- ve direzioni di pensiero, e con il loro
carattere puramente astrat- to gli
interessi di un nuovo modo di sentire e di volere penetra- no nella problematica e nelle forme della
vita intellettuale. Così le pretese che
la scienza sociologica ama far valere costitui
scono la prosecuzione e il rispecchiamento teorico della potenza pratica raggiunta nel secolo xtx dalle masse
rispetto agli inte- ressi
dell'individuo. Il fatto che il senso di importanza e l’atten- zione che i ceti inferiori pretendono da
quelli superiori sia sostenuto proprio
dal concetto di « società » dipende però dalla * Soziologie: Untersuchungen îiber die
Formen der Vergesellschaftung, cap. 1:
Das Problem der Soziologie, Leipzig, Verlag von Duncker und Humblot,
1908, Pp. 1-46 (traduzione di Giorgio
Giordano, per i «Classici della sociologia » delle Edizioni di Comunità). 30. STORICISMO TEDESCO. 466 GEORG SIMMEL circostanza che, in virtù della distanza
sociale, i primi si presen- tano agli
altri non nei loro individui, ma soltanto come massa unitaria, c che appunto questa distanza non
permette agli uni e agli altri di essere
uniti sotto alcun altro aspetto di principio se
non quello che essi costituiscono insieme «una società ». Dal momento che le classi, la cui efficacia
risiede non già nell’im- portanza
percepibile dei singoli, bensì nel loro essere « socie- tà », attiravano su di sé la coscienza
teorica — in conseguenza dei rapporti di
forza pratici — il pensiero si accorse a un
tratto che ogni fenomeno individuale è determinato in genere da un'infinità di influenze provenienti dalla
sua cerchia ambien- tale umana. E
quest’idea acquistò per così dire forza retrospetti- va: accanto a quella presente, anche la
società passata apparve come la sostanza
che costituiva l’esistenza individuale, così co- me il mare costituisce le onde. Qui parve
conquistato il terreno in base alle cui
forze diventavano suscettibili di spiegazione le forme particolari nelle quali esso formava
gli individui. Questo orientamento di
pensiero fu favorito dal relativismo moderno,
cioè dalla tendenza a risolvere il singolare e il sostanziale in azioni reciproche; l'individuo era solamente
il luogo în cui si collegano dei fili
sociali, la personalità era soltanto il modo
particolare in cui ciò accade. Una volta raggiunta la coscienza del fatto che ogni agire umano si svolge
nell’ambito della socie- tà e che nessun
agire può sottrarsi alla sua influenza, tutto ciò che non era scienza della natura esterna
doveva essere scienza della società.
Questa appariva come il territorio onnicomprensi- vo in cui si trovavano insieme l’etica e la
storia della cultura, l'economia
politica e la scienza della religione, l’estetica e la demografia, la politica e l’etnologia, poiché
gli ‘oggetti di que- ste scienze si
realizzavano nel quadro della società: la scienza dell’uomo si configurava come scienza della
società. A_ questa concezione della
sociologia come scienza di tutto ciò che è
umano in generale contribuì il fatto che essa era una scienza nuova e che di conseguenza verso di essa si
affollavano tutti i possibili problemi
che non trovavano altrove una sede precisa
— così come un territorio scoperto da poco diventa sempre, in principio, l’eldorado di esistenze senza
patria e sradicate: l’ine- vitabile
indeterminatezza c mancanza di protezione dei confini dànno a ognuno il diritto di insediarvisi.
Considerato però più GEORG SIMMEL
467 da vicino, questo ammassamento di
tutti i precedenti campi del sapere non
ne produce affatto uno nuovo. Esso significa soltan- to che tutte le scienze storiche,
psicologiche, normative ven- gono
versate in un grande calderone al quale viene attaccata l'etichetta di sociologia. In tal modo si
sarebbe dunque trovato soltanto un nuovo
707, mentre tutto ciò che esso designa è
ià stabilito nel suo contenuto e nei suoi rapporti o viene pro- dotto nell’ambito dei settori di ricerca
precedenti. Il fatto che il pensiero e
l’agire umano si svolgano nella società e siano
determinati da essa non fa della sociologia la scienza onnicom- prensiva di quello, così come non si possono
trasformare la chimica, la botanica e
l’astronomia in contenuti della psicolo-
gia per il fatto che i loro oggetti diventano in definitiva reali soltanto nella coscienza umana e sottostanno
ai presupposti di questa. Alla base di questo errore sta un fatto
certamente frainteso, ma di per sé molto
significativo. L’intuizione che l’uomo è, in
tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni, determina- to dal fatto di vivere in azione reciproca
con altri uomini deve certo condurre a
una nuova forma di considerazione in tutte
le cosiddette scienze dello spirito.” Non è ora più possibile spie- gare i fatti storici, nel senso più ampio
della parola, cioè i contenuti della
cultura, i tipi di economia, le norme della mora- lità partendo dall’uomo singolo, dal suo
intelletto e dai suoi interessi e, dove
ciò non riesce, ricorrere subito a cause metafisi- che o magiche. Per esempio, a proposito del
linguaggio non si è più posti di fronte
all’alternativa se esso sia stato inventato da
individui geniali oppure dato da Dio agli uomini; nelle forme della religione non c’è più bisogno di
distinguere l’invenzione di astuti
sacerdoti e la rivelazione immediata, e così via. Piutto- sto noi crediamo ora di comprendere i
fenomeni storici in base all’agire
reciproco e all’agire in comune degli individui, in base alla somma e alla sublimazione di
innumerevoli contributi individuali, in
base al concretarsi delle energie sociali in forma- zioni che stanno e si sviluppano di là dell'individuo.
La sociolo- gia, nella sua relazione con
le scienze esistenti, è quindi un nuovo
metodo, uno strumento ausiliario della ricerca, per avvi- cinarsi ai fenomeni di tutti quei campi in
modo nuovo. Con ciò essa non si comporta
in maniera essenzialmente diversa da
468 GEORG SIMMEL quella in cui
si comportava a suo tempo l'induzione, la quale
penetrava come nuovo principio di ricerca in tutte le scienze possibili, si acclimatava per così dire in
ognuna di esse e l’aiuta- va a trovare
nuove soluzioni nell’ambito dei compiti stabiliti. Ma come l’induzione non costituisce per
questo una scienza particolare o
addirittura una scienza onnicomprensiva, così
non lo diventa, per gli stessi motivi, la sociologia. Nella misura in cui si appoggia alla considerazione
che l’uomo dev’es- sere compreso come
essere sociale e che la società è la porta-
trice di ogni accadere storico, essa non contiene alcun oggetto che non venisse già trattato in una delle
scienze esistenti, ma è soltanto una
nuova via per tutte queste, un metodo scientifico che non costituisce — proprio per la sua
applicabilità alla totali- tà dei
problemi — una scienza a sé. Ma quale
può essere l’ oggetto proprio e nuovo, la cui indagi- ne fa della sociologia una scienza autonoma e
dai confini deter- minati? È ovvio che
per questa sua legittimazione quale scien-
za nuova non occorre la scoperta di un oggetto la cui esistenza fosse prima ignota. Tutto ciò che indichiamo
in generale come oggetto è un complesso
di determinazioni e di relazioni di cui
ciascuna, proiettata su una pluralità di oggetti, può diventare oggetto di una scienza particolare. Ogni
scienza poggia su un’astrazione, in
quanto considera la totalità di una qualche
cosa, che non possiamo afferrare in modo unitario per mezzo di nessuna scienza, secondo uno dei suoi
aspetti, cioè dal punto di vista di un
determinato concetto. Di fronte alla totali-
tà della cosa e delle cose ogni scienza si sviluppa attraverso la loro scomposizione — in base alla divisione
del lavoro — in qualità e funzioni
particolari, dopo che si è trovato un con-
cetto che permette di individuare quest'ultime e di coglierle nel loro ricorrere nelle cose reali secondo
connessioni metodi- che. Così, per
esempio, i fatti linguistici che vengono ora rag- gruppati a costituire il materiale della
linguistica comparativa esistevano già
da lungo tempo in fenomeni trattati scientifica
mente; ma quella scienza particolare sorse con la scoperta del concetto sotto il quale quei medesimi fenomeni,
prima separati nei diversi complessi
linguistici, si coordinano in maniera unita-
ria e vengono regolati da leggi specifiche. Così anche la sociolo- gia come scienza particolare potrebbe trovare
il suo oggetto GEORG SIMMEL 469 particolare soltanto tracciando una nuova
linea attraverso certi fatti che, in
quanto tali, sono perfettamente noti; solo che fino ad ora non era diventato operante appunto il
concetto il quale consente di
riconoscere l’aspetto di questi fatti che cade su uella linea, come l’aspetto comune ad essi
tutti e costituente un'unità
metodico-scientifica. Di fronte ai fatti quanto mai complicati della società storica,
assolutamente non coordinabili sotto un
rico punto di vista scientifico, i concetti della politi- ca, dell'economia, della cultura ecc.
producono tali serie cono- scitive sia
collegando certe parti di quei fatti — ad esclusione o con il concorso soltanto accidentale degli
altri — in processi storici singolari,
sia individuando i raggruppamenti di elementi
che, indipendentemente dal singolo «qui » e «ora», comporta- no una connessione atemporalmente necessaria.
Se deve dunque esserci una sociologia
come scienza particolare, occorre per-
tanto che il concetto di società in quanto tale sottoponga i dati storico-sociali — al di là della raccolta
estrinseca di quei feno- meni — a un
nuovo processo di astrazione e di coordinamento, in modo che certe determinazioni degli
stessi, prima considera- te in altre e
molteplici relazioni, vengano riconosciute come
reciprocamente connesse e quindi come oggetti di un’uricascienza. Questo punto di vista risulta da un’analisi
del concetto di società, che si può
designare come distinzione tra forma e
contenuto della società — sottolineando che qui si tratta pro- priamente soltanto di un paragone per dare
approssimativamen- te un nome
all’antitesi degli elementi da distinguere: quest’an- titesi dovrà essere colta direttamente nel
suo senso singolare, senza essere
pregiudicata da altri significati di questi nomi provvisori. In ciò prendo le mosse dalla
rappresentazione più ampia della
società, da quella che evita il più possibile la pole- mica sulla sua definizione: che essa esiste
là dove più individui entrano in azione
reciproca. Quest’azione reciproca sorge sem-
pre da determinati impulsi o in vista di determinati scopi. Impulsi erotici, religiosi o semplicemente
socievoli, scopi di difesa e di attacco,
di gioco e di acquisizione, di aiuto e di
insegnamento, nonché innumerevoli altri, fanno sì che l’uomo entri con altri in una coesistenza, in un
agire l'uno per l’altro, con l’altro e
contro l’altro, in una correlazione di situazioni, 470 GEORG SIMMEL ossia che eserciti effetti sugli altri e ne
subisca dagli altri. Queste azioni
reciproche significano che dai portatori individua- li di quegli impulsi e scopi occasionali
sorge un'unità, cioè appunto una «
società ». Infatti l’unità in senso empirico non è altro che azione reciproca di elementi: un
corpo organico è un'unità perché i suoi
organi stanno tra loro in uno scambio
reciproco di energie più stretto che con qualsiasi essere ester- no; uno stato è 470 perché tra i suoi
cittadini sussiste il corri- spondente
rapporto di influenze reciproche; e non potremmo considerare come unitario neppure il mondo se
ognuna delle sue parti non influenzasse
in qualche modo ogni altra parte, se la
reciprocità, comunque mediata, delle influenze fosse elimi- nata. Quella unità o associazione può
presentare gradi molto diversi, secondo
il modo e la prossimità dell’azione reciproca —
dall’effimera riunione per una passeggiata alla famiglia, da tut- ti i rapporti validi « fino alla disdetta »
all’appartenenza a uno stato, dal
fuggevole insieme di una compagnia di albergo all’in- tima unione di una gilda medievale. Tutto ciò
che negli indivi- dui, nei luoghi
immediatamente concreti di ogni realtà storica
è presente come impulso, interesse, scopo, inclinazione, situazio- ne psichica e movimento, in modo che da ciò o
in ciò sorga l’azione su altri o la recezione
delle loro azioni — tutto ciò lo designa
come il contenuto, quasi come la materia dell’associa- zione. In sé e per sé questi materiali di cui
è piena la vita, queste motivazioni che
la sospingono, non sono ancora di carat-
tere sociale. Né la fame o l’amore, né il lavoro o la religiosità, né la tecnica o le funzioni e i risultati
dell’intelligenza costitui- scono ancora
— così come sono dati immediatemente, e secon-
do il loro senso puro — un'associazione: la costituiscono soltan- to quando strutturano la coesistenza isolata
degli individui uno accanto all’altro in
determinate forme di coesistenza con e per
l’altro, le quali rientrano sotto il concetto generale dell’azione reciproca. L'associazione è dunque la forma,
realizzantesi in innumerevoli modi
diversi, in cui gli individui raggiungono
insieme un'unità sulla base di quegli interessi — sensibili o ideali, momentanei o durevoli, coscienti o
inconsci, che spingo- no in modo causale
o che attirano teleologicamente — e nell’am-
bito della quale questi interessi si realizzano. In ogni fenomeno sociale esistente il
contenuto e la forma GEORG SIMMEL
471 sociale costituiscono una realtà
unitaria; una forma sociale non può
acquistare un’esistenza scissa da ogni contenuto, così come una forma spaziale non può sussistere senza
una materia di cui essa costituisca la
forma. Questi sono piuttosto gli elementi,
inseparabili nella realtà, di ogni essere e accadere sociale: un interesse, uno scopo, un motivo e una forma o
maniera di azione reciproca tra gli
individui, mediante la quale o nella cui
forma quel contenuto acquista realtà sociale.
Ciò che rende appunto tale la «società », in ogni senso della parola finora valido, sono
evidentemente i modi sopra indicati di
azione reciproca. Un dato numero di uomini non
diviene società per il fatto che in ognuno di essi sussiste un contenuto vitale determinato oggettivamente o
che lo muove individualmente; soltanto
quando la vitalità di questi conte- nuti
acquista la forma dell’influenza reciproca, quando ha luo- go un’azione di un elemento sull’altro —
immediatamente o mediata da un terzo
elemento — la pura e semplice prossimità
spaziale o anche la successione temporale degli uomini si tradu- ce in una società. Se deve quindi esserci una
scienza il cui oggetto è la società e
nient'altro, essa può voler indagare sola-
mente queste azioni reciproche, questi modi e forme di associa-
zione. Infatti tutto ciò che si trova ancora nell’ambito della « società », tutto ciò che viene realizzato
per mezzo e nel qua- dro di essa, non è
società, ma soltanto un contenuto che assume
o viene assunto da questa forma di coesistenza e che soltanto insieme ad essa dà luogo alla formazione
reale, che si chiama «società » nel
senso più vasto e usuale. Che questi due elemen- ti inseparabilmente uniti vengano separati
nell’astrazione scien- tifica, che le
forme di azione reciproca o di associazione venga- no collegate tra loro, concettualmente
isolate dai contenuti che soltanto
mediante esse diventano sociali, e metodicamente sotto- poste a un punto di vista scientifico
unitario — questo mi sembra fondare
l’unica e intera possibilità di una scienza specifi- ca della società in quanto tale. Soltanto con
essa i fatti che designamo come realtà
storico-sociale sarebbero realmente proiet-
tati sul piano del puro e semplice sociale. Ma per quanto siffatte astrazioni, che dalla
complessità o anche dall’unità della
realtà producono la scienza, possano esse-
re stimolate dagli intimi bisogni del conoscere, una qualsiasi 472 GEORG SIMMEL loro legittimazione deve tuttavia risiedere
nella struttura del- l’oggettività
stessa: infatti soltanto qualche relazione funziona- le con la realtà di fatto può mettere al
riparo da impostazioni sterili, da un
carattere occasionale dell’elaborazione concettua- le della scienza. Se un naturalismo ingenuo
sbaglia pensando che il dato contenga
già le disposizioni analitiche o sintetiche
mediante le quali esso diventa contenuto di una scienza, tutta- via le determinazioni che esso effettivamente
possiede sono più o meno adatte a quelle
disposizioni — all’incirca come un
ritratto deforma fondamentalmente la figura naturale, eppure l'una si presta meglio dell’altra a questa
forma ad essa radical- mente estranea. A
ciò si può poi commisurare il migliore o
peggiore diritto di quei problemi e metodi scientifici. Così il diritto di sottoporre i fenomeni
storico-sociali all’analisi se- condo
forme e contenuti e di ricondurre i primi a una sin- tesi si fonderà su due condizioni, le quali
possono essere ve- rificate soltanto in
base ai fatti. Si deve da un lato trovare
che la medesima forma di associazione ricorre con un contenu- to del tutto diverso, per scopi completamente
differenti, e che, al contrario, il
medesimo interesse assume come sue portatrici 0
modi di realizzazione forme completamente diverse di associa- zione — così come le medesime forme
geometriche si ritrovano nelle materie
più diverse e la medesima materia si configura
nelle forme spaziali più diverse, o come avviene tra le forme logiche e i contenuti materiali della
conoscenza. Entrambe le cose sono però
innegabili in quanto fatti. In gruppi
sociali i più diversi che si possano immaginare per i loro scopi e per il loro intero significato,
noi troviamo tuttavia i medesimi modi
formali di atteggiamento reciproco tra gli
individui. Sovra-ordinazione e subordinazione, concorrenza, imitazione, divisione del lavoro, formazione
di partiti, rappre- sentanza,
contemporaneità del raggruppamento all’interno e della chiusura verso l’esterno, nonché
innumerevoli aspetti simi- li, si
ritrovano in una società statale e in una comunità religio- sa, in una banda di congiurati e in una
consociazione economi- ca, in una scuola
artistica e in una famiglia. Per quanto molte-
plici possano essere gli interessi dai quali si perviene a queste associazioni, le forme in cui esse si attuano
possono tuttavia essere le medesime. E
d'altra parte lo stesso interesse può confi-
GEORG SIMMEL 473 gurarsi in
associazioni di forma molto differente: per esempio, l’interesse economico si realizza tanto
mediante la concorrenza quanto mediante
l’organizzazione pianificata dei produttori,
ora attraverso l'esclusione di altri gruppi economici ora attraver- so l'aggregazione ad essi; i contenuti della
vita religiosa stimo- lano, rimanendo
identici nella sostanza, una forma di comunità
ora liberistica ora centralistica; gli interessi che stanno a base delle relazioni tra i sessi si soddisfano
nella molteplicità quasi sterminata
delle forme di famiglia; l'interesse pedagogico con- duce a una forma di rapporto ora liberale ora
dispotica tra maestro e allievo, ora ad
azioni reciproche individualistiche tra
il maestro e il singolo allievo, ora a forme più collettivistiche tra quello e il complesso degli allievi. Come
può restare identi- ca la forma nella
quale si attuano i contenuti più divergenti,
così può rimanere costante la materia mentre la coesistenza degli individui, che ne è portatrice, si muove
in una molteplici- tà di forme. In tal
modo i fatti, benché materia e forma costi-
tuiscano nella loro concretezza un’unità inscindibile della vita sociale, offrono quella legittimazione del
problema sociologico che esige la
constatazione, l’ordinamento sistematico, la motiva- zione psicologica e lo sviluppo storico delle
forme pure di associazione. Questo problema è direttamente contrapposto
al procedimen- to secondo il quale sono
state finora create le scienze sociali
particolari. Infatti la divisione del lavoro tra queste scienze è stata completamente determinata dalla
diversità dei contenuti. Economia
politica e sistematica delle organizzazioni ecclesiasti- che, storia dell’organizzazione scolastica e
storia dei costumi, politica e teorie
della vita sessuale ecc. si sono divise il campo dei fenomeni sociali in modo tale che una
sociologia, la quale voleva comprendere
la totalità di questi fenomeni con la loro
connessione di forma e contenuto, non poteva risultare nient’al- tro che un riassunto di quelle scienze.
Finché le linee che .tracciamo
attraverso la realtà storica per suddividerla in campi di ricerca separati congiungono soltanto quei
punti che rivela- no i medesimi
contenuti di interessi, questa realtà non concede nessun posto a una sociologia particolare.
Occorre piuttosto una linea che,
attraversando tutte quelle finora tracciate, sciolga il puro fatto dell’associazione, considerato
nelle sue molteplici 474 GEORG
SIMMEL configurazioni, dal suo
collegamento con i contenuti più diver-
genti e lo costituisca come campo particolare. Essa diventa in tal modo una scienza specifica nello stesso
senso in cui lo è diventata — con tutte
le ovvie differenze di metodo e di risulta-
ti — la teoria della conoscenza, astraendo le categorie o funzio- ni del conoscere in quanto tali dalla
molteplicità delle conoscen- ze delle
cose singole. Essa appartiene al tipo di scienza il cui carattere specialistico non consiste nel
fatto che il loro oggetto venga compreso
insieme ad altri sotto un concetto complessivo
superiore (come la filologia classica e la germanistica, oppure l’ottica e l’acustica), bensì nel fatto di
accostare un intero cam- po di oggetti
da un punto di vista particolare. Non il suo
oggetto, ma la sua forma di considerazione, la particolare astra- zione da essa compiuta, la differenzia dalle
altre scienze stori- co-sociali. Il concetto di società copre due significati
che devono essere tenuti rigorosamente
distinti nella trattazione scientifica. Essa
è da un lato il complesso degli individui associati, il materiale umano formato socialmente, che costituisce
l’intera realtà stori- ca. Ma d’altro
lato la «società» è anche la somma di quelle
forme di relazione, in virtù delle quali dagli individui sorge appunto la società nel primo senso. Così si
definisce « sfera » sia una materia
formata in un determinato modo, sia anche, in
senso matematico, la pura e semplice figura o forma in virtù della quale dalla semplice materia sorge la sfera
nel primo senso. Quando si parla di
scienze della società in quel primo
significato, il loro oggetto è tutto ciò che accade nella e con la società; mentre la scienza della società nel
secondo senso ha per oggetto le forze,
le relazioni e le forme mediante le quali gli
uomini si associano, e che costituiscono quindi, nella loro confi- gurazione autonoma, la «società » sensu
strictissimo — il che evidentemente non
viene alterato dal fatto che il contenuto
dell’associazione, le modificazioni specifiche del suo scopo e interesse materiale decidono spesso o sempre
della sua formazio- ne specifica. Del
tutto errata sarebbe qui l’obiezione che tutte
queste forme — gerarchie e corporazioni, forme di concorrenza e forme di matrimonio, amicizie e costumi
socievoli, forme di potere da parte di
una persona o di più persone — sono soltan-
to costellazioni di avvenimenti in società già esistenti: se non GEORG SIMMEL 475 esistesse già una società, mancherebbe il
presupposto e l’occasio- ne per il
sorgere di tali forme. Questa concezione nasce dal fatto che in ogni società a noi nota agisce
un gran numero di forme di connessione,
cioè di forme di associazione del genere.
Se anche una di esse venisse meno, rimarrebbe ancor sempre la «società », cosicché di ciascuna può certo
sembrare che si ag- giunga a una società
già compiuta o sorga nell’ambito di essa.
Ma se si immagina di eliminare tutte queste forme, non rima- ne più nessuna società. La società sorge
soltanto quanto siffatte relazioni
reciproche, suscitate da certi motivi e interessi, diven- tano operanti. Se la storia e le leggi della
formazione complessi- va che così si
sviluppa sono quindi certamente materia della
scienza della società nel senso più ampio, è pur vero che — essendosi questa già suddivisa nelle scienze
sociali particolari — a una sociologia
nel senso più stretto, cioè in quello che
pone un compito particolare, rimane soltanto più la considera- zione delle forme astratte, le quali non
tanto producono l’asso- ciazione quanto
piuttosto soro l’associazione. La società, nel
senso che può impiegare la sociologia, è allora o l’astratto con- cetto generale che designa queste forme, il
genere di cui esse sono specie, oppure
la loro somma di volta in volta operante.
Da questo concetto consegue inoltre che un dato numero di individui può essere società in grado
maggiore o minore: a ogni nuovo fiorire
di formazioni sintetiche, a ogni costituzione
di gruppi di partito, a ogni unificazione in vista di un’opera comune o in comunione di sentimento e di
pensiero, a ogni divisione più netta tra
servi e padroni, a ogni pasto in comu-
ne, a ogni adornarsi per gli altri, lo stesso gruppo diventa appunto più «società» di quanto lo fosse
prima. Non esiste mai società in
generale, nel senso che quei particolari fenomeni di connessione si siano formati soltanto
presupponendo la sua esistenza; infatti
non esiste alcuna azione reciproca in quanto
tale, ma particolari modi di essa, con il cui manifestarsi la società esiste e che non sono né la causa né
la conseguenza di questa, ma sono
immediatamente già essa stessa. Soltanto la
sterminata quantità e diversità con cui esse sono in ogni atti- mo operanti ha conferito al concetto generale
di società una realtà storica
apparentemente autonoma. Forse in questa iposta- si di una mera astrazione risiede la causa della
peculiare nebulo- 476 GEORG
SIMMEL sità e insicurezza che hanno
circondato tale concetto e le prece-
denti trattazioni della sociologia generale — così come non si è fatta molta strada con il concetto di vita,
finché la scienza non lo ha considerato
come un fenomeno unitario di realtà imme-
diata. La scienza della vita ha raggiunto un terreno solido soltanto quando sono stati indagati i singoli
processi all’inter- no degli organismi
la cui somma o il cui tessuto costituisce la
vita, soltanto quando si è riconosciuto che la vita consiste solo
in questi processi particolari dentro e
tra gli organi e le cellule. Soltanto
in questa maniera si può cogliere ciò che nella
società è veramente « società », così come soltanto la geometria determina che cosa negli oggetti spaziali
costituisce realmente la loro
spazialità. La sociologia come dottrina dell’essere-socie- tà dell’umanità — la quale può ancora essere
oggetto di scienza sotto innumerevoli
altri aspetti — sta dunque con le altre scien-
ze speciali nello stesso rapporto in cui la geometria sta con le scienze fisico-chimiche della materia: essa
considera la forma mediante la quale la
materia si traduce in corpi empirici — la
forma che certamente di per sé sola esiste soltanto nell’astrazio- ne, proprio come le forme di associazione.
Tanto la geometria quanto la sociologia
lasciano ad altre scienze l'indagine dei
contenuti che si presentano nelle loro forme, o dei fenomeni totali di cui esse considerano la pura e
semplice forma. C'è appena bisogno di
avvertire che quest’analogia con la geometria
non va più in là della chiarificazione che abbiamo qui tentato del problema di principio della sociologia.
Soprattutto la geo- metria ha il
vantaggio di trovare già pronte nel suo campo
forme estremamente semplici, nelle quali possono essere risolte le figure più complicate; perciò è possibile,
partendo da relati- vamente poche
determinazioni fondamentali, costruire l’intero
ambito delle figure possibili. Per quanto riguarda le forme di associazione non c'è da aspettarsi, almeno
per lungo tempo ancora, una risoluzione
anche soltanto approssimativa in ele-
menti semplici. La conseguenza di questo fatto è che le forme sociologiche, se devono avere qualche
determinatezza, valgono soltanto per una
cerchia relativamente ristretta di fenomeni.
Quando si dice per esempio che la sovra-ordinazione e la subor- dinazione sono una forma presente in quasi
ogni associazione umana, con questa
conoscenza generale si è fatta poca strada.
GEORG SIMMEL 477 Occorre
piuttosto scendere alle specie particolari di sovra-ordi- nazione e di subordinazione, alle forme
specifiche della loro realizzazione, che
perdono allora naturalmente ambito di validi-
tà in rapporto alla loro determinatezza. Se l’alternativa che si usa proporre ora a
ogni scienza — se cioè essa proceda alla
scoperta di leggi atemporalmente valide
o alla rappresentazione e alla comprensione di processi storico- reali singolari — non esclude comunque
innumerevoli forme intermedie
nell’esercizio effettivo della scienza, il concetto problematico qui stabilito non viene toccato
fin dall'inizio dalla necessità di
questa scelta. Questo oggetto astratto dalla realtà può essere da un lato considerato sotto il
profilo delle relazioni legali che,
poste semplicemente nella struttura oggettiva degli elementi, rimangono indifferenti alla loro
realizzazione spazio- temporale: esse
sono appunto valide, poco importa che le real-
tà storiche le mettano in azione una o mille volte. D'altra parte quelle forme di associazione possono
anche essere conside- rate nel loro
verificarsi in un luogo e in un tempo, nel loro
sviluppo storico entro determinati gruppi. La loro determinazio- ne sarebbe, in quest’ultimo caso, uno scopo
autonomo per così dire storico, mentre
nel primo sarebbe materiale induttivo per
la scoperta di rapporti legali atemporali. Sulla concorrenza, per esempio, siamo edotti dai campi più
diversi: la politica e l'economia
politica, la storia delle religioni e quella dell’arte ce ne presentano innumerevoli esempi. In base a
questi fatti si tratta allora di
stabilire che cosa significhi la concorrenza come forma pura di atteggiamento umano, in quali
circostanze essa sorga, come si
sviluppi, quali modificazioni subisca per effetto della specie particolare del suo oggetto, da
quali contempora- nee determinazioni
formali e materiali di una società essa ven-
ga potenziata o frenata, come la concorrenza tra gli individui si differenzia da quella tra i gruppi — in
breve, che cosa essa sia come forma di
relazione degli uomini tra loro, la quale può
accogliere in sé tutti i contenuti possibili ma, attraverso l’identi- tà del suo manifestarsi nella grande varietà
di questi ultimi, dimostra di
appartenere a un campo regolato da leggi proprie e legittimato all’astrazione. Nei fenomeni
complessi ciò che è uniforme viene messo
in evidenza con una specie di sezione
478 GEORG SIMMEL trasversale,
mentre ciò che in essi è difforme — cioè in questo caso gli interessi sostanziali — viene
d’altra parte paralizzato. In modo
corrispondente si deve dunque procedere con tutti i grandi rapporti e le azioni reciproche che
formano la società: con la formazione
dei partiti, con l'imitazione, con la formazio-
ne di classi, di cerchie e di suddivisioni secondarie, con l’incor- porarsi delle azioni sociali reciproche in
formazioni particolari di carattere
oggettivo, personale, ideale, con lo sviluppo e il ruolo delle gerarchie, con la «rappresentanza
» di collettività da parte di singoli,
con il significato di un antagonismo comu-
ne per la coesione interna del gruppo. A tali problemi principa- li si aggiungono poi, sostenendo in modo
uniforme la determi- natezza formale dei
gruppi, dei fatti da una parte più specifici
e dall’altra più complicati, come per esempio il significato del- l’«apartitico », quello del « povero » come
elemento organico delle società, quello
della determinatezza numerica degli ele-
menti dei gruppi, del primus inter pares e del tertius gaudens. Come procedimenti più complicati si
dovrebbero ricordare l’in- crociarsi di
cerchie molteplici nelle singole personalità, la parti- colare importanza del «segreto» nella
formazione di cerchie, la modificazione
dei caratteri di gruppo a seconda che essi
comprendano individui che si trovano insieme localmente oppu- re individui separati da elementi estranei,
nonché innumere- voli altri
fenomeni. Con ciò lascio impregiudicata
— come già si è accennato — la questione
se nella diversità dei contenuti si presenti un’egua- glianza assoluta delle forme. L'eguaglianza
approssimativa che esse mostrano in
circostanze materialmente molteplici — così
come il fenomeno contrario — è sufficiente per ritenerlo possibi- le in linea di principio; nel fatto che ciò
non si realizzi comple- tamente si
manifesta appunto la differenza tra l’accadere psichi- co-storico, con le sue fluttuazioni e
complicazioni mai intera- mente
razionalizzabili, e la capacità della geometria di separa- re con assoluta purezza le forme sottoposte
al’ suo concetto dalla loro
realizzazione nella materia. Si tenga pure presente che questa eguaglianza del modo di azione
reciproca in qualsia- si diversità del
materiale umano e oggettivo, e viceversa, è
anzitutto soltanto uno strumento per compiere e legittimare nei singoli fenomeni complessivi la separazione
scientifica di forma GEORG SIMMEL
479 e contenuto. Metodologicamente
questa sarebbe stata richiesta anche nel
caso che le costellazioni di fatto non lasciassero perve- nire a quel procedimento induttivo che fa
cristallizzare l’eguale rispetto al
differente, proprio come l’astrazione geometrica del- la forma spaziale di un corpo sarebbe
legittimata anche qualora questo corpo
così formato si presentasse di fatto una sola volta nel mondo. Che ciò implichi una difficoltà di
procedimento è innegabile. Si prenda per
esempio il fatto che, verso la fine del
Medioevo, certi maestri di corporazione erano spinti, a causa dell'estensione delle relazioni commerciali,
a un approvvigio- namento di materiali,
a un impiego di apprendisti, a nuovi
mezzi per attrarre i clienti che non si conciliavano più con i vecchi princìpi corporativi secondo i quali
ogni maestro doveva avere lo stesso
«nutrimento » dell’altro, e che cercavano per
questo di porsi al di fuori della stretta unione prima esistente. Considerato sotto il profilo della forma
puramente sociologica, che astrae dal
contenuto specifico, ciò vuol dire che l’amplia- mento della cerchia con la quale l’individuo
è legato in virtù delle sue azioni
procede di pari passo con una maggiore confi-
gurazione della specificità individuale, con una maggiore liber- tà e differenziazione reciproca dei singoli.
Ma non esiste, a quanto vedo, nessun
metodo sicuramente efficace per ricavare
questo significato sociologico da quel fatto complesso, realizza- to in virtù del suo contenuto. Quale
configurazione meramente sociologica,
quale particolare rapporto reciproco di individui, facendo astrazione dagli interessi e dagli
impulsi che rimango- no nell’individuo e
dalle condizioni di carattere puramente og-
gettivo, siano contenuti nel processo storico — ciò può essere spiegato rispetto a quest’ultimo in molteplici
direzioni; non soltanto, ma i fatti
storici che ricoprono la realtà di determina-
te forme sociologiche possono essere indicati soltanto nella loro totalità materiale, e manca un mezzo per rendere
dimostrabile, e attuabile in tutte le
circostanze, la loro separazione in un
momento materiale e in un momento sociologico-formale. Ci si comporta qui allo stesso modo che con la
dimostrazione di una proposizione
geometrica sulla base dell’inevitabile accidentalità e rozzezza di una figura disegnata. Ma il
matematico può ora contare sul fatto che
il concetto della figura geometrica
ideale è noto e operante, e viene intimamente considerato co- 480 GEORG SIMMEL me l’unico senso ora essenziale del tratto
di gesso o d’inchio- stro. Ma qui non si
può partire dal presupposto corrispondente,
in quanto non si può ricavare logicamente dal fenomeno totale complessivo ciò che è realmente la pura
associazione. Occorre qui affrontare il
rischio di parlare di procedimento
intuitivo — per quanto distante esso sia dall’intuizione metafisi- co-speculativa — di una particolare messa a
fuoco con la quale si attua quella
separazione e che può essere insegnata soltanto
adducendo degli esempi, finché essa non sarà colta con metodi esprimibili concettualmente e di sicuro
affidamento. Questa difficoltà è
accresciuta dal fatto che non soltanto l’impiego del concetto sociologico fondamentale manca di un
appiglio indubi- tabile, ma che anche
quando si opera efficacemente con esso,
per molti aspetti degli avvenimenti l'inserimento sotto di es- so o sotto il concetto della determinatezza
di contenuto rimane sovente arbitrario.
Si potrà per esempio avere opinioni opposte
sulla questione se e fino a qual punto il fenomeno del « pove- ro» sia di natura sociologica, ossia un
risultato dei rapporti formali
all’interno di un gruppo, condizionato dalle correnti e dagli spostamenti generali che si producono
necessariamente nel confluire degli
uomini, oppure se la povertà sia da conside-
rare come una determinazione soltanto materiale di certe esi- stenze individuali, esclusivamente
dall’angolo visuale del conte- nuto di
interesse economico. I fenomeni storici potranno essere considerati, nel loro complesso, da tre punti
di vista distinti in linea di principio:
da quello delle esistenze individuali che
costituiscono i portatori reali delle situazioni; da quello delle forme di azione reciproca formale, che
certamente si attuano anche soltanto in
esistenze individuali, ma che vengono ora
considerate non già sotto il profilo di queste, bensì sotto quello del loro insieme, del loro esistere l’una con
e per l’altra; da quello dei contenuti
concettualmente formulabili di situazioni e
avvenimenti, in presenza dei quali non si indaga in questo caso sui loro portatori o sui loro rapporti, bensì
sul loro significato puramente oggettivo
— l'economia e la tecnica, l’arte e la
scienza, le norme giuridiche e i prodotti della vita affettiva. Questi tre punti di vista si intrecciano
continuamente, e la necessità
metodologica di tenerli distinti si scontra a ogni pas- so con la difficoltà di ordinare ogni
elemento in una serie GEORG SIMMEL
481 indipendente dall'altra, e con
l'aspirazione a un'immagine com-
plessiva della realtà, comprendente tutte le posizioni. Né si trà mai stabilire per tutti i casi quanto
profondamente un elemento, fondante e
fondato, penetri nell'altro, con la conse-
enza che — nonostante tutta la chiarezza e precisione meto- dologica dell’impostazione di principio — a
stento si potrà evitare l’equivocità: la
trattazione del singolo problema sembra
rientrare ora nell’una ora nell’altra categoria, e anche nell’am- bito di una categoria non sempre può essere
delimitata con si- curezza rispetto alla
forma di trattazione dell’altra. Del resto
spero che la metodologia della sociologia qui proposta risulterà più sicura e forse addirittura più chiara
attraverso le analisi dei suoi problemi
singoli che non da questa fondazione astrat-
ta. Nelle cose dello spirito non è fenomeno tanto raro — ma è anzi presente in tutti i campi di problemi
più generali e più profondi — che ciò
che dobbiamo chiamare, con inevitabile
paragone, il fondamento non sia così solido come la costruzio- ne eretta al di sopra. Anche la pratica
scientifica non potrà fare a meno,
particolarmente in campi finora inesplorati, di una certa misura di procedimento istintivo, i cui
motivi e le cui norme acquistano
soltanto in seguito una coscienza del tutto
chiara e un'elaborazione concettuale. E se il lavoro scientifico non può mai adagiarsi completamente su quei
modi di procede- re ancora indistinti,
istintivi, adottati soltanto nella ricerca par-
ticolare, esso sarebbe d'altra parte condannato alla sterilità se di fronte a compiti nuovi si volesse porre come
condizione già del primo passo una
metodologia compiutamente formulata *.
Nell'ambito del campo di problemi che viene costituito sepa- rando le forme di azione reciproca
associativa dal fenomeno totale della
società alcune parti delle indagini qui proposte si collocano ormai, per così dire,
quantitativamente al di là dei a.
Considerando l’infinita complicazione della vita sociale, nonché i concetti e metodi — delineantisi appunto
dalla prima sgrossatura — con i quali
essa dev'essere padroneggiata spiritualmente, sarebbe una pretesa im- modesta voler già ora sperare in una
chiarezza di domande e in un’csattez- za
di risposte che arrivi fino in fondo. Mi sembra più dignitoso fare fin dall’inizio quest'ammissione, poiché in
questo modo almeno il primo passo è più
netto, piuttosto che mettere in questione, con l'affermazione della conclusione, addirittura gweszo significato
di tentativi del genere. 31.
STORICISMO TEDESCO, 482 GEORG
SIMMEL compiti altrove riconosciuti
come sociologici. Appena si pone la
questione delle influenze reciproche tra gli individui, la cui somma produce quella coesione nella società,
si rivela immedia- tamente una serie —
anzi, per così dire, un mondo — di forme
di relazione che finora non venivano comprese affatto nella scienza della società, o lo erano senza
cogliere la loro importan- za
fondamentale e vitale. In complesso la sociologia si è pro- priamente limitata a quei fenomeni sociali
nei quali le forze in azione reciproca
sono già cristallizzate in base ai loro portatori immediati, per lo meno a costituire unità
ideali. Stati e unioni sindacali, gruppi
sacerdotali e forme di famiglia, costituzioni
economiche ed eserciti, corporazioni e comuni, formazione di classi e divisione del lavoro industriale —
questi e i grandi organi e sistemi del
genere sembrano costituire la società ed
esaurire l’ambito della scienza che la riguarda. È ovvio che, quanto più una regione di interessi e una
direzione di azione sociale è grande,
significativa e dominante, tanto più presto il
vivere e l’agire immediato, inter-individuale, si realizzerà in formazioni oggettive, in un'esistenza
astratta al di là dei proces- si
particolari e primari. Ma questa osservazione richiede un'inte- grazione importante in due direzioni. Oltre a
quei fenomeni macroscopici, che si
impongono da tutte le parti per la loro
estensione e per la loro importanza esterna, esiste un numero sterminato di forme di relazione e di modi di
azione reciproca tra gli uomini che sono
di dimensioni minori e meno appari-
scenti nei casi particolari, ma che vengono offerti da questi casi particolari in una quantità inestimabile e
che, sia pure infiltran- dosi tra le
formazioni sociali più comprensive, per così dire ufficiali, sono quelli che soli dànno origine
alla società quale noi la conosciamo. La
limitazione ai primi fenomeni ricorda la
scienza primitiva del corpo umano interno, che si limitava ai grandi organi, nettamente delimitati, come il
cuore, il fegato, i polmoni, lo stomaco
ecc., e trascurava invece gli innumerevoli
tessuti, privi di una denominazione popolare o non conosciuti, senza i quali quegli organi più distinti non
darebbero mai luogo a un corpo vivente.
Con le formazioni della specie sopra
indicata, che costituiscono gli oggetti tradizionali della scienza della società, non sarebbe assolutamente
possibile comporre la vita reale della
società così come si presenta nell’esperienza: GEORG SIMMEL 483 senza l’intervento di innumerevoli sintesi,
singolarmente meno comprensive — alle
quali devono essere in gran parte dedicate
queste indagini — la vita sociale si sfalderebbe in una moltepli- cità di sistemi discontinui. Ciò che rende
più difficile fissare scientificamente
tali forme sociali poco appariscenti, le rende al tempo stesso infinitamente importanti per la
più profonda com- prensione della
società: il fatto cioè che in generale esse non
sono ancora consolidate in formazioni stabili, sovra-individuali, ma mostrano la società per così dire allo
status nascens — natu- ralmente non nel
suo primo inizio assoluto, storicamente imper-
scrutabile, bensì in quello che si ha ogni giorno e ogni ora. L'associazione tra gli uomini si allaccia, si
scioglie e si riallac- cia
continuamente, come un eterno fluire e pulsare che incate- na gli individui, anche quando non perviene a
organizzazioni vere e proprie. Qui si
tratta quasi di processi microscopico-mole-
colari all’interno del materiale umano, i quali però costituisco- no l’accadere reale che si concatena o si
ipostatizza in quelle unità e sistemi
macroscopici e stabili. Il fatto che gli uomini si guardano l’un l’altro e che sono
reciprocamente gelosi; il fatto che si
scrivono lettere o pranzano insieme; il fatto che riescono simpatici o antipatici prescindendo
completamente da tutti gli interessi
tangibili; il fatto che la gratitudine per la prestazione altruistica produce nel tempo un vincolo
indissolubile; il fatto che uno chiede
la strada all’altro o si veste e si adorna per
l’altro — tutte le mille relazioni che si riflettono da persona a persona, momentanee o durevoli, coscienti o
inconscie, superfi- ciali o ricche di
effetti, da cui questi esempi sono scelti del
tutto a caso, ci legano in modo indissolubile. In ogni attimo questi fili vengono filati, vengono lasciati
cadere, ripresi di nuovo, sostituiti da
altri, intessuti con altri. Qui risiedono le
azioni reciproche — accessibili soltanto alla microscopia psicolo- gica — tra gli atomi della società, che
sorreggono tutta la tenacia ed
elasticità, tutta la varietà e unitarietà di questa vita così chiara e così enigmatica della società.
Si tratta di applicare il principio
delle azioni infinitamente numerose e infinitamente piccole anche alla prossimità caratteristica
della società, così come si è dimostrato
efficace nelle scienze che studiano la suc-
cessione — la geologia, la teoria dello sviluppo biologico, la sto- ria. I passi incommensurabilmente piccoli
producono la connes- 484 GEORG
SIMMEL sione dell’unità storica, e le
azioni reciproche, altrettanto imper-
cettibili, tra persona e persona producono la connessione dell’u- nità sociale. Soltanto ciò che accade nel
dominio dei contatti fisici e
spirituali, della causazione reciproca di piacere e di sofferenza, dei discorsi e dei silenzi, degli
interessi comuni e antagonistici,
soltanto questo costituisce la meravigliosa indisso- lubilità della società, il fluttuare della
sua vita con cui i suoi elementi
acquistano, perdono, spostano incessantemente il loro equilibrio. Forse con questo riconoscimento
la scienza della società può raggiungere
il punto che per la scienza della vita
organica ha rappresentato l’inizio della microscopia. Se fino ad allora l'indagine era limitata ai grandi
organi corporei, netta- mente divisi, le
cui differenze di forma e di funzione si presen- tavano evidenti, soltanto a questo punto il
processo vitale si è mostrato nel suo
legame con i suoi più piccoli portatori — le
cellule — e nella sua identità con le innumerevoli e incessanti azioni reciproche tra di esse. Soltanto
osservando come le cellu- le si uniscano
o si distruggano tra loro, si assimilino o si
influenzino chimicamente, è possibile comprendere a poco a poco come il corpo crei la sua forma, la
mantenga o la cambi. I grandi organi,
nei quali questi fondamentali portatori della
vita e le loro azioni reciproche si sono riuniti in formazioni particolari e in funzioni percepibili a
livello macroscopico, non avrebbero mai
permesso di comprendere la connessione della
vita se quegli innumerevoli processi, che si svolgono tra i più piccoli elementi e sono per così dire soltanto
riassunti da quel- li macroscopici, non
si fossero svelati come la vita vera e pro-
pria, la vita fondamentale. AI di là di ogni analogia sociologica o metafisica tra le realtà della società e
dell'organismo si tratta qui soltanto
dell’analogia del metodo di trattazione e del suo sviluppo; della scoperta dei tenui fili,
delle relazioni minime tra gli uomini,
dalla cui ripetizione continuativa vengono fon-
date e sorrette tutte quelle grandi formazioni che, diventate oggettive, presentano una storia vera e
propria. Questi processi primari, che
creano la società dall’immediato materiale indivi- duale, sono quindi da sottoporre a una
considerazione formale accanto ai
processi e alle formazioni superiori e più complica- te; e le particolari azioni reciproche che si
offrono in queste misure non del tutto
consuete all’analisi teorica devono essere
GEORG SIMMEL 485 esaminate come
forme costitutive della società, come parti del- l'associazione in generale. Anzi, a questi
tipi di relazione appa- rentemente privi
di importanza sarà opportuno dedicare una
considerazione tanto più approfondita quanto più la sociologia è solita trascurarli. Ma proprio con questa svolta le indagini qui
progettate sembrano destinate a
diventare nient'altro che capitoli della
psicologia, in ogni caso della psicologia sociale. Certamente non c’è nessun dubbio che tutti i processi e
gli istinti sociali hanno la loro sede
nelle anime, che l’associazione è un fenome-
no psichico e che nel mondo della realtà corporea non c'è nessuna analogia col suo fatto fondamentale,
che cioè una plura- lità di elementi si
traduce in unità, poiché in esso tutto rimane
confinato all’insuperabile esteriorità dello spazio. Qualsiasi acca- dimento esterno che possiamo indicare come
sociale sarebbe un gioco di marionette,
non più comprensibile e non più significa
tivo dell’ammassarsi delle nuvole o dell’incrociarsi dei rami di un albero, se non fossimo in grado di
riconoscere in modo del tutto evidente
motivazioni psichiche, sentimenti, pensieri, biso- gni non soltanto come portatori di quegli
elementi esteriori, ma anche come loro
elemento essenziale e come l’unico che
propriamente ci interessi. La comprensione causale di ogni acca- dere sociale sarebbe quindi raggiunta di
fatto quando le con- statazioni
psicologiche e il loro sviluppo permettessero di dedur- re completamente questi avvenimenti in
conformità a «leggi psicologiche » — per
quanto problematico ci appaia questo con-
cetto. E non c'è neppure nessun dubbio che gli aspetti dell’esi- stenza storico-sociale che noi possiamo
cogliere non sono altro che
concatenazioni psichiche, che ricostruiamo con una psicolo- gia istintiva o con una psicologia metodica e
riduciamo a un’in- terna plausibilità,
al senso di una necessità psichica degli svilup- pi in questione. In questo senso ogni storia,
ogni analisi di una situazione sociale è
un esercizio di sapere psicologico. Tuttavia
è della massima importanza metodologica, e addirittura decisi- vo per i princìpi delle scienze dello spirito
in generale, ricono- scere che la
trattazione scientifica di fatti psichici non ha affat- to bisogno di essere psicologia; anche dove
facciamo ininterrot- tamente uso di
regole e di conoscenze psicologiche, dove la
spiegazione di ogni fatto singolo è possibile soltanto per via 486 GEORG SIMMEL psicologica — come nell’ambito della
sociologia — il senso e l'intenzione di
questo procedimento non devono necessariamen-
te sfociare nella psicologia, cioè nella legge del processo psichi- co, che può portare soltanto un determinato
contenuto, ma deve pervenire proprio a
questo contenuto e alle sue configura-
zioni. Abbiamo qui una differenza soltanto di grado rispetto alle scienze della natura esterna che, in
quanto fatti della vita spirituale, si
svolgono anch'esse — in ultima analisi — soltanto nell’ambito dello spirito: la scoperta di
ogni verità astronomica o chimica, così
come la riflessione su di essa, è un avvenimento della coscienza che una psicologia compiuta
potrebbe dedurre integralmente soltanto
da condizioni e sviluppi psichici. Ma
quelle scienze sorgono in quanto assumono come proprio ogget- to, in luogo dei processi psichici, i loro
contenuti e le loro connessioni,
all'incirca come noi consideriamo un dipinto nel suo significato estetico e storico-artistico
e non lo deduciamo dalle oscillazioni
fisiche che costituiscono i suoi colori, e che
naturalmente creano e sorreggono l’intera esistenza reale del dipinto. È sempre na realtà che non possiamo
abbracciare scientificamente nella sua
immediatezza e totalità, ma che dob-
biamo cogliere da una serie di punti di vista separati e configu- rare quindi in una pluralità di oggetti di
scienze tra loro indi- pendenti. Ciò è
necessario anche nei confronti di quegli avveni- menti psichici i cui contenuti non si
raccolgono in un mondo spaziale
indipendente e non si contrappongono visivamente alla loro realtà psichica. Per esempio le
forme e le leggi di una lingua, che pure
è certamente formata soltanto da forze dell’ani- ma e per scopi dell'anima, vengono tuttavia
trattate da una scien- za linguistica
che prescinde del tutto da quella realizzazione data del suo oggetto e che lo rappresenta, lo analizza
e lo costruisce soltanto nel suo
contenuto oggettivo, insieme alle formazioni
esistenti soltanto in questo contenuto stesso. Analogamente av- viene con'i fatti dell’associazione. Che gli
uomini si influenzi- no l’un l’altro,
che uno faccia o subisca qualcosa, che presenti
un essere o un divenire, perché altri esistono o si manifestano, agiscono o sentono — tutto questo è
naturalmente un fenome- no psichico, e
la realizzazione storica di ogni singolo caso può essere compresa solamente attraverso una
rielaborazione psicolo- gica, attraverso
la plausibilità di serie psicologiche, attraverso GEORG SIMMEL 487 l’interpretazione di ciò che è constatabile
dall’esterno per mez- zo di categorie
psicologiche. Ma una particolare intenzione
scientifica può trascurare del tutto questo accadere psichico in quanto tale e seguirne, scomporne, metterne
in relazione i contenuti così come si
coordinano sotto il concetto di associazio-
ne. Si osservi per esempio come il rapporto di un individuo più potente con altri più deboli, che ha la forma
del primus inter pa- res, graviti in
modo tipico nel senso di tradursi in una posizione di potere assoluto del primo e di escludere a
poco a poco gli aspetti di eguaglianza.
Benché nella realtà storica questo sia
un processo psichico, a noi interessa ora soltanto dal punto di vista sociologico — come si dispongano qui i
diversi stadi di sovra-ordinazione e di
subordinazione, fino a qual punto in una
determinata relazione un rapporto di sovra-ordinazione sia compatibile con un rapporto di
equiparazione in altre rela- zioni, e a
partire da quale punto di preponderanza esso distrug- ga completamente quest’ultimo; se la
connessione, la possibilità di
cooperazione sia maggiore nel primo o nel successivo stadio di tale sviluppo, e così via. Oppure si
constata che gli antagoni- smi raggiungono
il massimo accanimento quando sorgono sulla
base di una precedente comunanza o appartenenza reciproca che sia ancora in qualche modo sentita, per
cui si indica come uno degli odi più feroci
quello tra consanguinei. Ciò potrà
essere reso comprensibile, anzi descritto, come avvenimento sol- tanto in termini psicologici. Ma, considerata
come formazione sociologica, non
interessa la serie psichica che si svolge in cia- scuno dei due individui, bensì la sinossi di
entrambe sotto la categoria dell’unione
e della discordia. Anche se la descrizione
singolare o tipica del processo può sempre essere soltanto psico- logica, ciò che ora importa è stabilire fino
a qual punto il rapporto tra due
individui o partiti possa implicare antagoni-
smo e appartenenza reciproca, per lasciare ancora al tutto la colorazione di quest’ultima o dargli quella
del primo; quali specie di appartenenza
reciproca, sotto forma di ricordo o di
istinto insopprimibile, forniscano i mezzi per danneggiare in modo più crudele e più profondamente lesivo
di quello possibi- le nel caso di una
precedente estraneità; in breve, come quell’os-
servazione debba essere presentata quale realizzazione di forme di relazione tra gli uomini, quale
particolare combinazione di 488 GEORG
SIMMEL categorie sociologiche essa
rappresenti. Riprendendo un accen- no precedente,
si può paragonare questo procedimento — pur
con tutte le differenze — alla deduzione geometrica che si compie su una figura disegnata sulla lavagna.
Tutto ciò che qui può essere dato e
visto sono tratti di gesso riportati fisica-
mente; ma ciò che noi intendiamo nella trattazione geometrica non sono questi tratti, bensì il loro
significato dal punto di vista del
concetto geometrico, che è completamente eterogeneo rispetto a quella figura fisica come
disposizione di particelle di gesso —
mentre d'altra parte possono essere inquadrati in cate- gorie scientifiche anche sotto la specie di
questa formazione fisica, facendo
oggetto di indagini particolari per esempio la
loro origine fisiologica o la loro composizione chimica o la loro impressione ottica. I dati della sociologia
sono dunque processi psichici, la cui
realtà immediata si offre in primo luogo alle
categorie psicologiche. Ma queste, pur essendo indispensabili per la descrizione dei fatti, rimangono al di
fuori dello scopo dell’osservazione
sociologica, il quale consiste piuttosto soltan- to nella realtà oggettiva dell’associazione
sorretta dai processi psichici e spesso
descrivibile solamente per mezzo di questi —
così come, per esempio, una composizione teatrale contiene dal- l’inizio alla fine processi psicologici, può
essere compresa soltan- to
psicologicamente, e tuttavia la sua intenzione non risiede in conoscenze psicologiche, bensì nelle sintesi
che i contenuti dei processi psichici
costituiscono dal punto di vista del tragico,
della forma artistica, dei simboli vitali ?. Se la dottrina dell’associazione in quanto
tale, distinta da tutte le scienze
sociali che sono determinate da un particolare
contenuto della vita sociale, è apparsa come l’unica scienza legittimata ad assumere senz'altro il nome di
scienza della so- cietà, l'importante
non sta naturalmente in questa denominazio-
a. L'introduzione di una nuova forma di considerazione dei fatti
deve sostenere i diversi aspetti del suo
metodo mediante analogie con campi
riconosciuti; ma soltanto il processo — forse senza fine — in cui il
prin- cipio determina le sue attuazioni
nell’ambito della ricerca concreta, e in
cui queste attuazioni legittimano il principio come fecondo, può
ripulire tali analogie dagli aspetti in
cui la diversità di materia copre l’eguaglian-
za formale che è ora decisiva. Ma questo processo le libera della
loro equivocità soltanto nella misura in
cui le rende superflue. GEORG SIMMEL
489 ne, bensì nella scoperta di quel
nuovo complesso di problemi particolari.
La polemica su ciò che significhi propriamente so- ciologia mi sembra assolutamente priva di
rilievo finché verte soltanto sul
riconoscimento di questo titolo ad ambiti di proble- mi già esistenti e trattati. Se invece per
indicare questo insie- me di compiti si
sceglie il titolo di sociologia con la pretesa di coprire completamente ed esclusivamente il
concetto di sociolo- gia, ciò dev'essere
ancora giustificato nei riguardi di un altro
gruppo di problemi che, non meno degli altri, cercano innega- bilmente — al di là delle scienze della
società determinate in base al contenuto
— di pervenire ad asserzioni sulla società in
quanto tale e considerata nel suo complesso. AI pari di ogni altra scienza esatta,
rivolta alla comprensione immediata del
dato, anche la scienza sociale è delimitata da
due campi filosofici. Il primo comprende le condizioni, i concet- ti fondamentali, i presupposti della ricerca
particolare, che non possono trovare
sistemazione in questa perché stanno piut-
tosto già a base di essa; nel secondo questa ricerca particolare viene recata a completamenti e a connessioni
e messa in relazio- ne con domande e
concetti, che non trovano posto nell’ambito
dell'esperienza e del sapere immediatamente oggettivo. Quello è la teoria della conoscenza, questo la
metafisica dei campi particolari in
questione. La seconda implica propriamente due
problemi, che però nell’effettiva trattazione concettuale restano di solito giustamente indivisi:
l’insoddisfazione per il carattere
frammentario delle conoscenze particolari, per la rapida fine delle constatazioni oggettive e delle serie
dimostrative conduce all'integrazione di
queste lacune con i mezzi della specula-
zione; e appunto questi mezzi servono all'esigenza paralle- la di integrare la mancanza di connessione e
la reciproca estra- neità di quei
frammenti nell'unità di un quadro complessivo.
Accanto a questa funzione metafisica, orientata verso il grado del conoscere, un’altra procede verso una
diversa dimensione dell’esistenza, nella
quale risiede il significato metafisico dei
suoi contenuti: noi la esprimiamo come il senso o lo scopo, come la sostanza assoluta tra i fenomeni
relativi, o anche come il valore o il
significato religioso. Di fronte alla società questa attitudine spirituale suscita domande come
questa: la società è lo scopo
dell’esistenza umana o un mezzo per l'individuo? non 490 GEORG SIMMEL è essa per l’individuo un mezzo, ma al
contrario un ostacolo? il suo valore consiste
nella sua vita funzionale o nella produzio-
ne di uno spirito oggettivo o nelle qualità etiche che essa desta nei singoli? nei tipici stadi di sviluppo
delle società si manife- sta un
“analogia cosmica, in modo tale che le relazioni sociali degli uomini debbano essere inserite in una
forma o in un ritmo generale, che di per
sé non compare nel fenomeno ma che fonda
tutti i fenomeni, e che guida anche le forze dei fatti materiali? può esserci in generale un
significato metafisico-reli- gioso di
collettività, oppure questo significato è riservato alle anime individuali? Ma queste e innumerevoli domande analoghe
non mi sem- brano possedere
quell’autonomia categoriale, quel caratteristico rapporto tra oggetto e metodo che le
legittimerebbe a fondare la sociologia
come una scienza nuova, coordinata con quelle
esistenti. Tutte queste sono infatti senz'altro domande filosofi che, e il fatto che esse abbiano assunto come
loro oggetto la società significa
soltanto l’estensione a un campo più vasto di
un modo di conoscenza già dato nella sua struttura. Che si riconosca oppure no la filosofia come
scienza, la filosofia della società non
ha alcun diritto di sottrarsi ai vantaggi o agli svantaggi della sua appartenenza alla
filosofia in generale attra- verso la
costituzione in una particolare scienza sociologica. Non diversamente stanno le cose con i problemi
filosofici che non hanno la società come
loro presupposto (come nel caso dei
precedenti), ma che ricercano invece essi stessi i presup- posti della società — non già in senso
storico, come se si dovesse descrivere
il sorgere di una qualche società particolare
o le condizioni fisiche e antropologiche sulla cui base può sorge- re una società. Né si tratta qui degli
stimoli particolari che muovono il loro
soggetto quando incontra altri soggetti e i cui
modi sono descritti dalla sociologia. Si tratta invece di questo: quando un soggetto siffatto sussiste, quali
sono i presupposti della sua coscienza
di costituire un essere sociale? In quelle
parti considerate di per sé non si ha ancora una società; ma essa è già reale nelle forme di azione
reciproca: quali sono dunque le condizioni
interne e di principio in base alle quali
gli individui forniti di tali stimoli dànno origine alla società in generale, l’a priori che rende possibile e
forma la struttura GEORG SIMMEL
491 empirica dell'individuo in quanto
essere sociale? Come sono possibili non
soltanto le formazioni particolari che sorgono em- piricamente, e che rientrano nel concetto
generale di società, ma la società in
generale come forma oggettiva di anime sog-
gettive ? ExCURSUS SUL
PROBLEMA: COME È POSSIBILE LA SOCIETÀ?
Kant poteva porre e dare una risposta alla questione fonda- mentale della sua filosofia — come è
possibile la natura? — soltanto perché
per lui la natura non era altro che la rappresen- tazione della natura. Ciò non significa
soltanto che «il mondo è la mia
rappresentazione », e che noi possiamo quindi parlare anche della natura solamente in quanto essa è
un contenuto della nostra coscienza; ma
significa che ciò che chiamiamo natura è
un modo particolare in cui il nostro intelletto racco- glie, ordina, dà forma alle sensazioni.
Queste sensazioni « da- te » — del
colorato e del gustabile, dei suoni e delle temperatu- re, delle resistenze e degli odori — che
attraversano la nostra coscienza nella
successione accidentale di un'esperienza vissuta soggettiva, non sono di per sé ancora «
natura », ma lo diventa- no attraverso
l’attività dello spirito che le compone in ogget- ti e in serie di oggetti, in sostanze e in
proprietà, in collegamen- ti causali.
Così come ci sono dati immediatamente, gli elementi del mondo non posseggono per Kant quella
conmessione che sola costituisce l'unità
comprensibile, e conforme a leggi della
natura, o meglio che significa appunto l’essere-natura di quei frammenti di mondo in sé incoerenti e
manifestantisi senza regola. Così
l’immagine kantiana del mondo si delinea in un
contrappunto quanto mai caratteristico: le nostre impressioni sensibili sono per lui puramente soggettive,
poiché dipendono dall’organizzazione
fisico-psichica — che in altri esseri potreb-
be essere diversa — e dall’accidentalità dei suoi stimoli, e esse diventano «oggetti» quando vengono accolte
dalle forme del nostro intelletto,
configurate da queste in regolarità stabili e in un'immagine coerente della « natura »j ma
d'altra parte quelle sensazioni sono pur
sempre il dato reale, il contenuto del mon-
do da assumere nella sua invariabilità e la garanzia di un 492 GEORG SIMMEL essere indipendente da noi, cosicché ora
proprio quelle elabora- zioni
intellettuali delle sensazioni in forma di oggetti, di con- nessioni, di regolarità causali appaiono come
soggettive, come qualcosa di aggiunto da
noi in antitesi a ciò che riceviamo
dall’esistenza, come le funzioni dell’intelletto stesso che — esse pure immutabili — avrebbero con un altro
materiale sensibile formato una natura
diversa per contenuto. La natura è per
Kant un determinato modo di conoscere, un’immagine che si sviluppa attraverso le nostre categorie
conoscitive e in esse. La questione:
come è possibile la natura? — ossia quali sono le condizioni che devono sussistere perché vi
sia una natura — si risolve quindi per
lui mediante la ricerca delle forme che costi-
tuiscono l’essenza del nostro intelletto e che in tal modo produ- cono la natura in quanto tale. Si sarebbe tentati di trattare in modo
analogo la questione delle condizioni 4
priori in base alle quali è possibile la
società. Infatti anche qui sono dati elementi individuali che in certo senso sussistono anch'essi nella loro
esteriorità reciproca, al pari delle
sensazioni, e raggiungono la loro sintesi nell’unità di una società soltanto attraverso un
processo di coscienza che pone l'essere
individuale del singolo elemento in relazione con quello dell’altro in determinate forme e
secondo determinate regole. Ma la
differenza decisiva tra l’unità di una società e l’unità della natura consiste in questo: che
la seconda — dal punto di vista kantiano
qui presupposto — sussiste esclusiva-
mente nel soggetto conoscente e viene prodotta esclusivamente da lui sulla base degli elementi sensibili di
per sé privi di legame, mentre l’unità
sociale viene realizzata senz'altro dai
suoi elementi, poiché essi sono coscienti e sinteticamente attivi, e non ha bisogno di alcun osservatore. Il
principio kantiano secondo il quale la
connessione non può mai risiedere nelle
cose, poiché viene posta in essere soltanto dal soggetto, non vale per ia connessione sociale, che di fatto
si compie piuttosto immediatamente nelle
« cose » — che qui sono le anime indivi-
duali. Anch’essa rimane naturalmente, come sintesi, qualcosa di puramente psichico e senza parallelo con
le formazioni spa- ziali e con le loro
azioni reciproche. Ma l’unificazione non ha
qui bisogno di nessun fattore al di fuori dei suoi elementi, perché ciascuno di questi esercita la
funzione che nei confronti GEORG
SIMMEL 493 del mondo esterno compie
l’energia psichica dell'osservatore: la
coscienza di costituire con gli altri un’unità è qui effettiva- mente tutta l’unità in questione.
Naturalmente ciò non designa la
coscienza astratta del concetto di unità, bensì le innumerevo- li relazioni singolari, il sentimento e il
sapere di questo determi- nare e venir
determinato nei confronti degli altri, e d’altra parte non esclude affatto che un terzo
osservatore compia anco- ra tra le
persone una sintesi fondata soltanto su di lui, al pari che tra gli elementi spaziali. Quale settore
dell’essere dato al- l'intuizione
esterna debba essere raccolto in un’unità non risul- ta dal suo contenuto immediato e
semplicemente oggettivo, ma viene
determinato dalle categorie del soggetto e in base ai suoi bisogni conoscitivi. La società è invece
l’unità oggettiva che non ha bisogno
dell'osservatore non compreso in essa.
Le cose della natura sono da una parte assai più distanti tra loro che non le anime: l’unità di un uomo con
l’altro — che è implicita nel
comprendere, nell'amore, nell'opera comune —
non trova alcuna analogia nel mondo spaziale, in cui ogni essere occupa il suo posto che non può
dividere con nessun altro. Ma d’altra
parte i frammenti dell’essere spaziale si com-
pongono, nella coscienza dell’osservatore, in un’unità che di nuo- vo non viene raggiunta dall’insieme degli
individui. Infatti, dal momento che gli
oggetti della sintesi sono qui esseri indi-
pendenti, centri psichici, unità personali, essi si ribellano con- tro quell’assoluto comporsi nell'anima di un
altro soggetto, al quale deve adattarsi
il « disinteresse » delle cose inanimate. Co-
sì un gruppo di uomini è un’unità in misura molto superiore realiter, ma idealiter in misura molto
inferiore di quanto un tavolo, sedie, un
divano, un tappeto e uno specchio non costitui-
scano l’«ammobiliamento di una stanza » o di quanto un fiu- me, un prato, alberi, una casa non
costituiscano «un paesag- gio », o, su
un dipinto, « un quadro ». — La società è « la mia rappresentazione », ossia poggia
sull’attività della coscienza, in un
senso del tutto diverso dal mondo esterno. Infatti l’altra anima ha per me appunto la stessa realtà che
possiedo io, cioè una realtà che si
differenzia molto da quella di una cosa mate-
riale. Per quanto Kant garantisca che gli oggetti spaziali han- no esattamente la medesima sicurezza della
mia propria esisten- za, con
quest’ultima possono essere intesi soltanto i singoli 494 GEORG SIMMEL contenuti della mia vita soggettiva:
infatti il fondamento del rappresentare
in generale, il sentimento dell'io, possiede una incondizionatezza e una incrollabilità che
non viene conseguita da nessuna
particolare rappresentazione di un oggetto esterno materiale. Ma anche il fatto del tu possiede
per noi — si possa o no giustificarla —
questa stessa sicurezza; € come causa o
come effetto di questa sicurezza noi sentiamo il tu come qualco- sa di indipendente dalla nostra
rappresentazione di esso, qualco- sa che
esiste di per sé esattamente come la nostra propria esistenza. Che questo per-sé dell’altro non
ci impedisca tuttavia di farne una
nostra rappresentazione, che qualcosa che non si può risolvere affatto nel nostro
rappresentare divenga cionono- stante
contenuto, e quindi anche prodotto di questo rappresen- tare — questo è lo schema e il problema
psicologico-gnoseologi- co più profondo
dell’associazione. Entro la nostra coscienza
noi distinguiamo molto esattamente tra la fondamentalità del- l'io, presupposto di ogni rappresentare, la
quale non partecipa alla problematica
dei suoi contenuti che non si può mai mette-
re completamente da parte, e questi contenuti che, col loro andare e venire, con la loro dubitabilità e
correggibilità, si presentano come
semplici prodotti di quella forza ed esistenza
assoluta e ultima del nostro essere psichico. Ma noi dobbiamo trasporre nell’altra anima, anche se in ultima
analisi la rappre- sentiamo pure,
appunto queste condizioni, (e) piuttosto questi
aspetti incondizionati del nostro io; essa possiede per noi quel- la misura estrema di realtà che il nostro io
possiede di fronte ai suoi contenuti e
che siamo sicuri debba spettare anche a
quell’altra anima nei confronti dei suoi contenuti. In queste circostanze la questione come sia possibile
la società riveste un senso metodologico
completamente diverso dalla questione co-
me sia possibile la natura. Infatti alla seconda rispondono le forme conoscitive mediante le quali il
soggetto compie la sinte- si di elementi
dati nella « natura », mentre alla prima rispondo- no invece le condizioni poste 4 priori negli
elementi stessi, in virtù delle quali
essi si associano realmente nella sintesi « socie- tà ». In certo senso l’intero contenuto di
quest'opera, così come si sviluppa in
base al principio che abbiamo stabilito, è un
inizio di risposta a tale questione. Infatti essa indaga i processi che si compiono in ultima analisi negli
individui e che condi- GEORG SIMMEL
495 zionano il loro essere-società —
non già come cause antecedenti rispetto
a questo risultato, bensì come processi parziali della sintesi che noi chiamiamo riassuntivamente
società. Ma la que- stione dev'essere
intesa anche in un senso più fondamentale.
Ho detto che la funzione di attuare l’unità sintetica, che nei confronti della natura riposa sul soggetto
osservatore, nei con- fronti della
società sarebbe passata appunto agli elementi di questa. La coscienza di costituire una
società non è presente all'individuo in
maniera astratta, ma ognuno sa pur sempre
che l’altro è legato a lui, per quanto questo sapere dell’altro come associato, questo conoscere tutto il
complesso come socie- tà si attui di
solito soltanto in particolari contenuti concreti. Ma forse le cose qui non stanno diversamente
che nel caso dell’« unità del conoscere
», secondo la quale noi procediamo nei
processi della coscienza coordinando un contenuto concreto con l’altro, senza tuttavia averne una
coscienza distinta se non in rare e
tardive astrazioni. La questione è dunque la seguente: qual è in linea del tutto generale e 4 priori
il fondamento, quali presupposti devono
agire affinché i particolari processi
concreti della coscienza individuale siano realmente processi di socializzazione, quali elementi in essi
contenuti permettono che la loro
funzione sia, in termini astratti, quella di costruire un’unità sociale in base agli individui? Le
apriorità sociologi- che avranno lo
stesso doppio significato di quelle che « rendono possibile» la matura: da una parte esse
determineranno, in maniera più compiuta
o più difettosa, i processi reali di associa-
zione; d’altra parte esse costituiscono i presupposti ideali e logici della società perfetta, anche se forse
mai realizzata in questa perfezione —
così come la legge causale da un lato vive
e opera negli effettivi processi della conoscenza e dall'altro
costi- tuisce la forma della verità in
quanto sistema ideale di cono- scenze
compiute, indipendentemente dal fatto che questa venga realizzata attraverso tale dinamica psichica
temporale e relativa- mente accidentale
oppure no, e indipendentemente dalla mag-
giore o minore approssimazione della verità realmente presen- te nella coscienza alla verità idealmente
valida. È una pura questione di titolo
se l'indagine di queste con- dizioni del
processo di socializzazione debba essere definita gnoseologica oppure no, poiché la formazione
che ne deriva, e 496 GEORG SIMMEL che è regolata dalle sue forme, non
consiste in conoscenze, bensì in
processi e stati esistenziali pratici. Ma ciò che qui intendo, e che dev'essere esaminato dal punto
di vista delle sue condizioni come il
concetto generale di associazione, è qualcosa
di conoscitivo: la coscienza di associarsi o di essere associati. Forse lo si definirebbe meglio un sapere che
non un conoscere. Infatti il soggetto
non sta qui di fronte a un oggetto di cui
esso acquisti gradualmente un'immagine teorica, ma la coscien- za dell’associazione è immediatamente il suo
sostegno o il suo intimo significato. Si
tratta dei processi dell’azione reciproca, i
quali per l'individuo significano il fatto — non astratto, ma tuttavia suscettibile di espressione astratta
— di essere asso- ciato. Quali forme
debbano stare a base di essi, ossia quali
categorie specifiche l’uomo debba per così dire recare con sé affinché sorga questa coscienza, quali siano
perciò le forme che la coscienza così
sorta — la società come un fatto di sapere —
deve sorreggere, tutto ciò può ben essere chiamato la teoria della conoscenza della società. Cercherò qui
di delineare come esempio di una tale
indagine alcune di queste condizioni o
forme 2 priori dell’associazione, le quali non possono certamen- te essere designate con ur4 sola parola come
le categorie kan- tiane. I. L'immagine che un uomo si fa di un altro
in base al contatto personale è condizionata
da certi spostamenti che non sono
semplici illusioni dovute a un'esperienza incompiuta, a deficiente acutezza della vista, a pregiudizi
simpatici o antipati- ci, ma sono
modificazioni di principio della costituzione dell’og- getto reale. E queste si muovono anzitutto in
due dimensioni. Noi vediamo l’altro in
qualche misura generalizzato, forse per-
ché non ci è dato di rappresentare pienamente in noi un’indivi- dualità divergente dalla nostra. Ogni
riproduzione di un'anima è condizionata
dalla somiglianza con essa, e sebbene questa
non sia assolutamente l’unica condizione del conoscere psichi- co — poiché appare necessaria da un lato una
contemporanea diseguaglianza, per poter
acquistare distanza e oggettività, dal-
l’altro una capacità intellettuale che rimane al di là dell’egua- glianza o diseguaglianza dell'essere —
tuttavia il conoscere per- fetto
presupporrebbe un’eguaglianza perfetta. Sembra che ogni GEORG SIMMEL 497 uomo abbia in sé un punto di individualità
più profondo che non può essere
internamente riprodotto da nessun altro uomo
nel quale questo punto sia qualitativamente divergente. E il fatto che questa esigenza non sia
conciliabile, già sotto il profi- lo
logico, con quella distanza e valutazione oggettiva sulle qua- li poggia inoltre la rappresentazione
dell’altro, dimostra soltan- to che ci è
negato il sapere perfetto intorno all’individualità dell’altro; e tutti i rapporti degli uomini
tra loro sono condizio- nati dal diverso
grado di questo difetto. Quale che sia la sua
causa, la conseguenza è però in ogni caso una generalizzazione dell'immagine psichica dell’altro, uno
sfumare dei contorni che aggiunge
all’unicità di questa immagine una relazione con al- tre. Noi rappresentiamo ogni uomo — con
particolari conse- guenze per il nostro
rapporto pratico con lui — come il tipo
di uomo al quale la sua individualità lo fa appartenere; lo pensiamo, insieme a tutta la sua singolarità,
sotto una catego- ria generale che
certamente non lo ricopre del tutto e che egli
non ricopre del tutto, e in virtù di tale determinazione questo rapporto si differenzia dal rapporto tra il
concetto generale e il particolare che
in esso rientra. Per conoscere l’uomo noi non lo vediamo nella sua pura individualità, ma lo
vediamo sorretto, elevato o anche
abbassato dal tipo generale al quale lo assegnia- mo. Anche quando questa trasformazione è così
impercettibile che non possiamo più
riconoscerla immediatamente, anche quan-
do vengono meno tutti i consueti concetti caratterologici — mo- rale o immorale, libero o vincolato, signorile
o servile ecc. — noi denominiamo
internamente l’uomo secondo un tipo tacito
col quale il suo puro essere per sé non coincide. E ciò conduce ancora un gradino più in giù.
Proprio in base alla piena unicità di
una personalità noi ci formiamo
un'immagine di essa che non è identica alla sua realtà, ma che tuttavia non è un tipo generale, ma è
piuttosto l’immagine che egli
mostrerebbe se fosse per così dire interamente se stesso, se realizzasse, in senso buono o cattivo, la
possibilità ideale insita in ogni uomo.
Noi siamo tutti frammenti non soltanto dell’uo-
mo in generale, ma anche di noi stessi. Noi siamo tutti ab- bozzi non soltanto del tipo uomo in generale,
non soltanto del tipo del buono e del
cattivo e simili, ma siamo abbozzi anche
di quella individualità e unicità di noi stessi — non più denomi- 32. STORICISMO TEDESCO. 498 GEORG SIMMEL nabile in linea di principio — la quale
circonda, quasi disegna- ta con linee
ideali, la nostra realtà percepibile. Lo sguardo dell’altro integra però questo materiale
frammentario in quel che noi non siamo
mai puramente e interamente. Egli non può
vedere soltanto uno accanto all’altro i frammenti che sono real- mente dati, ma come noi completiamo la
macchia cieca nel nostro campo visivo in
modo tale che non si è coscienti di
essa, così da questo materiale frammentario perveniamo alla compiutezza della sua individualità. La
prassi della vita ci spinge a formare
l’immagine dell’uomo soltanto in base ai
frammenti reali che conosciamo empiricamente di lui; ma essa poggia appunto su quelle modificazioni e
integrazioni, sulla trasformazione di
quei frammenti dati nella generalità di un
tipo e nella compiutezza della personalità ideale. Questo procedimento di principio, anche se
in realtà rara- mente attuato fino alla
perfezione, opera nell’ambito della socie-
tà già esistente come l’a priori delle ulteriori azioni reciproche che si sviluppano tra gli individui. Entro
una cerhia legata da una qualche
comunanza di professione o di interessi ogni mem- bro vede l’altro non già in modo puramente
empirico, ma in base a un 4 priori che
questa cerchia impone a ogni coscienza
che ne faccia parte. Nelle cerchie degli ufficiali, dei fedeli di una chiesa, dei funzionari, dei dotti, dei
familiari ognuno ve- de l’altro partendo
dall’ovvio presupposto che egli è un mem-
bro della sua cerchia. Dalla base di vita comune scaturiscono certe supposizioni attraverso le quali ci si
guarda reciprocamen- te come attraverso
un velo. Certamente questo non soltanto
nasconde il carattere specifico della personalità, ma le conferi- sce una nuova forma, fondendosi con la sua
consistenza indivi- duale-reale in una
formazione unitaria. Noi vediamo l’altro
non già semplicemente come individuo, bensì come collega o camerata o compagno di partito, in breve come
coabitatore del medesimo mondo particolare;
e questo presupposto inevitabile, che
opera in modo del tutto automatico, è uno dei mezzi per portare la sua personalità e la sua realtà
nella rappresentazione dell’altro alla
qualità e alla forma richiesta dalla sua sociabilità. Ciò vale evidentemente per il rapporto tra
appartenenti a cerchie diverse. Il
borghese che fa la conoscenza di un ufficiale
non può affatto liberarsi dal pensiero che questo individuo è un GEORG SIMMEL 499 ufficiale; e per quanto l’essere ufficiale
possa far parte di questa individualità,
non ne fa però parte nell’identica forma schemati- ca in cui, nella rappresentazione dell’altro,
ne pregiudica l’im- magine. E così
accade al Protestante di fronte al Cattolico, al commerciante di fronte al funzionario, al
laico di fronte al sacerdote, e così
via. Ovunque abbiamo qui offuscamenti del
profilo della realtà ad opera della generalizzazione sociale, i quali ne precludono in linea di principio la
scoperta nell’ambi- to di una società
socialmente assai differenziata. Così l’uomo
incontra nella rappresentazione dell’uomo spostamenti, sottra- zioni e integrazioni — poiché la
generalizzazione è sempre, nel medesimo
tempo, più o meno dell’individualità — rispetto a tutte queste categorie operanti 4 priori:
rispetto al suo tipo come uomo, all’idea
del suo proprio compimento, alla collettivi-
tà sociale a cui egli appartiene. Su tutto ciò aleggia — come principio euristico del conoscere — l’idea
della sua determina- tezza reale,
assolutamente individuale. Ma mentre sembra che
l'acquisizione di questa determinatezza conduca a una relazio- ne correttamente fondata con lui, di fatto
quelle modificazioni e formazioni nuove
che ostacolano la sua conoscenza ideale
sono proprio le condizioni in virtù delle quali diventano possibi- li le relazioni, che sole conosciamo come
sociali, all’incirca co- me in Kant le
categorie dell'intelletto, che formano i dati
immediati in oggetti del tutto nuovi, rendono esse soltanto conoscibile il mondo dato. II. Un’altra categoria sotto la quale i
soggetti guardano se stessi e si
guardano reciprocamente, in modo da poter produrre — così formati — la società empirica, può
venir formulata con la proposizione apparentemente
banale che ogni elemento di un gruppo
non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa. Ciò opera come 4 priori
sociale nella misura in cui la parte
dell’individuo che non è rivolta alla società o
non si risolve in essa mon se ne sta semplicemente priva di relazione accanto alla sua parte socialmente
significativa, cioè non è soltanto un
corpo estraneo alla società a cui questa,
volente o nolente, fa posto. Il fatto che l’individuo non sia per certi aspetti elemento della società
costituisce la condizione posi- tiva
della possibilità di esserlo con altri aspetti del suo essere: 500 GEORG SIMMEL il modo del suo essere-associato è
determinato o condeterminato dal modo
del suo non-essere-associato. Dalle indagini seguenti risulteranno alcuni tipi il cui significato
sociologico è fissato, addirittura nel
suo nucleo e nella sua essenza, dal fatto che essi sono in qualche modo esclusi dalla società
per la quale la loro esistenza è
significativa: così avviene nel caso dello straniero, del nemico, del criminale, perfino del
povero. Ma ciò non vale soltanto per
questi caratteri generali, ma anche, in innumerevo- li modificazioni, per qualsiasi fenomeno
individuale. Il fatto che ogni momento
ci trovi circondati da relazioni con uomini e
che il suo contenuto ne sia determinato direttamente o indiretta- mente non parla affatto in senso contrario;
l’inserimento socia- le in quanto tale
riguarda appunto esseri che non sono comple-
tamente abbracciati da esso. Del funzionario sappiamo che non è soltanto funzionario, del commerciante che
non è soltanto commerciante,
dell’ufficiale che non è soltanto ufficiale; e que- sto essere extra-sociale, il suo temperamento
e il precipitato dei suoi destini, i
suoi interessi e il valore della sua personalità, per quanto poco possano modificare la sostanza
delle attività com- piute quale
funzionario, commerciante, militare, gli conferisco- no tuttavia ogni volta — per chiunque gli
stia di fronte — una determinata zuance
e intrecciano nella sua immagine sociale
imponderabili elementi extra-sociali. L'intero sistema di rappor- ti degli uomini nell’ambito delle categorie
sociali sarebbe diver- so se ognuno si
presentasse all’altro soltanto come quel che è
nella sua categoria, come portatore del ruolo sociale che pro- prio ora gli spetta. Certamente gli
individui, al pari delle pro- fessioni e
delle situazioni sociali, si differenziano secondo la misura di quell’«inoltre» che essi possiedono
o ammettono insieme con il loro contenuto
sociale. Un polo di questa serie è
costituito per esempio dall'uomo nei rapporti di amore o di amicizia. Qui ciò che l’individuo riserva per
sé, al di là degli sviluppi e delle
attività rivolte all’altro, può avvicinarsi quanti- tativamente al valore-limite zero; siamo in
presenza di un’uni- ca vita, che può
essere considerata o viene vissuta per così dire da due lati — per un verso dal lato interno,
dal terminus a quo del soggetto, e poi
anche, come vita del tutto immutata, nella
direzione dell’individuo amato, sotto la categoria del suo termi nus ad quem, che essa accoglie senza residuo.
Sotto una tenden- GEORG SIMMEL
501 za del tutto diversa il sacerdote
cattolico presenta un fenome- no
formalmente identico, nel senso che la sua funzione ecclesia- stica ricopre e ingloba completamente il suo
essere-per-sé indivi- duale. Nel primo
di questi casi estremi l’« inoltre » dell’attivi- tà sociologica scompare, perché il suo
contenuto si è risolto completamente nel
rivolgersi all'individuo che gli sta di fron-
te, nel secondo perché il tipo corrispondente di contenuti è scomparso in linea di principio. Il polo
opposto è offerto per esempio dai
fenomeni della cultura moderna determinata dall’e- conomia monetaria, nella quale l'uomo come
produttore, com- pratore o venditore, e
in generale come soggetto di una presta-
zione, si avvicina all’ideale dell’oggettività assoluta.
Prescinden- do dalle posizioni elevate,
di carattere direttivo, la vita indivi-
duale e cioè il tono della personalità complessiva è scomparso dalla prestazione; gli uomini sono soltanto i
portatori di un equilibrio di
prestazione e contro-prestazione regolato secondo norme oggettive, e tutto ciò che non fa parte
di questa pura oggettività è anche di
fatto sparito da essa. L’«inoltre» ha
assorbito completamente in sé la personalità con la sua colora- zione particolare, la sua irrazionalità, la
sua vita interiore, lasciando a quelle
attività sociali — nettamente separate — sol-
tanto le energie ad esse specifiche.
Gli individui sociali si muovono sempre tra questi estremi, in modo tale che le energie e le
determinatezze rivolte al centro interno
mostrano un qualche significato per le attività e il modo di sentire validi per l’altro.
Infatti — nel caso-limite — perfino la
coscienza che quest'attività o questo stato d’animo sociale sia qualcosa di separato dal resto
dell’uomo e 707 entri, con ciò che egli
è e significa altrimenti, nella relazione sociolo- gica, ha un'influenza del tutto positiva
sull’atteggiamento che il soggetto
assume di fronte agli altri e che gli altri assumono di fronte ad esso. L’a priori della vita
sociale empirica è il fatto che la vita
non è del tutto sociale; noi formiamo le nostre
relazioni reciproche non soltanto con la riserva negativa di una parte della nostra personalità che non entra
in esse, e questa parte influisce sui
processi sociali nell'anima non soltanto me-
diante connessioni psicologiche generali, ma proprio il fatto formale che essa sta al di fuori di tali
processi determina il modo di questa
influenza. — Il fatto che le società siano forma- 502 GEORG SIMMEL zioni derivanti da esseri che stanno allo
stesso tempo dentro e fuori di esse è
anche alla base di una delle più importanti
formazioni sociologiche: quella, cioè, per cui tra una società e i suoi individui può sussistere — anzi forse,
in modo più aperto o più latente,
sussiste sempre — un rapporto simile a quello tra due partiti. In tal modo la società produce
forse la più coscien- te, almeno la più
generale configurazione di una forma fonda-
mentale della vita in genere: il fatto che l’anima individuale non può mai stare in una connessione senza
stare contempora- neamente al di fuori
di essa, che non è mai inserita in un
ordinamento senza trovarsi nel medesimo tempo contrapposta ad esso. Ciò va dalle connessioni
trascendenti e generalissime fino alle
più singolari e accidentali. L'uomo religioso si sente completamente circondato dall’essere divino,
come se fosse sol- tanto un battito
della vita divina, e la sua propria sostanza è
data senza riserve, anzi in una mistica indistinzione con quella dell’assoluto. Eppure, per dare anche
soltanto un senso a questa fusione, egli
deve conservare un qualche essere autonomo, un
termine personale a lui contrapposto, un io separato per il quale la risoluzione in questo essere divino
onnicomprensivo rappresenta un compito
infinito, un processo che non sarebbe né
metafisicamente possibile né religiosamente percepibile se non partisse da un essere per sé del
soggetto: l’essere-uno con Dio è
condizionato nel suo significato dall’essere-altro rispetto a Dio. AI di là di questo innalzamento nel
trascendente la relazione che lo spirito
umano rivendica, attraverso tutta la sua
storia, con la natura come un tutto rivela la medesima forma. Noi ci sappiamo da un lato inseriti
nella natura, come uno dei suoi prodotti
che sta da eguale tra eguali accanto a
qualsiasi altro, come un punto che le sue materie ed energie raggiungono e abbandonano, nello stesso modo
in cui circolano attraverso l’acqua
corrente e la pianta in fiore. E tuttavia l’ani- ma ha il sentimento di un essere-per-sé
indipendente da tutti questi intrecci e
da queste relazioni, che si designa col con-
cetto — così malsicuro sotto il profilo logico — di libertà, il quale offre a tutto questo meccanismo, di cui
noi siamo pur tuttavia un elemento, un
termine contrapposto e un ripagamen- to
che culmina nel radicalismo per il quale la natura viene considerata soltanto una rappresentazione
presente nelle anime GEORG SIMMEL
503 umane. Come però qui la natura,
con tutta la sua propria innegabile
legalità e con la sua dura realtà, è pur sempre inclu- sa nell’io, così d’altra parte questo io, con
tutta la sua libertà e il suo essere per
sé, con la sua antitesi nei confronti della
mera natura, è pur sempre un elemento di essa. La connessione usurpatrice della natura è appunto tale che
essa comprende questo essere autonomo,
anzi spesso ostile ad essa, e che ciò
che nel suo più profondo sentimento vitale sta al di fuori dev'essere invece un suo elemento. Questa
formula vale egual- mente per il
rapporto tra gli individui e le singole cerchie dei loro legami sociali, oppure — se questi
vengono riassunti nel concetto o nel
sentimento di essere associati in generale — per il rapporto tra gli individui in quanto tale.
Noi ci sappiamo da una parte prodotti
della società: la serie fisiologica degli antena- ti, i loro adattamenti e le loro fissazioni,
le tradizioni del loro lavoro, del loro
sapere e delle loro credenze, l’intero spirito del passato cristallizzato in forme oggettive
determinano le disposi- zioni e i
contenuti della nostra vita, cosicché può sorgere la questione se l'individuo sia qualcosa di
diverso da un recipiente nel quale si
mescolano in misura variabile elementi preesistenti. Infatti, anche se questi elementi fossero in
ultima analisi pro- dotti dagli
individui, il contributo di ognuno sarebbe una gran- dezza infinitesimale, e soltanto mediante il
loro riunirsi in spe- cie e in società
si produrrebbero i fattori nella cui sintesi consi- sterebbe poi di nuovo l’individualità che si
può specificare. D'altra parte noi ci
sappiamo membri della società, intessuti
con il nostro processo vitale, con il suo senso e il suo scopo in modo tanto poco indipendente nella sua
prossimità come nella sua successione.
Come non possediamo un essere per noi in
quanto esseri naturali, perché la circolazione degli elementi naturali pervade tanto noi quanto formazioni
completamente prive di un io, e
l'eguaglianza di fronte alle leggi naturali
risolve senza residui la nostra esistenza in un mero esempio del- la loro necessità, così in quanto esseri
sociali non viviamo intor- no a un
centro autonomo, ma siamo in ogni attimo composti dalle relazioni reciproche con gli altri; e
in tal modo siamo comparabili con la
sostanza corporea, che per noi sussiste soltan-
to più come somma di molteplici impressioni sensibili, ma non come esistenza di per sé. Noi sentiamo però
che questa diffusio- 504 GEORG
SIMMEL ne sociale non risolve
completamente la nostra personalità. Non
si tratta soltanto delle riserve già avanzate, di particolari contenuti il cui senso e il cui sviluppo
risiedono 4 priori solamen- te
nell'anima individuale e non trovano assolutamente posto nella connessione sociale; non si tratta
soltanto della formazione dei contenuti
sociali, la cui unità come anima individuale non ha essa stessa carattere sociale, così come la
forma artistica nella quale confluiscono
le macchie di colore sulla tela non è deriva-
bile dall’essenza chimica dei colori. Si tratta, in primo luogo, del fatto che l’intero contenuto della vita,
per quanto possa essere completamente
spiegato in base agli antecedenti sociali e
alle relazioni reciproche, dev'essere contemporaneamente consi- derato sotto la categoria della vita
individuale, come espe- rienza vissuta
dell’individuo e interamente orientata verso di
esso. L'uno e l’altro elemento non sono che categorie diverse sotto le quali ricade lo stesso contenuto,
proprio come la mede- sima pianta può
essere vista ora nelle condizioni biologiche del suo sviluppo, ora nella sua utilizzabilità
pratica, o ancora sotto il profilo del
suo significato estetico. Il punto di vista dal quale l’esistenza dell’individuo viene ordinata e
compresa può esse- re scelto tanto
all’interno quanto all’esterno di esso; la tota- lità della vita, con tutti i suoi contenuti
socialmente derivabili, può essere tanto
concepita come il destino centripeto del suo
portatore, quanto valere — con tutte le sue parti riservate all’in- dividuo — come prodotto ed elemento della
vita sociale. Il fatto
dell’associazione colloca dunque l’individuo nella du- plice posizione dalla quale sono partito:
egli è compreso in essa e
contemporaneamente si contrappone ad essa, è un ele- mento del suo organismo e al tempo stesso è
un tutto organico concluso, è un essere
per essa e un essere per sé. Ma l’aspetto
essenziale e il senso del particolare 4 priori sociologico che si fonda su tale fatto è che tra individuo e
società l’interno e l'esterno non
costituiscono due determinazioni sussistenti l’una accanto all’altra — benché si possano
occasionalmente sviluppa- re anche in
questo modo, fino all’ostilità reciproca — ma defini- scono la posizione del tutto unitaria
dell’uomo che vive social- mente. La sua
esistenza non è soltanto parzialmente sociale e
parzialmente individuale in una divisione di contenuti; ma si colloca sotto la categoria fondamentale,
formativa, non ulterior- GEORG SIMMEL
505 mente riducibile di una unità che
non possiamo esprimere altri- menti che
mediante la sintesi o la contemporaneità delle due determinazioni logicamente contrapposte
dell'essere membro della società e
dell’essere per sé, dell’essere prodotto e
compreso dalla società e del vivere in base al proprio centro e per il proprio centro. La società non
consiste soltanto — come è risultato
sopra — di esseri che in parte non sono associati, ma anche di esseri che si sentono da una
parte esistenze comple- tamente sociali,
e dall’altra, conservando lo stesso contenuto,
completamente personali. E questi non sono due punti di vista che coesistano privi di relazione, come
quando si considera per esempio lo
stesso corpo sotto il profilo ora del suo peso, ora del suo colore, ma costituiscono insieme
l’unità che chiamiamo essere sociale, la
categoria sintetica — nello stesso modo in cui
il concetto di causazione è un'unità 4 priori, anche se include entrambi gli elementi, del tutto differenti
per il loro contenuto, del causante e
del causato. Il fatto che abbiamo a disposizione questa formazione, questa capacità di
produrre — sulla base di esseri ognuno
dei quali può sentirsi come ferminus a quo e
terminus ad quem dei suoi sviluppi, dei suoi destini e delle sue qualità — un concetto di società che fa leva
proprio su tali ele- menti, e di
concepire quest’ultimo come terminus a quo e
terminus ad quem di quelle vitalità e determinatezze esistenzia- li, costituisce un 4 priori della società
empirica, e rende possibi- le la sua
forma quale la conosciamo. III. La
società è una formazione composta da elementi dise- guali. Infatti anche dove tendenze
democratiche o socialistiche programmano
o parzialmente raggiungono un’« eguaglianza »,
si tratta sempre soltanto di un’eguaglianza di valore delle perso- ne, delle prestazioni, delle posizioni,
mentre un’eguaglianza di qualità, di
contenuti vitali e di destini tra gli uomini non può neppure venir presa in considerazione. E dove
d'altra parte una popolazione ridotta in
schiavitù costituisce soltanto una massa
— come nei grandi regimi dispotici orientali — quest’egua- glianza riguarda sempre solamente certi
aspetti dell’esistenza, per esempio
quelli politici o economici, ma mai la sua totalità, in quanto le sue qualità congenite, le sue
relazioni personali, i suoi destini
vissuti avranno inevitabilmente una specie di uni- 506 GEORG SIMMEL cità e di insostituibilità non soltanto per
il lato interno della vita, ma anche per
le sue relazioni reciproche con altre esistenze. Se ci si rappresenta la società come uno schema
puramente oggettivo, essa sì rivela
quale ordinamento di contenuti e di prestazioni
che stanno in una relazione reciproca per spazio, tempo, concet- ti, valori, permettendo così di prescindere
dalla personalità, dalla forma dell'io
che sostiene la loro dinamica. Se quella
diseguaglianza di elementi fa apparire ogni prestazione o quali- tà nell’ambito di questo ordine come caratterizzata
individual- mente, come
inequivocabilmente fissata al suo posto, la società si configura come un cosmo la cui
molteplicità è sì sterminata nel suo
essere e nel suo movimento, ma in cui ogni punto può essere costituito e svilupparsi soltanto in
quel determinato mo- do, se la struttura
del tutto non dev'essere mutata. Ciò che è
stato detto della costruzione del mondo in generale — che nessun granello di sabbia potrebbe essere
formato e collocato diversamente da
com'è, senza che questo abbia come presuppo-
sto e come conseguenza una modificazione dell'intera esistenza — vale anche per la costruzione della
società, considerata co- me un intreccio
di fenomeni qualitativamente determinati. Que-
st'immagine della società in generale trova un’analogia (come in una miniatura, infinitamente semplificata
e per così dire stilizzata) in una
struttura di funzionari che consiste, in quan-
to tale, in un determinato ordine di « posizioni », in una prede- terminatezza di funzioni che, staccate dai
loro portatori, dànno luogo a una
connessione ideale; nell’ambito di questa ogni
nuovo individuo che entra a farne parte trova un posto inequi- vocabilmente determinato, che lo ha per così
dire aspettato e al quale le sue energie
devono adattarsi armonicamente. Natu-
ralmente ciò che qui è fissazione consapevole e sistematica di contenuti di prestazioni è, nella totalità
della società, un inestri- cabile
intreccio di funzioni; le posizioni al suo interno non sono date da una volontà costruttiva, ma si
possono cogliere soltanto attraverso
l’attività creativa e l’esperienza vissuta degli individui. E nonostante questa enorme
differenza, nonostante tutto ciò che di
irrazionale, di imperfetto, di riprovevole dal
punto di vista del valore la società storica presenta, la sua struttura fenomenologica — vale a dire la
somma e il rapporto del modo di
esistenza e delle prestazioni offerte da ogni elemen- GEORG SIMMEL 507 to sotto il profilo oggettivo-sociale —
rimane un ordine fatto di elementi
ciascuno dei quali occupa un posto individualmente determinato, una coordinazione di funzioni e
di centri di fun- zioni dotate di senso,
anche se non sempre di valore, oggettiva-
mente e nel loro significato sociale; mentre l’elemento pura- mente personale, l'elemento internamente
produttivo, gli impul- si e i riflessi
dell’io vero e proprio restano completamente
fuori considerazione. Ossia, in altri termini, la vita della società scorre — non già psicologicamente,
bensì fenomenologi- camente, considerata
puramente sotto il profilo dei suoi conte-
nuti «sociali in quanto tali — come se ogni elemento fosse predestinato alla sua posizione in questa
totalità; con tutta la disarmonia
rispetto alle istanze ideali essa scorre come se tutti i suoi elementi stessero in un rapporto
unitario che fa dipende- re ciascuno,
proprio perché esso è questo particolare elemento, da tutti gli altri e tutti gli altri da
questo. Ciò permette di scorgere l’a
priori del quale dobbiamo ora parlare, e
che per l’individuo significa un fondamento e la « possibilità » di appartenere a una società.
Che ogni individuo sia di per sé
orientato dalla sua qualità verso una determinata posizione nell’ambito del suo miliew sociale;
che questa posizio- ne che idealmente
gli appartiene sia anche realmente presente
nel complesso sociale — questo è il presupposto in base al quale l'individuo vive la sua vita sociale e
che si può definire come il valore di
universalità inerente all’individualità. Esso è
indipendente dalla sua elaborazione in una chiara coscienza concettuale, ma anche dalla sua realizzazione
nel corso della vita reale — così come
l’apriorità della legge causale quale presupposto
formativo del conoscere è indipendente dal fatto che la coscienza la formuli in concetti
distinti e che la realtà psicologica
proceda sempre in conformità ad essa oppure no.
La nostra vita conoscitiva poggia sul presupposto di un’armo- nia prestabilita tra le nostre energie
spirituali, anche se ancora individuali,
e l’esistenza esteriore, oggettiva: infatti questa ri- mane sempre l’espressione di un fenomeno
immediato, non im- porta se si possa poi
ricondurla metafisicamente o psicologica-
mente alla produzione dell’esistenza ad opera dell'intelletto stes- so. Parimenti la vita sociale in quanto tale
poggia sul presuppo- sto di una
fondamentale armonia tra l’individuo e il complesso 508 GEORG SIMMEL sociale, anche se ciò non impedisce le
crasse dissonanze tra la vita etica e la
vita eudemonistica. Se la realtà sociale fosse
conformata senza ostacoli e senza difetti in base a questo pre- supposto di principio, noi avremmo la società
perfetta — di nuovo non nel senso di una
perfezione etica o eudemonistica, ma nel
senso di una perfezione concettuale: per così dire non la società perfetta, ma la perfetta società.
Finché l’individuo non realizza o non
trova realizzato questo 4 priori della sua
esistenza sociale — vale a dire la penetrante correlazione del suo essere individuale con le cerchie
circostanti, la necessità integrante per
la vita del tutto della sua particolarità determina- ta dalla vita personale interiore — fino ad
allora egli non è associato, e la
società non è quell’attività reciproca priva di
lacune che il suo concetto enuncia.
Questo comportamento acquista una consapevole accentua- zione con la categoria della professione. L’antichità
non ha conosciuto questo concetto nel
senso di una differenziazione personale
e di una società articolata in base alla divisione del lavoro. Ma anche nell’antichità sussisteva il
fenomeno che ne costituisce il
fondamento: che l’agire socialmente efficace è l’e- spressione unitaria della qualificazione
interiore, che l’aspetto totale e
permanente della soggettività si oggettiva praticamente in virtù delle sue funzioni nella società.
Soltanto che questa relazione si attuava
in un contenuto generalmente più unifor-
me; il suo principio emerge nell’osservazione aristotelica che alcuni sono destinati per la loro natura al
SovAzbew, altri al Seorétew. A un grado
più elevato di elaborazione il concetto pre-
senta la struttura caratteristica per cui da una parte la società
pro- duce e offre in sé una « posizione
» che è si differenziata da altre per
contenuto e contorni, ma che può in linea di principio essere occupata da molti ed è quindi per così dire
qualcosa di anoni- mo; e dall’altra
parte questa posizione, nonostante il suo carat- tere di generalità, viene assunta
dall’individuo in base a una «chiamata »
interiore, a una qualificazione sentita come del tutto personale. Affinché esista in generale
una « professione » deve sussistere
quell’armonia — comunque essa sia sorta — tra
la costruzione e il processo vitale della società, da un lato, e le qualità e gli impulsi individuali,
dall'altro. Su questo presuppo- sto
generale si fonda in ultima analisi l’idea che per ogni GEORG SIMMEL 509 personalità vi sia, nell’ambito della
società, una posizione e funzione alla
quale essa è « chiamata », e l'imperativo di cerca- re finché la si trova. La società empirica diventa « possibile »
soltanto mediante questo 4 priori che
culmina nel concetto di professione, e che
certamente — al pari di quelli finora trattati — non può essere designato con una semplice parola d’ordine,
come consentono di fare le categorie
kantiane. I processi di coscienza con i
quali l’associazione si compie — l’unità a partire dai molti, la determinazione reciproca degli individui, il
significato recipro- co degli individui
per la totalità degli altri e di questa totalità per l’individuo — hanno luogo in base a
questo presupposto di principio, non già
astrattamente consapevole ma che si esprime
nella realtà della prassi: il presupposto secondo cui l’individua- lità del singolo trova un posto nella
struttura dell’universalità, anzi che
questa struttura, nonostante l’aspetto imprevedibile dell’individualità, è rivolta in certa misura
a questa e alla sua funzione. La
connessione causale che intesse ciascun elemento sociale nell’essere e nell’agire di ogni
altro, dando così luogo alla rete
esteriore della società, si trasforma in una connessione teleologica non appena la si considera dal
punto di vista dei portatori
individuali, di coloro che la producono, i quali si sentono come io e il cui atteggiamento cresce
sul terreno della personalità che è per
sé e si determina da sé. Il fatto che
quella totalità fenomenica si adatta allo scopo di queste indivi- dualità che quasi le si fanno incontro
dall’esterno, che offre al processo
vitale di queste, determinato dall’interno, il luogo in cui la sua particolarità diventa un elemento
necessario nella vita del tutto — tutto
ciò, assunto come categoria fondamenta-
le, conferisce alla coscienza dell’individuo la forma che lo desi- gna come elemento sociale. È una questione abbastanza oziosa se le
indagini sulla teoria della conoscenza
della società, che dovevano essere esemplifica
te da questi abbozzi, rientrino nella filosofia sociale o non già addirittura nella sociologia. Ammettendo pure
che esse costitui- scano una zona di
confine tra i due metodi, la sicurezza del
DI problema sociologico — quale è stato tratteggiato avanti — e IO GEORG SIMMEL la delimitazione nei confronti della
problematica filosofica non ne soffrono
più di quanto la determinatezza dei concetti di
giorno e di notte non soffra del fatto che esiste un crepusco- lo, o quella dei concetti di uomo e di
animale non soffra del fatto che forse
si possono trovare gradi intermedi che riunisco- no le caratteristiche di entrambi in maniera
per noi concettual- mente non separabile.
Quando il problema sociologico si rivol-
ge all’astrazione di ciò che nel complesso fenomeno che chia- miamo vita sociale è realmente soltanto
società, vale a dire associazione;
quando esso elimina dalla purezza di questo con- cetto tutto ciò che viene sì realizzato
storicamente soltanto en- tro la società,
ma non costituisce la società come tale, come
forma singolare e autonoma di esistenza — allora viene indivi- duato un nucleo di compiti assolutamente
inequivocabile; e pur potendo accadere
che la periferia di questa cerchia di problemi
entri, temporaneamente o durevolmente, in contatto con altre cerchie, che la delimitazione dei confini
diventi dubbia, non per questo il centro
rimane meno saldo al suo posto. Passo
ora a mostrare la fecondità di questo concetto e proble- ma centrale in indagini particolari. Lungi
dalla pretesa di esauri- re il numero
delle forme di azione reciproca che costituiscono la società, esse mostrano soltanto la via che
potrebbe condurre all’isolamento scientifico
dell’intero ambito della « società » dal-
la totalità della vita; cioè si propongono di mostrarla compien- do i primi passi su tale cammino. L’ESSENZA DEL COMPRENDERE STORICO * La relazione di uno spirito con un altro,
che noi definiamo comprendere,
costituisce un avvenimento fondamentale della
vita umana, la cui recettività e attività propria è unificante in un modo non più scomponibile, ma che è
soltanto oggetto di esperienza vissuta.
Nell’esame del comprendere in generale è
incluso l'esame del comprendere propriamente storico. Infatti, nello stesso modo in cui tutte le nostre
produzioni ideali, pura- mente
spirituali, trovano i loro abbozzi frammentari in quelle forme e in quei modi di procedere che lo
spirito ha sviluppato per esigenze
pratiche e per i progressi della vita, così anche la storia scientifica si è preformata in maniera
indicativa nelle formazioni e nei metodi
con cui la prassi si costruisce le imma-
gini del passato come condizioni della vita che avanza. Ma dal momento che senza di ciò è del tutto
impensabile ogni passo della vita,
sorretto dalla coscienza del passato, qui non si tratta del caos sterminato e senza forma dell’intera
materia ricordata o tramandata della
vita; al contrario, già la sua valutazione
pratica è condizionata dalla sua scomposizione e dalla sua sinte- si, dall'ordinamento in concetti e in serie,
dall’attribuzione e dallo spostamento di
accento, da interpretazioni e da integrazio-
ni. Così diverse categorie teoretiche funzionano qui in vista di un interesse non teoretico, continuamente
incorporate nelle con- * Vom WWesen
des historischen Verstehens, « Geschichtliche Abende in Zentral- institut fur Erziehung und Unterricht », 5,
Berlin, E. S. Mittler und Sohn, 1918,
poi raccolto in Briicke und Tiir: Essays der Philosophen zur Geschichte,
Religion, Kunst und Gesellschaft (a cura
di M. Landmann, in collaborazione con M. Susman), Stuttgart, Kochler Verlag, 1957, pp. 59-85
(traduzione di Sandro Barbera e Pietro
Rossi). S12 GEORG SIMMEL nessioni della vita al pari di qualsiasi
coordinamento di movi- menti, di
qualsiasi impulso o riflesso. La storia come scienza sorge non appena quelle categorie che
elaborano il materiale della vita in
un'immagine spiritualmente intuibile, logicamente fornita di senso e quindi in primo luogo
suscettibile di applica zione pratica,
si svincolano da questa subordinazione a uno
scopo € costituiscono autonomamente, in base a un interesse teoretico libero da legami, in una nuova
completezza e con un nuovo valore
specifico, le immagini della vita passata. Come
noi siamo sempre, per così dire, storici embrionali di noi stessi, così d'altra parte noi completiamo e
assolutizziamo — in quanto storici
scientifici — gli orientamenti e le elabora-
zioni della vita pre-scientifica. Sulla base di questo rapporto reciproco del tutto generale l’analisi della
comprensione storica appare condizionata
dall’esame del modo in cui può accadere
che un uomo ne comprenda un altro. Infatti, per quanto diffe- renti possano essere i punti di partenza e le
vie, l’interesse e il materiale, la
comprensione di Paolo e di Luigi XIV è alla fine essenzialmente identica a quella di un uomo
che conosciamo personalmente. La struttura di ogni comprendere è una
sintesi intima di due elementi
inizialmente separati. Ciò che è dato è un fenome- no fattuale, che in quanto tale non è ancora
compreso. Da parte del soggetto a cui
questo fenomeno è dato si aggiunge un
secondo elemento, emergente in modo immediato da questo soggetto, oppure da esso assunto ed elaborato
— il pensiero comprendente, che penetra
per così dire il fenomeno dato e ne fa
qualcosa di compreso. Questo secondo elemento psichico è talvolta cosciente di per sé, talvolta
rintracciabile soltanto nel suo effetto,
vale a dire, appunto, in ciò che ora viene compreso. Tale rapporto fondamentale trova tre
configurazioni tipiche, che trapassano
tutte dalla loro più o meno grande realizzazio-
ne in forma pre-scientifica alla metodica della storia scientifica. In
primo luogo si tratta di comprendere i fenomeni e le azioni di un individuo che sono dati ai sensi
esterni in modo tale che essi siano
motivati psichicamente, cioè in questo caso
di comprendere gli avvenimenti psichici attraverso queste mani- festazioni sensibili che li accompagnano. A
prima vista l’altro uomo è per noi una
somma di impressioni esterne. Noi lo
GEORG SIMMEL 513 vediamo, lo
tocchiamo, lo udiamo; ma che « dietro » tutto ciò viva un’anima, che tutti questi elementi
esterni abbiano un significato psichico,
un aspetto interno che non si esaurisce
nella loro immagine sensibile — in breve, che l’altro non sia una marionetta, ma qualcosa di comprensibile
interiormente — ciò non è dato in eguale
misura, ma rimane sempre una conget-
tura non suscettibile di essere provata in modo assoluto. E co- me l’individuo deve comunicare l’essere
animato all’altro, anzi- ché sentirlo
come una concretezza cogente, ossia come un’im-
pressione sensibile, la stessa cosa avviene naturalmente an- che in relazione ai contenuti psichici
particolari. Ciò che quello vuole e
pensa e sente, noi non possiamo vederlo: tutto
quanto si vede è solamente un ponte e un simbolo per stimola- re e guidare il soggetto alla creazione
costruttiva di ciò che può accadere
nell’anima dell’altro. Ulteriore conseguenza
di ciò è il fatto che ogni sapere relativo a questi processi dell’altro, ogni loro comprensione,
rappresenta una trasposizio- ne di avvenimenti
interni vissuti dal soggetto stesso: ogni senti- mento, il sorgere di rappresentazioni sulla
base di rappresenta- zioni passate, il
dominio degli impulsi da parte dell’intero am-
bito di idee — tutto ciò deve prima avvenire in me per poter essere imputato all’altro. Da dove, se non
dalla mia anima, dovrei infatti prendere
il materiale per la conoscenza e la com-
prensione degli altri, che non si presentano davanti a me in mo- do leggibile? E in ciò sta manifestamente
anche il problema fon- damentale del
comprendere propriamente storico. Se già posso
comprendere l’uomo che si offre ai miei occhi e alle mie orecchie solamente in quanto lo fornisco, al
di là di tutto ciò che ho visto e udito,
dei contenuti della mia anima, un uomo
da lungo tempo passato — del quale ci sono tramandate soltan- to azioni oggettive, manifestazioni
frammentarie, tracce oggetti- ve della
sua esistenza — sarebbe per me un semplice complesso di elementi esterni non compresi qualora non
collocassi dietro tutto ciò situazioni e
movimenti psichici, il cui senso e la cui
connessione non possono venirmi se non dalle esperienze della mia propria interiorità. La comprensione
della persona storica presupporrebbe
quindi, per quanto essa sia per altri versi diver- sa da me, un'identità essenziale tra noi due
rispetto ai punti da comprendere. 33. STORICISMO TEDESCO, 514 GEORG SIMMEL Mi richiamo a quest’apparente
inevitabilità, per la quale si offrono
come prove alcune osservazioni. L'esperienza sembra indicare che chi non ha mai amato o odiato
non comprende chi ama o chi odia, che la
sobrietà dell’uomo pratico non comprende
il comportamento dell’idealista sognatore e vicever- sa, che il flemmatico non comprende le
connessioni di idee del sanguigno e
viceversa. Così lo storico pedantesco, adatto ai rapporti piccolo-borghesi, non comprenderà
mai le manifesta- zioni della vita di
Mirabeau o di Napoleone, di Goethe o di
Nietzsche, per quanto visibili e chiare esse siano. L’assenza di speranza con cui la comprensione dell'Europa
si pone dinanzi all'anima orientale
viene comprovata dai conoscitori di cose
orientali in modo tanto più netto quanto più profonde e ampie sono le loro esperienze. Meno imperativo ma —
ritengo — non meno fondato è il dubbio
se l’uomo moderno comprenda nella loro
reale interiorità l’Ateniese delle guerre persiane, il monaco medievale o anche solamente la società
di corte di- pinta da Watteau. Non parlo
qui della mancanza o dell’equivo- cità
delle fonti, ma di un’impossibilità di comprensione a cui non può essere di aiuto la quantità e il contenuto
dei documen- ti, poiché la costituzione
del soggetto non fornisce quella reazio-
ne all’oggetto che costituisce il comprendere. Sarebbe tuttavia avventata la conclusione
che alla base della comprensione sta
l’identità tra soggetto e oggetto. Se si osserva- no un po’ più da vicino quei fatti, risulterà
che essi sono esclusivamente di
carattere negativo, ossia che una certa misura
di diseguaglianza sostanziale impedisce certo la comprensione; ma da ciò non discende affatto che l’identità
la produca positi- vamente. Sarebbe un
errore eguale al voler concludere, sulla
base di un disturbo psichico provocato da determinate lesioni cerebrali, che questo punto della corteccia
cerebrale abbia pro- dotto il processo
di coscienza in questione nella sua normalità.
Il mutamento o l’assenza di una tra le varie complicate condi- zioni, più o meno prossime, dei processi
organici e in particola- re di quelli
psichici basta spesso a determinare una completa deviazione, senza che per questo essa possa valere
come loro causa positiva. Si potrà
soltanto dire che una certa misura di
diversità psichica è di ostacolo alla comprensione di date mani- festazioni. Che però questa sia prodotta
dall’identità di essenza GEORG SIMMEL
515 è tanto meno dimostrato quanto più
vediamo infinite volte che i
fraintendimenti peggiori sorgono proprio tra uomini maggior- mente simili per disposizione naturale. Il presupposto logico del presunto
condizionamento del com- prendere da
parte dell’identità di essenza è che le qualità psichi- che presenti nell'altro debbano essere
inferite soltanto in base a certi
simboli e indizi esterni. Anche questo è a prima vista plausibile. Quando il bambino ha un dolore,
sente se stesso gri- dare; in base a
questo, e soltanto in base a questo, può inferire che un altro, che egli sente gridare, prova
dolore come lui, e così via. Contro la
generalizzazione di questa ipotesi voglio addurre però una sola obiezione, puramente empirica.
Una delle perce- zioni che ci rivelano
nel modo più univoco e impressionante la
costituzione psichica di un altro è Io sguardo del suo occhio; ma proprio per questo ci manca ogni analogia
tratta dalla percezione di noi stessi.
Chi non è attore e non ha studiato
davanti allo specchio l’espressione degli occhi — di collera e di tenerezza, di languore e di estasi, di
spavento e di desiderio — non ha quasi
mai occasione di osservarla in se stesso. Qui
non può quindi sussistere nessuna associazione tra la propria esperienza interna e la propria percezione
esterna, tale che l'inferenza dalla
percezione esterna di un altro all’interpretazio- ne dell’interiorità altrui possa configurarsi
come un richiamo a tale associazione.
Quest’unico fatto mi sembra costituire una
prova sufficiente che la propria esperienza interna-esterna non può fornire la chiave per penetrare
l’esperienza esterna-interna di altri.
Di un'esperienza del genere c’è però bisogno se non altro per l’infelice separazione dell’uomo in
corpo e anima, la quale riserva al corpo
di per sé preso una percezione concreta
che si presuppone soltanto fisico-esteriore, mentre per la consta- tazione dell'elemento psichico ha bisogno di
quella trasposizio- ne — mediata da
rapporti di associazione — dell’esperienza
soggettiva interna negli altri, cioè di un atto che è tanto compli- cato (anzi mistico) quanto insufficiente per
la funzione che da esso si pretende.
Piuttosto, io sono convinto che noi percepia-
mo l'uomo intero e che soltanto in virtù di un’astrazione succes- siva ne percepiamo la corporeità isolata —
proprio come anche nel soggetto
percipiente non è l’occhio anatomicamente isolato che vede, ma è l’uomo intero, la cui vita
complessiva è come 516 GEORG
SIMMEL canalizzata dal singolo organo
di senso. Questa percezione del-
l'esistenza totale può essere oscura e frammentaria, suscettibile di perfezionamento mediante la riflessione e
l’esperienza perso- nale e stimolata dai
particolari, sfumata secondo il grado di
capacità e finora non localizzabile in un organo determinato — essa è il modo fondamentalmente unitario in
cui l’uomo agisce sull’uomo, è
l'impressione complessiva non ben analizzabile in- tellettualmente, la conoscenza prima e per lo
più decisiva de- gli altri, anche se
ancora aperta a molti completamenti. E come
la comprensione storica in generale è soltanto un modo del comprendere identico nel tempo, e del tutto
attuale, così la creazione o il
discorso, l’azione o l'influenza a noi tramandati dall'uomo del passato lo contengono
realmente, in linea di principio, e lo
presentano alla nostra — altrettanto indivisa —
facoltà recettiva; ogni elemento particolare che l’uomo offre è una pars pro toto. Certamente nella realtà
storica gli stimoli sono più scarsi, la
via per ottenere l’immagine compiuta è più
lunga e tortuosa, il risultato è più incompleto e problematico. In definitiva, però, nella misura in cui
viene raggiunta, l’imma- gine della
personalità storica e del suo comportamento sta di- nanzi a noi come quella di un uomo conosciuto
di persona, accessibile e còlto nelle
sue determinazioni particolari e nel loro
legame causale, senza essere in alcun modo un calco delle nostre proprie qualità o delle nostre
esperienze vissute. E se, anche soltanto
per giungere alla sua constatazione, vi fosse
bisogno di una trasposizione dei fatti psichici dalla loro sede propria, non per questo sarebbe in alcun modo
data la com- prensione di questi fatti.
Quantosovente ci troviamo infat- ti del
tutto incapaci di comprendere di fronte al nostro pro- prio passato, quanto sovente l’uomo maturo
non capisce più azioni e sentimenti
della sua gioventù, quanto di appena senti-
to e voluto dobbiamo accettare come fatto muto della nostra esistenza senza comprendere come abbia potuto
sorgere dalle sue condizioni e dal
nostro carattere, anzi senza comprendere
che cosa sig nifica nel suo senso autentico! Qui l'oggetto della volontà di comprensione è certamente dato
nella propria espe- rienza, e niente può
dimostrare in modo più decisivo che la
presunta trasposizione della propria esperienza interna non rap- presenta la via alla comprensione della
personalità storica. Può GEORG SIMMEL
517 darsi che si colga soltanto lo
spirito al quale in qualche modo si
somiglia: può darsi che le azioni di un essere vivente su Sirio ci risultino magari intelligibili — ma
per il fatto di assomigliare in modo
essenziale a uno spirito, non lo si coglie
ancora. Al modo di pensare greco
con il suo solido sostanzialismo, con la
sua aderenza alla sicurezza plastica della forma e la sua immediata forza di convinzione, corrispondeva
il principio che si può conoscere
soltanto «il simile con il simile ». Ciò appare
però un dogma ingenuamente meccanicistico — come se la rap- presentazione del comprendere e il suo
oggetto fossero due grandezze da far
coincidere, mentre in questo modo si fa
straordinariamente violenza ai fatti. Nessuno potrà infatti nega- re di saper cogliere in altri dei sentimenti
che non ha provato egli stesso, di
comprendere nodi del destino interiore che non
ha mai vissuto, di rappresentarsi impulsi della volontà che sia- no completamente estranei alla sua volontà.
Non si può mette- re in disparte questa
difficoltà, a cui va incontro la concezione
della propria esperienza come presunta condizione del compren- dere, concedendo che naturalmente il processo
psichico vissuto in sé non coincide
precisamente con quello vissuto da un altro,
e che si devono apportare in esso alcune trasformazioni, diversi- tà di tono, certi mutamenti quantitativi e
qualitativi. Infatti, se si concepisce
la differenza tra i due processi come una diffe- renza poco importante o solo formale, essa
non risulta più facile da superare; e
dove starebbe poi il criterio che consente
di giudicarla oggettivamente più grande o più piccola? Il prin- cipio per cui noi comprendiamo negli altri
solo ciò che abbia- mo esperito in noi
stessi può solamente valere o non valere;
ed esso viene infranto dal più insignificante contenuto psichi- co, che sappiamo presente nell'anima altrui
senza che si sia presentato nella
nostra, così come dal più esteso. Ciò che trasci- na in queste difficoltà l’intera teoria è il
realismo, che pretende di assumere nel
conoscere le cose « come esse sono realmente ».
La propria esperienza vissuta è — in base al suo stesso concet- to — realtà immediata, e solamente quando
l’esperienza vissuta dell’altra anima
può essere rappresentata in identità con essa
questo ingenuo modo di pensare crede di essere certo — in virtù dell'identità dei fenomeni esterni —
anche del processo 518 GEORG
SIMMEL veramente avvenuto nell’altro.
Dal fatto che posso certo rappre-
sentare l’esperienza vissuta altrui si inferisce, del tutto
erronea- mente, che io devo
rappresentarmela come rappresento la mia
— nello stesso modo in cui i teorici dell'etica dell’egoismo inferiscono, in base al fatto che sono il
soggetto della mia volontà, che devo
esserne anche l'oggetto; e si giunge a questa
conclusione perché soltanto la propria esperienza vissuta si pre- senta come realtà piena, mentre non si può
essere certi di quella altrui, se non in
virtù di una possibile trasposizione da
quella a questa o considerandola come questa. Anche nella teoria della « penetrazione simpatetica » dei
miei processi inte- riori negli altri
dovrei sapere in anticipo quale parte delle mie
esperienze vissute devo delegare a tale missione; ma così viene già presupposta l’intuizione del processo
esterno che dovevo invece ottenere per
questa via. Ritengo piuttosto che
l’incorporazione della propria anima
nell’altro, per percepirlo come animato, costituisca una trasposi- zione — del tutto indimostrata — da
esperienze di altra specie a questo
fenomeno non comparabile; ritengo cioè che il tu sia piuttosto un fenomeno originario allo stesso
titolo dell’io, e che la teoria della
proiezione valga per il tu tanto poco quan-
to vale per le cose date nello spazio. Le cose non sono com- piute una volta per tutte nella nostra testa,
e poi proiettate con un procedimento
misterioso in un spazio pronto a riceverle
— come si trasloca con i propri mobili in un appartamento vuoto; riconoscere questo spazio
costituirebbe pur sempre un problema non
minore del riconoscere in anticipo tale oggetto
come oggetto spaziale. Piuttosto, se per una volta poniamo la questione partendo dal soggetto, la
spazialità dell’oggetto è un modo o
forma originaria dell’intuire. In questo caso, intuire non significa altro che intuire spazialmente
e la duplicazione della cosa — come se
essa fosse dapprima in noi e poi fuori di
noi — è del tutto superflua. Così l’anima non è dapprima qualcosa che sappiamo presente in noi e che
poi proiettiamo in un corpo appropriato
a tale scopo, in modo da pervenire a un
tu soltanto attraverso questo strano processo; in noi sorgono piuttosto — anche qui ci atteniamo al punto
di vista dell’ideali- smo — certe
rappresentazioni che fin dall’inizio costituiscono un tu e vengono percepite come suoi contenuti
psichici. L’e- GEORG SIMMEL 519 spressione linguistica in base a cui si
colloca l’essere animato dell’uomo
«dietro » il suo aspetto visibile e palpabile, questa simbolizzazione spaziale del tutto
superficiale, contribuisce mol- to a
separare gnoseologicamente tale essere animato, inteso co- me l’aldilà misteriosamente inattingibile,
dall’« esterno » che è invece
immediatamente accessibile. Soltanto se abbiamo prima scisso il fenomeno dell’altro uomo in
un’anima e in un corpo, dobbiamo allora
costruire un ponte tra di essi, per ricucire
l’unità che era invece data fin dall’inizio: noi abbandoniamo il corpo esclusivamente alla sensibilità ottica,
e altrettanto esclusi- vamente
consegnamo l’anima alla nostra anima, lasciando poi trasmigrare quest’anima inquel corpo mediante
un processo di introduzione, di
trasposizione, di proiezione o comunque si
voglia chiamare quest’atto mai dimostrabile. Ma tale scomposi- zione è l’atto di violenza di un pensiero
atomizzante. Certamente, anche la prassi
quotidiana, al pari della forma- zione
dell’immagine storica, sembra legalizzare — partendo da un materiale sempre accidentale e lacunoso,
spesso soltanto su- perficialissimo —
questa scomponibilità e la distanza, che il
pensiero deve quindi superare, tra esterno e psichico. Ma tale separazione, prodotta dalla precarietà e
dalla discontinuità ma- teriale della
vita, ha tuttavia come punto di partenza e come
punto di arrivo il fondamentale fatto unitario che si può chia- mare il tu — l’altro immediatamente compreso
come animato. Anche quando la
considerazione del sintomo più esterno condu-
ce per la via più lunga e tormentosa alla sua comprensione psichica, questa categoria sta a base di
essa, e si trova di nuovo, pienamente
realizzata, al termine della via. La catego-
ria del tu — che è decisiva per la costruzione del mondo pratico e del mondo storico, quasi come
quelle di sostanza o di causalità lo
sono per il mondo della scienza naturale — non
può essere paragonata a nessun'altra. Non posso designare il tu come mia rappresentazione nel medesimo
senso in cui desi- gno ogni altro
oggetto: debbo attribuirgli un essere per sé,
così come lo percepisco, distinto da tutti gli altri oggetti,
soltan- to nel mio proprio io. Perciò si
spiega il fatto che noi percepia- mo
l’altro uomo, il tu, al tempo stesso come l'immagine più distante e impenetrabile e come quella più
prossima e familia- re. Il tu animato è
da una parte l’unico nostro pari nel cosmo,
520 GEORG SIMMEL l’unico essere
con cui possiamo comprenderci reciprocamente e
sentirci come «uno» come con nient'altro, cosicché collochia- mo nella categoria del tu ciò che per altri
versi è natura, dove riteniamo di
sentirci in unità con essa: così Francesco poteva parlare agli animali e agli esseri inanimati
come a fratelli. D'al- tra parte, però,
il tu possiede una propria autonomia e sovrani
tà accanto a noi che nient'altro possiede, una resistenza contro la dissoluzione nel processo di
rappresentazione soggettivo del- l’io,
quell’assolutezza della realtà che l'io sente in se stesso. Il tu e il comprendere sono la stessa cosa,
espressa una volta come sostanza e una
volta come funzione — un fenomeno
originario dello spirito umano come il vedere e l’udire, il pensa- re e il sentire, oppure come l’oggettività in
generale, come lo spazio e il tempo,
come l’io; è il fondamento trascendentale
del fatto che l’uomo sia uno %éov roArrwxév. Certamente, si tratta di un grado successivo del nostro
sviluppo; certamente, di rado esso
possiede la medesima univocità del suo contenuto; certamente, esso compare soltanto sulla base
di condizioni psico- logiche più
complicate. Ma anche gli atti della coscienza che si presentano come primari sono condizionati da
ciò che è trascor- so; anch'essi hanno
bisogno di uno sviluppo. Qui c’è soltanto
una differenza di grado: è perciò erronea l’opinione che tali fenomeni psichici non possano essere in sé
nulla di semplice e di primario per il
fatto che compaiono soltanto tardi, incomple-
ti e in situazioni variamente condizionate. Che l'insufficienza delle condizioni in cui si leva l’immagine o
la comprensione le mantenga incomplete,
non prova affatto che esse vengano pro-
dotte per associazione mettendo semplicemente insieme quelle condizioni. Le differenze all’interno di
questo fenomeno origi- nario sono
innegabili, soprattutto tra la comprensione di un avvenimento attuale o di una persona
convivente e la compren- sione di
oggetti divenuti storici. Che i dati siano qui di solito numericamente più scarsi e accidentali, che
siano affidati alla mediazione
intellettuale piuttosto che all’immediatezza sensibi- le, che nessuna atmosfera temporale comune
unisca il soggetto comprendente e il suo
oggetto — tutto ciò può, nel caso partico-
lare, escludere in parte o del tutto la comprensione, ma sotto questo rispetto non esiste una differenza
necessaria di principio tra il presente
e il passato. Certamente, noi possiamo avere
GEORG SIMMEL S2I un'esperienza
vissuta soltanto di ciò che è presente; ma anche nei confronti di questo possiamo avere il
rapporto di compren- sione storica, che
ognuno ha verso il proprio passato. Per lo
sguardo che scruta le distanze storiche l’avvenimento esterno e l'avvenimento psichico sono spesso molto più
separati l’uno dal- l’altro di quanto
non siano per l’intuizione immediata, ed esso
ha più sovente bisogno di compiere inferenze dall’uno all’altro; ma tutte queste sono soltanto strade di
accesso allungate, le quali in
definitiva conducono a quel comprendere che assume unità attraverso l’unità; oppure
costituiscono le sue frammenta- rie
realizzazioni. Per questo comprendere, che spesso viene scis- so nelle sue condizioni a causa di
insufficienze pratiche e acci- dentali,
e perciò appare all’analisi intellettuale come un’inter- pretazione di sintomi esterni autonomi sulla
base di un elemen- to psichico che sta
dietro di essi, è adeguato il concetto di
intuizione, che pure di per sé è poco attraente. Ma ciò che suscita sospetto, l'elemento mistico
abusivamente presente in esso, scompare
proprio se noi abbiamo chiaro il fatto che l’ap- plicazione dell’intuizione al comprendere
storico è circondata dall’uso, del tutto
inevitabile, che se ne fa in ogni momento del-
la vita pratica. Una struttura
più complicata mostra il secondo tipo di com-
prendere, con cui un atto già conosciuto come psichico dev’esse- re compreso mediante un altro atto
appartenente alla stessa sfera psichica.
Se di un legittimista dello Hannover degli anni
successivi al 1866 sentiamo dire che ha odiato Bismarck, noi comprendiamo anzitutto questo sentimento in
modo immedia- to, così com’esso è.
L’odio è un affetto a noi immediatamente
noto. Noi conosciamo interiormente il significato soggettivo — che non richiede un’ulteriore analisi — di
questo affetto, poco importa in quali
circostanze e attraverso quale portatore esso
ci viene incontro. Questa comprensione di un contenuto psichi- co particolare è trans-storica e, per così
dire, oggettiva: infatti si tratta
sempre del medesimo processo psicologico fondamenta- le, sia che lo applichi a Brunilde contro Crimilde',
allo hanno- veriano contro Bismarck,
all’inquilino contro il padrone di casa
che lo angaria. La duplicità di elementi che ogni comprendere I. Noti personaggi femminili della leggenda
dei Nibelunghi. 522 GEORG SIMMEL presuppone consiste, in questa comprensione
immediata dell’ele- mento psichico, nel
fatto che un caso individuale viene compre-
so in virtù di un contenuto generale preesistente nel soggetto. Però comprendo storicamente l’odio dello
hannoveriano se co- nosco la guerra del
’66 e l'annessione prussiana, ossia se lo
riconosco in generale come elemento di una connessione tempo- rale complessiva. Ma, a questo punto, ogni
momento di tali connessioni dev'essere
di nuovo compreso, a sua volta, in quel
primo senso. Come comprendo l’odio, devo ora comprendere che cos’è l'attaccamento a una casa regnante
o il valore attribui- to
all'indipendenza politica. Mentre quel primo comprendere sembrava riguardare un contenuto atemporale o
sovra-indivi- duale e l’altro la
connessione reale di un divenire molto artico-
lato, di fatto anche quest’ultimo si scinde in una successione di singoli punti di comprensione, ognuno dei
quali dev'essere di nuovo compreso in
modo sopra-storico e psicologico. Pertanto
il comprendere storico in quanto tale viene alla luce in modo manifesto quando questi momenti discontinui,
e compresi per così dire atemporalmente
in modo discontinuo, vengono riempi- ti
da parte dell’osservatore di una corrente vitale continua che li lega insieme, che apre la porta di uno
agli altri, che permette di sentirli
come pulsazioni del corso temporale della vita. Il comprendere isolato di prima si mostra ora
fondato su una certa astrazione, in
quanto dalla vita che sale e si abbassa
senza posa esso trae fuori la cresta di un’onda come un ogget- to circoscritto del comprendere, mentre nella
realtà questa è legata in modo continuo
con la precedente e con la successiva,
con tutte le onde della medesima vita. L'istituzione di questa connessione continua è ciò che imprime alla
tradizione di quan- to è meramente
accaduto la forma della storia. Stabilire che
un determinato avvenimento ha avuto luogo in un certo anno non lo trasformerebbe ancora in un
avvenimento storico, se l’anno si
collocasse isolatamente in uno schema temporale per altri versi vuoto. Infatti sarebbe ancor
sempre possibile com- ‘prendere
l'avvenimento in base al suo significato interno, alla sua specificità indipendente dal tempo. Certo
questo deve avve- nire in ogni caso; con
ciò è però soltanto dato il materiale in
cui il divenire della storia si compie come una formazione determinata. La storia non è il passato che
ci è dato immediata- GEORG SIMMEL
523 mente €, più precisamente, in
veste di frammenti sempre di- scontinui,
ma è invece una determinata forma o somma di
forme con cui lo spirito sintetico che osserva penetra e domina il materiale accertato in precedenza, ossia
la tradizione di ciò che è accaduto. Per
il fatto che comprendo una serie come
storica non si aggiunge ad essa niente di nuovo per quanto riguarda il suo contenuto; si è soltanto
conseguita o istituita una specie di
connessione funzionale da parte dell’intuizione
interna. Come la considerazione storica in genere sottrae il particolare contenuto di realtà alla
rappresentazione limitata a quest’ultimo
e lo colloca — come elemento prodotto e produtti- vo — in connessioni senza fine, così procede
ora anche la funzione del comprendere
quando coglie come storiche le real- tà
psichiche date. Questi dati devono anzitutto venir compresi di per sé come unità psichiche in qualche
modo chiuse: senza tale presupposto non
possono essere storicizzate. Esse però lo
diventano soltanto se si fluidificano in qualche misura, se si mostrano come le formazioni particolari, di
volta in volta deter- minate, di una
dinamica della vita che le collega tutte tra
loro. È quindi’ possibile determinare con maggiore profondità e precisione il concetto della comprensione
storica di una qualsia- si realtà
psichica particolare dicendo che esso significa la com- prensione di questo elemento singolo in base
alla totalità viven- te del suo
portatore. È un errore assai diffuso
ritenere che la successione di certi
dati psichici, ognuno dei quali presenta soltanto il suo contenu- to circoscritto, concettualmente
determinabile, fornisca anche la
comprensione del dato successivo. Ciò corrisponde al principio atomistico e meccanicistico che fa coagulare
la vita psichica, in- torno ai suoi
contenuti esprimibili logicamente, in singole « rap- presentazioni », e che vorrebbe coglierla
come la somma dei mo- vimenti delle
parti così separate l’una dall'altra. In tal modo la comprensione dovrebbe procedere
immediatamente — di conte- nuto in
contenuto — sulla base di quella che si potrebbe chia- mare la logica della psicologia, ma che in
realtà è soltanto una mescolanza
indistinta di logica e di psicologia. Ma in questo modo viene meno la connessione dinamica, la
compenetrazio- ne, l’unificazione del
molteplice, e quindi proprio la compren-
sione di un elemento mediante l’altro. Quest'ultima esige infat- 524 GEORG SIMMEL ti la visione interiore di un movimento
continuo della vita, le cui tappe sono
soltanto quei momenti particolari indicabili in
base al contenuto. Soltanto se in ognuno di essi si percepisce l’uomo intero, che non è una sostanza rigida
ma uno sviluppo vivente, noi
comprendiamo il momento successivo, poiché la
direzione della corrente che conduce fino ad esso è indicata da quello precedente. Però, come si è già detto,
questo sviluppo non è comprensibile come
un saltare di contenuto in contenuto, ma
soltanto in virtù del processo di attualizzazione della vita che rende ora intelligibili come proprie
fulgurazioni quei conte- nuti
particolari suscettibili di essere denominati — sia che que- sta vita sia attuale o trascorsa. Ciò può
estendersi, senza alcun mutamento di
principio, al di là dell’individuo, poiché nella medesima corrente della vita, che produce
onde su onde, noi scorgiamo una
moltitudine di individui. Il fenomeno originario del comprendere si realizza allora in quella
successione — che si estende in modo del
tutto sovra-individuale — della vita che
continuamente spinge contro tale singolarità. Sono qui dunque presenti due modi di
comprendere, sulla cui distinzione e sul
cui intreccio si esige tanta maggior chiarez-
za quanto più lo storicismo ha commesso, con la sua superficiale concezione, i peggiori fraintendimenti.
Quando comprendo la poesia Warum gabst
du uns die tiefen Blicke® nel suo contenu-
to e nel suo significato poetico, ciò avviene in modo del tutto
astorico. Quando però comprendo il contenuto e il tono della poesia in base al
rapporto di Goethe con la signora von Stein, e comprendo che essa designa —
nello sviluppo di questo rap- porto — un'epoca ben determinata, tale
comprensione è ora comprensione storica. Ciò può essere illustrato in modo
partico- larmente chiaro nella storia dell’arte. Con l’ultima pennellata del
pittore al proprio dipinto, il suo significato si pone al di là della storia.
Ma il dipinto può a sua volta diventare un fattore storico in virtù dei suoi
destini esteriori, in virtù del mutamen- ‘to di interpretazione e di
valutazione, in virtù della sua influen-
za sull'arte posteriore. Ma quell’altro significato — vale a dire le leggi della sua formazione e del suo
complesso cromatico, il 2. È il verso
iniziale di una poesia di Gocthe della primavera del 1776, dedi- cata all'amico Charlotte von Stein. GEORG SIMMEL 525 rapporto del suo oggetto con il suo stile particolare,
la passiona- lità o la calma
dell’esecuzione, l’accentuazione del disegno o
dell'elemento specificamente pittorico, in breve la specificità del suo essere — non ne viene toccato; esso ha
consumato in sé i movimenti del suo
divenire e, inteso in quelle determinazioni
puramente immanenti, è diventato indifferente nei loro con- fronti.
La linca di demarcazione così tracciata tra comprensione oggettiva e comprensione storica di un
elemento spirituale ha il suo punto di
appoggio in una problematica assai profonda
del nostro conoscere relativamente alla sua sicurezza e univoci- tà. Una creazione dello spirito che
dev'essere compresa deve venir
paragonata a un enigma che il suo creatore ha costruito su una determinata parola risolutiva. Se chi
indovina trova ora un’altra parola
altrettanto adeguata, con cui l’enigma — preso
in senso oggettivo — perviene al medesimo risultato logico e poetico, questa costituisce una soluzione
completamente « cor- retta » al pari di
quella che si era proposta il poeta, e che non
ha così il minimo vantaggio rispetto alla prima o rispetto a tutte le altre parole risolutive che si
possono ancora escogitare — e, in linea
di principio, in numero illimitato. Se un processo creativo è riuscito a trovare la forma dello
spirito oggettivato, tutti i più diversi
tipi di comprensione sono parimenti giustifi-
cati nella misura in cui ognuno di essi è in sé conclusivo, esatto, oggettivamente soddisfacente. Non
hanno alcun bisogno di riandare alla
realtà psichica individuale di quel processo
creativo, assumendolo a criterio di questa coscienza. La com- prensione immanente di un’opera d’arte, per
esempio, è infini- tamente variabile
così come lo sono i sentimenti che essa su-
scita e che non sono affatto vincolati a quelli che il creatore vi ha investito: i complessi affettivi e
valutativi dell’uomo moder- no dinanzi
al duomo di Strasburgo o alla sonata Chiaro di
luna, i supporti profondi della sua comprensione non possono essere ritenuti infondati o falsi soltanto
perché non coincidono con quelli di
Erwin von Steinbach* o di Beethoven. E ciò vale
non solo per domini ideali secondo il loro contenuto. Il tecni- 3. Architetto della seconda metà del secolo
XII, ebbe gran parte nella costru- zione
della facciata del duomo di Strasburgo.
526 GEORG SIMMEL co empirico può
inventare un dispositivo meccanico che gli
risulta pienamente intelligibile in base al rapporto tra i conge- gni da lui combinati e l’effetto che si
propone; un ricercatore più profondo,
riandando alle leggi generali di natura che agi- scono in quei congegni, può scoprire che lo
stesso apparecchio può venir impiegato
per scopi a cui l'inventore non ha pensato.
Soltanto se si fossero esaurite senza residui le possibilità in
essa racchiuse, l’invenzione sarebbe
realmente compresa così com'è, cioè
sarebbero realizzate le possibilità di comprensione virtual- mente presenti nella sua oggettività. Non
diversamente stanno le cose con le
costituzioni politiche o con singole leggi. Ciò
che esse propriamente significano dal punto di vista logico o pratico, i loro creatori lo sanno spesso in
modo assai incomple- to, o non lo sanno
affatto; altre personalità, la casistica, lo
sviluppo reale mostrano sovente gli effetti in esse riposti, che non si possono però definire come errori o
storture per il fatto che la genesi
soggettiva non li conteneva. Ovunque tra creatore e opera c’è questo rapporto, in qualche modo
inquietante: l’o- pera pervenuta alla
sua autonomia contiene qualcos'altro (in
più o in meno, qualcosa che è dotato di maggiore o minor valore) rispetto all’intenzione del creatore.
In questo senso il processo di creazione
è sempre soltanto un'espressione 4 potio-
ri; ciò che il creatore ha voluto e, più esattamente, ha potuto è sempre soltanto un elemento di ciò che è
stato effettivamente creato, e solo
cogliendo le sterminate possibilità in cui esso si dispiega, al di là di questo elemento, il suo
contenuto oggettivo sarebbe realmente
compreso. In tutto ciò ch e creiamo esiste,
oltre a quello che z0i creiamo realmente, ancora un significa- to, una legalità, una fecondità che
oltrepassano la nostra forza e la nostra
intenzione. Tuttavia noi abbiamo senza dubbio crea- to il tutto, e non si tratta affatto di
elementi raccolti che dispiegavano la
loro peculiarità e le loro potenzialità entro la nostra creazione; il problema consiste
proprio nel senso e nella capacità della
nostra creazione, i quali diventano incondiziona- tamente possibili e reali solo con il fatto
di essere stati crea- ti da noi. Da
questo sentimento nascono le rappresentazioni che sempre ricorrono con una
certa tonalità mistica — come se tutto ciò che creiamo fosse già idealmente
preformato e noi fossimo in certa misura soltanto le levatrici che aiutano un
GEORG SIMMEL 527 ente metafisico a nascere nella realtà. Inteso come un dato di
fatto interno, ciò spiegherebbe in ogni caso come mai quello che apparentemente
è creato solo da un soggetto possiede signi- ficati innumerevoli di ogni
specie, i quali oltrepassano tutte le intenzioni creative e le forze di questo
soggetto; come mai, quindi, anche la comprensione spirituale di una creazione
del genere non costituisca, in linea di principio, un problema con un’unica
soluzione possibile. Con ciò quell’antitesi tra i due significati del
comprendere si sviluppa ulteriormente. In base a quanto si è detto finora, nel comprendere dal punto di vista teorico ed
estetico il Faust, per esempio, si
prescinde del tutto dalla sua origine psichica.
Se i diversi tipi del comprendere soddisfano in eguale misura le esigenze di connessione logica e artistica,
di esplicazione unita- ria delle
oscurità, di sviluppo reciproco delle parti, allora sono tutti corretti in eguale misura. Se devo
invece comprendere il Faust storicamente
e psicologicamente, cioè comprendere tale
formazione sulla base degli atti e degli sviluppi psichici che si sono determinati, momento per momento, nella
coscienza di Goethe, è esclusa in linea
di principio una corrispondente plura-
lità di significati: questo processo di creazione si è infatti rispecchiato in un determinato modo che la
nostra conoscenza può cogliere o non
cogliere, ma che essa non può rappresenta-
re in diversi modi tra loro equivalenti. Una pluralità di forme storiche di comprensione dell’origine del
Faust, create dal pro- cesso psichico,
che siano tutte parimenti corrette — nello stesso modo in cui può esserlo una pluralità di
forme di comprensio- ne oggettiva — è
un’assurdità. Anche a proposito della com-
prensione storica può esserci, naturalmente, una pluralità di ipotesi; di esse, però, una è vera e l’altra
è falsa — alternati va di fronte a cui
non si trova la comprensione in base al
contenuto oggettivo, la quale la sostituisce piuttosto con altri criteri di valore. Nei confronti di uno
stesso contenuto oggetti- vo si può così
soddisfare in modo compiuto l'esigenza di com-
prenderlo storicamente; ma non si può invece mai soddisfare in maniera compiuta l’altra esigenza di
comprenderlo oggettiva- mente, in base a
tutti i significati che racchiude in sé. In ciò
consiste il profondo paradosso che, dove il comprendere storico è comprendere psichico, esso non può mai
pervenire a una 528 GEORG SIMMEL completa univocità, non può mai decidere in
assoluto tra una pluralità, anzi tra una
contrapposizione di princìpi esplicativi.
