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Wednesday, December 25, 2024

GRICE ITALO A-Z P PA

 

Grice e Parmisco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, cited by Giamblico Favorino says that the Pythagorean Parmisco (he spells the name Parmenisco) frees Senofane from slavery – Grice: “Which was the inspiration for Robin Maugham’s The Servant!” --.

 

Grice e Parrini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicare, impiegare, interpretare – la scuola di Castell’Azzara – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Castell’Azzara). Filosofo italiano. Castell’Azzara, Grosetto, Toscana. Grice: “Italians are supposed to be non mainstream and go ‘off the beaten road’ – Parrini proves they shouldn’t!” Professore a Firenze, membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del comitato scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e condirettore della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore Guerini e associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di ricerca in Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Fu invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia, in vari paesi europei, in Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a Roberta Lanfredini organizzò un Corso di perfezionamento in Epistemologia generale e applicata che si tiene, con cadenza biennale, a 'Firenze. Si occupò di filosofia analitica contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari aspetti del pensiero scientifico e epistemologico, della filosofia italiana del Novecento. Sin dai primi lavori ha sviluppato una nuova interpretazione del positivismo logico e dei suoi rapporti con il convenzionalismo e la filosofia kantiana la quale, in seguito, ha trovato ampia conferma a livello internazionale. In campo epistemologico, i suoi maggiori interessi vanno al tema del realismo, alla problematica della conoscenza a priori, alla giustificazione epistemica e alla metodologia della ricerca storico-filosofica. Nel volume Conoscenza e realtà avanzò una prospettiva filosofica cui dette il nome di "filosofia positiva" e della quale sviluppò le implicazioni circa i rapporti con l'ermeneutica, lo statuto epistemologico della logica e la natura della verità. Lasciò più di un centinaio di pubblicazioni. Saggi: “Linguaggio e teoria: analisi filosofica” (Nuova Italia, Firenze); “Una filosofia senza domma: materiali per un bilancio dell'empirismo,” – Grice: “I can’t see why Parrini is afraid of a dogma; Strawson and I loved them – and he knows it – he totally misunderstands us when he thinks we are into ‘reductionism’! But at least he cares to call me Herbert, as I never myself did! Don’t Italians know abbreviations?! H. P.!” – “In difesa di un domma” -- Mulino, Bologna, “Empirismo logico e convenzionalismo,” (Angeli, Milano); “Conoscenza e realtà: positivismo” (Laterza, Roma-Bari); “Dimensioni della filosofia. Filosofia in età antica – antica filosofia italica (Mndadori, Milano); “L'empirismo logico, Carocci, Roma); “Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie” (Guerini, Milano) – Grice: “Gentile was right when he distinguished between classical liceo and the rest! We don’t need no scientific education, we don’t need no thought control!” – “Fare filosofia, oggi” (Carocci, Roma). Note  "lanazione",  Scheda docente presso il Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi di Firenze, su philos.unifi. P. in SWIFSito web italiano per la filosofia, su lgxserver.uniba. Lo studio del riferimento in Quine, “Rivista di filosofia” Da Quine a Katz, I, “Rivista critica di storia della filosofia” [= Rcsf], "Vero" come espressione descrittiva, Rf, Da Quine a Katz, II, Rcsf, Di alcuni problemi di filosofia della logica, Rf, Recensione di R. G. Colodny, The Nature and Function of Scientific Theories. Essays in Contemporary Science and Philosophy (Pittsburgh), Rcsf, Recensione di M. Serres, Le Système de Leibniz et ses modale mathèmatiques, Paris, Rcsf, Recensione di N. Rescher, Essays in Philosophical Analysis (Pittsburgh), Rcsf, 2 Recensione di Papanoutsos, The Foundations of Knowledge (English edition with an Introduction of J. P. Anton, New York), Rcsf,  Il carattere dei giudizi esistenziali e alcuni problemi dell'empirismo, in Atti del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia: Bilancio dell'empirismo contemporaneo, Roma, Società Filosofica Italiana: Recensione di M. Bunge (ed.), Exact Philosophy. Problems, Tools and Goals (Dordrecht), Rcsf, Sulla traduzione italiana di "The Development of Logic" di Kneale, Rcsf,  Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi filosofica, Firenze, La Nuova Italia, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo: contributo alla storia del positivismo logico, Rcsf, Edizione, con Introduzione, di A. N. Whitehead e B. Russell, Introduzione ai "Principia Mathematica", Firenze, La Nuova Italia  Recensione di Popper, Objective Knowledge. An Evolutionary Approach (Oxford), Rcsf, Recensione di J. Danek, Les Projets de Leibniz et de Bolzano: deux sources de la logique contemporaine (Laval, Quèbec), Rcsf, Le rivoluzioni scientifiche, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "Storia delle idee", Rai 3, Scienza e filosofia nell'Ottocento: la scoperta del concetto di energia, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "La scienza e le idee", Rai  Recensione di W. V. Quine, I modi del paradosso e altri saggi (Milano), Rcsf, Filosofia e scienza nella cultura tedesca del Novecento, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra: La filosofia contemporanea: il Novecento, Milano, Vallardi: 2Materialismo e dialettica in Geymonat (in collaborazione con Mugnai), Rf,– Linguistica generativa, comportamentismo, empirismo,"Studi di grammatica italiana", Tutte le parole per definire la realtà (a proposito del Convegno fiorentino I livelli della realtà), "L'Unità", Fisica e geometria dall' Ottocento ad oggi [Antologia di testi introdotti e commentati], Torino, Loescher: Analiticità e teoria verificazionale del significato in Calderoni, Rcsf, Una filosofia senza dogmi. Materiali per unbilancio dell'empirismo contemporaneo, Bologna, il Mulino  Introduzione a Quine, Logica e grammatica, Milano, Il Saggiatore: Scienza, vita e valori (con lettura di testi di A. Huxley e brani dal Quartetto per archi n. 15, op. 132 di L. van Beethoven) per la serie radiofonica a c. di Massimo Piattelli Palmarini, Rai 3, Lettera di risposta a M. Pera, Rovesciando si impara . "L'Espresso",  – Scienza e filosofia: diamo a ciascuno il suo, “La Stampa”. Recensione di Cohen, Feyerabend, Wartofsky (eds.), Essays in Memory of Imre Lakatos (Dordrecht), Rscf, Recensione di Harrè Introduzione alla logica delle scienze (Firenze), Rcsf,  Recensione di S. Lunghi, Introduzione al pensiero di K. Popper (Firenze), Rcsf, Empirismo logico e convenzionalismo, Milano, F. Angeli  Edizione, con Introduzione, di H. Reichenbach, Relatività e conoscenza a priori, Bari, Laterza, Popper indeterminista (Recensione di Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Milano), “L'Indice [dei libri del mese]”, Edizione, con Introduzione, di Reichenbach, Da Copernico a Einstein, Bari, Laterza:  Recensione di T. Nickles, Scientific Discovery, Logic and Rationality e Scientific Discovery. Case Studies (Dordrecht), Rsf [= Rivista di storia della filosofia; già Rcsf], L’ultimo Preti e i suoi corsi universitari, "Quaderni dell'Antologia Vieusseux", Empirismo logico, kantismo e convenzionalismo, "Paradigmi", Edizione, con Introduzione, di Schlick, Forma e contenuto, Torino, Boringhieri, Recensione di A. J. Baker, Australian Realism. The Systematic Philosophy Anderson (Cambridge), Rsf, L'antidoto degli elettroni (Recensione di Hacking, Conoscere e sperimentare, Bari), "L'Indice", Preti teorico della conoscenza, Annali del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Firenze,  (anche in Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a c. di Minazzi, Milano, Angeli: Filosofia italiana e neopositivismo, Rf (also in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a c. di Rossi e Viano, Bologna, il Mulino: Vogliamo le prove (Recensione di A. Grünbaum, I fondamenti della psicoanalisi, Milano), "L'Indice" La psicoanalisi nella filosofia della scienza, Rsf, A ciascuno il suo sombrero (Recensione di P. [Paolo] Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, Bologna), "L'Indice", Sulla teoria kantiana della conoscenza: verità, forma, materia, in Kant, Bologna, Zanichelli, Tra empirismo e kantismo (recensione di G. Preti, Lezioni di filosofia della scienza, Milano e Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il trascendentalismo critico di Preti, Napoli), "L'Indice", Induzione, realismo e analisi filosofica, Rsf, Ancora su filosofia e storia della filosofia, Rsf, Scienza e filosofia, Parte Quinta della Storia della filosofiadiretta da Pra: La filosofia nella prima metà del Novecento, II edizione, Padova, Piccin Nuova Libraria: Scienza e Filosofia nella cultura tedesca,  Empirismo logico e filosofia della scienza: Con Carnap oltre Carnap. Realismo e strumentalismo tra scienza e metafisica, Rf, Nota introduttiva a Evert W. Beth, Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici, "Iride", Recensione di Sahlin, The Philosophy of Ramsey(Cambridge), Rsf, Il pensiero peregrinante di un monaco mancato (recensione di Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Bologna), L'Indice, Ma Madonna non è Kant (a proposito del Convegno del Centro fiorentino di Storia e Filosofia della scienza “Kant e l'epistemologia contemporanea”,"Il Sole 24 Ore", Origini e sviluppi dell'empirismo logico nei suoi rapporticon la filosofia continentale. Alcuni testi inedita; Presentazione di R. Lanfredini, Husserl. La teoria dell'intenzionalità. Atto, contenuto, oggetto, Bari, Laterza – Reichenbach, la teoria della relatività e la problematica dell'a priori in Dagli atomi di elettricità alle particelle atomiche. Problemi di storia e filosofia della fisica tra Ottocento e Novecento, a c. di S. Petruccioli, "Lezioni Galileiane", Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Bari, Laterza, L'insegnamento medio della filosofia in Italia. Alcune considerazioni scientifico-culturali, Rsf, Intervento/intervista sull'insegnamento della filosofia nella Scuola media superiore, "Corriere della Sera", Intervento/intervista sul X Congresso Internazionale  della Union of History and Philosophy of Science, F. Bordogna, Neopositivisti rivalutati al congresso, "il Sole-24 Ore",  Filosofi, vi esorto alla Bosnia, "L'Indice", Mito e scienza in Ernst Cassirer. Considerazioni introduttive, in Mito e scienza in Ernst Cassirer, a c. di Parrini, in “Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze”, Perchè è scorretto (moralmente) dire che è uno di noi [Intervento sul Documento del Comitato nazionale di bioetica sulla sperimentazione sull'embrione], "il Sole 24 Ore", Con i “continentali” il dialogo è aperto, “il Sole 24 Ore”, Filosofia e storia della filosofia, in Filosofia analitica oggi, “Informazione filosofica”, Le origini dell’epistemologia, in Storia della filosofia, a c. diP. [Pietro] Rossi e C. A. Viano, L’Ottocento, Bari, Laterza: Immanenz gedanken e conoscenza come unificazione. Filosofia scientifica e filosofia della scienza, Rsf, Realismo, scetticismo e analisi filosofica [Risposta a P. Leonardi], “Paradigmi”, Intervento in “Il documento dei Quaranta”: risposte e considerazioni, “L’informazione filosofica”, Per un sapere senza assoluti su Neurath, “il Sole 24 Ore”, La mia terza via nella ragnatela di concetti e credenze, “Letture”, Presentazione e Curatela con Egidi di Forme di argomentazione razionale, “Paradigmi”, Ermeneutica ed epistemologia, “Paradigmi”, Presentazione e Curatela con Marconi e M. Di Francesco, Filosofia analitica. Prospettive teoriche e revisioni storiografiche, Milano, Guerini, Dell'incertezza, ovvero del "non raccapezzarsi" [su S. Veca, Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano], "Iride", Sull'insegnamento della filosofia nella scuola media superiore riformata, Rsf, Aggiornamento delle voci Causalità, Convenzionalismo, Teoria scientifica, Verità, Dizionario di Filosofia, di N. Abbagnano, terza edizione aggiornata e ampliata da Fornero, Torino, Pomba, Io difendo gli epistemologi, "Letture", Sulle vedute epistemologiche di Enriques (e di Croce), Rsf, Una risposta laica alla fine degli assoluti [Intervento nel dibattito sul nichilismo], "il Sole 24 Ore",  La filosofia è ancora motore di progresso [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Filosofia delle occasioni mancate [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Il conoscere tra filosofia e scienza, in Atlante del Novecento, 3 voll., con la direzione di Gallino, Salvadori, Vattimo, Torino, Pomba: Il declino delle certezze. Un secolo e le sue immagini: Metafisica e filosofia analitica, in Annuario di filosofia: Corpo e anima. Necessità della metafisica, Milano, Mondadori: Ancora sul convegno fiorentino della SFI, Lettera alla Rst, Crisi del fondazionalismo, giustificazione epistemica e natura della filosofia, "Iride" La 'terza via' della filosofia positiva, in AA. VV., La navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la 'terza navigazione', Roma, Armando: Internet non è fatto per i ‘verofobi’, "il Sole 24 Ore",  Empirismo logico, tutta un'altra storia, "il Sole 24 Ore", La verità (Discussione di Paolo Parrini e Marco Messeri), "Palomar",  Una risposta laica alla fine degli assoluti, in Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito, a c. di V. Possenti e A. Massarenti, Rubbettino, Soveria Mannelli: Epistemologia, filosofia del linguaggio e analisi filosofica, in La filosofia italiana in discussione, a c. di F. P. Firrao, Milano, Paravia e Bruno Mondadori, Dimensioni scientifiche e filosofiche della conoscenza. Una panoramica introduttiva, in "Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze": Miserie dell'epistemologia italica, in Scienza Dossier, "il Sole 24 Ore", Sapere e interpretare. Per una filosofia e un’oggettività senza fondamenti, Milano, Guerini, Conoscenza e cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini, Il ‘dogma’ dell’analiticità cinquant’anni dopo. Una valutazione epistemologica, in Conoscenza e cognizione, Dimensioni della filosofia, vol. I: Filosofia in età antica, Milano, Mondadori Università (in collaborazione con Simonetta Parrini Ciolli Incompreso, o quasi, dagli Americani [K. R. Popper: “Il più grande epistemologo mai esistito?”], in Karl Popper oggi. A cento anni dalla nascita, “Reset”, L’empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Roma, Carocci, Popper e Carnap su marxismo e socialismo, “Nuova Civiltà delle Macchine”, Filosofia e scienza in Enriques, “Nuncius. Annali di storia della scienza”, Più realista dell’empirismo [Ricordo di Wesley C. Salmon], "il Sole 24 Ore", Crisi dell’evidenza e verità: due modelli epistemologici a confronto, in La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, a c. di Possenti, Roma, Armando: Filosofi italiani allo specchio: Paolo Parrini, “Bollettino della Società Filosofica Italiana”,  Reason and Perception. In Defense of a Non-Linguistic Version of Empiricism, in Logical Empiricism. Historical and Contemporary PerspectivesNota su Valore, Due convegni su Giulio Preti a trent’anni dalla scomparsa, Rsf, Il pensiero filosofico di Preti, ed. by P.  and L. M. Scarantino, Milano, Guerini: Presentazione by P.  and Scarantino), Preti filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Preti: ‘A Crossing of the Ways’, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Il pupazzo di garza: alcune riflessioni epistemologiche, in Il pupazzo di garza, Papini e Tringali, Firenze, Tra kantismo ed empirismo, in Scienza e conoscenza secondo Kant. Influssi, temi, prospettive, a c. di Moretto, Padova, il Poligrafo, Recensione di Preti, Écrits philosophiques (Paris), “Les Études philosophiques”, nPreti nella filosofia italiana della seconda metà del Novecento, in Giulio Preti filosofo europeo, a c. di Alberto Peruzzi, Firenze, Leo S. Olschki: L’insegnamento della filosofia tra identità disciplinare e rapporto con gli altri saperi, in Rinnovare la filosofia nella scuola, a c. di L. Handjaras e Firrao, Firenze, Clinamen: Su alcuni problemi aperti in epistemologia, “Iride”, Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento.Figure, correnti, battaglie, Milano, Guerini A due secoli da Kant: conoscenza, esperienza, metafisica della natura, in Itinerari del criticismo. Due secoli di eredità kantiana, a c. di Ferrini, Napoli, Bibliopolis: L’epistemologia di Popper e il “dilemma pascaliano” di Duhem, in Riflessioni critiche su Popper, a c. Chiffi e Minazzi, Milano, Franco Angeli: Verità e realtà, in La verità. Scienza, filosofia, società, a c. di Borutti e L. Fonnesu, Bologna, il Mulino: Generalizzare non serve [titolo redazionale per Patti chiari, amicizia lunga], “L’Indice dei libri del mese”, risposta alla recensione di Massimo Ferrari. Quale congedo da Kant?, in Congedarsi da Kant?, Ferrarin, Pisa, ETS, Quale congedo da Kant? Replica a una replica di Ferraris, in epistemologica.it /images/stories/ /Note%20e%20 Discussioni/ Quale%20congedo %20da%2 0kant.     Filosofia e scienza, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: I filosofi e la scienza: da Kant ad Einstein, in Pianeta Galileo, Peruzzi, Firenze: La filosofia della scienza in Italia, in Pianeta Galileo Peruzzi, Firenze: A priori materiale e forme trascendentali della conoscenza. Alcuni interrogativi epistemologici, in A priori materiale. Uno studio fenomenologico, a c. di R. Lanfredini, Milano, Guerini Fra nichilismo e assolutismo. Alcune riflessioni metafilosofiche, “Iride”,  L’a priori nell’epistemologia di Preti, Rsf, Analiticità e olismo epistemologico: alternative praghesi, in Le ragioni del conoscere e dell’agire. Scritti in onore di Rosaria Egidi, a Calcaterra, Milano, Angeli: A proposito di offerte filosofiche, in F. D’Agostini, Mari, P., La priorità del male e l’offerta filosofica di Veca, “Iride” Revisione delle Voci: Broad, Causa, Causalità, Empiriocriticismo per l’Enciclopedia filosofica, a c. del CentroStudi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani Voci: Circolo di Berlino, Costruttivismo, de Finetti,Empirismo logico, Fisicalismo, Pap, Reichenbach per l’Enciclopedia filosofica, a c. del Centro Studi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani La filosofia della scienza in Italia, Intervista a c. di Duccio Manetti per il Pianeta Galileo popparrini html Scienza e filosofia oggi, Intervista a c. di Duccio Manetti, in Humana. mente, unifi. bibfil/humana. mente/ Quine e Carnap su analiticità e ontologia: una valutazione critica, in Questioni di metafisica contemporanea, a c. di Chiodo e Valore, Milano, Castoro. L’approccio teorico-problematico nell’insegnamento della Filosofia, in Insegnare Filosofia. Modelli di pensiero e pratiche didattiche, a c. di Illetterati, Torino, Pomba: Presentazione di Luca M. Scarantino, Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, Milano, Mondatori: i070 Il convenzionalismo epistemologico al di là dei problemi geocronometrici, “Rsf”, Bisogna conoscere il passato per orientarsi nel futuro? Risposta a Marco Santambrogio, “Iride”, Per la verità, ancora una volta [su Marconi, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino] “Iride”,  Mente, verità e razionalità. Tre modelli epistemologici a confronto, in Razionalità, verità e mente, a c. Lorenzo Ajello, Milano, Mondadori:  Spirito positivo e filosofia italiana, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?, a c. di Bentivegna, F. Coniglione, Magnano San Lio, Acireale-Roma, Bonanno, Intervento alla Tavola Rotonda: Il positivismo italiano: una questione chiusa?, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?  La rivista “Epistemologia” tra logica, scienza e filosofia, in La cultura filosofica italiana attraverso le riviste: Giovanni, Milano, Angeli: Intervista in occasione del conferimento del Premio Preti a c. di Maionchi e Manetti: interviste_p. html   (Autopresentazione), in Storia della filosofia dalle origini a oggi, Filosofi italiani contemporanei, Antiseri e Tagliagambe, Le grandi opere del Corriere della sera, RCS libri, Milano, Bompiani: Il pensiero di Preti e la sua difficile eredità, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: La scienza come ragione pensante, Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento del Premio Preti  in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze Verità e razionalità in una prospettiva positiva, “Annuario filosofico”, Milano, Mursia, Il principio di verificazione nell’empirismo logico, in Portale Internet della Treccani, in aula/scienze umane e_sociali/ verita_ della_ scienza/ parrini. html Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma Scienza e Filosofia, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze, Relativismo e oggettività. Il peso dell’esperienza, in Metafisica, persona, cristianesimo. Scritti in onore di Possenti, Goisis, Ivaldo, Mura, Roma,Armando,  Epistemologia [Kant e l’epistemologia], in L’universo kantiano. Filosofia, scienze, sapere, a c. di Besoli, C. La Rocca, R. Martinelli, Macerata, Quodlibet: L’esperienza neoilluminista nello specifico pretiano, in Impegno per la ragione. Il caso del neoilluminismo, Tega, Bologna, il Mulino Integrazione della Corrispondenza Pra-P. del Fondo Pra Università di Milano: %20 Dal PraParrini.    Laggiù dove tutto è possibile (davvero), in Isole del pensiero. Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Faccenda, Milano, Electa Mondadori: Metafisica, sì, ma quale metafisica?, in Isole del pensiero. Böcklin, Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Faccenda, Milano, Electa Mondadori:  Il valore della verità, Milano, Guerini, Dimensioni epistemologiche del kantismo, in Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre tradizioni, Caro e S. Poggi, Roma, Carocci:  Scienza e filosofia: eredità del passato, prospettive per il futuro, in Una storia delle scienze. Discussioni e ricerche, Atti del Convegno: “Orizzonti e confini nella ricerca epistemologica” (Centro Congressi della Sapienza, Università di Roma, Facoltà di Sociologia), Rinzivillo, Roma, La Sapienza: Relativismo, peso dell’esperienza e valore della verità, in “Diritto e Questioni Pubbliche”  diritto equestionipubbliche.org //mono%2 0II%20-%20 Filosofia e scienza in Italia nell’età del positivismo, Portale Treccani  Croce ha accentuato il nostro ritardo culturale?, “Il Riformista”, La pittura come scrittura filosofica. De Chirico e la metafisica, in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, a c. di Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Fenomenologia ed empirismo logico, in Storia della fenomenologia, a c. di A. Cimino e V. Costa, Roma, Carocci, Salvare i fenomeni. Considerazioni epistemologiche sul caso Galileo, in Pianeta Galileo, A. Peruzzi, Firenze: Presentazione del Convegno internazionale su Preti per il centenario della nascita, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze: Realismi a prescindere. A proposito di realtà ed esperienza,“Iride”, Lezione per le “Lectiones Commandinianæ” dell’Università di Urbino)     La scrittura filosofica, in La verità in scrittura, a c. di Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Etica ed epistemologia, in Etica, libertà, vita umana. Commenti al saggio di P Donatelli, La vita umana in prima persona, “Politeia”, Verità e razionalità in una prospettiva positiva, in Filosofi italiani contemporanei, a c. di Riconda e Ciancio,Torino, Mursia: Presentazione del volume Sulla filosofia teoretica di Preti, a c. di L. M. Scarantino, Milano, Mimesis: A priori, oggettività, giudizio: un percorso tra kantismo, fenomenologia e neoempirismo. Omaggio a Preti, in Sulla filosofia teoretica di Giulio Preti, a c. di Scarantino, Milano, Mimesis Il problema del realismo dal punto di vista del rapporto soggetto/oggetto, in Realtà verità rappresentazione, a c. di Lecis, Busacchi, Salis, Milano, Angeli: Ontologia e epistemologia, in Architettura della conoscenza e ontologia, a c. di R. Lanfredini, Milano, Mimesis:  Kant e il problema del realismo, in Kant, a c. di Pettoello, “Nuova Secondaria”  “Esercizi Filosofici”, 1: Esercizi di equilibrio in filosofia, in A Plea for Balance in Philosophy. Essays in Honour of P. New Contributions and Replies, cur. Lanfredini e Peruzzi, Pisa, ETS: Discussione sulla materia: Una prospettiva epistemologica, “Aquinas: Rivista Internazionale di Filosofia”, Mach scienziato-filosofo, Introduzione a Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, Milano, Mimesis, Epistemologia e approccio sistemico. Qualche spunto per ulteriori riflessioni, “Rivista di filosofia neo-scolastica, Logical-Empiricism: an Austrian-Viennese Movement? Or an Unsolved Entanglement among Semantics, Metaphysics and Epistemology, “Paradigmi”, Fare filosofia, oggi, Roma, Carocci editore (v. Intervista: letture.org/fare-filosofia-oggi-paolo-parrini/)  Epistemologia e approccio sistemico. La dinamica della conoscenza e il problema del realismo, “Rivista di Filosofia Neo-Scolastica” Quine su analiticità e olismo. Una valutazione critica in dialogo con Nannini, in Dalla filosofia dell’azione alla filosofia della mente. Riflessioni in onore di Nannini, a c. di Lumer e Romano, Roma-Messina, Corisco Né profeti né somari. Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento quindici anni dopo, “Filosofia italiana” Sulla filosofia degli analitici, in Prassi, cultura, realtà. Saggi in onore di Pier Luigi Lecis, a c. di V. Busacchi, P. Salis, S. Pinna, Milano, Mimesis: Scienza e arte, ovvero verità e bellezza, in TBA, a c. di P. Valore, in corso di stampa     2) Empirismo logico e fenomenologia. Uno snodo fondamentale della filosofia del Novecento, relazione su invito presentata all’International Conference “Experientia/Experimentum”, Napoli Filosofia e storia della filosofia: una prospettiva epistemica, relazione su invito presentata all’incontro “Filosofia e storia della filosofia: prospettive a confronto”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Esplicazione e rielaborazione dei concetti, in Metodi, stili e orientamenti della filosofia, a c. di R. Lanfredini, Carocci Editore, Roma, Paolo Parrini. Parrini. Keywords: implicare, interpretare, antica filosofia italica, Herbert Paul Grice, in difesa di un domma – indice to ‘filosofia eta antica’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parrini” – The Swimming-Pool Library. Parrini.