La ricchezza e la mobilità delle connessioni psichiche sono così grandi che nessuna «legge psicologica » è in
grado di determi- nare in modo
vincolante gli sviluppi successivi di una determi- nata costellazione psichica; spesso tale
sviluppo, procedendo per una certa
direzione, ci appare altrettanto plausibile di quel- lo che procede in direzione precisamente
opposta. Che il beneft- cio ricevuto
produca riconoscenza, lo comprendiamo tanto quan- to il fatto che esso lasci dietro di sé
umiliazione e risen- timento; che
l’amore dichiarato risvegli un amore corrisponden- te, lo riteniamo altrettanto comprensibile
del fatto che provo- chi assenza di
attrazione e indifferenza, e via dicendo. Quando serie genetiche vengono alla luce mediante
un’interpolazione psicologica — cosa che
accade sempre, più o meno consapevol-
mente — non si tratta di una necessità accertata, quale la richiede, in modo univoco, la comprensione
scientifica. In ogni caso, l'ipotesi di
una data via psicologica è quella corretta secon- do la realtà; qualunque altra è erronea —
poco importa se poi questa correttezza o
questa erroneità può essere da noi stabilita
incondizionatamente. In tal modo viene stabilita la differenza fondamentale della comprensione storica
rispetto alla compren- sione del
contenuto oggettivo in quanto tale. Lo
storicismo radicale vuol esaurire l’intera problematica di una formazione così creata tracciando le
condizioni e i gradi del suo sorgere nel
tempo. Le qualità oggettive dell’essere,
sottratte alla temporalità, si risolvono — come compiti conosciti- vi — nel loro divenire; adesso la questione
riguarda le premes- se e i momenti
preparatori, gli sviluppi e le condizioni favore- voli o gli impedimenti che hanno suscitato
tale formazione, e una comprensione
sufficiente del contenuto oggettivo dev'essere
identica alla risposta a questo problema. S’intende che sostituire la comprensione di
un oggetto nella sua atemporalità con la
comprensione del modo in cui si è
pervenuti all’oggetto reale nel tempo non ha più senso che equiparare la vista dalla vetta di un monte
col percorrere la via che ha condotto
passo passo il viandante fino a questa
vetta: ciò vorrebbe dire infatti tagliar via arbitrariamente tutta una dimensione del problema del comprendere.
Ma il proble- GEORG SIMMEL 529 ma apparentemente eliminato ha la sua legittimità
non sol- tanto al di fuori della realtà storica, ma anche proprio all’inter- no
di essa. La comprensione in apparenza puramente storica fa infatti continuo uso
della comprensione oggettiva sopra-storica, senza peròrendersene conto
metodologicamente. Non capirem- mo mai la natura della cosa in base al suo
sviluppo storico se non la comprendessimo in qualche modo in se stessa;
altrimen- ti quell’impresa sarebbe chiaramente del tutto priva di senso. Con
ciò si apre un terzo tipo di processi di comprensione, la cui fondamentale
duplicità di elementi non è quella tra es terno e interno, né quella tra fisico
e psichico, bensì la duplicità tra
contenuto psichico e contenuto atemporale. Tra questi si presen- tano ora nessi di reciprocità assai
singolari, dal momento che la
comprensione oggettiva trans-storica non riguarda soltanto i contenuti particolari, che pervenivano a un
contatto reciproco e a un ordinamento
unitario solo in quanto eranoassunti nella
corrente dello sviluppo storico. Quei contenuti mostrano però già nel loro stato ideale delle relazioni e
delle disposizioni, e costituiscono per
così dire simboli atemporali della loro realizza- zione psichica temporale — sempre in una
dipendenza recipro- ca fondata nel
profondo. Se uno storico della filosofia afferma che comprendere Kant significa spiegarlo
storicamente, le dot- trine pre-kantiane
gli appariranno come gradini che conducono
in direzione della dottrina kantiana, stabilendo quindi in modo intelligibile il suo contenuto e il suo
momento temporale. Ma ciò non avrebbe
successo se tutte queste dottrine — e qui sta il punto decisivo — non costituissero nel loro
contenuto logico oggetti- vo, e senza
riferimento alla loro comparsa storica, una serie intelligibile. Le cose non stanno
diversamente che per qualsiasi inferenza
realizzata sul piano psichico. Noi comprendiamo del tutto il movimento psichico che, aggiungendo
alla convinzione che tutti gli uomini
sono mortali, l’altra che Caio è un uomo,
porta per così dire organicamente la coscienza fino al contenu- to: Caio è mortale. Tuttavia lo comprendiamo
soltanto perché tutte queste idee erano
valide nel loro contenuto oggettivo, e
quindi sono del tutto atemporali e indifferenti rispetto al fatto che possiamo rappresentarle soltanto in una
serie temporale. Noi percepiamo il
carattere di verità — indipendente dalla
nostra rappresentazione — della proposizione «tutti gli uomini 34. STORICISMO TEDESCO. 530 GEORG SIMMEL sono mortali», che non esiste prima o dopo il
carattere di verità delle proposizioni «
Caio è un uomo » e « Caio è morta- le »;
tutte e tre le idee valgono in una coordinazione assoluta- mente atemporale: la morte di Caio non
risulta quindi come conseguenza
temporale dopo gli altri due fatti; l'ordine che in base alle prime due conduce a quest’ultima
non costituisce una successione, come lo
è il fatto di rappresentarla e di esprimer-
la, ma è un ordine oggettivo puramente interno, che ha luogo in una ideale contemporaneità. Se esso non
esistesse, non ricono- sceremmo neppure
la direzione e la legittimità dello sviluppo
psichico che essa realizza in una determinata successione. La stessa cosa avviene nel caso della comprensione
storica di Kant. Il razionalismo, che
declassa ogni esperienza sensibile e colloca
la verità incondizionata soltanto nellaragione @ priori; il sensi- smo, che rifiuta quest’ultima e scorge soltanto
nell’esperienza la fonte di una
conoscenza valida; la soluzione kantiana secon-
do cui soltanto l’esperienza ci dà una conoscenza oggettiva — come vuole l’empirismo — soltanto che essa è
già formata da quei principi della
ragione, e di conseguenza questi valgono
incondizionatamente, ma solo per gli oggetti dell’esperienza e mai di per sé, al di là di essa — queste
impostazioni hanno un ordine ideale,
determinato soltanto dal loro senso oggettivo
atemporale. Se non comprendessimo il senso di tale ordine soltanto di per sé, indipendentemente dalle
sue realizzazioni psichiche in forma
storica, non comprenderemmo mai neppure
l'ordinamento temporale di queste ultime, che ci apparirebbero piuttosto come una semplice successione
discontinua. La razio- nalità della loro
successione, mediante la quale cogliamo la
direzione della corrente della vita nei soggetti che la sorreggo- no e che la realizzano in sé, è possibile
soltanto come rispecchia- mento
temporale di quell’ordine puramente oggettivo. Accanto al principio che la comprensione di Kant è
condizionata dalla sua spiegazione
storica, si può porre l’altro principio che la
spiegazione storica di Kant è condizionata dalla sua compren- sione. Se noi penetriamo attraverso gli
avvenimenti l’unità di una corrente
vitale e la vediamo determinata dai momenti
precedenti e orientata verso i successivi, e se quindi — in altri termini — comprendiamo ogni momento
successivo in base al precedente, tale
processo acquista legittimità e impulso sol- GEORG SIMMEL 531 tanto in base a quella comprensione oggettiva
dei suoi contenu- ti, cioè in base al
loro reciproco rapporto logico, non già al
loro rapporto vitale e temporale.
Qui si fa però valere un presupposto metodologico che mo- stra una connessione molto più stretta, e per
così dire incondi- zionata, tra
comprensione storica e comprensione oggettiva.
Prenderò le mosse dall’esempio (non importa se effettivamente vero o da correggere) dello sviluppo del
punto di vista kantia- no dal dogmatismo,
attraverso lo scetticismo sensistico, fino al
criticismo. Su quale base possiamo dire che uno di questi punti di vis ta o di questi concetti si «sviluppa»
fino all’altro in modo intelligibile? Ognuno di essi esprime esattamente
soltan- to il suo proprio contenuto, è totalmente concluso in sé, e dire che «
procede oltre se stesso» è un'espressione simbolica che lascia impregiudicato
ciò di cui si discute qui Ja possibilità: è un tentativo del tutto disperato
voler spremere da questi concet- ti disposti l’uno accanto all’altro uno
sviluppo che renda l’uno comprensibile in base alla comprensione dell’altro.
Che tuttavia noi scorgiamo qui di fatto uno sviluppo del genere, ciò può
avvenire soltanto perché poniamo a base di questa serie pura- mente oggettiva
di punti di vista, e che nessuna vita individua- le concreta può abbracciare,
un soggetto ideale — prodotto per così dire di finzione — la cui vivente
continuità spirituale percorre questi stadi e li connette in modo tale da
scioglierli dalla chiusura di un senso di volta in volta limitato a se stes- so
e da trasformarli quindi in momenti di uno sviluppo. Que- sto è lo strumento
applicato continuamente e senza particolare
coscienza, lo strumento per così dire tecnico, con cui uno sta- dio c i diventa intelligibile sulla base
dell’altro, che è ad esso collegato ora
in un tempo quasi atemporale, mediante una vita
atemporale. La stessa cosa avviene quando si concepiscono le opere di un periodo più lungo della storia
dell’arte come uno sviluppo. Per esempio,
i dipinti si dispongono l’uno dopo l’al-
tro in modo discontinuo, e ognuno costituisce un’unità isolata — ognuno entro il proprio ambito in cui
nessuno sa nulla dell’altro. Lo storico
dell’arte costruisce tra di essi uno
sviluppo graduale dalla rigidità alla mobilità, dalla povertà alla pienezza, dall’insicurezza al
padroneggiamento sovrano dei mez- zi,
dall’accidentalità della composizione a un equilibrio armo- 532 GEORG SIMMEL nico che abbraccia ogni elemento in modo
dotato di senso, e così via. Non si può
quindi assolutamente dire che il creatore
dell’opera collocata al punto più alto abbia percorso, nel suo sviluppo personale, tutti gli stadi
precedenti. E non è neppure in questione
questo, bensì la possibilità di costruire tale serie « evolutiva » in base a criteri oggettivi
tratti dal complesso delle opere, come
se ognuna di esse fosse caduta dal cielo. Ma pro- prio questa possibilità risiede in ciò che si
potrebbe chiamare il soggetto
metodologico, cioè in una formazione ideale che per- corre queste creazioni in un’evoluzione che
si può cogliere psi- chicamente, nei
suoi momenti preparatori, nel suo crescere e
nel suo decadere, unificando l’ordine oggettivo della loro coesi- stenza in un processo vitale concepito come
temporale, la cui continuità non si
rinserra nell’ambito della singola opera. Anche
l’uso linguistico sembra legittimare quest’interpretazione. Noi diciamo che l’arte, il diritto, la chimica si
sviluppano. È però chiaro che l’arte, il
diritto, la chimica ecc., in quanto tali, non
sono realtà, ma formulazioni riassuntive di fenomeni particola- ri separati tra loro, anche se collegati da
molteplici relazioni, sotto concetti
astratti. Se l’arte, nel senso storico qui in questio- ne, consiste della somma delle opere d’arte,
il termine « arte » non designa un'unità
concreta e neppure, quand’anche essa lo
fosse, un’unità vivente, in grado di sviluppar« si »; in tal caso dovrebbe essere « l’arte » a produrre i
quadri, mentre sono gli artisti a farlo.
Se però applichiamo quest’espressione, abbiamo
creato l’ipostatizzazione di un concetto strumentale e un sogget- to del tutto nuovo, che ha quella capacità di
auto-sviluppo riservata esclusivamente
al vivente e le cui espressioni o tappe
sono le singole opere d’arte. Questo soggetto viene percepito in uno sviluppo temporale, e ciò ancora per il
fatto che i momenti di tale sviluppo
posseggono quel rapporto di sviluppo sopra-
temporale, puramente oggettivo. Noi ne abbiamo bisogno già per casi isolati: quando comprendiamo l’amore
o l’odio in ge- nerale, senza rapporto
con la realtà di un individuo, attribuia-
mo loro per così dire un portatore ideale, una vita in generale che nel suo complesso risponde con essi a
qualsiasi stimolo e che è, per così
dire, versata in queste forme momentanee.
Come concetti rigidamente conclusi, strappati dalla connessio- GEORG SIMMEL 533 ne della vita, essi sarebbero per noi poco
più che parole, e in ogni caso
attendevano soltanto di essere compresi in modo ap- propriato. Ciò diventa ancora più chiaro
laddove un avvenimen- to particolare
media la comprensione di un altro avvenimento
particolare. Il fatto che noi «comprendiamo» un sentimento di vendetta — poco importa se rappresentato
storicamente o in astratto — in base a
un'ingiustizia subìta in precedenza, non
avviene in virtù di uno strettissimo accostamento tra i due processi, ma in quanto possiamo rappresentare
un fluire unita- rio della vita, del
quale costituiscono due onde legate dalla
corrente stessa. Così risulta
pure che il ritmo, la continua mobilità della
vita è il sostegno formale della comprensione, anche in quelle connessioni logiche di contenuti oggettivi
che, da parte loro, rendono
intelligibile il concreto accadere vivente di questi contenuti oggettivi. Ma la vitalità specifica
e operante di quel soggetto ideale è una
trasformazione o un’oggettivazione di
quella che noi rintracciamo in noi stessi — ma come vitalità sovra-individuale, di cui noi siamo per così
dire solo un esem- pio. All’interno dell’accadere
e dell’ondeggiare incessante perce-
piamo tuttavia in noi, più o meno sicura, una finalità almeno formale,
una realizzazione di disposizioni, un dispiegarsi di germi che noi abbiamo o,
piuttosto, che noi siamo. Tale sensa- zione trova una manifestazione parziale o
una concentrazione quando i contenuti psichici si ordinano in una serie, di cui
ogni momento successivo ci diventa consapevole, rispetto al precedente, come
arricchimento, come promessa mantenuta, co- me incremento ed estensione della
nostra situazione. In quanto, dopo aver posto le premesse, pervengo alla
conclusio- ne; in quanto percorro le teorie filosofiche del secolo xviI finché
compare il criticismo; in quanto, considerando l’arte ita- liana, giungo dalla rigidità bizantina e
dalla scarsa articolazio- ne delle
figure del Trecento fino al rilassarsi individualizzante del Quattrocento e quindi all'unità armoniosamente
raccolta del- la composizione del primo
Rinascimento, sento il mio spirito —
nella misura in cui vive in queste sue espressioni — ampliar- si gradualmente, sempre più attualizzato
nelle sue forze intuiti- ve. Mentre vive
in questa successione di contenuti e passa attra- verso di essi, lo spirito si sente non
soltanto mosso, ma anche 534 GEORG
SIMMEL dotato dello specifico valore
dello « sviluppo ». Così considera- to,
questo è forse qualcosa di originario e di non ulteriormente risolvibile, e neppure dipendente da un fine
posto in preceden- za, ma costituisce
soltanto una ritmica imposta dallo stesso
movimento spirituale, una particolare specie di crescita inter- na. Che poi io designi l'ordinamento storico
o ideale delle cose come il loro
sviluppo, non sarebbe chiaramente un arbitrio;
anzi, esse devono, nel senso più preciso, questo tono valutativo al processo di auto-dispiegamento dello
spirito, che le rivive nella loro
successione non appena sono diventate suoi contenu- ti. Se si considerano quindi i contenuti
svincolati dall’anima che se li
rappresenta, sotto la categoria di un’oggettività espri- mibile concettualmente, allora essi formano
una serie evolutiva oggettiva; essi sono
attraversati dalla corrente del sentimento
vivente di aspirazione e di sviluppo del soggetto rappresentan- te, dal quale però si è ora astratto, che ha
lasciato loro soltanto la connessione
interna e la costruzione mediante cui l'elemento successivo è condizionato dal precedente, e
quindi risulta intelli- gibile proprio
nella sua posizione. Se « comprendere » un conte- nuto particolare non è in linea di principio
(secondo l’opinione che abbiamo qui
esposto) nulla di diverso dalla sua comprensio-
ne come manifestazione della totalità della vita — di modo che il «comprendere » ne è soltanto l’espressione
abbreviata — ciò risulta ora valido,
attraverso il soggetto ideale che ha esperien-
za vissuta o il soggetto reale che'osserva, anche per quei conte- nuti che si offrono come puramente oggettivi
o come realizzati da portatori
diversi. Così si presenta dunque l’unione
dei motivi storico-psichici e dei motivi
oggettivi all’interno del fenomeno complessivo del comprendere. Noi comprendiamo lo sviluppo
psichico reale di una serie, i cui
elementi si fondano in una successione tempora-
le, soltanto sulla base della relazione oggettiva, trans-vitale, dei suoi contenuti. Senza un incremento o una
diminuzione visibile in questa
relazione, senza la nozione del fatto che i
contenuti oggettivi in quanto tali si richiamano a vicenda e che l'uno fonda o condiziona l’altro prescindendo
dalla realizzazio- ne temporale, essi
non possono neppure venir compresi come
successione psichica, come successione temporale-reale. E d’al- tra parte questo ordinamento ideale in forma
di sviluppo è tra GEORG SIMMEL 535 di essi possibile in quanto ne viene percorsa
la continuità del movimento psichico. Lo
sviluppo oggettivo dei contenuti richie-
de, come 4 priori che dà loro forma, quel progredire della coscienza, non ulteriormente definibile, che
si annuncia come sentimento specifico:
esso soltanto può allentare la chiusura
senza ponti di ogni contenuto, e la trasporta in quella continui- tà che solo si può chiamare sviluppo. Così lo
sviluppo psichico è condizionato ed è
comprensibile in base a quello oggettivo, e
questo è condizionato e comprensibile in base a quello. Ciò significa che entrambi sono soltanto i due
aspetti, resi metodolo- gicamente
autonomi, di un’unità: l’unità dell’accadere compre- so storicamente. E poiché il comprendere è un
fenomeno origi- nario nel quale si
esprime un rapporto universale dell’uomo,
gli elementi in cui esso si realizza o gli aspetti unilaterali tra cui si muove la riflessione si compenetrano,
cioè — rappresenta- ti come autonomi —
si costruiscono in correlazione tra di loro.
Considerato dall’altra parte, questo circolo è inevitabile perché la vita è istanza determinante dello spirito,
cosicché la sua forma determina infine
anche le formazioni mediante cui deve
diventare comprensibile a se stessa. La vita può essere appunto compresa soltanto dalla vita, e a tal fine si
dispone in strati di cui l'uno media la
comprensione dell'altro, e che nella loro
dipendenza reciproca annunciano la sua unità. A questo punto appare chiaro che il motivo
vitalistico per la soluzione del
problema del comprendere era già prefigurato
nelle considerazioni con cui ho cercato di chiarirlo respin- gendo le interpretazioni che di esso si
offrono a prima vista. Infatti queste
interpretazioni, considerate in modo preciso, risul- tano in linea generale discendenti da una
fondamentale intui- zione meccanicistica.
Ad essa risponde il fatto che l’uomo
offre all'uomo solo il suo aspetto fisico esterno, dietro il quale soltanto un atto intellettuale, mediato da
associazioni, colloca un'anima e
determinati processi psichici. L'unità e la totalità del vivente si sottrae
infatti al meccanicismo; esso può incollar- lo insieme soltanto in base ai
singoli frammenti che, per una concezione organica, sono il risultato di
scomposizioni successi- ve della sua unità. Perciò esso non può concepire il
comprende- re come fenomeno originario che si manifesta tra un uomo 536 GEORG
SIMMEL nella sua totalità e un altro uomo anch'esso nella sua totalità, ma lo
concepisce come sintesi secondaria di fattori separati. In base alla medesima
mentalità gli sfugge l'elemento creativo — si può ben dire così — del processo
del comprendere, che permette al soggetto di produrre in sé ciò che gli è
estraneo e distante, ciò che non ha
vissuto personalmente, come immagine di
un’altra anima. La sua aspirazione finale di risolvere ogni relazione in equivalenze lo conduce a fondare
o a ridurre anche il comprendere
esclusivamente all’identità tra soggetto e ogget- to. Esso può concepire il compreso soltanto
come ripetizione meccanica di ciò che
già preesiste nel comprendente; e doveva
quindi — dato che evidentemente ciò non è conciliabile con i fatti — attaccarsi al mezzo disperato di
costruire gli avvenimen- ti psichici
nella personalità storica partendo da singoli fram- menti, che si possono raccogliere insieme
sulla base delle espe- rienze interne
del soggetto della conoscenza storica: un tentati- vo che non è possibile discutere seriamente,
e del tutto privo di valore già per il
fatto che la comprensione della vita interio-
re corre appunto lungo le continue comnessioni e unificazioni dei contenuti che si possono designare
singolarmente. Ciò che è decisivo per la
vita e per l’individualità, ossia l’unificazione, non si potrebbe quindi raggiungere con la
semplice trasposizio- ne dei frammenti
messi insieme. Rientra in tutto nell’essenza
dell’intuizione meccanicistica voler rappresentare anche il com- prendere storico come una mera copia
dell'accaduto «come esso era realmente
», anziché scorgere che anche questa è un’at-
tività del soggetto dipendente dalle categorie e dalle forme in cui assume il suo oggetto (alle quali, per
esempio, quel sogget- to metodologico
appartiene come una necessità 4 priori), una
formazione spirituale specifica; e che anche qui la sua verità relativa a un oggetto è qualcosa di vivente,
di funzionale e di elaborato, non già la
riproduzione meccanica di una lastra foto-
grafica. Forse con ciò il problema del comprendere storico di- venta qualcosa di molto più difficile e
profondo che nell’intui- zione semplice,
e tuttavia assai più strana, secondo cui la
comprensione di un’altra anima si compie come ripetizione dell’esatto contenuto di quest’anima nello
spirito che l’accoglie — e ha luogo
solamente in quanto l’esperienza vissuta propria di questo spirito viene trasposta in
quella. GEORG SIMMEL 537 In queste diverse interpretazioni della
comprensione psichi- ca si fa valere
l’antitesi tra un punto di vista meccanicistico e un punto di vista organicistico e
vitalistico. E come avviene in ogni
conflitto spirituale, spinto fino alla sua istanza suprema, ogni decisione tra i due punti di vista
risulta dipendente da quella che l’uomo
ha preso in merito alla totalità e alla profon-
dità della propria intuizione del mondo.
MAX WEBER NOTA BIOGRAFICA Max Weber nacque a Erfurt il 21 aprile 1864,
figlio di un avvocato impegnato nella
politica attiva e di una donna di forti interessi mo- rali e religiosi, alla quale egli rimarrà
sempre profondamente attaccato. Condotto
in giovane età a Berlino, dove il padre — divenuto deputato del partito liberale-nazionale — accoglieva
in casa alcuni dei maggiori esponenti
della vita politica e della cultura tedesca dell’età bismarckia- na, Weber compì gli studi liceali nella
capitale. In questo ambiente il giovane
Weber rivelò ben presto Ia sua acuta intelligenza e una straordi- naria capacità di applicazione nello studio
scientifico. Dal 1882 al 1886 frequentò
successivamente le università di Heidelberg, di Berlino, di Gòttingen e poi di nuovo di Berlino, seguendo
corsi di diritto, di economia e di
storia; e a Berlino conseguì il dottorato nel 1889, con una dissertazione sulle società commerciali
nel Medioevo, Zur Geschichte der
Handelsgesellschaften im Mittelalter (Stuttgart, 1889). In seguito gli interessi di Weber si sviluppano in due
direzioni principali. Da una parte,
soprattutto sotto l'ispirazione e la guida di Theodor Mommsen, egli si dedica allo studio della storia
economico-sociale dell'antica Ro- ma,
scrivendo un’opera ancor oggi fondamentale sul diritto agrario romano, Die ròmische Agrargeschichte in ihrer
Bedeutung fiir das Staat- und
Privatrecht (Stuttgart, 1891; tr. it. Milano, 1967) — con la quale ottiene l'anno seguente l’abilitazione — e
soffermandosi in particolare sui
rapporti tra la crisi sociale del tardo Impero e il tramonto della civiltà antica. Dall'altra parte, sotto
l'influenza dei cosiddetti « socialisti
della cattedra » (Gustav Schmoller, Adolf Wagner, Lujo Brentano ecc.) e attraverso la partecipazione all'attività del
« Verein fir Sozialpolitik », Weber si
accosta alla ricerca sociologica empirica e collabora a un progetto di studio delle condizioni del
lavoro agricolo in Germania con
un'inchiesta sulla situazione delle regioni orientali. Nel volume
Die Verhiltnisse der Landarbeiter im
ostelbischen Deutschland (Leipzig,
1892), nonché in vari saggi che ne sviluppano le implicazioni più
propriamente politiche, egli pone in luce il trapasso dalla tradizionale
proprietà di tipo signorile alla proprietà capitalistica, cercando di determi
nare le conseguenze che ne risultano sul piano politico-sociale: la forma-
zione di una classe di imprenditori fondiari e la proletarizzazione della ma-
542 MAX WEBER nodopera agricola, con la necessità che da essa deriva di
ricorrere alla im- migrazione polacca per colmare il vuoto prodottosi tra i
contadini tedeschi. Attraverso questa inchiesta comincia a delinearsi quello
che sarà il problema centrale dell’opera di Weber, cioè il problema del
capitalismo moderno e della sua individualità storica. E difatti, in una serie
di saggi di poco posteriori la sua
attenzione si concentra sui vari aspetti
dell'organizzazione capitalistica dell'economia e sulle condizioni del
lavo- ro industriale. Conseguita l'abilitazione, Weber sposa nel
1893 Marianne Schnitger (che alla sua
figura intellettuale dedicherà, dopo la morte, una celebre biografia). L’anno seguente egli intraprende
la sua carriera accademica quale
professore di economia politica a Friburgo e, dal 1896, a Heidel- berg. Ma nel 1897 una gravissima crisi
nervosa lo costringe a sospendere
l'insegnamento e a interrompere il lavoro scientifico. Questa crisi
durerà parecchi anni: soltanto dopo un
lungo periodo di riposo, di cure e di
viaggi, con l’amorevole assistenza della moglie, Weber potrà far
ritorno al lavoro nel 1901, abbandonando
però al tempo stesso la cattedra
universitaria. Egli rimane a Heidelberg come studioso privato, ma
nel 1903 assume — insieme a Edgard Jaffé
e a Werner Sombart — la direzione dell’«
Archiv fir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik »; e que- sta rivista, sulla quale compariranno molti
dei suoi saggi più importanti, diventa
per opera sua un centro di attività a cui collaborano i più insigni studiosi tedeschi di scienze
sociali. In questi stessi anni, a
contatto con l’ambiente filosofico di Heidel-
berg, si vengono precisando le lince della riflessione metodologica
webe- riana. In un primo saggio, Roscher
und Knies und die logischen Proble- me
der historischen Nationalòkonomie (pubblicato nello « Schmollers Jahrbuch » del 1903-1906), Weber rivolge la
sua critica ai presupposti organicistici
della scuola storica di economia, respingendo la pretesa di assegnare alla scienza economica il compito
di scoprire tendenze evoluti- ve fornite
di valore legale. Ma la critica della scuola storica (a cui fa riscontro l'accettazione dei princìpi della
teoria marginalistica, soprattut- to
nella formulazione datane da Carl Menger) si allarga in una presa di posizione polemica nei confronti dell’eredità
metodologica romantica, e in particolare
dell'interpretazione della conoscenza storica come un proce- dimento di comprensione immediata, diretto a
cogliere intuitivamente i fenomeni
storici nella loro individualità. La piattaforma di questa pole- mica è offerta a Weber dal richiamo
all'impostazione metodologica
rickertiana. Dinanzi all’alternativa tra la definizione della
conoscenza storica come complesso delle
scienze dello spirito, formulata da Dilthey,
e la sua qualificazione come sapere idiografico, proposta da
Windelband e da Rickert, egli sceglie
infatti la seconda soluzione. Né la specificità
dell'oggetto né la specificità del procedimento di ricerca, di per
sé MAX WEBER 543 prese, sono in grado di garantire l'autonomia
della conoscenza storica: la
contrapposizione tra natura e spirito è un'antitesi di carattere metafisi- co, mentre la distinzione tra spiegazione e
comprensione rischia di ridurre la
conoscenza storica a una specie di penetrazione immediata, a una forma di intuizione. L'oggetto delle
scienze storico-sociali deve perciò
essere definito in correlazione al loro metodo, cioè in base all’o- rientamento verso l’individualità; mentre
l’intendere dev’essere concepito come
una comprensione capace di trovare una verifica empirica e di tradursi in spiegazione causale. Per questa via si è venuto delineando il
problema centrale della metodologia di
Weber, vale a dire il problema dell'oggettività delle scienze storico-sociali. Nel saggio Die «
Objektivitàt » sozialwissenschaft-
licher und sozialpolitischer Erkenntnis, che inaugura la nuova
serie dell'« Archiv » (1904; tr. it.
Torino, 1958) e in alcuni saggi successivi,
in particolare nelle Kritische Studien auf dem Gebiet der
kulturwissen- schaftlichen Logik (1906;
tr. it. Torino, 1958), Weber ha enunciato le due condizioni fondamentali di oggettività delle
scienze storico-sociali, indi- candole
da un lato nell’esclusione dei giudizi di valore e dall'altro nel ricorso alla spiegazione causale. La prima
condizione stabilisce la diffe- renza di
principio tra il compito delle scienze storico-sociali in quanto scienze e il compito dell’attività politica,
e più in generale di qualsiasi presa di
posizione valutativa; la seconda stabilisce invece la funzione esplicativa delle scienze storico-sociali e
l’applicabilità al loro dominio della
categoria di causalità. Su questa base Weber si richiama alla distinzione rickertiana tra giudizio di
valore e relazione ai valori. Se il
giudizio di valore è estraneo alle scienze storico-sociali come a ogni
altra disciplina scientifica, ciò che
distingue la loro struttura da quella delle
scienze naturali è proprio il riferimento a certi valori in virtù dei
quali avviene la selezione del dato
empirico. Weber lascia però cadere il
presupposto della validità incondizionata dei valori, a cui Rickert
faceva appello: i valori sono sì criteri
di scelta che permettono la selezione del
dato empirico e la costruzione dell'oggetto storico, ma sono essi stessi assunti in rapporto allo specifico punto di
vista da cui si pone l’indagi- ne. I
valori non sono quindi forniti di un'esistenza metastorica; essi sono sempre i valori di una certa cultura, a
cui appartiene il soggetto della
ricerca, La relazione ai valori designa pertanto il condizionamento culturale delle scienze storico-sociali, il
punto di partenza « soggettivo » che
stabilisce la direzione dell'indagine. Entro questa direzione è possibi- le una determinazione oggettiva di rapporti,
che può essere conseguita mediante il ricorso alla spiegazione causale. Ma in
tale maniera la stessa spiegazione causale di un oggetto storico risulta
inevitabilmente parzia- le, anzi unilaterale. Essa non mette capo alla scoperta
di rapporti necessari, ma procede alla formulazione di giudizi di possibilità
oggetti- 544 MAX WEBER va che si collocano entro i due casi-limite della
causazione adeguata e della causazione accidentale. Le scienze storico-sociali
individuano quin- di, di volta in volta, una serie di condizioni che — accanto
ad altre, parimenti importanti — rendono possibile il verificarsi di un
determina- to avvenimento. In quest'opera esse si avvalgono pure di concetti
genera- li e di regole generali che
hanno il carattere di «tipi ideali» e che
possono organizzarsi, con una relativa autonomia, in discipline
teoriche come la scienza economica o la
sociologia. Questi concetti e queste
regole assolvono una funzione strumentale rispetto allo scopo
primario delle scienze storico-sociali,
che è la spiegazione degli avvenimenti nella
loro individualità, ma sono nondimeno indispensabili. La via verso
l’indi- viduale passa sempre attraverso
il sapere nomologico. Perciò l’edificio
del sapere storico comprende non soltanto la ricerca storiografica,
ma anche le scienze sociali astratte,
costituite mediante l’organizzazione
sistematica di concetti tipico-ideali e dirette alla determinazione
delle uniformità di comportamento dei
fenomeni sociali. Negli stessi anni
Weber ha affrontato il problema dell’individualità storica del capitalismo moderno, con i due
saggi Die protestantische Ethik und der
Geist des Kapitalismus (1904-1905; tr. it. Roma, 1945) e Die protestantischen Sekten und der Geist des
Kapitalismus (1906). Weber definisce il
capitalismo moderno come una struttura economica a orienta- mento razionale, che si colloca nel quadro
del processo di razionalizza- zione
della vita che è caratteristico della civiltà moderna; per cui esso si differenzia anche da quelle forme di economia
che — come il capitali smo antico —
possono presentare tratti simili. Alla ricerca storica si pone pertanto il compito di spiegare per
quali motivi, cioè in rap- porto a quali
condizioni, questa struttura sia sorta soltanto in Occi- dente e nell'età moderna, e di determinare le
linee del processo attraver- so cui essa
si è formata. Weber sostiene, in polemica con la concezione materialistica della storia, l'impossibilità
di fornire una spiegazione della genesi
del capitalismo moderno che faccia appello soltanto a condi- zioni economiche; e si propone di mostrare
che ad esso ha contribuito in modo
decisivo, accanto a un certo tipo di organizzazione dell'impresa e a una certa configurazione dei rapporti «
materiali », anche una particola- re
mentalità — lo spirito capitalistico — la quale è il risultato di una trasformazione dell’etica calvinistica e
della sua specifica forma di ascesi
mondana, diretta a comprovare la grazia divina mediante il lavoro e
il successo negli affari. Questa tesi
costituisce il presupposto anche dell’ana-
lisi che Weber ha successivamente dedicato alla religione cinese,
all’In- duismo e al Buddismo, alla
religione ebraica, negli studi raccolti sotto
il titolo complessivo Die Wirtschafesethik der Weltreligionen
(1915-19). Attraverso lo studio
comparativo delle varie etiche economiche a cui le religioni universali hanno dato origine,
cercando di regolare con esse la MAX
WEBER 545 vita economica, egli si
propone infatti di mostrare — per via negativa — che soltanto nel capitalismo moderno è
presente quella particolare menta- lità
che costituisce lo spirito capitalistico, e che soltanto l’ascesi di tipo calvinistico poteva offrire le condizioni
adatte per la sua formazione. L'analisi
weberiana si rivolge così a determinare la diversità dell'etica economica del Protestantesimo da quella delle
altre religioni, cioè — in ultima
analisi — a spiegare i caratteri peculiari del capitalismo moder- no. Pertanto la « sociologia della religione
» di Weber appare, in fondo, una ricerca
storica che si avvale strumentalmente di concetti tipico-idea- li, subordinando l’analisi tipologica a un
preciso scopo di individua- zione. Soltanto nel saggio Uber einige Kategorien
der verstehenden Soziolo- gie (1913; tr.
it. Torino, 1958), e più esplicitamente nella trattazione sistematica di Wirtschaft und Gesellschaft
(edita postuma nel 1922 a Tiibingen; tr.
it. Milano, 1961), la sociologia cessa di costituire un momento astratto nell’ambito di un'indagine
orientata in senso storiogra- fico, per
configurarsi come una disciplina autonoma che si pone in antitesi rispetto alla ricerca storica,
delimitando un proprio campo di ricerca.
La sociologia assume a oggetto le uniformità dell’atteggiamento umano in quanto fornite di senso, e le forme
di relazione che sorgono sulla base dei
diversi tipi di atteggiamento — l’atteggiamento razionale rispetto allo scopo, l'atteggiamento
razionale rispetto al valore, l’atteggia-
mento affettivo, l'atteggiamento tradizionale. In questa prospettiva
We- ber ha condotto, in Wirtschaft und
Gesellschaft, un'analisi sistematica dei
rapporti tra i vari settori della vita sociale e le forme di economia; cosicché il problema dell’individualità
storica del capitalismo moderno risulta
trasposto sul piano di una tipologia delle strutture economiche, considerate nel loro rapporto reciproco con
gli altri campi della vita di una
società. Negli anni successivi al 1903
lo sviluppo della riflessione metodologi-
ca e della ricerca storico-sociologica si intreccia, in Weber, con il
rinnova- to interesse per le vicende
politiche tedesche e per la situazione europea.
Comincia a delinearsi, in questo periodo, la posizione sempre più
critica di Weber nei confronti
dell’eredità bismarckiana, che lo condurrà a
formulare un severo giudizio sulla struttura politica della Germania, incapace di favorire la formazione di una
classe dirigente preparata e
responsabile. Questa critica, che Weber ha sviluppato durante la
prima guerra mondiale dalle colonne
della «Frankfurter Zeitung», viene
espressa in modo compiuto — poco prima della fine del conflitto —
in Parlament und Regierung im
neugeordneten Deutschland (Munchen, 1918;
tr. it. Bari, 1919), in cui egli affronta il problema dell'imminente ricostruzione politica della Germania.
Successivamente Weber partecipa in
maniera diretta alla vita politica, prima come consulente della Com- 35. STORICISMO TEDESCO. 546 MAX WEBER
missione di armistizio a Versailles e poi collaborando alla redazione
del progetto di costituzione della
repubblica di Weimar. Nel 1918 ritorna
all'insegnamento, accettando una chiamata all’Università di Monaco,
do- ve tiene due celebri conferenze sul
senso della scienza e sul senso della
politica (Wissenschaft als Berut e Politik als Beruf, 1919; tr. it.
Torino, 1948) e il suo ultimo corso di
lezioni, dedicato a un'analisi delle
categorie sociologiche. Risale a questi anni anche la
Wirtschaftsgeschichte, pubblicata
postuma (Berlin, 1923). La morte lo coglie a Monaco il 14 giugno 1920, in pieno fervore di attività. L'ultimo periodo della vita di Weber è
caratterizzato anche dallo sforzo di
sviluppare le implicazioni filosofiche della propria analisi. Non a caso il problema che viene in primo
piano, durante questi anni, è il
problema dei valori, che gli veniva riproposto con urgenza dal conflitto mondiale e dalle questioni
etico-politiche che esso aveva solleva-
to. Riprendendo, nel saggio Der Sinn der « Wertfreiheit» der
soziolo- gischen und dkonomischen
Wissenschaften (1917; tr. it. Torino, 1958), la
tesi dell’avalutatività delle scienze storico-sociali, Weber ha dato
una formulazione esplicita della propria
concezione dei valori. I valori non
posseggono una validità incondizionata, e tanto meno sono entità
trascen- denti; la loro validità
coincide con la possibilità di trovare una realizza- zione nell’agire umano. D’altra parte i
valori non possono essere riporta- ti a
un'unità sistematica: la loro molteplicità è irriducibile, e sia tra le diverse sfere di valori sia all’interno di
ogni sfera si verificano sempre
conflitti di valori. Ciò vale nei rapporti tra etica e politica, tra
scienza e religione, e via dicendo; ma
vale perfino all’interno della sfera etica, che
è dominata dall’antitesi tra etica dell’intenzione ed etica della
responsabi- lità. L’agire dell’uomo è la
sede in cui si manifesta il contrasto reciproco
dei valori, in quanto l'accettazione di certi valori comporta
inevitabil- mente il rifiuto di altri, e
il primato accordato a una certa sfera implica
la subordinazione o la negazione di altre sfere. Il rapporto
dell’agire umano con i valori si
presenta quindi come una relazione problematica
definita mediante una scelta — la scelta che l’uomo compie dei valori che devono servire come criterio di
orientamento per la propria condot- ta.
Su questa base Weber ha affrontato, in Wissenschaft als Beruf, il problema del senso della scienza, cioè il
problema del significato che la scienza
riveste in relazione al posto dell’uomo nel mondo. Egli ha indicato tale significato nella chiarezza,
cioè nella presa di coscienza del
rapporto tra gli scopi dell’agire e i mezzi necessari alla loro
realizzazio- ne, a cui l’uomo perviene
in virtù della conoscenza scientifica. La
scienza mette in questione la possibilità di realizzare i valori,
determi- nando le condizioni dalle quali
essa dipende; la sua è quindi una
funzione problematizzante e critica. In maniera analoga Weber ha
impo- stato, in Politik als Beruf, il
problema del senso della politica. Se è vero
MAX WEBER 547 che la politica
implica sempre rapporti di forza e mira a conseguire o a mantenere un certo potere, è altrettanto vero
che essa è dedizione a un compito, a una
causa. In quanto tale, la politica presuppone una scelta in favore di certi valori, a cui si
accompagna il rifiuto di altri; cosicché
nel conflitto tra le varie forze si riflette una lotta tra valori
diversi e inconciliabili. Il senso della
politica è perciò differente dal senso della
scienza — il che consente a Weber di ribadire la tesi dell’indipendenza reciproca di conoscenza scientifica e di
attività politica. Ma la base sulla
quale essi vengono determinati è la medesima: un’interpretazione del posto dell’uomo nel mondo che risulta fondata
sul rapporto di scelta che intercorre
tra l'uomo e i valori. NOTA
BIBLIOGRAFICA I saggi metodologici di
Weber sono raccolti nei Gesammelte Aufsitze
zur Wissenschaftslehre, Tùbingen, 1922, 1951 ? (a cura di J.
Winckelmann), 1968?, 19734. Il volume
comprende i seguenti saggi: Roscher und Knies
und die logischen Probleme der historischen Nationalòkonomie
(1903-1906), Die « Objektivitit »
sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkennt- nis (1904), Kritische Studien auf dem Gebiet
der kulturwissenschaft- lichen Logik
(1906), R. Stammlers « Ùberwindung » der materialistischen Geschichtsauffassung (1907) con il relativo
Nachtrag, Die Grenznutzlehre und das « psychophysische Grundgesetz » (1908),
Uber einige Kategorien der verstehenden Soziologie (1913), Die drei Typen der
legitimen Herr- schaft (apparso postumo nel 1922), Der Sinn der « Wertfreiheit
» der so- ziologischen und Gkonomischen Wissenschaften (1918), Wissenschaft als
Beruf (1919) — nonché il primo capitolo di Wirtschaft und Gesellschaft. Di
questi saggi il secondo, il terzo, il sesto e l’ottavo sono tradotti nel vo-
lume 7 metodo delle scienze storico-sociali (a cura di P. Rossi), Torino, 1958;
Wissenschaft als Beruf è invece tradotto — insieme a Politik als Beruf — nel
volume Il lavoro intellettuale come professione (tr. it. di A. Giolitti, intr.
di D. Cantimori), Torino, 1948, 1966 2. Gli altri scritti di Weber sono
raccolti per buona parte nei seguenti volumi: Gesammelte Aufsitze zur
Religionssoziologie, Tiùbingen, 1920-21, con va- rie riedizioni fototipiche
(una traduzione italiana completa è in corso di preparazione per i « Classici
della sociologia » delle Edizioni di Co- munità): il primo volume comprende i
due saggi Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus e Die
protestantischen Sekten und der Geist des Kapitalismus, nonché l'introduzione e
la prima par- te di Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen, dedicata a Konfuzia-
nismus und Taoismus; il secondo comprende la seconda parte, dedi- cata a
Hinduismus und Buddismus; il terzo comprende la terza par- te, dedicata a Das
antike Judentum. Una nuova edizione dei saggi sul- l'etica protestante,
corredata della relativa discussione, è stata fornita da J. Winckelmann, col
titolo Die protestantische Ethik: cine Aufsatz- sammlung, Miinchen, 1968, e
Hamburg, 19727. MAX WEBER 549 Gesammelte politische Schriften, Miinchen, 1921,
e Tiibingen, 1958? (a cura di J. Winckelmann), 19713; tr. it. (parziale)
Catania, 1970: di questa traduzione non fanno parte né Parlament und Regierung
im neugeordneten Deutschland, già tradotto fin dal 1919, né il saggio Politik
als Beruf, tradotto invece nel volume // Zavoro intellettuale co- me professione
cit. Gesammelte Aufsitze zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Tiubingen,
1924: il volume comprende Agrarverhaltnisse im Altertum (1909) e una serie di
altri saggi di storia economico-sociale del mondo antico e del Medioevo, nonché
Die lindliche Arbeitsverfassung (1893), Ent- wickelungstendenzen in der Lage
der ostelbischen Landarbeiter (1894) e Der Streit um den Charakter der
altgermanischen Sozialverfassung in der deutschen Literatur des letzten
Jahrzehnts (1905). Gesammelte Aufsitze zur Soziologie und Sozialpolitik,
Tùbingen, 1924: il volume comprende diversi saggi di sociologia empirica, tra
cui so- prattutto Zur Psychophysik der industriellen Arbeit (1908-1909), e gli
interventi alle riunioni del « Verein fir Sozialpolitik ». Rimangono al di
fuori di queste raccolte: i due volumi Die ròmische Agrargeschichte in ihrer
Bedeutung fiir das Staat- und Privatrecht e Die Verhdltnisse der Landarbeiter
im ostelbischen Deutschland, già menzio- nati; l’opera sociologica fondamentale
Wirtschaft und Gesellschaft, Tù- bingen, 1922, 19257, 19473, 19564 (a cura di
J. Winckelmann), 19725, tr. it. Milano, 1961, 1968, 1974?; le lezioni sulla
Wirtschaftsgeschichte: Abriss der universalen Sozial- und Wirtschaftsgeschichte
(a cura di S. Hellmann e M. Palyi), Miinchen-Leipzig, 1923 (una traduzione
italiana è in preparazione presso Einaudi). Rimangono inoltre al di fuori delle
varie raccolte e dei volumi qui elencati numerosi scritti, discorsi, interventi
con- gressuali, nonché gli Jugendbriefe, Tiibingen, s.d. (ma 1936). Di grande
importanza per la comprensione della personalità di Weber è la biografia
scritta dalla moglie Marianne Weser, Max Weber, cin Le bensbild, Tiibingen,
1921, e Heidelberg, 19507. Due importanti raccolte di documenti sono state
pubblicate rispettivamente da E. BAuMGARTEN, col titolo Max Weber: Werk und
Person, Tiibingen, 1964, e da R. KénIG e J. WincKELMANN, col titolo Max Weber
zum Gedichinis (fascicolo spe- ciale della « Kòlner Zeitschrift fir Soziologie
und Sozialpsychologie », XVI, 1964). La letteratura critica sull'opera e sul
pensiero di Weber ha acquistato, particolarmente negli ultimi due decenni,
dimensioni sempre più cospicue. Tra di essa ci limitiamo a segnalare gli studi
seguenti: 550 MAX WEBER A. von ScHELTING, Die logische Theorie der historischen
Kulturwissen- schaft von Max Weber und im besonderen sein Begriff des
Idealtypus, «Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik », XLIX, 1920,
pp. 623-752. H.
OrrenHEMER, Die Logik der soziologischen Begriffsbildung (mit be- sonderer
Beriicksichtigung von Max Weber), Tiibingen, 1925. A. Warter, Max Weber als
Soziologe, « Jahrbuch fir Soziologie », II, 1926, pp. 1-65. H. J. Graz, Der
Begriff des Rationalen in der Soziologie Max Webers, Karlsruhe, 1927. B.
Prisrer, Die Entwicklung zum Idealtypus (Eine methodologische Un- tersuchung
iiber das Verhaltnis von Theorie und Geschichte bei Men- ger, Schmoller und Max
Weber), Tibingen, 1928, parte III. S. LanpsHut, Kriti der Soziologie,
Minchen-Leipzig, 1929, e Neuwied- Berlin, 1968 ?, parte II. W. Bienrair, Max
Webers Lehre vom geschichilichen Erkennen, Berlin, 1930. E. Wotr, Max Webers
ethischer Kritizismus und das Problem der Me- taphysik, « Logos», XIX, 1930,
pp. 359-70. W. StrzeLEWIcz, Die Grenzen der Wissenschaft bei Max Weber, Frank-
furt a.M., 1931. K. Jasrers, Max Weber: Deutsches Wesen im politischen Denken,
im Forschen und Philosophieren, Oldenburg, 1932; nuova edizione col ti- tolo
Max Weber: Politiker, Forscher, Philosoph, Bremen, 1946, e Miin- chen, 19582;
tr. it. Napoli, 1969. K. LéwrrH, Max Weber und Karl Marx, « Archiv fiir
Sozialwissenschaft und Sozialpolitik », LXVII, 1932, pp. 53-99 € 175-214, poi
raccolto nel- le Gesammelte Abhandlungen zur Kritik der geschichilichen
Existenz, Stuttgart, 1960, pp. 1-67; tr. it. Napoli, 1967, pp. g-110. A.
Scnurz, Der sinnhafte Aufbau der sozialen Welt (Eine Einleitung in die
verstehende Soziologie), Wien, 1932. C. Stepine, Politit und Wissensschaft bei
Max Weber, Breslau, 1932. A. MertLer, Max Weber und die philosophische
Problematik in unserer Zeit, Leipzig, 1934. MAX WEBER 55I A. SaLomon, Max
Webers Methodology, « Social Research », I, 1934, pp. 147-68. A. von ScuettIno,
Max Webers Wissenschafeslehre, Tiibingen, 1934. R. Lennert, Die
Religionstheorie Max Webers, Stuttgart, 1935. A. Saromon, Max Weber's
Sociology, « Social Research », II, 1935, pp. 60-73. A. Saromon, Max Weber's
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Legalitàt in Max Webers Herrschafts- soziologie, Tubingen, 1952. P. Rossi, La sociologia di Max Weber, «
Quaderni di sociologia », 1954, N. 12, pp. 70-90, € n. 13, pp. 114-490. M. Mertrau-Ponty, Les
aventures de la dialectique, Paris, 1955, pp. 15-42. J. WincKeLMAnN, Gesellschaft
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Problem der Legitimitàt im Max Webers Idealtypus der rationalen Herrschaft,
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We- ber, Bloomington (Indiana), 1961. 552 MAX WEBER W. Wecener, Die Quellen der
Wissenschaftsauffassung Max Webers und die Problematik der Werturteilsfreiheit
der NationalòkRonomie, Berlin, 1962. E. FLEIscHMann, De Weber à Nietzsche, «
Archives européennes de socio- logie », V, 1964, pp. 190-238. Max Weber und die
Soziologie heute (a cura di O. Srammer), Tibingen, 1965; tr. it. Milano, 1968.
« Revue internationale des sciences sociales », XVII, 1965, n. 1 (fascicolo
speciale dedicato a Max Weber, con contributi di R. Benpix, W. Momxsen, T.
Parsons, P. Rossi). F. FerrarOTTI,
Max Weber e il destino della ragione, Bari, 1965. J. Janoska-Benpi,
Methodologische Aspekte des Idealtypus: Max Weber und die Soziologie der
Geschichte, Berlin, 1965. P. LazarseeLD e A. OserscHaLL, Max Weber and
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sociologia segin Max Weber, Mexi- co, 1965. J. StreisanD, Max Weber:
Soziologie, Politik und Geschichtsschreibung von der Reichseinigung von oben
bis zur Befreiung Deutschlands vom Fascismus, Berlin, 1965. Max Weber:
Gedichtnisschrift der Ludwie-Maximilian-Universitàt Miin- chen zur 100.
Wiederkehr seines Geburtstages (a cura di K. EncIScH, B. Prister e J.
WincxeLMann), Berlin, 1966. G. Asramowskt, Das Geschichtsbild Max Webers:
Universalgeschichte am Leitfaden des okzidentalen Rationalisierungsprozesses,
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Theorie und Praxis: Max Weber und das Problem der Wert- freiheit und der
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the Writings of Marx, Durkheim and Max Weber, London-New York, 1971, parte III.
G. Hurnacet, Kritik als Beruf. Der Kritische Gehalt im Werk Max We- bers,
Frankfurt a.M., 1971. K. Huncar, Empirie und Praxis: Ertrag und Grenzen der
Forschungen Max Webers im Licht neuerer Konzeptionen, Meisenheim am Glan, 1971.
W. Lerèvre, Zum historischen Charakter und zur historischen Funktion der
Methode biirgerlicher Soziologie: Untersuchungen am Werk Max Webers, Frankfurt
a.M., 1971. W. ScHLucHTER, Wertfreiheit und Verantwortungsethik: zum Verhdltnis
von Wissenschaft und Politik bei Max Weber, Tiibingen, 1971. 554 MAX WEBER Max
Weber, sein Werk und seine Wirkung (a cura di D. Kaester), Miin- chen, 1972. H.
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Bruxelles, 1972. D. BeetHaMm, Mar Weber and the Theory of Modern Politics,
London, 1974. W. Mommsen, The Age of Bureaucracy: Perspectives on the Political
So- ciology of Max Weber, Oxford, 1974. Un elenco degli scritti di Weber (compresi gli articoli di giornale) è
stato fornito per la prima volta da Marianne Weser, Max Weber, ein Lebensbild
cit., pp. 755-60; esso è stato completato da J. WINcKELMANN nell’antologia di testi weberiani Soziologie,
Weltgeschichtliche Analysen, Politik,
Stuttgart, 1956, pp. 490-503. Per una bibliografia degli studi su Weber si veda l’articolo di H. H. GertH e H.
I. GertH, Bibliography on Max Weber, «
Social Research », XVI, 1949, pp. 70-89, nonché le impor- tanti integrazioni fornite da W. Mommsen, Max
Weber und die deutsche Politik cit., pp.
544-64. L’«OGGETTIVITÀ » CONOSCITIVA
DELLA SCIENZA SOCIALE E DELLA POLITICA
SOCIALE * La prima questione *, che di
solito si pone presso di noi a una
rivista di scienza sociale che sia al tempo stesso una rivista di politica sociale, nel momento del suo
apparire oppure del a. Ogni qual volta,
nella prima parte delle seguenti considerazioni, si parlerà esplicitamente in nome degli editori,
0 si determineranno i com- piti dell’«
Archivio », non si tratterà naturalmente di opinioni private del- l’autore, bensì di formulazioni che hanno
avuto l’espressa approvazione dei
coeditori. Per la seconda parte la responsabilità, tanto per la forma quanto per il contenuto, spetta soltanto
all'autore. Che l’« Archivio » non cadrà
mai nella proclamazione settaria di una
determinata posizione scolastica, è garantito dalla circostanza che il
punto di vista non solo dei suoi
collaboratori, ma anche dei suoi editori, è
tutt'altro che identica, perfino sotto il profilo metodologico. D'altra
parte una convergenza su certe
concezioni fondamentali ha costituito natural-
mente il presupposto dell'assunzione collettiva della redazione.
Questa convergenza si riferisce in
particolare alla considerazione del valore della conoscenza seorica da punti di vista «
unilaterali », nonché all'esigenza
dell’elaborazione di concetti precisi e della rigorosa distinzione tra
sapere empirico e giudizio di valore,
nel senso in cui essa verrà qui presentata
— naturalmente senza la pretesa di chiedere qualcosa di « nuovo ». L'ampiezza della discussione (nella seconda
parte) e la frequente ripe- tizione
dello stesso pensiero servono allo scopo esclusivo di pervenire al massimo possibile di comune intelligibilità
in tali considerazioni. Per que- * Die «
Objektivitit » sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, « Archiv fiir Sozialwissenschaft und
Sozialpolitik », XIX, 1904, pp. 22-87, raccolto
nel volume Gesammelte Aufsitze zur Wissenschaftslehre, Tubingen, ]. C.
B. Mohr, 1922, 4° cd. (a cura di
Johannes Winckelmann) 1973, pp. 146-214 (L’« oggettività » conoscitiva della scienza sociale e della
politica sociale, tr. it. di Pietro Rossi, in Il me- todo delle scienze storico-sociali, Torino,
Einaudi, 1958, pp. 53-130). 556 MAX
WEBER passaggio sotto una nuova
redazione, è quella concernente la sua «
tendenza ». Anche noi non possiamo sottrarci a tale que- stione, e dobbiamo a questo punto — in
riferimento alle osser- vazioni
formulate nella nostra Nota introduttiva! — addentrar- ci in un'impostazione problematica più
fondamentale. Si offre in questa maniera
l’opportunità di illustrare lungo varie direzio- ni il carattere specifico del lavoro della
«scienza sociale» in genere, quale noi
lo intendiamo, di modo che ciò possa essere
utile — per quanto, o piuttosto proprio in quanto si tratta di «nozioni di per sé evidenti» — se non per lo
specialista, almeno per il lettore che è
più lontano dalla prassi del lavoro
scientifico. Scopo esplicito
dell’« Archivio » è stato, fin dall’inizio, quel- lo di promuovere, accanto all'estensione della
nostra conoscen- za intorno alle
«situazioni sociali di tutti i paesi», e quindi
intorno ai fazti della vita sociale, anche l'educazione del giudi- zio sui suoi problemi pratici e pertanto — in
quella maniera, certo assai modesta, in
cui un fine siffatto può venir perseguito
da studiosi privati — la critica del lavoro pratico di politica sociale, fino ai fattori legislativi. E
tuttavia l’« Archivio » si è proposto
sempre di essere una rivista esclusivamente scientifica, e di lavorare soltanto con i mezzi della
ricerca scientifica — cosicché si
presenta subito il problema del modo in cui quello sto interesse molto — c'è da sperare non
troppo — si è sacrificato di precisione
dell’espressione, ed è stato pure del tutto tralasciato il tentativo di presentare, in luogo di un’'elencazione di
alcuni punti di vista meto- dologici,
un'indagine sistematica. Ciò avrebbe richiesto l'inserimento di una quantità di problemi di teoria della
conoscenza, che in parte si situa- no a
un livello ancora maggiore di profondità. Qui ci si propone non già di fare della logica, bensì di rendere utili
per noi dei risultati noti della logica
moderna; e quindi non di risolvere dei problemi, ma di illustrarne il significato ai non specialisti. Chi
conosca i lavori dei logici moderni — io
cito solo Windelband, Simmel e, per i nostri scopi, specialmente Hein- rich Rickert — osserverà subito come ogni
cosa essenziale sia qui legata ad
essi, 1, Si tratta della Nota
introduttiva alla nuova serie dell’« Archiv fir Sozialwissen- schaft und Sozialpolitik », che enunciava il
programma della nuova redazione,
costituita — oltre che da Weber — da Edgard Jaffé e da Werner Sombart.
Cfr. « Archiv », XXI, 1904, pp. ivi MAX WEBER 557
scopo possa conciliarsi, in linea di principio, con la limitazione a questi mezzi. Allorché l’« Archivio »
procede nelle sue pagi- ne a valutare le
misure legislative o amministrative, oppure le
proposte per tali misure, che cosa significa questo? Quali sono le zorme per questi giudizi? Quale è la
validità dei giudizi di valore che
talvolta esprime da parte sua colui che giudica, o che un autore, nell’avanzare proposte
pratiche, pone a fonda- mento di queste?
E in quale senso egli si mantiene allora sul
terreno della discussione scientifica, dal momento che la caratte- ristica della conoscenza scientifica deve
essere rintracciata nella validità «
oggettiva » dei suoi risultati — cioè nella sua verità? Noi intendiamo illustrare dapprima il nostro
punto di vista di fronte a questa
questione, per trattarne in seguito un’altra più ampia: in qual senso vi soro in generale «
verità oggettivamen- te valide » sul
terreno delle scienze che studiano la vita cultura- le? È una questione che, in considerazione
del continuo muta- re e della lotta
accanita che investe anche i problemi apparente- mente più elementari della nostra disciplina,
il metodo del suo lavoro, il modo di
formazione dei suoi concetti e la loro validi-
tà, non può essere evitata. Noi vogliamo quindi non già offrire delle soluzioni, ma piuttosto porre in luce
dei problemi — quei problemi a cui la
nostra rivista, per essere giustificata nel suo
lavoro passato e futuro, dovrà dedicare la propria attenzione. Noi tutti sappiamo che la nostra scienza,
anzi — con l’ecce- zione forse della
storia politica — ogni disciplina che abbia per oggetto le istituzioni e i
processi culturali della vita umana, è storicamente sorta in relazione a punti
di vista prati- ci. Il suo scopo prossimo, e all’inizio anche esclusivo, era
quel- lo di produrre giudizi di valore su determinati provvedimenti
politico-economici dello stato. Essa costituiva una « tecnica » al- l'incirca nello stesso senso in cui lo sono
anche le discipline clini- che
nell’ambito delle scienze mediche. È noto pure come questa posizione sia venuta gradualmente mutando,
senza che tuttavia fosse realizzata una
distinzione di principio tra la conoscenza
di «ciò che è» e la conoscenza di «ciò che deve essere ». 558 MAX WEBER
Contro questa distinzione operava dapprima la convinzione che i processi economici siano regolati da leggi
di natura immuta- bilmente eguali, e in
seguito l’altra convinzione che essi dipen-
dano da un principio di sviluppo univoco; e pertanto si riteneva che ciò che deve essere coincidesse 0 con ciò
che è immutabil- mente, nel primo caso,
oppure con ciò che diviene immancabil-
mente, nel secondo caso. Con il risveglio del senso storico la nostra scienza fu dominata da una
combinazione di evoluzioni- smo etico e
di relativismo storico, la quale tentava di spogliare le norme etiche del loro carattere formale,
di determinarle nel contenuto mediante
l’incorporazione dell'insieme dei valori cul-
turali nell’ambito della sfera «etica», e di elevare perciò l’eco- nomia politica alla dignità di una « scienza
etica » su fondamen- to empirico. Dal
momento in cui si contrassegnava l’insieme di
tutti gli ideali culturali possibili con l'impronta della sfera
«eti- ca», svaniva però la dignità
specifica degli imperativi etici, senza
acquisire d’altra parte nulla per l’«oggettività» di que- gli ideali. Per il momento noi possiamo e
dobbiamo lasciar qui da parte una
confutazione di principio di tale posizione; e ci soffermeremo semplicemente a osservare che
anche oggi non è scomparsa l'opinione
inesatta — comune ovviamente soprattut-
to ai pratici — che l'economia politica produca e debba produr- re giudizi di valore, derivandoli da una
specifica « intuizione economica del
mondo ». La nostra rivista, in quanto
rappresentante di una disciplina
empirica, deve respingere in maniera fondamentale questa posi- zione — come vogliamo mostrare fin
dall’inizio — poiché sia- mo convinti
che non può mai essere compito di una scienza
empirica quello di formulare norme vincolanti e ideali, per derivarne direttive per la prassi. Che cosa discende però da questa proposizione?
Non ne discende in nessun modo che i
giudizi di valore, in quanto essi si
basano in ultima istanza su determinati ideali e sono perciò di origine « soggettiva », siano sottratti
alla discussione scientifi- ca in
genere. La prassi e lo scopo della nostra rivista avrebbe sempre smentito un principio siffatto. La
critica non si arresta di fronte ai
giudizi di valore. La questione è piuttosto la se- guente: che cosa significa e a che cosa tende
una critica scienti- MAX WEBER 559 fica di ideali e di giudizi di valore? Essa
richiede una considera- zione alquanto
approfondita. Ogni riflessione pensante
sugli elementi ultimi di un agire umano
fornito di senso è vincolata anzitutto alle categorie di « scopo » e di « mezzo ». Noi vogliamo
qualcosa, in concreto, o « per il suo
proprio valore» oppure come mezzo al servizio di ciò che si vuole in ultima analisi. Alla
considerazione scientifi- ca è quindi
accessibile in primo luogo, incondizionatamente, la questione dell’appropriatezza dei mezzi in
vista di un dato scopo. In quanto noi
(entro i limiti del nostro sapere) possia-
mo validamente stabilire quali mezzi sono appropriati o non appropriati per raggiungere uno scopo
prospettato, possiamo per questa strada
misurare le possibilità di conseguire con deter- minati mezzi a disposizione uno scopo
determinato, e quindi criticare
indirettamente la stessa determinazione di tale scopo, in base alla situazione storica presente,
come praticamente for- nita di senso
oppure come priva di senso in base alla configura- zione dei rapporti esistenti. Noi possiamo
inoltre, se sembra data la possibilità
di raggiungere uno scopo prospettato, stabili-
re — naturalmente sempre entro i limiti del nostro sapere — le conseguenze che avrebbe l’impiego dei mezzi
richiesti accanto all'eventuale
conseguimento dello scopo prefisso, sulla base del- la connessione complessiva di ogni accadere.
Noi offriamo in tale maniera a colui che
agisce la possibilità di misurare tra
loro le conseguenze non volute e quelle volute del suo agire, e perciò la risposta alla questione: che cosa «
costa » il consegui- mento dello scopo
voluto, in forma di pregiudizio prevedibil-
mente recato ad altri valori? Dal momento che, nella grande maggioranza dei casi, ogni scopo al quale si
tende «costa » oppure può costare
qualcosa, l’auto-riflessione di uomini che
agiscano in modo responsabile non può prescindere dalla reci- proca misurazione dello scopo e delle
conseguenze dell’agire; e renderla
possibile è infatti una delle funzioni essenziali della critica tecnica, quale noi l'abbiamo finora
considerata. Tradur- re quella
misurazione in una decisione nor è certo più un
possibile compito della scienza, ma è compito dell’uomo che vuole: egli misura e sceglie tra i valori in
questione secondo la propria coscienza e
secondo la sua personale concezione del
mondo. La scienza può condurlo alla coscienza che ogri agire, 560 MAX WEBER
e naturalmente anche (secondo le circostanze) il zon-agire, si- gnifica nelle suc conseguenze una presa di
posizione in favore di determinati
valori, e perciò — cosa che oggi viene così
volentieri dimenticata — di regola contro altri. Compiere la scelta è però cosa sua. Ciò che noi possiamo ancora offrirgli per
questa decisione è la conoscenza del
significato di ciò che viene voluto. Noi possia- mo insegnargli a conoscere nella loro
connessione e nel loro significato gli
scopi che egli vuole, e tra cui sceglie, rendendo esplicite e sviluppando in maniera
logicamente coerente le «i- dee » che
stanno, o che possono stare, a base dello scopo concre- to. Infatti è evidentemente uno dei compiti
essenziali di ogni scienza della vita
culturale dell’uomo quello di schiudere alla
comprensione spirituale queste «idee », per le quali si è lottato e si lotta, in parte realmente e in parte
apparentemente. Ciò non va oltre i
limiti di una scienza che tende a un « ordinamen- to concettuale della realtà empirica»,
sebbene i mezzi necessa- ri per questa
interpretazione dei valori spirituali non costituisca- no « induzioni » nel senso comune del
termine. Tuttavia questo compito cade,
almeno parzialmente, al di fuori dell'ambito del- la disciplina economica nella sua
specializzazione, quale è defi- nita in
base alla consueta divisione del lavoro scientifico; si tratta piuttosto di un compito della
filosofia sociale. Solo che la forza storica delle idee è stata così predominante
per lo svilup- po della vita sociale, e lo è tuttora, che la nostra rivista non
può sottrarsi a tale compito, e deve piuttosto considerarlo nel- l'ambito dei
suoi doveri più importanti. Ma la trattazione scientifica dei giudizi di valore
può non soltanto farci comprendere e rivivere gli scopi che ci prefiggia- mo e
gli ideali che stanno alla loro base, ma soprattutto può insegnarci anche a
«valutarli» criticamente. Questa critica può certo avere soltanto un carattere
dialettico, cioè può soltan- to essere una valutazione logico-formale del
materiale che ci è offerto dai giudizi di valore e dalle idee storicamente
date, e quindi un esame degli ideali in
base al postulato della n0n con-
traddittorietà interna di ciò che viene voluto. Essa può, propo- nendosi questo scopo, condurre colui che
agisce volontariamen- te a un’auto-riflessione
su quegli assiomi ultimi che stanno a
base del contenuto del suo volere, vale a dire a quei criteri di Max Weber intorno al 1916. MAX WEBER 561
valore ultimi da cui egli inconsapevolmente muove o da cui — per essere coerente — dovrebbe muovere.
Recare alla coscienza questi criteri
ultimi, che si manifestano nei giudizi concreti di valore, è in ogni caso l’ultima cosa che essa
può compiere, senza penetrare nel campo
della speculazione. Che il soggetto che
giudica debba conformarsi a questi criteri ultimi è un suo affare personale, e riguarda il suo volere e
la sua coscienza, non già il sapere
empirico. Una scienza empirica non può
mai insegnare a nessuno ciò che egli
deve, ma può insegnargli soltanto ciò che egli può e — in determinate circostanze — ciò che egli
vuole. È vero che, entro il campo delle
nostre scienze, i vari modi personali di
concepire il mondo penetrano di continuo anche
nell’argomentazione scientifica, intorbidandola sempre e condu- cendola a considerare in maniera diversa il
peso di argomenti scientifici, pur sul
terreno della determinazione di semplici
connessioni causali tra i fatti; e che di conseguenza risultano diminuite o aumentate, a seconda dei casi, le
possibilità degli ideali personali, cioè
la possibilità di volere qualcosa di determi-
nato. Anche gli editori e i collaboratori della nostra rivista ritengono sotto questo rispetto che in verità
« nulla di umano sia loro alieno ». Ma
molto intercorre tra questa confessione di
debolezza umana e la fede in una scienza «etica » dell’econo- mia politica, che dovrebbe dalla propria
materia produrre degli ideali, oppure
dar luogo a norme concrete mediante l’applica-
zione di imperativi etici universali a tale materia. — Ed è anche vero che proprio quegli elementi intimi
della personalità, i supremi e ultimi
giudizi di valore che determinano il nostro
agire e che dànno senso e significato alla nostra vita, sono da noi avvertiti come qualcosa di «
oggeztivamente » valido. Noi possiamo
rappresentarceli soltanto se essi si presentano a noi come validi, come derivanti dai nostri
supremi valori, e se quindi essi sono
così sviluppati, nella lotta contro le resistenze della vita. E certamente la dignità della «
personalità » consiste tutta nel fatto
che per essa vi sono valori a cui riferisce la
propria vita: anche se nel caso singolo questi valori sussistono esclusivamente entro la sfera della propria
individualità, tutta- via
l’«estrinsecarsi» in quelli dei suoi interessi, per i quali reclama la validità dei valori, diventa
l’idea alla quale essa si 36. STORICISMO
TEDESCO. 562 MAX WEBER riferisce. Soltanto in base al presupposto
della fede nei valori ha senso, in ogni
caso, il tentativo di formulare giudizi di
valore. Giudicare la validità di tali valori è però una questione di fede, ed è inoltre forse un compito della
considerazione speculativa e
dell’interpretazione della vita e del mondo nel
loro senso, ma non è sicuramente oggetto di una scienza empiri- ca nel significato adottato in queste pagine.
Per questa distin- zione non ha rilievo
decisivo — come spesso si ritiene — il
fatto empiricamente determinabile che quei fini ultimi sono storicamente mutevoli e contestati. Infatti
anche la conoscenza dei princìpi più
sicuri del nostro sapere teorico — anche del
sapere delle scienze naturali esatte o della matematica — è in primo luogo prodotto della cultura, nello
stesso modo in cui lo sono la
sensibilità e il raffinamento della coscienza. Soltanto quando riflettiamo in maniera specifica sui
problemi pratici della politica
economica e sociale (nel senso consueto del termine), risulta chiaro che vi sono numerose, anzi
innumerevoli questio ni particolari di
carattere pratico, per la cui discussione si
muove, in generale accordo, da certi scopi assunti come di per sé evidenti — sì pensi per esempio ai crediti
in caso di necessi- tà, ai compiti
concreti dell’igiene sociale, all’assistenza dei pove- ri, a provvedimenti come le ispezioni di
fabbriche, i tribunali del lavoro, gli
uffici di collocamento, cioè a gran parte della
legislazione protettiva dei lavoratori — e che di questi scopi si discute, almeno in apparenza, solo in
riferimento ai mezzi adatti per
conseguirli. Ma anche se si scambiasse qui l’apparen- za dell’auto-evidenza con la verità — ciò che
la scienza non potrebbe mai fare
impunemente — e se si volessero conside-
rare i conflitti, entro i quali subito conduce il tentativo della realizzazione pratica, come questioni
puramente pratiche di opportunità — il
che sarebbe molto spesso erroneo — dovrem-
mo tuttavia osservare che anche questa apparenza di auto-evi- denza dei criteri regolativi di valore
svanisce appena procedia- mo dai
problemi concreti dei servizi assistenziali alle questioni della politica economica e sociale. Il
contrassegno del carattere politico-sociale
di un problema consiste precisamente nel fatto
che esso non può venir sbrigato sulla base di considerazioni meramente tecniche che facciano riferimento a
scopi stabiliti, e che si può, anzi si
è costretti a disputare intorno agli stessi
MAX WEBER 563 criteri regolativi
di valore, dal momento che il problema rien-
tra nella regione delle questioni culturali di portata genera- le. E la disputa si svolge non soltanto, come
oggi così volentie- ri si crede, tra
«interessi di classe», ma anche tra intuizioni
del mondo — e con ciò tuttavia rimane naturalmente vero che l'adesione dell'individuo a una certa
intuizione del mondo è decisa anche,
oltre che da vari altri elementi, e di sicuro in misura molto elevata, dal grado di affinità
che la unisce al suo « interesse di
classe » (se vogliamo qui accogliere in via provvi- soria questo concetto solo apparentemente
univoco). Di certo c'è, in ogni
circostanza, soltanto una cosa, che quanto più « ge- nerale » è il problema del quale si tratta,
vale a dire quanto più esteso è il suo
significato culturale, tanto meno esso può
trovare una risposta univocamente determinata in base al mate- riale del sapere empirico, e di conseguenza
tanto maggiore rilievo hanno gli ultimi
assiomi, così personali, della fede e
delle idee di valore. È semplicemente una ingenuità — sebbene essa sia tuttora condivisa talvolta da
specialisti — ritenere possi- bile di
stabilire in primo luogo per la scienza sociale pratica «un principio » e di trovare una conferma
scientifica della sua validità, per
dedurne quindi in maniera univoca le norme per
la soluzione dei problemi pratici particolari. Per quanto le di- scussioni « di principio » di problemi
pratici, condotte per ripor- tare i
giudizi di valore che si impongono in maniera irriflessa al loro contenuto di
idee, siano indispensabili nella scienza sociale, e per quanto la nostra
rivista intenda dedicarsi in ma- niera particolare anche ad esse, non può
tuttavia essere suo compito — come non può essere il compito di nessuna scienza
empirica in genere — la creazione di un denominatore comune di portata pratica per i nostri problemi, in
forma di ideali ultimi universalmente
validi; esso sarebbe non soltanto di fatto insolubile, ma anche in sé privo di senso. E
quale che sia l’inter- pretazione del
fondamento e del modo di obbligatorietà degli
imperativi etici, è però certo che da essi, in quanto costituisco- no norme per l’agire concretamente
condizionato dell’;divi- duo, non si
possono dedurre in maniera univoca dei contenuti di cultura che debbano essere accolti, e che
anzi ciò è tanto meno possibile quanto
più comprensivi sono i contenuti in que-
stione. Soltanto le religioni positive — o più precisamente le 564 MAX WEBER
sette legate da un vincolo dogmatico — possono attribuire al contenuto dei valori culturali la dignità di
comandi etici incon- dizionatamente
validi. Al di fuori di esse gli ideali culturali, che l’individuo rsole realizzare, e i doveri
etici, che egli deve compiere, sono di
dignità fondamentalmente differente. Il desti-
no di un’epoca di cultura che ha mangiato dall’albero della conoscenza è quello di sapere che noi non
possiamo cogliere il senso dell’accadere
cosmico in base al risultato della sua investi-
gazione, per quanto perfettamente accertato esso sia, ma che dobbiamo essere in grado di crearlo, e che di
conseguenza le «intuizioni del mondo »
non possono mai essere prodotto del
sapere empirico nel suo progredire, mentre gli ideali supremi, che ci muovono nella maniera più potente,
agiscono in tutte le età solo nella
lotta con altri ideali, che ad altri sono sacri come a noi i nostri. Soltanto un sincretismo ottimistico, quale
risulta talvolta prodotto dal
relativismo storico-evolutivo, può illudersi teorica- mente sull’estrema gravità di questo stato di
cose oppure sot- trarsi praticamente
alle sue conseguenze. È ovvio che nel caso
singolo può essere soggettivamente doveroso per il politico pra- tico cercare una mediazione tra le antitesi
di opinioni esistenti, proprio come può
esserlo prendere partito per una di esse. Ma
ciò non ha proprio nulla a che fare con l’« oggettività » scienti- fica. La «linea di mezzo» non è verità
scientifica in nessun modo più di quanto
lo siano gli estremi ideali di parte, di
destra oppure di sinistra. Mai l’interesse della scienza è alla lunga così mal garantito come le volte in cui
non si vuole guardare in faccia i fatti
scomodi e le realtà della vita nella
loro durezza. L°« Archivio» combatterà senza sosta la grave auto-illusione che si possano ottenere norme
pratiche di vali- dità scientifica
attraverso la sintesi di diversi punti di vista, oppure in base a una diagonale tracciata tra
di loro, in quanto essa — amando rivestire
relativisticamente i propri criteri di
valore — è molto più pericolosa per una ricerca impregiudicata di quanto non lo sia la vecchia ingenua fede
dei diversi partiti nella «
dimostrabilità » scientifica dei propri dogmi. La capaci- tà di realizzare la distinzione tra il
conoscere e il valutare, cioè tra
l'adempimento del dovere scientifico di vedere la realtà dei fatti e l'adempimento del dovere pratico di
difendere i propri MAX WEBER 565 ideali — questo è il principio al quale
dobbiamo attenerci più saldamente. In ogni epoca c’è e rimarrà sempre — questo è
ciò che ci interessa — una differenza
insormontabile tra un’argomentazio- ne
la quale si diriga al nostro sentimento e alla nostra capacità di entusiasmarci per fini pratici concreti o
per forme e contenu- ti culturali,
oppure anche alla nostra coscienza — nel caso in cui sia in questione la validità di norme
etiche — e un’argo- mentazione la quale
si rivolga invece alla nostra capacità e al
nostro bisogno di ordinare concettualmente la realtà empirica, in maniera da pretendere una validità di
verità empirica. E questa proposizione
rimane corretta nonostante che quei « valo-
ri» supremi che stanno a base dell’interesse pratico siano e restino sempre di decisiva importanza, come
si porrà ancora in luce, per la
direzione che l’attività ordinatrice del pensiero assume ogni volta nel campo delle scienze
della cultura. È e resta vero,
infatti,che una dimostrazione scientifica metodica- mente corretta nel campo delle scienze
sociali deve essere rico- nosciuta come
giusta, allorché essa abbia realmente conseguito il proprio scopo, anche da un Cinese. Il che
vuol dire, più precisamente, che essa
deve in ogni caso aspirare a questo fine,
benché forse non pienamente attuabile per l’insufficienza del materiale, e che l’analisi logica di un ideale,
considerato nel suo contenuto e nei suoi
assiomi ultimi, nonché l’indicazione
delle conseguenze che logicamente e praticamente derivano dal- la sua realizzazione, deve essere valida per
chiunque, anche per un Cinese, una volta
posto che sia riuscita. E ciò mentre a
lui può mancare la « sensibilità » per i nostri imperativi etici, e mentre egli può respingere e certo
respingerà spesso quell’idea- le e le
valutazioni concrete che ne discendono, senza tere in tal modo il valore scientifico dell’analisi
concettuale. sicuro la nostra rivista
non ignorerà i tentativi, che i. e
inevitabilmente si ripetono, di determinare in maniera univoca il sezso della vita culturale. Al contrario,
essi appartengono ai prodotti più
importanti di questa vita culturale, e in determina- te circostanze anche alle sue più potenti
forze direttive. Perciò noi seguiremo
sempre con cura il corso delle discussioni di
« filosofia sociale» in questo senso. Anzi, noi siamo quanto mai alieni dal pregiudizio che le
considerazioni della vita cultu- 566 MAX
WEBER rale, le quali tentano di
pervenire a interpretare metafisicamen-
te il mondo, procedendo oltre l’ordinamento concettuale del dato empirico, non possano per questo loro
carattere adempie- re alcun compito in
servizio della conoscenza. In che cosa
consista questo compito è certo un problema in primo luogo di teoria della conoscenza, la cui soluzione
deve, e può anche, essere qui messa in
disparte per ciò che concerne i nostri scopi.
Poiché una cosa dobbiamo stabilire per il nostro lavoro: che una rivista di scienza sociale nel senso da
noi illustrato, in quanto essa aspira al
carattere di scienza, deve essere una sede
nella quale si cerca la verità, e una verità tale — per rimanere all'esempio — che esiga anche per il Cinese
la validità propria di un ordinamento
concettuale della realtà empirica.
Certamente gli editori non possono proibire una volta per sempre, a se stessi e ai collaboratori, di
esprimere i propri ideali anche in forma
di giudizi di valore. Solo che da ciò
scaturiscono due importanti doveri. In primo luogo, viene il dovere di rendere ben consapevole in ogni
momento il lettore e se stesso dei
criteri a cui viene commisurata la realtà e da cui è derivato il giudizio di valore, invece di
illudersi, come troppo spesso accade,
intorno ai conflitti tra gli ideali, mediante un’im- precisa congiunzione di valori di diverso
tipo, e di volere « of- frire qualcosa a
ognuno ». Se questo dovere viene rigorosamen-
te osservato, la presa di posizione valutativa di carattere pratico può risultare non soltanto innocua, ma anche
direttamente uti- le nel puro interesse
scientifico; poiché nella critica scientifica
delle proposte legislative, nonché di altre proposte pratiche, la chiarificazione dei motivi del legislatore e
degli ideali dell’auto- re criticato non
può venir compiuta in tutta la sua portata, in forma intelligibile, se non
mediante il confronto dei criteri di valore che sono alla loro base con altri,
e naturalmente anche, in primo luogo, con i propri. Ogni valutazione fornita di
senso del volere di un altro può essere soltanto una critica condotta in base
alla propria intuizione del mondo, cioè una lotta contro l'ideale altrui sulla
base di un proprio ideale. Se nel caso parti- colare l’assioma valutativo
ultimo, che sta a fondamento di un volere pratico, deve essere non soltanto
determinato e analizza- to scientificamente, ma anche illustrato nelle sue
relazioni con MAX WEBER 567 altri assiomi valutativi, rimane inevitabile una
critica « positi- va» per mezzo di un
“esposizione sistematica di questi ultimi.
Nelle pagine di questa rivista, specialmente in occasione della discussione di leggi, si tratte rà
inevitabilmente, oltre che di scienza
sociale — e cioè dell’ordinamento concettuale dei fatti — anche di politica sociale — e cioè
della rappresentazio- ne di ideali. Ma
noi non pensiamo di presentare siffatte discus-
sioni polemiche come « scienza », € ci guarderemo con tutte le nostre forze dal mescolare e scambiare le due
cose. Non è più allora la scienza che
parla; e infatti la seconda fondamentale
prescrizione di un discorso scientifico impregiudicato è di illu- strare con chiarezza in tali casi al lettore
(e, lo ripetiamo, in primo luogo di
chiarire a se stesso) che, e dove, finisce il
ricercatore con la sua opera di pensiero e dove comincia a parlare l’uomo che vuole, dove gli argomenti
concernono l’in- telletto e dove si
dirigono invece al sentimento. La continua
mescolanza della discussione scientifica dei fatti e del ragiona- mento valutativo è una delle caratteristiche
ancora più diffuse, ma anche più
dannose, dei lavori della nostra disciplina. E le considerazioni precedenti si dirigono appunto
contro questa me- scolanza, non già
contro l'enunciazione dei propri ideali. L’in-
differenza e l’« oggettività » scientifica non posseggono nessuna affinità interna. L’« Archivio » non è mai
stato, e non deve neppur diventare —
almeno secondo la sua intenzione — un
luogo nel quale si conduca una polemica contro determinati partiti politici o politico-sociali, e tanto
meno una sede in cui si faccia opera di
proselitismo a favore di, oppure in opposi-
zione a ideali politici o politico- sociali; per tale scopo
sussistono altri organi. Il carattere
proprio della rivista è stato fin dall’ini-
zio, e dovrà essere anche in futuro, per quanto dipende dagli edi- tori, quello di riunire insieme nel lavoro
scientifico i più aspri av- versari
politici. Essa non è stata finora un organo « socialista » e non diventerà in avvenire un organo
«borghese». Essa non esclude dalla
propria cerchia di collaboratori nessuna persona che voglia porsi sul terreno della
discussione scientifica. Essa non può
costituire un’arena di « risposte », repliche e contro-re- pliche, ma d’altra parte non può evitare a
chiunque, neppure ai suoi collaboratori
e tanto meno ai suoi editori, di essere sogget-
ti nelle proprie pagine alla più severa critica scientifica. Chiun- 568 MAX WEBER
que non possa sopportare ciò, o che ritenga di non poter colla- borare, neppure al servizio della conoscenza
scientifica, con gen- te che lavora per
ideali diversi dai suoi, può rimanere lontano
dalla rivista. Certo con questa
ultima proposizione — non vogliamo illu-
derci in proposito — si è però detto praticamente molto di più di quanto non appaia ad un primo sguardo. In
primo luogo, come si è già accennato, la
possibilità di incontrarsi con avversa-
ri politici su un terreno neutrale — sociale o ideale — ha purtroppo, in base a ciò che risulta empiricamente,
i suoi limi- ti psicologici dovunque, e
in particolare nella situazione tede-
sca. Degno di essere combattuto senz’altro di per sé come segno di una ristrettezza mentale basata sul fanatismo
e di una cultu- ra politica arretrata,
questo ostacolo viene accresciuto in misu-
ra considerevole, nel caso di una rivista come la nostra, dalla circostanza che nel campo delle scienze
sociali l'impulso a consi- derare i
problemi scientifici è dato di regola da « questioni » pratiche, di modo che il puro riconoscimento
della sussistenza di un problema
scientifico sta in unione personale con il volere di uomini viventi, diretto a un determinato
scopo. Nelle colon- ne di una rivista,
la quale viene in vita sotto l'influenza dell’in- teresse generale per un problema concreto, si
troveranno perciò di regola insieme,
come collaboratori, uomini che dedicano a
tale problema il loro interesse personale, in quanto ad essi sembra che determinate situazioni concrete
siano in contraddi- zione con valori
ideali a cui credono, e che quei valori siano in pericolo. E quindi un’affinità elettiva di
ideali siffatti unirà la cer- chia dei
collaboratori e consentirà di reclutarne degli altri, di mo- do che essa acquisterà almeno nella
trattazione dei problemi poli-
tico-sociali di portata pratica un determinato carattere, quale
ine- vitabilmente si accompagna a ogni
cooperazione di uomini for- niti di una
viva sensibilità, la cui presa di posizione valutativa di fronte ai problemi non è sempre del tutto
repressa anche nel puro lavoro
teoretico, e si esprime pure in maniera del tutto legittima — entro l’ambito dei presupposti prima
discussi — attraverso la critica di
proposte e di misure pratiche. L’« Archivio » apparve in un periodo nel quale stavano in primo piano,
nelle discussioni della scienza sociale,
determinati problemi pratici costituenti la
«questione dei lavoratori» nel senso tradizionale della parola. MAX WEBER 569
Quelle personalità per cui i supremi e decisivi ideali valutativi
si congiungevano ai problemi che esso
intendeva trattare, e che per- tanto
divennero i suoi più consueti collaboratori, furono pro- prio per questo anche rappresentanti di una
concezione cultura- le atteggiata in
maniera identica o simile in base a quelle idee
di valore. Ognuno sa pertanto che, sebbene la rivista abbia decisamente rifiutato di seguire una «
tendenza » mediante l’e- splicita
limitazione alle discussioni «scientifiche » e mediante l’esplicito invito agli «appartenenti a ogni
settore politico », essa tuttavia ha
posseduto sicuramente un «carattere » nel sen-
so che si è detto. Esso fu creato in base alla cerchia dei suoi collaboratori regolari. Furono in generale
uomini che, nono- stante ogni altra
divergenza di opinioni, ritenevano proprio
fine quello di proteggere la salute fisica delle masse dei lavora- tori e di rendere loro possibile una
crescente partecipazione ai beni
materiali e spirituali della nostra cultura; uomini che con- sideravano come mezzo in vista di tale fine
la connessione dell'intervento statale
nella sfera degli interessi materiali con il
libero sviluppo ulteriore dell'ordinamento esistente dello stato e del diritto, e che — quale potesse essere la
loro opinione sulla formazione
dell'ordinamento della società nel remoto futuro — sostenevano per il presente lo sviluppo
capitalistico, non già perché questo
sembrasse loro la migliore nei confronti delle più vecchie forme di organizzazione sociale, ma
perché esso pareva praticamente
inevitabile, e d’altra parte il tentativo di una lotta a fondo contro di esso risultava non tanto un
vantaggio quanto un ostacolo per il
progredire della classe operaia verso la luce
della cultura. Nelle condizioni oggi esistenti in Germania — che non hanno qui bisogno di un'ulteriore
chiarificazione — questo non era, e non
sarebbe neppure oggi, da evitare. Anzi,
ciò giovò senz'altro alla partecipazione di tutte le parti alla discussione scientifica, e costituì per la
rivista un elemento di forza, e forse
anche — data la situazione — uno dei titoli che
ne giustificavano l’esistenza. È fuor di dubbio che lo sviluppo di un
«carattere» in questo senso può, e anzi dovrebbe per forza significare, in una
rivista scientifica, un pericolo per un lavoro scientifico im- pregiudicato,
nel caso in cui la scelta dei collaboratori sia stata di proposito unilaterale:
in questo caso l'adozione di quel « ca- 570 MAX WEBER rattere » varrebbe
praticamente come la presenza di una « ten- denza ». Gli editori sono
pienamente consapevoli della responsa- bilità che questa situazione impone
loro. Essi non si propongo- no né di mutare di proposito il carattere dell’«
Archivio », né di conservarlo artificiosamente mediante un’accurata limitazio-
ne della cerchia dei collaboratori agli studiosi che abbiano deter- minate convinzioni politiche. Essi lo
accettano come dato, e confidano nel suo
ulteriore « sviluppo ». Come esso si configure-
rà in futuro, e come forse si trasformerà per l'inevitabile amplia- mento della nostra cerchia di collaboratori,
dipenderà in primo luogo dal carattere
di quelle personalità che entreranno in tale
ambito con l’intenzione di servire il lavoro scientifico, e che diverranno o rimarranno di casa sulle colonne
della rivista. E ciò sarà ulteriormente
condizionato dall’estensione dei proble-
mi, al cui avanzamento la rivista si propone di tendere. Con questa osservazione noi perveniamo alla
questione, fino- ra non ancora discussa,
della delimitazione di contenuto del
nostro campo di lavoro. Ma ad essa non si può fornire una risposta senza prendere in esame anche la
questione della natu- ra del fine
conoscitivo della scienza sociale in genere. Noi abbiamo presupposto, distinguendo in linea di
principio « giudi- zi di valore» e «
sapere empirico », che vi sia di fatto un tipo
incondizionatamente valido di conoscenza, cioè di ordinamento concettuale della realtà empirica, nel campo
delle scienze socia- li. Questa
assunzione diventa però ora un problema, dal mo- mento che noi dobbiamo discutere che cosa può
significare nel nostro campo la
«validità» oggettiva della verità alla quale
tendiamo. Che il problema sussista come tale, e che non venga qui creato in maniera sofisticata, non può
sfuggire a nessuno che assista alla
lotta di metodi, « concetti fondamentali » e pre- supposti, al continuo mutamento dei « punti
di vista» e alla continua rielaborazione
dei concetti che vengono impiegati, e
che constati come la considerazione teorica e la considerazione storica siano ancor sempre divise da un
abisso apparentemente insuperabile —
quasi a costituire, come si lagnava a suo tempo
con tono lamentoso un disperato esaminando viennese, « due economie politiche ». Che cosa vuol qui dire
oggettività? Sem- plicemente questa
questione vogliono affrontare le considerazio-
ni seguenti. MAX WEBER 571 II Fin
dall’inizio questa rivista ha considerato gli oggetti dei quali si occupava come oggetti
ecozomico-sociali. Per quanto abbia poco
senso anticipare qui determinazioni concettuali e delimitazioni di discipline scientifiche,
dobbiamo tuttavia por- re brevemente in
chiaro che cosa ciò significhi. Che la
nostra esistenza fisica, al pari del soddisfacimento dei nostri più alti bisogni ideali, urti
sempre contro la limitazio- ne
quantitativa e l’insufficienza qualitativa dei mezzi esterni che occorrono a tale scopo, e che per tale
soddisfacimento vi sia appunto bisogno
di una previdenza organizzata e del lavo-
ro, della lotta contro la natura e dell’associazione con gli uomi- ni, questo è — espresso in forma molto
imprecisa — il fatto fondamentale al
quale si riferiscono tutti quei fenomeni che
noi indichiamo nel senso più ampio come « economico-sociali ». La qualità di un processo, che lo rende un
fenomeno « economi- co-sociale », non è
qualcosa che inerisca ad esso in quanto tale,
« oggettivamente ». Essa è piuttosto condizionata dalla direzio- ne del nostro interesse conoscitivo, quale
risulta dallo specifico significato
culturale che attribuiamo nel caso singolo al proces- so in questione. Ogni qual volta un processo
della vita cultura- le, considerato in
quegli aspetti della sua particolarità in cui
risiede il suo significato specifico per noi, è ancorato in manie- ra diretta — o anche in maniera mediata — a
tale situazio- ne, esso contiene, oppure
può per lo meno contenere, nella misura
in cui ciò ha luogo, un problema di scienza sociale, vale a dire un compito per una disciplina che
si propone per oggetto la
chiarificazione della portata di quella situazione fon- damentale.
Noi possiamo, entro l'ambito dei problemi economico-socia- li, distinguere processi e complessi di
norme, istituzioni ecc., il cui significato
culturale consiste per noi essenzialmente nel loro aspetto economico, e che ci interessano in
primo luogo — come per esempio i
processi della vita delle borse e delle banche — soltanto da questo punto di vista. Ciò
avverrà di regola (anche se non
esclusivamente) quando si venga a trattare di istituzioni le quali siano state create o siano
utilizzate consapevolmente 572 MAX WEBER per scopi economici. Noi possiamo chiamare
questi oggetti del nostro conoscere con
il nome di processi oppure di istituzioni
« economiche ». Ad essi se ne aggiungono altri — come per esempio i processi della vita religiosa — che
non ci inte- ressano, oppure sicuramente
non ci interessano in primo luo- go, dal
punto di vista del loro significato economico e in virtù di questo, ma che tuttavia in certe
circostanze acquistano signi- ficato da
questo punto di vista, poiché ne derivano effetti che ci interessano sotto il punto di vista
economico: essi sono fenome- ni
«economicamente rilevanti». Infine, tra i fenomeni che non sono economici nel nostro senso, ve ne
sono alcuni i cui effetti economici non
presentano per noi nessun interesse, o
almeno non un interesse considerevole — come per esempio l'orientamento del gusto artistico di
un'epoca — ma che sono da parte loro
inffuenzati in misura più o meno forte, nel caso specifico, in certi aspetti importanti della
loro fisionomia, da motivi economici,
per esempio dal tipo di organizzazione socia-
le del pubblico che si interessa all’arte: essi sono fenomeni condizionati economicamente. Quel complesso
di relazioni uma- ne, di norme e di
rapporti determinati normativamente, che
noi chiamiamo lo « stato », è per esempio un fenomeno « econo- mico » per ciò che riguarda la sua economia
finanziaria; è un fenomeno
«economicamente rilevante » in quanto agisce, per via legislativa o altrimenti, sulla vita
economica (anche quan- do punti di vista
assai diversi da quelli economici determi-
nano consapevolmente il suo atteggiamento); ed è infine un fenomeno «condizionato economicamente » in
quanto il suo atteggiamento e il suo
carattere sono condeterminati, anche in
relazioni che non siano « economiche », da motivi economici. È implicito in ciò che si è detto che da una
parte l’ambito dei fenomeni « economici » è fluido, e non delimitabile in
maniera precisa, e che d’altra parte naturalmente gli aspetti « economi- ci» di
un fenomeno non sono mai soltanto «condizionati eco- nomicamente » oppure
soltanto « economicamente operanti », € che in genere un fenomeno mantiene la
qualità di fenome- no «economico» in quanto, e solamente per il periodo in cui
il nostro interesse si dirige esclusivamente al significato che esso possiede
per la lotta materiale per l’esistenza. La nostra rivista — come del resto
anche la scienza economi- MAX WEBER 573 co-sociale a partire da Marx e da
Roscher? — si è occupata non soltanto di fenomeni «economici », ma anche di
fenomeni «economicamente rilevanti » e
di fenomeni « condizionati eco-
nomicamente ». L'ambito di siffatti oggetti si estende natural- mente — in maniera fluida, in quanto è legato
al diverso orientamento del nostro
interesse — attraverso l’insieme di
tutti i processi culturali. Motivi specificamente economici — cioè motivi che sono ancorati, nella loro
fisionomia per noi significativa, a quel
fatto fondamentale — operano sempre là
dove il soddisfacimento di un bisogno, per quanto immateriale esso sia, è legato all'impiego di mezzi
esterni limitati. Il loro peso ha
pertanto condeterminato e trasformato ovunque non soltanto la forma del soddisfacimento, ma
anche il contenuto dei bisogni culturali
perfino di tipo interiore. L’influenza indi-
retta di relazioni sociali, di istituzioni, di raggruppamenti umani che stanno sotto la pressione di
interessi « materiali» si estende
(spesso inconsapevolmente) a tutti i campi della cultura senza eccezione, raggiungendo perfino le più
sottili sfumature del sentimento
estetico e religioso. I processi della vita quotidia- na non meno degli avvenimenti «storici »
dell’alta politica, i fenomeni
collettivi e di massa al pari delle azioni « singolari » di uomini di stato o dei prodotti letterari e
artistici di origine individuale
subiscono questa influenza — e sono così « condizio- nati economicamente ». D'altra parte
l’insieme di tutti i feno- meni e di
tutte le condizioni di vita di una cultura storicamen- te data opera sulla formazione dei bisogni
materiali, sul modo del loro
soddisfacimento, sulla formazione dei gruppi di interes- si e sul tipo dei loro strumenti di potere, e
perciò sul modo in cui si svolge lo
«sviluppo economico» — esso diventa cioè
« economicamente rilevante ». In quanto la nostra scienza impu- ta, nel regresso causale, i fenomeni
economici a cause individua- 2. Wilhelm
Gcorg Friedrich Roscher (1817-1894), economista tedesco, autore del Grundriss zu Vorlesungen tiber die
Staatswissenschaft nach geschichtlicher Me-
thode (1843), del Systeni der Volkswirtschafislehre (1854-94), delle Ansichten
der Volks- wirtschaft (1861) e di varie
altre opere, fu il fondatore della scuola storica di econo- mia. Alla critica della sua impostazione è
dedicato il primo saggio metodologico di
Weber, Roscher und Knîes und die logischen Probleme der historischen
National- okonomie, «Schmollers Jahrbuch
fir Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirt-
schaft », XXVII, 1903, pp. 1181-1221; XXIX, 1905, pp. 1323-84; XXX,
1906, Pp. 81-120 (ora in Gesammelte
Aufsitze zur Wissenschaftslehre, pp. 1-145).
574 MAX WEBER li — di carattere
economico e non economico — essa mira a
conseguire una conoscenza « storica ». E in quanto segue ur elemento specifico dei fenomeni culturali,
quello economico, determinandolo nel suo
significato culturale attraverso le più
diverse connessioni di cultura, essa mira a conseguire una inzer- pretazione della storia da uno specifico
punto di vista, offrendo un’immagine
parziale, un lavoro preliminare per la piena cono- scenza storica della cultura. Sebbene un problema economico-sociale non
sussista ovun- que ha luogo una
connessione di elementi economici in quanto
conseguenza o in quanto causa — poiché esso sorge soltanto dove il significato di quei fattori è
problematico, e può venir determinato
con sicurezza solo mediante l’impiego dei metodi della scienza economico-sociale — da ciò che
si è detto finora risulta stabilito
l'ambito quasi sconfinato del campo di lavoro
della considerazione economico-sociale.
La nostra rivista ha finora di solito rinunciato, in base a una ponderata auto-limitazione, alla
considerazione di un’inte- ra serie di
campi particolari molto importanti della disciplina, e in modo speciale alla considerazione
dell'economia descritti va, della storia
economica in senso stretto e della statistica.
Allo stesso modo essa ha lasciato ad altri organi la discussione delle questioni tecnico-finanziarie e dei
problemi economico-tec- nici della
formazione del mercato e dei prezzi della moderna economia di scambio. Il suo campo di lavoro è
costituito dalla considerazione del
significato odierno e del processo storico di
certe costellazioni di interessi e di certi conflitti che sono
sorti in virtù della funzione preminente
dell’impiego di un capitale in cerca di
investimento nell’economia dei paesi moderni. Essa non si è quindi limitata ai problemi pratici
e storico-evolutivi che definiscono la
«questione sociale » in senso stretto, cioè
alle relazioni della moderna classe di lavoratori salariati con l'ordinamento sociale esistente. È certo che
l’approfondimento scientifico
dell'interesse che, negli anni dopo l’'80, veniva esten- dendosi presso di noi per questa speciale
questione, ha rappre- sentato dapprima
uno dei suoi compiti essenziali. Quanto più
la considerazione pratica della condizione operaia è diventata anche presso di noi oggetto permanente
dell’attività legislativa e della
discussione pubblica, tanto più il centro di gravità del MAX WEBER 575
lavoro scientifico ha dovuto spostarsi verso la determinazione delle connessioni di carattere più universale
in cui questi proble- mi trovavano il
proprio posto, sfociando in un'analisi di tuzti i problemi culturali creati dalla fisionomia
particolare dei fonda- menti economici
della nostra cultura, e in quanto tali specifica- mente moderni. La rivista ha perciò
cominciato assai presto a trattare
storicamente, statisticamente e teoricamente i più diver- si rapporti, in parte « condizionati
economicamente » e in parte « economicamente
rilevanti », che si presentano anche nelle al-
tre grandi classi delle nazioni moderne nelle loro relazioni reciproche. Noi traiamo soltanto le
conseguenze di questo at- teggiamento
allorché indichiamo ora come campo di lavoro
più particolarmente proprio della mostra rivista la ricerca scientifica del gezerale significato
culturale della struttura eco-
nomico-sociale della vita della comunità umana e delle sue forme storiche di organizzazione. — Questo e
non altro abbia- mo inteso, chiamando la
nostra rivista « Archivio per la scienza
sociale ». La parola deve comprendere qui la trattazio- ne storica e teorica degli stessi problemi la
cui soluzione pra- tica è oggetto della
« politica sociale » nel senso più ampio del
termine. Noi facciamo perciò uso del diritto di impiegare l’e- spressione « sociale » nel suo significato
determinato in base ai problemi concreti
del presente. Se si vuol chiamare « scienze
della cultura » quelle discipline che considerano i processi del- la vita umana dal punto di vista del loro
significato culturale, la scienza
sociale nel nostro senso appartiene a questa categoria. Vedremo ora quali conseguenze di principio ne
derivano. Senza dubbio isolare l’aspetto
economico-sociale della vita culturale
rappresenta una delimitazione assai sensibile del no- stro tema. Si dirà che il punto di vista
economico o — come lo si è imprecisamente definito — « materialistico », in
base a cui è qui considerata la vita della cultura, è « unilaterale ». Certa-
mente, e questa unilateralità è intenzionale. La fede che sia compito del
lavoro scientifico nel suo progredire quello di gua- rire la considerazione
economica dalla sua « unilateralità », in maniera da ampliarla in una scienza
sociale generale, è inficia- ta anzitutto dal fatto che il punto di vista del «
sociale », cioè della relazione tra gli uomini, possiede una determinatezza
sufficiente per la delimitazione dei problemi scientifici solo 576 MAX WEBER
quando è accompagnato da qualche predicato specifico che lo qualifica nel suo contenuto. Altrimenti esso,
in quanto oggetto di una scienza,
comprenderebbe naturalmente la filologia al
pari della storia della chiesa, e in modo particolare tutte quelle discipline che si occupano del più importante
elemento costituti- vo di ogni vita
culturale, cioè dello stato, e della più importan- te forma della sua regolamentazione
normativa, cioè del dirit- to. Che
l’economia sociale prenda in esame delle relazioni « so- ciali » non è un buon motivo per pensare che
essa precorra una « scienza sociale
generale », allo stesso modo in cui la circostan- za che essa si riferisca a fenomeni della
vita o che abbia a che fare con processi
di un corpo celeste non autorizza a considerar-
la rispettivamente parte della biologia oppure parte di un’astro- nomia artificialmente accresciuta e
migliorata. Non già le connes- sioni «
di fatto » delle « cose », bensì le connessioni concettuali dei problemi stanno a base dei campi di
lavoro delle scienze: dove si procede ad
affrontare con un nuovo metodo un nuovo
problema, e si scoprono in tale maniera verità le quali aprano nuovi importanti punti di vista, là sorge una
nuova « scienza ». Non è un caso che il
concetto di « sociale », il quale sembra
avere un senso così generale, rechi con sé, ogni qual volta lo si controlla nel suo impiego, un significato
particolare, specifica- mente
atteggiato, quand’anche di solito indeterminato; l’ele- mento «generale» sussiste in esso di fatto
soltanto nella sua indeterminatezza.
Qualora lo si assuma nel suo significato « ge-
nerale », esso non offre nessun punto di vista specifico dal quale illustrare il significato di certi
elementi della cultura. Liberi ormai
dalla fiducia antiquata nella possibilità di de- durre la totalità dei fenomeni culturali come
prodotto oppure come funzione di
costellazioni di interessi « materiali », noi
riteniamo però d'altra parte che l’analisi dei fenomeni sociali e dei processi culturali dal punto di vista
specifico del loro condi- zionamento
economico e della loro portata economica sia stata, € possa ancora rimanere in ogni tempo
prevedibile, con un’ap- plicazione
oculata e con libertà da ogni restrizione dogmati- ca, un principio scientifico fornito di
fecondità creativa. La cosiddetta «
concezione materialistica della storia » come « intui- zione del mondo » 0 come denominatore comune
di spiegazio- MAX WEBER 577 ne causale della realtà storica deve essere
rifiutata nel modo più deciso; invece
l’accurato impiego dell’interpretazione econo-
mica della storia è uno degli scopi essenziali della nostra rivi- sta. Ma ciò richiede una più precisa
illustrazione. La cosiddetta «
concezione materialistica della storia », nel
vecchio senso, genialmente primitivo, che compare per esempio nel Manifesto comunista, sopravvive oggi
soltanto nella testa di persone prive di
competenza specifica e di dilettanti. Presso
questa gente è tuttora diffusa la circostanza che il loro bisogno causale di spiegazione di un fenomeno storico
non è soddisfatto finché non si mostrano
(oppure non sembrano essere) in gioco,
in qualche modo o in qualche luogo, delle cause economiche: ma proprio in questo caso essi si
accontentano delle ipotesi a maglie più
larghe e delle formulazioni più generali, in quanto il loro bisogno dogmatico è soddisfatto nel
ritenere che le « for- ze istintive »
economiche siano quelle « proprie », le sole « ve- re», e anzi «in ultima istanza sempre
decisive ». Il fenomeno non è però
affatto singolare. Quasi tutte le scienze, dalla filolo- gia alla biologia, hanno talvolta avanzato la
pretesa di dare origine non soltanto a
un sapere specializzato, ma anche a
«intuizioni del mondo ». E sotto l'impressione del profondo significato culturale delle moderne trasformazioni
economiche, in particolare della portata
predominante della « questione ope- raia
», l'ineliminabile carattere monistico di ogni forma di cono- scere priva di consapevolezza critica nei
confronti del proprio lavoro condusse
naturalmente per questa strada. Lo stesso carat- tere viene ora in luce nell’antropologia,
mentre si viene svilup- pando con
crescente asprezza la lotta politica e politico-commer- ciale tra le nazioni per il dominio del
mondo: è diffusa la fede che «in ultima
analisi » ogni accadere storico sia una derivazio- ne del gioco reciproco di «qualità razziali»
innate. In luogo di una mera descrizione
acritica dei «caratteri dei popoli» è
subentrata la costruzione ancor più acritica delle proprie « teo- rie della società » su fondamento «
naturalistico ». Noi seguire- mo con
cura nella nostra rivista lo sviluppo della ricerca antro- pologica, in quanto essa abbia significato
per i nostri punti di vista. C'è però da
sperare che venga gradualmente superata,
mediante un lavoro metodicamente disciplinato, la situazione in cui il ricondurre causalmente i processi
culturali alla « raz- 37. STORICISMO
TEDESCO. 578 MAX WEBER za» documenta soltanto il nostro 0n-sapere —
proprio come avviene nel caso del
riferimento ali’« ambiente » 0, prima anco-
ra, alle « condizioni dell’epoca ». Se qualcosa ha finora danneg- giato questa ricerca, è certo la presunzione
di alcuni fervidi dilettanti di poter
fornire per la conoscenza della cultura un
orientamento specificamente diverso, e superiore, rispetto all’e- stensione della possibilità di una sicura
imputazione di singoli concreti processi
culturali della realtà storica a concrete cause
storicamente date, conseguita mediante un esatto materiale di osservazione determinato in base a specifici
punti di vista. Esclusivamente nella
misura in cui possono fornirci questo, i
loro risultati hanno interesse per noi e qualificano la « biologia razziale » come qualcosa di più di un
prodotto della moderna febbre di
fondazione scientifica. Non
diversamente stanno le cose per quanto riguarda il significato dell’interpretazione economica
del corso storico. Se oggi, dopo un periodo
di illimitata sopravvalutazione, incombe
su di essa il pericolo di essere sottovalutata nella sua capacità orientativa per il lavoro scientifico, ciò è
Ja conseguenza dell’a- criticità senza
pari con cui l’interpretazione economica della
realtà fu impiegata come metodo «universale », nel senso di una deduzione di tutti i fenomeni culturali —
vale a dire di tutto ciò che in essi
risulta per noi essenziale — come in ulti-
ma istanza economicamente condizionati. Oggi la forma logi- ca, nella
quale essa si presenta, non è del tutto unitaria. Là dove si presentano
difficoltà per una spiegazione puramente economica, vi sono a disposizione
diversi mezzi per mantenere in piedi la sua validità universale come elemento
causale decisi- vo. Talvolta si considera tutto ciò che nella realtà storica
707 è deducibile da motivi economici come qualcosa che proprio per- ciò risulta
scientificamente privo di significato, e quindi come qualcosa di « accidentale
». Oppure si estende il concetto di ciò che è economico fino a renderlo
irriconoscibile, in maniera da inserire nell'ambito di quel concetto tutti gli
interessi umani che siano in qualche
maniera legati a mezzi esterni. Se è stori-
camente stabilito che in due situazioni eguali sotto il profilo economico si è tuttavia reagito in maniera
diversa — per le differenze di
determinanti politiche e religiose, o climatiche, o di innumerevoli altre non economiche — allora
si procede a MAX WEBER 579 degradare tutti questi elementi, allo scopo
di conservare la su- premazia
dell'elemento economico, a «condizioni » storiche ac- cidentali, dietro Ie quali i motivi economici
operano in qualità di « cause ».
S’intende però che tutti quegli elementi che risulta- no «accidentali» per la considerazione
economica seguono le loro proprie leggi,
proprio al pari degli elementi economici, e
che per una considerazione la quale vada dietro al loro signifi- cato specifico le « condizioni » economiche
sono « storicamente accidentali » nel
medesimo senso del rapporto inverso. Un ten-
tativo prediletto di giustificare, ciò nonostante, l’importanza predominante dell'elemento economico,
consiste infine nell’in- terpretare la
costante correlazione e successione dei singoli ele- menti della vita culturale nel senso di una
dipendenza causale o funzionale dell’uno
dall’altro, o piuttosto di tutti i rimanenti
da uno solo, e cioè da quello economico. Dove una determinata istituzione 202 economica ha storicamente
compiuto anche una determinata «
funzione» al servizio di interessi economici di
classe, dove, per esempio, determinate istituzioni religiose si lasciano impiegare, e sono impiegate, come «
polizia nera », l’intera istituzione
viene allora presentata o come creata appun-
to per questa funzione o — in maniera assolutamente metafisi- ca — come orientata in base a una «tendenza
di sviluppo » che muove dall’elemento
economico. Non c'è più bisogno oggi di
illustrare a nessun specialista che
questa interpretazione dello scopo dell'analisi economica è espressione in parte di una determinata
costellazione storica, la quale
indirizzava il proprio interesse scientifico verso determina- ti problemi culturali condizionati
economicamente, e in parte di un
rabbioso patriottismo scientifico, e che essa risulta ormai per lo meno invecchiata. La riduzione
esclusiva a cause econo- miche non è in
qualsiasi senso esauriente in nessun campo dei
fenomeni culturali, e neppure in quello dei processi « economi- ci». In linea di principio una storia della
banca di qualsiasi popolo, che volesse
per la spiegazione avvalersi soltanto di
motivi economici, sarebbe naturalmente impossibile nello stesso modo in cui lo sarebbe una « spiegazione »
della Madonna Sisti- na in base ai
fondamenti economico-sociali della vita culturale dell’epoca in cui è sorta — e non sarebbe,
sempre in linea di principio, più
esaustiva di quanto non potrebbe esserlo per
580 MAX WEBER esempio la
derivazione del capitalismo da certe trasformazioni di contenuti della coscienza religiosa che
hanno cooperato alla genesi dello
spirito capitalistico, o la derivazione di qualsiasi altra formazione politica da condizioni
geografiche. In tutti questi casi è
decisiva, per misurare l’importanza che dobbiamo assegnare alle condizioni economiche, la
classe di cause alla quale devono essere
imputati quegli elementi specifici del feno-
meno in questione, a cui nel caso singolo attribuiamo un sigrifi- cato in virtù del quale esso ci interessa. Il
diritto dell’analisi unilaterale della
realtà culturale da «punti di vista» specifici
— nel nostro caso dal punto di vista del suo condizionamento economico — deriva però anzitutto, in linea
puramente metodi- ca, dalla circostanza
che l’educazione della vista a osservare
l’azione di categorie causali qualitativamente omogenee, e il continuo impiego del medesimo apparato
metodico-concettuale, offrono tutti i
vantaggi della divisione del lavoro. Che essa non sia troppo arbitraria è provato dal suo
risultato, cioè dal fatto che fornisce
la conoscenza di connessioni le quali si rivelano fornite di valore per l'imputazione causale
di processi storici concreti. Ma l’«
unilateralità » e la irrealtà dell’interpretazione puramente economica del corso storico è
soltanto un caso speci- fico di un
principo generale che vale per la conoscenza scientifi- ca della realtà culturale. Illustrarlo nei
suoi fondamenti logi- ci e nelle sue
conseguenze metodiche generali è lo scopo essen- ziale delle discussioni che seguono. Non c’è nessuna analisi scientifica puramente
« oggettiva » della vita culturale o —
ciò che forse è più ristretto, ma che
non significa certo nulla di essenzialmente diverso per il nostro scopo — dei « fenomeni sociali », indipendentemente
da punti di vista specifici e «
unilaterali», in base a cui essi sono —
espressamente o tacitamente, consapevolmente o inconsapevol- mente —.scelti come oggetto di ricerca,
analizzati e organizza- ti
nell'esposizione. Il fondamento di ciò sta nel carattere specifi- co del fine conoscitivo di ogni lavoro di
scienza sociale, che voglia procedere
oltre una considerazione puramente formale
delle norme — giuridiche o convenzionali — della coesistenza sociale.
La scienza sociale, quale noi vogliamo promuoverla, è una scienza di realtà. Noi vogliamo intendere la
realtà della vita MAX WEBER 581 che ci circonda, e in cui noi siamo
collocati, nel suo carattere proprio —
noi vogliamo cioè intendere da un lato la connessio- ne e il significato culturale dei suoi
fenomeni particolari nella loro
configurazione presente e dall’altro i motivi del suo essere storicamente divenuto così-e-non-altrimenti.
Allorché cerchiamo di riflettere sul
modo in cui essa si presenta immediatamente a
noi, la vita ci offre una molteplicità, senz’altro infinita, di processi che sorgono e scompaiono in un
rapporto reciproco di successione e di
contemporaneità, «in» noi e «al di fuori di»
noi. E l'assoluta infinità di questa vita molteplice non diminui- sce anche quando prendiamo in considerazione
un singolo « og- getto » isolatamente —
per esempio un atto concreto di scam-
bio — e vogliamo studiarlo con serietà allo scopo di descrivere questo oggetto «singolo» esaurientemente in
tutti i suoi ele- menti individuali, per
non parlare poi di coglierlo nel suo
condizionamento causale. Ogni conoscenza concettuale della realtà infinita da parte dello spirito umano
finito poggia in- fatti sul tacito
presupposto che soltanto una parte finita di essa debba formare l’oggetto della considerazione
scientifica, e per- ciò risultare
«essenziale » nel senso di essere « degna di venir conosciuta ». Ma in conformità a quali
princìpi si procede a isolare questa
parte? Si è ripetutamente creduto di poter trova- re anche nelle scienze della cultura il
criterio decisivo nel ricor- rere «
conforme a leggi» di determinate connessioni causali. Il contenuto delle «leggi» che noi riusciamo a
conoscere nel corso sempre molteplice
dei fenomeni deve costituire — secon- do questa concezione — il solo aspetto
scientificamente « essen- Ziale » in essi presente: quando abbiamo dimostrata
valida sen- za eccezione, con i mezzi di una induzione storica complessiva, la
«legalità » di una connessione causale, oppure quando l’ab- biamo recata a
un’evidenza intuitiva immediata per l’esperien-
za interna, allora ogni formula così ritrovata subordina a sé qualsiasi numero, per quanto grande si possa
pensarlo, di casi omogenei. Ciò che della
realtà individuale rimane al di fuori di
questa determinazione dell’aspetto « conforme a leggi» o vale come un residuo ancora privo di elaborazione
scientifica, che dev'essere sottoposto
ad analisi attraverso il completamento pro-
gressivo del sistema «di leggi», oppure rimane da parte come qualcosa di « accidentale » e proprio perciò
di scientificamente 582 MAX WEBER inessenziale, in quanto esso non è «
comprensibile legalmen- te», e quindi
non appartiene neppure al « tipo » del processo e può essere soltanto oggetto di «oziosa
curiosità ». Sempre ri- compare di
conseguenza — anche presso i rappresentanti della scuola storica — la convinzione che l’ideale
a cui ogni conoscen- za, e quindi pure
la conoscenza della cultura, tende e può
tendere, anche se in un lontano futuro, sia un sistema di proposizioni teoriche, da cui possa venir «
dedotta» la realtà. Un rappresentante
eminente della scienza naturale ha ritenuto,
com’è noto, di poter indicare come fine ideale (di fatto non attuabile) di una siffatta elaborazione della
realtà culturale una conoscenza «
astronomica» dei processi della vita. Ci sia con- sentito qui di prendere in esame più da
vicino tale tesi, per quanto queste cose
siano già state discusse. In primo luogo
risulta ovvio che quella conoscenza « astronomica », a cui si è pensato, non è una conoscenza di leggi, ma
assume piuttosto le «leggi» di cui si
serve come presupposti del suo lavoro da
altre discipline, quale la meccanica. Essa stessa si interessa pe- rò di un’altra questione, e cioè di stabilire
il risultato individua- le che è
prodotto dall’azione di quelle leggi su una costellazio- ne individuale, poiché queste costellazioni
individuali hanno per noi significato.
Ogni costellazione individuale, che essa ci
« spiega» o predice, può certo venir spiegata causalmente solo come conseguenza di un’altra costellazione
del pari individuale che l’abbia
preceduta; e per quanto si possa risalire indietro nella nebbia grigia del più remoto passato,
la realtà per la quale Je leggi valgono
rimane sempre individuale, e quindi non
deducibile da leggi. Uno «stato originario » del cosmo, che non rechi in sé un carattere individuale,
o che lo rechi in misura minore della
realtà cosmica presente, sarebbe natural-
mente un'idea priva di senso. E tuttavia un resto di simili rappresentazioni non viene fuori nel nostro
campo in quelle assunzioni, ora intese
giusnaturalisticamente ora invece verifica-
te in base all'osservazione dei « popoli primitivi», di «stati originari » economico-sociali che sono privi
di « accidentalità » storiche — come nel
caso del « comunismo agrario primitivo »,
della « promiscuità » sessuale ecc., da cui lo sviluppo storico individuale scaturisce poi attraverso una
specie di caduta nel concreto? MAX WEBER 583
Punto di partenza dell'interesse della scienza sociale è senza dubbio la configurazione reale, e quindi
individuale, della vita culturale che ci
circonda, considerata nella sua connessione che
è sì universale, ma non per questo meno individualmente atteg- giata, e nel suo procedere da altri stati
sociali di cultura, a loro volta
evidentemente atteggiati in forma individuale. Sen- za dubbio la situazione che abbiamo
illustrato a proposito del- l’astronomia
come un caso-limite (che è regolarmente considera- to anche dai logici allo stesso scopo), si
presenta qui in una misura assai più
ragguardevole. Mentre per l’astronomia i corpi
cosmici hanno interesse soltanto nelle loro relazioni quantitati- ve, accessibili a un’esatta misurazione,
nella scienza sociale ciò che ci
interessa è invece la configurazione qualitativa dei proces- si. A ciò si aggiunga che nelle scienze
sociali siamo di fronte a una
cooperazione di processi spirituali, e che « intendere » que- sti processi rivivendoli costituisce
naturalmente un compito di tipo specificamente
diverso da quello che le formule della cono-
scenza esatta della natura in genere possono o vogliono risolve- re. E tuttavia queste differenze non sono in
sé così fondamenta- li come può sembrare
a un primo sguardo. Senza la considera-
zione delle qualità non procedono — prescindendo dalla mecca- nica pura — neppure le scienze esatte della
natura; inoltre nel nostro campo
specifico incontriamo l'opinione — certo distorta — che il fenomeno della circolazione
monetaria, fondamentale almeno per la
nostra cultura, possa venir espresso quantitativa- mente e proprio per ciò sia comprensibile
«legalmente»; e infine dipende da
un’accezione più stretta o più larga del con-
cetto di «legge» se si comprendono nel suo ambito anche regolarità che, in quanto non esprimibili
quantitativamente, non sono neppur
accessibili a nessuna considerazione di caratte- re numerico. Per ciò che riguarda in
particolare la cooperazio- ne di motivi
« spirituali », essa non esclude in nessun caso la determinazione di regole dell'agire
razionale; e soprattutto non è ancora
scomparsa oggi la convinzione che sia compito
della psicologia quello di adempiere, nei confronti delle singole « scienze dello spirito », a una funzione
analoga a quella della matematica,
analizzando i fenomeni più complicati della vita so- ciale nelle loro condizioni e nei loro
effetti psichici, riportandoli a fattori
psichici il più possibile semplici, classificando quindi 584 MAX WEBER
questi ultimi nelle loro varie specie e infine studiandoli nelle
loro connessioni funzionali. In tale
maniera si darebbe vita, se non a una «
meccanica », almeno a una specie di « chimica » della vita sociale, considerata nei suoi fondamenti
psichici. Se indagini di questo genere
possono mai essere valide e — il che è cosa diversa — fornire risultati particolari utilizzabili
per le scienze della cul- tura, non
possiamo qui deciderlo. Ciò non avrebbe però alcuna importanza per la questione di cui ci
occupiamo, cioè se il fine della conoscenza
economico-sociale nel nostro senso, costituito
dalla conoscenza della realtà nel suo significato culturale e nella sua connessione causale, possa venir
raggiunto mediante l’investigazione di
ciò che ricorre in conformità a leggi. Posto
il caso che si pervenga un giorno, sia per mezzo della psicolo- gia sia per altre vie, ad analizzare in base
ad alcuni semplici « fattori » ultimi
tutte le connessioni causali dei processi della
convivenza umana finora osservate, e inoltre anche quelle con- cepibili in qualsiasi tempo futuro, e che si
possa quindi abbrac- ciarle in maniera
esauriente in un'immensa casistica di concetti
e di regole che valgono come leggi rigorose — quale rilievo avrebbe il risultato di tutto questo per la
conoscenza del mon- do culturale
storicamente dato, o anche soltanto di qualche
suo particolare fenomeno, come per esempio del capitalismo nel suo divenire e nel suo significato
culturale? Esso varrebbe come mezzo
conoscitivo né più né meno di un lessico delle
combinazioni chimico-organiche per la conoscenza bio-genetica del mondo animale e vegetale. Nell’uno come
nell’altro caso si sarebbe compiuto un
lavoro preliminare sicuramente importan- te e utile. Nell’uno come
nell’altrocaso la realtà della vita non si lascerebbe però dedurre da quelle
«leggi» e da quei « fatto- ri»; e ciò non già perché nei fenomeni della vita
debbano risiedere altre superiori e misteriose « forze » (« potenze », «en
telechie » o come altrimenti le si è chiamate) — questa è una questione del
tutto a sé — ma semplicemente perché per la conoscenza della realtà ha per noi
importanza la costellazione in cui si trovano quei « fattori » (ipotetici!),
raggruppati in un fenomeno culturale che sia storicamente per noi
significativo, e perché, se vogliamo « spiegare causalmente » questo
raggruppa- mento individuale, noi
dovremmo sempre rifarci ad altri rag-
gruppamenti, del pari individuali, in base ai quali « spiegar- MAX WEBER 585
li », naturalmente attraverso l’impiego di quei concetti (ipoteti- cil) di «legge». Determinare quelle «leggi» e
quei « fattori » (ipotetici) sarebbe per
noi in ogni caso solo il primo dei diversi
lavori che dovrebbero condurre alla conoscenza a cui aspiria- mo. L’analisi e Ja coordinazione del
raggruppamento individua- le
storicamente dato di quei « fattori » e della loro cooperazio- ne concreta, condizionata in tale maniera,
che risulta sigrificati- va nel suo modo
specifico, e soprattutto la chiarificazione del
fondamento e del tipo di questa significatività — questo sareb- be il suo compito successivo, da risolvere
certo con il ricorso a quel lavoro
preliminare, ma tuttavia pienamente nuovo e a4t0- nomo nei suoi confronti. Seguire nel loro
divenire le specifiche caratteristiche
individuali, significative per il presenze, di tali raggruppamenti, risalendo il più possibile
nel passato, e spiegar- le storicamente
in base alle costellazioni precedenti, che sono a loro volta individuali, costituirebbero un
terzo compito che si può concepire — e
la predizione di possibili costellazioni nel
futuro, infine, sarebbe il quarto.
Per tutti questi scopi sarebbe chiaramente di grande impor- tanza come mezzo conoscitivo — ma anche
soltanto in quanto tale — e anzi sarebbe
senz'altro indispensabile in vista di essi,
la presenza di concetti chiari e la conoscenza di quelle « leg- gi » (ipotetiche). Ma anche in questa
funzione si mostra subito, in #2 punto
decisivo, il limite della loro portata, e mediante la loro determinazione perveniamo a cogliere il
carattere specifico decisivo della
considerazione propria delle scienze della cultura. Noi abbiamo designato come «scienze della
cultura» quelle discipline che aspirano
a conoscere i fenomeni della vita nel
loro significato culturale. Il significato della configurazione di un fenomeno culturale, nonché il suo
fondamento, non può però essere
derivato, motivato e reso intelligibile in base a nessun sistema di concetti di leggi, per
quanto completo esso sia, poiché esso
presuppone la relazione dei fenomeni culturali
con idee di valore. Il concetto di cultura è un concetto di valore. La realtà empirica è per noi
«cultura» in quanto la poniamo in
relazione con idee di valore; essa abbraccia quegli elementi della realtà che diventano per noi
significativi in base a quella
relazione, e soltanto questi elementi. Una minima parte della realtà individuale di volta in
volta considerata è 586 MAX WEBER investita dal nostro interesse, condizionato
da quelle idee di valore; essa soltanto
ha significato per noi, e lo ha in quanto
rivela relazioni che sono per noi importanti a causa della loro connessione con idee di valore.
Esclusivamente in questo caso, infatti,
essa è per noi degna di venir conosciuta nel suo caratte- re individuale. Ciò che per noi riveste
significato non può naturalmente essere
determinato attraverso nessuna indagine
del dato empirico, che sia condotta «senza presupposti»; al contrario, la sua determinazione è il
presupposto per stabilire che qualcosa
diviene oggetto dell'indagine. Ciò che è significati- vo non coincide naturalmente, in quanto tale,
con l'ambito di nessuna legge, e tanto
meno vi coincide quanto più universal-
mente valida è quella legge. Infatti il significato specifico che ha per noi un elemento della realtà 207 si
trova naturalmente in quelle tra le sue
relazioni che esso ha in comune con molti
altri. La relazione della realtà con idee di valore, che dànno ad essa significato, nonché l’isolamento e
l’ordinamento degli ele- menti del reale
così individuati sotto il profilo del loro significa to culturale, rappresenta un punto di vista
del tutto eterogeneo e disparato
rispetto all’analisi della realtà in base a leggi, e al suo ordinamento in concetti generali. I due tipi
di ordinamento concettuale del reale non
hanno tra di loro relazioni logiche
necessarie di nessuna specie. Essi possono eventualmente coinci- dere in un caso singolo, ma sarebbe molto
pericoloso che que- sta congiunzione
accidentale ingannasse sulla loro eterogeneità
di principio. Il significato culturale di un fenomeno, per esem- pio quello dello scambio in un'economia
monetaria, può consi- stere nel fatto
che esso si presenta come fenomeno di massa, in
quanto costituisce una componente fondamentale della vita cul- turale odierna. E tuttavia è proprio il fatto
storico che esso assolve questa funzione
ciò che dev'essere reso comprensibile
nel suo significato culturale, e spiegato causalmente nella sua origine storica. L'indagine dell’essenza
dello scambio în genera- le e della
tecnica della circolazione di mercato è un lavoro preliminare — invero molto importante e
indispensabile! Non soltanto non si è
risposto così alla questione concernente il
modo in cui storicamente lo scambio è pervenuto al suo fonda- mentale significato odierno; ma soprattutto —
ciò che in ulti- ma analis i ci
interessa — il significato culturale dell'economia MAX WEBER 587
monetaria, in virtù del quale soltanto ci interessiamo di quella descrizione della tecnica della circolazione
monetaria, e in vir- tù del quale
soltanto c’è oggi una scienza che studia tale tecni- ca, risulta inderivabile da qualsiasi di
quelle «leggi ». Le carat teristiche di
conformità a un genere dello scambio, del negozio ecc. interessano i giuristi — mentre ciò che
ci concerne è il compito di analizzare
proprio quel significato culturale del
fatto storico che oggi lo scambio è fenomeno di massa. Allor- ché esso deve venir spiegato, allorché
vogliamo intendere che cosa distingue la
nostra cultura economico-sociale da quella,
per esempio, dell’antichità, in cui lo scambio mostrava le mede- sime qualità generiche di oggi, e quando si
deve spiegare in che cosa consista il
significato dell’« economia monetaria », in-
tervengono nell’indagine princìpi logici di origine del tutto ete- rogenea. Noi impieghiamo infatti quei
concetti, che ci offre la ricerca degli
elementi generici dei fenomeni economici di mas- sa, come mezzo di rappresentazione, e ciò
nella misura in cui vi sono contenuti
elementi della nostra cultura forniti di signifi- cato; ma il fire del nostro lavoro non è
conseguito mediante una
rappresentazione, per quanto precisa, di quei concetti e di quelle leggi, poiché al contrario la
questione di che cosa dev’es- sere fatto
oggetto di un’elaborazione di concetti di genere non è «senza presupposti », bensì è stata decisa
proprio in riferi- mento al significato
che posseggono per la cultura determinati
elementi di quella molteplicità infinita, che noi diciamo « circo- lazione ». Noi aspiriamo alla conoscenza di
un fenomeno stori- co, cioè di un
fenomeno fornito di significato nel suo carattere specifico. E la cosa decisiva è questa:
soltanto in base al presup- posto che
esclusivamente una parte fizita dell’infinito numero dei fenomeni risulta fornita di significato,
acquista un senso logico il principio di
una conoscenza dei fenomeni individuali
in genere. Noi ci troveremmo perplessi, anche se fossimo prov- visti
della più completa conoscenza possibile di tutte le « leg- gi» dell’accadere,
di fronte a questa questione: come è possibi- le in genere la spiegazione
causale di un fatto individuale — dal momento che già una descrizione anche
della più piccola sezione di realtà non può mai essere concepita come
esaustiva? Il numero e il tipo delle cause, che hanno determinato un qualsiasi
avvenimento individuale, è infatti sempre infinito, e 588 MAX WEBER non c’è una
caratteristica inerente alle cose stesse la quale con- senta di isolarne una
parte, che venga essa soltanto presa in
considerazione. Un caos di « giudizi esistenziali » sopra infinite osservazioni particolari sarebbe il solo
esito a cui potrebbe reca- re il
tentativo di una conoscenza della realtà che fosse seriamen- te « priva di presupposti». E anche questo
risultato sarebbe possibile solo in
apparenza, poiché la realtà di ogni osservazio-
ne singola mostra, a uno sguardo più prossimo, infiniti ele- menti particolari, che non possono mai venire
espressi in manie- ra esaustiva in
giudizi di osservazione. In questo caos reca
ordine soltanto la circostanza che in ogni caso ha per noi interesse e significato solo una parte della
realtà individuale, in quanto essa sta
in relazione con idee di valori culturali con
le quali ci accostiamo alla realtà. Soltanto determinati aspetti dei fenomeni particolari, sempre
infinitamente molteplici, cioè quelli ai
quali attribuiamo un significato culturale universale, sono quindi degni di essere conosciuti, ed
essi solamente sono oggetto della
spiegazione causale. Anche questa spiegazione
causale pone però a sua volta in luce lo stesso fatto, che cioè un regresso causale esaustivo da
qualsiasi fenomeno concre- to nella sua
piera realtà non soltanto risulta praticamente im- possibile, ma è semplicemente un’assurdità.
Noi mettiamo in luce soltanto quelle
cause a cui devono essere imputati gli
elementi di un accadere che risultano « essezzziali » nel caso par- ticolare: la questione causale, quando si
tratta dell’individuali- tà di un
fenomeno, non è una questione di leggi bensì una questione di connessioni causali concrete;
non è una questione re- lativa alla
formula alla quale si deve subordinare come esempio specifico tale fenomeno, ma è una questione
relativa alla costel- lazione
individuale a cui esso deve venir imputato come suo risultato — è cioè una questione di
imputazione. Ogni qual volta sia in
questione la spiegazione causale di un « fenomeno culturale » — cioè di un « individuo storico
», come noi lo inten- diamo in base a
un’espressione già usata talvolta nella metodolo- gia della nostra disciplina, e ora divenuta
consueta nella logica in una più precisa
formulazione — la conoscenza delle leggi della
causalità può essere non già scopo, ma soltanto mezzo dell’inda- gine. Essa ci rende più agevole l'imputazione
causale degli elementi dei fenomeni,
culturalmente significativi nella loro in-
MAX WEBER 589 dividualità, alle
loro cause concrete. In quanto, e solo in quan-
to essa serve a questo fine, ha valore per la conoscenza di connessioni individuali. Quanto più le leggi
sono « generali », cioè astratte, tanto
meno esse servono per i bisogni dell’imputa-
zione causale di fenomeni individuali, e quindi indirettamente r la comprensione del significato dei
processi culturali. Che cosa deriva da
tutto ciò? Naturalmente non ne deriva
che la conoscenza del genera le, la
formazione di concetti astratti di genere, la conoscen- za di regolarità e il tentativo di
formulazione di connessioni «legali »
non abbiano nel campo delle scienze della cultura alcuna giustificazione scientifica. Al
contrario, se la conoscenza causale
dello storico è un’imputazione di effetti concreti a cau- se concrete, l'imputazione valida di
qualsiasi effetto individua- le non è
possibile in genere senza l’impiego della conoscenza «nomologica» — cioè della conoscenza delle
regolarità delle connessioni causali. Se
si deve attribuire in concreto nella
realtà a un singolo elemento individuale di una connessione un significato causale nei riguardi dell’effetto
che intendiamo spie- gare, questo può
essere stabilito, in caso di dubbio, soltanto
attraverso la valutazione degli effetti che di solito ci aspettiamo in generale da esso e dagli altri elementi
del medesimo comples- so, che
consideriamo ai fini della spiegazione — vale a dire attraverso la determinazione di quelli che
sono gli effetti « ade- guati» degli
elementi causali in questione. In quale misura lo storico (nel senso più ampio del termine)
possa compiere con sicurezza questa
imputazione con la sua fantasia nutrita di
esperienza personale della vita e metodicamente disciplinata, e in quale misura egli si rifaccia invece
all’aiuto di discipline speciali che
gliela rendono possibile, è cosa che dipende dal caso singolo. Ma ovunque, e così pure nel
campo di complicati processi economici,
la sicurezza dell’imputazione è tanto mag-
giore quanto più assodata e comprensiva è la nostra conoscenza generale. Che si tratti sempre, anche per
tutte le cosiddette «leggi economiche »
senza eccezione, non già di connessioni
«legali » nel senso ristretto valido nel caso delle scienze esatte della natura, ma di connessioni causali
adeguate espresse in forma di regole,
cioè di un ‘applicazione della categoria di « ( pos- sibilità oggettiva» che qui non può venir
analizzata più da 590 MAX WEBER vicino, non fa la minima differenza per tale
proposizione. Solo che la determinazione
di tali regolarità non è già fine, bensì
mezzo di conoscenza; ed è in ogni caso una questione di opportunità se si debba o meno esprimere in
una formula, sotto forma di «legge», una
regolarità di connessione causale nota
in base all’esperienza quotidiana. Per la scienza esatta della natura le « leggi » sono tanto più importanti
e fornite di valore quanto più esse sono
universalmente valide; per la conoscenza
dei fenomeni storici nel loro fondamento concreto le leggi pià generali, in quanto sono le più vuote di
contenuto, sono invece di regola anche
le più prive di valore. Infatti quanto più estesa è la validità di un concetto di specie, cioè
il suo ambito, tanto più esso ci
distoglie dalla realtà concreta; per racchiudere l’ele- mento comune di quanti più fenomeni, esso
deve essere infatti il più possibile
astratto, e perciò povero di contenuto. La cono- scenza del generale non è mai per noi, nelle
scienze della cultura, fornita di valore
di per sé. Da quanto si è detto finora
risulta dunque che è priva di senso una
trattazione « oggettiva » dei processi culturali, per la quale debba valere come scopo ideale del
lavoro scientifico la riduzione di ciò
che è empirico a «leggi ». Essa non è priva di
senso, come sovente si è ritenuto, perché i processi culturali o anche i processi spirituali si comportino «
oggettivamente » in maniera meno legale,
bensì per i motivi seguenti: 1) perché la
conoscenza di leggi sociali non è conoscenza della realtà socia- le, ma è soltanto uno dei diversi strumenti
di cui il nostro pensiero si avvale a
tale scopo; 2) perché non si può concepire
una conoscenza di processi culturali se non sul fondamento del significato che ha per noi la realtà della
vita, sempre individual- mente atteggiata, in determinate relazioni
particolari. In quale senso e in quali relazioni ciò avvenga non ci è svelato
da nessuna legge, perché è deciso dalle idee di valore in base alle quali
consideriamo nel caso singolo la «cultura». La «cultu ra» è una sezione finita
dell’infinità priva di senso dell’accade- re del mondo, alla quale è attribuito
senso e significato dal punto di vista dell’uomo. Essa è tale anche per gli
uomini che si contrappongono a una cultura concreta come a un mortale nemico, e
che aspirano a un «ritorno alla natura ». Infatti essi possono pervenire a
questa presa di posizione solo in quanto
MAX WEBER 591 riferiscono la
cultura concreta alle loro idee di valore, e la
trovano « troppo leggera ». È questo fatto puramente logico-for- male che si tiene presente allorché qui si
parla della connessio- ne logicamente
necessaria di tutti gli individui storici con «i- dee di valore ». Presupposto trascendentale
di ogni scienza del- la cultura non è
già che noi riteniamo forzita di valore una
determinata, o anche in genere una qualsiasi « cultura », bensì è il fatto che noi siamo esseri culturali,
dotati della capacità e della volontà di
assumere consapevolmente posizione nei con-
fronti del mondo e di attribuirgli un serso. Qualunque possa essere questo senso, esso ci condurrà a
valutare nella vita deter- minati
fenomeni della coesistenza umana in base ad esso, e ad assumere nei loro confronti una posizione
(positiva o negativa) in quanto fornita
di significato. Quale che sia il contenuto di
tale presa di posizione, questi fenomeni hanno per noi un sign: ficato culturale, e su questo significato
soltanto poggia il loro interesse
scientifico. Quando qui si parla, in riferimento all’uso linguistico dei logici moderni, del
condizionamento della cono- scenza della
cultura da parte di idee di valore, si spera di non essere esposti a fraintendimenti di specie
così rozza come l’opi- nione che si
debba attribuire un significato culturale soltanto ai fenomeni forniti di valore. La prostituzione
è un fenomeno culturale al pari della
religione o del denaro; e tutti e tre lo
sono in quanto e solamente in quanto, e nella misura in cui, la loro esistenza e la forma che storicamente
assumono tocchino, direttamente o
indirettamente, i nostri interessi culturali, e in quanto essi suscitano il nostro impulso
conoscitivo sotto punti di vista
orientati in base a idee di valore, le quali rendono per noi significativo il settore di realtà che è
pensato in quei concetti. Ogni conoscenza della realtà culturale è
sempre, come risul- ta da tutto questo,
una conoscenza da particolari punti di
vista. Quando noi richiediamo allo storico e allo studioso di scienze sociali, come presupposto elementare,
che egli sappia distinguere ciò che è
importante da ciò che non lo è, e che egli
disponga dei « punti di vista » indispensabili per questa distin- zione, ciò vuol semplicemente dire che egli
deve imparare a riferire i processi
della realtà — consapevolmente o inconsape-
volmente — a «valori culturali » universali, e quindi a porre 592 MAX WEBER
in luce le connessioni che sono per noi significative. Sebbene si ripresenti sempre l’opinione che sia
possibile « assumere dalla materia
stessa» quei punti di vista, ciò deriva dall’illusione ingenua dello specialista il quale non
riflette che egli ha dappri- ma isolato,
in virtù delle idee di valore con cui si è inconsape- volmente accostato alla materia, un ristretto
elemento da un’as- soluta infinità come
quello che solo lo interessa per la sua
trattazione. In questa scelta di singole « parti» dell’accadere, che ha luogo sempre e ovunque in forma sia
consapevole che inconsapevole, viene in
luce anche quell’elemento del lavoro
delle scienze della cultura che sta a base di un’affermazione così sovente udita — che l’aspetto «
personale» di un’opera scientifica
costituisca ciò che propriamente vale in essa, e che in ogni opera, affinché sia degna di
esistere, debba esprimersi «una
personalità ». Certo senza le idee di valore del ricerca- tore non vi sarebbe nessun principio per la
scelta della mate- ria, € nessuna
conoscenza fornita di senso del reale nella sua
individualità; e come senza la fede del ricercatore nel significa to di qualche contenuto culturale risulta
senz'altro privo di senso ogni lavoro
diretto alla conoscenza della realtà individua
le, così l'orientamento della sua fede personale, cioè la rifrazio- ne dei valori nello specchio della sua anima,
indicherà la dire- zione anche al suo
lavoro. E i valori a cui il genio scientifico
riferisce gli oggetti della sua ricerca potranno determinare la «concezione » di un'intera epoca, potranno
cioè essere decisivi non solo per
stabilire ciò che nei fenomeni è « fornito di valo- re», ma anche per stabilire ciò che è
significativo o privo di significato,
ciò che è «importante » e ciò che è « senza impor- tanza ».
La conoscenza delle scienze della cultura, nel senso che abbiamo definito, è vincolata a presupposti
«soggettivi» in quanto essa si occupa
soltanto di quegli elementi della realtà
che hanno una relazione — per quanto indiretta — con i processi ai quali attribuiamo un significato
culturale. Essa è tuttavia naturalmente
una pura conoscenza causale nel medesi-
mo senso in cui può esserlo la conoscenza di processi naturali individuali forniti di significato, i quali
rivestano un carattere qualitativo.
Accanto alle varie confusioni prodotte dall’invasio- ne del pensiero giuridico-formale nella sfera
delle scienze della MAX WEBER 593 cultura, è stato di recente compiuto il
tentativo di « confutare » in linea di
principio la «concezione materialistica della sto- ria» mediante una serie di spiritosi sofismi,
sostenendo che, in quanto tutta la vita
economica deve svolgersi in forme regolate
giuridicamente o convenzionalmente, qualsiasi « sviluppo » eco- nomico deve assumere la forma di tendenze
alla creazione di nuove forme
giuridiche, e che esso è quindi comprensibile sol- tanto in base a massime etiche, e risulta su
questa base diverso nella propria
essenza da ogni sviluppo « naturale ». La cono-
scenza dello sviluppo economico avrebbe pertanto un carattere «teleologico »Î. Senza voler qui discutere il
significato che per la scienza sociale
può avere l'equivoco concetto di « svilup-
po »; 0 il concetto logicamente non meno equivoco di « teleologi- co», si deve tuttavia constatare che una
conoscenza siffatta non potrebbe mai
essere « teleologica » ze/ senso presupposto da
questa prospettiva. Nonostante la più completa identità formale delle norme giuridiche in vigore, il
significato culturale dei rapporti
giuridici a cui le norme si riferiscono, e perciò anche delle norme medesime, può mutare in maniera
radicale. Certo, se ci si vuole
inoltrare per un momento almanaccando nelle
fantasie di un tempo futuro, si può per esempio concepire teoricamente compiuta una «socializzazione
dei mezzi di pro- duzione » senza che
sia sorta alcuna « tendenza » mirante consa-
pevolmente a questa conseguenza e senza che venga eliminato o aggiunto nessun paragrafo della nostra
legislazione: la fre- quenza statistica
di particolari relazioni giuridicamente regola-
te sarebbe cambiata certo alla base, e in molti casi ridotta a zero, una gran parte delle norme giuridiche
diventerebbe prati- camente priva di
significato, e il loro intero significato cultura- le sarebbe mutato in maniera da risultare
irriconoscibile. La 3. Weber si
riferisce qui al volume di Rudolf Stammler, Wirtschaft und Recht nach der
materialistichen Geschichtsauffassung, Leipzig, 1896. Alla critica della
seconda edizione di quest'opera (1906) sarà dedicato il saggio di Weber R.
Stammlers « Uberwindung » der materialistischen
Geschichtsauffassung, « Archiv. fùr Sozial- wissenschaft und
Sozialpolitik », XXIV, 1907, pp. 94-151 (ora in Gesammelte Aufsatze zur Wissenschaftslehre, pp. 291-359). —
Rudolf Stammler (1856-1938), filosofo
del diritto tedesco di orientamento neo-kantiano, scrisse inoltre Die
Lehre voni richtigen Recht (1902), la
Theorie der Rechtsivissenschaft (1911), Die Gerechtigheit in der Geschichte (1915), un Lelrbuch der
Rechtsphilosophie (1922) e varie altre
opere. 38. STORICISMO
TEDESCO. 594 MAX WEBER teoria « materialistica » della storia poteva
quindi con diritto mettere da parte le
discussioni de lege ferenda, poiché il suo
punto di vista centrale consisteva appunto nell’inevitabile muta- mento di significato delle istituzioni
giuridiche. Colui al quale il semplice
lavoro di comprensione causale della realtà storica appare subalterno, può sì evitarlo — ma è
impossibile sostituir- lo con qualsiasi
« teleologia ». « Scopo » è, per la rostra trattazio- ne, la rappresentazione di un effetto, che
diviene causa di un'azione; e noi
consideriamo anche questa al pari di ogni
causa che contribuisca o possa contribuire a un effetto fornito di significato. Il suo significato specifico
poggia soltanto sul fatto che noi
possiamo e vogliamo anche irztendere, oltre che consta- tare, l'agire umano. Quelle idee di valore sono, fuor di ogni
questione, « soggetti- ve». Tra
l’interesse «storico» per una cronaca di famiglia e quello per lo sviluppo dei più grandi
fenomeni di cultura, che furono e sono
comuni a una nazione o all'umanità per lunghe
epoche, c'è un'infinita gradazione di «significati », i cui mo- menti avranno per ognuno di noi un ordine
differente. E così pure esse mutano
storicamente con il carattere della cultura e
delle idee che guidano gli uomini. Da ciò 207 consegue ovvia- mente che la ricerca delle scienze della
cultura possa dar luogo soltanto a
risultati i quali siano «soggettivi» nel senso che valgono per l’uno e non per l’altro. Ciò che
cambia è piuttosto il grado in cui essi
interessano l’uno e non l’altro. In altri
termini, ciò che diventa oggetto dell’indagine, e in quale misu- ra questa si estenda nell’infinità delle
connessioni causali, è determinato
soltanto dalle idee di valore che dominano il ricer- catore e la sua epoca; nel «come? », vale a
dire nel metodo della ricerca — come
ancora vedremo — il « punto di vista» a
cui si ispira è determinante per l’elaborazione degli strumenti concettuali che egli impiega — mentre nel
modo della loro applicazione il
ricercatore è di certo, qui come ovunque, vinco- lato alle norme del nostro pensiero. Poiché
verità scientifica è soltanto ciò che
esige di valere per tutti coloro che vogliono la verità.
Da ciò risulta in ogni caso l’assurdità dell’idea — la quale talvolta prevale anche presso gli storici
della nostra disciplina — che possa
essere fine, per quanto remoto, delle scienze della MAX WEBER 595
cultura quello di costruire un sistema chiuso di concetti, nel cui ambito la realtà possa venir compresa in
un'articolazione in qualsiasi senso
definitiva, e da cui essa venga quindi di
nuovo dedotta. La corrente dell’accadere sconfinato procede sen- za fine verso l’eternità. E sempre nuovi e
diversamente atteg- giati si presentano
i problemi culturali che muovono gli uomi-
ni, cosicché rimane fluido anche l’ambito di ciò che acquista per noi senso e significato da quella infinita,
e sempre eguale, corrente dell’accadere,
configurandosi come «individuo stori- co
». Mutano le connessioni concettuali in base a cui l’accadere è considerato e colto scientificamente. I punti
di partenza delle scienze della cultura
si protendono quindi mutevoli nel più
lontano futuro, finché qualche definitivo irrigidimento della vita spirituale non farà desistere l’umanità
dal porre nuove questioni alla vita
sempre inesauribile. Un sistema delle scien-
ze della cultura, anche soltanto in forma di una fissazione definitiva, oggettivamente valida,
sistematizzante delle questio- ni e dei
campi di cui esse dovrebbero trattare, sarebbe di per sé un’assurdità: da un tentativo del genere potrebbe
derivare sem- pre solo una collezione di
punti di vista, specificamente diversi e
tra loro in vario modo eterogenei e disparati, in base ai quali la realtà è risultata o risulta per noi «
cultura », cioè fornita di significato
nella sua specificità. Dopo queste
lunghe discussioni, possiamo finalmente affron-
tare la questione che ci interessa metodicamente in vista di una trattazione dell’« oggettività» della
conoscenza della cul- tura: quale è la
funzione e la struttura logica dei concetti con
cui la nostra scienza, al pari di ogni altra, lavora, e cioè — per formulare la domanda con particolare riguardo
al problema decisivo — qual è il
significato della teoria e dell’elaborazione
concettuale teorica per la conoscenza della realtà culturale? L'economia politica è stata almeno
originariamente — lo abbiamo già detto —
una «tecnica», per ciò che concerne il
centro di gravità delle sue discussioni: essa considerava i feno- meni della realtà da un punto di vista
valutativo che, almeno in apparenza, era
univoco, stabile e pratico, vale a dire dal
punto di vista dell’accrescimento della « ricchezza » della popo- lazione. Ma d’altra parte, fin dall’inizio,
essa non è stata soltan- 596 MAX
WEBER to una «tecnica », in quanto era
inserita nella possente unità
dell’intuizione giusnaturalistica e razionalistica del mondo, for- mulata dal secolo xvi. Il carattere specifico
di quell’intuizione del mondo, con la
sua fede ottimistica nella possibilità di una
razionalizzazione teoretica e pratica del reale, operava essenzial- mente in maniera da ostacolare la scoperta
del carattere proble- matico di tale
punto di vista, assunto come di per sé evidente. Sorta in stretta connessione con il moderno
sviluppo della scien- za naturale, la
considerazione razionale della realtà sociale è
rimasta ad essa affine in tutto il suo modo di analisi. Nelle discipline naturali il punto di vista
pratico-valutativo, fondato sulla
determinazione di ciò che è immediatamente utile in sen- so tecnico, era strettamente legata alla
speranza — ereditata dall’antichità e in
seguito ancora sviluppata — di pervenire
sulla via dell’astrazione generalizzante e dell’analisi del dato empirico nelle sue connessioni legali a una
conoscenza di tipo monistico dell’intera
realtà che fosse puramente « oggettiva »,
cioè svincolata da tutti i valori, e al tempo stesso razionale, cioè liberata da ogni « accidentalità »
individuale, e assumesse la fisionomia
di un sistema concettuale di validità metafisica e di forma matematica. Le discipline naturali
legate a punti di vista valutativi, come
la medicina clinica e ancor più quella che
abitualmente è detta « tecnologia », diventavano pure « dottri- ne»
pratiche. I valori a cui esse dovevano servire, vale a dire la salute del
paziente, il perfezionamento tecnico di un concre- to processo produttivo ecc.,
erano di volta in volta stabiliti per ognuna di esse. I mezzi impiegati erano,
e potevano essere soltanto forniti dall'impiego dei concetti legali scoperti
dalle discipline teoriche. Ogni progresso di principio nella formazione di tali
concetti era, o poteva essere, anche un progresso della corrispondente
disciplina pratica. Dato un certo scopo, la pro- gressiva riduzione delle
particolari questioni pratiche (di un caso di malattia, di un problema tecnico)
a leggi generalmente valide di cui esse
costituiscono un caso specifico, e quindi l’e-
stensione del sapere teorico, era immediatamente connessa, ed anzi coincidente, con l’allargarsi delle
possibilità pratico-tecni- che. Allorché
la biologia moderna ha sottoposto anche quegli
elementi della realtà che ci interessano storicamente, cioè nel modo in cui essi sono divenuti
così-e-non-altrimenti, al concetto MAX
WEBER 597 di un principio evolutivo
universalmente valido, che almeno
apparentemente — ma non certo in verità — ha consentito di subordinare tutto ciò che è essenziale in
tali oggetti a uno schema di leggi
valide in generale, sembrò che si avvicinasse in qualsiasi scienza il momento della fine per
tutti i punti di vista valutativi.
Poiché il cosiddetto accadere storico era una parte dell’intera realtà, e il principio causale,
che costituisce il presup- posto di ogni
lavoro scientifico, sembrava esigere la riduzione di ogni accadere a « leggi» generalmente
valide, e poiché infi- ne era evidente
l’immenso successo delle scienze della natura
le quali avevano proceduto in base a questo principio, sembrò allora inconcepibile un senso della ricerca
scientifica diverso da quello della
scoperta delle leggi dell’accadere. Soltanto ciò che è « conforme alle leggi » poteva essere
scientificamente essenzia- le nei
fenomeni, e i processi «individuali » venivano presi in considerazione solamente in quanto «tipi »,
cioè in quanto rap- presentanti
illustrativi delle leggi; un interesse diretto ad essi sembrava costituire un interesse « non
scientifico ». È impossibile seguire qui
le forti conseguenze di questa fiduciosa
disposizione del monismo naturalistico sulle discipli- ne economiche. Allorché la critica socialistica
e il lavoro degli storici cominciavano a
tradurre in problemi gli originari punti
di vista valutativi, il potente sviluppo della ricerca biologica da un lato e l'influenza del panlogismo
hegeliano dall’altro impe- dirono
all’economia politica di determinare in maniera distin- ta, nella sua piena portata, il rapporto tra
concetto e real- tà. Da ciò è risultato,
per quanto ci interessa, che nonostante il
poderoso argine opposto alla penetrazione dei dogmi naturalisti- ci dalla filosofia idealistica tedesca
successiva a Fichte, dalle indagini
della scuola giuridica tedesca e dal lavoro della scuola storica di economia politica tedesca, e in
parte proprio în conse- guenza di questo
lavoro, i punti di vista del naturalismo riman-
gono ancora da superare in alcuni punti decisivi. Tra questi c’è in particolare il rapporto, che rimane ancor
sempre problemati- co, tra lavoro
«teorico» e lavoro «storico » nell’ambito della
nostra disciplina. Il metodo
teorico « astratto » si contrappone ancora og
con un’asprezza priva di mediazione e apparentemente insor- montabile, alla ricerca storico-empirica.
Esso riconosce del tutto 598 MAX
WEBER correttamente l'impossibilità
metodica di sostituire la conoscen- za
storica della realtà con la formulazione di «leggi» o di pervenire viceversa a « leggi» in senso stretto
attraverso il me- ro accostamento di
osservazioni storiche. Per ottenere tali leggi
— dal momento che per esso è certo che la scienza debba aspirare a questo fine supremo — si procede
dal fatto che noi abbiamo un’esperienza
immediata delle connessioni dell’agire
umano proprio nella Joro realtà, e quindi — così esso suppone — possiamo rendere il suo corso
immediatamente intelligibile con
evidenza assiomatica, e penetrarlo nelle sue «leggi». La sola forma esatta di conoscenza, cioè la
formulazione di leggi evidenti che si
possano immediatamente intuire, sarebbe al tem-
po stesso la sola che consente l’accesso ai processi non immedia- tamente osservati; e quindi, almeno per i
fenomeni fondamen- tali della vita
economica, la determinazione di un sistema di
princìpi astratti e — di conseguenza — puramente formali, in analogia a quello delle scienze esatte della
natura, sarebbe il solo mezzo per
dominare spiritualmente la molteplicità della
vita sociale. Nonostante la distinzione metodica di principio tra conoscenza legale e conoscenza storica,
che il creatore della teoria aveva
compiuto come primo e unico, alle proposizioni
della teoria astratta è stata però da lui attribuita una validità empirica, nel senso di una deducibilità della
realtà dalle « leg- gi». E ciò certo non
nel senso di una validità empirica dei
princìpi economici astratti presi di per sé, bensì in maniera che, quando si fossero elaborate
corrispondenti teorie « esatte » di
tutti gli altri fattori che si possono considerare, tutte queste teorie astratte prese insieme dovrebbero
contenere in sé la vera realtà delle
cose — vale a dire ciò che della realtà è degno di essere conosciuto. La teoria economica esatta
determinava l’ef- fetto di ur motivo
psichico, mentre le altre teorie avrebbero il
compito di sviluppare in forma simile tutti i rimanenti motivi in princìpi di validità ipotetica. Pertanto
al lavoro teorico, cioè alle teorie
astratte della formazione del prezzo, dell’interesse, delle rendite ecc., è stata talvolta
attribuita la pretesa fantasti- ca di
servire, secondo la — pretesa — analogia dei princìpi fisici, per dedurre da date premesse reali
risultati quantitativa mente
determinati, e cioè leggi in senso rigoroso, valide per la realtà della vita, in quanto l'economia
dell’uomo sarebbe MAX WEBER 599 univocamente « determinata », dato un certo
scopo, in rapporto ai mezzi. E non si è
tenuto presente che, per poter aspirare a
questo risultato anche nei casi più semplici, si dovrebbe assume- re come « data » € presupporre come nota la
totalità della real- tà storica attuale,
insieme a tutte le sue connessioni causali, e
che, quando questa conoscenza fosse accessibile allo spirito fini- to, non si potrebbe attribuire nessun valore
conoscitivo a una teoria astratta. Il
pregiudizio naturalistico, secondo il quale si
dovrebbe creare, con quei concetti, qualcosa di affine a ciò che producono le scienze esatte della natura,
aveva condotto appun- to a un’errata
comprensione del senso di queste formazioni
teoriche. Si è creduto che si trattasse dell'isolamento psicologico di uno specifico «impulso » dell’uomo,
dell'impulso al guada- gno, oppure
dell’osservazione isolata di una specifica massima dell'agire umano, cioè del cosiddetto
principio economico. La teo- ria
astratta riteneva di potersi reggere su assiomi psicologici; e la conseguenza era che gli storici invocavano
una psicologia empi- rica, allo scopo di
poter mostrare la non-validità di quegli
assiomi e derivare psicologicamente il corso dei processi econo- mici. Noi non intendiamo criticare a fondo,
in queste pagine, la fede
nell’importanza di una scienza sistematica della « psico- logia sociale» — che del resto è ancor da
creare — come fondamento futuro delle
scienze della cultura, e in particolare
dell'economia sociale. Proprio gli abbozzi finora compiuti, in parte brillanti, di un’interpretazione
psicologica dei fenomeni economici
mostrano in ogni caso che 707 si procede dall’analisi delle qualità
psicologiche dell’uomo all’analisi delle istituzioni sociali, ma che viceversa
il chiarimento dei presupposti e degli effetti psicologici delle istituzioni
presuppone la precisa cono- scenza di queste ultime, nonché l’analisi scientifica
delle loro connessioni. L'analisi psicologica significa allora
semplicemente un approfondimento, molto
importante nel caso specifico, della
conoscenza del loro condizionamento storico-culturale e del lo- ro significato culturale. Ciò che ci
interessa nell’atteggiamento psichico
dell’uomo nelle sue relazioni sociali è appunto determi- nato in ogni caso specificamente, secondo il
particolare signifi- cato culturale
della relazione in esame. Si tratta infatti di
motivi e di influssi psichici tra loro molto eterogenei, cd estre- mamente compositi nel caso concreto. La
ricerca psicologico-so- 600 MAX
WEBER ciale costituisce un attento
esame di diversi generi particolari, e
tra loro assai disparati, di elementi della cultura, considerati in rapporto alla possibilità di interpretarli
mediante la nostra comprensione. Noi
dobbiamo imparare mediante essi a intende-
re spiritualmente in misura crescente — partendo dalla cono- scenza delle istituzioni particolari — il
loro condizionamento e il loro
significato culturale, senza voler dedurre le istituzioni da leggi psicologiche o volerle spiegare in
base a fenomeni psicologici
elementari. Anche la polemica così
complessa che si è svolta intorno alla
giustificazione psicologica delle enunciazioni teoriche astratte, intorno all'importanza dell’« impulso al
guadagno » e del « prin- cipio economico
» ecc., ha dato un frutto assai scarso.
Nel caso delle enunciazioni della teoria astratta, solo in ap- parenza ci troviamo di fronte a « deduzioni »
da motivi. psicolo- gici fondamentali;
in verità si tratta piuttosto di un caso specifi- co di una forma di elaborazione concettuale
che è propria, e in certa misura
indispensabile, delle scienze della cultura umana. Vale qui la pena caratterizzare tale forma in
maniera un po’ più approfondita, per
accostarci così alla questione fondamenta-
le del significato della teoria per la conoscenza fornita dalla scienza sociale. E a tale fine noi lasceremo
una volta per sempre fuori discussione
se le formazioni teoriche che rechiamo come
esempio, o alle quali accenniamo, corrispondano, così come esse sono, allo scopo a cui vogliono servire,
se cioè esse sia- no di fatto elaborate
in maniera conforme allo scopo. In quale
misura l’odierna « teoria astratta » debba ancora essere sviluppata è, alla fine, anche un problema di economia
del lavoro scienti- fico, a cui si
riferiscono altri problemi. Anche la «teoria del- l'utilità marginale » sottostà alla « legge
dell'utilità marginale ». Noi abbiamo
dinanzi a noi, nella teoria economica astratta,
un esempio di quelle sintesi che si designano di solito come «idee » di fenomeni storici. Essa ci offre un
quadro ideale dei processi che avvengono
in un mercato di beni, sulla base di
un'organizzazione sociale fondata sull'economia di scambio, di una libera concorrenza e di un agire
rigorosamente razionale. Questo quadro
concettuale unisce determinate relazioni e deter- MAX WEBER 601
minati processi della vita storica in un cosmo, in sé privo di contraddizioni, di connessioni concettuali.
Per il suo contenuto questa costruzione
riveste il carattere di un’ufopia, ottenuta
attraverso l’accentuazione concettuale di determinati elementi della realtà. Il suo rapporto con i fatti
empiricamente dati della vita consiste
solo in questo, che laddove vengono determinati o supposti operanti, in qualsiasi grado, nella
realtà connessioni del tipo
astrattamente rappresentato in quella costruzione, cioè processi dipendenti dal « mercato », noi
possiamo illustrare prag- maticamente e
rendere intelligibile il carazzere specifico di que- sta connessione in un tipo ideale. Tale
possibilità è indispensabi- le sia a
scopo euristico sia a scopo espositivo. Il concetto tipico- ideale serve a orientare il giudizio di
imputazione nel corso della ricerca:
esso non è un’« ipotesi », ma intende orientare la costruzione di ipotesi. Esso zon è una
rappresentazione del reale, ma intende
fornire alla rappresentazione un mezzo di
espressione univoco. Esso è quindi « l’idea » di un’organizzazio- ne moderna della società, fondata
sull'economia di scambio, che è
storicamente data; esso è stato elaborato in base ai medesi- mi principi logici con cui si è proceduto a
costruire l’idea dell’«economia
cittadina» medievale come concetto « geneti-
co». Quando si fa così, si perviene a formare il concetto di «economia cittadina » non già come una media
dei princìpi economici operanti di fatto
nell’insieme delle città osservate, ma
appunto come un zipo ideale. Esso è ottenuto attraverso l’accentuazione unilaterale di uno o di
alcuni punti di vista, e attraverso la
connessione di una quantità di fenomeni particola- ri diffusi e discreti, esistenti qui in
maggiore e là in minore misura, e
talvolta anche assenti — che corrispondono a quei punti di vista unilateralmente sottolineati —
in un quadro cor- cettuale in sé
unitario. Considerato nella sua purezza concettua- le, questo quadro non può mai essere
rintracciato empiricamen- te nella
realtà; esso è un’utopia, e al lavoro storico si presenta il compito di determinare in ogni caso
singolo la maggiore o minore distanza
della realtà da quel quadro ideale, stabilendo
per esempio in quale misura il carattere economico della situa- zione di una determinata città possa venir
qualificato concettual- mente come
proprio dell’« economia cittadina ». Oculatamente impiegato, quel concetto rende i suoi
specifici servizi a sco- 602 MAX
WEBER po di indagine e di illustrazione.
Proprio nello stesso modo si può, per
analizzare ancora un altro esempio, indicare l’« idea » dell’« artigianato » in un’utopia,
congiungendo determinati trat- ti che si
possono rintracciare diffusamente presso gli artigiani dei più diversi tempi e paesi — accentuati
unilateralmente nelle loro conseguenze —
in un quadro ideale in sé privo di
contraddizione, e riferendoli a un'espressione concettuale, che si trova manifestata nel loro ambito. Si può
inoltre compiere il tentativo di
individuare una società nella quale tutti i rami di attività economica, e anche spirituale, siano
regolati da massi- me che ci appaiono
come l’applicazione del medesimo princi-
pio caratteristico dell’« artigianato », elevato a tipo ideale. Si può poi ancora contrapporre quel tipo ideale
dell’artigianato a un corrispondente
tipo ideale di organizzazione industriale ca-
pitalistica, astratta da certe caratteristiche della grande indu- stria moderna, e quindi compiere infine il
tentativo di elabora- re l’utopia di una
cultura «capitalistica », dominata esclusiva-
mente dall’interesse all'impiego di capitali privati. Essa dovreb- be congiungere, accentuandoli in un quadro
concettuale non contraddittorio per la
nostra considerazione, determinati tratti
esistenti in maniera diffusa della moderna vita materiale e spirituale, considerati nel loro carattere
specifico. Ciò sarebbe un tentativo di
indicare l’«idea » della cultura capitalistica — se e come a ciò si possa pervenire, non è
ancora dato di saperlo. È però
possibile, o piuttosto dev’essere considerato come sicuro, che si pervenga ad abbozzare più utopie di
questo tipo, e certamente in misura assai numerosa, di cui nessuna è eguale
alle altre, e di cui nessuna può venir osservata nella realtà empirica come
ordinamento di fatto valido della situazione so- ciale; ognuna comporta però la
pretesa di costituire una rappre- sentazione dell'«idea» della cultura
capitalistica, e ognuna può anche far
valere questa pretesa in quanto ha assunto dalla realtà, congiungendoli in un quadro ideale
unitario, certi tratti della nostra
cultura forniti di significato nel loro specifico carat- tere. Infatti quei fenomeni che ci
interessano come fenomeni culturali
derivano di regola questo interesse per noi — cioè il loro « significato culturale » — da idee di
valore assai differen- ti con le quali
possiamo porli in relazione. Come vi sono perciò « punti di vista » estremamente diversi dai
quali possiamo consi- MAX WEBER 603 derarli per noi significativi, così si
possono impiegare anche i più diversi
princìpi di scelta delle connessioni da assumere in un tipo ideale di una determinata
cultura. Quale è però il significato di
questi concetti tipico-ideali per una
scienza di esperienza, quale noi intendiamo promuoverla? Si deve anzitutto porre in luce che la
nozione di « ciò che deve essere », vale
a dire di un «modello normativo », deve essere
accuratamente distinto qui da questo quadro concettuale a cui ci riferiamo, e che è «ideale» in senso
puramente logico. Si tratta della costruzione
di connessioni che appaiono motivate in
maniera plausibile alla nostra faztasia, e quindi « oggettivamen- te possibili », cioè adeguate nei confronti
del nostro sapere no- mologico. Chi ritenga che la conoscenza della realtà
storica debba o possa essere una
riproduzione « priva di presupposti» di fatti
«oggettivi », rifiuterà ad essi qualsiasi valore. E anche chi ha riconosciuto che non c'è un’« assenza di
presupposti » in senso logico sul
terreno della realtà, e che pure il più semplice rias- sunto di documenti o la più semplice
registrazione delle fonti può avere
qualche senso scientifico solo in base a un riferimen- to a « significati », e quindi in ultima
istanza a idee di valore, considererà
tuttavia la costruzione di qualsiasi « utopia » storica come un mezzo di illustrazione pericoloso per
un lavoro storico impregiudicato, e più
spesso semplicemente come un gioco. E
infatti non si può mai decidere @ priori se si tratti con questo di un puro gioco concettuale, oppure di
un’elaborazione concet- tuale
scientificamente feconda; anche qui esiste un solo criterio, quello dell’efficacia per la conoscenza di
fenomeni culturali concreti nella loro
connessione, nel loro condizionamento causa-
le e nel loro significato. Non come fine, bensì come mezzo ha dunque importanza la formazione di tipi
ideali astratti. Ogni attenta osservazione
degli elementi concettuali della rappresen-
tazione storica mostra però che lo storico, nell’intraprendere il tentativo di determinare, al di là della mera
constatazione di connessioni concrete,
il significato culturale di un processo indi-
viduale per quanto semplice possa essere, e quindi di « caratte- rizzarlo », lavora e deve lavorare con
concetti che possono ve- nir definiti in
maniera precisa e univoca soltanto sotto forma di tipi ideali. Oppure concetti come «
individualismo », « imperia- 604 MAX
WEBER lismo », « feudalesimo », «
mercantilismo » ecc. sono «conven-
zionali », e le numerose formazioni concettuali del medesimo tipo, con le quali cerchiamo di concepire e
di intendere la realtà, possono venir
determinate nel loro contenuto mediante
una descrizione « priva di presupposti» di qualsiasi concreto fenomeno, oppure mediante la congiunzione in
forma astratta di ciò che è comune a più
fenomeni concreti? La lingua che lo
storico parla contiene in centinaia di parole questi quadri concettuali indeterminati, elaborati per un
bisogno di espressio- ne che
inconsapevolmente si fa valere, e il cui significato può dapprima soltanto essere avvertito
intuitivamente, non già con- cepito con chiarezza.
In infiniti casi, particolarmente nel cam-
po della storia politica descrittiva, l’indeterminatezza del loro contenuto non è certo di alcun pregiudizio
alla chiarezza della rappresentazione.
Basta infatti che nel caso singolo sia sentito
ciò che è in mente allo storico, oppure ci si può accontentare che una particolare accezione del contenuto
concettuale sia pre- supposta con un
relativo significato per il caso singolo. Ma”
quanto più precisamente si deve recare alla coscienza la signifi- catività di un fenomeno culturale, tanto più
inevitabile diventa il bisogno di
lavorare con concetti chiari, determinati non solo in maniera particolare ma anche in tutti i
loro aspetti. Una « definizione » di
quelle sintesi formulate dal pensiero storico,
secondo lo schema gezus proximum-differentia specifica, è natu- ralmente un’assurdità; se ne faccia pure la
prova. Una forma siffatta di
determinazione del significato verbale è possibile so- lo sul terreno di discipline dogmatiche, che
lavorano con sillogi- smi. Non può
esservi — o può esservi soltanto in apparenza —
una semplice «risoluzione descrittiva» di quei concetti nei loro elementi, poiché ciò dipende proprio
dalla determinazio- ne di quali elementi
debbano essere considerati come essenzia-
li. Se si deve tentare una definizione genetica del contenuto concettuale, rimane soltanto la forma del
tipo ideale nel senso sopra fissato.
Esso costituisce un quadro concettuale, il quale non è la realtà storica, e neppure l’«
autentica » realtà, e tanto meno può
servire come uno schema nel quale la realtà debba essere inserita come esempio; esso ha il
significato di un puro concetto-limite
ideale, a cui la realtà deve essere misurata e
comparata, al fine di illustrare determinati elementi significati MAX WEBER 605
vi del suo contenuto empirico. Questi concetti sono formazioni nelle quali costruiamo, impiegando Ja
categoria di possibilità oggettiva,
connessioni che la nostra fantasia, orientata e discipli- nata in vista della realtà, giudica
adeguate. Il tipo ideale rappresenta,
particolarmente in questa funzio- ne, il
tentativo di concepire gli individui storici o i loro elemen- ti particolari in virtù di concetti genetici.
Si prendano per esempio i concetti di
«chiesa» e di «setta». Essi si lasciano
risolvere, in via puramente classificatoria, in complessi di carat- teristiche in cui non soltanto il confine tra
l’uno e l’altro, ma anche il contenuto
concettuale deve rimanere sempre fluido. Se
però voglio concepire il concetto di «setta» geneticamente, cioè in riferimento a certi importanti
significati culturali che lo «spirito di
setta» ha avuto per la cultura moderna, allora
determinate caratteristiche dell’uno e dell’altro diventano essen- ziali, in quanto stanno in relazione causale
adeguata con quegli effetti. I concetti
diventano però al tempo stesso tipico-ideali,
cioè essi non si presentano mai, o si presentano soltanto in maniera sporadica, nella loro piena purezza
concettuale. Qui come ovunque ogni
concetto non puramente classificatorio al-
lontana dalla realtà. Ma la natura discorsiva del nostro conosce- re, vale a dire la circostanza che noi
possiamo cogliere la real- tà soltanto
mediante una catena di mutamenti di rappresenta- zione, postula una siffatta stenografia di
concetti. La nostra fantasia può certo
fare sovente a meno di una espressa formula-
zione concettuale come mezzo di ricerca — ma per la rappre- sentazione,
se essa vuol essere precisa, l’impiego di tali concetti è in innumerevoli casi
del tutto indispensabile sul terreno dell’ana- lisi culturale. Chi la respinga
in linea di principio deve limitar- si all’aspetto formale, per esempio a
quello storico-giuridico, dei fenomeni culturali. Il cosmo delle norme
giuridiche può naturalmente venire al tempo stesso determinato in forma con-
cettualmente chiara e valere (in senso giuridico1) per la realtà sto- rica. Ma
è del loro significato pratico che deve occuparsi il lavoro della scienza
sociale nel nostro senso. Questo significato può però spesso essere reso
consapevole in maniera precisa sol-
tanto mediante il riferimento del dato empirico a un caso-limi- te ideale. Se lo storico (nel senso più ampio
della parola) ri- fiuta un tentativo di
formulazione di un tipo ideale siffatto
606 MAX WEBER come « costruzione
teorica », cioè come qualcosa di non adatto
o di non indispensabile per il suo concreto scopo conoscitivo, la conseguenza è di regola che egli impiega,
consapevolmente o meno, altri concetti
analoghi sezz4 una formulazione linguisti
ca e un'elaborazione logica, oppure che egli rimane attaccato al campo di ciò che è « sentito »
indeterminatamente. Nulla è tuttavia
più pericoloso di una mescolarza di teoria
e storia, derivante da pregiudizi naturalistici, sia che si cre- da di aver fissato in quei quadri concettuali
di carattere teorico il contenuto «
proprio », l’«essenza» della realtà storica, sia che li si impieghi invece come un letto di
Procuste nel quale debba essere
costretta la storia, sia che si ipostatizzino infine le «idee » come una realtà « vera e propria »
che sussista dietro al fluire dei
fenomeni, cioè come « forze » reali che si manifesta- no nella storia. Soprattutto quest’ultimo pericolo incombe su
di noi quando siamo abituati a
comprendere tra le «idee » di un'epoca anche,
e anzi in prima linea, i principi o gli ideali che hanzo domina- to le masse, oppure una parte storicamente
considerevole degli uomini di
quell’epoca, e che perciò sono stati significativi come componenti della sua configurazione culturale.
A ciò si devono ancora aggiungere due
considerazioni — in primo luogo la
circostanza che tra l’«idea » nel senso di una direzione concet- tuale, pratica o teorica, e «idea » nel senso
di un tipo ideale di un’epoca da noi
costruito come strumento concettuale sussi-
stono di regola determinate relazioni. Un tipo ideale di deter- minate situazioni sociali, che si lascia
astrarre da certi caratteri- stici
fenomeni sociali di un’epoca, può — e questo è infatti sovente il caso — avere ispirato l’uomo del
tempo come ideale da conseguire
praticamente oppure come massima per la regola-
mentazione di determinate relazioni sociali. Ciò vale già per l’«idea» della « garanzia del sostentamento »
e di varie teorie canonistiche,
specialmente di san Tommaso, in rapporto al con- cetto tipico-ideale oggi impiegato
dell’«economia cittadina » del Medioevo,
a cui abbiamo accennato sopra. E ciò vale mag-
giormente per il famigerato « concetto fondamentale » dell’eco- nomia politica, vale a dire per il concetto di
« valore » economi- co. Dalla Scolastica
fino alla teoria marxistica il principio di
qualcosa che sia « oggettivamente » valido, e che quindi deve MAX WEBER 607
essere, si è qui amalgamato con un’astrazione derivata dal cor- so empirico della formazione del prezzo. E
quel principio, che il «valore» dei beni
debba essere regolato secondo determinati
princìpi « di diritto naturale », ha avuto e ha tuttora un'immen- sa importanza per lo sviluppo della cultura —
non solo del Medioevo. Esso ha intensamente
influenzato soprattutto la for- mazione
empirica dei prezzi. Ciò che però viene, e può venir pensato sotto quel concetto teorico, può
essere chiarito in manie- ra realmente
univoca soltarzto in virtù di una precisa elaborazio- ne concettuale, e cioè di un’elaborazione
tipico-ideale — e a ciò dovrebbe
riflettere chi motteggia sulle « robinsonate » della teo- ria astratta, almeno finché non abbia da
porre al loro posto qualcosa di meglio,
e cioè di più chiaro. Il rapporto
causale tra l’idea storicamente determinabile,
che governa gli uomini, e quegli elementi della realtà storica dai quali è possibile astrarre il tipo ideale
ad essa corrisponden- te, può
naturalmente configurarsi in maniera assai diversa. In linea di principio occorre però stabilire
soltanto che si tratta di due cose
ovviamente eterogenee. Ma a ciò si deve inoltre ag- giungere che noi possiamo comprendere con
precisione concet- tuale quelle «idee »
medesime che governano gli uomini di
un’epoca, e che operano in maniera diffusa tra di loro — dal momento che si tratta qui di una più
complicata formazione concettuale — di
nuovo soltanto zella forma di un tipo ideale;
e ciò perché vivono empiricamente nella testa di una indetermi- nata e mutevole molteplicità di individui,
assumendo in essi le più diverse
gradazioni di forma e di contenuto, di chiarezza e di senso. Per esempio, quegli elementi della
vita spirituale de- gli individui
singoli in una determinata epoca del Medioevo,
che di solito noi designamo come «il Cristianesimo» degli individui in questione, costituirebbe
naturalmente — rel caso che si potesse
rappresentarli in maniera compiuta — un caos di
connessioni concettuali e affettive di ogni tipo, infinitamente differenziate e assai contraddittorie,
sebbene la Chiesa medievale abbia certo
realizzato l’unità della fede e dei costumi in misura particolarmente elevata. Se si propone la
questione di che cosa sia stato allora
in questo caos i « Cristianesimo » medievale,
con il quale si deve nondimeno operare continuamente come se 608 MAX WEBER
fosse un concetto ben determinato, e in che cosa consista l’ele- mento «cristiano » che noi troviamo nelle
istituzioni del Me- dioevo, risulta
subito che anche qui viene, in ogni singolo caso, impiegata una pura formazione concettuale da
noi creata. Esso è una combinazione di
proposizioni di fede, di norme giuridico-
ecclesiastiche e di norme etiche, di massime della condotta del- la vita e di innumerevoli connessioni
particolari, che noi unia- mo in
un’«idea»: è una sintesi alla quale non possiamo perve- nire in maniera non contraddittoria senza
l’impiego di concetti
tipico-ideali. La struttura logica
dei sistemi concettuali in cui rappresen-
tiamo tali «idee », e il loro rapporto con ciò che ci è immedia- tamente dato nella realtà empirica, sono
naturalmente assai diversi. La questione
si presenta ancora in forma relativamente
semplice nei casi in cui vi siano uno oppure pochi princìpi teorici direttivi che si possono facilmente
esprimere in formule — per esempio la
fede nella predestinazione di Calvino — o
postulati etici chiaramente formulabili, i quali abbiano domina- to gli uomini e prodotto effetti storici, in
maniera da poter articolare l’«idea » in
una gerarchia di posizioni che si svilup-
pano logicamente in base a quei principi direttivi. Già allora si scorda però con troppa facilità che, per
quanto potente sia stata nella storia
l’importanza anche della forza coercitiva puramen- te Zogica del pensiero — il marxismo ne è un
esempio eminente — tuttavia il processo
storico-empirico nella testa degli uomini
deve di regola venir inteso come condizionato psicologicamente e non logicamente. E il carattere
tipico-ideale di siffatte sintesi di
idee storicamente operanti risulta in maniera ancor più di- stinta allorché quei fondamentali principi
direttivi e quei postu- lati non vivono, oppure non vivono più, nella testa
degli indivi- dui dominati da posizioni che ne derivano logicamente, oppure per
associazione, in quanto l’«idea » che in origine stava alla loro base è
scomparsa, oppure ha trovato una diffusione solo nelle proprie conseguenze. In
maniera ancor più decisiva il carattere della sintesi emerge come il carattere
di un’« idea » che noi creiamo quando quei fondamentali princìpi direttivi fin
dall’inizio sono pervenuti solo in forma incompiuta, o non sono pervenuti, a
coscienza distinta, o per lo meno non hanno assunto la forma di chiare
connessioni concettuali. Quando per- MAX WEBER 609 ciò adottiamo questo
procedimento, come accade e deve accade- re molto sovente, ci troviamo con
questa «idea» — sia essa l’idea del «liberalismo» di un determinato periodo o
quella del « metodismo » o quella di qualsiasi specie di « socialismo »
concettualmente non sviluppato — di fronte a un puro tipo ideale, che è analogo
alle sintesi dei « princìpi » di un’epoca economica da cui abbiamo preso le
mosse. Quanto più ampie sono le connessioni che si devono rappresentare, e
quanto più molteplice è stato il loro significato culturale, tanto più la loro
rappresentazione sistematica in un complesso concettuale si ac- costa al carattere del tipo ideale, e tazto
meno è possibile operare con uno solo di
tali concetti; e tanto più naturali e
inevitabili diventano quindi i tentativi, sempre ripetuti, di reca- re a coscienza sempre nuovi aspetti
significativi mediante l’ela- borazione
di concetti tipico-ideali. Tutte le formulazioni di un’«essenza» del Cristianesimo, per esempio,
sono tipi ideali che hanno sempre, e
necessariamente, soltanto una validità mol-
to relativa e problematica se pretendono di essere considerate come una rappresentazione storica di ciò che
esiste empirica- mente; e sono invece di
alto valore euristico per la ricerca e di
alto valore sistematico per tale rappresentazione se vengono impiegate semplicemente come mezzi
concettuali per la compa- razione e per
la misurazione della realtà in riferimento ad esse. In questa funzione esse risultano addirittura
indispensabili. A tali formulazioni
tipico-ideali si aggiunge però di regola ancora
un altro elemento, che ne complica ulteriormente il significato. Esse vogliono di solito essere, oppure sono
inconsapevolmente, tipi ideali non
soltanto in senso /ogico, ma anche in senso
pratico: sono cioè modelli che — per attenerci all'esempio — contengono ciò che il Cristianesimo deve
essere secondo la con- vinzione
dell’autore, cioè che in esso è per lui «essenziale », perché fornito di valore permanente. In
questo caso, però, sia esso consapevole
o — più spesso — inconsapevole, siffatte for-
mulazioni contengono degli ideali 4i quali l’autore riferisce valutativamente il Cristianesimo: sono
compiti e fini verso cui egli orienta la
sua «idea » del Cristianesimo, e che naturalmen- te possono essere assai diversi, e senza
dubbio sempre lo saran- no, dai valori
ai quali gli uomini del tempo, per esempio i
39. STORICISMO TEDESCO. 610 MAX
WEBER Cristiani primitivi, riferivano il
Cristianesimo ‘. In questo signi- ficato
le «idee» non sono naturalmente più puri strumenti logici, non sono più concetti a cui la realtà
viene misurata comparativamente, bensì
sono ideali in base ai quali essa è
giudicata valutativamente. Nor si tratta più del puro processo teorico di riferimento di ciò che è empirico
ai valori, ma di giudizi di valore che
vengono accolti nel « concetto » del Cri-
stianesimo. Poiché qui il tipo ideale pretende una validità em- pirica, esso penetra nella regione
dell’interpretazione valuta- tiva del
Cristianesimo; il terreno della scienza empirica è abban- donato, e di fronte a noi sta una professione
personale, 707 un'elaborazione
concettuale di carattere tipico-ideale. Per quan- to questa distinzione sia una distinzione di
principio, tuttavia la mescolanza di
quei due significati dell’« idea », così fonda-
mentalmente diversi, si presenta molto spesso nel corso del lavoro storico. Essa è sempre prossima
allorché lo storico comin- cia a
sviluppare la sua «concezione » di una personalità o di un’epoca. In antitesi ai criteri etici
costanti che uno Schlosser® impiegava in
conformità allo spirito del razionalismo, lo stori- co moderno educato relativisticamente, che
vuole da un lato «intendere in base a se
stessa » e dall’altro tuttavia anche « giu-
dicare»l’epoca di cui parla, sente il bisogno di assumere i criteri del proprio giudizio « dalla
materia», cioè di lasciar scaturire
l’«idea » nel senso di ideale dall’«idea » nel senso di «tipo ideale ». E l’attrattiva estetica di un
procedimento del genere lo trascina
continuamente a scordare la linea in cui
l’una e l’altra si distaccano — una deficienza che da un lato non può fare a meno del giudizio valutativo,
e dall'altro porta a respingere da sé la
responsabilità dei propri giudizi. Di fron-
te a ciò è tuttavia un dovere elementare dell’autocontrollo scien- 4. Weber si riferisce qui alle discussioni
sull’« essenza » del Cristianesimo, parti-
colarmente vive nella cultura filosofico-religiosa tedesca dci primi
anni del secolo — a partire dalla
pubblicazione di Das Wesen des Christentums di Adolf von Harnack (1900).
5. Friedrich Christoph Schlossser (1776-1861), storico tedesco, autore
della Wele- geschichte in
zusammenhingender Darstellung (1816-24), della Geschichte des 18. Jahrhunderts (1823), poi continuata col nuovo
titolo di Geschichte des 18. Jahr
hunderts und des 19. bis zum Sturz des franzòsischen Kaiserreichs mit
besonde- rer Riicksicht auf geistige
Bildung (1836-49), di una Weltgeschichte fiir das deutsche Volk (1844-56) di carattere divulgativo e di
varic altre opere. MAX WEBER 6II tifico, e il solo mezzo per prevenire gli
inganni, distinguere con precisione la
relazione logica comparativa della realtà con
tipi ideali in senso logico dalla valutazione della realtà in base a ideali. Un «tipo ideale » nel nostro senso
— si può ripeterlo ancora una volta — è
completamente indifferente nei confronti
del giudizio valutativo, e non ha nulla a che fare con una « perfezione » che non sia puramente logica.
Vi sono tipi ideali tanto di bordelli
quanto di religioni; e vi sono tipi ideali di
bordelli che possono sembrare tecnicamente « conformi allo sco- po» dal punto di vista dell’odierna etica di
polizia, come ve ne sono di quelli per
cui vale proprio l'opposto. Deve qui
necessariamente venir messa in disparte la discus- sione approfondita del caso che si presenta
di gran lunga come il più complicato e
interessante — la questione della struttura
logica del concetto di stato. Si deve solamente osservare che, chiedendoci che cosa corrisponda nella realtà
empirica all’idea dello « stato », noi
troviamo un’infinità di comportamenti uma-
ni attivi e passivi, in forma diffusa e discreta, di relazioni regolate di fatto e giuridicamente che
presentano un carattere in parte
singolare e in parte regolarmente ricorrente, tenute insieme da un'idea, cioè dalla fede in norme
valide di fatto, o che devono valere, e
in rapporti di potere di uomini sugli
uomini. Questa fede è in parte un possesso spirituale concettual- mente elaborato, in parte è invece
oscuramente sentita, in parte ancora passivamente accolta e configurata nel
modo più diverso nella testa di individui i quali, se concepissero l’«idea »
come tale in maniera realmente chiara, non avrebbero bisogno della «dottrina
generale dello stato» a cui tale idea intende dare origine. Il concetto scientifico
di stato, in qualsiasi modo venga formulato, è naturalmente una sintesi che z0i
assumiamo per determinati scopi conoscitivi. Ma d'altra parte esso è pure
astratto dalle non chiare sintesi che sono state ritrovate nella testa degli
uomini storici. Però il contenuto concreto che lo « stato » storico assume in
quelle sintesi dei contemporanei può venire illustrato soltanto se ci
orientiamo in base a concetti tipico-ideali. Inoltre non c’è il minimo dubbio
che il modo in cui quelle sintesi sono effettuate, in forma sempre logicamente
incompiuta, dai contem poranei, cioè il modo in cui essi si fanno le loro «idee
» dello stato — per esempio la metafisica 612 MAX WEBER «organica » dello
stato, sorta in Germania, in antitesi alla con-
cezione « commerciale » americana — è di importanza eminen- temente pratica; cioè anche qui, in altri
termini, l’idea pratica che si crede
debba valere o valga e il zipo ideale teorico,
costruito a scopi conoscitivi, si accostano tra loro e mostrano la continua tendenza a passare l’uno
nell’altro. Noi abbiamo sopra considerato
di proposito il « tipo ideale »
essenzialmente — quand’anche non esclusivamente — come una costruzione concettuale per la
misurazione e la caratterizza- zione
sistematica di connessioni individuali, cioè significative nella loro singolarità, come per esempio il
Cristianesimo, il capitalismo ecc. Ciò è
avvenuto allo scopo di mettere da parte
la banale nozione che nel campo dei fenomeni culturali cid che è astrattamente zipico sia identico con ciò
che è astrattamente conforme al genere.
Questo non è il caso. Senza analizzare qui
in linea di principio il concetto di « tipico», più volte discusso e assai screditato per l’abuso fattone, noi
possiamo assumere dal nostro precedente
esame che l’elaborazione di concetti di tipo,
nel senso di un’eliminazione di ciò che è « accidentale », trova la propria sede anche e precisamente in
rapporto agli individui storici.
Naturalmente anche quei concetti di genere, che trovia- mo a ogni passo come elementi di esposizioni
storiche e di concreti concetti storici,
possono però venir formati come tipi
ideali mediante un procedimento di astrazione e di accentuazio-ne di
determinati elementi ad essi concettualmente essenziali. Questo è appunto un caso di applicazione dei
concetti tipico- ideali particolarmente
frequente e importante dal punto di vista
pratico; e ogni tipo ideale individuale si costruisce in base a clementi concettuali che sono generici, e che
sono stati formati come tipi ideali.
Anche in questo caso emerge però la specifica
funzione logica dei concetti tipico-ideali. Un semplice concetto di genere, nel senso di un complesso di
caratteristiche comuni a più fenomeni, è
per esempio il concetto di «scambio» — fin-
ché prescindo dal significato degli elementi concettuali e analiz- zo semplicemente l’uso linguistico
quotidiano. Se però pongo questo
concetto in relazione, per esempio, con la «legge di utilità marginale » ed elaboro il concetto di
« scambio economi- co » come concetto di
un processo economicamente razionale,
MAX WEBER 613 allora questo
contiene in sé, al pari di ogni concetto logicamen- te sviluppato in maniera compiuta, un
giudizio sulle condizioni «tipiche »
dello scambio. Esso assume carattere genetico e di- venta perciò al tempo stesso tipico-ideale in
senso logico, cioè si allontana dalla
realtà empirica, la quale può solo essere compa- rata con esso e ad esso riferita. Una cosa
analoga vale per tutti i cosiddetti «
concetti fondamentali » dell'economia politica: es- si possono venir sviluppati in forma genetica
soltanto come tipi ideali. L’antitesi
tra semplici concetti di genere, i quali
riuniscono ciò che è comune a certi fenomeni empirici, e tipi ideali di carattere generico — come per esempio
nel caso di un concetto tipico-ideale
dell’« essenza » dell’artigianato — è natu-
ralmente fluida nel caso singolo. Ma nessun concetto di genere ha in quanto tale carattere «tipico», e non
c’è nessun tipo « di media» che sia
puramente conforme a un genere. Ovun-
que parliamo, per esempio in statistica, di grandezze « tipi- che », si presenta qualcosa di più che una
mera media. Quanto più ci troviamo
dinanzi a una semplice classificazione di proces- si che si presentano nella realtà come
fenomeni di massa, tanto più si tratta
di concetti di genere; quanto più invece vengono formate concettualmente complicate
connessioni storiche, prese in quei loro
elementi su cui poggia il loro specifico significato culturale, tanto più il concetto — o il
sistema concettuale — assumerà il
carattere del tipo ideale. Poiché scopo dell’elabora- zione di concetti tipico-ideali è sempre
quello di rendere esplici- to con
precisione 207 già ciò che è conforme al genere, bensì, al contrario, il carattere specifico di certi
fenomeni culturali. Che tipi ideali,
anche di carattere generico, possano essere e
siano impiegati, presenta un interesse metodologico soltanto in connessione con un altro fatto. Finora abbiamo imparato a conoscere i tipi
ideali essenzial- mente soltanto come
concetti astratti di connessioni che, perma-
nendo nel flusso dell’accadere, sono da noi rappresentati come individui storici, i cui si compiono
determinate linee di svilup- po. Ora si
presenta però una complicazione, la quale reintrodu- ce in maniera molto facile, con l’aiuto del
concetto di «tipi- co », il pregiudizio
naturalistico che fine delle scienze sociali
debba essere la riduzione della realtà a «leggi». Anche le linee di sviluppo possono venir costruite
come tipi ideali, e 614 MAX WEBER queste costruzioni possono avere un valore
euristico assai consi- derevole. Ma così
sorge, in misura particolarmente forte, il
pericolo che vengano tra loro confusi il tipo ideale e la realtà. Si può per esempio pervenire al risultato
teorico che in una società organizzata
in forma rigorosamente «artigianale » la
sola fonte di accumulazione del capitale sia la rendita fondia- ria. Su tale base si può forse poi costruire
— poiché non si deve qui indagare la
correttezza della costruzione — un quadro idea-
le della trasformazione dell'economia a carattere artigianale in un'economia capitalistica, condizionato da
determinati fattori semplici — terreno
limitato, popolazione crescente, afflusso di
metalli preziosi, razionalizzazione della condotta della vita. Se il corso storico-empirico dello sviluppo sia
stato di fatto quello costruito può
venir indagato soltanto con l’aiuto di questa co- struzione in quanto mezzo euristico, mediante
la comparazione tra tipo ideale e
«fatti». Se il tipo ideale è « correttamente »
costruito, e tuttavia il corso oggettivo zor corrisponde al corso tipico-ideale, si verrebbe a conseguire la
prova che la società medievale 07 è
stata, in determinate relazioni, una società a
carattere rigorosamente « artigianale ». E quando il tipo ideale è stato costruito in maniera «ideale »
euristica — se e come ciò possa avvenire
nel nostro caso, rimane qui del tutto fuori
della nostra considerazione — allora esso orienterà nel medesi- mo tempo la ricerca sulla via che conduce a
una più precisa penetrazione di quegli
elementi della società medievale i quali
non presentano carattere artigianale, studiati nel loro specifico carattere e nel loro significato storico.
Esso ha attuato il suo scopo logico,
quando reca a questo risultato, proprio in quanto ha manifestato la sua propria
irrealtà. Esso costituiva, in tale caso, la prova di un'ipotesi. Il
procedimento non è esposto a nessuna riserva metodologica fin quando si tenga
presente che la costruzione tipico-ideale di uno sviluppo e la storia sono due
cose da tenere rigorosamente distinte, e che la costruzione è stata qui
semplicemente il mezzo per compiere in maniera sistematica l'imputazione valida
di un processo storico alle sue cause reali, entro l'ambito di quelle possibili
in conformità allo stato della nostra conoscenza. Mantenere rigorosamente in
piedi questa distinzione è reso sovente molto difficile — secondo quanto ci
dice l’esperienza — MAX WEBER 615 dalla seguente circostanza. Nell’interesse
della presentazio- ne in forma intuitiva del tipo ideale o dello sviluppo
tipico-idea- le si cercherà di #lustrarlo mediante materiale intuitivo tratto
dalla realtà storico-empirica. Il pericolo di questo procedimen- to, che pure è
in sé del tutto legittimo, consiste nel fatto che il sapere storico appare qui come servitore
della teoria, anziché viceversa. Il
teorico si trova di fronte alla tentazione di conside- rare questo rapporto come normale, oppure —
il che è peggio — di accostare teoria e
storia, e addirittura di scambiarle tra
loro. Questo caso si presenta in misura ancor più accentuata allorché la costruzione ideale di uno
sviluppo è effettuata in maniera da
inserirla, con la classificazione concettuale di tipi ideali di determinate formazioni culturali
(per esempio delle forme di impresa
industriale muovendo dall’« economia dome-
stica chiusa », oppure dei concetti religiosi cominciando dalle « divinità dell’attimo »), entro una
classificazione genetica. La serie dei
tipi che risulta in base alle caratteristiche concettuali prescelte appare quindi come una loro
successione storica, legal- mente
necessaria. L'ordine logico dei concetti da un lato, e dall’altro l'ordinamento empirico di ciò che
viene concepito nello spazio, nel tempo
e nella connessione causale, sembrano
così legati tra loro che quasi irresistibile diventa la tentazio- ne di fare violenza alla realtà, per
confermare nella realtà la validità
effettiva della costruzione. Di
proposito si è evitato di condurre la dimostrazione in riferimento a quello che per noi è di gran
lunga il più impor- tante caso di
costruzioni tipico-ideali — cioè in riferimento a Marx. Ciò è avvenuto per non complicare
ancora l’esposizione tirando dentro
anche le interpretazioni di Marx, e per non
anticipare le discussioni con cui la nostra rivista farà di regola oggetto di analisi critica la letteratura
accumulatasi sul — oppu- re in rapporto
al — grande pensatore. Qui ci si può pertanto
limitare a constatare che tutte le «leggi» e le costruzioni di sviluppo specificamente marxistiche — in
quanto sono teorica- mente prive di
errore — hanno naturalmente carattere tipico-
ideale. Chiunque abbia lavorato con concetti marxistici conosce l’eminente, e anzi singolare significato
euristico di questi tipi ideali, quando
li si impieghi per comparare con essi la realtà, e conosce al tempo stesso la loro pericolosità
quando si voglia 616 MAX WEBER presentarli come validi empiricamente, oppure
come «forze operanti », «tendenze » ecc.
reali (cioè, in verità, metafisiche).
Concetti di genere; tipi ideali; concetti di genere tipico-idea- li; idee nel senso di combinazioni
concettuali empiricamente operanti negli
uomini storici; tipi ideali di queste idee; ideali che dominano gli uomini storici; tipi ideali
di questi ideali; ideali a cui lo
storico riferisce la storia; costruzioni zeoriche effettuate mediante l’impiego illustrativo
del dato empirico; indagine storica
condotta mediante l’impiego di concetti teori-
ci come casi-limite ideali; e inoltre ancora le diverse complica- zioni possibili a cui si è solo potuto
accennare — sono tutte formazioni
concettuali, il cui rapporto con la realtà empirica del dato immediato resta problematico in ogni
caso particolare. Questa elencazione
mostra già da sola l’intrico senza fine dei
problemi metodico-concettuali, che rimangono sempre in vita nel campo delle scienze della cultura. E noi
abbiamo dovuto astenerci assolutamente
dall’esaminare le questioni metodologi-
che pratiche connesse ai problemi che si è potuto soltanto indi- care, e dal discutere in maniera approfondita
le relazioni della conoscenza
tipico-ideale con la conoscenza « legale », dei concet- ti tipico-ideali con i concetti collettivi, e
così via. Lo storico persevererà
tuttora, dopo queste polemiche, nel-
l’affermare che la prevalenza della forma tipico-ideale di elabo- razione concettuale e di costruzione è un
sintomo specifico della giovinezza di
una disciplina. E in questo gli si deve in
un certo senso dar ragione, ma con conseguenze diverse da quelle che egli vorrebbe trarne. Prendiamo un
paio di esempi da altre discipline. È
certo vero che lo scolaro infastidito, al
pari del filologo primitivo, concepisce anzitutto una lingua «organicamente », cioè come una totalità
sovra-empirica retta da norme, ma
concepisce il compito della scienza come la
determinazione di ciò che — in quanto regola linguistica — deve valere. Elaborare logicamente la «lingua
scritta », come ha fatto ad esempio la
Crusca, ridurne il contenuto a regole, è
normalmente il primo compito che una « filologia » si propone. E quando invece oggi un insigne filologo
proclama oggetto della filologia il «
modo di parlare di ogni individuo », la deter-
minazione di un programma siffatto è possibile solo in quanto MAX WEBER 617
nella lingua scritta ci si trova dinanzi a un tipo ideale relativa- mente stabile, con cui può operare (almeno
tacitamente) l’anali- si dell’infinita
molteplicità del modo di parlare, che altrimenti sarebbe del tutto priva di orientamento e di
approdo. Non altrimenti le costruzioni
delle teorie dello stato a carattere gius-
naturalistico o organico, oppure — per rammentarci di un ideale nel nostro senso — la teoria dello
stato antico formu- lata da Benjamin
Constant‘, funzionavano in certa misura co-
me porti di rifugio, finché non si è imparato a orientarci nell’immenso mare dei fatti empirici. La
maturazione di una scienza comporta
infatti sempre il superamento del tipo ideale,
nella misura in cui esso viene concepito come empiricamente valido oppure come concetto di genere. E
perciò, per esempio, l’impiego
dell’acuta costruzione di Constant è ancor oggi del tutto legittimo per l’illustrazione di
determinati aspetti e di caratteristiche
storiche peculiari dell’antica vita statale, se si tiene fermo con cura il suo carattere
tipico-ideale. Non solo, ma soprattutto
vi sono scienze alle quali è assegnata un’eterna giovinezza; e queste sono tutte le discipline
storiche, tutte quel- le cioè a cui il
fluire sempre progrediente della cultura propone di continuo nuove posizioni problematiche. È
connesso all’es- senza del loro compito
che tuzte le costruzioni tipico-ideali
debbano tramontare, ma che al tempo stesso altre nuove siano sempre indispensabili. Di continuo si ripetono i tentativi di
determinare il senso « proprio» o «vero
» dei concetti storici, e mai essi giungono
alla fine. Di conseguenza le sintesi, con cui la storia di conti- nuo lavora, rimangono regolarmente nella
forma di concetti solo relativamente
determinati, oppure, allorché si deve conse- guire a ogni costo l’univocità del
contenuto concettuale, il con- cetto diventa un tipo ideale astratto e si
rivela come un punto di vista teorico, quindi « unilaterale », dal quale la
realtà può 6. Benjamin-Henri Constant de Rebecque (1767-1830), uomo politico
francese del periodo napoleonico e dell'età della Restaurazione, esiliato da
Napoleone, in seguito uno dei maggiori esponenti dell’opposizione liberale alla
monarchia borbonica, autore del Cours de politique constitutionelle (1818), del
famoso discorso De la liber:é des anciens comparée è celle des modernes (1819),
dell’opera De la religion, considéré dans sa source, ses formes et ses
dévelopments (1824-27), dei MÉlanges de politique et de litiérature (1829) e di vari altri scritti,
tra cui il volume postumo Du polytAdisme
romain (1833). 618 MAX WEBER essere illuminata e al quale essa può venir
riferita — ma che si mostra
evidentemente inappropriato come schema in cui essa potrebbe venir inserita senza residuo. Poiché
nessuno di quei sistemi concettuali, di
cui non possiamo fare a meno per la
penetrazione degli elementi di volta in volta significativi della realtà, può tuttavia esaurirne l’infinita
ricchezza. Nessuno è qualcosa di diverso
da un tentativo di recare ordine, sulla base
della situazione del nostro sapere e delle formazioni concettuali a nostra disposizione, nel caos di quei fatti
che abbiamo com- preso nell’ambito del
nostro inzeresse. L'apparato concettuale
che il passato ha sviluppato mediante l'elaborazione, cioè piutto- sto mediante la trasformazione concettuale
della realtà imme- diatamente data e il
suo inserimento in quei concetti che corri-
spondevano alla situazione della sua conoscenza e alla direzio- ne del suo interesse, sta in continua contrapposizione
con la nuova conoscenza che noi possiamo
e vogliamo ottenere dalla realtà. In
questa lotta si compie il progresso delle scienze della cultura. Il suo risultato è un continuo
processo di trasformazio- ne di quei
concetti con cui cerchiamo di penetrare la realtà. La storia delle scienze della vita sociale è e
rimane caratterizzata da un continuo
alternarsi tra il tentativo di ordinare concettual- mente i fatti mediante un’opera di
elaborazione concettuale, la risoluzione
dei quadri concettuali così ottenuti mediante l’esten- sione e l’approfondimento dell’orizzonte
scientifico, e l’elabora- zione di nuovi
concetti sul fondamento così mutato. Non viene
qui affatto in luce l’erroneità del tentativo di formare siste- mi di concetti 12 gezere — ogni scienza,
anche la semplice storia descrittiva,
lavora con la provvista concettuale del suo
tempo — bensì la circostanza che nelle scienze della cultura umana la formazione dei concetti dipende
dalla posizione dei problemi, e
quest'ultima varia con il contenuto della cultura stessa. Nelle scienze della cultura il
rapporto tra il concetto e il suo
contenuto comporta la transitorietà di ogni sintesi siffat- ta. I grandi tentativi di costruzione
concettuale hanno di regola avuto il
loro valore, nel campo della nostra scienza, nel rivelare le limitazioni di significato del punto di
vista che sta alla loro base. I più
importanti progressi nel campo delle scienze sociali sono, dal punto di vista oggettivo, connessi
alla trasposizione dei problemi pratici
della cultura, e si presentano nella forma
MAX WEEER 619 di una critica
dell’elaborazione concettuale. Sarà uno dei princi- pali compiti della nostra rivista servire
allo scopo di questa critica, e perciò
all'indagine dei princìpi della sintesi nel cam- po della scienza sociale. Traendo le conseguenze di quanto si è detto,
noi pervenia- mo a un punto in cui le
nostre opinioni si discostano talvolta
da quelle di alcuni, anche eminenti, rappresentanti della scuola storica, tra i cui discendenti tuttavia ci
siamo annoverati. Essi permangono
sovente, in maniera espressa o tacita, nella convin- zione che il fine ultimo, lo scopo di ogni
scienza sia quello di ordinare la
propria materia in un sistema di concetti il cui contenuto deve essere ottenuto mediante
l'osservazione di rego- larità empiriche,
l’elaborazione di ipotesi e la loro verifica,
finché non sia sorta su tale base una scienza «compiuta» e perciò deduttiva. In vista di questo fine il
lavoro storico-indutti- vo che si sta
attualmente conducendo sarebbe un lavoro prelimi- nare, condizionato dall’imperfezione della
nostra disciplina: nulla deve
naturalmente apparire più sospetto, dal punto di vista di questa forma di considerazione,
della formazione e dell’impiego di
concetti precisi che vorrebbero anticipare prema- turamente quel fine, proprio invece di un
lontano futuro. Que- sta concezione
sarebbe in linea di principio incontestabile sul terreno della dottrina antica e scolastica
della conoscenza, a cui sono ancora
profondamente attaccati gli specialisti della scuola storica: scopo dei concetti si presuppone
essere la riproduzione rappresentativa
della realtà «oggettiva», e da ciò deriva la
continua insistenza sull’irrealtà di ogni concetto preciso. Chi pensa però fino in fondo il principio
fondamentale della moder- na dottrina
della conoscenza, richiamantesi a Kant, che i con- cetti sono e possono essere solamente mezzi
del pensiero foggia- ti allo scopo di
dominare spiritualmente il dato empirico, non
potrà ritenere la circostanza che i concetti genetici siano neces- sariamente tipi ideali come un'obiezione
valida contro la loro elaborazione. Per
lui il rapporto tra concetto e lavoro storico si inverte: quel fine ultimo gli appare
logicamente impossibile, e i concetti si
rivelano non già fire, bensì mezzo in vista della conoscenza delle connessioni significative da
puntì di vista indi- viduali. Proprio in
guanto i contenuti dei concetti storici sono
620 MAX WEBER necessariamente
mutevoli, questi debbono essere ogni volta for-
mulati in maniera precisa. Egli avanzerà soltanto l’esigenza che nel loro impiego sia accuratamente tenuto
fermo il loro carattere di formazioni
concettuali ideali, che cioè tipo ideale e
storia non vengano scambiati tra loro. Dal momento che non si può considerare come fine ultimo quello di
pervenire a concetti storici realmente
definitivi, per l’inevitabile mutamento delle
idee di valore direttive, egli riterrà che proprio in quanto con- cetti precisi e univoci vengono formulati in
riferimento al parti- colare punto di
vista, che ogni volta esplica una funzione diret- tiva, sia data la possibilità di mantenere
chiari nella coscienza i limiti della
loro validità, Si affermerà ora — e noi
l’abbiamo già ammesso — che una concreta
connessione storica può nel caso particolare venir illu- strata intuitivamente nel suo corso, senza
che sia di continuo posta in relazione
con concetti definiti. E di conseguenza si
reclamerà per lo storico della nostra disciplina che egli, al pari di ciò che si è detto dello storico politico,
parli la «lingua della vita ».
Certamente! Occorre solamente aggiungere che in
questo procedimento rimane necessariamente accidentale, in un grado spesso molto elevato, se il punto di
vista in base a cui il processo
considerato ottiene significato pervenga, o meno, a chiara coscienza. Noi non ci troviamo in
genere nella felice situazione dello
storico politico, per il quale i contenuti di
cultura, a cui egli riferisce la sua esposizione, sono di regola univoci — 0 almeno così sembrano. Ogni
rappresentazione che sia solo intuitiva
assume il carattere proprio di una rappresenta-
zione artistica: «ognuno vede ciò che reca in cuore». Giudizi validi presuppongono sempre l’elaborazione
logicz del dato intui- tivo, cioè
l'impiego di concetti; ed è certo possibile, e spesso esteticamente soddisfacente, conservarli in
petto, ma ciò minac- cia di continuo il
sicuro orientamento del lettore, sovente an-
che quello di chi scrive, per ciò che concerne il contenuto e la portata dei suoi giudizi. Estremamente pericolosa può però diventare
l’omissione di una precisa elaborazione
concettuale per le discussioni pratiche
di politica economica e sociale. Quale confusione abbiano qui prodotto per esempio l’impiego del termine «
valore » — que- MAX WEBER 621 sto figlio del dolore della nostra
disciplina, al quale può appun- to
essere dato un senso univoco soltanto su base tipico-ideale — oppure parole come « produttivo », « dal
punto di vista eco- nomico-politico »
ecc., che non reggono a nessuna analisi con-
cettualmente chiara, è addirittura incredibile per lo spettatore che stia al di fuori. E a recar danno sono
qui prevalentemente i concetti collettivi assunti dal linguaggio quotidiano. Si
prenda, per fornire un'illustrazione il più possibile accessibile anche a chi
non abbia competenza specifica, il concetto di « agricoltu- ra», quale si
presenta nell’espressione « interessi dell’agricoltu- ra». Se assumiamo
anzitutto gli « interessi dell’agricoltura » co- me le rappresentazioni
soggettive più o meno chiare, ed empiri- camente determinabili, che i singoli
operatori economici hanno dei loro interessi, e prescindiamo quindi del tutto
dagli infiniti conflitti di interessi che qui sussistono tra allevatori di
bestia- me, ingrassatori di bestiame, coltivatori di grano, consumatori di
grano, distillatori di acquavite e così via, non ogni estraneo ma certo almeno
ogni specialista si renderà conto dell'enorme groviglio di relazioni di valore,
tra loro antagonistiche e con- traddittorie, che è qui sotto oscuramente
implicato. Noi voglia- mo qui enumerarne solo alcune: interessi di agricoltori
che vogliono vendere il proprio podere, e che perciò sono interessa- ti
esclusivamente a un celere rialzo del prezzo del terreno; l'interesse
contrapposto di coloro che intendono comperare, o accrescersi, o prendere in
affitto; l'interesse di coloro che, per motivi di vantaggio sociale, desiderano
conservare un determi- nato podere per i propri successori e sono quindi interessati
alla stabilità della proprietà terriera; l'interesse contrapposto di coloro che
desiderano, per sé e per i propri figli, un movimen- to del terreno in
direzione di un padrone migliore oppure — il che non è senz'altro identico — di
un acquirente fornito di disponibilità di capitali; l'interesse puramente
economico dei « padroni più capaci», nel senso dell'economia privata, alla li-
bertà di movimento economico; l'interesse antagonistico di de- terminati strati
dominanti alla conservazione della tradizionale posizione sociale ed economica
del proprio «ceto», e quindi della propria discendenza; l’interesse sociale
degli strati di agri- coltori 207 dominanti al declino di quegli strati
superiori, che opprimono la loro posizione; il loro interesse, che talvolta
risul- 622 MAX WEBER ta in collisione col precedente, di possedere in quegli
strati una guida politica per la protezione dei propri interessi di guada- gno.
E l’elenco potrebbe ancora essere accresciuto a lungo, senza trovare una fine,
per quanto si proceda in maniera som-
maria e imprecisa. Noi trascuriamo il fatto che agli interessi più «egoistici» di questo tipo possono
mescolarsi o unirsi i più diversi valori
ideali, e che tali valori possono ostacolarli o
deviarli, per tenere soprattutto presente che, quando parliamo di «interessi dell'agricoltura», pensiamo di
regola z0n sol- tanto a quei valori
materiali e ideali a cui gli agricoltori stessi
riferiscono i propri «interessi», bensì anche a quelle idee di valore, in parte completamente eterogenee, a
cui noi possiamo riferire l'agricoltura:
per esempio interessi produttivi, deri-
vanti dall’interesse in una nutrizione più a buon mercato della popolazione e dall’interesse, che non sempre
coincide con quel- lo, in una nutrizione
qualitativamente migliore, a cui possono
contrapporsi in varia maniera gli interessi della città e della campagna — mentre non c’è alcuna garanzia che
l’interesse della generazione presente
sia identico con il probabile inte-
resse di quelle future; oppure interessi demografici, in partico- lare interessi a una 24merosa popolazione
agricola, derivanti dagli interessi «
dello stato» per motivi di politica di grande
potenza o di politica interna, oppure da altri interessi ideali di specie più diversa, come dall’influenza
prevista di una numero- sa popolazione
agricola sul carattere culturale di un paese —
interessi i quali possono contrastare con svariati interessi pri- vati di tutte le parti della popolazione
agricola, e presumibil- mente anche con
tutti gli interessi presenti della massa della
popolazione agricola. Oppure si può rammentare l’interesse a un determinato tipo di organizzazione sociale
della popolazio- ne agricola, a causa
delle influenze politiche o culturali che ne
derivano — interesse che può urtarsi per il suo orientamento con tutti i presumibili interessi presenti e
futuri, anche i più urgenti, dei singoli
agricoltori e anche « dello stato ». E — ciò
che complica ulteriormente la cosa — lo «stato », al cui « inte- resse » noi volentieri riferiamo questi e
numerosi altri interessi particolari del
genere, è per noi spesso solo una designazione
che riveste un groviglio, in sé estremamente intricato, di idee di valore, con cui esso è da parte sua posto
in relazione nel MAX WEBER 623 caso singolo: sicurezza puramente militare
verso l’esterno; sicu- rezza della
posizione dominante di una dinastia o di determina- te classi all’interno; interesse alla
conservazione e all’estensione
dell’unità statale della nazione, per se stessa o in funzione della conservazione di determinati beni culturali
oggettivi, tra loro di nuovo assai
diversi, che noi crediamo di rappresentare in
forma di un popolo fornito di unità statale; trasformazione del carattere sociale dello stato nel senso di
determinati ideali cultu- rali, ancora
assai diversi — e si potrebbe continuare a lungo se si volesse anche soltanto accennare che cosa
corre sotto l’etichet- ta di «interessi
statali », a cui possiamo riferire «l’agricoltu- ra». L'esempio qui prescelto, e ancor più la
nostra sommaria analisi, è grossolano e
semplificato. Chi è privo di competenza
specifica potrebbe ancora analizzare in maniera simile (e più a fondo) per esempio il concetto di « interessi
di classe dei lavora- tori », per vedere
quale groviglio, pieno di contraddizioni, in
parte di interessi e di ideali dei lavoratori, in parte di ideali in base a cui noi consideriamo i lavoratori,
stia al di sotto di esso. È impossibile
superare lo slogan della lotta di interessi
mediante un’accentuazione puramente empiristica della loro «relatività»: una chiara e precisa
determinazione concettuale dei diversi
punti di vista possibili è la sola via che ci consente di procedere oltre l'oscurità della frase.
L’« argomento del libe- ro commercio »
come intuizione del mondo o come norma vali-
da è una cosa ridicola, ma gravi danni ha recato alle nostre discussioni di politica commerciale — e lo
stesso vale quali che siano gli ideali
di politica commerciale che il singolo vuole
rappresentare — il fatto che noi abbiamo sottovalutato nel suo valore euristico l'antica esperienza di vita
dei grandi mercanti depositata in tali
formule tipico-ideali. Solo mediante formule
tipico-ideali diventano realmente espliciti nel loro proprio carat- tere i punti di vista considerati nel caso
singolo, e ciò attraver- so un’opera di
confronto del dato empirico con il tipo ideale.
L'uso dei concetti collettivi indifferenziati, con cui lavora il linguaggio quotidiano, è sempre il
rivestimento di oscurità del pensiero o
della volontà, ed è abbastanza spesso lo strumento di ingannevoli raggiri — in ogni caso è però un
mezzo per ostaco- lare lo sviluppo di
una corretta impostazione problematica.
624 MAX WEBER Noi siamo alla fine
di queste considerazioni, che miravano
semplicemente a porre in luce la linea, spesso molto sottile, che separa scienza e fede, e a cogliere il
senso dell’aspirazione alla conoscenza
economico-sociale. La validità oggettiva di ogni sapere empirico poggia sul fatto, e soltanto
sul fatto che la realtà data viene
ordinata in base a categorie che sono soggetti
ve in un senso specifico, in quanto cioè rappresentano il presup- posto della nostra conoscenza, e che sono
vincolate al presuppo- sto del vglore di
quella verità che soltanto il sapere empirico
può darci. A colui che non consideri fornita di valore questa verità — e la fede nel valore della verità
scientifica è infatti prodotto di
determinate culture, e non già qualcosa di natural- mente dato — non abbiamo nulla da offrire con
i mezzi della nostra scienza. Invano
egli andrà in cerca di un’altra veri- tà
che possa sostituire la scienza in ciò che essa soltanto può fornire — concetti e giudizi che non sono la
realtà empirica, e che neppure la
riproducono, ma che consentono di ordinarla
concettualmente in modo valido. Nel campo delle scienze socia- li empiriche della cultura — l'abbiamo visto
— la possibilità di una conoscenza
fornita di senso di ciò che per noi è essenzia-
le nell'infinità dell’accadere appare vincolata al costante impie- go di punti di vista di carattere specifico,
i quali sono tutti, in ultima analisi,
orientati verso idee di valore che da parte loro possono essere empiricamente constatate e
vissute come elemen- ti di ogni agire
umano fornito di senso, ma zor già fondate
come valide in base al materiale empirico. L’«oggettività » co- noscitiva delle scienze sociali dipende
piuttosto dal fatto che il dato empirico
è sì orientato continuamente verso quelle idee di valore che sole gli forniscono un valore
conoscitivo, ed è com- preso nel suo
significato in base ad esse, ma tuttavia non diven- ta mai piedestallo per la prova,
empiricamente impossibile, della loro
validità. E la fede, che sempre è in qualche forma presente in tutti noi, nella validità
sovra-empirica delle ultime e supreme
idee di valore a cui ancorare il senso della nostra esistenza, non esclude ma reca con sé
l’incessante mutabilità dei punti di
vista concreti da cui la realtà empirica deriva un signi- ficato: la vita nella sua realtà irrazionale
e il suo contenuto di possibili
significati sono inesauribili, perciò la concreta configu- razione della relazione di valore rimane
fluida, sottoposta co- MAX WEBER
625 m'è al mutamento nell’oscuro
avvenire della cultura umana. La luce,
che emana da quelle supreme idee di valore, cade sempre su una parte finita, e continuamente
mutevole, dell’immensa e caotica
corrente degli avvenimenti che fluisce nel tempo. Tutto ciò non dovrebbe venir frainteso nel
senso che il compito proprio della
scienza sociale debba essere una conti-
nua caccia affannosa di nuovi punti di vista e di nuove costru- zioni concettuali. Al contrario, nulla
dovrebbe qui venir affer- mato in
maniera più risoluta del principio che il contributo alla conoscenza del significato culturale di
connessioni storiche concrete è
l’esclusivo fine ultimo a cui, accanto ad altri mezzi, intende servire anche il lavoro di
elaborazione e di critica con- cettuale.
Vi sono anche nel nostro campo, per usare un’espres- sione di F. T. Vischer?, « cercatori di
materiale » e « cercatori di significato
». La gola bramosa di fatti dei primi può essere saziata solo con materiale documentario, con
tavole statistiche e con inchieste, ma è
insensibile alla raffinatezza del nuovo
pensiero. La golosità dei secondi altera il proprio gusto con sempre nuovi distillati concettuali. Quella
genuina capacità arti- stica, che per
esempio tra gli storici Ranke possedeva in misura così grandiosa, si manifesta di solito nella
capacità di creare qualcosa di nuovo
mediante il riferimento di fatti z0t a punti
di vista anch'essi noti. Ogni
lavoro delle scienze della cultura in un’epoca di specia- lizzazione, dopo essersi diretto in base a
determinate imposta- zioni problematiche
a considerare una determinata materia, e
dopo essersi creato i suoi princìpi metodici, riterrà l’analisi di questo materiale come uno scopo a sé, senza
controllare di continuo in maniera
consapevole il valore conoscitivo dei singo-
li fatti in riferimento alle ultime idee di valore, e anche senza rimanere consapevole del proprio legame con
queste. Ed è bene che sia così. Ma a un
certo momento muta il colore: il signifi-
cato dei punti di vista impiegato in maniera non riflessa diven- ta incerto, e la strada si perde nel
crepuscolo. La luce dei 7. Friedrich
Theodor Vischer (1807-1887), autore di una Aesthetik oder Wissen- schaft des Schònes in sci volumi (1846-58),
dì ispirazione hegeliana, e di numerosi
saggi di estetica e di critica artistico-letteraria. 40. STORICISMO TEDESCO. 626 MAX WEBER
grandi problemi culturali è di nuovo spostata. Allora anche la scienza si appresta a mutare la propria impostazione
e il pro- prio apparato concettuale, e a
guardare nella corrente dell’acca- dere
dall'alto del pensiero. Essa segue quegli astri che, essi soli, possono mostrare senso e direzione al
suo lavoro: ma sorge il nuovo
impeto e mi slancio per bere alla sua
luce eterna. Il giorno innanzi a me, la
notte alle mie spalle, su di me il
cielo, sotto di me le onde”. 8. GoetHne,
Faust, vv. 1085-88 (tr. it, di F. Fortini).
IL SIGNIFICATO DELLA « AVALUTATIVITÀ »
DELLE SCIENZE SOCIOLOGICHE ED ECONOMICHE * Per « valutazione » si debbono qui di seguito
intendere, se nient'altro è detto
esplicitamente o risulta di per sé eviden-
te, le valutazioni « pratiche » di un fenomeno influenzabile me- diante il nostro agire, il quale viene
considerato come riprovevo- le oppure
come degno di approvazione *. Con il problema della « libertà» di una determinata scienza da
valutazioni di questa specie, cioè con
un problema concernente la validità e il senso
a. Questo saggio è la trasformazione di una comunicazione, diffusa in forma manoscritta, preparata per una
discussione interna nella riunione del
1913 del « Verein fr Sozialpolitik ». È stato eliminato il più possibile tutto ciò che interessava soltanto questo
gruppo di studio, mentre sono state
ampliate le considerazioni metodologiche generali. Tra le altre co- municazioni presentate per tale discussione è
stata pubblicata quella del prof. E.
Spranger!, nello « Schmollers Jahrhbuch fir Gesetzgebung, Ver- waltung und Volkswirtschaft », XXXVIII, 1914,
pp. 33-57. Io confesso di aver trovato
stranamente debole, perché non maturato chiaramente, que- sto lavoro di un filosofo che anch'io stimo
assai; ma evito qui, anche già per
ragioni di spazio, ogni polemica con lui, limitandomi a esporre il mio proprio punto di vista. * Der Sinn der « Wertfreiheit» der soziologischen
und dlkonom:schen Wissen- schaften, «
Logos », VII, 1917, pp. 40-88, raccolto nel volume Gesammelte Aufsitze zur Wissenschafeslehre, Tiùbingen, ]. C. B.
Mohr, 1922, 4* ed. (a cura di Johannes
Winckelmann) 1973, pp. 489-540 (Il significato della «avalutatività »
delle scienze sociologiche ed
economiche, tr. it. di Pietro Rossi, in !/ metodo delle scienze storico- sociali, Torino, Einaudi, 1958, pp. 309-72). 1. Eduard Spranger (1882-1963), filosofo e
pedagogista tedesco, autore di Lebens-
formen (1914), di Kultur und Erzichung (1919), di Lebenserfahrung (1947)
e di numerose altre opere, fu allievo di
Dilthey, del quale sviluppò soprattutto la teoria delle scienze dello spirito. 628 MAX WEBER
di questo principio logico, non ha nulla a che fare la questione del tutto diversa, di cui si deve ora
preliminarmente discutere — la questione se si debba, oppure no, fare «
professione » nel- l'insegnamento accademico a favore delle proprie valutazioni
pra- tiche, di carattere etico oppure fondate in riferimento a ideali di
cultura o, in altra maniera, su un'intuizione del mondo. Questa non può venir
discussa scientificamente. Infatti essa stessa è una questione del tutto
dipendente da valutazioni pratiche, e quindi non può essere decisa per tale
via. Per citare soltanto i poli estre- mi, vengono sostenuti: 2) sia il punto
di vista per cui la separazio- ne di argomenti puramente logici o puramente
empirici dalle valutazioni pratiche, o etiche, oppure connesse a
un'intuizione del mondo è sì
giustificata, ma tuttavia (e forse proprio perciò) entrambe le categorie di problemi
appartengono all'ambito del- la
cattedra; b) sia il punto di vista per cui, anche se quella separazione n0n può essere realizzata
logicamente in maniera coerente, si deve
raccomandare di tener distanti il più possibile
dall’insegnamento accademico tutte le questioni pratiche di va- lore.
Questo secondo punto di vista mi sembra inammissibile. In particolare la distinzione, non di rado fatta
per le nostre disci- pline, delle
valutazioni pratiche in valutazioni « politiche di parte » e in valutazioni di altro carattere
mi sembra semplice- mente ineseguibile,
e appropriata soltanto a nascondere la porta-
ta pratica della presa di posizione suggerita agli ascoltatori. Inoltre, l'opinione che alla cattedra si
addica la « mancanza di passione », e
che di conseguenza debbano essere evitati gli argo- menti che comportano il pericolo di
discussioni «eccitate », sarebbe — una
volta ammesso in genere che sulla cattedra si
possano enunciare valutazioni — una convinzione da burocrati, che ogni insegnante indipendente dovrebbe
respingere. Di que- gli studiosi che 70»
hanno ritenuto di dover rinunciare a valu-
tazioni pratiche nelle discussioni empiriche, proprio i più appas- sionati — come per esempio Treitschke, e a
modo suo pure Mommsen® — furono quelli
maggiormente tollerabili. Poiché 2.
Theodor Mommsen (1817-1903), filologo e storico tedesco, autore di una fondamentale Romische Geschichte rimasta
incompleta (1849-85), di Uber das rimi-
sche Miinzivesen (1850), degli Unteritalische Dialekte (1850), della
Romische Chrono- MAX WEBER 629 appunto mediante la forte accentuazione
emotiva l’ascoltato- re è almeno posto
nella situazione di poter da parte sua stabili-
re la soggettività della valutazione del professore, nella sua influenza su un'eventuale distorsione delle
sue proposizioni di fatto, e di fare
quindi da sé ciò che rimane precluso al tempera- mento del professore. Può quindi restar
affidata all’autentico pathos quell’efficacia
sulle anime della gioventù che — come io
presumo — i sostenitori delle valutazioni pratiche pronunciate dalla cattedra desiderano assicurare ad esse,
senza che l’ascolta- tore venga traviato
alla confusione reciproca di diverse sfere —
come necessariamente accade quando la determinazione di fatti empirici e l'esortazione a una presa di
posizione pratica di fronte a grandi
problemi della vita sono entrambe immerse
nella stessa fredda assenza di temperamento. Il primo punto di vista mi sembra
accettabile, e così lo è dal punto di
vista soggettivo dei suoi sostenitori, solo se l’insegnante si pone come dovere incondizionato — in ogni
caso particolare, e fino al pericolo di
rendere priva di attrattive la propria lezione — quello di rendere inesorabilmente chiaro ai
suoi ascoltatori e, ciò che costituisce
la cosa principale, a se stesso, che cosa delle sue asserzioni è dedotto con un puro procedimento
logico o è deter- minazione puramente
empirica di fatti, e che cosa è invece
valutazione pratica. Far questo mi sembra, d’altra parte, addi- rittura un imperativo di onestà
intellettuale, una volta ammessa
l’estraneità delle due sfere; in questo caso è assolutamente il minimo che si possa chiedere. Invece la questione se dalla cattedra si
debba o no, in gene- rale (pur con tale
cautela), enunciare valutazioni pratiche, è da
parte sua una questione di politica universitaria pratica, e può in ultima analisi essere decisa soltanto dal
punto di vista di quei compiti che
l’individuo vorrebbe assegnare, in base alle
sue valutazioni, alle università. Chi per esse, e quindi per se stesso, pretende ancor oggi in virtù della
sua qualificazione di professore
universitario la funzione universale di formare gli logie bis auf Casar (1858), delle Romische
Forschungen (1864-79), del Rémisches
Staatsrecht (1871-88), del Romisches Strafrecht (1899) e di varic altre
opere, editore del Corpus Inscriptionum
latinarum (a partire dal 1863), fu il maggiore storico dell'an- tichità dell'Ottocento. 630 MAX WEBER
uomini e di propagare una convinzione politica, etica, artisti- ca, culturale o di altra specie, si
comporterà in maniera diffe- rente da
colui che ritiene di dover affermare il fatto (e le sue conseguenze) che le aule accademiche svolgono
oggi la loro azione realmente fornita di
valore soltanto mediante l’insegna-
mento specifico da parte di individui specificamente qualifi- cati, e che pertanto l’« onestà intellettuale
» è la sola virtù parti- colare alla
quale essi devono educare. Si può sostenere il primo punto di vista sulla base di posizioni ultime
altrettanto svaria- te che il secondo.
Quest'ultimo in particolare (che io personal-
mente accolgo) si può derivarlo sia da una smisurata sia da una molto modesta valutazione del significato
della formazione « specifica ». Lo si
può sostenere, per esempio, non già perché
si desideri che tutti gli uomini nel loro senso intimo diventino il più possibile degli «specialisti»; ma,
proprio al contrario, perché si desidera
vedere le ultime e più personali decisioni di
vita, che un uomo deve prendere da sé, non confuse insieme con l'insegnamento specifico — per quanto
alto il suo significa- to possa essere
valutato non solo per la disciplina generale del pensiero, ma anche, indirettamente, per
l’auto-disciplina e per l'orientamento
etico del giovane — e vedere altresì la loro
soluzione in base alla coscienza propria dell’ascoltatore r07 eli- minata da una suggestione che si esercita
dalla cattedra. Il pregiudizio di
Schmoller*, favorevole alla valutazione dal-
la cattedra, mi risulta personalmente del tutto comprensi bile come l’eco di una grande epoca, che egli e i
suoi amici contri- buirono a creare. Ma
ritengo che neppure a lui possa sfuggire
la circostanza che anzitutto la situazione di fatto è, per la giovane generazione, mutata notevolmente in
un punto impor- tante. Quarant'anni or
sono, nel mondo degli studiosi delle
nostre discipline era assai diffusa la fede che nel campo delle valutazioni pratico-politiche una soltanto
delle possibili prese di posizione
dovesse essere quella eticamente giusta (anche se 3. Gustav von Schmoller (1838-1917),
cconomista e storico economico tedesco, autore
di Uber einige Grundfragen des Rechts und Volkswirtschaft (1875), delle
Grundfragen der Sozialpolitix und der
Volkswirtschaftslehre (1897), del Grundriss der allgemei- nen Volkswirtschaftslehre (1900), di Die
soziale Frage (1918) e di varic altre opere, fu
il fondatore della cosiddetta « giovane scuola storica » di economia, c
difese l'impo- stazione storica dell’econo mia politica nei confronti della
teoria marginalistica. MAX WEBER 631 Schmoller ha certamente rappresentato
questo punto di vista solo in misura assai limitata). Ma questo non è oggi più
il caso, come si può facilmente rilevare, proprio tra i sostenitori delle
valutazioni dalla cattedra. La legittimità delle valutazioni dalla cattedra non
viene più oggi sostenuta in nome di un’aspi- razione etica, i cui postulati di
giustizia (relativamente) sempli- ci in parte si configuravano, e in parte
sembravano essere, sia nel modo della loro giustificazione sia nelle loro
conseguenze, (relativamente) semplici e soprattutto (relativamente) imperso-
nali, in quanto erano univocamente sopra-personali. Essa viene invece sostenuta
(per effetto di uno sviluppo inevitabile) in no- me di un variopinto mazzo di «
valutazioni culturali », cioè in verità di pretese soggettive alla cultura — o,
in termini chiari, del supposto «diritto
della personalità » dell’insegnante. Ci si
può anche indignare di fronte a questo punto di vista, ma non lo si potrà confutare — e proprio in quanto
esso implica appun- to una «valutazione
pratica » — che di tutti i tipi di profezia
la profezia professorale, atteggiata in tal senso « personalmen- te », è la sola realmente insopportabile. È
una situazione senza confronto quella di
numerosi profeti accreditati dallo stato, i
quali non predicano per le strade o nelle chiese o altrove sulla pubblica piazza, oppure, privatamente, in
conventicole personal- mente scelte che
si dichiarano tali, ma si permettono invece di
esprimere « in nome della scienza », nella quiete che si
supponeoggettiva, ma che è poi incontrollabile, priva di discussione, e soprattutto protetta da ogni contraddittorio,
di un'aula accade- mica privilegiata
dallo stato, decisioni dalla cattedra su questio- ni di intuizione del mondo. È un vecchio
principio, decisamen- te sostenuto da
Schmoller in una certa occasione, che gli argo-
menti enunciati nelle aule accademiche debbono rimanere sot- tratti alla discussione pubblica. Sebbene sia
possibile opinare che ciò abbia
eventualmente, pure nel campo delle scienze em-
piriche, certi svantaggi, si assume ovviamente — e anch'io assu- mo — che la «lezione» debba essere appunto
qualcosa di diverso da una « conferenza
», che il rigore impregiudicato, la
conformità ai fatti, la sobrietà dell’esposizione accademica pos- sano essere danneggiati nel loro scopo
pedagogico dall’introdur- si della
pubblicità, per esempio della pubblicità di tipo giornali- stico. Solo che un siffatto privilegio di
incontrollabilità sembra in 632 MAX
WEBER ogni caso appropriato soltanto
all'ambito della pura qualifica- zione
specifica del professore. Non c’è però nessuna qualifica zione specifica per la profezia personale, e
quindi non può neppur esserci nessun
privilegio. E in primo luogo essa non
può abusare della situazione di costrizione esistente per lo stu- dente — il quale deve, per progredire nella
vita, far ricorso a determinate
istituzioni accademiche e quindi ai rispettivi inse- gnanti — per istillargli insieme a ciò di cui
egli ha bisogno, ossia allo stimolo e
alla disciplina della sua capacità di ragiona-
re e del suo pensiero, e insieme a ciò determinate conoscenze, anche — in forma protetta da ogni
contraddizione — la pro- pria cosiddetta
« intuizione del mondo », per quanto interessan- te essa possa talvolta risultare (mentre
sovente è abbastanza indifferente). Per la propaganda dei suoi ideali pratici il
professore, al pari di ogni altro
individuo, ha a disposizione altre opportuni-
tà; e quando non le ha, può facilmente procurarsele nella for- ma più appropriata, come l’esperienza
dimostra per ogni one- sto tentativo. Ma
il professore non deve avanzare la pretesa di
recare nel suo zaino, in quanto professore, il bastone di mare- sciallo dell’uomo di stato (o del riformatore
culturale), come egli fa quando utilizza
la protezione della cattedra per esprime-
re il suo sentimento di uomo di stato (o di politico della cultura). Nella stampa, nelle assemblee
pubbliche, nelle riunio- ni, nei saggi,
in ogni altra forma accessibile a ogni cittadino, egli può (e deve) fare ciò che il suo dio o
il suo demone gli significa. Ma ciò che
oggi lo studente dovrebbe soprattutto
imparare nell'aula accademica dal suo professore è la capacità: 1) di accontentarsi del semplice adempimento
di un dato compi- to; 2) di riconoscere
anzitutto i fatti, anche e in primo luogo
i fatti personalmente scomodi, e quindi di distinguere la loro determinazione dalla presa di posizione
valutativa; 3) di pospor- re la propria
persona alle cose, e quindi di reprimere anzitutto il bisogno dell’esibizione importuna del suo
gusto personale e degli altri suoi
sentimenti. Mi sembra che questo sia oggi
molto più urgente di quarant'anni or sono, quando il pro- blema non esisteva propriamente in questa
forma. Nor è ve- ro affatto — come è
stato affermato — che la « personalità »
costituisce e debba costituire in questo senso un’« unità », e che MAX WEBER 633
essa subisca per così dire detrimento quando non la si esibisce in ogni occasione. In ogni lavoro professionale,
infatti, il compito come tale reclama il
proprio diritto, e dev'essere adempiuto in
base alle sue leggi. In ogni lavoro professionale colui che vi si dedica deve limitarsi a esso, ed escludere
ciò che non appartie- ne rigorosamente
al compito, ma soprattutto il proprio amore e
il proprio odio. E zor è vero che una forte personalità sia documentata dal fatto che in ogni occasione
indaga secondo una «nota personale » ad
essa soltanto propria. Si deve al contrario
auspicare che proprio la generazione che ora cresce si abitui di nuovo soprattutto al pensiero che «
essere una persona- lità » è qualcosa
che non si può volere di proposito, e che c’è
soltanto una via per diventarlo (forse!) — la dedizione senza riserve a un «compito », quale possa essere
nel caso specifico questo compito, e l’«
esigenza quotidiana» che ne deriva. È
contro le regole dello stile mescolare nelle discussioni di fat- to le faccende personali. E non compiere quel
tipo specifico di auto-limitazione, che
esso richiede, significa spogliare il lavoro
« professionale » del solo significato che oggi gli è ancora real- mente rimasto. Poco importa che il culto
della personalità ora di moda tenti di
affermarsi sul trono, nell'ufficio pubblico o
sulla cattedra: esso conduce sì quasi sempre a vasti effetti esteriori, ma interiormente è sempre misera
cosa, e danneggia ovunque il compito.
Spero che non ci sia particolare bisogno
di dire che gli avversari, a cui queste analisi si riferiscono, hanno certo ben poco da fare con questa
specie di culto di ciò ch e è «
personale » in quanto « personale ». Essi in parte consi- derano il compito della cattedra in un'altra
luce, in parte han- no ideali educativi
che io rispetto, ma che non condivido. Però
si deve considerare non soltanto ciò che essi vogliono, ma an- che il modo in cui ciò che essi legittimano
con la propria autorità opera su una
generazione, la quale rivela già una
predisposizione sviluppata in maniera inevitabilmente molto forte a ritenersi importante. E infine richiede appena un accenno il fatto
che parecchi supposti azversari di
valutazioni (politiche) dalla cattedra non
sono affatto giustificati quando, per screditare le discussioni di politica culturale e sociale che si compiono
pubblicamente al di fuori dell’aula
accademica, si richiamano al principio dell’esclu- 634 MAX WEBER
sione dei « giudizi di valore », da loro ancora spesso gravemen- te frainteso. L'indubitabile esistenza di
questi elementi falsa- mente
«avalutativi», ma in realtà tendenziosi, e introdotti nella nostra disciplina dall’ostinata e
consapevole posizione par- tigiana di
forti cerchie di interessati, ci consente di comprende- re con chiarezza come
un ampio numero proprio di studiosi interiormente indipendenti possa
attualmente continuare a soste- nere la valutazione dalla cattedra, poiché essi
hanno troppo orgoglio per partecipare a quella pagliacciata di una « avalutati-
vità » soltanto apparente. Personalmente io ritengo che, ciò no- nostante,
debba essere fatto quello che (secondo la mia opinio- ne) è corretto, e che il
peso delle valutazioni pratiche di uno studioso sarebbe soltanto accresciuto
dalla sua capacità di limi- tarsi a sostenerle nelle occasioni opportune al di
fuori dell’aula accademica, se si sa che egli possiede il rigore di fare, entro
l’aula, soltanto ciò che è proprio del «suo ufficio ». Ma tutte queste sono
appunto anch'esse questioni pratiche di valutazio- ne, e perciò non
suscettibili di esser risolte. In ogni caso, però, l'affermazione di principio
del diritto della valutazione dalla cattedra sarebbe coerente, a parer mio,
solo se al tempo stesso si garantisse che tutte le valutazioni di ogni parte
abbiano l'opportunità di farsi valere sulla cattedra *. Da noi, invece, con
l’insistenza sul diritto alla valutazione dalla cattedra si sostiene di solito
precisamente l'opposto di quel principio di un’equa rappresentanza di tutte le
correnti (e ovvia- mente anche di quelle « più estreme »). Era per esempio
natu- ralmente coerente, dal punto di vista personale di Schmoller, la tesi in
base a cui egli spiegava che « marxisti e manchesteria- ni » sono privi di
qualificazione per occupare cattedre universi- tarie, sebbene egli non abbia
mai compiuto l’ingiustizia di a. A tale scopo non basta affatto il principio
olandese dell'emancipa- zione anche della facoltà teologica dal controllo
confessionale, congiunta alla libertà di fondare università a condizione che
siano assicurati i mezzi finanziari, che siano osservate le prescrizioni per la
qualificazione dei pro- fessori, e che sia garantito il diritto privato di
istituire cattedre con il pa- tronato delle candidature da parte di coloro che
le istituiscono. Infatti ciò avvantaggia
soltanto chi possiede denaro e le organizzazioni autorita- rie che si trovano già in possesso del
potere: soltanto gli ambienti cleri-
cali, come è noto, ne hanno fatto uso.
MAX WEBER 635 ignorare i
contributi scientifici che sono venuti da queste dire- zioni. Proprio su questi punti io personalmente
non ho mai potuto seguire il nostro
venerato maestro. Non si può ovvia-
mente insieme richiedere l’autorizzazione alla valutazione dal- la cattedra e — allorché se ne devono trarre
le conseguenze — sostenere che
l’università è un'istituzione statale per la forma- zione di funzionari « fedeli allo stato ». In
tale maniera l’uni- versità diverrebbe
non una «scuola specializzata » (ciò che a
molti docenti sembra degradante), bensì un seminario di preti — solo senza poterle dare la dignità
religiosa che questo possie- de. Si è
voluto dedurre certi limiti con un puro procedimento «logico». Uno dei nostri più eminenti
giuristi spiegava una volta, mentre si
pronunciava contro l'esclusione dei socialisti
dalle cattedre, che egli non avrebbe potuto accettare come inse- gnante di diritto soltanto un « anarchico »,
poiché questi nega in genere la validità
del diritto come tale — ed egli riteneva
ovviamente questo argomento come conclusivo. Io sono dell’opi- nione precisamente opposta. L’anarchico può sicuramente
esse- re un buon conoscitore del
diritto. E se egli è tale, allora
proprio quel punto di Archimede che si pone a/ di fuori delle convinzioni e dei presupposti che ci appaiono
così evidenti — quel punto in cui lo
colloca, quando è pura, la sua oggettiva
convinzione — può renderlo capace di riconoscere nelle conce- zioni fondamentali della dottrina giuridica
in uso una proble- matica la quale
sfugge a tutti coloro per cui esse sono troppo
ovvie. Infatti il dubbio più radicale è il padre della conoscen- za. Il giurista ha tanto poco il compito di
«dimostrare» il valore di quei beni
culturali, la cui esistenza è legata alla
permanenza del « diritto », quanto il medico ha il compito di « provare » che l’allungamento della vita è
degno di essere per- seguito in ogni
circostanza. L'uno e l'altro non ne sono neppu-
re in grado, con i loro mezzi. Ma se si vuol fare della cattedra la sede di discussioni pratiche di valore,
allora sarebbe ovvia- mente un dovere
quello di sottoporre proprio le questioni fon-
damentali di principio a una libertà di discussione, senza restri- zione alcuna, da tutti i punti di vista. Può
accadere questo? Ma le più decisive e
importanti questioni pratico-politiche di valo-
re sono oggi escluse, per la natura della situazione politica, dalle cattedre delle università tedesche. Per
colui al quale gli 636 MAX WEBER interessi della nazione stanno al di sopra di
tutte — senza eccezione — le sue
istituzioni concrete, è per esempio una
questione di importanza centrale stabilire se la concezione og- gi predominante della posizione del monarca
in Germania sia conciliabile con gli
interessi internazionali della nazione, e con
quei mezzi, cioè : Ta guerra e la diplomazia, con cui ad essi si provvede. Non sono sempre i peggiori
patrioti, e neppure gli avversari della
monarchia, che sono oggi inclini a rispondere
negativamente a questa questione, e a non credere più nella possibilità di successi duraturi in quei due
campi, fino al mo- mento in cui non
subentrino dei mutamenti molto profondi.
Eppure ognuno sa che queste questioni vitali della nazione non possono venir discusse in piena libertà
sulle cattedre tede- sche ®. Ma in
considerazione di questo fatto — che cioè proprio le questioni decisive di valutazione
pratico-politica sono in per- manenza
sottratte alla libera discussione dalle cattedre — mi sembra confacente alla dignità dei
rappresentanti della scienza soltanto il
tacere anche su quei problemi di valore, che si
consente loro gentilmente di trattare.
In nessun caso si deve però mescolare la questione se sia lecito, o necessario, o si debba
nell’insegnamento presentare valutazioni
pratiche — che è una questione non risolubile,
poiché condizionata da una valutazione — con la discussione puramente /ogica della funzione che le
valutazioni assolvono per le discipline
empiriche, ad esempio per la sociologia e per
l'economia politica. Altrimenti qui ne soffrirebbe la discussione impregiudicata del problema propriamente
logico — la cui deci- sione però non dà
per quelle questioni alcuna indicazione, al
di fuori di una che è richiesta su base puramente logica, cioè l'esigenza della chiarezza e della precisa
distinzione delle sfere problematiche
eterogenee da parte dei docenti. Io non
vorrei discutere inoltre se la distinzione tra determi- nazione empirica e valutazione pratica sia «
difficile ». Essa lo è. Noi tutti, io
che sostengo questa pretesa al pari di altri,
a. Questo non è affatto un caso particolare della Germania. In quasi tutti i paesi vi sono, manifesti o celati,
dei limiti di fatto; ed è diverso
soltanto il tipo dei problemi di valore che vengono esclusi. MAX WEBER 637
commettiamo sempre e ripetutamente degli errori in proposito. Ma per lo
meno i sostenitori della cosiddetta economia politica etica potrebbero ben
sapere che anche la legge morale è irrealiz- zabile pienamente, ma tuttavia
vale in quanto è «imposta ». E un’analisi della coscienza potrebbe forse
mostrare che la realiz- zazione del postulato è difficile soprattutto perché
noi rinuncia- mo con riluttanza a inoltrarci sul terreno così interessante
delle valutazioni con la « nota personale » che ci stimola. Ogni docente avrà
naturalmente osservato che gli sguardi degli stu- denti si illuminano, e che i
loro volti diventano più attenti, quando egli comincia a « dichiararsi »
personalmente; e avrà osservato pure che la frequenza delle sue lezioni è
influenzata in maniera molto vantaggiosa dall’aspettativa che egli lo fac- cia.
Egli sa inoltre che la concorrenza tra le università per la frequenza mette
sovente in condizioni di vantaggio, per le chiamate, un profeta per quanto
piccolo, che riempia le aule, rispetto a uno studioso per quanto rilevante, che
si dedichi all'insegnamento oggettivo —
s'intende quando la profezia non si
discosti troppo dalle valutazioni, politiche o convenzionali, considerate normali. Soltanto il profeta
falsamente alieno da valutazioni, che
esprime certi interessi materiali, ha nei suoi
riguardi una possibilità maggiore, in virtù dell'influenza di tali interessi sui poteri politici. Io ritengo
tutto questo indesiderabi- le, e quindi
non voglio addentrarmi a discutere la tesi secondo cui l’esclusione di valutazioni pratiche
sarebbe cosa « meschi- na », e
renderebbe « noiose » le lezioni. Non voglio pronunciar- mi sulla questione se le lezioni su un campo
specifico di espe- rienza debbano
tendere soprattutto a essere « interessanti », ma da parte mia temo che in ogni caso uno
stimolo realizzato mediante una nota
personale troppo interessante tolga alla
lunga agli studenti il gusto per il semplice lavoro di ricerca. Non voglio poi discutere, ma riconoscere
esplicitamente che, proprio sotto
l'apparenza della soppressione di ogni va-
lutazione pratica, si possono risuscitare suggestivamente, con particolare forza, tali valutazioni, secondo
il noto schema di «far parlare i fatti».
La migliore qualità della nostra elo-
quenza parlamentare ed elettorale opera appunto con questo mezzo — e ciò è del tutto legittimo per i
suoi scopi. Non c'è però bisogno di
sprecare nessuna parola per mostrare 638
MAX WEBER che questo procedimento
sarebbe sulla cattedra, proprio dal
punto di vista della pretesa di quella distinzione, il più riprove- vole di tutti gli abusi. E che un’apparenza,
slealmente suscitata, di realizzazione
di un imperativo possa presentarsi come la sua
realtà, non significa una critica dell’imperativo stesso. Questo è però senz’altro implicito: che, se
l'insegnante non ritiene di doversi
precludere delle valutazioni pratiche, deve però assoluta- mente dichiararle come tali e agli studenti e
4 se stesso. Ciò che si deve combattere
nella maniera più decisa, infine, è la
convinzione non rara che la via dell’« oggettività » scientifi- ca sia rappresentata dalla commisurazione
reciproca delle diver- se valutazioni, e
da un compromesso « diplomatico » tra di
esse. La «linea di mezzo » non può essere dimostrata scientifi- camente, con i soli strumenti delle
discipline empiriche, pro- prio allo
stesso modo in cui non possono esserlo le valutazioni «estreme ». Inoltre, nella sfera della
valutazione essa sarebbe normativamente
ben poco univoca. Essa non appartiene alla
cattedra, bensì ai programmi politici, agli uffici e ai parlamen- ti. Le scienze, sia normative sia empiriche,
possono rendere agli uomini politici e
ai partiti in lotta soltanto un servizio
inestimabile, e cioè dire loro: 1) quali siano le diverse prese di posizione «ultime» concepibili di fronte a
questo problema pratico; 2) come stiano
i fatti di cui essi devono tener conto
nella scelta tra queste prese di posizione. In questo modo noi rimaniamo fedeli al nostro « compito ». Un fraintendimento senza fine, ma soprattutto
una disputa terminologica, e quindi
completamente sterile, si sono legati al
termine «giudizio di valore» — il che non ha ovviamente contribuito per nulla alla questione. È del
tutto fuori dubbio, come è stato
accennato, che queste discussioni riguardino, nelle nostre discipline, valutazioni pratiche di
fatti sociali, considera- ti come
desiderabili o indesiderabili praticamente da un punto di vista etico, o da qualche altro punto di
vista culturale, o per altri motivi. Che
la scienza 1) miri a conseguire risultati « forni- ti di valore », cioè corretti dal punto di
vista logico e in riferi- mento ai
fatti; 2) e miri a conseguire risultati «forniti di valore », cioè importanti nel senso
dell'interesse scientifico; che inoltre
già la scelta della materia implichi una « valutazione » — queste due cose sono state seriamente
sollevate, nonostante MAX WEBER 639 quanto si è detto in proposito *, come «
obiezioni ». Ed è pure sempre risorto il
fraintendimento, quasi incomprensibilmente
forte, secondo il quale la scienza empirica non può trattare come oggetto le valutazioni « soggettive »
degli uomini (e ciò mentre la
sociologia, e nell'ambito dell'economia politica tutta la dottrina dell’utilità marginale, poggia
sul presupposto contra- rio). Si tratta
invece esclusivamente della pretesa, di per sé
perfino banale, che il ricercatore e l’espositore debbano incondi- zionatamente fezer distinte — poiché si
tratta di problemi eterogenei — la
determinazione di fatti empirici (compreso l’at- teggiamento « valutante », da lui constatato,
degli uomini empi- rici su cui indaga) e
la sua presa di posizione pratica, che
valuta questi fatti (comprese le « valutazioni » di uomini empi- rici che sono oggetto di indagine) come
apprezzabili o non ap- prezzabili, e che
in questo senso risulta «valutativa ». In una
trattazione per altri aspetti fornita di valore, uno scrittore si esprime così: un ricercatore potrebbe
assumere come « fatto » anche la propria
valutazione, e trarne le conseguenze. Ciò che
qui si intende è incontestabilmente esatto, ma l’espressione scel- ta è erronea. Si può naturalmente convenire,
prima di una discussione, che una
determinata misura pratica — per esempio
che la copertura dei costi richiesti da un aumento dell’esercito debba esser ricavata soltanto dalle tasche
dei possidenti — sia il « presupposto »
della discussione stessa, e che si debbano quin- di discutere semplicemente i mezzi per
attuarla. Questo è anzi sovente
opportuno. Ma una siffatta intenzione pratica, presup- posta di comune accordo, non la si chiama un
«fatto », bensì uno « scopo stabilito 4
priori». Che si tratti effettivamente an-
che di cose diverse, potrebbe risultare presto nella discussione dei « mezzi» — salvo che lo « scopo
presupposto » come indi- scutibile fosse
così concreto come accendersi un sigaro. In tal
caso anche i mezzi hanno solo di rado bisogno di discussione. a. Debbo riferirmi a ciò che ho già detto nei
miei saggi precedenti (la correttezza
talvolta insoddisfacente di formulazioni particolari, che in essi possono riscontrarsi, non riguardano nessuno
dei punti essenziali della questione);
per l'« inconciliabilità » di certe valutazioni ultime in un im- portante campo di problemi potrei rinviare a
G. RabBRUCH, Einfiihrung in die
Rechtswissenschaft, Berlin, 22 ed. 1913. Io divergo da lui in alcuni punti; ma essi non hanno importanza per il
problema qui discusso. 640 MAX
WEBER In quasi ogni caso di un proposito
generalmente formulato, come in quello prima scelto come esempio, si farà
invece espe- rienza che nella discussione dei mezzi non soltanto appare che i
vari individui hanno inteso qualcosa di completamente diverso sotto tale scopo
che si supponeva preciso, ma in particolare risulta che proprio il medesimo
scopo è voluto su basi ultime differenti, e che ciò influenza la discussione
sui mezzi. Ma lasciamo questo da parte. Infatti, che si possa partire da un
determinato scopo, voluto in comune, e discutere soltanto i mezzi per
conseguirlo, e che da ciò risulti allora una discussio- ne da condurre sul
piano puramente empirico — non è ancora accaduto a nessuno di contestarlo.
Tutta la discussione si aggira sulla scelta degli scopi (e non già dei « mezzi»
in vista di uno scopo che è dato), cioè concerne appunto il senso in cui la
valutazione, a cui l’individuo si richiama, non può essere assunta come « fatto
», ma può diventare oggetto di una critica scientifica. Se non si è determinato
questo, ogni altra discussio- ne è
infruttuosa. Noi non discutiamo qui la
questione della misura in cui le
valutazioni pratiche, in particolare quelle etiche, possono da parte loro pretendere una dignità
mormativa, rivestendo quindi un carattere
diverso da quello implicito in questioni
simili a quella introdotta da questo esempio, se le bionde debbano essere preferite alle brune, o in
altri giudizi sog- gettivi di gusto. Questi
sono problemi della filosofia dei va-
lori, non già della metodica delle discipline empiriche. Ciò che concerne le ultime è soltanto che da un
lato la validità di un imperativo
pratico in quanto norma, e dall’altro la verità di una determinazione empirica di fatti
appartengono a settori problematici del
tutto eterogenei, e che si danneggia la dignità
specifica di ognuno dei due quando si dimentica ciò, cercando di unificare le due sfere. Questo è avvenuto
in forte misura, a mio parere, soprattutto
da parte di Schmoller*. Proprio il ri-
spetto per il nostro maestro mi proibisce di passare sopra questi punti, in cui ritengo di non poter concordare
con lui. a. Nella voce «economia
politica» (Volkswirtschaftslehre) nello
« Handwérterbuch der Staatswissenschaften », Berlin, 3? ed. 1911,
vol. VIII, pp. 426-501. MAX WEBER 641
In primo luogo vorrei rivolgermi contro la tesi secondo cui, per i sostenitori dell’« avalutatività », il
mero fatto dell’instabili- tà storica e
individuale delle prese di posizione valutative di volta in volta in vigore varrebbe come prova
del carattere neces- sariamente solo
«soggettivo », per esempio, dell’etica. Anche
le determinazioni empiriche di fatti sono spesso soggette a di- sputa; e sul fatto che un tale debba essere
ritenuto un furfante uò sovente esserci
una concordanza sostanzialmente più gene-
rale di quella relativa (proprio presso gli specialisti) alla
inter- pretazione di un'iscrizione
mutilata. L'assunzione, effettuata da
Schmoller, di una crescente unanimità convenzionale di tutte le confessioni e di tutti gli uomini intorno ai
punti principali delle valutazioni
pratiche sta in aspra antitesi con la mia im-
pressione opposta. Ma questo mi sembra senza rilievo per la questione. Ciò che in ogni caso è da
discutere, infatti, è che ci si possa arrestare
scientificamente di fronte a una qualsiasi
evidenza di fatto, convenzionalmente stabilita, di certe prese di posizione pratiche, per quanto diffuse esse
siano. La funzione specifica della scienza
mi sembra, proprio all’opposto, quella
di trasformare in problema ciò
che è convenzionalmente eviden- te. E
proprio questo hanno fatto, al tempo loro, Schmoller e i suoi amici. Che si possa poi indagare, e in
certe circostanze valutare altamente,
l’efficacia causale della esistenza di fatto di
certe convinzioni etiche o religiose sulla vita economica — da ciò non deriva affatto che quelle
convinzioni, che hanno forse causalmente
operato molto, debbano perciò anche essere condi- vise o anche soltanto ritenute « fornite di
valore»; così come, al contrario,
mediante l’affermazione del valore di un fenome- no etico o religioso non si è detto proprio
niente sulla possibili tà di qualificare
anche le inconsuete conseguenze, che la sua
realizzazione ha avuto o avrebbe, con il medesimo predicato positivo di valore. Su queste questioni non
si arriva a niente attraverso
determinazioni di fatto; esse vengono giudicate dal- l'individuo in maniera assai diversa, a
seconda delle sue proprie valutazioni religiose,
o pratiche di altro genere. Tutto ciò non
riguarda la questione che viene discussa. E invece io mi oppon- go energicamente alla convinzione che una
scienza «realisti ca» dei fenomeni
etici, vale a dire l’indicazione delle in-
fluenze di fatto che le convinzioni etiche, prevalenti in un 41. SFORICISMO TEDESCO. 642 MAX WEBER
certo gruppo di uomini, hanno subito dalle altre condizioni di vita e a loro volta hanno esercitato su di
esse, possa da parte sua dare luogo a
un’«etica », la quale possa asserire qualcosa
intorno a ciò che deve valere. Ciò avviene tanto poco quanto un'esposizione « realistica » delle
concezioni astronomiche, per esempio,
dei Cinesi — che mostrasse in base a quali motivi pratici e in qual modo facciano
dell’astronomia, a quali risulta- ti e
perché essa pervenga — potrebbe avere per scopo di dimo- strare la correttezza di questa astronomia
cinese; e quanto la constatazione che
gli agrimensori romani oppure i banchieri
fiorentini (gli ultimi proprio nelle partizioni di grandi patrimo- ni) pervennero sovente con i loro metodi a
risultati inconciliabi- li con la
trigonometria o con la tavola pitagorica, potrebbe porre in discussione la validità di queste.
Mediante l'indagine psicologico-empirica
e storica di un determinato punto di vista
valutativo, considerato nel suo condizionamento individuale, sociale, storico, non si perviene mai a
nient'altro che a questo — a spiegarlo
comprendendolo. E ciò non è da poco. Esso è da
desiderarsi non soltanto per la conseguenza concomitante perso- nale (ma non scientifica), che si può più
facilmente « rendere giustizia » a chi,
realmente o apparentemente, la pensa in ma-
niera diversa. Ma è anche scientificamente molto importante: 1) per lo scopo di una considerazione causale
empirica dell'a- gire umano, per
imparare cioè a conoscere i suoi reali motivi
ultimi; 2) per determinare, allorché si discute con qualcuno che diverge (realmente o apparentemente) nella
loro valutazione, i punti di vista
valutativi delle due parti. Infatti il senso vero e proprio di una discussione di valore è questo
— di comprende- re ciò che l'avversario
(o anche, ciò che colui che parla) real-
mente intende, cioè il valore a cui ognuna delle due parti tiene in realtà, e non solo in apparenza, rendendo
così possibile in genere una presa di
posizione di fronte a questo valore. Ben
lungi dal ritenere che dal punto di vista dell'esigenza dell’« ava- lutatività » delle analisi empiriche siano
sterili, o prive di sen- so, le
discussioni intorno alle valutazioni, proprio la conoscenza di questo loro senso risulta il presupposto
di ogni utile conside- razione del
genere. Esse presuppongono semplicemente la com- prensione della possibilità di valutazioni
ultime inconciliabilmen- te divergenti
in linea di principio. Poiché « tutto comprendere » MAX WEBER 643 non significa anche « tutto
perdonare », né la mera comprensio- ne del punto di vista altrui conduce, di
per sé, alla sua approva- zione. Fssa conduce almeno altrettanto facilmente, e
sovente con maggiore probabilità, a conoscere perché e in che cosa n0n si può
concordare. Questa conoscenza è appunto una conoscen- za di verità, e 44 essa
servono le « discussioni valutative ». Ciò che su tale strada non si può certo
conseguire — perché sta nella direzione precisamente opposta — è una qualsiasi
etica normativa, o in genere la capacità vincolante di qualche « impe- rativo
». Ognuno sa piuttosto che un fine siffatto viene reso più difficile
dall’azione « relativizzante », almeno in apparenza, di tali discussioni. Con
questo non si dice naturalmente che si debba, per tale motivo, evitarle.
Proprio al contrario. Una con- vinzione «etica» che si lascia scalzare dalla «
comprensione » psicologica di valutazioni divergenti è stata infatti fornita di
valore né più né meno delle opinioni religiose che vengono distrutte dalla conoscenza scientifica — come
talvolta accade. Quando infine Schmoller
sostiene che i propugnatori dell’« ava-
lutatività » delle discipline empiriche possono riconoscere soltan- to verità etiche «formali» (è ovvio che egli
le intende nel senso della « critica
della ragione pratica »), ci si deve addentra-
re — sebbene il problema non rientri senz’altro nella nostra questione — in alcune considerazioni. In primo luogo si deve respingere
l’identificazione — impli- cita nella
concezione di Schmoller — degli imperativi etici con i « valori culturali », anche con i più alti.
Infatti può esserci un punto di vista
per il quale i valori culturali sono « imposti », anche nella misura in cui risultano in
inevitabile e inconciliabi- le conflitto
con ogni etica. E viceversa è possibile, senza interna contraddizione, un’etica la quale rifiuti
tutti i valori culturali. In ogni caso
le due sfere di valori non sono identiche. E così pure è un grave (per quanto diffuso)
fraintendimento ritenere che
proposizioni « formali», come quelle dell’etica kantiana, non contengano alcuna indicazione di
contenuto. La possibilità di un'etica
normativa non viene in alcun modo posta in questio- ne per il fatto che vi sono problemi di
carattere pratico per i quali essa non
può fornire, di per sé, prescrizioni univoche (e a tale ambito appartengono in modo specifico
determinati proble- mi istituzionali,
cioè appunto i problemi « politico-sociali »), e 644 MAX WEBER
inoltre che l’etica non è la sola cosa che «valga» nel mondo, ma che accanto ad essa sussistono altre sfere
di valori — i cui valori può, in certe
circostanze, realizzare soltanto chi si assu-
ma una «colpa» etica. In ciò rientra specialmente la sfera dell’agire politico. Sarebbe da deboli, a
parer mio, voler negare le tensioni nei
confronti della sfera etica, che essa appunto
contiene. Ma ciò non è affatto proprio soltanto di essa, come fa credere la contrapposizione in uso di «morale
privata» e di « morale politica ». —
Indaghiamo ora alcuni « limiti » dell’eti-
ca, a cui si è prima fatto riferimento.
Le conseguenze del postulato della « giustizia » rientrano nell’ambito delle questioni che non possono
venir decise univoca- mente da ressuna
etica. Se per esempio — il che corrisponde-
rebbe maggiormente alle concezioni espresse a suo tempo da Schmoller — si debba anche molto a colui che
fa molto, o viceversa si possa chiedere
molto a chi molto può fare; se quindi in
nome della giustizia (eliminando allora altri punti di vista — come quello dell’« incentivo »
necessario) si debba- no concedere al
grande talento anche grandi possibilità, o se si debba invece (come riteneva Babeuf*)
pareggiare l'ingiustizia dell’ineguale
distribuzione dei doni spirituali, preoccupandoci con rigore che il talento, il cui semplice
possesso già fornisce un sentimento di
prestigio che rende felice l’individuo, non
possa utilizzare ancora per sé le sue migliori possibilità nel mondo — tutto questo non può venir risolto in
base a premesse «etiche ». A questo tipo
appartiene però la problematica etica
della maggior parte delle questioni di politica sociale. Ma anche nel campo dell’agire personale vi
sono problemi fondamentali, di carattere
specificamente etico, che l’etica non
può risolvere in base ai propri presupposti. Tra di essi rien- tra in primo luogo la questione fondamentale
se il valore in sé dell’agire etico — il
«puro volere» o l’«intenzione », come si
vuole esprimerlo — debba bastare alla sua giustificazio- 4. Frangois-Noel Babeuf, noto come Gracchus
Babeuf (1760-1797), esponente dell'ala
estremistica della Rivoluzione francese, pubblicò il giornale « Le tribun
du peuple » e diresse la Congiura degli
cguali: la sua teoria politica, di ispirazione
rousscauiana, è fondata sulla rivendicazione dell'eguaglianza non
soltanto politica, ma anche
economica. MAX WEBER 645 ne, secondo la massima «il Cristiano agisce
bene e rimette a Dio la conseguenza »
(come i moralisti cristiani l’hanno formula-
ta), oppure se si debba prendere in considerazione la responsabi- lità per le conseguenze dell’agire, previste
come possibili 0 co- me probabili, così
come esse sono condizionate dal suo inseri-
mento nel mondo eticamente irrazionale. Nel campo sociale ogni posizione politica radicalmente
rivoluzionaria, soprattutto il
cosiddetto « sindacalismo », procede dal primo postulato, e ogni « politica realistica» procede invece
dal secondo. Entram- be si richiamano a
massime etiche; ma queste massime stanno
tra loro in un eterno contrasto, il quale non può essere affatto risolto senz’altro con i mezzi di un'etica
che abbia il proprio fondamento soltanto
in se stessa. Queste due massime etiche
sono massime di carattere rigoro- samente
« formale », in ciò simili ai noti assiomi della Critica della ragione pratica. Di questi ultimi si è
molto spesso credu- to, per questo loro
carattere, che non contenessero indicazioni di
contenuto per la valutazione dell’agire. Ma ciò non è per nien- te esatto, come già si è accennato. Prendiamo
di proposito un esempio il più possibile
distante dalla « politica », il quale può
forse chiarire che senso abbia propriamente questo carattere «solo formale», di cui si è a lungo parlato,
di tale etica. Supponiamo che un uomo
dica, riferendosi alla sua relazione
erotica con una donna, « all’inizio il nostro rapporto era soltan- to una passione, ora esso costituisce un
valore » — la temperata oggettività
dell’etica kantiana esprimerebbe così la prima metà di questa proposizione: «all’inizio noi
eravamo entrambi, l’u- no per l’altro,
soltanto mezzi», e considererebbe quindi
l'intera proposizione come un caso particolare di quel noto principio che stranamente si è volentieri
ritenuto un’espressio- ne, condizionata
solo storicamente, dell’« individualismo », men- tre in verità esso rappresenta una
formulazione quanto mai geniale di
un'infinita molteplicità di situazioni etiche, che si debbono appunto intendere correttamente.
Nella sua enuncia- zione negativa, ed
escludendo qualsiasi asserzione su quello
che deve essere il contrapposto positivo della considerazione dell’altro «soltanto come mezzo », che
eticamente deve venir rifiutata, essa
comporta evidentemente: 1) il riconoscimento di
sfere di valori autonome, al di fuori della sfera etica; 2) la 646 MAX
WEBER delimitazione della sfera etica nei loro confronti; 3) la determi-
nazione infine del fatto che — e del senso in cui — si possono tuttavia
attribuire all’agire al servizio di valori extra-etici delle differenze di
dignità etica. Di fatto quelle sfere, che permetto- no o prescrivono la
considerazione dell’altro «soltanto come mezzo », sono eterogenee rispetto
all’etica. L'analisi non può qui essere ulteriormente proseguita: in ogni caso
però risulta che il carattere « formale » anche di quella proposizione etica
così astratta non rimane indifferente rispetto al contenuto dell’a- gire. Ma il
problema si complica ancora. Quel predicato negati- vo, che è stato espresso
con le parole « soltanto una passione », può da un determinato punto di vista
venir considerato come un insulto a ciò che di interiormente più puro e più
proprio vi è nella vita, dell'unica via o almeno della via primaria per uscire
al di fuori dei meccanismi «di valore» impersonali e sovra-personali, e perciò
ostili alla vita, per uscire dall’incatena-
mento alla pietra senza vita dell’esistenza quotidiana e dalle pretese di un’irrealtà «imposta ». Si può ad
ogni modo pensare a una concezione di
questo punto di vista che — sebbene abbia
a disdegno il termine «valore » per designare la concretezza dell’Erleben — costituirebbe appunto una
sfera la quale, respin- gendo come cosa
estranea e ostile ogni santità e ogni bontà,
ogni legalità etica o estetica, ogni significatività della cultura
o valutazione della personalità,
pretenderebbe tuttavia, e anzi pro- prio
a causa di ciò, la sua propria dignità «immanente» nel senso estremo della parola. Quale che possa
essere la nostra presa di posizione nei
confronti di tale pretesa, in ogni caso
essa non può venir dimostrata o «confutata » con i mezzi di nessuna « scienza ». Ogni considerazione empirica di questi
argomenti condur- rebbe, come ha
osservato il vecchio Stuart Mill”, al riconosci- mento di un politeismo assoluto come la sola
forma di metafisi- ca ad essi adeguata.
Una considerazione non più empirica, ma
interpretativa, cioè un’autentica filosofia dei valori, non potreb- 5. Weber si riferisce qui alla formulazione
dei saggi postumi Nature, the Uti- lity
of Religion, and Theism, London, 1874, pp. 130-31 (ma cfr. anche p. 150). Per questo riferimento si veda il breve articolo
Zwisclien zwei Gesetze, pubblicato nella
rivista « Die Frau » del febbraio 1916 (ora raccolto in Gesammelte
politische Schrif- ten, 2° cd. Tiibingen,
1958, pp. 139-42). MAX WEBER 647 be poi dimenticare, procedendo innanzi, che
uno schema con- cettuale dei « valori »,
per quanto bene ordinato, sarebbe incapa-
ce di rendere giustizia proprio al punto decisivo della questio- ne. Tra i valori, cioè, si tratta ovunque e
sempre, in ultima analisi, non già di
semplici alternative, ma di una lotta mortale
senza possibilità di conciliazione, come tra « dio» e il « demo- nio ». Tra di essi non è possibile nessuna
relativizzazione e nessun compromesso.
Beninteso, non è possibile in base al loro
senso. Poiché, come ognuno ha provato nella vita, ve ne sono sempre di fatto, e quindi secondo l’apparenza
esterna, continua- mente. In quasi
ognuna delle prese di posizione importanti di
uomini reali, infatti, le sfere di valori si incrociano e si
intrec- ciano. La superficialità della «
vita quotidiana », in questo sen- so più
appropriato del termine, consiste appunto nel fatto che l’uomo il quale vive entro di essa non
diventa consapevole, e neppure vuole
diventarlo, di questa mescolanza di valori mor-
talmente nemici, condizionata in parte psicologicamente e in parte pragmaticamente; ed egli si sottrae
piuttosto alla scelta tra «dio» e il
«demonio», evitando di decidere quale dei
valori in collisione sia dominato dall’uno e quale invece dall’al- tro. Il frutto dell’albero della conoscenza,
frutto inevitabile an- che se molesto
per la comodità umana, non consiste in nient’al- tro che nel dover riconoscere quell’antitesi
e nel dover quindi considerare che ogni
singola azione importante, e soprattutto la
vita nel suo insieme — se essa deve non già scorrere via come un evento naturale, bensì essere condotta
consapevolmente — rappresenta una catena
di decisioni ultime, mediante cui l’ani-
ma (come per Platone °) sceglie il suo proprio destino — e cioè il senso del suo agire e del suo essere. Non
a caso il fraintendi- mento più
grossolano, al quale vanno sempre incontro, di quan- do in quando, le intenzioni di coloro che
sostengono la tesi della collisione tra
i valori, è perciò costituito dall'interpretazio- ne di questo punto di vista come «relativismo
» — cioè come un'intuizione della vita
la quale poggia invece proprio sulla
visione, radicalmente opposta, del rapporto reciproco delle sfere di valore, e può essere realizzata (in forma
coerente) soltanto 6. Weber allude qui
al mito di Er, esposto nel libro X della Repubblica. 648 MAX WEBER
sul terreno di una metafisica configurata in maniera molto particolare (cioè di una metafisica «
organica »). Ritornando al nostro caso
specifico, mi sembra, senza possi-
bilità di dubbio, che nel settore delle valutazioni pratico-politi- che (particolarmente anche di politica
economica e sociale), da cui devono
essere tratte le direttive per un agire fornito di valore, le sole cose che una disciplina empirica
può porre in luce con i suoi mezzi sono
le seguenti: 1) i mezzi indispensabili e
2) le inevitabili conseguenze; 3) la concorrenza reciproca, in tale maniera condizionata, di più valutazioni
possibili, conside- rate nelle loro
conseguenze pratiche. Le discipline filosofiche
possono in proposito, con i loro mezzi concettuali, determinare il «senso» delle valutazioni, cioè la loro
struttura dotata di senso e le loro
conseguenze dotate di senso, indicando quindi il loro «luogo» entro la totalità dei valori «
ultimi» che sono possibili in generale e
delimitando le loro sfere di validità
significative. Ma già questioni molto semplici — per esempio in quale misura uno scopo debba sanzionare i
mezzi che sono per esso indispensabili;
oppure in quale misura debbano venir
messe in conto le conseguenze non volute; oppure come si debbano appianare i conflitti tra più scopi
in concreto contra- stanti, che sono
oggetto di volontà o di dovere — sono in tutto
e per tutto questioni di scelta o di compromesso. Non c'è nessun procedimento scientifico (razionale o
empirico) di qual- siasi specie, che
potrebbe qui fornire una decisione. E meno
ancora la rostra scienza, che è rigorosamente empirica, può pretendere di risparmiare all'individuo
questa scelta; per cui essa non deve
neppure suscitare l'apparenza di poterlo fare. Occorre infine osservare esplicitamente che
il riconoscimen- to di questa situazione
è, per le nostre discipline, del tutto
indipendente dalla presa di posizione di fronte alle considera- zioni di teoria dei valori prima accennate
con molta brevità. Non c’è infatti
nessun punto di vista logicamente sostenibile
in base a cui esso possa venir rifiutato, se si prescinde da una
gerarchia di valori univocamente prescritta mediante dogmi ecclesiastici. Debbo
aspettarmi che si trovi realmente della gen- te capace di affermare la
zon-diversità di senso dei due gruppi MAX WEBER 649 di questioni seguenti — da
un lato questioni come: un fatto concreto avviene così o altrimenti? perché la
situazione concre- ta in esame si è
configurata così e non altrimenti? a una data
situazione, secondo una regola dell’accadere di fatto, segue di solito un’altra, e con quale grado di
probabilità? — e dall'altro questioni
come: che cosa si deve praticamente fare in una
concreta situazione? da quali punti di vista quella situazione può apparire praticamente auspicabile oppure
no? vi sono pro- posizioni (assiomi)
formulabili, in qualsiasi maniera, general-
mente, a cui si possano ridurre questi punti di vista? Debbo aspet- tarmi che. sia sostenuta l'identità della
questione concernente la direzione in
cui una situazione di fatto, concretamente data
(o in generale una situazione di un determinato tipo, in qual- che modo accessibile), si svilupperà con
probabilità — e con quale misura di
probabilità (cioè è solita svilupparsi tipicamen- te) — e dell’altra questione concernente
invece il dovere di contribuire affinché
una determinata situazione si sviluppi in
una determinata direzione — sia essa di per sé probabile, oppu- re opposta o un’altra qualsiasi? Debbo
aspettarmi infine che sia sostenuta
l’identità della questione concernente l’opinione che determinate persone in certe circostanze
concrete, o un numero indeterminato di
persone nelle medesime circostanze, si
formeranno con probabilità (o anche con sicurezza) su un problema di qualche specie, e dall’altra
parte della questione concernente la
correttezza di questa opinione, che si forma con probabilità o con sicurezza? Debbo cioè
aspettarmi che vi sia della gente la
quale affermi che le questioni di ognuna di tali coppie antitetiche abbiano anche soltanto
qualcosa a che fare l'una con l’altra, e
che esse realmente — come ogni tanto si
ripete — non possano «essere separate l’una dall'altra »? e che quest’ultima asserzione 207 sia in
contraddizione con le esigen- ze del
pensiero scientifico? Se qualcuno, il quale pur concede l'assoluta eterogeneità delle due specie di
questioni, tuttavia pretende di
esprimersi nel medesimo libro, nella medesima pa- gina, magari in una proposizione principale o
secondaria di una medesima unità
sintattica, da un lato sull’uno e dall’altro
sull’altro di quei due problemi tra loro eterogenei — questo è affar
suo. Ciò che da lui si esige è semplicemente che egli non illuda senza volerlo
(o anche per volontaria mordacità) i suoi 650 MAX WEBER lettori sull’assoluta
eterogeneità dei problemi. Personalmente re- sto del parere che nessun mezzo al
mondo è troppo « pedante- sco» per essere impiegato allo scopo di evitare
confusioni. Il senso delle discussioni
intorno a valutazioni pratiche (de- gli stessi partecipanti alla discussione)
può essere dato soltanto dalle operazioni seguenti: a) L'elaborazione degli
assiomi di valore ultimi, internamen- te « coerenti », da cui procedono le
opinioni tra loro contrappo- ste. Abbastanza spesso ci si inganna non soltanto
sugli assiomi dell'avversario, ma anche
sui propri. Questo procedimento costi-
tuisce un'operazione che, nella sua essenza, parte dalla valuta- zione particolare e dalla sua analisi dotata
di senso, per proce- dere sempre più in
alto verso prese di posizione valutative più
fondamentali. Esso non opera con gli strumenti di una discipli- na empirica
e non apporta nessuna conoscenza di fatti. Esso «vale » nello stesso modo in
cui vale la logica. b) La deduzione delle «conseguenze » connesse alla
presa di posizione valutativa, che
derivano da determinati assiomi di
valore ultimi, quando essi, ed essi soltanto, sono posti a fonda- mento della valutazione pratica di un certo
stato di cose. Essa è puramente dotata
di senso in riferimento all’argomentazione logica, ma d’altra parte è vincolata
a osservazioni empiriche per quanto riguarda la casistica più esauriente
possibile di quelle si- tuazioni empiriche che possono venir prese in
considerazione, in generale, in una valutazione pratica. c) La determinazione
delle conseguenze di fatto che produ- ce
la realizzazione pratica di una data presa di posizione valuta- tiva nei
confronti di un certo problema: 1) a causa del legame con determinati mezzi
indispen- sabili; 2) a causa dell’inevitabilità di determinate conseguenze
concomitanti, non direttamente volute. Questa determinazione puramente empirica
può avere come risultato, tra l’altro:
1) l'assoluta impossibilità di qualsiasi realizzazione, per quanto solo molto
approssimativa, del postulato di valore, in quanto non è possibile escogitare
nessuna via per realizzarlo; MAX WEBER 651 2) la maggiore o minore
improbabilità di una sua realiz- zazione
compiuta, o anche soltanto approssimativa, o per gli stessi motivi oppure perché esiste la
probabilità che si verifichi- no conseguenze concomitanti non volute, che sono
tali da ren- derne direttamente o indirettamente illusoria la realizzazione; 3)
la necessità di accettare tali mezzi o tali conseguenze concomitanti, che il sostenitore del
postulato pratico in questio- ne non aveva
considerato, di modo che la sua decisione valutati- va tra scopo, mezzo e
conseguenza diventi per lui stesso un nuovo problema, e perda la sua forza
coercitiva sugli altri. d) Infine possono presentarsi nuovi assiomi di valore,
e di conseguenza nuovi postulati, che il
sostenitore di un certo po- stulato
pratico non ha osservato, e di fronte ai quali non ha quindi preso posizione, sebbene la
realizzazione del proprio postulato
entri in collisione con essi, sia in linea di principio oppure per le conseguenze pratiche che ne
derivano, cioè per il loro senso o praticamente. Nell’un caso (contrasto di
principio) si tratta, nella discussione ulteriore, di problemi del tipo 4);
nell’altro (contrasto di conseguenze) si tratta di problemi del tipo c). Ben
lungi dall'essere « prive di senso », le discussioni valuta- tive di questo tipo hanno, se sono intese
correttamente nel loro scopo — €, a mio parere, allora soltanto — un'importanza
molto rilevante. L'utilità di una discussione intorno a valutazioni
pratiche, condotta al luogo giusto e nel
giusto senso, non è però affatto
esaurita con tali diretti « risultati », che essa può recare a
matu- razione. Se è condotta
correttamente, essa feconda nel modo più duraturo il lavoro empirico, in quanto
gli fornisce le impo- stazioni problematiche di cui ha bisogno per la propria
ricerca. I problemi delle discipline empiriche debbono certo venir risoli, da parte loro, in maniera «
avalutativa ». Essi non sono « problemi
di valore». Ma tuttavia stanno, nell’ambito delle nostre discipline, sotto l'influenza della
relazione della realtà «ai» valori. Sul
significato dell’espressione «relazione di valo- re» debbo riferirmi alle mie
precedenti formulazioni, e soprat- tutto alle ben note opere di Heinrich
Rickert. Sarebbe impossi- bile riprendere qui ancora una volta tali questioni.
È sufficien- 652 MAX WEBER te quindi ricordare che quell’espressione — «
relazione di valo- re» — rappresenta
semplicemente l’interpretazione filosofica di quello specifico « interesse »
scientifico che dirige la selezione e la formulazione dell'oggetto di
un'indagine empirica. Nell'ambito dell’indagine empirica, questa circostanza
pura- mente logica non legittima in ogni
caso nessuna « valutazione pratica ». In
concordanza con l’esperienza storica essa pone
però in rilievo che sono gli interessi culturali, e perciò gli interessi di valore, a indicare la direzione
anche al lavoro delle scienze empiriche.
È chiaro che questi interessi di valore posso-
no svilupparsi nella loro casistica mediante le discussioni valuta- tive. E queste possono diminuire di molto, o
almeno rendere più facile, al
ricercatore che lavora scientificamente, e soprattut- to allo storico, il compito
dell’«interpretazione di valore» — che
per lui è un aspetto preliminare così importante del suo lavoro propriamente empirico. Infatti non
soltanto la distinzio- ne tra
valutazioni e relazioni ai valori, ma anche quella tra valutazione e interpretazione di valore (cioè
lo sviluppo delle prese di posizione
dotate di senso, che sono possibili di fron-
te a un dato fenomeno), sovente non è compiuta chiaramente, e quindi ne derivano oscurità per la determinazione
dell’essenza logica della storia: mi sia consentito di rinviare a questo propo-
sito alle osservazioni già fatte altrove* (senza ritenerle del re- sto in alcun
modo conclusive). Invece di inoltrarmi ancora una volta nella discussione
di questi fondamentali problemi
metodologici, vorrei prendere in esame alcuni punti particolari, che sono
praticamente importan- ti per le nostre discipline. È ancora sempre diffusa la
fede che si debba, o che sia necessario,
oppure che si possa derivare delle indicazioni per le valutazioni pratiche da « tendenze di
sviluppo ». Solo che da tali «tendenze
di sviluppo », per quanto univoche esse siano, si possono trarre imperativi
univoci dell’agire soltanto rispetto ai mezzi che si prevedono più appropriati
per date prese di posi- a. Nel saggio Kritische Studien auf dem Gebiet der
Rulturwissen- schaftlichen Logik, « Archiv fir Sozialwissenschaft und
Sozialpolitik », XXII, 1906, pp. 168-69 [ora in Gesammelte Aufsitze zur
Wissenschaft- slehre, pp. 245-47]- MAX
WEBER 653 zione, non però rispetto a quelle prese di posizione. Certamen- te
qui il concetto di « mezzo» è il più ampio che si possa concepire. Chi per esempio considerasse gli
interessi di potenza dello stato come un
fine ultimo, dovrebbe in rapporto alla
situazione data considerare una costituzione assolutistica oppu- re una costituzione democratico-radicale come
il mezzo (relati- vamente) più adatto; e
sarebbe estremamente ridicolo prendere
un qualsiasi mutamento nella valutazione di questo apparato statale come mezzo per un mutamento nella
presa di posizione «ultima ». È però
inoltre evidente, come già si è detto, che al
singolo sì presenta sempre nuovamente il problema se egli debba lasciar cadere la speranza nella
realizzabilità delle sue valutazioni
pratiche di fronte alla conoscenza del sussistere di una tendenza univoca di sviluppo, la quale
condiziona lo scopo cui egli aspira
all'impiego di muovi mezzi che, per motivi etici o di altra specie, gli appaiono eventualmente
dubbi, o all’ac- cettazione di
conseguenze concomitanti da lui aborrite, oppure la rende così improbabile da fare apparire il
suo lavoro, misura- to in base alla
possibilità di successo, una sterile « donchisciotte- ria ». Ma la conoscenza di tali « tendenze di
sviluppo », più o meno difficilmente
mutabili, non occupa affatto una posizione
particolare. Ogri nuovo fatto singolo può parimenti avere per effetto di configurare in maniera nuova
l'equilibrio tra lo scopo e i mezzi
indispensabili, o tra il fine voluto e la conseguenza concomitante inevitabile. Se ciò debba
accadere — e quali con- clusioni
pratiche se ne possano trarre — è una questione che non rientra in una scienza empirica, e anzi,
come si è detto, in nessuna scienza in
genere, di qualsiasi specie. Si può per esem-
pio dimostrare tangibilmente al sindacalista convinto che il suo agire non solo è socialmente « inutile »,
cioè non promette alcu- na conseguenza
per il mutamento della situazione esterna di
classe del proletariato, ma la peggiora inevitabilmente provocan- do disposizioni «reazionarie» — con questo
però non gli si dimostra nulle, se egli
è realmente fedele alle conseguenze
ultime della sua convinzione. E ciò non perché egli sia un insensato, ma perché può aver «ragione» dal
suo punto di vista — come dovremo
discutere. In complesso gli uomini incli-
nano abbastanza fortemente ad adattarsi interiormente al suc- cesso, 0 a ciò che promette di volta in volta
il successo, e non 654 MAX WEBER soltanto — come è evidente — nei mezzi o
nella misura in cui si sforzano di
realizzare i loro ideali ultimi, ma anche nella
rinuncia a questi medesimi. In Germania si crede di poter fregiare questo comportamento con il nome di
« politica realisti- ca ». In ogni caso non si riesce a comprendere perché
proprio i rappresentanti di una disciplina empirica debbano sentire il bisogno
di appoggiarlo, fornendo la propria approvazione alla «tendenza di sviluppo »
di volta in volta prevalente e trasfor- mando l’« adattamento » a questa
tendenza da problema di valutazione
vitimo, da risolversi caso per caso da parte della coscienza dell’individuo, in un principio che
si suppone coperto dall’autorità di una
«scienza ». È esatto — se correttamente
inteso — che una politica la quale rechi
al successo è sempre l’« arte del possibile ». Ma non meno esatto è che il possibile molto
sovente è stato rag- giunto solo in
quanto si è mirato all’impossibile che sta al di là di esso. Infine, non è stata la sola etica
realmente coerente dell’« adattamento »
al possibile, cioè la morale burocratica del
Confucianesimo, che ha prodotto le qualità specifiche della no- stra cultura — qualità che probabilmente noi
tutti, nonostante ogni altra differenza,
stimiamo (soggettivamente) in maniera più o meno positiva. Da parte mia,
almeno, non vorrei dissua- dere sistematicamente la nazione, proprio in nome
della scien- za, dal ritenere che — come prima si è posto in luce — accanto al
« valore di successo » di un’azione stia anche il suo « valore di intenzione ».
In ogni caso, però, il disconoscimento di questa circostanza danneggia la
comprensione dei fatti reali. Poiché, per rimanere all'esempio prima addotto
del sindacalista, è an- che logicamente un’assurdità commisurare a scopo di
«critica » un atteggiamento, che — se coerente — deve avere come regola il suo
« valore di intenzione », semplicemente con il suo « valo- re di successo ». Il
sindacalista realmente coerente vuole sempli- cemente mantenere in se stesso, e
per quanto è possibile suscita- re in altri, una determinata coscienza, che gli
appare dotata di valore e sacra. Le sue azioni esterne, proprio quelle che in
partenza sono condannate anche a un'assoluta mancanza di successo, hanno in
ultima analisi lo scopo di dargli, di fronte al proprio foro, la certezza che
tale coscienza è pu- ra, che essa ha cioè la forza di « comprovarsi » in azioni
e non MAX WEBER 655 è solo una mera smargiassata. Per tale scopo (forse) c’è
soltan- to il mezzo costituito da tali azioni. Per il resto — se egli è
coerente — il suo regno, come il regno di ogni etica dell’inten- zione, non è
di questo mondo. « Scientificamente » si può solo determinare che questo modo
di concepire i propri ideali è il solo internamente conseguente, e non è confutabile
mediante « fatti » esterni. Io ritengo che con questo sia stato reso, sia ai
sostenitori sia agli avversari del sindacalismo, un servizio — e precisamente
quel servizio che essi a buon diritto pretendono dalla scienza. Mi sembra
invece che nulla si possa ottenere, nel senso di zessuza scienza di qualsiasi
tipo, a trattare con locuzioni del tipo « da un lato — dall’altro» di sette
motivi «a favore» e di sei «contro» un determinato fenomeno (per esempio uno
sciopero generale), e a discuterlo secondo il modo della vecchia mentalità
giuridica oppure dei moderni memoria- li cinesi. Con quella riduzione del punto
di vista sindacalistico alla sua forma il più possibile razionale e
internamente coeren- te, e con la determinazione delle sue condizioni empiriche
di nascita, delle sue possibilità e delle sue conseguenze pratiche conformi
all’esperienza, è in ogni caso esaurito il compito della scienza avalutativa
nei suoi confronti. Se si debba essere o non essere un sindacalista, ciò non si
può mai provare senza far ricorso a premesse metafisiche ben determinate, le
quali non sono dimostrabili, e in questo caso non lo sono certo median- te
qualsiasi scienza, quale che essa sia. Così pure, che un ufficiale preferisca saltare in aria con il
suo fortino anziché arrendersi, può nel
caso specifico risultare assolutamente inuti-
le sotto ogni riguardo, se commisurato alla conseguenza. Ma non sarebbe indifferente che sia esistita o
no l'intenzione che lo ha spinto a ciò,
senza indagarne l'utilità. Essa risulta « priva
di senso » tanto poco quanto lo è quella del sindacalista coeren- te. Quando il professore, dalla comoda
altezza della cattedra, vuole
raccomandare un catonismo di tale specie, ciò non appari- rebbe certo particolarmente appropriato. Ma
non è neppure indicato che egli apprezzi
l’opposto, facendo un dovere dell’a-
dattarsi degli ideali alle possibilità offerte appunto dalle
tenden- ze di sviluppo attuali e dalle
attuali situazioni. È stato qui innanzi
ripetutamente usato il termine « adatta-
mento », che nel caso specifico risulta, data la formulazione 656 MAX WEBER
scelta, abbastanza privo di fraintendimento. Ma si deve rilevare che di per sé ha un duplice significato: da
un lato designa l'adattamento dei mezzi
di una presa di posizione ultima a date
situazioni (« politica realistica» in senso stretto) — dall’altro designa l'adattamento nella scelta delle
medesime prese di posi- zione ultime,
che sono in genere possibili, alle possibilità mo- mentanee che una di esse realmente o
apparentemente possiede (ed è quel tipo
di « politica realistica » con cui la nostra politi- ca, da ventisette anni in qua, è pervenuta a
così curiosi succes- si). Ma con ciò il
numero dei suoi possibili significati non è
ancora esaurito. Sarebbe perciò piuttosto opportuno, a mio pare- re, in ogni discussione dei nostri problemi,
sia di questioni di « valutazione » che
di altre, togliere di mezzo questo concetto
di cui si è tanto abusato. Infatti esso è sempre del tutto frainte- so come espressione di un argomento
scientifico, nella cui for- ma si
presenta ognora rinnovato sia a scopo di « spiegazione » (per esempio della sussistenza empirica di
certe intuizioni eti- che presso certi
gruppi umani in determinate epoche) sia a
scopo di « valutazione » (per esempio di quelle intuizioni eti- che, esistenti di fatto, in quanto
oggettivamente « adattate » e perciò
oggettivamente « corrette » e fornite di valore). In nessu- no di questi sensi esso serve però a
qualcosa, perché sempre ha bisogno a sua
volta di interpretazione. Esso ha la sua patria
nella biologia. Se fosse realmente preso in senso biologico, per designare la possibilità data dalle
circostanze, e relativamente
determinabile, che un gruppo umano possiede di mantenere la propria eredità psico-fisica mediante una
grossa riproduzione, allora gli strati
popolari economicamente meglio provvisti, e
capaci di regolare più razionalmente la loro vita, sarebbero i «meno adattati », secondo le note esperienze
fornite dalla stati- stica delle
nascite. « Adattati » alle condizioni dell'ambiente del- la zona di Salt Lake erano, in senso
biologico — ma anche in ognuno dei
numerosi altri significati puramente empirici — i pochi Indiani che vi vivevano prima
dell’arrivo dei Mormoni, e lo erano
nella stessa maniera, altrettanto bene e altrettanto male, le più tarde e numerose popolazioni
mormoniche. In virtù di questo concetto
noi non perveniamo affatto a una migliore comprensione sul piano empirico, ma
ci immaginiamo facilmente di farlo. E soltanto nel caso di due organizzazioni
MAX WEBER 657 per il resto assolutamente equivalenti sotto 0gr: rispetto — que-
sto può venir stabilito fin d'ora — si può dire che una concreta differenza particolare è capace di condizionare
una situazione empiricamente « più
opportuna » per la permanenza di una di
esse, e quindi in tal senso « più adattata » alle condizioni date. Per ciò che riguarda la valutazione si può
tanto essere dell’opi- nione che il
maggior numero e le prestazioni e qualità materia- li e di altra specie, che i Mormoni portarono
sul posto e vi svilupparono, siano una
prova della loro superiorità sugli India-
ni, quanto essere invece del parere di colui che aborre incondi- zionatamente i mezzi e le conseguenze
concomitanti dell’etica dei Mormoni, la
quale è almeno corresponsabile di quelle azio-
ni, e quindi può pienamente preferire la romantica esistenza degli Indiani nella prateria — senza che
nessuna scienza al mondo, di qualsiasi specie, possa pretendere di dissuaderlo.