 

Grice e Pascoli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Perugia -- filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo italiano. Perugia, Umbria. Fisio-logia. Grice: “An excellent philosopher. He philosophised on the will, on the soul, and on a functionalist approach.” Filosofo. Lingua. Fratello di Leone P. Insegna a Roma e Perugia. Tiene dimostrazioni anatomiche mediante dissezione di cadaveri, come il suo collega e concorrente Andrea Vesalio. Intrattenne una vasta corrispondenza con intellettuali di tutta Europa.  Le sue opere filosofiche e scientifiche seguono i metodi di Descartes et Malebranche. I suoi trattati di metafisica, medicina e matematica esibiscono una filosofia coerente e metodico che dimostra la vitalità filosofica della cultura italiana del periodo. Saggi: “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazion de' geometri con ordine, chiarezza, e brevità nelle più sottili questioni di filosofia metafisiche, logiche, morali e fisiche” (Poletti, Andrea); “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore, Salvioni, Giovanni Maria); “Del moto che ne i mobili si rifonde in virtù di loro elastica possanza” (Bernabò, Rocco); “Delle febbri teorica e pratica secondo il nuovo sistema ove tutto si spega per quanto e possible ad imitazione de gemetri”; “Il corpo umano o breve istoria dove con nuovo metodo si descrivono in comendio tuti gl’organi suoi ed I loro principali offij”; “De fibra mortice et morbosa nec non de experimentis ac morbis”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazione de geometri con ordine, chiarezza e brevita nelle piu sottil qestioni di filosofia logica, morale, e fisica. Osservazione teoretiche e pratiche inviate per lettere”; “Sofilo Molossio, pastore arcade PERUGINO e custode delg’ARMENTI AUTOMATICI in Arcadi gli difende dallo scrutinio ne che fa nella sua critica Papi” (Roma); “Anatome literarum sive palladis pervestigatio” (Roma); “SOFILO SENZA MASCHERA” (Roma); “Del moto che nei corpi si diffonde PER IMPUSLO ESTERIORE, trattato fisico matematico ad insegnare la possanza degli elementi quatro” (Roma); “Della natura dei NOSTRI PENSIERI e della natura con cui si ESPRIMONO. Riflessioni METAFISICHE” (Roma); “Del moto che nei mobile si rifonde in virtu di loro elastica possanza” (Roma); “De homine sive de corpore humano vitam habente ratione tam prospera tam afflictae valetudinis” (Roma); “Delle risposte ad acluni consulti sulla natura di varie infermita e la maniera di ben curarle con una notizia della epidemina insorta nel GHETTO GIUDEO di roma, e del congatio de’ buoi ne” (Roma); “Con una breve notizia del mal contagioso dei buoi”; “Opuscoli anonimi in difesa di Alessandro Pasocolo” – si credeno suoi soi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lalande, Dulac, Billy. Elogio. Bartelli, letto con Lic. de' Superiori decimo lustro il secondo a n no già corre, da che le suoi ceneri, filosofo perugino, sotto un'umi le sasso mute riposano in Roma, dalla Patria,ahi! pur troppo neglette. Qui nacque, quà si educa, quì sparse per decennale tempo i lumi della filosofia più sublime, insegnò ed esercitò qui Medicina. E celebratissimo perfino oltre Italia; e tanta gloria egli accrebbe alla perugina Medica Scuola, che forse questa per opera d'altrui a tanta rinoman za non 'mai pervenne : nulladimeno sulla di lui tomba alcuna corona di patrio lauro non siposò, nè del suo nome videsi ancor fregiato un'Elogio. Penso peraltro che Tu non debba di ciò do lerti , ora che siedi puro ed impassibile sull' eter no seggio dei Buoni; dacchè se vivente fosti il più fido seguace delle profonde dottrine del forte animo di Cartesio, forse oggi di averne auta pur anco comune la sorte oltre la tomba tu ti com . piaci Al vivere suo aprì Cartesio le luci nel bel suolo di Francia , e sulle scoscese balze di Svezia le chiuse e sebbene tornassero , dimandate le sue ceneri nelle Gallie, pure cento anni pas  opra il sesto decimo lustro Soprailsesto 0; sarono prima che di lui si leggesse un encomio. Il nostro P. in Perugia nasce Roma les ue ossar accolse, nè furono queste da'suoi concittadini manco desiderate; e solamente dopo   ottantadue anni, nella stessa sua patria, oggi al cun poco di lui si ragiona. Piacciavi, accademici valorosi, che io ne parli almeno ad onore di questa sua terra natale, ed'a gloria di quella medica fronda di cui venne meritissimamente il suo crine ricinto', che quì splendeva allora più ver de e più onorata. Nè voglio credere che siavi alcuno il quale reputi vana cosa questo mio dire; imperocchè, Lui laudando, essendomi dato di e sporre dottrine non'tutte convenevoli a' tempi ne quali si vive, ciò non torrà certamente che Egli non debba essere reputato grande Filosofo e som mo Medico: essendo che se lafilosofia e la medicina, o da meglio dire, se ogni umano sapere soggia cé par troppo a cangiamento coll'andare dei se coli, è cosa costante che la verità e l'errore só no di tutte le menti nostre retaggio ; sicchè tut ti i secoli e tutti gli uomini da non pochi lati si avvicinano sempre fra loro. Col progrediredel secolo decimo settimole scienze tutte di più chiara luce folgoreggianti,per la via progredivano del possibile loro migliora mento :Sciolto lo spirito umano dagli opprimen  . Se questo Elogio di Alessandro Pascoli potrà servire a qualche riparo del lungo silenzio in che ilsuo nome si stétte ; se a sprone di studiosa gioventù possa per buona ventura tornare, se del lo estinto encomiato e di Voi., dotti Colleghi, non tantoindegno riesca, al fine da me proposto lietamente mi stimerò pervenuto. O ti legami del Peripato, erasi finalmente avveduto della sua nobiltà; e la mente erasi accorta pote re da se stessa pensare . Sembrava che la natura tutta fosse giunta a tale momento di crisi, dalla quale aspettare si dovevano grandi cose e grandi uomini; e grandi cose e grandi uomini difatti si ebbero. Fra questimolti, fiorirono Dracke, Copernico, Ticone, Keplero, GALILEI, Bacone, e finalmente Cartesio, destinato dal cielo a compiere il bramato rinnovamento negli studii moltiplici della natura. Appena ilgrande Filosofo dell'Aja di chiarò al mondo intero non doversi alcuna cosa ritenere per vera , quando che non venga dimo,  strata per tale; appena disse'che la umana mente deve tutto in dubbiezza riporre, finchè alla cer tezza non sia pervenuta;'e di queste le fonda menta non che i caratteri stabilì ; lo studio ed il filosofare degliuomini dialtropiù nobilesplendo re si rivestirono. La geometria,la logica, lameta fisica, la fisica, e la medicina medesima in più stabile e più onoratá sede allora si collocarono . Il secolo diCartesio segnòmai sempre una delle e poche più luminose e memorande nella storia del l'umano intendimento, imperocchè ogni1 dotto partecipò del beneficio influssodi questo tempo; ed il nostro P. divenne Filosofo col divenire Cartesiano. Se non che non solo di Filosofia ma di medicina altresì ai nobilissimi studj sentissi da natura invitato; e cono scendo la forza del proprio genio, nol poterono. Comincia con Cartesio dal dubitare e quindi giunse a persuadere sè stesso , tro e  6 distrarre da quelli ne i solerti padri di gesú che accorti iniziandolo nelle regole del loro Istituto cercarono farne conquista.; nè il volere del padre il quale all'officio del foro il destinava. Vide egli bene assai per tempo come a corre merita mente il medico lauro, doveva alle filosofiche discipline tutto sè dedicare. Perchè la filosofia di ogni umano sapere è fondamento primiero. Accostumato come Cartesio a meditare più che a leggere, a pensare più che a parlare, medita sul le opera di quell sommo e le studia intensamente, facendosi propri i di lui principj , e tutta la filosoficacartesianatelasvolsee conobbe. Il discorso sul metodo, le metafisiche meditazioni, le regole per la ricerca del vero, il trattato sull’uomo di Cartesio sono a lui splendentissima face onde dirigersi nel difficile sentiero della filosofia. Cosi lo studio di questa precedette e quindi 'accompagna quello della medicina, non mai volendo egli l'uno dall'altro separare. Tra noi, ai giorni nostri tristissimi , sembra essere riserbato vedere non poca turba di gioventù male accorta gire in traccia di medica scienza senza lo inestinguibile lume del più retto filosofare, senza la conoscenza della natura , di sė medesimo, e perfino del proprio idioma nativo. Vergogna s o m ima di que'paesi e di que'tempi che vogliopsi dire illuminati! E per attribute diverse.Quin di dalla cognizione dell'Io personale passa a quella pe ressenza perfetta che è Dio. Traicanoni della filosofia cartesiana erayi quello di ritenere e gate si trovano le verità : donde poi le idee in nate,dondela concatenazione diesse, la quale incominciando da dio scende all'anima umana, quindi ai corpi, quindi ai bruti, quindi alle cose, tutte della natura.E quifa duopo ricordare che mentre Cartesio col suo dubbio universale prese la via delle speculazioni intellettuali a sta bilire i gradi della verità , Bacone da Verulamio, coldubbio stesso fondamentale, prese la via del le sensazioni, ed al fine desiderato pervenne in cammino più regolare e meno incerto. Piega alquanto piùla sua mente al Cancelliere d'Inghilterra che al pensatore dell'Aja. Ora chi potrebbe mai credere che dopo ise coli di Bacone e Condillac sorgessero nuovamente, nelle dottrine delle idee, i secoli di Cartesio e di Malebranche? Eppure oggi è cosi. Umana mente!  Varsi esistenze fuori di noi, erisultarel'uomo da un corpo e da uno spirito, sostanze interamente fra loro per essenza e’che i sensi sieno ingannevoli guide alla umana ra gione ; e che perciò l'anima nostra ha in se stes . sa e per se stessa principj stabili, cui tutte le Ora tornando al nostro laudando diciamo che parlò egli primamente della esistenza e durata d e glienti modali; poscia diquelle sostanze che nelle loro idee inchiudono essenzialmente un qual   che modo di essere';e fondo le principali massi me della umana certezza sulla esistenza de'corpi. Dalle essenziali proprietà degli enti corporei stu diò pur egli l uomo sotto il duplice rapporto di sua materiale e spirituale sostanza; e ragionando dell'anima, ne fissò la essenza sulla immateriali tá di lei, donde le sue potenze intelletto é vo lontà . La credette immortale; e mentre Cartesio ne tacque la dimostrazione, scrivendo in una sua lettera non essere necessario di mostrare la immortalità dell'anima tostochè siasi provata la sua spiritualenatura, non volle tacerla col pubblicare il discorso sulla immortalità dell anima umana. Da troppa vanitàdinome; ed al desiderio di piacere agli amici, motteggiando alcun poco, egli fu 'mósso a scrivere contro Papi filosofo sabinese sostenendo a tutta possa, ma non con persuasione di aninio, le dottrine del suo prediletto Cartesio sulla vita antomatica delle bestie; volendosi però nascondere bizzarramente coll'intitolare il suo saggio “Sofilo Molossio Pastore Arcade Perugino Custode degli’armenti automatici in Arcadia.” Apparve preziosissimo a tutti questo saggio e se ne m e nò'romore in tutte le societá dotte di Roma. Tali erano i sali attici in esso 'raccolti, i vivaci sar casmi, ileggiadri concetti. Avvenne però che dopo sei annila suprema inquisizione con decreto solenne condanna l'opera del Pastore Arcadico Sofilo Molossio. Ale  8 e  e le sue ferme opinioni sull’animalitá delle bestie. Protestandosi in mille modi vero seguace di PITAGORA, e vero devoto a tutto ciò che la umana credenza prescrivesi. Fu questa la sola nube che per poco offuscasse l'ottima fama di Pascoli nel corso della lunga etá sua, é questa fu del suo animo la dispiacenza più viva. песа. Applicatevi dasenno a filosofare, poi che per tale via depurate la mente umana da gl’errori che la offuscano, e sollevata dalle passioni che la opprimono, si eleva cosi libera e tranquilla a tale grado di serenità, dove gode veramente di se medesima Stabilito avendo lora fu che P. accortosi dell'errore cui con dotto lo aveva una sua male accorta vanità di spirito , ritrattò subito pubblicamente le sue opinioni; e nelSofilosenza Maschera scuoprì il suo vero nome Erano pure a suoi tempi, quali oggi vivono, alcuni falsi sapienti, che superbamente umili, abusando del comune adagio, id tantum scio quod nihil scio, il più irragionevole scetticismo nelle coșe tutte proclamavano , e di ogni credenza e di ogni filosofia si facevano dispregiatori e nemici. Contra tale specie di stupidi pensatori si scaglia il nostro P.; e fa conoscere come filosofare non altro è se non se rettamente pensare, essendo che chi mal pensa conviene che male discorra, Sulle traccie di Platone, di CICERONE, d’AQUINO, di Cartesio, ripete a tutti con se l’apprensione, al giudizio, al discorso, al metodo; e a diligente disamina tutte prendendole, forma il suo saggio di logica, seguendo ugualmente la prediletta sua cartesiana maniera. Espnse quindi i precetti del ben' apprendere, del ben giudicare, del ben parlare, del ben disporre. Prefere il metodo analitico  che il pensiero è all’anima essenziale, come alla materia è la estensione, parla delle operazioni del nostro intelletto, le quali riduce all' per I studiare le cose, elo chiamò metodo di risoluzione o di disciplina. Si servi del metodo sintetico per insegnare ad altri, e lo disse metodo di composizione o di dottrina. Dopo che la scienza del calcolo per la invenzione de' caratteri algebrici si fa più ordinata, e di più estese applicazioni capace, lo studio delle matematiche divenne universale ad ogni sapiente: e di quanta utilitá si renda allo sviluppo dell'umano intelletto ed alla ricerca del vero, ognuno di leggeri il conosce . Studio si fatto non poteva es sere dal nostro Pascoli trascurato, e sulle opere del Gottigues, dello Scohetten, di BARTOLINO; dell'Ozanam , di FARDELLA, di Cartesio si forma matematico. Scrive il saggio di logistica od arimmetica, nel quale prendendo a trattarele quat tro operazioni fondamentali, non in cifre numeri che, ma in algebriche, intitol il suo lavoro col nome di “Arimmetica nova o speciosa,” ed applicando le stesse operazioni alla dottrina de'polinomii, la quale perviensi a studiare le leggi del moto. A lui però non piace solamente seguire le dottrine di questi sommi, ma cerca direnderle più facili epiù sicure. Lascia di ragionaré del moto in astratto; e col tatto, colla vista, coi sensi, in concreto lo esamina. Parla della natura, condizioni, proprietà, e leggi del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza. Quindi si lancia col pensiero, in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo del sole. Con tale chiarezza di principi, con tale ordine d'idee egli ne seppe parlare che meritò l'approfazione sincera ditutti i dotti e capace. Archimede, GALILEI, Gassendo, Rohault, Cartesio hanno già insegnata la strada per la quale perviensi ed alle equazioni, dette compimento alle sue fatiche sulla indole dei nostri pensieri. Pose poi mano alla fisica, od a quella scienza vastissima , la quale avvicinando al nostro pensiero le cose materiali che ne circondano, fà che lumana intelligenza al più alto grado di sublimi tà siconduca  L'uomo di fatti penetra con la sua scorta i più nascosi secreti della natura; e con leipasseggiandolaterra e con lei traversando glioceani,e su cieli passeggiando con lei,fache sopra tutto il creato sovranamente s'innalzi. La prima verità che ci insegna la fisica è che il m o to costituisce il fondamentale fenomeno de'corpi tutti. Ond'è che tutto è movimento in natura,o tutto a movimento èdisposto, o tutto di movimento è. Il grande matematico e fisico cremonese BIANCHINI glie ne dette la più solenne e pubblica testimonianza Mi si dia materia e moto, dice Cartesio, ed io imprendo tosto a crea re un mondo, il P. con maggiore umilta così diceva “ Materia e moto sono i due prin n.cipali strumenti, donde con sua possanza si » vale Dio, dimomento inmomento, aprodur 9. rac racoli, e miracoli di stupor infinito. Si ode oggi nelle nostre scuole far menzione di un etere comune, di un imponderabile unico ed universale, motore di tutti I fenomeni iquali hannoluo go "nei movimenti della materia e degli animali. Le scuole Alemanne apreferenzadialtre risuo nano di questa materia unica-eterea, capace a prendere diverse forme ed aspetti, tutto pene trando investendo agitando il creato: La vide pure questa materia motrice universale: ciò che dicono oggi con tanto entusiasmo, e for se con troppa persuasione dinovità, Mesmer, Wohlfart, Sprengel ed altri sulfluido elettro-magnetico universale; ciò che con tanto calore pro e con eguale robustezza di argomenti dimo strato dal nostro Alessandro 1 e in natura, senza miracolo , continuati min & clamano Lennosseck, Prokaska, ed Ennemoser sulfluido biotico universale de corpi viventi, era stato già conosciuto non meno chiaramente dilo ro, Finalmente volle ardimentoso inalzare i suoi sguardi ai movimenti del sole e nel vastissimo campo dell'astronomia tentando alcun passo quale ché suo opinamento volle manifestare. Si dichiara del sistema astronomico di Copernico e di GALILEI oppositore fermissimo. Ma qui potrebbe dataluno dimandarsi, se il facesse egli forse per tenere dietro alle massime proclamate dalla romana corte nella quale viveva? Nò. Chè la saggia condotta dei prudenti interpreti delle sacre corte ha assai già moderata la forza di quegl’anatemi scagliati un secolo innanzi sulla tomba del riformatore di Thori, e sul capo del pensatore pisano. Potevasi allora dalle pubbliche scuole o ne communi discorsi dei dotti liberamente difendere (come ipotesi) ilmovimento terrestre e la stazione solare, senza tema di contraire brutte macz chie nell anima, o a spiacevoli incontri soggiace, re Ond'èchese con tutta la forza del suo'sapere alla copernicana sentenza si oppose, ciò fece'con intima persuasione di mente , e non per condiscendenza di basso cortigianismo. Nei e il solo che dalla credenza di Copernico lungine stasse. Imperocchè fra i moltiche ridi re potrebbonsi, quel grande onore d'Italia, quel l’astronomo profondissimo della dotta Bologna, MANFREDI, basta per valente compagno del nostro Alessandro rammemorare. Vero si fu peròche a fronte degl'ingegnosi sforzi di tanti uomini insigni, prosegui ilsuo cammino la terra, è fermo il sole si stette. Qui terminarono le fi losofiche laboriose occupazioni di lui, e conqueste sole poteva rendersi della Patria e della nazione assai benemerito : ma fu pure medico P., è inedico di altissima riputazione. Se sono grandi i nomi dei restauratori della umana filosofia, non meno grandi furono quelli di Silvio, di Lancisi di Baglivi, di Ramazzini, e di altri che le medie che scienze ad alto grado di rinomanza condussero.  P. vive nel tempo in cui la medicina seguiva tuttora le insegne de'Jatro-chimici, dell'Elmonzio, e del Silvio; insegne che stavano già per cangiarsi dal Santorio e dal Borelli,onde quelle trionfassero degl’átro-matematici ed e meccanici. Nè si per verrá mai a spiegareun costante ed unico vessillo sotto il quale si raccolgano in ogni tempo i cultori della medicina le che sia proprio di lei in tutte le età che trascor. rono? Grande e funesto destino, a molte scienze comune , alla medica comunissimo! Conosce in quali giorni vive; quale del secolo suo fosse dominante lo spirito; e pieno di alto ingegno, nella medica scienza si fè valente: Cartesio aveva per dodici interi anni studiato'l'Anatomia a fine di ben conoscere l' uomo ; e il nostro P. per non minore tempo applicò la sua m e n te allo studio profondo della struttura del corpo umano. Annuncia sulle prime ai dotti un trattato riguardante i cangiamenti che provengono agli organi corporei per cagione delle passioni: pensiero veramente sublime sul quale però le speranze di ognuno restarono pur troppo delase . Ai tempi del nostro Alessandro l'Anatomia non aveva ancora stretto con altre naturali scienze quel sutile nesso di che oggi si onora; né quel filo sofico linguaggio, nè quelle sottili applicazioni si trovavano in essa, siccome in quella d'oggidi noi ammiriamo. Alle fatiche ed allementi sublimidi Scarpa , di Soemmering, di Mechel, di Portal, e dell'immortale Bichat dobbiamo la eccellenza cui oggi l'anatomico studio è pervenuto . Nè Vicq d’Azir, nè Geoffroy di Saint Ilaire', nè Blecard, nè Gall vissero in quella età; pure potevasi quel tempo chiamare il tempo delle scoperte anatomi miche. Erano già nati gli scrutatori sommi"dell’uman corpo Arveo, Senae, Asellio, Willis, Nuck,  Malpighi, Ruischio, Lancisi ed altri. Vive e studia con Redi. Ciò basta. Insieme per più tempo in Firenze si occuparono indefessamente di anatomiche dissezioni e quel dotto scrittore toscano ha caro Alessandro quanti altri mai, al grande Cosimo presentandolo quale soggetto degnissimo di tutta la considerazione sovrana. La fabbrica del corpo umano dal nostro encomiato descritta non presenta, è ver, peregrine cose. Ma l'ordine, la chiarezza, la concisione rendettero il saggio suo utile al pubblico insegnament , pel quale oggetto egli stesso si protesa averlo unicamente composto. Quando il gran Malebranche si avvenne nel libro dell'uomo di Cartesio, ed ipcontrò in questo filosofo un ge  vio simile al suo, prese (dice l'elegantissimo Fontenelle) il grande partito di rompere ogni commercio con le erudite facoltà, ed in seno del cartesianismo tutto si abbandona. Legge il saggio medesimo di Cartesio, lo medita profondamente e scrive egli pure sull'uomo. Mentre però l'uomo di Cartesio e di Malebranche fu l'uomo del metafisico e del filosofo, l'uomo nelle mani del P. e l'uomo dell'anatomico e del medico. Ha somma intelligenza nell'osservare i fenomeni dellaumana vita, sicchè lemas sime del suo Cartesio con quelle modificate del gran Cancelliere d'Inghilterra, formarono in lui quello spirito di filosofia induttiva, il quale alla ricerca del vero nelle cose di fatto e perciò in medicina, è l'unica sicura via. Scrivendo dell'Uomo prese Alessandro il giusto partito di primamente designarne le parti , quindi ad esse dare vita ed azione, poi de'mali a cui vanno soggette tenere ragionamento, e fi nalmente l'opportuno metodo curativo de morbi con tutta la modestia del dire proporre. In tale modo ilnostro encomiato presentò alpubblicoun tesoro di dottrina, che per molti e molti annida ogni medica scuola Italiana fu allo insegnamento de giovani:offertoe prescritto, riputatolo per il prezioso e completo deposito della medica scienza. Le opinioni di Galeno e di Silvio erano quelle che fra i cultori d'Igea in quel tempo tut tor dominavano, Stava per sorgere la setta del più   solidismo, ed Elmonzio, Cartesio, Silvio erano ancorai tre grandi nomi proferiti dalla bocca di tutti; cosicchè fra i conciliatori e moderatori di questi tre Principi delle mediche scuole si e mento etereo piú sciolti gli umori , ed il moto fer mentativo di essi prodursi. Questo elemento lá presiedere alla circolazione sanguigna, qua tutto il fonte del calore animale sostenere perenne. Era quest etere per Alessandro la fondamentale sor gente delle fermentazioni non naturali, donde le febri tutte nascevano che ove accada condensa mento di esso, le maligne; ove soluzione, le benigne; ove infine abbia luogo latente glandolare fermento, originarsi le intermittenti opinäva. Poi te dottrine fisiche di questo etere universale espone, la sua azione sulla vita degli organi, finalmente l'applicazione di esso alle dottrine di Scrodéro, di Hoffmanno, di Etmullero, di Lemery , e degli altri molti di quella età . E forse che non potremmo noi parlare lo stesso linguaggio, sostituendo al nome di etere cartesiano quello di elettro-magnetico? Io i l dimando Abituato il nostro P. fin dall'infanziaa piegare la sua mente al metodo geometrico e a disporre le sue idee con quell'ordine e successio ne, utile al buon’acquisto di tutte le cognizioni  il nostro P.. Quindi è che nelle sue opere parlasi dello spirito di Willis, del fuoco di GIRGENTI,del l'archeo di Wan -Helmonzio, del primo elemento di Cartesio :e si dice farsi per virtù di questo ele pose + 17 + 4  Oltre al suo trattato dell'uomo, che abbraccia l'intero studio della medicina , sono numerosissimi i suoi Consulti, le sue Lettere, i suoi Votiemessi in oggetti di pubblica sanità.Incau se dificili di Foro canonico e civile, in Canoniz zazioni di santi uomini diede Pareri e Giudizj, che guidarono le Autorità competenti a retti es en sati decreti Avendo inoltre il P., saputo unire a somma dottrina, urbanità di modi nel conversare , ed umiltà di espressioni nel parlare e nello scrivere, non é a stupirsi se ai dotti d'Italia ed oltremonte rispettabile e caro addiyenisse L'amicizia che seco lui ebbero un Redi, un Magliabecchi, un Montemelini, un’Ottaviani, un Lesprotti, un Zannettini, un Lambertini, un Segur, un Baglivi; da quali o dedicazioni di opere, o non interrotte scentifiche corrispondenze, o laudi sincere egli ottenne, siccome fecero pure un Bianchini, un Loy, un Marini, uno Sprengel, un'Aller ; ci ayvisano dovere riporre P. fra gli uomini grandi, che in filosofia ed in mea umane, e preciso nel descrivere gli organi, chia ro nello esporre i fatti, esatto nella diagnosi, cautissimo nella prognosi. E poi semplice quanto mai possa dirsi nel metodo del medicare, e dichiarossi nemico di ogni farragine farmaceutica, ripetendo sempre a se stesso e ad altri che a buon medico pochi medicamenti bastano o 18 di pintore pochi colori. come a buon ;  dicina fiorirono fra il terminare del secolo decimo settimo e del decimo ottavo sul cominciare, Il nostro P. legge in Roma anatomia e ,edicina dalla più fiorente alla più tarda etá sua, grandi opori godendo e distintissime cariche sem pre occupando. I papi Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII. lo hanno a medico, Archiatro lo salutarono, Protomedico lo proclamarono, lo scelsero Conclavista. Del supremo tribunale sanitario, della congregazione dei sacri riti, fè parte onorata e principale, tanta era la dottrina che quella romana corte in Lui venerava . Potrebbe forse da taluno di noi dimandarsi se il Pascoliavesse meritatosigrandeecomune conside razione come Medico pratico,quanta ne ebbe come teorico;imperocchè pur troppo è duopo riguardare la medicina sotto ilduplice aspetto diScienza edi Arte. Difatti non rade volte accade che amedico quanto ésser si voglia dottissimo, manchi quel tatto pratico, quella squisitezza di medica vista, e, dicia molo pure , quell'inesplicabile nesso di favorevoli  19 Dopo che per due