Qui si tratta già, infatti, dell’irresolubile equilibrio tra scopo, mezzo e
conseguenza concomitante. Soltanto quando la questione concerne i mezzi
appropriati per un dato scopo, stabilito
in maniera assolutamente univoca, essa
può realmente venir decisa sul terreno empirico. La propo- sizione « x è il solo mezzo per y » è infatti
la semplice inversio- ne della
proposizione « a x segue y ». Però il concetto di « adat- tazione » (e tutti gli altri affini) non
fornisce in nessun caso — e questa è la
cosa principale — la minima informazione sulle
fondamentali valutazioni ultime, e anzi semplicemente le cela; lo stesso fa, per esempio, il concetto in
fondo confuso, e di recente prediletto,
di «economia umana». « Adattato» nel
campo della «cultura» è, secondo il modo in cui il concetto assume un significato, tutto o nulla. Poiché
non si può elimina- re la lotta da ogni
vita culturale. Si possono mutare i suoi
mezzi, il suo oggetto, anche la sua direzione fondamentale e i suoi portatori; ma non si può metterla da
parte. Essa può costituire, anziché un
conflitto esterno di uomini ostili per co-
se esterne, un conflitto interno di uomini che si amano in vista di beni interiori, e quindi non una
costrizione esterna ma un'oppressione
interna (appunto anche in forma di dedizione
erotica o caritativa), o rappresentare infine un conflitto interio- re dell’anima dell'individuo con se stessa —
ma sempre c’è, e sovente con conseguenze
tanto maggiori quanto meno viene 42.
STORICISMO TEDESCO, 658 MAX WEBER notata, cioè quanto più il suo corso assume
la forma di un'ottu- sa o di una comoda
indifferenza o anche di un’auto-illusione,
oppure si compie mediante la «selezione ». La « pace» non significa nient'altro che un differimento
delle forme di lotta o degli avversari o
degli oggetti di lotta, o infine delle possibilità di selezione. Se e quando spostamenti del
genere passino la prova di fronte a un
giudizio valutativo, etico o di altra spe-
cie, non può ovviamente essere stabilito in termini generali. Soltanto una cosa è fuori dubbio: che ogni
ordinamento, di qualsiasi tipo, di
relazioni sociali, se si vuole valutarlo, deve
in ultima analisi essere sempre esaminato in riferimento al #po umano a cui esso, attraverso una selezione
(di motivi) esterna o interna, dà le
migliori possibilità per diventare predominante. Altrimenti l'indagine empirica non è
realmente esaustiva, e neppure c’è la
base di fatto necessaria per una valutazione, sia essa consapevolmente soggettiva oppure
pretenda invece una validità oggettiva.
Questa circostanza sia ricordata almeno a
quei numerosi colleghi i quali credono che si possa operare, nella determinazione delle linee di sviluppo
sociali, con un preciso concetto di «
progresso ». Ciò ci conduce dinanzi al
compito di un'analisi più ravvicinata di questo importante con- cetto.
Si può naturalmente usare il concetto di « progresso » in maniera assolutamente avalutativa, se lo si
identifica con il « progredire » di un
qualsiasi concreto processo di sviluppo,
considerato isolatamente. Ma nella maggior parte dei casi la cosa è sostanzialmente più complicata. Noi
prendiamo qui in esame alcuni casi in
cui, in campi eterogenei, la congiunzione con questioni di valore è la più
intrinseca possibile. Nel campo dei contenuti irrazionali, sentimentali,
affettivi del nostro. atteggiamento psichico, l'accrescimento quantitativo e la
moltiplicazione qualitativa — che nella maggior parte dei casi vi è legata —
delle possibili forme di atteggiamento posso-
no venir designati in modo avalutativo come progresso della « differenziazione » psichica. Ma ad esso si
unisce ben presto il concetto di valore
di un accrescimento della « portata » o della
«capacità » di un’« anima » concreta oppure — il che già rap- presenta una costruzione tutt'altro che
univoca — di un’« epo- MAX WEBER 659 ca» (come avviene nel libro di Simmel,
Schopenhauer und Nietzsche”). È fuori di dubbio, naturalmente, che quel «
progredire del- la differenziazione »
esiste di fatto — con la riserva che non
sempre esso c'è là dove si crede alla sua presenza. L'attenzione per le sfumature del sentimento, che viene
crescendo nel perio- do attuale — sia
come conseguenza dell’aumentata razionalizza-
zione e intellettualizzazione di tutti i settori della vita, sia come conseguenza dell’aumentata importanza
soggettiva che l'individuo attribuisce
alle proprie manifestazioni di vita (per
gli altri spesso estremamente indifferenti) — facilmente illu- de sull’esistenza di una crescente
differenziazione. Essa può rappresentare
questa differenziazione, oppure promuoverla; ma
l'apparenza inganna con facilità, e io confesso che vorrei stima- re abbastanza alta la portata di tale
illusione. Ad ogni modo il fatto esiste.
Designare una differenziazione progressiva come
« progresso » è di per sé una questione di opportunità termino- logica. Ma che essa debba venir valutata come
« progresso » nel senso di una crescente
« ricchezza interiore », non può in ogni
caso essere deciso da nessuna disciplina empirica. Infatti queste discipline non hanno competenza per
stabilire se le nuo- ve possibilità di
sentimento che si vengono sviluppando, o che
sono tratte alla coscienza, con le nuove «tensioni» e i nuovi « problemi » che in certe circostanze
comportano, debbano ve- nir riconosciute
come « valori ». Chi però non voglia assumere
una posizione valutativa di fronte al fatto della differenziazio- ne in quanto tale — cosa che certamente
nessuna disciplina empi- rica può
proibire ad alcuno — e cerchi un punto di vista
adatto allo scopo, viene di conseguenza condotto, anche da alcuni fenomeni contemporanei, di fronte alla
questione del prezzo che questo
processo, in quanto è diventato qualcosa di più
di un'illusione intellettualistica, è «costato ». Egli non po- trà ad esempio dimenticare che la caccia
all’Erlebzis — questo valore alla moda
peculiare della Germania contemporanea —
può essere in misura assai forte il prodotto di una diminu- zione della forza di sostenere interiormente
la « vita quotidia- na», e che quella
pubblicità, che l’individuo sempre più sente
7. Schopenhauer und Nietzsche, ein Vortragszyklus, Leipzig, 1908. 660 MAX WEBER
il bisogno di dare al suo Erleden, potrebbe pure essere valutata come una perdita nel sentimento della
distanza, e quindi dello stile e della
dignità. In ogni caso, nel campo delle valutazioni dell’Erleben soggettivo il « progresso della
differenziazione » è identico con
l’aumento del « valore » soltanto nel senso intellet- tualistico di un accrescimento dell’Erleden
consapevole, oppure dell’accrescimento
della capacità di espressione e della comuni-
cabilità. Le cose sono alquanto
più complicate a proposito dell’appli-
cabilità del concetto di « progresso » (nel senso di valutazione) al campo dell’arse. Essa viene talvolta
contestata con violenza; e, a seconda
del senso in cui viene intesa, a ragione o a torto. Non c'è mai stata nessuna considerazione
valutativa dell’arte che potesse
procedere con l’antitesi esclusiva di « arte» e « non- arte », facendo a meno delle distinzioni tra
tentativo e riuscita, tra il valore
delle diverse riuscite, tra la riuscita compiuta e quella che risulta infelice in qualche punto
specifico, oppure in parecchi e anche
importanti, ma tuttavia non è senz'altro priva
di valore — e ciò non soltanto per una concreta volontà di creazione artistica, ma anche per la volontà
artistica di epoche intere. Il concetto
di un « progresso », applicato a queste situa-
zioni, appare banale, a causa del suo impiego in riferimento a puri problemi tecnici. Ma esso non risulta di
per sé privo di senso. Assai differente
appare il problema per la storia del-
l’arte e per la sociologia dell’arte, condotte in modo puramen- te empirico. Per la prima non c’è
naturalmente un « progres- so» dell’arte
nel senso della valutazione estetica di opere
d’arte come opere riuscite in maniera dotata di senso; poiché questa valutazione non può venir compiuta con
i mezzi della considerazione empirica, e
si pone completamente al di là del suo
lavoro. Invece proprio essa può impiegare un concetto di « progresso.» puramente tecnico, razionale e
quindi univoco, del quale si deve adesso
parlare — e la cui utilità per la storia
empirica dell’arte deriva dal fatto che questo si limita esclusiva- mente alla determinazione dei 72e2z1 tecnici
che una determina- ta volontà artistica
usa per una data intenzione. L'importanza
per la storia dell’arte di queste analisi così rigorosamente
defini- te è facilmente sottovalutata,
oppure fraintesa nel senso di iden-
tificarle con una supposta « conoscenza », del tutto subalterna e MAX WEBER 661
non genuina, che pretende di aver «inteso » un artista quando ha sollevato la tenda del suo laboratorio ed
esaminato i suoi mezzi esteriori di
rappresentazione, cioè la sua « maniera ».
Soltanto il progresso « tecnico », preso nel suo significato corret- to, è di competenza della storia dell’arte,
poiché proprio esso — e la sua influenza
sulla volontà artistica — costituisce ciò
che di empiricamente determinabile vi è nel corso dello svilup- po dell’arte, senza implicare il ricorso a
una valutazione esteti- ca. Prendiamo
alcuni esempi che possano illustrare i reali signi- ficati dell'elemento «tecnico », nel senso
genuino del termine, per la storia
artistica. L'origine del gotico fu in
prima linea il risultato della solu-
zione tecnica di un problema di copertura degli spazi, in sé di pura tecnica architettonica — la questione
dell’ottimo, dal pun- to di vista
tecnico, per l’edificazione di contrafforti di sostegno di una volta a croce, congiunta ad alcuni
altri particolari che non occorre qui
discutere. Vennero risolti problemi architettoni- ci molto concreti; e la conoscenza che in
tale maniera diventa- va possibile una
determinata maniera di copertura di spazi non
quadrati suscitò l’entusiasmo appassionato di quegli architetti, per adesso e forse per sempre ignoti, ai
quali è dovuto lo sviluppo del nuovo
stile di costruzione. Il loro razionalismo
tecnico condusse il nuovo principio a tutte le sue conseguenze. La loro volontà artistica lo utilizzò come
possibilità di risol- vere compiti fino
allora impensati, e spinse quindi la plastica
sulla via di un nuovo «senso del corpo», suscitato in primo luogo dalle nuove elaborazioni di spazio e di
piani dell’architet- tura, Che questa
trasformazione, di carattere in primo luogo
tecnico, si sia incontrata con certi contenuti di sentimento, condizionati in forte misura sociologicamente
o dalla storia reli- giosa, fornì gli
elementi essenziali di quel materiale di proble- mi con i quali lavorò la creazione artistica
dell’epoca del goti- co. Allorché la
considerazione storica e sociologica dell’arte ha posto in luce queste condizioni oggettive,
tecniche o sociali o psicologiche, del
nuovo stile, essa esaurisce il suo compito pura- mente empirico. Ma essa non « valuta » con
ciò lo stile gotico in rapporto a quello
romanico oppure a quello rinascimentale,
anch'esso fortemente orientato in vista del problema tecnico della cupola, e insieme in vista dei
mutamenti dell'ambito di 662 MAX
WEBER lavoro dell’architettura,
condizionati pure sociologicamente; né «
valuta » esteticamente, finché rimane una storia empirica del- l’arte, la singola costruzione. Anzi,
l’interesse per le opere d’arte e le sue particolari qualità esteticamente
rilevanti, quindi il suo oggetto, è ad essa eteronomo, cioè dato 4 priori in
base al valore estetico che, con i suoi mezzi, essa non può affatto stabilire.
Lo stesso avviene per esempio nel campo della storia della musica. Dal punto di
vista dell’inzeresse dell’uomo europeo mo-
derno («riferimento di valore »!) il suo problema centrale è questo: perché la musica armonica si sia
sviluppata dalla polifo- nia,
affermatasi quasi ovunque su base popolare, soltanto in Europa e in un determinato spazio di tempo,
mentre altrove la razionalizzazione
della musica si è incamminata per un’altra
strada, il più delle volte precisamente opposta, e cioè per la strada di uno sviluppo degli intervalli
mediante la divisione delle distanze
(per lo più una quarta) anziché mediante la
divisione armonica (una quinta). Al centro si colloca il proble- ma dell'origine della terza nella sua
interpretazione armonica, cioè come
elemento della triade, e inoltre il problema del cro- matismo armonico e ancora della ritmica
musicale moderna (della cadenza lenta e
veloce) — invece della cadenza puramen-
te metronomica — vale a dire di una ritmica senza la quale è impensabile la moderna musica strumentale. Si
tratta qui di nuovo prevalentemente di
problemi di « progresso » razionale, e
puramente tecnico. Che per esempio il cromatismo fosse noto molto prima della musica armonica, come mezzo
di rappresen- tazione della « passione
», risulta infatti dall'antica musica cro-
matica (presumibilmente mono-armonica) per gli appassionati Sé ,uror del frammento di Euripide di recente
scoperto. Non nella volontà espressiva
artistica, bensì nei mezzi espressivi tec-
nici stava la differenza di questa musica antica nei confronti di quella cromatica che i grandi innovatori
musicali del Rinasci- mento crearono in
un’impetuosa aspirazione razionale alla sco-
perta — per poter appunto dare forma musicalmente alla « pas- sione ». La novità tecnica era però che
questo cromatismo di- ventava quello dei
nostri intervalli armonici, e non già quello
delle distanze melodiche di semitono, o di quarto di tono, degli Elleni. E che potesse diventare tale,
ha a sua volta il fondamento in
precedenti soluzioni di problemi tecnico-raziona- MAX WEBER 663
li; cioè soprattutto nella creazione della notazione razionale (senza la quale nessuna moderna composizione
sarebbe nemme- no concepibile), e già
prima nella creazione di determinati strumenti
che costrinsero all’interpretazione armonica di inter- valli musicali, nonché, in particolare, del
canto polifonico razio- nale. Un
contributo molto importante a queste scoperte lo ave- va però fornito, nel primo Medioevo, il
monachesimo dell’area missionaria
nord-occidentale, il quale, senza presagire la poste- riore portata della propria opera, razionalizzò
per i suoi scopi la polifonia popolare,
invece di organizzare la propria musica
— come fece il monachesimo bizantino — sul modello del uerorotég tratto dagli Elleni. Le
caratteristiche concrete, condi- zionate
sociologicamente e dalla storia religiosa, della situazio- ne esterna e interna della chiesa cristiana
in Occidente consenti- rono qui che da
un razionalismo proprio soltanto del monache-
simo occidentale sorgesse questa problematica musicale, che era nella sua essenza di carattere «tecnico».
Dall'altra parte l'adozione e la
razionalizzazione della misura di danza, che è
la fonte delle forme musicali sfocianti nella sonata, furono con- dizionate da certe forme di vita della
società rinascimentale. Infine lo
sviluppo del pianoforte, cioè di uno dei più importan- ti portatori tecnici dello sviluppo musicale
moderno e della sua diffusione nella
borghesia, si radicò nello specifico caratte-
re intra-domestico della cultura nord-europea. Sono tutti « pro- gressi » dei mezzi tecnici della musica, che
hanno così forte- mente determinato la
sua storia. La storia empirica della musi-
ca potrà e dovrà appunto seguire queste componenti dello svi- luppo storico, senza avanzare, da parte sua,
una valutazione estetica delle opere
musicali. Il « progresso » tecnico si è molto
spesso compiuto in prodotti che, valutati esteticamente, appaio- no del tutto insufficienti. Ma la direzione
di interesse, cioè l'oggetto da spiegare
storicamente, è data alla storia della musi-
ca eteronomamente, mediante la sua significatività estetica. Per il campo dello sviluppo della pittura,
la nobile modestia dell’impostazione
problematica di Die k/assische Kunst di Wélf-
flin® costituisce un esempio eminente delle fecondità di un lavoro empirico. 8. Heinrich von Woélfflin (1864-1945),
storico dell’arte tedesco, autore dei Prole-
664 MAX WEBER La piena
separazione della sfera dei valori dalla realtà empi- rica emerge poi in maniera caratteristica dal
fatto che l’impie- go di una determinata
zecnica, per quanto « progressiva », non
implica nulla sul valore estetico dell’opera d'arte. Opere d'arte create con la tecnica più « primitiva» — per
esempio quadri privi di ogni nozione di
prospettiva — possono risultare esteti-
camente di eguale dignità di quelle più perfette prodotte me- diante la tecnica razionale, se si presuppone
che la volontà artistica si sia limitata
a quelle formulazioni che sono adeguate
a tale tecnica « primitiva ». La creazione di nuovi mezzi tecnici rappresenta soltanto una crescente
differenziazione, e dà sol- tanto la
possibilità di una crescente « ricchezza » dell’arte, nel senso di un incremento di valore. Di fatto
essa ha avuto, non di rado, l’effetto
opposto di un «impoverimento» del senso
della forma. Ma per la considerazione empirico-causale è pro- prio il mutamento della «tecnica» (nel senso
più alto del termine) che costituisce
l'elemento di sviluppo più importante
dell’arte, che si può determinare in linea generale. Non soltanto gli storici dell’arte, ma gli
storici in genere replicano di solito
che essi non possono rinunciare al diritto di
una valutazione politica o culturale o etica o estetica, né sono in grado di compiere, senza di essa, il
proprio lavoro. La metodologia non ha né
la forza né il proposito di prescrivere a
chicchessia ciò che egli intende offrire in un’opera letteraria. Essa si prende, da parte sua, soltanto il
diritto di stabilire che certi problemi
hanno un senso tra loro eterogeneo, che il loro
scambio reciproco conduce la discussione a uno sterile gioco di contrapposizioni, e che quindi una
discussione condotta con i mezzi della
scienza empirica o della logica per gli uni è for- nita di senso, e per gli altri è invece
impossibile. Forse si può qui
aggiungere, senza per ora inoltrarci nella sua dimostrazio- ne, un'osservazione generale: un'analisi
attenta di lavori sto- rici mostra con
facilità che lo sforzo di seguire la catena causa- le, storico-empirica, viene quasi senza
eccezione interrotto, a danno dei
risultati scientifici, allorché lo storico comincia a gomena zu einer Psycologie der Architektur
(1866), di Renaissance und Barock (1888),
di Die Klassische Kunst (1899), dei Kunstgeschichtliche Grundbegrifle
(1915), dei Ge- danken zur
Kunstgeschichte (1940) e di varie altre opere.
MAX WEBER 665 «valutare ». Egli
incorre allora nel pericolo, per esempio, di
« spiegare » come conseguenza di una « mancanza » o di una « caduta » ciò che forse era effetto di
ideali a lui eterogenei del soggetto che
agisce, e pecca quindi di fronte al suo compito più proprio — quello dell’« intendere ». Il
fraintendimento si spie- ga per due
ragioni. In primo luogo per il fatto che, restando all’arte, la realtà artistica è accessibile,
oltre che alla pura consi- derazione
valutativa estetica da un lato e dall’altro alla pura considerazione empirica, mirante alla
determinazione delle cau- se, anche a
una terza specie di considerazione — all’interpreta- zione di valore (sulla cui essenza non
occorre qui ripetere ciò che si è detto
in altra sede). Sul suo valore specifico, e sulla sua indispensabilità per ogni storico, non
sussiste alcun dubbio; e così pure non
c’è alcun dubbio che il consueto lettore di
studi di storia dell’arte si aspetta di trovare anche, e per l’ap- punto, questa trattazione. Soltanto che essa,
presa nella sua struttura logica, non è
identica con la considerazione empirica.
Questo però si deve riconoscere: chi vuole svolgere indagini di storia dell’arte, per quanto puramente
empiriche, deve posse- dere la capacità
di «intendere» la produzione artistica — e questo non è assolutamente
concepibile senza quella capacità di giudizio estetico, cioè senza la capacità
di valutazione. La stessa cosa vale pure per lo storico della politica o della
lettera- tura o della religione o della filosofia. Ma ovviamente ciò non
implica nient'altro sull’essenza logica del lavoro storico. Di ciò si dirà oltre. Qui si doveva discutere
semplicemente la questione del senso in
cui, a/ di fuori della valutazione
estetica, si può parlare di « progresso » in sede di storia
dell’ar- te. È risultato che questo
concetto acquista un senso tecnico e
razionale che designa i mezzi necessari per un certo proposito artistico, e può diventare come tale
significativo per la storia dell’arte
empiricamente condotta. È ora tempo di indagare que- sto concetto di progresso « razionale » nel
suo campo più pro- prio, considerandolo
nel suo carattere empirico o non-empirico.
Poiché quanto si è detto è soltanto un caso particolare di una circostanza molto universale. La maniera in cui Windelband ha delimitato il
tema della sua Geschichte der
Philosophie — «il processo mediante cui
l'umanità europea ha formulato la sua concezione del mondo... 666 MAX WEBER
in concetti scientifici» — conduce nella sua pragmatica, a mio parere assai brillante, all'impiego di uno
specifico concetto di « progresso » che
deriva da questo riferimento a valori culturali
(e di cui egli trae le conseguenze); e questo concetto da un lato risulta nient’affatto evidente per ogni
« storia » della filo- sofia,
dall'altro, se si assume un corrispondente riferimento a valori culturali, vale non soltanto per una
storia della filosofia, e neppure
soltanto per la storia di qualsiasi altra disciplina, ma — diversamente da quanto Windelband sostiene!
— per ogni « storia» in generale.
Ciononostante, qui di seguito dobbiamo
parlare soltanto di quei concetti razionali di « progresso », che occupano un posto nelle nostre discipline
sociologiche ed econo- miche. La nostra
vita sociale ed economica, europeo-americana,
risulta « razionalizzata » in un modo e in un senso specifico. Spiegare questa razionalizzazione, e
elaborare i concetti ad es- sa
corrispondenti, è quindi uno dei principali compiti delle nostre discipline. Perciò ricompare il
problema toccato nell’e- sempio della
storia dell’arte, ma lasciato in quella sede aperto: che cosa vuol dire propriamente la
designazione di un processo come «
progresso razionale » ? Si ripete anche
qui la combinazione di « progresso » nel
triplice senso: 1) di un mero « progredire » nella differenziazio- ne; 2) di una progressiva razionalità tecnica
dei mezzi; 3) di un incremento di
valore. In primo luogo un comportamento sog-
gettivamente « razionale » non è identico con un agire razional- mente « corretto », che impieghi cioè
oggettivamente mezzi cor- retti, in
conformità alla conoscenza scientifica. Ma esso di per sé significa soltanto che il proposito
soggettivo è diretto a un orientamento
ordinato in vista di mezzi ritenuti corretti per un dato scopo. Una progressiva razionalizzazione
soggettiva dell’a- gire non è quindi, di
necessità, anche oggettivamente un « pro-
gresso » nella direzione verso l’agire razionalmente « corretto ». La magia, per esempio, è stata
sistematicamente « raziona- lizzata » al
pari della fisica. La prima terapia deliberatamente «razionale » ha significato quasi ovunque un
disprezzo per la 9. Lelrbuch der
Geschichte der Philosophie, Frciburg, i.B., 4° cd. 1907, p. 8. 10. Op. cit., pp. 15-16. 11. Op. cit., p. 7. MAX WEBER 667
cura dei sintomi empirici con erbe e bevande provate solo empi- ricamente, a favore dello sforzo di scacciare
le « cause » (magi- che o demoniache) «
vere e proprie » della malattia. Essa aveva
perciò, formalmente, la medesima struttura razionale che rive- stono parecchi dei più importanti progressi
della terapia moder- na. Ma noi non
potremo valutare quelle terapie magiche di
sacerdoti come « progresso » verso un agire «corretto », in antitesi a quell'empiria. E d’altra parte non
ogni « progres- so» nella direzione
verso l’impiego dei mezzi «corretti» è
conseguito mediante un «progredire» nel primo senso, cioè nel senso soggettivamente razionale. Che un
agire più raziona- le soggettivamente
progressivo conduca a un agire oggettiva-
mente « più conforme allo scopo », è soltanto una tra più possi- bilità, e rappresenta un processo da
aspettarsi con una (diversa- mente
grande) probabilità. Se però nel caso specifico è corretta la proposizione la quale asserisce che la
regola x è il mezzo (possiamo assumere
il solo) per raggiungere l’effetto y — ciò
che costituisce una questione empirica, poiché si tratta della semplice inversione della proposizione
causale: a x segue y — e se ora questa
proposizione viene consapevolmente assunta da
certi uomini per l'orientamento del proprio agire in vista del- l’effetto y — il che è pure determinabile
empiricamente — 4/lo- ra il loro agire
risulta orientato in modo « tecnicamente corret- to ». Se l’atteggiamento umano (di qualsiasi
specie) è orientato in qualche punto
particolare in modo tecnicamente « più corret-
to» di prima, ha luogo un « progresso tecnico ». Se questo sia il caso, è — naturalmente presupponendo
sempre l’assoluta uni- vocità dello
scopo che viene stabilito — una determinazione
che una disciplina empirica deve compiere di fatto con i mezzi dell’esperienza scientifica, ossia una
questione empirica. Vi sono quindi, in
questo senso — ben inteso, dato un certo
scopo 4nivoco — concetti univocamente determinabili di corret- tezza «tecnica», e di progresso «tecnico» nei
mezzi (dove qui « tecnica » viene intesa
nel suo senso più ampio, cioè come
comportamento razionale valido in tutti i campi, anche in quel- È, della manipolazione e del dominio
politico, sociale, educati- o,
propagandistico sulle masse). Si può in particolare (per accennare soltanto alle cose che ci toccano
da vicino) parlare in maniera abbastanza
univoca di « progresso » nel campo specifi
668 MAX WEBER co chiamato di
solito «tecnica», al pari però che nel campo
della tecnica commerciale o anche di quella giuridica, se si assume qui come punto di partenza uno stato
univocamente determinato di una
formazione concreta. Approssimativamen-
te, infatti, i singoli princìpi tecnicamente razionali, come ogni esperto sa, entrano tra loro in conflitto, e
tra di essi si può trovare sì un
equilibrio da qualche punto di vista di coloro che vi sono concretamente interessati, ma non mai
in maniera «oggettiva». E assumendo dati
bisogni, stabilendo inoltre che tutti
questi bisogni in quanto tali, nonché la valutazione della loro importanza soggettiva, debbano essere
sostrazti alla criti- ca, infine
presupponendo una data maniera di ordinamento
economico — di nuovo con la riserva che per esempio gli interessi alla durata, alla sicurezza e alla
fecondità del soddisfa- cimento di
questi bisogni possono entrare, ed entrano, in con- flitto — c'è anche un progresso «economico »
verso un opti- mum relativo di copertura
del fabbisogno nel caso di date
possibilità di mezzi disponibili. Ma c’è soltanto in base a que- sti presupposti e a queste limitazioni. È stato fatto il tentativo di derivare da ciò
la possibilità di valutazioni univoche,
e perciò puramente economiche. Un
esempio caratteristico in merito è il caso, citato dal prof. Lief- mann ", della distruzione di proposito
dei beni di consumo scesi al di sotto
del prezzo di costo, nell’interesse della redditivi- tà dei produttori. Questa distruzione
dovrebbe essere valutata anche come oggettivamente
« corretta dal punto di vista econo-
mico ». Ma tale illustrazione e tutte le altre simili — questo è quanto ci interessa — assumono come evidenti
una serie di presupposti che non lo
sono; assumono cioè non soltanto che
l'interesse dell'individuo vada oltre la sua morte, ma anche che esso deve valere come tale, una volta per
sempre. Senza questa trasposizione
dall’« essere » al « dover essere » la valuta-
zione in questione, che si pretende puramente economica, non potrebbe venir effettuata univocamente.
Poiché senza di essa, per esempio, non si può parlare degli interessi dei «
produtto- ri» e dei «consumatori» come di interessi di persone che si 12.
Robert Liefmann {1874-1941), economista tedesco, autore dell’opera Die Un-
ternchmungsformen (1912) e di altri scritti. MAX WEBER 669 perpetuano. Che
l'individuo prenda in considerazione gli inte-
ressi dei suoi eredi, non è però più una circostanza puramente economica. Agli uomini viventi vengono qui
sostituiti piuttosto degli interessati,
i quali utilizzano il « capitale » nelle loro «im- prese » ed esistono per queste imprese. Ciò
costituisce una fin- zione utile per
scopi teorici; ma anche come finzione non si
adatta alla situazione dei lavoratori, e in particolare di quelli senza figli. In secondo luogo essa ignora il
fatto della « situazio- ne di classe »
la quale, sotto il dominio del principio di merca- to, può assolutamente peggiorare (non che
debba necessariamen- te), non già
nonostante ma proprio ir conseguenza della distri- buzione « ottima » di capitale e lavoro nei
diversi rami produtti- vi — ottima in
quanto valutata dal punto di vista della redditi- vità — il rifornimento di beni per certi
strati di consumatori. Infatti quella
distribuzione « ottima » della redditività, che con- diziona la costanza dell’investimento di capitale,
dipende a sua volta dalle costellazioni
di forze esistenti tra le classi, le cui
conseguenze possono nel caso concreto (non già che debbano ne- cessariamente) indebolire la posizione di
quegli strati nella lot- ta per i
prezzi. In terzo luogo essa ignora la possibilità di durevoli antitesi di interessi, prive di
possibilità di composizio- ne, tra i
membri di diverse unità politiche; e quindi prende partito 4 priori per l’« argomento della
libertà di commercio », che si tramuta
così, da mezzo euristico estremamente utile, in
una «valutazione » tutt'altro che evidente, appena da esso si traggano postulati concernenti il dover
essere. Quando però, per uscire da
questo conflitto, essa presuppone l’unità politica dell'economia mondiale (il che teoricamente è
senz'altro per- messo), allora
l’ineliminabile possibilità della critica che suscita la distruzione di quei beni consumabili
nell'interesse dell’opti- mum di
redditività permanente (dei prodotti e dei consumato- ri) offerta dai rapporti esistenti — quale
viene qui presupposto — si sposta
semplicemente nella sua ampiezza. La critica si
dirige cioè contro l’intero principio del rifornimento del merca- to in base a tali direttive, risultanti
dall’optimum di redditi- vità,
esprimibile in denaro, di singole economie in rapporto di scambio — si dirige contro il principio în
quanto tale. Un'orga- nizzazione di
rifornimento dei beni, non organizzata in forma
di mercato, non avrebbe alcun motivo per tener conto della 670 MAX WEBER
costellazione di interessi economici individuali data in base al principio di mercato, e perciò non sarebbe
neppur costretta a sottrarre al consumo
quei beni già esistenti. Soltanto se si
presuppongono le seguenti condizioni: 1) esclu-
sivi interessi di redditività permanenti, di persone concepite come costanti e con bisogni anch'essi
concepiti come costanti per lo scopo; 2)
esclusivo dominio dell’organizzazione di rifor-
nimento dei beni fondata sul capitale privato, mediante uno scambio di mercato completamente libero; 3)
una potenza stata- le non interessata
come mero garante giuridico — soltanto a
queste condizioni la concezione del prof. Liefmann risulta cor- retta anche solo dal punto di vista teorico,
e perciò giusta in maniera ovvia.
Infatti la valutazione concerne allora i mezzi
razionali per la migliore soluzione di un problema tecnico par- ticolare di distribuzione dei beni. Le
finzioni dell’economia pura, utili a
scopi teorici, non possono però essere trasformate in base di valutazioni pratiche di fatti
reali. Rimane stabilito che la teoria
economica non può asserire assolutamente nient’al- tro che questo: per il dato scopo tecnico x
la regola y è il solo mezzo appropriato,
oppure lo è insieme a yy e a y, — e nell’ulti-
mo caso tra y, yi e y. vi sono differenze del modo di operare ed eventualmente di razionalità; la loro
applicazione e il conse- guimento dello
scopo x obbligano a tener conto delle « conse-
guenze concomitanti » 2, z, e 2. Tutto ciò è il risultato di semplici inversioni di proposizioni causali;
e nella misura in cui si possono
riferire ad esse delle « valutazioni », queste risul- tano esclusivamente valutazioni del grado di
razionalità di un’a- zione prospettata.
Le valutazioni sono univoche soltanto quan-
do lo scopo economico e le condizioni di struttura sociale ap- paiono date, quando si tratta soltanto di
scegliere tra diversi mezzi economici, e
quando questi sono diversi soltanto in riferi-
mento alla sicurezza, alla rapidità e alla produttività quantitati- va dell'effetto, ma funzionano in maniera del
tutto identica sotto ogni altro rispetto
che possa risultare importante per gli
interessi umani. Soltanto allora un mezzo deve essere anche valutato incondizionatamente come quello
«tecnicamente più corretto », e questa
valutazione risulta univoca. In ogni altro
caso, che non sia puramente tecnico, la valutazione cessa di MAX WEBER 671
essere univoca, e si presentano valutazioni che non possono venir determinate su base puramente
economica. Ma con la determinazione
dell’univocità di una valutazione
tecnica entro la sfera puramente economica z0n si perviene, naturalmente, a una univocità della «
valutazione » definitiva. Piuttosto, al
di là di queste discussioni comincerebbe il turbine della infinita molteplicità di possibili
valutazioni, che possono venir
controllate soltanto riportandole ad assiomi ultimi. Infatti — per menzionare una cosa soltanto — dietro
l’«azione» sta l’uomo, per il quale il
progredire della razionalità soggettiva e
della «correttezza» tecnico-oggettiva dell'agire in quanto tale può valere, al di sopra di un certo grado — e
anzi, in base a certe concezioni, in
maniera del tutto generale — come un
pericolo a cui vengono esposti i beni importanti (ad esempio quelli etici o religiosi). Difficilmente
qualcuno di noi condivide- rà l’etica
(estrema) buddistica, che respinge ogni azione diretta a uno scopo perché essa è tale, cioè in
quanto allontana dalla redenzione. Ma
«confutarla », nel senso in cui si confuta un
falso esempio aritmetico oppure un’errata diagnosi medica, è semplicemente impossibile. Pur senza
ricorrere a esempi così estremi, è però
agevole comprendere che i processi di raziona-
lizzazione economica, per quanto senza dubbio « tecnicamente corretti», non sono in nessuna maniera
legittimati di fronte al foro della
valutazione per questa loro qualità. Ciò vale per tutti i processi di razionalizzazione,
nessuno escluso, compren- dendovi pure
campi in apparenza puramente tecnici come quel-
li della banca. Coloro che si oppongono a tali processi di razionalizzazione non sono affatto
necessariamente dei pazzi. Piuttosto,
ogni qual volta si voglia valutare, si deve pren- dere in considerazione l’influenza dei
processi di razionalizza- zione tecnica
sulla modificazione dell’insieme delle condizioni di vita, esterne e interne. Sempre, e senza
eccezione, il con- cetto di progresso
legittimo nelle nostre discipline riguarda l’a-
spetto « tecnico », il che vuol dire — come si è accennato — il «mezzo» necessario per uno scopo dato
univocamente. Mai esso si innalza alla
sfera delle valutazioni « ultime ». Dopo
quanto si è detto, io ritengo l’impiego del termine « progresso » di per sé inopportuno anche nel
campo limitato della sua applicabilità
empiricamente incontestabile. Ma non è
672 MAX WEBER mai possibile
proibire ad alcuno l’uso di un termine; sono
soltanto da evitare i possibili fraintendimenti. Rimane ora da discutere, prima di giungere
alla fine, un ultimo gruppo di problemi
concernenti la posizione dell’ele- mento
razionale entro le discipline empiriche.
Quando ciò che è normativamente valido diventa oggetto di indagine empirica, allora perde, in quanto
oggetto, il suo carat- tere di norma;
esso viene considerato come «esistente », non
come « valido ». Per esempio, qualora la statistica volesse
stabili- re il numero degli «errori
aritmetici» entro una determinata sfera
di calcolo professionale — il che potrebbe pur avere un senso scientifico — i princìpi fondamentali
della tavola pitagori- ca «varrebbero »
per essa in due sensi del tutto diversi. Per
un verso la loro validità normativa è naturalmente il presuppo- sto assoluto del suo proprio lavoro di calcolo.
Ma per un altro verso, per cui si indaga
il grado di applicazione «corretta » della tavola pitagorica in quanto oggetto
dell'indagine, le cose stanno, considerate logicamente, in maniera del tutto
diversa. Qui l’applicazione della tavola pitagorica da parte di quelle persone,
i cui calcoli sono oggetto di analisi statistica, viene studiata come una
massima effettiva di comportamento, divenu-
ta loro abituale mediante l’educazione; e si deve pertanto stabi- lire la frequenza della sua applicazione di
fatto, proprio come possono essere
oggetto di determinazione statistica certi fenome- ni di pazzia. Che la tavola pitagorica «
valga » normativamen- te, sia cioè
«corretta », non è oggetto di discussione in questo caso, in cui l’« oggetto » è invece la sua
applicazione; ed è anzi logicamente del
tutto indifferente. Lo statistico, nel corso della sua analisi statistica dei calcoli delle
persone su cui indaga, deve da parte sua
naturalmente adeguarsi a questa convenzio-
ne, di calcolare « secondo la tavola pitagorica ». Ma egli dovreb- be parimenti impiegare un procedimento di
calcolo « falso », quale risulta se
valutato normativamente, nel caso in cui esso
fosse stato ritenuto «corretto» in un gruppo umano ed egli dovesse indagare statisticamente la frequenza
della sua applica- zione di fatto, che
appariva «corretta » dal punto di vista di
quel gruppo. Per ogni considerazione empirica, sociologica o storica, la nostra tavola pitagorica, nel
caso in cui si presenti come oggetto
dell'indagine, è una massima di comportamento
MAX WEBER 673 pratico valida
convenzionalmente in un gruppo umano, e segui-
ta con maggiore o minore approssimazione, e nient'altro. Ogni esposizione della dottrina pitagorica della
musica deve anzitut- to assumere il
calcolo « falso » — per il nostro sapere — che 12 quinte siano eguali a 7 ottave. Così pure
ogni storia della logi- ca deve assumere
l’esistenza storica di asserzioni logiche (per
noi) contraddittorie — ed è umanamente comprensibile, ma non rientra tuttavia nel compito di un'analisi
scientifica, che si possa accompagnare
tali « assurdità » con esplosioni di sdegno,
come ha fatto uno storico assai eminente della logica medieva- le 13
Questa metamorfosi di verità normativamente valide in opi- nioni valide convenzionalmente, alla quale
sottostanno intere for- mazioni
spirituali, anche i princìpi logici o matematici — me- tamorfosi che ha luogo quando tali verità
diventano oggetto di una considerazione
che si riferisce al loro essere empirico, e
non già al loro senso (normativamente) corretto — avviene in maniera del tutto indipendente dalla
circostanza che la validità normativa
delle verità logiche e matematiche costituisce d’altra parte l’a priori di ogni scienza empirica.
Meno semplice è la loro struttura logica
nel caso di quella funzione già prima
accennata, che loro spetta nell'indagine empirica di connessioni spirituali, e che deve di nuovo essere
distinta con cura dalle altre due — cioè
dalla loro posizione come oggetto di ricerca e
dalla loro posizione come 4 priori della ricerca. Ogni scienza di connessioni spirituali o sociali
costituisce una scienza del
comportamento «ma7z0 (facendo rientrare nell’ambito di tale concetto, in questo caso, ogni atto
spirituale e ogni abito psichi- co).
Essa vuole « intendere » questo comportamento e per que- sta via « interpretare esplicativamente » il
suo corso. Non possia- mo qui trattare
il difficile concetto di «intendere»; a noi
interessa, in questo contesto, soltanto una sua specie particola- re, cioè l'interpretazione « razionale ». Noi
«intendiamo » ov- viamente senz’altro
che un pensatore « risolva » un determinato
« problema » nel modo che noi stessi riteniamo normativamen- te «corretto », che per esempio un uomo
calcoli in maniera 13. Weber allude qui
alla Geschichte der Logik im Abendland di Karl Prand, Leipzig, 1855-70. 43. STORiCISMO TEDESCO. 674 MAX WEBER
«corretta» o che impieghi per uno scopo che si propone i mezzi — a nostro parere — « corretti ». E la
nostra comprensio- ne di questi processi
è quindi particolarmente evidente, poiché
si tratta appunto della realizzazione di ciò che è oggettivamen- te « valido ». E tuttavia ci si deve guardare
dal credere che in questo caso ciò che è
normativamente corretto appaia, dal pun-
to di vista logico, nella medesima struttura che riveste nella sua posizione generale come 4 priori di ogni
indagine scientifi- ca. Piuttosto la sua
funzione come mezzo dell’«intendere » è
precisamente la stessa che la « penetrazione simpatetica » pura- mente psicologica compie nelle connessioni
logicamente i irrazio- nali dei
sentimenti e degli affetti, allorché si tratta di conoscer- le attraverso la comprensione. Non già la
correttezza normati- va, bensì da una
parte le abitudini convenzionali del ricer-
catore e del docente a pensare così e non altrimenti, dall’altra però anche, nel caso in cui sia richiesta, la
sua capacità di poter « penetrare
simpateticamente », a scopo di comprensione,
in un pensiero che si discosta da quel modo, e che gli appare quindi normativamente « falso » secondo le
sue abitudini, rap- presentano qui il
mezzo della spiegazione comprendente. Già il
fatto che il pensiero «falso», cioè l’«errore », sia in linea di principio accessibile alla comprensione al
pari del pensiero «corretto », dimostra
infatti che ciò che vale come normativa-
mente «corretto» viene qui considerato non 12 quanto tale, ma soltanto come un tipo convenzionale, assai
facilmente intel- ligibile. Ciò conduce
ora a un'ultima constatazione sulla funzio-
ne di ciò che è normativamente corretto nell’ambito della cono- scenza sociologica. Già allo scopo di «intendere » un calcolo,
oppure un’asser- zione logica «falsa», e
di stabilire e di rappresentare il suo
influire in quelle conseguenze di fatto che ha avuto, si dovrà ovviamente non soltanto provarlo calcolando «
correttamente », oppure pensando
logicamente in maniera corretta, ma anche
indicare esplicitamente, con i mezzi del calcolo «corretto » o della logica « corretta », quel punto in cui
il calcolo o l’asserzio- ne logica in
esame diverge da ciò che l’autore considera da
parte sua come normativamente «corretto ». E ciò non di neces- sità soltanto per quello scopo
pratico-pedagogico, che per esem- pio
Windelband pone in primo piano nell’Introduzione alla MAX WEBER 675
sua Geschichte der Philosophie" (stabilire « tavole di ammoni- mento » contro « vie errate »), e che
costituisce soltanto un’au- spicabile
prodotto secondario del lavoro storico. E ciò neppure perché ogni problematica storiografica, nel
cui oggetto rientri no conoscenze
logiche o matematiche o scientifiche di altro
genere, debba inevitabilmente avere a propria base come unica possibile relazione di valore ultima,
decisiva per la selezione, soltanto il
«valore di verità» da noi riconosciuto valido, e quindi il « progresso » in direzione di
questo; sebbene poi, se questo fosse
effettivamente il caso, rimarrebbe da tener presente la circostanza sovente constatata da
Windelband, che il « pro- gresso » in
questo senso ha varie volte imboccato, invece della strada diretta, quella che — in termini
economici — si può dire la «deviazione
più redditizia » attraverso «errori», cioè
attraverso confusioni di problemi. Ciò accade invece perché (anzi solo in quanto) quei punti in cui la
formazione spiritua- le, indagata come
oggetto, diverge da ciò che l’autore deve
ritenere «corretto », diventeranno di regola per lui importanti — vale a dire specificamente «caratteristici»
ai suoi occhi, e quindi, dal suo punto
di vista, o riferiti direttamente ai valori
oppure legati in rapporto causale con altri aspetti riferiti ai valori. Ciò avverrà normalmente quanto più il
valore di verità di certi princìpi è il
valore direttivo di un'esposizione storica,
particolarmente della storia di una determinata « scienza » (per esempio della filosofia o dell’economia
politica teorica). Ma que- sto non è
affatto il caso esclusivo. Una situazione almeno analo- ga sì presenta ovunque un agire
soggettivamente razionale, secondo il suo proposito, forma in genere l’oggetto
di una rappresentazione, e ovunque «errori di pensiero » o «errori di calcolo »
possono costituire delle componenti causali del corso dell’agire. Per
«intendere » per esempio la condotta di una guerra si dovrà inevitabilmente
immaginare da entrambe le parti —
sebbene non necessariamente in forma esplicita o detta- gliata — un ideale comandante supremo, al
quale sia nota la situazione generale e
la dislocazione delle forze militari con-
trapposte, e siano pure note e continuamente presenti le possibi- lità che ne derivano di conseguire il fine,
in concreto univoca- 14. Op. ait., p.
tr. 676 MAX WEBER mente determinato, della distruzione della
potenza militare av- versaria — e che in
base a questa conoscenza abbia agito senza
errori, e anche « senza sbagliare » logicamente. Soltanto allora si può stabilire con precisione quale
influenza ha avuto sull’an- damento
delle cose la circostanza che i comandanti reali non abbiano posseduto né quella conoscenza né
questa immunità dagli errori, e non
siano stati in genere delle macchine per
pensare razionali. La costruzione razionale ha qui pertanto il valore di servire come mezzo di corretta «
imputazione » causa- le. Il medesimo
senso hanno quelle costruzioni utopiche di un
agire razionale rigoroso e privo di errori, che crea la teoria economica « pura ». Allo scopo dell’imputazione causale di
processi empirici noi abbiamo bisogno
appunto di costruzioni razionali, tecnico-empi-
riche o anche logiche, le quali rispondano a questa questione: come, nel caso di una « correttezza » e «
non-contraddittorietà » assolutamente
razionale, sia empiricamente sia logicamente, po- trebbe configurarsi (oppure essersi
configurata) una certa circo- stanza,
che rappresenta o una connessione esterna dell’agire o an- che una formazione concettuale (per esempio
un sistema filosofi co). Considerata dal
punto di vista logico, la costruzione di una
siffatta utopia razionalmente «corretta» è però soltanto una delle diverse formazioni possibili di un «
tipo ideale » — come ho definito (in una
terminologia per me preferibile a ogni altra
espressione) tali costrutti concettuali. Infatti non soltanto è pos- sibile concepire, come si è detto, dei casi
in cui una conclusione
caratteristicamente fa/sa oppure un determinato atteggiamento tipico contrario allo scopo possono rendere,
come tipo ideale, un migliore servizio;
ma soprattutto vi sono intere sfere di
atteggiamento (le sfere dell’« irrazionale »), nelle quali può meglio servire a tale proposito non già il
massimo di razionali- tà logica, bensì
semplicemente una univocità conseguita me-
diante l’astrazione isolante. Di fatto il ricercatore impiega assai spesso dei «tipi ideali » costruiti in
maniera normativamente «corretta ».
Considerata logicamente, però, la «correttezza»
normativa di questi tipi non è cosa essenziale. Ma un ricercato- re può, per caratterizzare per esempio una
forma specifica di coscienza tipica agli
uomini di un’epoca, costruire sia un tipo
di coscienza che gli appare personalmente conforme alla norma MAX WEBER 677
sotto il profilo etico, e quindi in tal senso oggettivamente « cor- retta », sia un tipo che gli appare invece
eticamente opposto al- la norma — per
comparare con esso l'atteggiamento degli uomi-
ni sui quali sta indagando — oppure può infine costruire anche un tipo di coscienza a cui egli personalmente
non attribuisce nes- sun predicato
positivo o negativo di qualsiasi specie. Ciò che è normativamente « corretto » non ha nessun
monopolio per que- sto scopo. Infatti,
quale che sia il contenuto di un tipo ideale ra- zionale — sia che esso rappresenti una norma
di fede etica, giuri- dica, estetica o
religiosa, oppure una massima di politica giuridi- ca o sociale o culturale, oppure una «
valutazione » di qualsiasi specie
espressa nella forma il più possibile razionale — la sua co- struzione ha sempre, nell’ambito delle
indagini empiriche, soltan- to lo scopo
di « comparare » con esso la realtà empirica, e di sta- bilire il suo contrasto o la sua lontananza
da essa oppure il suo relativo
accostarsi ad essa, per poterla descrivere e intendere mediante l'imputazione causale e quindi
spiegarla, facendo uso di concetti
intelligibili 11 più possibile univocamente. Queste funzioni esplica, per esempio, l’elaborazione
concettuale della dogmatica giuridica
per la disciplina empirica della storia del
diritto, e così pure la dottrina del calcolo razionale per l’ana- lisi dell’atteggiamento reale delle singole
economie nell’econo- mia acquisitiva.
Entrambe le discipline dogmatiche ora citate
hanno naturalmente inoltre, in quanto «dottrine tecniche », scopi eminentemente pratico-normativi. Ed
entrambe sono, in tale loro qualità di
scienze dogmatiche, così poco empiriche
nel senso qui discusso come possono esserlo la matematica o la logica, l’etica normativa o l’estetica, da
cui del resto esse differi- scono, per
altri motivi, tanto quanto queste sono anche diverse tra loro.
La teoria economica, infine, è ovviamente una dogmatica in senso logicamente assai diverso da quello,
per esempio, della dogmatica giuridica.
I suoi concetti si riferiscono alla
realtà economica in maniera specificamente diversa da quel- la in cui i concetti della dogmatica
giuridica si riferiscono alla realtà
dell’oggetto della storia o della sociologia del diritto. Ma, come i concetti dogmatici della scienza
giuridica possono e debbono venir
impiegati da queste ultime come «tipi ideali »,
così questa specie di impiego per la conoscenza della realtà 678 MAX WEBER
sociale presente e passata costituisce addirittura il senso
esclusi- vo della teoria economica pura.
Essa formula determinati pre- supposti,
che nella realtà non si trovano quasi mai attuati in forma pura, ma che si riferiscono ad essa con
un diverso grado di approssimazione,
chiedendosi come in base ad essi verrebbe a
configurarsi l’agire sociale degli uomini, qualora esso procedes- se in maniera strettamente razionale. Essa
assume, in particola- re, il predominio
di puri interessi economici ed esclude quindi
l'influenza di orientamenti politici o di altra specie non econo- mica.
In essa ha però avuto luogo il tipico procedere di una « con- fusione di problemi ». Infatti quella pura
teoria « non-statale », «amorale »,
«individualistica », che è stata e sarà sempre indi- spensabile come strumento metodico, è stata
concepita dalla scuola liberistica
radicale come una copia esauriente della
realtà « naturale», cioè della realtà che non è stata falsata dalla stupidità umana, e inoltre, in base a
ciò, come un « do- ver essere» — come un
ideale valido nella sfera normativa, che
si poneva al posto di un tipo ideale utilizzabile per la ricerca empirica intorno a ciò che è. Allorché i
mutamenti di valutazio- ne dello stato,
prodottisi nella politica economica e sociale,
provocarono una ripercussione nella sfera valutativa, questa ri- percussione colpì di nuovo la sfera
dell’essere; di modo che la teoria
economica pura fu rigettata non soltanto come espressio- ne di un ideale — sebbene essa non avesse mai
potuto pretende- re tale dignità — ma
anche come metodo per la ricerca sulla
realtà di fatto. Considerazioni « filosofiche » di specie più diver- sa dovevano sostituire la pragmatica
razionale; e l’identificazio- ne di ciò
che è « psicologicamente » con ciò che vale eticamente rendeva ineseguibile una precisa distinzione
della sfera della valutazione dal lavoro
empirico. Le straordinarie prestazioni
degli esponenti di questo sviluppo scientifico nel settore storico o sociologico o politico-sociale sono ormai
universalmente rico- nosciute; ma chi
giudichi in maniera impregiudicata deve pur
riconoscere la completa caduta, durata per decenni, del lavoro teorico e in genere di una rigorosa scienza
economica, che quella mescolanza di
problemi ha avuto per sua naturale conse-
guenza. Una delle due tesi principali, con cui lavoravano gli avversari della teoria pura, sosteneva che le
costruzioni raziona- MAX WEBER 679 li di questa fossero « pure finzioni », le
quali non asseriscono nulla sulla realtà
dei fatti. Correttamente intesa, questa afferma- zione è valida. Infatti le costruzioni
teoriche sono soltanto al servizio della
conoscenza della realtà — che da sole non posso- no fornire; e anche nel caso estremo questa
realtà, per la coope- razione di altre
circostanze e serie di motivi, non contenute nei loro presupposti, risulta
soltanto approssimata rispetto al corso così costruito. Ciò non dimostra
certamente nulla, secon- do quanto si è detto, contro l’utilità e la necessità
della teoria pura. La seconda tesi sosteneva che non potesse esserci in ogni
caso una dottrina avalutativa concernente la politica economi- ca, formulata scientificamente. Essa è
naturalmente del tutto falsa, tanto
falsa che proprio l’« avalutatività» — nel senso precedentemente illustrato — rappresenta il
presupposto di ogni considerazione
puramente scientifica della politica, in parti-
colare di quella sociale ed economica. Non occorre qui ripetere che è evidentemente possibile, e
scientificamente utile e necessa- rio,
formulare proposizioni di questo tipo: per conseguire l’ef- feto (politico-economico) x, y è il solo
mezzo, oppure — date le condizioni di,
52, d3 — Yi Y» yY: sono i soli mezzi, o i
mezzi più appropriati. E c’è soltanto bisogno di accennare che il problema consiste nella possibilità di
un'assoluta urivocità di designazione
dello scopo a cui si tende. Se questa ha luogo,
allora si tratta di una semplice inversione di proposizioni causa- li, e quindi di un problema puramente
«tecnico ». Proprio perciò la scienza
non è affatto costretta, in tutti questi casi, a concepire queste proposizioni teleologiche di
carattere tecnico diversamente che come
semplici proposizioni causali, cioè in
questa forma: a y segue sempre, oppure a Yi, Ya» 7: Se gue, nelle condizioni è;, 6, 6, l’effetto x.
Infatti ciò vuol dire precisamente la
stessa cosa, e l’uomo « pratico » può facil-
mente derivarne dei « precetti ». Ma la dottrina scientifica del- l'economia ha pure alcuni altri compiti,
accanto alla determina- zione di pure
formule tipico-ideali da un lato e dall'altro alla determinazione di tali connessioni economiche
particolari, di carattere causale —
poiché si tratta senza eccezione di connes-
sioni di questo genere, se x è abbastanza uzivoco, e se quindi l'imputazione dell’effetto alla causa, cioè
del mezzo allo scopo, dev'essere
abbastanza rigorosa. Esso deve inoltre indagare la 680 MAX WEBER
totalità dei fenomeni sociali nel modo in cui sono condizionati da cause economiche; e ciò mediante l’interpretazione
della storia e della società sotto il
profilo economico. E d'altra parte essa
deve pure determinare il condizionamento dei processi e delle forme di economia da parte dei fenomeni
sociali, secondo le loro diverse forme e
i loro diversi stadi di sviluppo; e ciò
mediante la storia economica e la sociologia dell'economia. En- tro questi fenomeni sociali rientrano
evidentemente, e certo in prima linea,
le azioni e le formazioni politiche, in particolare lo stato e il diritto garantito statalmente:
ma, è pure ovvio, non soltanto quelle
politiche — bensì la totalità di quelle forma-
zioni che influenzano l’economia, in «n grado abbastanza rile- vante per l'interesse scientifico. Indicare
l'insieme di questi pro- blemi come una
dottrina della « politica economica» sarebbe
naturalmente assai poco appropriato. L’uso che tuttavia se ne fa a tale scopo può soltanto venir spiegato
esteriormente in base al carattere delle
università come istituti educativi per
funzionari statali, e interiormente in base agli enormi strumen- ti che lo stato possiede per influire in modo
intensivo sulla vita economica, e quindi
in base all'importanza pratica della sua
considerazione. Non occorre constatare di nuovo che in tutte queste indagini è sempre possibile invertire
le asserzioni sul rapporto « causa-effetto
» in asserzioni sul rapporto « mezzo-sco-
po », quando la conseguenza in questione può essere stabilita con sufficiente univocità. In tale maniera il
rapporto logico tra sfera della
valutazione e sfera della conoscenza empirica non risulta naturalmente affatto mutato. E solo
più a una cosa rimane, al termine di
questa analisi, da accennare. Lo
sviluppo degli ultimi decenni, e specialmente gli avveni- menti senza precedenti di cui siamo oggi
testimoni, hanno potentemente accresciuto
il prestigio dello stato. Ad esso soltan-
to, tra tutte le comunità sociali, viene oggi attribuita una forza «legittima » sulla vita, la morte e la
libertà; e i suoi organi ne fanno uso,
in guerra contro i nemici esterni, in pace e in
guerra contro gli oppositori interni. Esso è in pace il maggiore imprenditore economico e il più potente
esattore di tributi dei cittadini; in
guerra dispone nella maniera più illimitata di
tutti i beni economici che gli sono accessibili. La sua moderna forma razionale di organizzazione ha reso
possibile, in numero- MAX WEBER 681 si settori, compiti che senza dubbio nessun
agire associato di altra specie avrebbe
potuto eseguire, neppure in modo approssi-
mato. Non poteva non accadere che da ciò si traesse la conse- guenza che lo stato deve anche essere —
soprattutto nelle valu- tazioni che si
muovono entro il campo della « politica » — il
« valore » ultimo, e che ogni agire sociale deve, in ultima anali- si, venire commisurato ai suoi interessi di
esistenza. Solo che anche questo
processo costituisce una trasposizione, del tutto indebita, di fatti della sfera dell’essere in
norme della sfera della valutazione —
pur prescindendo qui dalla mancanza di
univocità delle conseguenze tratte da quella valutazione, come appare subito da ogni considerazione dei
«mezzi» (per la «conservazione » o
l’«incremento » dello «stato »). Entro la
sfera dei puri fatti oggettivi si deve far valere anzitutto, di fronte a quel prestigio, la constatazione che
lo stato 207 può certe cose. E ciò anche
nei campi che risultano i suoi domini
più propri, come in quello militare. L'osservazione di alcuni fenomeni che la guerra attuale ha reso
manifesti negli eserciti di stati
razionalmente eterogenei ci insegna che la libera dedi- zione dell'individuo al compito che il suo
stato rappresenta — una dedizione che lo
stato non può imporre — è tutt'altro che
indifferente per il successo militare. E per il campo economico basta accennare che la trasposizione di forme
e di principi dell’economia bellica in
forma di fenomeni permanenti di pace
potrebbe rapidamente avere conseguenze che condurrebbero in rovina, proprio per i suoi sostenitori,
l'ideale di uno stato espan- sivo. Su
questo, tuttavia, non occorre soffermarci più a lungo. Nella sfera della valutazione è però
possibile sostenere, in ma- niera
pienamente dotata di senso, il punto di vista che vorrebbe veder rafforzata il più possibile la potenza
dello stato come mezzo coercitivo contro
ogni resistenza, ma che d'altra parte
gli nega qualsiasi valore proprio e lo qualifica come un mero strumento tecnico per la realizzazione di
valori del tutto diver- si, dai quali
soltanto esso potrebbe prendere in prestito la sua dignità e mantenerla anche solo finché non
cercasse di spogliar- si di questo suo
compito ausiliario. Naturalmente qui non
si deve né svolgere né sostenere que-
sto o qualsiasi altro possibile punto di vista valutativo. Si deve però soltanto ricordare che, se ce n'è
qualcuna, l'obbligazione 682 MAX WEBER più particolarmente appropriata a «
pensatori» di professione consiste nel
mantenere di fronte agli ideali dominanti al mo- mento, anche di fronte ai più forniti di
maestà, una mente fredda, nel senso di
rimanere personalmente capace di « nuota-
re contro la corrente ». Le «idee tedesche del 1914 » furono un prodotto da letterati”. Il socialismo del
futuro è una frase per la
razionalizzazione dell'economia, da attuarsi mediante una combinazione di burocratizzazione ulteriore e
di amministrazio- ne da parte di un
gruppo organizzato di individui interessati.
Quanto il fanatismo dei patrioti di ufficio della politica econo- mica invoca per queste misure puramente
tecniche, in luogo di una discussione
oggettiva della loro opportunità, in buona par-
te condizionata semplicemente dalla politica finanziaria, la consacrazione non soltanto della filosofia
tedesca ma anche del- la religione —
come oggi avviene in ampie proporzioni — ciò
non rappresenta altro che una ripugnante degenerazione di gusto di letterati che si reputano
importanti. Come possano 0 debbano
apparire le reali «idee tedesche del 1918», alla cui elaborazione avranno parte anche i reduci
dalla guerra, nessu- no può oggi ben
prevedere. Ma da queste dipenderà appunto il
futuro. 15. Weber si riferisce
qui al manifesto nazional-socialista pubblicato nel 1916 dal sociologo tedesco Johann Plenge, col
titolo 1789 und 1914: die symbolische
Jahre in der Geschichte des politischen Geistes, nel quale le «idee
tedesche del 1914 » erano contrapposte
ai princìpi della Rivoluzione francese.
LA SCIENZA COME PROFESSIONE * Per
assecondare il vostro desiderio, dovrò parlare della « scien- za come professione ». Ebbene, è una specie
di pedanteria di noi economisti, alla
quale voglio attenermi, quella di prender
sempre le mosse dalla situazione esteriore, e quindi, nel caso nostro, dalla domanda: come si configura la
scienza come pro- fessione nel senso
materiale della parola? E questo, in so-
stanza, oggi praticamente significa: qual è la situazione di un laureato che abbia deciso di dedicarsi per
professione alla scien- za nell’ambito
della vita accademica? Per comprendere in che
cosa consista su questo punto la particolarità della situazione tedesca, è opportuno procedere
comparativamente, rendendoci conto di
come stiano le cose nel paese straniero che sotto questo aspetto presenta la più recisa
antitesi con le nostre condi- zioni, e
cioè negli Stati Uniti. Da noi — come
tutti sanno — un giovane che si dedichi
alla scienza come professione, inizia normalmente la sua carrie- ra come « libero docente ». Dopo essersi
consultato col professo- re titolare
della materia e averne avuto l'approvazione, egli consegue l’abilitazione in una università, in
base a un libro e a un esame, per lo più
semplicemente formale, da parte della
facoltà, dopo di che tiene lezioni — senza stipendio, compensa- to soltanto mediante le tasse d'iscrizione al
suo corso — intor- no all'argomento da
lui scelto entro i limiti della sua verza
* Wissenschaft als Beruf (conferenza tenuta all’Università di Monaco,
1919), raccolto nel volume Gesammelte
Aufsitze zur Wissenschaftslehre, Tiibingen, J. C. B. Mohr, 1922, 4* ed. (a cura di Johannes
Winckelmann) 1973, pp. 582-613 (La scienza
come professione, tr. it. di Antonio Giolitti, in Il lavoro
intellettuale come pro- fessione,
Torino, Einaudi, 1948, pp. 41-77). 684
MAX WEBER legendi. In America la
carriera universitaria comincia normal-
mente in modo del tutto diverso, e cioè con l'assunzione in qualità di « assistente»: qualcosa di simile
a quel che avviene di solito nei nostri
grandi istituti delle facoltà di scienze natura- li e di medicina, dove è soltanto una
frazione degli assistenti ad aspirare —
spesso solo dopo parecchio tempo — alla formale
abilitazione a libero docente. La differenza significa praticamen- te che da noi la carriera di un uomo di
scienza poggia intera- mente su
presupposti plutocratici. Giacché, per un giovane stu- dioso privo di disponibilità patrimoniali, è
estremamente arri- schiato esporsi, in
linea generale, alle condizioni imposte dalla
carriera accademica. Egli deve poter tirare avanti almeno un certo numero di anni senza sapere in nessun
modo se avrà in seguito la possibilità
di riuscire a raggiungere una posizione
che gli permetta di provvedere al proprio mantenimento. Vice- versa, negli Stati Uniti vige il sistema
burocratico. Là il giova- ne è pagato
fin dall’inizio. Modestamente, si capisce: lo stipen- dio, il più delle volte, raggiunge appena il
livello del salario di un operaio a un
grado minimo di specializzazione. Tuttavia
egli comincia pur sempre con una posizione apparentemente sicura, giacché percepisce un compenso fisso.
Ma è previsto che possa essere
licenziato, come i nostri assistenti, e tale sorte lo attende spesso inesorabilmente se non
corrisponde alle aspet- tative che si
ripongono in lui. Tali aspettative però si limitano a che insegni ad «aula esaurita ». Ciò non
può capitare a un libero docente tedesco. Una volta che egli lo diventa, non ci
si libera più di lui. Certamente egli non ha «diritti». Tuttavia ha motivo di
pensare che, dopo un'attività di alcuni anni, gli spetti una specie di diritto
morale a esser preso in considerazio- ne: anche — e ciò è spesso importante —
quando si tratti dell’eventuale
abilitazione di altri liberi docenti. La questione se in linea di principio si debba dare
l’abilitazione a qualunque studioso di
provata capacità o se invece si debba tener conto dei «bisogni dell’insegnamento », attribuendo
così ai docenti già abilitati un
monopolio dell’insegnamento, è un penoso dilem-
ma connesso con quel doppio aspetto della professione universi- taria a cui ora accenneremo. Di solito, si
decide per la seconda alternativa. Ma ciò
aumenta il pericolo che il titolare della
materia în questione, nonostante la massima coscienziosità sog- MAX WEBER 685
gettiva, dia la preferenza ai propri scolari. Personalmente, io ho seguito il principio — sia detto di
passaggio — che uno studioso laureato
con me debba dar prova di sé e conseguire
l'abilitazione presso «n altro professore e in un’altra uni- versità. Ma il risultato fu che uno dei miei
più valenti allievi venne respinto
perché nessuno credette che tale fosse il motivo del suo trasferimento. Un'altra differenza rispetto all'America è
la seguente: da noi, il libero docente è
in generale meno occupato con le lezio-
ni di quanto egli stesso desidererebbe. Senza dubbio avrebbe il diritto di tenere tutte le lezioni della sua
materia. Ma ciò viene considerato una
sconveniente mancanza di riguardo verso
i docenti più anziani, e di regola le lezioni «importanti » sono tenute dal titolare della cattedra, mentre il
docente si acconten- ta di lezioni 4
latere. Egli ne trae il vantaggio, sia pure
involontariamente, di poter disporre degli anni della giovinez- za per il lavoro scientifico. Tutto ciò in America è organizzato in maniera
fondamental- mente diversa. Proprio nei
primi anni il docente è assolutamen- te
sovraccarico di lavoro, appunto perché è pagato. In un dipar- timento di germanistica, per esempio, il
professore ordinario terrà un corso di
tre ore settimanali su Goethe e basta, mentre
l'assistente più giovane sarà ben contento se con dodici ore settimanali, oltre all'insegnamento
elementare della lingua tede- sca, gli
verrà assegnato qualche altro argomento su un poeta della levatura di Uhland'. Infatti sono gli
organi ufficiali della facoltà a
prescrivere il programma di insegnamento, al
quale l’assistente americano è altrettanto vincolato quanto da noi l’assistente d’istituto. Possiamo ora vedere chiaramente come da noi
il più recen- te sviluppo
dell’organizzazione universitaria in vasti settori del- la scienza segua l'orientamento di quella
americana. I grandi istituti per gli
studi di medicina o di scienze naturali sono
imprese « capitalistiche di stato ». Non possono esser ammini- strati senza grandi mezzi. E anche lì si
verifica, come in ogni 1. Johann Ludwig
Uhland (1787-1862), poeta romantico tedesco, autore anche di drammi storici, di studi sull’antica letteratura
tedesca e di volumi sulla mito- logia
germanica: prese parte alla vita politica dell'età della Restaurazione,
aderendo a posizioni nazionali-liberali,
e nel 1848 fu membro dell'assemblea di Francoforte. 686 MAX WEBER
impresa capitalistica, la « separazione del lavoratore dai mezzi di produzione ». Il lavoratore, vale a dire
l’assistente, è ridotto a servirsi degli
strumenti che lo stato mette a sua disposizione; egli viene pertanto a dipendere dal direttore
d’istituto allo stes- so modo
dell’impiegato in una fabbrica — giacché quel diretto- re s'immagina, in perfetta buona fede, che
l'istituto sia «swo » e vi fa da padrone
— e la sua posizione è spesso altrettanto
precaria come quella di un qualsiasi « proletaroide » o di un assistente di università americana. La nostra vita universitaria tedesca va
americanizzandosi, come la nostra vita
in generale, in certi punti assai importanti,
e questo sviluppo — ne sono convinto — si estenderà in seguito anche a quei campi dove, come avviene ancor
oggi in larga misura nel mio, è
l’artigiano stesso a possedere lo strumento di
lavoro (essenzialmente la biblioteca), in modo del tutto analogo all’artigiano d’altri tempi nell’ambito del
suo mestiere. Il pro- cesso è in pieno
sviluppo. I vantaggi tecnici sono
assolutamente indiscutibili, come in
ogni azienda capitalistica e al tempo stesso burocratizzata. Ma lo « spirito» che vi domina è tutt'altro
dall’antica atmosfera tradizionale delle
università tedesche. C'è un abisso straordina-
riamente profondo, esteriormente e interiormente, tra il dirigen- te di una simile grande impresa capitalistica
universitaria e il solito professore
ordinario di vecchio stile: anche nell’atteggia- mento interiore. Non posso qui dilungarmi su
questo punto. Tanto all'interno quanto
all’esterno l'antico ordinamento uni-
versitario è diventato fittizio. Ma è rimasto, e anzi si è sostan- zialmente accentuato, un motivo
caratteristico della carriera
universitaria: il fatto che un simile libero docente, divenuto ormai un assistente, riesca finalmente a
insediarsi nella posizio- ne di
ordinario o di direttore d'istituto, costituisce un’opportu- nità che è un mero caso. Senza dubbio non
domina soltanto il caso, ma esso ha
tuttavia un'influenza straordinariamente gran-
de. Non conosco quasi altre carriere al mondo dove esso abbia una parte così grande. Tanto più sono in
grado di dirlo io che personalmente devo
ad alcune circostanze meramenti accidenta-
li di esser stato chiamato giovanissimo, ai miei tempi, alla cattedra di una materia nella quale allora
altri della mia età avevano senza dubbio
acquisito meriti maggiori dei miei. E in
MAX WEBER 687 base a questa
esperienza presumo di avere una vista più acuta
per scorgere l’immeritata sorte dei molti ai quali il caso ha giocato e ancora gioca il tiro opposto e che,
nonostante tutta la loro capacità, non
giungono attraverso quell’apparato seletti-
vo al posto che loro spetterebbe.
Che il caso e non la capacità in quanto tale abbia una parte così grande, non dipende soltanto, e nemmeno
prevalentemente, dalle debolezze umane
che naturalmente s'incontrano in questo
processo di selezione come in tutti gli altri. Sarebbe ingiusto attribuire a deficienze personali di facoltà
o di ministeri la responsabilità del
fatto che indubbiamente vi siano tante medio-
crità a esercitare una parte preponderante nelle università. Ciò fa parte delle leggi dell’agire in comune
degli uomini, e special- mente di più
organismi, cioè nel caso nostro delle facoltà propo- nenti e dei ministeri. Eccone una riprova:
possiamo seguire attraverso i secoli le
vicende delle elezioni papali, ossia il più
importante esempio che ci sia dato controllare di una selezione personale del medesimo tipo. Soltanto di rado
il cardinale di cui si dice che è il «
favorito » riesce eletto: di regola tocca al
candidato numero due o numero tre. La stessa cosa avviene col presidente degli Stati Uniti: per lo più è il
numero due e spesso il numero tre, e
solo eccezionalmente l’uomo più quota- to
ma anche più eminente, quello che entra nella nomination delle convenzioni di partito e quindi nel
processo elettorale. Gli Americani hanno
già creato espressioni sociologiche tecni-
che per queste categorie e sarebbe davvero interessante cercare in questi esempi le leggi di una selezione
mediante la formazio- ne di una volontà
collettiva. Non lo faremo ora. Ma esse valgo-
no anche per i corpi accademici, e c'è da meravigliarsi non già che ne scaturiscano frequenti errori, bensì
del numero pur sem- pre assai rilevante,
da un punto di vista relativo, delle nomine
giuste. Soltanto dove si ha l'intervento per motivi politici, di parlamenti — come in alcuni paesi — o, come
prima da noi, di monarchi (entrambi
operano allo stesso modo), oppure, come
adesso, di rivoluzionari impadronitisi del potere, si può esser certi che tutte le probabilità di successo
vanno soltanto alle accomodanti
mediocrità o agli arrivisti. Nessun
professore universitario ripensa volentieri alle discus- sioni per le nomine, perché di rado sono
piacevoli. Tuttavia 688 MAX WEBER posso affermare che in numerosissimi casi di
cui sono a cono- scenza, mai è mancata
la buona volontà di far dipendere la
decisione da motivi puramente oggettivi.
Bisogna infatti mettere in chiaro che non dipende soltanto dall’inadeguatezza della selezione in virtù
di formazione di una volontà collettiva
se nella decisione delle sorti accademi-
che ha tanta importanza il «caso ». Ogni giovane che senta la vocazione dello studioso deve piuttosto
rendersi ben conto che il compito a cui
si accinge presenta un duplice volto. Deve
avere non soltanto i requisiti dello studioso ma anche quelli dell'insegnante. Non è affatto detto che gli uni
e gli altri coincidano. Si può essere
uno studioso insigne e al tempo stesso
un pessimo maestro. Basta rammentare l’attività d’insegnamen- to di uomini come Helmholtz e come Ranke. E
non si tratta di eccezioni rare. Ma le
cose stanno ora in modo che le nostre
università, specialmente quelle piccole, si fanno la concorrenza più ridicola per le frequenze. Le
affittacamere delle città univer-
sitarie celebrano come una festa il millesimo studente, e il duemillesimo possibilmente con una
fiaccolata. Gli interessi di propina dei
singoli corsi — bisogna ammetterlo apertamente — risentono della nomina di un titolare « di
grido » in qualche cattedra affine, e
anche prescindendo da ciò il numero degli
uditori fornisce una tangibile testimonianza in cifre, mentre le qualità di dottrina sono imponderabili e spesso
(com'è del tutto naturale) addirittura
contestate nel caso di arditi innovatori.
Perciò nella maggior parte dei casi tutto soggiace a questa suggestione della benedizione e del valore
incommensurabili del numeroso uditorio.
Se di un docente si dice che è un
cattivo maestro, ciò equivale per lo più alla sua condanna a morte nel campo universitario, quand’anche si
tratti del primo dotto del mondo. Ma la
questione se egli sia un buono o un
cattivo maestro trova risposta nella frequenza di cui lo onora- no i signori studenti. Sta però di fatto che,
se gli studenti si affollano intorno a
un professore, ciò è determinato in larghissi-
ma misura da circostanze meramente esteriori, come il tempera- mento o perfino l’inflessione di voce — e ciò
a un punto tale che non si crederebbe
possibile. Dopo un'esperienza in ogni
modo abbastanza lunga e una fredda riflessione, ho concepito una profonda sfiducia verso i corsi
universitari di massa, per Max Weber nel
1919. MAX WEBER 689 quanto non si possa certo farne a meno. La
democrazia dev’es- sere applicata dove
si conviene. Ma l’insegnamento scientifico,
quale dobbiamo esercitarlo nelle università tedesche in confor- mità alla loro tradizione, è una faccenda —
non dissimuliamo- celo — di aristocrazia
dello spirito. D'altra parte è certamente
vero che saper esporre i problemi scientifici in modo da render- li accessibili a una mente incolta ma capace
d’intendere, e da metter questa in grado
di farsene un'idea propria — ciò che per
noi è l’unica cosa decisiva — costituisce forse il compito pedagogicamente più difficile. Senza dubbio:
ma non è il nu- mero degli uditori a
decidere se esso sia stato risolto. E quest’ar-
te costituisce appunto — per ritornare al nostro argomento — un dono personale e non coincide affatto
necessariamente con le qualità
scientifiche di uno studioso. A differenza dalla Fran- cia, però, noi non abbiamo alcuna
corporazione degli « immor- tali » della
scienza, ma per la nostra tradizione sono le universi- tà che devono soddisfare a entrambe le
esigenze: quella della ricerca e quella
dell’insegnamento. Ma è un puro caso che le
capacità necessarie a questo scopo si ritrovino tutte nello stesso individuo.
La vita accademica è quindi abbandonata al cieco caso. Quando dei giovani studiosi vengono a
chiedere consiglio per l'abilitazione,
la responsabilità che ci si assume accedendo alla richiesta è quasi intollerabile. Se si tratta
di un ebreo, gli si risponde,
naturalmente: «lasciate ogni speranza ». Ma anche a chiunque altro bisogna domandare, in
coscienza: credete di poter sopportare
di vedervi passare avanti, di anno in anno,
una mediocrità dietro l’altra, senza amareggiarvi e intristirvi l'animo? E ogni volta la risposta è
evidentemente la stessa: naturalmente,
io vivo solo per la mia «vocazione»; ma per
mio conto ho saputo solo di pochissimi che abbiano retto senza risentirne un danno interiore. Questo mi sembrava necesssario dire intorno
alle condizioni esteriori della
professione di studioso. Credo però che
voi vogliate in realtà sentir parlare di qual-
cosa d'altro, e precisamente della vocazione interiore alla scien- za. Al giorno d'oggi l’esercizio della
scienza come professione è condizionato,
sul piano interiore, dal fatto che la scienza è
pervenuta a uno stadio di specializzazione prima sconosciuto, e 44. STORICISMO TEDESCO. 690 MAX WEBER
tale rimarrà sempre in futuro. Non soltanto esteriormente, no certo, ma proprio interiormente, le cose
stanno in modo che soltanto nel caso di
un’estrema specializzazione l’individuo
può avere sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente perfetto nel campo scientifico. Tutti i
lavori che sconfinano in campi contigui,
come talvolta ci capita di fare, e come per
esempio noi sociologi dobbiamo sempre fare, sono gravati dalla rassegnata coscienza di fornire tutt'al più
allo specialista un'’uti- le
impostazione di qualche problema nel quale non gli sarà tanto facile imbattersi nel suo campo
specifico, cosicché il pro- prio lavoro
non potrà non rimanere estremamente imperfetto.
Soltanto attraverso una rigorosa specializzazione l’uomo di scien- za può giungere — una volta e forse mai più
nella vita — a dire con sicura
coscienza: ho prodotto qualcosa che durerà.
Un'opera realmente definitiva e valida è oggi sempre un'opera specializzata. Resti quindi discosto dalla
scienza chi non è capa- ce di mettersi,
per dir così, dei paraocchi, e di pervenire all’i- dea che il destino della propria anima
dipende appunto dall’e- sattezza,
poniamo, di questa congettura — proprio di questa — rispetto a quel passo di quel manoscritto.
Altrimenti egli non avrà mai fatto
dentro di sé ciò che può chiamarsi l’« esperienza vissuta» della scienza. Senza questa strana
ebbrezza, derisa dai non iniziati, senza
questa passione, questo « dovevano passa-
re millenni prima che tu venissi al mondo, e altri millenni attendono in silenzio»* — tutto per il
successo di questa tua congettura — m0n
c’è vocazione per la scienza e bisogna sceglie-
re un’altra via. Infatti per l’uomo in quanto uomo, nulla ha valore di ciò che non può fare con
passione. Ora, però, sta di fatto che,
per quanto grande, genuina e profonda
possa essere tale passione, il risultato appare ancora lontano. Essa è certamente una condizione
preliminare per il fattore decisivo: l’«
ispirazione ». È vero che oggi negli ambien-
ti giovanili è assai diffusa l'opinione che la scienza sia diventa- ta un esercizio di calcolo da eseguirsi nei
laboratori o nelle cartoteche
statistiche col solo ausilio del freddo intelletto e non con tutta l’« anima », allo stesso modo di
quel che avviene «in una fabbrica». A
questo proposito si deve anzitutto osservare
2. Il passo citato è di Carlyle.
MAX WEBER 691 che per lo più
queste persone non hanno un'idea chiara di quel
che avviene in una fabbrica più di quanto l’abbiano di ciò che avviene in un laboratorio. Nell’uno o
nell’altra all'uomo deve venire in mente
un'idea — e proprio l'idea giusta — per pro-
durre qualcosa che abbia veramente valore. Ma quell'idea non si ottiene per forza. Non ha nulla a che fare
con un qualsiasi freddo calcolo. Senza
dubbio anche questa è una condizione
imprescindibile. Nessun sociologo, per esempio, avrà da pentir- si se, anche nei suoi tardi anni, avrà speso
qualche mese intor- no a molte decine di
migliaia di elementi di calcolo del tutto
banali. Non si può ricorrere impunemente ai soli mezzi mecca- nici, se si vuol conseguire qualche
risultato; e quel che in definitiva si
ricava è spesso irrisorio. Ma chi non ha un'idea determinata sullo scopo del calcolo e,
durante il calcolo stesso, sulla portata
dei risultati singoli, non ne trae neppure quel
minimo. Normalmente l’« idea » si prepara a germogliare sol- tanto sul terreno del duro lavoro. Non
sempre, s'intende. L’i- dea di un
dilettante può avere un'importanza identica o mag- giore di quella di uno specialista. Molte
delle nostre impostazio- ni e delle
nostre conoscenze più importanti sono dovute pro- prio ai dilettanti. Il dilettante si
distingue dallo specialista — come ha
detto Helmholtz a proposito di Robert Mayer? — solo in quanto gli manca la precisa sicurezza del
metodo di lavoro e non è quindi in grado
di controllare 2 posteriori la portata
della sua idea e di apprezzarla o applicarla. L'idea non sostitui- sce il lavoro. E il lavoro dal canto suo non
può sostituire 0 suscitare a forza
l’idea più di quanto non possa farlo la passio-
ne. L'una e l’altro — e specialmente tutti e due insieme — la maturano. Ma essa viene quando le aggrada e
non quando pare a noi. È infatti vero
che le cose migliori vengono in mente,
come dice Ihering, fumando il sigaro sul divano oppure — come narra di sé Helmholtz con precisione
di naturalista — passeggiando per una
strada lievemente in salita, e via dicen-
do, ma sempre, comunque, quando non si sta in loro attesa, non già durante l’ansia e lo sforzo di
ricerca a tavolino. 3. Julius Robert
Mayer (1814-1878), medico e fisico tedesco, autore del volume Dic organische Bewegung in ihren
Zusammenhinge mit dem Stoffwechsel (1845), con-
tribuì alla formulazione del principio della conservazione dell'energia:
fu oggetto di aspra critica da parte di
Helmholtz, 692 MAX WEBER Certo, però, non sarebbero venute in mente
senza i prece- denti appassionanti
problemi e senza quel tormento a tavolino.
Comunque sia, l’uomo di scienza deve anche tener conto di quel caso che non va disgiunto da qualsiasi
lavoro scientifico: verrà o no
l’«ispirazione»? Si può essere un impareggiabile lavoratore e non avere mai avuto una propria
idea originale. Ma è un grave errore
credere che ciò avvenga soltanto nella
scienza e che in un’azienda, per esempio, le cose stiano diversa- mente che in un laboratorio. Un commerciante
o un grande industriale privo di
«fantasia negli affari», cioè senza idee,
senza idee geniali, rimarrà per tutta la vita, nel migliore dei casi, un semplice commesso o un impiegato
tecnico: non creerà mai qualcosa di
vitale nell’organizzazione. Nel campo della
scienza l’ispirazione non ha affatto un'importanza maggiore — come immagina la presunzione degli studiosi —
che nel campo dei problemi della vita
pratica che deve padroneggiare un im-
prenditore moderno. E d'altra parte la sua importanza non è minore — come spesso erroneamente si crede —
che nel campo dell’arte. È puerile
pensare che a tavolino, munito di un re-
golo o di altri mezzi meccanici o di macchine calcolatrici, il matematico giunga a un risultato di qualche
valore scientifico; la fantasia
matematica di un Weierstrass* si presenta natural- mente orientata in modo del tutto diverso,
nel suo senso e nel suo risultato, da
quella di un artista, e anche sotto il profilo
qualitativo è fondamentalmente differente. Non però quanto al procedimento psicologico. Entrambi sono
esaltazione (nel senso della « mania »
di Platone) e « ispirazione ». Ora, che
uno abbia ispirazioni scientifiche, dipende da un destino a noi ignoto, ma soprattutto da un «
dono», Un atteg- giamento, di cui è ben
comprensibile la popolarità specialmente
tra i giovani, si è schierato — e quell’indubitabile verità non è certo l’ultima ragione di ciò — in favore di
alcuni idoli il cui culto vediamo oggi
trionfare a tutti gli angoli di strada e in
tutte le riviste. Tali idoli sono la «personalità» e l’«espe- rienza vissuta ». L'una e l’altra sono
strettamente connesse: 4. Karl Theodor
Wilhelm Weicrstrass (1815-1897), matematico tedesco, autore di numerosi scritti raccolti nelle Gesammelte
Abhandiungen (1894-1927), diede impor-
tanti contributi alla teoria delle funzioni. MAX WEBER 693
l'opinione dominante è che la seconda sia costitutiva della pri- ma e le appartenga. Ci si tormenta per
«vivere la propria esperienza» — giacché
questo fa parte del modo di vivere che si
addice a una personalità — e non potendo riuscirvi bisogna almeno fare come se si possedesse questa
grazia. Una volta questa «esperienza
vissuta » si chiamava in tedesco Sensation.
E di quel che fosse e significasse la « personalità », si aveva allora — ritengo — un'idea più esatta. Egregi ascoltatori! Nel campo scientifico ha
una sua « perso- nalità » soltanto chi
serve puramente la causa. E ciò non si
verifica soltanto in campo scientifico. Non conosciamo alcun grande artista che non si sia interamente
dedicato alla propria causa e che abbia
servito altri all’infuori di questa. Perfino una personalità della levatura di Goethe non ha
potuto impunemen- te — per quel che
concerne la sua arte — prendersi la libertà
di voler fare un’opera d’arte della propria « vita». Ma se pure non si voglia ammetterlo, bisogna tuttavia
essere un Goethe per poterselo
permettere, e ognuno dovrà convenire almeno sul
fatto che nessuno mai ne è uscito immune, neppure lui, la cui figura è unica nel corso di millenni. Le cose
non stanno altri- menti in politica: ma
di ciò non si parlerà oggi. Nel campo
della scienza non è certo una « personalità » colui il quale, al modo di un impresario, porta se stesso alla
ribalta insieme alla causa a cui
dovrebbe dedicarsi, e vorrebbe giustificare se medesi- mo col « vivere la propria esperienza », e
domanda: come di- mostrerò di essere
qualcosa di più di un semplice « speciali-
sta», come riuscirò a dire qualcosa che non sia stato ancor detto da nessuno nella stessa forma o con lo
stesso contenuto? Un fenomeno, questo,
che oggi si osserva su larga scala e che
lascia ovunque un’impronta di meschinità, avvilendo colui che si pone una simile domanda, laddove soltanto
l’intima dedizio- ne al proprio compito,
e ad esso soltanto, può innalzarlo all’altez-
za e alla dignità della causa che pretende servire. Né diversa- mente avviene per l'artista. Contrapposto a queste condizioni preliminari
che il nostro lavoro ha in comune con
l’arte, esiste un destino che lo differen- zia profondamente dal lavoro dell’artista. Il
lavoro scientifico è inserito nel corso
del progresso. E viceversa nessun progresso
— in questo senso — si attua nel campo dell’arte. Non è vero 694 MAX WEBER
che un’opera d’arte di un'epoca in cui siano stati elaborati nuovi mezzi tecnici o, per esempio, le leggi
della prospettiva, si trovi per questa
ragione a un più alto livello, sul piano
puramente artistico, di un’opera d’arte priva di ogni conoscen- za di quei mezzi e di quelle leggi — se
questa non è formal- mente o
materialmente manchevole, cioè se ha scelto e plasma- to il proprio oggetto come era possibile fare
a regola d’arte senza l'applicazione di
quelle condizioni e di quei mezzi. Un'o-
pera d’arte veramente «compiuta» non viene mai superata, non invecchia mai; l’individuo può
attribuirvi personalmente un significato
di diverso valore; ma di un’opera realmente
«compiuta » in senso artistico nessuno potrà mai dire che sia «superata» da un’altra pur essa «compiuta».
Al contrario, ognuno di noi sa che,
nella scienza, il proprio lavoro dopo
dieci, venti, cinquant'anni è invecchiato. Questo è il destino, 0 meglio, questo è il senso del lavoro
scientifico, il quale, ri- spetto a
tutti gli altri elementi della cultura di cui si può dire la stessa cosa, è ad esso assoggettato e
affidato in modo del tutto specifico:
ogni lavoro scientifico «compiuto » comporta
nuove « questioni » e vole essere « superato » e invecchiare. A ciò deve rassegnarsi chiunque voglia servire
la scienza. Senza dubbio vi sono opere
scientifiche che possono conservare dure-
volmente la loro importanza come «mezzi di godimento» a causa della loro qualità artistica, oppure
come mezzo di addestra- mento al lavoro.
Ma esser superati scientificamente è — giova
ripeterlo — non soltanto il destino di noi tutti, ma anche il nostro scopo. Non possiamo lavorare senza
sperare che altri si spingeranno più
avanti di noi. In linea di principio, questo
progresso tende all’infinito. E con ciò siamo giunti al problema del senso della scienza. Infatti, non appare
di per se stesso chiaro come possa avere
in sé un senso e una ragione qualcosa
che è sottoposto a una simile legge. Perché mai ci si adopera in- torno a quello che, nella realtà, non giunge
e non può mai giun- gere alla fine?
Ebbene, anzitutto per scopi puramente pratici,
cioè per scopi tecnici nel senso ampio della parola: per poter orientare la nostra azione pratica in base
alle aspettative che ci fornisce
l’esperienza scientifica. Sta bene. Ma questo ha un si- gnificato solo per l'uomo pratico. Qual è ora
la posizione inte- riore dell’uomo di
scienza di fronte alla propria professione,
MAX WEBER 695 ammesso che egli
cerchi di averne una in generale? Egli rispon-
de: la scienza « per amore della scienza » e non per consentire ad altri di raggiungere successi nel campo
degli affari di carat- tere tecnico, per
potersi meglio nutrire, vestire, illuminare, go- vernare. Quale opera fornita di senso crede egli
dunque di produrre in tal modo, con
queste creazioni sempre destinate a
invecchiare, col lasciarsi incanalare in questa attività divisa in settori specializzati, e protraentesi
all'infinito? A questo propo- sito
bisogna fare alcune considerazioni generali.
Il progresso scientifico è una frazione, e senza dubbio la più importante, di quel processo di
intellettualizzazione al quale siamo
sottoposti da secoli e contro il quale oggi di solito si prende una posizione così straordinariamente
negativa. Anzitutto rendiamoci
chiaramente conto di che cosa propria-
mente significhi, dal punto di vista pratico, questa razionalizza- zione intellettualistica ad opera della
scienza e della tecnica orientata
scientificamente. Vorrà forse significare che oggi noi altri, per esempio ogni persona presente in
questa sala, abbia- mo una conoscenza
delle condizioni di vita nelle quali esistia-
mo maggiore di quella di un Indiano o di un Ottentotto? Ben difficilmente. Chiunque di noi viaggi in tram
non ha la mini- ma idea — a meno ch'egli
non sia un fisico di mestiere — di come
la vettura riesca a mettersi in moto: né, d’altronde, ha bisogno di saperlo. Gli basta di poter « fare
assegnamento » sul modo di comportarsi
di una vettura tranviaria, ed egli orienta
in conformità la propria condotta; ma nulla sa di come si faccia per costruire un tram capace di
mettersi in moto. Il selvaggio ha una
conoscenza dei propri utensili incomparabil-
mente migliore. Se oggi spendiamo del denaro, scommetto che, perfino se vi sono colleghi economisti qui
presenti, ognuno avrà pronta una
risposta diversa alla domanda: come avviene
che qualcosa — ora poco, ora molto — possa esser comperato con il denaro? Il selvaggio sa in quale modo
riesce a procu- rarsi il nutrimento
quotidiano e quali istituzioni gli servano a
questo scopo. La progressiva intellettualizzazione e razionaliz- zazione n0n significa dunque una crescente
conoscenza genera- le delle condizioni
di vita che ci circondano. Essa significa
bensì qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltan- to si volesse, si potrebbe in ogni momento
provare che non vi 696 MAX WEBER sono forze fondamentalmente misteriose e
imprevedibili le qua- li intervengano in
modo da impedire che si possa dominare —
in linea di principio — tutte le cose mediante la previsione razionale. Ma ciò significa il
disincantamento del mondo. Non occorre
più ricorrere a mezzi magici per dominare o per ingra- ziarsi gli spiriti, come fa il selvaggio per
il quale esistono potenze del genere. A
ciò sopperiscono i mezzi tecnici e la previsione
razionale. È soprattutto questo il significato dell’in- tellettualizzazione in quanto tale. Questo processo di disincantamento proseguito
per millenni nella cultura occidentale
e, in generale, questo « progresso » del
quale la scienza è un elemento e un impulso, contiene un qualche senso che vada al di Ià del fatto
puramente pratico e tecnico? Questa
domanda la trovate formulata come questione
di principio soprattutto nelle opere di Lev Tolstòj. Egli vi giunse attraverso una propria via. Il
problema centrale intorno al quale egli
si tormentava era la questione se la morte fosse o no un fenomeno dotato di senso. E la sua
risposta, nei con- fronti degli uomini
civili, è negativa. Ciò appunto in quanto
la vita del singolo individuo civilizzato, inserita nel « progres- so», nell’infinito, non può per il suo stesso
senso immanente avere alcun termine.
Giacché c'è sempre un ulteriore progresso
da compiere per chi c'è dentro; nessuno muore dopo esser giunto al culmine, che è situato nell'infinito.
Abramo e un qualsiasi contadino dei
tempi antichi moriva « vecchio e sazio
della vita» perché si trovava nel ciclo organico della vita, perché la sua vita, anche per il suo
significato, alla sera della sua
giornata gli aveva portato ciò che poteva offrirgli, perché non rimanevano per lui enigmi da risolvere ed
egli poteva perciò averne « abbastanza
». Ma un uomo civile, il quale parte-
cipa all’arricchimento progressivo della civiltà in idee, conoscen- ze, problemi, può diventare « stanco della
vita » ma non sazio. Di ciò che la vita
dello spirito sempre nuovamente produce egli
coglie soltanto la minima parte, e sempre qualcosa di provviso- rio e mai definitivo: quindi la morte è per
lui un accadimento privo di senso. Ed
essendo la morte priva di senso, lo è anche
la vita culturale come tale, in quanto appunto con la sua assur- da « progressività » fa della morte un
assurdo. Ovunque, nei MAX WEBER 697 suoi ultimi romanzi, quest'idea costituisce
il motivo fondamen- tale dell’arte di Tolstòj. Quale posizione si può assumere in proposito?
Al « progres- so», come tale, può
riconoscersi un senso che va al di là della
tecnica, cosicché avrebbe significato la professione dedicata al suo servizio? È un quesito che va posto. Ma
non si tratta soltanto del problema
della professione e della vocazione ne:
riguardi della scienza, e cioè del problema: che cosa significa la scienza come professione per colui il
quale vi si dedica? — bensì anche di
questo: che cos'è la professione della scienza
nell’ambito dell'intera vita dell'umanità? e qual è il suo valore? L’antitesi tra passato e presente è qui
enorme. Vi ricordere- te di quella
meravigliosa immagine al principio del libro VII della Repubblica di Platone: quegli uomini in
una caverna incatenati, col viso rivolto
alla parete di roccia, che la luce
colpisce alle spalle e che non possono vederla e si preoccupano perciò soltanto delle ombre che essa getta
sulla parete e cercano di stabilirne la
causa. Finalmente uno di loro riesce a spezzare
le catene, si volta e mira: il sole. Abbagliato brancola all’intor- no e descrive balbettando quel che ha veduto.
Gli altri gli dànno del pazzo. Ma a poco
a poco egli impara a vedere nella luce e
allora si adopera a scendere tra gli uomini delle caverne e a trarli su verso la luce. Egli è il
filosofo e il sole è la verità della
scienza, che sola non va in caccia di fantasmi e di ombre ma persegue il vero essere. Ebbene, chi tiene oggi un simile
atteggiamento verso la scienza? È
proprio la gioventù a manifestare oggi un sentimen- to opposto: le formazioni concettuali della
scienza sono un mondo sotterraneo di
artificiose astrazioni che cercano di coglie-
re con le loro mani esangui, senza mai riuscirvi, la linfa e il sangue della vita reale. È qui nella vita, in
ciò che per Platone costituiva il gioco
d’ombre sulle pareti della caverna, che palpi-
ta la vera realtà: il resto sono fantasmi senza vita astratti da quella, e null’altro. Come si è effettuato un
tale mutamento? L’appassionato
entusiasmo di Platone nella Repubblica si spie-
ga in ultima analisi considerando che allora per la prima volta si era scoperto consapevolmente il senso di
uno dei più impor- tanti mezzi di ogni
conoscenza scientifica: il concetto. Socrate
ne ha rivelato tutta l’importanza. Ma non è stato il solo: in 698 MAX WEBER
India potete trovare saggi di una logica del tutto simile a quella di Aristotele. Mai però con questa
coscienza del suo significato. Allora
per la prima volta sembrò disponibile un
mezzo per stringere chiunque nella morsa della logica così da non lasciarlo uscire senza ammettere o di non
saper nulla o che questa e non altra è
la verità, l'eterna verità, che non è
transeunte come l’agire e l’indaffararsi degli uomini ciechi. Fu questa la straordinaria esperienza vissuta
dai discepoli di Socra- te. Da ciò
sembrava conseguire che, ove si fosse trovato l’esatto concetto del bello, del buono, come pure del
coraggio, dell’ani- ma, e via dicendo,
se ne potesse cogliere anche il vero essere, e
ciò sembrava di nuovo aprire la via per sapere e per insegnare il modo giusto di agire nella vita,
soprattutto come cittadino. Infatti la
mentalità completamente politica dei Greci riduceva tutto a questo problema. Perciò si coltivava
la scienza. Accanto a questa scoperta
dello spirito greco si presenta ora —
frutto del Rinascimento — il secondo grande strumento del lavoro scientifico, l'esperimento razionale,
come mezzo per l’e- sperienza rigorosamente
controllata, senza il quale sarebbe im- possibile
la scienza empirica moderna. Anche precedentemente era stato adottato il metodo sperimentale:
nella fisiologia, per esempio, in India,
per servire alla tecnica ascetica dello Yogi;
nella matematica, tra gli antichi Greci, ai fini della tecnica bellica; per i lavori nelle miniere, durante
il Medioevo. Ma aver innalzato
l'esperimento a principio della ricerca come tale è un prodotto del Rinascimento. Ne furono
pionieri i grandi innovatori nel campo
dell’arte: Leonardo e i suoi pari, e carat- teristici soprattutto gli sperimentatori di
musica del Cinquecen- to con i loro
clavicembali sperimentali. Da questi l’esperimento passò nella scienza soprattutto ad opera di
Galilei, e nella teo- ria ad opera di
Bacone; lo adottarono poi le singole discipline
delle scienze esatte nelle università del continente, in primo luogo in Italia e in Olanda. Che cosa dunque significava la scienza per
quegli uomini alla soglia dell’età
moderna? Per gli sperimentatori nel campo
dell’arte, come Leonardo e gli innovatori nella musica, signifi- cava la via per giungere alla vera arte, ciò
che per loro equivale- va alla vera
natura. L'arte doveva esser elevata alla dignità di una scienza, e cioè al tempo stesso, e
soprattutto, l’artista al MAX WEBER
699 rango di un dotto, dal punto di
vista sociale e riguardo al senso della
sua vita. È questa l’ambizione che sta per esempio alla base anche del Trattato della pittura di
Leonardo. E oggi? «La scienza come via
per giungere alla natura» — questa frase
suonerebbe come una bestemmia alle orecchie dei giovani. No, tutt'al contrario: liberiamoci
dall’intellettualismo della scienza per
ritornare alla nostra propria natura e quindi alla natura in generale! Sarà forse allora la via
per giungere all'ar- te? A questa
domanda è superflua qualsiasi critica. — Ma
all’epoca dell’origine delle scienze esatte della natura, ci si attendeva dalla scienza qualcosa di più. Se
rammentate il detto di Swammerdam® «vi
reco qui la prova della provvidenza di
Dio nell’anatomia d’un pidocchio », capirete ciò che il lavoro scientifico, sotto l'influenza (indiretta)
del Protestantesimo e del Puritanesimo,
considerasse allora come proprio compito: la
via per giungere a Dio. Questa, allora, non la si trovava più nei filosofi, nei loro concetti e nelle loro
deduzioni: che non si potesse trovare
Dio per la via tentata dal Medioevo, ben lo
sapeva tutta la teologia pietistica di quel tempo, Spener* soprat- tutto. Dio è nascosto, le sue vie non sono le
nostre vie, i suoi pen- sieri non sono i
nostri pensieri. Ma nelle vie esatte della natura, dove si poteva cogliere fisicamente la sua
opera, là si sperava di poter
rintracciare i suoi disegni in relazione al mondo. E oggi- giorno? Chi ancor oggi — tranne alcuni grandi
fanciulli, quali è dato incontrare
proprio nelle scienze naturali — crede che le
conoscenze dell'astronomia o della biologia o della fisica o del- la chimica possano insegnarci qualcosa
intorno al serso del mondo, o anche
soltanto intorno alla via per la quale si possa- no rintracciare gli indizi di un simile «
senso », se pur ve n'è uno? Quelle
conoscenze sono semmai più adatte a soffocare in germe la fede che vi sia qualcosa di simile a
un «senso» del 5. Jan Swammerdam
(1639-1680), naturalista olandese, autore del Tractatus physico-anatomico-medicus de respiratione usuque
pulmonum (1667), del Miracu- lum naturae
seu uteris muliebris fabrica (1672), della Ephemerae vita (1675) © di varie altre opere, diede importanti
contributi allo studio degli insetti, all'embrio- logia, all'anatomia umana, e fu tra i
pionieri del microscopio. 6. Philipp
Jakob Spener (1635-1705), teologo protestante tedesco, autore di Pia desideria (1675), di Dus geistliche
Priestertum (1677), della Evangelische Glaubens- lehre (1688), delle Evangelische
Lebenspffichten (1692) c di varie altre opere, fu il fondatore del movimento pietistico. 700 MAX WEBER
mondo! E finalmente, la scienza come via per giungere «a Dio»? Essa, la potenza specificamente
estranea alla divinità? Che tale essa
sia nessuno oggi, nel suo intimo, può dubitarne, pur essendo più o meno disposto a
confessarlo. L’emancipazio- ne dal
razionalismo e dall’intellettualismo della scienza costitui- sce il presupposto fondamentale della vita in
comunione con il divino: questa massima,
o qualcosa di significato identico, è
una delle parole d’ordine che si ritrovano ovunque nel senti- mento dei nostri giovani dotati di animo
religioso o che aspira- no a
un'esperienza religiosa. Ed essa vale non soltanto per l’esperienza religiosa, ma per l’esperienza
in generale. Parados- sale però è la via
seguita: si elevano ora alla coscienza e si
sottopongono alla sua lente proprio quelle sfere dell’irrazionale, le sole che finora l’intellettualismo non
aveva ancora toccato. A ciò conduce
infatti, in pratica, il moderno romanticismo intel- lettualistico dell’irrazionale. Questa via
per liberarsi dall’intellet- tualismo
porta a un risultato esattamente opposto al fine imma- ginato da coloro i quali la percorrono. Che
infine per un inge- nuo ottimismo si sia
celebrato nella scienza, ossia nella tecnica
per il dominio della vita su di essa fondata, la via per giungere alla felicità, posso passarlo sotto silenzio
dopo la critica demoli- trice rivolta da
Nietzsche a quegli « ultimi uomini» i quali
«hanno trovato la felicità». Chi ci crede più, tranne alcuni grandi fanciulli sulle cattedre o nei
comitati di redazione? Torniamo al punto
di partenza. Dati questi presupposti
intrinseci, qual è il senso della scienza come professione, dal momento che sono naufragate tutte quelle
precedenti illusioni — «la via per il
raggiungimento del vero essere», «la via
verso la vera arte», «la via verso la vera natura», «la via verso il vero Dio », «la via verso la vera
felicità »? La risposta più semplice è
stata data da Tolstòj con queste parole: « essa è priva di senso perché non risponde alla sola
domanda importan- te per noi: che cosa
dobbiamo fare? come dobbiamo vivere? »
Il fatto che non vi risponda è assolutamente incontestabile. Si tratta soltanto di domandarsi in quale senso
non dia « nessu- na» risposta, e se in
luogo di questa essa non possa per caso
dare un qualche aiuto a chi si ponga la questione nei suoi termini esatti. — Oggi si suole sovente
parlare di una scienza MAX WEBER
701 « senza presupposti ». Ce n'è una?
Dipende da quel che si vuol intendere.
Presupposto di qualsiasi lavoro scientifico è sempre la validità delle regole della logica e della
metodologia, di questi fondamenti
generali del nostro orientamento nel mondo.
Ora siffatti presupposti, per lo meno quanto alla nostra questio- ne particolare, non sono affatto
problematici. Si presuppone inoltre che
il risultato del lavoro scientifico sia importante nel senso che sia « degno di essere conosciuto ».
E qui evidentemen- te hanno la loro
radice tutti i nostri problemi. Infatti questo
presupposto non può essere a sua volta dimostrato con i mezzi della scienza. Può essere soltanto
interpretato nel suo senso ultimo, che
bisognerà accogliere o respingere a seconda della personale posizione ultima di fronte alla
vita. Assai diverso, inoltre, è il tipo
di relazione del lavoro scienti- fico
con questi suoi presupposti, a seconda della loro struttura. Le scienze naturali come la fisica, la
chimica, l’astronomia, presuppongono
come evidente che le leggi ultime dell’accadere
cosmico — costruibili, fin dove arriva la scienza — siano degne di esser conosciute. Non soltanto perché con
queste nozioni si possono raggiungere
successi tecnici, ma — se devono essere
« professione » — « per se stesse ». Questo presupposto a sua volta non è assolutamente dimostrabile; e
meno che mai si può dimostrare se il
mondo da esse descritto sia degno di esistere,
se cioè esso abbia un « senso », e se abbia un senso esistere in esso. Di ciò quelle scienze non si
preoccupano. Oppure prende- te un'arte
pratica così sviluppata scientificamente come la medi- cina moderna. Il « presupposto» generale
dell'esercizio della medicina è — in parole povere — che sia considerato positivo,
unicamente come tale, il compito della conservazione della vi- ta e della
riduzione al minimo della sofferenza. E ciò è proble- matico. Il medico cerca
con tutti i mezzi di conservare la vita al moribondo, anche se questi implora
di essere liberato dalla vita, anche se la sua morte è e dev'essere desiderata
— più o meno consapevolmente — dai suoi congiunti, per i quali la sua vita è
ormai priva di valore mentre insopportabili sono gli oneri per conservarla, ed
essi gli augurano la liberazione dalla sofferenza (si tratta, poniamo il caso,
di un povero folle). Ma i presupposti della medicina e il codice penale
impediscono al medico di desistere. La scienza medica non si pone la domanda
702 MAX WEBER se e quando la vita valga la pena di esser vissuta. Tutte le
scienze naturali dànno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se
vogliamo dominare tecnicamente la vi- ta? Ma se dobbiamo e vogliamo dominarla
tecnicamente, e se ciò, in definitiva, abbia propriamente un senso, esso lo
lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro scopi.
Prendiamo, se volete, una disciplina come la scienza dell’arte. Il fatto che vi
siano opere d’arte costituisce, per l’estetica, un dato. Essa cerca di
stabilire a quali condizioni quel fenomeno si verifichi. Ma non si pone la
domanda se il dominio dell’arte non sia per avventura un regno di magnificenza
diabolica, un regno di questo mondo, e perciò intimamente opposto al divino e,
per il suo carattere intrinsecamente aristocratico, allo spirito di fraternità.
Essa non si domanda quindi se debbano esservi opere d’arte. Oppure prendiamo la
giurisprudenza: essa stabili- sce ciò che è valido secondo le regole del
pensiero giuridico, in parte coercitivamente logico e in parte vincolato da
schemi convenzionali; vale a dire, stabilisce se sono riconosciute obbli-
gatorie determinate regole giuridiche e determinati metodi per la loro
interpretazione. Non decide se debba esservi il diritto e se debbano esser
formulate proprio quelle regole; essa può indi- care soltanto che, se si vuol
conseguire un risultato, il mezzo appropriato per raggiungerlo ci è dato da
questa regola giuridi- ca, secondo le norme del nostro pensiero giuridico. O
prendete ancora le scienze storiche della cultura. Esse ci insegnano a comprendere
i fenomeni della cultura — politici, artistici, lette- rari e sociali — in base
alle condizioni del loro sorgere. Ma non rispondono di per sé alla questione se
questi fenomeni culturali fossero e siano degni di sussistere, e neppure
all’altra questione se valga la pena di conoscerli. Esse presuppongono che
abbia un interesse partecipare, mediante tale procedimen- to, alla comunità
degli « uomini civili ». Ma che così stiano le cose, esse non sono in grado di
dimostrarlo « scientificamente » a nessuno, e che esse lo presuppongano non
dimostra affatto che ciò sia evidente. E infatti non lo è per nulla.
Soffermiamoci ora su quelle discipline alle quali sono più vicino, e cioè la
sociologia, la storia, l'economia, la dottrina dello stato, e su quelle forme
di filosofia della cultura che si pro- pongono di darne un’interpretazione. Si
afferma — e io lo MAX WEBER 793 sottoscrivo — che la politica non si addice
all’aula di lezione. Non vi si addice da parte degli studenti. Io vorrei
deplorare per esempio che nell’aula del mio vecchio collega Dietrich Sché- fer?
a Berlino gli studenti pacifisti si accalcassero intorno alla cattedra e
facessero un chiasso simile a quello che devono aver inscenato gli studenti
anti-pacifisti davanti al professor Fòr- ster®, dalle cui opinioni le mie
divergono radicalmente in molti punti. Ma la politica non si addice all'aula
neppure da parte degli insegnanti: meno che mai quando l’insegnante si occupa
di politica dal punto di vista scientifico. Infatti la presa di posizione politica
pratica e l’analisi scientifica di formazioni e partiti politici sono due cose
diverse. Quando uno parla sulla democrazia in una riunione popolare, non fa
mistero della propria presa di posizione personale: anzi, è questo il dannato
obbligo e dovere, prender partito in modo chiaramente ricono- scibile. Le
parole di cui ci si serve non sono in questo caso strumenti di analisi
scientifica, bensì mezzi di propaganda per trarre dalla nostra parte gli altri.
Esse non sono un vomere per smuovere il terreno del pensiero contemplativo,
bensì spade contro gli avversari, strumenti di lotta. Ma in una lezione o in
un'aula sarebbe un misfatto usare la parola in questa maniera. Se.vi si parlerà
di « democrazia », si osserveranno le sue di- verse forme, si analizzerà il
modo in cui esse funzionano, si stabilirà quali siano le conseguenze
particolari dell’una o dell’al- tra per le condizioni della vita, e poi vi si
contrapporranno le altre forme non democratiche di organizzazione politica e si
cercherà di giungere fino al punto in cui l'ascoltatore sia in grado di poter
prendere posizione secondo i suo: ideali ultimi. Ma il vero maestro si guarderà
bene dal sospingerlo, dall'alto della cattedra, a prendere una qualsiasi
posizione, sia esplicita- mente sia con suggerimenti — poiché naturalmente il
metodo più sleale è quello di « far parlare i fatti». 7. Dietrich Schifer
(1845-1929), storico tedesco allievo di Treitschke, di oricn- tamento
nazionalistico, 8. Friedrich Wilhelm Forster (1869-1966), filosofo e
pedagogista tedesco, autore di Lebensfiihrung (1909), di Autorità und Freiheit
(1910), di Erziechung und Selbst- erziehung (1917), di Hauptaufgaben der
Erziehung (1959) e di numerose altre opere di argomento etico-pedagogico ed
etico-politico, fu sostenitore del pacifismo e quiodi oggetto di violenti
attacchi da parte degli studenti nazionalisti. 794 MAX WEBER Ma per quale
ragione, precisamente, dobbiamo astenercene ? Premetto che diversi tra i miei
stimatissimi colleghi sono del parere che una siffatta discrezione non sia
attuabile e che, se anche lo fosse, sarebbe follìa pretenderla. Ora a nessuno
può dimostrarsi scientificamente quale sia il suo dovere di professo- re
universitario. Da lui si può pretendere soltanto la probità intellettuale, per
cui sappia comprendere che la constatazione dei fatti, la determinazione di
rapporti matematici o logici o della struttura interna di beni culturali da una
parte — e dall’al- tra la risposta alla questione del valore della cultura e
dei suoi contenuti particolari — e quindi del modo in cui si deve agire
nell’ambito della comunità civile e dei gruppi politici — sono due problemi
assolutamente eterogenei. Se poi egli domanda perché non debba trattarli
entrambi nell'aula di lezione, ecco la risposta: perché il profeta e il
demagogo non si addicono alla cattedra. Al profeta e al demagogo è stato detto:
«esci per le strade e parla pubblicamente ». Parla, cioè, dov’è possibi- le la
critica. Nell’aula di lezione, ove si sta seduti di faccia ai propri
ascoltatori, a questi tocca tacere e al maestro parlare, e reputo una mancanza
di senso di responsabilità approfittare della circostanza che gli studenti sono
obbligati dal program- ma di studi a frequentare il corso di un professore dove
nessu- no può intervenire a controbatterlo, per inculcare negli ascolta- tori
la propria personale concezione politica invece di recare loro giovamento, come
il dovere impone, con le proprie cono- scenze e le proprie esperienze
scientifiche. Può certamente avve- nire che l'individuo riesca solo
imperfettamente a nascondere le proprie simpatie soggettive. Allora, egli si
espone alla cri- tica più spietata davanti al foro della sua coscienza. E ciò
d'altronde non prova nulla, poiché anche altri errori puramen- te di fatto sono
possibili e non possono contrastare al dovere di ricercare la verità. Io mi
rifiuto di ammetterlo anche e precisa- mente per l'interesse puramente
scientifico. Sono disposto a provare sulle opere dei nostri storici che, ogni
qual volta l’uo- mo di scienza mette innanzi il proprio giudizio di valore,
cessa la perfetta comprensione del fatto. Tuttavia, ciò esula dal tema di
questo discorso ed esigerebbe lunghe considerazioni critiche. Io domando
semplicemente: come può da una parte un - MAX WEBER 705 cattolico credente e
dall’altra un massone — in un corso sulle forme di chiesa e di stato o sulla
storia della religione — come possono mai questi due esser condotti a un’eguale
valutazione di tali oggetti? È impossibile. Eppure, il professore universita-
rio deve desiderare e proporsi di giovare con le sue conoscenze e i suoi metodi
tanto all'uno come all’altro. Ora voi direte giustamente: neppure riguardo ai
fatti relativi all'origine del Cristianesimo il cattolico credente potrà mai
accettare l’opinio ne prospettatagli da un maestro che non condivida i suoi
pre- supposti dogmatici. Senza dubbio! Ma la differenza consiste nel fatto che
la scienza « priva di presupposti », nel senso che riftu- ta ogni vincolo
religioso, non riconosce di fatto, dal canto suo, il « miracolo » e Ia
«rivelazione ». Altrimenti essa tradirebbe i propri « presupposti ». Il
credente li riconosce entrambi. E quel- la scienza « priva di presupposti » non
pretende da lui meno — ma anche niente di più — del riconoscimento che bisogna
seguire la via tentata dalla scienza, se si vuol spiegare quell’av- venimento
prescindendo da quegli interventi soprannaturali, che per una spiegazione
empirica devono essere esclusi come momenti causali. Ciò il credente può
ammetterlo senza tradire la propria fede. Ma la funzione della scienza non avrà
allora alcun senso per chi è indifferente al fatto in quanto tale e reputa
importan- te soltanto la presa di posizione pratica? Forse sì. E anzitutto: un
abile maestro considererà suo primo compito insegnare ai propri allievi a
riconoscere i fatti scomodi, e cioè tali, intendo dire, che siano scomodi per
la sua opinione di partito; e per ogni partito — per esempio anche per il mio —
vi sono fatti del genere, estremamente imbarazzanti. Credo che il professore
universitario, se avvezza i propri ascoltatori a questa necessità, compia una
funzione non soltanto intellettuale, ma — oserei dire — una « funzione etica »,
per quanto una simile espressio- ne possa suonar troppo patetica applicata a un
fatto così sempli- ce e ovvio. Finora ho parlato soltanto dei motivi pratici
che consiglia- no di evitare di imporre una presa di posizione personale. Ma
non è tutto qui. L’impossibilità di presentare « scientificamen- te» una presa
di posizione pratica — eccetto nel caso di una discussione dei mezzi per uno
scopo che si presuppone già dato 45.
STORICISMO TEDESCO. 706 MAX WEBER — deriva da ragioni ben più profonde. Una
simile impresa è in linea di principio
priva di senso, in quanto i diversi ordi-
ni di valori che esistono al mondo stanno tra loro in una lotta inconciliabile. Il vecchio Mill — la cui
filosofia non intendo peraltro lodare,
ma che su questo punto ha ragione — dice in qualche luogo: partendo dalla pura
esperienza si giunge al politeismo. Il principio è formulato superficialmente e
sembra un paradosso, tuttavia contiene una qualche verità. Di questo, se non
altro, oggi siamo certi: che qualcosa può essere sacro non soltanto anche senza
essere bello, ma perché e in quanto non è bello (potrete trovarne le prove nel
cap. 53 del Libro di Isaia e nel Salmo 21) e che qualcosa può essere bello non
soltanto anche senza essere buono bensì in quanto non è tale, come abbiamo
imparato da Nietzsche e come anche prima potete trovare illu- strato nelle
Fleurs du mal, come chiamò Baudelaire il suo volume di poesie; ed è infine una
verità di tutti i giorni che qualcosa può essere vero sebbene e in quanto non
sia bello, né sacro, né buono. Ma questi sono soltanto gli esempi più elemen-
tari di tale lotta tra gli dèi che presiedono ai diversi ordinamen- ti e
valori. Come si possa fare per decidere « scientificamente » tra il valore
della cultura tedesca e di quella francese, io lo ignoro. Anche qui c'è un antagonismo tra
divinità diverse, per tutti i tempi.
Avviene come nel mondo antico, ancora sotto
l'incanto dei suoi dèi e dei suoi demoni, anche se in un altro senso: come i Greci sacrificavano ora ad
Afrodite e ora ad Apollo, e ciascuno in
particolare agli dèi della propria città,
così è ancor oggi, senza l’incantesimo e l’ammanto della forza plastica, mitica ma intimamente vera, di
quell’atteggiamento. Su questi dèi e
sulle loro lotte domina il destino, non certo la « scienza ». È dato solamente intendere che
cosa sia il divino nell’uno e nell’altro
caso, ovvero in un ordinamento e nell’al-
tro. Ma con ciò la questione è assolutamente chiusa a qualsiasi discussione in un’aula di lezione e per bocca
di un insegnante, quantunque
naturalmente non sia affatto chiuso l’enorme proble- ma di vita che vi è racchiuso. Qui però la
parola spetta a potenze diverse che non alle
cattedre universitarie. Chi vorrà
provarsi a « confutare scientificamente » l’etica del Sermone del- la Montagna, per esempio la massima: « non
far resistenza al male », oppure
l’immagine del porgere l’altra guancia? Eppure
MAX WEBER 707 è chiaro che, dal
punto di vista intra-mondano, vi si predica
un'etica della mancanza di dignità: bisogna scegliere tra la dignità religiosa, che questa etica comporta,
e la dignità virile, che predica
qualcosa di ben diverso: «devi far resistenza al male, altrimenti sei anche tu responsabile se
questo prevale ». Dipende dalla propria
presa di posizione rispetto al fine ultimo
che l’uno sia il diavolo e l’altro il dio, e spetta all’individuo decidere quale sia per lui il dio e quale il
diavolo. E così avviene per tutti gli
ordinamenti della vita. Il grandioso razio-
nalismo della condotta etico-metodica della vita, che sgorga da ogni profezia religiosa, aveva detronizzato
questo politeismo a favore dell’« Uno,
che è necessario», e poi, di fronte alle
realtà della vita esteriore e interiore, si è visto costretto a
scende- re a quei compromessi e a quelle
relativizzazioni che tutti conosciamo
dalla storia del Cristianesimo. Ma ciò è oggi una «realtà quotidiana » per la religione. Gli
antichi dèi, spogliati del loro incanto
e perciò ridotti a potenze impersonali, si leva- no dalle loro tombe, aspirano a dominare
sulla nostra vita e riprendono quindi la
loro eterna lotta. Ma ciò che per l’uomo moderno è appunto tanto difficile, e
sommamente difficile per la giovane generazione, è saper far fronte a siffatta
realtà quoti- diana. Tutto quell’affannarsi in cerca dell’« esperienza vissuta
» deriva da questa debolezza. Infatti è una debolezza non poter tenere levato
lo sguardo al volto severo del destino dei tempi. Ma il destino della nostra
cultura è appunto quello di essere diventati oggi nuovamente e più chiaramente
consapevoli di ciò che per un millennio l’orientamento esclusivo — vero o
presunto — verso il grandioso pathos dell'etica cristiana aveva celato ai
nostri occhi. Ma basta ora con questi
problemi che ci conducono troppo
lontano. Poiché, quando una parte dei nostri giovani volesse dare a tutto ciò questa risposta: « già, ma
noi veniamo a lezio- ne per ricavarne
un'esperienza che non consista soltanto in
analisi e in constatazioni di fatto », essi incorrerebbero
nell’erro- re di cercare nel professore
qualcosa di diverso da ciò che sta loro
di fronte — e cioè un capo e non un maestro. La cattedra ci è conferita solamente in qualità di
maestri. Si tratta di due cose ben
diverse, e di ciò è facile convincersi. Permettetemi di condurvi ancora una volta in America, dove
queste cose si 708 MAX WEBER possono spesso vedere nella loro più pesante
originarietà. Il ragazzo americano
impara incomparabilmente meno del no-
stro. Nonostante un'incredibile quantità di esami, il senso della sua vita scolastica non è ancora diventato
tale da ridurlo un « tipo da esami »,
come avviene per il ragazzo tedesco. Infatti la buro- crazia, la quale esige il diploma di esame
come biglietto d’ingres- so nel regno
delle prebende degli uffici, è laggiù ancora agli inizi. Il giovane americano non porta rispetto a
nulla e a nessuno, a nes- suna
tradizione e a nessun ufficio, salvo che alla prestazione per- sonale: questa è per l’Americano la
«democrazia», Per quanto la realtà possa
comportarsi pur sempre in maniera distorta rispet- to a questo contenuto di senso, esso risulta
però tale e di questo dobbiamo qui tener
conto. Dell’insegnante che gli sta di fronte
il giovane americano ha quest’opinione: egli mi vende le sue nozioni e i suoi metodi per il denaro di mio
padre, così come l’erbivendola vende i
cavoli a mia madre. Con ciò è detto
tutto. Tuttavia, se il maestro è per avventura un alipone di football, in questo campo egli è anche un
capo. Ma se non è tale (o qualcosa di
simile in altri sport), egli è semplicemente
un insegnante e nulla più, e a nessun giovane americano verrà in mente di farsi vendere da lui delle «
intuizioni del mondo » o delle regole
per la sua condotta di vita. Ora, noi respingere- mo una simile opinione formulata in questi
termini. Bisogna però domandarsi se in
questo modo di sentire, che di proposi-
to ho voluto spingere all'estremo, non si annidi un nocciolo di verità.
Fratelli d'armi e sorelle d'armi! Voi venite alle nostre lezio- ni con la pretesa di trovare in noi qualità
di capi, senza aver riflettuto che, di
cento professori, almeno novantanove non pre-
tendono e non possono pretendere di essere non soltanto cam- pioni di football della vita, ma neppure in
generale «capi» nelle faccende della
condotta della vita. Pensate che il valore
dell'uomo non dipende certo dal fatto di possedere le doti di un capo. E comunque, le qualità che fanno di
qualcuno un eminente studioso e un
professore universitario non sono quelle
stesse che ne fanno un capo sul terreno dell’orientamen- to pratico della vita o, più specificamente,
della politica. È un puro caso che qualcuno possegga anche questa qualità, ed è
una cosa assai preoccupante quando chiunque stia in cattedra MAX WEBER 709 si
sente posto di fronte alla pretesa che egli la possegga. E ancor più preoccupante, poi, è quando a ogni
professore univer- sitario viene data
facoltà di assumere nell’aula la posizione di
un capo. Infatti coloro che si ritengono di esserlo più degli altri lo sono spesso meno di tutti; ma soprattutto
la cattedra non può offrire alcuna
possibilità di conferma. Il professore
che si senta chiamato a dare il suo consiglio ai giovani e goda della loro fiducia, dovrà procurare di
mettersi alla prova discu- tendo con
loro in un rapporto personale da uomo a uomo. E se si sente chiamato a partecipare alle lotte
tra le intuizioni del mondo e le diverse
opinioni di partito, lo faccia al di fuori,
nell’agone della vita: nella stampa, nelle assemblee, nei circoli, dove gli pare. È troppo comodo però dar prova
del proprio coraggio di confessore della
fede là dove gli astanti, e fors'an- che
quelli di diversa opinione, sono condannati al silenzio. Voi mi porrete infine la domanda: se così
stanno le cose, che offre allora la
scienza di veramente positivo per la «vita »
pratica e personale? E con ciò siamo daccapo al problema della vostra « professione ». Anzitutto,
naturalmente, la scienza offre
cognizioni sulla tecnica per padroneggiare la vita, rispetto agli oggetti esterni e rispetto all’agire
dell’uomo, mediante la previ- sione
razionale: ebbene, voi replicherete che con ciò siamo pur sempre al punto dell’erbivendola del ragazzo
americano. Sono perfettamente della
vostra opinione. Ma c’è in secondo luogo
qualcosa che quell’erbivendola non è tuttavia capace di fare: i metodi del pensare, l’attrezzatura e
l'addestramento a quello scopo. Direte
forse che, se questi non sono proprio gli ortaggi, non sono tuttavia più che i semplici mezzi
per procurarseli. Bene, diamolo oggi per
ammesso. Ma fortunatamente la funzio- ne
della scienza non è ancora finita, bensì noi siamo in condi- zione di aiutarvi a conseguire un ulteriore
risultato: la chiarez- za. A patto,
naturalmente, di possederla noi stessi. Se questo è il caso, possiamo renderlo chiaro: rispetto
al problema del valore, intorno al quale
sempre ci si aggira — per comodità vi
prego di riferirvi, come esempio, ai fenomeni sociali — si possono prendere praticamente diverse
posizioni. Se si assume l’una o l’altra,
bisogna applicare — secondo le esperienze della
scienza — certi mezzi o certi altri per attuarla praticamente. Ora questi mezzi possono essere di per sé
tali che voi crederete 710 MAX
WEBER di doverli respingere. Allora,
bisogna appunto scegliere tra lo scopo e
i mezzi indispensabili. Lo scopo «giustifica» o no questi mezzi? L'insegnante può mostrarvi la
necessità di questa scelta, ma non può
fare di più, in quanto voglia rimanere
insegnante e non diventare un demagogo. Naturalmente, può ancora dirvi: se volete questo o quell'altro
scopo, dovete mette- re in conto anche
questa o quell’altra conseguenza concomitan-
te che si verifica in conformità all'esperienza; la situazione, cioè, è sempre la medesima. Tuttavia, tutti
questi sono pur sempre problemi del
genere di quelli che possono sorgere an-
che per ogni tecnico, il quale in innumerevoli casi deve decide- re secondo il principio del minor male o del
meglio relativo. Ma per lui una cosa,
quella principale, è di solito già data: lo
scopo. Non così avviene per noi, non appena siano in questione problemi realmente « ultimi ». E con ciò
siamo giunti alla fun- zione più alta
che la scienza in quanto tale può assolvere in
servizio della chiarezza, e contemporaneamente anche ai suoi confini. Noi possiamo — e dobbiamo — anche
dirvi: que- sta o quest'altra posizione
pratica può essere derivata con intima
coerenza e quindi con serietà, per quanto riguarda il suo senso, da questa o da quest'altra
fondamentale concezione del mondo —
magari da una soltanto o forse anche da più —
ma non mai da quell'altra. Voi servite questo dio — per parlar figuratamente — e offendete
quell'altro, se vi risolveteper questa presa di posizione. Infatti perverrete
necessariamen- te a queste e a quest’altre conseguenze ultime dotate di senso,
se rimarrete fedeli a voi stessi. Quest'opera, almeno in linea di principio,
può esser compiuta. A ciò tendono la disciplina spe- ciale della filosofia e le
discussioni di principio, per loro essen- za filosofica, delle singole
discipline. Possiamo quindi, se ab- biamo ben capito il nostro compito (il che
dev’esser qui presup- posto), costringere l'individuo — o almeno aiutarlo — a
render- st conto del senso ultimo del suo proprio operare. Questo non mi sembra
sia troppo poco, anche per la vita puramente perso- nale. Di un insegnante che
riesca in questo compito sarei tenta- to di dire che si è messo al servizio di
potenze «etiche», del dovere di promuovere la chiarezza e il senso di
responsabilità, e credo che ne sarà tanto più capace quanto più coscienziosa-
MAX WEBER g1I mente eviterà di fornire bell'e pronta o di suggerire per pro-
prio conto all'ascoltatore una presa di posizione. Senza dubbio la soluzione
che qui vi ho prospettato riposa su questo fondamentale dato di fatto: che la
vita, in quanto deve fondarsi su se stessa ed essere compresa in base a se
stessa, conosce soltanto la lotta eterna di quelle divinità tra loro — cioè,
fuor di metafora, l’inconciliabilità e quindi l’inso- lubilità della lotta tra
le posizioni ultime possibili in generale rispetto alla vita, vale a dire la
necessità di decidere per l’una o per l’altra. Se in queste condizioni la
scienza sia degna di diventare una «professione » e se essa stessa costituisca
una « professione » fornita di valore oggettivo — ecco un altro giu- dizio di
valore sul quale non è dato pronunciarsi nell’aula di lezione. Per
l'insegnamento, infatti, la risposta affermativa è un presupposto. Io personalmente,
col mio stesso lavoro, rispondo affermativamente. E ciò vale anche per quel
punto di vista — che la gioventù oggi professa, o meglio che per lo più s'imma-
gina semplicemente di professare — il quale odia l’intellettuali- smo come il
più nero dei diavoli. Giacché ad esso si conviene il detto: «il diavolo è
vecchio, pensateci: invecchiate e lo capire- te »°. Ciò non s'intende nel senso
dell’atto di nascita, ma nel senso che, anche riguardo a questo diavolo, se si
vuol farla finita con lui, non vale ricorrere alla fuga, come oggi si fa così
volentieri, ma bisogna scrutare bene a fondo tutte le sue vie prima di poter
vedere la sua potenza e i suoi confini. Che la scienza sia oggi una
«professione» spectalizzata, posta al servizio dell’auto-riflessione e della
conoscenza di situa- zioni di fatto, e non una grazia di visionari e profeti,
dispensa- trice di mezzi di salvezza e di rivelazioni, o un elemento della
meditazione di saggi e filosofi sul serso del mondo — è certa- mente un dato di
fatto ineluttabile dalla nostra situazione stori- ca, al quale, se vogliamo
restare fedeli a noi stessi, non possia- mo sfuggire. E se di nuovo sorge in
voi Tolstò) a domanda- re: «se dunque non è la scienza a farlo, chi risponde
allora alla domanda: che cosa dobbiamo fare? e come dobbiamo diri- gere la
nostra vita? », oppure, nel linguaggio che testé 9. Goetne, Faust, vv. 6817-18
(tr. it. di F. Fortini). 712 MAX WEBER abbiamo usato: « quale degli dèi in
lotta dobbiamo servire? o forse qualcun altro, e chi mai? », bisogna dire che
la risposta spetta a un profeta o a un redentore. Se questi non è tra noi o se
il suo annuncio non è più creduto, non varrà certo a farlo scendere su questa
terra il fatto che migliaia di professori tentino di rubargli il mestiere nelle
loro aule di lezione, come tanti piccoli profeti privilegiati o pagati dallo
stato. Ciò servirà soltanto a nascondere tutto l'enorme peso del significato
del fatto decisivo, che cioè il profeta, che invocano tanti della no- stra più
giovane generazione, zon esiste. L'interesse interiore di un uomo davvero
«musicale» in senso religioso non sarà mai e poi mai soddisfatto, io credo,
dall’espediente per cui si cerca di nascondergli con un surrogato — come sono
tutti questi falsi profeti in cattedra — il fatto fondamentale che il destino
gli impone di vivere in una epoca lontana da Dio e priva di profeti. La serietà
del suo sentimento religioso dovreb- be, mi sembra, ribellarvisi. Ora, voi
sarete indotti a domanda- re: ma come ci si deve comportare di fronte al fatto
dell’esi- stenza della « teologia » e delle sue pretese a porsi come « scien-
za»? Cerchiamo di non sottrarci alla risposta. « Teologia» e « dogmi » non si
trovano certo sempre e ovunque, ma neppure esclusivamente nel Cristianesimo. Li
incontriamo (guardando dietro di noi nel tempo) in forme molto sviluppate anche
nell’I- slam, nel Manicheismo, nella Gnosi, nell’Orfismo, nel Parsismo, nel
Buddismo, nelle sette indù, nel Taoismo, nelle Uparishad e naturalmente anche
nell’Ebraismo. Com'era naturale, essi sono sviluppati sistematicamente in
misura assai diversa. E non è un caso che non soltanto il Cristianesimo
occidentale li abbia co- struiti, o tenda a costruirli in forma più sistematica
— a diffe- renza della teologia, per esempio, dell’Ebraismo — ma anche che il
loro sviluppo abbia avuto qui un significato storico di gran lunga più
importante. È questo un prodotto dello spirito greco, dal quale deriva tutta la
teologia dell’Occidente come (evidentemente) tutta la teologia orientale deriva
dal pensiero indiano. Ogni teologia consiste nella razionalizzazione intellet-
tuale del patrimonio religioso della salvezza. Nessuna scienza è assolutamente
priva di presupposti e nessuna può stabilire il fondamento del proprio valore
per chi rifiuti tali presupposti. Tuttavia, ogni teologia aggiunge alcuni
presupposti specifici MAX WEBER 713 per il proprio lavoro e quindi per la
giustificazione della pro- pria esistenza. In diverso senso e con diversa
portata. Per ogni teologia, per esempio anche per quella induistica, vige il
presup- posto che il mondo deve avere un senso; e la questione da risolvere è
la seguente: come bisogna interpretarlo, perché ciò possa esser concepito? In
modo del tutto simile alla teoria della conoscenza di Kant, la quale muoveva
dal presupposto che «c'è una verità scientifica, ed essa vale » e quindi si do-
mandava: in virtù di quali condizioni del pensiero ciò è possibi- le (in modo
dotato di senso)? Oppure al modo degli estetici moderni i quali (esplicitamente
— come per esempio Georg von Lukics!” — oppure di fatto) muovono dal
presupposto che « vi sono opere d’arte » e si domandano: come ciò è possibi- le
(in modo dotato di senso)? Tuttavia, le teologie non si accontentano di regola
di quel presupposto (appartenente essen- zialmente alla filosofia della
religione); esse muovono di rego- la dal presupposto ancor più remoto per cui
determinate « rive- lazioni» devono essere assolutamente credute in quanto
fatti che rivestono un’importanza per la salvezza — come tali, cioè, che soli
rendono possibile una condotta nella vita dotata di senso — e per cui
determinati modi di essere e di agire possie- dono la qualità della santità,
ossia costituiscono una condotta di vita dotata di senso religioso o sono
elementi di questa. La domanda che si pone la teologia è allora di nuovo: come
possono essere interpretati in modo dotato di senso, nell’am- bito di
un'immagine complessiva del cosmo, questi presupposti che vanno accettati in
modo assoluto? Quei presupposti sì trova- no per la teologia al di là di ciò
che è «scienza». Essi non sono un «sapere» nel senso corrente, bensì un «
possedere ». Non possono esser sostituiti — la fede o gli altri stati di grazia
— da nessuna teologia, per chi non li « possieda ». Meno che mai, poi, da
un’altra scienza. Anzi, in ogni teologia « positi- va » il credente giunge al
punto dov'è valida la massima agosti- niana: credo non quod, sed quia absurdum
est. La capacità di compiere questo estremo « sacrificio dell’intelletto »
costituisce il carattere decisivo dell’uomo che appartiene a una religione 10.
Weber si riferisce qui ai primi volumi di Lukics, Die Seele und die Formen (1911)
e Die Thcorie des Romans (1916). 714 MAX WEBER positiva. E così stando le cose,
è chiaro che, ad onta (o piutto- sto in conseguenza) della teologia (che svela
questo stato di cose), la tensione tra la sfera di valore della «scienza» e
quella della salvezza religiosa è insuperabile. Il «sacrificio dell'intelletto»
lo compie, com'è naturale, il discepolo al profeta e il credente alla chiesa.
Ma non è ancora mai sorta una nuova profezia — riprendo qui di proposito questa
immagine che ha urtato molte suscettibilità — semplice- mente per il fatto che
molti intellettuali moderni abbiano senti- to il bisogno di arredare, per così
dire, la loro anima con oggetti antichi garantiti come autentici, e si siano
ricordati in quest'occasione che tra questi vi è anche la religione, che essi
certamente non possiedono, ma che sostituiscono con una spe- cie di cappella
privata addobbata come per gioco con immagini sacre di tutti i paesi, oppure
con ogni sorta di esperienze vissu- te alle quali conferiscono la dignità di un
patrimonio mistico di salvezza e che vanno a vendere in piazza. Tutto ciò è
semplicemente ciarlataneria o auto-illusione. Ma non è davvero una
ciarlataneria, bensì qualcosa di assai serio e sincero — quantunque non esente,
talvolta, da qualche fraintendimento del suo stesso significato — il fatto che
alcune di quelle comuni- tà di giovani, sorte nel silenzio di questi ultimi
anni, diano alle loro relazioni reciproche il senso di un legame religioso,
cosmico o mistico. È vero che ogni atto di genuina fratellanza può connettersi
con la consapevolezza che con ciò viene in certo qual modo accumulato in un
dominio sovra-personale qualcosa che non andrà perduto; ma altrettanto mi
sembra dubbio che la dignità delle relazioni puramente umane tra i membri di
una comunità venga elevata attraverso siffatte inter- pretazioni religiose. —
Tuttavia, questo non rientra più nel nostro tema. È il destino dell’epoca
nostra, con la sua caratteristica razio- nalizzazione e intellettualizzazione,
e soprattutto col suo disin- cantamento del mondo, che proprio i valori ultimi
e più subli- mi siano diventati estranei al gran pubblico per rifugiarsi nel
regno extra-mondano della vita mistica o nella fraternità di relazioni
immediate tra gli individui. Non è accidentale che la nostra arte migliore sia
intima e non monumentale, e che oggi MAX WEBER 715 soltanto in seno alle più
ristrette comunità, nel rapporto da uomo a uomo, nel piazissimo, palpiti
quell’indefinibile che un tempo pervadeva e rinsaldava come un soffio profetico
e una fiamma impetuosa le grandi comunità. Proviamoci a forzare e a «inventare»
un senso monumentale dell’arte, ed ecco na- scere un pietoso aborto come quello
dei numerosi monumenti commemorativi degli ultimi vent'anni. Qualcosa di simile
si riproduce nella sfera interiore, con effetti ancor più deleteri, se si cerca
di escogitare nuove formazioni religiose senza una nuo- va genuina profezia. E
la profezia formulata dalla cattedra potrà forse dar vita a sette fanatiche,
mai però a un'autentica comunità. A chi non sia in grado di affrontare
virilmente questo destino della nostra epoca bisogna consigliare di torna- re
in silenzio, senza la consueta conversione pubblicitaria, ma schiettamente e
semplicemente, nelle braccia delle antiche chie- se, largamente e
misericordiosamente aperte. Esse non gli ren- dono il passo difficile.
Comunque, egli dovrà in qualche modo compiere — è inevitabile — il « sacrificio
dell’intelletto ». Non glielo rimprovereremo, se egli ne sarà realmente capace.
Infatti un simile sacrificio dell’intelletto in favore di un’incondiziona- ta
dedizione religiosa è pur sempre qualcosa di moralmente diverso da quel modo di
evitare la semplice probità intellettua- le che si verifica quando, non avendo
il coraggio di rendersi chiaramente conto della propria posizione ultima, si
allevia que- sto dovere con una debole relativizzazione. E lo considero an- che
più rispettabile di quella profezia dalla cattedra che non ha capito che entro
le pareti dell’aula di lezione nessun'altra virtù ha valore al di fuori della
semplice probità intellettuale. Questa ci impone di mettere in chiaro che oggi
tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si
trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto del- la
sentinella idumèa durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di
Isaia: «Una voce chiama da Seir in Edom: sentinella quanto durerà ancora la
notte? E la sentinella ri- sponde: verrà il mattino e anche la notte; se volete
domandare, tornate un’altra volta » !. Il popolo, al quale veniva data questa
risposta, ha domandato e atteso ben più di due millenni, e sap- Ir. Isaia, cap.
21, 11-12. 716 MAX WEBER piamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre
insegnamento che anelare e attendere non basta, e ci comporteremo in altra
maniera: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al « com- pito quotidiano»
— nella nostra qualità di uomini e nella nostra attività professionale. Ciò è
semplice e facile quando ognuno abbia trovato e segua il démone che tiene i
fili della sua Vita. OSWALD SPENGLER NOTA BIOGRAFICA Oswald Spengler nacque a
Blankenburg, ai confini della Sassonia, il 29 maggio 1880, figlio di un
ingegnere minerario e di una madre con forti inclinazioni artistiche. Dopo aver
compiuto gli studi liceali a Halle, frequentò le università di Monaco, di
Berlino e di Halle, seguen- do corsi di matematica, di scienze naturali e poi
di filosofia. Nel 1904 conseguì il dottorato a Halle, con una dissertazione sul
pensiero di Eraclito (Halle, 1904). Dal 1908 al 1Igri insegnò al liceo di
Amburgo; dopo di che si trasferì a Monaco, vivendo come scrittore indipendente.
Durante gli anni della prima guerra mondiale Spengler si dedica alla stesura
della sua opera maggiore, Der Untergang des Abendlandes, di cui il primo volume
compare nel 1918, al termine del conflitto, e il secondo nel 1922 (Miinchen,
1918-22; tr. it. Milano, 1957). Il titolo di quest'opera — che incontra subito
un enorme successo — esprime la sua connessione con il clima politico della
sconfitta tedesca: il crollo della Germania si traduce nel « tramonto » della
civiltà occidentale, interpreta- to come il necessario momento di decadenza a
cui ogni cultura è condannata. I presupposti filosofici generali dell’opera di
Spengler possono essere rintracciati per un verso nel pensiero di Dilthey —
sviluppato in senso relativistico — e per l’altro verso in Goethe e in
Nietzsche, i due « autori » di Spengler. Da Dilthey deriva la rivendicazione di
una via di accesso alla storia che sia irriducibile al metodo della scienza
naturale, così come deriva l'affermazione del carattere storico di tutte le
manifesta- zioni del mondo umano. Spengler non soltanto accoglie l’antitesi tra
due modi di considerare la realtà, ma dà alla distinzione tra natura e storia
un rilievo ontologico; d'altra parte egli si richiama alla tesi diltheyana
dell’auto-centralità delle epoche storiche, applicandola alle culture e facen-
do così di ogni cultura un organismo chiuso in se stesso, privo di rapporto con
le altre culture. Da Goethe deriva invece la prospettiva biologica in base alla
quale la storia viene interpretata come un processo organico, contrapposto
all’uniformità delle vicende naturali nel cui ambi- to vale il principio di
causalità: la «natura vivente» di Goethe si trasforma nel « mondo come storia
», definito in antitesi al « mondo come natura», e la sua logica è intesa come
una logica organica, 720 OSWALD SPENGLER eterogenea alla logica meccanica della
natura. Da Nietzsche, infine, deriva lo schema ciclico di interpretazione della
storia, per cui il proces- so di ogni cultura appare come la ripetizione di un
processo sempre eguale: la dottrina dell'eterno ritorno viene tradotta
nell’affermazione dell'identità del ciclo biologico degli organismi elementari
della storia, cioè delle culture. Queste diverse componenti confluiscono — in
una mescolanza talvol- ta eclettica — a costituire l'impianto teorico di Der
Untergang des Abendlandes. In base ad esse Spengler si propone di dimostrare
che ogni cultura, essendo un organismo biologico, nasce, si sviluppa, decade e
muore, secondo la legge ineluttabile della sua specie: perciò ogni cultu- ra —
anche quella dell'Occidente — è destinata, a un certo momento, a perire. E
nulla valgono gli sforzi degli uomini rivolti a sottrarla a questa sorte,
poiché la logica organica della storia incarna il volere del destino, al quale
l’uomo non può che sottomettersi. Però, se il ciclo evolutivo è comune a tutte
le culture, diverso è il patrimonio biologico di ognuna: ogni cultura dà
origine a un proprio mondo simbolico, le cui manifestazioni valgono soltanto
all’interno di essa e non sono parteci- pabili dai membri delle altre culture.
Da ciò la conclusione relativistica a cui Spengler perviene: tra le culture non
è possibile alcuna comunica- zione, poiché non vi sono valori comuni tra di
esse. Ogni cultura crea i propri valori, che sono del tutto diversi da quelli
delle altre culture. In questo quadro la civiltà occidentale si presenta come
una cultura partico- lare ormai pervenuta al proprio tramonto, e
inarrestabilmente avviata alla fine. Analizzando i fenomeni politico-economici
che caratterizzano il mondo contemporaneo — l'affermazione della classe
borghese, il prevale- re dell'economia sulla politica, la dernocrazia,
l’organizzazione capitalisti- ca — Spengler cerca di porre in luce i sintomi di
questa decadenza, in virtù della quale la civiltà occidentale si presenta non
più come una « cultura » ma come una «civiltà in declino », ossia come una
Zivilisa- tion. Il tentativo di costruire una morfologia della storia
universale (come Spengler definisce la sua impresa filosofica) mette così capo
alla profezia, in chiave pessimistica, dell'imminente conclusione del ciclo
storico della civiltà occidentale. Benché oggetto di numerose critiche e
confutazioni, l’opera di Spen- gler ebbe una larga accoglienza positiva, e le
sue idee contribuirono in misura rilevante a preparare quel clima ideologico da
cui trarrà origine e alimento il nazismo. Nei volumi successivi a Der Untergang
des Abendlandes — da Preussentum und Sozialismus (Miinchen, 1919) a Politische
Pflichten der deutschen ]ugend (Miinchen, 1924) e a Neubau des deutschen
Reiches (Miinchen, 1924), e poi ancora da Der Mensch und die Technik (Miinchen,
1931; tr. it. Milano,
1931) a Jahre der Entscheidung (Miinchen, 1933; tr. it. Milano, 1934) — Spengler conduce OSWALD SPENGLER 721
un'aspra polemica contro il liberalismo, il regime parlamentare, i partiti
politici, affermando la necessità di restaurare l’autorità dello stato e di dar
vita a un socialismo coerente con la tradizione prussiana. È pur vero che egli
non aderì mai al nazismo; ma l'opposizione alla repubblica di Weimar e
l’esaltazione del primato della politica, della superiorità della razza bianca,
del cesarismo, ne fanno uno dei padri ideologici del regime. Negli ultimi anni
Spengler vive ritirato, ritornando sui temi della morfologia della storia
universale e dedicando una particolare attenzione al passaggio dalla preistoria
alla storia e all’origine delle culture: questi scritti, rimasti inediti per
lungo tempo, sono stati pubbli- cati soltanto in epoca recente (Urfragen,
Miinchen, 1965; tr. it. Milano, 1971; e Friihzeit der Weltgeschichte, Minchen,
1966). Muore a Monaco l'8 maggio 1936. 46. STORICISMO TEDESCO. NOTA
BIBLIOGRAFICA Di Der Untergang des Abendlandes esiste una recente riedizione in
un volume, Miinchen, 1963, 19697, nonché un’edizione economica nei « Deutsche
Taschenbiicher », 1973; anche Der Mensch und die Technik è stato ristampato nel
1971. Gli altri scritti del periodo 1919-24 sono stati raccolti nel volume
Politische Schriften, Miinchen, 1933. Ai volumi già menzionati si devono
aggiungere le Reden und Aufsitze (a cura di H. Kornhardt), Minchen, 1937, 1938
?, 1951° — che comprende anche Preus- sentum und Sozialismus — e i Gedanken (a
cura di H. Kornhardt), Miinchen, 1941. L'epistolario di Spengler è stato
pubblicato col titolo Briefe 1913-1936 (a cura di A. M. Koktanek, in
collaborazione con M. Schròter), Minchen, 1963. Sul dibattito a cui diede
origine la pubblicazione di Der Untergang des Abendlandes riferisce ampiamente
M. ScHnòrER, Die Streit um Spen- gler, Miinchen, 1922, ora ristampato come
prima parte di Metaphysik des Untergangs (Eine kulturkritische Studie tiber
Oswald Spengler), Miin- chen, 1949. Tra la vasta letteratura critica
concernente l’opera e il pensiero di Spen- gler segnaliamo gli studi seguenti:
« Logos », IX, 1920-21, n. 2 (fascicolo speciale dedicato a Spengler), con
articoli di K. JoéL, E. ScHwartz, W. SpreceLBere, L. Curtius, E. Frank, E.
Mezcer. T. L.
Harins, Die Struktur der Weltgeschichte, Tibingen, 1921. A. Messer, Oswald
Spengler als Philosoph, Stuttgart, 1922. A. Fauconnet, Oswald Spengler, Paris,
1925. R. G. Corrinewoon, Oswald Spengler and the Theory of Historical Cy- cles,
« Antiquity: a Quaterly Review of Archaeology », I, 1927, pp. 311-25 € 435-46.
V. Bronio-BroccHieri, Spengler. La
dottrina politica del pangermanesi- mo post-bellico, Milano, 1928. tr A. G.
OSWALD SPENGLER 723 . Fenvre, De Spengler à Toynbee: quelques philosophies opportunistesde
l’histoire, « Revue de métaphysique et de morale », XLIII, 1936, pp. 573-602. .
Giusso, Spengler e la dottrina
degli universi formali, Napoli, 1936. . Gaune, Spengler und die Romantik,
Berlin, 1937. Scunoter, Mesaphysik des Untergangs (Eine kulturkritische Studie ber Oswald Spengler), Miinchen,
1949. S. Hucnes, Oswald Spengler: a Critical Estimate, New York, 1952. .
Barrzer, Oswald Spenglers Bedeutung fiir die Gegenwari, Neheim- Hiisten, 1959.
. Stutz, Oswald Spengler als politischer Denker, Bern, 1959. A. Waismann, E?
historicismo contemporaneo: Spengler, Troeltsch, Croce, Buenos Aires, 1960,
parte I. Barrzer, Philosoph oder Prophet? Oswald Spenglers Vermichtnis und
Voraussagen, Neheim-Hiisten, 1962. Mitter, Oswald Spenglers Bedeutung fiir die
Geschichtswissenschaft, « Zeitschrift fir philosophische Forschung», XVII,
1963, pp. 483-98. Spengler-Studien: Festgabe fiir Manfred Schròter zum 85. Geburtstag (a A. cura di A. M. Koxraner),
Miinchen, 1965. M. Koxraner, Oswald Spengler in seiner Zeit, Miùnchen, 1968. Un
elenco completo degli scritti di Spengler è dato da A. M. Korra- NEK, Oswald
Spengler in seiner Zeit cit., pp. 473-80. Manca invece una bibliografia
aggiornata degli scritti su Spengler: si vedano però le indi- cazioni contenute
nei volumi sopra menzionati di M. ScHRòTER e di H. S. HucHs. IL PROBLEMA DELLA
STORIA UNIVERSALE: FISIOGNOMICA E SISTEMATICA * È ora finalmente possibile
compiere il passo decisivo e ab- bozzare un'immagine della storia non più
dipendente dalla po- sizione accidentale dell’osservatore in un determinato «
presen- te» — il suo presente — e dalla sua qualità di membro interes- sato di
una particolare cultura, le cui tendenze religiose, spiri- tuali, politiche,
sociali lo inducono a ordinare il materiale stori- co sulla base di una
prospettiva temporale e spazialmente delimitata, e a imporre quindi a ciò che è
accaduto una forma arbitraria e superficiale, ad esso intimamente estranea. Ciò
che finora mancava era la distanza dall’oggetto. Nei confronti della natura
essa era stata acquisita da lungo tempo; ma qui era anche più facile
acquisirla. Il fisico traccia il qua- dro meccanico-causale del suo mondo come
cosa ovvia, come se egli non esistesse affatto. La stessa cosa è però possibile
anche nel mondo formale della storia. Fino ad oggi noi non lo sapevamo.
Caratteristico degli storici moderni è l'orgoglio dell'oggettività; ma con ciò
essi tradiscono quanto poco siano consapevoli dei propri pre- giudizi. Perciò
si può forse dire (e lo si farà in avvenire) che è fino ad oggi mancata una
reale considerazione della storia di stile faustiano, ossia una considerazione
che possegga la di- * Der Untergang des Abendlandes: Umrisse einer Morphologie
der Weltgeschichte, cap. I: Das Problem der Weltgeschichte, sezione 1:
Physiognomik und Systematik, Miinchen, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung,
1918-1922, ed. definitiva 1923, vol. I, pp. 125-151 (traduzione di Sandro
Barbera e Pietro Rossi, autorizzata, per gentile concessione della Casa
Editrice Longanesi). 726 OSWALD SPENGLER stanza sufficiente per osservare,
nell'immagine complessiva della storia universale, anche il presente — che è
tale solo in rapporto a una delle innumerevoli generazioni umane — come
qualcosa di infinitamente distante ed estraneo, come un lasso di tempo che non
ha un peso maggiore di tutti gli altri, senza il criterio falsificante di
qualche ideale, senza il riferimento a se stessi, senza desiderio,
preoccupazione e intima personale partecipa- zione, come li pretende la vita
pratica; una distanza, quindi, che consenta — per dirla con Nietzsche, che però
non la posse- deva a sufficienza — di considerare il fatto «uomo» da una
lontananza immensa; un colpo d’occhio sulle culture, anche sulla propria, come
quello che si dà sulla serie di vette di una catena di montagne all’orizzonte.
Per far questo bisognava, ancora una volta, portare a compi- mento un'impresa
simile a quella di Copernico, una liberazio- ne dall’apparenza in nome dello
spazio infinito come quella che da tempo lo spirito occidentale aveva compiuto
nei confron- ti della natura, allorché passò dal sisterna tolemaico del mondo
al sistema che oggi è il solo per lui valido, eliminando in tal modo come
formalmente determinante la posizione accidentale dell'osservatore su un
particolare pianeta. La storia universale è suscettibile, e ha bisogno, del
medesi- mo distacco da una posizione di osservazione accidentale — dall’« età
moderna ». Certo, il secolo x1x ci appare infinitamen- te più ricco e
importante che non, per esempio, il secolo xIx avanti Cristo; ma anche la Luna
ci sembra più grande di Giove e di Saturno. Da lungo tempo il fisico si è
liberato dal pregiudizio della distanza relativa; non così lo storico. Noi ci
permettiamo di designare la cultura dei Greci come antichità in rapporto alla
nostra età moderna. Lo era forse anche per i raffinati Egizi alla corte del
grande Thutmosi!, che si trovava- no al culmine del loro sviluppo storico — un
millennio prima di Omero? Per noi gli avvenimenti che si sono svolti dal 1500
al 1800 sul terreno dell'Europa occidentale riempiono il terzo più importante «
della » storia universale. Per lo storico cinese che 1. Thutmosi (o Tutmosi)
III, faraone della Diciottesima dinastia vissuto intorno al 1600 a. C., sotto
il cui regno la potenza egiziana raggiunse il suo culmine, esten- dendosi fino
alla Siria e a Cipro. OSWALD SPENGLER 727] guarda indietro ai quattromila anni
di storia cinese e giudica in base ad essa, non sono che un breve e poco
significativo episo- dio, neppure lontanamente così importante come i secoli
della 10, Depp dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) che fanno epoca nella sua
«storia universale ». L'intento delle pagine che seguono è di svincolare la
storia dal pregiudizio personale dell’osservatore, che nel nostro caso la
riduce essenzialmente alla storia di un frammento del passa- to, assumendo come
fine ciò che è accidentalmente presente ’ P nell'Europa occidentale, e come
criteri di ciò che è stato rag- giunto e dev'essere raggiunto gli ideali e gli
interessi validi in questo particolare momento. II Natura e storia: in questo
modo si contrappongono tra loro, agli occhi di ogni uomo, le due possibilità
estreme di ordinare in un'immagine del mondo la realtà circostante. Una realtà
è natura in quanto subordina ogni divenire al divenuto, è storia in quanto
subordina ogni divenuto al divenire. Una realtà può essere vista nella sua
forma «ricordata » — così sorge il mondo di Platone, di Rembrandt, di Goethe,
di Beetho- ven — oppure può essere concepita criticamente nella sua esi- stenza
sensibile presente — ed ecco i mondi di Parmenide e di Descartes, di Kant e di
Newton. Conoscere, nel senso rigoroso del termine, è quell’atto dell'esperienza
vissuta il cui risultato compiuto si chiama « natura». Il conosciuto e la natura
sono identici. Ogni conosciuto è equivalente — come dimostra il simbolo del
numero matematico — a ciò che è meccanicamente limitato, a ciò che è esatto una
volta per sempre, a ciò che è posto. La natura è il complesso di ciò che è
necessario in virtà di leggi: vi sono soltanto leggi maturali. Nessun fisico
che sia consapevole della propria funzione vorrà procedere al di là di questo
limite. Il suo compito è quello di determinare la totali- tà, il sistema ben
ordinato di tutte le leggi che si possono ritrovare nell'immagine della su4
natura e, più precisamente, che rappresentano in maniera esauriente e senza
residuo l’im- magine della sua natura. 728 OSWALD SPENGLER D'altra parte
l'intuire — e rimando al detto di Goethe: «l’intuire va ben distinto dal guardare
»? — è quell’atto dell’e- sperienza vissuta che, in quanto si compie, è esso
medesimo storia. Ciò che viene immediatamente vissuto è l’accaduto, è storia.
Ogni accadere è singolare e irripetibile. Esso reca in sé la caratteristica
della direzione (del «tempo»), dell’irreversibili tà. L’accadere, contrapposto
come ormai divenuto al divenire, come realtà irrigidita alla realtà vivente,
appartiene irrevocabil- mente al passato: il sentimento di ciò è l'angoscia
cosmica. Ogni cosa conosciuta è però atemporale, né passata né futura, bensì
semplicemente «esistente » e perciò di validità permanen- te. Questa è la
struttura interna di ciò che è oggetto di leggi naturali. La legge — ciò che è
posto — è anti-storica; essa esclude il caso. Le leggi naturali sono forme di
una necessità priva di eccezione, e quindi inorganica. È chiaro il motivo per
cui la matematica, come ordine quantitativo del divenuto, si riferisce sempre
alle leggi e alla causalità, e soltanto ad esse. Il divenire « non ha numero ».
Soltanto ciò che è privo di vita — e il vivente soltanto se si prescinde dal
suo essere vivente — può venir contato, misurato, analizzato. Il puro divenire,
la vita, è in questo senso illimitato. Esso si pone oltre l'ambito della causa
e dell’effetto, della legge e della misura. Nessuna profonda e genuina ricerca
storica va in cerca della legalità causale; in caso diverso non ha compreso la
sua essenza più propria. E tuttavia la storia osservata non è puro divenire;
essa è un'immagine, una forma del mondo che irradia dall’essere desto
dell'osservatore, e nella quale il divenire domina il dive- nuto. È sulla
presenza in essa del divenuto, e quindi su una deficienza, che poggia la
possibilità di ricavarne scientificamen- te qualcosa; e quanto maggiore è tale
presenza, tanto più essa appare meccanica, intellettualistica, causale. Anche
la « natura vivente » di Goethe — un'immagine del mondo completamente estranea
alla matematica — conteneva tanto di morto e di rigido da poterne trattare
scientificamente almeno la facciata. Se questo contenuto diminuisce molto, se
essa è prossima al 2. Goerne, Lettera a Wilhelm von Humboldt del 3 dicembre
1795. OSWALD SPENGLER 729 puro divenire, allora l’intuire è divenuto un puro
Erlebnis che consente soltanto modi di elaborazione artistica. A ciò che vide
con il proprio occhio spirituale come destino dei mondi, Dante non avrebbe
potuto dare forma scientifica; neppure Goethe avrebbe potuto darla a ciò che
scorse nei grandi attimi del suo abbozzo faustiano; e altrettanto poco Plotino
e Giordano Bru- no alle loro visioni, che non sono state il risultato di
ricerche. Qui sta la causa più importante del conflitto concernente la forma
intima della storia. Di fronte allo stesso oggetto, allo stesso materiale di
fatti, ogni osservatore ha, secondo la sua disposizione, una diversa
impressione della totalità, inafferrabi- le e incomunicabile, che sta a base
del suo giudizio e gli conferisce un colore personale. Il grado del divenuto
sarà sem- pre diverso nella visione di due uomini: motivo sufficiente per cui
essi non possono mai intendersi sul compito e sul metodo. Ognuno dà all’altro
la colpa per la mancanza di chiarezza di pensiero, e tuttavia ciò che è
designato con questa espressione, e sulla cui struttura nessuno ha potere, non
è qualcosa di peggio ma una diversità necessaria. La stessa cosa vale per tutta
la scienza naturale. Ma si tenga ben presente che pretendere di trattare
scientifi- camente la storia è, in ultima istanza, sempre qualcosa di
contraddittorio. La scienza genuina si estende fin dove hanno validità i
concetti di vero e di falso: ciò vale per la matemati- ca, e vale pure per la
disciplina di raccolta, di ordinamento e di esame del materiale, che è
preliminare rispetto alla storia. Ma lo sguardo storico vero e proprio, che
procede soltanto di qui, appartiene al regno dei significati, in cui i termini
decisi- vi non sono il vero e il falso, ma il superficiale e il profondo. Il
vero fisico non è profondo, ma « acuto ». Solamente quando abbandona il campo
delle ipotesi di lavoro e sfiora le cose supreme, può essere profondo; ma
allora è diventato ormai anche lui un metafisico. La natura dev'essere
considerata scienti- ficamente, mentre la storia deve essere oggetto di poesia.
Il vecchio Leopold von Ranke avrebbe detto, una volta, che il Quentin Durward
di Scott? rappresenta la vera storiografia. E 3. Walter Scott (1771-1832),
pocta e romanziere scozzese, autore di famosi ro- manzi storici che ebbero
larga influenza anche sugli storici romantici: il Quentin Durward, qui citato,
è del 1823. 730 OSWALD SPENGLER le cose stanno proprio così; una buona opera
storica ha il suo vantaggio nel fatto che il lettore può diventare il suo
proprio Walter Scott. D'altra parte, dove dovrebbe dominare il regno dei numeri
e del sapere esatto, Goethe aveva chiamato «natura vivente » proprio ciò che
era un'intuizione immediata del puro divenire e del formarsi, e che quindi era
storia nel senso qui definito. Il suo mondo era anzitutto un organismo, un
essere vivente; e si comprende che le sue ricerche, anche quando recano
esterior- mente un’impronta fisica, non hanno come scopo in sé numeri né leggi
né una causalità fissata in formule, e in generale nessun’analisi, ma sono
piuttosto morfologia nel senso più alto ed evitano perciò il mezzo
specificamente occidentale (e nien- t'affatto antico) di ogni considerazione
causale, l'esperimento misuratore, senza però farne mai lamentare l’assenza. La
sua considerazione della superficie terrestre è sempre geologia, mai
mineralogia (che egli chiamava scienza di ciò che è morto). Diciamolo ancora
una volta: non esiste nessun confine preci- so tra i due modi di concepire il
mondo. Se è vero che dive- nire e divenuto sono antitetici, altrettanto sicuro
è il fatto che essi sono presenti entrambi in ogni specie di intendere. Rivive
la storia colui che intuisce entrambi i termini come divenienti e in via di
compimento; conosce la natura chi li analizza come divenuti e compiuti. In ogni
uomo, in ogni cultura, in ogni grado di cultura è presente una disposizione
originaria, un’originaria inclina- zione e determinazione a preferire una delle
due forme come ideale di comprensione del mondo. L’uomo dell’Occidente è in
alto grado disposto storicamente *, mentre l’uomo antico lo fu in misura
minima. Noi consideriamo tutto ciò che è dato in rapporto al passato e al
futuro, l’antichità riconobbe come esi- stente soltanto il presente nella sua
puntualità: il resto diventa- a. L’anti-storico come espressione di una decisa
disposizione siste- matica dev'essere nettamente distinto da ciò che è astorico.
L'inizio del quarto libro di Die Welt als Wille und Vorstellung di Schopenhauer
($ 53) è indicativo di un uomo che pensa in modo anti-storico, che cioè
reprime, in base a fondamenti teoretici, l'elemento storico che è presente in
lui e lo respinge contrapponendogli l’astorica natura ellenica che non lo
possiede e non lo comprende. OSWALD SPENGLER 731 va mito, In ogni nota della
nostra musica, da Palestrina‘ fino a Wagner, abbiamo davanti a noi anche un
simbolo del divenire; i Greci avevano in ogni loro statua un'immagine del puro
presente. Il ritmo di un corpo poggia sul rapporto simultaneo delle parti, il
ritmo di una fuga sul corso temporale. III In questo modo i principi della
forma e della legge ci si presentano come i due elementi fondamentali di ogni
configura- zione del mondo. Quanto più decisamente un’immagine del mondo reca
in sé i tratti della natura, tanto più illimita- tamente valgono in essa la
legge e il mumero. Quanto più puramente un mondo viene intuito come un esterno
diveniente, tanto più l’inafferrabile ricchezza del suo processo di formazio-
ne è estranea al numero. «La forma è qualcosa di mobile, di diveniente, di
transeunte. La dottrina della trasformazione. La dottrina della metamorfosi è
la chiave per penetrare tutti i segni della natura» — si dice in un’annotazione
postuma di Goethe, Così la celebre « fantasia sensibile esatta » di Goethe, che
lascia il vivente agire su di sé*, si distingue già sotto il profilo
metodologico dal procedimento esatto e mortifero della fisica moderna. Il
residuo dell’aliro elemento — che si troverà sempre — si manifesta nella
scienza naturale rigorosa sotto forma di scorie e di ipotesi inevitabili, il
cui contenuto intuitivo riempie e sostiene tutto ciò che è rigidamente numera-
bile e aderente a formule; e nella ricerca storica si manifesta come
cronologia, vale a dire come una rete di numeri intima- mente del tutto
estranea al divenire (e qui mai tuttavia percepi- a. «Vi sono fenomeni
originari, che noi non dobbiamo turbare e pregiudicare nella loro divina
semplicità » (GoetHE, colloquio con Falk del 25 gennaio 1813, citato da J.D.
Fark, Goethe aus naherm persòn- lichem Umgange dargestellet, Leipzig, 1832 [ed.
Artemis, vol. XXII, p. 680]). 4. Giovanni Pierluigi da Palestrina (1526-1594),
compositore italiano, autore di celebri messe, di magnificat, di inni, di
mottetti, di lamentazioni ecc., è la principale figura della musica sacra del
Cinquecento. S. GortHe, Fragmente zur vergleichenden Anatomie (morfologia), in
Natur wissenschafdlichen Schriften, Zurich, 1952, vol. II, p. 415. 732 OSWALD
SPENGLER ta nella sua estraneità), che avvolge e penetra il mondo delle forme
storiche come uno scheletro di date o come statistica, senza che si possa
parlare di matematica. Il numero cronologi- co designa ciò che è reale
singolarmente, il numero matematico designa ciò che è costantemente possibile.
Il primo delimita forme ed elabora per l’occhio del comprendere i contorni di
epoche e di fatti; è al servizio della storia. Il secondo è esso stesso la
legge che deve stabilire il termine e il fine della ricerca. Il numero
cronologico è preso in prestito, come mezzo di una scienza preliminare, dalla
scienza per eccellenza, cioè dalla matematica; nel suo uso si prescinde
tuttavia da questa qualità. Si colga la differenza tra i due simboli seguenti:
12 x 8 = 96 e 18 ottobre 1813 °. Qui l’uso del numero si distin- gue
completamente, proprio come l’uso linguistico nella prosa e nella poesia.
Ancora un’altra cosa occorre qui osservare. Poiché a base del divenuto sta
sempre un divenire e la storia rappresenta un ordinamento dell'immagine del
mondo nel senso del divenire, la storia è la forma del mondo originario, mentre
la natura — nel senso di un meccanismo elaborato del mondo — è una forma
successiva, che può essere realmente realizzata soltanto da parte dell’uomo
appartenente a culture mature. Di fatto l’ambiente oscuro e animistico
dell'umanità primitiva, di cui ancor oggi testimoniano i suoi usi e i suoi miti
religiosi, quel mondo completamente organico e pieno di arbitrio, di demoni
ostili e di potenze capricciose, costituisce una totalità vivente,
inafferrabile, enigmaticamente fluttuante e imprevedibile. Si può anche
chiamarlo natura, ma esso non è la nostra natura, non è il riflesso irrigidito
di uno spirito conoscente. Questo mondo originario risuona ancora talvolta,
come un frammento di umanità da lungo tempo passata, soltanto nell’anima
infanti- le e nei grandi artisti, in mezzo a una « natura» rigorosa che lo
spirito cittadino delle culture mature ha costruito con tiranni- ca energia
intorno al singolo. Qui sta il motivo della tensione irritata tra intuizione
scientifica (« moderna ») e intuizione arti- stica (« non pratica ») del mondo,
nota a ogni epoca tarda. L’uo- 6. Data della battaglia di Lipsia, in cui
Napolcone fu sconfitto dal generale prus- siano Blicher. OSWALD SPENGLER 733 mo
aderente ai fatti e il poeta non perverranno mai a intendersi reciprocamente.
Qui dev'essere cercato anche il motivo per cui ogni ricerca storica che aspiri
alla scientificità, mentre do- vrebbe sempre recare in sé qualcosa della
fanciullezza e del sogno, qualcosa di goethiano, sfiora il rischio di diventare
una mera fisica della vita pubblica — cioè una storia « materialisti- ca »,
come si è essa stessa chiamata senza alcun sospetto. « Natura » nel senso
esatto del termine è il modo più raro, limitato agli uomini delle grandi città
di culture più tarde, il modo maturo e forse già senile di possedere la realtà;
la storia è invece il modo ingenuo e giovanile, e anche più inconsapevo- le, proprio
di tutta l'umanità. Così almeno la natura numerabi- le, priva di mistero,
analizzata e analizzabile di Aristotele e di Kant, dei Sofisti e dei
darwinisti, della fisica e della chimica moderna si contrappone a quella natura
immediatamente vissu- ta, illimitata, sentita di Omero e dell’E444”, dell’uomo
dorico e di quello gotico. "Trascurare questo vorrebbe dire disconoscere
l’essenza di ogni considerazione della storia. Essa è la natura propriamente
zazurale, mentre la natura esatta, ordinata mecca- nicamente, è una concezione
artificiale dell'anima di fronte al suo mondo. Ciononostante — o proprio per
questo — la scien- za naturale è facile per l'uomo moderno, mentre la
considera- zione della storia gli è difficile. Le spinte del pensiero meccanicistico,
che procede completa- mente sulla base della delimitazione matematica, della
distinzio- ne logica, della legge e della causalità, compaiono assai per tempo.
Si trovano nei primi secoli di tutte le culture, per quanto ancora deboli,
isolate, ancora tendenti a svanire nella ricchezza della coscienza religiosa
del mondo; basti citare il nome di Ruggero Bacone®. Presto esse assumono un
carattere più rigoroso; non manca loro — come a tutto ciò che è conqui- sta
spirituale e sottoposto alla minaccia della natura umana — 7. Raccolta di canti
mitologici ed epici, redatti in Islanda tra il secolo x e il se- colo xur, a
cui fa seguito un trattato di arte poetica composto dall'islandese Snorri
Sturluson: è la principale fonte di conoscenza dell’antica religione germanica,
che si presenta tuttavia già in forma dottrinalmente elaborata. 8. Ruggero
Bacone (1214-1292?), filosofo inglese e monaco francescano, autore dell'Opus
maius, dell'Opus minus, dell'Opus tertium e di vari altri scritti, è consi-
derato il maggior rappresentante dell'orientamento empiristico nella Scolastica
del secolo xuI. 734 OSWALD SPENGLER l'aspetto tirannico ed esclusivistico. In
modo non percepibile il regno di ciò che è espresso in concetti spaziali —
infatti i concetti sono per loro essenza numeri, di costituzione puramen- te
quantitativa — penetra il mondo esterno del singolo, produ- ce nelle, con e tra
le semplici impressioni della vita sensibile una connessione meccanica di tipo
causale e numerico, sottopo- nendo in ultimo la coscienza desta degli uomini
civili delle grandi città — si tratti della Tebe egizia o di Babilonia, di
Benares, di Alessandria o delle metropoli dell'Europa occidenta- le — a una
costrizione continua da parte del pensiero fondato sulle leggi naturali. In tal
modo nulla più si oppone al pregiu- dizio di ogni filosofia e di ogni scienza
(giacché di un pregiudi- zio si tratta) secondo cui questa situazione è /o
spirito uma- no e ciò che gli sta di fronte, l’immagine meccanicistica del
mondo circostante, è il mondo. Logici come Aristotele e Kant hanno elevato
questa visione a visione dominante, ma Platone e Goethe vi si oppongono. IV Il
grande compito della conoscenza del mondo, che per l'uomo appartenente alle
culture superiori è un bisogno, una specie di penetrazione della sua esistenza
che egli crede dovuta a sé e ad essa — sia che il suo procedimento venga
chiamato filosofia o scienza, sia che la sua affinità con la creazione artisti-
ca e con l’intuizione della fede venga sentita con intima certez- za oppure
venga contestata — è in ogni caso sicuramente il medesimo: quello di
rappresentare nella sua purezza il linguag- gio formale dell'immagine del mondo
che è determinato ante- riormente all'essere desto del singolo e che questi,
finché non la pone a confronto con altre, deve considerare come «il» mondo.
Tenendo conto della differenza tra natura e storia, questo compito deve essere
duplice. L'una e l’altra parlano il proprio linguaggio formale, differente
sotto ogni riguardo; in un’imma- gine del mondo non ben caratterizzata — come
di regola avvie- ne — i due linguaggi possono sovrapporsi e confondersi, mai
però congiungersi in un’unità intima. OSWALD SPENGLER 735 Direzione e
estensione sono le caratteristiche dominanti in virtù delle quali si
distinguono l'impressione storica e quella naturalistica del mondo. L’uomo non
è affatto in grado di lasciarle operare contemporaneamente nella loro azione
for- mativa. Il termine «lontananza » ha un doppio senso indicati- vo: da un
lato significa futuro, dall'altro distanza spaziale. Si osserverà che il
materialista storico percepisce quasi di necessità il tempo come dimensione
matematica. Per l'artista nato, al contrario — come dimostra la lirica di tutti
i popoli — le lontananze panoramiche, le nuvole, l'orizzonte, il sole calante
sono tutte impressioni che si legano irresistibilmente col senti- mento di
qualcosa di là da venire. Il poeta greco nega il futuro e di conseguenza non
vede, non canta tutto questo: dal mo- mento che appartiene del tutto al
presente, appartiene an- che del tutto alla vicinanza. Lo scienziato naturale,
l’uomo di intelletto produttivo in senso proprio — sia egli uno sperime- tatore
come Faraday”, un teorico come Galilei o un calcolatore come Newton — trova nel
suo mondo soltanto quantità prive di direzione che egli misura, vaglia e
ordina. Soltanto ciò che è quantitativo sottostà alla formulazione numerica, è
deter- minato in modo causale, può diventare concettualmente accessi- bile ed
essere formulato in leggi. Con ciò sono esaurite le possibilità della pura conoscenza
della natura. Tutte le leggi sono connessioni quantitative o — come si esprime
il fisico — tutti i processi fisici si svolgono nello spazio. Senza modificare
il dato di fatto, il fisico antico avrebbe corretto tale espressione nel senso
dell’antico sentimento del mondo, negatore dello spa- zio, dicendo che tutti i
processi «Hanzo luogo tra corpi». Tutto ciò che è quantitativo è estraneo alle
impressioni storiche. Il suo organo è diverso. Il mondo come natura e il mondo
come storia hanno i loro propri modi di apprendimen- to. Noi li conosciamo e li
usiamo quotidianamente, senza però essere stati finora consapevoli della loro
antitesi. Ci sono una conoscenza della natura e una conoscenza dell’uomo, vale
a dire l’esperienza scientifica e l’esperienza della vita. Si segua 9. Michael
Faraday (1791-1867), fisico e chimico inglese, autore della C/hemical Manipulation
(1827), delle Experimental Researches in Electricity (1839-1855), delle
Experimental Rescarches in Chemistry and Physics (1859), diede contributi fondamen-
tali allo sviluppo della teoria dell'elettricità e del magnetismo. 736 OSWALD
SPENGLER quest’antitesi fino alle sue ultime profondità e si comprenderà che
cosa intendo. Tutti i modi di concepire il mondo possono essere definiti, in
ultima analisi, come morfologia. La morfologia di ciò che è meccanico ed
esteso, cioè una scienza che scopre e ordina leggi naturali e relazioni
causali, si chiama sistematica; la morfolo- gia di ciò che è organico, della
storia e della vita, vale a dire tutto quanto reca in sé direzione e destino,
si chiama fisiogno- mica. V Il modo sistematico di considerazione del mondo ha
rag- giunto e oltrepassato il suo culmine in Occidente durante il secolo
scorso; il modo fisiognomico ha invece ancora davanti a sé il suo grande
momento. Tra un centinaio di anni tutte le scienze ancora possibili su questo
terreno sono destinate a diven- tare frammenti di un’unica immensa fisiognomica
di tutto quanto è umano. Questo significa una «morfologia della storia
universale ». In ogni scienza, dal punto di vista del fine come del materiale,
l’uomo racconta se stesso. Esperienza scien- tifica vuol dire auto-conoscenza
spirituale. Da questo punto di vista la matematica è stata considerata poco
prima come un capitolo della fisiognomica. Non abbiamo preso in esame ciò che
si proponeva il singolo matematico: il dotto in quanto tale e i suoi risultati
in quanto esistenza di una somma di sapere si differenziano reciprocamente. Il
matematico come uomo la cui operosità costituisce una parte del suo manifestarsi,
e il cui sapere e opinare costituisce una parte della sua espressione, è qui il
solo ad avere importanza, e precisamente come orgazo di una cultura. Essa parla
di sé per il suo tramite. Come personali- tà, come spirito, nel suo scoprire,
nel suo conoscere, nel suo formare egli appartiene alla fisiognomica di quella
cultura. Ogni matematica che, in quanto sistema scientifico oppure — come nel
caso dell'Egitto — nella forma dell’architettura, rende manifesta a tutti
l’idea del suo numero, inerente al suo essere desto, è la confessione di
un’anima. Quanto è certo che la funzione che si propone appartiene soltanto
alla superficie della storia, altrettanto certo è che il suo elemento
inconscio, OSWALD SPENGLER 737 cioè il numero stesso e lo stile dello sviluppo
che la conduce alla costruzione di un mondo formale chiuso, costituisce un’e-
spressione dell’esistenza, del sangue. La sua storia vitale, il suo fiorire e
sfiorire, la sua relazione profonda con le arti figurati- ve, con i miti e i
culti della medesima cultura, tutto ciò appar- tiene a una morfologia del
secondo tipo, cioè a una morfologia storica, finora ritenuta quasi impossibile.
La facciata visibile di ogni storia ha perciò lo stesso significa- to
dell'apparenza esteriore dell’uomo singolo, vale a dire della statura, del
volto, del portamento, dell’andatura: non il lin- guaggio, ma il parlare; non
lo scritto, ma la scrittura. Tutto ciò è ben presente al conoscitore di uomini.
Il corpo con tutte le sue operazioni, il limitato, il divenuto, il transitorio,
è espres- sione dell'anima. Ma essere conoscitore di uomini vuol dire anche
conoscere quei grandi organismi umani di stile superiore che chiamo culture;
vuol dire cogliere il loro volto, il loro linguaggio, le loro azioni, nello
stesso modo in cui si colgono quelle di un uomo singolo. La fisiognomica
descrittiva e figurativa è arte del ritratto trasferita all'elemento
spirituale. Don Chisciotte, Werther, Ju- lien Sorel! sono i ritratti di
un’epoca. Faust è il ritratto di un'intera cultura. Lo scienziato naturale, il
morfologo in quan- to sistematico, conosce il ritratto del mondo soltanto come
com- pito imitativo; la stessa cosa vale per la «fedeltà alla natu- ra» e la «
somiglianza » nel caso dell’artigiano che dipinge, il quale, in fondo, si accinge
alla sua opera in modo puramente matematico. Ma un ritratto genuino nel senso
di Rembrandt è fisiognomica, cioè storia racchiusa in un attimo. La serie dei
suoi autoritratti non è altro che un’autobiografia autenticamen- te goethiana.
Così si dovrebbe scrivere la biografia delle grandi culture. La parte
imitativa, il lavoro dello storico di mestiere sulle date e sui numeri è
soltanto mezzo, non fine. Ai tratti del volto della storia appartiene tutto ciò
che è stato finora valutato soltanto in base a criteri personali, in base
all’utilità e alla dan- nosità, al bene e al male, al piacere e al dispiacere:
forme stata- li e forme economiche, battaglie e arti, scienze e divinità, mate-
matica e morale. Tutto ciò che è divenuto in generale, tutto 10. Personaggio
principale de Le ronge et le noir di Stendhal. 47. STORICISMO TEDESCO, 738
OSWALD SPENGLER ciò che si manifesta è simbolo, è espressione di un’anima;
aspira a essere considerato con l’occhio del conoscitore di uomi- ni, a non
essere ricondotto a leggi, ma sentito nel suo significa- to. In tal modo
l’indagine si eleva a una certezza ultima e suprema: tutto ciò che è
transitorio è soltanto un'immagine. Alla conoscenza della natura ci si può
educare, ma conosci- tore della storia si nasce. Il conoscitore coglie e
penetra uomini e fatti di un colpo, sulla base di un sentimento che non s’impa-
ra, che è sottratto a ogni influenza intenzionale, che ben rara- mente si
produce nella sua massima forza. Analizzare, definire, ordinare, delimitare in
base a cause ed effetti, si può sempre farlo, se si vuole: questo è un lavoro,
l’altra è una creazione. Forma e legge, immagine e concetto, simbolo e formula
hanno un organo completamente diverso. Ciò che si manifesta in que- st’antitesi
è il rapporto tra vita e morte, tra generazione e distruzione. L'intelletto, il
sistema, il concetto uccidono in quanto « conoscono »; fanno del conosciuto un
oggetto irrigidi- to, che si può misurare e suddividere. Invece l’intuizione
vivifi- ca; incorpora il singolo in un’unità vivente, intimamente senti- ta. Il
poetare e la ricerca storica sono affini quanto affini sono il calcolare e il
conoscere. Ma — come disse una volta Hebbel !! — «i sistemi non possono venir
sognati né le opere d’arte calcolate o, il che è lo stesso, escogitate ».
L'artista, lo storico autentico intuisce il modo in cui qualcosa diviene. Egli
rivive ancora una volta il divenire nei tratti di ciò che è osservato. Il
sistematico — sia egli fisico, logico, darwiniano oppure scritto- re di storia
pragmatica — ha esperienza di ciò che è divenuto. L'anima di un artista è, come
l’anima di una cultura, qualcosa che aspira a realizzarsi, qualcosa di concluso
e di perfetto o — nel linguaggio della filosofia antica — un microcosmo. Lo
spiri- to sistematico staccato dal sensibile — « as-tratto» — è un fe- nomeno
tardo, ristretto e perituro, e appartiene agli stadi più maturi di una cultura.
È un fenomeno collegato alle città, in cui la sua vita si concentra sempre di
più: esso appare e di nuovo scompare insieme con esse. La scienza antica
sussiste 11. Christian Friedrich Hebbcl (1813-1863), poeta e drammaturgo
tedesco, autore di vari drammi di argomento storico, di poesie, dì saggi
estetici, nonché di Tagedé- cher (iniziati nel 1836): il suo pensicro è
ispirato da Gocthe e dalle tcorie idcalistiche, in particolare da Schelling c
da Hegel. O$WALD SPENGLER 739 soltanto nel periodo che va dagli Ionici del
secolo vi fino all’e- poca romana; di artisti antichi ve ne furono per tutta
l’antichi- tà. Possa servire da ulteriore chiarimento lo schema seguente: Anima
Mondo Esistenza Possibilità Compimento Realtà (Vita) Divenire Divenuto Essere
Direzione Estensione desto Organico Meccanico Simbolo, immagine Numero,
concetto Storia Natura Immagine Ritmo, forma Tensione, legge del mondo Fisiognomica
Sistematica Fatti Verità Se si cerca di pervenire a chiarezza sul principio di
unità in base al quale ognuno dei due mondi viene concepito, si troverà che la
conoscenza regolata matematicamente si riferisce in tutto e per tutto, e in
modo tanto più deciso in quanto più è pura, a qualcosa che è costantemente
presente. L'immagine della natu- ra, quale il fisico la considera, è ciò che si
dispiega al momen- to dinanzi ai suoi sensi. Tra i presupposti per lo più
sottintesi, ma non per questo meno saldi, di ogni ricerca naturale vi è quello
secondo cui «la» natura è la medesima per ogni essere desto e per tutti i
tempi: un esperimento decide una volta per tutte. Non che il tempo venga
negato, ma all’interno di questo orientamento si prescinde da esso. La storia
reale poggia inve- ce sul sentimento, altrettanto certo, del contrario. La
storia presuppone come suo organo un tipo di sensibilità interiore, difficile
da descrivere, le cui impressioni vengono colte in un’in- finita trasformazione
e non possono quindi essere raccolte in un punto del tempo (del supposto
«tempo» dei fisici si parle- rà più oltre). L'immagine della storia — si tratti
della storia dell'umanità, del mondo degli organismi, della terra o del sistema
delle stelle fisse — è un'immagine della memoria. La memoria viene qui
concepita come uno stato superiore che non 740 OSWALD SPENGLER è affatto
proprio a ogni essere-desto, ed è concesso a qualcuno solo in grado minimo,
vale a dire come una forma del tutto particolare di immaginazione che consente
di rivivere l’attimo singolo sub specie aeternitatis, in continua relazione con
tutto ciò che è passato e futuro: essa è il presupposto di ogni specie di
contemplazione retrospettiva, di auto-conoscenza e di auto- confessione. In
questo senso l’uomo antico non possiede alcuna memoria, e quindi neppure
storia, né in sé né intorno a sé. « Nessuno può emettere giudizi sulla storia,
se non chi ne abbia fatto esperienza egli stesso » (Goethe !). Nella coscienza
del mondo dell’antichità tutto il passato è assorbito nell’attimo. Si
confrontino le teste quanto mai « storiche » delle sculture del duomo di
Naumburg, delle figure di Direr e di Rembrandt, con quelle ellenistiche, per
esempio con quella della celebre statua di Sofocle. Le prime narrano l’intera
storia di un’anima, mentre i tratti delle seconde si limitano strettamente
all’espres- sione di un essere momentaneo. Esse tacciono tutto ciò che ha
condotto, nel corso di una vita, a questo essere — sempre che se ne possa in
generale parlare di fronte a un uomo genuina- mente antico, che è sempre
compiuto, mai un essere diveniente. VI È ora possibile rintracciare gli
elementi ultimi del mondo formale della storia. Forme innumerevoli, che
compaiono e scompaiono, che si stagliano e si dileguano nuovamente in una ricchezza
senza fine; una confusione smagliante di mille colori e di mille luci,
caratterizzata in apparenza dalla più libera accidentalità — questa è, a prima
vista, l’immagine della storia universale, quale essa si dispiega nella sua
totalità di fronte all’occhio interiore. Ma lo sguardo che penetra più
profonda- mente nell’essenziale separa da questo arbitrio quelle forme pure
che, fittamente ricoperte e disvelantisi soltanto controvo- glia, stanno alla
base di ogni umano divenire. Dell’immagine del divenire complessivo del mondo
con i suoi orizzonti che si accumulano potenzialmente — così come 12. GoerHe, Maximen und
Reflezionen, 517. OSWALD SPENGLER
741 l'occhio faustiano che li abbraccia — e quindi del divenire del cielo
stellato, della superficie terrestre, degli esseri viventi, degli uomini, noi
consideriamo ora soltanto l’unità morfolo- gica estremamente piccola della
«storia universale » nel sen- so consueto della parola, cioè della storia (poco
apprezzata dal vecchio Goethe) dell'umanità superiore, che abbraccia cir- ca
seimila anni, senza affrontare l’arduo problema dell’ana- logia interna di
tutti questi aspetti del divenire. Ciò che dà senso e contenuto a questo
fuggevole mondo di forme, e che è rimasto finora profondamente sommerso sotto
la massa quasi impenetrabile di «date» e di «fatti» tangibili, è il fenomeno
delle grandi culture. Soltanto quando queste forme originarie siano state
individuate, sentite, elaborate nel loro si- gnificato fisiognomico, può
ritenersi compresa da noi l'essenza e la forma intima della storia umana — in
antitesi all’essenza della natura. Soltanto partendo da questo sguardo profondo
e prospettico si può parlare seriamente di una filosofia della sto- ria.
Soltanto allora si può cogliere ogni fatto presente nell’im- magine storica,
ogni idea, ogni arte, ogni guerra, ogni persona- lità nel suo contenuto
simbolico, e considerare la storia non più come mera somma del passato, priva
di un proprio ordine e di una interna necessità, bensì come un organismo di
strut- tura quanto mai rigorosa e con un'articolazione fornita di sen- so, nel
cui sviluppo il presente accidentale dell’osservatore non indica una semplice
sezione e il futuro non appare più come informe e indeterminabile. Le culture
sono organismi; la storia universale è la loro biografia complessiva. L’immensa
storia della cultura cinese o della cultura antica è morfologicamente l’esatta
contropartita della piccola storia del singolo uomo o di un animale, di un
albero, di un fiore. Per lo sguardo faustiano non si tratta di un’esigenza, ma
di un'esperienza: se si vuol conoscere la for- ma interna, ovunque ripetuta, la
morfologia comparativa delle piante e degli animali ha già da lungo tempo
preparato il metodo adatto. Nel destino delle singole culture che si succe- a.
Non si tratta del metodo analitico del « pragmatismo » zoologico dei darwinisti
con la loro caccia di connessioni causali, bensì del metodo intuitivo e
sintetico di Goethe. 742 OSWALD SPENGLER dono, che crescono l’una accanto
all’altra, si toccano, si ostacola- no, si soffocano, viene a esaurirsi il
contenuto di tutta la storia umana. E se passiamo spiritualmente in rassegna le
loro forme, che finora erano troppo profondamente nascoste sotto la superfi-
cie del corso banale di una «storia dell'umanità », perveniamo a scoprire la
forma originaria della cultura, libera da ogni elemento perturbatore e privo di
significato, la quale sta alla base di tutte le culture particolari come loro
ideale formale. Distinguo qui l’idea di una cultura, il complesso delle sue possibilità
interne, dalla sua manifestazione sensibile nell’imma- gine della storia, che
costituisce la sua realizzazione compiuta. Questo è il rapporto dell’anima con
il corpo vivente, con la sua espressione in mezzo all'universo visibile ai
nostri occhi. La storia di una cultura è la progressiva realizzazione di ciò
che ad essa è possibile. Il compimento equivale alla fine. In questo modo
l’anima apollinea — che alcuni di noi possono forse comprendere e rivivere —
stava in rapporto con il suo dispiega- mento nella realtà, con l’« antichità »
della quale l’archeologo, il filologo, lo studioso di estetica e lo storico
indagano i resti accessibili all’occhio e all’intelletto. La cultura è il
fenomeno originario di tutta la storia univer- sale passata e futura. La
profonda e poco apprezzata idea che Goethe scoprì nella sua «natura vivente», e
che ha sempre posto a base delle sue ricerche morfologiche, deve qui venir
applicata, nel suo senso più preciso, a tutte le formazioni della storia umana
pienamente maturate, morte mentre ancora stava- no fiorendo, semi-sviluppate o
soffocate ancora in germe. Si tratta di un metodo fondato sul sentire
simpatetico, non sull’a- nalisi. « Il massimo a cui l’uomo può pervenire è la
meraviglia; perciò sia soddisfatto quando il fenomeno originario lo pone in uno
stato di meraviglia; non gli è concesso niente di superiore, e neppure.deve
cercarvi qualcosa di più: qui sta il limite »!. Fenomeno originario è quello in
cui l’idea del divenire sta dinanzi agli occhi nella sua purezza. Goethe vide
chiaramente, davanti al suo occhio spirituale, l’idea della pianta originaria
nella forma di ogni pianta singola, nata accidentalmente o an- che solo
possibile. Nella sua indagine sull’os intermazillare 13. GoerHe, Gespriche mit
Eckermann, 18 febbraio 1829. OSWALD SPENGLER 743 egli partì dal fenomeno
originario del vertebrato, e in altro campo partì dalla stratificazione
geologica, dalla foglia come forma originaria di ogni organo vegetale, dalla
metamorfosi delle piante come immagine primordiale di tutto il divenire
organico. « La medesima legge si potrà applicare a tutti gli altri esseri
viventi » !* — scrisse da Napoli a Herder, comunican- dogli la sua scoperta. Si
trattava di uno sguardo sulle cose che Leibniz avrebbe potuto intendere; il secolo
di Darwin ne restò invece il più possibile distante. Non esiste però ancora una
considerazione della storia che sia completamente libera dai metodi del
darwinismo, cioè dalla scienza naturale sistematica poggiante sul principio
causale. Mai si è discusso di una fisiognomica rigorosa e chiara, compiu-
tamente consapevole dei suoi mezzi e dei suoi limiti, i cui metodi dovevano
essere ancora trovati. Questo è il grande com- pito del secolo xx: porre
accuratamente in luce la struttura interna delle unità organiche attraverso le
quali e nelle quali si compie la storia universale; distinguere ciò che è
morfologica- mente necessario ed essenziale da ciò che è accidentale, coglie-
re l’espressione degli avvenimenti e scoprire il linguaggio che sta alla sua
base. VII Una massa sterminata di esseri umani, una corrente senza sponde che
scaturisce dall’oscuro passato, là dove il nostro senti- mento del tempo perde
la propria capacità ordinatrice e l’in- quieta fantasia — o l’angoscia — ha
suscitato come per magia in noi l'immagine di epoche geologiche per nascondere
un enig- ma insolubile; una corrente che va a perdersi in un futuro altrettanto
oscuro e atemporale — questo è il substrato del- l’immagine faustiana della
storia umana. L’onda uniforme di innumerevoli generazioni muove questa vasta
superficie. Fasci di luce si estendono abbaglianti. Effimeri bagliori passano e
danzano, scompigliano e turbano il chiaro specchio, si trasfor- mano, balenano
e scompaiono: sono ciò che abbiamo chiamato 14. GoerHE, Italienische Reise,
lettera a Herder del 17 maggio 1787. 744 OSWALD SPENGLER generazioni, stirpi,
popoli, razze. Essi abbracciano una serie di generazioni in un ambito
delimitato della superficie storica. Quando si spegne la forma plasmatrice in
esse presente — e questa forza è assai diversa, e predetermina un’assai diversa
durata e plasticità di queste formazioni — si dissolvono anche le
caratteristiche fisiognomiche, linguistiche, spirituali, e il feno- meno si
risolve di nuovo nel caos delle generazioni. Arii, Mon- goli, Germani, Celti,
Parti, Franchi, Cartaginesi, Berberi, Ban- tù, sono tutti nomi che designano
formazioni estremamente differenziate di tale ordine. Ma su questa superficie
le grandi culture tracciano i loro maestosi cerchi di onde. Esse compaiono
all’improvviso, si estendono seguendo direttrici fastose, si acquietano,
scompaio- no lasciando di nuovo solitario e stagnante lo specchio della marea.
Una cultura nasce nell’attimo in cui una grande anima si desta dallo stato
psichico originario dell’umanità eternamente fanciulla e se ne distacca, come
una forma da ciò che è privo di forma, come qualcosa di limitato e di perituro
dall’illimitato e dal permanente. Essa fiorisce sulla base di un territorio
delimi- tabile in modo preciso, al quale rimane vincolata come una pianta. Una
cultura perisce quando quest'anima ha realizzato l’intera somma delle sue
possibilità sotto forma di popoli, di lingue, di dottrine religiose, di arti,
di stati e di scienze, ritor- nando quindi nel grembo della spiritualità
originaria. Ma la sua esistenza vivente, cioè quella successione di grandi
epoche che designano in una linea retta il suo compimento progressi- vo, è una
lotta interiore e piena di passione per l’affermazione dell'idea contro le
potenze del caos verso l'esterno, e verso l'interno contro l’inconscio in cui
esse si sono astiosamente ritirate. Non è soltanto l’artista a combattere
contro la resisten- za della materia e l’'annientamento dell’idea entro di sé.
Ogni cultura si trova in una relazione profondamente simbolica e quasi mistica
con ciò che è esteso, con lo spazio nel quale e attraverso il quale essa vuole
realizzarsi. Quando il fine è rag- giunto e l’idea, la molteplicità delle sue
possibilità interne, si è compiuta e si è realizzata verso l'esterno,
improvvisamente la cultura si irrigidisce; essa muore, il suo sangue si
coagula, le sue forze vengono meno — ed essa diventa una civiltà in decli-
OSWALD SPENGLER 745 no. Questo è ciò che sentiamo e intendiamo parlando di
egizia- nismo, di bizantinismo, di mandarinismo. Così essa può anco- ra, come
un gigantesco albero marcito nella foresta, protende- re i suoi rami fradici
per secoli e millenni. È quello che vedia- mo in Cina, in India, nel mondo
islamico. In questo modo l’antica civiltà in declino dell’epoca imperiale si
elevava gigante- sca, con apparente forza giovanile e apparente ricchezza, sot-
traendo aria e luce alla giovane cultura araba dell’Oriente. Questo è il senso
di tutti i tramonti della storia — del compimento interno ed esterno,
dell’esaurimento che sovrasta ogni cultura vivente. Di essi quello che ci
appare più chiaro nei suoi contorni è il «tramonto dell’antichità », mentre già
oggi avvertiamo chiaramente in noi e intorno a noi i primi indizi di un
avvenimento ad esso del tutto analogo per corso e durata, che appartiene ai
primi secoli del prossimo millennio: il « tramonto dell’Occidente » ?. Ogni
cultura percorre le età dell’individuo: ognuna ha la sua infanzia, la sua
giovinezza, la sua maturità e la sua vec- chiaia. Un’anima giovanile, timida,
ricca di presentimenti si manifesta negli albori del romantico e del gotico.
Essa riempie di sé il passaggio faustiano dalla Provenza dei Trovatori fino al
duomo di Hildesheim del vescovo Bernward”. Qui soffia un vento di promavera. «
Nelle opere dell’antica architettura tede- sca — dice Goethe! — si vede il
fiorire di una situazione straordinaria. Chi si trovi immediatamente di fronte
una fiori- tura del genere, non può che stupirsi; ma chi penetri nella segreta
vita interna della pianta, nel muoversi delle forze, se- guendo passo passo lo
sviluppo della fioritura, vede la cosa con occhi del tutto diversi; sa quello
che vede ». L'infanzia ci a. Non si tratta della catastrofe delle migrazioni
dei popoli che costi- tuisce —- come nel caso della distruzione della cultura
maya da parte spagnola — un caso privo di necessità più profonda, bensì
dell'intimo disfacimento che sopravviene fin da Adriano, e corrispondentemente
in Ci- na sotto la dinastia orientale Han (25-220 d. C.). 15. Hildeshcim è una
città della Bassa Sassonia, sede episcopale dall'epoca di Carlo Magno: San
Bernward vi fu vescovo dal 993 al 1022, facendo costruire le mura intorno alla
città e favorendo lo sviluppo della metallurgia. 16. GoerHE, Gespricke mit
Eckermann, 21 ottobre 1823. 746 OSWALD SPENGLER parla in modo simile e con voci
del tutto affini, con l’arte dorica pre-omerica, con quella cristiana antica,
cioè arabo-primi- tiva, e con le opere dell’antico regno egizio che ha inizio
con la quarta dinastia. Qui una coscienza del mondo mitica lotta con tutto ciò
che di oscuro e di demoniaco è presente in essa e nella natura come con una
colpa, per poter maturare fino alla pura luminosa espressione di un'esistenza
finalmente conquista- ta e compresa. Quanto più una cultura si avvicina al
mezzogior- no della sua esistenza, tanto più il suo linguaggio formale
finalmente assicurato diventa maturo, aspro, controllato, denso, tanto più essa
è certa nel sentimento della propria forza e tanto più chiari diventano i suoi
tratti. Nell’epoca primitiva tutto ciò era ancora sordo e confuso, procedeva
per tentativi, pieno al tempo stesso di nostalgia e di angoscia infantile. Si
consideri la decorazione dei portali delle chiese romanico-goti- che della
Sassonia e della Francia meridionale: si pensi alle catacombe cristiane
primitive, ai vasi in stile diploico. Ora, nella piena coscienza della forza
plasmatrice giunta alla maturi- tà — come si manifesta nelle epoche dell’inizio
del Medio Impero, dei Pisistrati, di Giustiniano I, della Controriforma — ogni
singolo tratto espressivo appare scelto, rigoroso, misurato, di una
meravigliosa levità e naturalezza. Qui troviamo ovun- que attimi di perfezione
luminosa, attimi in cui sono sorti la testa di Amenemhet III ” (la sfinge di
Hyksos di Tanis), la cupola di Santa Sofia, i dipinti di Tiziano. Ancora più
tardi, delicati, quasi fragili, della dolcezza dolorosa degli ultimi gior- ni
d’ottobre, sono l’Afrodite di Cnido e la sala dei cori dell’E- retteo, gli
arabeschi degli archi saraceni a ferro di cavallo, lo Zwinger di Dresda",
Watteau! e Mozart. Infine, nella vec- chiaia della civiltà in declino, il fuoco
dell’anima si spegne. Per una volta ancora la forza calante trova l’ardire,
pervenen- do con parziale successo a una grande creazione — nel classici- smo,
che non è estraneo a nessuna cultura in via di estinzione; 17. Amenembet II,
faraone della Dodicesima dinastia vissuto intorno al 1850- 1800 a, C. 18, Lo
Zwinger è il castello rcale di Dresda, costruito nell'età barocca, sede di
celebri collezioni. 19. Jcan-Antoinc Wattcau (1684-1721), uno dci maggiori
pittori francesi del Set- tecento. OSWALD SPENGLER 747 l’anima ripensa ancora
una volta dolorosamente — nel romanti- cismo — alla propria infanzia. Alla fine
stanca, neghittosa, fredda, essa smarrisce la gioia dell’esistenza e — come
nell’epo- ca imperiale di Roma — aspira a fare nuovamente ritorno dalla luce
millenaria nell’oscurità della mistica spirituale originaria, nel grembo
materno, nella tomba. Questa è la magia della « seconda religiosità », che i culti
di Mitra, di Iside, del Sole hanno esercitato una volta sull'uomo della tarda
antichità — i medesimi culti che in Oriente un’anima appena albeggiante aveva
riempito di un’interiorità completamente nuova, facendo- ne l’espressione
primitiva, sognante, angosciata della sua solitu- dine in questo mondo. VII Si
parla dell’abito di una pianta e con ciò si intende la forma di apparenza
esterna propria ad essa soltanto, cioè il carattere, l'andamento, la durata del
suo manifestarsi nel mon- do visibile ai nostri occhi — l'elemento per cui
ognuna si distingue, in ogni sua parte e in ogni fase della sua esistenza,
dagli esemplari di tutte le altre specie. Applicherò questo im- portante
concetto fisiognomico ai grandi organismi della storia, e parlerò dell'abito
della cultura, della storia o della spiri- tualità indiana, egiziana, antica.
Un sentimento indeterminato di esso è stato da sempre a base del concetto di
stile; e quando si parla dello stile religioso, intellettuale, politico,
sociale, econo- mico di una cultura, e dello stile di un'anima in generale, ci
si limita a chiarirlo e ad approfondirlo. Questo abito dell’esi- stenza nello
spazio, che nell'uomo singolo si estende al fare e al pensare, al portamento e
alla disposizione spirituale, abbrac- cia nell'esistenza di intere culture
l’espressione complessiva del- la vita di ordine superiore, come la scelta di
determinati generi artistici (la scultura e l'affresco da parte dei Greci, il
contrap- punto e la pittura a olio in Occidente) e il riftuto deciso di altri
generi artistici (l’arte plastica da parte degli Arabi), la propen- sione
all’esoterismo (in India) o alla popolarità (nel mondo antico), al discorso
orale (nell’antichità) o allo scritto (in Cina e in Occidente), come forme di
comunicazione spirituale, non- 748 OSWALD SPENGLER ché il tipo di costumi, di
amministrazione, di mezzi di traspor- to e le forme di rapporto sociale. Tutte
le grandi personalità antiche costituiscono un gruppo a sé, il cui abito
spirituale è rigorosamente distinto da quello dei grandi uomini appartenen- ti
al gruppo arabo o occidentale. Si confronti un Goethe o un Raffaello con gli
uomini dell’antichità, ed Eraclito, Sofocle, Platone, Alcibiade, Temistocle,
Orazio, Tiberio ci appariranno subito come raccolti in un’unica famiglia. Ogni
metropoli anti- ca — dalla Siracusa di Gerone fino alla Roma imperiale — in
quanto incarnazione e simbolo di un medesimo sentimento del- la vita, è
profondamente diversa per piano urbanistico, per la struttura delle strade, per
il linguaggio dell’architettura priva- ta e pubblica, per il tipo delle piazze,
dei vicoli, dei cortili, delle facciate, per il colore, il chiasso, il
traffico, per lo spirito delle sue notti, dal gruppo delle metropoli indiane,
arabe, occi- dentali. A Granada molto tempo dopo la sua conquista si poteva
ancora sentire l’anima delle città arabe, di Bagdad e del Cairo, mentre nella
Madrid di Filippo II si incontrano già tutte le caratteristiche fisiognomiche
delle immagini di città moderne come Londra e Parigi. In ogni diversità di
questa specie c'è un alto grado di simbolismo: si pensi alla propensio- ne
occidentale per le prospettive e i tracciati stradali rettilinei, come lo
scorcio possente dei Champs Elysées visti dal Louvre o la piazza di San Pietro,
e alla loro antitesi rispetto alla confusio- ne e alla ristrettezza quasi
intenzionale della Via Sacra, del Foro romano e dell’Acropoli con il loro
ordine asimmetrico e aprospettico delle parti. Anche la struttura della città
ripete o per un oscuro impulso (come avviene nel gotico) o consapevol- mente
(come dopo Alessandro e Napoleone) qui il principio matematico leibniziano
dello spazio infinito, là quello euclideo dei corpi isolati. Ma all’abito di un
gruppo di organismi appartiene anche una determinata durata della vita e un determinato
ritmo di sviluppo. Questi concetti non possono mancare in una dottrina della
struttura della storia. Il ritmo dell’esistenza antica era diverso da quello
dell’esistenza egizia o araba. Si può parlare dell’« andante » dello spirito
ellenico-romano e dell’« allegro con brio » di quello faustiano. Al concetto di
durata della vita di un uomo, di una farfalla, di una quercia, di un filo
d'erba si OSWALD SPENGLER 749 connette, del tutto indipendentemente da ogni
accidentalità del destino individuale, un determinato valore. Nella vita di
tutti gli uomini dieci anni costituiscono una sezione approssimativa- mente
equivalente, e anche la metamorfosi degli insetti è lega- ta, nei casi singoli,
a un numero di giorni già noto con precisio- ne in anticipo. I Romani
ricollegavano ai loro concetti di pueri- tia, adulescentia, juventus,
virilitas, senectus una rappresentazio- ne fornita di precisione quasi
matematica. Senza dubbio la biologia del futuro farà della durata
predeterminata della vita delle varie specie e dei vari generi — in antitesi al
darwinismo, e con un'esclusione di principio dei motivi causali di finalità
riguardo all'origine delle specie — il punto di partenza di una problematica
completamente nuova. La durata di una genera- zione — poco importa di quali
esseri — è un fatto di significa- to quasi mistico. Queste relazioni posseggono
anche, in manie- ra finora mai percepita, una validità per tutte le culture
superio- ri. Ogni cultura, ogni sua epoca iniziale, ogni crescita e ogni
declino, ognuna delle sue fasi e dei suoi periodi internamente necessari
possiede una durata determinata, sempre eguale, sem- pre ricorrente con
l'insistenza di un simbolo. In quest'opera si dovrà rinunciare a svelare questo
mondo di connessioni piene di mistero, ma i fatti che verranno in seguito
sempre più in luce sveleranno tutto ciò che qui rimane celato. Che cosa signi-
fica il sorprendente periodo di cinquant’anni, che si riscontra in ogni
cultura, nel ritmo del divenire politico, spirituale, arti- stico? *® Che cosa significano
i periodi di trecento anni del barocco, dello ionico, delle grandi matematiche,
dell’arte plasti- ca attica, della pittura a mosaico, del contrappunto, della
mec- canica galileiana? Che cosa significa la durata ideale di un millennio
nella vita di ogni cultura, in confronto a quella dell'individuo, in cui «la
vita dura settant'anni » ? a. Mi limiterò a fare qui riferimento alla distanza
delle tre guerre puniche e alla serie, anch'essa da intendersi in maniera
puramente rit- mica, della guerra di successione spagnuola, delle guerre di
Federico il Grande, di Napoleone, di Bismarck e della guerra mondiale. Affine a
ciò è il rapporto spirituale tra nonno e nipote. Di qui trae origine la
convinzione dei popoli primitivi che l’anima del nonno ritorni nel nipote e il
costume diffuso di dare al nipote il nome del nonno, che con la sua forza
mistica ne rievoca l’anima nel mondo corporeo. 750 OSWALD SPENGLER Nel modo in
cui le foglie, i fiori, i rami, i frutti recano ad espressione nella loro
forma, nella loro foggia e nel loro porta- mento l’essere vegetale, lo stesso
fanno le formazioni religiose, intellettuali, politiche ed economiche
nell’esistenza di una cultu- ra. Ciò che per l’individualità di Goethe
significa una serie di manifestazioni così differenti quali il Faust, la
Farbenlehre, il Reineke Fuchs, il Tasso, il Werther, il viaggio in Italia,
l'amo- re per Federica, il West-ostliche Divan e le Ròmische Elegien, per
l’individualità del mondo antico significano le guerre per- siane, la tragedia
attica, la polis, il dionisiaco, al pari della tirannide, delle colonne
ioniche, della geometria di Euclide, della legione romana, dei combattimenti
tra gladiatori e del pa- nem et circenses dell’epoca imperiale. In questo senso
ogni esistenza individuale in qualche modo significativa ripete, con profonda
necessità, tutte le epoche della cultura a cui appartiene. In ciascuno di noi
la vita interio- re si desta — in quell’istante decisivo a partire dal quale si
sa di essere un Io — nel punto e nel modo in cui si è destata l'anima
dell'intera cultura. Ognuno di noi, uomini dell’Occi- dente, ancora rivive da
fanciullo, nei suoi sogni ad occhi aperti e nei giochi infantili, il suo
gotico, le sue cattedrali, i castelli feudali e le saghe degli eroi, il Dieu Je
veut delle Crociate e il tormento del giovane Parsifal’. Ogni giovane greco
aveva la sua epoca omerica e la sua Maratona. Nel Werther di Goethe, immagine
di una svolta giovanile nota a ogni uomo faustiano, ma a nessun uomo antico,
ritorna l’epoca di Petrarca e del Minnesang”®. Quando Goethe abbozzò l’Urfaust,
egli era Parsi fal; quando finì la prima parte, era Amleto; soltanto con la
seconda parte diventò l’uomo universale del secolo x1x, quale 20. Eroc di una
leggenda popolare di origine celtica, poi collegato con il ciclo di Re Artà o
dei « cavalieri della tavola rotonda »: in questo nuovo contesto Parsifal
diventa il personaggio principale della ricerca del Graal, dando così il titolo
— nel secolo xt — a un noto pocma cavalleresco di Chrétien de Troyes. A quest'ultima
ver- sione si è richiamato Wagner nella sua ultima opera, il Parsifal, scritta
nel 1876-1877 e messa in musica nel 1877-1882. 21. Designazione collettiva
della lirica tedesca dei secoli xir e xm, affine alla poesia trobadorica
provenzale, che si ispira all'ideale dell’« amor cortese ». La parola è
composta dai termini Minne (= Liebe, amore) c Sang (= Gesang, canto o canzone);
essa si riferisce all'omaggio reso dal cavaliere alla sua dama, cspresso con la
parola Minnedienst. OSWALD SPENGLER 751 Byron lo intese. Perfino la senilità,
quei secoli capricciosi e infecondi dell’Ellenismo più tardo, la «seconda
fanciullezza » di un'intelligenza stanca e svogliata, si può studiare in più
d’uno dei grandi vegliardi dell’antichità. Nelle Baccanti di Eu- ripide è anticipato
molto del sentimento della vita, e nel Timeo di Platone molto del sincretismo
religioso dell’età imperiale. Il secondo Faust di Goethe e il Parsifal! di
Wagner svelano in anticipo quale forma la nostra spiritualità assumerà nei
prossi- mi secoli, negli ultimi secoli creativi. Per omologia degli organi la
biologia intende la loro equiva- lenza morfologica, in antitesi all’analogia,
che si riferisce inve- ce all’equivalenza della loro funzione. Goethe ha
concepito que- sto concetto importante, e così fecondo nelle sue conseguenze,
il cui sviluppo lo ha condotto a scoprire nell'uomo l’os interma- xillare;
Owen? ne ha dato una formulazione rigorosamente scientifica. Io introduco
questo concetto anche nel metodo sto- rico. È noto che a ogni parte del cranio
umano corrisponde in modo preciso in tutti i vertebrati — fino ai pesci —
un’altra parte, in modo tale che le pinne pettorali dei pesci e i piedi, le
ali, le mani dei vertebrati terrestri sono organi omologhi, anche se hanno
perduto ogni più piccola parvenza di somiglianza. Omologhi sono i polmoni degli
animali terrestri e la vescica natatoria dei pesci; analoghi sono invece — in
riferimento all’u- so — i polmoni e le branchie®. Qui si manifesta un talento
a. Non è superfluo aggiungere che questi fenomeni puri della natura vivente
sono estranei a ogni elemento causale, e che il materialismo do- vette
pervertirne l'immagine con l’introduzione di cause finali, per otte- nere un
sistema adatto all'intelletto comune. Goethe, che del darwi- nismo aveva grosso
modo anticipato ciò che di esso rimarrà ancora tra cinquant'anni, escluse
completamente il principio di causa. Egli carat- terizza la vita reale priva di
cause e di scopi in modo tale che i darwi- nisti non si sono qui affatto
avveduti dell'assenza del principio. Il con- cetto di fenomeno originario non
permette nessuna assunzione causale, a meno che non si voglia fraintenderlo in
senso meccanicistico. 22. Richard Owen (1804-1892), biologo inglese, autore
della Memoir on the Pearly Nautilus (1832), della Odontography (1840-1845),
della History of British Fossil Mam- mals and Birds (1846), della History of
British Fossil Reptils (1849-1884) e di varie altre opere, diede importanti
contributi alla paleontologia degli animali vertebrati. 752 OSWALD SPENGLER
morfologico approfondito, ottenuto attraverso una rigorosissi- ma educazione
dello sguardo, che è del tutto estraneo all’attua- le ricerca storica con la
sua comparazione superficiale, tra Cristo e Budda, tra Archimede e Galilei, tra
Cesare e Wallen- stein”?, tra i piccoli stati tedeschi e quelli ellenici. Nel
corso di quest'opera diventerà sempre più chiaro quali immense pro- spettive si
aprano allo sguardo storico, non appena questo meto- do rigoroso venga compreso
ed elaborato anche all’interno della considerazione della storia. Formazioni
omologhe sono — per menzionarne qui soltanto alcune — l’arte plastica antica e
la musica strumentale dell'Occidente, le piramidi della Quarta dinastia e le
cattedrali gotiche, il Buddismo indiano e lo Stoici- smo romano (mentre
Buddismo e Cristianesimo z07 sono nep- pure analoghi), l'epoca degli « stati in
lotta» della Cina, degli Hyksos e delle guerre puniche, le epoche di Pericle e
degli Omeiadi, le epoche del Rigveda”, di Plotino e di Dante. Omo- loghi sono
la corrente dionisiaca e il Rinascimento, analoghe sono invece la corrente
dionisiaca e la Riforma. Per noi — lo ha giustamente sentito Nietzsche — «
Wagner riassume la mo- dernità ». Di conseguenza dev’esserci qualcosa di
corrisponden- te anche per la modernità antica; ed è l’arte di Pergamo.
Dall’omologia dei fenomeni storici deriva nel medesimo tempo un concetto del
tutto nuovo. Io definisco « contempora- nei» due fatti storici che, ognuno
nella sua cultura, com- paiono esattamente nel medesimo luogo (relativo) e hanno
per- ciò un significato esattamente corrispondente. Si è già mostra- to come lo
sviluppo della matematica antica e di quella occiden- tale siano avvenuti in
piena coerenza. In questo caso Pitagora e Descartes, Archita* e Laplace,
Archimede e Gauss” dovrebbe- 23. Albrecht Wenzel Euscbius von Waldstein o
Wallenstcin (1583-1634), condot- tiero delle armate imperiali durante la guerra
dei Trent'anni, in seguito accusato di tradimento e ucciso, La sua vita ispirò
la trilogia di Schiller che da Wallenstein prende il nome (scritta nel
1798-1799). 24. Prima parte dei Veda, raccolta di inni e di racconti
cosmogonici anteriori all'800 a. C., che costituiscono il primo nucleo della
letteratura metafisica indiana. 25. Archita di Taranto, matematico greco della
prima metà del secolo Iv, svilup- pò l’opera di Pitagora e fu in relazione con
Platone. 26. Carl Friedrich Gauss (1777-1855), matematico c astronomo tedesco,
autore delle Disquisitiones arithmeticae (1801) e di numerosi altri scritti,
dicde una nuova impo- stazione alla teoria dei numeri e aprì la strada alle
geometrie non cuclidec. Non meno OSWALD SPENGLER 753 ro essere designati come
contemporanei; la nascita dello ionico e del barocco si compie
contemporaneamente; Polignoto” e Rembrandt, Policleto” e Bach sono
contemporanei. Contempo- ranei appaiono, in tutte le culture, la Riforma, il
Puritanesi- mo, e soprattutto la svolta che reca alla civiltà in declino.
Nell'antichità quest'epoca porta i nomi di Filippo e di Alessan- dro;
nell'Occidente l’avvenimento ad essa contemporaneo com- pare nella forma della
Rivoluzione francese e di Napoleone. Alessandria, Bagdad e Washington vengono
costruite contem- poraneamente; l'apparizione delle antiche monete e della no-
stra contabilità a partita doppia, della prima tirannide e della Fronda, di
Augusto e di Shih Huang Ti”, di Annibale e della guerra mondiale avvengono
contemporaneamente. Spero di dimostrare che tutte — senza eccezione — le gran-
di creazioni e forme della religione, dell’arte, della politica, della società,
dell'economia, della scienza sorgono, si compiono e periscono
contemporaneamente nelle diverse culture; che la struttura interna di una
corrisponde completamente a quella delle altre; che nell'immagine storica di
ogni cultura non c’è un solo fenomeno fornito di profondo significato
fisiognomico di cui non si possa rintracciare la contropartita, in una forma
rigorosamente definibile e in un luogo ben determinato, anche nelle altre. Ma
per cogliere l’omologia tra due fatti occorre un approfondimento e un’indipendenza
dall’apparenza della faccia- ta completamente diversi da quelli finora consueti
tra gli stori- ci, i quali non si sarebbero mai sognati che il Protestantesimo
trova il suo corrispettivo nel movimento dionisiaco e che il Puritanesimo
inglese dell'Occidente corrisponde all’Islam nel mondo arabo. Da questo aspetto
deriva una possibilità che va molto al di là dell’ambizione di ogni ricerca
storica precedente, la quale si importanti sono le sue ricerche astronomiche:
calcolò per primo l'orbita del pianetino Ccrere cd elaborò un nuovo metodo di
calcolo dell'orbita dei piancti. 27. Polignoto di Taso, pittore greco vissuto
nella prima metà del secolo v. 28. Policleto, grande scultore greco del secolo
v. 29. Shih Huang Ti (259-210 a. C.), « primo imperatore sovrano », è il titolo
as- sunto dal re Cheng dello stato di Ch'in dopo l'unificazione della Cina e la
soppres- sione degli altri stati indipendenti. A lui si devono la
semplificazione della scrittura cinese, l'estensione del sistema giuridico
Ch'in a tutto l'impero, l'organizzazione am- ministrativa dell'impero, nonché
il completamento della Grande muraglia. 48. STORICISMO TEDESCO, 754 OSWALD
SPENGLER limitava essenzialmente a ordinare il passato, nella misura in cui
esso era conosciuto, secondo uno schema unilineare — cioè la possibilità di
procedere oltre il presente come limite dell’inda- gine e di determinare in
anticipo anche le epoche zoz ancora trascorse della storia occidentale nella
loro forma interna, nella loro durata, nel loro ritmo, nel loro senso, nel loro
risultato, ma anche la possibilità di ricostruire con l’aiuto di connessioni
morfologiche le epoche da gran tempo scomparse e sconosciute, e perfino intere
culture del passato. Si tratta di un procedimen- to non dissimile da quello
della paleontologia che oggi è in grado di fornire, sulla base di un singolo
frammento del cra- nio, nozioni ampie e sicure sullo scheletro e
sull’appartenenza del frammento a una specie determinata. Una volta presupposto
il ritmo fisiognomico è del tutto pos- sibile ritrovare, sulla base di
particolarità disperse della decora- zione, dell’architettura e della
scrittura, e di dati isolati di natura politica, economica, religiosa, i tratti
organici fondamen- tali dell'immagine storica di interi secoli; è possibile ricavare
da elementi del linguaggio formale dell’arte la forma statale ad essa
contemporanea, dalle forme matematiche il carattere delle corrispondenti forme
economiche. Si tratta di un procedimento genuinamente goethiano, che riporta
all’idea goethiana di fero- meno originario, e che è corrente nel limitato
ambito della zoologia e della botanica comparativa, ma che può venir esteso, in
misura finora mai sospettata, all'intero campo della storia. FILOSOFIA DELLA
POLITICA * I Sul concetto di politica abbiamo riflettuto più di quanto fosse
opportuno, e tanto meno ci siamo intesi sul modo di considerare la politica
reale. I grandi uomini di stato sono soliti agire immediatamente, sulla base di
un sicuro intuito dei fatti. Per essi ciò è tanto evidente che non viene loro
neppure in mente la possibilità di riflettere sui concetti generali fonda-
mentali di questo agire — posto che tali concetti esistano. Essi sapevano da
sempre che cosa dovevano fare. Una teoria in proposito non corrispondeva né al
loro talento né al loro gu- sto. Ma i pensatori di professione che posavano lo
sguardo sui fatti creati dagli uomini erano così intimamente distanti da questo
agire che perdevano tempo almanaccando di astrazioni — preferibilmente in
immagini mitiche come quelle di giusti- zia, virtù, libertà — e in base ad esse
misuravano l’accadere storico del passato e soprattutto del futuro. Essi
dimenticarono che si trattava in fondo di semplici concetti, e pervennero alla
convinzione che la politica esista per dare forma al corso del mondo secondo
una ricetta ideale. E poiché una cosa simile non è avvenuta mai e in nessun
luogo, l’agire politico apparve loro così ristretto in confronto al pensiero
astratto che nei loro libri disputavano sul fatto se possa in qualche modo
esserci un « genio dell’azione ». * Der Untergang des Abendlandes: Umrisse einer
Morphologie der Weltgeschichte, cap. Il-iv: Der Staat, sezione 3: Philosophie der Politig, Minchen, C. H.
Beck'sche Verlagsbuchhandlung, 1918-22, cd. definitiva 1923, vol. II, pp.
544-579 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi, autorizzata, per gentile
concessione della Casa Edi- trice Longanesi). 756 OSWALD SPENGLER Qui si
compirà invece il tentativo di creare, anziché un sistema ideologico, una
fisiognomica della politica quale è stata realmente fatta nel corso della
storia intera, e non così come avrebbe dovuto essere fatta. Il compito era
quello di penetrare il senso ultimo dei grandi fatti, di «vederli», di sentire
e di circoscrivere il loro elemento simbolicamente significativo. I progetti di
miglioramento del mondo non hanno nulla a che fare con la realtà storica?. Noi
chiamiamo storia le correnti dell’esistenza umana nella misura in cui le
concepiamo come movimento; le chiamiamo generazione, ceto, popolo, nazione
nella misura in cui le conce- piamo invece come qualcosa di mosso. La politica
è il modo e la maniera in cui quest’esistenza che scorre si afferma, cresce,
trionfa sulle altre correnti della vita. Tutta la vita è politica, in ogni suo
tratto istintivo, fino al midollo. Ciò che oggi designiamo volentieri come
energia vitale (come vitalità), quel « qualcosa » in noi che vuole ad ogni
costo avanzare e sollevar- si, il cieco, cosmico, nostalgico impulso alla
validità e alla po- tenza che rimane legato — a mo’ di pianta e di razza — alla
terra, alla « patria », quell’essere diretto e quel dover necessaria mente
agire costituisce quello che ovunque, tra gli uomini superiori, cerca ed è
costretto a cercare, come vita politica, le grandi decisioni per essere oppure
per subire un destino. Infatti o si cresce 0 si muore: non c'è una terza
possibilità. Per questo motivo la nobiltà come espressione di una razza forte è
il ceto propriamente politico: la disciplina, non la cultu- ra è la forma
propriamente politica di educazione. Ogni gran- de politico, che è un centro di
forza nella corrente di ciò che accade, ha qualcosa di nobile nel modo di
sentire la propria a. «I regni passano, un buon verso rimane» — così si
esprimeva Wilhelm von Humboldt sul campo di battaglia di Waterloo. Ma la per-
sonalità di Napoleone ha plasmato in anticipo la storia dei secoli suc-
cessivi, Per ciò che riguarda i buoni versi, egli avrebbe dovuto inter- rogare
in proposito un contadino per strada. È vero che essi rimangono, ma per
l'insegnamento della letteratura. Platone è eterno, ma per i filologi. La
figura di Napoleone domina però interiormente noi tutti, i nostri stati e i
nostri eserciti, la nostra opinione pubblica, tutto il nostro essere politico —
e in misura tanto maggiore quanto meno ne abbiamo coscienza. OSWALD SPENGLER
757 vocazione e nel proprio legame interiore. Invece tutto ciò che è
microcosmico, tutto ciò che è «spirito», è anche apolitico; perciò ogni
politica programmatica e ogni ideologia hanno qual- cosa di sacerdotale. I
migliori diplomatici sono i fanciulli quando giocano o vogliono avere qualcosa.
Allora la sostanza cosmica presente nell'esistenza singola si fa strada
immediata- mente e con una sicurezza da sonnambulo. Col destarsi della
giovinezza gli uomini non imparano, ma anzi disimparano questa maestria dei
primi anni di vita: proprio per questo motivo l’uomo di stato è cosa rara tra
gli uomini. Queste correnti dell’esistenza nell’ambito di una cultura su-
periore — perché soltanto all’interno di essa e tra di esse vi è grande politica
— sono possibili solo al plurale. Un popolo esiste realmente soltanto in
rapporto ad altri popoli. Ma pro- prio per questo motivo il rapporto naturale,
razziale, tra di essi è la guerra. Si tratta di un fatto che nessuna verità
cambie- rà mai. La guerra è la politica originaria di ogzi essere viven- te,
fino al punto che la lotta e la vita sono in fondo tutt'uno e che con la
volontà di lotta si spegne anche l'essere. Vi sono antiche parole germaniche
come orrusta e orlog che significano serietà e destino, in antitesi allo
scherzo e al gioco: è un rafforzamento, non una differenza di essenza. E se
ogni alta politica vuol essere una sostituzione della spada con armi spiri-
tuali, se l'ambizione dell’uomo di stato alla sommità di tutte le culture è
quella di rendere quasi non più necessaria la guerra, rimane pur sempre
l’affinità originaria tra diplomazia e arte della guerra: il carattere di
lotta, la medesima tattica, la mede- sima astuzia bellica, la necessità di
avere sullo sfondo forze materiali per dare peso alle operazioni. Anche il fine
rimane lo stesso: la crescita della propria unità vitale — ceto o nazione — a
spese delle altre. Ogni tentativo di escludere questo ele- mento razziale
conduce soltanto alla sua trasposizione in un campo diverso: anziché tra
partiti c'è la lotta tra territori o, quando la volontà di crescita viene meno
anche qui, tra bande di avventurieri a cui il resto della popolazione
volontariamente si rassegna. In ogni guerra tra potenze della vita si tratta di
stabilire chi debba governare il tutto. È sempre una vita e mai un sistema, una
legge o un programma, che fornirà il ritmo nella 758 OSWALD SPENGLER corrente
dell’accadere ®. Essere il centro di azione, il centro attivo di una massa,
elevare la forma interiore della propria persona a forma di interi popoli e di
intere epoche, avere il comando della storia per poter condurre il proprio
popolo e la propria stirpe, con i suoi fini, al culmine degli avvenimenti —
questo è l'impulso inconsapevole e irresistibile operante in ogni essere individuale
fornito di vocazione storica. C'è soltan- to storia personale, e quindi anche
soltanto politica personale. La lotta non di princìpi ma di uomini, non di
ideali ma di caratteri razziali per esercitare il potere costituisce il
presuppo- sto e il fine della politica: le rivoluzioni stesse non costituisco-
no un'eccezione, poiché la « sovranità popolare » non è che una parola per
esprimere il fatto che il potere dominante ha assun- to il titolo di
capo-popolo anziché quello di re. Con questo non muta il metodo di governare, e
neppure la posizione dei gover- nanti. Anche la pace universale, tutte le volte
che c’è sta- ta, non è stata altro che la schiavitù dell’umanità intera sotto
il governo di un piccolo numero di nature forti decise a dominare. Il concetto
di esercizio del potere implica — già tra gli animali — che un’unità vitale si
frantumi in soggetti e oggetti di governo. Ciò è talmente ovvio che questa
struttura interna di ogni unità di massa non va perduta neppure un istante,
anche durante le crisi più gravi come quella del 1789. Soltanto il detentore
del potere scompare, non però l’ufficio; e quando nel corso degli avvenimenti
un popolo perde realmente ogni guida e si spinge in avanti senza regola, ciò
significa soltanto che trasferisce all’esterno la propria guida, perché è
diventato oggetto nella sua totalità. Non vi sono popoli politicamente dotati;
vi sono soltanto popoli che sono saldamente in mano a una minoranza gover-
nante e che quindi si trovano bene nella loro costituzione. Come popolo, gli
Inglesi sono altrettanto privi di giudizio, ristretti e poco pratici di cose
politiche che qualsiasi altra nazio- ne, ma posseggono, pur con tutto il loro
gusto per i dibattiti pubblici, una tradizione di fiducia. La differenza
consiste sem- plicemente nel fatto che l’Inglese è oggetto di un governo che a.
È questo il significato della frase inglese men not measures, che indica il
segreto di ogni politica che ha successo. OSWALD SPENGLER 759 ha consuetudini
assai antiche e ricche di successo, a cui egli acconsente perché ne conosce per
esperienza il vantaggio. Da questo consenso, che dal di fuori appare come
accordo, non c’è che un passo per arrivare alla convinzione che tale governo
dipenda dalla volontà popolare, anche se all’inverso è proprio esso che gli
inculca sempre, per motivi tecnici, questo punto di vista. La classe di governo
inglese ha sviluppato i suoi fini e i suoi metodi in piena indipendenza dal «
popolo »; essa lavora con — e in — una costituzione non scritta le cui finezze
nient’affatto teoriche, nate dall’uso, sono impenetrabili e in- comprensibili
al profano. Ma il coraggio della truppa dipende dalla fiducia nella guida — una
fiducia che vuol dire rinuncia non arbitraria alla critica. È l'ufficiale che
rende eroi i codardi o codardi gli eroi: ciò vale per gli eserciti, per i
popoli, per i ceti come per i partiti. Il talento politico di una massa non è
altro che fiducia nella sua guida. Ma essa dev'essere guadagna- ta; deve
maturare lentamente, venir mantenuta in virtù del successo e diventare
tradizione. Il difetto di capacità direttive nello strato dominante si
manifesta come scarso sentimento di sicurezza presso i dominati, cioè come
quella specie di critica priva d'istinto e petulante, che mette fuori forma un
popolo con la sua semplice presenza. II Come si fa politica? — L'uomo di stato
nato è soprattutto un conoscitore: un conoscitore di uomini, di situazioni, di
cose. Egli possiede lo « sguardo » che abbraccia integralmente, senza esitare,
l'ambito del possibile. Il conoscitore di cavalli saggia con «ro sguardo il
portamento dell’animale e sa quali prospettive esso possiede nella corsa. Il
giocatore lancia uno sguardo all’avversario e ne conosce la prossima mossa.
Fare ciò che è giusto senza « saperlo », la mano sicura che allenta imper-
cettibilmente o lascia andare del tutto la redine — tutto ciò è l'opposto
dell’uomo teoretico. Il ritmo segreto di ogni divenire è il medesimo in lui e
nelle cose storiche. L'uno ha sentore dell’altro, l’uno esiste per l’altro.
L'uomo di azione non si trova mai in pericolo di condurre una politica
sentimentale o programmatica. Non crede alle grandi parole: egli ha continua-
760 OSWALD SPENGLER mente sulle labbra la domanda di Pilato. Verità — ma l’uomo
di stato nato sta al di là del vero e del falso, non scambia la logica degli
avvenimenti con la logica dei sistemi. Le « verità » — o gli «errori », che
sono qui la stessa cosa — vengono da lui considerate soltanto come correnti
spirituali, riguardo alla loro efficacia: egli ne scorge la forza, la durata e
la direzione, e le mette in conto per il destino della potenza da lui diretta.
Certamente possiede convinzioni che gli sono care, ma come uomo privato; nessun
politico di statura si è mai sentito dipen- dente da esse mentre agiva. « Colui
che agisce è sempre privo di coscienza; nessuno ha coscienza come ne ha l’uomo
contem- plativo » !. Ciò vale per Silla e Robespierre così come per Bi- smarck
e Pitt. I grandi papi e i capi-partito inglesi, finché dovevano dirigere il
corso delle cose, non seguivano princìpi diversi da quelli dei conquistatori e
degli agitatori di tutti i tempi. Si tragga dalle azioni di Innocenzo III, che
ha condotto la Chiesa vicino al dominio del mondo, la loro regola fonda-
mentale, e se ne ottiene un catechismo del successo che rappre- senta l’estremo
opposto di ogni morale religiosa, ma senza il quale nessuna chiesa, nessuna
colonia inglese, nessun patrimo- nio americano, nessuna rivoluzione vittoriosa,
infine nessun sta- to e nessun partito, nessun popolo si troverebbe in una situazio-
ne sopportabile. La vita, non l’individuo, è priva di coscienza. Perciò occorre
intendere il tempo per il quale si è nati. Chi non avverte e non coglie le sue
potenze più segrete, chi non sente in se stesso qualcosa di affine che lo
spinge in avanti per un cammino che non si può circoscrivere con concetti, chi
crede a ciò che sta in superficie, all'opinione pubblica, alle grandi parole e
agli ideali del giorno, non è all’altezza dei suoi avvenimenti. Allora questi
lo hanno in loro potere, e non vicever- sa. Mai guardarsi alle spalle e mai
trarre il criterio dal passato! e tanto meno di fianco, da un qualsiasi
sistema! In epoche come l’attuale o come quella di Gracco vi sono due specie di
idealismo infausto: quello reazionario e quello democratico. L'uno crede nella
reversibilità della storia, l’altro nella presenza in essa di un fine. Ma per
il necessario insuccesso in cui entrambe gettano la nazione sul cui destino
hanno acquisito potere, è indifferente 1. GorrHe, Maximen und Reflexionen, 241. OSWALD SPENGLER 761 che la si sacrifichi a un
ricordo o a un concetto. L’uomo di stato genuino è la storia fatta persona; è
il suo orientamento in forma di volontà singola, la sua logica organica in
forma di carattere. Ma l’uomo di stato di valore dovrebbe anche essere un edu-
catore in senso elevato: non come rappresentante di una mora- le o di una
dottrina, ma come modello nel suo agire. È un fatto noto che nessuna religione
nuova ha mai mutato lo stile dell’esistenza. Essa ha penetrato l’essere desto,
l’uomo spiritua- le, ha gettato nuova luce su un mondo al di là, ha creato una
felicità incommensurabile con la forza della modestia, della rinuncia e della
sopportazione fino alla morte; ma sulle forze della vita non possedeva alcun
potere. Soltanto la grande perso- nalità — la sostanza impersonale, la razza in
essa presente, la forza cosmica che le è connessa — opera creativamente sul
vivente, non istruendo ma disciplinando, trasformando il tipo di interi ceti e
di interi popoli. Non /e verità, # bene, i sublime, bensì i;7 Romano, #
Puritano, : Prussiano costituisco- no un fatto. Il sentimento dell’onore, il
sentimento del dovere, la disciplina, la decisione sono tutte cose che non si
imparano dai libri; esse vengono destate, nel fluire dell’esistenza, da un
modello vivente. Perciò Federico Guglielmo I? fu uno dei più grandi educatori
di tutti i tempi e il suo portamento persona- le, plasmatore di una razza, non
è più scomparso nel susseguir- si delle generazioni. Ciò che distingue l’uomo
di stato genuino dal semplice politico, dal giocatore per diletto, dal
cacciatore di felicità che opera sulle sommità della storia, dall’avido e
dall’ambizioso, dal maestro di scuola che va predicando un ideale, è il fatto
che egli può esigere il sacrificio e lo ottiene perché il sentimento di essere
necessario all’epoca e alla nazio- ne viene condiviso da migliaia di uomini, li
plasma fin nel loro intimo e li rende capaci di imprese alla cui altezza non si
sarebbero altrimenti mai sollevati*. a. Ciò vale, in definitiva, anche per le
chiese, le quali sono qualcosa di completamente diverso dalle religioni, cioè
elementi del mondo dei 2. Federico Guglielmo I (1688-1740), re dì Prussia dal
1713 alla morte, pose le ba- si dell’amministrazione dello stato prussiano: la
sua parsimonia e la sua vita frugale servirono di esempio a generazioni di
funzionari del nuovo stato. 762 OSWALD SPENGLER Ma il momento supremo non
consiste nell’agire, bensì nel poter comandare. Soltanto con questo il singolo
cresce al di sopra di sé, diventando il punto centrale di un mondo attivo. C'è
una specie di comandare che fa dell’obbedire una consuetu- dine fiera, libera e
nobile — e che Napoleone, per esempio, non ha posseduto. Un residuo di
mentalità subalterna gli ha impedito di educare degli uomini e non degli strumenti
di registrazione, di dominare tramite personalità anziché median- te decreti; e
poiché non era capace di questa sensibilità sottile del comandare e doveva
quindi fare da solo tutto quanto era veramente decisivo, doveva a poco a poco
fallire a causa della sproporzione tra i compiti della sua posizione e i limiti
della capacità di azione umana. Ma chi possiede questa dote suprema e ultima
dell’umanità più perfetta — come Cesare o Federico il Grande — alla sera di una
battaglia, quando le operazioni vanno incontro all’esito voluto e la campagna
si decide con la vittoria, oppure nell’ora in cui si conclude, con l’ultima
firma, un’epoca della storia, prova un sentimento di potenza meravi- glioso che
rimane per sempre precluso agli uomini della veri- tà. Vi sono attimi — che
indicano i punti più alti delle cor- renti cosmiche — in cui l’individuo è
consapevole di essere identico al destino e di stare al centro del mondo, e
percepisce la sua personalità quasi come il manto di cui la storia futura è in
procinto di avvolgersi. Il primo compito è di fare qualcosa da sé; il secondo,
meno appariscente ma più difficile e più grande nella sua efficacia remota, è
di creare una tradizione, di coinvolgere altri af- finché proseguano la propria
opera, il suo ritmo e il suo spiri- to; scatenare una corrente di attività
unitaria che non ha più bisogno del primo capo per mantenere la propria forma.
Con ciò l’uomo di stato cresce a un’altezza che l’antichità ha defini- to come
divinità: diventa il creatore di una vita nuova, il capostipite spirituale di
una razza giovane. Dopo pochi anni egli scompare, come essere singolo, da
questa corrente. Ma una fatti e quindi — nel carattere della loro guida —
fenomeni politici e non religiosi. Non la predica cristiana, ma il martire cristiano
ha con- quistato il mondo, e del possesso di questa forza egli era debitore non
già alla dottrina, ma all’esempio dell'Uomo sulla croce. OSWALD SPENGLER 763
minoranza da lui suscitata, un altro essere di specie assai rara, subentra al
suo posto per un tempo indeterminato. Un indivi- duo può produrre e lasciare
come eredità questo elemento co- smico, quest’anima di uno strato dominante; in
tutta la storia questo ha sempre dato effetti durevoli. Il grande uomo di stato
è raro: se egli venga, se si affermi, se troppo presto o troppo tardi — tutto
ciò è affidato al caso. I grandi individui spesso distruggono più di quanto non
abbiano costruito, e ciò a causa del vuoto che la loro morte lascia nella
corrente dell’accadere. Ma creare una tradizione vuol dire escludere il caso.
Una tradi- zione alleva un tipo medio elevato su cui il futuro può fare sicuro
affidamento: non un Cesare, ma un senato; non un Napoleone, ma un corpo
incomparabile di ufficiali. Una forte tradizione attrae da tutte le parti i
talenti e consegue grandi successi con ridotte capacità: lo dimostrano le
scuole pittoriche italiane e olandesi non meno dell’esercito prussiano e della
diplomazia della curia romana. È stata una grande debolezza di Bismarck — in
confronto a Federico Guglielmo I — che egli abbia sì saputo agire, ma non
formare una tradizione, che non abbia creato accanto al corpo di ufficiali di
Moltke® una razza corrispondente di politici che si identificasse con il suo
stato e con i nuovi compiti da esso posti, che traesse continuamente dal basso
uomini importanti incorporando per sempre il loro stile di azione. Se ciò non
avviene, anziché uno strato di gover- no formato di un sol getto si avrà un
insieme di teste che affronta disarmata l’imprevisto. Ma se ciò riesce, allora
sorge un « popolo sovrano » nell’unico senso che è degno di un popo- lo e che è
possibile nel mondo dei fatti; una minoranza ben integrata e altamente
selezionata, provvista di una tradizione sicura e maturata attraverso una lunga
esperienza, che attrae c utilizza sul suo cammino ogni talento e che proprio
per questo motivo si trova in accordo con il resto della nazione da essa
governato. Una minoranza siffatta diventa a poco a poco una razza genuina —
anche se una volta era stata un partito — e 3. Helmuth Carl Bernhard von Moltke
(1800-1891), generale prussiano, prestò dap- prima servizio nell’esercito
turco; ritornato in Germania nel 1840, diresse le armate prussiane nella guerra
del 1866 conuo l’Austria e poi nella guerra franco-tedesca del 1870-71. A lui
si deve l’organizzazione in forma moderna dell’esercito prussiano: gran- de
stratega, ebbe una parte decisiva nell'esito vittorioso delle due guerre. 764
OSWALD SPENGLER decide con la sicurezza del sangue, non dell’intelletto.
Proprio per questo motivo tutto accade in essa « da sé»: non ha più bisogno del
genio. Ciò significa, se così si può dire, la sostitu- zione del grande
politico con la grande politica. Ma che cos'è la politica? — Essa è l’arte del
possibile: è una formula antica, che dice quasi tutto. Il giardiniere può
trarre una pianta dal seme o nobilitarne la specie; può dispiega- re o lasciar
deperire le disposizioni in essa latenti, la sua cresci- ta e la sua foggia, la
sua fioritura e i suoi frutti. Dal suo sguardo per il possibile, e quindi per
il necessario, dipendono la perfezione, la forza, l’intero destino della
pianta. Ma la forma fondamentale e la direzione della sua esistenza, le sue
fasi di sviluppo, la sua velocità e la sua durata, la «legge secondo cui si
manifesta » 70n sono in potere del giardiniere. Essa deve realizzarla, oppure
muore; e la stessa cosa vale per quell’immensa pianta che è la «cultura» e per
le correnti dell’esistenza di generazioni umane racchiuse nel suo mondo di
forme politiche. Il grande uomo di stato è il giardiniere di un popolo. Ogni
individuo che agisce è nato in e per un determinato tempo. In tal modo è
determinato anche l’ambito di ciò che può venir conseguito da /ui. Il nonno e
il nipote hanno di fronte cose differenti; anche il loro fine e il loro compito
sono quindi differenti. L'ambito si restringe ulteriormente a causa dei limiti
della sua personalità e delle qualità del suo popolo, della situazione e degli
uomini con cui deve lavorare. Ciò che qualifica il politico di statura è il
fatto che di rado egli deve fare sacrifici per essersi ingannato su questi
limiti, ma anche il fatto che non tralascia nulla di quanto può essere
realizzato. In ciò rientra pure — e proprio tra Tedeschi non si ripeterà mai
abbastanza — il fatto che egli non scambia ciò che dovrebbe essere con.ciò che
sarà. Le forme fondamentali dello stato e della vita politica, la direzione e
il luogo del suo sviluppo sono dati con un determinato tempo, e sono
immutabili. Tutti i successi politici vengono conseguiti con questi clementi,
non già a loro spese. Gli adoratori degli ideali politici creano dal nulla:
essi sono — nelle loro teste — sorprendentemente liberi; ma i loro edifici
ideali, costruiti su concetti vuoti come quelli di saggezza, giustizia,
libertà, eguaglianza sono in definitiva OSWALD SPENGLER 765 sempre gli stessi,
e ricominciano sempre da capo. A chi è padrone dei fatti basta dirigere in modo
impercettibile ciò che gli è semplicemente presente. Questo sembra poca cosa; e
tuttavia soltanto qui comincia la libertà in senso elevato. Ciò che conta sono
le piccole mosse, l’ultima cauta pressione sul timone, la fine sensibilità per
le sfumature più sottili dell’ani- ma dei popoli e degli individui. L'arte
dello stato è da un lato chiara visione delle grandi linee tracciate in modo
irrevocabile; dall’altro è mano sicura per ciò che è singolare e personale, per
ciò che in questo quadro può trasformare un disastro che si approssima in un
successo decisivo. Il segreto di ogni vittoria risiede nell’organizzazione di
quanto non appare. Chi sa far questo può dominare il vincitore come
rappresentante dei vinti, al pari di Talleyrand a Vienna. Cesare, la cui
posizione era allora quasi disperata, ha posto a Lucca al servizio dei propri
fini, senza farsi accorgere, la potenza di Pompeo, scavandogli così la fossa.
Ma vi è un pericoloso limite del possibile, che la perfetta sensibilità dei
grandi diplomatici dell’epoca barocca non ha quasi mai toccato, mentre è
privilegio degli ideologi inciamparvi continuamente sopra. Vi sono svolte nella
storia da cui il conoscitore si lascia trascinare per un intero periodo, pur di
non perdere il dominio. Ogni situazione possiede la propria misura di
elasticità, sulla quale non ci si può ingannare in nes- sun modo. Una
rivoluzione giunta al suo scoppio dimostra sempre una deficienza di sensibilità
politica, sia dei governanti sia dei loro avversari. Il necessario dev'essere
fatto al tempo giusto, cioè fin quan- do è un dono con cui il potere del
governo si assicura la fiducia, e non dev'essere fatto come un sacrificio che
manifesti debolezza e desti disprezzo. Le forme politiche sono forme viventi
che si trasformano inesorabilmente in una determinata direzione. Si cessa di
essere «in forma » quando si vuol ostaco- lare questa marcia oppure deviarla in
direzione di un ideale. La nobiltà romana possedette questa sensibilità; non
così quel- la spartana. Nell’epoca dell’ascesa della democrazia si è sem- pre
pervenuti all’attimo fatale — in Francia prima del 1789, in Germania prima del
1918 — in cui era troppo tardi per presenta- re una riforma necessaria come un
libero dono, e quindi si 766 OSWALD SPENGLER sarebbe dovuto rifiutarla con
energia priva di esitazione in quanto ora, come sacrificio, preparava la
dissoluzione. Ma chi non vede per tempo la prima necessità, disconoscerà ancora
più sicuramente la seconda. Anche il viaggio a Canossa può avveni- re troppo
presto o troppo tardi; in ciò risiede, per interi popoli, la decisione se essi
saranno in futuro un destino per gli altri, oppure se dovranno subirlo da
altri. Ma la democrazia in decadenza ripete lo stesso errore di voler tenere
fermo ciò che era l’ideale di ieri: questo è il pericolo del secolo xx. Su ogni
sentiero che conduce al cesarismo si trova un Catone. L'influenza che anche un
uomo di stato in posizione eccezio- nalmente forte può avere sui metodi
politici è assai ristretto; è proprio del valore dell’uomo di stato non farsi
illusioni in pro- posito. Il suo compito è di lavorare con e dentro le forme
storiche presenti; soltanto il teorico si entusiasma a scoprire forme più
ideali. Nell’«essere in forma» politico rientra però l’incondizionato
padroneggiamento dei più moderni. Qui non c'è nessuna scelta: i mezzi e i
metodi sono dati dal tempo, e appartengono alla forma interna di un’epoca. Chi
si sbaglia su di essi, chi consente al suo gusto e al suo sentimento di
prevale- re sulla propria sensibilità, perde di mano i fatti. Il pericolo di
un’aristocrazia è di essere conservatrice nei mezzi; il pericolo della
democrazia è di scambiare la formula con la forma. I mezzi del presente sono
ancora per molti anni quelli parlamen- tari: le elezioni e la stampa. Su di
essi si può avere l’opinione che si vuole, si può onorarli o disprezzarli, ma
bisogna padro- neggiarli. Bach e Mozart padroneggiavano i mezzi musicali del
loro tempo: questo è l’indice di ogni specie di maestria. Le cose non stanno
diversamente per l’arte dello stato. Ma quella che importa non è, in ogni caso,
la forma esteriore generalmen- te visibile, bensì ciò di cui è il rivestimento.
Perciò essa può venir mutata senza che sia mutato qualcosa nell’essenza
dell’ac- cadere; può venir tradotta in concetti e in testi costituzionali senza
neppur incidere sulla realtà; e l’ambizione di tutti i rivoluzionari e
dottrinari si riduce a immischiarsi in questo gioco di diritti, di princìpi e
di libertà alla superficie della storia. L'uomo di stato sa che l’estensione
del diritto di voto è del tutto inessenziale rispetto alla tecnica ateniese o
romana, OSWALD SPENGLER 767 giacobina, americana e ora anche tedesca, di fare
le elezioni. Comunque suoni la costituzione inglese, ciò è indifferente di
fronte al fatto che la sua applicazione è controllata da un piccolo strato di
famiglie nobili, di modo che Edoardo VII‘ era un ministro del proprio
ministero. Per quanto riguarda la stam- pa moderna, il visionario può ben
appagarsi del fatto che essa è costituzionalmente « libera »; il conoscitore si
domanda soltan- to chi ne dispone. La politica è infine la forma in cui si
compie la storia di una nazione in una pluralità di nazioni. La grande arte
consi- ste nel mantenere internamente in forma la propria nazione in vista
degli avvenimenti esterni. Non soltanto per i popoli, gli stati e i ceti, ma
per le unità viventi di ogni specie fino ai gruppi di animali più semplici e al
corpo dell'individuo, questo è il rapporto naturale tra politica interna e
politica estera: la prima esiste esclusivamente per la seconda, e non
viceversa. Il democratico genuino tratta di solito la politica interna come uno
scopo in sé, mentre il diplomatico di media levatura pensa soltanto alla
politica estera. Ma proprio per questo motivo i risultati particolari di
entrambi restano sospesi in aria. Senza dubbio il maestro nell’arte politica si
rivela nel modo più mar- cato nella tattica delle riforme interne, nella sua attività
econo- mica e sociale, nell’abilità di mantenere in accordo, e al tempo stesso
funzionante, la forma pubblica della totalità — « diritti e libertà » — con il
gusto dell’epoca, e nell'educazione di senti- menti senza i quali non è
possibile che un popolo si mantenga in buona costituzione: fiducia, rispetto
dei capi, consapevolez- za della propria potenza, soddisfazione e, se diventa
necessa- rio, entusiasmo. Ma tutto ciò mantiene il suo valore soltanto in
riferimento al fatto fondamentale della storia superiore, cioè al fatto che un
popolo non è solo al mondo e che per il suo futuro è decisivo il rapporto di
forze con altri popoli e altre potenze, non il semplice ordinamento interno. E
poi- ché lo sguardo dell’uomo comune non giunge tanto in là, è la minoranza
governante che deve possederlo anche per il re- 4. Edoardo VII (1841-1910), re
d’Inghilterra a partire dal rgor, alla morte della madre regina Vittoria,
promosse una politica di entenze con la Francia e la Russia: il suo regno —
come allude qui Spengler — si ispirò ai più rigorosi principi costituzionali.
768 OSWALD SPENGLER sto del popolo: quella minoranza in cui l’uomo di stato
trova lo strumento con cui può realizzare i suoi propositi *. III Per la
politica primitiva di ogni cultura le potenze direttive rappresentano un dato
di fatto. L’intera esistenza riveste una forma rigorosamente patriarcale e
simbolica; i condizionamenti del territorio materno sono così forti, il vincolo
feudale e an- che lo stato fondato sul ceto sono, per la vita così circoscritta,
una cosa talmente ovvia che la politica dell’epoca omerica e dell’epoca gotica
si limita ad agire nel quadro di forme date. Queste forme mutano, in certa
misura, per proprio conto. Che questo sia un compito della politica non
perviene mai chiara- mente alla coscienza, anche quando una monarchia è
rovesciata o una nobiltà è assoggettata. Esiste soltanto una politica di ceto,
una politica imperiale, papale, di vassalli. Il sangue, la razza, parla con
imprese impulsive e semi-consapevoli, poiché anche il sacerdote, nella misura
in cui fa politica, agisce qui come uomo di razza. I « problemi» dello stato
non si sono ancora destati. La signoria e i ceti originari, l’intero mondo di
forme primitive, sono dati da Dio, e soltanto in base a questo presupposto si
combattono minoranze organiche, fazioni. È proprio dell’essenza della fazione
che non le venga neppu- a. Non ci sarebbe neppure bisogno di sottolineare che
questi non sono i princìpi di un governo aristocratico, ma del governare in
genere. Nessun capo di masse fornito di talento — né Cleone5 né Robespierre né
Lenin — ha mai considerato diversamente il suo ufficio. Chi si sente realmente
l’incaricato della moltitudine anziché il dirigente di coloro che non sanno
quello che vogliono, non sarà padrone in casa propria neppure per un giorno. La
questione è soltanto quella di sta- bilire se i grandi capi-popolo facciano uso
della loro posizione a vantaggio proprio o degli altri; e su quest'argomento ci
sarebbe parecchio da dire. 5. Cleone, uomo politico ateniese del secolo v a.
C., pervenuto al potere dopo la morte di Pericle (429 a. C.), capeggiò il
partito favorevole a una guerra offensiva con- tro Sparta. Morì in battaglia ad
Amfipoli nel 422 a. C., dopo che le sorti del conflitto già volgevano a sfavore
di Atene. OSWALD SPENGLER 769 re in mente l’idea di poter mutare secondo un
programma l’ordine delle cose. La fazione vuol conquistare un posto all’in-
terno di quest'ordine, vuole conquistare potenza e possesso, co- me tutto ciò
che cresce in un mondo che cresce. Si tratta di gruppi in cui hanno un ruolo la
parentela tra i casati, l'onore, la fedeltà, i vincoli di un’interiorità quasi
mistica, e da cui rimangono del tutto escluse le idee astratte. Di questo
genere sono le fazioni dell’epoca omerica e gotica, Telemaco e i Proci di
Itaca, gli Azzurri e i Verdi sotto Giustiniano, i Guelfi e i Ghibellini, i
casati di Lancaster e di York, i Protestanti?, gli Ugonotti, e ancora le
potenze che hanno suscitato la Fronda e la prima tirannide. Il libro di Machiavelli
poggia completamen- te su questo spirito. Una svolta subentra non appena assume
la guida — con le grandi città — il non-ceto, cioè la borghesia. Ora, al
contrario, è la forma politica che assurge a oggetto della lotta, a proble-ma:
fin allora era maturata, ora dev'essere creata. La politica si desta; non
soltanto viene concepita, ma anche tradotta in concetti. Contro il sangue e la
tradizione si sollevano le poten- ze dello spirito e del denaro. Al posto
dell'organico subentra l'organizzato, al posto del ceto subentra il partito. Un
partito non è una formazione razziale, ma un insieme di teste e per- ciò tanto
superiore agli antichi ceti nello spirito, quanto più povero nell’istinto. Esso
è il nemico mortale di ogni articolazio- ne sviluppata in base al ceto, la cui
semplice presenza ne con- traddice l’essenza. Proprio per questo motivo il
concetto di partito è sempre legato con il concetto incondizionatamente
negatore, dissolutore e socialmente livellatore dell'eguaglianza. Non si
riconoscono più ideali di ceto, ma solamente interessi professionali ®. Ma esso
è legato anche a quello, altrettanto ne- gatore, della libertà: / partiti sono
un fenomeno puramente cittadino. Con la completa liberazione della città dalla
campa- gna la politica di ceto lascia ovunque il passo alla politica di partito
— poco importa che ne abbiamo conoscenza oppure a. I quali erano, in origine,
un'alleanza di diciannove principi e città libere (1529). b. Perciò sul terreno
dell’eguaglianza borghese il possesso di denaro prende subito il posto che
prima occupava il rango genealogico. 49. STORICISMO TEDESCO. 779 OSWALD
SPENGLER no: in Egitto con la fine del Regno di mezzo®, in Cina con gli stati
combattenti”, a Bagdad e a Bisanzio con gli Abassidi*. Nelle capitali
dell'Occidente si formano i partiti di tipo parla- mentare, nelle città-stato
antiche i partiti del foro; partiti di stile magico li conosciamo nel Maali® e
presso i monaci di Teodoro di Studion *"°. Ma è sempre il n0m-ceto,
l’unità della protesta contro l’essen- za del ceto in generale, la cui
minoranza dirigente — « cultura e possesso» — si presenta come partito fornito
di un program- ma, di uno scopo non sentito ma definito, e che rifiuta tutto
quanto non si lascia cogliere intellettualmente. Esiste perciò, in fondo, un
unico partito — quello della borghesia, quello liberale; ed esso è anche
pienamente cosciente di questo rango. Esso si identifica con il « popolo ». I
suoi avversari, soprattutto i ceti genuini, « Juzker e preti», sono nemici e
traditori « del popolo », mentre la propria opinione è la « voce del popolo »,
che viene iniettata a questo con tutti i mezzi della manipolazio- ne politica
di partito come il discorso del foro o la stampa occidentale, per poterla
quindi rappresentare. a. Cfr. anche J. WeLLHausen, Die religiòs-politischen
Oppositionspar- teien im alten Islam, Gòttingen, 1901. 6. Periodo della storia
egiziana che abbraccia l'Undicesima e la Dodicesima di- nastia, dal secolo xx1
a. C. all'invasione degli Hyksos: in quest'epoca la capitale del- l'Egitto fu
trasferita da Memfi a Tebe, c il nuovo stato raggiunse un maggior grado di
unità attraverso il controllo esercitato sulla nobiltà feudale delle province e
le sue ten- denze centrifughe. 7. Con l’espressione Clan-kso (« stati
combattenti ») si designano gli ultimi duc secoli e mezzo di dominio della
dinastia Chou — vale a dirc il periodo che va dal 500 circa al 249 a. C. —
caratterizzati da una situazione di anarchia feudale e di lot- te tra i diversi
regni che costituivano l'Impero cinese. 8. Dinastia araba succeduta a quella
omeiade, che salì al potere nel 750 trasfe- rendo Ja capitale del mondo arabo
da Damasco a Bagdad. Il suo dominio entra in erisi verso la fine del secolo,
giungendo al termine nel 1055, quando i Turchi selgiu- cidi — da tempo
convertiti alla fede islamica — conquistano Bagdad. Tuttavia il ca- liffato
abasside continuerà formalmente a esistere fino al 1258, quando sarà soppresso
dai Mongoli che subentreranno ai Turchi nel possesso di Bagdad. 9. Il Maali (o
Mali) è una regione dell’Africa a sud del Sahara, sull'alto corso del Niger,
dove nei secoli xiv e xv si sviluppò un regno reso particolarmente fiorente
dal- la posizione strategica di alcune città-mercato come Timbuktu c Gao. 10.
Tcodoro di Studion (759-826), monaco bizantino, abate del monastero di Stu-
dion a Costantinopoli, fu coinvolto nella disputa sull’iconoclastia e assunse
posizione favorevole al culto delle immagini: scrisse tre Légoi antirretikoì,
inni sacri e varie lettere. OSWALD SPENGLER 771 I ceti originari sono la nobiltà
e il clero. Il partito origina- rio è quello del denaro e dello spirito, il
partito liberale, il partito della grande città. Qui risiede la giustificazione
profon- da dei concetti di aristocrazia e di democrazia, e ciò per tutte le
culture. Aristocratico è il disprezzo per lo spirito delle cit- tà, democratico
è il disprezzo per il contadino, l’odio per la campagna. È questa la differenza
tra politica di ceto e politi- ca di partito, tra coscienza di ceto e mentalità
di partito, tra razza e spirito, tra crescita e costruzione. Aristocratica è la
cultu- ra compiuta, democratica è l’incipiente civiltà in declino della
metropoli, finché l’antitesi non viene superata nel cesarismo. Come è certo che
la nobiltà è :/ ceto, e che il terzo stato non perverrà mai a essere realmente
in forma in questa maniera, così è certo che la nobiltà riuscirà sì a
organizzarsi in partito, ma non a sentirsi tale. Ma la rinuncia a ciò non le è
consentita. Tutte le costituzio- ni moderne rinnegano i ceti e sono organizzate
sulla base del partito come l’ovvia forma fondamentale della politica. Il seco-
lo x1x, e nello stesso modo anche il n a. C., è l’apogeo della politica di
partito. Il suo carattere democratico impone la for- mazione di partiti
contrapposti, e mentre una volta — ancora nel secolo xvi — il terzo stato si
costituiva come ceto secon- do il modello della nobiltà, ora invece la
formazione difensiva del partito conservatore sorge in base al modello del
partito liberale ® completamente dominato dalle forme di esso, borghe- sizzato
senza essere borghese, costretto a una tattica i cui mez- zi e i cui metodi
sono esclusivamente determinati dal liberali smo. Esso ha soltanto la scelta
tra maneggiare questi mezzi meglio dell'avversario © o soccombere. Ha però
profonde radici a. Alla democrazia inglese e americana è essenziale il fatto
che in Inghilterra i contadini sono scomparsi e che in America non sono mai
esistiti. Il farmer è spiritualmente un abitante dei sobborghi, e prati-
camente esercita l'agricoltura come un'industria: in luogo dei villaggi vi sono
soltanto frammenti di metropoli. b. Ed essa sorge ovunque tra i due ceti
originari sussiste anche una antitesi politica, come in Egitto, in India e in
Occidente, e anche dove c'è un partito clericale, cioè non una religione ma una
chiesa, non dei fedeli ma un clero. c. E il suo più forte contenuto di razza
gliene dà tutte le prospettive. 772 OSWALD SPENGLER nell’essenza di un ceto il
fatto che esso non colga questa situa- zione e voglia combattere non il nemico,
ma la forma: di qui un appello ai mezzi estremi che ha devastato, all’inizio
del declinare di ogni civiltà, la politica interna di interi stati, conse-
gnandoli inermi all’avversario esterno. La necessità, propria di ogni partito,
di essere borghese nell’apparenza diventa caricatu- ra non appena, a fianco
degli strati cittadini forniti di cultura e di possesso, si organizza come
partito anche il resto del popo- lo. Così, per esempio, il marxismo, che in
teoria è una negazio- ne della borghesia, come partito è invece del tutto piccolo-bor-
ghese nel suo comportamento e nella sua guida. Vi è un conflit- to permanente
tra la volontà, che esce necessariamente fuori del quadro della politica di
partito e quindi di ogni costituzio- ne — entrambe sono esclusivamente liberali
— e che può venir designata in modo onorevole solo come guerra civile, e il suo
modo di presentarsi, al quale ci si crede obbligati e che in ogni caso bisogna
tenere per conseguire in quest'epoca qualche risultato durevole. Ma il modo di
presentarsi di un partito nobi- liare in parlamento è intimamente tanto poco
genuino quanto quello di un partito proletario. Qui soltanto la borghesia è a
casa propria. A Roma patrizi e plebei hanno combattuto essenzialmente come
ceti, dall’istituzione dei tribuni nel 471 a. C. fino al ricono- scimento del
loro pieno potere legislativo nella rivoluzione del 287 a. C. A partire da quel
momento l’antitesi ha un’importan- za soltanto più genealogica, e si sviluppano
partiti che si posso- no a buon diritto designare come partito liberale e
partito con- servatore: il populus che dava il tono al foro® e la nobiltà che
aveva il proprio sostegno nel senato. Intorno al 287 a. C. quest’ul- timo si
trasforma da consiglio di famiglia delle antiche stirpi in un consiglio di
stato dell’aristocrazia amministrativa. Vicini al populus .sono i comizi
centuriati, organizzati in base al pos- a. La plebs corrisponde al terzo stato
— borghesi e contadini — del secolo xvin, mentre il populus corrisponde alla «
massa » metropolitana del secolo xix. Questa differenza si esprime nel
comportamento nei confronti degli schiavi liberati, in gran parte di origine
non italica, che la plebs come ceto cerca di relegare nel minor numero
possibile di tribus, mentre nel populus come partito essi avranno ben presto
un'importanza determinante. OSWALD SPENGLER 773 sesso, e il gruppo dei grandi
finanzieri, gli equites; vicino alla nobiltà è invece la classe contadina,
influente nei comizi tribu- ti. Si pensi da un lato ai Gracchi e a Mario,
dall’altro a Caio Flaminio; e basta guardare un po’ più attentamente per
osserva- re la posizione del tutto mutata dei consoli e dei tribuni. Essi non
sono più gli uomini di fiducia nominati dal primo e dal terzo stato, il cui
comportamento è determinato da questo fat- to, bensì rappresentano e cambiano
il partito. Vi sono consoli « liberali» come Catone il Vecchio e tribuni
«conservatori » come Ottavio, l'avversario di Tiberio Gracco. Entrambi i parti-
ti stabiliscono i loro candidati per le elezioni e cercano di imporli con tutti
i mezzi di manipolazione demagogica; e se l’uso del denaro non ha avuto
successo nelle elezioni, avrà mi- glior sorte sugli eletti. In Inghilterra
tories e whigs si sono costituiti come partiti all’inizio del secolo x1x,
borghesizzandosi nella forma e assu- mendo entrambi alla lettera il programma
liberale: in tal mo- do l'opinione pubblica era, come sempre, completamente
con- vinta e soddisfatta. In virtù di questa conversione magistrale, e compiuta
al tempo giusto, non si arrivò alla formazione di un partito nemico del ceto,
com’era avvenuto nella Francia del 1789. I membri della Camera Bassa
diventarono, da emissari del- lo strato sociale dominante, rappresentanti del
popolo che ne dipendevano d’ora in poi finanziariamente; ma la guida rima- se
nelle stesse mani e l’opposizione tra i partiti, per la quale fin dal 1830
vennero spontaneamente coniati i termini « libera- le» e «conservatore», poggiò
su una questione di più o di meno, non già su un alternata Sono i medesimi anni
in cui l'aspirazione letteraria alla libertà della « Giovane Germania » si
trasformava in una mentalità di partito; gli anni in cui nell’A- merica del
presidente Jackson " il partito repubblicano si orga- nizzava
contrapponendosi a quello democratico, e il principio che le elezioni sono un affare
e che tutti gli uffici pubblici sono bottino del vincitore veniva riconosciuto
formalmente *. a. Contemporaneamente la Chiesa cattolica passa silenziosa dalla
poli- tica di ceto alla politica di partito, con una sicurezza strategica che
non 11. Andrew Jackson (1767-1845), presidente degli Stati Uniti dal 1829 al
1837: sotto la sua presidenza si consolidò la struttura bipartitica della vita
politica americana. 774 OSWALD SPENGLER Ma la forma della minoranza dirigente
si sviluppa izarresta- bilmente dal ceto, attraverso il partito, fino a
diventare un se- guito di individui. La fine della democrazia e il suo trapasso
al cesarismo si manifesta quindi nel fatto che non scompare tanto il partito
del terzo stato, il liberalismo, bensì il partito come forma in generale. La
mentalità, il fine popolare, gli ideali astratti di ogni genuina politica di
partito si dissolvono e in loro luogo subentra la politica privata, la sfrenata
volontà di potenza di pochi uomini di razza. Un ceto ha un istinto, un partito
ha un programma, un seguito ha un padrone: que- sta è la strada che dal
patriziato e dalla plebe, passando attra- verso ottimati e popolari, conduce ai
pompeiani e ai cesariani. L'epoca del genuino dominio dei partiti abbraccia a
malapena due secoli e presso di noi è, dopo la guerra mondiale, già in piena
decadenza. Che l’intera massa dell’elettorato mandi avan- ti, per un impulso
comune, uomini che devono sostenere la sua causa — come è detto ingenuamente in
tutte le costituzio- ni — era possibile soltanto all’inizio, e presuppone che
non siano presenti neppure le premesse dell’organizzazione di deter- minati
gruppi. Così era nel 1789 in Francia, e nel 1848 in Germa- nia. All’esistenza
di un’assemblea è però subito legata la forma- zione di unità tattiche la cui coesione
poggia sulla volontà di affermare la posizione dominante acquisita e che non si
conside- rano più affatto portavoce dei propri elettori, ma, al contrario, li
rendono docili con tutti i mezzi di propaganda per disporli ai propri scopi.
Una tendenza del popolo che si sia organizza- ta è con ciò già diventata lo
strumento dell’organizzazione, e sarà mai ammirata abbastanza. Nel secolo xvi
essa era stata comple- tamente aristocratica per ciò che riguardava lo stile
della sua diplomazia, l'assegnazione delle grandi cariche e lo spirito dei suoi
circoli più elevati. Si pensi al tipo di abate e ai principi della chiesa che
diventarono ministri e ambasciatori, come il giovane cardinale di Rohan !?.
Ora, in modo del tutto «liberale », alla nobiltà dell'origine si sostituisce Ia
mentalità, al gusto la capacità di lavoro, e i grandi mezzi della democrazia —
stampa, elezioni, denaro — vengono da essa manipolati con un'abilità che il
liberalismo vero e proprio ha raggiunto ben di rado, e mai superato. 12. Louis
René Edouard cardinale di Rohan (1734-1803), fu ambasciatore speciale a Vienna
dal 1771 al 1774, e in seguito arcivescovo di Strasburgo dal 1779 al 1801.
OS$WALD SPENGLER 775 procede inarrestabilmente su questa strada finché anche
l’orga- nizzazione non è diventata strumento dei capi. La volontà di potenza è
più forte di ogni teoria. All’inizio, la guida e l’appa- rato sorgono in
funzione del programma; poi vengono difesi dai detentori a causa della potenza
e del bottino — come oggi avviene generalmente, dato che in tutti i paesi
migliaia di per- sone vivono del partito, degli uffici e degli affari che esso
of- fre; infine il programma scompare dal ricordo e l’organizzazio- ne lavora
soltanto a proprio profitto. Nel caso del più vecchio degli Scipioni e di Quinto
Flami- nio possiamo ancora parlare di amici che li seguono in guerra, ma
Scipione minore si è formata una colors amicorum — certa- mente il primo
esempio di un seguito organizzato — che lavo- ra poi anche davanti al tribunale
e nel corso delle elezioni * Analogamente, il rapporto di fedeltà tra patrono e
clienti, in origine del tutto patriarcale e aristocratico, si sviluppa fino a
diventare una comunità di interessi basata su un fondamento assai materiale; e
già prima di Cesare vi sono contratti scritti tra candidati ed elettori con la
precisa determinazione del com- penso e della prestazione corrispondente.
D'altra parte si costi- tuiscono — esattamente come nell’America odierna® — i
circo- li e le associazioni elettorali dei tribuni che dominano o spaven- tano
la massa elettorale del distretto per poter negoziare l’affa- re elettorale con
i grandi capi (i precursori dei Cesari) da poten- a. Per quanto segue cfr. M.
Getzer, Die Nobilitàt der ròmischen Republik, Leipzig, 1912, p. 43 sgg., e A.
Rosemsero, Untersuchungen zur ròmischen Zenturienverfassung, Berlin, 1911, p.
62 sgg. b. Universalmente nota è la Tammany Hall a New York; ma in tutti i
paesi governati da partiti la situazione si avvicina a questa. Il caucus
americano che distribuisce gli uffici pubblici tra i suoi aderenti costringendo
la massa degli elettori a confluire sui loro nomi, è stato intro- dotto in
Inghilterra da Chamberlain !* con il nome di National Liberal Federation, e
dopo il 1919 è in rapido sviluppo anche in Germania. 13. Sede di riunione della
Società di St. Tammany, fondata fin dal 1789, che co- stituì il primo nucleo
del partito democratico; per tutto l’Ottocento, e ancora nei pri- mi decenni di
questo secolo, fu un importante circolo e gruppo di pressione nella vita
politica degli Stati Uniti. 14. Joseph Chamberlain (1836-1914), uomo politico
inglese, fu tra l’altro segreta- rio alle colonie durante la guerra
anglo-boera; ebbe una parte importante nella questio- ne irlandese. 776 OSWALD
SPENGLER za a potenza. Questo non è il naufragio, bensì il senso e il
necessario risultato finale della democrazia; e il lamento che gli idealisti
estranei al mondo levano su questa distruzione del- le loro speranze indica
soltanto la loro cecità di fronte all’ineso- rabile divergenza tra verità e fatti
e all’intima connessione tra denaro e spirito. La teoria politico-sociale è
soltanto un substrato, ma un sub- strato necessario, della politica di partito.
L’orgogliosa serie che da Rousseau va fino a Marx ha il proprio corrispettivo
nell'antichità in quella che dai Sofisti giunge fino a Platone e a Zenone. In
Cina si possono ancora ritrovare nella letteratura confuciana e taoistica i
tratti fondamentali di dottrine corri- spondenti: basti menzionare il nome del
socialista Mo Ti”. Nella letteratura bizantina e araba del periodo abasside,
dove il radicalismo si presenta sempre in una formulazione rigida- mente
ortodossa, esse occupano largo spazio e agiscono come forze motrici in tutte le
crisi del secolo rx; in Egitto e in India la loro presenza è dimostrata dallo
spirito degli avvenimenti del periodo di Budda e degli Hyksos. Esse non hanno
bisogno di una formulazione letteraria; altrettanto efficace è la loro dif-
fusione orale, la predicazione e la propaganda da parte delle sette e delle
leghe, come avviene generalmente all'origine delle correnti puritane, nonché
nell’Islam e nel Cristianesimo anglo- americano. Se queste dottrine siano
«vere» o «false» è una questione senza senso — si deve sottolinearlo sempre —
per il mondo della storia politica. La «confutazione » del marxismo, per
esempio, rientra nell’ambito delle discussioni accademiche o dei dibattiti
pubblici, in cui ognuno ha ragione e gli altri hanno sempre torto. Ciò che
importa è se queste dottrine sono efficaci, cioè da quando e per quanto tempo
la fede nel miglio- ramento della realtà mediante un sistema di idee
costituisce, in generale, una potenza con cui la politica deve fare i conti.
Noi ci troviamo in un'epoca di fiducia illimitata nell’ onnipotenza della
ragione. I grandi concetti generali di libertà, di giustizia, 15. Mo Ti (o Mo
Tsc), filosofo cinese vissuto tra la seconda metà del secolo v e i primi
decenni del secolo 1v a. C., all’epoca degli « stati combattenti », si distaccò
dal Confucianesimo per elaborare, nell'opera che da lui trac il nome — il
Mo-tse — una teoria dell'amore universale. O$WALD SPENGLER 777 di umanità, di
progresso, sono sacri; le grandi teorie sono van- geli. La loro forza di
convinzione non poggia su motivi, poi- ché la massa di un partito non possiede
né l’energia critica né la distanza necessaria per sottoporle a una prova
seria, bensì sul crisma sacramentale delle loro parole d’ordine. Ma questa
magia si limita alla popolazione delle grandi città e all’epoca del
razionalismo, di questa « religione dei dotti ». Essa non agi- sce però sulla
classe contadina, e sulle masse cittadine ha in- fluenza soltanto per un certo
periodo, con la violenza di una nuova rivelazione. Ci si converte, si aderisce
con fervore alle parole e ai loro annunciatori, si diventa martiri sulle
barricate, sui campi di battaglia, sul patibolo; allo sguardo si apre un aldilà
politico e sociale, e la critica spassionata sembra bassa e profana, degna di
morte. Ma con ciò scritti come il Contract social e il Manifesto comunista
diventano strumenti di potenza di prim’ordine nel- la mano di uomini energici,
che si sono affermati all’interno della vita di partito e che sanno formare e
utilizzare le convin- zioni della massa da essi dominata. Ciononostante questi
ideali astratti hanno una potenza che si estende appena oltre i due secoli — il
periodo della politica di partito. Non che vengano confutati, ma diventano
noiosi. Rousseau lo è già da lungo tempo, tra breve lo sarà anche Marx. Alla
fine si abbandona non questa o quella teoria, ma la fede nelle teorie in
generale, e con questa anche l’ottimismo esaltato del secolo xvitI, convinto di
poter correggere i difetti della realtà mediante l’applicazione di concetti.
Quando Plato- ne, Aristotele e i loro contemporanei definivano le forme di
costituzione antiche e le mescolavano per ottenere la costituzio- ne più saggia
e più bella, tutto il mondo li ascoltava; ed è stato proprio Platone, col suo
tentativo di riformare Siracusa secondo una ricetta ideologica, a rovinare
questa città ®. Altret- tanto sicuro mi sembra che gli stati meridionali della
Cina sono stati messi fuori forma a causa di esperimenti filosofici dello
stesso tipo, e si sono così posti alla mercè dell’imperiali- a. Sulla storia di
questo tragico esperimento cfr. E. MerEr, Geschickie des Althertums, Stuttgart,
1884-1902, vol. V, $ 987 sgg. 778 OSWALD SPENGLER smo Ch’in®!. I fanatici
giacobini della libertà e dell’eguaglian- za hanno consegnato per sempre la
Francia, dopo il Diretto- rio, al mutevole dominio dell’esercito e della borsa,
e ogni rivolta socialista apre nuove vie al capitalismo. Ma al tempo in cui
Cicerone scrisse il suo De republica per Pompeo e Sallustio le sue esortazioni
a Cesare, più nessuno vi poneva attenzione. In Tiberio Gracco si può forse
ancora scoprire un'influenza di quello stoico entusiasta, Blossio, che morì più
tardi suicida do- po aver condotto alla rovina anche Aristonico di
Pergamo"; ma nell’ultimo secolo prima di Cristo le teorie sono diventate
un abusato tema scolastico, e d’allora in poi conta soltanto la po- tenza.
Nessuno deve illudersi: l’epoca della teoria volge al termi- ne anche per noi.
I grandi sistemi del liberalismo e del sociali- a. I « progetti degli stati
combattenti », il Ch'un-ch'iu Fan lu e le biografie che si trovano in Ssu-ma
Ch’ien sono pieni di esempi di uno scolastico immischiarsi della « saggezza »
nella politica !*. b. Sulla sua «città del sole » formata di schiavi e di
salariati giorna- nalieri cfr. PauLy-Wissowa, Real-Encyclopidie der
classischen Alter- turmswissenschaft,
vol. II, col. 962. In modo analogo il rivoluzionario re Cleomene III di Sparta
(235 a. C.) subì l’influenza dello stoico Sfero!9. Si capisce perché il senato
romano mise ripetutamente al bando « filosofi e retori », cioè politicanti,
acchiappanuvole e mestatori. 16. Lo stato di Ch'in si affermò, alla fine
dell’epoca degli « stati combattenti », come nucleo di riunificazione
dell’impero, sconfiggendo c sottomettendo a sé gli stati meridionali: ciò
condusse nel 249 a. C, alla deposizione dell'ultimo imperatore Chou c, tre anni
dopo, all'ascesa al trono di Shih Huang Ti, che fondò la nuova dinastia Ch'in.
17. Blossio di Cuma, filosofo stoico della seconda metà det secolo Il a. C.,
allievo di Antipatro di Tarso, fu amico di Tiberio Gracco; dopo la sua morte si
rifugiò a Per- gamo, dove nel 133 a. C. Aristonico, fratello del defunto re
Attalo III (che aveva la- sciato i suoi domini in eredità a Roma), aveva
rivendicato per sé il regno, appoggian- dosi sui proletari e sugli schiavi e
vagheggiando la formazione di uno stato socialista, detto MALéTOALE, « città
del sole ». Nel 130 l'intervento romano mise fine al tentativo di Aristonico,
che fu fatto prigioniero, condotto a Roma e giustiziato; Blossio si tolse
invece la vita. 18. Il Ch'un-ch'iu Fan lu è il titolo dell'opera principale di
Tung Chung-shu (179- 104 2. C.), filosofo confuciano del periodo Han. Ssu-ma Ch’ien (145-86 a. C.) fu au- tore,
insieme con il padre Ssu-ma T'an, della prima grande storia cinese, i SMik Chi.
19. Cleomene III, re di Sparta dal 235 al 219 a. C., tentò una riforma
politico-so- ciale dello stato spartano estendendo la cittadinanza ai pericci e
redistribuendo le ter- re; combattè contro la lega achea e contro Antigono
Dosone, re di Macedonia, rima- nendo però sconfitto. Suo ispiratore c
consigliere fu il filosofo stoico Sfero, discepolo di Clcante. OSWALD SPENGLER
779 smo sono sorti nell’insieme tra il 17750 e il 1850. Quello di Marx è oggi
vecchio quasi di un secolo, ed è rimasto l’ultimo. Con la sua concezione
materialistica della storia esso rappresenta inter- namente l’estrema
conseguenza del razionalismo, e perciò an- che una conclusione. Ma come la fede
rousseauiana nei diritti dell’uomo ha perduto la sua forza all’incirca nel
1848, così la fede in tale concezione l’ha perduta con la guerra mondiale. Chi
confronta la dedizione fino alla morte, che le idee di Rousseau hanno
incontrato nella Rivoluzione francese, con il comportamento dei socialisti del
1918, costretti a conservare di fronte ai loro seguaci e a se stessi una
convinzione che non possedevano più — e non in vista dell'idea, ma in vista
della potenza che da essa dipendeva — può vedere già tracciata in anticipo la
via su cui cadrà alla fine ogni programma, in quan- to intralcia la lotta per
il potere. La fede in un programma aveva dato distinzione all’avo; per il
nipote è una dimostrazio- ne di provincialismo. Al suo posto spunta già oggi,
dal biso- gno dell’anima e dal tormento della coscienza, una nuova rasse- gnata
pietà che rinuncia a fondare un nuovo mondo terreno, e che in luogo di concetti
acuti cerca il mistero, per trovarlo finalmente nella profondità di una seconda
religiosità. IV Questo è un aspetto, l'aspetto linguistico, di quel grande
fatto che è la democrazia. Rimane da considerare l’altro fatto decisivo, quello
della razza. La democrazia sarebbe rimasta nel- le teste e sulla carta se tra i
suoi apostoli non vi fossero state nature genuine di dominatori per cui il
popolo non era che un oggetto e gli ideali non erano che mezzi, anche se spesso
non ne erano consapevoli. Tutti i metodi, anche i meno sospetti, della
demagogia, che è nel suo intimo la stessa cosa della diplo- mazia dell’ancien
régime — soltanto che si fonda sulle masse anziché sui prìncipi e ambasciatori,
su opinioni, disposizioni, esplosioni di volontà disordinate anziché su spiriti
eletti, e quin- di sembra un'orchestra di ottoni anziché antica musica da came-
ra — sono stati elaborati da democratici onesti ma pratici; e i partiti della
tradizione li hanno appresi soltanto da loro. La via della democrazia è però
caratterizzata dal fatto che 780 OSWALD SPENGLER gli autori delle costituzioni
popolari non hanno mai avuto so- spetto dell'efficacia reale dei loro progetti;
né l'hanno avuto il creatore della costituzione « serviana » ? di Roma o
l’Assem- blea nazionale di Parigi. Poiché tutte queste forme non sono cresciute
come il feudalesimo, ma sono state escogitate, e non già sulla base di una
conoscenza profonda degli uomini e delle cose, bensì sulla base di
rappresentazioni astratte del diritto e della giustizia, un abisso separa lo
spirito delle leggi dalle con- suetudini pratiche che si formano
silenziosamente, sotto la lo- ro pressione per adattarle al ritmo della vita
reale o per tener- le distanti da questa. Soltanto l’esperienza ha insegnato —
al termine dell’intero sviluppo — che i diritti del popolo e l’in- fluenza del
popolo sono cose differenti. Quanto più universale è il diritto di voto, tanto
più ristretto è il potere di un elettorato. Agli inizi di una democrazia il
campo appartiene soltanto allo spirito. Non c’è nulla di più nobile e di più
puro della seduta notturna del 4 agosto 1789 e del giuramento della pallacor-
da o della mentalità presente nella chiesa di San Paolo a Fran- coforte?! dove,
avendo già in mano il potere, si discusse tanto a lungo su verità universali da
dare il tempo alle potenze della realtà di riunirsi e di spazzare via i
sognatori. Ciononostante, l’altra grandezza di ogni democrazia si annuncia
abbastanza presto e rammenta il fatto che si può far uso dei diritti costitu-
zionali soltanto se si ha del denaro ?. Il funzionamento approssi- mativo del
diritto di voto presuppone, qualsiasi cosa ne pensi l’idealista, che non esista
alcuna dirigenza organizzata la qua- a. La democrazia primitiva, caratterizzata
da progetti costituzionali pieni di speranza e che per noi giunge fino
all’epoca di Lincoln, Bi- smarck e Gladstone, deve faure quest'esperienza; la
democrazia successiva — che per noi è quella del parlamentarismo maturo —
prende le mosse da essa. Da_allora, verità e fatti si sono separati definitivamente
nella forma dell'ideale di partito da un lato, della cassa del partito
dall’altro. Il parlamentare genuino si sente, in virtà del denaro, svincolato
dalla dipendenza che è contenuta nella concezione ingenua che l’elettore ha
dell’eletto, 20. Questa costituzione trac il proprio nome da Servio Tullio, il
sesto (secondo la tradizione) re di Roma, vissuto probabilmente nel secolo vi
a. C. 21. Luogo di riunione dell'Assemblea costituente tedesca nel 1848. OSWALD
SPENGLER 781 le agisce sugli elettori nel proprio interesse e assumendo come
criterio il denaro disponibile. Ma se questa esiste, il voto ha ancora soltanto
il significato di una censura che la massa eserci- ta sulle singole
organizzazioni; sulla loro formazione essa non possiede però più la minima
influenza. Analogamente, il dirit- to ideale delle costituzioni occidentali,
cioè il diritto della mas- sa di determinare liberamente i propri
rappresentanti, rimane mera teoria, poiché in realtà ogni organizzazione
sviluppata si completa da sé. Si desta infine il sentimento che il suffragio
universale non contiene alcun diritto reale, neppure quello del- la scelta tra
i partiti, poiché le formazioni di potere cresciute sul suo terreno dominano
col denaro tutti i mezzi spirituali del discorso parlato e scritto e così
dirigono a piacimento l’opi- nione dei singoli sui partiti, mentre questi
allevano da parte loro, attraverso la disponibilità dei pubblici uffici,
l'influenza e le leggi, una schiera di partigiani fedeli — cioè appunto il
caucus che esclude tutti gli altri individui inducendoli a una fiacchezza
elettorale che alla fine non potrà più essere superata neppure nelle grandi
crisi. Apparentemente sussiste una forte differenza tra la democra- zia
parlamentare occidentale e quella delle civiltà egizia, cine- se, araba, nel
periodo del loro declino, a cui è completamente estranea l’idea di elezioni
condotte con il suffragio universale. Ma per noi, in quest'epoca, la massa come
elettorato è «in forma » nel medesimo senso in cui lo era stata precedentemen-
te come insieme di sudditi, cioè come oggetto per un soggetto, e in cui lo era
stata a Bagdad e a Bisanzio come setta o come monacato, e altrove come esercito
governante, come associazio- ne segreta o come stato particolare all’interno
dello stato. La libertà è, come sempre, semplicemente negativa. Essa consiste
nel rifiuto della tradizione — della dinastia, dell’oligarchia, del califfato.
Ma l’esercizio della potenza trapassa subito intat- to da questi poteri ad
altri nuovi, cioè a capi-partito, a dittato- ri, a pretendenti, a profeti e ai
relativi aderenti, e di fronte ad essi la massa rimane ancor sempre
incondizionatamente ogget- ?. Il « diritto del popolo all’auto-determinazione »
è un modo a. Se ciononostante si sente invece liberata, ciò dimostra nuovamente
la profonda incompatibilità tra spirito metropolitano e tradizione, mentre 782
OSWALD SPENGLER di dire cortese: di fatto con ogni suffragio universale — non
organico — cessa anche il senso originario dell’eleggere in gene- rale. Quanto
più vengono dissolte politicamente le articolazio- ni dei ceti e delle
professioni, tanto più priva di forma e iner- me diventa la massa degli
elettori, tanto più incondizionata- mente essa è alla mercé dei nuovi poteri,
cioè delle direzioni dei partiti, che dettano ad essa la loro volontà con tutti
i mezzi di coercizione spirituale, per decidere tra loro la lotta per il
dominio — cioè con metodi di cui in fondo la massa non vede né comprende nulla
— e che utilizzano ognuno a proprio vantaggio l'opinione pubblica come un’arma
da essi stessi forgiata. Ma proprio per questo una spinta irresistibile muove
la democrazia su tale via, che conduce alla propria auto-dissoluzione °. I
diritti fondamentali di un popolo antico ($fuog, populus) si estendevano fino
alla possibilità di occupare gli uffici pubbli- ci più elevati e di
amministrare la giustizia®. A tal fine si era «in forma» nel foro — in modo del
tutto euclideo, come massa fisicamente presente riunita in un punto: qui si
diventa- va oggetto di una manipolazione di stile antico, effettuata cioè con
mezzi fisici, diretti, sensibili, con una retorica che agiva in tra la sua
attività e l'essere governata dal denaro sussiste un’intima rela- zione. a. La
costituzione tedesca del 1919, sorta quindi già sulla soglia di una democrazia
declinante, contiene in piena ingenuità una dittatura delle macchine di
partito, che hanno trasferito a sé ogni diritto e che non sono seriamente
responsabili di fronte a nessuno. Il famigerato voto proporzionale e la lista
nazionale assicurano ad esse l’auto-integrazione. In luogo dei diritti « del
popolo» — come idealmente li conteneva la costituzione del 1848 — esistono
soltanto i diritti dei partiti: ciò suona come innocuo, ma racchiude in sé il
cesarismo delle organizzazioni. In questo senso essa è però la più progredita
costituzione di quest'epoca; lascia giù riconoscere la fine; alcune
piccolissime trasformazioni, ed essa concederà ai singoli il potere illimitato.
b. Al contrario, la legislazione è connessa con un ufficio. Anche quando l'accoglimento
o il rigetto di una legge spettano formalmente a un'assemblea, la legge può
essere introdotta soltanto da un magi- strato, per esempio da un tribuno. Le
aspirazioni della massa al con- seguimento di un diritto — spesso suggerite dai
detentori del potere — si manifestano quindi in occasione delle elezioni a
qualche carica, come ci insegna l'età dei Gracchi. OSWALD SPENGLER 783 modo
immediato sull’occhio e sull’orecchio di ognuno e che con i suoi strumenti, a
noi diventati in parte disgustosi e dif- ficilmente sopportabili, con lacrime
studiate, con vesti straccia- te =, con la lode spudorata dei presenti, con
menzogne insensa- te sull’avversario, con un repertorio fisso di brillanti
locuzioni e cadenze armoniose, con giochi e con doni, con minacce e percosse,
ma soprattutto con denaro — è sorta esclusivamente in questo luogo e a questo
scopo. Noi ne conosciamo gli inizi dall’Atene del 400° e la fine, in misura
spaventosa, dalla Roma ‘di Cesare e di Cicerone. È come sempre: le elezioni si
sono trasformate da nomina di rappresentanti di ceto in una lotta tra candidati
di partito. Ma con ciò è ormai data l’arena in cui penetra il denaro — e dopo
Zama con un enorme incremento di dimensioni. « Quanto maggiore era la ricchezza
che si pote- va concentrare nelle mani dei singoli individui, tanto più la
lotta per la potenza politica diventava una questione di dena- 10 »°. Con ciò è
detto tutto. Ma in un senso più profondo sarebbe tuttavia falso parlare di
corruzione. Non è la degenera- zione del costume, ma il costume stesso — quello
della demo- crazia matura — che assume con una necessità fatale forme del
genere. Il censore Appio Claudio (310) — senza dubbio un genuino ellenista e
ideologo della costituzione (come potevano essercene soltanto nel circolo di Madame
Roland ?) — ha sicura- mente pensato nelle sue riforme ai diritti elettorali e
non all’ar- te di fare le elezioni; ma quei diritti preparano soltanto la a.
Ancora a cinquant'anni Cesare dovette recitare una commedia siffatta davanti ai
suoi soldati sul Rubicone, perché essi erano abituati a questo se si voleva
qualcosa da loro. Ciò corrisponde più o meno alla «voce sincera della
convinzione » nelle assemblee odierne. b. Ma il tipo Cleone era ovviamente
presente a Sparta come a Roma al tempo dei tribuni consolari. c. Cfr. M.
GELZER, op. cit., p. 94. Insieme al César di Eduard Merer, questo libro
fornisce il migliore sguardo d’insieme sul metodo della democrazia romana. 22.