lustri dalla patria Univer sità degli Studj, e dalle private Accademie le fisi che,e mediche scienzeinsegnò,Padova eRoma il chiedettero a gara , generosamente patria novella offerendogli. Il Pontefice Clemente undecimo a se chiamatolo, fece si che a Padova, cui era già sul punto di recarsi, Roma preferisse. E così Perugia lo perdette per sempre e   E quièben forza credere che P. vivendo dodici lustri in Corte, in Roma, tra Grandi , tra Principi sempre; cui furono affidati in téressantissimi negocj delle Principesche Famiglie Albani, Chigi, Rospigliosi, Sora ed altre, fosse di grande ingegno, di profonda politica, di somma costumatezza dotato; dacchè, una di queste do ti che manchi, a sorte sì grande non si pergie ne , o per poco di questa si gode. Difatti sappia m o come tra le tante virtù che lo adornarono, erano prime il decoroso contegno in che egli si tenne, l'essere del suo buon nome forte difenditore, il incontri e di buone venture, che tanto valgono al la propizia riuscita dell'esercizio clinico, e su cui la opinione e la fidanza di ottimo e felice medico riposa. Nel nostro Alessandro sembra che tutto si riunisse a renderlo valente nell'arte come nella scienza rinomatissimo. Ed in vero pel lungo corso che visse all'aura del Campidoglio, non fuvvi personaggio distintocui non prestasse medica mano o medica consultazione. Oltre ai pontefi ci sopraenunciati, la regina di Polonia ed i suoi figli, gli Elettori Bavaro, Sassone, e Coloniense, la Regina d'Inghilterra, ed ogni altro Principe e Grande, (a quali sifortemente il vivere più ca le ) lui ebbero a tutela de' propri giorni bene ed ilparlar pensar bene di tutti, siche tutti rispettando ed amando, seppe da tutti rispetto riscuotere ed amore. Cosi Roma e ammiratrice di un filosofo Perugino. Ed il suo nome onorato più spesso colà che tra noi si pronuncia forse e si ripete. Lontano dagl'incanti del bel sesso, ne fuggi perfino, in quanto il potè, la medica cura. Che più? Con religiositá e fortezza di animo sostenne una completa cecitá, senza che in se stesso foss'egli meno tranquillo, nè meno fosse da altri dimandato e compianto. Che se al possedimento disua vasta dottrina, se al buon successo dell'arte sua, se al corredo delle nobili doti dell'animo che in P. fece ro si bella mostra di loro, si aggiunga la felicità de' tempi nei quali visse, dovremo anche meno stupirci che potesse egli giungere al più alto grado di celebrità e di onoranza . Io voglio dire la felicità dei tempi; ossia quell buon tempo ai dotti propizio, in cui dessi sono veramente stimati, e nel quale i Principi, ei Grandi concorrono agara (siccome oggi) informar li, tosto chè i principi e i grandi bene conoscono che le scienze e le lettere sono veramente il sostegno de’ troni, e delle nazioni delle cittá dei paesi il primo ed il più luminoso decoro. Ed alla estimazione de' medici credo che non poco in ogni tempo contribuisca la buona Fidanza de'popoli, colsaldo tenersi di quel velame che agli occhi del volgo i misteri nasconde d'Igea; velame tanto utile che sia serbato; imperocchè la remozione di esso chi ne abbisogna e cui serve reciprocamente danneggia. Dopo si grandi fatiche, carico di meriti e di onori, questa misera terra abbandona e  perenne ricordanza dei posteriche cirima ve dilui? Laviva fama delle suetante virtù, ladi lui valentia nell'arte del medicare; e più ci restano i suoi numerosi volumi , depositarii immanchevoli del vasto sapere nelle fisiche e nelle mediche facoltá. Saremmo noi co tanto ingiusti per dimenticare i sudori dei dotti che ci precedettero, solamente perchè il modo loro di filosofare non è più simi le a quello de'tempi nostri? E vorremmo noi far ci riputare così creduli e così inorgogliti nel lusin garci che alle dottrine ed alle massime nostre del la filosofia e della medicina, tutti coloro che ci suc cederanno coi secoli pieghino riverenti la fronte e le venture età inalterato rispettino ciò che ad esse faremo noi pervenire? Non siavi chi lo cre da , o la storia dell'umano sapere ne disinganni, Ond' è che degli esimj ingegni, dei benemeriti cittadini, degl'insigni scrittori,sebbene lunga serie di anni da essi ci divida, serbare si debbe ricor danzavivissima,afronte decangiamentiaquali può girein control'umano filosofare e il medico opinamento. Si, dotti Accademici, apprezziamo mai sempre le fatiche utili de' trapassati, se nei miti noi buoni esempli, se ne rispettino i nomi ; ed il titolo a non meritarci d'ingrati, le loro tombe di verdicorone di lauro con più frequenza e con più giustizia si onorino. Rivolgendosi al Busto marmoreo dell'Encomiato, che innalzavasi nella Sala dell'accademia. Tutto ciò che vien detto di Alessandro Pascoli in questo Elogio, come filosofo e medico , è tolto dalla let tara ed analisi fatta delle molte sue opere , in diversi tem pi pubblicate; il catalogo delle quali trovasi registrato nella Biografia dei Scrittori Perugini delchiarissimo Cavaliere Gio. Battista Prof. Vermiglioli all'Articolo P. Alessandro. Noi credemmo di non trascrivere ibra ni medesimi dell'Encomiato, a conferma de' suoi detti e delle sue opinioni , e ciò per non aumentare la stampa inu tilmente; sapendo che agli eruditi medici sarebbe ridire le cose stesse le quali nelle opere di P. già bene conoscono, o potranno rilevare quando lo vogliano . Quello poi che riguarda la di lui vita privata e so ciale lo rilevammo dalla storia di sua famiglia, dalla Biografia sopracitata; nonchè da quella degli illustri italia ni compilata dal chiarissimo Sig. Emilio de Tipaldo, Venezia. Finalmente da non poche pregevoli notizie ms. lasciate da Francesco Aurelio Ginanneschi, giovane di Alessandro P., ed ultimo che stet te venti e più anni con lui, e perciò informatissimo della sua vita. Questo ms  trovasi presso di noi. Nacque da Domenico P., e da Ippolita Mariottini. La famiglia dei P. fu originaria di Ravenna, siccome ne scris se Celso , fratello del nostro Alessandro , nella storia del la sua Casa. La prima di esse fu stampata in Roma, Zanobi, dedicata a Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI. La seconda che contiene tutta la di lui ritrattazione e pubblicata egualmente in Roma  in 8° per il Buagni, dedicata a Banchieri assessore del S. Officio. Ambedue queste operette interessanti la vita letteraria ed i sentimenti morali del P. le abbiamo nella Biblioteca pubblica Scaff. Quando la Regina d'Inghilterra in Roma lo chiama a medicarla, nell'atto di presentare il polso, gli disse. É vero, Sig. Dottore, che voi non avete piacere di medicare le donne? Alla quale dimanda egli risponde. É verissimo, ma non le regine. Muore in Roma. confortato da tutti gli ajuti della Religione, Gl’ultimi18 circa dei quali in una completa cecità Fù sepolto nella Chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo de' RR.PP, Teatini- La Iscrizione sepolcrale umile, compostasi da se medesimo, e che trovasi tuttora sopra l'avello, è la seguente. Hic Posuit Exuvias In Die Irae Resumendas Alexander Pascoli Perusinus Verissimo. Non mi piace medicar le donne, ma non le regine”,eforsedeglialtri,chesap di Antonio Blado); Trattato della mutazione dell' altra Lettera si apprende che avea aria,in4. Roma per Alessandro Gar. Pure scritto un trattato di Rettorica danoec.Di questo opuscolopro- eprincipalmente sulla Invenzione dusse il suo giudizio il Bonciarioia dicui ne offer copia allo stessoBon una letterainedita. Perchèi Digesti si allegano morie di sua famiglia originaria di Ra iniscrittoperdueifedil paragra- venoa, epoistanziataio Perugia; eda fo per due ss congiunti. queste memorie medesime passate quin 2. Del parto dell'Orsa . piano e non siano appassionati. Da  V. Conclusione del Tribuno della scoli, ed. Ippolita Mariottini. Termi plebe, in 4. Roma per gl’Eredi di natii giovanili suoi studii presso ipp. suo articolo, e dal Vincioli nell'opuscolo sullo stesso argomento. I ràstampata velan anderò. Leco- Dizionario medico,che egli di e che io farò non saranno da sco- morando in Firenze , studiò assidua »lare, e latine per qualche mese, ma mente all’ospedale per fare osserva volgari, e contro tutta l'Accademia zioni anatomiche, e per potere così fiorentina, massime sopra Boccaccio, migliorare un suo Trattato sul cangia Gennajo da Domenico Pa. egli tolse a seguire la medicina VI.Versiin Lode delleacquedi incuineotlenne le magistrali insegne S.Galgano. Ci vengono ricordati dal. quando contava soli anni 21. Grisaldii o quelle lettere rammentate al Posciasirecò in Firenze a meglio apprendere la scienza salutare alla scuo e ciario. della Poesia,in CelsoPa. IIF. Questione di Giovanni Osma. Romapergli Eredi rino Gigliotto Magistrato. anguste ma lucrose vie del fo. PAPA scoli fratello di Alessandro, e di Leg IV. Risoluzioni di quattrodubbj. ne, dimorando in Roma scrisse le me di a suoi posteri, noi raccoglieremo le 3.4. Del Perseo, e del Pesco, e brevi notizie di Alessandro, e Leone. loro natura. Roma per gli Eredidi Nacque Alessandro in Perugia nel Gigliotti, in Giovanni Gigliotti. E'questo un' Gesuiti, che conoscendolo di bello in opuscolo con cuisicoufutano leopi- gegno, desideravano a loro condurlo, e nionidi Plutarco, del Manuzio edel terminate gli studii legali, perch è il Sigonio, I quali credettero che il Tri- padre voleastrascinarlo miserameate buoo della plebe in Roma non fosse per le ro taliana, esopra Boccaceio. Gioviin- buone speranze, nonostante che si tenderne poche parole: Sostato tardo riducesse agli estremi. Ristabilitosi torn’a rispondervi perchè m'ha ingomnò a prospera meale esercitare la sua brato tutto più di un mese una com- professione, e colfavore del dotto Mae »posizioncella che ho fatta per un stro, potè presentarsi al Gran Duca »mio patrone, la quale subito chesa- Cosimo I. Aggiugne l'Eloy nel suo ladi Kedi, e mentre co Da una lettera inedita di Lorenzo si sotto di lui attende alla clinica, al Bonciario sembra che egli sia ccin- fuda mortale malattia sorpreso, ma gesse a scrivere anche sulla Lingua i- il Redi medesimo ne concepì sempre e   èverissimo, ma non le Regine. Fu Rimpatriato nuovamente si posea anche medico straordinario dei Ponte studiare le lingue greca e latina sot- fici Clemente XI. Innocenzio XIII. Be to il Canonico Guidarelli, dicuiveg. Pedetto XIII. e Clemente XII. incom gasil'articolo, e le Matematiche sot- pagnia di Leprotti, il qua to il Dottor Neri, mentre non lascia- le molto profitta de'consigli del Pa vadi attendere anche alla Medicina scoli. Dove aessere medico primario pratica, solto LodovicoViti; nè passò pontificio, ma per non imbarazzarsi poi molto tempo, che ottennein pa gui la giubilazione. Veggasi la dedica premessa alla sua opera de Hom inc . Marini Archiatri Pontificj Caraffa de Gymn. Rom. Com, in stud. Med. Borhe. Valen. e nuovamente tra le disputazioni mediche raccolte dall' Halleer, per le approvazioni da farsi ne'miracoli Ad altri onori fu innalzato in Ro- operatia di ntercessione de’Servi del Si ma, imperciocchè ebbe luogo frai gnorenella loro canonizzazione e, e si XII. Archiatri del Collegio de' Medici dique’ prodigjdistese pure alcunedi e fra gli Arcadicon il nome di Sofiló squisizioni. Professa la Medicina con Molossio.Varie istituzioni sanitarie lo semplicità, e dioesiche il rinomatissi ebbero a medico in Roma, ove cura mo Cardinale Alessandro Albani Camer la Regina di Polonia , ed il suo figliuo- lengo, lo ebbe in tanta stima, che non sole conferire impiego a perugin , se non gli veniva raccomandato lo , gl’eleltori di Baviera e di Colonia, llo fante Elettorale di Sassonia e la Regina d'Inghilterra, la quale da P. che solea chiamare il Ca nell'ultima malattia volle il P. merlengo perugino. E avuto in isti. e narra Celso suo fratello , che nella ma anche dal celebre Haller che ne prima volta in cui Alessandro le tocca parla nelle opera sue,edilSeguer ilpolzo, glidisse la Regina, onève àlui dedica  la sua Schedula monito. ro P., che voi non avete pia- ria ec. PA mentodegli organi corpore i per cacere dimedicar donne?»cuirispose: gione delle passioni . PA 171 triauna Cattedradi FILOSOFIA, che ten- ri; non ostante però fu continuamente neperapni10., ragunando poi sem- in grazia degli stessi Pontefici, ed i pre in casa sua una Accademia aperta venne medico del Conclave dopo la di Letterati. Intanto e chiamato aleg- morte di Benedetto XIII. ee quando fu gere in Padova, e mentre si dispone creato Clemente XII. Va arecarsia quel dottissimo Studio, Inoltre aveaeserci Clemente XI. lo chiama a leggere nell' tata in Roma anche la carica di Pro Archi-ginnasio romano. Coldreca. to medico di quella Metropoli, e dello tosi incomio cid tosto ad insegnare, la Stato Ecclesiastico  e la Consul Notomia, che per anni continui tasole a sempre ricercare i suoi voti vi professò; ottenne poi alire catte- in qualunque bisogno di medica poli dre di teorica e pratica con vistosi zia. Fu similmente varie volte occu stipendi, finchè neconse pato dalla Congregazione de, Riti nellaCorte, rifiutò sempre questi ono PERVGINVS VIXIT  OB.V. tica Papi M e 1. Delle febbri Teorica e Pratica dico e filosofo sabinese. Roma. secondo il nuovo sistema, ove tuttosi per il Zanobj 8. spiega per quanto è possibile ad im Dopo il lungo spazio di anni, mitazione de’ Geometriec. Perugia fu proibita quest'opera, el'Autore X. Della natura dei nostri pensie; Osservazioni Teoriche e Pratiri, e della natura concuisiespri che di Medicina inviate fonde in virtù di loro elastica possan. Sofilo Molossio Pastore Arcade zaec. Roma presso Barnabò perugino, e custode degli armenti automatici in Arcadia. Gli difende dal De homine sive de corpore PA PA l pel Costantini 4. Sieguonoal- tocco da scrupolo pubblica ilN.VII. cuni suoi discorsi in materie mediche. Anatome Literarumsive Pal. Muore santamente in Roma di vallo con questa iscrizione nel suotu. anni edopoanni dicecità,e mulo cheerasi composta per lui stesso. Le dolle opere che lasciò a' posteri sono: lo scrutinio che nefa nellasua cri • II. Il Corpo umano o breve Istoria dove con nuovo metodo si descrivono ladis pervestigatio ec. Romae In ultimo vannoaggiun- per lo Buagni .Vedi il N. V. .M. HIC 0.POSVIT , EXVVIAS IN DIE IRAE RESVMENDAS ALEXANDER P. typis Cajetani Zanobii8. in compendio tutti gli organi suoi, furi prodotta per lo Salvioni in4. con cd i loro principali officj ec Perugia pel Costantini in 4.Ven. qualche diversità nel titolo. VII. Sofilo senza maschera. Roma te due Pistole del Baglivi a P.: De fibra motrice et morbosa, nec non zioni di alcuni Servi di Dio.Roma de experimentis ac morbis ec. per Giornale de Letterati Ven.  E sepolto in S. Silvestro di Monte Car Voti scritti per le Canoniza. Del moto che nei mobili siri. Nuovo metodo per introdursi IX. Dei moto che nei corpi sidif ad imitazione de’ geometri con ordi- fonde per impulso esteriore ne, chiarezza e brevità nelle più, Tratta sotto fisico matematico ad insegnare la tili questioni di Fflosofia, Logica, Mo- possanza degli clementi 4. Roma per rale, e Fisica.Ven. per Andrea Po- 'lo Salvioni letti. in 4. vediil N.X. fig. (1) o lettere mono. Riflessioni metafisich ecc. Ro agli eruditissimi Signori disuaprima Serve disecondapar vata Accademiaec.Ven. per teall'opera data al N. I. Andrea Poletti 4.,ed ivi nuovamente   humano vitam habente ratione tampro- insegne; e continuando inessigiunse spera et amafficta e valetudinis. Li- a cuoprire l'onore vole posto di Segre bri tres. Romae in4. ex per Andr. Poletti (sò poscia a Ravenna, d'onde alloscri. onori, che non versavansi allora con soil Barnabòcon varj discorsi. L' tanta generosità, perchè al solo meri opera stessa fu ri-stampata in Venezia to concedevansi. Scorsi pochi mesi di pel Poletti in 4. cuisiag. sua dimora in Firenze, torna arive giunse una memoria di Seguerdiret de re la patria, da cuisirecò nuova. ta a P. . mente in Roma sede degli studii lega XIV. Alcuni opuscoli anonimi in li, verso de'quali Leonecra inclina. Difesadi Alessandro P., Sicretissimo, la quella Metropoli diporta. dono suoi, esonoin risposta adal-si con tanta saggezza, che divenne fa tri opuscoli del bresciano Cri- miliare del Duca d'Weda Ambasciado. stoforo Zannettini già stato scolare del re del Re di Spagna alla Corte romu. Medesimo P.; ed in quelle dispuna. Ma circostanze politiche, che oscu. tealtri molti opuscolisi videro. Ma raro no la riputazione di quel poco assennato Ministro, anche ad egli fe delle sue opere mediche si fe ce altra edizione in Venezia in due cero cambiare partitie siavviò per volume. Oltregli una carriera diversa. Dopo di averevi Scritti che a P. indirizzarono sitate alcune delle primarie città d'Ita, Baglivi, e Seguer glilia, torno a rivedere la patria, e ad fu dedicata la seconda edizione delle una vastissima suppellettile di cognizio Maschere sceniche del Ficoroni. CONVERSANDO gl’uomini tra sè, ed avendo in conseguen [ROMA ETCRIS EMANUELE Donde è nico il] za necessità di COMUNICARE a vicenda i pensieri, e le linguagio degl, a to Cà CO. Uomini partico idee, che passano intimamente loro nell'ANIMO; nè potendo laze ciò conseguire in questo mondo sensibile, se non che in virtù di qualche oggetto atto a muovere i sensi, CONVENNERO DI COMUN CONSENSO ad unire in maniera i loro pensieri e le loro idee, ancorche al tutto insensibili, a certi SEGNI SENSIBILI, ed in particolare alle voci, che queste, stimolando per entro agl’orecchi gl’organi dell'udito, destino con un a tale alte razione nell'ANIMO, di chiode, quei pensieri, e quelle idee, che concordarono di ESPRIMERE per simili SEGNI, o voci, chiamate comunemente termini. I termini dunque in logica non sono se non chele semplice voci inventate dagl’uomini a piacere per esprimere con maniere sensibili le loro idee insensibili. Di qui è, che nato è tra i popoli ogni linguaggi particolare. Di cosi fatto linguaggio, e delle idee, che esso esprime, rispetto alle operazioni dette dell'intelletto, cioè rispetto al raziocinio umano, nel corso del saggio presente facciamo esatta menzione. Alessandro Pascoli. Keywords: fisiologia, corpo, galileo, il fuco di Girgenti, Cicerone, Bianchini. Verissimo, non mi piace medicar le donne, ma non le regine” spiegazione dell’entimema in termini dell’intenzione dei communicatori – chi da il segno e chi lo receve – il segno sensibili dell’idea della cosa. Equivoco se il termine e dunque la proposizione rippresenta due idee. -- Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pascoli: decadenza divina – l’implicatura conversazionale – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Mauro). Filosofo italiano. San Mauro, Forli-Cesena, Emilia-Romagna. Considerato il maggior filosofo decadente, nonostante la sua formazione principalmente positivistica.  Dal Fanciullino, articolo programmatico, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.  Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata da Carducci e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso ri-organizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. Nacque in provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei dieci figli due dei quali morti molto piccolo di Ruggero P., amministratore della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano affettuosamente Zvanì. Il padre e assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i responsabili rimasero ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia ha forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente ne “La cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro Cacciaguerra (al quale fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano, possidente ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto del principe, co-adiuvando l'amministratore A. Petri, sub-entrato al padre dopo il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, sono L. Pagliarani detto Bigéca, fervente repubblicano, e M. Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da lui venne scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre.  Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato il saggio “Omicidio Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche negli archivi locali e che, oltre a pubblicare documentazione inedita, formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato ai danni dell'amministratore Pascoli. Il trauma lascia segni profondi nel poeta. La famiglia comincia a perdere gradualmente il proprio stato economico e successivamente a subire una serie impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco (di "crepacuore", si disse),  il fratello Luigi, colpito da meningite, e il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato. Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale e pare conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul delitto da essere minacciati di morte.  Le due sorelle Ida e Maria andarono a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera, chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6, chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli, segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli imputati P. e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui Pascoli era difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche Carducci che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in relazione ai fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile. Medita il suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come dirà nella poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno. Nonostante le simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando Umberto I venne ucciso da un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la militanza politica, mantenendo un socialismo umanitario che incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia universale tra gli uomini, argomento di alcune liriche:  «Pace, fratelli! e fate che le braccia ch'ora o poi tenderete ai più vicini, non sappiano la lotta e la minaccia.»  (I due fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su Alceo, P. intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere e di credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della laurea da Argenta:  "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so ancora dove: forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho risoluto di trovar bella la vita e piacevole il mio destino".  Su richiesta delle sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il proprio progetto di vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle negli anni universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta da Argenta, il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così risponde:  "Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!."  E ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie e consolatrici dei vostri dolori?  Iniziato alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo "Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza di A. Bosis, che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove sarebbero infatti apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel volume Poemi conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il rapporto tra i due filosofi e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del Grande Oriente d'Italia, esplicitamente dichiara l'appartenenza di P. e Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle logge. Il nido di Castelvecchio «La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera»  (Giovanni Pascoli, La mia sera, Canti di Castelvecchio) Divenuto professore universitario e costretto dalla sua professione a lavorare in più città (Bologna, Messina e Pisa), non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una via di fuga verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Infatti si trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo borgo di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Berti, matrimonio che il poeta contempla e seguito i vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con S. Berti, matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito P. vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo mostra dedicata agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa Pascoli nel, getta luce sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente il suo desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti particolari della vita personale, emersi dalle lettere private, furono taciuti dalla celebre biografia scritta da M. P., poiché giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti.  Il fidanzamento con la cugina Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il suo reale intento. Di fronte alla disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, ancora una volta rinuncerà al proposito di vita coniugale.  Si può affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella sua poesia. In un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sul tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben presto divenne tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto. Non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.»  ([M. Luzi]) In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle osterie, e con il marito di Ida, il quale  dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac, come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse. Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva accettato l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva oscura, Sotto il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di letteratura italiana a Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che sarebbero stati poi celebri, tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema latino “Inno a Roma” in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo esalta Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su rami di corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi, vengono visti come un'anticipazione della bandiera tricolore.  Scoppiata la guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene infatti che la Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene invece affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato.  Il certificato di morte riporta come causa un tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice delle opere postume.   L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può  brevi parentesi politiche della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo.  A margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Michelet,  Fabre e Maeterlinck. Tali testi filosofici utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il micro-cosmo così caratteristica del romanticismo decadente in chiave filosofica. L’sservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni filosofiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui domina il senso della meraviglia e della fantasia. E un atteggiamento positivista romanticheggiante che tende a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la filosofia dell'inconscio di Hartmann che apre quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in queste letture come in quella successiva di J. Sully sulla psicologia un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua poesia. E non solo la sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare culto per il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico, poi, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di VICO (si veda) e di Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm  di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio, Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di Burnett, Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio” di Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé.  La poesia come nido che protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po' forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido. Il duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di Barga Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.  Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Scrive al pittore De Witt. C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino». In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare e agreste si racchiude l'idea dominanteaccanto a quella della mortedella poesia pascoliana. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio, non usce più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.  Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da P. mescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti della spontaneità espressiva.  Frontespizio di un'edizione del discorso socialista e nazionalista di P. La Grande Proletaria si è mossa, in favore della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici; Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, tenuto  in occasione di una manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla ("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di P. è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di P. ai Canti di Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo:  dei margini di purezza e candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano. Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione del lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso cantati da P. Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:  Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni. Comunica verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette nome atutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale). Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori in Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino, dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo, che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite della poesia del P. è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al P. e quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo di Carducci e di Leopardi, ma anche del suo contemporaneo Annunzio. In altre parole, e in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa. Essa perde il proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi frasi, musicali e suggestive.  La poesia cosmica  L'ammasso aperto delle Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome dialettale di Chioccetta ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio e stellato è uno dei temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: "E la terra sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella". Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo (La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell'uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico Getto: " È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante nell'emozione fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia". La lingua pascoliana P. disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma tradizionale comporta "il concepire per immagini isolate (il frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la parola circondata di silenzio. Ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato". Pascoli e il mondo degli animali In un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità assai ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi esclusivamente relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al lavoro, soprattutto agricolo, P. riconosce la loro dignità e squarcia un'originale apertura sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale mondo di relazioni. Come scrive Solfanelli, P. si avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare, da amare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un'anima per poterli rivedere un giorno. Saggi: “Myricae” (Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso delle scuole classiche” (Livorno, Giusti, -- antologia di scritti latini per la scuola superiore – “Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco  (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha. Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno, Giusti); (antologia di autori latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti); “Intorno alla Minerva oscura” (Napoli, Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose per la scuola italiana (Milano-Palermo, Sandron). (antologia di poesie e prose per la scuola), “Sotto il velame. Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori” Milano-Palermo, Sandron,  (antologia di prose e poesie italiane per le scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina Comedia” (Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli,  Odi e Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio” (Bologna, Zanichelli); “La canzone del Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La canzone dell'Olifante” (Bologna, Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna, Zanichelli); “La grande proletaria si è mossa -- iscorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria e umanità. Raccolta di scritti e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae, Zanichelli); (poesie latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma incompiuto) Nell'anno Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna, Zanichelli); “Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna, Zanichelli). “Myricae” è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto 22 poesie dedicate alle nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del P. ed evocano riflessioni profonde.  La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza. Compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. P. ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero P., mio padre"). La poesia-pensiero del profondo attinge all'inconscio e tocca all'universale attraverso un mondo delle referenze condiviso da tutti. Anche autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul letto di morte.  In particolare, l'anno 1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è anche il carme alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca meglio nota come Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato la sua lingua del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte P. parlò in latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. In quegli anni non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse l'edizione del Certamen con un poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta curata da E. Pistelli col saggio di A.  Gandiglio. Esistono delle traduzioni in lingua italiana delle sue poesie latine quali quella curata da M. Valgimigli o le traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza, descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che giravano  la macina al buio, affamati, con la museruola?". Contro la mortedelle lingue, degli uomini e delle epocheil poeta si appella alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte. "L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino.  Qui interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose. "Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza, ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente, parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento: il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo, e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici, senza apportare alcuna novità alla letteratura latina.  Pascoli invece reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di P. (cfr. A. Traina, Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali: Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano, privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa chiama il bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota (Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso la nobiltà romana “(Pomponia Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum Apollinis”).  La sua biblioteca e il suo archivio sono conservati sia nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli frazione di Barga, sia nella Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro la sua casa natale è sede di un museo dedicato alla sua memoria e dichiarata Monumento nazionale. Gli vengono dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola. Viene coniata una moneta celebrativa da due euro con l'effige del Poeta.  Il delitto Ruggero Pascoli  Omicidio Pascoli. Il complotto (Mimesis)  F. Biondolillo, La poesia, Maria P., Autografo Memorie, Alice Cencetti,  una biografia critica, Le Lettere, G. Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi? Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto! Ma non si potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue vittime! Così andranno sopra lui alcune delle lagrime che spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono tutta per loro la pietà che in parte s'è disviata in pro' di lui. Non essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi. Più che posso? Ella dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente quell'orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?»  La storia dell'I.I.S. Raffaello. Bulferetti, L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice Milanese,  Piero Bianconi, P., Morcelliana, Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il giovane. Attraverso le ombre della giovinezza",  realizzato in occasione della mostra omonima allestita presso il Museo Casa P. di San Mauro P.  Per approfondire gli anni di ricostruzione del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle, senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti, Gori, U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step.  Il rinvenimento è opera di G. Ruggio, Conservatore di casa P. a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal Grande Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa Bloomsbury, e la notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne Il Corriere della Sera,  Filmato audio S. Ruotolo e G. Bernardo, Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro: "Ecco i segreti che non ho mai rivelato a nessuno", fanpage al minuto 2:28. Citazione: La loggia P2 non è stata inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento in cui il Gran Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i vertici del Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e P. Si disse: «evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica nelle logge, almeno per evitare un fastidio»  Vi fu professore straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò letteratura latina come Professore. Fu nominato professore di grammatica greca e latina.  Le date sulle docenze universitarie sono prese da Perugi, "Nota biografica", in P., Opere, tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, Rosita Boschetti, P. innamorato: la vita sentimentale del poeta di San Mauro: catalogo, San Mauro Pascoli, Comune,.  Cfr. sempre Boschetti, op. cit, pag. 28. Scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue spese. 65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che necessità)».  Fondazione P.: la vita,  Ruggio, P. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta  Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli, recensione qui  Testo dell'"Inno a Roma"  Testo di "Al corbezzolo"  Fondazione P.: la vita,  Maria Pascoli, Lungo la vita di P.  Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico e il decadentista. Andreoli, op. cit  Maria Pascoli, Lungo la vita (Milano, Mondadori); Getto, poeta astrale, in "Studi per il centenario della nascita di P.". Commissione per i testi di lingua, Bologna, Fondazione Giovanni Pascoli Nuovi poemetti, Schiaffini, Disintegratore della forma poetica tradizionale, in "Omaggio a P.",  G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in "Studi pascoliani", Lega, Faenza, Maria Cristina Solfanelli, Gli animali da cortile, Chieti, Tabula fati,.  Vegliante.  Alberto Fraccacreta, Le ninfe di Vegliante, su Succedeoggi. Santo, Cammei Pascoliani: analisi, illustrazione, esegèsi dei carmi latini e greci minori di P., Giacoletti, De lebetis materie et forma eiusque tutela in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum, Amstelodami: C. G. Van Der Post, Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror; edidit H. Pistelli; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, Ioannis Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Zanichelli); Poesie latine; Manara Valgimigli, Milano: A. Mondadori, Giovanni Pascoli, Poemi cristiani; introduzione e commento di Alfonso Traina; traduzione di Enzo Mandruzzato, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, Carte pascoliane della Biblioteca Statale di Lucca, su//pascoli.archivi.beniculturali/. Museo di Casa Pascoli, su polomusealeemiliaromagna. beniculturali. Regio Decreto Legge, Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Franceschi, Giovanni Pascoli: cento anni fa moriva il massimo autore latino dell'età moderna, in Il Sole 24 ORE, Gargano, Poeti viventi italiani: G"Vita Nuova", Gargano, Saggi di ermeneutica. Del Simbolo (Sul "Vischio" di P.), in "Il Marzocco" Gargano, Poesia italiana contemporanea, in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", Emilio Cecchi, La poesia, Napoli, Ricciardi, Croce, Studio critico, Bari, Laterza, G. Debenedetti, Statura di poeta, in  Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario della nascita, Milano, Mondadori, Walter Binni, P. e il decadentismo, in  Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario della nascita, Mondadori, Piromalli, La poesia di P. , Pisa, Nistri Lischi, Gianfranco Contini, Il linguaggio di Pascoli, in Studi pascoliani, Faenza, Lega  (poi in Id., Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi,  Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Milano, Mondadori); Giuseppe Fatini, Il D'Annunzio e P. e altri amici, Pisa, Nistri Lischi, Giannangeli, Le fonti spaziali del Pascoli, in "Dimensioni", Ottaviano Giannangeli, La metrica pascoliana, in "Dimensioni", Luigi Baldacci, "Introduzione", in G. Pascoli, Poesie, Milano, Garzanti); Giannangeli, Pascoli e lo spazio, Bologna, Cappelli, Maura Del Serra, Firenze, La Nuova Italia ("Strumenti", Debenedetti, P.: la rivoluzione inconsapevole, Milano, Garzanti, 1Gianni Oliva, I nobili spiriti. Pascoli, D'Annunzio e le riviste dell'estetismo fiorentino, Bergamo, Minerva Italica, Fabrizio Frigerio, Un esorcismo pascoliano. Forma e funzione dell'onomatopeia e dell'allitterazione ne "L'uccellino del freddo", in "Bloc notes", Bellinzona, Vicario, La presenza di VIRGILIO in Carducci e P., in Il richiamo di Virgilio nella poesia italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, E. Sanguineti, Poesia e poetica/ Atti del Convegno di studi pascoliani/ San Mauro, 1-Comune di San Mauro P./ Comitato per le onoranze a Giovanni Pascoli, Rimini, Maggioli, Pavarini, Pascoli e il silenzio meridiano (Dall'argine), in "Lingua e stile", Stefano Pavarini, Pascoli tra voce e silenzio: Alba festiva, in "Filologia e Critica", Maura Del Serra, Voce Pascoli, in  Il Novecento, Milano, Vallardi, Benedetto, Frammenti su "Digitale purpurea" nei "Primi poemetti" di Pascoli", in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, Ruggio, Pascoli: tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, Franco Lanza, scritti editi ed inediti, Bologna, Boni, Marina Marcolini, Pascoli prosatore: indagini critiche su "Pensieri e discorsi", Modena, Mucchi, Maria Santini, Candida Soror: tutto il racconto della vita di Mariù Pascoli la più adorata sorella del poeta della Cavalla storna, Milano, Simonelli, Le Petit Enfant trad. dall'italiano, introd. e annotato da Levergeois (prima edizione francese del Fanciullino in Francia), Parigi, Maule, "L'Absolu Singulier",  Mazzanti, I segreti del "nido". Le carte di Giovanni e Maria Pascoli a Castelvecchio, in Castagnola, Archivi letterari del '900, Firenze, Cesati, Martelli, Pascoli, tra rima e sciolto, Firenze, Società Editrice Fiorentina,  Pietro Montorfani e Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna, Massimiliano Boni,  Massimo Rossi, Giovanni Pascoli traduttore dei poeti latini, in "Critica Letteraria", Mario Buonofiglio, Lampi e cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il lampo" di Giovanni Pascoli, in "Il Segnale",  ora disponibile in Academia Andrea Galgano, Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido, Roma, Aracne editrice, Colella, "Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere canore". Pascoli, Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista Pascoliana", Vegliante,  L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto San Giovanni, Mimésis,.  Accademia Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani --  italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.  nello specchio delle sue carte. Fondazione Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi.  testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli, Poesie latine, Mondadori,  Casa Pascoli. "Poemi conviviali".  CROCE, P.  STUDIO CRITICO BARI LATERZA TIPOGRAFI EDITORI L1BRAI PROPRIETÀ LETTERARIA. AVVERTENZA. La  buona  accoglienza  fatta  alla  ristampa  in  volume separato  del  saggio  sul  Carducci  ci  muove  a  ristampare  nella  stessa  forma  il  saggio  che  su  P. Croce raccole  nella sua Letteratura  della  nuova  Italia.   Abbiamo  fatto  seguire  ad  esso  la  risposta  che  Croce  fa  ai  suoi  critici,  e  due  saggi nei  quali  egli  ritorna  sul  suo  vecchio  giudizio  per  ribadirlo  e  particolareggiarlo.  In  appendice è  un  cenno  e  un  saggio  delle  discussioni  sollevate  di  recente  su P., a  proposito  di  questi  scritti  del  Croce. Leggo  alcune  delle  più  celebrate  poesie  di P.,  e  ne  provo  una  strana  impressione. Mi  piacciono?  mi  spiacciono?  SI,  no:  non  so.  Non  mi  smarrisco  per  questo,  e  non  me  la  prendo    con  la  insufficienza  mia    con  quella  del  poeta.  So  bene   che  il  giudizio  dell'arte,  benché si  fondi  sulla  ingenua  impressione,  non  si  esaurisce  nelle  cosiddette  prime  impressioni,  e  che  Ruggero  Bonghi  fraintese  quando  scambiò  e  criticò  Tuna  per  le  altre,  la  logica  della  fan-  tasia per  la  illogica  del  capriccio.  E  so  bene  che  artisti  assai  energici  disorientano,  alla  prima,  il  lettore:  s'impegna  come  una  lotta  tra  l'anima  conquis tatrice  e  un'altra  che  non  vuole    eppur  vuole,    lasciarsi  conquistare:  lotta  di  amori  estetici,  arieggiante  quasi  quella  dei  sessi  che  corre  attraverso  tutto  il  mondo  animale  e  che  testé  il  De  Gourmont  ci  ha  descritta  in  un  suo libro  popolare.  Dunque,  non  mi  smarrisco,  mi  rimetto  all'opera,  rileggo  e  rileggo  ancora.  Ma,  per  quanto  rilegga,  per  quanto  torni  a  quella  lettura  dopo  lunghe  pause,  la  strana  perplessità  si  rinnova.  Odi  et  amo:  come  mai?  Nescio:  sed  fieri  sentio  et  excrucior.   Non  è  poeta  grande  colui  che  ha  concepito  /  due  cugini?  I  due  bambini  giocano  tra  loro,  e  si  amano:  quando  si  vedono,  corrono,  anzi  volano  l'uno  verso  l'altro,  con  tale  impeto  di  gioiosità  infantile  abbracciandosi,  che  i  loro  ber-  retti  cascano  e  i  capelli  biondi  mescolano  i  riccioli. Ma  quei  giuochi,  quegli  amori  sono  spezzati: l'uno  dei  due,  il  maschietto,  muore:   appassi  come  rosa  che  in  boccio  appassisce  nell'orto.   E  l'altra  resta  legata  a  lui:  è  «la  piccola  sposa  del  piccolo  morto  ».  La  bambina  cresce:  si  cresce  rapidamente  in  quegli  anni:  si  fa  giovinetta,  già  quasi  donna.  Ma  l'altro  no:  si  è  fermato:  colà  dove  l'hanno  deposto,  non  si  cresce.  Sembra  che,  quando  rivede  la  sua  cuginetta,  che  si  svolge  e  fiorisce  col  misterioso  irrefrenabile  impulso  della  vita  e  del  sesso,  egli  le  stia  innanzi  tra  mera-  vigliato, smarrito  e  umiliato:   col  capo  non  giunge  al  seno  tuo  nuovo,  che  ignora.   Quella  l'ama  sempre:  sempre  le  par  di  udir  intorno a    «  la  fretta  dei  taciti  piedi».  Ma  il  morto  non  le  sorride:  la  giovinetta  fiorente  non   è  più,  per  lui,  la  compagna  di  una  volta;  sente  che  gli  è  sfuggita,  che  non  gli  appartiene  più:   piangendo  l'antica  sventura,  tentenna  il  suo  capo  di  bimbo.   Movimenti  ed  immagini  di  grande  bellezza,  cer-  tamente. Ma,  per  un  altro  verso,  già  nel  metro  adottato,  la  terzina  di  novenari,  si  avverte  qual-  cosa non  saprei  se  di  ba llato  o  di  ansimante,  che  stona  con  la  calma  sospirosa  e  dolorosa  del  piccolo  idillio  triste.  La  struttura  generale  è  spiacevolmente  simmetrica:  divisa  in  tre  parti,  che  paiono  le  tre  proposizioni  di  un  sillogismo.  Il  principio  è  un  ex-abrupto,  non  libero  di  enfasi  o  di  teatralità:   S'amavano  i  bimbi  cugini;   l'immagine,  che  segue,  è  leziosa:   pareva  l'incontro  di  loro  l'incontro  di  due  lucherini.   L'insistenza  è  soverchia,  e  anche  di  effetti  tor-  bidi. È  stupendamente  detto:   Tu,  piccola  sposa,  crescesti;  man  mano  intrecciavi  i  capelli,  man  mano  allungavi  le  vesti.   E  il  crescere  veduto  realisticamente,  ma  soffuso  di  gentilezza:  non  ci  vorrebbe  altro.  Ma  no:  il  metro  continua  per  suo  conto:   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora;  ed  i  petali  snelli  cadevano:  il  fiore  già  lega:  fatica  di  paragoni,  che  ottenebra  e  non  potenzia  l'immagine  già  perfettamente  determinata.  E  il  metro  continua  ancora,  come  un  cavallo  che,  nonostante  gli  abbiate  fatto  sentire  il  morso,  vi  trasporta  per  un  altro  tratto  di  via,  che  non  si  doveva  percorrere:   Ma  l'altro  non  crebbe.  Dal  mite  suo  cuore,  ora,  senza  perchè,  fioriscono  le  margherite   e  i  non  ti  scordare  di  me;   dove  quel  senza  perchè  mi  sembra  davvero  senza  perchè;  e  la  fiorita  sulla  tomba  è  roba  vieta,  resa  più  vieta  ancora  dalla  romanticheria  di  quei  «  non  ti  scordare  di  me  »,  che  cascano  mollemente  formando  la  chiusa  del  paragrafetto.  Ahi!  lo  specchio  tersissimo  si  è  appannato:  il  capolavoro è  rimasto  a  mezzo,   come  rosa  che  in  boccio  appassisce  nell'orto.   Valentino  è  un  altro  bambino.  Solo  un  occhio  di  poeta  può  scoprire  e  far  valere  un'immagine  tanto  graziosa.  È  un  contadinello  tutto  vestito  di  nuovo,  ma  a  piedi  scalzi:  la  madre,  che  lo  ha  visto  tremar  di  freddo  durante  il  gennaio,  ha  messo  da  parte  a  soldo  a  soldo  un  piccolo  gruzzolo;  e  il  gruzzolo  è  bastato  per  comprare  il  panno  della  veste  e  non  già  anche  per  la  spesa  delle  scarpe:  il  grande  sforzo  di  quella  veste  lo  ha  esaurito:   Costa  :  che  mamma  già  tutto  ci  spese,   quel  tintinnante  salvadanaio:  ora  esso  è  vuoto,  e  cantò  più  d'un  mese,   per  riempirlo,  tutto  il  pollaio.   Un  solo  aggettivo  ben  collocato  è  atto  a  sugge-  rire una  serie  d'immagini:  quasi  si  vede  la  povera donna,  che  scuote  e  fa  «tintinnare»  il  rozzo  salvadanaio  di  creta,  per  accertarsi  del  tesoretto  che  vi  ha  accumulato  con  tanto  stento:   é  tu,  magro  contadinello,  restasti  a  mezzo,  così,  con  le  penne,  ma  nudi  i  piedi  come  un  uccello...   La  figura  si  raggentilisce  in  questo  sorriso,  fatto  d'intenerimento:  il  contadinello  è  magro,  diventa  leggiero,  si  associa  naturalmente  all'immagine  dell'uccello.  Come  un  uccello,  egli  non  prova  impaccio    sente  il  ridicolo  del  suo  abbigliamento a  mezzo:   come  l'uccello  venuto  dal  mare,  che  tra  il  ciliegio  salta,  e  non  sa   ch'oltre  il  beccare,  il  cantare,  l'amare,  ci  sia  qualch'altra  felicità.   Capolavoro?  Neppur  qui.  Io  ho  riferito  versi  e  strofe  singole,  trascegliendo  nel  piccolo  com-  ponimento. Ma,  se  ve  l'avessi  letto  intero,  ve  ne  avrei  dato  forse  un  concetto  assai  minore.  Lascio  stare  il  lungo  ricamo  che  P.  fa  sul  particolare dei  piedini  nudi. Piedini  nudi,  dice  tutto;  ma  P.,  invece,  non  senza  giuoco  di  parole:   solo  ai  piedini  provati  dal  rovo  porti  la  pelle  dei  tuoi  piedini. E  non  si  contenta:   porti  le  scarpe  che  mamma  ti  fece,  che  non  mutasti  mai  da  quel  dì,  che  non  costarono  un  picciolo...   Insopportabile  è,  che  faccia  poi  un  simile  ricamo  anche  al  pollaio,  che  aveva  cosi  bene  e  sobriamente evocato:   e  le  galline  cantavano:    Un  cocco!  ecco  ecco  un  cocco  un  cocco  per  te!   Il  delicato  poeta  si  è  messo  a  rifare  il  verso  ai  polli!  