Jcanne-Manon Phlipon (1754-1793), moglic dell'uomo politico Jean-Marie Ro- land,
ministro nel governo girondino: fu arrestata dopo la fuga del marito e in se-
guito ghigliottinata nel 1793, durante il Terrore: nel carcere scrisse un Appel
è l'im- partiale postérité. Le sue Mémoires furono pubblicate postume molti
anni più tardi, nel 1820. 784 OSWALD SPENGLER strada a quest'arte. La razza si
manifesta soltanto in essa, e ben presto si afferma completamente. All’interno
di una ditta- tura del denaro il lavoro del denaro non può però essere defini-
to come decadenza. La carriera dei pubblici uffici romani richiedeva, da quan-
do si svolgeva nella forma di elezioni popolari, un capitale che rendeva il
futuro uomo politico debitore verso tutto il suo am- biente. Ciò valeva
soprattutto per la carica di edile, nella quale si doveva superare in
magnificenza i predecessori attraverso l'offerta di pubblici giochi, per poter
ottenere più tardi i voti degli spettatori. Silla fallì la prima canditatura
alla pretura perché non era stato edile. C'era poi lo splendido seguito con cui
ci si doveva quotidianamente mostrare nel foro per far colpo sulla massa
oziosa. Una legge impediva la scorta dietro pagamento; ma ancora più costoso
era obbligarsi i nobili me- diante i prestiti, mediante la raccomandazione agli
uffici e agli affari, mediante la difesa davanti al tribunale, che li impe-
gnava a far da scorta e alla visita quotidiana del mattino. Pompeo era patrono
di mezzo mondo, dai contadini del Pice- no fino ai re orientali; egli
rappresentava e proteggeva tutti. Questo era il suo capitale politico, che poteva
mettere in cam- po contro i prestiti senza interesse di Crasso e contro l’«
indora- mento »° di tutti gli ambiziosi da parte del conquistatore della
Gallia. Si facevano servire agli elettori colazioni estese all’inte- ro
circondario”, si concedevano posti gratuiti per assistere ai giochi dei
gladiatori o si mandava perfino direttamente in casa del denaro — come faceva
Milone. Cicerone chiama tutto ciò «rispettare i costumi dei padri ». Il
capitale elettorale assunse dimensioni di tipo americano, raggiungendo talvolta
la som- ma di centinaia di milioni di sesterzi. Nel corso delle elezioni del 54
a. C. il tasso di interesse salì dal 4% all’8%, perché la mag- gior parte
dell'enorme massa di liquido disponibile a Roma fu investita nella propaganda.
Cesare, quand'era edile, aveva spe- so tanto che Crasso fu costretto a
garantire per venti milioni affinché i creditori gli consentissero di partire
per la provincia, a. Inaurari: a questo scopo Cicerone raccomandò a Cesare il
suo amico Trebazio. b. Tributim ad prandium vocare (Cicerone, Pro Murena, 72).
OSWALD SPENGLER 785 e ancora nell’elezione a pontefice massimo aveva talmente
oltre: passato il suo credito che il suo avversario Catulo poté offrirgli del
denaro perché si ritirasse, dal momento che in caso di sconfitta sarebbe stato
perduto. Ma la conquista della Gallia — che egli intraprese anche per questo
motivo — e il relativo sfruttamento fecero di lui l’uomo più ricco del mondo:
così è stata realmente ottenuta la vittoria di Farsalo *. Infatti Cesare ha conquistato
tutti questi miliardi avendo di mira la potenza, come Cecil Rhodes”, e non per
il piacere di ricchezza, come Verre e in fondo anche Crasso, il quale era un
grosso finanzie- re che faceva parallelamente anche il politico. Egli comprese
che, sul terreno di una democrazia, i diritti costituzionali non significano
nulla senza denaro, tutto col denaro. Mentre Pom- peo ancora sognava di poter
trarre legioni dalla terra, Cesare le aveva da lungo tempo tradotte in realtà
con il suo denaro. Egli aveva trovato già pronti questi metodi: li
padroneggiava, ma senza identificarsi con essi. Si deve aver ben chiaro il
fatto che, fin dal 150 a. C., i partiti riuniti sulla base di princìpi si
dissolvono in seguiti personali raccolti intorno a uomini i qua- li avevano un
fine politico privato e conoscevano bene le armi del loro tempo. Tra di esse
rientra, accanto al denaro, anche l'influenza sui tribunali. Dato che le
antiche assemblee popolari votavano sola- mente, ma senza discutere, il
processo di fronte ai rostra è una a. Si tratta di miliardi di sesterzi, che
passarono da allora per le sue mani. Le offerte votive dei templi della Gallia,
che egli fece vendere in Italia, provocarono un crollo nel valore dell’oro.
Cesare e Pompeo costrinsero il re Tolomeo a versare, per il suo riconoscimento,
144 milioni (e altri 240 gliene fece versare Gabinio). Il console Emilio Paolo
(50 a. C.) fu comperato con 36 milioni, Curione con 60 milioni. Da ciò si
possono in- ferire le invidiabilissime possibilità dell'ambiente che circondava
Cesare. Per il trionfo del 46 a. C. ognuno dei suoi oltre centomila soldati
rice- vette 24.000 sesterzi, mentre agli ufficiali e ai capi toccarono somme
ben superiori, Ciononostante, alla sua morte il tesoro pubblico era così ricco
da garantire la posizione di Antonio. 23. Cecil John Rhodes (1853-1902), uomo
politico e finanziere sud-africano di ori- gine inglese, fu primo ministro
della colonia di Città del Capo dal 1890 al 1896. Diede una spinta decisiva
allo sviluppo dell'industria diamantifera nel Sud-Africa, soprat- tutto nella
regione che da lui prese il nome. 50. STORICISMO TEDESCO. 786 OSWALD SPENGLER
forma di lotta di partito e la scuola vera e propria di eloquen- za politica.
Il giovane politico iniziava la sua carriera accusan- do e, se possibile,
annientando una grossa personalità ®, come fece Crasso a diciannove anni contro
il famoso Papirio Carbo- ne, amico dei Gracchi, che era passato più tardi dalla
parte degli ottimati. Per tale motivo Catone fu accusato quaranta- quattro
volte e sempre assolto. La questione giuridica passa qui in secondo piano *. La
cosa determinante è la posizione di partito del giudice, il mumero dei patroni
e l’ampiezza del seguito; il numero dei testimoni serve propriamente a mettere
in luce la potenza politica e finanziaria dell’accusatore. Tutta l’eloquenza di
Cicerone contro Verre vuol convincere i giudici, sotto Ja maschera di un
magnifico pathos etico, che la sua condanna è nel loro interesse di ceto.
Secondo la generale conce- zione antica è ovvio che il seggio in tribunale
debba servire agli interessi privati e a quelli di partito. Ad Atene gli
accusato- ri democratici erano soliti avvertire i giurati popolari, al termi-
ne del loro discorso, che assolvendo l’accusato ricco avrebbero messo in forse
i loro onorari processuali ©. La grande potenza del senato romano poggia in
gran parte sul fatto che esso ave- va in mano, attraverso la nomina di tutti i
tribunali, il desti- no di ogni cittadino; su questa base si può misurare la
portata della legge graccana del 122 a. C., che trasferiva i tribunali al a.
Cfr. M. GELZER, op. cit., p. 68. b. Si tratta in gran parte di concussione e di
corruzione. Dal mo- mento che ciò faceva allora tutt'uno con la politica, che
giudice e accusato avevano fatto la stessa cosa e che tutti lo sapevano, l’arte
consisteva nel tenere — nelle forme di una ben recitata passione morale — un
discorso di partito il cui scopo vero e proprio era inteso soltanto
dall’iniziato. Ciò corrisponde del tutto alle moderne usanze parlamentari. Il «
popolo » rimarrebbe molto stupito se vedesse come, dopo gli accaniti discorsi
durante la seduta (destinati alla stampa), gli avversari di partito si intrat-
tengono amabilmente tra di loro. Si pensi anche ai casi in cui un partito
scende in campo con passione a favore di una proposta dopo averne assicurata,
mediante un accordo con gli avversari, la disapprovazione. A Roma la sentenza
non importava affatto; bastava che l’accusato abban- donasse in precedenza
volontariamente la città, escludendosi così dalla lotta di partito e dal
concorso agli uffici. c. Cfr. R. von Ponumann, Griechische Geschichte,
Miinchen, 5° ed. 1914, pp. 236-37. OSWALD SPENGLER 787 ceto dei cavalieri e
metteva quindi la nobiltà, cioè le alte cari- che, alla mercé del mondo della
finanza. Nell’82 a.C. Silla restituì al senato, contemporaneamente alle
proscrizioni dei grandi finanzieri, anche i tribunali come arma politica,
beninte- so; e la lotta finale tra i detentori del potere trova la sua
espressione anche nel continuo mutare della scelta dei giudici. Ma mentre
l’antichità — e il foro di Roma in testa — racco- glieva la massa popolare in
un corpo visibile e compatto per costringerla a fare dei suoi diritti l’uso che
si voleva fosse fat- to, « contemporaneamente » la politica europeo-americana
intro- duceva mediante la stampa un campo di forza di tensioni spiri- tuali e
finanziarie esteso a tutta la terra, nel quale ogni indivi- duo è inserito
senza averne coscienza e in modo da dover pensa- re, volere e agire come
ritiene opportuno da qualche parte, di lontano, una personalità dominante.
Questo è dinamica contrap- posta alla statica, sentimento faustiano del mondo
contrappo- sto al sentimento apollineo, pathos della terza dimensione con-
trapposto al puro presente sensibile. Non si parla da uomo a uomo; la stampa e,
collegato con essa, il servizio elettrico di informazioni mantengono l’essere
desto di interi popoli e di interi continenti sotto l’assordante fuoco di fila
di frasi, di parole d'ordine, di punti di vista, di scene, di sentimenti, gior-
no per giorno, anno per anno, cosicché ogni io diventa mera funzione di
un'immensa entità spirituale. Il denaro prende la sua strada politica non come
metallo che passa di mano in mano; non si converte più in giochi e in vino.
Esso si trasfor- ma invece in forza e determina, mediante la sua quantità,
l'intensità di questa manipolazione. Polvere da sparo e stampa sono connesse
l’una con l’altra, in quanto entrambe sono inventate nell'antico periodo gotico
e scaturite dal pensiero tecnico germanico, come i due grandi stru- menti della
tattica faustiana della distanza. La Riforma conob- be all’inizio dell'età
successiva i primi manifesti e le prime artiglierie da campagna; la Rivoluzione
francese conobbe, all’i- nizio del declinare della civiltà, la prima ondata di
opuscoli a. In questo modo Rutilio Rufo poté essere condannato nel famige- rato
processo del 93 a. C. perché come proconsole, aveva doverosamente proceduto
contro le concussioni delle società di appalto. 788 OSWALD SPENGLER
dell'autunno 1788 e a Valmy il primo fuoco di massa di un’arti- glieria. Ma con
ciò la parola stampata impiegata in forma mas- siccia ed estesa su superfici
infinite diventa un’arma infida nel- le mani di chi sa dirigerla. In Francia,
nel 1788, si trattava anco- ra di un'espressione spontanea di convinzioni
private, ma in Inghilterra si era già al punto di suscitare intenzionalmente
un'impressione nei lettori. La guerra condotta contro Napoleo- ne da Londra, su
territorio francese, con articoli, libelli, memo- rie inautentiche, ne costituisce
il primo grande esempio. I fo- gli isolati dell’età illuministica si
trasformano nella « stampa », come si dice con indicativa anonimità *. La
campagna di stam- pa nasce come la continuazione — o la preparazione — della
guerra condotta con altri mezzi, e la sua strategia fatta di scontri di
avamposti, di diversivi, di sorprese e di attacchi a ondate viene elaborata
durante il secolo xix fino al punto che una guerra può già essere perduta prima
ancora che parta il primo colpo, perché la stampa l’ha vinta nel frattempo.
Oggi noi viviamo senza possibilità di resistenza sotto l’azio- ne di questa
artiglieria spirituale, di modo che quasi nessuno acquisisce la distanza
interiore necessaria per rendersi conto del- l’enormità di tale spettacolo. La
volontà di potenza in veste puramente democratica ha compiuto il suo capolavoro
facendo sì che il sentimento di libertà degli oggetti venga addirittura adulato
pur nella schiavitù più completa che sia mai esistita. Il senso borghese
liberale è fiero dell’abolizione della censura, che costituiva l’ultimo limite,
mentre il dittatore della stampa — Northcliffe! * — assoggetta la folla di
schiavi dei suoi letto- ri alla frusta dei suoi articoli di fondo, dei suoi
telegrammi e delle sue illustrazioni. La democrazia ha completamente sop-
piantato il libro con il giornale nella vita spirituale delle masse popolari.
Il mondo dei libri, con la sua ricchezza di punti di vista che costringevano il
pensiero alla selezione e alla critica, è un possesso reale ancora soltanto per
circoli ristretti. Il popo- lo legge l’unico giornale — il «suo» giornale — che
quotidia- a. E quasi in analogia con «l'artiglieria ». 24. Alfred Charles
William Harmsworth, visconte di Northcliffe (1865-1922), crea- tore del
giornalismo moderno: a lui si deve la fondazione del « Daily Mail » nel 1896 c
del « Daily Mirror » nel 1903. Nel 1908 si assicurò pure il controllo del «
Times ». OSWALD SPENGLER 789 namente penetra in ogni casa in milioni di
esemplari, attraen- do di buon mattino gli spiriti nella propria orbita,
facendo passare nel dimenticatoio i libri con i propri supplementi e, se questo
o quel libro compare ancora all’orizzonte, eliminando la sua influenza con una
critica che arriva prima di esso. Che cos'è la verità? Per la massa è ciò che
si legge e si ascolta continuamente. Può ben esserci da qualche parte un povero
minchione che se ne sta seduto e raccoglie motivi per stabilire «la verità» —
questa rimarrà sempre la sua verità. L’altra verità, la verità pubblica del
momento, che sola impor- ta nel mondo reale degli effetti e dei risultati, è
oggi un prodot- to della stampa. Ciò che essa vuole, è vero. Coloro che la
comandano producono, trasformano, cambiano Ja verità. Tre settimane di lavoro
di stampa, e tutto il mondo ha riconosciu- to la verità*. I suoi argomenti sono
inconfutabili finché si dispone del denaro per ripeterli senza interruzione.
Anche la retorica antica faceva conto sull’impressione e non sul contenu- to —
Shakespeare ha brillantemente mostrato, nell’orazione fu- nebre di Antonio, di
che cosa si trattasse — ma essa si limita- va al presente e al momento. La
dinamica della stampa esige effetti duraturi. Essa deve mantenere durevolmente
gli spiriti sotto pressione. I suoi argomenti vengono confutati non appe- na
una potenza finanziaria maggiore sposa gli argomenti con- trari e li pone
ancora più spesso davanti a tutte le orecchie e a tutti gli occhi. Nello stesso
attimo l’ago magnetico dell’opinio- ne pubblica si orienta verso il polo più
forte. Ognuno si convin- ce subito della nuova verità: all'improvviso ci si
sveglia da un errore. Alla stampa politica si connette il bisogno di
un'istruzione a. L'esempio più forte sarà sempre, per le future generazioni, la
questione della «responsabilità » della guerra mondiale, vale a dire la questione
di chi possiede — attraverso il dominio della stampa e dei cavi telegrafici di
ogni parte della terra — il potere di stabilire davanti all'opinione mondiale
la verità di cui ha bisogno per i suoi scopi poli tici, e di mantenerla in vita
finché ne ha bisogno. Questione comple- tamente diversa, che soltanto in
Germania viene confusa con la prima, è quella puramente scientifica di sapere
chi aveva interesse a provocare proprio nell’estate 1914 un avvenimento, sul
quale esisteva già allora un'intera letteratura. 790 OSWALD SPENGLER scolastica
generale, che mancava completamente all’antichità. È una pressione del tutto
inconsapevole per avvicinare le mas- se, in quanto oggetti della politica di
partito, a quello strumen- to di potere che è il giornale. All’idealista degli
inizi della democrazia ciò appariva come illuminazione priva di intenzio- ni
recondite, e ancor oggi vi sono qua e là degli sciocchi che si entusiasmano al
pensiero della libertà di stampa; ma proprio in questo modo hanno via libera i
futuri Cesari della stampa mondiale. Chi ha imparato a leggere soccombe alla
loro poten- za, e la tarda democrazia si trasforma, dalla sognata auto-deter-
minazione, in una radicale determinazione dei popoli da parte dei poteri a cui
la parola stampata obbedisce. Oggi ci si combatte per sottrarre agli altri
quest'arma. Agli ingenui inizi della potenza giornalistica, questa era ancora
osta- colata dai divieti della censura, con la quale i rappresentanti della
tradizione si difendevano; la borghesia protestava che la libertà dello spirito
era in pericolo. Ora la massa percorre tran- quillamente la sua strada: ha
finalmente conquistato questa libertà, ma sullo sfondo le nuove potenze
combattono, non vi- ste, per comperare la stampa. Senza che il lettore lo avverta,
il giornale — e con esso anche il lettore — cambia di padrone *. Anche qui il
denaro trionfa costringendo al suo servizio gli spiriti liberi. Nessun domatore
ha mai avuto meglio in suo potere i propri animali; si scatena il popolo come
massa di lettori, ed esso si precipita per le strade, si getta sull’obiettivo
indicato, minaccia e spacca le finestre. Un cenno all’apparato della stampa e
il popolo tace e ritorna a casa. La stampa è oggi un esercito con proprie armi
accuratamente organizzate, con giornalisti come ufficiali, con lettori in
qualità di soldati. Ma anche qui accade come in ogni esercito: il soldato
obbedi- a. Durante la preparazione della guerra mondiale la stampa di interi
paesi cadde finanziariamente sotto il controllo di Londra e di Parigi; e quindi
i relativi popoli caddero sotto una rigorosa schiavitù spirituale. Quanto più
democratica è la forma interna di una nazione, tanto più facilmente e
completamente essa si espone a tale pericolo. Questo è lo stile del secolo xx.
Un democratico di vecchio stampo oggi non richie- derebbe più libertà per la
stampa ma dalle stampa; nel frattempo i capi sono mutati in «arrivati »,
costretti a garantire la propria posizione di fronte alla massa, OSWALD
SPENGLER 791 sce ciecamente, i mutamenti di obiettivi bellici e di piano opera-
tivo si compiono senza che egli ne venga a conoscenza. Il lettore nulla sa di
ciò che si vuol fare con lui, e non deve neppure sapere quale sarà il suo
ruolo. Non esiste una satira più tremenda della libertà di pensiero. Un tempo
non si pote- va osare di pensare liberamente; ora ciò è permesso, ma non è più
possibile. Si può pensare soltanto ciò che si deve volere, e proprio questo
viene percepito come libertà. L’altro aspetto di questa tardiva libertà è che a
ognuno è per- messo di dire ciò che vuole, ma la stampa è libera di prenderne
conoscenza oppure no. Essa può condannare a morte ogni « veri- tà »
rifiutandosi di comunicarla al mondo: una spaventosa con- giura del silenzio,
tanto più onnipotente quanto più la massa ser- vile dei lettori di giornale non
si accorge affatto della sua presen- za*. Qui affiora, come sempre durante le
doglie del cesari- smo, un frammento dell’epoca primitiva perduta. Il cielo del
divenire è in procinto di chiudersi. Come nelle costruzioni di cemento armato e
di acciaio ricompare ancora una volta la volontà espressiva del primo gotico —
ora però fredda, domi- nata, civilizzata — così qui la ferrea volontà di
potenza della chiesa gotica sopra gli spiriti si annuncia nella forma della
«libertà della democrazia ». L’età del « libro» è compresa tra la predica
gotica e il giornale moderno. I libri sono un’espres- sione personale; la
predica e il giornale obbediscono a uno scopo impersonale. Nella storia
universale gli anni della Scola- stica offrono l’unico esempio di una
disciplina spirituale in gra- do di impedire in tutti i paesi la comparsa di
scritti, di discor- si, di pensieri che contraddicono l’unità voluta. Tutto ciò
è dinamica spirituale. Gli uomini antichi, indiani, cinesi avrebbe- ro guardato
inorriditi a tale spettacolo. Ma proprio questo ritor- na come risultato
recessario del liberalismo europeo-america- no, quale l’intese Robespierre: «
il dispotismo della libertà con- tro la tirannide ». Al posto dei roghi
subentra il grande silen- zio. La dittatura dei capi-partito si appoggia sulla
dittatura della stampa. Mediante il denaro si cerca di sottrarre schiere di
lettori e popoli interi all'influenza nemica, portandoli nella propria sfera di
idee. Qui essi vengono a conoscere soltanto ciò a. Al confronto i grandi roghi
di libri dei Cinesi sono cosa innocua. 792 OSWALD SPENGLER che devono sapere, e
una volontà superiore plasma l’immagine del loro mondo. Non occorre più
obbligare i sudditi al servi- zio militare, come facevano i principi dell’età
barocca. Con arti- coli, telegrammi, immagini — Northcliffe! — se ne fustigano
gli spiriti, finché essi stessi richiedono le armi e costringono i loro capi a
una lotta a cui questi volevano essere costretti. Questa è la fine della
democrazia. Se nel mondo delle veri- tà la dimostrazione è l'elemento decisivo,
nel mondo dei fatti lo è il successo. Successo vuol dire il trionfo di una
corrente dell’esistenza sopra le altre. La vita ha affermato i suoi diritti; i
sogni dei riformatori sono diventati strumenti di nature do- minatrici. Nella
tarda democrazia la razza irrompe asservendo gli ideali oppure gettandoli con
scherno nel baratro. Così è avvenuto nella Tebe egizia, a Roma, in Cina; ma in
nessun’al- tra civiltà in declino la volontà di potenza assume una forma tanto
inesorabile. Il pensiero, e quindi anche l’agire della mas- sa, viene tenuto
sotto una pressione ferrea. Per questo motivo, e soltanto per questo, si è
lettori ed elettori, sotto una doppia schiavitù, mentre i partiti diventano
seguiti obbedienti di po- chi, sui quali il cesarismo getta ormai la sua prima
ombra. Come la monarchia inglese del secolo x1x, così i parlamenti del secolo
xx diventano a poco a poco spettacoli solenni ma vuoti. Come là scettri e
corone, così qui i diritti popolari vengo- no presentati alla massa con un
grande cerimoniale e rispettati tanto più scrupolosamente quanto minore è la
loro importan- za. Questo è il motivo per cui l’astuto Augusto non ha mai
perduto occasione di celebrare le usanze avite della libertà ro- mana. Ma già
oggi il potere si trasferisce dai parlamenti nei circoli privati, e le elezioni
si riducono inarrestabilmente a una commedia, per noi come per Roma. Il denaro
ne organizza il corso nell’interesse di coloro che lo posseggono* e l’azione a.
Qui risiede il mistero del perché tutti i partiti radicali — e quindi poveri —
diventano necessariamente gli strumenti delle potenze finan- ziarie, a Roma
degli equites, e oggi della borsa. Teoricamente essi attaccano il capitale, ma
in pratica attaccano non già la borsa bensì, nell'interesse di questa, la
tradizione. All'epoca dei Gracchi le cose andavano né più né meno di oggi, e lo
stesso vale per tutti i paesi. La metà dei capi delle masse, e con loro
l’intero partito, può essere compe- rata con denaro, uffici, partecipazioni ad
affari. OSWALD SPENGLER 793 elettorale diventa un gioco convenuto in
precedenza, inscenato sotto forma di auto-determinazione popolare. Se
originariamen- te un’elezione era una rivoluzione in forme legittime, questa
forma si è esaurita e, quando la politica del denaro diventa insopportabile, si
«elegge » nuovamente il proprio destino con i mezzi primitivi della violenza
sanguinaria. La democrazia annienta se stessa con il denaro, dopo che il denaro
ha annientato lo spirito. Ma proprio perché sono svani- ti tutti i sogni di
migliorare la realtà mediante le idee di uno Ze- none” o di un Marx, e si è
imparato che nel regno della realtà una volontà di potenza può essere piegata
soltanto da un'altra volontà — questa è la grande esperienza dell’epoca degli
stati in lotta — sorge alla fine una profonda nostalgia per tutto ciò che
ancora vive delle vecchie e nobili tradizioni. Si è stanchi fino al disgusto
dell'economia monetaria. Si spera in una libera- zione da qualsiasi parte
venga, in una nota genuina di onore e di cavalleria, di nobiltà interiore, di
rinuncia e di senso del dovere. Viene allora il tempo in cui le potenze del
sangue ricche di forma si ridestano nel profondo, dopo essere state cacciate
dal razionalismo delle grandi città. Tutto ciò che si è conservato per il
futuro della tradizione dinastica e dell’antica nobiltà, tutto ciò che si è
conservato del costume superiore che si mantiene al di sopra del denaro, tutto
ciò che è in sé abba- stanza forte per essere — secondo il detto di Federico il
Gran- de — servitore dello stato in un lavoro duro, pieno di rinunce,
scrupoloso, anche nel possesso del potere illimitato, tutto ciò che ho
designato come socialismo in contrapposizione al capita- lismo® — tutto ciò
diventa all'improvviso il punto di raccolta di immense forze vitali. Il
cesarismo cresce sul terreno della democrazia, ma le sue radici affondano nel
substrato del san- gue e della tradizione. L’antico Cesare deve il suo potere
al tribunato, ma la sua dignità e quindi anche la sua durata la possiede in
quanto princeps. Anche qui si ridesta l’anima del a. Cfr. O. SrencLER,
Preussentum und Sozialismus, Miinchen, 1919, PP. 41-42. 25. Zenone di Cizio
(336-264 a. C.), fondatore della scuola stoica, autore di nu- merosi scritti
pervenutici in forma frammentaria. 794 OSWALD SPENGLER gotico primitivo: lo
spirito degli ordini cavallereschi supera lo spirito vichingo avido di bottino.
Per quanto i futuri detentori del potere possano dominare il mondo come
possesso privato, essendo ormai irrimediabilmente caduta la grande forma
politi- ca della cultura, questa potenza priva di forma e di limiti contiene
tuttavia un compito: quello di un’instancabile cura per questo mondo, che
costituisce l’opposto degli interessi pro- pri dell’età del dominio del denaro e
che richiede un elevato sentimento dell’onore e un'alta coscienza del dovere.
Ma pro- prio per questo si scatena ora la lotta finale tra democrazia e
cesarismo, tra le potenze dominanti di un'economia monetaria dittatoriale e la
volontà ordinatrice puramente politica dei Cesa- ri. Per intendere questa lotta
finale tra economia e politica, in cui la politica riconguista il suo regno,
occorre uno sguardo alla fisiognomica della storia economica. ERNST TROELTSCH
NOTA BIOGRAFICA Ernst Troeltsch nacque a Hauenstetten, presso Augusta, il 17
febbraio 1865. Dal 1883 al 1888 frequentò le università di Erlangen, di
Goòttin- gen e di Berlino, dedicandosi soprattutto — sotto la guida di Albrecht
Ritschl e di Paul Lagarde — agli studi teologici. Conseguì il dottorato nel
1888, con la dissertazione Geschichte und Metaphysik (Gòttingen, 1888). Dopo
esser stato per breve tempo pastore luterano a Monaco, ottiene nel 1891
l’abilitazione a Géttingen, con il volume Vernunft und Offenbarung bei Johann
Gerhard und Melanchton (Géòttingen, 1891). Nel 1892 inizia la carriera
accademica a Bonn, e nel 1894 viene chiama- to a coprire la cattedra di
teologia sistematica all’Università di Heidel- berg, dove rimarrà per oltre
vent'anni, impegnandosi anche nella vita politica e sedendo per due legislature
alla camera alta del Baden. I primi scritti di Troeltsch mostrano chiaramente
il prevalere degli interessi religiosi e teologici, i quali si incontrano e si
scontrano, talvolta in maniera drammatica, con la consapevolezza della
storicità della vita religiosa. Fin dall'inizio egli prende posizione nei
confronti della concezione idealistica della religione, denunciando il
carattere fitti- zio della «conciliazione » da essa operata tra il processo
storico e l’assolutezza della fede religiosa. Nel saggio Die christliche
Weltan- schauung und ihre Gegenstromungen (1894) egli respinge insieme l'idea-
lismo e il positivismo, a causa della loro incapacità di intendere la vita
religiosa e di dare una giustificazione filosofica dell'autonomia della religione.
Al centro del pensiero di Troeltsch si colloca, in questo periodo, il problema
del rapporto tra storia e religione, concepiti come termini antitetici: da una
parte la coscienza storica ci mostra il condizio- namento di ogni forma di vita
religiosa e la sua appartenenza a un processo di sviluppo, dall'altra la
religione avanza una pretesa di va- lidità assoluta. Quest'antitesi viene
illustrata nei successivi scritti del periodo di Hcidelberg, da Die
Selbstindigkeit der Religion (1895) a Christentum und Religionsgeschichte
(1897) e a Uber historische und dogmatische Methode in der Theologie (1898), da
Die wissenschafiliche Lage und ihre Anforderungen an die Theologie (Tibingen,
1900) ai Grundprobleme der Ethik (1902; tr. it. Napoli, 1974) e al volume Die Absolutheit des
Christentums und die Religionsgeschichte (Tiibingen, 798 ERNST TROELTSCH 1902,
19127, 1929; tr. it. Napoli,
1968). L’urto della coscienza storica mette in crisi non soltanto la fede
religiosa, ma anche la teologia: da un lato la religione cristiana ha perduto
la sua fondazione soprannaturale, dall'altro lo sforzo di darne una
giustificazione teologica non può più prescindere dalla coscienza storica.
Questa giustificazione viene cercata da Troeltsch considerando il Cristianesimo
non come la religione assolu- ta, ma come la religione più alta, cioè come
quella in cui si realizza non già il possesso, bensì il grado maggiore di
partecipazione alla verità. Muovendo da questa prospettiva Troeltsch interviene
— con il saggio Was heisst « Wesen des Christentums »? (1903; tr. it. Napoli,
1974) — nel dibattito suscitato dalla pubblicazione dell’opera di Adolph von
Har- nack, e successivamente prende parte alla discussione sul modernismo.
Negli scritti posteriori, dal volume Psychologie und Erkenntnistheorie in der
Religionswissenschaft (Tibingen, 1905, 19227) al saggio Wesen der Religion und
der Religionswissenschaft (1909), il problema della religione e della sua
validità viene ricondotto al quadro di un’impostazio- ne neocriticistica,
modificata però attraverso l'assunzione di un fonda- mento 4 priori autonomo
della vita religiosa che viene individuato in un complesso di valori
irriducibili a quelli conoscitivi o etici o estetici. La ricerca delle
condizioni di possibilità della religione mette così capo alla determinazione
della sua autonomia nei confronti degli altri campi dell’attività umana. In
questo stesso periodo, a contatto con Max Weber, Troeltsch ha sviluppato il
proprio interesse per la religione anche sul terreno storiogra- fico, studiando
le relazioni tra il Cristianesimo e lo sviluppo politico ed economico della
società europea. Il punto di partenza della sua analisi è la Riforma
protestante, considerata nel suo distacco dal Cristianesimo medievale e nel suo
rapporto con il processo di formazione del mondo moderno. Nel saggio
Protestantisches Christentum und Kirche in der Neuzeit (Leipzig-Berlin, 1906,
1922°) e nel volume Die Bedeutung des Protestantismus fiir die Entstehung der
modernen Welt (1906, poi Miin- chen, 19112, 1924}; tr. it. Venezia, 1929) egli
prende in esame le differenze di orientamento che caratterizzano la religione
protestante e la cultura moderna; in seguito la sua attenzione si estende,
investendo tutto il processo storico del Cristianesimo, con particolare
riguardo alle origi- ni della fede cristiana e alla figura di Cristo come
termine di riferimen- to dello sviluppo ulteriore — indagata nel volume Die
Bedeutung der Geschichtlichkeit Jesu fiir den Glauben (Tibingen, 1911) — o
all’opera di Agostino — studiata in Augustin, die christliche Antike und das
Mittel- alter (Minchen, 1915; tr. it. Napoli, 1970). Ma il contributo storico di maggior rilievo fornito da Troeltsch è
l'ampia analisi delle dottrine politico-sociali cristiane, condotta in Die
Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen (Tiùbingen, 1912; tr. it. Firenze,
1941-60). In ERNST TROELTSCH 799 quest'opera — la quale raccoglie una serie di
saggi apparsi dapprima nell'« Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik
» —- Troeltsch si propone di studiare le dottrine che, dal Cristianesimo
primitivo alla Riforma protestante, caratterizzano sotto il profilo sociale lo
sviluppo della religione cristiana, ponendo in luce il rapporto di
condizionamento reciproco che in tal modo si instaura tra la vita religiosa e
la vita economica che la religione intende regolamentare, ma dalla quale viene
nel medesimo tempo influenzata. Troeltsch si accosta alle indagini webe- riane
sulla sociologia della religione, riconoscendo l'appartenenza del Cristianesimo
al processo di sviluppo di una data civiltà e la dipendenza delle sue dottrine
dalla struttura sociale che questa è venuta creando. Ma, a differenza di Weber,
egli fa valere il postulato dell'autonomia della vita religiosa, avanzando
l'esigenza di delimitare l'ambito storico proprio della religione. Come risulta
anche dal saggio Religion, Wirt- schaft und Gesellschaft (1913), che enuncia i
presupposti metodologici di questa impostazione, il condizionamento reciproco
tra religione e vita economico-sociale viene a configurarsi come l’incontro di
serie causali indipendenti — una delle quali è appunto la serie dei fenomeni
religiosi. Nel 1915 Troeltsch lascia Heidelberg, chiamato all’Università di
Berlino a insegnarvi filosofia. Il mutamento di cattedra rispecchia il
mutamento di interessi che si determina, in questi ultimi anni, nel pensiero di
Troeltsch, e che lo spinge ad affrontare in termini generali il problema dello
storicismo. Fin dal 1904, del resto, egli aveva espresso la sua adesione di
massima alla posizione di Rickert nel saggio Moder- ne Geschichtsphilosophie
(tr. it. Napoli, 1974). Ritornando sui problemi della storia e della conoscenza
storica a distanza di circa un decennio, in una serie di saggi che hanno inizio
nel 1916 (e che saranno poi raccolti col titolo Der Historismus und seine
Probleme, Tiibingen, 1922), Troeltsch sottolinea le conseguenze relativistiche
dello storicismo, e quindi la crisi del pensiero storico che esso esprime. Lo
storicismo, inteso come relativismo storico, riduce i valori a prodotto storico
e porta quindi all’« anarchia dei valori ». Contro questo pericolo egli si
richiama alla teoria dei valori, e in particolare a Rickert, rivendicando il
rappor- to di ogni momento del processo storico con valori assoluti, capaci di
dare un senso alla successione degli eventi. Ma questo rapporto non comporta —
come per Rickert — una trascendenza metastorica dei valori, bensì la loro
immanenza a ogni oggetto storico, considerato nella sua individualità. Il punto
di arrivo di Troeltsch è quindi il significato romantico di individualità,
recuperato attraverso il riferimento alla nozio- ne leibniziana di monade.
Questa impostazione viene in parte ripresa nei saggi postumi Der Historismus
und seine Uberwindung (Berlin, 1924), nei quali è riaffermata l’esigenza della
restaurazione di un sistema di 800 ERNST TROELTSCH valori, da compiersi
attraverso il richiamo a una determinata tradizione culturale. Il dopoguerra
vede Troeltsch intensamente impegnato nella vita pub- blica, come deputato al
parlamento prussiano e come sotto-segretario (dal 1919 al 1921) per gli affari
evangelici presso il Ministero dell'educa- zione. Egli partecipa alla
fondazione del partito democratico, e nel 1920 difende la costituzione della
repubblica di Weimar in una serie di lettere pubblicate sulla rivista « Der
Kunstwart» (e poi raccolte col titolo di Spektator-Briefe, Tùbingen, 1924).
Muore a Berlino il 1° febbraio 1923. NOTA BIBLIOGRAFICA Le opere di Troeltsch
sono state raccolte, anche se soltanto parzial- mente, nelle Gesammelte
Schriften, edite dalla casa editrice Mohr in quattro volumi, dal 1912 al 1925:
dopo la guerra la Scientia Verlag di Aalen ne ha dato una ristampa anastatica,
apparsa tra il 1961 e il 1966. Il primo volume (apparso nel 1912, e ristampato
nel 1965) contiene Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen; il
secondo (apparso nel 1913, e ristampato nel 1962) raccoglie, sotto il titolo
Zur religiòsen Lage, Religionsphilosophie und Ethik, numerosi saggi di
argomento religioso e storico-religioso, tra cui Die theologische und religiòse
Lage der Gegenwart, Die Kirche im Leben der Gegenwart, Religion und Kirche, Die
christliche Weltanschauung und ihre Gegenstrimungen, Christentum und
Religionsgeschichte, Was heisst « Wesen des Christen- tums »?, Wesen der
Religion und der Religionswissenschaft, Grundpro- bleme der Ethik, Moderne
Geschichtsphilosophie, Uber historische und dogmatische Methode in der
Theologie; il terzo (apparso nel 1922, e ristampato nel 1961) racchiude Der
Historismus und seine Probleme; il quarto (apparso nel 1925, e ristampato nel
1966) comprende, sotto il titolo Aufsitze zur Geistesgeschichte und
Religionssoziologie, diversi saggi di storia religiosa e intellettuale, tra cui
Religion, Wirtschaft und Gesellschaft, Epochen und Typen der Sozialphilosophie
des Christen- tums, Das stoisch-christliche Naturrecht und das moderne profane
Natur- recht, Das Verhdltnis des Protestantismus zur Kultur, Luther, der Prote-
stantismus und die moderne Welt, Renaissance und Reformation, Das Wesen des
modernen Geistes, nonché numerose recensioni a libri di argomento analogo.
Rimangono al di fuori di questa raccolta diversi volumi e saggi, i più
importanti dei quali sono stati menzionati nella nota biografica. Ad essi
occorre aggiungere le lezioni sulla G/aubenslehre, Miinchen-Leip- zig, 1925, e
la raccolta di saggi Deutscher Geist und Westeuropa (a cura di H. Baron),
Tibingen, 1925. In epoca recente sono stati ristampa- ti i seguenti volumi: Die
Absolutheit des Christentums und die Reli- gionsgeschichte, Minchen, 1960; Augustin,
die christliche Antike und das Miztelalter, Aalen, 1963; Der Historismus und
seine Uberwindung, 51. STORICISMO TEDESCO. 802 ERNST TROELTSCH Aalen, 1966; Spektator-Briefe,
Aalen, 1966; Deutscher Geist und Westeu- ropa, Aalen, 1966. Dell’ampia letteratura critica concernente
l'opera e il pensiero di Troeltsch segnaliamo gli studi seguenti: E. Vermelt,
La pensée religieuse de Troeltsch, Strasbourg-Paris, 1922. A. Passerin
d’EnTrÈèvEs, Il concetto del diritto naturale cristiano e la sua storia secondo
E. Troeltsch, « Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino », LXI,
1925-26, pp. 664-704. O. Hintze, Troelisch und die Probleme des Historismus, «
Historische Zeitschrift», CXXXV, 1927, pp. 188-239, ora raccolto nel volume
Soziologie und Geschichte (a cura di G. Oestreich), Gòttingen, 1964 7, PP.
323-73. H.
Liesricn, Die historische Wahrheit bei Ernst Troeltsch, Giessen, 1937. W.
BracHmann, Ernst Troeltschs historische Weltanschauung, Halle, 1940. D.
Frerssero, Das Problem der historischen Objektivitàt in der Geschichts-
philosophie von Ernst Troeltsch, Emsdetten, 1940. W. Koncer, Ernst Troeltsch,
Tibingen, 1941. J. J. ScHaar, Geschichte und Begriff (Eine kritische Studie zur
Geschichts- methodologie von Ernst Troeltsch und Max Weber), Tiubingen, 1946.
E. Fiuino, Geschichte als Offenbarung (Studien zur Frage Historismus und Glaube
von Herder bis Troeltsch), Berlin, 1956, cap. 1v. W. Bopenstein, Neige des
Historismus: Ernst Troeltschs Entwicklungs- gang, Giitersloh, 1959. H. G.
DrescHer, Das Problem der Geschichte bei Ernst Troeltsch, « Zeit- schrift fir
Theologie und Kirche », LVII, 1960, pp. 186-230. A. WAIsMann, E? historicismo
contemporaneo: Spengler, Troeltsch, Croce, Buenos Aires, 1960, parte II. I. E.
ALserca, Gewinnung theologischer Normen aus der Geschichte der Religion bei E.
Troeltsch, Miinchen, 1961. W. F. KascH, Die Sozialphilosophie von Ernst
Troeltsch, Tiibingen, 1963. E. Lessinc, Die Geschichtsphilosphie Ernst
Troeltschs, Hamburg-Berg- stedt, 1965. B. A. Rest, Toward a Theology of
Involvement: the Thought of E. Troeltsch, Philadelphia, 1965. ERNST TROELTSCH
803 M. WincgeLHaus, Kirchengeschichte und Soziologie im neunzehnten ]ahr-
hundert und bei Ernst Troeltsch, Heidelberg, 1965, capp. ir. G. von ScHLIppe,
Die Absolutheit des Christentums bei Ernst Troeltsch auf dem Hintergrund der
Denkfelder des 19. Jahrhunderts, Neustadt a.d. Aish, 1966. H. Henrno, Max Weber
und Ernst Troeltsch als Geschichtsdenker, « Kantstudien », LIX, 1968, pp.
410-34. L'elenco completo degli
scritti di Troeltsch si trova nelle Gesammelte Schriften cit., vol. IV, pp. 863-72. Manca invece una bibliografia aggior- nata
degli scritti su Troeltsch: si vedano però le indicazioni contenute nei volumi
sopra menzionati di I. E. ALserca e di E. Lessinc, nonché nella traduzione de
L’assolutezza del Cristianesimo e la storia delle religioni (a cura di A.
Caracciolo), pp. LXI-LXIv. CRISTIANESIMO E STORIA DELLA RELIGIONE* Il carattere
più generale della situazione religiosa — che può essere riconosciuto da ognuno
e che si impone a ognuno — consiste in una decomposizione della religione
ecclesiastica la quale, nonostante il dominio esterno che all’occasione incide
assai profondamente, si è seriamente allentata nelle sue struttu- re interne e
non riesce più a dominare la vita interna degli ambienti che spingono
spiritualmente in avanti. La misura di devozione soggettiva e di bisogno
religioso non è oggi presumi- bilmente molto inferiore a un tempo. Sono
soltanto caduti i mezzi di coercizione esterna e il generale attaccamento alla
chiesa che suscitavano, nelle epoche di forte dominio esteriore delle chiese e
di rigorosa subordinazione della scienza alla teolo- gia, la parvenza di una
fede diffusa. Là dove prima c’era semplicemente una sottomissione indifferente
o una fede consue- tudinaria priva di sentimento, troviamo oggi un’antitesi
aperta e una consapevole emancipazione, oppure la medesima fede consuetudinaria
in teorie anti-religiose oppure la stessa indiffe- renza, soltanto diventata
dominante e che si ritiene interessante o progredita. La differenza importante
consiste piuttosto nella scossa subìta dalla fede anche presso i credenti e
coloro che vogliono credere, nella lotta risolutiva delle nuove grandi cono-
scenze e dei nuovi metodi scientifici contro i concetti fondamen- tali e i metodi
espositivi della fede cristiana così come si era fin allora presentata.
Certamente, questi effetti sconcertanti * Christentum und Religionsgeschichte,
« Preussische Jahrbicher », LXXXVII, 1897, PP. 415-447, raccolto in Gesammelte
Schriften, Tibingen, Verlag von 1.C.B. Mohr, vol. II, 1913, pp. 328-363
(traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 806 ERNST TROELTSCH non
procedono soltanto dalla scienza, ma procedono in egual misura dalle reazioni
etiche, e più spesso anti-etiche, contro la morale qual è stata finora,
dall’impulso precipitoso di una felici- tà indirizzata in senso puramente
intra-mondano e all’interno della quale manca alla fede la risonanza
corroborante nella coscienza complessiva e in una tradizione avita
universalmente venerata. Ma, ciononostante, in tutti gli spiriti gravi € pro-
fondi le conseguenze della scienza costituiscono i motivi autenti- ci di questa
situazione precaria, almeno per quanto riguarda il Protestantesimo. Da quando
nell’età illuministica si è creata una fondazione completamente nuova del
pensiero scientifico, e quindi una nuova forma di cultura europea, il
Protestantesimo ha concluso con la scienza — in parte per un’intima concordan-
za, in parte a causa della sua minore chiusura ecclesiastica — un’alleanza
indissolubile, che lo ha legato ad essa in una lotta perpetuamente oscillante,
dove talora prevale l’influenza della scienza moderna, talora quella della
tradizione. Il Cattolicesi- mo ha invece, dopo alcuni imbarazzi transitori,
annientato la scienza moderna all’interno del suo ambito di potere e — poi- ché
anch'esso doveva naturalmente concludere un compromesso con il mondo moderno —
lo ha fatto non già con la scienza, ma con le correnti politiche, giuridiche e
sociali dell’età moder- na, con le potenze del suffragio universale; e a
condizione di ottenere un franco riconoscimento della sua esistenza, concede ai
dotti una posizione privata molto differenziata nei confronti delle sue
dottrine. Il suo destino dipende in primo luogo dallo sviluppo delle
conseguenze che farà scaturire la politica che esso ha impostato nel corso del
nostro secolo. Il destino del Protestantesimo, invece, dipende in primo luogo
dallo sviluppo degli effetti che sono derivati e che derivano tuttora
dall’allean- za contratta con la scienza nel secolo xvi. Non si deve però
dimenticare che oggi l’interesse per la situazione religiosa non si esaurisce
affatto nell'interesse per il destino di queste due confessioni. Anche se ha
preso prevalentemente le mosse dal Protestantesimo, e se è possibile solamente
in base a questo, si è tuttavia venuto formando un ambito più ampio di persone
le quali — estranee alle chiese piuttosto che irreligiose — inda- gano
oggettivamente la questione religiosa nel suo rapporto con i problemi
scientifici e cercano di districare e, per quan- ERNST TROELTSCH 807 to è
possibile, di chiarire la situazione. Anche chi, come me, è fermamente convinto
che un risanamento delle condizioni reli- giose sia in definitiva possibile
soltanto muovendo dal terreno delle comunità religiose, deve tuttavia ammettere
che al presen- te il centro di gravità di tutte le trattazioni concernenti la
religione risiede in questo gruppo di persone, e non nella teolo- gia
corporativa. Chi vuole ottenere chiarezza sulla situazione, deve cominciare
l'indagine di qui. Le pagine seguenti devono illuminare la situazione, appunto
nel senso di una considerazio- ne nient’affatto corporativa, per un aspetto la
cui importanza diventerà ogni anno più chiara. Il fondamento della scossa
critica non è la nuova speculazio- ne sorta con l’Illuminismo, la quale poneva
al posto della filo- sofia ecclesiastica costruita con elementi neoplatonici,
aristote- lici e biblici una nuova metafisica che assumeva in modo auto- nomo
la tradizione antica ponendo al tempo stesso le premesse di una metafisica la
quale preparava la moderna scienza della natura e della storia. Speculazione e
teologia sono affini per natura. Entrambe scaturiscono dall’impulso della
natura umana verso l’infinito e il soprasensibile, che l’una cerca di cogliere scientificamente
e l’altra religiosamente. Laddove c’è un genera- le senso speculativo, si
comprende anche ciò che vuole la tcolo- gia; e dove nell’uomo è presente un
forte bisogno religioso, vi è anche l'impulso più forte alla speculazione. Per
quanto possa- no divergere nei risultati — e ciò particolarmente a partire
dall’Illuminismo, dove la speculazione assunse elementi del tut- to nuovi,
sconosciuti all’antichità e alla Bibbia — essi si ritrova- no sempre e si
rafforzano a vicenda. L’Illuminismo si è impo- sto con una nuova speculazione
proprio perché, in base alla tradizione precedente, l'interesse religioso agiva
come elemento dominante; e proprio perché la speculazione e la teologia sono
affini nonostante qualsiasi antitesi, esso è pervenuto a soluzioni pacifiche e
di compromesso, che a molti tra gli uomini migliori del secolo xviti apparvero
una soluzione durevole del problema posto dall’epoca e l’inizio di un periodo
magnifico. L'epoca di Schleiermacher e di Hegel parve approfondire questa soluzione
pacifica, e porla su una base di principio. Il frutto principale della nuova
speculazione, la formulazione in termini di imma- nenza metafisica del rapporto
tra Dio e il mondo e la diffusio- 808 ERNST TROELTSCH ne etica del contenuto
spirituale sull’ambito complessivo della vita intra-mondana, sembrava debitore
della sua essenza a in- fluenze cristiane, oltre che antiche, e suscettibile di
essere age- volmente assimilato dal principio cristiano. Pareva così aprirsi un
luminoso campo di nuove indagini teologiche e filosofi- che, a cui — come
indicano le biografie di quel tempo — prendevano parte attiva uomini di ogni
professione. Questa pace e questo interesse sono scomparsi da tempo, in parte
perché la chiesa e la religione popolare non volevano accet- tare un
compromesso del genere, che incideva assai profonda- mente, preferendo isolarsi
dalla vita scientifica, ma in parte, e so- prattutto, perché la speculazione fu
sconfitta dalla crescita auto- noma degli elementi che all’inizio aveva saputo
subordinare a sé e tenere al proprio servizio. Le due nuove creazioni
dell’Illumini- smo, la scienza matematico-meccanica della natura e la scienza
critico-comparativa della storia, si svincolarono e conobbero una diffusione
straordinaria, che assorbiva ogni attività e ogni interesse. La speculazione
precedente non era più in grado di affermarsi nei loro confronti. La
conseguenza di ciò fu che — nella cultura respinta dall’ortodossia rinnovata —
insieme alla speculazione andò perduto anche il senso del soprasensibile vis-
suto e insegnato dalla religione, e un pensiero educato in modo completamente
empiristico non seppe più avvicinarsi a quei problemi. Ma ancora più importante
fu l’altra conseguenza, che ognuna delle due scienze suscitava un’enorme
trasformazio- ne dell'immagine del mondo e della storia, la quale sembrava
dover distruggere passo a passo i concetti religiosi di Dio e dell'anima, e
nello stesso tempo minava i fondamenti storici su cui aveva poggiato la
precedente intuizione che il Cristianesimo aveva di se stesso. La lotta così
scoppiata è molto più violenta e pericolosa di quella con la speculazione
nemica, ma pur sempre affine: si tratta di una lotta con una conoscenza e una
concezio- ne dei fatti differente, che penetra in tutti i campi della vita. La
discussione richiesta da questa situazione fa tutt'uno con esse. La
speculazione compare soltanto in secondo piano. Delle due nuove scienze, la
scienza della natura sembra a molti l'avversario autentico; essi si rallegrano
o si dolgono dei trionfi che fanno arretrare ogni giorno di più la fede. Il
tentativo di generalizzare e di trasferire conoscenze e metodi ERNST TROELTSCH
809 che hanno dimostrato nel loro campo una straordinaria capaci- tà di
prestazione costituisce però una delle illusioni maggiori tra quelle che di
solito accompagnano i successi inattesi. Non c'è dubbio che la legalità
autonoma e la regolarità del processo naturale, poste in luce dalla scienza
della natura, hanno reso impossibili le vecchie rappresentazioni
antropomorfiche dell’a- zione divina. Ma queste rappresentazioni sono già state
scosse da altri motivi, e in parte proprio da motivi religiosi, e posso- no
ritrarsi dinanzi a una concezione approfondita del concetto di Dio. Nello
stesso tempo i tentativi di sottomettere la vita spirituale alle leggi naturali
hanno mostrato soltanto che essa possiede una sua propria legalità e un suo
proprio modo di agire, del tutto differente e nient’affatto coincidente con
quello della natura. Certamente, anche la scienza della natura ha raf- forzato
l'impressione che la natura proceda insensibile soltanto in base alle proprie
leggi, senza curarsi affatto della vita spiri- tuale, dei suoi scopi e dei suoi
beni, e che sembri capricciosa- mente talora prepararla e favorirla, talora
però anche annientar- la brutalmente. Ma questa impressione è antichissima, e
pro- prio in essa la nostalgia religiosa si compiace soprattutto di mettere
radici nel fondamento più profondo della vita spiritua- le per non rimanere
soffocata da quei grandi enigmi e per diventare libera nei riguardi della
semplice natura. Del resto, ogni indagine seria ha mostrato che, per quanto
tutte le connes- sioni possano essere concepite come puramente meccaniche, per
quanto si escluda ogni derivazione e deviazione in vista di particolari scopi
arbitrari, nelle forme di questa connessione agiscono tuttavia idee
organizzatrici; che, almeno nella vita organica, il caso meccanico non spiega
nulla; che ogni spiega- zione fondata su leggi naturali concerne soltanto
l’elemento di regolarità generale tratto dall'esperienza, ma non l’esperienza
stessa nella sua realtà concreta. Ciò che il mondo reale offre è, in verità, un
dualismo di elementi razionali e forniti di valore da un lato, di elementi
irrazionali e puramente fattuali dall’al- tro. Le leggi generali e i contenuti
forniti di senso si compene- trano. Le prime ricoprono ogni realtà con la rete
orientativa delle loro lince direttrici, i secondi stanno nelle maglie di
questa rete. Che uno di questi due aspetti sia parvenza, oppure che uno soltanto
sia veramente dominante, è cosa impossibile 810 ERNST TROELTSCH da dimostrare:
decidere in un senso o nell’altro è, e rimane sempre, una questione di fede.
Che però la fede secondo cui la natura e la materia sono tutto, e che da esse
deriva tutto il resto, sia impossibile da sostenere, lo mostra l’effettiva
autono- mia del mondo spirituale. Questa soltanto è la questione che dobbiamo
porre alla scienza della natura — se il mondo spiritua- le, con il suo dover
essere e i suoi valori culturali, sia qualcosa di autonomo e fornito di una
propria forza rispetto alla natura; per il resto possiamo lasciare che essa
percorra tranquillamente il suo cammino, il quale resta precluso a chiunque si
occupa di scienza dello spirito. La risposta di tutti gli studiosi realmente
importanti è affermativa, anche se diverse sono le intuizioni più precise in
merito a tale rapporto. Per la ricerca naturale, i problemi particolari
confluiscono nelle questioni relative al rap- porto tra cervello e anima e alla
presenza di idee teleologiche oganizzatrici nello sviluppo della natura, che
mostrano una natura al servizio — almeno in generale — degli scopi dello
spirito. Entrambi i problemi possono essere risolti soltanto da scienziati e
filosofi uniti; essi sono ancora oggi, come tutti sanno, straordinariamente
dibattuti. Ma lo storico e l’indagato- re della vita spirituale non ha bisogno
di attendere queste solu- zioni. Per lui è un punto fermo non soltanto ciò che
costituisce al presente un patrimonio comune nei confronti di ogni tipo di materialismo,
cioè il fatto che lo spirito è una forza autonoma inderivabile dalla natura, ma
anche il principio più importante che questa potenza autonoma non manifesta la
sua forza specifi- ca in un adattamento formale alla natura, ma contiene
piutto- sto di per sé anche contenuti spirituali, disposizioni e impulsi
autonomi, dai quali sorge, in un'azione reciproca con le esigen- ze della
realtà sensibile, il ricco mondo della storia. Nel suo campo l'autonomia, la
legalità autonoma e la forza creativa — meno familiari allo studioso della
natura — dello sviluppo spiri- tuale nella religione, nella morale e nella
cultura si presentano così chiaramente che egli può applicarsi a questo campo
consi- derandolo almeno relativamente autonomo, e trattare i suoi problemi come
problemi del mondo spirituale. In questo nostro campo d’indagine risiede però
anche il vero e proprio centro di gravità della questione religiosa. Poi- ché
la religione è un elemento costitutivo della vita storica, le ERNST TROELTSCH
811 questioni principali che la riguardano si collocano in campo storico. La
scienza storica moderna, che si estende a epoche e a regioni prima sconosciute,
ha anche posto la fede cristiana di fronte a problemi del tutto nuovi; e il
sorgere di una storia comparativa delle religioni l’ha scossa profondamente
alla ba- se. Fino al secolo xviri la teologia, e la scienza in generale,
conosceva soltanto — con eccezioni scarse e prive di influenza — il presupposto
rigorosamente soprannaturale del mondo cri- stiano, cosicché il Cristianesimo
riposava su una rivelazione comunemente ritenuta soprannaturale e legittimata
da miracoli che interrompevano il corso della natura. Il pensiero scienti- fico
si estendeva soltanto alla sua interpretazione, non alla sua realtà di fatto.
Di fenomeni concorrenti, non cristiani, si cono- scevano soltanto la mitologia
greco-romana e l’Islam. La prima veniva però considerata come la corruzione
peccaminosa di residui di una conoscenza risalente all’Eden, e il secondo come
un’eresia del Cristianesimo. I suoi miracoli erano, come quelli dell’eretico,
scimmiottamenti del demonio. Al contrario, la cre- denza in dio della filosofia
greca non comportava alcuna con- correnza alla rivelazione cristiana, ma
rappresentava il frutto del « pensiero naturale », il prodotto normale e
canonico del lumen naturale, che costituiva nei confronti della rivelazione
un’analogia e un grado preliminare più o meno amichevolmen- te apprezzato, di
cui non si poteva fare a meno per la definizio- ne € l’esposizione del contenuto
della rivelazione. Questo mon- do angusto e ristretto, dai presupposti storici
semplici ed eviden- ti, fu distrutto dal secolo xvi. Certamente, furono in
primo luogo la moderna scienza della natura e la metafisica moderna a porre in
questione il miracolo e il soprannaturale, ma ben presto questo effetto derivò
in misura sempre crescente dalla ricerca storica. Accanto al Cristianesimo,
all’antichità e all’I- slam si collocavano le altre grandi religioni del mondo
antico con le loro analoghe dottrine teologiche; e, al di fuori del mondo
cristiano, uno sterminato mondo « pagano» si apriva nelle parti della terra
recentemente dischiuse al commercio e descritte da resoconti di viaggi molto
ammirati. Ne venivano così posti doppiamente in dubbio gli analoghi miracoli ed
ele- menti soprannaturali della storia ebraica e cristiana, e la prete- sa
unicità della Chiesa. Voltaire e Montesquieu amavano proce- 812 ERNST TROELTSCH
dere mediante questi paralleli tra religione cristiana e religione pagana.
L'applicazione dei nuovi metodi pragmatici e critici, approntati dal deismo ed
energicamente approfonditi dai teolo- gi tedeschi del secolo xvi, si mostrava
possibile anche per la storia del Cristianesimo, e distruggeva sia la finzione
cattolica secondo cui la chiesa sarebbe la semplice prosecuzione del
Cristianesimo primitivo, sia la finzione protestante secondo cui la Riforma ne
costituirebbe la restaurazione. Tutte le imposta- zioni della precedente
visione confessionale della storia furono negate c sostituite da una nuova impostazione,
che inseriva la storia della rivelazione e della chiesa nel generale
pragmatismo storico. Ciò che il secolo xvilt aveva cominciato a fare ancor
sempre esitante, cercando in ogni cosa un’immutabile verità di ragione e
onorando in tutte le religioni, ma particolarmente nel Cristianesimo, la «
religione naturale », fu proseguito dal secolo xIxX con crescente successo e
con una smisurata estensio- ne. Esso ha dissolto la vita dell'umanità in una
corrente ininter- rotta di divenire storico, di trasformazioni continue,
mostrando- ne il frammento a noi accessibile nel suo movimento interno, e per
le parti a noi ignote — che si collocano prima e dopo tale frammento —
dispiegando agli occhi della fantasia l’immagine di trasformazione senza fine.
Ma esso ha soprattutto fornito sia ai singoli campi sia alla considerazione
complessiva della sto- ria metodi storico-filologici concreti — e in luogo del
metodo pragmatico quello genetico, che poggia sul presupposto di uno sviluppo
continuativo e omogeneo della vita spirituale, indaga le leggi di formazione
della tradizione presso i popoli antichi € proprio qui mostra come, muovendo da
queste tradizioni le quali offuscano ogni sviluppo e ogni condizionamento
naturale, si possa chiaramente ricostruire il corso reale delle cose. In quella
corrente impetuosa anche le religioni piccole e grandi — alle quali si
aggiungeva con l’inizio del secolo anche la religio- ne indiana appena
scoperta, insieme alle varie religioni ad essa imparentate — apparvero
nient'altro che onde che si alzano e si abbassano, infinitamente diverse e
senza quiete. Infatti dal nuovo metodo filologico scaturì naturalmente anche
un’indagi- ne del tutto nuova delle religioni antiche. E le « antichità reli-
giose » nella loro stretta connessione con il diritto, la politica,
l'articolazione della società, l’arte e la scienza dei popoli anti- ERNST
TROELTSCH 813 chi, costituiscono il corpo principale della tradizione. Miti e
tradizioni, culti e leggi religiose vengono sempre più riconosciu- ti nella loro
connessione naturale con la vita complessiva. Di qui scaturirono, alla fine, le
indagini degli etnologi e degli antropologi sui popoli « senza storia », le
quali hanno mostrato la presenza presso di questi di un gran numero di tratti
molto prossimi alle tracce più antiche dello sviluppo culturale e reli- gioso
dei popoli civili e gettato nuova luce sui loro inizi. Dalla cooperazione tra
scienza dell’antichità, filologia orientale ed et- nologia è così sorta una
nuova grande disciplina, la storia delle religioni, che è certamente elaborata
in modo ancora molto incompleto e diseguale, ma da cui provengono già ora,
diretta- mente o indirettamente, gli effetti più forti. I suoi metodi sono
profondamente penetrati nell’analisi della religione israeli- tica e cristiana.
Nessuno poteva più mettere in dubbio la sua splendida influenza nel campo
profano ed extra-cristiano; non appena la si applicò a fondo alla totalità
della tradizione cristia- na, si vide che questa chiave, capace di aprire tutte
le porte, si adattava anche qui alla serratura. La storia del Cristianesimo è
così stata inserita irrevocabilmente nella storia generale della religione, per
quanto si cercasse di nuovo di sottrarlo ad essa nei punti più importanti.
D'altra parte, anche l’indagine di principio sull’essenza e sulla verità delle
conoscenze religiose aveva bisogno di abbracciare con lo sguardo la
molteplicità storica delle religioni. Lo spirito del pensiero moderno, orienta-
to in senso storico, ha costretto in ogni campo filosofi e teologi a considerazioni
storiche, soppiantando il vecchio e più elemen- tare procedimento, puramente
logico-speculativo. In tal modo il cerchio della considerazione storica
religiosa si è chiuso da tutte le parti intorno al Cristianesimo. Gli effetti
di tutto ciò sono evidenti; ma essi sono più impor- tanti di quel che si è in
un primo tempo supposto e di quel che ancora oggi spesso si suppone. La
conoscenza prossima fu che tutti gli elementi soprannaturali, e in particolare
le relazioni causali asserite dal pensiero giudaico-cristiano, sono scomparsi
dalla concezione della storia del Cristianesimo, e che questa storia è stata
studiata secondo l’analogia con altre tradizioni, mantenendo in pieno
l’importanza che prima rivestiva. In tale maniera il Cristianesimo ha però
perduto la fondazione sopran- 814 ERNST TROELTSCH naturale che lo distingueva
da tutte le altre religioni; la sua storia primitiva era solo più la fonte, non
più la sua prova. I suoi fondamenti storici, che avevano avuto un’importanza
deci- siva per la sua precedente concezione di se stesso, hanno comin- ciato a
vacillare, e ciò ha trasformato tutta la sua essenza. In tale maniera, però,
era minacciata non soltanto la sua sopranna- turalità, ma anche — come presto è
risultato — la sua singolari- tà e il suo valore esclusivo di verità. Esso
diventava solamente una delle grandi religioni universali accanto all'Islam e
al Bud- dismo, una religione che, al pari di queste, si è sviluppata attraverso
una lunga preistoria e che ha raccolto l'eredità di formazioni storiche di
larga portata. Dov'è rimasta allora la sua verità esclusiva o anche soltanto la
sua posizione di privile- gio, dov'è rimasta soprattutto la fede nella sua
rivelazione esclu- siva e unica? La questione dell’autenticità dell’anello
diventava ancora più grave di quanto era stata per la religione razionale di
Lessing. Ma la conseguenza va ancora più in là. Non soltan- to la validità e la
verità del Cristianesimo, ma anche quella della religione in generale come
campo autonomo e particolare della vita viene trascinata via da questo vortice
della molteplici- tà storica. Come può esserci comunque una verità nella fede
religiosa, la quale si manifesta in mille forme diverse, chiara- mente
dipendenti dalla situazione e dalle circostanze, e si ripor- ta a rivelazioni
che si presentano tutte come infallibili e univer- salmente valide, o almeno
come un'opera soprannaturale imme- diatamente procedente dalla divinità, e che
al tempo stesso si contraddicono completamente? Come può esserci ancora una
religione nell’infinita molteplicità e nelle profonde differenze delle
religioni, se la religione deve significare in verità una comunità con la
divinità? Non si dovrebbe almeno dire, con le note parole di Schiller: «Quale
religione riconosco? Nessuna di tutte quelle che mi nomini. — E perché? per
religione »'? Oppure con le parole di Goethe, che certamente non esprimo- no
tutta la sua autentica intuizione al riguardo: « Chi possiede scienza ed arte
ha anche la religione; 1. ScuitLer, Epigramme, Mein Glaube (1797). ERNST
TROELTSCH 815 chi non ha né Vl’una né l’altra s'abbia la religione »?? Si
tratta di una storia di follia e di superstizione, nel miglio- re dei casi del
rozzo precedente e del surrogato popolare della filosofia e dell’arte,
scaturito esclusivamente dal pensiero e dal- l’errore umano, non dell’opera
della divinità — per lo meno non più e non diversamente di quanto lo sia
qualsiasi altro evento — dal momento che la divinità non può mettersi in
dissenso con se stessa. Ma con ciò le questioni riprendono da capo: perché
allora queste innumerevoli vie traverse delle reli- gioni per giungere alla
verità della filosofia e dell’arte? perché la necessità di un surrogato
popolare? donde viene l’enigmatica autonomia e la forza propria delle
religioni, che ora si accorda- no con l’arte e la scienza ispirandole alle più
alte imprese, ora le annientano nel loro fiorire e ne prendono il posto? donde
viene il caratteristico contenuto interno di relazioni coerci- tive e viventi
con la divinità, che non può essere vissuto al- trove e che la scienza e l’arte
possono soltanto trarre dalla religione ? Qui stanno infatti i problemi veri e
propri per chi ha visto che la scienza naturale non può decidere nulla in
merito alla possibilità o impossibilità della religione, o può decidere soltan-
to le questioni preliminari più generali. Essi costituiscono an- che la base
più profonda della crisi attuale, sebbene la cultura media continui ad
attribuire questo progresso o questa sfortuna — secondo il punto di vista —
solamente alla scienza della natura. Come la scepsi, che invade oggi tutti i
campi, ha il suo fondamento principale nel relativismo prodotto dal diffon-
dersi degli studi storici, così ha qui la sua radice, ora più con-
sapevolmente, ora più inconsapevolmente, anche la posizione contraddittoria
della nostra migliore cultura nei confronti della religione, che oscilla avanti
e indietro tra un mezzo riconosci- mento e una mezza contestazione,
riconoscendo in qualche modo la verità e la necessità di un fenomeno storico
così potente e tuttavia non impegnandosi seriamente con nessuna delle sue forme
concrete. 2. GoetHE, Xenien, 9. 816 ERNST TROELTSCH Ma le grandi crisi storiche
guariscono spesso — come Ja lancia di Odino — le ferite che hanno inferto. Come
la moder- na scienza della natura costringeva, proprio in virtù della sua
coerente elaborazione, a indagini gnoseologiche sulla causalità e sulla
sostanza, conducendo perciò al superamento del suo carattere materialistico e
naturalistico, così anche la nuova scien- za storica ha costretto a cercare con
maggiore profondità di prima le forze propulsive e unitarie della storia. Se
1’Illumini- smo, ancora sottoposto all’influenza del soprannaturalismo, ave- va
riposto il contenuto della storia in una verità di ragione sempre eguale, rigida,
spiegando a partire da essa tutte le devia- zioni e tutti i mutamenti in base a
motivi puramente soggetti vi, la nostra intuizione della storia procedeva
all'indietro — sotto l’influenza delle nuove idee poetiche di Lessing, Herder,
Goethe — dai variopinti e molteplici fenomeni esterni alle tendenze spirituali
di fondo della natura umana che stanno alla loro base e che sono in essi
soltanto incorporate, e insegnava poi a riconoscere di nuovo queste tendenze
nella loro interna connessione come il dispiegarsi della ragione umana
complessi va, che nel corso dello sviluppo dispiega il proprio contenuto
spirituale — come un grande individuo — attraverso la succes- sione delle
generazioni. In tal modo è stata fondata la grande intuizione moderna della
storia, che costituisce il presupposto nuovo di ogni scienza dello spirito:
essa racchiude ancora in sé gravi problemi, ma si è già dimostrata estremamente
feconda. Da essa è sorta anche una nuova intuizione della religione e del suo
sviluppo storico. Anche nella religione si è pervenuti, muovendo da forme
fenomeniche infinitamente diverse, a un nucleo interno, sempre presente e
almeno formalmente identi- co, agli Er/ebnisse interni della coscienza, che si
cristallizzano e si ramificano a formare quelle forme fenomeniche soltanto in
virtù della cooperazione di varie condizioni esterne. Era questo Erlebnis
fondamentale ciò che occorreva comprendere e analiz- zare. In base alle
rivelazioni originarie e acquisite di questo Erlebnis si doveva comprendere la
formazione dei gruppi di religioni; e nel sorgere di gruppi di religioni sempre
più gran- di e comprensivi si doveva riconoscere il dispiegarsi dell’idea
religiosa. C'erano naturalmente vie molto differenti per proce- dere a
quest’analisi, e numerosi sono stati gli errori. Il presup- ERNST TROELTSCH 817
posto di un’indagine di questo tipo è naturalmente la conoscen- za approfondita
della storia empirica delle religioni, ma di tale conoscenza si può finora
parlare solo parzialmente. Nel complesso questa è la strada che si accorda con
la tendenza del pensiero scientifico, e che ha già condotto a molte conoscenze
fornite di valore. Dobbiamo soltanto imparare a considerare la religione con
occhio sempre più amorevole, sempre più libero da presupposti dottrinali,
razionalistici e sistematizzanti, e a studiarla in modo sempre più penetrante
proprio nei suoi carat- teristici e appariscenti fenomeni e personalità
specificamente religiosi, anziché nell'uomo comune. Allora ci si disvela — co-
me il nucleo più profondo della storia religiosa dell'umanità — un Erlebnis non
suscettibile di essere ulteriormente analizza- to, un fenomeno originario
ultimo che, al pari del giudizio etico e dell’intuizione estetica, rappresenta
un fatto ultimo e semplice della vita psichica, ma che è caratteristicamente
diver- so da entrambi. Noi riconosciamo leggi particolari — proprie di questo
campo della vita — nella formazione di idee e di norme, nella produzione di
simboli e di azioni religiose, nell’al- largamento, nella crescita e
nell’elaborazione, nella contrapposi- zione e nella lotta con forze estranee o
antitetiche; nell’aliena- zione e nell’approfondimento, nell’intreccio con
altri sistemi di vita e della concentrazione che ne viene di nuovo fuori, nella
formazione della tradizione e della comunità nonché nella pro- duzione
originale che continua sempre a sussistere accanto a queste, nel rapporto degli
spiriti produttivi con i fedeli ad essi subordinati. In tutte queste formazioni
diversissime vive pur sempre una realtà fondamentale unitaria, ossia la
religione, il contatto indeducibile, puramente fattuale, sempre nuovamente
vissuto, con la divinità. Si può passare da una religione all’al- tra: anche le
religioni tra loro più opposte possono comprende- re, con qualche attenzione,
il linguaggio religioso l'una dell’al- tra. Si tratta sempre della stessa
realtà, che viene colta in diver- si gradi e da diversi lati. Ma questa unità
non è l’unità rigida della religione naturale — come aveva ritenuto la
concezione della storia del secolo xvi — e non si basa sull’accordo tra ope-
razioni intellettuali coscienti; essa è invece fondata su una comu- ne tendenza
di movimento dello spirito umano, la quale spinge avanti in direzioni diverse e
si compie attraverso il movimento 52. STORICISMO TEDESCO. 818 ERNST TROELTSCH
dello spirito divino che opera misteriosamente nella profondità inconscia dello
spirito umano unitario. Incapace di raggiungere il suo fine nel breve tratto
della vita individuale, questo movi- mento si compie attraverso il lavoro in
comune di innumerevo- li generazioni che, afferrate e condotte dall’agire
divino, si affidano ad esso vivendone sempre più riccamente e profonda- mente
l’intimo contenuto. Questo movimento è uno sviluppo perturbato in vario modo,
ma che in tutte le perturbazioni si riprende sempre di nuovo, reca a
realizzazione il contenuto posto come possibilità e come nucleo nel sistema
religioso di vita, mostra i diversi gruppi di religioni nella loro relazione
reciproca e nella loro graduale successione, e nel corso stesso della storia
porta alla luce — con la contrapposizione di diverse religioni — il criterio
della loro valutazione. In tal modo si innalza davanti ai nostri occhi, anziché
il caos, un cosmo di religioni, a proposito del quale non si deve dimenticare
che qui la successione di gradi indica non soltanto una serie temporale, ma
anche una contemporaneità. Questo cosmo è stato spesso considerato un gioco che
presenta in sfumature quanto mai variopinte e ricche la realtà fondamentale
comune, oppure co- me una cooperazione di diverse verità parziali che costitui-
scono la bella totalità. Ma questa considerazione estetica, che faceva della
storia delle religioni uno spettacolo ricco e bello per la divinità,
contraddice sia il vero senso dell’idea di svilup- po sia l’essenza reale delle
religioni. L'idea di sviluppo, tratta attraverso diverse idee mediatrici dai
fenomeni spirituali del movimento di un fine unitario, si spinge fino al
conseguimento di questo scopo finale a cui sempre si tende e che sempre agisce;
e le grandi religioni tanto meno si arrestano in sé quanto più hanno compreso
il loro fine, ma anzi tendono con passione spesso struggente verso la verità
totale e intera. Soltan- to dove l’idea di sviluppo viene mantenuta nel suo
senso pieno, essa non opera in modo snervante e distruttivo; e soltanto dove le
religioni sono animate da questa passione, esse hanno una vitalità intima che
le spinge in avanti. Perciò occorre in ultima analisi, e soprattutto,
rintracciare il fine o almeno la tendenza al fine della storia delle religioni,
la quale non può trovare il suo termine nei sistemi della scienza e dell’arte
ad essa prossi- mi oppure in un concetto astratto di religione elaborato in
base ERNST TROELTSCH 819 a varietà delle religioni, ma soltanto in una
religiosità concre- ta, particolarmente profonda e potente, particolarmente
forte e coniata in forma pura. Essa deve contenere i momenti di verità delle
altre o potersene appropriare, e deve in ogni caso incorpo- rare in modo
vivente l’idea centrale che emerge dal loro svilup- po. In quale misura essa
sia configurata unitariamente e in quale misura possa penetrare universalmente,
nessun postulato può stabilirlo 4 priori. Si tratta soltanto di un postulato
che deriva dallo stesso sviluppo religioso, in modo tale da fornire una tendenza
al fine e da fare sì che essa si renda riconoscibile, almeno come avviamento e
come tendenza verso il futuro. Il vecchio metodo della teologia
soprannaturalistica ne risul- ta pertanto capovolto. Essa muoveva dal
presupposto, assunto come ovvio, che il Cristianesimo costituisce — a causa del
suo carattere soprannaturale — l’unica verità, e si curava soltanto di porre le
altre poche religioni conosciute in un rapporto tollerabile con questa
religione soprannaturale, ed essa sola ve- ra. La sua filosofia della storia
collegava immediatamente il Cristianesimo, inteso come restaurazione
soprannaturale, al per- fetto e semplice inizio dell’umanità; la molteplicità
delle altre religioni non era che un prodotto dell’offuscamento successivo al
peccato, e i loro elementi di verità erano residui dell’antica perfezione dello
stato originario. Il Cristianesimo era non sol- tanto la suprema e più profonda
redenzione, ma l’unica reden- zione operata immediatamente da Dio, mentre tutte
le altre religioni nascevano esclusivamente dal pensiero e dall’errore umano, e
la loro fede di redenzione doveva essere stata soltanto auto-redenzione in base
a una forza naturale. La ricerca storica moderna costringe a percorrere il
cammino inverso. Essa mo- stra che questo soprannaturalismo e questa forma di
fondazio- ne costituiscono un modo, comune a tutte le religioni superio- ri, di
esprimere la loro convinzione della propria verità. Essa distrugge l’idea di un
semplice inizio soprannaturale dell’uma- nità, e mostra anche presso i devoti
dell’Indo e delle montagne persiane la forza profondissima e vivissima della
fede redentri- ce e della comunanza immediata con Dio. Essa percorre in tal
modo la via dall’universale al particolare, dall'indagine della religione come
contatto particolare con la divinità, che ha luo- go ovunque, all’indagine dei
particolari ambiti concreti di reli- 820 ERNST TROELTSCH gione. Cercando di
coglierli nel loro rapporto interno, in una prospettiva storico-evolutiva, essa
va alla ricerca del prodotto supremo di questa storia, guidata dalla
convinzione — certamen- te indimostrabile, e che rappresenta essa stessa una
fede etico-re- ligiosa — che la storia non è un gioco di varianti senza fine,
bensì il dispiegarsi del contenuto più profondo e unitario dello spirito umano.
Ai suoi occhi la storia della religione è una storia di Dio con gli uomini, una
storia della redenzione che eleva l’umanità e l’uomo singolo al di sopra del
legame con la mera natura sensibile, con il bisogno e con l’aspirazione pura-
mente naturale, fino alla comunità con Dio e alla libertà dello spirito sul
mondo e sulla mera, ottusa fattualità dell’esistenza. In quanto la storia della
religione raggiunge in questo modo, o meglio realizza, la verità — in grado
diverso secondo la situa- zione e le condizioni — vincolando l’uomo con il
fondamento più profondo della sua esistenza e con l’insieme dei suoi beni
spirituali, ne è nata la convinzione che in essa, e in essa soltan- to, si
raggiunge un reale progresso della storia e che essa può credere, del tutto
diversamente dalla storia degli altri campi della vita, nel conseguimento di
uno scopo definitivo e sempli- ce. Mentre la morale, il diritto, la cultura, la
scienza e l’arte si riferiscono a una situazione mondana sempre mutevole e sono
perciò sempre costrette a comportare nuovi impercettibili adat- tamenti,
innumerevoli dissoluzioni e nuove formazioni, la reli- gione ha invece a che
fare con il fondamento eterno, sempre identico a se stesso, della vita.
Penetrandolo sempre più profon- damente, essa può ritenere possibile
raggiungere quella misura di verità e di unificazione interna che è in generale
concessa al- l’uomo sulla terra — certamente sempre intrecciata, in relazioni
continuamente mutevoli, con la situazione complessiva che si trasforma, in
lotta con le potenze contrapposte dell’inerzia, del peccato,
dell’esteriorizzazione egoistica, e creando, in base alla verità una volta
raggiunta, una sempre nuova e più profon- da forza vitale, ma pur sempre nella
certezza di avere vissuto ed esperito il nucleo del mondo soprasensibile. Si
tratta di un postulato di cui nessuno, che abbia riconosciuto nella religione
un campo autonomo della vita, può fare a meno. Certamente, a questo punto si
aprono i problemi ultimi e più profondi, le questioni fondamentali della
storia: perché abbia luogo in gene- ERNST TROELTSCH 821 rale una storia; perché
gli uomini debbano essere tratti fuori e liberati dalla balia della natura e
delle sofferenze da essa a noi inflitte, dall’inerzia e dall’egoismo, soltanto
in virtù della reli- gione; perché le condizioni di questo processo e i suoi
effetti siano talmente differenti e non si possa parlare di una possibili- tà
identica per tutti di partecipare al suo frutto; perché innume- revoli
generazioni e individui debbano venir consumati in esso, e pur sempre rimanere
differenze di grado; se, e come, tutta questa diseguaglianza potrà mai essere
appianata. Queste sono le questioni ultime e più profonde che un’epoca fornita
del coraggio della speculazione cercherebbe di illuminare mediante una
speculazione che muova dai fatti della vita interiore, e nelle quali un’epoca
stanca di speculazione come la nostra vene- ra invece rassegnata i limiti della
conoscenza umana; questioni a cui risponde in modo oscuro e logoro, ma profondo
e com- prensivo, la religione stessa attraverso la dottrina dell’amore creativo
di Dio e della vita dopo la morte, dell’auto-redenzione di Dio nell’elevazione
dei regni degli spiriti finiti alla comunità con lui. Non sono quindi queste
questioni ultime a dover essere ancora indagate se si deve risolvere il
problema posto dalla considerazione storico-religiosa. E neppure può trattarsi
di ga- rantire l'assunzione fondamentale qui presupposta — cioè che la
religione è un campo di vita autonomo, un contatto interio- re con la divinità
— contro le obiezioni che dalla pienezza delle particolarità storiche traggono
l’occasione per una spiega- zione di tipo illusionistico la quale deriva la
religione, intesa come prodotto secondario, da altri fatti fondamentali. Ogni D
spiegazione del genere naufraga sempre dinanzi al fatto che la religione non
può essere derivata dal pensiero causale o dall’im- pulso filosofico, e neppure
dalla fantasia e dal bisogno di felici- tà: ciò risulta particolarmente chiaro
nelle più eminenti perso- nalità religiose, in cui opera ancora la forza
completa dell’ispi- razione e la religione non si è ancora risolta in teologia,
in etica o in culto, ma anche ogni fedele può constatarlo in se stesso, nella
sua propria esperienza. Egli segue una coercizione che lo trascende, una
tendenza verso qualcosa che non trae origine dal mondo delle esperienze
sensibili e dai bisogni sensi bili, ma che doveva già essere contenuto nel
sentimento prima 822 ERNST TROELTSCH di poter essere manifestato o postulato. Per
una spiegazione realmente di tipo illusionistico resterebbe soltanto l’ipotesi
— che è stata anche tentata e che da molti punti di vista sarebbe ancora la più
accettabile — che si richiama a una follia conta- giosa, ad allucinazioni di
visionari invasati, le quali poi si sarebbero trasmesse, in forma più debole,
ai comuni fedeli mantenendo sempre un’enigmatica forza di contagio. Su un'ipo-
tesi siffatta non si può naturalmente discutere: essa significa soltanto il
riconoscimento del fatto che nella religione siamo sempre di fronte al fenomeno
fondamentale ultimo — non ulteriormente risolubile, che rimane sempre
enigmatico e in- commensurabile — della vita spirituale, e che in esso è
presen- te un proprio autonomo principio di sviluppo condizionato sì dal resto
della vita, ma non esclusivamente prodotto da essa. Si può quindi restare
fermi, in generale, all’intuizione fondamen- tale già ricordata, ossia alla
filosofia della storia di Hegel, di Schleiermacher e di Humboldt, che riconosce
nella religione un fenomeno universale della vita spirituale e applica alla sua
sto- ria l’idea di sviluppo, che può condurre soltanto a uno studio sempre più
realistico e impregiudicato dei fenomeni specifica- mente religiosi e che
dev'essere liberata dalla connessione trop- po stretta — e ancora dominante —
della religione con intuizio- ni complessive di carattere metafisico ed
estetico. Le questioni che scaturiscono da tale concezione sono piuttosto
quelle che si riferiscono, in modo particolare, al rapporto della molteplicità
e relatività storica con l’unità ultima e con la propria verità, postulato
della fede religiosa. E proprio per gli storici che si immergono nella pienezza
della realtà sorgono sempre di nuo- vo certi problemi: come si possa, da questo
punto di partenza, Spiegare o piuttosto sostenere, in rapporto a quella
tendenza all’assoluto, l'effettiva diversità delle concezioni religiose fonda-
mentali, la diversità di intensità e di purezza, la debolezza di vita religiosa
che caratterizza talvolta interi periodi e interi popoli. L’altra questione,
che tocca in maniera ancora più im- mediata l’interesse generale, è se
realmente una delle religioni concrete oppure — dal momento che esso
rappresenta la gran- de religione storica dell'ambito di cultura europeo-america-
no, € può praticamente costituire per noi il culmine dello svi- luppo
religioso, collocandosi sicuramente, per interiorità e atti- ERNST TROELTSCH
823 vità religiosa, ali sopra del Giudaismo, dell'Islam, del Buddi- smo e del
Bramanesimo — se il Cristianesimo possa essere real- mente considerato il punto
di convergenza della vita religio sa e il fondamento di ogni sviluppo
ulteriore. Per rispondere alla prima questione occorre riflettere che il
concetto di religione è rimasto, con quanto si è detto, ancora assai
indeterminato e incompiuto. La storia della religione mo- stra piuttosto
chiaramente, per quanto è possibile, che la religio- ne non può essere
un’azione di Dio sul sentimento, chiusa internamente in sé a ogni altra realtà,
immediata e sempre ripro- ducentesi in modo spontaneo. Che essa sia questo, lo
afferma ovunque soltanto la teoria della mistica, cioè di quel particola- re
risultato di complicati sviluppi storico-religiosi che compare ogni volta che
si è smarriti dinanzi alle singole forme concrete della fede in Dio e si
ritorna a un'azione ineffabile e sempre eguale di Dio sull’anima, oppure
quando, rifuggendo paurosa- mente da ogni esteriorità e da ogni mediazione, si
aspira a una comunanza il più possibile interiore e immediata con Dio. Il vuoto
e l’auto-limitazione priva di rapporti comunitari di questa devozione, la
concentrazione artificiosa che si punisce con l’irritazione e la spossatezza,
il distacco dal mondo mostra- no fin dall’inizio quanto poco si tratti di
fenomeni normali. Una teoria del genere passa anzi sopra fatti di importanza
fondamentale. Quell’influenza divina non si compie cioè in ogni uomo in maniera
nuova e autonoma, e in modo puramen- te interiore come se fosse una specie di
magia dell'anima, ma si compie attraverso mediazioni di vario genere.
L'impressione religiosa o — per impiegare un’immagine tratta dalla psicolo- gia
empirica — lo stimolo religioso scaturisce sempre soltanto da avvenimenti e da
esperienze vissute di tipo esterno e inter- no, nella natura e nella storia, nella
coscienza e nel cuore. Per la grande maggioranza degli uomini l’elemento
mediatore del- lo stimolo religioso è la tradizione religiosa, accanto alla
quale stimoli religiosi indipendenti rivestono un'importanza solita- mente più
ristretta. L’enigma proprio dello sviluppo religioso individuale consiste nel
vedere come da tradizioni non compre- se, dapprima estranee e interpretate in
modo infantile, sorga gradualmente la devozione autonoma, interiore e
personale, la quale è cosciente, almeno nei punti più alti, della sua comunan-
824 ERNST TROELTSCH za interiore e della sua relazione reciproca con la vita
divina. Se ci si riferisce però all’origine di questi ambiti di tradizione —
talvolta racchiusi l’uno nell’altro © incrociantisi tra di loro — ci si imbatte,
dove è possibile risalire fino agli inizi di una religione, in personalità
straordinariamente originali che, legate meno strettamente alla mediazione
della tradizione, ricevono dai grandi avvenimenti della natura o della storia,
dai destini della vita individuale o dai processi della loro vita interiore lo
stimolo a nuove grandi intuizioni, attraendo le altre sotto la potenza della
loro devozione e della loro personalità. Quanto più queste concezioni
fondamentali, che compaiono in modo puramente fattuale e non possono venir
derivate da altre, sono profonde e personali, e collegate con avvenimenti
grandi e importanti, tanto più esse si presentano come nuclei di grandi
contenuti di vita, come princìpi che si dispiegano nel lavoro di molte
generazioni. I visionari, gli estatici e gli ispirati delle antiche religioni,
i profeti, i riformatori e i santi sono di solito personalità di questo genere,
e la loro caratteristica principale è un’enorme unilateralità che respinge
tutto il resto, e mediante la quale soltanto essi possono produrre tale
effetto. Ma, una volta dischiusa da essi in questo modo determinato, la comu-
nanza con Dio crea un allargamento e una diffusione straordi- naria dei
rapporti fondamentali così dati. Essa si sviluppa finché possiede una forza di
sviluppo non ancora utilizzata e finché non viene sopraffatta da impressioni
più potenti. Il fatto che nel campo della religione, come in tutti gli altri,
le disposizioni e le capacità siano diverse, che il con- tenuto e la portata di
un principio religioso possano essere sviluppati soltanto mediante il lavoro di
appropriazione di mol- te generazioni, che l’esperienza religiosa scaturisca da
elementi diversi di una realtà infinitamente varia, e che in tale maniera
l’unica verità sia colta diversamente in differenti concezioni fondamentali —
tutto ciò è inerente all’enigma stesso della storia, la quale distribuisce il
contenuto della vita spirituale nel lavoro di miliardi di uomini, e il cui
mistero è noto soltan- to a Dio. Ma tutto ciò non cancella la fede che in
questa molteplicità sia vissuta una verità unitaria. Procedendo dalle
differenze condizionate dal luogo e dal tempo, da particolarità personali e
storico-culturali, dalla mescolanza dei nomi di divi- ERNST TROELTSCH 825 nità
e delle mitologie, da alienazioni e da deformazioni infanti- li e rozze, o
egoistiche e sacrileghe, fino al nucleo unitario, troviamo sempre una verità
molto affine. Osserviamo il grande terrore dinanzi al mistero di un mondo
soprasensibile che si introduce nel corso della vita quotidiana e che desta
l’uomo, ora spaventandolo ora consolandolo, dal sonno di un'esistenza puramente
intra-mondana; la manifestazione di forze divine nella natura, da cui
scaturisce in definitiva una sensibilità pan- teistica; l'autorizzazione di norme
etiche e giuridiche da parte della divinità, la quale si rivela come sacra ed
esige anzitutto purezza e verità, dirittura e rigore nell’agire. In
particolare, beni superiori e beatificanti si collocano al di sopra del mondo
sensibile, un elemento permanente ed eterno si eleva sul mutare del desiderio e
del bisogno, e da ciò sorge la fede nella reden- zione, che nella religione in
generale riconosce la redenzione dal dolore e dalla colpa, dal carcere
dell’insoddisfazione eterna- mente mutevole. Tutte queste cose possono essere
viste come oggettivamente connesse, come impulsi verso una concezione unitaria;
e la questione del perché gli individui prendano parte in modo così diseguale
alla piena verità oggettivamente connessa non può turbare questa conoscenza, in
quanto è una questione eternamente insolubile sulla terra. In base al medesimo
fatto fondamentale della mediazione di tutte le spinte religiose si spiegano
però, in collegamento con un secondo fatto fondamentale, anche gli altri
fenomeni che abbiamo menzionato: la diversa intensità e direzione dell’inte-
resse religioso, la debolezza della vita religiosa, che non sem- pre dipende
soltanto da ottusità e da rifiuto nei confronti dell’e- levazione ideale o da
una consapevole opposizione. Non parlere- mo qui, in quanto si tratta di cose
ovvie, di quest’ultimo condi- zionamento da parte dell’inerzia, dell’egoismo,
della rozzezza e dell’esteriorità, né degli effetti della lotta continua della
religio- ne contro gli impedimenti ad essa opposti dalla volontà. Occor- re
considerare piuttosto altre cose. L'intuizione di Dio non è isolata in sé, e
neppure è un'esperienza vissuta accolta passiva- mente. Essa è fin dall’inizio
rivestita di determinati tratti di simbolizzazione poetica, e opera mediante
riferimenti concreti a certi campi di fenomeni naturali o etici e con
determinati strumenti di espressione linguistica. Agendo come stimolo sul- 826
ERNST TROELTSCH l’anima in virtù di questo contenuto concreto, essa suscita im-
mediatamente — al pari di ogni altro stimolo — una quantità di reazioni,
cosicché non può mai liberarsene in tutta la sua purezza, ma in ogni momento
della sua influenza è sempre indissolubilmente collegata con le più svariate
reazioni psichi- che. La connessione è qui più stretta e ramificata di quanto
non avvenga per qualsiasi altro stimolo, perché l’esperienza religiosa è
l’esperienza dominante, che attrae o respinge ogni cosa, e perché eccita più di
ogni altra il sentimento in tutte le sue sfumature. Esiste anche un'«
appercezione » religiosa in vir- tù della quale lo stimolo religioso penetra
immediatamente nel- la connessione di tutte le rappresentazioni e di tutti i
sentimen- ti, e ne viene influenzato nella sua direzione, nella sua forza e nel
suo ambito, anche se poi dà a sua volta nuove linee diretti- ve e nuove
intonazioni all’intera struttura. È noto che le natu- re specificamente
religiose intrecciano impetuosamente, nelle loro idee religiose fondamentali,
tutto ciò che è vicino e ciò che è lontano, oppure respingono tutto quanto si
oppone, o che non si connette immediatamente, come cose del mondo e cure
quotidiane; allo stesso modo coloro che hanno il loro centro di gravità in
altre disposizioni, adattano la religione a interessi scientifici, etici,
estetici, cercando di mediarla con il resto oppu- re, dove quest’adeguazione
risulta impossibile, di respingerla. Nelle condizioni di quest’appercezione,
differente in ogni indi- viduo, risiede per lo più il motivo delle enormi
diversità indivi- duali all’interno di ogni particolare ambito religioso, delle
di- verse rappresentazioni e sensazioni religiose, della diversa posi- zione e
forza dello stimolo religioso all’interno del contenuto psichico complessivo,
della prevalente dipendenza dalla tradizio- ne e dal simbolo, della prevalente
autonomia e reazione, della diversa misura di forza trascinante e di
appropriazione riflessi- va. Quanto più sviluppata e più ricca è la vita
spirituale, tanto più intricate e impenetrabili diventano le condizioni di
quell’ap- percezione, e tanto più energicamente la religione richiede quel
raccoglimento e quell’attenzione silenziosa allo stimolo religio- so, che si
chiama devozione e preghiera. Non si deve quindi dimenticare che gli individui
non stanno soli, ma innalzano, nella più stretta relazione reciproca, certe
inclinazioni e certe tendenze a potenze socialmente dominanti. Così anche dal
pun- ERNST TROELTSCH 827 to di vista religioso vi sono epoche prevalentemente
conservatri- ci ed epoche prevalentemente critiche, in cui ora la tradizione
consolidata nel culto e nella chiesa domina ogni cosa con il sentimento di una
sacralità intangibile, ora un'autonomia criti- ca suscitata da sconvolgimenti
generali della vita spirituale si ribella mettendo in questione la legittimità
e la connessione di ogni idea. Così può esserci alla fine, dopo violente lotte
religio- se, un periodo di fastidio che si rivolge alle cose del mondo e di più
facile acquisizione; può esserci, sotto l’influenza di gran- di movimenti
materiali, politici e sociali, o sotto l'influenza di conoscenze scientifiche,
una crescente ripugnanza di grandi masse nei confronti della religione, come
dimostrano per esem- pio la cultura dell’età imperiale romana, la morale
confuciana delle classi superiori della Cina — non areligiosa ma assai povera
dal punto di vista religioso — e le moderne condizioni della vita europea. In
modo analogo si devono intendere anche le situazioni di debolezza della vita
religiosa di alcuni popoli primitivi, a cui se ne contrappongono altri forniti
di un fervore molto più vivo e relativamente puro. Anche qui ci sorprende di
nuovo, naturalmente, la partecipazione misteriosamente dise- guale
dell'individuo al valore ultimo dell’esistenza e l’inevitabi- le unilateralità
di tutto cid che è umano; ma di per sé la religione è, e rimane, essenzialmente
la stessa. Non abbiamo nessun motivo di dubitare della sua essenziale unità
interna. Si tratta della medesima verità, che viene raggiunta da diverse parti
e in un diverso rapporto con gli altri elementi della vita spirituale. Con ciò
siamo di fronte alla seconda questione precedente- mente accennata: se cioè vi
sia un punto di convergenza, un culmine che emerga in modo visibile, tra queste
diverse conce- zioni parziali della verità o, più precisamente, se il
Cristianesi- mo — che vuole esserlo — possa anche realmente valere come tale.
Il motivo che ci induce a formulare in modo così determi- nato la questione non
è la propensione ad assolutizzare la reli- gione in cui siamo nati e siamo
stati educati, e che sola ci è completamente familiare, facendone l’essenza
della verità in ge- nerale. Infatti il suo dominio non è più così ovvio e
ingenua- mente immediato che si debba senz'altro sottostare a questo impulso di
universalizzazione. L'ottimismo del sentimento pan- 828 ERNST TROELTSCH teistico
della natura che sempre si sprigiona dall’arte antica e, dall’altro lato,
l'impressione delle religioni pessimistiche e pie- ne di mistero dell'Oriente
agiscono tra di noi in modo abbastan- za forte da costringerci a una decisione
pienamente consapevo- le. Da questa impostazione viene fuori anche non soltanto
il necessario postulato che la piena verità della religione deve pur rivelarsi
in qualche luogo. In sé e per sé, ciò potrebbe essere forse riservato solamente
a un lontano futuro. Se impo- stiamo così la questione, il motivo è che
soltanto il Cristianesi- mo nel suo sviluppo ha avanzato in modo sempre più
netto e penetrante questa pretesa. Sorretto dall’autorità del tutto inte- riore
e personale — ma che conteneva in sé un residuo di incommensurabilità — del suo
maestro, esso si rivolge esclusiva- mente al nucleo interiore dell'individuo,
ai bisogni più universa- li, più profondi e più semplici di quiete e di pace
del cuore, a un senso positivo, ultimo, definitivo dell’esistenza; si rivolge a
ogni individuo senza eccezione, poiché presuppone presente in ciascuno questo
nucleo essenziale ed è sicuro di poter educare tutti a tali bisogni. Pace
dell’anima con Dio, e quindi supera- mento della sofferenza del mondo e di
tutti i dolori della coscienza, ma anche viva e attiva realizzazione della
volontà divina; il comandamento dell’amore verso i fratelli, che sono fratelli
in virtù del Padre comune: ecco il suo vangelo. Da ciò scaturisce anche la
comunità più salda e comprensiva, in quan- to esso fa derivare l’origine
dell'essere umano dallo spirito divi- no e lo riconduce al fine della comunità
con Dio e con i fratelli, costringendo ogni credente a collaborare a quella
uni- versalità e al fine della perfezione comune. Esso è quindi l’uni- ca
religione che pretenda una universalità assolutamente incon- dizionata, l’unica
che abbia perciò prodotto dal proprio seno una filosofia della storia che
connetta inizio, metà e fine della storia dell'umanità, e che in questa storia
riconosca una realtà in sé internamente connessa, irripetibilmente specifica e
al servi- zio di fini incondizionatamente validi. Ma soprattutto si tratta di
una validità universale non asserita solamente in linea di fatto: essa
scaturisce per il suo sentimento dall’intima necessità dell'essenza di Dio, che
creando il mondo deve poi ricondurre a sé le sue creature traendole dal mondo e
dall’errore, dalla colpa e dallo scoramento. La sua grazia non è arbitrio, e i
suoi ERNST TROELTSCH 829 comandamenti non sono una mera statuizione; l’una e
gli altri emanano dalla sua essenza e si realizzano dall’interno median-te
l’amore per Dio, che per primo ha amato i suoi figli. Qui la tendenza della
religione alla validità universale ha raggiunto la sua vetta: tutto ciò che è
particolare, proprio di un popolo, condizionato dal mondo, è spazzato via; ogni
dipendenza da una situazione meramente data, sempre incoerente, è superata
dall’universalità di un fine ancora da raggiungere, ma già fon- dato nella sua
determinazione e nella sua essenza. Certamente, ciò mostra anche
l’unilateralità del tipo di vita determinato in modo prevalentemente religioso.
Ma, secondo la legge — che domina anche la religione — della differenziazio- ne
dell’essenziale, questo non costituisce nulla di sorprendente, e neppure
costituisce un limite. Non si può concepire come essenza dei gradi supremi un
monismo di valori culturali che non differenzia nulla, ma soltanto una
costituzione dello spiri- to che sviluppi coerentemente le singole tendenze
riequilibran- do le tensioni che ne sono derivate. Proprio in quella unilatera-
lità il Cristianesimo raggiunge la piena interiorità e l’universali- tà
puramente umana. La tensione così determinatasi, e ora più che mai aperta, nei
confronti dei valori culturali intra-monda- ni dà al tutto il carattere della
vita spirituale superiore, si riunifica sempre di nuovo nel lavoro vivente e
consapevole. In tutte le sue trasformazioni e le sue mescolanze, in tutte le
caricature e gli abomini, in tutte le stagnazioni e gli irrigidi- menti, il
Cristianesimo annunciava tuttavia questa tendenza — superiore a ogni cosa —
verso ciò che è individuale-personale, verso ciò che è universalmente umano,
verso ciò che è totale e ricco di tensione. Lo conferma anche lo sguardo alle
altre grandi religioni universali, che soltanto possono essere prese in
considerazione accanto al Cristianesimo. L'Islam, il fratello più giovane
scaturito dal Giudaismo insieme con il Cristianesimo, ha accolto da essi in
modo puramente estrinseco questo univer- salismo, insieme alla forma della
rivelazione scritturale e ai frammenti della sua filosofia della storia. Esso
gli inerisce sol- tanto per l’unità del suo dio e per la semplice
intelligibilità dei suoi pochi e poveri comandamenti morali, ma non discende
dall’intima necessità dell'essenza del suo dio, che anzi è un dio
caratterizzato da un duro e imprevedibile arbitrio. L'Islam rap- 830 ERNST
TROELTSCH presenta una regressione rispetto al Giudaismo e al Cristianesi- mo,
e non ha mai potuto nascondere del tutto il suo carattere di religione guerriera
nazionale araba. Il Buddismo — per vari aspetti parallelo al Cristianesimo — è
fin dall'inizio soltan- to la religione di un ordine monastico, al quale
possono e devono accostarsi tutti coloro che hanno riconosciuto la nullità
della volontà di vivere, e dal quale scaturisce quindi un vivo impulso
missionario. Ma la sua validità universale è conseguen- za semplicemente della
validità universale di questa conoscen- za, non già dell’essenza di una
divinità che chiami tutti a un fine comune — al cui posto si presenta qui
piuttosto un ordine impersonale di redenzione. L’ordine degli illuminati
presuppo- ne pur sempre la grande massa degli sprovveduti e dei laici, che
forniscono sostentamento al monaco. La grande maggioran- za ritorna sempre nel
circolo della migrazione delle anime e costituisce soltanto la massa da cui i
sapienti si separano e della cui carità vivono fin quando scompaiono nel
Nirvana uscendo dal cielo delle anime. Questo processo si ripete senza fine e
senza connessione in periodi cosmici che si susseguono all'infinito; ma sempre
alcuni illuminati si separano dal mondo della parvenza, e sempre la massa
rimane imprigionata in que- sto stesso mondo della parvenza. Come il mondo non
ha nes- sun fine positivo unitario, così non l’hanno la vita e la devozio- ne.
Si aspira all’ordine e si apprezza la pace della redenzione, ma nessuna
necessità interiore costringe tutta l’umanità a unir- si in vista di essa. Per
quanto l'universalità della religione possa farsi valere in esso, così come
nell’Islam, e per quanto venga talvolta reclamata, la pretesa dell'uno e
dell’altro è — per estensione di fatto e nella sua fondazione — meno intensa
che quella del Cristianesimo. Questo è l’unica religione che si riconosce e si
afferma incondizionatamente, in virtù della pro- pria forza religiosa, come
verità universalmente valida, e che perciò consegue di fatto ciò che è insito
nella tendenza della religione in generale. Esso è l’unica religione che, in
base al proprio impulso vitale, ottiene sempre la vittoria sull’inclinazio- ne
all’irrigidimento dogmatico e rituale; l’unica che non si irrigidisce nella
legge, né si fissa, nel concepire l’idea di reden- zione, semplicemente nella
negazione. Che essa sia veramente conclusiva, e immutabile nella sua ERNST
TROELTSCH 831 essenza per tutto il futuro, non si può certo dimostrare median-
te una semplice costruzione storico-filosofica. Per quanto con- vinti possiamo
essere che nella storia delle religioni ha luogo un progresso continuativo, il
quale poggia sul movimento inter- no dello spirito divino in quello umano, non
possiamo tuttavia proporre un concetto generale della religione come forza di
questo sviluppo, e presentare il Cristianesimo come il suo neces- sario
compimento. Quel concetto potrebbe essere proposto sulla base di un’esperienza
difettosa ed essere trasformato in modo sostanziale da sviluppi futuri. Né
possiamo indicare nel Cristia- nesimo la convergenza effettivamente realizzata
delle diverse serie di sviluppo, per quanto possiamo trovarvi la trascendenza
astratta del Giudaismo attenuata mediante l’assunzione degli inevitabili
elementi panteistici del paganesimo, e l’antitesi supe- rata mediante un'unità
superiore. Infatti soltanto ai nostri giorni si profila l’incontro tra gli
abitanti del nostro pianeta, e quindi una convergenza delle diverse linee di
sviluppo. La discussione e la convergenza del Cristianesimo con le religioni
orientali appartiene ancora al futuro, e accentuerà forse in modo sorpren-
dente nel Cristianesimo aspetti rimasti finora non sviluppati. Tutte le
costruzioni del genere poggiano su un’intuizione della storia che risulta
inevitabile — nella sua idea fondamentale — per ogni considerazione religiosa e
idealistica, ma non sono sufficienti a fornire una prova. Questa sarebbe forse
possibile soltanto alla fine dei giorni. L'unico elemento che può essere fatto
immediatamente vale- re a conferma della pretesa del Cristianesimo è la
circostanza che a questa sua singolare pretesa corrisponde anche un'effetti- va
singolarità del suo contenuto e della sua essenza, che si presenta chiaramente
a una ricerca storico-religiosa. D'altra par- te le religioni costituiscono
un'unità che progredisce nel suo complesso, e si può riconoscere una tendenza
generale diretta a una spiritualizzazione, interiorizzazione, eticizzazione e
indivi- dualizzazione crescente, e quindi — poiché questa è la necessa- ria
conseguenza — al formarsi di una fede sempre più profon- da nella redenzione: a
ciò si è già accennato sopra. In tutte le grandi religioni ha luogo uno
sviluppo caratterizzato in questo modo. Attraverso la liberazione dai fenomeni
naturali esso spiri- tualizza le divinità, fino al tramonto di tutte le
divinità partico- 832 ERNST TROELTSCH lari in un’essenza divina universale, in
cui esse diventano forme del suo agire; attraverso l’eticizzazione delle
singole divinità e la compenetrazione religiosa della morale esso traduce in
forma etica la divinità, facendone il nucleo e il custode delle leggi etiche, e
subordina la fede negli spiriti alla fede negli dèi in un’escatologia più o
meno influenzata da motivi etici, mentre le divinità che non si inseriscono in
questo processo diventano dèi locali, demoni e spiriti cattivi. Facendo sì che
gli dèi si rivolgano alla coscienza e alla volontà, anziché semplicemente
all’obbedienza culturale e alla scrupolosità cerimoniale, esso po- ne la
divinità in relazione con l’individuo in quanto tale, non più soltanto con la
famiglia, la stirpe, lo stato e la conclusione di un'alleanza. Con
l’individualizzazione comincia infine a emergere il carattere universalistico
della religione. Ma pro- prio con questo esso innalza Dio sopra il mondo e
sopra la natura, facendone la fonte originaria più profonda, che si fa valere
al di là di ogni finitudine e di ogni confusione, e con la divinità solleva al
tempo stesso l’uomo dalla frammentarietà, dalla dispersione e dall’inquietudine
del finito, così come dalla colpa e dal destino della vita terrena. Secondo la
quantità di forza che fin dall’inizio ha posto nella concezione fondamenta- le,
questo processo va più o meno avanti: qui si arresta prima, là più tardi. Ma
anche dove le religioni pervengono a una completa altezza e maturità, dove
sboccano nella mistica e nella fede nella redenzione, il limite inerente al
fatto di essere sorte dall’adorazione della natura non viene per lo più supera-
to. Esse conservano le tracce della loro origine particolaristi- ca e
naturalistica, capovolgendosi in speculazioni sacerdotali fantastiche, in una
filosofia monistica, in una mistica acosmisti- ca o — com'è il caso del
Buddismo — in una metodica scettica della redenzione. L’eticizzazione già
conseguita sprofonda di nuovo nell’abisso del panteismo, e la religione
popolare decade in culti orgiastici o in una rigogliosa superstizione sincreti-
stica, che la riporta all'antico politeismo. Soltanto «ra reli- gione ha rotto
completamente l’incanto della religione naturale e si presenta, in quanto tale,
in forma singolare: la religione di Israele e il Cristianesimo. Davanti
all'imminente decadenza del suo popolo, la religione di Israele si è
sostanzialmente svin- colata dai suoi fondamenti particolaristici e
naturalistici, colle- ERNST TROELTSCH 833 gando la fede in Jahvè con la purezza
del cuore e con la certezza di una chiarificazione risolutiva del corso della
vita terrena alla fine dei giorni. Da questo nucleo è venuto fuori, nella
persona di Gesù, il Cristianesimo, che, pur sentendo Dio più prossimo ai
singoli cuori e immediatamente operante nel mondo, è però impedito da questo
fondamento di ricadere nel panteismo e nella mistica di una compiuta religione
della natu- ra e che, pur donando al cuore la beatitudine e la quiete in Dio,
si aspetta tuttavia nella certezza della transitorietà dell’esi- stenza
sensibile un mondo superiore ed esclude quindi un im- mergersi puramente
immanente in Dio. In quanto esso libera non soltanto dalla sofferenza della
finitudine e dalla pressione della natura, ma soprattutto dall’ostinazione e
dalla pusillanimità del cuore umano, dalla debolezza e dalla coscienza della
colpa, in quanto con questa liberazione del cuore e con la certezza di una
comunità con Dio che supera il tempo conferisce forza per agire e amare sulla
terra, il Cristianesimo rappresenta una reli- gione della redenzione di ordine
superiore che sovrasta in egual misura sia il pessimismo buddistico sia la
mistica neoplatonica — i due prodotti estremi della devozione extra-cristiana.
In virtù di questa rottura di principio con ogni specie di religione della
natura, esso porta a compimento — unico tra tutte le religioni — la tendenza
alla redenzione, nello stesso modo in cui ha recato a compimento, in
connessione con questa, la tendenza a una validità universale puramente
interiore. In virtù di questa specificità di fatto, di questo accordo intimo
tra esigenza ed essenza, noi riconosciamo nel profetismo e nel Cristianesimo il
culmine, o meglio un nuovo punto di partenza nella storia della religione — il
sorgere del sole dopo l'aurora, non conclusione e fine che porta alla quiete,
ma inizio di un nuovo giorno con nuovo lavoro e nuove lotte. Vi sono ancora
molti lati oscuri da chiarire, occorre ancora conoscere con maggiore purezza la
sua luce propria. Un lavoro stermina- to sta ancora di fronte ad esso, e dalla
sua forza interna risulte- rà, nel contatto con la mutevole situazione del mondo
e con le altre religioni, un'ulteriore crescita della religione, certamente non
costruibile 4 priori. Il fatto stesso che ne sia capace, che possieda questa
capacità di costante ringiovanimento e adatta- mento, costituisce appunto
un'ulteriore conseguenza della sua 53. STORICISMO TEDESCO. 834 ERNST TROELTSCH
particolarità. In quanto religione dello spirito che — a differen- za da ogni
religione della natura, sia essa approfondita in sen- so panteistico o
configurata eticamente — si riferisce al nucleo interno, spirituale ed etico,
sempre vivente e attivo, dell’essen- za degli uomini, il Cristianesimo possiede
la forza dell’autocriti- ca e della purificazione, dell’approfondimento e del
rinnova- mento; esso può sempre richiamarsi attraverso le scorze mitolo- giche
alla sua essenza intima e purificarsi sempre di nuovo dalle inevitabili
contaminazioni con ambiti di pensiero ad esso estranei, Il Cristianesimo non è
vincolato a determinate conce- zioni della natura e a formazioni sociali
transitorie e particola- ri; esso contiene un impulso di aspirazione, di
attività e di perfezionamento che manca a qualsiasi mistica che si immerga
soltanto nell’unità data dell’universo; contiene fini positivi che il quietismo
buddistico volto solo al pessimismo non conosce; abbraccia infine la fede
universalistica con una profondità ric- ca di impulso, di cui l'Islam ha potuto
acquisire soltanto l’aspet- to superficiale. Poniamo per esempio il caso — in
sé possibile — che l’astronomo Schiaparelli® ha ipotizzato per il nostro pianeta,
traendo lo spunto dai cosiddetti canali di Marte, che cioè con il
raffreddamento della terra e il restringersi dei mezzi di sussistenza che essa
offre possa diventare necessaria un’analo- ga enorme unificazione del lavoro
umano; e che soltanto tali lavori di protezione, intrapresi con un'estrema
fatica collettiva, rendano possibile ancora l’esistenza: in tal caso dovremmo
pen- sare immediatamente a infinite trasformazioni nel diritto, nel- la morale,
nella società e nello stato; e sicuramente anche nella religione. Non è
verosimile che un'impresa del genere possa svolgersi sotto la protezione della
benedizione papale o sotto l'impulso di disposizioni di istanze ecclesiastiche
superiori, o che possa essere disturbata da una disputa sul Simbolo apostoli-
co. Nulla ci impedisce però di pensare che la forza dello spiri- to comune,
necessaria per quest'opera, scaturisca da una viva 3. Giovanni Virginio
Schiaparelli (1835-1910), astronomo italiano, autore de Le stelle cadenti
(1873), delle Norme per le osservazioni delle stelle cadenti e dei bolidi
(1896) e di varie altre opere, studiò in particolare i pianeti intorno alla
Terra e osservò per primo i canali di Marte. I suoi ultimi studi furono
dedicati a L'astronomia nell'An- tico Testamento (1903). ERNST TROELTSCIH 835
dzione teistica, quali che siano le forme che potrebbe assu- mere in un’epoca
siffatta, Come si è detto, è il significato effettivo del Cristianesimo tra le
religioni, l’elaborazione di una religione della redenzione di tipo
personalistico in antitesi a ogni religione della natura, non già una
costruzione storico-fi- losofica conclusa, che autorizza questa fiducia. A tale
fiducia non si può quindi obiettare il fatto che essa indulga al caso, il quale
ci fa appunto apparire il sole della verità sopra il piccolo frammento di
storia a noi noto, come sopra un'isola nel mare sconfinato. Non si tratta
perciò tanto di una determinata forma storica del Cristianesimo, quanto
piuttosto dell'idea della reli- gione personalistica della redenzione, la cui
forma odierna — essendosi formata nel tempo — sicuramente non è nulla di
eterno. Ma nel profetismo e nel Cristianesimo quest'idea è di- ventata una
forza storica e si svilupperà ulteriormente, muoven- do da questa forma
fondamentale, verso risultati che oggi non conosciamo ancora, né abbiamo
bisogno di conoscere. Basti il fatto che, così come sono, essi significano il
trapasso alla religio ne della redenzione di tipo personalistico, e che
possiamo senti- re l’eterno in questo elemento temporale. Possiamo ben ammet-
tere che l’origine delle grandi religioni in generale avvenga nella giovinezza
dell’umanità, quando la vita è più semplice e più facile è l’incondizionato
immergersi nella religione, quan- do le connessioni dell’esistenza sulla terra
sono ancora meno intricate e la pura formazione di forze religiose è meno
distur- bata. L’origine delle religioni della natura si perde in oscure epoche
primitive che si sottraggono all'indagine. La religione di Israele con la sua
duplice progenie — Cristianesimo e Islam — è una religione giovane e ha
impostato il tema del futuro, in base a cui il Cristianesimo ha elaborato, come
fondamento di ogni ulteriore sviluppo, la decisiva e universale verità
religiosa. A ciò si aggiunge un’altra considerazione. Le variazioni della vita
e del pensiero umano sono imprevedibili nel particolare, assai limitate in una
prospettiva ampia. Così anche la fantasia rivolta al futuro potrà
rappresentarsi non già un gioco infinita- mente oscillante di contenuti di vita
spirituale fondamentalmen- te diversi, bensì un’elaborazione sempre più ardua e
intricata, sempre più estesa e complicata di idee fondamentali acquisite. Tra
queste idee fondamentali la più salda e la più forte sarà 836 ERNST TROELTSCH
quella della devozione cristiana, poiché essa sola collega l’uma- nità con il
fondamento permanente ed eterno della vita spiritua- le in maniera puramente
interiore, e in questa connessione supera, con un'attività redentrice, al tempo
stesso la necessità e la sofferenza dell’esistenza terrena. In questo modo
l’intreccio della storia della religione si rischiara, e viene in luce una
tendenza di sviluppo in cui possiamo riconoscere la direzione del futuro.
Disperso e isolato, in lotta con la natura per la vita, commosso da impressioni
e da avvenimenti nella natura, nella vita collettiva e nella vita individuale,
il mondo primitivo dell’uomo produce innumerevo- li religioni, esteriormente
assai diverse, ma intimamente impa- rentate, la maggior parte delle quali si
sono indurite con la vita delle orde, delle stirpi e dei popoli a cui
appartengono, arrestandosi al loro livello. Qui la natura e l’uomo vengono
presi così come si presentano immediatamente, e da questa situazione
scaturiscono impressioni religiose fornite di una capa- cità di sviluppo molto
ristretta. Soltanto pochi grandi popoli realizzano, con la loro più ampia
coesione nazionale e linguisti- ca, una prosecuzione e un approfondimento
rispetto a questo grado di religione, in quanto i tratti fondamentali
suscettibili di sviluppo vengono estesi e approfonditi, la rozza mitologia e il
culto superstizioso vengono eliminati o depotenziati e tutti gli impulsi
religiosi che procedono dalle nuove impressioni di vita e di cultura vengono
fusi nella tradizione precedente. Essi sfociano nella religione della moralità,
nel panteismo, infine nel pessimismo e nella mistica, ma si arrestano ancor
sempre al mondo e all'uomo lasciandolo così come l’hanno trovato, senza
indicargli fini positivi che superino la natura. Soltanto la nostal- gia e il
presentimento accennano in essi a tali fini. Soltanto za religione ha
definitivamente sciolto il legame che la univa imme- diatamente con la natura
e, riconoscendo un dio creatore che, in quanto spirito, si distingue dalla
natura, ha indicato al tempo stesso all’uomo il fine di un’elevazione positiva
sulla natura materiale e la natura spirituale in esso innata. Questa è stata la
religione di Israele, che rappresenta uno dei fatti più importanti all'interno
della storia universale a noi nota. In quanto conclusione dello sviluppo
interno di Israele e congiun- zione con il monoteismo filosofico ellenico, il
Cristianesimo si ERNST TROELTSCH 837 è posto saldamente sul campo di rovine
delle religioni naziona- li distrutte dagli imperi universali, mentre in
Israele il profeti- smo si rattrappiva nel Giudaismo e accanto ad essi l'Islam
racco- glieva i suoi credenti, intorno a poveri frammenti di queste reli-
gioni, sul campo di rovine dell'Asia e dell’Africa. Con il sorgere di questi
grandi princìpi religiosi, la produzione religiosa è diventata sempre più
ristretta, e si muove soltanto più nella creazione di formazioni intermedie di
tipo sincretistico o di varianti. Il futuro appartiene alla lotta delle grandi
formazioni religiose. Tra di queste il Cristianesimo, in quanto punto di partenza
di un grado sostanzialmente nuovo, costituisce però la forza che — ricca di
tensioni con la cultura più elevata e tuttavia inscindibilmente legata ad essa
— sta al centro della grande lotta mondiale, non già come sistema finito e
rigido, bensì come una potenza vivente che forma il punto di riferi- mento di
ogni ulteriore conoscenza e di ogni ulteriore impulso religioso, sviluppandosi
ancora nel futuro secondo la legge im- prevedibile della vita religiosa. Una
gran parte di questo proces- so di sviluppo, che ha già prodotto mutamenti di
grande rilie- vo, si trova alle nostre spalle; mentre un momento importante di
esso, cioè la progressiva differenziazione, la dissoluzione dal legame
immediato con lo stato e la politica, con il diritto e la morale mondana, con
la scienza e la spiegazione del mondo, la concentrazione nel suo contenuto
puramente religioso e la rin- novata influenza di questo contenuto sulla
situazione complessi- va, si compie davanti ai nostri occhi. Il Cristianesimo
si racco- glie in se stesso e si tramuta in una nuova operosità. Perciò non
deve indurci in errore la miseria ecclesiastica della sua realtà momentanea e
la ripugnanza morale per le lotte interne al clero. Si tratta della tendenza al
futuro che sempre ritorna di nuovo alla luce, non già della sua attuale
confusione confessio- nale. È evidente che, come l’intera intuizione della
storia fino ad oggi dominante rimanda alla nostra letteratura e filosofia
classi- ca, così questa intuizione della storia delle religioni in particola-
re ha stretti punti di contatto con le idee di Lessing, Goethe, Herder, Kant,
Hegel, Schleiermacher e di altri pensatori affini. Essa cerca solamente di
liberare la concezione della religione dalla prossimità eccessiva in cui questi
l'avevano collocata con 838 ERNST TROELTSCH altre potenze spirituali. Lessing
ha concepito il suo evangelium aeternum secondo un “analogia troppo stretta con
la libera scien- za dell’Illuminismo, che si reggeva da sé pervenendo a dimo-
strazioni in base alla propria connessione interna. Herder ha accostato troppo
la religione al concetto etico di umanità e, iché vedeva questa umanità
ovunque, ha troppo sfumato i confini delle religioni, mentre Schleiermacher
l’ha dissolta trop- po in uno spinozismo romantico che nelle religioni vedeva
soltanto i modi individualmente diversi in cui si è consapevoli dell’immanenza
in Dio. Analogamente, Hegel ha conformato in modo eccessivo la religione al
monismo metafisico e ha soprattutto derivato in maniera dottrinaria e rigida il
suo svi- luppo dalla necessità logica del movimento delle idee, pregiudi- cando
così l'originaria realtà di fatto dei suoi diversi sviluppi e la sua misteriosa
potenza. Anche Goethe — questo spirito uni- versale — ha troppo commisurato la
particolarità del Cristiane- simo tra le altre religioni, da lui chiaramente
riconosciuta, alla propria concezione poetica e organica della matura, e ne ha
invece respinto sullo sfondo gli elementi pessimistici, nella sua avversione
artistica per le rotture e le catastrofi, le tensioni e le lotte. E tuttavia la
saggezza della sua vecchiaia ha una serie di visioni profonde, alle quali la
fede e la miscredenza attuale si richiamano volentieri come a indicazioni di
uno sviluppo più soddisfacenti. Ne è testimonianza, invece di molti altri, questo
brano spesso citato dei Warderjahre: « Ma quanto ci è voluto non solamente per
lasciare la terra sotto di sé e per richiamarsi a un luogo di nascita più alto,
ma anche per riconoscere come cose divine pure l’abiezione e la povertà, la
beffa e il disprez- zo, l’ignominia e la miseria, il dolore e la morte; per
considera- re il peccato e il delitto non già come ostacoli, ma per venerar- li
e amarli come incrementi del sacro! In tutte le epoche si trovano tracce di
quest’atteggiamento; ma una traccia non è il fine, e una volta raggiunto
quest’ultimo l’umanità non può più tornare indietro e si può dire che — una
volta fatta la sua comparsa — la religione cristiana non può più scomparire:
una volta preso corpo divino, non può più venir dissolta »*. I suoi « misteri »
dovevano appunto diventare un epos simboleggiante 4. Goetne, Wilhelm Meisters
Lehr- und Wanderjahre, libro I, cap. 1 ERNST TROELTSCH 839 la storia della
religione, che doveva essenzialmente contenere le idee fondamentali qui
prospettate e che, in un frammento com- piuto, rappresenta — con il simbolo
della Croce circondata di rose — il Cristianesimo come scopo finale, analogamente
alle considerazioni dei Wanderjahre. Certamente, la scienza « moderna » si è
nel frattempo allon- tanata in larga misura — almeno nella sua parte più
cospicua — da questi fondamenti profondi della nostra cultura. Determi- nanti
ai fini di questo allontanamento sono state non tanto le conseguenze
scientifiche, quanto invece gli effetti di condizioni esterne che procedono
dalle enormi trasformazioni pratiche del nostro secolo. Le operazioni della
nuova tecnica, che tutto mo- dificano, le scottanti questioni sociali che ne
derivano, il risve- gliarsi dell’egoismo nazionale, non da ultima la
popolazione che si è accresciuta in queste condizioni pervenendo a un sosten-
tamento migliore, hanno distolto l’interesse verso questioni cul- turali
pratiche e posto al centro il problema della felicità intra- mondana. Il dogma
del progresso della cultura, l’ottimismo culturale, domina l’opinione odierna,
e tutte le conquiste scien- tifiche vengono viste alla luce di esso. Si fa in
fretta a trarre dal periodo di pensiero storicizzante, aperto dalla nostra
grande epoca, la conseguenza del relativismo, ma soltanto per togliere valore
alle potenze ideali finora operanti, e in particolare al Cristianesimo, mentre
si crede tranquillamente nel progresso e in una felicità assoluta del futuro.
Si applica con sollecitudine la scienza naturale allo scopo di sottoporre ogni
esistenza e ogni vita alle « leggi naturali », ma soltanto per ridurre a favo-
le tutti i valori spirituali che vanno oltre la felicità intra-monda- na, mentre
si attribuisce alla volontà umana — nei confronti della medesima legalità
naturale — un potere enorme, in grado di sottometterla artificialmente alla
felicità culturale. Ci si in- nalza molto al di sopra dei sogni fantastici di
una metafisica alla ricerca della connessione tra mondo sensibile e mondo so-
prasensibile, e si assume senza alcuna precauzione la propria situazione come
il logico fine ultimo della storia, contrapponen- do al periodo della
spiegazione religiosa, e quindi metafisica, del mondo il periodo « positivo »,
al servizio di scopi pratici puramente intra-mondani. Contro questi stati
d'animo collettivi non si può fare nulla in modo diretto, tanto meno indicando
840 ERNST TROELTSCH le loro contraddizioni. Essi devono dispiegare le loro conseguen-
ze pratiche ancor più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora. La
devastazione e l’inaridimento della vita spiritua- le, la progressiva decadenza
della forza etica e della serietà religiosa, l’ottusità che si consuma nel
godimento di sempre nuovi desideri devono mostrarci dove ci stiamo dirigendo in
questo modo, nonostante tutti i progressi esteriori, e che una completa
felicità intra-mondana è la più illusoria delle chimere. Allora ci si
richiamerà di muovo al nostro migliore possesso spirituale, e in base ad esso
sapremo valutare i progressi scienti- fici. Allora i gravi pericoli impliciti
nella storicizzazione di ogni scienza, e anche della scienza della religione,
potranno essere superati più facilmente di adesso. Non è questa la sede adatta
per indagare in quale misura le intuizioni qui sviluppate possano e siano in
grado di influire sulla teologia ufficiale delle chiese e delle facoltà
universitarie. Finora esse agiscono in misura abbastanza forte nella configura-
zione delle ricerche di critica biblica o di storia del dogma, le cui
conseguenze di rado vengono tratte fino in fondo. D'altra parte esse hanno
appena modificato, più che trasformato real- mente, le loro strutture
sistematiche. Ma la teologia, per sua stessa natura, è qui di fatto costretta a
una maggiore prudenza, e deve imporsi un certo ritegno. Essa non è pura
scienza, e in ogni caso non è scienza libera; ma è piuttosto vincolata alle
determinazioni giuridiche, alla tradizione effettiva, ai rapporti e agli scopi
presenti, e costituisce pertanto più un compromesso con la scienza che una
scienza vera e propria. I suoi compiti sono in primo luogo compiti pratici,
posti dallo stato effettivo dell’istituto ecclesiastico; ed essa può rendere
operanti sulla sua materia le conoscenze scientifiche in modo soltanto indiret-
to, eliminando le antitesi troppo aspre, e per il resto mediando ed
equilibrando. Certamente i teologi possono, in quanto uomi- ni di cultura,
promuovere in modo significativo le grandi que- stioni; ma in quanto devono
servire scopi ecclesiastici, sono vincolati da compiti e da rapporti pratici.
In realtà, pur tenen- do conto dell'importanza della collaborazione dei
teologi, le grandi questioni scientifiche sono sempre state decise al di fuori
della teologia. Queste decisioni reagiranno poi sulla teolo- gia, dando luogo a
una specie di equilibrio delle temperature. ERNST TROELTSCH B4r Il singolo
teologo potrà, in queste condizioni di antitesi, distin- guere tra teologia
essoterica e teologia esoterica nella misura in cui è consapevole di volere in
entrambe, in verità, il medesimo scopo; ma non potrà spezzare il circulus
vitiosus per cui ogni chiusura della teologia rafforza l’avversione della
scienza e ogni ostilità della scienza rafforza la chiusura della teologia, almeno
fin quando la straordinaria importanza della questione ecclesia- stica rimane
celata alla vita complessiva di un’indifferenza illu- minata. All’interesse
generale importano cose ben diverse che non le indagini specificamente
teologiche. Ciò richiede che il relativi- smo storico, che in tutti i campi
della vita intellettuale cerca di soffocarci nell’erudizione e di paralizzare
ogni forza creati- va, venga riconosciuto come il nemico più pericoloso anche
nel campo della religione, e venga quindi superato. Da tutte le parti aumentano
i segni che si comincia a esserne stanchi. Si cerca di superarlo mediante
l’entusiasmo patriottico, mediante l'ideale della giustizia sociale, mediante
le fantasie del futuro, mediante un altruismo areligioso; si ha sete di ideali
semplici, assoluti e universalmente validi. Ma tutto ciò non sarà sufficien-
te. Su tale strada si riconoscerà che la patria autentica di tutti questi
ideali è la religione, e che quindi occorre riacquistare la fede sicura e
gioiosa in un fine assoluto soprattutto in seno ad essa. Certamente questo non
può avvenire ignorando di colpo la storia e rinnegando i suoi metodi. Può
invece avvenire se riprendiamo le grandi idee fondamentali della nostra
letteratu- ra, filosofia e storiografia classiche e se scorgiamo nella storia
il dispiegarsi di un contenuto spirituale unitario e semplice nel suo nucleo;
se nelle religioni più grandi e più potenti non cerchiamo semplicemente il
fenomeno storico interessante, ma la connessione con quel nucleo eterno della
vita spirituale. Allora si riconoscerà di nuovo che anche la storia delle
religio- ni non ha soltanto elementi, ma anche un legame spirituale, e che
questo non è così difficile da trovare come ritengono le persone prudenti le
quali suppongono che la verità storica sia accessibile soltanto allo studio
specialistico. Non si avrà più terrore della possibilità che il capo di questo
filo stia in mano nostra e richieda da noi soltanto di venire tirato in modo
schietto e semplice. Se la storia è, di fatto, soltanto la lotta 842 ERNST
TROELTSCH infinitamente complicata per il dispiegarsi di un contenuto spi-
rituale semplice, ci sarebbe poi tanto da stupirci se fossimo pervenuti nel
Cristianesimo al nucleo di tale contenuto, e doves- simo dar forma alla nostra
realtà in base ad esso e nell’ambito della sua forza? Ci resterebbe ancora
abbastanza lavoro da com- piere per riempire una dozzina di millenni.
RELIGIONE, ECONOMIA E SOCIETÀ * «Religione ed economia» è un tema che tempo
addietro sarebbe suonato assai strano. « Filosofia ed economia », « musi- ca ed
economia», « matematica ed economia» non avrebbero suscitato stupore. Fin
quando s’intendeva la religione in modo puramente ideologico come dogma o come
dottrina o come metafisica, o come una morale vincolata a determinate rappre-
sentazioni del cosmo, il tema non poteva che essere privo di senso. I dotti
dell’Illuminismo si sarebbero riferiti con un sorri- so pieno di ironica
intelligenza all'economia finanziaria dei papi, agli interessi materiali degli
ecclesiastici e dei principi devoti, e in questo tema avrebbero scorto soltanto
la questione dell'impulso assai comune che sta sotto cose in apparenza tanto
sublimi: così Hume ha considerato la Riforma come conseguen- za di una polemica
sul denaro per le indulgenze. Intorno alla metà del secolo scorso, quando per
la prima volta le conseguen- ze del sistema capitalistico urtarono apertamente
con le esigen- ze tecniche del Cristianesimo, si aveva certamente una compren-
sione più profonda del problema. Ma qui esso si presentò come una questione
puramente etico-pratica, cioè come il problema del modo in cui si potevano
superare, dal punto di vista del senti- mento cristiano dell'amore e
dell’educazione cristiana del carat- tere, le conseguenze devastatrici del
liberalismo economico man- chesteriano. Kingsley'!, Maurice ?, Carlyle alzarono
la bandiera di una riforma cristiana della società; e ad essi fece seguito, in
* Religion, Wirtschaft und Gesellschaft (conferenza tenuta alla Gehe-Stiftung
di Dresda, 1913), in Gesammelte Schriften, Tibingen, Verlag von J.C.B. Mohr,
vol. IV, 1925, pp. 21-33 (traduzione di Sandro Barbera e Pictro Rossi). 1.
Charles Kingsley (1819-1875), sacerdote anglicano, pocta e scrittore inglese,
au- 844 ERNST TROELTSCH Germania, il socialismo cristiano di Stòcker® e di
Friedrich Naumann ‘. Ma neppure questo è il senso del tema, quale oggi lo
poniamo. Con questo tema si allude a una questione pura- mente teorica di
storia della religione e di storia della cultura: l'impostazione scaturisce
dalla teoria economica della storia della cultura — per lo più designata
erroneamente come materia- lismo storico — che dalle grandi opere di Karl Marx
si è diffusa a tutte le concezioni storiche dell’epoca. Essa era stata già pro-
posta da qualche storico, come per esempio Karl Nitzsch', e aveva trovato
rispondenza in particolare nella storia politica e nella storia del diritto.
Essa non ha quindi nessuna connessione necessaria con il vero e proprio sistema
del socialismo. Si tratta, in verità, di una questione che in parte è scaturita
dall’affina- mento e dall’ampliamento avvenuto nella ricerca delle relazio- ni
causali nella storia, e in parte ci è imposta dalle influenze della struttura
economica sulla vita complessiva — ovunque percepibili nella nostra esperienza
odierna. Nella storia poli- tica essa è diventata oggi ovvia. Ma il suo
significato è molto più profondo. La connessione con i fondamenti economici ri-
sulta particolarmente chiara soltanto nella storia politica e nella storia del
diritto. Ma essa sussiste di fatto anche nel campo della cultura spirituale
fino ad arrivare al suo centro, cioè alle intui- zioni religiose e metafisiche
del mondo. Essa è in massima parte tore di numerosi romanzi, sermoni religiosi
e saggi politici, fu uno dei principa- li rappresentanti del socialismo
cristiano in Gran Bretagna. 2. John Frederick Denison Maurice (1805-1872),
sacerdote anglicano e teologo in- glese, autore della History of Moral and
Metaphysical Philosophy (1850-60), dei TAco- logical Essays (1853), delle
Lectures on Ecclesiastica! History (1854), di What is Re- velation (1859), di
The Conscience (1868), di Social Morality (1869) e di varie altre opere, svolse
un'intensa azione educativa rivolta verso le masse operaie e ispirò il
movimento del socialismo cristiano. 3. Adolf Stòcker (1835-1909), teologo
protestante e uomo politico tedesco, autore di vari saggi e discorsi, fondò la
Berliner Bewegung, di ispirazione cristiano-sociale, opponendosi alla politica
bismarckiana e criticando pure la social-dernocrazia. 4. Friedrich Naumann
(1860-1919), teologo protestante e uomo politico tedesco, autore di Demokratie
und Kaîisertum (1900), dci Briefe tiber Religion (1903), di Mit- teleuropa
(1915), nonché di numerosi altri scritti in parte raccolti sotto il titolo Got-
teshilfe (1896-1903), fu esponente di un socialismo cristiano che aderiva ai
principi di espansione imperialistica della politica guglielmina; in seguito il
suo pensiero si spostò verso posizioni liberali. Fu amico di Weber e di
Trocltsch. 5. Karl Wilhelm Nitzsch (1818-1880), storico tedesco, allievo c
continuatore di Nicbuhr, autore della Geschichte der ròmischen Republik
(pubblicata postuma nel 1884-85) e di altre opere. ERNST TROELTSCH 845 una
connessione inconscia e non intenzionale, ma le connessioni di questo genere sono
appunto le più forti e durature nella vita dello spirito. Proprio in questo
Karl Marx non ha imparato invano dalla fine arte di Hegel, che con
straordinaria acutezza sapeva portare alla luce gli intrecci e le mescolanze
del com- plesso dei contenuti dell'anima, e ricostruire le forze fondamen- tali
di quelle mescolanze. Non c’è dubbio che proprio una attenzione maggiore a
queste connessioni sia in grado di get- tare moltissima luce sulla comprensione
della religione come potenza pratica della vita. Forse non si esagera se si
afferma che soltanto in questo modo diventa possibile una compren- sione reale
della religione e del suo significato per la vita. Con ciò perviene alla
coscienza un aspetto di essa che naturalmente agiva anche prima di questa chiarificazione
teoretica, ma che si sottraeva alla coscienza scientifica, e se ne sottrae in
gran parte anche oggi. Finora la concezione della religione era, soprattutto
tra i Protestanti, puramente ideologica e dogma- tica. I Cattolici avevano una
comprensione più profonda alme- no per il suo aspetto culturale e
organizzativo. Il culto e l’ele- mento irrazionale in essa presenti sono stati
sottolineati in misu- ra sempre più forte dalla ricerca etnografica, e in tal
modo è stata sempre più delimitata l’intuizione puramente ideologico-dogma-
tica dell'oggetto. Ma la stretta connessione con la vita sociale e — poiché
questa è in gran parte condizionata da motivi eco- nomici — anche con la vita
economica è stata considerata troppo poco. Fa eccezione qui soltanto la
brillante opera di Fustel de Coulanges’ La cité antique, apparsa nel 1864, che però
non ha avuto il seguito che avrebbe meritato. Soltanto la storia socialistica
della cultura e le influenze da essa derivanti hanno recato il problema a un
più ampio — anche se non si può ancora dire più generale — riconoscimento. 6.
Numa-Denis Fustel de Coulanges (1830-1889), storico francese, autore de La cité
antique (1864), della Histoire des institutions politiques de l'ancienne France
(1875), poi rielaborata in una successiva edizione in tre volumi (La Gaule
romane del ’gr, L'invasion germanique et la fin de l'empire del *g1, La
monarchie frangaise dell'88), de L’Alleu et le domain rural pendant l'époque
mérovingienne (1889), de Les ori- gines du systeme féodal: le bénéfice et le
patronat (1890), de Les transformations de la royauté pendant l'épogue
carolingienne (1892), nonché di alcune raccolte di saggi, studiò in particolare
le basi religiose della struttura politico-sociale romana, aprendo la strada a
una considerazione antropologica della città antica. 846 ERNST TROELTSCH Di ciò
è certamente colpevole in larga misura il modo in cui tale compito è stato
affrontato nella letteratura socialistica, per esempio nelle opere di Kautsky”
sulle origini del Cristianesi- mo. Qui domina, nonostante alcune buone
intuizioni particola- ri, la più pedantesca dogmatica della ben nota
costruzione della storia: i puri rapporti economici sono la causa della strati-
ficazione di classe; ogni classe si rispecchia in una metafisica e in una
religione che proteggono la sua esistenza e i suoi interes- si; il
Cristianesimo è il rispecchiamento utopico-trascendente della plebaglia
disorganizzata e inerme della tarda antichità; questa organizzazione puramente
religiosa, e quindi impotente, del proletariato, in disaccordo con lo sviluppo
sociale dell’epo- ca, fu poi sottomessa dalle classi dominanti e assoggettata,
attraverso certe trasformazioni della sua dogmatica e della sua etica, agli
interessi della proprietà e del potere; soltanto a tratti si è manifestato — e
si manifesta ancor oggi — l’origina- rio carattere proletario del movimento
cristiano. Questa è certa- mente una ricostruzione del tutto fantastica
dell’origine del Cristianesimo. Ma anche nell’esposizione molto più raffinata
ed esperta che degli stessi processi ha fornito Maurenbrecher*, la derivazione
della religione cristiana dalla psicologia di massa proletaria viene trattata
come un ovvio principio di ricerca della causalità storica, e di conseguenza al
Vangelo viene attri- buito un significato proletario del tutto astorico. Anche
qui appare, come presupposto dogmatico, la teoria di una dipenden- za
unilaterale dell'elemento religioso dalle situazioni di classe 7. Karl Kautsky
(1854-1938), teorico socialista tedesco, fondatore della rivista « Die neue
Zeit » nel 1883, fu uno dei maggiori esponenti della Seconda Internazionale e
critico aperto del « revisionismo » social-democratico, contro il quale difese
la tesi della necessità della rivoluzione. Dopo il 1917 prese posizione contro
la rivoluzione sovietica e contro Lenin. È autore di numerose opere, come Das
Erfurter Programm in seinem grundsdtzlicheri Teil erldutert (1892), Bernstein
und das sozialdemokratische Programm (1899), Der Weg zur Macht (1909),
Vorlàufer des Sozialismus (1909-21), Der politische Massenstreil (1914), Die
Internationale und der Krieg (1915), Die Diktatur des Proleta- riats (1918),
Ethik und materialistische Geschichtsauffassung (1922), Materialistische
Geschichtsauffassung (1927). Troelisch si riferisce qui al volume Der Ursprung
des Christentums, Stuttgart, 1908. 8. Max Heinrich Maurenbrecher (1874-1930),
storico tedesco, autore di Von Na- sareth nach Golgota: Untersuchungen tiber
die weltgeschichtlichen Zusammenginge des Urchristentums, Berlin-Schéneberg,
1909 — a cui si riferisce qui Trocltsch — e di altri volumi di argomento
storico. ERNST TROELTSCH 847 condizionate economicamente: la religione è, nella
sua essenza, il rispecchiamento di situazioni di classe. Qui — e anche altro-
ve nella letteratura socialista — non si è tentato di illustra- re e di provare
questo principio in base al materiale generale della storia della religione.
Esso viene in fondo utilizzato soltan- to a scopo di polemica contro il
Cristianesimo. Ma soltanto con un’indagine che si estenda a tutta la storia
della religione si può mostrare il significato reale di questo principio, e
anche la trasformazione quanto mai diversa di tale significato ai diffe- renti
gradi della vita religiosa *. Il problema è molto più complicato. Non può esser
fatto coincidere con un problema così ampio quale quello dell’origi- ne della
religione. Infatti esso non può venir risolto in modo puramente storico e
psicologico, e conduce a costruzioni pura- mente astratte, ben distanti da ciò
che effettivamente ci mostra la realtà concreta e vivente. Esso dev'essere
riferito alla vita reale delle religioni a noi note, e qui trova sicuramente
abba- stanza materiale per la sua trattazione. La questione puramente
filosofico-religiosa della nascita e dell’origine può quindi essere risolta. Si
tratta piuttosto di chiederci: in quale misura la vita reale delle religioni ci
rivela un condizionamento interno ed essenziale dell’elemento religioso da
parte della vita economica, nonché da parte della struttura di classe e della stratificazione
sociale in larga misura determinata da essa? e viceversa, in quale misura la
vita economica ci rivela la presenza di effetti essenziali e interni
dell'elemento religioso sul lavoro economi- co? Occorre pertanto lasciar da
parte i contatti semplicemente accidentali e transitori, e piuttosto
considerarli soltanto nella a. Un sociologo acuto e sensibile come Simmel ha
cercato di acquisire e di fondare, in questa maniera più generale, le
conoscenze storico-reli- giose. Egli indica nel sentimento della dedizione dei
singoli membri di una connessione sociologica alla sua potenza presente in modo
non sen- sibile, onnipenetrante, la radice psicologica della religione,
derivando quin- di la fede nei miracoli dall’inafferrabilità di tale potenza,
percepita con stupore. Soltanto attraverso l’autonomizzazione dell’elemento
religioso so- prasensibile qui racchiuso nascerebbe la religione propriamente
detta. Ma anche questa è semplicemente una fantasia spiritosa, che oltre tutto
assu- me dal marxismo soltanto la sopravvalutazione delle connessioni dei grup
pi e delle masse, ma non il loro fondamento esclusivamente economico. 848 ERNST
TROELTSCH misura in cui ne scaturisce qualcosa di durevole e di intimo. Un tale
significato di accidentale, cioè quello dell’incontro di due direzioni di
sviluppo del tutto separate e tra loro indipen- denti, ma che s’incrociano in
un determinato punto, non è raro nella storia, e proprio nel nostro campo
dobbiamo aspettarce- lo, poiché le due forze che qui si toccano sono fin dall’inizio
prevalentemente estranee l’una all'altra. Ma proprio se si rico- nosce questo
fatto occorre escludere dalla nostra indagine que- gli clementi accidentali
meramente transitori che rimangono, per così dire, esteriori — e che il
pragmatismo illuministico collocava volentieri in primo piano — anche se essi
costituisco- no una parte pratica, tutt'altro che priva di importanza, del
nostro problema. Con questa impostazione si presuppone che nelle religioni
considerate storicamente l’elemento religioso presente nel mito e nel culto,
nel mondo della rappresentazione e del sentimento, sia qualcosa di
relativamente autonomo ed entri in connessione con tutti gli interessi
economici, ma non coincida mai piena- mente con essi. Tale è il caso di tutte
le religioni evolute. La ricerca etnografico-antropologica sulla religione è
ancora assai poco orientata verso questa impostazione, e non è perciò in grado
di rispondere alla questione. Essa deve quindi restare al di fuori della nostra
considerazione. Ciò è possibile, del resto, perché qui abbiamo di fronte cose
che devono essere comprese non già sulla base dell’originario sviluppo
preistorico dello spiri- to, bensì in base agli intrecci di una cultura in
qualche misura ormai differenziata. In essa si può riconoscere ovunque la ten-
denza a un’autonomizzazione della vita e del pensiero specifica- mente
religioso e a un’analoga autonomizzazione del lavoro economico, che diventa
così comprensibile in base al suo scopo pratico. La nostra questione può
sorgere soltanto a partire dal- le influenze reciproche, in parte consapevoli e
in parte incon- scie, e dal compenetrarsi delle due tendenze. Ma se queste due
tendenze sono distinte nella loro essenza, il loro contatto non può essere
affatto diretto. Né le religioni sono ideali economici, né le forme e gli
interessi economici sono leggi religiose. I contatti sono soltanto mediati. La
questione consiste allora nel determinare in che cosa consista quell’entità
mediatrice; e la risposta è molto semplice. Essa consiste nelle grandi forme
ERNST TROELTSCH 849 sociologiche dell’esistenza, che da un lato vengono
continua- mente create dalla religione e, una volta assicuratesi tale fonda-
mento, incidono nel modo più profondo su ogni lavoro econo- mico, dall’altro
sorgono su fondamenti economici — tra gli altri — assorbendo nella loro
onnipotenza il mondo della rappre- sentazione religiosa. Già Fustel de
Coulanges aveva posto la questione in modo straordinariamente chiaro e
aderente. Egli mostra come tra gli Indiani, i Greci e i Romani la forza
organizzativa del culto religioso dei morti o degli antenati pone i fondamenti
della famiglia patriarcale, del diritto familiare e privato, della pro- prietà
privata del suolo, dell’economia domestica o familiare chiusa, della posizione
giuridica delle donne, dei figli e degli schiavi. Una volta consacrate e
vincolate religiosamente, queste regole conservano un potere enorme sulla vita
pratica. In base ai loro princìpi si compie l'associazione in curie e in
fratrie e infine, con forme di culto del tutto analoghe, il sinecismo verso la
città, mentre tutta la vita della polis rimane — nel diritto e nel costume, in
guerra e in pace — vincolata a un sistema rituale che ha la massima importanza
per tutta la vita politica, per tutto il diritto e, attraverso di questo, anche
per ogni lavoro economico. Qui è chiarissima l’iniziativa fortemente de-
terminante dell’idea religiosa e dell’organizzazione sociologica da essa
creata. A questo punto ci si può certamente domandare se, all’inverso, questa
configurazione del culto degli antenati non dipenda dall’acquisizione di una
dimora stabile e dalla transizione dell'agricoltura, cosicché l’iniziativa
sarebbe di nuo- vo dalla parte della vita economica e questa fornirebbe le
condi- zioni necessarie per la tendenza decisiva di sviluppo del culto
religioso degli antenati. Una comparazione con lo sviluppo del culto presso
popoli nomadi e semi-nomadi, come i Tartari e i Mongoli, dovrebbe dare qui un
chiarimento. In relazione agli Israeliti, il sociologo americano Wallis*® ha di
fatto mostrato come la venerazione religiosa del dio-clan della grande fami-
glia e la comunità nomade che stava sotto la sua protezione abbiano
durevolmente impresso al popolo di Israele il carattere 9g. Wilson Dallam
Wallis (1886-1970), sociologo americano, autore del volume Messiahs: Christian
and Pagan, Boston, 1918 — al quale allude qui Troeltsch — e di vari manuali di
sociologia e di antropologia. 54. STORICISMO TEDESCO. 850 ERNST TROELTSCII di
una morale economica primitivo-conservatrice o di una reli- gione della
solidarietà tribale contrapposta a una religione citta- dina. Questa morale
primitiva della fratellanza, colorata di socialismo, che si pone in antitesi
alla cultura della città e del regno mondano, sarebbe poi stata sublimata e
interiorizzata dai profeti nella morale religiosa umanitaria che conosciamo
dalle più nobili leggi e profezie dell’Antico Testamento. A questi esempi si
potrebbe accostare la struttura delle caste indiane e la loro connessione con
il mondo della rappresentazione religio- sa, da cui è determinato il carattere
economico dell’India; © anche il culto familiare cinese, che possiede una
grandissima importanza per la struttura sociale dell'impero e quindi per ogni
modo e direzione di lavoro economico. In ogni caso è chiaro che abbiamo qui
davanti relazioni straordinariamente strette, ma sviluppate e mediate in modo
piuttosto vario, che incidono profondamente da entrambi i lati — da quello
della religione e da quello del lavoro economico — sulla totalità dello spirito
e del senso della vita. Si tratta — come ha posto giustamente in luce Fustel de
Coulanges — di un rapporto di azione reciproca che può essere determinato
sempre soltanto caso per caso e in cui è molto difficile, a causa del carattere
inconscio dei processi, stabilire l'iniziativa dell’uno o dell’altro elemento.
Il medesimo studioso indica però anche, in modo non meno chiaro e intuitivo, la
graduale rottura dell’ordinamento sociale, condizionato dalle originarie
potenze sociologico-culturali, da parte del razionalismo degli interessi
economici e politici — il quale impara a seguire i propri impulsi — non appena
vi siano masse sufficientemente vaste i cui bisogni non vengono più soddisfatti
nel vecchio sistema socio-culturale. In base all’esem- pio dei Greci e dei Romani,
egli descrive le rivoluzioni rivolte contro l’ordinamento e il legame religioso
della società, il razio- nalismo dei bisogni che in esse si sprigiona e i
tentativi di nuove ricostruzioni razionali della società che poi, reagendo
sull’etica e sulla dottrina sociale della filosofia, cercano di crear- si un
nuovo ideale etico. A ciò si può aggiungere che una rivoluzione siffatta si è
relativamente affermata ed è penetrata soltanto in Grecia e a Roma. Nel resto
dell’umanità dominano ancor oggi — prescindendo dagli ambiti delle religioni
univer- ERNST TROELTSCH 851 sali di cui avremo occasione di parlare tra poco —
quelle stesse situazioni di vincolo sociologico-culturale della società e
dell’e- conomia. Basta fare riferimento, per esempio, al libro di viaggi dell'americano
Henry Frank" Peter the Hermit (New York, 1907), con le sue immagini della
società colte dal basso, per avere l'impressione immediata dell’effetto di
queste cose sulla vita economica pratica e, reciprocamente, prove stupefacenti
della divinizzazione religiosa degli ordinamenti esistenti. In questo
consistono le difficoltà politico-religiose del Giappone moderno, il quale ha
scelto il razionalismo dello stile economi- co europeo e non può conciliarlo
con i fondamenti sociologi- co-culturali della sua vita precedente. Da ciò
derivano gli esperi- menti religiosi che ora intendono creare artificialmente
una nuova religione statuale e imperiale, ora cercano un appoggio nel
Cristianesimo, ora si accontentano dell’indifferente ateismo europeo. Non è
però possibile seguire qui il tema in questa sua enorme estensione; si deve
piuttosto fare riferimento a un singo- lo punto determinato. A ciò siamo
indotti anche dal fatto che la religione etnica del culto degli antenati e
dello stato — la sola che abbiamo finora toccata — non è affatto dominante in
modo esclusivo. Essa ha subìto rotture in singoli punti, ad opera di religioni
universali e spirituali, la cui essenza consiste soltanto nell’idea di Dio,
nell’ethos, nel sentimento, nell’intui- zione religiosa del mondo, e che
producono di conseguenza forme sociologiche del tutto differenti. In luogo
della comu- nità di culto coincidente con determinati gruppi naturali, com-
pare qui la comunità religiosa di idee e di sentimenti — cioè una comunità
universale e propagandistica. Pertanto anche il rapporto tra religione ed
economia è completamente diverso. Si tratta del Buddismo e delle tendenze ad
esso affini in Oriente, del Giudaismo con le sue due grandi ramificazioni —
Cristia- nesimo e Islam — in Occidente. Certamente, anche queste nuove
formazioni religiose non sono sorte senza una preistoria 10. Henry Frank
(1854-1933), predicatore prima metodista e poi congregaziona- lista, passò
infine a una forma di religione liberale con simpatie positivistiche. Fon-
datore della Rationalist Society di New York nel 1897, scrisse tra l'altro
numerosi romanzi filosofici (tra cui quello citato nel testo) e un poema
allegorico dal titolo The Last Enigma (1924). 852 ERNST TROELTSCH sociale, e
quindi anche economica, che le condizionasse. Qui però non possiamo
approfondire ancora quest’elemento: basti rile- vare che emerge ora un
concezione e una posizione in linea di principio nuova del nostro problema. Qui
l’idea religiosa è essa stessa un'idea etica e metafisica; essa comporta non
più soltanto in modo mediato, attraverso le sue conseguenze sociologiche, ma
anche in modo immediato, attraverso la sua valutazione religiosa della vita,
una presa di posizione nei confronti della vita sociale ed economica. Tuttavia
essa è diversa nelle diverse religioni che abbiamo elencato. Il Buddismo
considera i vecchi ordinamenti di casta conservati dal culto come indifferenti;
li lascia comunque sussistere e non crea affatto una propria auto- noma
comunità religiosa. Così esso agisce con la piena coerenza della sua idea — che
consiste nella totale assenza di proprietà — soltanto attraverso i suoi
specifici portatori, i monaci; per il resto lascia sussistere gli ordinamenti
così come sono, e im- pedisce solamente il sorgere di ogni vita razionalistica
diretta al profitto, che potrebbe distruggerlo. Tra le religioni occiden- tali
il Giudaismo ha acquistato notoriamente un’enorme impor- tanza economica, la
quale in parte è fondata sull’accettazione attiva del mondo implicita nella sua
fede nella creazione e sulla considerazione religiosa delle virtù della
diligenza, del- l’operosità, della sobrietà, ma per la maggior parte è scatu-
rita dai suoi destini storici? In verità, nel Giudaismo la religione rimane
anzitutto legata a un saldo contesto popola- re, e la sua etica economica e il
suo atteggiamento verso l’econo- mia sono influenzati da quest'idea fortemente
terrena del futu- ro e della destinazione del popolo eletto. Qui la frattura
dell’e- lemento religioso con l’elemento sociale — e quindi anche con quello
economico — non si è ancora compiuta. Ma essa non è avvenuta neppure
nell'Islam, che rimane internamente legato, attraverso il Corano e il suo
specifico diritto, a gradi primitivi di organizzazione della società e a
livelli primitivi di economia. a. Nel ben noto — e per molti versi illuminante
— libro di Sombart!! quest'ultimo elemento è sottovalutato, almeno quanto è
sopravvalutato il primo. 11. Troeltsch si riferisce qui alle tesi sostenute da
Sombart in Die /uden und das Wirtschaftsleben, Munchen, 1908. ERNST TROELTSCH
853 Ciò costituisce la base della forza e del successo della sua missio- ne tra
le razze inferiori, ma anche della sua debolezza e della sua ostilità nei
confronti dello stile economico europeo. Questo non è infatti conciliabile già
con la natura primitiva del diritto islamico e con i suoi giudizi da cadì. La
liberazione reale dell’interiorità religiosa e della comunità religiosa
separata da tutti gli elementi sociali ed economici ha avuto veramente luo- go
soltanto nel Cristianesimo, ma pur sempre in modo tale che essa non significa
una completa negazione ascetica del mondo, ma si richiama nel medesimo tempo —
insieme con il Giudai- smo — alla bontà della creazione e al significato del
mondo come luogo di lavoro. In ciò è però contenuta non già una soluzione
particolar- mente chiara del problema, ma piuttosto un’impostazione più
difficile e complicata del compito. In particolare si deve bada- re ai seguenti
punti di rilievo. In primo luogo, con questa totale interiorizzazione e
spiritua- lizzazione della religione, essa viene liberata dalle sue implica-
zioni con la vita sociale ed economica. Ma ciò significa anche che influenze e
determinazioni dirette su questo mondo profa- no della vita possono svilupparsi
dall'idea religiosa soltan- to con grande difficoltà. Tale idea si muove sempre
a un'altez- za ideale che si contrappone indifesa ai concreti rapporti della
vita e alle loro potenti formazioni di interesse. In particolare ciò significa,
reciprocamente, che il lavoro economico rimane ora abbandonato a se stesso e
può sviluppare, del tutto indistur- bato, il suo razionalismo degli interessi e
delle opportunità come un principio puramente mondano. Ma dato che il razio-
nalismo della vita economico-sociale si configura, in ultima ana- lisi, come
lotta economica per l’esistenza 0 come concorrenza, questa etica religiosa si
contrappone ovunque alla lotta raziona- le per l’esistenza, che non può mai
impedire direttamente. Il mondo delle idee religiose non possiede nessun mezzo
suo pro- prio e diretto per organizzare € per interrompere tale lotta, e si
rivolge ai mezzi razionali con cui la stessa visione profana degli scopi si
propone di regolarla. La santificazione religiosa del carattere e l’amore
fraterno non sono in grado di risolvere in modo diretto, e di per sé soli,
questi problemi. Il libro 854 ERNST TROELTSCH dell'inglese Benjamin Kidd Social
Evolution!" — a suo tempo oggetto di larga considerazione, e a cui lo
zoologo A. Weis- mann ha premesso un’introduzione — ha riconosciuto in modo
molto aderente questo stato di cose, contrapponendo il raziona- lismo della
lotta per l’esistenza, come principio puramente ra- zionale, al principio
religioso dell’autorità e dell’ordine sulla base dei sovrastanti princìpi
dell'amore. Se però le cose stanno in questo modo, allora la soluzione del
problema riposerà sem- pre su qualche mezzo atto a far tacere, o almeno a
regolare, la lotta per l’esistenza, ma che la religione non può mai sviluppa-
re semplicemente da se stessa. Essa dovrà sempre fare affida- mento su qualche
auto-regolamentazione razionale o accidenta- le di quella lotta per l’esistenza
che sia ad essa favorevole e che le venga incontro, ma che essa può soltanto
cogliere e fissare. Si tratterà però sempre di compromessi e di equilibri con
la vita reale. In secondo luogo, l’idea religiosa dominante sembra qui essere,
in sé e per sé, di natura puramente religiosa e ideologi- ca. Infatti il punto
di partenza non è un vincolo immediato della vita naturale da parte del culto,
una coincidenza tra cer- te forme naturali e le forme culturali della comunità,
bensì l'ideale etico. Ma la sua indipendenza è anche qui molto condi- zionata.
Il rapporto reale è molto più complicato di quanto non appaia a prima vista. In
verità, anche qui gli ideali fonda- mentali non sono affatto così liberi dal
sostrato reale e concre- to sul quale, e nei confronti del quale, si elevano.
Gli ideali di Gesù sono connessi con il grado di economia e con le situazioni
climatico-naturali della Galilea: non sarebbero potuti nascere in una grande
città moderna. In modo analogo, tutti i successi- vi ideali economici
dell’epoca cristiana recano, inconsapevol- mente e involontariamente,
l'impronta del suolo su cui sorgo- no. Essi contengono sempre qualcosa che
appartiene all’epoca e alla situazione, ma che non percepiscono come tale e che
fissa- no in forma di verità eterne, di comandamenti divini, di inter-
pretazioni della Bibbia. Come il mondo ideale della Bibbia lascia ovunque
trasparire il fondamento sociale ed economico 12. Social Evolution, London,
1894; tr. ted. col titolo Soziale Evolution, Jena, 1895. La prefazione di
Weismann è premessa a questa traduzione. ERNST TROELTSCH 8355 su cui poggia,
così tutte le successive interpretazioni della Bib- bia sono da parte loro condizionate
dalle idee ovvie che le circondano e che esse presuppongono. Cattolicesimo,
Luteranesi- mo, Calvinismo, sette e mistici leggono la Bibbia in base a certi
determinati presupposti sociologici, considerati come ov-vi, che vogliono
vedere confermati e regolati dalla Bibbia. Al- l'inverso, anche i tipi di
azione in apparenza soltanto filosofici e razionalistici, o che si presentano
come costume e come pras- si, sono inconsciamente determinati da presupposti
cristiani, e nei sistemi che pretendono di essere completamente profani vi è
una ricchezza di spirito cristiano. Il rapporto deve qui essere ogni volta
illuminato e stabilito caso per caso. Qui non vi sono quelle leggi e formule
generali di sviluppo progressivo, tanto care al moderno bisogno di generalizzazione.
Si tratta di un gioco di forze che oscilla avanti e indietro, il cui risultato
dev'essere determinato in ogni caso particolare di un'idea econo- mico-sociale
che domina i grandi periodi. In terzo luogo, occorre considerare che, proprio
per la sua pura interiorità e per l’autonomia dell'elemento religioso che viene
qui elevata al massimo grado, l’idea cristiana non possie- de alcun mezzo di
influenza diretta, e che anche le esigenze etiche molto idealistiche non sono,
di per sé sole, un mezzo del genere. Essa esercita le sue influenze principali
— nonostan- te la pretesa spesso avanzata di un condizionamento diretto
puramente ideologico — non già attraverso l’esigenza etica ma indirettamente,
attraverso le forme di comunità religiosa da essa create. Queste scaturiscono
da idee dogmatiche, di culto e puramente religiose, e non vengono mai
progettate a scopi sociali profani; tuttavia possiedono una potenza
organizzatrice e vincolante, che nessuna formazione sociale del puro raziona-
lismo possiede. Con queste forti forme sociologiche esse ab- bracciano però
anche — analogamente a quanto ha mostrato Fustel de Coulanges per gli antichi
culti degli antenati e della città — la vita complessiva, e costituiscono la
sua ovvia base etico-spirituale. Nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo è
certa- mente presente qualcosa del terreno sociale da cui traggono la loro
linfa vitale. Ma l’organizzazione sociologico-religiosa del- l’autorità,
dell’istituzione, dell’individualismo ha determinato in misura ancora maggiore
la generale atmosfera culturale, e 856 ERNST TROELTSCH soltanto per il suo
tramite è stata influenzata la vita profana nell'economia e nella società.
Nonostante l’apparente autono- mia dell’ideologia etica sussiste anche qui il
problema marxi- stico, ma in modo che esso non significa semplicemente la
dipen- denza dell’elemento religioso da quello sociale ma anche, reci-
procamente, la dipendenza dell'elemento sociale da quello reli- gioso. Ciò che
si presenta nel caso singolo non può venir chiari- to da una teoria generale,
ma soltanto da un’indagine condotta caso per caso. Partendo da ciò risulta
parimenti chiaro che il razionalismo economico, laddove perviene a un'autonomia
illi- mitata, si volgerà contro questi vincoli sociologico-religiosi e cercherà
di rendersene del tutto indipendente. Non sono dunque soltanto l'impossibilità
di abbracciare il pro- blema in tutta l'ampiezza della sua realtà
storico-religiosa, la limitazione della sua osservazione e della sua conoscenza
ai pochi punti finora accessibili, e la necessità di indagarlo sem- pre
concretamente caso per caso, che hanno in ultima analisi li- mitato l’indagine
all’unica religione che ci è, da questo punto di vista, perfettamente
familiare. E neppure è la sua importanza per la nostra cultura — che ha peso
pratico soltanto per noi. Si tratta piuttosto, in primo luogo, della
particolare importanza in- trinseca che, da questo punto di vista, il
Cristianesimo riveste. Esso si è sviluppato sulla linea di confine tra Oriente
e Occidente, dall’umanità religiosamente fondata e dalla speran- za di
redenzione dei profeti di Israele, e si è quindi configu- rato — svincolandosi
completamente da tutte le condizioni na- turali e sociali — nella forma della
più pura interiorità religio- sa e della fratellanza umana, e al tempo stesso
nella forma di una radicale speranza di redenzione, che si aspettava dal cielo
lo stato corrispondente ai suoi ideali come un’imminente fonda- zione
miracolosa del regno di Dio. Questo ethos e questa spe- ranza di redenzione si sono
uniti con la venerazione religiosa del nunzio del regno di Dio, dando così
luogo a una nuova comunità umana puramente religiosa e culturale ed essendo poi
costretti, per il mancato avvento del regno di Dio, ad applicare il loro ideale
— come regola di vita della Chiesa — alla vita pratica e duratura nella società
e nell’economia. In tal modo ha avuto immediatamente inizio il problema, che
perdura fino ai nostri giorni. STORIA E DOTTRINA DEI VALORI * Il problema è
quello della creazione della sintesi culturale contemporanea sulla base
dell’esperienza e della conoscenza sto- rica. Ciò ha condotto alla connessione
del comprendere storico- individuale con l’idea di un criterio. Questo criterio
si è però dimostrato complicato, in quanto racchiudeva in sé una duplice
applicazione all’accaduto e al futuro, assumendo un diverso significato nei due
casi. Esso comportava da un lato la misura- zione dell’accaduto in base agli
ideali ad esso di volta in volta propri, dall’altro la direzione verso il dover
essere da produrre nel presente, il quale non può scaturire da un’astratta
ragion pura, ma solamente in stretto contatto con le possibilità e le tendenze
effettive del momento. La connessione di questi due momenti del criterio
risultava infine nell’idea dell’indivi- dualità di ogni formazione presente di
un criterio, in quanto questa è anche, da parte sua, una formazione e creazione
della vita storica. Tale essa apparirà agli storici futuri, e fin da ora
dobbiamo comprenderla e sentirla in questo modo. Tutto pog- gia perciò anche
qui sull’idea di individualità; solo che ora in questa idea non compare
soltanto la fatticità del particolare e del singolare, come avviene
prevalentemente nella logica empi- rica della storia, ma l’individualizzazione
di volta in volta di un ideale, la concrezione di un dover essere. In questo
nuovo e più profondo senso dell’individualità idea e fattualità sono ora, già
nell’accaduto, una cosa sola; e lo sono l’una e l’altra anche, ® Der
Historismus und seine Probleme, 1. Uber Masstàbe zur Beurteilung histo- rischer
Dinge und ihr Verhdltnis zu cinem gegenwirtigen Kulturideal, sezione 5: Ge- schichte
und Werilehre, in Gesammelte Schriften, Tiùbingen von J. C. B. Mohr, vol. III,
1922, pp. 200-221 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 858 ERNST
TROELTSCH e con un interesse pratico ben altrimenti rafforzato, nella forma-
zione di un criterio e nella sintesi culturale contemporanea; in tale senso
poggia infine anche la connessione delle tendenze ideali trascorse con quelle
da creare muovendo dal presente. La comprensione di questa connessione è però
una questione di azione e di creazione intuitiva, per la quale non esiste
nessun’al- tra oggettività al di fuori della coscienza del fatto che, essendo
creata da un tratto interno della storia stessa, si conferma nella coscienza
come vincolante e nell’esperienza come feconda. È chiaro — ed è stato più volte
sottolineato — che in questo modo si passa dal terreno della pura logica
storica al terreno di una nuova regione scientifica. È il terreno della
dottrina dei valori o assiologia, come oggi si usa dire. L’intestazione di
questo capitolo avrebbe quindi potuto anche essere « Storia e dottrina dei
valori» — esattamente come quello precedente avrebbe potuto anche intitolarsi
«Storicismo e naturalismo ». Se sono stati preferiti i titoli sopra segnati, lo
si è fatto per ottenere la massima prossimità ai problemi della vita di oggi e
per evitare un’astrattezza troppo esangue. Ma da un punto di vista puramente
logico si è compiuto, in questo capitolo, il trapasso dalla storia alla
dottrina dei valori; si è cioè entrati in questa nuova regione scientifica
attraversando la porta del con- cetto di individualità, che solo può condurre
dall’una all’altra. E lo può perché il concetto di individualità non significa
soltan- to la particolarità puramente fattuale di un complesso storico-
spirituale dato di volta in volta, ma significa al tempo stesso
un’individualizzazione dell’ideale o del dover essere, che certo non si
realizza compiutamente in ogni forma particolare, ma che aspira a realizzarsi e
che in essa si incorpora, secondo le circostanze, più o meno felicemente *.
Entrare nella regione a. Sulla.« progressiva scoperta del regno
dell’individuale, che lo spi- rito tedesco intraprese con focoso zelo », si veda
F. MEINEcKE, Weltbiir- gertum und Nationalstaat, Miinchen und Berlin, 1908, p.
277. Significa- tiva è anche l'osservazione sulla duplicità dell’individuale
che viene qui presupposto, cioè il suo aspetto fattuale e l'aspetto della
doverosità: si veda a p. 281, dove si rimanda a Novalis! e a Ranke (nonché a
Humboldt). 1. Friedrich Leopold von Hardenberg, detto Novalis (1771-1801), uno
dei mag- giori poeti romantici tedeschi, autore degli Hymnen an die Nacht
(1797), del romanzo incompiuto Die Lekrlinge zu Sais (1798), di un altro
romanzo anch'esso non condotto a ERNST TROELTSCH 859 della dottrina dei valori
per questa porta non costituisce la regola; e tuttavia ciò è imprescindibile
per una filosofia materia- le della storia, cioè per poter pensare e porre il valore
in base alla storia. Si tratta del primo grande problema di ogni filoso- fia
della storia, rispetto al quale tutti gli altri passano in secon- da linea.
Rimane da dire ancora qualche parola polemica in merito alla consueta
configurazione della dottrina dei valori nella filosofia moderna. Che cos'è la
teoria generale dei valori o assiologia? Come si coordina con le scienze della
natura e dello spirito — entram- be scienze del reale, fortemente e
coercitivamente determinate nel loro rapporto con l'oggetto — nel g/obus
intellectualis delle scienze? È una scienza empirica o @ priori, formale o
mate- riale? Questa impostazione influenzata dal neokantismo, e oggi così
predominante, è però troppo semplice ed esclusiva. In veri- tà nessuna scienza
è puramente empirica, ma ognuna è frammi- sta di princìpi di elaborazione @
priori; e d'altra parte nessuna scienza è puramente formale, ma comporta sempre
un'elaborazione dei fatti dell'esperienza e delle realtà vissute, con la cui
materialità sta al tempo stesso in stretta connessione — prescindendo
naturalmente dalla logica formale (si può qui trascurare l'ardua filosofia
della matematica, ossia la questione se sia puramente formale e 4 priori,
oppure anch'essa carica di sen- sibilità e di intuizione). In ogni caso la
dottrina dei valori non può quindi essere una scienza puramente 4 priori e
formale. An- ch’essa rivela princìpi di elaborazione della realtà vissuta che
stanno in stretta connessione con questa e che possono venir trovati soltanto
in base all’analisi della vita reale. La sua distin- zione dalle altre scienze
della realtà consiste soltanto nel diver- so significato e nella diversa
posizione che i princìpi di elabora- zione a cui essa fa riferimento hanno nei
confronti della realtà vissuta. Questi si propongono non già il collegamento
esisten- ziale e oggettivo del reale, ma la sua valutazione e formazione
soggettiva e normativa. Ma, come quelle forme di collegamen- to si connettono
strettamente con l’essenza del reale, così anche queste norme di valutazione e
di formazione si connetto- termine su Heinrich von Ofterdingen (1799) c di
Fragmente di argomento filosofico. Il suo pensiero storico-politico è esposto
in Die Clristenheit oder Europa (1799), roman- tico vagheggiamento dell'unità
del mondo cristiano medievale. 860 ERNST TROELTSCH no indissolubilmente con le
tendenze di contenuto già presenti nella vita reale. Perciò, come quelle forme
possono essere astrat- te soltanto dalle scienze già esistenti e reagiscono poi
sulle scienze in forma più raffinata e sistematizzata, così anche que- ste
vengono tratte da valutazioni e formazioni effettive. Ciò può accadere soltanto
in virtù di una fenomenologia comprensi- va, quale è stata oggi ormai
intrapresa, soprattutto da parte della scuola fenomenologica. Tutte le valutazioni,
anche quelle più soggettive, più accidentali e più legate ai sensi, vengono in
tal modo collocate su un terreno comune insieme con quelle più oggettive, più
ideali e più svincolate dalla sensibilità, per poter poi rintracciare su questa
base le diverse classi di valori e la loro legge essenziale, e per poter infine
ricondurre il rappor- to reciproco delle varie classi di valori a una legge
universale, che naturalmente è una legge concernente non l’essere ma il dover
essere, pur essendo, in quanto tale, sempre profondamen- te radicata
nell’essere. Non è qui il caso di inoltrarci in partico- lari assai spinosi. È
necessario sottolineare la cosa principale, cioè che questo inquadramento
complessivo dei valori ha il significato di mostrare fondamentalmente l’essere
vivente non già come un essere contemplativo e riflessivo, ma come un essere
che agisce praticamente, che sceglie, lotta e tende a qual- cosa, in cui ogni
mera intellettualità e ogni mera contemplazio- ne si pone, in ultima istanza,
al servizio della vita, sia essa animale o personale-spirituale. Ciò è
importante, nel suo signifi- cato assolutamente decisivo, anche per il nostro
argomento. Altrettanto importante è però mettere in rilievo che, a un’anali- si
più prossima, l’unitarietà di questi valori pratici — inizial- mente ammessa —
si articola immediatamente nei valori mera- mente animali e nei valori
personali-spirituali della cultura, ai quali appartiene il carattere formale
della doverosità e dell’im- pegno alla- realizzazione. Particolarmente
significativa è poi, sempre all’interno di questi ultimi, la scissione tra le
conse- guenze tratte dalla doverosità formale — le quali, in quanto doveri
individuali e doveri comunitari, designano l’elemento morale in senso stretto®
— e i contenuti culturali, di cui si a. Di questa scissione si dovrà ancora
parlare nell'analisi conclusiva sull’etica e sulla filosofia della storia.
ERNST TROELTSCH 861 tratta nelle scienze della cultura o nelle scienze
sistematiche dello spirito relative allo stato, al diritto, all'economia,
all’arte, alla religione e alla scienza (per lo meno nella misura in cui questa
è bene culturale e non logica). Il fine ultimo di quest’a- nalisi è perciò
naturalmente, come ogni volta che si confidi nell’unità e nel senso del reale,
la sintesi in vista di una costru- zione e di un sistema dei valori in cui il
presupposto di questa fiducia — che è, in ultima analisi, una fiducia religiosa
— non dev'essere dimenticato, e in cui anche l’intera questione dell’esi-
stenza e dell’origine di questi valori nell’essere vivente finito deve
riportare al rapporto della coscienza assoluta o Dio con la coscienza finita.
La dottrina dei valori conduce necessariamente a sfondi metafisici in cui
dev'essere risolto, in particolare, anche il problema del rapporto tra vita e
materia della vita, tra dover essere ed essere ?, a. Purtroppo lo sviluppo e la
formazione storica della dottrina dei va- lori non sono ancora stati studiati
in maniera sufficiente. Sarebbe urgente un libro in proposito del tipo della
Geschichte des Materialismus di Lan- ge? o dell’Erkenntnisproblem di Ernst
Cassirer3. Le esposizioni attuali prendono invece le mosse soprattutto da
Lotze, che ha dato inizio al mu- tamento propriamente moderno della metafisica
in una dottrina dei valori e ha quindi inserito, come in ultima istanza
decisive per il contenuto della metafisica, le idee della dottrina kantiana
della ragion pratica su una base metafisica alquanto più ampia. La dottrina dei
valori costituisce di per sé un problema molto più antico e comprensivo, e
l’inserimento kantiano-lotziano nella metafisica è soltanto una delle molte
forme pos- sibili di collegamento con la metafisica. Il suo problema ultimo,
più ca- ratteristico e generale consiste quindi nella permanente conversione
dell’es- sere nell’aspirazione e nel dovere, e di questi ultimi nuovamente
nell'es- 2. F. A. Lance, Die Geschichte des Materialismus und Kritik seiner
Bedeutung in der Gegenwart, Iserlohn, 1866. — Friedrich Albert Lange
(1828-1875), filosofo tedesco di orientamento neokantiano, fu altresì autore di
Die Grundlagen der mathematischen Psychologie (1865), di Die Arbeiterfrage in
ihrer Bedeutung fiir Gegenwart und Zukunfe (1865), dei Neue Beitrige zur
Geschichte des Materialismus (1867) e delle postume Logi- sche Studien (1877).
3. E. Cassirer, Das ErZenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschafe der
neueren Zeit, Berlin, 1906-1920 (il quarto e ultimo volume sarà pubblicato in
inglese a New Haven, nel 1950). — Ernst Cassirer (1874-1945), filosofo tedesco
di orientamento neokantiano, autore di Stbstanzbegrif und Funktionsbegriff
(1910), della Philo- sophie der symbolischen Formen (1923-1929), di Zur Logik
der Kulturwissenschaften (1942), di An Essay on Man (1944) e di altre
importanti opere di storia della filosofia, in particolare sul Rinascimento e
sull'Illuminismo, sviluppò l'impostazione neocritici- stica propria della
scuola di Marburg nel senso di una « filosofia della cultura ». 862 ERNST
TROELTSCH In tal modo non è stata ancora caratterizzata abbastanza la specificità
di questa scienza, e soprattutto non è stata illustrata la particolarità
dell’attuale stato del problema, sottoposto a oscillazioni così sensibili. Essa
pure riesce a fare completa chia- rezza sul metodo e sul fine soltanto se,
anche qui, si ritorna alle radici dei punti di vista e delle terminologie
moderne, cioè alla svolta cartesiana verso la filosofia della coscienza, da cui
abbiamo già visto scaturire il naturalismo e lo storicismo. Ciò che qui inganna
è soltanto la circostanza che l’equiparazione terminologica di tutte le
reazioni pratiche, sia del sentire sia del volere, in quanto valori, è dovuta
alla filosofia moderna successiva a Lotze e all’influenza dell'economia
politica. In sé e per sé, invece, l'impostazione è antica e coincide con il
carte- sere — un problema che non può venir risolto in base ai presupposti
della logica puramente formale e astratta della riflessione, ma che rimanda a
quel piano meta-logico giù sopra accennato. Se viene mantenuto sul piano della
logica astratta della riflessione, esso conduce sempre ad antinomie e a
impossibilità, a semplici accostamenti tra essere e dover essere, tra causalità
e teleologia, tra determinismo e libertà, tra immobilità e mo- vimento, tra
rappresentazione e volontà —- in breve, a un dualismo inso- stenibile, in cui
alla fine rimane soltanto l'essere come il più facile da rappresentare e da
elaborare logicamente. Tra le esposizioni storiche cfr. K. WieperHoLp,
Wertbegriff und Wertphilosophie (Erginzungs-Heft alle « Kantstudien », 52,
Berlin, 1920); E. HevpE, Grundlegung der Wertlehre, Leipzig, 1916 (dal punto di
vista della filosofia dell’immanenza di Grefs- wald); W. SrricH, Das
Wertproblem und die Philosophie der Gegen- wart (Diss.), Leipzig, 1909; G.
Picx, Die Ubergegensdtzlichkeit der Werte, Tibingen, 1921 (si richiama a Lask e
a Rickert). Accanto ai lavori più volte citati di Ehrenfels, Meinong,
Miinsterberg, Volkelt, si devono segna- lare E. von Hartmann, System der
Philosophie im Grundriss, vol. V: Grundriss der Axiologie, oder Wertwigungslehre,
Sachsa, 1908; E. von Srrancer, Lebensformen, Halle, 2° ed. 1921; M. ScHeLER,
Der Forma- lismus in der Ethik und die materiale Wertethik, Halle, 22 ed.,
1921; D. von Hitpesranp, Sittlichkeit und ethische Werterkenntnis, «Jahrbuch
fiir Philosophie und phinomenologische Forschung », V, 1922, pp. 462-601 (trattazione
di finissima psicologia cattolica da cura dell'anima, intesa co- me «legge
essenziale » dell'ordinamento dei valori); T. Lessine, Studien zur
Wert-Axiomatik, Leipzig, 2° ed. 1914 (di tendenza anti-psicologi- stica e
indifferente a ogni reale, con conseguenze pessimistiche). Sono lar- gamente
d’accordo con J. VoLkeLr, di cui si veda il System der Asthetik, Miinchen, vol.
III, 1914. Lo stesso problema ritornerà in seguito dal punto di vista del
concetto di sviluppo, e ci costringerà a menzionare e a distin- guere le
diverse scuole e i diversi gruppi: per ora basti un accenno. ERNST TROELTSCH
863 sianesimo. Se il punto di partenza decisivo è la coscienza, l'analisi dei
suoi contenuti e dei suoi principi formali e la costruzione filosofica della
realtà in base agli clementi e ai princìpi in essa trovati, allora le
rappresentazioni, i sentimenti e le volizioni — vale a dire la cosiddetta
esperienza interna ed esterna — diventano il solido nucleo di ogni pensiero, e
i fatti teoretici e pratici della coscienza si accostano gli uni agli altri
come datità in larga misura omogenee, a partire dalle quali soltanto si può
procedere a un'articolazione e a una distinzio- ne. Le cose stavano in modo completamente
diverso nella filoso- fia antica e medievale. Qui non c’era una dottrina della
ragion pratica o dei valori, bensì una dottrina dei beni e degli scopi,
rispetto ai quali la vita affettiva sensibile apparteneva fin dall’i- nizio
all’aspetto finito e sensibile, inessenziale, dell’esistenza. In Platone e
Aristotele i beni erano scopi cosmici, contenuti nella ragione divina, che si
realizzavano nello sviluppo teleolo- gico attraverso la « partecipazione »
dello spirito finito alla ra- gione divina. Non diversamente stavano le cose
con la legge naturale dello Stoicismo, che era una legge cosmica e alla qua- le
la ragione umana partecipava in una maniera particolare. Anche l’edonismo, che
si esprimeva in forma collaterale, sfocia- va in un'imitazione dell'armonia e
della bellezza dell’universo, e per di più non riuscì ad affermarsi. La
dottrina cristiana fondava i beni su un ordine cosmico e su una gerarchia dei
beni, accogliendo così fondamentalmente le idee antiche, e svi- luppava il suo
sistema gerarchico dei beni come una copia dei gradi di realizzazione della
vita di Dio nel mondo. In ultima analisi essi non procedono più qui in base
alla mera « partecipa- zione » al sistema soprasensibile delle idee e delle
leggi, ma scaturiscono da una conciliante auto-partecipazione di Dio nella
creatura, che si esprime in valori umanitario-naturali e in valori
religiosi-soprannaturali. Identità e diversità tra spirito divino e spirito
finito vengono qui affermate contemporaneamente, e da questa coincidentia
oppositorum scaturisce il sistema dei beni come manifestazione di un movimento
di vita divino *. Soltan- a. Cfr. il mio Augustin. Die christliche Antike und
das Mittelalter, Miinchen, 1915, e H. Hemsòra, Die sechs grossen Themen der
abendlin- dischen Metaphysik und der Ausgang des Mittelalters, Berlin, 1922.
864 ERNST TROELTSCH to la svolta cartesiana ha trasformato i beni in fatti
esclusivi di coscienza. L’empirismo inglese ne ha subito tratto la conseguen-
za dell’equiparazione di tutte le reazioni pratiche in quanto sensazioni di
piacere e si è sforzato di costruire l’etica e il sistema culturale sulla base
del piacere. I grandi razionalisti continentali si attennero certamente, anche
nella filosofia prati- ca, alla scissione tra sensibilità e ragione, ma nel complesso
cercarono di ricondurre i valori all’intelletto, e cioè di sviluppa- re l’etica
in base al fatto — immanente alla coscienza — dell’in- telletto e quindi della
sua antitesi rispetto alla sensibilità. An- che un metafisico dogmatico come
Spinoza non faceva eccezio- ne, poiché tutta la sua metafisica è, in
definitiva, il dispiega- mento dell’essenza formale del pensiero, e in quanto
tale proce- de da parte sua dalla coscienza. La terminologia si muove ancora
all’interno del linguaggio antico e cristiano, mescolata con la terminologia
del piacere — anch'essa del resto derivante dall’antichità. Ma il principio è
già quello dei «valori». La dottrina kantiana produsse infine i concetti
universali della ra- gione teoretica e della ragione pratica, distinguendo poi
all’in- terno di quest'ultima tra scopi ipotetici e scopi categorici e
sovra-ordinando in linea generale il pratico al teorico. Anche la speculazione
post-kantiana non è tanto distante come può sem- brare, poiché la sua dottrina
dell'identità procede ancora dalla conoscenza e cerca di derivare i valori
dall’essenza formale della ragione, non dalla ricchezza ontologica dell’idea di
Dio. I valori non sono partecipazione o derivazione della grazia, bensì
produzione e creazione umana in base all’impulso della ragio- ne. Infine le
dottrine del positivismo, che è assai vicino all’utili- tarismo inglese, fanno
egualmente sorgere nello sviluppo i valo- ri culturali dall’intelletto e dal
senso comune, cioè spiegano tutto sulla base di dati fondamentali psicologici e
delle loro implicazioni evoluzionistiche, per fondare in definitiva — con la
maggiore sobrietà possibile — una sistematica dei fini socia- li così posti
sulla base di una conoscenza positiva delle leggi della natura e della società.
La naturale conseguenza di ciò è stata alla fine la terminologia dei valori,
cioè la riunione — oggi consueta — di tutte le reazioni e formazioni pratiche
nella teoria dei valori; e l’indagine sistematica del significato del valutare
poteva ora essere intrapresa non soltanto per la coscien- ERNST TROELTSCH 865
za, ma per la filosofia nel suo complesso — come è accaduto 2 partire da Lotze,
fino a confluire oggi con la filosofia pratica di Kant. La « filosofia dei
valori » in senso stretto, sviluppatasi oggi in seguito a questa confluenza, la
quale edifica l’intera dottrina dei valori in base al valore teoretico o al
valore di validità dell’elemento logico e la pone in questa forma al posto
della metafisica — ci riferiamo in particolare alle teorie di Miinsterberg, di
Rickert e di Lask — rappresenta pertanto un tentativo di spremere dall’elemento
soggettivo o immanente al- la coscienza l’elemento oggettivo: tentativo che
esprime, con tutta la sua acutezza, soltanto la precarietà di un siffatto punto
di vista dell’immanenza. Queste teorie costituiscono, entro la dottrina dei
valori, soltanto una specificazione acuta ma poco feconda. Questo fondamentale
soggettivismo non costituisce però l’e- lemento decisivo per la connessione che
abbiamo ora di fronte. Esso non potrà venir mutato nel suo punto di partenza
analiti- co-coscienziale finché dura il pensiero moderno, e si potrà discu-
tere soltanto dei suoi risultati e del modo delle sue conclusioni metafisiche —
in quanto mutamenti siffatti non sono mai man- cati e vengono oggi ripresi in
modo sempre più pressante, senza dimenticare l'applicazione assai approfondita
di Male- branche alla conoscenza in Dio anche dei valori pratici *. Per il
nostro argomento è però decisivo un altro punto. Dato il carattere
immanente-soggettivo dell’utilitarismo, della ragione pratica e del
positivismo, il solo mezzo per distinguere i valori oggettivi, oggetto di
dovere, o i valori culturali etici dai valori animali e sensibili della vita e
dell’utilità diventa l’universalità a. In Spranger e in Scheler* i punti di
contatto con Malebranche sono innegabili. Sulla genesi dell'idea di
individualità in Leibniz cfr. H. ScHma- LENBACH, Leibniz, Mùnchen, 1921 — libro
molto istruttivo, anche se l’asse- rita connessione con il Calvinismo non mi
sembra abbastanza persuasiva. 4. Max Scheler (1874-1928), filosofo tedesco,
autore di Die transzendentale und die psychologische Methode (1900), di Der
Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916), di Wesen und
Formen der Sympathie (1923), di Die Wissensformen und die Gesellschaft (1926),
della Philosophische Weltanschauung (1929) c di varie altre opere, appartiene
al movimento fenomenologico: egli si propose soprattutto di costruire un'etica
«materiale », fondata sulla determinazione di una gerarchia di valori e
contrapposta quindi all'etica «formale » kantiana. 55. STORICISMO TEDESCO, 866 ERNST
TROELTSCH delle valutazioni — da un lato l’uziversalità empirica e di fatto,
dall’altro la validità universale ideale, che dev'essere rico- nosciuta. La
maggiore utilità possibile del maggior numero possibile di persone oppure la
validità universale formale della ragion pura, libera dalla sensibilità, o
ancora la vittoriosa diffu- sione riconoscibile nel corso dello sviluppo:
questi diventano gli strumenti di distinzione, e quindi i criteri di
valutazione. Ma con ciò viene scartato il concetto di individualità. Esso
diventa un insieme di punti d’intersezione accidentali di leggi psicologiche
generali da cui si deve estrarre, in modo faticoso e artificioso, l’universale dover
essere; o diventa intorbidimen- to, adattamento e individualizzazione storica,
che perviene alla norma in sé, atemporale e universalmente valida. Nell’uno e
nell'altro caso non c’è alcuna via verso l’individuale, inteso come unità
intima di fattuale e di ideale. Una via siffatta non è stata ancora trovata
neppure nelle odierne considerazioni fe- nomenologiche, le quali prendono tutte
quante le mosse da norme, dalla visione dell'essenza e dalla legalità
atemporale, per aggiungervi soltanto in seguito il rattoppo dell’individualiz-
zazione empirica. Proprio perciò queste dottrine dei valori urta- no sempre,
senza speranza, contro la storia. Esse disconoscono l'autentica individualità
presente nella storia, come stato parti- colare e determinato di un intreccio
reciproco di essere e dover essere, di fattuale e ideale; disconoscono
l’inesauribile e impre- vedibile produttività della storia, la quale produce
sempre nuo- vi elementi individuali e quindi non individualizza leggi gene-
rali, ma ci pone di fronte a formazioni di valori sempre nuove e imprevedibili.
Questo è il nucleo in cui, più che altrove, la moderna dottrina dei valori ha
bisogno di una riforma. Ciò che insegnarono i Romantici, Schleiermacher,
Wilhelm von Hum- boldt, Goethe, dev*essere sempre riconosciuto di nuovo come il
suo problema principale, e posto al centro® per cacciare via gli a. Si veda il
Politisches Gesprich di Ranke in Werke, voll. XLIX.L: Zur Geschichte Deutschlands und
Frankreichs im 19. Jahrhundert (a
cu- ra di A. Dove), Leipzig, 1887, p. 325: «Senza una tensione, senza un nuovo
inizio non si può pervenire dall’universale al particolare. Lo spiri- tuale,
che ti sta improvvisamente davanti nella sua imprevista realtà, non si lascia
derivare da nessun principio superiore. Partendo dal particolare puoi clevarti,
con cautela e risolutezza, all’universale; ma dalla teoria ERNST TROELTSCH 867
spettri di leggi generali e atemporali, con le quali la storia e la vita non
possono cominciare nulla e che aprono sempre nuovi abissi immaginari tra storia
e dottrina dei valori, le quali tendo- no invece a unificarsi. Il fatto che le
teorie fenomenologiche, nella loro aspirazione ben consolidata a leggi generali
di essen- za, pervengano, nei diversi pensatori, a risultati diversi — nono-
stante la conclamata visione dell'essenza — costituisce la prova di questo
stato di cose assolutamente decisivo. È del tutto impossibile, partendo dalla
fragile, isolata e vuota coscienza — per quanto si possa attenuarla e
dissolverla mediante la teoria della non-sostanzialità o dell’inconoscibilità
dell'io — ottenere in virtù di una semplice psicologia delle reazioni la
comprensione dell’individualità, che dovrebbe ap- punto avere la sua sede
principale nella dottrina dei valori. Di qui si perviene sempre soltanto ad
acuti sofismi o a nullità tautologiche, alla disputa se il valore risieda
nell’oggetto o nel soggetto o nella relazione tra i due termini, se esso sia
una sensazione e una percezione oppure una disposizione e una reazione
soggettiva, se sia fondato su un giudizio di esisten- za o di non-esistenza, se
sia semplicemente momentaneo o co- stante, semplicemente relativo o se
scaturisca dal sentire o dal volere o dal rappresentare o da un elemento
psichico ad esso proprio, se sia meramente accidentale e personale oppure
sovra- personale e oggettivo, e così via. Tutte queste difficoltà artificio se
e insolubili, oppure solubili soltanto introducendo di soppiat- to valori
dogmaticamente normativi (e proprio per ciò oggetto di fede), cadono qualora si
concepisca in modo diverso il pun- to di partenza, cioè il cosiddetto io,
qualora lo si consideri non più come qualcosa di isolato e di vuoto, provvisto
soltanto delle facoltà formali del rappresentare, del sentire e del volere, ma
come virtualmente comprensivo — e ogni volta in un ambito assai diverso — della
totalità della coscienza, oppure si conside- ri quest’ultima come comprendente
in sé l'io, qualora si ritorni (in qualche forma oggi possibile) all'idea
leibniziana della mo- nade, e in particolare della monade umana, che assume in
base generale non c'è strada che conduca all’intuizione del particolare ». Si
ve- da inoltre p. 327: « Natura della cosa, opportunità, gezio e fortuna coope-
Priz/e » OPp 6 P rano [al sorgere di nuove forme] ». 868 ERNST TROELTSCH alle
sue complicazioni una posizione particolare. Allora è possi- bile intendere i
valori nella loro ovvia soggettività e nel loro carattere relazionale, che
deriva dal carattere pratico e dai fini pratici di ogni essere, cioè dalla vita
che tutto riempie. Allora le valutazioni estranee, passate e future, possono
venir sentite come proprie, perché portiamo al tempo stesso in noi gli io
estranei. Allora possono esserci coincidenze nelle valutazioni, in quanto noi
tutti deriviamo dal medesimo fondamento della totalità della vita, e possiamo
quindi sentire allo stesso modo. Allora è possibile distinguere i valori
animali, cioè i valori meramente vitali che derivano dalle relazioni
ambientali, rispet- to ai valori oggettivi o spirituali, poiché questi ultimi
esistono per la totalità dello spirito divino nella sua totalità che compren-
de la finitudine, e poiché l’essere individuale partecipa a questa totalità
dello spirito. Allora possono esserci medie e sedimenta- zioni sociologicamente
condizionate di queste valutazioni, oscu- rità, turbamenti e disordini dei
conflitti tra motivi, da cui scaturiscono alla fine sempre soltanto il rischio
e l’auto-riflessio- ne, cioè una propria disposizione la quale non è tuttavia
inven- zione. Psicologia e sociologia possono descrivere tutte queste forme di
realizzazione, ma non possono fondare alcun valore particolare e scoprirne le
origini ultime. Ma, soprattutto, soltan- to in questo modo si può cogliere il
senso autentico dell’indivi- dualità, così come i Romantici e i poeti, i filosofi
e gli storici — in primo luogo Wilhelm von Humboldt — lo hanno sottrat- to
all’intellettualismo leibniziano, ancora chiuso in sé senza finestre. Questo
essere individuale che partecipa alla totalità della vita rappresenterà e
realizzerà nella sua situazione, nel suo ambiente e nella sua influenza
particolare il fondamento comune della vita in una maniera ad esso propria —
sia sotto l'aspetto animale del soddisfacimento dei bisogni e della promo-
zione della vita, sia sotto l’aspetto della comprensione del mon- do delle idee
divine. L'uomo, nel suo grado di realizzazione della coscienza, diventerà
quindi un essere storicamente indivi- dualizzato, nonostante i mille aspetti di
omogeneità e di comu- nanza che ha con altri uomini, e possiederà in tal modo
non soltanto una determinatezza di fatto, ma anche un compito che è oggetto di
dovere, nella cui realizzazione crca e acquisisce la sua essenza. Rimangono
naturalmente le questioni ultime — ERNST TROELTSCH 869 come Dio o l’assoluto o
la totalità della vita pervenga a questo movimento costante dell’essere verso i
valori, che altro non è se non la vita, e come questa totalità della vita
pervenga all’au- to-divisione nelle monadi finite. Si tratta di questioni a cui
nessuno può rispondere, ma che non possono neppure essere sostituite da altre
impostazioni più corrette e più facilmente suscettibili di risposta. Esse sono
eterne come il pensiero: sol- tanto l’auto-divinizzazione e l’auto-svuotamento
dello spirito moderno — due momenti strettamente connessi tra loro — hanno
potuto dimenticarle o considerarle mal poste. Si ritorne- rà ancora su di esse
trattando della teoria della conoscenza storica. Qui ci limitiamo per ora ad
accennare al significato decisivo di questa impostazione per
l’individualizzazione stori- ca di tutti i valori. Essa vale sia per gli
individui particola- ri che per gli individui collettivi, senza i quali non si
potrebbe- ro concepire neppure i primi e che, da parte loro, possono essere
concepiti soltanto in base ai presupposti indicati. In tal modo il concetto
centrale della dottrina dei valori diventa quello dell’individualità, nel senso
di un’unificazione di fattuale e di ideale, di dato naturalmente e in
conformità alle circostanze e, nel medesimo tempo, di eticamente imposto. In
questo senso il concetto di individualità coincide con quello della
fondamentale relatività dei valori. Ma relatività dei valo- ri non vuol dire
relativismo, anarchia, caso o arbitrio, bensì designa l’intreccio sempre mobile
e creativo, e perciò mai deter- minabile atemporalmente e universalmente, di
ciò che esiste di fatto e di ciò che dev'essere. Questo intreccio può e
dev'essere colto ogni volta — sia che si tratti dell’individualità singola di
una persona, sia che si tratti dell’individualità collettiva di un popolo e di
una comunità culturale — mediante l’auto-rifles- sione e l’approfondimento in
se stessi, nonché mediante la com- prensione e la conoscenza della situazione e
del condizionamen- to storico. Non è senz'altro a portata di mano, ma
dev'essere creato; non si tratta quindi di un naturalismo di tipo vegetale.
Proprio perciò questo intreccio non è qualcosa di estetico, che induca
all’auto-godimento o alla semplice curiosità — come viene spesso frainteso — ma
è un compito e un dovere, e al tempo stesso anche un orientamento universale,
assai sobrio e pratico, sulle possibilità e sui presupposti della situazione.
Esso 870 ERNST TROELTSCH esige un sapere spassionato, una volontà chiara, uno
sguardo acuto. Tanto meno l’individuale, inteso in questo senso, costitui- sce
una mera categorica logica, che debba essere applicata a qualsiasi oggetto in
virtù di una coercizione logica, a fianco di una considerazione dal punto di
vista di leggi generali che derivi dalla medesima coercizione. Esso è piuttosto
una creazio- ne umana e una realtà metafisica, l’intreccio di fatto e di
spirito, di natura e di ideale, di necessità e di libertà, di univer- sale e di
particolare. Esso emerge con forza e importanza mol- to diversa dagli sfondi
nascosti dei processi storici. Vi sono uomini e periodi, strati sociali e
gruppi ricchi di individualità e poveri di individualità; i primi sono sempre
caratterizzati da una salda fede in questo loro procedere dall’universale. Essi
percepiscono la loro particolarità come missione divina e come compito, e non
badano all’interesse della propria personalità, ma alla specificità del loro
compito. Si apre così, muovendo dall’individuale, lo sguardo verso la
metafisica, del quale non si ritiene di aver bisogno quando ci si attiene a ciò
che è astrattamente generale, poiché questo in apparenza sostituisce la
metafisica. Il costante procedere dell’individuale e dei suoi criteri da uno
sfondo oggettivo e universale è però un’idea che non si può formulare senza la
metafisica, a meno di non farla rientrare nell’ambito — del resto impossibile —
del mero acci- dentale o dell’interessante auto-compiaciuto. A questo punto si
stabilisce la relazione della dottrina dei valori con la metafisi- ca, che in
altri punti appare meno pressante. Ma la relatività dei valori ha senso
soltanto se in questo relativo c'è qualcosa di assoluto che vive e che crea;
altrimenti essa sarebbe soltanto relatività, non già relatività dei valori.
Essa presuppone un processo vitale dell’assoluto, nel quale questo può essere
colto e formato in ogni punto nella maniera corrispondente a tale pun- to.
L’assoluto dev'essere colto ovunque e in primo luogo dev’'es- sere anche
formato. Infatti esso è una volontà di creazione e di forme, la quale negli
spiriti finiti diventa auto-formazione in base a un fondamento e a un impulso
divino. E questi diversi punti devono connettersi e succedersi secondo una
determinata regola, che costituisce l’essenza del divenire dello spirito divino
e che si afferma, nonostante tutto, nelle vicende acciden- tali e negli
erramenti o nei cedimenti della volontà. Tutto ciò ERNST TROELTSCH 871 inerisce
al concetto d’individualità, di relatività dei valori, di criterio e di sempre
nuova creazione. Questa connessione con l’assoluto può essere un mito, com'era
un mito la dottrina platonica della partecipazione Ia quale conteneva già il
nucleo di una dottrina dell’individualità, almeno nella misura in cui lo
consentiva lo spirito dell’antichità, che ipostatizzava i valori e li
considerava come affari generali dello stato. Anche la dot- trina cristiana
dell’auto-disvelamento di uno spirito divino vi- vente nello spirito finito
costituisce un mito; però essa ha con- dotto alle più fini e profonde
osservazioni psicologiche, che chiariscono gli enigmi dell'anima molto più
profondamente di quanto non possano farlo le aride teorie psico-genetiche o
aprio- ristiche con cui si sono sostituiti gli antropomorfismi e i duali- smi,
certamente sovente rozzi, di questo modo di pensare. Con mezzi semplici come la
derivazione psicologica dal piacere o da un altro principio analogo, o come
l’estrazione dei caratteri meramente formali, non si può cogliere il miracolo
dei valori, dell’individualità e della relatività, che la storia pone in mille
modi davanti ai nostri occhi?. a. Su tutta questa tematica si veda T. Lit,
Geschichte und Leben, Leipzig, 1918, assai vicino al punto di vista qui
sviluppato. Stimolante e per molti versi affine è pure R. MicLer-FrerenFELS,
Philosophie der Individualitàt, Leipzig, 1921. In questo libro si percorre
energicamente fino in fondo la strada, sovente tentata, della trasformazione
del punto di partenza cartesiano, sostituendo la coscienza con il concetto di
incon- scio, e con la correlazione tra soggetto e oggetto nell’universale
corrente cosmica della vita, che lampeggia nell’io singolo, nel singolo momento
della coscienza. Ma in tal modo il concetto di individualità viene dissolto in
quello del semplice io o dell'essere singolo, e quest'ultimo viene poi radicato
nell’universale corrente della vita, al di sopra o al di sotto della coscienza.
Si dissolve così l'intreccio di generale e di particolare, di asso- luto e di
relativo, che mi raffiguro; l’individuale diventa immediatamente caos e
turbine, e la valutazione diventa anche qui qualcosa di sempli- cemente
razionale-generale, che deve poi essere una « razionalizzazione » sempre
soltanto parziale e relativa, sempre fittizia, inevitabile per gli scopi della
vita. Nessuno sa da dove questa possa venire, in queste circo stanze, dal
momento che l’autore non vuole vedervi semplicemente delle finzioni utili sotto
il profilo biologico. — Analoghe obiezioni continuo a mantenere contro le idee
affini esposte da G. Simmer in Lebensanschauung, Miinchen und Leipzig, 1918.
Qui l’individuale diventa un felice caso di coincidenza della vita con una
forma che la penetra. Anch'egli conosce 872 ERNST TROELTSCH In tal modo siamo
ritornati alla storia. Di fatto l’uomo che agisce e la storia che parla di lui
non possono affatto essere compresi senza il concetto della relatività dei
valori. Per quan- to riguarda l’uomo che agisce basta fare riferimento a
Goethe, la cui dottrina dell'attività sempre nuova e vivente, che scaturi- sce
dall'esigenza quotidiana, che trova conferma nella sua fe- condità ed è, in
ultima analisi, fondata su un impulso divino, rappresenta addirittura il
vangelo della relatività dei valori. Da tutt'altro versante Kierkegaard ha
formulato, nelle sue di- scussioni estremamente istruttive con Hegel e con il
Romantici- smo, la stessa idea: « L'elemento storico è l’unità del metafisi- co
e dell’accidentale. Io divento a un tratto consapevole di me stesso, nella mia
necessità e nella mia finitudine accidentale (in quanto io, questo essere
determinato, nato in questa regio- ne e in quest'epoca, sono sotto l’influenza
molteplice di tutte queste mutevoli circostanze). E quest’ultimo aspetto non
può essere trascurato, anzi la vera vita dell'individuo è l’apoteosi quindi
nella storia soltanto le epoche di grazia, cioè le poche isole in cui si
raggiunge tale felice coincidenza. Per me l’individuale come fatticità è
distinto dali’individualità che dev’esserne formata come suo compito: risul- ta
così possibile vedere un’aspirazione e un travaglio continuo attraverso cui
queste isole si riuniscono a formare dei continenti. Le isole simmeliane sono
soltanto le vette di questo massiccio montuoso che le connette. — È facile
scorgere quanto la mia idea sia vicinissima alla concezione di Wil- helm von
Humboldt. Ma ja fondazione gnoseologica e la valutazione relativa all'etica e
alla filosofia della storia sono differenti. Su Humboldt si veda l'opera citata
di E. SpranceER e l’analisi (condotta da un punto di vista antitetico) di J.
GoLDFRIEDRICH, Die historische Ideenlehre in Deutsch- land, Berlin, 1902, che
costituisce del resto la sola analisi utilizzabile del libro. Per il modo in
cui il problema si configura presso un pensatore evoluzionista che rifiuta
l’individualismo storico, si può vedere Hans DriescH 5, Si svaluta la storia, e
si hanno criteri soltanto in base all'unico elemento che si sviluppa, cioè al
sapere, Driesch stesso (nella Wirklich- keitslehre, Leipzig, 1917, PP- 327 -34)
si riferisce a Schopenhauer e agli Indiani. Sui diversi concetti di
individualità cfr. H. ScHmaLENBACH, Indi vidualitit und Individualismus, «
Kantstudien », XXIV, 1920, pp. 365-88. 5. Hans Driesch (1867-1941), zoologo,
biologo e filosofo tedesco, autore di Der Vitalismus als Geschichte und als
Lehre (1905), della Philosophie des Organischen (1909), della Ordaungslehre
(1912), di Leib und Scele (1916), della Wirklichkeitslehre (1917), della
MerapAysik der Natur (1926) e di numerose altre opere, formulò una concezione
vitalistica della realtà in opposizione al punto di vista del meccanicismo.
ERNST TROELTSCH 873 della finitudine, la quale non consiste nel fatto che l’io
privo di contenuto esca di soppiatto da questa finitudine per volatiz- zarsi e
svaporare nella sua emigrazione celeste, ma nel fatto che il divino abita e si
trova nelle finitudine ». Dal lato dell’uo- mo questo divino individualizzato
non può essere colto, secon- do lo stesso Kierkegaard, solamente nel salto e
nel rischio esi- stenziale; non si tratta di una concrezione
estetico-panteistica, ma di un prodotto dell’azione e dell’auto-formazione che
si deve rischiare nel pericolo dell'errore e che ci si deve ogni volta
riproporre per acquisire, nella ripetizione, una connessio- ne e una
consistenza *. Interessanti sono anche le considerazio- ni con cui il generale
von Radowitz® guarda retrospettivamen- te al suo lavoro, e che si possono qui
citare per le osservazioni che vi aggiunge a commento uno dei nostri storici
più significa- tivi. Radowitz aveva combattuto per la realizzazione di un
siste- ma di norme religiose e razionali di politica e di cultura, e nei suoi
Neue Gespriche (1851), in genere veramente istruttivi, era pervenuto a questo
risultato: «la verità non è assoluta, bensì relativa allo spazio e al tempo » —
ma, beninteso, rimane pur sempre verità. Osserva in proposito Meinecke: « Tutte
queste idee erano onde nella corrente del movimento generale dell’epo- ca, che
era diretto a frantumare dogmi, speculazioni e costru- zioni astratte, e a
sostituire l'elemento di assoluta verità e gui- da nella vita con ciò che è
storicamente vero e vivente. Così Radowitz, nell’ultimo stadio del suo
sviluppo, si approssimava al moderno realismo storico »*. E alcune pagine
prima: « Due a. Cfr. H. Reuter, S. Kierkegaards religionsphilosophische
Gedanken im Verhéltnis zu Hegels religionsphilosophischem System, Leipzig,
1914, Pp. 42-43. Si veda anche Ranke (Politisches Gespràch cit., pp. 337-39): «
Ogni vita reca in sé il proprio ideale: l'impulso intimo della vita spiri-
tuale è il movimento verso l'idea, verso una maggiore eccellenza. Questo
impulso è innato, radicato nella sua origine... Quante comunità spirituali
terrene, tratte alla luce dal genio e dall'energia morale, comprese entro uno
sviluppo inarrestabile, ognuna a proprio modo! Guarda a queste co- stellazioni
nei loro corsi, nella loro azione reciproca, nei loro sistemi! ». 6. Joscph
Maria von Radowitz (1797-1853), uomo politico tedesco, ebbe una parte
importante nella politica prussiana dopo il 1848; nel 1858 fu per alcuni mesi
ministro degli affari esteri, conducendo una politica apertamente
anti-austriaca. 7. F. Meinecge, Radowitz und die deutsche Revolution, Berlin,
1913, p. 533. 874 ERNST TROELTSCH compiti strettamente connessi tra loro si
ponevano allo spirito e alla volontà di quell’epoca: ricollegare alla realtà la
sfera delle massime ideali, minacciate di isolamento, e riunire organica- mente
all’interno di tale realtà le potenze vitali antiche e nuo- ve, passate e
future »*. Si tratta della fondamentale teoria del «realismo storico » di cui
Meinecke parla qui e in altri passi, e con cui si indica la trasformazione
della storia ideale di tipo hegeliano e della storia organicistica di tipo
schellinghiano, ma anche della storia politica troppo soggettivamente diretta
agli scopi del presente, nel realismo universale della metà del seco- lo xix.
Questo realismo storico è, almeno in Germania, qualco- sa di completamente
diverso dall’equiparazione della storia con le scienze della natura. Esso non
si esaurisce affatto nel forte rilievo dato agli elementi economici e
sociologici nella comprensione storica 0 nell’apprezzamento dell’accidentale,
del- l’irrazionale e della personalità. La sua essenza più propria non è altro
che l’idea dominante della relatività dei valori e dell’individuale, sia che si
tratti di individualità particolari o di individualità collettive. Esso risulta
quindi completamente autonomo dal realismo delle scienze naturali; e anche con
la politica realistica di Bismarck ha a che fare soltanto nella misu- ra in cui
questa ha contribuito a rendere diffidenti verso le risoluzioni troppo
idealistiche del reale e dei suoi conflitti in generalità ideali e in
contraddizioni meramente logiche. Per il resto, questo realismo è quanto mai
lontano dalla concezione amorale e cinico-scettica della storia: esso vede
nelle formazio- ni storiche il divino nelle sue concrezioni e nella sua lotta
contro il caos e la malvagità, come mette in rilievo lo stesso Meinecke.
Certamente, esso è stato finora troppo poco indaga- to sotto il profilo
teoretico, ed è difficile estrarre i suoi tratti fondamentali più generali
dalla smisurata letteratura storica. Esso è ancora molto insicuro nel cogliere
l’assoluto nel relati- vo, e perciò non trova o non cerca la via verso una
sintesi culturale contemporanea®. Non si può tuttavia disconoscere a. Sul
relativismo storico si veda G. P. Goocn, History and Historians in the Nineteenth
Century, London, 1913, nonché J. E. E.D. Acton, The 8. Op. cit., p. 522. ERNST TROELTSCH 875 che proprio con la più
stretta connessione tra storia politica e storia della cultura — alla quale
tende tutta la storia moderna — il realismo storico si dirige soprattutto
all’idea dell’individua- lità nel senso qui descritto, e quindi anche all’idea
della relativi- tà dei valori. Risulta quindi chiaro che tutta questa storia
non ha affatto rinunciato all'idea di una connessione interna e di un profondo
fondamento spirituale dello sviluppo, ma anzi scorge — almeno in linea di
principio — nell’individuale un universale e nel relativo un assoluto, anche
se, per il suo timo- re dinanzi alla filosofia, di rado si arrischia a
determinare in modo più preciso e concreto questo rapporto. Anche qui si deve
osservare che questo relativismo dei valori e questo reali- smo appartengono in
modo preponderante alla storia e all’eti- German Schools of History, « English
Historical Review », I, 1886, trad. ted. col titolo Die neuere deutsche
Geschichtswissenschaft (a cura di J. Imelmann), Berlin, 1887, nonché E.
RorHacger, Einleitung in die Gei- steswissenschaften, Tùbingen, 1920, pp.
130-90 (la letteratura relativa si trova a pp. 163-64). Rothacker riconosce
giustamente in esso uno costitu- zione spirituale, un atteggiamento di valore e
una dottrina dello sviluppo, senza però mai giungere a una caratterizzazione
vera e propria che muova dal punto centrale. — Un'indagine approfondita risulta
qui impossibile. Basterà accennare a varie osservazioni di Meinecke, che più di
tutti accom- pagna il pensiero storico con una riflessione su di esso e che
spiega da parte sua il realismo storico come uno specifico atteggiamento
spirituale. Del suo Radowitz ho sopra riferito i punti importanti. Da
Weltbirgertum und Nationalstaat cit. prendo nota dei punti seguenti: carattere
decisivo del concetto di individualità (p. 138); il sorgere dello spirito
moderno e in particolare del passaggio dal pensiero costruttivo al pensiero
empi- rico, dal pensiero idealistico-speculativo a quello realistico (p. 265);
la rela- tività dei valori e tuttavia l’insostituibilità dell’individuale (p.
271); il «panteismo ottimistico-realistico, che del sentimento trapassa subito
ai fatti » (p. 281). E ancora: « Alla fine si pervenne alla giusta
delimitazione, per cui ideale ed esperienza, oggetto considerato e soggetto
considerante furono distinti in modo da rendere a tutti giustizia: una
delimitazione — si può quasi dire — nello spirito di Kant, anche se si trattava
di un con- fine fluido e dileguantesi. Ma questo fluire del particolare nel
generale, dell'esperienza nella speculazione, era fondato sulla natura vera e
propria delle cose. L'elemento principale in tutto questo era che il regno
dell’espe- rienza veniva liberato, mentre veniva allontanato ulteriormente
quello dei tentativi di interpretazione universale e speculativa » (p. 289).
Noto poi da Preussen und Deutschland, Miinchen, 1918: « Ciò che finora sembrava
intelligibile soltanto come emanazione di determinati princìpi, si tra- 876
ERNST TROELTSCH ca tedesca, che ci hanno insegnato con Kant la separazione tra
ciò che è dato naturalmente e ciò che è imposto idealmente, e con il
Romanticismo l'intreccio organico delle forze storiche in un’individualità di
volta in volta creativa, e che quindi cerca- no il loro compito
nell’unificazione delle due tendenze. La posi- zione di primario rilievo
attribuita allo stato e alla politica realistica costituisce perciò soltanto 40
dei suoi tratti caratteri- stici, ma non quello decisivo. Anche senza questa
particolare inclinazione il relativismo dei valori è sempre il punto più im-
portante nel diritto, nell’economia, nella società, nella religio- ne e
nell’arte, anche nelle idee ultime e più generali di razze e di ambiti culturali.
Le idee del Politisches Gesprich di Ranke conservano tutta la loro verità anche
se le si applica non sola- mente o non prevalentemente allo stato. Invece la
storia del- sformò — agli occhi di una considerazione realistica delle cose —
nel risul- tato di necessità momentanee, in adattamenti alla situazione » (p.
It1); « quel flusso del divenire che lascia scorrere ciò che nello spirito è
saldo non già per farne gioco di onde, ma perché l’eterna e aremporale natura
divina venga riconosciuta nella ricchezza e nella connessione interna delle sue
produzioni semporali » (p. 114). Meinecke scorge molto chiara- mente anche la
stretta connessione della sintesi culturale contemporanea con la conoscenza
storica dell’individuale passato, dove un elemento determina l’altro. « La
fonte della luce che cade sul passato risiede negli ideali di vita
dell'osservatore: così la storia e la vita, l'io e il mondo confluiscono in
modo misteriosamente vivente, in un gioco di riflessi con- trapposti » (p.
104). « Il nostro pensiero storico e il nostro ideale culturale vivono e si
muovono nell’intuizione della molteplicità e dell’accostamento di stati,
nazioni, culture libere e forti... In questo specchio della divinità noi
guardiamo ancora oggi, affascinati e creduli come cent'anni or sono » (p. 502).
Certamente, da questa correlazione data insieme con l’idea della relatività dei
valori Meinecke si solleva — al pari di Ranke — a una con- cezione puramente
contemplativa, assoluta, della storia in sé: ma di ciò si parlerà in seguito. —
Sull’antitesi del realismo storico tedesco, che è al tempo stesso mistica,
rispetto al pensiero anglo-francese si veda l’acuto scritto di E. KaurMann,
Kritik der neukantischen Rechtsphilosophie, Ti- bingen, 1921, p. 92 sgg., dove
sono sottolineate anche le deficienze di realizzazione. Ma anche in quel campo
vi sono posizioni diverse. Cfr. anche il saggio di E.R. Curtius, Das
franzòsische Universitàtsleben, « Frank- furter Zeitung », 22 maggio 1918
(edizione serale), il quale scrive: « è inte- ressante che questi giovani
Francesi del 1918 vedano nella Germania di Goethe, del Romanticismo e dell’età
successiva un modello per la ‘ giusta sintesi tra speculazione ed esperienza”
». NST TROELTSCH 877 l’Europa occidentale vive piuttosto nella prosecuzione
dell’Illu- minismo, il quale tendeva a sviluppare il dover essere dall’ele-
mento « naturale » e quindi a rifarsi a fini astrattamente univer- sali, mentre
il suo realismo si faceva valere nella considerazio- ne dei condizionamenti
naturali e sociologici e l’individuale veniva per lo più nascosto o assunto in
maniera inconsapevole nell'inserimento dei propri ideali in quei valori
universali « na- turali ». Di qui è nata una vasta polemica: ciò che agli uni
appare insieme cinicamente brutale e mistico, agli altri appare come
superficialità e ipocrisia. Ma in verità il realismo privo di pregiudizi
risulta ovunque molto diffuso. Ciò appare chiara- mente dall’eccellente libro
di G. P. Gooch * — il quale si distin- gue per il limpido panorama dei
risultati conseguiti dai diversi studiosi — anche se nella storiografia inglese
e francese emer- ge innegabilmente una preponderanza dei valori nazionali, di
partito o « naturali » rispetto all’universale relatività dei valori. E non di
rado ciò accade anche da noi. È evidente che questa relatività storica dei
valori presenta una certa analogia con la dottrina della relatività fisica, che
oggi prevale in tutto il mondo nell’impostazione problematica così fortemente
potenziata da Einstein. Ciò non avviene a ca- so, né è privo di fondamento
oggettivo, anche se la relatività dei valori si è formata dall’epoca del
Romanticismo e del reali- smo storico senza alcuna relazione con la seconda. Il
fonda- a. G. P. GoocH rimprovera per esempio a Sismondi? « la mancanza di
relatività » (op. cit., p. 137), e a Carlyle che «egli non si rese mai conto
che il dovere principale di uno storico non è né l'apologia né l’invettiva, ma
l’interpretazione dei processi complessivi e degli ideali in conflitto, che
hanno costituito la varietà delle vita umana » (p. 339). Questo è il realismo
storico; certamente, nella formula interpretativa che spesso ri- corre in Gooch
vi sono problemi filosofici in cui egli non si addentra. b. Anche in me mancava
qualsiasi relazione del genere, e me ne sono reso conto solamente a fatto
compiuto. Altri l'hanno rilevato prima di me: A.C. Bouquet (Is Christianity the
Final Religion?, London, p. 241) mi 9. Jean-Charles Simonde de Sismondi (1773-1842),
storico ed economista svizzero, autore della Histoire des républiques
italiennes au Moyen dge (1807-1818), dei Nos- veaux principes d'économie
politique (1819), dell'Histoire des Frangais (1821-1844) e di numerosi saggi
raccolti negli Etwdes sur les constitutions des peuples libres (1836) e negli
Erudes sur l’économie politigue (1837), nonché di varie altre opere. 878 ERNST TROELTSCH mento interno dell’incontro
risiede nel fatto che la relatività fisica è la forma d’individualità decisiva
sul terreno della scien- za fisica, cioè è la particolarità della posizione da
cui si deve ogni volta stabilire e calcolare il sistema di riferimento. Ciò
accadeva già nel sistema galileiano-newtoniano, ma qui la validi- tà universale
del principio d’inerzia, considerato come una spe- cie di assoluta verità di
ragione, poteva nascondere le conse- guenze della relatività della posizione.
Se, come avviene in Ein- stein, l'inerzia viene dissolta e si afferma una
velocità crescente dei movimenti, la posizione stessa viene immessa da ogni
par- te in un movimento reciproco e mutevole, diventando così del tutto
singolare. Ma anche questa relatività non è un relativi- smo illimitato, bensì
— nella misura in cui il sistema di riferi- mento viene calcolato da ogni
posizione ed è possibile determi- nare matematicamente, nonostante la sua
mobilità, la relazio- ne con gli altri oggetti — permane l’assoluto nel
relativo, il carattere di sistema e di riferimento della realtà naturale, a cui
contribuisce anche la costanza della velocità maggiore di tutte, la velocità
della luce. Ma anche se non fosse possibile conserva- re quest’ultimo
principio, si potrebbe certamente stabilire attra- verso il calcolo il suo
mutamento e costruire in tal modo la possibilità di una sistematica, diversa
soltanto da una posizione all’altra. In tutto il resto le due dottrine della
relatività sono certo fondamentalmente diverse. Ma il punto principale del loro
ac- cordo è abbastanza importante: l’incontro del relativo e dell’as- soluto
nell’individuale — qui come fatto, lì come compito. Alla posizione particolare
corrisponde l’individualità della situa- zione storica; al sistema di
riferimento universale, diverso di caso in caso, corrisponde lo sviluppo
interno o la connessione del divenire storico, che dev'essere costruita di
nuovo a partire da ogni momento culturale e da ogni nuovo ideale. Questo
secondo punto, cioè l’immagine dello sviluppo stori- definisce «una specie di
Einstein del mondo religioso ». Cfr. anche A. Dierericn, Die neue Front,
Berlin, 1922, p. 168 sgg. In entrambi i casi si tratta del problema del
criterio, su cui ha attirato la mia atten- zione, subito dopo la conferenza,
uno dei più eminenti fisici. Invece il raffronto tra Einstein e Spengler, che
si trova spesso, è del tutto insen- x sato. Einstein non è un scettico! ERNST
TROELTSCH 879 co-universale che corrisponde alla sintesi culturale contempora-
nea, rappresenta quindi il secondo tema centrale della filosofia materiale
della storia, già presente da sempre nel primo tema, ma che adesso richiede una
considerazione a parte. Per chi proviene da Kant, Fichte, Schiller, Nietzsche
il primo punto è da tempo in posizione di rilievo; per chi proviene da Schel-
ling, Hegel, Ranke*, Comte e Spencer lo è invece il secondo. Ad esso sarà
dedicata un’analisi particolare nel prossimo capito- lo, dove avremo a che fare
con un'elaborazione letteraria mol- to più ricca del tema, e tratteremo in modo
più approfondito le teorie relative. a. Ranke sottolinea però entrambi gli
aspetti: « Ciò che importa è che si rimanga sempre fedeli a se stessi,
collegando il nuovo con il vecchio, la resistenza con il procedere in avanti,
incamminandosi sicuramente e grandiosamente sul cammino dello sviluppo»
(Reflexionen iiber die Theorie [ossia sul sistema dei valori assoluti della
ragione], in Werke, volumi XLIX-L, p. 237). Ma Ranke tende a privilegiare lo sviluppo
ri- spetto alla propria e contemporanea creazione sintetica. La forza vera,
storicamente fondata, è per lui identica con l'energia morale. « Potrai
menzionarmi poche guerre importanti per le quali non si possa dimo- strare che
la vera energia morale ha riportato la vittoria » (op. cit., p.- 327).
Certamente, che cosa voleva dire « energia vera »? Le due cita- zioni
contengono entrambi i temi di cui qui si tratta, e i loro sfondi devono essere
presi in esame separatamente. Quando assolutisti morali e di altro genere
designano Ranke come « adoratore del successo », que- sto non è del tutto
sbagliato. Ma ciò dipende dal prevalere del concetto di sviluppo che si può
riscontrare in lui, in Hegel e in molti alui. Ma anche questo non è
propriamente corretto: infatti Ranke conosceva la correlazione del concetto di
sviluppo con il concetto di valore, e se non ha determinato con precisione
quest'ultimo, lo ha sempre coscientemente presupposto. Tale correlazione
costituisce il problema vero e proprio; e uno degli scopi principali del mio
libro è di chiarirla e di trarre le neces- sarie conseguenze pratiche da questo
chiarimento. Certamente soltanto il secondo volume conterrà le conseguenze
pratiche, vale a dire l’atteg- giamento che ne risulta nei confronti della storia;
ma già il quarto capi- tolo di questo primo volume le prepara. FRIEDRICH
MEINECKE 36. STORICISMO TEDESCO. NOTA BIOGRAFICA Friedrich Meinecke nacque a
Salzwedel, presso Magdeburgo, il 30 ottobre 1862. Nove anni dopo la famiglia si
trasferì a Berlino, dove Meinecke compì gli studi liceali e (eccetto per due
semestri passati a Bonn) anche quelli universitari, seguendo tra gli altri
l’ultimo corso di Droysen. Dopo aver conseguito il dottorato a Berlino nel
1886, con una dissertazione sull’autenticità di un documento della storia
tedesca del primo Seicento, entrò l’anno seguente nell'amministrazione degli
archivi prussiani. Nel 1894, alla morte di Hermann von Sybel — che aveva
guidato i suoi primi passi di storico — Meinecke assume la direzione della « Historische
Zeitschrift », destinata a diventare, sotto la sua guida, il maggiore organo
della storiografia tedesca. Risale a questi anni la preparazione della
monumentale biografia di un generale delle guerre napoleoniche, Das Leben des
Generalfeldmarschall Hermann von Boyen (Stuttgart, 1896-99). Nel 1896 ottiene
l’abilitazione a Berlino, con il primo volume di questa biografia, e nel 1901
viene chiamato all’Universi- tà di Strasburgo, da dove passerà nel 1906 a
Friburgo e nel 1914 a Berlino. Erede della tradizione storiografica prussiana
dell'Ottocento, ammira- tore di Bismarck e della sua costruzione politica,
Meinecke ha ben presto concentrato il proprio interesse sulla resistenza al
dominio napoleo- nico e sul processo di formazione della Germania come stato
nazionale. Rientrano in questo filone di ricerca il volume Des Zeitalter der
deu- tschen Erhebung (Bielefeld-Leipzig, 1906) e i saggi raccolti in Von Stein
zu Bismarck (Berlin, 1909), nonché il successivo volume Radowitz und die
deutsche Revolution (Berlin, 1913) e numerosi altri studi sui rap- porti tra
Prussia e Germania. Ma esso trova la sua maggiore espressione nella prima
grande opera di Meinecke, Weltbiirgertum und National stat (Miùnchen-Berlin,
1908; tr. it. Firenze, 1930), dedicata all’esa- me del processo di traduzione
in termini politici dell'ideale nazionale tedesco, e del contemporaneo processo
di allargamento dell’atteggiamento politico prussiano che fa suo quell’ideale c
gli offre una base concreta di realizzazione. La « nazione culturale » tedesca
e la « nazione territoria- le» prussiana appaiono qui i termini dialettici di
una relazione in virtù della quale la Germania perviene a costituirsi come
stato nazionale. Il 884 FRIEDRICH MEINECKE punto di arrivo di tale processo
viene indicato nell'opera di Bismarck, di cui Meinecke fornisce una
giustificazione storico-politica, riconoscen- do in essa la confluenza di uno
sforzo storico secolare. Nel corso di quest’analisi Meinecke enuncia una
concezione dello stato che appare fondata sull’attribuzione ad esso del
carattere dell’individualità: in quan- to individuo, lo stato possiede il
diritto all'auto-determinazione, e il suo compito è quello di provvedere alle
condizioni che garantiscono la permanenza e l’accrescimento della sua potenza.
Il distacco dal cosmopo- litismo illuministico appare quindi la premessa
indispensabile per il riconoscimento del valore autonomo dello stato, del suo
diritto ad affer- marsi e a farsi valere nei confronti degli altri stati.
Questa prospettiva, al tempo stesso politica e filosofica, è stata posta in
crisi dalla guerra e dalla sconfitta tedesca. Se già negli anni di Strasburgo,
e soprattutto in quelli di Friburgo, Meinecke aveva corretto in senso liberale
il giovanile nazionalismo conservatore di stampo prussia- no, dopo il 1918 egli
appoggia la repubblica di Weimar, pronunciandosi in favore della democrazia.
Ciò lo spinge — sulle tracce di Weber e di Troeltsch, suo collega a Berlino —
ad assumere un atteggiamento critico verso la soluzione bismarckiana del problema
nazionale tedesco e a ricono- scerne le insufficienze. Fin dai saggi raccolti
nel volume Nach der Revolution (Minchen-Berlin, 1919) egli intraprende così
un'opera di revisione delle prospettive storiografiche tradizionali, da lui
stesso condi- vise negli anni precedenti, la quale si tradurrà, sul piano
politico, in una costante opposizione al nazismo. Questo diverso orientamento
di pensie- ro si rivela chiaramente nella seconda grande opera di Meinekce, Die
Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte (Minchen-Berlin, 1924; tr. it. Firenze,
1942), che ha il suo motivo conduttore nell’antitesi tra krdtos ed éthos, tra
potenza e spirito. Quest’antitesi si presenta, agli occhi di Meinecke, come
costitutiva del mondo della politica; e nel prevalere della potenza sullo
spirito — quale si è avuto appunto nella storia tedesca da Bismarck in poi —
egli addita il demone intrinseco alla politica. Lo stato è nel medesimo tempo
potenza e spirito; ma proprio per questo motivo non deve smarrire la propria
essenza spirituale, riducendosi a mera potenza. In quanto condizionata da una
situazione oggettiva, e quindi inserita in una serie di rapporti causali,
l’esistenza dello stato sorge su una base naturale; ma lo stato è pure
orientato verso la realizzazione di valori, e perciò si eleva a una vita
spirituale. La «ragion di stato» (che dà il titolo all'opera) è il ponte
gettato tra la potenza e lo spirito allo scopo di risolvere la loro antinomia e
di garantire la permanenza dello spirito nell’ambito della politica. Ma tale antinomia
non è altro che un caso specifico di un contrasto più generale, quello tra il
fondamento naturale della storia e il compito, ad essa inerente, di realizzare
valori culturali. In questi stessi anni, attraverso la FRIEDRICH MEINECKE 885
collaborazione con Troeltsch e lo studio dell'idea della «ragion di stato »,
Meinecke approda anch'egli alla teoria dei valori. Fin dal saggio
Personlichkeit und geschichiliche Welt (1918), egli aveva rivendicato
l'autonomia della personalità, definendola in base al rapporto tra necessi- tà
e libertà, poi ripreso per qualificare la potenza e lo spirito nella loro
antitesi; in seguito, in Ernst Troeltsch und das Problem des Historismus (1923)
e in Kausalitàten und Werte in der Geschichte (1924), l’afferma- zione dell'autonomia
dei valori rispetto alle serie causali che costituisco- no il processo storico
lo conduce a doverne giustificare l’assolutezza, messa in questione dalle
conseguenze relativistiche dello storicismo. Dopo essersi opposto all'avvento
del nazismo, Meinecke è costretto al silenzio dopo il 1933, e nel ’35 deve
lasciare Ia direzione della « Histori- sche Zeitschrift ». Il problema dello
storicismo e del suo rapporto con i valori diventa, in questo periodo,
l'oggetto principale della riflessione e dell'analisi storica meineckiana.
Convinto che lo storicismo non conduca necessariamente al relativismo, ma possa
coesistere con la fede in valori assoluti — secondo l'insegnamento che egli
trova in Goethe e in Ranke — Meinecke traccia, in Die Entstehung des Historismus
(Minchen-Ber- lin, 1936; tr. it. Firenze, 1954), un ampio quadro dello sviluppo
dello storicismo dalle sue origini settecentesche fino alla cultura romantica.
Al suo inizio, lo storicismo si è affermato in antitesi al giusnaturalismo e al
suo presupposto di una ragione umana immutabile, depositaria di un sistema di
verità eterne: l'atteggiamento giusnaturalistico appare così il grande
antagonista dello storicismo. In seguito lo storicismo ha fatto valere, nel
pensiero tedesco della fine del secolo xvitt, una diversa forma di
considerazione della realtà, fondata su due princìpi — il principio
dell’individualità di ogni fenomeno storico e il principio dello sviluppo. Ma
questa concezione individualizzante ed evolutiva del processo storico non
riveste senz'altro un significato relativistico; e proprio la lezione di Goethe
e di Ranke ci dimostra che lo storicismo non esclude la possibili tà di
considerare ogni epoca, ogni momento della storia in riferimento a valori
assoluti. In vari saggi, poi raccolti in Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn
der Geschichte (Leipzig, 1939; tr. it. Napoli, 1948) e negli Aphorismen und
Skizzen zur Geschichte (Leipzig, 1942, 1953; tr. it. Napoli, 1962), Meinecke ha
ribadito — richiamandosi soprattutto a Ranke — la presenza dell’assoluto nella
storia, e al tempo stesso la sua irriducibilità al processo storico. Ma in tale
maniera il rapporto tra immanenza e trascendenza dei valori viene a
configurarsi come un mistero, la cui soluzione può essere fornita non già in
termini razionali, ma soltanto dal ricorso alla fede. Dopo la fine della guerra
e il crollo del nazismo Meinecke ha ripreso la critica dell’edificio politico
bismarckiano, cercando — in Die deutsche Katastrophe (Wiesbaden, 1946; tr. it.
Firenze, 1948) — una spiegazione 886 FRIEDRICH MEINECKE del fenomeno nazista
che ne individuasse le radici profonde nella storia tedesca. Questa critica lo
ha pure condotto a moderare l’entusiastico richiamo a Ranke delle opere
precedenti, e a rivalutare invece l’importan- za di Burckhardt. In seguito ebbe
gran parte nella costituzione della Freie Universitit di Berlino-Ovest, di cui
fu il primo rettore. Morì a Berlino-Dahlem il 6 febbraio 1954, più che
novantenne. NOTA BIBLIOGRAFICA Gli scritti di Meinecke sono stati raccolti nei
sette volumi dei Werke, pubblicati tra il 1957 e il 1968 per iniziativa del
Friedrich-Mei- necke-Institut della Freie Universitit di Berlino, ad opera
dell'editore Oldenbourg di Minchen, della Toeche-Mittler Verlag di Darmstadt e
della Koehler Verlag di Stuttgart. Il primo volume (a cura di W. Hofer,
Miinchen, 1957) contiene Die Idee der Staatsrison in der neueren Geschichte; il
secondo (a cura di G. Kotowski, Darmstadt, 1958) racchiude le Politische
Schriften und Reden dal 1910 al 1951, ordinate cronologicamente; il terzo (a
cura di C. Hinrichs, Miinchen, 1959) comprende Die Entstehung des Historismus;
il quarto (a cura di E. Kessel, Stuttgart, 1959) raccoglie, sotto il titolo Zur
Theorie und Philo- sophie der Geschichte, i principali saggi metodologici e
filosofici, tra cui Persòonlichkeit und geschichiliche Welt, Kausalititen und
Werte in der Geschichte, Geschichte und Gegenwart, gli scritti minori sulla
storia dello storiciimo e in particolare su Goethe, Schiller, Schleiermacher,
Ranke, Dilthey, Troeltsch, Spengler ecc.; il quinto (a cura di H. Herzfeld,
Miinchen, 1962) contiene Weltbirgertum und Nationalstaat; il sesto (a cura di
L. Dehio e P. Classen, Stuttgart, 1962) racchiude un'ampia scelta di lettere,
col titolo Ausgewdhlter Briefwechsel; il setti- mo (a cura di E. Kessel,
Miinchen, 1968) raccoglie, sotto il titolo Zur Geschichte der
Geschichtsschreibung, numerosi saggi su Ranke, Burck- hardt, Droysen, Sybel,
Treitschke, Lehmann, Delbriick, Baumgarten, Schmoller, Lamprecht, Dove, Below,
Neumann ecc. Rimangono al di fuori di questa raccolta diversi volumi, in
particola- re la monografia su Boyen, il volume Das Zeitalter der deutschen
Erhebung, il volume Radowitz und die deutsche Revolution, e altri già
menzionati nella nota biografica. Ad essi si devono aggiungere î due libri di
memorie Er/ebtes 1862-1901, Leipzig, 1941, e Strassburg-Freiburg- Berlin,
1901-1919, Stuttgart, 1949, poi raccolti in unico volume col titolo Erlebtes
1862-1919, Stuttgart, 1964 (tr. it. Napoli, 1971). Dell’ampia letteratura critica concernente l’opera e il pensiero di
Meinecke segnaliamo gli studi seguenti: 888 FRIEDRICH MEINECKE F. CHÙiasop, Uno
storico tedesco contemporaneo: Federico Meinecke, « Nuo- va rivista storica »,
XI, 1927, pp. 592-603. E. Seeserc, Zur Entstehung des Historismus: Gedanken zu
Friedrich Meineckes jiingstem Werk, « Historische Zeitschrift », CLVII, 1937,
pp. 241-66. W.
Horer, Geschichtsschreibung und Weltanschauung: Betrachtungen zum Werk
Friedrich Meineckes, Miinchen, 1950. W. Goetz, Friedrich Meinecke: Leben und Persònlichkeit, « Historische Zeitschrift
», CLXXIV, 1952, pp. 231-50 (l’intero fascicolo è dedicato a Meinecke, ma
contiene anche saggi di altro argomento). L. Denio, Friedrich Meinecke: der Historiker in der
Krise, Berlin, 1953. H. Hottpack, Friedrich Meinecke: das Machiproblem in der
neuesten deutschen Geschichte, « Hochland », XLVI, 1953-54, pp. 437-51. F.
CuÙason, Federico Meineke, « Rivista storica italiana », LXVII, 1955, pp.
272-88. P. J. Wotrson, Friedrich Meinecke, « Journal of the History of Ideas »,
XIV, 1956, pp. 511-25. R. W. SterLIino, Ethics in a World of Power (The
Political Ideas of Friedrich Meinecke), Princeton, 1958. A. Neeri, Saggi sullo storicismo tedesco: Dilthey e
Meinecke, Milano, 1959, parte II. S. Pistone, Federico Meinecke e la crisi
dello stato nazionale tedesco, Torino, 1969. F. Tessitore, Friedrich Meinecke
storico delle idee, Firenze, 1969. Un'ampia bibliografia degli scritti di e su
Meinecke è fornita da A. M. Reinotp nel fascicolo speciale della « Historische
Zeitschrift » dedi- cato a Meinecke, CLXXIV, 1952, pp. 503-23; successive
indicazioni si pos- sono trovare nei volumi sopra menzionati di S. Pistone e F.
TESssITORE. PERSONALITÀ E MONDO STORICO * Quando ho accettato di svolgere il
tema della conferenza odierna, ho subito chiarito a me stesso che le
applicazioni pedagogiche (che ci si attende forse in primo luogo da questa
conferenza) potevano esaurirsi in breve tempo, mentre i princì- pi e le
convinzioni generali da cui esse devono scaturire si affacciano su problemi che
oggi toccano non soltanto lo storico, ma ogni uomo che aspiri alla personalità.
Parlare di questi problemi e prima ancora confrontarmi con essi, mi stimolava
tanto più fortemente quanto più le tempeste di quest'epoca, nel mezzo della
lotta e della preoccupazione senza respiro a cui ci costringono, hanno
ridestato in noi tutti una nuova pre- potente nostalgia per il raccoglimento
interiore e per l’auto-ri- flessione. La questione principale sarà quindi la
seguente: che cosa significa il mondo storico per la formazione della persona-
lità? Dalla risposta che ne seguirà si potranno trarre subito, e facilmente, le
conseguenze per lo spirito e il metodo dell’inse- gnamento della storia. Ma che
cos'è — dobbiamo chiederci anzitutto — la persona- lità, che cosa vuole e deve
essere? Il detto di Goethe, che la personalità è la felicità suprema dei figli
della terra, risuona * Die Bedeutung der geschichtlichen Welt und des
Geschichtsunterrichts fiir die Bildung der Einzelpersonlichkeit, «
Geschichtliche Abende im Zentralinstitut fir Er- zichung und Unterricht », 2,
Berlin, E.S. Mittler und Sohn, 1918, 2* ed. col titolo Personlichkeit und
geschichtliche Welt, 1922, poi raccolto in Staat und Persònlichkeit, Berlin, E.
S. Mittler und Sohn, 1933, pp. 1-27, e in Schaffender Spiegel (Studien zur
deutschen Geschichtsschreibung und Geschichtsauffassung), Stuttgart, K. F.
Kochler Verlag, 1948, pp. 211-228, infine in Werke, vol. IV: Zur Theorie und
Philosophie der Geschichte (a cura di E. Kesscl), Stuttgart, K. F. Koehler
Verlag, 1959, pp. 30-60 (traduzione di Sandro Barbera e Pietro Rossi). 890
FRIEDRICH MEINECKE all'orecchio come il suono di campana di una chiesa che ci
dà, nelle dispersive cure quotidiane, una promessa quieta e regolar- mente
ripetuta, una promessa che è però, al tempo stesso, una richiesta. E invero
essa promette e richiede da noi una certa costanza interiore in mezzo a tutte
le cose esterne che ci assedia- no e che ci pongono in uno stato di attività o
di compartecipa- zione, ossia un limite saldo che possiamo e dobbiamo custodire
tra l’interno e l’esterno, e che deve non già chiudere ermetica- mente
l’interno, ma regolare e guidare il suo rapporto con il mondo esterno, un
santuario interiore con vie di entrata e di uscita, egualmente adatto per
riposare tranquillamente e racco- gliere le forze in noi stessi come per
scaricare attivamente tali forze verso l’esterno; in breve, un mondo autonomo e
tuttavia organicamente connesso con il grande mondo, singolare e inso-
stituibile, e tuttavia soltanto configurazione particolare di forze universali
della vita, libero in sé e tuttavia dipendente dalla totalità, che abbraccia
contemporaneamente, al di là di tutto questo, l'elemento più reale e vivente
che abbiamo e che nessuna critica della conoscenza può sottrarci, vale a dire
l’io consapevole di se stesso. Questo elemento più vitale di ogni altro ci è
dato dalla natura come un dono miracoloso. Un miracolo altrettanto grande, ma
che richiede un’elaborazione attiva, è quello di costruire in base ad esso la
personalità e di elevarci in tal modo al di sopra della semplice natura. Si
comprende che la personalità dev'essere la felicità suprema dei figli della
terra soltanto quando si diventa consapevoli di que- sto duplice miracolo.
Mentre la natura costringe tutta la vita di altro genere che essa reca alla
luce nei ferrei vincoli della determinatezza, all’uomo essa lascia la possibilità
di sciogliere questi vincoli, di costruire in sé un mondo della libertà, di
curare in esso il bene supremo della libertà — peculiarità inimi- tabile —
senza però perdere la connessione con tutto il resto della vita. Non si può
essere felici nell’isolamento completo, ma non si può esserlo neppure nella
completa fusione con il mondo esterno. Per diventarlo si deve sentire nella
libertà il legame e la partecipazione alla totalità della vita e sentire di
nuovo in ogni legame e in ogni comunanza la libertà e l’unici- tà della propria
vita. In questo rapporto della personalità con il mondo è prefigurata al tempo
stesso la forma originaria FRIEDRICH MEINECKE 801 di ogni buona e vitale
costituzione dello stato e della società. Il singolo e la totalità, l'io e
l’ambiente — nella loro azione reciproca, nella loro auto-conservazione
reciproca all’interno di una connessione inseparabile scorre anche la vita
storica. Sorgono così due problemi: che cosa significa la personalità per il
mondo storico? e che cosa significa il mondo storico per la formazione della
personalità? Viene subito in luce che il primo problema è stato trattato molto
più di frequente, e in modo manifestamente più interessato del secondo. Forse
che in ciò si manifesta un certo sentimento di fondo che la prima questione sia
più importante della seconda? Bisognerebbe am- mettere che la totalità ha
maggior valore del singolo e che si tratta anzitutto di indagare questa
totalità del mondo storico nei fattori in essa operanti? Non c’è dubbio che in
questo privilegiamento del primo problema si palesano sia lo spirito sto- rico
del secolo x1x sia l’allargamento della vita storica complessi- va che ha avuto
luogo nel corso di esso. Agli inizi e fino al culmine della filosofia
idealistica si muoveva ancora dai bisogni della personalità; in Kant e in
Fichte era quindi dominante il problema della libertà etica. Ma già in Hegel il
processo stori- co complessivo, che travolge gli individui — lo vogliano o no —
nella sua corrente, diventava il tema predominante. Con lo sviluppo della
moderna scienza storica e con l’importanza cre- scente delle masse si giunse
quindi alla grossa disputa tra ten- denza collettivistica e tendenza
individualistica. Il collettivi- smo e — in intimo accordo con esso — il
positivismo e la nuova scienza sociologica presero le mosse, nella loro
imposta- zione dei problemi, dall’importanza predominante delle colletti- vità
rispetto agli individui. La tendenza individualistica della scienza storica e
la filosofia ad essa prossima si sentivano, nei confronti di quelle tendenze,
più in difesa che all'attacco, e si sforzavano al tempo stesso
coscienziosamente di riconoscere il nucleo di legittimità presente nelle tesi
dei collettivisti. In tal modo sulla nostra immagine della storia è stata distesa
una robusta rete di nozioni collettivistiche e, di fronte alla pres- sione
esercitata dalle grandi forze della vita storica comples- siva sul singolo
individuo, sempre più fievole è diventata la questione del senso e dello scopo
del mondo storico per la formazione delle personalità libere e singolari.
Quest'ultima mi- 892 FRIEDRICH MEINECRE nacciava di fatto di perdere importanza
e di recedere da scopo in sé a mezzo subordinato nei confronti del corso
complessivo. Dovremo ancora occuparci della situazione che ne risultava per il
rapporto della moderna personalità con il mondo storico. Una cosa è però certa,
cioè che le due questioni dell'importan- za della personalità per la storia e
dell’importanza della storia per la personalità sono connesse tra loro, e che
la risposta all'una pregiudica sempre la risposta all’altra. Coloro che soste-
nevano l’importanza della personalità per la storia lo facevano proprio perché
sentivano profondamente l’importanza del mon- do storico per la loro propria
vita personale. Essi nascon- devano con pudore il loro interesse etico-pratico
mascheran- dolo sotto un problema di pura conoscenza. Ora noi torniamo a
districarlo chiarendoci le conseguenze del collettivismo e del-
l’individualismo per il nostro problema. Il collettivismo nella sua forma più
netta vede nell’indivi- duo solamente un punto di intersezione e di passaggio
delle varie forze sociali. Le grandi istituzioni, i costumi e le opi- nioni —
diventati stabili — dei gruppi sociali e delle comunità dei popoli trascinano e
attraversano l’individuo inerte, che dal- la natura ha ricevuto il carattere di
un individuo da gregge. Pertanto progresso e sviluppo verso nuove istituzioni e
nuove intuizioni non sono l’opera di singoli uomini, ma l’espressione di mutati
rapporti di vita esterni. Gli individui, che sembrano rappresentare €
realizzare questi rinnovamenti, sono soltanto gli esponenti di rapporti e di
tendenze più generali. Il mondo storico, così come viene praticamente vissuto
nella sua pienezza di istituzioni tramandate e di forze vitali, ha quindi sì
un’im- portanza enorme e addirittura predominante per l’individuali- tà, ma non
lascia spazio né materia alla costruzione di una libera e singolare personalità
da parte dell'individuo. Ciò che appare sotto forma di personalità libera e
incomparabile viene costruito piuttosto dall'ambiente, e tutti i materiali
dell’edifi- cio derivano da questo. La composizione di tali elementi all’in-
terno del singolo individuo può essere singolare e individuale, ma soltanto
come la composizione dell'immagine multicolore nel caleidoscopio. Inoltre il
mondo storico, così come può esse- re vissuto teoricamente nell'indagine e
nell’intuizione del passa- to, darà alla testa pensante la seria e rigorosa
nozione fonda- FIMEDRICH MEINECKE 893 mentale che l’uomo è fatto di materia
comune e che l’abitudine è la sua nutrice. Tuttavia un deprimente determinismo
di tal genere non è rimasto l’ultima parola delle teorie positivistiche e
collettivisti- che. Piuttosto, proprio dal loro centro risuona il richiamo al
progresso e all’ascesa, alla liberazione dell'umanità dalla gravo- sa pressione
del passato. Ma la sua speranza si collega in tal mo- do non alle forze
etico-individuali, ma a quelle etico-sociali. Esse credono alla presenza e alla
crescita graduale di una ragione collettiva, di una disposizione generale
dell'umanità — o di certe razze dell'umanità — a sollevarsi dallo stato di pura
naturalità, attraverso lo stadio di semi-civiltà, fino a uno stato di popoli
compiutamente civili. E questo processo di incivili- mento raggiunge poi anche
il singolo individuo, lo arricchisce e lo libera in qualche misura, crea il
moderno uomo civile e il moderno soggettivismo — ma sempre soltanto in virtù di
un’or- ganizzazione generale che sta al di sotto di esso e lo spinge in avanti.
Anche ogni etica pratica che si connetta a questo modo di vedere procede in
maniera caratteristica dall’affermazione di possibilità generali, di diritti
universali, di libertà e di migliora- menti della situazione sociale, economica
e politica che devono mettere l’individuo in grado di partecipare, secondo la
misura delle sue doti, a tutti i beni culturali elaborati dalla collet- tività.
Questo è il processo ideale della moderna democrazia occidentale, la quale
riposa ampiamente su presupposti positivi- stici e collettivistici. Ma con
questo tipo di costruzione teore- tica e pratica del mondo storico — dobbiamo
ora chiederci — si può sviluppare la piena felicità di ciò che Goethe intendeva
parlando di personalità? Ciò è possibile soltanto se essa dimenti- ca i tetri
presupposti di questa costruzione, se essa si sente non soltanto come prodotto
di uno sviluppo generale, come compar- tecipe dei suoi frutti — dei dividendi
da esso in certa misura versati — ma anche come portatrice di uno sviluppo
individua- le del tutto specifico, come detentrice di un grado elevato di
libera auto-determinazione, come proprietaria di una fonte na- scosta di vita
spontanea. Un positivismo intelligente si spinge anche fino ad ammettere che
una fede siffatta è utile per susci- tare nell’individuo il massimo di forza e
di felicità, perché l'illusione di essere liberi ha lo stesso effetto di
esserlo veramen- 894 FRIEDRICH MEINECKE te. Quest'illusione può poi aggirarsi
nella luce crepuscolare del dubbio e della fede, come ama fare il moderno uomo
di cultu- ra, spiritualmente differenziato e soggettivisticamente eccitabi- le.
Su tale via si possono ottenere molteplici sensazioni e im- pressioni sul
rapporto tra io e mondo, un raffinato auto-godi- mento, anche uno slancio
ostinato verso uno stato di superuo- mo con prove svariate e perfino eroiche:
spesso incontriamo queste disposizioni nei profili dei nostri giovani in
uniforme, e la nostra poesia e la nostra arte più recenti ne sono piene. Ma una
quieta e profonda chiarezza sul rapporto del mondo stori- co con la
personalità, un’armonica sicurezza della personalità, un vittorioso superamento
del dubbio paralizzante e distruttivo sul valore della vita storica non possono
essere ottenuti in que- sto modo. Per sciogliere tale dubbio occorre partire da
un’altra conce- zione della personalità — proprio da quella che sviluppavo in
apertura. Essa non si fonda soltanto sul fatto che ci è gradita e forse ci
aiuta nella lotta della vita, ma sul fatto che viene richiesta sia da un’auto-osservazione
immediata sia da una con- siderazione impregiudicata della vita storica.
L’auto-osservazio- ne ci insegna che la ferrea legge causale, entro cui vediamo
incatenata senza eccezioni la vita storica, ha tuttavia la sua radice ultima
solamente nella profondità dello spirito umano, e che da questa stessa
profondità scaturiscono anche altri bisogni, altrettanto costrittivi, che non
permettono di considerare il mondo storico soltanto come una sezione dalla
generale connes- sione causale della natura. Lo spirito umano crea, ed è
costretto a creare — in base a un impulso spontaneo e a una disposizio- ne
originaria — un mondo di valori spirituali ed etici i cui destini sono sì
sottoposti nella vita alla legge causale e al mutare delle cose, ma la cui esîstenza
in sé rivela nell'uomo una sfera superiore alla connessione naturale e causale.
Costrui- re questa sfera non vuol soltanto dire creare la cultura e la storia,
ma vuol dire anche creare la personalità; poiché alla personalità spetta
conservare e continuare i valori della cultura una volta creati — questa è la
sua funzione storica. Tali valori culturali non sono solamente, come vuole il
positivismo, puri prodotti causali di rapporti e di forze generali —
certamente, questi vi cooperano potentemente e devono essere assolutamen-
FRIEDRICH MEINECKE 895 te riconosciuti — ma sono affidati, per mantenere la
loro vitali- tà ed essere incrementati, al lavoro comune di innumerevoli
individui singoli. Non è soltanto la grande personalità domi- nante, l’eroe nel
senso di Carlyle, che fa la storia e produce la cultura; ogni singolo uomo in
cui si è destata una vita spiritua- le, liberata dal vincolo naturale, vi
coopera e può contribuire ad essa con qualcosa di originale e di proprio. In
tutte le nuove formazioni della vita storica la ricerca deve sempre, quando vi
riesce, indagare più a fondo la loro genesi; deve sentire il respiro della vita
individuale e personale — uomini che non erano soddisfatti di sopportare ancora
pazientemente il passa- to, di essere mera impronta dell'ambiente e di rimanere
un numero nella massa oscura, ma che aspiravano inquieti, con nostalgia e
desiderio, ad acquistare per sé un frammento di libertà e il dominio
sull’ambiente, di imprimere nell'ambiente un frammento del proprio io, creando
il bene come il male ma diventando con ciò fermento della storia. Certamente,
si deve subito aggiungere che ogni elemento di novità che la personali- tà
singola può imporre alla vita storica si trova nella più stretta continuità e
connessione causale con l’antico, con ciò che è tramandato, e ne è a ogni passo
condizionato e delimita- to. La libertà di movimento e il carattere specifico
della persona- lità possono sì apparire talmente piccoli che si capisce che si
sia voluto eliminarli dalla storia considerata come fattore essen- ziale; ma
sono abbastanza grandi per poter comprendere il miracolo per cui lo spirito si
è sollevato al di là dei limiti della natura, nonostante ogni legame con essa,
e ha potuto produrre un mondo storico. Soltanto a questo punto possiamo dare
una risposta all’altro aspetto, oggi dominante, del duplice problema e cercare
di chiarire l’importanza del mondo storico per la costruzione del- la
personalità. Fin dal principio esso assume ora, per l’indivi- duo, colori più
chiari e gioiosi che in una concezione rigorosa- mente positivistica del mondo
storico. E gli fa cenno dicendo: entra in me, io non ti soffocherò se ti farai
coraggio e se vorrai guardarmi nel cuore. Io non sono per te un ferreo desti-
no che non ti lascia scelta alcuna nel pensiero e nell'azione, ma sono un
compito alla cui soluzione sei chiamato a collabora- re. Devi servirmi, ma non
come schiavo, bensì come uomo 896 FRIEDRICH MEINECKE libero; poiché solamente
in quanto innumerevoli altri prima di te l'hanno fatto, sono diventato ciò che
sono e sono in grado di offrirti la mano per liberarti dall’oppressione della
legge naturale. Guardami inoltre nella pienezza delle mie confi- gurazioni,
nessuna delle quali è eguale all’altra e che pure sono tessute tutte insieme da
me. Da ciò trai la speranza che anche il tuo elemento più proprio € più
peculiare sarà conserva- to in me, anche se costituirà soltanto un piccolo filo
nel mio manto regale. E perciò ti dico: diventa libero, diventa te stesso. Il
mondo storico pone quindi alla singola personalità una richiesta generale e una
richiesta individuale. Essa deve compie- re qualcosa di universalmente valido,
impiegando tutto ciò che di soltanto istintivo è in essa presente come materia
e mezzo per scopi etici e spirituali ed erigendo così in sé il dominio di ciò
che è ideale. Anche questi scopi ideali compaiono anzitutto come qualcosa di
universale, imposti alla personalità dall’ester- no. Tutti i doveri e i compiti
— la famiglia, il lavoro, la società, la patria, lo stato e la cultura —
rientrano in questo ambito. In essi si nasce e non si può sceglierli a
piacimento, perché fin dall’inizio ci assalgono imperiosamente. Se dalla per-
sonalità non si richiedesse altro se non che, opprimendo i suoi impulsi
egoistici, essa si elevasse — in virtù dell’auto-determina- zione etica nel
senso kantiano — a organo degli interessi uni- versali e agisse soltanto
secondo massime di una legislazione universale, non si sarebbe ancora fatto
abbastanza. Si otterreb- be soltanto una libertà formale, non ancora riempita
di contenu- to; poiché il contenuto di questo agire eticamente libero ci
sarebbe fornito dal mondo esterno. E all’osservatore critico gli uomini che
volessero accontentarsi di questa specie di libertà non potrebbero ancora
apparire come personalità compiute, ma soltanto come inservienti volontari di
scopi oggettivi forse molto grandi, ma pur sempre formati dall’esterno. Inoltre
que- sti scopi storici sfocerebbero facilmente in una rigidità priva di vita, e
diventerebbero simili a quel carro degli dèi indiano il qua- le stritola le
masse dei fedeli che si buttano davanti ad esso. In questa maniera i nostri
nemici hanno rappresentato, durante la guerra, il rapporto del Tedesco con il
suo stato tramandato e ci hanno attribuito un cieco, fanatico servilismo verso
lo stato, che per fortuna è lungi da noi ma che — comunque lo Friedrich
Meinecke intorno FRIEDRICH MEINECKE 897 si consideri — può essere ammesso come
possibilità estrema di certi germi di sviluppo presenti in noi. La personalità
stessa e il mondo storico che la circonda soffrirebbero di questa specie di
rapporto, perché dalla personalità non si potrebbe trarre fuori tutto quanto
c’è in essa, tutto ciò che potrebbe servire e contribuire al mondo storico. La
dottrina dell’imperativo cate- gorico — questa legge fondamentale di formazione
della perso- nalità — dev'essere quindi integrata, così come la legge del
Vecchio Testamento ha trovato il suo compimento nel Nuovo Testamento. Diventa
te stesso — dice questa legge del Nuovo Testamento alla personalità. Coltiva la
tua peculiarità non con l’amore animale, senza capacità di scelta, per tutto
ciò che ti spinge verso la peculiarità e vorrebbe affermarsi contro il mon- do
esterno, poiché ciò conduce soltanto alla soggettività vana o all’ostinata
eccentricità. Riconosci invece la legge organica in base a cui le tue forze
individuali e i beni vitali tratti dal tuo ambiente possono connettersi in un
mondo unitario, in sé con- cluso; cerca un principio direttivo, un’idea della
tua vita in te stesso che possa valere solamente per te e per nessun altro allo
stesso modo, perché a ogni passo decisivo nella vita devi interro- gare solo te
stesso e la tua coscienza in merito al tuo dovere. Questa formazione in noi di
un’idea individuale della vita per- mette anche — come lo permetteva già
l'imperativo categorico — la lotta contro gli impulsi inferiori, sensibili, non
già per reprimerli bensì per ordinarli ed educarli, per dare anche al bisogno
presente in noi, indifferente e gregario, una nota parti- colare, un valore
consono con la totalità della vita. Nel concet- to di individualità non è
possibile infatti conservare la divisio- ne netta tra spirito e materia. La
dote naturale della natura sensibile-spirituale complessiva è e rimane il
terreno che alimen- ta la personalità; e soltanto in base all’armonia, alla
reciproca compenetrazione e illuminazione dei sensi e dell'anima cresce la sua
peculiarità, la sua bellezza e la sua forza. È un’acquisi-zione della
sensibilità moderna che essa non pretenda più di dividere questa connessione
data e vivente con un atto di violen- ta ascesi dello spirito nei riguardi del
mondo sensibile. In tal modo le svolte storiche del secolo xtx penetrano nella
formazio- ne del moderno ideale di personalità. Il carattere rigoristico 5
dell’etica kantiana tradisce ancora la sua origine dall’ascesi cri- 57.
STORICISMO TEDESCO. 898 FRIEDRICH MEINECKE stiana. Ma contemporaneamente già
nasceva, con Rousseau e Goethe, un nuovo sentimento della vita — la coscienza
dell’uni- tà ultima di natura e spirito, dello stretto e misterioso intreccio
di forze sensibili e forze spirituali, dell’accresciuta pienezza vi- tale
dell’uomo, che si immerge gioioso in questo sentimento di unità. In stretta
connessione con tutto ciò Herder, Goethe, Wil- helm von Humboldt e i Romantici
scoprivano il valore insosti- tuibile dell'individuale, di ciò che è cresciuto
in modo origina- le e singolare nella storia e nella vita. Lo spirito
realistico del secolo x1x fece uso pratico di queste nuove sensazioni e cono- scenze
in quanto, distruggendo dottrine e pregiudizi, riconob- be il diritto alla
propria esperienza e osservazione della vita, colse e sfruttò ovunque ciò che
c’è di attivo, di naturalmente dato e di potente, e cercò così anche di
dispiegare in pieno la forza dell’individuale e della personalità. Ne è
derivata — certa- mente con alcune riserve che dobbiamo ancora avanzare — una
più robusta ondata di sangue vitale per il nostro ideale di personalità. La
situazione storica che si presenta di volta in volta ha quindi un’importanza
enorme per la formazione della persona- lità. La disposizione e l’impulso a
diventare personalità è uni- versalmente umano e opera a tutti i livelli dello
sviluppo, an- che a quelli più bassi, sebbene la pressione del mondo esterno e
della tradizione permetta che su questi si dispieghino soltanto pochi germi,
particolarmente forti. Inoltre la specificità dell’am- biente storico agisce in
modo da destare in primo luogo le disposizioni che hanno una corrispondenza con
esso e da la- sciar cadere altre disposizioni, non circondate dal favore della
costellazione. Intere pleiadi di pittori o di dotti, di teste politi- che o di
nature religiose possono prosperare stupendamente in un'epoca, mentre l’epoca
successiva ricopre nuovamente quelle strade già aperte alla personalità. Un
Goethe potrebbe diventa- re ancor oggi Goethe? Appartiene alla tragicità della
vita stori- ca che la vocazione di un’epoca — si potrebbe dire la sua
predestinazione — tocchi sempre soltanto alcuni lasciando inve- ce altri, che
in epoca diversa avrebbero potuto attingere una grandezza umana, nell'esercito
sonnolento della massa. Ma un'autentica natura gocthiana metterebbe in moto i
suoi cle- menti e mediterebbe la propria ascesa anche in epoca sfavorevo-
FRIEDRICH MEINECKE 899 le. Perciò anche le masse non possono mai essere
considerate nella storia come masse del tutto morte. Esse sono piene di
personalità potenziali che, se anche non possono risplendere, gettano tuttavia
un barlume di luce sul loro ambiente. Anche i guerrieri dell'esercito
sonnolento sognano la vittoria e la glo- ria. — Buona e cattiva stagione per la
personalità si alternano quindi nel corso della storia. I tempi più favorevoli
al suo sviluppo sono quelli dell’albeggiare tra vecchie e nuove epo- che, quando
forme vitali, idee e istituzioni da tempo dominan- ti si rilassano e si
trasformano, perdendo la loro forza vincolan- te. Allora il bisogno sociale,
politico e spirituale procede incer- to alla ricerca di nuove vie; ma presto,
come in un'alta marea, spumeggia il coraggio di un pensiero e di un agire
nuovo, fresco e perfino rivoluzionario, e brulicano d’un tratto teste vitali e
originali. Così avvenne quando la Grecia passò dall’epo- ca arcaica a quella
delle guerre persiane: le rigide costituzioni aristocratiche delle sue
città-stato furono turbate dal nuovo fer- mento della democrazia, e
contemporaneamente si destò il dub- bio verso l’antica fede negli dèi. La
stessa cosa accadde nel mondo romano-germanico alle soglie tra Medioevo ed età
mo- derna, anzitutto nella vivace Italia del Rinascimento, ma an- che sul
pesante e più duro terreno della Germania agli inizi dell’Umanesimo e della
Riforma. Sarebbe però errato cercare in queste epoche l’esigenza e la capacità
di produrre nuova vita personale esclusivamente presso i rinnovatori e le loro
nuo- ve idee riformatrici. Si potrebbe piuttosto azzardare la tesi che, con
quanta maggiore forza e personalità irrompe la nuo- va vita, tanto più forza
vitale dev’esserci ancora in ciò che è vecchio. Le nuove idee non scaturiscono
mai da situazioni total- mente marce e senili. La Chiesa romana non era marcia
e senile quando Lutero se ne distaccò. Proprio ciò che vi era ancora di vitale
nel Cristianesimo medievale gli ha dato un infinito travaglio, e Lutero non si
è mai completamente sottrat- to al suo dominio. Tutte le grandi personalità
riformatrici so- no state uomini di transizione, la cui interiorità era «campo
di battaglia tra due epoche » e il cui mondo ideale di penetran- te ricerca
mostra spesso una continuità sorprendente con la tra- dizione dalia quale si
sono liberati. Di regola il rinnovatore respinge consapevolmente soltanto una
parte di ciò che è vec- 900 FRIEDRICH MEINECKE chio, e non ne abbandona mai
completamente il terreno. Ma i conflitti che ne derivano sono adatti, come
nessun altro, ad agitare l’assopita profondità dell’uomo, spingendolo a
raccoglie- re saldamente e a organizzare gli elementi della sua natura per
poter affrontare la lotta con il passato e il mondo esterno — e costruire così
la personalità. Allora anche nature di media forza e di medio talento possono
innalzarsi al di sopra di se stesse. Ulrico di Hutten' non era affatto un
pensatore profon- do né un carattere armonico, e probabilmente in tempi norma-
li non sarebbe andato oltre una certa varietà problematica di impieghi del suo
focoso impulso vitale; nella sua nuova missio- ne crebbe nel volgere di pochi
anni, quasi di colpo, fino a diventare una personalità orgogliosa, libera e
sicura di sé. Con un grande senso delle condizioni di vita della personalità
Con- rad Ferdinand Meyer? ha contrapposto allo Hutten morente il giovane
Loyola?, uno dei massimi maestri della storia universa- le per quanto riguarda
la costruzione della propria personalità. Anche il vecchio mondo può infatti
mostrare, in queste epo- che rivoluzionarie, di che cosa sia ancora capace, e
gettare con- tro l'epoca nuova potenti caratteri rappresentativi. Quando un
secolo fa la Prussia muoveva i primi passi decisivi da stato organizzato in
base a ceti a stato borghese-nazionale e tutta una serie di importanti
personalità si sollevava storicamente all'altezza di questo compito, era al
tempo stesso uno spettaco- lo magnifico vedere lo Junker Marwitz* impegnarsi in
una lotta cavalleresca, da antico gentiluomo della Marca, come in 1. Ulrico di
Hutten (1488-1523), umanista tedesco, autore dell’Ars versificandi (1511), del
Mordus gallicus (1519) e di vari altri scritti, fu coinvolto nella vita poli-
tica c nelle polemiche letterarie della Germania del primo Cinquecento; fu tra
i mag- giori collaboratori della raccolta di Epistelae obscurorum virorum
(1517). Allo scoppio della Riforma prese posizione contro la Chiesa romana, cd
ebbe un'aspra polemica con Erasmo. 2. Conrad Ferdinand Meyer (1825-1898), poeta
c romanziere svizzero, autore di Balladen (1867), di Romanzen und Bilder
(1870), del poema Muttens letzte Tage (1871) e di un altro pocma su Engelberg
(1873), nonché di numerose altre poesie e di romanzi, soprattutto di argomento
rinascimentale, come /iirg Jenatsch (1876) c Der Heilige (1880). Mcinccke si
riferisce qui, ovviamente, al pocma su Hutten. 3. Ignazio di Loyola
(1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, una delle più cminenti figure
della Controriforma cattolica. 4. Friedrich August Ludwig von der Marwitz
(1777-1837), generale dell'esercito prussiano dal 1817, vagheggiò la
restaurazione della vecchia società organizzata in base ai «ceti »: le sue
opere sono apparse postume nel 1852. FRIEDRICH MEINECKE 901 un’armatura
sferragliante, contro l’epoca nuova. Anche il conte- nuto vitale della vecchia
epoca può essere spesso toccato dalle nuove idee, nonostante la sua resistenza
esterna, e presentarsi quindi in modo particolarmente ricco d’interiorità e
raffinato. I colti amici di Federico Guglielmo IV, accesi di entusiasmo per l’autorità
di diritto divino e per il vecchio stato patrimonia- le, vedevano nel
soggettivismo e nel panteismo dei moderni un peccato mortale; tuttavia non
sempre potevano, alla luce di una sottile indagine psicologica, assolversi l’un
l’altro da que- sto peccato. Per comprendere tale gioco riflesso di idee la
sem- plice storia delle idee non è sufficiente, perché essa non può non cedere
alla tentazione di vedere l’individuale come qualco- sa di soltanto ideale.
Solamente la domanda relativa all’effetto che questi intrecci di idee hanno
avuto sulla formazione della personalità conduce nel cuore dell’uomo. Ogni
epoca produce anche i suoi particolari tipi di personali- tà. Nei periodi di
ampio e inarrestato dispiegamento delle for- ze nazionali, quando le lotte di
liberazione e di unificazione gloriosamente condotte a termine, la fine dei
disordini cittadi- ni, la prosperità economica elevano il sentimento di sé,
risve- gliano la fiducia in sé e nell’epoca, stimolano il senso impren-
ditoriale, la personalità si sviluppa in modo diverso che nei tempi di lotta e
di transizione. L'Atene di Pericle, la Roma augustea, l’Inghilterra nell’epoca
di Elisabetta e l'Olanda nel suo secolo d’oro hanno vissuto periodi del genere.
Allora rece- dono le tensioni interne e le lotte psicologiche, in cui il singo-
lo cerca se stesso seguendo la sua legge; si appianano le rughe dei volti e gli
uomini ci appaiono più armonici e pacifici, più ricchi e rigogliosi. Allora
spiriti grandi, medi e piccoli possono dispiegarsi l’uno accanto all’altro in
una pienezza brulicante e recare alla luce tutto quanto è in essi presente. Un
Sofocle e un Orazio, uno Shakespeare e un Rembrandt crebbero in que- ste
condizioni. Anche i caratteri politici possono, in queste epo- che che scorrono
tranquille o — il che è assai simile — alla testa di piccoli stati non scossi
fortemente dalle lotte per la potenza, perdere qualcosa della rigida
unilateralità della loro 5. Federico Gugliclmo IV (1795-1861), re di Prussia
dal 1840 alla morte, amante dell'antichità e delle arti. 902 FRIEDRICH MEINECRE
volontà, e apparire più rilassati, più inclini al compromesso e più disposti al
godimento e a una cultura più varia. Pericle non ha sviluppato la sua
poliedrica personalità durante le guer- re persiane e neppure in quelle peloponnesiache,
ma negli opu- lenti decenni intermedi. E le repubbliche cittadine italiane e
tedesche, i piccoli e medi stati tedeschi, la Svizzera, hanno prodotto non
pochi uomini di stato forniti di una certa forza mite, di costante avvedutezza
e di equilibrio spirituale — dal borgomastro strasburghese Jakob Sturm ai
moderni uomini di stato del Baden all’epoca della fondazione dell'Impero. Non
si deve certo dimenticare che un'epoca di lotta e di transizione non è mai
esclusivamente tale, c che non vi sono neppure epoche e situazioni di pura
fioritura e raccolta. Ogni epoca storica ha sopra di sé diversi strati
atmosferici disposti l’uno sull’altro, tempestosi o sereni, e i contemporanei
cercano ora nell’uno ora nell’altro la collocazione della loro personalità.
Spesso però i caratteri più grandi e più ricchi possono muover- si
contemporaneamente con eguale energia in tutti questi stra- ti. Occorre ancora
una volta pensare al Rinascimento italiano, in cui si vedono sovrapposti
immediatamente gli strati di una forza che erompe rigogliosamente, di una
contemplazione di- mentica del mondo, di conflitti appassionati di idee e di
tenza. Nella sua qualità di uomo di stato in esilio Machiavel- li racconta come
passava il tempo nel suo villaggio giocando per alcune ore al giorno con gente
del popolo, per poi ritorna- re nel suo santuario e alzare con venerazione lo
sguardo alle opere degli antichi. Contemporaneamente, però, scriveva il li- bro
sul Principe, che conteneva una forza la quale avrebbe mosso il mondo. In questa
doppia vita di passione politica e di godimento spirituale egli ebbe un
precursore nell’imperatore Federico II”, certamente la personalità più colta
del Medioevo. 6. Jakob Sturm (1489-1553), giurista e uomo politico tedesco, fu
uno dei capi della Riforma protestante in Germania. Avviato alla carricra
ecclesiastica c poi a quella diplomatica, studiò diritto a Liegi c a Porigi;
rientrato nel 1524 a Strasburgo, fece parte del Senato c quindi, a partire dal
1526, del Consiglio dei Tredici; in seguito fu varie volte presidente del
Senato. Convertitosi alla dottrina luterana, prese parte alle controversie
religiose dell'epoca, e svolse un'intensa attività diplomatica, rappre-
sentando Strasburgo alla prima dicta di Spira e in varie altre occasioni. 7.
Federico Il di Svevia (1194-1250), re di Germania c, dal 1220, imperatore del
Sacro Romano Impero, viene qui ricordato per i suoi interessi culturali, che
fecero FRIEDRICH MEINECKE 903 Anche questi viveva in un secolo intimamente
duplice, in cui c'era la compenetrazione e l'accostamento di vecchie e nuove
idee, il rigoglioso dispiegamento della vita e lo scontro più violento; in
tutte queste sfere Federico II si muoveva con egua- le virtuosismo, artista
nella vita e uomo di volontà a un tem- po, e di durezza diamantina nel nucleo
del suo essere. Emerge qui la personalità, per alcuni aspetti comparabile, di
Federico il Grande, che dal suo secolo prese sia gli ideali filantropici e i
gusti spirituali della filosofia illuministica sia il lavoro di formazione dello
stato e della potenza che disprezza gli uomi- ni, mescolando eroicamente queste
contraddizioni nelle prove imposte dal destino alla sua personalità. Attraverso
l’irradiarsi della sua natura e delle sue azioni egli diventò uno degli
elementi di formazione delle personali tà della nostra epoca classica. Nulla
agisce in modo così imme- diato sul destarsi della personalità nell’uomo come
il modello di una personalità estranea. Tutta la vecchia concezione della
storia e la vecchia etica della storia non conoscevano consiglio migliore che
quello di fare — come ha detto Machiavelli — come l’arciere che dirige il suo
arco più in alto del bersaglio, e di scegliersi a modelli della propria
condotta di vita i maggio- ri eroi, i grandi eroi irraggiungibili del passato.
Da allora noi sappiamo che con la semplice imitazione di tratti estranei non si
è fatto ancor nulla, e che non basta l’imitazione da sola a mediare le
influenze di una personalità sull’altra. Tutti i mate- riali e gli stimoli del
mondo storico, che l’individuo trae da esso per formare la sua personalità,
equivalgono agli elementi del terreno che la pianta estrae scegliendo secondo
il bisogno della propria legge di formazione organica e respingendo ciò che non
le si confà. Federico il Grande aveva tratti quanto mai estranei, addirittura
antipatici, a Goethe, Schiller, Kant e Fichte: non si appassionavano per lui,
anzi lo rifiutavano in vari modi, ma lo rivivevano. Non potevano fare a meno
del miracolo che aveva reso possibile un uomo del genere — eroe e filosofo al
tempo stesso — nella loro epoca, che ritenevano della sua corte palermitana uno
dei maggiori centri della vita intellettuale della prima metà del secolo xt. Fu
egli stesso uomo esperto di matematica e di scienza naturale; le sue liriche ne
fanno uno dei primi pocti italiani, esponente della scuola siciliana. Alla sua
iniziativa si deve il codice promulgato nel 1231. 904 FRIEDRICH MEINECKE troppo
colta e raffinata. Sicché Federico il Grande non ha sola- mente rafforzato la
loro coscienza nazionale e l'orgoglio di essere Tedeschi, ma ha anche
consolidato — cosa ancor più necessaria per loro — la fede che la loro
vocazione e il loro dovere consisteva nel rompere i limiti della convenzione, i
pre- giudizi dell’epoca, e diventare uomini seguendo la propria legge. Anche
dai tempi in cui vissero essi e le altre personalità della loro generazione
attinsero la linfa di cui avevano biso- gno, secondo le leggi della più
individuale affinità elettiva. Essi vissero successivamente un’epoca di
dispiegamento, un’epo- ca di lotta e poi ancora una pacifica età di
dispiegamento nei giorni dell’ancien régime al tramonto, della Rivoluzione
france- se e di Napoleone, e poi della Restaurazione — una molteplici- tà
d’impressioni di incomparabile vantaggio non soltanto per coloro che da esse
furono chiamati ad agire e ad affrontare la vita, ma anche per coloro che
vollero accoglierle in sé soltanto con anima silenziosa e indipendenza
interiore. Dapprima si vinse con uno sviluppo interiore la pressione esercitata
sulla vita personale dalle invecchiate articolazioni di ceto della socie- tà e
dalla tutela da parte dello stato assistenziale; si edificò in sé un autonomo
mondo spirituale, così saldamente fondato sul- l'essenza dello spirito umano da
poter affrontare tutte le scosse e i rivolgimenti successivi delle situazioni
storiche senza suscita- re alcun dubbio sulla giustizia e sulla fecondità dei
suoi princì- pi fondamentali. La vita interiore dei nostri grandi poeti e
pensatori procedette regolare e potente senza mai deviare, pur in mezzo a tutte
le esperienze dell’epoca, dalla convinzione che lo spirito si costruisce il
corpo ed è in grado di riedificare secondo il proprio bisogno qualsiasi forma
distrutta. Perciò, non appena questo compito si presentò allo stato prussiano
do- po il 1806,.le forze erano immediatamente disponibili. Ora essi non avevano
altro pensiero se non quello di risollevare lo stato caduto in basso
risvegliando nella nazione una nuova vita perso- nale. Non già che si
immaginassero di poter creare delle perso- nalità ad opera dello stato: ciò che
si voleva creare era soltan- to la possibilità, per l'individuo, di diventare
una personalità, liberandolo dalle catene di un mondo storico invecchiato, of-
frendogli nuove forme di azione e confidando per il resto nell’a- FRIEDRICH
MEINECKE 905 lito dello spirito. E per quanto la distruzione delle vecchie
forme di stato e di società e la costruzione di quelle nuove non giungessero
allora neppure a metà cammino, questa fiducia con- servò tuttavia la sua
legittimità. Anche nell’ibrido mondo dell’e- tà della Restaurazione, che da
alcuni fu sentito e vissuto come prospero dispiegamento, come «bonaccia
alcionesca », da altri come indegna vittoria delle forze del passato sulle
forze del futuro, le personalità eruppero trovando in essa sia il sereno
silenzio di cui gli uni avevano bisogno, sia la lotta turbinosa di idee che per
gli altri costituiva l’aria vitale. Fin dopo la metà del secolo x1x l’idealismo
e l’individualismo classico han- no così fecondato, attraverso l’influenza
immediata delle loro idee originali, lo sviluppo dell’individuo a personalità.
Anche la rappresentazione dell’essenza della personalità in generale, di cui si
è detto all’inizio, si è sviluppata su questo terreno. Ma prima essa dovette
essere riconquistata perché — come ab- biamo visto — correva il pericolo di
venir svalutata da un nuovo modo di pensare dannoso alla personalità. Questa
crisi non era però altro che l’aspetto parziale di una svolta di tutta la
nostra vita storica, che da una considerazione puramente teoretica ci conduce
sempre più ai problemi pratici del nostro tempo e ci ripropone una duplice
questione: che cosa significa il mondo odierno, così com’è storicamente
divenuto, e che cosa significa il mondo storico del passato, così come esso ci
si rappresenta oggi, per la formazione della personalità moder- na? Queste due
questioni sono ancora una volta strettamente connesse tra loro. Paragoniamo i
vantaggi e gli svantaggi della nostra situazio- ne storica odierna con quella
in cui Goethe e Wilhelm von Humboldt poterono formarsi come personalità.
Anzitutto si mostrano alcuni parallelismi. Come quell’epoca dopo la pace di
Hubertusburg *, così anche noi abbiamo vissuto dopo il 1871 un'epoca di
indisturbato e rigoglioso dispiegamento delle forze nazionali. Ciò che per
quell’epoca fu la personalità di Federi- co il Grande, per noi è stato — con
un'influenza ancor più 8. È la pace che conclude, nel febbraio 1763, la guerra
dei Sctte anni, assicu- rando fino allo scoppio della Rivoluzione francese — pur
con alcune interruzioni — un lungo periodo di pace in Europa. 906 FRIEDRICH
MEINECKE costrittiva e più ampia — la personalità di Bismarck. Come quell’epoca
fu risvegliata dalla sua pace dalla catastrofe mondia- le delle guerre
rivoluzionarie, così noi siamo stati risvegliati dalla catastrofe della guerra
mondiale. Alcune somiglianze più sottili potranno un giorno svelarsi, sulla
base di questi fatti comparabili, allo sguardo dello storico. Oggi ancora non
riuscia- mo a vederle; abbiamo l’impressione che prevalgano le differen- ze
interne. Molti degli impedimenti esterni che allora ostacola- vano lo sviluppo
della vita individuale sono scomparsi — soprat- tutto le barriere sociali e i
legami della società organizzata in ceti dell’ancien régime. Il nobile non
opprime più il borghese, i contadini sono da un secolo liberi dal giogo. Nella
vita stata- le ed economica l’impulso produttivo dell’individuo, fecondato
dagli impulsi di una grande e potente esistenza nazionale, può agire in modo
incomparabilmente più libero e più ricco. An- che il costume e la condotta
della vita si sono da allora allenta- ti in modo che ogni forte bisogno
personale può manifestarsi liberamente. Le possibilità esterne di dispiegamento
della perso- nalità sembrano quindi essersi moltiplicate, mentre l’ambiente che
avrebbe potuto ostacolarlo sembra diventato più pieghevo- le e flessibile.
Abbiamo messo un individualismo di massa al posto dell'individualismo della
nostra epoca classica, limitato a piccoli strati e a piccole cerchie; e nelle
masse del quarto stato, da poco comparse sulla scena, si è oggi largamente
diffuso l’im- pulso a prender parte a tutti i beni culturali secondo la misura
della propria possibilità e del proprio desiderio. E tuttavia, nonostante tutte
queste facilitazioni e moltiplicazioni di possibi- lità, la nostra epoca non
può competere con la grandezza dell’o- pera di quella, che pur in mezzo a tutti
gli ostacoli esterni e all’angustia della vita nazionale e sociale era in grado
di costruire l’autonomo mondo spirituale della personalità. Forse che, in
presenza di un’accresciuta fecondità esterna, siamo di- ventati interiormente
più piccoli e infecondi? Può essere; ma solamente le generazioni successive
potranno giudicare in mo- do definitivo. Possiamo tuttavia forse dire, acuendo
lo sguar- do, che il compito di diventare personalità è per l’uomo moder- no
non già più facile, ma più difficile; che lo sviluppo moder- no non soltanto ha
liberato la strada da vecchi ostacoli, ma ha ammassato ostacoli nuovi e forse
maggiori. L’ideale classico di FRIEDRICH MEINECKE 907 umanità e di personalità
fu creato con la risoluzione di ignora- re l’ambiente storicamente divenuto con
i suoi ostacoli e con la sua meschinità, di collocarsi al di sopra di esso, di
metterlo in disparte per potersi accingere indisturbati alla costruzione del
mondo interiore e della libera personalità. Questa risoluzio- ne fu allora
possibile perché nell’ancien régime al tramonto lo stato e l’individuo potevano
ignorarsi reciprocamente e fare a meno l’uno dell’altro, perché non avevano
ancora nulla di es- senziale da offrirsi. Altrettanto poco sviluppati erano lo
scam- bio e l’azione reciproca tra il concreto mondo economico-socia- le e il
mondo spirituale. Questa distanza dalla vita e dalla realtà, in cui da noi si
dispiegò all’inizio la libera personalità propria dell’ideale di umanità, non
poteva però durare. La per- sonalità stessa si spinse ben presto nel calore e
nella pienezza della vita che a sua volta aveva bisogno di essa, la invocava e
le poneva compiti grandi e fecondi nello stato, nella società e nell’economia.
Questa prossimità vitale tra personalità e am- biente concreto, acquisita nella
prima metà del secolo x1x e da allora ancor sempre accresciuta, rappresentava
per la personali- tà — come sempre avviene — tanto un guadagno quanto una
perdita. Essa acquistò in fini creativi e in impulso creativo, sviluppando un
gran numero di forze e di capacità prima son- nolenti, che non ci si sarebbe
mai aspettato dai Tedeschi; per- dette in indipendenza interiore, in
auto-riflessione e in auto-de- terminazione interiore e quindi, in ultima
analisi, anche in inti- ma forza spontanea e rigenerativa. Essa correva ora, di
fatto, il rischio di diventare mera funzione al servizio dei nuovi com- piti
sui quali si gettava, di cessare di essere scopo autonomo e di diventare mezzo
per altri scopi, certo assai grandi ma pur sempre impersonali. Tutte le
istituzioni che spingono gli uomi- ni a raccogliersi in una massa — pensava il
giovane Wilhelm von Humboldt — sono oggi più dannose che mai per la forma-
zione degli individui, e l’uomo non dovrebbe essere sacrificato al cittadino.
Humboldt non poteva immaginare fino a qual punto il secolo xrx avrebbe riunito
gli uomini in masse e li avrebbe trasformati in cittadini. E non soltanto la
vita politica borghese contribuiva a raccogliere gli uomini in masse, ma anche
le diverse professioni cominciavano a impegnare la perso- nalità con forza
maggiore che nell’epoca classica. La moderna 908 FRIEDRICH MEINECKE divisione
del lavoro agevolava il lavoro collettivo e in apparen- za anche il lavoro
individuale, ma danneggiava le radici della loro forza. Essa costringeva
l'individuo a scomporsi in se stes- so, a restringere la sfera della pura vita
personale — il rifugio dell'anima in sé — per soddisfare le accresciute pretese
del mondo esterno. Ne sono nate tensioni spesso assai feconde per la formazione
del carattere, perché si voleva ora bastare insie- me a se stessi e al compito
di vita oggettivo, e nel complesso la vita tedesca è risultata più ricca di
tipi di personalità profes- sionalmente differenziati. Il moderno imprenditore,
il moder- no politico di professione, e inoltre i vecchi tipi del funziona- rio
amministrativo, dell’ufficiale, del dotto tedesco — adattati ai nuovi tempi —
presentano nel loro insieme un quadro in- comparabilmente più ricco di varie
forme di personalità oggi possibili che non quello, per esempio, della società
nobiliare dei ceti superiori che compare nel Wilhelm Meister di Goethe. Ma ora
è anche facile che il tipico sopraffaccia il singolare e l’individuale. È
chiaro che queste difficoltà, con cui deve combattere la formazione della
personalità moderna, sono prodotte da essa in virtù del suo proprio lavoro
storico, Costruendo a poco a poco le singole sfere della cultura moderna,
consacrando loro il proprio sangue vitale, accrescendo il loro contenuto e la
loro importanza, essa fece sì che queste diverse sfere ottenessero per sé anche
individualità e personalità, che entrassero in lotta tra loro per il proprio potere,
per la propria auto-affermazione. Procedendo dalla comunità spirituale-mondana
ancora origina- riamente unificata nel corpus christianum del Medioevo, venne-
ro dapprima a separarsi tra loro una sfera statuale e una sfera ecclesiastica;
ma anche la scienza, l’arte, l'economia, le classi sociali ecc. si costruirono
a poco a poco sedi proprie, e tale processo si è moltiplicato nel secolo x1x.
Queste diverse sfere culturali crescono — come gli atolli corallini — in virtù
del lavoro di milioni di personalità grandi e piccole; ciò che pri- ma era
vivente opera personale diventa ben presto opera rigi- da, inflessibile,
convenzionale, costringendo sotto il suo domi- nio la personalità che per la
prima volta si presenta al posto di lavoro. Proprio una considerazione
unilaterale di questo proces- so fu quella che produsse la dottrina
positivistica della persona- FRIEDRICH MEINECKE 909 lità. AI contrario, noi
dicevamo che le diverse sfere culturali e i beni culturali che in esse hanno la
loro sede possono conser- varsi e accrescersi soltanto attraverso l’opera delle
personalità. È chiaro però che l’epoca più favorevole per il pieno, libero,
vivente manifestarsi della personalità nel mondo culturale è ap- punto quella
in cui quest’ultima viene costruita per la prima volta e non è ancora edificata
troppo compiutamente. Dov'è possibile scoprire un nuovo territorio, là
compaiono in gran numero i grandi costruttori di cultura. Ma la nostra
situazione è simile a quella di una città vecchia e densamente abitata che
esige sì, anche nelle sue parti antiche, parecchie trasformazioni e muove
costruzioni, ma con compromessi continui, travagliati, che paralizzano il
libero volo dei progetti. Oggi il mondo stori- co è costruito tutto intorno
alla personalità — questo è il no- stro destino. Guai a te se sei un nipote!
Oppure c'è una possibilità di liberarsi dalla pressione del passato, dalle
opera operata, e di dispiegare di nuovo liberamen- te l’ala della personalità?