E  si  resta  con  quel  grido  fastidioso  negli  orecchi,  che  pur  non  fa  dimenticare  del  tutto  il  «tintinnante  salvadanaio».   Non  meno  originale,  ossia  poetico,  è  il  Sogno  della  vergine.  Anche  la  donna  che  non  ha  avuto  figli,  la  vergine,  è  una  madre,  madre  in  potenza:  esistono  non  solo  i  figli  che  sono  nati,  ma  i  «  tigli  non  nati»,  bella  immagine  che P.  ha,  a  quanto  credo,  creata  lui,  e  che  ritorna  in  molti  suoi  versi.  La  vergine  dorme,  e  la  madre  che  è  in  lei  sogna  in  quel  sonno:  il  sangue,  che  scorre  per  le  sue  membra,  le  si  trasmuta  e  addolcisce  come  in  latte:   Stupisce  le  placide  vene  quel  flutto  soave  e  straniero,  quel  rivolo  labile,  lene,   d'ignota  sorgente,  che  sembra  che  inondi  di  blando  mistero  le  pie  sigillate  sue  membra. La  vaga  aspirazione  si  concreta  in  un  piccolo  essere:  il  sogno  s'intensifica:  accanto,  ella  sente  un  alito,  un  piccolo  vagito:  Un  figlio!  che  posa  sul  letto  suo  vergine!  e  cerca  assetato  le  fonti  del  vergine  petto  !   E  com'è  materno  quel  sogno!  Il  bambino  non  sorride,  trionfante  di  vita:  il  bambino  ha  bisogno  della  difesa  di  sua  madre,  che  tanto  più  lo  sogna  e  l'ama  quanto  più  le  par  di  doverlo  difendere:  egli  «piange  il  suo  tacito  pianto  >.  Tacito:  è  un  pianto  veduto  nel  sogno.   Ma  come,  d'altro  canto,  è  lungo  quel  componimento, la  cui  sostanza  poetica  sta  tutta  nelle  poche  immagini  ora  ricordate!  È  diviso  in  cinque  parti:  vi  si  descrive  in  principio  la  vergine  dormente e  il  lume  che  vacilla  nell'ombra  della  stanza:  quasi  che  tale  messa  in  iscena  possa  pre-  parare in  alcun  modo  la  poesia,  la  quale  comincia  solo  con  l'immagine  del  sangue  che  si  fa  latte.  Il  Pascoli  non  se  ne  sta  alla  espressione  delle  «pie  membra  sigillate»:  spiega:   le  gracili  membra  non  sanno   lo  schianto,  non  sanno  l'amplesso...   e  la  spiegazione  ridondante,  in  materia  così  sca-  brosa, era  da  evitare.  Neppure  sta  pago  ad  escla-  mare, all'improvviso  sorgere  del  bambino  che  brancola  cercando  avidamente  il  seno  della  madre:   0  fiore  d'un  intimo  riso  dell'anima!    che  è  forse  già  un  comento  piuttosto  eloquente  che  poetico;  ma  coraenta  il  comento  e    in  argutezze o  agudezas:   o  fiore  non  nato  da  seme,  e  sbocciato  improvviso  !   Tu  fiore  non  retto  da  stelo,  tu  luce  non  nata  da  fuoco,  tu  simile  a  stella  del  cielo,   del  cielo  dell'anima...   Il  bambino  è  allontanato  dal  fianco  materno  e  riposto  fantasticamente  in  una  culla.  E  la  culla  assume  una  grande  importanza,  tanto  che  le  si  rifa  il  verso  come  altra  volta  al  pollaio:   Si  dondola  dondola  dondola  senza  rumore  la  culla  nel  mezzo  al  silenzio  profondo;   il  che  è  inopportuno,  ma  chiaro.  E  a  P.  non  par  chiaro,  e  aggiunge  un  paragone:   cosi  come  tacita  al  vento,  nel  tacito  lume  di  luna,  si  dondola  un  cirro  d'argento.   E  vi  ha,  nel  resto  del  componimento,  esortazioni  al  bimbo  perchè  sorrida  un  istante;  e  vi  si  narra  il  sorgere  dell'alba  e  lo  svanire  del  sogno  :  narrazione per  lo  meno  altrettanto  esuberante,  quanto  prima  la  descrizione  della  stanza  e  della  lampada  da  notte.   Il  padre  del  Pascoli  fu  assassinato,  una  sera,  sulla  via  campestre,  mentre  tornava  alla  sua  casa.  La  mattina  di  quel  giorno  d'inenarrabile  strazio  e  terrore,  l'ultima  volta  che  i  suoi  lo  videro  vivo,   è  ricordata  in  ogni  minimo  particolare:  con  quel  perduto  dolore  dell'animo  che  dice: potevamo  non  lasciarlo  andar  via,  quel  mattino,  e  sarebbe  ancora  tra  noi!    E  la  memoria  scopre,  o  l'illu-  sione fa  immaginare,  particolari  quasi  profetici.  Il  padre  stava  per  salire  sulla  carrozza,  circon-  dato dai  suoi,  dalla  moglie,  dai  figliuoli  grandi  e  piccini,  usciti  sulla  strada  a  salutarlo.  Ma,  nel-  l'appressarsi  ch'egli  fece  al  suo  cavallo:   la  più  piccina  a  lui  toccò  la  mazza.   Gli  prese  il  bastone,  come  per  tirarlo  indietro,  e  ruppe  in  pianto.  Non  voleva  ch'egli  andasse  via:  non  voleva,  così,  irragionevolmente,  come  bimba  che  era;  ed  egli  dovette  ingannarla,  per  acchetarla:  farle  credere  che  rientrava  in  casa,  ed  uscire  da  un'altra  porta.  Quella  manina  di  bimba  è  indimenticabile.  Si  sfiora  quasi  la  genia-  lità propria  dell'artista,  che  coglie  con  un  sol  tratto  un  mondo  di  sentimenti.  Ma  si  sfiora  sol-  tanto, e  si  perde  daccapo.  Che  cosa  diventa  quel  tocco  affettuoso  e  spaventato  di  debole  manina  presaga?   E  un  poco  presa  egli  sentì,  ma  poco  poco  la  canna,  come  in  un  vignuolo,  come  v'avesse  cominciato  il  nodo  un  vilucchino  od  una  passiflora...   Diventa  Io-Studio  di  una  presidi  manojnfantile.  Al  quale  segue  lo  studio  della  mano:   Sì:  era  presa  in  una  mano  molle,  manina  ancora  nuova,  così  nuova  che  tutto  ancora  non  chiudeva  a  modo.  Andiamo  innanzi:  i  bambini  attorniano  il  padre,  chiamando  com'è  lor  uso:   Egli  poneva  il  piede  sul  montante;  e  in  un  gruppo  le  tortori  tubarono,  e  si  senti:  Papà!  Papà!  Papà!   Quell'episodio  commovente  è  accentuato  in  tal  modo,  e  cosi  materialmente,  nelle  sue  minuzie,  che  ogni  commozione  sfuma.  Tanto  che  io  mi  distraggo,  e  mi  par  d'avere  udito  altra  volta  un  simile  vocìo  bambinesco,  ma  in  un'arte  più  alle-  gra; sì,  per  l'appunto,  in  un'opera  buffa  napoletana, emesso  da  un  gruppo  di  bambini  che  at-  tornia il  papà  che  li  ha  condotti  a  una  fiera.  Solo  che  i  bambini  dell'opera  buffa  cantano  bene,  per-  chè si  tratta  di  opera  buffa;  e  quelli  di P.,  nell'angoscioso  ricordo,  stonano.   E  poi,  se  altro  non  fosse,  basterebbe  anche  qui,  a  turbare  tutta  l'ispirazione,  il  metro  ado-  prato:  un  metro  quasi  epico,  lasse  di  dieci  endecasillabi  con  assonanze.    Lo  stesso  sbaglio  fondamentale  è  nell'altro  episodio  della  medesima  tragedia   domestica:   La   cavalla  storna,  svolto   ^jiel  metro  di  un'antica  romanza.  Eppuxe.  c'è  l'ab-  bozzo, o  il_nòcciolo,  di  una  grande  poesia!  La  madre,  rimasta  priva  del  marito  vilmente  am-  mazzato da  uno  sconosciuto,  ha  sempre  fisso  il  pensiero  in  quel  caso  d'orrore.  Chi,  e  perchè,  gliel'ha  ucciso?  Nessuno  era  presente;  ma  l'ucciso aveva  con    la  sua  cavalla  prediletta,  una  cavallina  storna,  che  riportò  verso  casa  il  corpo  sanguinante  del  suo   padrone.  Quella   cavallina è  sempre  là,  nella  scuderia:  ha  visto,  sa,  un  mi-  racolo potrebbe  farla  parlare. E  la  donna,  con  quel  pensiero  in  capo  e  con  quegli  atti  quasi  da  folle  che  accompagnano  il  dolore,  va  a  notte  silente  nella  scuderia,  e  si  pone  accanto  alla  ca-  vallina, e  le  parla  e  piange  e  supplica:  e  vuole  aiutarla  a  significare  ciò  che  sa.  Pronuncia  un  nome,  il  nome  che  ella  sospetta:  lo  pronuncia  solennemente:  «alzò  nel  gran  silenzio  un  dito:...  disse  un  nome...  ».  Ed  ecco  s'ode  subito,  alto,  un  nitrito  di  conferma!    La  poesia  si  trascina  non  senza  fastidio  con  la  solita  descrizione  iniziale,  con  l'allocuzione  verbosa  della  madre,  ripartita  in  quattro  parti  e  pause.  Ma  l'ansia  della  povera  dolente  è  resa  con  tratti  di  grande  efficacia.  Sotto  quell'ansia,  sotto  quell'implorante  confidenza,  la  cavallina  si  umanizza,  diventa  una  persona  di  casa,  cara  tra  i  suoi  cari,  partecipe  della  comune  sventura:   la  scarna  lunga  testa  era  daccanto  al  dolce  viso  di  mia  madre  in  pianto:   quadro  d'infinita  commozione.  E  la  donna  incalza  nella  sua  preghiera,  presa  dalla  brama  furiosa  di  sapere,  di  veder  chiaro:   stava  attenta  la  lunga  testa  fiera...   Essa  l'abbraccia  come  si   fa  a  un   figliuolo  nel  '-momento  che  è  stato  vinto  dalla  parola  affettuosa e  sta  per  confessarsi:   mia  madre  l'abbracciò  sulla  criniera. La  madre  muore  anch'essa,  e  la  voce  della  morta P.  la  risente  come  di  chi  chiami  il  suo  nome,  il  suo  nome  nel  diminutivo  fami-  liare e  dialettale,  per  parlargli  di  cose  ed  affetti  domestici.  Non  è  difficile  intendere  che  quel  di-  minutivo familiare  e  dialettale  non  può  essere  ripetuto,  nell'alta  commozione  lirica,  cosi  come  par  di  sentirlo  nella  realtà.  Perchè  ciò  che  deve  entrare  nella  lirica  è  il  valore  sentimentale  di  quell'invocazione,  il  suo  accento  intimo  e  familiare, che  la  riproduzione  fonica  delle  sillabe  contraffa  e  non  rende.  Il  Pascoli  ha  un  inizio  spontaneo,  commosso  e  vivo:  C'è  una  voce  nella  mia  vita,  che  avverto  nel  punto  che  muore:   voce  stanca,  voce  smarrita,  col  tremito  del  batticuore:   voce  d'una  accorsa  anelante,  che  al  povero  petto  s'afferra   per  dir  tante  cose  e  poi  tante,  ma  piena  ha  la  bocca  di  terra.   È  questa  veramente  l'immagine  della  madre  nel  suo  gesto  d'abbandono  al  petto  fidato  del  Aglio,  per  isfogare  ciò  che  le  preme  sul  cuore:  della  madre,  così  come  riappare  attraverso  la  morte  e  il  cimitero,  deturpata  dalla  morte,  bagnata  di  pianto.  Ma  il  Pascoli  riattacca:   tante  tante  cose  che  vuole  ch'io  sappia,  ricordi,  sì...  sì...   Ma  di  tante  e  tante  parole  non  sento  che  un  soffio...  Zvani..Giovannino  > ,  in  dialetto  romagnolo.  E  codesta  è  una  profanazione,  che  non  accrescerò  col  mio  comento:  come  l'accresce  per  suo  conto  l'autore,  che  aggiunge  altre  sei  parti,  della  me-  desima lunghezza  della  prima  che  ho  trascritta,  e  tutte  sei  finiscono  con  quel  nome,  con  quel  Zvani.  Il  soffio  della  voce  della  morta  si  è  vol-  garizzato in  un  ritornello!  Pure,  il  ritornello,  così  malamente  scelto,  non  soffoca  del  tutto  il  suono  di  quella  voce  di  morta:   voce  stanca,  voce  smarrita,  col  tremito  del  batticuore...   Ai  suoi  morti  è  dedicato  ancora  TI  giorno  (\,p,i  morti,  cosi  pesantemente  sceneggiato  e  dram-  matizzato, in  cui  ciascuno  dei  morti  parla  a  sua  volta  compiangendo  e  lodando    stesso.  Vi  sono  accenti  commossi:  il  padre,  ammazzato  a  tradimento, dice:   0  figli,  figli!  vi  vedessi  io  mai!  io  vorrei  dirvi,  che  in  quel  solo  istante  per  un'intera  eternità  v'amai.   Ma,  pronunziate  appena  quelle  parole,  par  che  ne  resti  come  affascinato,  e  le  volta  e  rivolta  in  varia  forma:   In  quel  minuto  avanti  che  morissi  portai  la  mano  al  capo  sanguinante,  e  tutti,  o  figli  miei,  vi  benedissi.   Io  gettai  un  grido  in  quel  minuto,  e  poi,  mi  pianse  il  cuore:  come  pianse  e  pianse  e  quel  grido  e  quel  pianto  era  per  voi.   Oh  le  parole  mute  ed  infinite  che  dissi!  con  qual  mai  strappo  si  franse  la  vita  viva  delle  vostre  vite... affinando,  dunque,  quel  grido  perfino  in  un  bistic-  cio e,  in  un'allitterazione.   Il  ciocco  è  un'altra  delle  ispirazioni  profonde  di P.,  che  pur  lascia  mal  soddisfatti,  guar-  dando alla  composizione  e  al  complesso  della  poesia. La  prima  parte  è  stata  biasimata  pei  tanti  oscuri  vocaboli  del  contado  lucchese  che  l'autore  vi  ha  introdotti,  e  che  hanno  resa  necessaria  nelle  nuove  edizioni  l'aggiunta  di  un  glossarietto.  Ma  non  sarebbe  poi  gran  male  se  fossimo  costretti  a  studiare  qualche  centinaio  di  vocaboli  per  giuri  gere  all'intendimento  di  un'opera  bella.  Coraggio,  pigri  lettori!  ben  altre  fatiche  di  preparazioni  godimenti  artistici  sogliono  richiedere.  Senonchè  quella  taccia,  come  accade,  ne  nasconde  un'altra,  che  è  la  vera,  concernente  rejccesaiva_preoccu-  pazione  dell'autore  per  inezie  di  costumi  e  di  relati vj_ej^rjssioni,  inconciliabile  col  motivo  fonda-  mentale, della,  poesia,  che  si  svolge  nella  seconda  parte,  in  cui  l'anima  si  eleva  nella  contempla-  zione del  cielo  stellato.  E  anche  questa  seconda  parte,  che  ha  tratti  assai  felici,  offende  per  le  immagini  incongrue  o  troppo  dilatate,  e  per  le  ripetizioni  stucchevoli.  Così  gli  astri,  che  girano  pel  cielo,  suggeriscono  a P.  un  sottile  pa-  ragone con  le  zanzare  e  coi  moscerini,  che  girano  intorno  a  una  lanterna  accesa,  penzolante  dalla  mano  di  un  bambino  che  ha  perduto  una  monetina in  una  landa  immensa  e  la  va  cercando  e  singhiozza  nel  buio.  Al  supremo  momento  lirico  si  giunge,  quando  alla  mente  del  contemplatore  si  affaccia  il  pensiero  della  morte  avvenire  delle    le,     cose  tutte,  la  fine  dell'uni  verso;  e  nel  suo  cuore  sorge  una  deserta  angoscia  pel  morire  non  già  dell'individuo,  ma  della  vita  stessa:  per  l'individuo che  muore  senza  che  altri  faccia  splendere  accanto  a  lui,  riaccesa,  la  fiaccola  della  vita:  Anima  nostra!  fanciulletto  mesto!  nostro  buono  malato  fanciulletto,  che  non  t'addormi  s'altri  non  è  desto!  '   felice,  se  vicina  al  bianco  letto  s'indugia  la  tua  madre  che  conduce  la  tua  manina  dalla  fronte  al  petto  :   contenta  almeno,  se  per  te  traluce  l'uscio  da  canto,  e  tu  senti  il  respiro  uguale  della  madre  tua  che  cuce. Il  sentimento  di  questa  inquietezza  e  di  questo  quietarsi  puerile  è  compiutamente  espresso.  Che  si  possa  continuare  ancora,  indefinitamente,  nell'enumerazione o  nella  gradazione  ascendente  e  discendente  di  tutti  i  segni  di  vita  che  valgono  a  rasserenare  un  fanciullo  nella  sua  paura  della  solitudine  e  a  farlo  addormentare  tranquillo,  nessuno dubita:  ma  la  lirica  non  è  enumerazione.  P. non  sembra  di  questo  parere,  e  pro-  segue:   il  respiro  o  il  sospiro  :  anche  il  sospiro  :  o  almeno  che  tu  oda  uno  in  faccende  per  casa,  o  almeno  per  le  strade  a  giro  ;   o  veda  almeno  un  lume  che  s'accende  da  lungi  e  senta  un  suono  di  campane,  che  lento  ascende  e  che  dal  cielo  pende. Si  fermerà  a  quest'ultimo  verso,  del  quale  evi-  dentemente, cantandolo,  si  è  compiaciuto?  Tacera  contento  di  quest'ultima  dolcezza  che  lo  sazia?  Non  ancora:  ha  ripreso  il  \&*  fettazione,  sono  caso  assai  frequente;  e  rari  sono  invece  coloro  la  cui  opera  complessiva  si  pre-  senta con  carattere  di  perfezione  e  di  sceltezza,-*/**  perchè  hanno  lavorato  solo  nei  momenti  di  piena interna  armonia,  o  hanno  esercitato  tale  vigi-  lanza sopra    stessi  da  tener  celate  o  da  sopprimere le  cose  loro  imperfette.  I  più  affidano  la  cernita  al  tempo  galantuomo  e  alla  critica.   E  la  critica  suggerisce  a  questo  propositojiue  procedimenti,  che  più  volte  i  lettori  mi  hanno  visto  adoperare  in  queste  pagine.  Il  primo  è  di  tentare  una  divisione  nel  tempo,  e  il  secondo  di  tentarla  (per  cosi  esprimermi)  nello  spazio.  Vi  sono,  infatti,  artisti  che  da  una  torbida  e  divagante produzione  giovanile  giungono,  nella  maturità, al  possesso  di    medesimi;  o  che  a  una  produzione  geniale  fanno  seguire  l'imitazione  di    medesimi,  e,  volendo,  validius  inflare  sese,  come  la  rana  di  Fedro,  rupto  iacent  corpore;  e,  in  tali  casi,  si  possono  distinguere,  con  limiti  cronologici,  le  loro  varie  personalità.  Ma  ve  ne  ha  altri  i  quali,  durante  tutta  la  lor  vita,  alter-  nano le  varie  personalità,  e,  per  esempio,  nel  periodo  stesso  che  cantano  commosse  poesie  d'amore,  ne  compongono  altre  falsamente  eroi-  che e  politiche.  Essi  posseggono  due  strumenti,  l'uno  sinfono  e  l'altro  asinfono,  per  dirlo  nobilmente in  greco,  o  l'uno  accordato  e  l'altro  scordato, per  dirlo  umilmente  in  volgare,  e  suonano  ora  sull'uno  ora  sull'altro;  e,  forse,  di  quello  scordato,  su  cui  si  travagliano  e  sudano,  si  vantano assai  più  che  non  di  quello  accordato  e  docile  alle  loro  dita.  Per  costoro  la  divisione  si  deve  condurre  secondo  i  motivi  d'arte,  gli  spontanei e  gli  artificiosi,  che  muovono  la  loro  pro-  duzione.  Al  Pascoli  si  è  cercato  di  applicare  ora  l'uno  ora  l'altro  procedimento;  e,  per  cominciare  dal  primo,  si  è  detto,  e  si  è  scritto  anche,  che  chi  voglia  avere  innanzi  a    P. vero,  P. poeta,  deve  lasciare  in  disparte  la  sua  produzione degli  ultimi  anni,  e  risalire  a  quella  più  vecchia,  ai  Poemetti,  alle  Myricae,  quali  comparvero in  pubblico  nel  modesto  volumino.  E  poiché,  si  sa,  le  opinioni  variano,  si  è  anche  manifestato  il  parere  inverso,  che  P. vero  non  bisogni  cercarlo  nelle  poesie  giovanili, ma  nelle  ispirazioni  della  piena  maturità,  culminanti  nei  Poemi  conviviali  e  negli  Inni.   Ed  io  mi  provo  a  seguire  l'una  e  l'altra  indicazione; e,  dapprima,  risalgo  ai  Poemetti  e  alle  Myricae.  Rileggo  la  Senignja,  che  è  tra  i  più  pregiati  e  pregevoli  dei  poemetti:  prima  parte  di  un  «poema  georgico  »,  come  è  stato  chiamato.  Accostarsi  a  quei  versi  e  respirare  l'aria  della  campagna,  aspirarne  gli  effluvi,  vedere  il  casolare, i  campi,  le  opere  domestiche  e  rurali  dei  contadini,  udirne  i  discorsi  infiorati  di  proverbi  e  di  sentenze,  sentire  dappertutto  il  profumo  agreste  delle  cose  e  delle  anime;  è  un'impressione immediata.  Il  poemetto  s'inizia  con  un  risveglio mattinale  in  una  casa  di  contadini:  una  delle  fanciulle  apre  l'imposta,  i  rumori  della  vita  ricominciano  e  vi  sono  orecchi  che  li  raccolgono:  la  cappellaccia  manda  dal  cielo  il  suo  garrito,  la  gallina  raspa  sul  ciglio  di  un  fosso,  il  cane  di  guardia  s'alza,  scuote  la  brina  scodinzolando,  con  uno  sbadiglio:  si  odono  per  la  campagna  i  pennati  che  squillano  sul  raarrello.  La  fanciulla  si  accosta  al  davanzale,  monda  le  piante,  coglie  una  spiga  d'amorino;  e  poi,  a  quel  davanzale  stesso,  comincia a  ravviarsi  i  capelli,  come  contadina,  alla  grande  aria,  in  faccia  al  sole:   or  luce  or  ombra  si  sentia  sul  viso;  che  il  sol  montando  per  il  cielo  a  scale,  appariva  e  spariva  all'improvviso.   Così  è  descritta  l'intera  giornata.  Il  fruscio  stridulo delle  granate  passa  e  ripassa  per  la  casa,  che  ha  ormai  tutte  le  imposte  spalancate:  si  ri-  governa la  cucina,  dove  le  stoviglie  paiono  rissare tra  loro  nel  silenzio  del  mattino.  Più  tardi,  si  apparecchia  il  desinare  per  gli  uomini  che  lavorano  nei  campi:   sul  tagiier  pulito  lo  staccio  balzellò  rumoreggiando.   Il  bianco  fiore  ella  ammucchiò  :  col  dito  aperse  il  mucchio,  e  vi  gettava  il  sale  e  tiepid'acqua  dal  paiolo  avito.   Poi  ch'ebbe  intriso,  rimenò  l'uguale  pasta  e  poi  la  parti:  staccò  dal  muro  il  matterello,  strinse  il  grembiale;   e  le  spianate  assottigliò  col  duro  legno,  rotondo,  a  una  a  una;  e  presto    le  portava  al  focolare  oscuro.   Via  via  la  madre  le  ponea  nel  testo,  sopra  gli  accesi  tutoli;  e  su  quello  le  rigirava  con  un  lento  gesto  :     cessava  il  rullìo  del  matterello.   Tutti  i  gesti,  tutti  gli  oggetti,  tutte  le  colloca-  zioni spaziali,  sono  individuati  con  nitidezza  non  facilmente  superabile.    E  si  assiste  così  anche  alla  cottura  degli  erbaggi  all'olio:   Ora  la  madre  ne  la  teglia  un  muto  rivolo  d'olio  infuse,  e  di  vivace  aglio  uno  spicchio  vi  tritò  minuto.   Pose  la  teglia  su  l'ardente  brace,  col  facile  olio,  e  solo  intenta  ad  esso  un  poco  d'ora  l'esplorò  sagace.   L'olio  cantò  con  murmure  sommesso;  un  acre  odore  vaporò  per  tutto.  Fumavano  le  calde  erbe  da  presso,   nel  tondo,  ch'ella  inebriò  del  flutto  stridulo,  aulente;  e  poi  nel  canovaccio  nitido  e  grosso  avviluppava  il  tutto.   E  Rosa  in  tanto  sospendea  lo  staccio,  poneva  i  pani  sopra  un  bianco  lino,  stringea  le  cocche,  e  v'infilava  il  braccio.   Tornò  Viola  e  furono  in  cammino.   La  scena  ci  sta  innanzi  agli  occhi  come  in  un  quadro:  è  larverà  vita  campestre.  Sì:  ma  e  l'in-  tonazione, cioè  il  significato  estetico,  cioè  l'anima,  di  queste  descrizioni  e  dell'intero  poemetto?  P. non  compone  egloghe  più  o  meno  alle-  goriche, come  nel  medioevo  e  nel  Rinascimento;  non  vuol  rinfrescare  le  sensazioni  erotiche  im-  mergendole nella  vita  della  campagna;  non  si  accosta  ai  contadini  per  curiosarne  le  goffaggini,  come  nelle  nostre  vecchie  poesie  rusticane,  dalla  Nencia  del  magnifico  Lorenzo  giù  giù  fino  ai  Cecchi  da  Varlungo  degli  epigoni  e  tardi  imita-  tori del  Seicento.  Se  non  m'inganno,  il  suo  pre-  cedente ideale  è  piuttosto  in  quel  rifacimento  dell'intonazione  omerica,  che  già  gli  studiosi  di  Omero  nella  Germania  della  fine  del  secolo  decimottavo  tentarono,  e  che  consigliò  a  Volfango  Goethe  lo  Hermann  und  Dorothee.  L'intonazione  omerica  si  sente  non  solo  in  certi  collocamenti  di  epiteti  (il  primo  verso  dice:  «Allorché  Rosa  dalle  bianche  braccia»:  leucolena,  dunque,  come  Hera),  e  in  certe  ripetizioni  e  minuterie,  ma  in  tutto  l'andamento.  Il  metro  non  è  l'esametro,  ma  la  terzina,  col  serrarsi  deciso  dell'ultimo  verso  di  coda,  alla  fine  delle  brevi  riprese:  /    t.   A  monte  a  mare  ella  guardò  :  guardato  ch'ebbe,  ella  disse  (udiva  sui  marrelli  a  quando  a  quando  battere  il  pennato)  :   aria  a  scalelli,  acqua  a  pozzatelli.    Domani  voglio  il  mio  marrello  in  mano:  che  chi  con  l'acqua  semina,  raccoglie  poi  col  paniere;  e  cuoce  fare  in  vano   più  che  non  fare.  Incalciniamo,  o  moglie.   L'intonazione  omerica,  trasportata  alla  vita  umile  e  alle  umili  cose,  ha  del  gioco  letterario;  come  si  può  notare  finanche  nella  meravigliosa  ope-  ricciuola  del  Goethe.  Ma  presso  P.  vi  si  mescola  altresì  qualcosa  ora  di  fine  e  squisito:   (l'aratro  andava,  ne  l'ombrìa,  pian  piano:  qualche  stella  vedea  l'opera  lenta...   una  campana  si  sentiva  sonare  dal  paese:  non  più  che  un'ombra  pallida  e  lontana);   e  ora  di  affettato,  come  nel  racconto  che  il  cac-  ciatore fa  della  fiaba  della  cinciallegra,  soldato di  guardia  degli  uccelli;  o  nella  preghiera  del-  l'Angelus:   Tu  che  nascesti  Dio  dal  piccolo  Ave,  da  la  sorrisa  paroletta  alata:  (disse  la  voce  tremolando  grave)   tu  che  ne  l'aia  bianca  e  soleggiata  eri  e  non  eri,  seme  che  vi  avesse  sperso  il  villano  da  la  corba  alzata;   ma  poi  l'uomo  ti  vide  e  ti  soppresse,  t'uccise  l'uomo,  o  piccoletto  grano;  tu  facesti  la  spiga  e  poi  la  messe   e  poi  la  vita...   o  in  quest'altro  suono  di  campane:   Era  nel  cielo  un  pallido  tinnito:  Dondola  dondola  dondola/  A  nanna  a  nanna  a  nanna!    Il  giorno  era  finito.   Ed  il  fuoco  accendeva  ogni  capanna,  e  i  bimbi  sazi  ricevea  la  cuna,  col  sussurrare  de  la  ninna  nanna.   E  le  campane,  A  nanna  a  nanna!  l'una;  l'altra  Dondola  dondola!  tra  il  volo  de'  pipistrelli  per  la  costa  bruna.   A  nanna  il  bimbo,  e  dondoli  il  paiuolo  !   Il  poemetto  parrebbe  legato  da  un  filo  sottile,  una  storia  d'amore:  Rosa  ed  Enrico  il  cacciatore  s'innamorano.  Un  amore  che  prova  pudore  a  mostrarsi:  appena  accennato  nel  pensiero  di  Rosa,  che  non  può  pigliar  sonno  e,  quando  s'addormenta, sogna:   Pensava:  i  licci  de  la  tela,  il  grano  de  la  sementa,  il  cacciatore;  e  Rosa  lo  ricercava;  dove  mai?  lontano.   In  una  reggia.  E  risognò...  Che  cosa?  Similmente,  nella  seconda  parte  intitolata  l'Ac-  cestire, è  significato  l'amore  del  giovinotto:   E  la  sua  strada  seguitò  pian  piano,  e  ripensava  dentro  sé:  che  cosa?  ch'era  gennaio...  ch'accestiva  il  grano,   ch'era  già  tardi...  ch'eri  bella,  o  Rosa!   È  un  episodio  nel  quadro;  ma,  come  si  è  notato,  non  è  l'afflato  animatore  del  tutto.  Cosi  anche  questo  poemetto  ci  lascia  perplessi:  è  nitidissimo  alla  prima  specie,  e  tuttavia  non  lo  comprendiamo bene.  Ora  ha  dell'esercitazione  letteraria,  ora  della  lirica  tormentata:  il  tono  ora  ci  sembra  quasi  scherzoso,  esagerato  di  proposito  nelle  mi-  nuzie come  a  prova  di  bravura,  ora  grave  e  so-  lenne. È  di  un  poeta?  è  di  un  virtuoso?  Dove  finisce  il  poeta?  dove  comincia  il  virtuoso?   Se  dalla  Sementa  risalgo  ancora  più  su,  alle  prime  Myricae,  trovo,  tra  l'altro,  un  intero  ciclo  di  piccoli  componimenti  di  dieci  versi  ciascuno:  L'ultima  passeggiata,  che  si  può  dire  la  prima  idea  del  poemetto  ora  esaminato.  La  figura  di  fanciulla,  che  vi  è  accennata,  «  la  reginella  dalle  bianche  braccia  » ,  è  una  sorella  di  Rosa,  anzi  è  Rosa  medesima.  Sono  quadretti  minuscoli:  l'ara-  tura, la  massaia  con  le  sue  galline,  la  via  ferrata e  il  telegrafo  che  percorrono  le  campagne  recando  l'impressione  della  rumorosa  vita  lontana, le  comari  che  ciarlano  in  capannello,  l'osteria campestre  sull'ora  del  mezzodì,  il  partir  delle  rondini,  l'apparecchio  e  cottura  del  pane  di  cru-  schello, la  ragazza  che  aiuta  la  madre  nelle  faccende  domestiche  e  fa  da  piccola  madre  ai  mi-  nori fratelli  e  tiene  le  chiavi  del  cassone  della  biancheria  odorata  di  lavanda,  e  vede  accumu-  larsi colà  dentro  il  corredo  che  fa  presentire  prossime  le  nozze.  