Forse che ci affanniamo troppo intor- no a questo passato, che sappiamo troppo
di esso e lo rispettia- mo con eccessivo timore? è forse il cosiddetto
storicismo a tor- mentarci e a renderci deboli? Ne deriva la questione di ciò
che significa per la formazione della personalità la conoscenza, l'intuizione
del mondo storico passato e l’immergersi in esso con amore — forse con troppo
amore — di cui ci vantiamo come di una delle grandi conquiste del secolo xrx. È
noto che Nietzsche cominciò la sua carriera di sovvertitore dei valori con un
attacco appassionato allo storicismo, quando nel 1873-74 scrisse la
dissertazione sull’utilità e sullo svantaggio dello stu- dio della storia’. La
moderna formazione storica — egli asseri- va — indebolisce gli istinti creativi
della personalità perché la forza plastica riposa sul dimenticare, sul poter
dormire. La sa- zietà della storia condurrebbe a una fede da epigoni, rende
l'individuo spaurito: la storia è sopportata soltanto dalle forti personalità,
mentre dissolve completamente quelle deboli, poi- ché essa confonde il
sentimento dove questo non è abbastanza 9g. Meinecke si riferisce qui alla
dissertazione Vom Nutzen und Nachteil der Historie fiir das Leben, che
costituisce la prima delle Unscitgemasse Betrachtungen, Leipzig, 1873-76. gQIO
FRIEDRICH MEINECKE forte da commisurare a sé il passato. I Greci sono stati un
popolo eminentemente astorico. Nietzsche avrebbe anche potu- to fare
riferimento alle generazioni della nostra epoca classica, che hanno prodotto la
maggiore ricchezza in fatto di personali- tà. Anch’esse erano in alto grado astoriche;
o almeno esse co- minciarono come tali. Come tennero il più possibile distanti
lo stato e l’ambiente sociale concreto, così esse trascurarono, anche nella
formazione dei loro ideali, il passato storico. Esse fecero eccezione solamente
per la Grecità, elevandola a proprio cano- ne — ma non per la Grecità storica,
bensì per la Grecità pla- smata secondo i loro propri ideali, la quale diventò
così un’ipo- stasi di questi ideali. Agiva qui un potente istinto plastico che
non si sottometteva al passato, ma che sottometteva a sé il passato
trasformandolo in leva della propria volontà di vita. Ma — miracolosamente — in
questa lotta tra la personalità e il passato accadde che anche il passato
acquistò forza, la sua ombra si riempì di sangue vitale, acquistò forma e
linguaggio e cominciò a dare testimonianza di sé. Dal movimento di pen- siero
dell’idealismo tedesco e dal Romanticismo, che ad esso si collega, sono infatti
scaturite la nuova concezione della storia e la nuova ricerca storica culminata
in Ranke. Questo movi- mento di pensiero era nello stesso tempo strettamente
connesso con quelle grandi svolte che condussero le personalità più in profondo
nella vita concreta dello stato e della società. La con- templazione storica e
Ja creazione politico-sociale del secolo xIx non devono essere separate nella
loro origine, e si sono pure continuamente fecondate tra loro. Potenti e
istintivi biso- gni fondamentali spinsero la personalità dapprima ad acquista-
re la propria libertà e autonomia in una distanza vitale priva di storia e di
stato, per inserire in seguito nel mondo storico, con l’azione e il pensiero,
la forza così acquisita. Nietzsche ha completamente trascurato il fatto che lo
storici- smo, il quale uccide — a suo parere — gli istinti creativi, era in
ultima analisi scaturito proprio da istinti creativi quali quel- li che egli
esigeva. Si è a buon diritto obiettato a Nietzsche, anche sul piano personale,
che lui, il critico amaro della cultu- ra storica, ha poi tratto la sua forza
da una cultura storica di inconsueta finezza. Una delle conoscenze più sottili
che la cul- tura storica potesse fornire era appunto la capacità di apprezza-
FRIEDRICH MEINECKE QI re anche la forza e il significato degli istinti non
storici nella vita storica. Nessuno che abbia spinto lo sguardo fin dentro i
suoi abissi potrà negarlo. E neppure si potranno negare i pericoli dello
storicismo che Nietzsche ha scoperto. Si può tuttavia por- re in dubbio la
possibilità di liberarsi dalla cultura storica una volta che la si è accolta in
sé. Si può definire un paradiso il mondo degli istinti creativi non gravati dal
sapere storico; ma una volta che si sia mangiata la mela della conoscenza
stori- ca, non possiamo più far ritorno in questo paradiso. Come nel volgersi
della personalità verso la vita produttiva, anche qui c'è una necessità storica
che ha prodotto dal suo seno gli irrobu- stimenti e gli indebolimenti della
nostra vita. Noi veniamo in- deboliti dalla cultura storica quando ci lasciamo
ridurre a puri suoi recipienti, quando ci lasciamo sopraffare da un’erudizione
massiccia che però non riusciamo a penetrare del tutto spiritual- mente. Noi
veniamo ancora seriamente indeboliti nella nostra intima forza produttiva
quando non osiamo più svincolarci dal- le dande della tradizione storica e dei
modelli storici o quando ci immaginiamo di poter padroneggiare spiritualmente
la no- stra erudizione con quel relativismo rapido e virtuosistico che crede di
comprendere tutta la realtà storica, al pari del presen- te, attraverso
un’elegante illustrazione della sua necessaria cau- salità e quindi attraverso
la sua giustificazione. A chi crede di poter in questo modo chiudere le
questioni, a chi non è capace di tacere di fronte agli enigmi e agli abissi
spaventosi dell’uma- nità storica, e anche di fronte ai miracoli divini che in
essa si manifestano, la cultura storica ha di fatto tolto dalle ossa ogni
midollo. Nietzsche ha allora ragione: essa è veleno per il debo- le, e
nutrimento per il forte. In definitiva ogni cultura, e quin- di anche ogni educazione,
deve in primo luogo pensare ai forti e non ai deboli. Ma spesso la forte
personalità trova oggi pro- prio nel mondo storico la consolazione e il
sostegno minacciati dal gravoso e opprimente presente. Essa trova consolazione
€ sostegno partecipando interiormente alle lotte del passato, la- sciandosi
scuotere dagli oscuri destini e dai poteri sotterranei che irrompono nella vita
dello spirito, lasciandosi sollevare dal- l’immortale volontà dello spirito,
per sconfiggere il destino e costruire un proprio mondo in mezzo al mondo della
ferrea connessione causale. Allora si riconosce che il problema della 912
FRIEDRICH MEINECKE vita individuale non è diverso da quello della storia
universale — cioè la contrapposizione tra libertà e necessità. Ma si ricono-
sce pure che libertà e necessità non soltanto si contrappongo- no, ma al tempo
stesso si intrecciano, e che senza il fecondo impulso coercitivo della
necessità non è possibile alcuna liber- tà. Ciò che importa è penetrare il
necessario con la libertà. Quelle potenze storiche vitali dello stato, della
società, delle sfere culturali e delle professioni, che oggi sembrano minaccia-
re più fortemente che mai la libertà e la specificità della perso- na, hanno
quest’effetto, ossia sprofondano nel regno della rigi- da necessità, solamente
quando la personalità rinuncia a traspor- re in esse il suo elemento più
proprio, sia sfuggendole codarda- mente, sia sottomettendovisi ciecamente. Ma
la pressione e la coercizione dell’ambiente storico cedono e diventano una benefi-
ca atmosfera vitale se la personalità comprende la sua posizione organica e il
suo compito nel processo storico complessivo, e riconosce la possibilità di
rimanere libera e se stessa anche al servizio della totalità. Tuttavia lo
stesso processo storico complessivo è il grande modello e la camera del tesoro
dell’individualità. L'aspetto di ricchezza infinita di forme umane ch’esso
offre dischiude spes- so nell’osservatore — come una bacchetta magica — forze
af- fini, scioglie impedimenti e pregiudizi interni, lo rende indul- gente e
comprensivo. E per quanto il senso affinato della multi- formità individuale
della vita storica possa indurre nature più deboli a perdersi in essa, il
bisogno dell’individuo più forte non si acquieterà finché non scopre la
struttura interna di que- sta pienezza brulicante, finché non scorge nella loro
lucentez- za dorata i più alti tra tutti i fenomeni individuali — le idee —
sorretti da personalità. Ma allora scocca la scintilla dentro la vita
personale, destando anche in essa l’infinita esigenza di venir governata dalle
idee. Questa via alla personalità, che passa attraverso la cultura storica, è
quindi diversa, più faticosa e più minuziosa di quel- la che indicano gli
istinti elementari di una vita tutta immersa nel presente. Qui la riflessione
deve per più versi sostituire ciò che la fresca natura non è più in grado di
fare. Essa lotta continuamente con la zavorra del materiale storico. Prima di
essere in grado di diventarne signore, lo spirito deve sottoporsi FRIEDRICH MEINECKE
913 alla pressione di un’educazione rigorosa e faticosa, la quale deve renderlo
capace di creare la vita passata dalla fonte stes- sa, anziché da torbide
derivazioni. Questo tipo di educazione rischia a sua volta di snaturarsi in
mero addestramento, perché il carattere di massa della vita moderna lo spinge a
rivolgersi più alla media degli uomini che alla individualità. Tutte le
difficoltà e le contestazioni con cui deve oggi combattere l’inse- gnamento
storico-umanistico, tutti i tormenti e le manchevolez- ze dell'esame devono qui
essere presi in considerazione. In defi- nitiva, però, il valore o disvalore di
questo processo di formazio- ne può venir riconosciuto soltanto dai frutti che
matura; e qui, ancora una volta, decide non la quantità, ma la bellezza e la
dolcezza del frutto. E presso di noi esso continua pur sem- pre a crescere
verso una nobile perfezione. Chi tra noi, che l’abbia gustato, potrebbe
rinunciarvi? Tra noi, se non voglia- mo diventare più poveri e ritornare in
basso, non può scompari- re quel tipo di personalità che nel mondo storico si
allarga fino all’infinità dello spirito e del senso, fino a una dolce e forte
sensibilità per tutto ciò che è umano. Anche la vita moderna si preoccupa che
altri tipi si ponga- no a fianco di questo e lo conservino vivo con la loro
concorren- za reciproca. È emerso, senza vincoli e risoluto, il moderno uomo di
volontà e di potere, che aspira a governare con mano salda le leve rafforzate
della civiltà, dell'economia e della tecni- ca odierna, apprezzando tutti i
valori culturali in base alla utilità ed effettualità immediata. Non è
solamente un utilitari- smo sensibile-egoistico quello che fa qui la sua
comparsa e che, se pervenisse al dominio, minaccerebbe nel modo più pesante la
vita della personalità. Anche l’utile della comunità può di- ventare un motivo
che spinge la personalità; e per sua fortu- na lo diventa in larga misura,
perché i bisogni della moderna vita comunitaria sono cresciuti così
infinitamente e sono diven- tati talmente prepotenti che nessuno può più
sottrarvisi del tut- to; essi sono in grado di sollevare al di sopra di sé
anche chi all’inizio perseguiva soltanto il proprio utile. Questa socializza-
zione della nostra vita, che è rapidamente cresciuta nel corso della guerra e
che crescerà ancor di più per le sue conseguen- ze, minaccia certamente anche
la personalità — come abbiamo osservato — con il destino di perdersi nella
totalità e di diventa- 38. STORICISMO TEDESCO. 914 FRIEDRICH MEINECKE re una
semplice funzione di essa. Ma meno di tutti ne sono minacciati proprio i più
forti tra gli uomini di volontà e di azione. Lo ha dimostrato già Bismark, che
sotto vari aspetti prefigurava questo tipo. Certamente egli aveva ancor sempre
un sentimento di partecipazione alla cultura storica più vivo di quel che
possiede di solito il moderno uomo di volontà. Que- sto tipo si trova ancora in
fase di sviluppo, ed è ancora troppo presto per valutare le possibilità di una
umanità superiore che sono in esso presenti. Ma qui e là si manifesta in lui la
buona volontà di ricostruire i ponti spezzati con la cultura storica, di
diventare al tempo stesso uomo di volontà e di spirito. Allora da un istinto
veramente plastico nascerebbe tra noi qualcosa di nuovo e di grande. Si
vorrebbe concedere la stessa fiducia anche a un terzo tipo di aspirazione
moderna alla personalità, che condivide con il corso della cultura storica il
bisogno di un contenuto culturale interiore e con l’utilitarismo il rifiuto di
una formazio- ne storica rigorosa. Si tratta del soggettivismo moderno che,
adirato contro la rigida disciplina di questa formazione, si ab- bandona,
seguendo Nietzsche, agli innati istinti originari della natura e
dell’individualità e — «il giorno innanzi a me, la notte alle mie spalle »1! —
esce allo scoperto. Ad esso si affida- no soprattutto le nature dotate
artisticamente. La loro mancan- za di rispetto per la cultura storica e il
mondo storico ha le proprie radici, in ultima analisi, nelle esperienze
storiche del secolo x1x e nella situazione tragica che esso ha creato per lo
spirito artistico. In esso sono state distrutte e lacerate le salde forme di
vita della vecchia società al pari dei saldi stili della creazione artistica.
Il nuovo, ciò che ne prese il posto nella società e nell’arte, assomigliò a edifici
a scopo di utilità o di moda, rapidamente costruiti per i bisogni della massa,
senza quella patina dignitosa, senza un gusto delle forme, ma sfigura- ti
piuttosto dal gusto rozzo degli arricchiti. La vecchia forma irrevocabilmente
perduta e il ritorno ad essa afflitto dalla male- dizione propria degli
epigoni; la nuova forma insufficiente e ripugnante, e in verità l'assenza di
forma — accompagnata tuttavia da un insopprimibile bisogno di forma: non c’era
da 1o. Goetne, Faust, v. 1087 (tr. it. di F. Fortini), FRIEDRICH MEINECKE 915 meravigliarsi
che il soggetto dotato di sensibilità artistica, sen- za sostegno nel mondo
storico e rigettato su di sé, si abbando- nasse a un’irrequieta sperimentazione
e all’escogitazione di nuo- ve forme arbitrarie, trovando la libertà della
personalità nella mancanza di legami. Ogni volta ci viene assicurato di nuovo
che ora il tempo della ricerca è finalmente passato e che è stata trovata la
nuova sintesi della vita con la nuova forma artistica. E quando ci avviciniamo
pieni di aspettative, ogni volta ci accorgiamo di una lotta di nature altamente
dotate, che però sembra condannata a una tragica mancanza di radici e
all’artificiosità. Noi comprendiamo il fatto che la loro perso- nalità
tormentata si rivolta contro la pressione che viene dal- l’ambiente odierno non
soltanto socializzato, ma anche utilitari- stico e meccanizzato; e a questo
proposito non si deve neppure dimenticare la pressione del falso storicismo,
scolasticamente meccanizzato. Ma i mezzi di difesa a cui ricorre lo spirito
soggettivistico ci sembrano violenti e spasmodici. La distanza dalla vita e
dalla realtà, in cui esso ritorna in varie guise a perdersi, non è comparabile
a quella in cui vivevano gli uomi- ni della nostra epoca classica, perché viene
soltanto artificiosa- mente estorta a una vita alle cui potenti correnti
complessive nessuna personalità sana e forte può più sottrarsi. Spesso in luogo
dell’interiorità cercata e preesistente emerge soltanto una nuova esteriorità
dall’acconciatura moderna, una mera mo- da culturale. Nel moderno
espressionismo ci si sottrae nel modo più coerente a tutti i diritti e a tutte
le catene della tradizio- ne e della realtà. Ma ancor più immediatamente la
cultu- ra storica è minacciata dalle esigenze di riforma educativa e scolastica
avanzate dal movimento giovanile. Invece noi chiedia- mo: è realmente
impossibile pensare al tempo stesso in modo moderno e storicamente? ed è
impossibile tuffarsi nella corren- te della vita moderna senza perdere la
solitudine sacra della vita interiore? Occorre anzitutto riconoscere
liberamente e coraggiosamen- te la difficile situazione in cui oggi si trova la
personalità. Noi viviamo in una cultura vecchia, ma probabilmente ancora lonta-
na dall’essere decrepita. Proprio perché oggi sentiamo di nuo- vo con tanta
passione il problema della personalità, possiamo 916 FRIEDRICH MEINECKE aver
fiducia che sotto la lava irrigidita degli strati culturali del passato, che
sovrastano la nostra vita, esso arde ancora poten- temente. Noi viviamo altresì
in un’epoca di rivolgimenti inau- diti delle condizioni di vita esterna, e come
potevamo già definire una rivoluzione ciò che avevamo vissuto nei decen- ni
prima della guerra, così possiamo farlo per ciò che è ac- caduto dopo di allora
e per ciò che dobbiamo ancora aspet- tarci. Si susseguono nuove libertà e nuove
estensioni, ma an- che nuove forme di dipendenza e nuove restrizioni della vita
individuale. Affermare il carattere aristocratico del tipo tede- sco di
formazione della personalità, come si è configurato fino- ra, è inevitabile, ma
anche infinitamente faticoso. Noi abbia- mo vissuto la successione e la
mescolanza di epoche di rigoglio- so dispiegamento e di epoche di transizione e
di lotta. Questi possono essere — come abbiamo già chiarito — tempi in cui le
personalità prosperano, ma noi percepiamo soprattutto la pres- sione e la
minaccia a cui siamo esposti. Contemporaneamente sentiamo però ancora il
potente appello che la nostra epoca rivolge alla personalità. Intorno a noi si
è accumulato un vec- chio vivente, un vecchio irrigidito, un vecchio distrutto
— un mondo insieme di vita e di ruderi, oggi scosso più fortemente che mai
dalle tempeste distruttrici e purificatrici del nuovo. Qui l’individuo deve
scegliere e distinguere, secondo la propria coscienza e il proprio impulso, ciò
che vuol affermare, ciò che vuol lasciar andare, ciò che vuol riprendere di
nuovo. Egli può farlo solamente se si conserva libero dalla coercizione gravosa
del passato, ma in profonda compartecipazione con tutti i valo- ri vitali del
passato. Pensare al tempo stesso in modo moderno e storicamente è, in una
situazione del genere, non soltanto possibile ma necessario. Soltanto così
all'impeto dall'esterno è possibile opporre la più possente — ma nello stesso
tempo sem- pre elastica. — forza interna, e conservare il nerbo vitale della
personalità, l’auto-determinazione interiore. Mai è stata più im- pellente
l’esortazione rivolta ad essa: « diventa libera, diventa te stessal ». Possiamo
adesso trarre le conseguenze per l'odierno insegna- mento della storia.
S'intende che qui non parlo soltanto dell’in- segnamento della storia in senso
stretto, ma di tutte le discipli- FRIEDRICH MEINECKE 917 ne che tramandano un
contenuto storico, delle lingue antiche e moderne così come dell’insegnamento
della religione. Esse costituiscono un’unità in cui un elemento deve integrare
l’altro e in tutti quanti devono essere presenti le stesse idee direttrici. In
primo piano si colloca il desiderio che l’insegnante di disci- pline storiche
abbia egli stesso l'impulso alla personalità. Fin dall’inizio il mondo storico
può diventare vivo ai nostri occhi soltanto attraverso la mediazione di una
personalità estranea, che sta con esso in un rapporto immediato. A ciò si
collega l’ulteriore desiderio che questo rapporto immediato con le fon- ti del
passato, a cui l'insegnante di storia si è accostato durante i suoi studi, non
lo abbandoni durante la sua professione peda- gogica. Non già che pretenda
dall’insegnante di storia un lavo- ro produttivo di ricerca, per quanto questo
sia benvenuto quan- do deriva dall’impulso del talento. Ma desidero che
l’insegnan- te di storia si faccia un diletto personale non soltanto del legge-
re, ma anche del gustare le fonti del passato in cui si rispec- chiano in modo particolarmente
individuale lo spirito e la situa- zione propri di un'epoca. Un’influenza
particolarmente fecon- da mostrano qui le opere dei pensatori dominanti dei
secoli precedenti. La cultura storica si rafforza fino a diventare forma- zione
della personalità per colui che, durante tutta la sua vita, non può fare a meno
di Platone e di Agostino, di Lutero, Machiavelli e Montaigne, di Federico il
Grande e Rousseau, dei grandi idealisti tedeschi e di Bismarck. In una lettura
siffat- ta, derivante sempre da una scelta guidata dal bisogno più inti- mo,
ripongo maggior valore che nell’attenzione che l’insegnan- te di storia dedica
alla letteratura specialistica e alle controver- sie scientifiche. Egli non
potrà mai evidentemente sottrarsi del tutto a quest'ultime; ma per conservarsi
interiormente fresco, per poter riempire l'insegnamento con fermenti di vita
persona- le, non esiste miglior mezzo della familiarità con i grandi. L'allievo
ben dotato sa distinguere con precisione l'insegnante colto da quello che è soltanto
ben informato. Se nell’insegnan- te l'impulso ad arricchirsi interiormente con
la materia che tratta, ad acquistare nell’umanità storica la propria umanità,
non diventa visibile attraverso tutto il suo sapere, l’effetto del-
l'insegnamento della storia per il destarsi della personalità futu- ra
dell’allievo può ridursi a niente. 918 FRIEDRICH MEINECRE Ai fini della
formazione della personalità non mi aspetto nulla da una preparazione
intenzionale e sistematica all’insegna- mento della storia. Ciò significherebbe
voler ottenere frutti dal- l’oggi al domani attraverso un’irradiazione
violenta. Si diventa una personalità mediante la vita, non già mediante la
scuola; attraverso il lavoro su di sé, non attraverso l’influenza da parte di
altri. L'insegnamento può soltanto gettare i primi semi in un terreno di cui
egli stesso non conosce affatto le possibilità di sviluppo, le capacità e i
bisogni. Ma egli dev'essere pieno di questa intenzione magnanima del seminatore
della parabola, e quando il suo cuore è pieno del valore delle personalità
stori- che, può anche esprimersi in parole. Egli sa bene che nulla prende
l’animo dell’allievo quanto lo spettacolo dei grandi uo- mini e degli eroi che
lottano con se stessi e con la loro epoca. Il senso storico dell’individuale si
avvinghia in generale all’in- tuizione della loro peculiarità. Nel complesso
l’insegnamento della storia rappresenterà più ciò che vi è di concluso e di
compiuto nelle personalità storiche, e non potrà evitare una certa
stilizzazione. La psiche non ancora sviluppata dell’allievo richiede anche una
tale raffigurazione semplice e monumenta- le. Ai gradi superiori
dell’insegnamento l'insegnante può an- che osare di fargli gettare uno sguardo
sui problemi del diveni- re, delle antitesi insolute, dello Sturm und Drang:
gliene offri- ranno l’occasione gli anni dello sviluppo di Lutero, di Federico
il Grande, di Bismarck. Ma nel complesso alcune parole signifi- cative, che il
maestro lascia cadere, possono spesso trasportare lo spirito dell’allievo in
uno stato di vibrazione più forte di quan- to non possa una psicologia portata
avanti con minuzia. Ciò vale in modo particolare anche per la trattazione delle
grandi poesie classiche nell’insegnamento del tedesco e delle lingue straniere.
Esse sono piene di problemi della personalità; ma tutti sappiamo anche quanto
si pecca di pedantesca prolissità nell’affrontare la materia, e quanto spesso
l’allievo non soltan- to non viene introdotto alle fonti di vita personale che
ne scatu- riscono, ma ne viene distolto con spavento. E non lo si tormen- ti
con componimenti su conflitti psicologici per la cui valutazio- ne egli dispone
soltanto di mezzi primitivil Un'unica parola accortamente allusiva
dell’insegnante, che lo induca a riflettere in maniera autonoma, lo aiuta qui
molto di più della riprodu- FRIEDRICH MEINECKE 919 zione maldestra di interi
processi di pensiero che l’insegnante cerca di inculcargli. Soprattutto, però,
si inciti l’allievo alla lettura personale e lo si incoraggi a fondare comunità
di lettu- ra con amici e compagni. Questi tentativi costituiscono spesso il
primo moto della personalità dell’allievo, il suo incontro più peculiare con il
mondo storico. All’insegnante di storia è affidata una professione particola-
rissima, che richiede al tempo stesso piena dedizione e rigoro- sa sobrietà.
Egli sta come nessun altro immediatamente in mez- zo tra il mondo storico e le
personalità del futuro. Spesso si domanderà, guardando i suoi scolari negli
occhi: quale vita storica avvenire dorme dentro di voi? Soltanto questa doman-
da può suscitare ritegno e rispetto, in modo da non fare violen- za alle radici
di ciò che può dispiegarsi unicamente secondo la propria legge. Lo stesso
timore contenuto si confà anche di fronte al mondo storico e ai suoi miracoli.
Individuum est ineffa- bile. Soltanto la venerazione e l’amore possono saldare
il lega- me spirituale tra le personalità del passato e quelle del futuro.
RELAZIONI CAUSALI E VALORI NELLA STORIA * Nell’odierno stadio di sviluppo delle
scienze storiche credia- mo di poter percepire due grandi tendenze che non
operano però isolatamente, ma ognuna delle quali reca con sé, in misu- ra
maggiore o minore, anche elementi dell’altra tendenza. Nes- suna di queste
tendenze può essere perseguita in modo unilate- rale: per ottenere il suo fine,
ognuna ha bisogno dell'altra. Ciò che per l’una appare come fine, per l’altra
costituisce una via, una guida verso il fine. Una tendenza vuol indagare rela-
zioni causali; l’altra vuol comprendere e rappresentare valori. Non è possibile
una ricerca di relazioni causali nella storia senza far riferimento ai valori,
ma neppure è possibile una comprensione dei valori senza un'indagine sulla loro
origine causale. Che cosa sono le relazioni causali? che cosa sono i valori?
Noi ci poniamo, a torto o a ragione, dal punto di vista dell’osservazione
storica immediata, e distinguiamo tre differen- ti tipi di causalità: quella
meccanica, quella biologica e quella etico-spirituale. La causalità meccanica
poggia su un’equivalen- za completa di causa ed effetto (causa aequat
effectum); la ® Kausalititen und Werte in der Geschichte, in «Historische
Zeitschrift », CXXXVII, 1927-28, pp. 1-27, poi raccolto in Staa und
Persònlichkeit, Berlin, E. $. Mittler und Sohn, 1933, pp. 28-53, c in
Schaffender Spiegel (Studien zur deutschen Geschichtsschreibune und
Geschichtsauffassung), Stuttgart, K. F. Kochler Verlag, 1948, pp. 56-93, infine
in Werke, vol. IV: Zur Theorie und Philosophie der Geschichte (a cura di E.
Kesscl), Stuttgart, K.F, Kochler Verlag, 1959, pp. 61-89 (traduzione di Sandro
Barbera e Pietro Rossi). FRIEDRICH MEINECKE 921 causalità biologica lascia
apparentemente che l’effetto oltrepas- si la causa, mediante il pieno
dispiegamento dei germi della vita a esseri viventi forniti di una propria
struttura, di una propria conformità a uno scopo e di una propria legalità; ma
soltanto la causalità etico-spirituale spezza la connessione causa- le
puramente meccanica, rappresentando impulsi spontanei del- la personalità,
diretti a determinati scopi, che non possono esse- re spiegabili né in termini
meccanicistici né in termini biologi- ci, che influenzano l’agire umano e
incidono quindi anche sul- la connessione causale di tipo meccanico — la quale
tuttavia, d’altra parte, si presenta di nuovo al nostro pensiero come onni-
potente e continua, escludendo ogni frattura. Miracolo su mira- colo. Infatti,
nella sua profondità ultima, ognuno dei tre tipi di causalità rimane
enigmatico. Il nostro pensiero viene così po- sto di fronte a contraddizioni
che non può risolvere o che può risolvere soltanto in modo illusorio e
apparente. Nella vita stori- ca, ognuno dei tre tipi di causalità si impone, in
modo indimo- strabile, come operante agli occhi del ricercatore impregiudica-
to. Egli ha continuamente a che fare con tutti e tre i tipi di causalità. Se
indaga le cause della povertà e della ricchezza dei popoli, delle vittorie e
delle sconfitte nelle battaglie, egli incon- trerà e dovrà indagare una serie
di cause operanti in modo puramente meccanico, e comprensibili in quanto tali.
La sua attenzione aumenterà allorché nei fenomeni studiati sembra compiersi un
processo interno di crescita, allorché ai suoi occhi si manifestano determinate
forme e figure di vita della comuni- tà umana che si dispiegano, si
organizzano, fioriscono in pie- no e poi di nuovo decadono secondo un proprio
processo di crescita. Ogni esistenza umana, ogni fenomeno della vita stori- ca
gli appare, in definitiva, determinato morfologicamente — ma non soltanto
determinato morfologicamente: infatti al di là di quelle relazioni causali
meccaniche, operanti spesso in maniera accidentale, intervengono anche le
azioni spontanee degli uomini, le quali possono quindi interrompere, stornare,
rafforzare o indebolire l’accadere morfologico, conferendo così alla vita
storica quel carattere intricato e singolare che si fa beffa di tutti i
tentativi di spiegarla secondo leggi prive di eccezioni. Su di essa si
imprimono perciò successivamente tre diversi sigilli: a ogni lettera, a ogni
immagine che uno di essi 922 FRIEDRICH MEINECKE imprime, si sovrappone quella
degli altri. Soltanto il dilettante crede di poter distinguere tra loro in modo
agevole e non sog- getto a obiezioni questi scritti e queste immagini. Più
sempli- ci e chiare, meno discutibili possono essere le impressioni del primo
sigillo, ossia della causalità meccanica. Ma quando si tratta di distinguere il
secondo e il terzo, è fin troppo facile incorrere nell’errore di leggerne
soltanto uno e di trascurare l’altro. La più antica concezione della storia, fino
all’Illumini- smo, vide in essa prevalentemente l'impronta di decisioni e
azioni individuali e cercò quindi — in quanto era una trattazio- ne cosiddetta
« pragmatica » della storia — di ordinare razional- mente la confusione di
queste azioni con il filo rosso di scopi razionali o irrazionali dell'agire. La
moderna concezione della storia, che ha scoperto le relazioni causali e le
formazioni so- vra-individuali della vita storica, poteva nuovamente inclinare
— se applicata in maniera dilettantesca e sbrigativa — a sotto- valutare
l’influenza autonoma dell’individuo e a considerarlo soltanto come organo di
grandi potenze e forze collettive della vita che si potevano rappresentare come
più o meno viventi, co- me sorte e operanti in modo prevalentemente meccanico
oppu- re prevalentemente organico. Il positivismo inclinava a una con- cezione
piuttosto, anche se non certo esclusivamente, meccani- ca delle forze
collettive; la tendenza più moderna, orientata invece verso l’elemento organico
— che ha raggiunto il suo culmine con Spengler — presumeva di spiegare tutti i
fenome- ni storici particolari in base alle differenti leggi biologiche di
formazione delle grandi culture. La trattazione scientifica del- la storia, che
procede da Ranke, rinunciava invece a qualsiasi spiegazione causale univoca e
generale, e di conseguenza doveva sopportare il rimprovero di fare a meno della
scientificità vera e propria; ma così vedeva in modo più fresco e immediato
l’in- treccio delle tre impronte della causalità meccanica, della causa- lità
biologica e della causalità individuale-personale. Anch’essa non poteva
rinunciare al tentativo di distinguerle tra loro e di mostrare la prevalenza
dell’azione ora dell’una ora dell’altra; ma aveva un timore naturale di
opprimere e di risolvere l’una nell'altra. Nella spiegazione dei singoli
fenomeni e nella loro disposizione i in grandi serie e formazioni essa si
lasciò guidare più da un istinto indefinibile che da un atteggiamento consape-
FRIEDRICH MEINECKE 923 vole, assunto in linea di principio. Essa considerava
l’intuizio- ne artistica e la raffigurazione artistico-intuitiva dell’accadere
non soltanto come un ornamento bello, ma in ogni caso super- fluo, della
sostanza della storia — indagata secondo un procedi- mento puramente causale —
ma come uno strumento di lavo- ro essenziale e indispensabile di fronte
all’intreccio delle tre impronte — intreccio che si può sciogliere solo in
parte, mai del tutto. La scienza assume qui dunque come strumento l’arte. Essa
vuol completare la conoscenza con mezzi che si pongono al di fuori della sfera
del conoscere vero e proprio. In altre parole, essa non rimane pura scienza che
vuol spiegare soltanto causal- mente, ma si trasforma in qualcosa d’altro.
Perciò il rimprove- ro di non-scientificità che il positivismo muove alla
scienza sto- rica condotta nello spirito di Ranke non è, dal punto di vista
formale, del tutto ingiusto. Ma questa non- “scientificità può giu- stificarsi
in base al fatto che proprio la matura delle cose, e in certa misura la complicata
situazione delle fonti storiche nel suo complesso, spinge verso tale
procedimento, che ogni tentati- vo di padroneggiare il materiale storico con
mezzi conoscitivi esclusivamente causali conduce, se portato avanti con
radicale immodestia, a violentare la materia, a cancellare un’impronta causale
con un’altra, mentre se viene intrapreso con una mode- stia rispettosa deve ben
presto arrestarsi, perplesso, di fronte alla Ayle della realtà. Soltanto una
via non più puramente scien- tifica, cioè non più puramente causale, ci conduce
d’un sol tratto nelle sue profondità; e anche se non può certo dischiuder- cela
completamente può tuttavia darci, attraverso un’intuizio ne vivente, un senso
partecipante di essa. Alla scienza è più utile ricorrere a uno strumento sopra-scientifico
dove lo stru- mento scientifico vien meno, anziché applicare questo anche dove
una sua applicazione conduce necessariamente a falsi risul- tal. Ma il diritto
di applicare strumenti sopra-scientifici nelle scienze storiche può essere fondato
ancora più profondamente che attraverso la semplice indicazione dell’intreccio,
non padro- neggiabile in altro modo, delle tre impronte causali. Se queste
scienze volessero rimanere pure, cioè scienze che spiegano in modo
esclusivamente causale, sarebbero costrette a considerare 924 FRIEDRICH
MEINECKE come proprio campo di ricerca e a rivolgersi, almeno in linea di
principio, alla totalità dell’accadere umano. È noto che non lo fanno; esse
scelgono invece da questa massa enorme e ster- minata soltanto una parte assai
piccola, quella che si ritiene essere essenziale, e giustamente ritengono
un’oziosa micrologia occuparsi di processi umani inessenziali. Ma che cosa
significa qui essenziale? soltanto ciò che è casualmente essenziale? sol- tanto
ciò che ha influenzato in modo particolarmente incisivo e potente i destini
degli uomini e dei popoli? A volte lo si intende così, e si ritiene che
soltanto ciò che è diventato partico- larmente « efficace » meriti l’attenzione
dello storico. Ma — di- ce con ragione Rickert — «l'efficacia non può mai
fornire da sola il criterio di ciò che è storicamente essenziale » ®. Da un
punto di vista puramente causale, le condizioni e i bisogni della vita di
carattere fisico — suolo e sole, fame e amore — sono i fattori « più efficaci »
dell’accadere umano; mentre lo storico — almeno lo storico non materialista —
li considera di regola soltanto come un ovvio presupposto causale di quei pro-
cessi che propriamente lo interessano, e li ritiene degni di atten- zione
soltanto laddove essi incidono in misura particolare e non comune. Dal punto di
vista causale sono pure particolarmente « effica- ci», accanto a questi fattori
originari della vita umana, anche le grandi decisioni nelle lotte di potenza
dei popoli e degli stati, alle quali da sempre — fin dalla storiografia più
primiti- va — è andata l’attenzione degli storici, e perciò anche l’intero
ambito delle istituzioni dello stato e della società, che a ragio- ne attrae
l'interesse comune di tutte le tendenze della moderna ricerca storica, di
quella positivistica come di quella idealistica, della storia della cultura
come della storia politica. Ma se qui si suole porre in rilievo in quanto
«essenziale » ciò che è «ef- ficace », mettendo da parte come inessenziali
altre masse di processi umani, di regola si combinano due diverse accezioni del
termine « efficace ». Da un lato con esso si intende ciò che a suo tempo ha
esercitato effetti causali sulla vita dell'umanità — e qui si rimane
nell’ambito della pura ricerca di relazioni a. H. Ricgerr, Kulturiwvissenschaft
und Naturwissenschaft, Tubin- gen, 1899, p. 97. FRIEDRICH MEINECKE 925 causali.
Ma con esso si intende anche ciò che agisce in modo durevole e che anche oggi
opera su di noi che viviamo. E questa specie di influenza su di noi ha un
significato insieme causale e sovra-causale ®. Ha un significato causale in
quanto i grandi e potenti avvenimenti del passato — per esempio la fondazione
dell'Impero romano — determinano ancora causal- mente, attraverso mille
influenze secondarie, la nostra esisten- za odierna; ha un significato
sovra-causale in quanto la catena delle relazioni causali non ci interessa da
un punto di vista puramente scientifico, ma perché ne vogliamo trarre un
vantag- gio particolare per la nostra propria vita. Questo vantaggio può essere
soltanto di tipo pratico, tale da renderci atti a incide- re con maggiore
efficacia nella vita attiva, oppure può consiste- re in una pura
contemplazione, libera da scopi pratici immedia- ti; ma in entrambi i casi si
tratta di valori, di valori vitali che vogliamo ricavare dalla storia; in
entrambi i casi essa ci forni- sce — dovremo ritornarci sopra con maggiore
precisione più avanti — contenuto, insegnamento e guida per la nostra vita. E
questo bisogno è quello che ci spinge in fondo da sempre, ma in modo
particolarmente forte nell'epoca moderna — accan- to e dietro al puro impulso
conoscitivo rivolto alle relazioni causali — verso la storia. Soltanto a questo
punto comprendia- mo del tutto che la ricerca delle relazioni causali, in quanto
tentdi svelare l'intreccio delle tre impronte — in fondo diret- a. « Storico —
dice Eduard Meyer nella Geschichte des Altertums, vol. 1-1, 3* ed. 1910, p. 188
— è quel processo del passato la cui efficacia non si esaurisce nel momento
della sua comparsa, ma che agisce ancora in modo riconoscibile in periodo
successivo, producendovi nuovi pro cessi ». In questo passo decisivo si fa
purtroppo riferimento soltanto all’ele- mento causale, e non all'elemento di
valore, nella determinazione con- cettuale di ciò che è « storico ». Tuttavia
un paio di pagine dopo viene menzionato anche il « valore interno », cioè la
maggiore formazione di una specificità individuale, come criterio di selezione
di ciò che è storico. Si tratta di una discrepanza interna che è caratteristica
dello stato del pensiero che domina la scienza specialistica. Si scorge sì
l’intreccio di causalità e di valore presente nell'interesse storico, ma non lo
si affronta in modo intrinseco soggiacendo così, dove si fornisce la
definizione prin- cipale, a una pura idea di causalità. Per una critica a Meyer
si veda anche H. Ricgert, Probleme der Geschichtsphilosophie, Heidelberg, 3?
ed. 1924, P. 59. 926 FRIEDRICH MEINECKE ta dal più personale impulso vitale —
oltrepassa la ricchezza degli strumenti conoscitivi puramente causali e cerca
di avvici- narsi allo stesso modo dell’artista, con l’intuizione e la
raffigura- zione vivente, ai fenomeni storici. È il suo valore per noi e per la
nostra propria vita che cerchiamo di conquistare per questa strada. Il bisogno
teoretico di conoscenza causale e il bisogno di valori vitali si sono
sviluppati in modo strettamente, anzi inse- parabilmente connesso,
nell'interesse storico. Forse che il biso- gno teoretico non è già in sé anche
il bisogno di un valore vitale, del valore di verità? Certamente, ogni scienza
deve servi- re in modo coerente e rigoroso, senza lasciarsi disturbare da
intenti pratici collaterali, alla ricerca della verità, delle vere relazioni
causali. Ma per noi servitori della scienza la nostra vita non sarebbe una vita
completa se non fosse riempita da questa pura aspirazione alla verità. Per
questo motivo noi l’ac- cresciamo e l’approfondiamo, e la nostra teoria si
trasforma in prassi vivente e in formazione della vita. La tendenza pratica non
può introdursi troppo presto in essa, e influenzare la ricer- ca di relazioni
causali. Prima la via delle relazioni causali de- V’essere percorsa con
sicurezza fino all’ultimo punto raggiungi- bile, e solamente allora si può,
anzi si deve ricorrere a quei mezzi sovra-causali per soddisfare il bisogno di
valori vitali che opera dal profondo. Che l’« essenziale » nella storia
comprenda però non soltan- to relazioni causali, ma anche valori vitali, può
essere illustra- to con un esempio ipotetico. Poniamo il caso che si scopra
l'opera di un autore sconosciuto del passato, di grande forza e profondità
spirituale ma rimasta completamente ignota agli stes- si contemporanei e quindi
completamente priva di influenza causale sul suo tempo: la dichiareremo perciò
storicamente ines-senziale e inefficace? Essa potrebbe agire nel modo più forte
su di roi e comincerebbe quindi ad agire ora causalmente tra di noi, ma
soltanto perché rappresenta per noi un valore vita- le. Questo è perciò
l'elemento primario per il nostro interesse, e si realizza in noi — né potrebbe
avvenire altrimenti — attra- verso la causalità. Ma il nostro interesse storico
non è diretto qui alla ricerca di questa causalità, bensì alla comprensione e
alla rianimazione di un grande valore spirituale del passato. FRIEDRICH
MEINECKE 927 Questa comprensione deve naturalmente applicare ancora stru- menti
causali e tentare di mediare l’origine storico-temporale dell’opera in
questione; ma la ricerca causale è qui soltanto un mezzo diretto allo scopo del
pieno ripristino di un valore spiri- tuale. Un fanatico della causalità
potrebbe obiettare che si può e si deve certo indagare quell’opera rimasta
causalmente ineffica- ce nella sua epoca, ma per il fatto che essa vale come
effetto di relazioni causali, e riporta alla luce forze impulsive di quell’e-
poca finora ignote, le quali soltanto potevano produrre una tale opera. Ma
queste relazioni causali — si risponderà subito — non ci interesserebbero
affatto se qui non fosse appunto presente un grande valore, che ci avvince di
per sé arricchendo così la nostra vita. No: sotto ogni ricerca di relazioni
causali sta, mediatamen- te o immediatamente, la ricerca di valori, la ricerca
di quella che si chiama cultura nel senso più alto — irruzioni e manife-
stazioni dello spirituale all’interno della connessione causale della natura.
La terza delle tre impronte del corso storico è quella che produce questi
valori. La piccola selezione di ciò che consi- deriamo degno di indagine nella
sterminata massa dell’accade- re si compie — come ha mostrato Rickert — in
conformità alla relazione che questo accadere ha avuto con i grandi valori
culturali. Egli ci insegna che lo storico indaga soltanto fatti in relazione a
valori; e aggiunge che lo storico deve soltanto inda- garli e rappresentarli,
non già valutarli, se vuol rimanere entro i limiti della sua scienza. La
seconda tesi scaturisce dalla preoc- cupazione per la conservazione del
carattere scientifico della ricerca storica, dalla preoccupazione verso la
penetrazione di tendenze soggettive. Ma è possibile rispettare tale prescrizio-
ne? Essa è irrealizzabile *. Già soltanto la selezione di fatti in a. H.
Ricgerr (Probleme der Geschichtsphilosophie cit., p. 67) am- mette sì l’«
inseparabilità psicologica del valutare dalla designazione di valore », ma vuol
separare il valutare dall’essenza /ogica della storia. Ora, ciò che è
psicologicamente inseparabile dall’attività dello storico dev'essere
riconosciuto anche dal logico — per quanto egli possa sepa- rarlo con i suoi
strumenti — come psichicamente connesso con tale attività in modo essenziale. E
il valutare non è una funzione accessoria superflua nell'attività dello
storico. Io concedo a Rickert che «lo storico 928 FRIEDRICH MEINECKE
riferimento a valori non è possibile senza una valutazione. Lo sarebbe
solamente se i valori a cui i fatti si riferiscono consistes- sero — come
ritiene Rickert — in categorie tanto generali quanto lo sono la religione, lo
stato, il diritto. Ma lo storico non sceglie il suo materiale soltanto secondo
queste categorie generali, ma anche in base all'interesse vivente per il loro
conte- nuto concreto. Egli lo concepisce come più o meno fornito di valore,
cioè lo valuta. La rappresentazione e l'illustrazione di fatti culturalmente
importanti non è affatto possibile senza la più viva sensibilità per i valori
che in essi si manifestano. Per può astenersi da ogni giudizio valutativo sui
suoi oggetti », ma una siffatta storiografia, libera da valutazioni, o è
soltanto raccolta di mate- riale e lavoro preparatorio per la vera e propria
storiografia oppure, se ha la pretesa di essere storiografia, appare del tutto
insulsa — a meno che il temperamento dell'autore non la colori e la renda viva
di nuovo con valutazioni non arbitrarie, come avviene per esempio nelle stra-
ordinarie ricerche ed esposizioni storiche di Max Weber. — Anche Hein- rich
Maier (Das geschichiliche Erkennen, Gòttingen, 1914, p. 34) ritiene, pur
discostandosi fortemente da Rickert, che « cadere in giudizi di valore non è
affare della storia »; ma spiega contemporaneamente che vietare giudizi di
valore allo storico pieno di temperamento è soltanto noiosa pedanteria. Egli
distingue cioè tra una posizione propriamente storica, la quale esclude i
giudizi di valore, e un'altra posizione di fronte alla storia, anch'essa
legittima, di carattere etico-estetica e quindi valutativa. Deve lo storico
assolvere contemporaneamente entrambi i compiti nello spazio della stessa
opera, anche se il primo — il compito propriamente storico — esclude il
secondo? Ciò è impossibile e ibrido, una specie di doppia morale professionale
che rompe l’intima connessione psichica pre- sente nell'attività dello storico.
Una logica della storia che voglia raggiun- gere il suo fine deve partire da
questa, deve analizzare lo storico reale, vivente, non lo storico costruito
logicamene — ed egli di regola si com- porta, anche se non lo vuole, in maniera
valutativa. Chi sta dentro la prassi ininterrotta della storiografia percepisce
questo elemento in modo completamente differente dal filosofo — G. von Below
(Die deutsche Geschichtschreibung von den Befreiungskriegen bis zu unseren
Tagen: Geschichtschreibung und Geschichtsauffassung, Miinchen und Berlin, 2 ed.
1924, p. 116) scrive: « una connessione di fatti non può essere effettuata
senza giudizi di valore ». Quest'affermazione si spinge forse troppo in là.
Certe connessioni causali di tipo semplice possono essere effettuate anche
senza giudizi di valore; quelle di tipo più complesso — per esempio la
constatazione delle cause della Riforma, della Rivoluzione francese e, ora, del
crollo del 1918 — vengono sempre determinate insieme da giudizi di valore.
FRIEDRICH MEINECKE 929 quanto lo storico possa, almeno formalmente, anche
sospende- re il proprio giudizio di valore su di essi, questo è tuttavia presente
tra le righe, e in quanto tale influenza il lettore. Sovente esso agisce quindi
— particolarmente in Ranke — in modo più profondo e incisivo di quanto non
accadrebbe se fosse rivestito della forma di una censura immediata, ed è per-
ciò da raccomandare come espediente. Il giudizio di valore sol- tanto implicito
dello storico stimola l’attività valutativa pro- pria del lettore in maniera
più forte di quello apertamente dispiegato. Nella misura in cui si presentano
in apparenza sol- tanto relazioni causali, tanto più immediatamente e creativa-
mente lampeggia in esse l'elemento di valore, la manifestazio- ne di una
potenza spirituale all’interno della connessione causa- le. Ma spesso il
giudizio diretto di valore non dev'essere evita- to, per recare a piena
chiarezza il valore di ciò che è accaduto. Avviene qui come in quelle forme di
culto divino in cui il silenzio sacro e la parola del sacerdote si alternano
nella venera- zione del divino. E la ricerca storica è precisamente culto del
divino, preso nel senso più ampio. Si vuole vedere confermato nel mondo,
attraverso la sua rivelazione, ciò che si percepisce per sé come fine
spirituale della vita. Si vuol diventare consape- voli della forza e della
continuità della corrente spirituale del- la vita, che per l'individuo sfocia
sempre in lui stesso; si vuol trovare la via per cui l'uomo è venuto, per
indovinare quella che percorrerà. Si vuol venerare le potenze che consentono di
innalzare la nostra esistenza dal vincolo naturale alla libertà dell’elemento spirituale.
In qualsiasi modo si rappresenti la divi- nità, si vuol cercarla nella storia.
Anche il ricercatore che fa valere soltanto la connessione causale spogliata
del carattere divino, e che nella storia cerca quindi soltanto relazioni
causali, è spinto — come abbiamo chiarito — dal bisogno di un valore superiore
e comprensivo, anche se si tratta soltanto del valore della verità in sé.
Certa- mente anche lo scienziato naturale è spinto dal valore della verità, e
può tuttavia lavorare libero da tutti gli altri valori. Ma delle tre funzioni
del «distinguere, scegliere e giudica- re »', che costituiscono il compito
specifico dell’umanità, egli 1. Allusione a una coppia di versi di Goetne, Das
Gòtiliche, vv. 39-40. 59. STORICISMO TEDESCO. 930 FRIEDRICH MEINECKE deve
esercitare nel suo ambito di lavoro soltanto quella del distinguere. Lo
studioso della cultura deve invece esercitarle tutte e tre, perché i processi
che indaga scaturiscono dalla natu- ra umana nel suo complesso, si sono
costituiti in virtù di un « distinguere, scegliere e giudicare » e sono
comprensibili soltan- to attraverso le medesime operazioni. Se lo scienziato
naturale può lavorare libero da valori, lo studioso della cultura deve lavorare
vincolato ai valori, anche quando vuol trattarla secon- do il metodo dello
scienziato naturale — e perfino al semplice raccoglitore di materiale ciò viene
risparmiato di rado. Diventa ora chiaro che nella storiografia possono esserci
due tendenze principali: la prima è attratta dalle relazioni causali, anche se
non può mai spogliarsi dei valori e quasi mai dei propri valori; la seconda si
sente attratta dai valori, pur senza potersi sottrarre alle relazioni causali.
Ognuna di esse presenta dunque una duplice polarità, e in entrambe sono possi-
bili e presenti sfumature e transizioni, mescolanze diverse dei due elementi.
La distinzione delle due tendenze è risultata più chiara soltanto quando la
storia cominciò a venir esercitata se- condo metodi rigorosamente scientifici,
e si approfondirono le questioni riguardanti l’essenza della storia e i compiti
dello storiografo. La più antica storiografia politica mescolava, nar- rando
gli eventi in forma epica, valori ingenuamente sentiti e relazioni causali®. La
storia illuministica voleva porre in luce i a, Il punto di vista valutativo
come criterio di selezione del materiale storico fa la sua comparsa in modo
significativo in Machiavelli. Nella pre- fazione alle /storie fiorentine egli
biasima i suoi predecessori Leonardo Bruni? e Poggio Bracciolini* per aver
narrato soltanto la storia esterna, e non la storia interna, della città di
Firenze, con tutte le sue lotte movimentate: « Né considerarono come le azioni
che hanno in sé gran- dezza, come hanno quelle de’ governi e degli stati,
comunche elle si trattino, qualunque fine abbino, pare sempre portino agli
uomini più onore che biasimo ». 2. Leonardo Bruni (1370-1444), uomo politico c
umanista italiano, fu dal 1417 fino alla morte cancelliere della Repubblica
fiorentina; traduttore di Platone c di Ari- stotele, autore degli Episcolarum
libri VIII, del De studtis et litteris e del trattato di ctica Isagogicon
moralis disciplinae, nonché di duc importanti opere storiche, gli Historiarum
florentini populi libri XII e il Commentarius rerum suo tempore gestarum. 3.
Poggio Bracciolini (1380-1459), uomo politico e umanista italiano, fu dap-
prima segretario apostolico e in seguito, dal 1453 al 1458, cancelliere della
Repubblica FRIEDRICH MEINECKE 931 valori della cultura progressiva
dell'Illuminismo come l’unico oggetto veramente degno della storiografia, ma
non fu in gra- do di penetrare con essi lo spessore dell’accadere politico —
che pure non osò mettere da parte — e in tal modo accostò i due elementi in
maniera disorganica. La storia politica di ten- denza voleva e vuole proprio
porre in luce dei valori, cioè i valo- ri dei suoi ideali politici, ma
dev'essere completamente esclusa dalla nostra considerazione perché il concetto
di valore storico, nel senso in cui lo intendiamo, non abbraccia soltanto i
nostri propri ideali politici o apolitici, ma ogni forte manifestazione di vita
propriamente spirituale, e quindi anche gli ideali dell’av- versario. Wilhelm
von Humboldt è stato forse il primo a richie- dere una storiografia del genere,
rivolta a tutti i valori spiritua- li dell'umanità — questo sono infatti le sue
/deen — e fondata sull’indagine di tutte le relazioni causali conoscibili.
Ranke ha realizzato questa storiografia riunendo tra loro organicamente, in
maniera ideale, la ricerca delle relazioni causali e la rappre- sentazione dei
valori, in ultima analisi cercando quindi Dio nella storia; cosicché lo si può
far rientrare in quella tendenza che, nel suo fondamento ultimo e decisivo, si
lascia attrarre dai valori. Il positivismo del tardo Ottocento scatenò la
controf- fensiva e pretese una trattazione avalutativa e puramente causa- le
della storia: esso riuscì soltanto sporadicamente a farla pene- trare in pieno
nel lavoro della storiografia scientifica, tuttavia rafforzò in essa la
tendenza a porre in primo piano la ricerca delle relazioni causali. Ne conseguì
una ricerca sterminata e specializzata del particolare, che è in auge ancor
oggi. Nei fatti indagati causalmente lampeggiavano sì nuovi valori scono-
sciuti del passato, ma la loro indagine fu eccessivamente mecca- nizzata
dall’inevitabile divisione del lavoro, e la loro massa diventò troppo grande
per poter essere padroneggiata e gusta- ta spiritualmente. Ne derivò quindi — e
ne deriva ancor oggi — un contraccolpo che spinge a più forti e appassionate
sensa- zioni di valore, la tendenza alla raccolta e al vaglio dei valori, al
rifiuto dei valori minori, all’accentuazione (e anche alla so- fiorentina;
infaticabile scopritore di codici, autore di scritti filosofici come il De gva-
ritia (1428-1429), il De varietate fortunae (1431-1448), i! De nobilitate
(1440), il De infelicitate principum (1440), il De miseria humanae conditionis
(1455), redasse gli Historiarum florentini populi libri VII. 932 FRIEDRICH
MEINECKE pravvalutazione) dei valori culturalmente superiori. Ciò consente, in
linea di principio, la fondazione mediante una solida indagine di relazioni
causali, ma qua e là, nella prassi degli storici più giovani, si comincia a
trascurarla in modo preoccupante. La sintesi è la parola d’ordine con cui
dall’angusto lavoro dell’inda- gine causale si aspira ai grandi valori
dominanti della vita e del passato. Si mettono in moto sensazioni
soggettivistiche e mistiche le quali premono, senza la strada faticosa della
ricer- ca del particolare, verso la riunificazione immediata con l’ani- ma del
passato. Si vuol trarre da essa — come ci si esprime volentieri — soltanto l’«
eterno» e l’« atemporale », lasciando- ne cadere i presupposti
storico-temporali. Si costruisce senza molta induzione, in base ad alcune
vestigia impressionanti del- la tradizione e con l’aggiunta esorbitante dei
propri ideali, e poi si abbraccia l’immagine fantastica che ci si è creati da
sé. Quest’aspirazione agli alti e supremi valori culturali contrasse- gna in
modo peculiare la scuola dei cosiddetti « georgiani », cioè i seguaci di Stefan
George* — anche perché essa si pone pretese rigorose, rimanendo nelle sue opere
migliori intatta da- gli errori di un modo di lavoro negligente e attingendo
varie volte un'alta perfezione formale, ma con una tendenza all’ecces- siva
raffinatezza e all’assottigliamento dell’atmosfera spiritua- le, in cui si
dissolvono le rozze relazioni causali terrene. Il lavoro di ricerca della
corporazione vera e propria degli storici è ancora relativamente poco toccata
da queste tendenze, ma chi conosce i bisogni della giovane generazione sa che
qui spesso si agita, in modo prepotente, qualcosa di esse. È la costellazione
spirituale complessiva della nostra epoca che ha prodotto queste tendenze — la
reazione di ciò che si può chia- mare anima contro la minacciosa
meccanizzazione civilizzatri- ce della vita e contro gli sterminati poteri
delle masse, che si sono manifestati nella guerra mondiale e durante il crollo.
Es- si si gonfieranno presumibilmente in misura ancora più forte, diventando un
fattore importante nel futuro delle scienze stori- 4. Stefan George
(1863-1933), pocta lirico tedesco, autore di numerosi volumi di versi come gli
Hymnen (1890), Algabal (1892), Das Jahr der Scele (1897), Der Teppichk des
Lebens und die Lieder von Traum und Tod (1899), Der siebente Ring (1907), Stern
des Bundes (1913), Das neue Reich (1928), raccolse intorno a sé un cenacolo
letterario che prese il nome di George-Kreis e in seguito di George-Bund.
FRIEDRICH MEINECKE 933 che. E dato che anche i miei tentativi si muovono in
questa direzione, posso ben parlarne in base alla mia propria esperien- za,
poiché avverto personalmente la loro grande necessità inter- na al pari dei
loro pericoli. Da un lato calcificazione corporati- va, dall’altra
imbarbarimento soggettivistico, sono i due scogli su cui potrebbe frantumarsi
la nostra scienza nel corso della prossima generazione. La bussola può essere
sempre e soltanto questa: nessuna causalità senza valori, nessun valore senza
rela- zioni causali. Senza una robusta fame di valori l’indagine del- le
relazioni causali si trasforma, anche se condotta con tecnica virtuosistica, in
mestiere triviale. Senza il piacere immediato della realtà concreta e delle sue
connessioni causali, rozze o raffinate, la rappresentazione di valori ideali
perde il suo terre- no naturale, diventando vuota e arbitraria. L'equilibrio
tra le due tendenze non si realizzerà — stando così le cose — in modo ideale
com'era possibile in Ranke, perché la problematici- tà della situazione moderna
e del pensiero moderno ha distrut- to le armonie in cui egli viveva
interiormente ed esteriormen- te. Oggi sembra che solamente una certa
unilateralità possa proteggere l’uomo spirituale dallo sconcertante predominio
del- l'ambiente. Ma l’aspirazione all’armonia deve restare operante e potrebbe
estinguersi soltanto con la decadenza o il crollo completo della nostra
cultura. II Quando Rickert ha aperto il cammino con la sua teoria dei valori
culturali e ha collocato questo concetto al centro della dottrina della storia,
Alfred Dove ha parlato con diffidenza e sospetto della sua « anguillesca
elusività » ®. Un diretto scolaro di Ranke qual egli era, abituato a porre
l'intuizione al di sopra della comprensione concettuale, e che per giunta
viveva e si muoveva familiarmente tra i valori culturali, non aveva bisogno di
un nome per ciò che già recava in sé. Ma il pensie- ro concettuale segue da
vicino il pensiero intuitivo e non può a. A. Dove, Ausgewàhlte Aufsitze und
Briefe (a cura di F. Meinecke ce O. Damman), Miinchen, 1925, vol. II, p. 279.
934 FRIEDRICH MEINECRE rinunciare al tentativo di delimitare in modo più
preciso ciò che ci stava dapprima davanti agli occhi soltanto in modo intui-
tivo e vivente. Se — come in questo caso — di chi pensa piuttosto in modo
intuitivo si deve dire che non raggiunge il suo scopo e che rende non già più
chiaro, ma più confuso l'oggetto di cui si tratta, ci si può sì scusare della
povertà dello strumento linguistico che costringe anzitutto all’uso di una
parola equivoca, ma si deve anche tentare di sanare l’indi- stinzione del nuovo
concetto con più precise determinazioni particolari. Tentiamone alcune. Come
spesso avviene, una nuo- va parola d'ordine, nata dalla vita e all’inizio assai
cangiante, non sviluppa una fecondità inaspettata, in quanto induce piutto- sto
a unificare in connessioni determinate i fenomeni particola- ri che erano
dispersi. Chiarimento e delimitazione, nella misu- ra in cui sono possibili,
seguono sempre soltanto gradualmen- te. Umanità, umanesimo, nazionalità, nazionalismo,
storici- smo, individualismo e così via non sono che parole d’ordine e concetti
familiari, equivoci e sfuggenti ma tuttavia fecondi, in- dispensabili, che si
chiariscono e si approfondiscono a poco a poco, anche se mai in modo
definitivo, attraverso l’uso. Determinare l’essenza dei valori è l'impegno
scottante della filosofia moderna. Lo storico tenterà di imparare da essa, ma
non per questo può e deve rinunciare a formare in base alle sue esperienze più
proprie la sua immagine dell’essenza dei valori, che dal punto di vista del
filosofo apparirà molto som- maria, equivoca e perciò lacunosa, ma che proprio
perché crea- ta dalla prassi della ricerca storica possiede forse una maggiore
sicurezza di istinto rispetto a quella che nasce da sforzi di carattere più
logico-astratto. Con Troeltsch noi distinguiamo i valori inferiori della vita,
puramente animali — che lo storico può prendere in considera- zione soltanto
sotto forma di relazioni causali — dai valori superiori della vita, dai valori
spirituali o culturali * che costitui- a. Non posso condividere picnamente le
distinzioni di H. Rickert (Le- bensiwerte und Kulturwerte, « Logos », II,
1911-12, pp. 131-66, e Philoso- phie des Lebens, Tiibingen, 1920, p. 156 sgg.),
secondo cui non esistereb- bero in fondo valori che siano soltanto valori
vitali, e i valori culturali sarebbero più o meno distanti o anche opposti alla
vita — per quanto FRIEDRICH MEINECRE 935 scono la sfera d'interesse propria
dello storico, e la cui compren- sione è il suo fine supremo. Con il termine
«spirito» non intendiamo semplicemente l’elemento psichico bensì — secon- do il
significato antico — la vita psichica altamente sviluppata, ossia appunto ciò
che « distingue, sceglie e giudica », producen- do in tal modo cultura. La cultura
è pertanto rivelazione e irruzione di un elemento spirituale all’interno
dell’universale connessione causale. Tra la vita culturale e la vita naturale
dell’uomo sta un campo intermedio che partecipa di entrambe, che designiamo con
il termine (oggi sempre più impiegato in questo senso) di civiltà e che
distinguiamo dalla cultura superio- re, spirituale in senso pieno — mentre un
uso linguistico più vago, ma anche molto più diffuso, confonde tra loro i due
concetti *. La civiltà si innalza al di sopra della mera natura, la quale viene
trasformata dall’intelletto spinto dalla volontà vitale e rivolto all’utile. In
essa rientra anzitutto l’intero ambi- to delle scoperte tecniche. Come
scoperte, come realizzazioni di una mente spiritualmente produttiva e originale,
sono an- che opere di cultura. Ma esse possono venir spiegate anche
biologicamente, in base a ciò che si chiama « adattamento ». L’atto stesso
delle scoperte ha quindi un aspetto biologico e un aspetto culturale. Una volta
compiute, applicate ed estese, esse minacciano, se non le sorregge una vita
spirituale autonoma, di sprofondare di nuovo nell’elemento meramente naturale —
e infatti una tecnica applicata si trova anche presso gli anima- li. Ho cercato
di illustrare questo campo intermedio dell’utilita- rio con un esempio, quello
della ragion di stato. Lo storico dovrà avere continuamente a che fare con
esso, non soltanto perché la parte di gran lunga maggiore delle relazioni
causali mi senta vicino, anche nel contenuto, alla sua concezione dell'essenza
della cultura. In fondo, qui ci separa più la terminologia che non una
differenza sostanziale. a. Si dovrebbe una buona volta indagare l'origine e la
storia delle distinzione tra cultura e civiltà. A quanto mi risulta, essa è
stata espressa per la prima volta da Kant nella sua /dee 2u ciner allgemeinen
Geschichte in weltbitrgerlicher Absicht. Nella settima tesi si legge: « L'idea
di mo- ralità rientra ancora nella cultura; ma l’uso di questa idea, che
riguarda soltanto ciò che è conforme al costume nell'amore dell'onore e nella
cor- rettezza esteriore, costituisce semplicemente la civiltà ». 936 FRIEDRICH
MEINECKE che deve indagare appartiene a questo ambito, ma anche per- ché i
processi in esso presenti possono diventare, in virtù di un incremento spesso
non percettibile, opere di cultura. Se ciò che è soltanto utile deve diventare
bello e buono, l’anima deve vibrare — non abbiamo davvero altro termine;
altrimenti esso rimane appunto prestazione intellettuale senz'anima e senza
spi- rito, mera civiltà e non cultura. La cultura compare soltanto dove l’uomo
intraprende la lotta con la natura impegnandovi tutta la sua interiorità, non
soltanto la volontà e l’intellet- to, dove agisce valutando nel senso più alto,
ossia dove crea o cerca qualcosa di buono o di bello in quanto tale, oppure
cerca il vero in quanto tale*. Tutto quanto l’uomo compie valutan- do in tal
senso, è fornito di valore anche per lo storico”, e gli offre conferma della
continuità e fecondità dell’elemento spiri- tuale nella storia, gli indica la
via che il suo dispiegarsi ha preso fino a lui. Ma per poterlo comprendere
completamente, lo storico deve — come abbiamo detto — indagare l’intero campo
in cui si radicano processi causali che in gran parte non hanno nulla a che
fare con la cultura. All’interno della sua rappresentazione — se questa procede
onestamente — ciò che è legato ai valori e fornito di valore risplenderà quindi
soltan- to qua e là, al pari che nella vita, come una gemma rara tra ciò che
cresce. Ma quanto sono rari in confronto alla massa di processi umani in
generale, altrettanto incomparabilmente numerosi so- no all’interno della
storia queste realizzazioni e questi valori a. Pongo qui a fondamento l'antica
tripartizione dei beni ideali, anche se essa non esaurisce il loro ambito e il
loro contenuto. Ma essa può venir utilizzata a scopo di abbreviazione. b.
Identifico quindi realizzazione culturale e valore culturale. I valori
culturali non soltanto « aderiscono » — come ritiene Rickert — alle realtà
storiche senza essere essi stessi realtà, ma costituiscono un fattore inte-
grante delle realtà storiche, poiché queste possono venire alla luce soltanto
in virtù della cooperazione della causalità etico-spirituale, realizzatrice di
valori, con la causalità meccanica e biologica. Si veda anche la critica che E.
TroeLTscH ha rivolto (in Der Historismus und seine Probleme, Tibin- gen, 1922,
p. 153) alla dottrina rickertiana della mera «aderenza » dei valori culturali
ai fenomeni storici reali. La questione se al di là della realtà storica esista
un sistema di valori oggettivi, è un problema metafi- sico che lo storico deve
lasciare al filosofo. FRIEDRICH MEINECKE 937 culturali. Ogni anima umana
individuale è infatti in grado di produrre valori culturali — si tratti anche
soltanto dei valori del semplice adempimento del dovere a causa del bene.
Secon- do quali princìpi si compie qui la selezione dello storico? Anzi- tutto,
certamente, secondo il principio dell’efficacia causale. Tutte le realizzazioni
culturali che hanno influenzato con mag- gior forza e permanenza la
conservazione e l'ulteriore svilup- po della cultura sono degne d’indagine e di
rappresentazione. Il confine tra ciò che è importante e ciò che non è
importante risulta quindi fluido, e dipende dalla sensibilità e dalla posizio-
ne dello storico. Dipende dalla posizione perché, a seconda che si riferisca a
formazioni storiche più limitate o più comprensi- ve, egli deve vagliare in
modo diverso il materiale dei fatti: ad esempio, per l’esposizione della storia
di una città assumerà come importanti fatti che su un piano superiore, come in
una storia nazionale, devono essere senz’altro ritenuti non importan- ti*.
Altrettanto fluida e dipendente dalla sensibilità è l’applica- zione del
secondo criterio di selezione delle realizzazioni cultu- rali, del quale
abbiamo già parlato prima in un altro contesto: quello del valore culturale
proprio dei fenomeni storici. Mai e poi mai le grandi realizzazioni culturali e
le manifestazioni di un elemento spirituale possono essere valutate esclusivamente
in base al grado della loro influenza causale sul progresso del- la cultura.
Esse poggiano — del tutto indipendentemente dal fatto che abbiano influito o no
sulla loro epoca — anche su se stesse, e sono di per sé degne di indagine, di
rappresentazione e di venerazione. Di esse vale ciò che il poeta dice
dell’antica lampada, che non ha più nessuna utilità ma che lo incanta: « ma ciò
che è bello, sembra felice in se stesso » 5. Questo è il punto che le abituali
intuizioni degli storici su ciò che è degno di indagine non sono ancora giunte
a decidere. Ho spesso di- scusso con Troeltsch in merito alla «
sopravvalutazione delle re- a. Heinrich Mater ha richiamato l'attenzione, in
modo molto istruttivo, su questa specie di procedimento cartografico: si veda
Das geschichiliche Erkennen cit., p. 33. s. Eduard Mòrire, nella lirica Auf
cine Lampe, in Werke in drei Binden, Miinchen, 1951, vol. I, p. 82, v. 10. 938 FRIEDRICH MEINECRE lazioni causali » che
ancor oggi domina la scelta del materia- le* Si sopravvalutano le relazioni
causali particolarmente quan- do si disconosce il momento individuale
dell’origine dei valori culturali e si trascurano quindi quelle relazioni
causali che sca- turiscono dalla spontaneità dell’agire etico-spirituale
personale e che non sono perciò così facili da inserire nella connessione
causale come le relazioni causali di natura meccanica e biologi- ca. I valori
culturali nascono sempre soltanto dall’irruzione di una forza spirituale
specifica entro le serie causali meccanica- mente o biologicamente determinate.
Ogni elemento spiritua- le, ogni valore culturale è specifico, individuale,
insostituibile da altri. Chi gusta l’individuale in esso presente proverà anche
subito il senso del suo valore e lo apprezzerà quindi non soltan- to come un
elemento importante della catena causale, ma an- che di per se stesso.
Certamente c’è pure un’individualità indif- ferente e libera da valori — ogni
oggetto ne ha una. Individua- lità storiche sono però soltanto quei fenomeni
che hanno in sé qualche tendenza al bene, al bello o al vero, e che perciò
diven- tano per noi fornite di significato e di valore. Esse lo diventa- no
tanto più quanto più fortemente questa tendenza si aggiun- ge, nobilitandola,
alla mera tendenza all'affermazione della vi- ta e all’auto-affermazione delle
formazioni umane. La comprensione più profonda dell’individualità, sia della
personalità singola sia delle formazioni umane sovra-personali, fu la grande
acquisizione realizzata in Germania dall’ideali- smo e dal Romanticismo, e che
creò lo storicismo moderno. Soltanto in virtù di questa comprensione anche
l’idea di svilup- a. Tale era anche il pensiero di Alfred Dove. Alludo alla sua
bella lettera a Rickert del 2 gennaio 1899 (in Ausgewahlte Aufsitze und Briefe
cit., vol. II, p. 208). Lo storico — in essa si dice — dedica alla vita passata
«un interesse- che è del tutto indipendente dalla questione relativa alla
misura in cui ha preparato la nostra vita presente. E perché vuol far questo?
La relazione che essa ha con noi è presente anche senza una causa- lità del
genere: se appena la vita passata che si prende in considerazione è in sé
significativa, essa desta il nostro sentimento di partecipazione, in quanto
fornita di valore dal punto di vista umano in generale. Noi non ci poniamo in
relazione con il passato in modo meramente causale, anzi saltiamo l’intero
spazio causale intermedio in virtù della semplice sim- patia ». FRIEDRICH
MEINECKE 939 po — che a torto viene spesso considerata criterio principale
dello storicismo moderno, ma che è troppo versatile ed equivo- ca per poterlo
essere — trovò il suo retto cammino *. Lo svilup- po del feto umano è uno
sviluppo biologico, non uno sviluppo storico. Uno sviluppo storico ha luogo
soltanto dove compare il fattore spontaneo dell’uomo che agisce in base a
valori e che produce quindi qualcosa di specifico e di singolare. Perciò l’in-
dividualità storica si « sviluppa» e ciò che si sviluppa storica- mente sono
sempre soltanto individualità, le quali si manifesta- no nello sviluppo *. Anche
la storia universale intesa per esem- pio nel senso rankiano — che possiamo
ancor sempre difende- re, con alcune correzioni e riserve — è soltanto un'unica
gran- de individualità, piena di innumerevoli individualità grandi e piccole.
Tutti i valori culturali di questa storia sono al tempo stesso individualità
storiche, fino all’individualità suprema del- la storia universale, e quindi
pienamente comprensibili sempre soltanto in connessioni storico-universali.
Tutto nella vita lotta per avere forma e figura, e viene sospinto da leggi di
formazione. Questa conoscenza morfologi- ca — che per quanto riguarda la storia
è stata sostenuta nel modo estremo e più unilaterale da Spengler — domina
sempre più il pensiero moderno. Storicamente fornite di valore diventa- no però
soltanto quelle forme e figure della vita umana che a. H. Ricgert ha potuto
distinguere ben sette diversi tipi di sviluppo! Cfr. Die Grenzen der
naturwissenschlichen Begriffsbildung, Tùbingen, 1896-1902, cap. V, $ 5. —
Contro la sopravvalutazione dell'idea di sviluppo si rivolge anche la lettera
sopra citata di Alfred Dove a Rickert, ma con una motivazione che non posso
condividere. Egli scrive: « dall’indivi- duale all’individuale non c'è sviluppo
». Qui si dimentica che ogni indi- vidualità è inserita in un’individualità di
grado superiore, e che lo sviluppo che ha luogo entro questa individualità
superiore collega tra di loro, con filo spirituale, anche le individualità più
concrete che si sviluppano sepa- ratamente le une dalla altre. Così esiste di
fatto, per esempio, uno sviluppo dall’individuo Lutero all'individuo Kant,
ossia lo sviluppo che si è compiu- to nel mondo dello spirito
tedesco-protestante. In merito al modo di vedere la storia proprio di Dove, si
vedano le mie osservazioni nella « Historische Zeitschrift », CXVI, 1916, p.
83. b. « Gli sviluppi storici non sono altro che individualità storiche con-
cepite nel loro divenire e nel loro crescere » (H. Ricxert, Probleme der
Geschichtsphilosophie cit., p. 47). 940 FRIEDRICH MEINECKE servono non soltanto
alla sua necessità vitale, ma anche a un qualsiasi ideale e a valori
etico-spirituali. Non appena dalla forma traspare qualcosa di
individuale-spirituale, essa desta l’in- teresse dello storico; altrimenti
rimane circoscritta alla sfera biologica della semplice affermazione della
vita, e lo storico può considerarla soltanto da un punto di vista causale, per
spiegare altri valori e non come valore in sé. Però, almeno per l’occhio umano,
la sfera biologica e la sfera dei valori etico-spirituali non sono tra loro
separate chiara- mente e univocamente, ma spesso si sovrappongono in modo
impercettibile. È quanto abbiamo mostrato — mi riferisco di nuovo al mio libro
sulla Idee der Staatsrison — a proposito del campo intermedio dell’utilitario.
Questa impossibilità di de- terminare confini netti tra le due sfere è
propriamente ciò che ha prodotto tutte le differenze presenti nel moderno
pensiero relativo alle scienze dello spirito. Ognuno può infatti interpreta- re
e tracciare in modo diverso questi confini, riconoscerli o non riconoscerli.
Questa è la questione più tormentosa che per- seguita lo storico. Troppo spesso
egli deve lottare con l’incertez- Za se questo o quell’elemento che egli indaga
debba essere spie- gato in base alla mera necessità vitale e naturale, oppure
facen- do anche ricorso a fattori etico-spirituali, a fattori di valore. Le
necessità vitali e naturali, le relazioni causali di tipo biologi- co,
attraversano da capo a piedi anche colui che agisce in base a valori e lo
minacciano di intorbidare i valori, di far passare valori apparenti per valori
autentici. La cosa più inquietante è che spesso un vincolo causale strettissimo
unisce tra loro le due sfere, che spesso valori culturali grandi e benefici
hanno un’ori- gine comune e sporca, vengono su faticosamente dalla notte e
dalla profondità — cosicché sembra, in certo senso, che Dio abbia bisogno del
diavolo per realizzarsi. Se poi si è d'accordo nel credere — di nuovo nel senso
goethiano — all’unità della natura-dio, una luce più confortante cade anche su
queste con- nessioni. Dove i processi naturali della vita umana non entra- no
in contraddizione con i precetti dell'etica, e quindi non diventano peccato,
essi possono apparire come lo sfondo natura- le indispensabile, gentilmente
alimentante, per la produzione delle più splendide fioriture. Anche Goethe ha
ben sfogato la FRIEDRICH MEINECKE 94I sua sensibilità nella sua arte così
elevata — poco importa se ciò sia avvenuto con o senza peccato. È
caratteristico il fatto che proprio in tale questione anche la ricerca storica
che è abitualmente più rivolta alle relazioni causali dimentichi la causalità
operante sui valori, cioè ignori o nasconda le grandi acquisizioni della
cultura rispetto alla sua origine spesso spaventosa e disgustosa. Soltanto
pochi stori- ci hanno l’acuta sensibilità posseduta da Burckhardt quando scoprì
i presupposti politici e sociali della cultura del Rinasci- mento in tutto il
loro orrore, rimanendo egli stesso turbato da questa connessione demoniaca.
Soltanto allora si cominciano a registrare con una certa equanimità i successi
della politica di potenza che hanno trasformato e rifecondato la vita
culturale, e a considerarne i presupposti e gli effetti collaterali più machia-
vellici come una conditio sine qua non. E in apparenza essi lo sono anche — ma
con ciò va perduto il sentimento della tragici- tà della storia. La cultura che
si fonda sulla spontaneità, sulla causalità la quale produce valori
etico-spirituali ed è quindi di nuovo stret- tamente connessa alle relazioni
causali di tipo biologico e mec- canico — questo è l’enigma che lo storico non
può risolvere. Cultura e natura — possiamo anche dire Dio e natura — costi-
tuiscono sì un’unità, ma un’unità scissa in sé. Dio si solleva al di sopra
della natura con lamenti e gemiti, e carico di peccati; e perciò si trova ogni
momento in pericolo di ricadere nella natura. Questa è l’ultima parola per
colui che osserva le cose spregiudicatamente e onestamente — ma non può essere
l’ulti- ma parola in generale. Soltanto una fede che è però diventata sempre
più generale nel suo contenuto e che deve lottare in permanenza col dubbio può
offrire il conforto che esista una soluzione trascendente del problema — per
noi insolubile — della vita e della cultura. Ma noi abbiamo perduto la fiducia
che qualche filosofo abbia fornito o possa ancora fornire que- sta soluzione
trascendente. Il valore di verità dei sistemi filosofici e delle ideologie è
quindi dubbio; indubbio rimane invece il loro valore culturale. Le formazioni
ideali dei grandi pensatori sono quasi le più alte vette dello spirito in mezzo
alla natura che lo sorregge, quasi sempre le realizzazioni supreme del misero
essere uma- 942 FRIEDRICH MEINECKE no, assetato di verità e sempre errante:
soltanto l’opera della grande religiosità e l’opera d’arte stanno più in alto
di esse. Se si riflette su quanto si è detto, ne risultano due specie di valori
culturali. Gli uni vengono intenzionalmente elaborati in uno sforzo già prima
diretto a tale scopo: formazioni ideali di tipo religioso e filosofico,
politico e sociale, opere d’arte, scien- za. Gli altri fioriscono mediatamente,
e non secondo un inten- to precedente, dalle necessità della vita concreta,
indirizzata in senso pratico. Con i primi l’uomo cerca il cammino più diret- to
e rapido dalla natura alla cultura; con i secondi rimane sul terreno della
natura, ma con lo sguardo rivolto alle alte vette dei valori che lo guidano.
Soddisfacendo le necessità della vita, egli cerca alla fine di soddisfarle in
modo che si realizzino contemporaneamente i valori del vero o del bene o del
bello. Vale quindi a questo proposito quanto ha detto Aristotele a proposito
dello stato: è stato costituito per poter vivere, ma esiste per vivere bene. Ed
è in primo luogo nello stato che la natura diventa in questo modo,
capovolgendosi, cultura. Nel lavoro immediato o mediato entro la cultura
sorgono così ovun- que degli esseri spirituali, individualità storiche, delle
quali lo storico indaga contemporaneamente l’origine e l’efficacia causa- le al
pari del valore. La soggettività, che è ora connessa a tutti i valori, viene
posta almeno in secondo piano per il fatto che si apprezza in primo luogo il
valore del fenomeno che essa reca in sé, come rivelazione specifica e
insostituibile di vita spirituale *. Occorre inoltre trasferirsi nell'anima
stessa di chi agisce per poterne osservare l’opera e la realizzazione culturale
in base ai presupposti che gli sono propri, e in ultima analisi per rianimare
con l'intuizione artistica la sua vita passata — il che non è possibile senza
la trasfusione del proprio sangue vitale. Solamente un senso aperto con amore e
tolleranza a tutto quanto è umano raggiungerà quindi quel grado di ogget- a. In
ciò consiste anche la protezione contro la pericosa tendenza dei moderni «
sintetici » a considerare il fenomeno individuale soltanto come elemento e
rappresentante dello sviluppo universale, vale a dire — nella prassi — soltanto
come punto di incrocio di tanti « ismi » astratti. In tal modo si arriva
nuovamente a una pericolosa vicinanza con il positivismo, che pure si crede di
aver superato. Nella più recente storia della letteratura e dell’arte questa
tendenza spadroneggia ormai in modo inquietante. FRIEDRICH MEINECKE 943 tività
che è possibile. Qui si inserisce allora anche la teoria della relatività dei
valori, che Troeltsch ha formulato ?. « Relati- vità dei valori non vuol dire
relativismo, anarchia, caso o arbi- trio, bensì designa l’intreccio sempre
mobile e creativo, e perciò mai determinabile atemporalmente e universalmente,
di ciò che esiste di fatto e di ciò che dev'essere ». Ciò significa che la
relatività dei valori non è altro che l’individualità in senso stori- co,
l’orma, in sé fornita di valore, di un assoluto ignoto — poiché esso varrà per
la fede come il fondamento creativo di tutti i valori — in ciò che è relativo e
legato alla natura tempo- rale. Dal valore proprio delle individualità storiche
si deve logica- mente distinguere il valore che esse hanno per noi e per la
nostra vita. Nella determinazione di questo valore deve natural- mente agire
con forza maggiore il bisogno soggettivo. Trarre dalia storia un insegnamento,
un modello e un’esortazione rien- tra quindi tra i motivi ineliminabili che
hanno da sempre con- dotto alla storiografia. Di qui i pericoli più gravi che
minaccia- no il suo carattere scientifico: la distorsione tendenziosa, l’idea-
lizzazione o la deformazione. Un senso storico purificato, che riconosca la
legittimità sia del carattere scientifico sia di quello sopra-scientifico della
storiografia, concederà che noi vogliamo imparare dalla storia anche per la
nostra vita. Già lo studio delle relazioni causali offre insegnamenti pratici
in gran quanti- tà. Tutte le cause generali e ricorrenti in modo tipico, che
operano nella storia, possono ripetersi anche nel presente ed essere quindi
considerate in base alle esperienze compiute nel passato ®. Ciò che nel corso
storico è individuale, inimitabile, a. Cfr. Der Historismus und seine Probleme
cit., p. 211. În questo contesto rinunciamo ad approfondire quelli che si
chiamano i pericoli dello storicismo, cioè gli effetti relativizzanti del
pensiero storico nei ri- guardi di tutti i valori, e ci limitiamo a quest'unica
osservazione: che sol- tanto anime deboli e di poca fede possono scoraggiarsi e
fallire sotto il peso di questo storicismo relativizzante. La fede in un
assoluto ignoto non può venir scossa da esso. Ma la pretesa che questo assoluto
ignoto si sveli, in modo da poter essere toccato con mano, è un residuo di
rappresentazione antropomorfica della divinità. b. Hegel ha sì negato che
popoli e governi abbiano mai appreso qual- cosa dalla storia e abbiano agito
secondo gli insegnamenti che se ne pote- vano trarre. Ma è più giusto dire che
di rado essi hanno imparato ciò che 944 FRIEDRICH MEINECKE insostituibile, non
sopporta invece una tale applicazione prati- ca. Può però diventare contenuto
spirituale, modello ideale per coloro che possiedono un’individualità affine e
rispondente, e contribuire in tal modo alla loro più profonda e più ricca for-
mazione. Epoche e generazioni intere possono anche nutrirsi dei valori
culturali di un determinato passato, ad esse particolar- mente affine. Le
culture tarde di regola hanno bisogno di soste- gni siffatti. Ma sempre incombe
allora il pericolo di una man- canza di autonomia da epigoni, il pericolo di
soccombere inte- riormente agli spiriti del passato. Al contrario, uno spirito
for- te come Max Weber poteva motivare il suo disegno immagi- nario di indagare
la storia in modo avalutativo con uno scopo altamente carico di valori: «voglio
vedere fino a qual punto posso resistere » ®. L'insegnamento più raffinato e
più alto che la storia ci dà è però quello che scaturisce senza essere cercato
— come lo abbiamo descritto sopra — dalla pura valutazione delle individualità
storiche in sé. Il suo valore proprio è allo- ra ciò che diventa valido anche
per noi. Esso non consiste in altro che nella conferma dell’infinita forza
creativa dello spiri- to, la quale non ci garantisce certamente un processo
rettili neo, bensì — all’interno dei limiti della natura — un’eterna rinascita
di individualità storiche fornite di valore. In quanto queste individualità
sono tutte causalmente connesse tra loro e l'osservatore desidererebbe che
avessero imparato. Bene o male, Bismarck lo ha riconosciuto: « Per me la storia
è servita anzitutto a imparare da essa qualcosa. Anche se gli avvenimenti non
si ripetono, si ripetono tuttavia le situazioni e i caratteri, in base al cui
spettacolo e al cui studio si può stimolare e formare il proprio spirito »
(Gesprich mit Memminger, 1890, in Die gesammelten Werke, Berlin, vol. IX, 3°
ed. 1926, p. 90). a.
Marianne Weser, Max Weber. Ein
Lebensbild, Tibingen, 1921, p. 690. b. A questo proposito si veda l'acuta
osservazione di G. von BeLOw, Deutsche Geschichtsschreibung cit., p. 113, nota.
— Non posso quindi considerare, con Troeltsch, la « comprensione del presente
sempre come il fine ultimo di ogni ricerca storica » (cfr. Die Bedeutung des
Protestan- tismus fiir die Entstchung der modernen Welt, Minchen, 1911, p. 6). Essa
è certo un fine assai giustificato e necessario, ma non è né l’unico né il più
alto. Ho spesso polemizzato con Troeltsch su questo punto; e anche nel suo
Historismus (p. 696) egli mi rimprovera la « tendenza a evadere verso una
contemplazione oggettiva e pura ». FRIEDRICH MEINECKE 945 formano nel loro
insieme la grande individualità complessiva della storia universale, anche
l’individualità storica della nazio- ne, dello stato, della società, della
chiesa ecc. — entro le quali viviamo storicamente e alle quali cooperiamo —
diventa co- sciente del proprio radicarsi nel processo complessivo. Proprio
questa consapevolezza può, a sua volta, sviluppare le più robu- ste forze
etiche. La tradizione, che per conto proprio e inconsa- pevolmente — si
potrebbe dire naturalmente — opera come legame tra le generazioni, come custode
dei valori culturali acquisiti, soltanto ora si spiritualizza veramente,
diventando va- lore culturale in senso pieno: « E così il vivente acquista di
passo in passo nuova forza »°. Da quanto abbiamo detto risulta che la storia
non è al- tro che storia della cultura, dove cultura significa produzio- ne di
valori spirituali di volta in volta specifici, ossia di in- dividualità
storiche. La polemica tra gli orientamenti storio- grafici della storia
politica e della storia della cultura ha potuto aver luogo soltanto perché da
entrambe le parti non si era chiarito il rapporto tra relazioni causali e
valori nel- la storia. La storiografia politica vedeva nello stato il fat- tore
centrale della vita storica — e, dal punto di vista causa- le, con pieno
diritto, perché le influenze causali più forti an- che sulla vita culturale
provengono sempre dallo stato. E in quanto ogni comunicazione di valori
culturali ha bisogno della più ampia fondazione causale, già per questo motivo
anche lo stato dovrà rimanere sempre al centro della ricerca storica. Ma esso è
anche il valore culturale più alto possibile? Una certa inclinazione a elevarlo
a valore supremo era presente fin da Hegel, anche se trovò sempre un limite nel
giusto sentimento che, come valore, la religione gli è superiore. Lo stato non
può essere quindi il valore supremo, perché è vincolato in modo più forte di
quasi tutte le altre individualità storiche a necessi- tà naturali, biologiche,
che gli impediscono di spiritualizzarsi e di eticizzarsi completamente. La
religione nelle sue forme più pure e l’arte nelle sue realizzazioni più alte
costituiscono i 6. GorrHE, Zur Logenfeier des 3. September 1825, Zuwischengang, vv. 17-18. 60. STORICISMO TEDESCO. 946 FRIEDRICH MEINECKE
valori culturali supremi. Solamente dietro di esse la filosofia e la scienza
possono reclamare la loro posizione. Ma — ci si chiederà immediatamente — la
vita attiva e produttiva dell’uo- mo non viene con ciò sminuita nel suo valore
a profitto delle attività meramente contemplative e spirituali dell’uomo? Forse
che la fuga dalla vita, la quale è sempre in qualche misura connessa con
queste, deve porsi più in alto della formazione della vita? La risposta a tale
interrogativo non può essere semplicemen- te un sì o un no. Si manifesta qui il
peculiare incrociarsi dei valori. Se si chiede in quali sfere l’uomo può
maggiormente innalzarsi al di sopra della natura, occorre indubbiamente indi-
care le sfere della religione, dell’arte, della filosofia e della scienza. La
vita produttiva lega l’uomo più fortemente alla natura: i valori culturali che
l'uomo produce in essa recano su di sé più polvere terrena, sono più torbidi e
impuri di quelli delle sfere contemplative che rifuggono dal mondo. Il compito
di produrli non è soltanto più difficile, ma è anche più pressan- te e
inevitabile che quello di portare alla luce i valori culturali delle sfere
puramente spirituali. Il compito stesso di creare il valore culturale della religione
acquista la sua piena urgenza e inevitabilità se essa non rimane auto-godimento
mistico del divi- no, ma penetra nella vita produttiva e ne diventa fermento.
Analogamente, dagli altri valori culturali elaborati in modo contemplativo —
cioè l’arte, la filosofia, la scienza — si preten- de a buon diritto che essi
fecondino non immediatamente, ma mediatamente, la vita produttiva. Tutti i
valori culturali supre- mi sono tenuti a servire questa vita. Possiamo anche
dire che la vita produttiva non crea certamente di per sé i valori cultura- li
supremi, ma che il compito primo e più urgente è di creare in essa valori
culturali. La vita contemplativa forma soltanto immagini della vita, non la
vita stessa. Per questo motivo essa può creare qualcosa di più spirituale e di
più perfetto di quan- to non possa fare la vita produttiva. Queste immagini
devono e possono servire come guida alla vita produttiva nella sua lotta per i
valori culturali. Lo storico deve quindi rivolgere la massima attenzione a
questo problema: fino a qual punto e in quale grado la vita connessa alle
necessità naturali venga in tal modo trasformata e mutata in cultura. FRIEDRICH
MEINECKE 947 Attraverso queste considerazioni l’importanza centrale del- la
storiografia politica all’interno delle scienze storiche risulta fondata più
profondamente — riteniamo — che non mediante gli argomenti finora addotti a
tale scopo. Essa ha a che fare con valori culturali più imperfetti che non la
storia della reli- gione, dell’arte ecc. Ma non invidia certamente a queste la
fortuna di muoversi sulle vette dell'umanità. Indagando lo sta- to, il fattore
causalmente più efficace della vita storica, e al tempo stesso cercando i
valori che questo è in grado di produr- re, essa deve sempre guardare
contemporaneamente alle profon- dità e alle vette della vita, e per farlo è
costretta a porsi penso- sa nel centro della vita stessa. Essa è la più
prossima alla vita tra le scienze storiche. Si può discutere — in base al
concetto che si ha della vita storica — se la storia economica o la storia
sociale non siano ancora più vicine alla vita. Per vita storica noi intendiamo
però l’intreccio di natura e cultura; quanto più accanita è quindi la loro
lotta fecondatrice, tanto più è presen- te la vita storica. Noi vediamo questo
dualismo agire, nella sua forma più intensa, nello stato. Esso non lo conduce
ai supremi trionfi della cultura, ma allo spettacolo più memorabi- le e più
commovente della sua lotta con la natura. Spiritualizza- re ed eticizzare lo
stato in cui si vive, anche se si sa che non ci si può riuscire del tutto,
costituisce — insieme all’esigenza di elevare spiritualmente ed eticamente la
propria personalità — la più alta delle pretese che si possano porre all’agire
etico; perché lo stato costituisce la comunità di vita più influente e
comprensiva e perché l’uomo che aspira alla perfezione può respirare
liberamente soltanto in uno stato che aspiri anch'esso alla perfezione. E
proprio l’elemento problematico, l'elemento di insicurezza e di precarietà
presente nei valori culturali dello stato è ciò che attira con forza magnetica
lo storico politico, per lo più in modo a lui stesso inconsapevole, verso i
grandi uomini di stato della storia universale, nei quali il conflitto tra
natura e cultura diventa grandioso. C'è poi ancora un campo intermedio tra la
storia politica, che rappresenta la lotta per i valori culturali nella vita
statale, e la storia dei valori culturali creati contemplativamente: il campo
delle idee politiche. Qui vita attiva e vita contemplativa si fondono. Dalle
necessità della vita politica attiva scaturisco- 948 FRIEDRICH MEINECKE no gli
impulsi diretti a formare immagini di questa vita nelle quali si mescolano tra
loro realtà e ideale. Secondo il desiderio di chi le forma, esse devono reagire
sulla vita immediatamente — e non soltanto mediatamente, come accade per le
immagini formate dall’arte e dalla scienza. Quando vi riescono, esse di-
ventano preludi di processi storici reali e sono già per questo motivo degne di
essere indagate, in quanto rappresentano rela- zioni causali importanti. Con
quanto zelo si è andati alla ricer- ca degli inizi dell'idea di sovranità
popolare e dell’ideale sociali- stal Ma esse derivano il loro valore culturale
peculiare dal fatto di rappresentare tentativi — rettilinei e ardui come quelli
compiuti dagli uomini dediti alla vita contemplativa — di ele- varsi al di
sopra di ciò che è meramente naturale e di spiritua- lizzare lo stato, almeno
nel desiderio. Esse devono perciò venir considerate, rivissute e rappresentate
di per sé, nel loro specifi co valore individuale, e non solamente nella loro
efficacia causa- le, con tanto sangue vitale quanto sarebbe necessario per
infon- derlo di nuovo in loro. Altri possono essere presi in misura più forte
da altri tratti della vita storica concreta; io sono sem- pre stato
profondamente commosso dallo spettacolo delle idee individuali che — nell’urto
delle rozze forze terrene della vita statale — si destano e lottano per
sottrarsi alla loro pressione. Anche queste idee sono ancor più vincolate
all’elemento terre- no, più fortemente intrecciate con le realtà effettive che
non le formazioni spirituali della pura vita contemplativa. Per questo motivo,
a contatto con esse si diventa più consapevoli dell’indi- spensabile terreno
della realtà naturale, senza il quale non è possibile nessuna formazione
culturale, neppure la più alta. Esse riuniscono l’odore della terra e il
profumo dello spirito. È quanto fanno anche gli stati concreti quando si
elevano — come ci ha insegnato Ranke — a esseri spirituali forniti di realtà.
Dove poi cresca il valore culturale più alto — se nello stato stesso oppure
nell’idea del pensatore che lo percorre, se nella città-stato greca o
nell’ideale platonico dello stato che da quella è sorto — sarebbe pedantesco
volerlo decidere ogni vol- ta. Talvolta è senza dubbio lo stato, altre volte è
invece l’idea politica che ne è scaturita, accettandolo o negandolo, a rappre-
sentare la realizzazione spirituale più alta; in molti altri casi, come
nell’esempio indicato, ci si asterrà dal giudizio di valore. FRIEDRICH MEINECKE
949 La disposizione dei valori culturali in un ordine progressivo può essere in
genere effettuato soltanto in modo sommario: lo esige il loro carattere
individuale, che si fa gioco di un criterio generale univoco. In quanto tutti i
valori culturali vengono concepiti come individualità, ci si accorge
sommariamente che in essi è presente una misura maggiore o minore di potenza
spirituale o di vincolo naturale, senza però poterlo valutare con precisione.
Bastano già a impedirlo quelle impenetrabili zone intermedie tra natura e
cultura. Individuum est ineffabi- le. Il fascino infinito del mondo storico
consiste appunto nel fatto che esso produce, in modo insieme misterioso e
manife- sto, sempre muove entità spirituali, senza tuttavia ordinarle in una
serie progressiva con una successione ascendente. Infatti ogni epoca, come
insegnava Ranke, è in rapporto immediato con Dio. Vogliamo chiudere con le
parole che egli fa seguire in que- sta frase, poiché — esattamente intese —
esse dicono la stessa cosa che abbiamo cercato di illustrare in polemica con
un’opi- nione ampiamente diffusa nella corporazione degli storici: «# loro
valore non sta affatto in ciò che da esse scaturisce, ma nella loro stessa
esistenza, nel loro proprio io »*. a. Ùber die Epochen der neueren Geschichte
(a cura di A. Dove), Leipzig, 1888, p. 5. STORIA E PRESENTE * Storia e presente
costituiscono un’unità, che viene concepita dallo storico come fornita di una
duplice polarità. Un polo definisce la rigorosa concentrazione ascetica sulla
conoscenza del passato umano, con tutti gli strumenti di comprensione storica e
di ricerca critica, la quale può condurre fino all’ascesi entusiastica che
Ranke ha espresso con la frase, molto spesso richiamata, che egli voleva
dissolvere il proprio io per poter vedere le cose nella loro purezza. L’altro
polo — cioè la sfera in cui lo storico vive — definisce al contrario la
rinnovata consapevolezza di questo io, non però del proprio piccolo io
egoistico, ma dell'io nutrito dal passato, riempito e allargato dai grandi
compiti del presente. La scienza storica è perciò sempre, al tempo stesso,
scienza e più che scienza. Abbiamo imparato più volte — e ciò rientra nei
caratteri fondamentali della moderna impostazione delle scienze dello spirito —
a guardare al di là delle ristrette delimitazioni concettuali con cui dobbiamo
sempre orientarci in via preliminare. In ogni formazione storica — si chiami
essa scienza o stato, arte o religione, Germania o Occidente — c’è una forza motrice
che spinge oltre i confini che sembrano esserle imposti nella realtà. Si
potrebbe quasi dire che ogni essere storico desidera essere qualcosa di diverso
da ciò che realmente è. Questa è la dinami- * Geschichte, Staat und Gegenwart,
in « Logos », XXII, 1933, pp. 161-170, poi raccolto in forma mutata e col
titolo Geschichte ind Gegenwart nel volume Vom geschichtlichen Sinn und vom
Sinn der Geschichte, Leipzig, Kochler und Ameland, 1939, pp. 7-22, c infine in
Werke, vol. IV: Zur Thcorie und Philosophie der Geschichte, Stuttgart, K.F.
Kochler Verlag, 1959, pp. 90-91 (traduzione di Sandro Barbera e Pictro Rossi).
FRIEDRICH MEINECKE 9SI ca della vita storica, per cui avviene che le cose della
storia trapassano tutte le une nelle altre, cosicché noi vediamo sussiste- re
tra di esse zone più o meno larghe di confine anziché linee nette di
separazione, e il singolo fenomeno storico può spesso apparire tanto
contradditorio in sé, e tuttavia quanto mai pie- no di vita. È ciò che
chiamiamo coincidentia oppositorum, e su cui fondiamo, a partire da Ranke e da
Hegel, la moderna immagine della storia. Essa è molto più complicata, molto più
difficile da intendere che non l’immagine che del passato si erano fatte tutte le
generazioni precedenti e che ancora oggi sta dinanzi al pensiero inesperto
quando questo tratta di uomi- ni, tendenze, situazioni e idee come di entità
circoscritte e facil- mente calcolabili. Dobbiamo quindi avere ben chiaro che
esiste un pensiero storico, una forma di trattazione delle realizzazio- ni
della cultura umana che devia dall’abitudine ingenua e quoti- diana di
considerare le cose nella loro cosalità e come qualcosa di immutabile anziché
di fluido, cioè fuse tra loro e determina- te da innumerevoli relazioni
enigmatiche. Si può qui ricordare il rivolgimento avvenuto nel moderno pensiero
naturalistico: quanto più la materia diventava oggetto di un’indagine affina-
ta, tanto più si risolveva in funzioni e in relazioni enigmati- che. Il rivolgimento
avvenuto nel pensiero storico, che ci ha condotto da una visione meccanica a
una visione dinamica del- le cose, ha avuto luogo molto prima dell’analogo
rivolgimento nel pensiero naturalistico — cioè oltre un secolo e mezzo fa,
all’epoca dello Sturm und Drang, dello scoppio della Rivoluzio- ne francese. Di
quell’epoca Goethe ha così riferito, più tardi, in Dichtung und Wahrheit: «Un
sentimento che prevaleva violentemente in me, e che non poteva esprimersi in
modo abbastanza meraviglioso, era la sensazione dell’unità di passato e
presente»! Qui abbiamo l’inizio del processo di fusione nel pensiero, la
coincidentia oppositorum, l'influenza dinamica dell'elemento storico sul
presente e viceversa. All’inizio si tratta- va soltanto del sentimento, della
sensazione dell’uomo geniale, non ancora di un principio che trasformasse tutta
l’immagine del mondo. Del resto questa trasformazione è avvenuta soltan- to
gradualmente, allargandosi da cerchie ristrette a cerchie più 1. GoerHt,
Dichtung und Wakrheit, libro XIV. 952 FRIEDRICH MEINECRE ampie, ed è ancora ben
lontana dal termine dei suoi effetti. Ma di fronte a tutte le altre
trasformazioni della vita — di tipo politico, sociale, economico e tecnico —
che abbiamo vissu- to dall'epoca della Rivoluzione francese, questo nuovo modo
di pensare dello storicismo dinamico ricorda il raffinato moti- vo melodico di
una sinfonia gigantesca, che spesso può scompa- rire nel tumulto degli ottoni e
dei tamburi ma che, riproposto da un nobile violino, penetra nell'intimità del
cuore. Non c’è più nulla di saldo e di concluso in sé, tutto è divenire. « Chi
sa dove si va? si ricorda appena da dove si è venuti » — per riferir- ci ancora
a Dichtung und Wahrheit e alle sue parole conclusi- ve?: tale è la parola
d’ordine che da allora risuona nel mondo. Si rimane sempre scossi da capo
quando si riflette profonda- mente su questo mutamento e sulle sue conseguenze.
Qui vo- glio parlare soltanto delle conseguenze che toccano il rapporto tra
storia e presente. Mi riferisco ancora una volta alla frase di Goethe, secondo
cui nella sua sensazione passato e presente confluivano in un'u- nità. Goethe
aggiungeva che questa intuizione aveva introdot- to nel presente qualcosa di
spettrale. Essa è stata benefica per la sua poesia. In altre parole, egli ne
presagiva la meravigliosa forza vivificatrice. Ma agli altri — aggiungeva —
sarebbe ap- parsa, nel momento in cui si esprimeva immediatamente zella vita,
strana, inspiegabile, fors’anche sgradevole. Qui Goethe ha di nuovo avvertito,
con geniale presentimento — anche se coglieva soltanto un aspetto del nuovo
potente problema — il carattere a doppio taglio degli effetti del nuovo
sentimento del- la vita e della storia. Questo nuovo storicismo dinamico, che
superava i limiti interni frapposti tra passato e presente e rove- sciava
entrambi, con tutti i loro contenuti, nell’eterno crogiolo di un divenire, di
un’influenza e di una conversione reciproca, ci ha dischiuso i mondi incantati
di una nuova comprensione storica per tutto ciò che reca sembiante umano; ma ha
anche scosso in lungo e in largo, non tutto di un tratto ma gradual- mente, il
saldo terreno di determinati ideali assoluti su cui l'umanità aveva creduto fin
allora di poggiare. Basterà ricorda- re — per accennare soltanto all’elemento
più importante — 2.
GoetHE, Dichtung und Wahrheit, libro XX. FRIEDRICH MEINECKE 953 quanto difficile è diventata la posizione del
Cristianesimo rivela- to dopo che la critica storica ha scoperto il divenire
delle reli- gioni, le loro influenze reciproche e le molteplici forme di
transizione delle religioni orientali della redenzione. Se poi ci si rende
conto del modo in cui tutto questo prolunga i suoi effetti fino ai problemi
religiosi del presente e quanto oscuro sia il futuro religioso che ci sta
dinanzi, allora può ben riassalir- ci quella sensazione di spettrale che Goethe
aveva provato al primissimo balenare della nuova visione della storia. Lo
storici- smo ha suscitato un relativismo che viene a considerare ogni singola
formazione storica, ogni istituzione, ogni idea e ogni ideologia soltanto come
un momento transitorio nell’infinito corso del divenire. Tutte le cose hanno
perciò solamente valore relativo. Come può prosperare la fede salda e la
fiducia in colui che crea di tendere a qualcosa di fornito di valore in sé? La
parola d’ordine dovrebbe essere simile a quella degli uomi- ni di affari in
epoca di inflazione: «rimanerne fuori! ». Ciò può condurre a effetti che
dissolvono e minano in mo- do pericoloso: infatti può un giorno scaturirne uno
scetticismo sfiduciato e stanco, un dubitare del senso di questo eterno dive-
nire e passare, dal momento che il senso di ogni formazione storica particolare
viene immediatamente posto in questione dal senso — che appare altrettanto
giustificato — delle forma- zioni in lotta con essa; tanto più se, come abbiamo
già detto, queste diverse formazioni che si succedono l’una all’altra non si
distinguono tra loro in modo preciso e determinato, ma tra- passano l’una
nell’altra. Può inoltre scaturirne un opportuni- smo svelto e privo di
princìpi, che non conosce nessun saldo vincolo superiore, e acchiappa perciò
veloce la preda dell’atti- mo soddisfacendo l’interesse momentaneo. Non già che
intenda ricondurre tutti i fenomeni sgradevoli della nostra vita alla causa
ideologica dello snervante modo di pensare relativistico. Questo modo di
pensare è anzi connesso causalmente, a sua volta, con tutte le altre
trasformazioni, in gran parte assai elementari e materiali, della nostra
esistenza. Esso rientra però nel motivo melodico di quel potente processo che
minaccia di sradicare gli uomini e di farne mere funzioni nella dinamica
complessiva della vita storica. Ma l’uomo non vuole lasciarsi sradicare, non
vuole diventa- 954 FRIEDRICH MEINECKE re una mera funzione, vuol rimanere un
individuo di per sé, an- che se sa che la sua individualità è sempre
intrecciata con tutto ciò che è sovra-individuale. Egli non è soddisfatto
neppure del punto di vista secondo cui ogni cosa agisce sull’altra e trapassa
in essa, ma vuole « distinguere, scegliere e giudicare ». Alla co- noscenza
eraclitea che « tutto scorre » deve immediatamente su- bentrare l’esigenza di
Archimede: « dammi un punto di appog- gio ». Ma in tal caso anche i compiti per
i quali lavora, anche le idee per cui combatte devono acquistare di nuovo
qualcosa di stabile. Possiede lo storicismo — questa è la grande questione — e
il particolare tipo di relativismo da esso prodotto la forza di guarire da solo
le ferite che ha inferto? Soltanto chi abbia avuto realmente una volta nella
sua piena profondità origina- ria — come in passato Goethe — quella sensazione
meraviglio- sa dell'unità di passato e presente, risponderà senza esitare di sì
prima ancora di aver disposto tutti gli argomenti in un ordi- ne logico. Ciò
che ci rende interiormente più ricchi, che ci porta a un contatto vitale
immediato con gli uomini e i tesori del passato, che ci insegna a comprendere —
o per lo meno a scorgere — attraverso il ritmo dell’eterno divenire e
trasformar- si le profondità dei destini degli uomini e dei popoli, non può
recare in sé soltanto una forza distruttiva, ma deve anche posse- dere una
forza costruttiva. Ma come si dovrà definire questa forza costruttiva? com'è
possibile — per dirla in modo sempli- ce e rozzo — mostrare l'utilità della
storia e del pensiero stori- co per il presente? Non voglio importunare il
lettore con le consuete trivia- li verità o mezze verità con le quali si cerca
di solito di dimostrare l’utilità della storia per la vita produttiva. Nel- la
situazione spirituale odierna si deve cercare di assumere un punto di vista più
elevato. Non si deve mai perdere di vista il fatto che nello storicismo, il
quale relativizza ogni cosa, è cer- tamente presente un veleno corrosivo, il
cui effetto può essere eliminato solo mediante altri forti ingredienti. E non
si deve neppure dimenticare che nei centocinquant’anni durante i qua- li il
pensiero storico è fiorito nella cultura tedesca gli effetti di quel veleno non
sono stati riscontrati, e sono stati tenuti indie- tro dagli effetti positivi e
creativi del pensiero storico-genetico. FRIEDRICH MEINECRE 955 Esso diventò
un’arma anzitutto per i creatori dello stato nazio- nale tedesco. Da Dahlmann®
e da Droysen fino a Treitschke, furono gli storici politici a preparargli il
cammino, e Bismarck era pieno di intuizioni storiche che ricordano la saggezza
di Ranke. Per Ranke come per Hegel e per Droysen la storia rappresentava il
corso del divenire che tutto muove, trasforma e forma in modo nuovo. Come sono
essi riusciti — dobbiamo chiederci — a far fronte, nonostante tutto, ad esso e
a non naufragarvi dentro, ma piuttosto a trarne forze positive e co- struttive?
Dobbiamo perciò formulare la questione in termini ancor più generali: dove si
può cercare, in generale, l'antidoto al veleno del relativismo? Vi sono stati
tre diversi modi di coprire la prospettiva relati- vistica del puro divenire e
fluire delle cose mediante principi che tendano all’assoluto, cioè mediante
valori che possano resi- stere alla transitorietà temporale e fecondare così
più profonda- mente la vita produttiva. Prendiamoli sommariamente in esa- me e
chiediamoci quindi se, e in quale misura, possiamo ancor oggi adottarli. Il
primo modo è quello romantico, la fuga nel passato. Si trasfigura e si
idealizza un determinato momento di esso, lo si trasforma per quanto è
possibile in un’età dell’oro, lo si pone in contrasto con l’oscuro presente; e
nel caso che non ci distol- ga da questo trasognati o mal contenti, si può
agevolmente acquisire da un grande passato anche impulsi creativi per il proprio
tempo. Allorché il barone von Stein‘ diede quell’ordi- namento cittadino che
fece epoca e concepì la grande idea, rivolta verso il futuro, dello stato
nazionale tedesco, a tale im- presa cooperarono i ricordi romantici della
libertà municipale 3. Friedrich Christoph Dahlmann (1785-1860), storico e uomo
politico tedesco, autore della Quellenkunde der dentschen Geschichte (1830),
delia Politik, auf den Grund und das Mass der gegebenen Zustinde
zuriickgefiihrt (1835), della Geschichte von Dinemark (1840-1843), della
Geschichte der englischen Revolution (1844), della Geschichte der franzòsischen
Revolution (1845) e di altri scritti, appartiene alla storio- grafia liberale
del primo Ottocento. Fece parte dell'assemblea nazionale di Franco- forte, cd
ebbe gran parte nell'elaborazione del progetto di costituzione tedesca nel
1848. 4. Heinrich Friedrich Karl barone von Stein (1757-1831), uomo politico
tedesco, diede un contributo decisivo alla riforma dello stato prussiano prima
nel 1807-1808 e poi nel 1813-14, dopo la sconfitta di Napolcone; sostenne la
necessità dell'unione nazionale tedesca su base prussiana. Meineckc sì
riferisce qui alla riforma municipale del novembre 1808, che concedeva
l'autonomia locale alle città della Prussia. 956 FRIEDRICH MEINECKE delle antiche
città tedesche della potenza imperiale del Medioe- vo. L'intero mondo
conservatore vive spiritualmente, in misu- ra non piccola, di valori del
passato idealizzati. In generale, a un popolo pervenuto alla coscienza di se
stesso è indispensabile un frammento di culto del passato e degli antenati.
Comprende- re la storia del proprio popolo non soltanto con visione storica, ma
anche con l’animo, è un processo salutare e profondamente giustificato. La
mancanza di pietà verso il proprio passato è innaturale e dannosa. Ma pietà
senza critica non dovrebbe esi- stere, allo stesso modo in cui non dovrebbe
esistere critica sen- za pietà. Rispondo così alla questione se sia possibile
sottrarsi agli effetti sgretolanti del relativismo con la fuga romantica nel passato,
dicendo che in ogni caso la vita dell’uomo moderno è povera e triste senza
qualcosa del senso romantico della storia, in generale del Romanticismo. Ma non
appena si sviluppa in modo eccessivo, esso ostacola la vita anziché
promuoverla. Pas- sato e presente non confluiscono più in unità: il passato
uccide allora il presente. E se ci interroghiamo soltanto sul valore
conoscitivo del senso romantico della storia, anche in questo caso dovremo dire
che tale elemento ci dischiude profondità del passato che non sarebbero
accessibili alla mera conoscenza causale. Ma non appena un qualsiasi momento
del passato vie- ne elevato a norma e a criterio di valore dell’intero processo
storico e del presente in particolare, sorge un dogma arbitrario che crolla
immediatamente sotto la critica corrosiva del re- lativismo. Cerchiamo dunque
ancora il punto saldo che ci permetta di far fronte al relativismo. Si può
anche procedere al contrario del Romanticismo e cercare il valore non già nel
passato bensì nel futuro, cercarvi cioè il fine della storia, che deve dare un
senso al corso — altrimenti privo di significato — del divenire. Emerge qui una
quantità di volti di filosofi della storia, tutti tesi a riconoscere nella
storia un progresso reale verso un idea- le determinato e assoluto. Alcuni
credono che questo ideale sia raggiungibile e conduca a uno stato duraturo di
perfezione dell'umanità, mentre altri si accontentano di avvicinarsi a que- sto
fine in un’approssimazione infinita. Ma nell’uno come nel- l’altro caso è stato
questo ottimismo del progresso ad agire FRIEDRICH MEINECKE 957 potentemente nei
secoli xvi e xix, diventando la bandiera dell’umanità in marcia. Molte
sarebbero le cose da dire a que- sto proposito; ma qui mi limito a quest’unica
domanda: abbia- mo oggi ancora questa fede nell’ascesa continua dell’umanità
verso gradi superiori? Possiamo possederla ancora? A molti di noi il coraggio
qui viene meno di colpo, e all'orizzonte si levano le ombre della moderna
problematica culturale. In Ger- mania abbiamo sentito parlare, nel periodo
successivo alla guer- ra, del tramonto dell’Occidente. Ritengo queste profezie
di de- cadenza altrettanto precarie e soggettive quanto le prognosi di ascesa.
Una volta colto il loro sfondo psicologicamente soggetti- vo e legato a uno
stato d’animo, scompare anche il loro fasci- no. E di nuovo siamo di fronte
alla corrente infinita del diveni- re e del trasmutare storico. «Chi sa dove si
va? non ci si ricorda neppure da dove sì è venuti ». Questa corrente del
divenire, che tutto relativizza e tut- to dissolve nel suo movimento,
relativizza appunto anche i due tentativi compiuti dall’aspirazione umana a
padroneg- giarlo spiritualmente, cioè il Romanticismo rivolto al passa- to e
l’ottimismo del progresso. È loro caratteristica — ed è pure la loro debolezza
— di immergersi essi stessi nella corren- te, per nuotare sia contro di essa
sia insieme ad essa. Ciò è possibile, e non dev’essere respinto senza appello;
si può ben pro- cedere in avanti, praticamente, di un pezzetto. Ma la corrente
ha la meglio sul nuotatore. In altri termini, entrambe queste visioni della
storia procedono in direzione orizzontale e soccom- bono perciò alla corrente
del divenire, che si muove orizzontal- mente. Ma si può considerare la
questione anche in senso verti- cale e tentare di costruire un solido ponte al
di sopra della corrente? Non si può forse guardare la corrente dall’alto di
questo ponte e scorgere ciò che c'è di saldo e di sicuro nel mutamento? Non
vedo nessun’altra via. Ed essa è stata percorsa da pro- fondi pensatori.
Proprio in Goethe si trovano le indicazioni più precise in tal senso, e Ranke
l’ha imboccata, dopo essersi immerso nella vita storica ancor più profondamente
di quel che era stato possibile a Goethe. L'ha poi di nuovo ritrovata, con i più
moderni strumenti filosofici, Ernst Troeltsch, e nella 958 FRIEDRICH MEINECKE
medesima direzione si lavora oggi da parecchie parti. Per accen- nare la
direzione in cui dev'essere trovata la soluzione del no- stro problema voglio
qui mettere a confronto due espressioni, l’una di Goethe e l’altra di Ranke.
Nella tarda poesia di Goe- the che egli stesso chiama Vermdchtnis e che
comincia con le parole « Nulla può mai distruggersi, annullarsi », si dice: «Ed
il passato è allora duraturo, il futuro previve nel presente, l'attimo è
eternità » 5. Anche qui si esprime di nuovo il senso universale della storia
proprio di Goethe, che percepiva l’unità di passato e presente. Ma l’elemento
di spettralità è scomparso e nella pie- na coscienza della corrente infinita
del divenire, che unisce tra loro passato e futuro, un’idea di eternità prevale
sull’infinito meramente temporale; e non si tratta di un’idea di eternità
soltanto trascendente e speculativa, bensì di un’idea radicata nel cuore della
realtà e dell’esperienza vissuta. L'attimo è eternità. Veniamo ora alla famosa
frase di Ranke: «ogni epoca è in rapporto immediato con Dio ». Anche questa
frase ci sottrae alla mera corrente del diveni- re e ci spinge a cercare ciò
che nella storia è affine a Dio nell’attimo — nell’impulso all’eccelso di volta
in volta presente nel singolo uomo, nei singoli popoli e stati in ogni loro
epoca e momento. Verticalmente, non già orizzontalmente, la vita storica tende
a quell’altezza di cui è capace. In ogni epoca, in ogni formazione individuale
della storia si muovono forze spiri- tuali che aspirano a elevarsi al di sopra
dell’ottusa natura e del mero egoismo, verso un mondo superiore. Il loro volo
si com- pie più in alto o più in basso, ma ciò che esse realizzano è ogni volta
qualcosa di interamente individuale, distinto da tut- te le realizzazioni
precedenti e successive della storia; ed esse raggiungono tale scopo anche
quando esteriormente falliscono. Il loro valore consiste nella loro stessa
esistenza e azione, indi- pendentemente dal loro successo temporale — si tratti
pure di S. GorrHe, Verméchtnis, vv. 28-30 (trad. it. di F. Amoroso). FRIEDRICH
MEINECKE 959 un andare a fondo con la bandiera che sventola. In ultima analisi
opera qui la convinzione che, almeno per noi, l’elemen- to spirituale non è
qualcosa di universalmente valido nel sen- so delle verità matematiche, ma si
concreta sempre e soltan- to in individualità. Questa prospettiva ci spinge a
cercare e a creare l’eterno nell’attimo, nella costellazione individuale del-
la vita. Possono certamente sorgere dubbi se sia giusto fare dell’ele- mento
più fuggevole, l’attimo, il portatore dei valori dell’eterni- tà. Ma proprio
questa paradossalità ci libera dalla pressione paralizzante della
transitorietà, dando a ogni momento e a ogni formazione ricca di spirito della
corrente del divenire stori- co la sua particolare dignità e il suo valore
peculiare e svilup-pando un impulso etico più profondo della nostalgia di un
passato più bello o della speranza di un regno millenario. In qualsiasi modo
pensiamo la divinità, sia che ce la rappresentia- mo in forma personale o in
forma impersonale, sia che osiamo cancellarne la parola stessa e parlare
soltanto di valori supremi — in ogni attimo ognuno può sentirsi in rapporto
immediato con tali valori, e quanto più fortemente si sente in rapporto, tanto
più sicuramente troverà la sua strada e tanto più gioiosa- mente compirà il
dovere che l’attimo gli impone. Egli può infatti abbandonarsi a una stella che
lo protegge infallibilmente dallo sviamento di una visione della vita pura-
mente relativizzante — vale a dire, per usare le parole di Dilthey, alla «
mirabile facoltà presente in noi che chiamiamo coscienza »: e la coscienza è,
per dirla con Fichte, «il raggio con cui proveniamo dall’infinito ». Ma qui noi
ne parliamo in una prospettiva di teoria della storia, poiché una concezione
storica priva di un saldo fondamento etico diventa gioco di onde. Nella voce
della coscienza tutto quanto è fluido e relati- vo diventa, d’un sol tratto,
saldo e assoluto nella sua forma. « Soltanto la propria coscienza — è detto
nell’Historik di Droy- sen — è per ognuno l’assolutamente certo, è per lui la
sua verità e il centro del suo mondo ». Il contenuto di ciò ch’essa dice al
singolo uomo dovrà essere, sotto vari punti di vista, 6. J.G. Droysen, Historik
- Vorlesungen liber Enzyklopidie und Methodologie der Geschichte (a cura di R.
Hiibner), Miinchen und Berlin, 1937, p. 178. 960 FRIEDRICH MEINECKE individuale
e temporalmente condizionato. Ma ogni esame con- dotto su di sé mostra che la
coscienza traccia ogni volta limiti esatti nei confronti della mera
soggettività, dell’arbitrio e di tentatori ancora peggiori. Per bocca della
coscienza parlano agli individui anche le potenze storiche superiori — il
popolo, la patria, lo stato, la religione e così via — e accanto a ciò che esse
dicono c'è di nuovo, nonostante l’essenza individuale di tali potenze, quel
mirabile carattere assoluto e vincolante che protegge anche la vita comunitaria
dal rischio di precipita- re nell’anarchia del volere individuale. Se si arriva
poi a conflit- ti di coscienza tra il volere individuale e il volere delle
forme superiori di comunità, la coscienza è ancora l’unica istanza che decide
interiormente in proposito e che deve quindi porre fon- damentalmente il bene
comune al di sopra del bene dell’indivi- duo. Così la coscienza è il potente
mezzo connettivo della socie- tà umana, e al tempo stesso l’autentica sorgente
metafisica pre- sente nell'uomo. Nella coscienza l’individualità si fonde con
l'assoluto, e l'elemento storico con il presente. E così mediante la coscienza
è dato all’attimo quel contenuto di eternità, di cui abbiamo parlato. Tutti i
valori di eternità della storia scaturisco- no, in ultima analisi, dalle
decisioni della coscienza degli uomi- ni che agiscono. Il senso della storia
nella totalità dell'universo ci è ignoto. La coscienza, in quanto costituisce
l’elemento più affine a Dio presente in noi, ci mostra per così dire soltanto
un’orlatura dorata al cui interno esso deve risiedere. Da questo senso assolu-
to della storia distinguiamo il senso che può avere per noi. Esso non si
esaurirà nel soddisfacimento del nostro bisogno causale, ma culminerà
nell’accogliere e nel rivivere in noi, com- prendendola, la rivelazione
dell'elemento affine a Dio che è presente nell’umanità. Qualcosa di questo vive
— come abbia- mo chiarito parlando del fatto della coscienza — in innumere-
voli anime, in lotta continua con tutto ciò che le trascina verso il basso e
che spesso può sembrare preponderante. Anche nelle formazioni individuali che
cerchiamo di comprendere storica- mente scegliendole dalla pienezza della vita
complessiva, ciò che è affine a Dio — cioè la cultura nel senso più alto —
equivarrà in una prospettiva spaziale a una sottile vena d’oro in mezzo a masse
di minerale, mentre dal punto di vista tempo- FRIEDRICH MEINECKE 961 rale
rappresenterà spesso soltanto degli attimi fuggevolissimi della storia
universale. Ma nella misura in cui abbiamo guarda- to verticalmente verso
l’alto, abbiamo anche potuto dare all’atti- mo storico e alla sua individualità
un contenuto di eternità. «Chi sa dove si va?» — diciamo di nuovo pensando a
tutti gli abissi della storia; e tuttavia non ci è consentito di spaventarci.
61*. STORICISMO TEDESCO. INDICI 61. STORICISMO TEDESCO. INDICE DEI NOMI A
Abramo, 696. Abramowski G., 552. Acton }.E.E.D., 874. Adler M., 349, 431.
Adriano, imperatore romano, 745. Agostino (S.), 25, 140, 798, 917. Alberca I.
E., 802, 803. Albert H., 552. Alcibiade, ‘748. Alembert (Le Rond d") J.-B., 215,
246. Alessandro Magno, 148, 213,
404, 748, 753. Alfero G.A., 256. Alighieri D., 233, 729, 752. Amenemhet III,
faraone d’Egitto, 746. Amoroso F., 263, 958. Anassagora, 250, 253. Annibale,
753. Antigono Dosone, 778. Antipatro, 778. Antoni C., 75. Antonio, 785, 789.
Apelt E. F., 252. Appio Claudio, 783. Archimede, 752, 954. Archita, 752. Ario,
148. Aristippo, 248. Aristonico, 778. Aristotele, 149, 202, 214, 250, 253» 258,
260, 274, 281, 282, 320, 436, 698, 733, 734, 777, 863, 942. Arminio, 179, 184.
Aron R., 9, 75, 553. Attalo III, re di Pergamo, 778. Augusto, imperatore
romano, 753; 792. Averroé, 214, 251. B Babeuf F.-N., 644. Bach J.S., 195, 196, 232, 753,
766. Bacone F., 110, 113, 315, 698. Bacone R., 733. Baer (von) K.E., 359.
Baltzer A., 723. Balzac (de) H., 234. Banfi A., 431. Barbera S., 76, 91, 213,
271, 313, 341, 433, 725, 755» 804, 843, 857, 889, 920, 950. Barnes H.E., 431.
Baron H., 8or. Bastian A., 427. Baur F.C., 149. Bauer I., 432. Baumgarten E., 549, 887. Bayle
P., 251. Beck R.N., 76. Beetham D., 554. Beethoven (van) L., 232, 525, 727.
Below (von) G., 348, 389, 887, 928, 944. Bendix R., 551-553. Beonio-Brocchieri V., 722. Bergmann ]J., 295.
Bergson H., 54, 250, 255, 336. Bernardo (S.), 148. 966 INDICE DEI NOMI Bernheim
E., 348. Bernstein E., 44-46. Bernwald (S.), 745. Bianco F., 89. Biemel W., 86.
Bienfait W., 550. Bischoff D., 87. Bismarck (von) O., 60-62, 140, 146, 209,
521, 749, 760, 763, 780, 874, 883, 884, 906, 914, 917, 918, 955. Blicher (von)
G.L., 732. Blossio, 778. Bodenstein W., 802. Boeckl A., 79, 113. Bohmer (von)
J.S.F., 193, 196. Bollnow O. F., 85, 87. Bossuet J.-B., 25. Bouquet A. C., 877. Boyen (von) H., 61, 887. Bracciolini P., 930. Brachmann W., 802. Brands M.
C., 75. Bratuschek E., 113. Brentano
F., 295. Brentano L., 541. Bruni L., 930.Bruno G., 231, 251, 256-259, 394; 411,
412, 729. Bruun H. H., 554. Biichner L., 246, 247. Buckle H.T., 110, 347, 357. Budda,
752, 776. Buffon (Leclere de) G.-L., 216. Burckhardt J., 66, 142, 358, 467,
886, 887, 941, 944. Byron (Gordon, lord) G., 751. C Calabrò G., 88. Calvino G.,
608. Cantimori D., 548. Cantoni R., 431. Caracciolo A., 803. Carlo Magno, 745.
Carlyle T., 139, 255, 388, 690, 843, 877, 895. Carmer (von) J. H. C., 156.
Carneade, 245. Cassirer E., 861. Catone il Censore, 773. Catone, Uticense, 786.
Catulo, Quinto Lutazio, 785. Cavalli L., 553. Cervantes (Saavedra de) M., 194.
Cesare, Gaio Giulio, 179, 209, 752, 762, 765, 775» 778, 783-785. Chabod F., 888.
Chamberlein J., 775. Chretien de ‘Troyes, 750. Cicerone, Marco Tullio, 250, 778, 783, 784, 786. Classen P., 887. Cleante, 778. Cleomene III, re
di Sparta, 778. Cleone, 1768. Cohen H., 16, Collingwood R.G., 12, 722. Comenio
(Komensky) J. A., 113. Comte A., 16, 20, 26, 27, 36, 106, 113, 114, 181, 246,
381, 391, 392, 879. Condillac (Bonnot de) E., 215, 287. Constant B., 617.
Copernico N., 108, 412, 726. Corneille P., 234. Coser L.A., 431. Crasso, Marco
Licinio, 784-786. Cristo, 752, 798. Croce B., 11, 12, 71. Clippers C., 87.
Curione, Gaio Scribonio, 785. Curtius E. R., 876. Curtius L., 722. Cusano N.,
261, Cuvier G.-L.-C., 128. D Dahlmann F. C., 955. Damman O., 933. INDICE DEI
NOMI Dante v. Alighieri. Darwin C., 358, 392, 743. Degener A., 87. Dehio L.,
887, 888. Delbriick H.G.L., 887. Democrito, 243, 249. Descartes R., 95, 231, 272, 295;
317» 727, 752 Destutt de Tracy A.-L.-C., 215, 287. Dewey J., 13. Diaz De Cerio
Ruiz F., 88, 89. Dieterich A., 878. Dilthey W., rr, 13, 15-23, 30-36, 40, 41,
43, 45, 48-52, 55, 59, 60, 63, 64, 68, 72, 74, 76, 79-83, 85, 86, 93, 96-98,
102, 150, 209, 215, 244, 252, 268, 336, 350, 410, 542, 627, 719, 887, 959.
Dilthey Misch C., 79. Diwald H., 88. Dove A., 396, 403, 866, 887, 933, 938,
939, 949. Drescher H. G., 802. Driesch H., 872. Dronbenger Î., 553. Droysen J.
G., 61, 348, 358, 887, 955, 959. Du Bois-Reymond E., 97, 98, 101- 103. Diirer A., 740.
Durkheim E., 431. 883, E Edoardo VII, re d'Inghilterra, 767. Ehrenfels (von)
C., 862. Einstein A., 877, 878. Elisabetta
I, regina d’Inghilterra, 901. Engels F., 27, 44. Engisch K., 552. Epicuro, 249.
Eraclito, 220, 236, 242, 256, 257, 259, 260, 719, 748. Erasmo di Rotterdam,
900. 967 Erodoto, 171. Erxleben W., 87. Eucken R.C., 420. Euclide, 750.
Euripide, 662, 751. Eusebio di Cesarea, 148, F Fabian W., 431. Falk J.D., 731. Faraday M., 735. Fauconnet A.,
722. Faust A., 338. Febvre L., 723. Federici F., 338, 339. Federico II il Grande, re di Prus- sia, 83, 85,
156, 180, 189, 749, 762, 793, 903-905, 917, 918. Federico II di Svevia, 189,
214, 902, 903. Federico Guglielmo I, re di Prus- sia, 761, 763. Federico
Guglielmo IV, re di Prus- sia, 901. Ferrarotti F., 552. Feuerbach L., 246, 247,
250. Fichte J. G., 62, 165, 204, 240, 251, 252, 258, 342, 343: 405; 414, 415,
597, 879, 891, 903, 959. Filippo II, re di Spagna, 748. Filippo II di
Macedonia, 753. Fischer K., 14, 79, 267, 341. Flaminio, Caio, 773. Flaminio,
Tito Quinto, 775. Fleischmann E., 552. Forster F. W., 703. Fortini F., 626,
711, 914. Francesco (S.) d'Assisi, 520. Frank E., 722. Frank H., 851. Freidank, 189.
Freisberg D., 802. Freund ]., 552. Fries J.F., 251, 252, 295.
Friescheisen-Kohler M., 213, 431. 968 INDICE DEI NOMI Frost W., 431. Fulling
E., 802. Fustel de Coulanges N.-D., 845, 849, 850, 855. G Gabinio Aulo, 785.
Galilei G., 315, 698, 735, 752. Gassen K., 430, 432. Gauhe E., 723. Gauss C.
F., 752. Gelzer M., 775, 783, 786. George S., 932. Gerone, 748. Gerth H.H.,
554. Gerth H.I., 554. Gibbon E., 150. Giddens A., 553. Gierke (von) O., 27. Giobbe, 233. Giolitti A., 76, 548, 683.
Giordano G., 465. Giotto, 232. Giovanni (S.) Crisostomo, 148. Giuliano
l’Apostata, 148. Giusso L., 87, 723. Giustiniano I, imperatore romano, 746, 769. Gladstone W.E., 780.
Glock C.T., 87. Goedeckenmeyer A., 270. Goethe W., 53, 54, 63, 64, 72, 97, 220,
233, 234, 256, 257, 259, 263, 326-328, 429, 514, 524, 626, 685, 693, 711, 719,
727-731, 734, 738, 740-743, 745» 748, 750, 751, 760, 814-816, 837, 838, 866,
872, 876, 885, 887, 889, 893, 898, 903, 905, 908, 914, 929, 940, 945 951-954;
957, 958. Goetz W., 888. Goldfriedrich J., 872. Gooch G.P., 874, 877. Gorsen
P., 88, 432. Grab H.]J., 550. Gramsci
A., 10. Groethuysen B., 85, 86. Guglielmo II, imperatore di Ger- mania, 61.
Guicciardini F., 148, 150, 171. Gurvitch G., 338.H Haeckel E. H., 101, 103. Hindel G.F., 196, 232.
Haring T.L., 722. Harnack (von) A., 610, 798. Hartmann (von) E., 337, 862.
Hauter K., 430. Hebbel C.F., 738. Heberle
R., 431. Hegel G. W. F., 12, 16, 19, 25, 41, 43, 44, 51, 53, 72, 80, 83, 115,
148, 149, 154-158, 164, 181, 204, 207, 210, 220, 240, 251, 256, 258, 259, 272, 317, 342, 357»
414, 415, 420, 421, 738, 807, 822, 837, 838, 845, 872, 879, 891, 943, 945, 951,
955- Heidegger M., 74, 337. Heimsoeth H., 270, 863. Hellmann S., 549 Helmholtz
(von) H., 14, 358, 441, 688, 691, 728, 822. Hennig ]., 87. Henrich D., S51. Herbart J. F., 204, 251, 252, 279, 292. Herder
J.G., 72, 87, 172, 216, 256, 257, 743, 816, 837, 838, 808. Herring H., 553, 803. Herrmann U., 86, 89.
Herzberg E., 156. Herzfeld H.,
887. Heyde E., 862. Hildebrand (von) D., 35, 862. Hinrichs C., 887. Hintze O.,
802.Hitler A., 66. Hobbes T., 27, 243, 247. Hodges H.A., 87, 88. INDICE DEI
NOMI Hofer W. 887, 888. Holbach {Dietrich d’) P-H., 243. Holborn H., 87. Hòélderlin
J.C.F., 233. Holldack H. 888.
Hibner R., 959. Hufnagel
G., 553. Humboldt (von) W., 62, 756, 858, 866, 868, 872, 808, 905, 907, 931.
Hume D., 215, 216, 246, 843. Hiinermann P., 88. Hungar K., 553. Husserl E.,
32-34. Hutten (von) U., 900. Ibsen H., 234. Iggers G.G., 75, 76. Imaz E., 87. Imelmann ]., 875. Innocenzo III,
papa, 760. Ippia,
215. Iside, 747. J Jackson A., 773. Jacobi F.H., 102, 250, 251, 252, 258. Jaffé
E., 542, 556. Jakowenko B., 270. James W., 255, 336. Jankélévitch V., 430.
Janoska-Bendl J., 552. Jaspers K., 13, 74, 336, 550. Jhering (von) R., 112.
Joél K., 722. K Kaesler D., 554. Kant I., 15, 17, 98, 102, 179, 189, 190, 202,
210, 216, 231, 250, 25I, 969 253, 258, 261, 268, 269, 273, 276, 278, 279, 287,
288, 290-292, 298, 314, 316, 321, 331, 341, 342, 349 411-415, 419, 435» 436,
452, 461, 491-493, 499, 529, 530, 619, 713, 727, 733» 734; 837, 865, 875, 876,
879, 891, 903, 935, 939- Kantorowicz G., 430. Karsten A., Ss1. Kasch W.F., 802.
Katsube K., 87. Kaufmann E., 876. Kautsky K., 846. Kepler J., 315. Kessel E.,
887, 8809, 920. Kidd B., 854. Kierkegaard S., 872, 873. Kingsley C. 843. Klein
E.F., 156. Kluback W., 88. Knapp G.E. 44o. Knevels W., 431. Knies K., 35.
Kohler W., 802. Koktanek A.M., 722, 723. Kon 1. S., 75. Kénig R., 549. Kornhardt H., 722. Kotowski G., 887.
Krakauer S., 431. Krausser P., 88. L Lachmann L.M., 553. Lagarde (de) P. A.
393, 797. Lamarck (Monet de) J.-B.-P.-A., 216. Lamprecht K., 347, 348, 358,
887. Landmann M., 430. Landshut S., 550. Lange F. A., 861. Landgrebe L., 86.
Laplace P.-S., 98, 752. Lask E., 342, 862, 865. Lazarsfeld P., 552. 970 INDICE
DEI NOMI Lazarus M., 427. Lee D.E., 76. Lefèvre W., 553. Lehmann M., 358, 887.
Leibniz G. W., 52, 83, 85, 189, 190, 251, 257, 331; 743. Lenin V.I., 768 Lennert R., 551. Leonardo da Vinci,
698, 699. Lessing G. E., 25, 80, 191, 193, 196, 216, 802, 803, 816, 837, 838.
Lessing T., 862.Liebert A., 87. Liebeschitz, H., 432. Liebmann O., 14.Liebrich H., 802. Liefmann
R., 668, 670. Lindner T., 346. Lincoln A., 780. Lipps T., 36. Litt T., 871.
Littré M-P.-E., 114. Locke J., 318. Loewenstein K., 552. Loose G., 431. Lotze
H., 79, 102, 267, 295, 359; 862, 865. Lòwith K., 550. Loyola (de) I., 900. Lucrezio, Tito Caro, 249. Lukîcs
G., 10, 13, 73-75, 427, 713. Luigi XIV, re di Francia, 512.Lutero M., 190, 899,
917, 918, 939. M Macaulay T.B., 150. Machiavelli N., 70, 148, 171, 769, 902, 903, 917,
930. Magris C., 76. Maier H., 928, 937. Maine de Biran (Gonthier) M,F. P., 250, 255. Malebranche N., 865. Mamelet A.,
431. Mandelbaum
M., 75, 76. Mannheim K., 74.
Marbod, 184. Marini G., 88, 80. Mario, Gaio, 461, 773. Marx - Li 573» 615, 776,
777: 779» 793, 8 Wo (0 der) F.A.L., 900. Masur G., 87, 88. Maurenbrecher M.H., 846. Maurice
J. F. D., 843. Maxwell
J. C., 359. Mayer ].P., 551, 691. Medicus F., 405. Meinecke F., 11, 60, 61, 63,
67-69, 71-73, 858, 873-876, 883-885, 887, 888, 900, 909, 933, 955. Meinong A.,
862 Melantone F., 189. Mendelssohn
M., 102, 250. Menger C., 35, 542. Merleau-Ponty M., 551. Messer A., 722. Mettler A.,
550. Metzger E., 722. Meyer C.F., 900. Meyer E., 209, 348, 777, 783, 925. Michelangelo Buonarroti, 232. Mill J.S., 16,
39, 92, 93, 114, 349, 646, 706. Miller S.M., 553. Miller-Rostowska A., 339. Mills T.M., 431. Milone, Tito Annio, 784. Mirabeau (Riqueti, de)
H.-G. V., 514. Misch G., 85-87. Mitra, 747. Mitzman A., 553. Mohl (von) R.,
113, 115. Moleschott J., 246, 247. Moltke (von) H.C. B., 763. Mommsen T., 112, 427, 461, 54I,
628. Mommsen W., 551, 552, 554. Montaigne (Eyquem dc) M., 917. Montesquieu (de Secondat
de la Brède) C.-L., 215, 811. INDICE
DEI NOMI 971 Mori M., 76. Mòrike E., 937. Moser J., 72, 172, 196. Mo Ti (Mo
Tze), 776. Mozart W.A., 746, 766. Mihlmann W.E., 552. Mulert H., 79. Miiller G., 723.
Miiller H., 62, 431. Miiller-Freienfels R., 871. Miller-Vollmer K., 88. Miinsterberg H., 36, 350, 862,
865. N Naegele K.D., 431. Napoleone I Bonaparte, 514, 617, 748, 749, 756, 762,
788, 955. Natorp P., 16. Naumann F., 844, 887. Naville A., 346. Neander J.A.W., 148. Negri A.,
88, 888. Newton I., 15, 349, 727, 735- Niebuhr B.G., 128, 149, 169, 204, 844.
Nietzsche F., 53, 63, 66, 336, 411, 429, 514, 700, 719, 7720, 726, 752, 879,
910, QII, 9I4. Nitzsch K.W., 844. Nohl H., 85. Northcliffe (Harmsworth,
visconte di) A.C.W., 788, 792. Novalis (von Hardenberg F.L.), 62, 187, 858. 10)
Oberlaender K., 432. Obershall A., 552. Odino, 816, Oken L., 115. Oldenmegyer
E., 552. Omero, 149, 234, 726, 733. Oppenheimer H., 550. Orazio, Quinto Flacco, 748, 901. Ottavio, Marco Cecina,
773. Owen R., 751. P Paci E., 339. Palestrina (da) G.P., 731. Palmer R.E., 88.
Palyi M., 549. Paolo (S.), 242, 512. Paolo Emilio, 785. Papirio Carbone, 786.
Parmenide, 256, 727. Parsons T., 551, 552. Pascal B., 93, 140. Passerin d’Entrèves A., 802. Paul H., 346. Pauly A., 778. Pericle, 752, 768,
90I, 902. Petrarca F., 750. Pfaff C.M., 193. Pfister B., 550, 552. Phlipon (M.me Roland) J.-M., 783. Pick G., 862. Pilato,
Ponzio, 760. Pistone S., 888. Pitagora, 752. Pitt W., 760. Platone, 148, 149,
242, 250, 258, 260, 274, 280, 327, 457, 647, 692, 697, 727, 748, 751; 752, 756,
776, 777, 863, 917. Plenge J., 682. Plotino, 729, 752. Pòhlmann (von) R., 786.
Polibio, 148, 171, 172. Policleto, 753. Polignoto, 753. Pompeo, 209, 765, 778,
784, 785. Popper K., 9. Prades J. A., 552. Protagora, 244, 245, 247, 248.
Pucciarelli E., 87. Pufendorf (von) S., 190. 972 R Radbruch G., 639. Radowitz (von) J.M.,
873. Raffaello, 214, 748. Ramming G., 339. Rand C.G., 76. Randone E., 76. Ranke
(von) L., 19, 20, 62, 72, 79, 140, 148, 150, 204, 357, 358, 359 389, 390, 395,
396, 403, 404, 406, 408, 416, 417, 450, 688, 729, 858, 866, 873, 876, 879,
885-887, 910, 922, 923, 929, 931, 948-951, 955, 957, 958. Renthe-Fink (von) L.,
88. Redeker M., 79, 86. Reinold A. M., 888. Reist B. A., 802. Rembrandt
(Harmenszoon van Rijn, detto), 727, 737, 740, 753» 901. Rceuter H., 873. Rhodes C.J., 785. Ricardo D., 35. Rickert H.,
14-19, 23-25, 36, 37, 39 43, 45, 49, 56, 58, 59, 68, 270, 335, 336, 338, 342,
346, 349, 350, 358, 403, 405, 542, 556, 651, 799, 862, 865, 924, 925; 927, 928,
933; 934, 936, 938, 939. Riehl A., 335, 411. Ritter K., 79, 109, 110. Ritter P., 85. Ritschl A., 41,
148, 797. Robespierre M., 438, 439, 760, 768, 9 Rodi F., 88. Rogers R. E., 553.
Rohan (cardinale di) L. R.E., 774. Roland, M.me, vedi Phlipon. Roscher W. G.F., 35, 573.
Rosemberg A., 775. Rosenthal E.,
432. Rossi P., 75, 76, 91, 121, 201, 213, 271, 313, 341, 433, 548, 551, 552,
INDICE DEI NOMI 555, 627, 725, 755, 804, 843, 857, 889, 920, 950. Rosso C.,
270, 339. Roth G., 553. Rothacker E., 76, 875. Rousseau J.-J., 776, 777, 779. 898, 917. Ruge
A., 270. Runciman W.G., 554. Rutilio
Rufo, 787. S Sallustio, Gaio Crispo, 778. Salomon A., 551. Sanchez Azcona ].,
552. Sartre J.-P.,
13. Savigny (von) F. K., 20, 62. Schaaf J. J., 551, 802. Schifer D., 703.
Schiffle A., 115. Schaidnagl B., 86. Scheler M., 862, 865. Schelling F., 115,
139, 251, 252, 256, 258, 259, 261, 317, 342, 738, 8 79: Schelting (von) A.,
550, 551. Scheschics B. W., 270,
339. Schiaparelli G. V., 834. Schiel I., 93. Schiller F., 233, 234, 254, 255,
411, 752, 814, 879, 887, 903. Schlegel F., 62. Schleiermacher F., 43, 83, 112, 113, 115, 149,
251, 256, 258, 259, 261, 807, 822, 837, 838, 866, 887. Schlippe (von) G., 803.
Schlosser F. C., 610 Schlosser J. G., 195. Schluchter W., 553. Schlunke O.,
338. Schmalenbach H., 865, 872. Schmidt G., 75. Schmoller (von) G., 28, 541, 630, 631, 641, 643, 644,
887. Schnitger M., 542. INDICE DEI NOMI Schopenhauer A., 53, 231, 256, 258,
259, 261, 273, 342; 408, 421, 429, 730, 872. Schréter M., 722, 723. Schiitz A.,
550. Schwartz E., 722. Schweitzer A., 551. Scott W., 729, 730. Sceberg E., 888.
Seidel H., 339. Semler J.S., 193, 196. Senofonte, 256. Servio Tullio, 780.
Sfero, 778. Shaftesbury
(Cooper, conte di) A. A., 256, 257, 259. Shakespeare W., 163, 194, 233, 789,
901. Shih Huang Ti, 753, 778. Sigwart
C., 168, 295. Silla, Lucio Cornelio, 760, 784, 787. Simmel G., 11, 15, 17, 18,
22, 28- 30, 36, 48, 49, 53-55, 59, 63, 74, 336, 346, 427-432, 457, 556, 659,
847, 871. Sismondi (Simonde de) J.-C.-L., 877. Smith A., 35. Socrate, 250, 251, 698. Sofocle,
740, 748, 901. Sombart W., 27, 28, 542, 556, 852. Spencer H., 27, 106, 114,
879. Spener Ph.J., 699. Spengler O., 63-66, 68, 336, 719-722, 767, 793, 878,
887, 922. Spiegelberg W., 722.
Spinoza B., 231, 251, 252, 256-259; 261, 317, 864. Spranger E., 627, 862, 865,
872. Spykman N.
]J., 431. Srbik (von) H. R., 75. Ssu-Ma
Ch'ien, 778. Ssu-Ma T'An, 786. Stammer O., 552. Stamler R., 46, 47, 593. Steding C., 550. Stein A., 86.
973 Stein (von) C., 524. Stein (von) L., 115. Stein (barone von) H.F.K., 358, 955. Steinbach (von) E., 525.
Steinhoff M., 431. Steinthal H., 427. Stendhal (Beyle H.), 234, 737. Stenzel
J., 87. Sterling R. W., 888. Stocker A., 844. Streisand ]., 552. Strich W.,
862. Strzelewicz W., 550. Stuart Hughes H., 75, 723. Sturm J., 902. Stutz E.,
723. Susman M., 430, 431. Suter J.-F., 88. Svarez K.G., 156. Swammerdam ].,
699. Sybel (von) H., 61, 357, 438, 883, 887. T Tacito, Cornelio, 179, 184, 185. Taine H., 347, 357.
Talleyrand-Perigord C.-M., 765. Telemaco, 769. Tellegen E., 553. Temistocle,
748. Tenbruck F.H., 551. Teodoro di Studion, 770. Tertulliano, Quinto Settimio
Flo- rente, 148. Tessitore F., 76, 888. Thomasius C., 189, 190, 193, 196.
Thutmosi, 726. Tiberio, imperatore romano, 748. Tiberio Gracco, 778. Tiziano
Vecellio, 746. Tolomeo, 785. Tolstoj L., 696, 697, 700, 711. Tommaso (S.)
d'Aquino, 94, 606. Tònnies F., 26, 27, 30, 347, 359 974 INDICE DEI NOMI
Trebazio, Gaio Testa, 784. Treitsche (von) H., 31, 61, 70, 357, 427, 628, 703,
887, 955. Trendelenburg
A., 79, 80. Troeltsch E., 11, 41-47, 52, 59, 63, 67, 68, 70, 73, 797-803, 844,
846, 849, 852, 884, 885, 887, 934, 936, 943, 944, 957. Tucidide, 148, 150, 171.
Tung Chung-Shu,
778. Tuttle H. N., 89. U Unland J.
L., 685. V Varo, Quintilio, 179. Vermeil E., 802. Verre, Gaio, 785, 786. Vico
G., 25. Vischer F. T., 625. Vittoria, regina d’Inghilterra, 767. Volkelt J.,
862. Voltaire
(Arouet J.-M.), 215, 251, Brr. W Wagner A., 541. Wagner R., 232, 233, 731,
750-752. Waismann A., 88, 723, 802. Wallenstein (von) A. W.E., 752. Wallis W.
D., 849. Walter A., 550. Warnkònig L. A., 113. Watteau ].-A., 514, 746. Weber
Marianne, 549, 554, 944. Weber M., 11, 13, 28, 31, 35-40, 45-49, 55-60, 62-64,
67, 73; 74, 76, 336, 427, 541-549, 554, 556, 593; 610, 646, 647, 673, 682, 713;
798, 799, 844, 884, 928. Wegener W., 552. Weierstrass K.T.W., 692. Weingartner
R.H., 432. Weinreich M., 551. Weismann A., 358, 854. Wellhausen J., 770.
Weniger E., 85, 86. Weyembergh M., 554. Wiederholt K., 270, 862. Winckelhaus
M., 803. Winckelmann J.J., 172, 196, 216, 30ò, 549, 551, 552, 554, 555, 627, ch
Windelband W., 15-17, 19-23, 25, 43, 45» 49, 56, 59, 60, 81, 267, 268, 270,
271, 335; 341; 342, 346, 542, 556, 665, 666, 674, 675. Wissowa G., 778. Wolf
E., 550. Wolf F. A., 149. Wolff C., 189-191, 193, 231, 277. Wolff K. H., 431.
Wélflin (von) H., 663. Wolfson P.J., 888. Wundt W., 15, 36, 350. Y Yorck von
Wartenburg P., 79. Z Zedlitz (von) K. A., 156. Zeller E. 427. Zenone di Cizio, 776, 793. INDICE DELLE
TAVOLE Wilhelm Dilthey intorno al 1908... . . . . pp. 160 Georg Simmel nel
1901... L00432 Max Weber intorno al 1916. . . . . . .. » 560 Max Weber nel
1919... . 0.0.0...» 688 Friedrich Meinecke intorno al 1935. . . . . . » 896
INDICE DEL VOLUME Introduzione . Nota bibliografica . WILHELM DILTHEY . Nota
biografica . Nota bibliografica Scienze dello spirito e scienza della natura .
La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito Il mondo storico .
I tipi di intuizione del mende e la io daberazione nei sistemi metafisici
WILHELM WINDELBAND . Nota biografica . Nota bibliografica Che cos'è la
filosofia? (Concetto e storia della filosofia) . Storia e scienza della natura
HEINRICH RICKERT . Nota biografica . Nota bibliografica La filosofia della
storia . GEORG SIMMEL Nota biografica . Nota bibliografica I presupposti
psicologici della ricerca storica . Il problema della sociologia L'essenza del
comprendere storico . 978 INDICE DEL VOLUME MAX WEBER Nota biografica . Nota
bibliografica L’« oggettività » conoscitiva della scienza sociale e della
politica sociale . : - Il significato della « ivalutaiinià » delle scienze viag
che ed economiche . La scienza come professione OSWALD SPENGLER Nota biografica
. Nota bibliografica Il problema della storia universale: fisiognomica e siste-
matica . . Filosofia della solnica: ERNST TROELTSCH Nota biografica . Nota
bibliografica Cristianesimo e storia della religione Religione, economia e
società . Storia e dottrina dei valori . FRIEDRICH MEINECKE Nota biografica .
Nota bibliografica Personalità e mondo storico Relazioni causali e valori nella
storia Storia e presente . Pietro Rossi. Rossi. Keywords: lo storicismo, la
critica della ragione storica, la storia della filosofia – l’antichita –
filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi, la filosofia romana, filosofia
italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” –
“L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine della filosofia italica,
l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The
Swimming-Pool Library.
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