E  sono  quadretti  perfettamente  intonati:  non  v'ha  niente  di  ciò  che  stride  o  appare  incerto  nei  poemetti.  Arano:   Nel  campo  dove  roggio  sul  filare  qualche  pampano  brilla,  e  dalle  fratte  sembra  la  nebbia  mattinai  fumare,   arano  :  a  lente  grida,  uno  le  lente  vacche  spinge,  altri  semina:  un  ribatte  le  porche  con  sua  marra  paziente:   che  il  passero  saputo  in  cor  già  gode  e  il  tutto  spia  dai  rami  irti  del  moro  ;  e  il  pettirosso:  nelle  siepi  s'ode   il  suo  sottil  tintinno  come  d'oro.   Le  comari  in  capannello:   Cigola  il  lungo  e  tremulo  cancello  e  la  via  sbarra:  ritte  allo  steccato  cianciano  le  comari  in  capannello :   parlan  d'uno,  eh' è  un  altro  scrivo /scrivo,  del  vin,  che  costa  un  occhio,  e  ce  n'è  stato;  del  governo;  di  questo  mal  cattivo;   del  piccino;  del  grande  ch'è  sui  venti;  del  maiale,  che  mangia  e  non  ingrassa    Nero  avanti  a  quegli  occhi  indifferenti   il  traino  con  fragore  di  tuon  passa.   Di  poesie  come  queste  sono  ricche  le  prime  My-  ricae,  e  ce  n'e  anche  nella  serie  di  quelle  altre  che  ne  continuano  la  maniera,  aggiunte  nelle  posteriori  edizioni.  Un'impressione  di  campagna,  mentre  soffia  il  vento  freddo  e  agita  un  piccolo bucato  di  bimbo,  messo  ad  asciugare  presso  un  tugurio:   Come  tetra  la  sizza,  che  combatte  gli  alberi  brulli  e  fa  schioccar  le  rame  secche,  e  sottile  fischia  tra  le  fratte!   Sur  una  fratta  (o  forse  è  un  biancor  d'ale?)  un  corredino  ride  in  quel  marame:  fascie,  bavagli,  un  piccolo  guanciale.   Ad  ogni  soffio  del  rovaio  che  romba,  le  fascie  si  disvincolano  lente,  e  da  un  tugurio  triste  come  tomba   giunge  una  dolce  nenia  paziente.   Una  fanciulla  cuce  il  suo  abito  di  sposa;  a  un  tratto  leva  la  testa  e  ride:   Erano  in  fiore  i  lilla  e  l'ulivelle;   ella  cuciva  l'abito  di  sposa  ;    l'aria  ancora  apria  bocci  di  stelle,     s'era  chiusa  foglia  di  mimosa:  quand'ella  rise:  rise,  o  rondinelle   nere,  improvvisa:  ma  con  chi?  di  cosa?  rise  così  con  gli  angioli:  con  quelle   nuvole  d'oro,  nuvole  di  rosa.   In  queste  poesiole,  nemmeno  le  onomatopee  di  voci  d'uccelli  e  di  altri  suoni  e  rumori  offendono j3iù.  Perchè,  a  mio  parere,  hanno  avuto  torto  i  critici  quando  per  quelle  onomatopee  hanno  aperto  contro  il  Pascoli  uno  speciale  processo: le  cosiddette  onomatopee  sono  legittime  o  illegittime  secondo  i  casi;  e  quando  P.  le  adopera  fuori  luogo  (ed^èu-JL-dir  vero,  il  caso  pijij[requen.te),  l'error  suo  è  una  delle  tante  forme  di  quella  tendenza  all'insistere  eccessivo,  alla  minuteria,  alla  riproduzione  materiale,  ossia  di quell'affettazione  e  disposizione  asinfonica  che  è  in  lui.  Ma  quando,  nelle  prime  Myricae,  scrive  per  la  prima  volta  l'ormai  famigerato  scilp  dei  passeri  e  viti  videvitt  delle  rondini,  io  non  trovo  luogo  a  scandalo,  perchè  in  quel  caso  il  Pascoli  mantiene  un'intonazione  bassa  e  pacata;  nota  l'impressione  immediata  della  cosa,  e  aggiunge  un'osservazione  quasi  riflessiva:   Scilp:  i  passeri  neri  sullo  spalto  corrono  molleggiando.  Il  terren  sollo  rade  la  rondine  e  vanisce  in  alto:   vitt,  videvitt.  Per  gli  uni  il  casolare,  l'aia,  il  pagliaio  con  l'aereo  stollo;  ma  per  l'altra  il  suo  cielo  ed  il  suo  mare.   Questa,  se  gli  olmi  ingiallano  la  frasca,  cerca  i  palmizi  di  Gerusalemme:  quelli  allor  che  la  foglia  ultima  casca,   restano  ad  aspettar  le  prime  gemme.   E  non  può  scandalizzare  il  rosignolo,  che  ripete  l'aristofaneo    xió,  topoid  XiX(£;  o  bisogna  aver  dimenticato  che  la  poesiola  di  P.,  da  cui  è  tolto  il  particolare  tante  volte  citato  come  esempio  di  stravaganza,  è  un  apologo  scherzoso  :  il  rosignolo  è  allegoria  del  poeta,  le  ranocchie  del  grosso  pubblico.  Comincia,  infatti,  cosi:   Dava  moglie  la  Rana  al  suo  figliuolo.  Or  con  la  pace  vostra,  o  raganelle,  il  suon  lo  chiese  ad  un  cantor  del  brolo...   In  tale  apologo,  in  siffatta  intonazione,  la  cercata  reminiscenza  aristofanesca  sta  perfettamente  a  posto  e  conferisce  grazia.   Il  risultato  medesimo  si  ha  ove  si  confrontino altri   poemetti,  quelli   di   contenuto   filosofico  e  morale,  con  le  Myricae  di  simile  contenuto.  Il  Libro  vuol  far  sentire  l'ansiosa  e  vana  ricerca  del  vero,  che  l'uomo  persegue:  un  libro  (l'im-  magine deve  essere  stata  attinta  a  un  noto  luogo  del  Wilhelm  Meister,  circa  i  drammi  dello  Shakespeare), un  libro,  aperto  sul  leggio  nell'altana,  e  le  cui  pagine  sono  rimescolate  dal  vento,  sug-  gerisce la  presenza  di  un   uomo   invisibile  che  frughi  e  frughi  e  non  trovi  la  parola  che  cerca.  "  Ma  l'impressione  solenne,  che  si  vorrebbeotte-    nere^è  impedita  dalla  realtà  determinata  di  quel  libro,  sul  leggìo  dfquercia,  roso  dal  tarlo,  di  quel  rumore  di  fogli  voltati  a  venti  a  trenta  a  cento,  con  mano  impaziente,  «  avanti  indietro,  indietro  avanti  »;  e  dalla  freddezza  allegorica  onde  il  volume così  determinato  si  trasfigura,  in  fine,  nel  «libro  del  mistero  »,  sfogliato  «sotto  le  stelle».  Nei  Due  fanciulli,  malamente  si  lega  alla  sce-  netta dei  due  fanciulli,  che  litigano  e  si  graffiano  e  che  la  madre  manda  a  letto,  ed  essi  nel  buio  si  cercano  e  si  rappaciano  e  dormono  abbrac-  ciati,  l'ultima    parte,   che       l'interpetrazione  allegorica  della  scenetta   ed   esorta   gli   uomini  alla  concordia:  il  quadretto  idillico  impiccolisce  l'ammonizione    solenne,   questa   appesantisce   il  quadretto.  Ma  i  versi  gnomici  delle  Myricae  sono,  nella  loro  tenuità,  incensurabili.  Li  ravviva,  an-  che nella  loro  tristezza,  un  lieve  sorriso.  Il  cane:   Noi,  mentre  il  mondo  va  per  la  sua  strada,  noi  ci  rodiamo,  e  in  cuor  doppio  è  l'affanno,  sì,  che  pur  vada,  e  si,  che  lento  vada. Tal,  quando  passa  il  grave  carro  avanti  del  casolare,  che  il  rozzon  normanno  stampa  il  suplo  con  zoccoli  sonanti,   sbuca  il  can  dalla  fratta,  come  il  vento;   10  precorre,  l' insegue;  uggiola,  abbaia.   11  carro  è  dilungato  lento  lento,   e  il  cane  torna  sternutando  all'aia.   Parrebbe  dunque  che  dicano  bene  coloro  che  soltanto  in  P.  delle  prime  Myricae  ritrovano un  poeta  armonico  e  compiuto.  Ma  si  os-  servi: che  cosa  sono  quelle  poesie?  Sono  pensieri  sparsi,  schizzi,  bozzettini:  un  albo  di  pittore,  che  può  essere  di  molto  pregio,  ma  che  rappresenta,  piuttosto  che  l'opera  d'arte,  gli  elementi  di  essa.  Le  Myricae  sembrano  spesso  pochi  tratti  segnati  a  lapis  da  un  pittore  che  vada  in  giro  per  la  campagna  :   Lungo  la  strada  vedi  sulla  siepe  ridere  a  mazzi  le  vermiglie  bacche:  nei  campi  arati  tornano  al  presepe   tarde  le  vacche.  Vien  per  la  strada  un  povero  che  il  lento  passo  tra  foglie  stridule  trascina:  nei  campi  intona  una  fanciulla  al  vento:    Fiore  di  spina!...   E  lo  schizzo  ha  la  sua  attrattiva,  ed  anche  la  sua  compiutezza:  quasi  una  compiutezza  dell'in-  compiutezza. Sono  anch'io  dell'avviso  che  nelle  prime  Myricae  soltanto  il  Pascoli  abbia  la  calma  dell'artista.  Ma  bisogna  essere  pienamente  con-  sapevoli di  ciò  che  così  si  afferma,  e  che  è,    più    meno,  questo:  che  il  meglio  dell'arte  di  P.  è  nella  sua  riduzione  a  frammenti,  nel suo  sciogliersi  negli  elementi  costitutivi.  Di  frammenti stupendi  sono  conteste  anche  le  poesie  che  abbiamo  ricordate  e  criticate  come  deficienti  di  fusione  e  di  armonia:  solo  che  nel  contesto  artificioso perdono  la  loro  naturale  virtù.   E  già  nelle  prime  Myricae  l'arte  di  P.,  non  appena  tenta  maggiori  voli,  scopre  il  suo  solito  difetto.  In  alcune  saffiche,  ma  specialmente  poi  nei  sonetti,  egli  è  ancora  sotto  il  freno  e  la  disciplina  del  suo  grande  maestro  Carducci,  sicché, tolta  la  costrizione  di  quel  modello,  non  ha  scritto  più  sonetti.  Ha  continuato  invece  le  odicine  tra  l'agreste  e  l'oraziano,  tra  la  campagna  e  la  letteratura,  che  formarono  il  ciclo  Alberi  e  fiori,  al  quale  alcune  nuove  sono  state  aggiunte  fin  nell'ultimo  volume  di  Odi  e  inni.  In  qualche  altro  breve  componimento,  c'è  un'ispirazione  er.ojifa:  come  nel  Crepuscolo,  in  cui  egli  celebra  il  doppio  momento  del  giorno,  l'alba  e  il  tramonto, quando  la  bella  si  snoda  dalle  sue  braccia  «e  con  man  vela  le  ridenti  ciglia»,  o  l'accoglie  nelle  braccia,  «  e  il  dolce  nido  come  suol  pispi-  glia ».  La  «  reginella  dalle  bianche  braccia  »  non  è  guardata  con  occhio  indifferente,  come  la  Rosa  degli  anni  più  tardi.  C'è  nei  versi  a  lei  dedicati,  in  mezzo  alle  reminiscenze  dell'omerica  Nau-  sicaa,  un  calor  di  sentimento,  che  fa  di  quelle  tre  poesiole  alcune  delle  migliori  pagine  delle  Myricae.   Felici  i  vecchi  tuoi;  felici  ancora  i  tuoi  fratelli  ;  e  più,  quando  a  te  piaccia,  chi  sua  ti  porti  nella  sua  dimora,   o  reginella  dalle  bianche  braccia! Il  poeta  si  raffigura  non  senza   trepidazione  le  prossime  nozze:  Quella  sera  i  tuoi  vecchi...   quella  notte  i  tuoi  vecchi  un  dolor  pio   soffocheranno  contro  le  lenzuola.   Per  un  momento    sogna    di   esser   lui  lo  sposo  felice:   Al  camino,  ove  scoppia  la  mortella  tra  la  stipa,  o  ch'io  sogno  o  veglio  teco:  mangio  teco  radicchio  e  pimpinella.   Al  soffiar  delle  raffiche  sonanti  l'aulente  fieno  sul  forcon  m'arreco  e  visito  i  miei  dolci  ruminanti:   poi  salgo  e  teco  o  vano  sogno!...   Vano  sogno:  lo  scolaro  è  costretto  a  tornare  al  suo  latino  e  al  suo  calepino.   Ma  io  sento  in  questa  lirica  amorosa  l'eco  dell'Idillio  maremmano  del  Carducci,  e  più  ancora della  poesia  di  Severino  Ferrari;  la  quale  giustamente  è  stata  più  volte  ricordata  negli  ultimi  anni,  a  proposito  di  P.  A  ogni  [Su Ferrari,  si  veda  il  volume  secondo  della  Letteratura della  nuova  Italia. Lo  stato  d'animo  dei  due  poeti  (le  prime  Myricae  e  la  prima  ampia  raccolta  dei  Versi  di  Ferrari furono  pubblicate)  era,  per  molti  rispetti ed  anche  per  molte  circostanze  estrinseche,  simile.  Gli  autori  infatti  si  dimostrano  scolari  del  Carducci  nella  predilezione per  le  forme  della  poesia  trecentesca  e  popolare,  in  certe  movenze  di  stile,  in  quel  piglio  robusto  e  semplice  in-  sieme, che  fece  già  lodare  la  poesia  carducciana  come  la  più  «  parlata  >  di  tutte  le  nostre.  Erano,  inoltre,  quasi  compaesani,  con  le  medesime  fonti  materiali  d'ispirazione:  i  paesaggi,  i  costumi,  le  consuetudini  di  vita,  cui  alludono  nei  loro  versi,  sono  gli  stessi   nel   poeta    di   San   Pietro  a  Capofiume  e  in   modo,  P.  non  ha  più  ripreso^  codesti  motivi: anzi,  dalle'posteriori  edizioni  delle  Myricae  la  lirica  Crepuscolo    è  stata_espunta.  Ed  egual-  mente ne  è  stato  espunto  un  sonetto,  in  cui  il  poeta  prendeva  atteggiamento  e  nome  di  ribelle  di  fronte  a  un  principe;  come  non  ha  mai  rac-  colto i  versi  rivoluzionari,  pei  quali  era  noto  tra  i  suoi  condiscepoli  di  Bologna  e  dei  quali  conosco  alcuni,  che  credo  inediti  e  che  cominciano:   Soffriamo!  nei  giorni  che  il  popolo  langue  è  insulto  il  sorriso,  la  gioia  è  viltà!  Sol  rida  chi  ha  posto  le  mani  nel  sangue,  e  il  fato  che  accenna  non  teme  o  non  sa.   Prometeo  sull'alto  del  Caucaso  aspetta,  aspetta  un  hel  giorno  che  presto  verrà;  un  giorno  del  quale  sii  l'alba,  o  Vendetta!  un  giorno  il  cui  sole  sii  tu,  Libertà!...    quello  di  San  Mauro,  nel  campagnuolo  dell'estremo  bolo-  gnese e  in  quello  della  confinante  estrema  Romagna:  en-  trambi sbalzati  come  insegnanti  nelle  più  lontane  regioni  d'Italia,  e  portanti  nel  cuore  l'uno  il  piccolo  borgo  «dove  non  è  che  un  argine,  cinque  olmi  e  quattro  case*,  e  l'altro  «sempre  un  villaggio,  sempre  una  campagna»,  il  paese  do-  minato dalla  «  azzurra  vision  di  San  Marino.  E  furono,  infine,  coetanei,  condiscepoli  ed  amici,  e  si  scambiavano  versi,  e  l'uno  ricordò  l'altro  nelle  proprie  poesie.  Per  la  comunione  d'anime  che  si  forma  tra  giovani  fervidi  di  disegni  e  di  speranze,  alcuni  atteggiamenti  artistici  doverono  passare  dall'  uno  all'altro; né  è  detto  che  il  «  succubo  »  fosse  sempre  P.,  quando  già  nel  Mago  il  Ferrari  celebrava  l'amico  come  l'ar-  tista «dalla  lima  d'oro»,  dalle  «fresche  armonie,  dai  baldi  voli  »,  e  simboleggiava  l'arte  di  lui  nel  canto  di  un  lieto  coro  di  «  giovani  capinere  e  usignuoli  ».  Accade  quindi  che,  alcune  volte,  leggendo  il  Ferrari,  par  di  leggere  P.  della  prima  maniera.  Cosi  in  certe  impressioni  di  campagna:  «C'è  un  zufolar    tremulo  che  viene  Di  fondo  ai  fossi...  »;  in  certe   Ma  da  questo  Pascoli  amoroso  e  ribelle,  da  questo  P.  preistorico,  tornando  allo  storico ,   \  dicevamo,  dunque,  che  nelle  prime  Myricae,  e  soprattutto  nella  serie  che  le  seguì,  già  si  vede   ì  com'egli  si  sforzi  ad  una  poesia  più  complessa  e  personale  ed  intensa,  e  come  dia  subito  in  disarmonie.  Il  buon  piovano,  che  passa  pei  campi  salutando  e  benedicendo. tutti,  è  una  figura  che  ha  tocchi  esagerati.  Benedice   anche  il  falco,  anche  il  falchetto  (nero  in  mezzo  al  ciel  turchino),  anche  il  corvo,  anche  il  becchino,   poverino,  che  lassù  nel  cimitero  raspa  raspa  il  giorno  intero.    visioni  di  opere  agricole:  «Anco  per  poco  ondeggerete,  o  chiome  De  la  canapa  verde...»;  in  certi  interni  di  case  rustiche e  di  cucine  :  «    splendeva  co  '1  giorno  nei  decenti  Costumi  la  virtù  della  massaia...  »;  e  finanche  nella  descri-  zione della  vita  degli  uccelli,  nei  pensieri  dei  rosignuoli  o  negli  amori  delle  capinere:  «Come  un  argenteo  tinn  di  campanello.  D'altra  parte,  in P.  si  risentono  accenti  del  Ferrari:  «  Cantano  a  gara  intorno  a  lei  stornelli  Le  fiorenti  ragazze  occhipensose;  «  Siedon  fanciulle  ad  arcolai  ronzanti...». Ma  la  poesia  del  Ferrari,  se  mostra  una  cerchia  di  pensieri  e  di  sentimenti  più  ristretta  di  quella  del  Pascoli  ed  è  alquanto  inferiore  a  questa  per  maturità  di  forma,  è  poi  fortemente  dominata  dal  sentimento  d'amore,  che  manca  quasi  affatto  nel  Pascoli:   Se  corso  d'acqua  o  ben  fiorito  ramo  6  strepito  di  venti  o  di  bell'ale  chieda  l'onor  del  breve  madrigale,   non  l'ottiene  però  se  una  gioconda  forma  di  donna  a  la  romita  scena  non  dia  '1  senso  d'amor  ond'ella  è  piena.L'affettazione  è  già  nel  Morticino:   Andiamoci  a  mimmi,  lontano  lontano...  Din  don...  oh  ma  dimmi:  ^on  vedi  ch'ho  in  mano  il  cercine  novo,  le  scarpe  d'avvio? e  nel  Rosicchiolo  (la  madre  morta  ha  accanto  un  pezzo  di  pane,  serbato  pel  figlio),  tutto  rotto  e  ansante  di  esclamazioni:   Per  te  l'ha  serbato,  soltanto  per  te,  povero  angiolo;  ed  eccolo  o  pianto!   lo  vedi?  un  rosicchiolo  secco.  Moriva  sul  letto  di  strame;  tu,  bimbo,  dormivi,  sicuro. Che  pianto  !  che  fame  !  Ma  c'era  un  rosicchiolo  duro...   e  in  altre  molte.  Già  vi  sono  le  inopportune  ma-  terialità. I  versi  Scalpitio:   si  sente  un  galoppo  lontano    la...?)   che  viene,  che  corre  nel  piano  con  tremula  rapidità;   non  sono  da  riprovare  (come  è  stato  fatto)  per  l'ardimento  metrico,  ma  perchè  la  previsione  della  Morte  che  sopraggiunge  è  diventata  in  essi  qualcosa  di  prosaico,  quasi  di  un  treno  che  ar-  rivi; e  il  verso,  lodato  per  bellissimo:   «con  tremula  rapidità»,  è  di  una  precisione  sconcordante   col  soggetto;  come  sconcordante  è  il  triplice  grido  ultimo:  «la  Morte!  la  Morto!  la  Morte!»,  che  ricorda  quello  del  madrigale  di  Mascarille:  «  Au  voleur!  au  voleur!  au  voleur!  au  voleur!  » .  Lo  strafare  appare  già  per  molti  segni.  Alla  breve  poesiola:  II  cuore  del  cipresso,  sono  state  aggiunte,  nella  seconda  edizione,  altre  due  parti  per  rincupirla  e  renderla  enfatica;  con  raffinati  giochetti  come:  «l'ombra  ogni  sera  prima  entra  nell'ombra»,  e  con  interrogativi  a  più  riprese:  «E  il  tuo  nido?  il  tuo  nido?...».  Finanche  la  ottava  quasi  in  tutto  bella  delle  prime  Myricae:   Lenta  la  neve  fiocca  fiocca  fiocca:  senti:  una  zana  dondola  pian  piano.  Un  bimbo  piange,  il  piccol  dito  in  bocca;  canta  una  vecchia,  il  mento  sulla  mano.  La  vecchia  canta:  Intorno  al  tuo  lettino  c'è  rose  e  gigli,  tutto  un  bel  giardino.  Nel  bel  giardino  il  bimbo  s'addormenta.  La  neve  fiocca  lenta  lenta  lenta; —   è  stata  esagerata,  non  potendosi  altro,  nel  titolo.  S'intitolava  semplicemente:  Neve,  e  fu  poi  inti-  tolata: Orfano;  laddove  è  evidente  che  nessuna  ragione  artistica  costringeva  a  privar  dei  geni-  tori quel  caro  piccino,  che  piange,  «  il  piccol  dito  in  bocca  »  !   Allorché,  dunque,  nelle  Myricae  si  prescinda  da  ciò  che  è  eco  o  incidente  passeggero  o  semplice schizzo  e  quadretto  minuscolo,  vi  si  trova  in  embrione  il  Pascoli  con  le  sue  virtù  e  coi  suoi difetti.  Le  Myricae  contengono  i  motivi  da  cui  si  svilupperanno  i  Canti  di  Castelvecchio  e  i  poemetti  georgici  e  morali;  i  quali  danno  poi  la  mano  ai  Poemi  conviviali  e  agli  Inni.    III.    È  da  vedere  perciò  se  non  convenga  seguire  l'altra  indicazione,  che  ci  è  stata  offerta:  che  cioè  il  Pascoli  vero  sia  da  cercare  nella  sua  poesia  ultima  e  degli  anni  maturi,  in P.  «  maggiore  »  contrapposto  al  «  minore  » ,  in  quello  delle  solenni  composizioni  in  terzine  e  in  endecasillabi sciolti.  È  da  vedere  se  di  quei  difetti,  di  cui  è  libero  nelle  prime  Myricae  perchè  si  appaga  del  piccolo,  non  sia  riuscito  poi  a  liberarsi anche  e  meglio  per  altra    via,  lavorando  in  grande,  componendosi  un  gran  corpo.   E  poiché  non  diletta  sfondare  porte  aperte,  lascio  da  banda  gl'Inni,  che  per  comune  e  concorde giudizio  sono  la  parte  più  debole  della  sua  produzione  ultima,  e  vado  difilato  ai  Poemi  conviviali. Nei  quali,  a  tutta  prima,  sorprende  un'aria  di  compostezza,  una  facilità  ed  egualità  d'intonazione, onde  par  di  avere  innanzi  un'altra  persona,  o  tale  che  si  è  sviluppata  cosi  improv-  visamente e  magnificamente  che  non  lascia  riconoscere l'antica.  Che  cosa  è  mai  accaduto?  Il  Pascoli,  oltre  che  poeta,  è  anche  umanista:  conforme alla  tradizione  della  nativa  Romagna  (clas-  sicheggiante, più  forse  che  altra  regione  d'Italia nel  secolo  decimonono),  e  all'indirizzo  della  scuola  di  Carducci.  Non  è  un  pensatore,  e  nemmeno  propriamente  quello  che  si  dice  un  dotto,  perchè  la  sua  solida  cultura  letteraria  non  è  orientata  verso  la  ricerca  scientifica  o  storica,  ma  verso  il  godimento  del  gusto  e  la  riprodu-  zione della  fantasia.  Perciò  ha  qualcosa  di  antiquato rispetto  al  modo  moderno  della  filologia;  e,  insieme,  qualcosa  di  raro  e  di  sorprendente.  Da  scolaro,  faceva  meravigliare  i  condiscepoli  che  dicevano ch'egli  attendesse  a  mettere  in  prosa  attica  l'autobiografia  di  Cellini;  e  ancora  si  narrano  le  sue  prodezze  di  versificazione  latina  e  greca.  Ha  presentato  più  volte  poemetti  latini  alla  gara  internazionale  di  Amsterdam,  e  più  volte  ha  riportato il  primo  premio.  Ha  compilato  antologie  di  poesia  latina,  e  postovi  introduzioni  critiche,  nelle  quali  si  trovano  brani  e  pagine  descrittive,    gli  aedi,  Achille  morente,  l'agone  tra  Omero  ed  Esiodo,  Solone  vecchio  che  vuol  imparare  un  canto  di  Saffo  e  morire,  ecc.    che  ricompaiono  nei  Poemi  conviviali.  Ora,  in   questi   poemi  [Un  esempio.  «  L'aedo  viaggia  per  l' Hellade  divina  e  per  le  isole.  Si  aggira  spesso  lungo  il  molto  rumoroso  mare  per  trovare  una  nave  bene  arredata,  che  lo  tragitti:  egli  paga  i  nocchieri  con  dolci  versi,  se  è  accolto...  Ma,  se  è  re-  spinto, maledice...  Così  a  tutti  si  rivolge  l'aedo,  che  a  tutti  canta,  uomini  e  dei:  entra  come  nella  casa  dei  re,  così  nella  capanna  del  capraio  ;  chiede  con  la  maestà  del  sacerdote    ai  pescatori  che  tornano,    ai  vasai  che  accendono  la  for-  nace ;  e  canta.  Qualche  volta  dorme  sotto  un  pino  della  cam-  pagna: qualche  volta,  sorpreso  dalla  neve,  vede  risplendere  in  una  casa'ospitale  la  bella  fiammata,  che  orna  la  casa  come egli  sposa  la  sua  ispirazione  poetica  alle  forme  della  poesia  greca,  nella  cui  riproduzione  ha  acquistato  pratica  meravigliosa.  Come  nei  poemetti presentati  alle  gare  olandesi  parla  latino,  e  in  latino    i  primi  abbozzi  o  le  varianti  del  Ciocco,  dei  Due  fanciulli  e  di  altre  sue  composizioni italiane,  così  nei  Poemi  conviviali  parla  greco:  greco  con  parole  italiane,  ma  con  tutte  le  inflessioni,  i  giri,  i  sottintesi  di  chi  si  è  a  lungo  nutrito  di  poesia  greca.  Il  libro  è  un  trionfo'  della  virtù  assimilatrice,  un  capolavoro  di  aultura  umanistica.  Questo  linguaggio  greco,  adottato  da P.,  conferisce  alla  sua  nuova  o/pera  un  aspetto  meno  agitato  e  dissonante.   Ma,  quando  si  afferma,  com'è  stato  affermato,  che  nel  passare  dalla  lettura  dell'  Odissea  a  quella  dei  Poemi  conviviali  non  si  avverte  diversità  di  sorta,  bisogna  rispondere  di  star  bene  attenti  a  non  lasciarsi  ingannare  dalle  apparenze.  Sotto  l'acqua  limpida  e  cheta  si  muove  la  corrente  '  'jf  /)  turbinosa  e  torbida.  P.  è  P.  e  non'l^y»*/  Omero:  è,  anzi,  la  sua,  quanto  di  più  dissimile  )J^    i  figli  l'uomo,  le  torri  le  città,  i  cavalli  la  pianura,  le   navi  il  mare».  (Epos,  p.  xxi).  Si  ascolti  ora  II  cieco  di   Ohio:   Io  cieco  vo  lungo  l'alterna  voce   del  grigio  mare;  sotto  un  pino  io  dorino   dai  pomi  avari;  se  non  se  talora   m'annunziò,  per  luoghi  soli,  stalle   di  mandriani,  un  subito  latrato;   o,  mentre  erravo  tra  la  neve  e  il  vento,   la  vampa  da  un  aperto  uscio  improvvisa   nella  sua  casa  mi  svelò  la  donna,   che  fila  nel  chiaror  del  focolare.  si  possa  pensare  dalla  poesia  omerica:  questa  così  ingenuamente  umana,  quella  cosi  sapiente  nella  sua  umanità,  cosi  sorpresa  e  stupita  della  sua  ingenuità  che  sta  a  guardarla  e  a  riguardarla  in  viso,  e  ad  ammirarla;  e  non  le  par  vera!   Si  può  scegliere  a  piacere  qualsiasi  dei  suoi  poemi,  giacché  il  loro  valore  press 'a  poco  si  equi-  vale. Anticlo  è  nato  da  due  versi  e  mezzo  dell'Odissea.'. Anticlo,  nel  cavallo  di  legno,  sta  per  rispondere  alla  voce  di  Elena  che  contraffa  quella  della  moglie  di  lui,  quando  Ulisse  gli  caccia  la  mano  nella  gola,  Il  P. comincia  con  l'eseguire variazioni  intorno  a  questo  motivo.  Le  due  prime  parti  del  poemetto  sono  quasi  ripetizioni  l'una  dell'altra:  un  granellino  di  poesia  è  diluito  in  molta  acqua:   E  con  un  urlo  rispondeva  Anticlo,  dentro  il  cavallo,  a  quell'aerea  voce,  se  a  lui  la  bocca  non  empia  col  pugno  Odisseo,  pronto...   La  voce  dilegua  chiamando  ancora  .per  nome,  finché  non  s'ode  più  nulla:   finché  all'orecchio  degli  eroi  non  giunse  che  il  loro  corto  anelito  nel  buio;   così  come,  all'ora  del  tramonto,  mentre  essi  se  ne  stavano  chiusi  nel  gran  cavallo,  udirono  lon-  tanare i  cori  delle  vergini;  e  poi  si  fece  sera,  e   [  ''AvxikX,05      y'  0X05  à[igCi|>ac8ai  èjiéeaaiv   fj8EXv,  àXV  'Oòvaaevq  è:tl  nàaxaxa  xeQoi  Jite^ev   VO)X8|léa)5   KQaT8QTÌ,  come  è  stata  argutamente  chiamata.  E  l'idillio  di  un  animo  piagato;  è  una  pace  di  conquista,  non  di  natura.   La  casetta  e  la  famigliuola,  che  sono  le  imma-  gini consuete  dell'idillio,  hanno  accanto  a  sé,  nella  visione  del  Pascoli,  un'altra  casa  e  un'altra  famiglia  in  cui  egli  vive  non  meno  che  in  quelle  in  cui  trascorre  la  vita  materiale:  il  cimitero,  e  i  fantasmi  dei  suoi  morti.  Questi  morti  sono  sem-  pre con  lui:  tornano  sempre  a  quelle  pareti  doraestiche  da  cui  furono  crudelmente  strappati:  toccano  e  riconoscono  le  loro  masserizie,  i  loro  abiti,  le  tele  che  tesserono  e  cucirono,  i  figliuoli  che  generarono  e  lasciarono  bambini,  i  fratelli  coi  quali  divisero  le  prime  gioie  brevi  e  i  primi  pungenti  dolori.  Immagini  di  morti,  che  si  tirano  dietro,  nell'animo  del  poeta,  altre  immagini  affini:  mendichi,  vecchi,  ciechi,  bambini  deboli  e  pian-  genti. È  un  idillio,  irrigato  di  pianto:  il  tesoretto  domestico,  sul  quale  egli  vive,  è  formato  dal  ricordo  dei  mali  e  delle  angosce  sofferte.  L'ere-  mita (del  poemetto  cosi  intitolato),  nello  scendere  lungo  il  fiume  della  morte,  grida:   Signore,  fa  ch'io  mi  ricordi!   Dio,  fa  che  sogni!  Nulla  è  più  soave,  Dio,  che  la  fine  del  dolor;  ma  molto  duole  obliarlo;  che  gettare  è  grave   il  fior  che  solo  odora  quando  è  còlto.   Da  questa  contemplazione,  fatta  fine  e  abito  di  vita,  sorge  una  forma  di  serenità:  l'animo,  non  più  interiormente  dilaniato,  può  volgersi  al  mondo  esterno,  e  guardare  ed  osservare  e  comentare,  in  un  modo  per  altro  sempre  intonato  alle  sofferte  vicende:  calmo,  sì,  ma  non  gaio:  sereno,  ma  non  agile  e  leggiero.   E  sorgono  insieme  le  gioie  modeste:  l'attitudine a  godere  delle  cose  piccole,  del  riposo  gior-  naliero, della  mensa,  della  passeggiata,  dello  studio;  a  scoprire  in  esse  un  sapore,  una  virtù  ascosa,  che  altri,  più  fortunati  o  più  sfortunati,  non  vi  scoprirebbero:  come  nel  fior  d'acanto,  che le  api  regali  disdegnano,  le  api  legnaiole  trovano  il  miele  e  la  contadinella  sugge  il  nettare  ignoto. A  te    le  gemme    gli  ori  forniscono  dolce  ospite,  è  vero;  ma  fo  che  ti  bastino  i  fiori  che  cògli  nel  verde  sentiero,  nel  muro,  sulle  umide  crepe  dell'ispida  siepe.   Non  reco  al  tuo  desco  lo  spicchio  fumante  di  pingue  vitella;  ma  fo  che  ti  piaccia  il  radicchio,  non  senza  la  sua  selvastrella,  con  l'ovo  che  a  te  mattutina  cantò  la  gallina.   Questa  disposizione  d'animo  è  stata  da P., negli  ultimi  tempi,  innalzata  a  una  teoria  etico-sociologica,  che  egli  non  si  stanca  di  pre-  dicare in  tutte  le  occasioni:  tanto  che,  per  questo  rispetto,  stiamo  per  avere,  anche  noi  italiani,  il  nostro  Tolstoi  (purtroppo,  solo  Tolstoi  che  filosofeggia! La  natura  è  una  madre  dolcissima  che  sa  quel  che  fa,  che  ama  i  figli  suoi,  e  dal  male  ricava  per  essi  il  bene.  La  vita  è  bella,  o  sarebbe,  se  gli  uomini  non  la  guastassero.  Ma  gli  uomini  avvelenano  ogni  cosa  con  la  discordia,  con  l'odio,  con  la  guerra,  e  con  la  cupidigia  insaziabile,  che  è  il  movente  riposto  e  ultimo.  Bisogna  dunque  dichiarar  guerra  alla  guerra;  non  ammettere  di-  visioni fatali,  esser  di  nessun  partito,  addetti  so-  lamente alla  causa  dell'umanità:  non  ridere  delle  parole  carità  e  filantropia,  ma  accettarle  meglio  che  quelle  di  socialismo,  individualismo  e  simili; il  vero  socialismo  è  il  continuo  incremento  della  pietà  nel  cuore  dell'uomo.  Tutte  le  cose  buone  sono  identiche,  o  s'identificano:  il  patriottismo  non  sta  contro  il  socialismo,  e  viceversa:  il  so-  cialismo dev'essere  patriottico,  e  il  patriottismo  socialistico.  Tutto  è  affar  di  cuore,  di  dolcezza,  di  pietà.  Anche  la  scienza  e  la  fede  non  debbono  rissare:  la  scienza  deve  tener  della  fede  e  la  fede  della  scienza.  Codesta  non  già  transvalutazione,  ma  adeguazione  o  depressione  di  valori,  è  sug-  gellata dalla  virtù  del  contentarsi:  contentarsi  del  poco,  perchè,  se  il  molto  piace,  il  poco  solo  è  ciò  che  appaga. Uomini,  contentatevi  del  poco  (assai,  vuol  dire  si  abbastanza  e    molto:  filosofia  della  lingua!),  e  amatevi  tra  voi  nell'ambito  della  famiglia,  della  nazione  e  dell'umanità. Una  filosofia,  che  è  già  bella  e  criticata,  quando  si  è  mostrato  che  nasce  da  uno  stato  d'animo  individuale; e  del  resto,  P.  stesso,  pratica-  mente, come  uomo,  la  contradice  quando,  appena  qualcuno  tocca  ciò  che  gli  è  caro  (la  sua  arte,  o  i,  suoi  convincimenti  critici),  corre  alle  difese  e  alle  offese;  non  esita  a  chiamare  stolti  o  «  sciocchi  »  i  suoi  accusatori  (si  veda  la  prefazione ai  Poemi  conviviali))  e,  insomma,  conserit  proelia,  viene  alle  mani:  di  che  non  lo  biasimerò  io  certamente,  perchè  mi  par  naturale  che  ognuno  protegga,  come  può,  le  cose  che  ama.   Nasce  da  uno  stato  d'animo  e  ci  conferma  questo  stato  d'animo,  che  è  quello  che  abbiamo  definito  come  una  varietà  del  sentimento  idillico.  Ora,   il  sentimento  idillico  è  costante  in   tutta l'opera  letteraria  del  Pascoli:  involuto,  e  qua  e    lievemente  sorridente,  nelle  primissime  Myri-  cae,  chiaramente  spiegato  nelle  poesie  posteriori.  Non  fanno  eccezione  i  Poemi  conviviali,  il  cui  contenuto  sono  la  natura,  la  morte,  la  bontà,  la  pietà,  l'umiltà,  la  poesia;  e  la  poesia  e  la  morte  più  d'ogni  altra  cosa:  pensieri  tristi  e  delicati,  che  risuonano  sulle  labbra  dei  personaggi  del  mito,  della  leggenda  e  della  storia  ellenica.  Per  bocca  dell'antico  Esiodo  parla  sempre  il  Pascoli:   E  sol  com'ora  anco  è  felice  l'uomo  infelice:  s'egli  dorine  o  guarda:  N  quando  guarda  e  non  vede  altro  che  stelle,  quando  ascolta  e  non  ode  altro  che  un  canto;   P.  stesso  è  effigiato  in  Psiche,  che  solitaria  nella  sua  casa  intende  l'orecchio  al  canto  di  Pan:   Eppur  talvolta  ei  soffia  dolce  così  nelle  palustri  canne,  che  tu  l'ascolti,  o  Psiche,  con  un  pianto  sì,  ma  ch'è  dolce,  perchè  fu  già  pianto  e  perse  il  triste  nel  passar  degli  occhi  la  prima  volta;   o  nell'aedo  Femio,  che  parla  ad  Ulisse  e  dice  della  poesia,  quel  che  già  era  stato  detto  nelle  varie  allegorie  ed  apologhi  delle  Myricae:   Un  nicchio  vile,  un  lungo  tortile  nicchio,  aspro  di  fuori,  azzurro  di  dentro,  e  puro,  non,  Eroe,  più  grande  del  nostro  orecchio;  e  tutto  ha  dentro  il  mare,  con  le  burrasche  e  le  ritrose  calme,  coi  venti  acuti  e  il  ciangottio  dell'acque.  Una  conchiglia  breve,  perchè  l'oda  il  breve  orecchio,  ma  che  tutto  l'oda;  tale  è  l'aedo.  Pure  a  te  non  piacque.   La  medesimezza  dell'ispirazione  nei  Poemi  conviviali, e  nelle  Myricae  e  Poemetti,  è  stata  concordemente riconosciuta;  e  in  questo  senso  si  è  bene  affermato  che  P.  ellenico  è  un  elle-  no-cristiano.   Diversa  opinione  è  stata  manifestata  per  gli  Inni',  e  si  è  detto  che  P.  vuol  tentar  in  essi  la  corda  eroica,  e  fallisce.  E  gli  si  è  dato  sulla  voce,  consigliandolo  (per  parlare  col  suo  poeta)  a  meditare  silvestrem  musam  tenui  avena,  ad  attenersi  al  deductum  Carmen,  al  calamos  inftare  leves,  se  non  voglia  stridenti  miserum  stipula  disperdere  carmenì  Ma  gl'inni,  nel  loro  complesso,  contengono  nient'altro  che  la  predicazione del  solito  vangelo  pascoliano:  si  ricordino  quelli  sull'anarchico  assassino  dell'imperatrice  Elisabetta,  sul  negro  di  Saint-Pierre,  sulla  uccisione di  re  Umberto,  sul  Duca  degli  Abruzzi  e  la  spedizione  al  Polo,  sulle  stragi  civili.   E  si  deve  concludere  che  non  vi  ha  luogo  a  distinguere,  nell'opera  del  Pascoli,  filoni  diversi  di  pensieri,  correnti  diverse  di  sentimento,  e  ad  assegnare  la  parte  geniale  della  poesia  di  lui  all'una  delle  correnti,  e  l'artificiosa  all'altra.  Si  deve  concludere  che  anche  il  secondo  dei  due  procedimenti  critici,  che  abbiamo  ricordati,  si  chiarisce  inapplicabile  al  caso  suo. E  così  l'arte  di  P. par  che  serbi  sempre  l'aspetto  di  un  problema.  La  genialità  e  l'artificio,  la  spontaneità  e  l'affettazione,  la  sincerità  e  la  smorfia,  appaiono  uniti  negli  stessi  componimenti,  nelle  stesse  strofe,  talvolta  in  un  singolo  verso.  Il  male  attacca  la  lirica  nelle  sue  radici  e  nelle  sue  fibre  più  intime,  nel  metro;  talché  in  mol-  tissime poesie  del  Pascoli  la  mossa  metrica  è  come  staccata  dall'ispirazione:  quasi  si  direbbe  che,  appena  sorto  il  germe  di  vita,  un  microbio  vi  si  sia  precipitato  sopra  a  contaminarlo.  L'impressione del  lettore  è  quella  che  io  ho  notata  in  principio:  l'attrattiva  e  la  repulsione,  il  rapimento  e  il  disgusto  si  avvicendano.  Abbiamo  insieme  un  poeta  ingenuo  e  uno  bambinesco;  un  lirico  del  dolore  e  un  assassinato  di  dolore,  come  avrebbe  detto  Pietro  Aretino;  un  commoso  cantore della  pace  e  un  predicatore  alquanto  untuoso;  un  uomo  santo  e  un  sant'uomo,  uno  spirito  religioso e  un  prete.  Stiamo  a  momenti  per  gridargli  entusiasmati:  Quae  Ubi,  quae  tali  reddam  prò  Carmine  donaci,  e  donargli  la  nostr'anima  (unico  dono  degno  che  possa  farsi  ai  poeti);  ma,  nel-  l'istante seguente,  lo  slancio  del  donatore  resta  sospeso.  E  il  critico  è  messo  in  imbarazzo:  press'a  poco  nella  situazione  di  Gargantua,  quando  gli  nacque  il  figlio  e  gli  mori  la  moglie,  che  non  sapeva  se  dovesse  ridere  o  piangere:  *Et  ledóbufe  qui  troubloil  san  en  tende  meni  esloit  assavoir     l'AS   mon  s'il  devoit  pleurer  poùr  le  deuil  de  sa  femme,  ou  rire  pour  la  joie  de  son  filz.  D'un  coste  et  d'aulire,  il  avoit  argumens  sophistiques  qui  le  suffoquoient,  car  il  les  faisoit  tres  ìnen  in  modo  et  figura,  mais  il  ne  les  pouvoit  souldre.  Et,  par  ce  moyen,  demeuroit  empestrè  cornine  la  souris  empeigée,  ou  un  milan  pris  au  lacet».  Ma  il  critico  non  vuole  escogitare  «  argumens  sophistiques»:  vuol  vederci  chiaro,  e  non  gli  riesce.   Non  è  una  consolazione  osservare  che  questa  incertezza  si  ritrova  nell'opinione  generale  con-  cernente il  Pascoli.  Coloro  che  più  ponderata-  mente hanno  scritto  della  sua  opera,  mostrano  sempre,  in  modo  espresso  o  tra  le  linee,  una  tal  quale  insoddisfazione:  e  ora  concludono  che  P.  non  giunge  alla  creazione  spontanea  e  ^geniale;  ora  riconoscono  quel  che  c'è  d'imperfetto nelle  sue  più  belle  creazioni;  ora  lo  consi-  derano piuttosto  come  precursore  che  come  ar-  tista compiuto  in    stesso;  ora  lamentano  che  nel  Pascoli  ci  sia  l'imitazione  di    medesimo,  il  pascolismo.  Più  volte  ho  potuto  osservare  che  alcuni  dei  maggiori  estimatori  e  lodatori  di  lui  non  sanno  celare  la  loro  dubbiezza  e  cercano  come  di  essere  rassicurati  sulla  legittimità  della  loro  ammirazione;  o  alcuni  dei  più  risoluti  avver-  sari non  si  sentono,  nella  manifestazione  del  loro  dispregio,  in  completa  buona  coscienza.   Tanta  è  questa  incertezza,  che  si  ode  lamentare non  essere  stato  finora  P.  giudicato  degnamente  perchè  la  critica  italiana  è  inferiore  al  compito  suo;  ed  altri  scusano  la  critica  con-  siderando l'arte  del  Pascoli  come  un'arte  dell'av-  venire, che  solo  in  una  nuova  fase  spirituale  potrà  essere  compresa  a  pieno.  Sarà  dunque  così?  Fallimento  della  critica?  o  rinvio  all'avvenire?   Ma,  prima  di  ricorrere  a  codeste  ipotesi  da  disperati  (da  disperati,  perchè  non  verificabili),  bisogna  esaminare  un'ipotesi  più  semplice.  La  quale  è,  che  ciò  che  si  presenta  come  problema  sia  una  soluzione;  che  ciò  che  sembra  una  do-  manda, sia  già  una  risposta  ;  che  questa  mia  censura critica,  che  finora  sembra  tutto  un  prologo,  sia  già  una  conclusione.   Il  Pascoli  è,  per  l'appunto,  quale  lo  siamo  venuti  osservando:  uno  strano  miscuglio  di  spon-  taneità e  d'artifizio:  un  grande-piccolo  poeta,  o,  se  piace  meglio,  un  piccolo-grande  poeta  (cosi  come,  in  una  delle  sue  poesie,  la  terra  a  lui  apparisce un  «  piccoletto-grande  presepe  »  !).  In  lui,  anche  dopo  le  prime  Myricae,  sono  sorti  motivi  poetici  felicissimi,  anzi  più  ricchi  forse  e  più  pro-  fondi dei  suoi  primi;  ma  codesti  motivi  non  ven-  gono padroneggiati  e  ridotti  a  unità  artistica,  e  non  acquistano  quell'intonazione  armonica,  che  è  la  manifestazione  dell'unità.  Era  uno  squisito  poeta  nelle  prime  Myricae,  restio  a  scrivere  e  a  stampare,  tanto  che  si  denominava  da    «  Belacqua»,  e,  sfiducioso,  non  cercava  la  fama. Ma!  la  fama  l'ha  raggiunto,  e  lo  ha  eccitato  a  una  produzione  abbondante  e  artificiale.  Spirito  poetico qual  egli  è,  non  riesce  mai  a  diventare  del  tutto  un  retore;  ma  non  riesce  neppure  alla  poesia  compiuta,  e  s'indugia  in  una  semi-poesia.  Perciò  anche  egli,  ora,  non  vede  nessun  termine  alla  sua  produzione:  smarrito  il  senso  della  sin-  tesi artistica,  di  ogni  commozione  fa  una  lirica,  prima  che  sia  diventata  veramente  tale:  la  sua  produzione  si  è  resa  facile  e  meccanica.  «  Quanto  più  di  numero  vorrei  che  fossero!  (scrive  nella  prefazione  di  Odi  e  inni,  che  pure  son  troppi  e  troppi).  Io  sento  di  non  avervi  ancor  detto  nulla  di  ciò  che  avevo  per  i  vostri  cuori.  E  temo  di  andarmene,  volgendomi  disperatamente  addietro  per  dirvi  ciò  che  non  dissi,  e  che  è  sempre  e  ancora  il  tutto.  Bisogna  affrettarsi,  ora.  Gli  anni  non  vengono,  ora:  vanno  ».  Perciò,  non  s'acqueta  in  nessuna  delle  sue  creazioni.  Ogni  materia  diventa per  lui  inesauribile.  Il  tragico  fato  del  _padre  gli  è  fonte  perpetuajd^__pjoesia^,appunto  perchè  nessuna  perfetta  poesia  ne  è  nata.  Egli  sente  nell'aria  il  rimprovero  per  quel  suo  inces-  sante verseggiare  i  casi  della  propria  famiglia;  e  si  difende:  «Io  devo  (il  lettore  comprende)  io  devo  fare  quel  che  faccio.  Altri  uomini,  rimasti  impuniti  o  ignoti,  vollero  che  un  uomo  non  solo  innocente  ma  virtuoso,  sublime  di  lealtà  e  bontà,  e  la  sua  famiglia,  morisse.  E  io  non  voglio.  Non  voglio  che  siano  morti.  E  non  si  tratta  di  questo:  i  lettori  non  l'accusano  di  parlar  troppo  di  suo  padre,  ma  di  non  parlarne  abbastanza  poeticamente;  ed  egli  forse  insiste  nel  tema,  non  perchè  spinto  da  dovere  domestico,  ma  perchè  avverte,  sia  pure  confusamente,  che  non  è  giunto  ancora  a  concretare  il  suo  sentimento  nelle  immagini.  Quella  tragedia  familiare  gli  sta  dinanzi  come  un  grosso  blocco  di  marmo,  che  non  sa  come  lavorare:  ne  fa  con  lo  scalpello  saltare  qualche  scheggia,  ma  non  v'incide  una  volta  per  sempre  la  statua  o  il  gruppo.  Per  la  stessa  ragione, infine,  la  sua  opera  poetica  ha  l'aria  di  una  poesia  dell'avvenire:  i  motivi,  che  vi  sono  abbozzati  e  non  perfettamente  elaborati,  paiono  aspettare  e  provocare  l'artista,  che  li  ripiglierà.  Come  dal  suo  stato  d'animo  idillico P.  ha  tratto  una  filosofia  che  è  la  conferma  di  quel  suo  stato,  cosi  dalla  sua  arte  imperfetta  ha  tratto  un'estetica  e  una  critica,  che  è  il  riflesso  teorico  di  essa,  e  insieme  una  conferma  dell'analisi  che  si  è  tentata  in  queste  pagine.  Il  poeta  jegli  dice  ed  io  compendio),  il  poeta  vero  è  un  fanciullo:  è  l'anima  che  ama  il  poco,  le  piccole  cose,  la  campagna  piccola,  il  campicello,  l'orto  con  una  fonte  e  con  un  po'  di  selvetta,  il  cavallino,  la  carrozzina,  l'aiolina.  E  l'ama  con  la  dolcezza  della  pietà:  perchè  il  poeta  non  solo  è  il  fanciullo,  ma  è  anche  il  poverello  dell'umanità,  spesso  cieco  e  vecchio.  Per  conseguenza,  in  quanto  poeta,  è  sempre  ispiratore  di  buoni  e  civili  costumi,  d'amor  patrio  e  familiare  e  umano:  è  sempre  socialista,  perchè  è  umano:  esclude  l'impoetico,  e  alla  fine  si  trova  che  l'impoetico  è  quello  appunto  che  la  morale  riconosce  cattivo  e  l'estetica  dichiara  brutto:  l'esclude  non  di  proposito,  non  ragionando,  ma  cosi  istintivamente,  perchè  ne  ha  paura  o  schifo.  Ciò  che  esce  fuori  di  questo  amore  pel  piccolo)  non  è  poesia.  Le  armi,  le  aste  bronzee,  i  carri  di  guerra,  i  lunghi  viaggi,  le  traversie,  sì,  perchè  sono  cose  che  il  fanciullo  ricerca  con  avida  curiosità,  e  le  vagheggia  palpitando  di  gioia.  Ma  tale  non  è  l'amore,  l'eros;  tale  non  è  tutta  la  moltitudine  irosa  delle  altre  passioni.  Ciò  P.  chiama  non  più  elemento  poetico,  ma  drammatico;  non  più  poesia  pura,  ma  applicata;  non  più  di  sentimento,  ma  di  fantasia. Con  l'introduzione  dell'elemento  erotico,  l'essenza  poetica  diminuisce:  le  figure  omeriche  sono  più  poetiche  di  quelle  della  tragedia  ellenica:  Rolando  della  Chanson  è  più  poetico  dell'Orlando  innamorato  e  furioso  dei  romanzieri  italiani.  La  Comedia  dantesca,  come  tutti  i  grandi  poemi,  i  grandi  drammi,  i  grandi  romanzi,  è  poesia  ap-  plicata: è  un  gran  mare,  nel  quale  di  tanto  in  tanto  si  pesca  una  perla,  un  prodotto  di  poesia  pura;  com'è,  per  esempio,  nel  Purgatorio  la  descrizione  dell' «ora  che  volge  il  desio  ai  naviganti .   Questa  estetica  è  la  base  della  sua  critica  letteraria.  Di  Omero  mette  in  mostra  l'intona-  zione fanciullesca:  «  descriveva  i  particolari  l'uri  dopo  l'altro,  e  non  ne  tralasciava  uno,  nemmeno,  per  esempio,  che  le  schiappe  da  bruciare  erano  senza  foglie.  Che  tutto  a  lui  pareva  nuovo  e  bello,  ciò  che  vi  aveva  visto,  e  nuovo  e  bello  credeva  avesse  a  parere  agli  uditori.  La  parola  c  bello  e  '  grande  '  ricorreva  a  ogni  momento  nel  suo  novellare,  e  sempre  egli  incastrava  nel  discorso  una  nota  a  cui  riconosceva  la  cosa.  Diceva  che  le  navi  erano  nere,  che  avevano  dipinta  la  prora,  che  galleggiavano  perchè  ben  bilanciate,  che  avevano  belli  attrezzi,  bei  banchi;  che  il  mare  era  di  tanti  colori,  che  si  moveva  sempre,  che  era  salato,  che  era  spumeggiante..  L'Eneide  di  VIRGILIO  diventa  per  P.  quasi  un  duplicato  della  Georgica:  l'Eneide  canta,  si,  guerra  e  battaglie; ma  tutto  il  senso  della  mirabile  epopea  è  in  quel  cinguettìo  mattutino  di  rondini  o  passeri, che  sveglia  Evandro  nella  sua  capanna,    dove  avevano  da  sorgere  i  palazzi  imperiali  di  Roma.  Nelle  sue  introduzioni  aXY Epos  e  alla  Lyra,  il  Pascoli  evoca  la  Grecia  primitiva  coi  suoi  aedi  e  mendicanti,  ricchi  di  meravigliose  storie,  fanciulli  parlanti  ad  altri  fanciulli,  o  ri-  sveglianti  nell'uomo  adulto  il  fanciullo:  evoca  il  Lazio  primitivo,  con  la  sua  vita  agreste  piuttosto  che  guerresca.   È  da  notare  un'altra  dottrina  letteraria  del  Pascoli,  che  si  lega  alla  precedente.  Egli  afferma  che  per  la  poesia  vera  e  propria  agli  italiani  manca,  o  sembra  mancare,  la  lingua;  e  che  bisogna riproporsi  il  problema  posto  e  studiato  dal  Manzoni:  il  problema  della  lingua.  La  lingua,  che  si  adopera,  è  troppo  generica  e  grigia.  «  Pensate  ai  fiori  e  agli  uccelli,  che  sono  de'  fanciulli  la  gioia  più  grande  e  consueta:  che  nome  hanno?  S'ha  sempre  a  dire  uccelli,  si  di  quelli  che  fanno  tottavì  e  si  di  quelli  che  fanno  crocrol  Basta  dir  fiori  o  fioretti,  e  aggiungere,  magari,  vermigli  e  gialli,  e  non  far  distinzione  tra  un  greppo  co-  perto di  margherite  e  un  altro  gremito  di  crochi?». Ed  insegna  ai  fanciulli  il  segreto  per  diventar valenti  in  poesia:  «Chiedete  sempre  il  nome  di  ciò  che  vedete  e  udite;  chiedetelo  agli  altri,  e  solo  quando  gli  altri  non  lo  sappiano,  chiedetelo  a  voi  stessi,  e,  se  non  c'è,  ponetelo  voi  il  nome  alla  cosa  » .  Anche  questa  dottrina  è  base  ai  suoi  giudizi  critici.  Esamina  il  Sabato  del  villaggio di Leopardi,  e  trova  indeterminato  e  vago  il  verso  «un  mazzolin  di  rose  e  di  viole»;  &  avrebbe  desiderato  maggiore  precisione  per  es-  sere in  grado  così  di  stabilire  a  quale  mese  dell'anno si  riferiva  il  poeta  con  la  sua  descrizione:  corregge  altrove  Leopardi,  che  accenna  al  canto  degli  usignoli,  notando  che  nella  valle  di  Recanati  si  odono  invece  le  cingallegre;  l'Elogio  degli  uccelli  gli  suggerisce  l'esclamazione  :  «  mai  un  nome  di  uccelli:  tutti  uccelli,  tutti  canterini! ».   Ora  è  evidente,  per  quanto  riguarda  la  dottrina estetica,  che  P. ha  equivocato,  scambiando  e  confondendo  in  uno  l'ideale  fan-  ciullezza, che  è  propria  della  poesia  la  quale  si  libera  dagl'interessi  contingenti  e  s'affisa  rapita nelle  cose,  la  fanciullezza  che  è  imma-  gine della  contemplazione  pura,    con  la  realistica fanciullezza,  che  si  aggira  in  un  piccolo  mondo  perchè  non  conosce  e  non  è  in  grado  di  dominarne  uno  più  vasto.  E  l'equivoco  lo  ha  menato  diritto  a  negare   carattere  d'arte  pura a  quasi  tutta  l'arte;  a  distinguer  l'arte  dalla  fantasia  confinandola  al  sentimento,  e  a  mutilare il  sentimento  stesso  confinandolo  a  quel  solo  sentimento  che  non  sia  erotico  o  passionale,  al  sentimento  idillico.   La  sua  dottrina  sulla  lingua  ha  stretta  affinità con  quella  di  Edmondo  de  Amicis  e  degli  altri  linguai;  vale  a  dire,  si  riduce  in  fóndo  al-  l'eretismo delle  piccole  cose,  agli  alberi  che  impediscono la  vista  della  selva.  Dice  il  Leopardi  nella  Vita  solitaria:   Talor  m'assido  in  solitaria  parte  sovra  un  rialto,  al  margine  d'un  lago  di  taciturne  piante  incoronato.   E  un  De  Amicis  o  un  Pascoli  a  domandare; Piante?  ma  quali  piante?  di  quale  specie  e  sot-  tospecie e  famiglia  e  varietà?  Qui  c'è  l'indeter-  minato e  l'impreciso!    quasi  che  Leopardi  dovesse  essere,  in  quel  momento,  non  già  un'anima  assorta  nel  problema  del  dolore  e  del  fine  dell'universo, ma  un  dilettante  di  botanica;  come  prima,  nel  caso  degli  uccelli,  non  un  filosofo  pessimista, ma  un  cacciatore,  esperto  a  riconoscere  lo  voci  e  le  forme  degli  uccelli,  a  cui  mirerà  con  lo  schioppo!   La  critica  di  P.,  infine,  è  unilaterale  ed  esagerata.  Dove  egli  s'incontra  con  poeti  e  con  situazioni  poetiche  che  rispondono  al  suo  proprio  ideale  e  alla  sua  angusta  teoria,  li  sente  e  interpreta  bene,  e  vi  fa  intorno  osservazioni  assai  fini.  Ma,  trovandosi  più  spesso  innanzi  a  un'arte  diversa,  è  costretto  o  a  tacere  o  a  ridurla sofisticando  alla  sua  personale  visione.  Rare  sono  le  eccezioni,  dovute  allo  spontaneo  irrom-  pere di  un  più  compiuto  senso  dell'arte.  Ma  è  veramente  l'Eneide  quella  che  egli  ci  presenta  nel  giudizio  riferito  di  sopra?  E,  per  esempio,  il  passionale  episodio  di  Didone,  cosi  importante  e  significante,  come  si  concilia  con  la  veduta  georgica  dell'essenza  del  poema?  E,  veramente,  lo  stile  di  Omero  quello  che  P.  ci  ha  descritto, o  non  è  di  un  Omero  reso  da  lui  alquanto  puerile?  Anche  i  saggi  di  traduzione  che  il  Pa-  scoli ci  ha  dati  dei  poemi  omerici  destano  i  medesimi dubbi.  Non  istituirò  sottili  confronti  con  l'originale,  convinto  come  sono  che  la  poesia,  rigorosamente  parlando,  non  si  traduce;  o,  come  è  stato  detto  di  recente  e  assai  bene  da  un  critico  d'arte  tedesco,  che  chi  traduce  con  la  pretesa  di  sostituire  l'originale,  fa  come  uno  che  volesse  dare  a  un  innamorato  un'altra  donna  in  cambio  di  quella  che  egli  ama:  una  donna  equivalente  o,  su  per  giù,  simile;  ma  l'innamorato  è  inna-  morato proprio  di  quella  e  non  degli  equivalenti. Né  contesterò  l'utilità  grande  che  avrà  per  la  cultura  italiana  il  possedere  un  Omero  messo  in  italiano  da  un  profondo  grecista  e  da  un  espertissimo  letterato,  quale  P.:  anzi  affretto  coi  miei  voti  il  compimento  del-  l'opera. Ma,  considerando  quelle  traduzioni  per  sé,  come  opere  d'arte  che  stiano  da  sé,  a  me  pare  che  tra  l'Omero  alquanto  rimbambinito  di P.,  e  quello  un  po'  enfatico  e  accademico,  ma  pur  grandioso,  di  Vincenzo  Monti,  chi  legga  per  mere  ragioni  di  godimento  artistico  preferirà  sempre  il  secondo:   Elena  dunque  venire  vedevano  verso  la  torre,  e  l'uno  all'altro  parlava  parole  dall'ale  d'uccelli  :  Torto  non  è  che  Troiani  ed  Achei  dalle  belle  gambiere  da    gran  tempo  per  tale  una  donna  sopportino  il  male. Monti  ha  soppresso  le  ali  di  uccello  e  le  belle  gambiere,  sentendo  che  il  loro  valore  si  falsifica  nella  letterale  versione  italiana;  ha  aggiunto  qualche  suo  tocco:  ne  è  uscito  un  quadro  o  una  statua  alla  David  o  alla  Canova,  ma,  a  ogni  modo,  una  pagina  d'arte:   Come  vider  venire  alla  lor  volta   la  bellissima  donna,  i  vecchion  gravi   alla  torre  seduti,  con  sommessa   voce  tra  lor  venian  dicendo  :    In  vero   biasmar    i  Teucri    gli  Achei  si  denno   se  per  costei  si  diuturne  e  gravi   sopportano  fatiche...   Il  fanciullesco  non  c'è  più;  ma  c'era  veramente  in  Omero?  L'omerico  neanche  c'è  più;  ma  si  poteva  rendere?  e  l'ha  reso  poi  il  Pascoli?    Parla  Achille  ad  Ettore  caduto:   Ettore,  tu  lo  credevi  spogliando  il  mio  Patroclo  morto,  d'esser  salvo,  e  di  me  ch'ero  lungi,  pensier  non  ti  davi  bimbo!  ma  in  parte  da  lui  c'era  un  molto  più  forte  com-  pagno  presso  le  navi  cavate,  c'ero  io  dietro  ad  esso  rimasto,  che  i  tuoi  ginocchi  snodai!  I  cani  e  gli  uccelli  da  preda  strascicheranno  ora  te;  lui  seppelliranno  gli  Achei!  Anche  qui  mi  pare  che  sia  più  facile  gustare  il  Monti,  che  traduce  nello  stile  neoclassico,  non  senza  qualche  svolazzo  accademico:   Ettore,  il  giorno  che  spogliasti  il  morto  Patroclo,  in  salvo  ti  credesti,  e  nullo  terror  ti  prese  del  lontano  Achille.  Stolto!  restava  sulle  navi  al  mio  trafitto  amico  un  vindice,  di  molto  più  gagliardo  di  lui:  io  vi  restava,  io,  che  qui  ti  distesi.  Or  cani  e  corvi  te  strazieranno  turpemente,  e  quegli  avrà  pomposa  dagli  Achei  la  tomba.   Comunque,  la  critica  del  Pascoli,  quando  non  può  interpretare  in  modo  rispondente  al  suo  ideale  di  vita  le  opere  poetiche,  divaga,  come  può  vedersi  nei  citati  discorsi  introduttivi  alle  raccolte  dell'Epos  e  della  Lyra,  i  quali  sono  i  suoi  migliori  lavori  critici:  serie  di  note  sugli  aedi  dell'Eliade,  sulla  condizione  dei  poeti  nella  primitiva  società  romana,  sulle  leggende  di  Roma  confrontate  con  quelle  dell'epos  ellenico,  su  Enea  e  Odisseo,  su  questioni  biografiche  e  cronologi-  che, sulle  varie  redazioni  del  testo  dell'  Eneide,  e  simili,  che  non  stringono  dappresso  il  problema  critico.   Nella  sua  inesatta  idea  dell'arte  è  anche  l'origine di  quella  singolare  opera  critica,  che  sono  i  parecchi  volumi  da  lui  dedicati  dall'esegesi  dantesca.  Il  Pascoli  non  sembra  ancora  investito  dello  spirito  della  critica  moderna,  per  la  quale  il  pensiero  poetico  e  la  grandezza  di  Dante  non  sono  riposti  nelle  allegorie  e  nei  concetti  morali.  La  sua  Minerva  oscura  (prendo  questo  libro  come  esempio)  discute  ancora  con  gravità  e  come  di  problemi  di  alta  importanza,  se  il  sistema  delle  pene  e  dei  premi  sia  il  medesimo  nell'Inferno,  nel  Purgatorio  e  nel  Paradiso;  se  delle  tre  fiere  la  lonza  rappresenti  l'incontinenza,  il  leone  la  violenza,  la  lupa  la  frode;  se  il  messo  del  cielo  sia  Enea;  perchè  il  conte  Ugolino  stia  nell'An-  tenora  e  non  nella  Caina,  e  via  dicendo:  questioni  di  nessuno  o  di  assai  scarso  significato  non  solo  per  l'intelligenza  artistica  di  Dante,  ma  anche  per  la  conoscenza  della  vita  medievale  e  delle  intenzioni  e  dei  sentimenti  appartenenti  alla  bio-  grafìa di  Dante  :  inezie,  che,  di  giunta,  sono  per  lo  più  questioni  insolubili,  per  mancanza  di  dati  di  fatto  sufficienti;  onde  rendono  possibile  quel  raziocinare  all'infinito,  che  piace  ai  perditempo,  e  quell'acume  a  buon  mercato,  che  piace  ai  vanitosi.   Ed  ecco  il  Pascoli,  per  le  scoperte  del  genere  accennato,  «  raggiante  di  solitario  orgoglio  » .  «Aver  visto  nel  pensiero  di  Dante!...  (dice  nella  prefazione  alla  Minerva  oscura).  Io,  la  vera  sentenza, io  l'ho  veduta!  Si:  io  era  giunto  al  polo  del  mondo  dantesco,  di  quel  mondo  che  tutti  i  sapienti  indagano  come  opera  di  un  altro  Dio!  Io  aveva  scoperto,  in  certo  modo,  le  leggi  di  gravità di  quest'altra  Natura;  e  quest'altra  natura,  la  ragione  dell'universo  dantesco,  stava  per  svelarsi tutta!».  Sembra  anche  qui  Edmondo  de  Amicis,  quando,  dopo  aver  veduta  e  toccata  a  Granata  la  cassetta  delle  gioie  d'Isabella  di  Castiglia,  si  guardava  le  mani,  esclamando  come  incredulo  o  trasognato:  «Io  l'ho  toccata,  con  queste  mani!».  Ma  il  Pascoli  si  ricorda,  subito  dopo,  del  doveroso  sentimento  di  modestia:  scaccia via  con  piglio  risoluto  l'orgoglio,  benché,  nello  scacciarlo,  gli  accada  (disavventura  in  cui  incappano di  solito  i  modesti)  di  accentuarlo  più  fortemente: «Cancelliamo  quelle  superbe  parole!  Mi  perdoni  chiunque  ne  sia  rimasto  scandalizzato!  Oh,  se  la  gloria  è  ombra  di  vanità...  Via  dal  cuore  cosi  perverso  fermento!».  Il  che  non  impedisce che,  qualche  anno  dopo,  egli  non  sappia  tenersi  dal  contare  la  sua  scoperta  e  la  sua  gloria  ai  fanciulli  delle  scuole  d'Italia:  «  E  io  vi  dico,  o  fanciulli,  che  il  tempio  (la  Divina  Commedia)  è  ancora  in  piedi,  e  che  è  bello  dentro  e  fuori,  e  più  bello  nel  suo  complesso  che  nei  suoi  particolari che  sono  pur  bellissimi,  e  che  nel  tempio  e  si  gode  molto,  per  la  grande  bellezza,  e  s'impara molto  per  la  ingegnosa  verità;  e  che  vi  si  può  entrare,  perchè  la  chiave  si  è  trovata.  E  se  vi  soggiungessi  che  l'ho  trovata  io,  mi  direste  superbo?  Quanti  trovano,  figliuoli  miei,  una  chiave,  in  questo  mondo,  e  non  sono  detti  superbi  se  dicon  d'averla  trovata  e  la  riportano!  E  poi,  sapete  dove  l'ho  trovata?  Nella  serratura.  Era  nella  toppa,  la  chiave  del  gran  tempio!  Era  lì,  e  bastava  appressarsi  un  poco  per  vederla  e  gi-  rarla ed  entrare!  Ma  nessuno  s'era,  a  quanto  pare,  appressato  assai  »  (Fior  da  flore,  prefaz.).  E,  an-  cora qualche  tempo  dopo,  con  rapida  mutazione  di  stile,  rivolgendosi  ai  critici,  e  alludendo  ai  suoi volumi  danteschi,  scritti  e  da  scrivere:  «Essi  furono  derisi  e  depressi,  oltraggiati  e  calunniati  ;  ma  vivranno.  Io  morrò:  quelli  no.  Così  credo,  cosi  so:  la  mia  tomba  non  sarà  silenziosa.  Il  genio  di  nostra  gente,  Dante,  la  additerà  ai  suoi  figli  ».   In  questi  giubili,  in  questi  vanti,  in  queste  stizze,  in  questa  virtù  che  si  nasconde  ma  se  cupit  ante  videri,  abbiamo  innanzi,  veramente,  non  il  fanciullo  divino  e  poetico,  ma  il  fanciullo  realistico  e  prosaico.  E  neppure  nelle  poesie  del  Pascoli  c'è  solo  il  divino  infante.  Anche  colà,  come  nella  sua  dottrina  estetica  e  critica,  i  due  esseri,  così  all'apparenza  simili,  così  nel  profondo  diversi,  sono  abbracciati  e  stretti  in  un  amplesso  indissolubile.  Questo  amplesso  del  poeta  ut  puer  e  del  puer  ut  poeta  è  forse  il  simbolo  più  ade-  guato dell'arte  di  P. INTORNO  ALLA  CRITICA   DELLA  LETTERATURA  CONTEMPORANEA   E  ALLA  POESIA  DI P. Il  giudizio  di CROCE (si veda) su  P. suscita    e  me  le  aspettavo    vivaci  opposizioni  e  contro-  versie. E  a  proposito  di  esso  si  è  ripreso  a  discutere di  quel  che  sia  o  debba  essere  la  critica  letteraria,  e  dei  vantaggi  e  degli  inconvenienti  di  questo  e  di  quel  metodo,  e  del  metodo  in  genere. Ecco  dunque  buona  occasione  per  meglio  chiarire  le  idee  non  ancora  del  tutto  chiare  (sebbene molto  meno  confuse  di  quanto  fossero  alcuni  anni  addietro)  sull'ufficio  della  critica,  e  anche  per  aggiungere  qualche  cosa  circa  la  poesia  di P.   Quale  sia  il  metodo  di  critica,  che  si  professa  in  queste  pagine,  può  compendiarsi  in  poche  parole,  quasi  in  un  catechismo.  È  una  critica  fondata  sul  concetto  dell'arte  come  pura  fantasia  o  pura  espressione,  e  che  per  conseguenza  non  esclude  dalla  cerchia  dell'arte  nessun  contenuto o  stato  d'animo,  sempre  che  sia  concretato  in  un'espressione  perfetta.  Fuori  di  tale  concetto,  quella  critica  non  ha  alcun  altro  presupposto  teorico,  e  rifiuta  come  arbitrarie  le  cosiddette  regole  dei  generi  e  ogni  sorta  di  leggi  letterarie  e  artistiche.  Per  giudicare  d'arte  non  conosce  altra  via  che  quella  d'interrogare  direttamente  l'opera  stessa  e  risentirne  la  viva  impressione;  e  a  questo  fine,  e  solo  a  questo  fine,  crede  am-  messibili,  anzi  indispensabili,  le  ricerche  che  si  chiamano  storiche  o  filologiche,  le  quali  hanno  valore  ermeneutico  e  servono  a  trasportarci,  come  si  dice,  nelle  condizioni  di  spirito  dell'au-  tore nell'atto  che  formò  la  sua  sintesi  artistica.  Ottenuta  la  viva  impressione,  ossia  il  congiun-  gimento con  lo  spirito  dell'artista,  il  lavoro  ulteriore  non  può  esplicarsi  se  non  nel  determinare ciò  che  nell'oggetto  che  si  esamina  è  schietto  prodotto  di  arte,  e  ciò  che  vi  si  contiene  di  non  veramente  artistico,  come  sarebbero,  per  esempio,  le  violenze  che  l'autore  fa  alla  sua  visione  per  intenti  sovrapposti,  le  oscurità  e  i  vuoti  che  lascia  sussistere  per  ignavia,  le  gonfiature e  fiorettature  che  introduce  per  far  colpo,  i  segni  dei  pregiudizi  di  scuola,  e  tutta  insomma  la  varia  sequela  delle  deficienze  e  viziature  ar-  tistiche. Il  risultato  di  questo  lavoro  è  l'esposizione o  ragguaglio  critico,  che  dica  semplicemente (e,  nel  dir  ciò,  ha  insieme  giudicato)  wie  es  eigentlich  gewesen,  «  come  sono  andate  propriamente  le  cose  »,  secondo  la  definizione,  geniale  nella  sua  semplicità,  che  Ranke da  della  storia.  Perciò  critica  d'arte  e  storia  d'arte,  a  mio  vedere,  s'identificano:  ogni  tenta-  tivo di  critica  d'arte  è  tentativo  di  scrivere  una  pagina  di  storia  dell'arte  (intendendo  la  parola  storia  nel  suo .  senso  alto  e  compiuto,  cioè  nel  suo  senso  vero).  La  critica  distingue  e  caratterizza  le  forme  prese  dallo  spirito  artistico  nel  corso  della  realtà,  che  è  svolgimento  e  storia.  Mi  ha  recato  dunque  meraviglia  leggere  su  pei  giornali  che  questo  metodo  vuol  «  misurare  la  fantasia  e  l'estro  di  un  poeta  col  metro  di  preconcetti  pedanteschi  » ,  o  che  esso  applica  all'arte  «  i  criteri  logici  che  sono  propri  della  critica  della  scienza,  o  che  si  fonda  sui  caratteri estrinseci  dell'opera  d'arte;    quando  vero  è  proprio  l'opposto,  cioè  che  esso  è  sorto  per  discacciare  preconcetti  pedanteschi  e  abitudini di  confusione  tra  arte  e  scienza,  e  per  ricondurre  lo  sguardo  dall'estrinseco  all'intrinseco. E  non  so  che  cosa  si  voglia  dire  con  l'accusare quel  metodo  come  «sistematico»,  giacché,  per  quel  ch'io  so,  la  mente  umana  è  sistema,  vale  a  dire  ordine;  e  si  potrà  censurare  come  imperfetto  un  particolare  sistema,  ma  non  perciò  sopprimere  mai  l'esigenza  sistematica,  la  quale  conviene  a  ogni  modo  appagare.  Non  potrei  neppure ammettere  che  il  metodo  da  me  professato  sia  bensi  buono,  ma  che  «  accanto  ad  esso  ve  ne  siano  altri  egualmente  buoni  per  giudicare  dell'arte,  perchè  non  intendo  come  una  funzione dello  spirito  umano  possa  avere  altro  metodo  che  non  sia  quell'unico,  che  le  è  proprio;  e  resto  stupito  quando  poi  leggo,  che  «  di  un  metodo  in  critica  non  si  dovrebbe  neppur  parlare», perchè  rispetto  troppo  il  mestiere  che  qui  faccio  per  considerarlo  come  cosa  capricciosa  e  priva  di  metodo,  cioè  di  giustificazione  e  di  valore.   Ma  confesso  che  la  meraviglia  maggiore  è  nata  in  me  dal  timore  manifestato  da  Gargano:  che  questo  metodo,  risolvendosi  in  un  formolario,  metterà  «  d'ora  innanzi  alla  portata di  tutti  l'esame  di  ogni  produzione  letteraria,  di  coloro  specialmente  che,  sforniti  della  dote  essenziale  del  critico,  cioè  del  gusto,  crederanno  in  buona  fede  di  poter  giudicare  applicando  severamente i  principi  della  logica.  Lasciando  stare  l'ovvia  risposta  già  da  altri  anticipata  a Gargano  (che  di  qualsiasi  metodo  si  può  abusare  dagli  incapaci),  io  osservo  che  la  vecchia  critica,  fondata  sulle  regole  e  i  modelli,  quella,  sì,  era  facilissima  e  alla  portata  di  tutti;  perchè  non  ci  voleva  molto  a  sentenziare:  la  tale  opera  non  risponde  alle  regole  della  tragedia,  e  perciò  merita  condanna»;  ovvero:  «  il  tale  personaggio  si  conduce  in  questa  situazione  precisamente  come  il  pius  Aeneas,  e  perciò  merita  lode  di  decoroso  eroe  da  epopea».  Ma  la  critica  moderna, richiedendo  insieme  idee  filosofiche  sul-  l'arte, cultura  storica,  sensibilità  estetica,  acume  di  analisi  e  forza  di  sintesi,  è  difficile.  Tanto  diffìcile  che  io  non  l'ho  vista  mai  attuata  se  non  [Nel  Marzocco  di  Firenze.] a  tratti  e  lampi;  e  non  conosco  se  non  un  sol  critico  (l'ho  detto  già  molte  volte),  che  l'abbia  degnamente  esercitata  sopra  un'intera  letteratura: il  De  Sanctis.  Per  quel  che  concerne  me  che,  in  mancanza  di  altri  volenterosi,  mi  sono  provato  ad  adoprarla  per  la  contemporanea  letteratura italiana,  io  sono  di  continuo  travagliato  dal  dubbio  (igienico  dubbio)  della  mia  inade-  guatezza all'alto  ufficio. Faccio  del  mio  meglio,  m'invigilo,  procuro  di  correggermi;  ma  non  ho  mai  la  sensazione  di  correre  un  campo  libero  di  ostacoli,  o  di  scivolare  come  in  islitta  sul  ghiaccio.  Se  altri  prova  questo  godimento,  beato  lui!   Ma  come  mai  l'enunciato  metodo  critico,  che  è  il  più  liberale  che  sia  stato  mai  concepito,  il  più  rispettoso  verso  tutte  le  infinite  individuazioni artistiche,  il  solo  che  non  prenda  il  passo  sull'arte,  viene  ad  assumere  agli  occhi  di  molti  aspetto  minaccioso  di  forza  e  di  prepotenza,  tanto  da  spingerli  alle  proteste  e  alle  accuse  malamente  formolate  con  le  parole  di  sistematismo,  logicismo,  preconcettismo  pedantesco, e  simili?  Chi  non  ignora  che  le  medesime accuse  sono  state  date  ai  metodi  dei  più  vigorosi  filosofi,  e  le  lodi  contrarie  largite  in  copia  ai  filosofi  molli  e  contradittorl  e  inconcludenti,  chi  rammenta  di  quanto  odio  siano  stati  proseguiti Spinoza  o  Hegel,  e  di  quante  simpatie  Mill  o  Spencer,  non  dura  grande  fatica  a  spiegarsi  il  caso.  La  ragione  delle  accuse,  non  potendo  essere  fondata  nella  qualità  di  quel  metodo,  deve  cercarsi  nelle  disposizioni  degli  animi  e  degl'intelletti  degli  accusatori:  in  quelle  tendenze  che  io  soglio  riassumere  con  la  parola  pigrizia.  È  l'umana  pigrizia  che  fa  preferire  un  metodo  più  comodo,  o  almeno  rivendica  il  diritto  di  un  metodo  più  comodo  e  benigno  accanto  all'altro  troppo  severo;  la  pigrizia,  che  rifiuta  il  peso  e  scansa  la  responsabilità  del  concludere,  e  tenta  di  eludere  il  problema,  girandolando  intorno  all'arte,  cogliendone  solo  qualche  lato,  divagando  leggiadramente  o  sviandosi  in  questioni  estranee.  L'orrore  di  molti  cosiddetti  «  eruditi  »  per  la  cosiddetta  «critica  estetica»  è  l'istintiva  paura  per  un  esercizio  troppo  aspro  e  periglioso.  Met-  tere insieme  la  cronaca  dei  pettegolezzi  di  Recanati è,  si  sa,  molto  più  facile  che  non  analizzare il  Canto  del  pastore  errante.   La  pigrizia  per  altro  è,  nella  critica  della  letteratura  contemporanea,  rafforzata  da  motivi  particolari.  Quella  critica,  a  dir  vero,  considerata intrinsecamente,  non  ha  problema  diverso  da  ogni  altra  forma  di  critica,  che  concerna  le  letterature  più  da  noi  remote  nel  tempo;  e  anch'essa, come  si  è  detto,  consiste  nel  tentativo  di  scrivere  una  pagina  di  storia  letteraria.  E  se  vi  s'incontrano  condizioni  sfavorevoli,  che  non  si  trovano  nella  letteratura  più  remota,  presenta  altresì  alcune  condizioni  favorevoli,  che  mancano  nell'altro  caso:  se  nella  letteratura  contemporanea è  assai  malagevole  cogliere  il  carattere  e  il  valore  di  certi  processi  che  sono  ancora  in  fieri  o  si  sono  appena  conclusi,  laddove  per  l'antica  si  hanno   innanzi  serie   di   svolgimenti compiuti  e  nitidamente  assegnabili,  d'altro  canto  per  la  letteratura  contemporanea  si  ha  una  agevolezza d'interpretazione  e  comprensione,  che  nella  più  antica  si  ottiene  di  solito  con  grandi  stenti  e  solo  in  parte.  Vantaggi  e  svantaggi,  in-  somma, su  per  giù  si  compensano,  e  gli  uni  e  gli  altri  sono  poi  affatto  contingenti.  Ma  la  cosa  non  sta  allo  stesso  modo  circa  le  condizioni  soggettive,  o  meglio  i  sentimenti  e  le  passioni  individuali;  le  quali,  a  dir  vero,  nella  letteratura contemporanea,  operano  assai  di  frequente  una  vera  pressione  psicologica  per  impedire  la  posizione  esatta  e  la  soluzione  giusta  del  problema  critico.   Vi  hanno,  per  esempio,  tra  gli  autori  di  versi  e  prose  letterarie,  personaggi  o  ragguardevoli  per  situazione  sociale  o  rispettabili  per  altre  forme  della  loro  attività  o  attraenti  e  cari  per  la  loro  bontà  e  amabilità,  la  cui  opera  artistica  non  risponde  in  modo  degno  alle  altre  loro  forze  e  virtù.  Il  che  più  o  meno  tutti  avvertono,  ma  tutti  o  quasi  tutti,  come  per  tacito  accordo,  si  propongono  di  non  dire.  A  questo  intento  si  ricorre  a  una  sorta  di  critica  diplomazia,  la  quale  o  si  perde  in  vani  suoni  o  gira  il  problema  o  somiglia  al  linguaggio  di  Alete,  pieno  di  strani  modi,  «  che  sono  accuse  e  paion  lodi  ».  Si  lasci  balenare  il  più  lieve  accenno  di  critica  seria  innanzi  a  codesto  tessuto  di  frasi  abili  e  sfuggenti, e  ne  nascerà  uno  scompiglio,  come  io  stesso  ho  potuto  sperimentare  in  più  occasioni  pei  miei  giudizi.  Per  esempio,  ho  mostrato  che  nei  volumi di  un  egregio  uomo,  scrittore  di  versi,  vi  ha  cultura,  elevatezza  di  pensieri  e  d'intendimenti,  pratica  dello  scrivere,  ma  difetta  quasi  del  tutto  la  sostanza  poetica,  l'intimo  ritmo  e  il  canto.  Ed  ecco  una  schiera  di  amici  a  scandalizzarsi  e  a  darmi  sulla  voce.  «  Quello  scrittore  è  una  nobile  personalità».  D'accordo;  ma  non  è  poeta.  «  Quello  scrittore  sta  solo  in  parte,  intatto  dal-  l'applauso volgare  » .  Ciò  vorrà  dire  che  è  uomo  dignitoso,  ma  non  che  sia  poeta.  «  Quello  scrittore ha  un  aspetto  tra  di  monaco  e  di  guerriero,  e  avrebbe  potuto,  se  fosse  vissuto  nel  secolo  de-  cimosesto, comandare  una  galea  in  battaglia  contro  i  turchi  ».  Sarà,  quantunque  sia  difficile  provarlo;  ma  non  è  poeta.  «  Quella  sua  poesia  attinge  il  più  alto  segno  della  poesia  degli  acca-  demici e  professori  » .  Il  che  vorrà  dire  che  gli  accademici  e  i  professori,  in  quanto  tali,  debbono  astenersi  dalla  poesia;  ma  non  già  che  quegli  sia  poeta.  «  Se  verrà  tempo  che  non  si  guarderà  più  a  un  libro  di  poesia  da  un  punto  di  vista  estetico  secondo  la  moda  corrente,  il  suo  libro  sarà  studiato  come  un  interessantissimo  documento psicologico».  E  ciò  conferma,  per  l'appunto,  che  non  è  poesia,  ma  semplice  documento  biografico.  — Sono  giudizi  codesti  che,  per  quanto  strani,  potrei  tutti  documentare,  coi  nomi  degli  autori  e  con  le  altre  relative  citazioni;  ma  prego  i  lettori  di  dispensarmene  per  non  allontanarci  troppo  dalla  questione  che  sola  ora  c'interessa.  Sembra,  in  verità,  che  il  problema  che  i  più  cercano  di  risolvere,  sia  di  trovare  il  modo  di non  fare  critica,  pur  dandosi  l'aria  di  farne.  .  Innanzi  a  siffatto  proposito,  tenace  quantunque  spesso  inconsapevole,  di  nascondere  la  verità  come  a  un  malato  si  nasconde  la  gravità  della  sua  malattia,  il  critico  ingenuo,  che  ripeta  il  vecchio  e  arrogante  Hic  Rodhus,  hic  salta,  il  critico  che  cerchi  determinare  chiaramente  se  una  data  opera  è  o  non  è  poesia,  il  critico  che,  insomma,  voglia  adempiere  il  dover  suo,  desta  fastidio  e  impazienza  come  personaggio  importuno,  e,  non  sapendosi  come  combattere  i  suoi  giudizi,  si  rifiuta  addirittura  il  suo  «  metodo»: quel  metodo  che  procede  o  si  accinge  a  procedere  in  guisa  tanto  indiscreta.  Guai  a  chi  si  prova  ad  accendere  una  luce  sfolgorante  dove  si  desidera  l'ombra  o  la  penombra.   Ma  il  contrasto  del  metodo  da  me  professato  con  quello  che  è  consueto  nelle  trattazioni  della  letteratura  contemporanea,  e  la  parvenza  di  ri-  gidità e  violenza  che  il  primo  assume,  possono  avere  origine  anche  da  altre  cagioni.  La  più  parte  degli  scritti  sulla  letteratura  contemporanea  sono  meramente  occasionali;  concernono  questa o  quel-  l'opera di  uno  scrittore,  non  il  complesso  della  sua  attività;  e  provengono  da  persone,  che  di  solito  propugnano  o  avversano  l' indirizzo  di  quello  scrittore  o  di  quella  scuola.  Non  dico  che  per  ciò  siano  privi  di  buona  fede  e  di  qualsiasi  verità;  e  anzi  concedo  che  offrano  sovente  osser-  vazioni delicate  o  sottili  e  giudizi  giusti.  Ma  sono  di  necessità  unilaterali,  come  unilaterale  sarei  io  stesso  se,  per  esempio,  amico  ed   estimatore del  Pascoli,  seguendo  il  mio  desiderio  o  l'altrui  in-  vito, scrivessi  l'annunzio  di  un  nuovo  volume  di  questo  poeta  :  unilaterale  e  non  bugiardo  o  falso,  perchè  mi  basterebbe  spigolare  nel  volume  mo-  tivi e  strofe  e  versi  di  molta  bellezza  (dei  quali  nel  Pascoli  è  sempre  abbondanza),  per  conciliare  in  qualche  modo  i  miei  sentimenti  personali  con  la  verità:  tacendo  sul  resto,  ossia  schivando  il  vero  ed  intero  problema  critico.  Messa  a  para-  gone di  quegli  scritti  occasionali  e  polemici,  la  parola  di  chi,  come  me,  è  costretto,  per  la  qua-  lità stessa  del  suo  assunto,  a  esaminare  tutta  l'opera  di  uno  scrittore  (la  peggiore  e  la  migliore,  il  periodo  di  genialità  e  quello  di  artifizio  o  decadenza), e  a  determinarne  tutti  gli  aspetti  per  darne  giudizio  compiuto,  sembra  ora  troppo  severa, ora  troppo  indulgente.  I  lettori  equanimi  e  bene  informati  se  ne  sentiranno  soddisfatti  ;  ma  gli  autori  di  quelle  recensioni  e  annunzi  (e  chi  non  è  autore  di  qualche  recensione  o  annunzio?),  no.  Per  ciascuno  di  essi,  a  volta  a  volta,  il  critico  è  stato  ingiusto:  una  metà  di  essi  invoca  il  panegirista,  l'altra  metà  il  carnefice. Così,  pei  dannunziani,  io  che  ho  definito  D'Annunzio  un  «dilettante  di  sensazioni»,  sono,  a  stento,  il  «  migliore  tra  i  critici  volgari  di  D'Annunzio,  incapace  di  penetrare  nel  profondo idealismo  della  sua  arte;  ma  dagli  antidannunziani, avendo  io,  com'era  mio  dovere,  riconosciuto  le  bellissime  cose  che  D'Annunzio  ha  prodotto  nella  sua  ristretta  cerchia  d'ispirazione, mi  odo  invece  proclamare  un  bollente    SI   dannunziano»,  il  più  «gran  dannunziano  sotto  la  cappa  del  sole  ».  Ho  parlato  con  sincera  simpatia dei  versi  di  Severino  Ferrari;  ma  ciò  non  basta  a  chi  è  stato  amico  del  Ferrari  e  della  sua  poesia  si  è  fatto  una  predilezione  o  un  sacro  ricordo;  ed  ecco  che  di  quelle  mie  pagine  lau-  dative, ma  non  ditirambiche,  non  si  sa  dare  pace  qualche  cuore  tenero,  che  sul  Ferrari  ha  stam-  pato opuscoli  col  titolo:  Il  rosignolo  di  Alberino,  e  vede  con  isdegno  che  io  considero  il  valente  Severino  come  un  uomo  e  non  come  un  augello.  E  via  discorrendo,  perchè  gli  esempi  si  potreb-  bero accrescere.  Che  cosa  fare?  Io  non  me  ne  dolgo,  perchè  non  mi  dolgo  dell'inevitabile;  e  poi  ci  ho  fatto  la  pelle;  e  poi  ancora  ho  qualche  compenso,  non  solo  nella  mia  coscienza    coscienza »  è  parola  rettorica,  e  non  bisogna  pro-  nunziarla!), ma  anche  nelle  inaspettate  e  dolcissime manifestazioni  che  ho  ricevute  da  parte  di  alcuni  degli  autori  da  me  liberamente  criticati,  i  quali  mi  hanno  ricambiato  col  farmi  l'amichevole confidenza  delle  loro  lotte  e  dei  loro  dubbi  e  dei  loro  scontenti,  quasi  ad  illustrazione  e  conferma  di  quanto  io  aveva  spregiudicatamente  osservato.   Ancora  un'altra  cagione  che  fa  apparire  rigido ed  eccessivo  il  metodo  da  me  adoperato,  sta  nel  fatto  che  la  prolungata  consuetudine  con  la  letteratura  del  giorno  tende  ad  alterare  il  senso  della  grande  arte  e  a  deprimere  lo  standard of  faste,  il  livello  della  vita  estetica.  Di  questo  pericolo  io  sono  consapevole,  e  per  mia   parte  cerco  premunirmene,  rileggendo  di  tanto  in  tanto  i  classici  e  giovandomi  di  tale  lettura  come  di  un  esercizio  spirituale  (di  una  praepa-  ratio  ad  missam)  pel  mio  ufficio  di  critico.  Nondimeno, penso  che  i  miei  saggi  critici  sulla  letteratura contemporanea  siano  alquanto  indulgenti,  e  che  tali  saranno  giudicati  da  chi  li  rileggerà  fra  un  mezzo  secolo.  Ma,  se  io  forse  non  sono  abbastanza  esigente,  oso  dire  che  i  più  dei  miei  colleghi  in  critica,  sempre  tuffati  nella  letteratura  del  giorno,  hanno  addirittura  fatto  l'abito  a  con-  tentarsi di  poco.  Odo  frequenti  parole  sulla  «  divina bellezza  »  della  forma  del  Pascoli.  Chi  dice  questo,  quanto  tempo  è  che  non  rilegge  un'ottava  di  messer  Ludovico?  Il  D'Annunzio  ha  osato  ricordare  V Aiace  sofocleo,  a  proposito  del  suo  ultimo  dramma.  Ma  ha  egli  avuto  ben  presente  la  tragedia  di  Sofocle?  Quanto  a  me,  avendola  ripresa  tra  mano  dopo  aver  letto  la  prefazione  al  Più  che  l'amore,  giunto  appena  alle  parole  di  Odisseo:  èTCotxteipw    viv,  ecc.,  balzai  dalla  sedia  e  mi  sorpresi  a  gridare  dantescamente  al  D'Annunzio. Fa',  fa'  che  le  ginocchia  cali!...  ».  E,  come  il  senso  della  classicità,  nella  consuetudine con  la  letteratura  contemporanea  si  smar  risce  sovente  quello  della  storia,  ossia  della  lentezza e  faticosità  dello  svolgimento  e  della  rarità  del  prodotto  veramente  geniale:   Tu  che  '1  diamante  pur  generi,  lenta,  in  tua  mole,  tu  sai  su  l'eterno  quadrante  quante  ore  di  secoli,  e  quante  vigilie  e  che  doglia  si  vuole,   o  laboriosa  gestante,   per  dare  un  cervello  di  Dante,   o  un  cuore  di  Shelley,  al  tuo  sole!   La  letteratura  italiana  (che  è  una  grande  letteratura) in  sei  secoli  non  offre  dieci  o  quindici  veri  poeti;  e  si  sarebbe  preteso  che  io  ne  ritrovassi una  cinquantina,  se  non  addirittura  un  centinaio,  nel  periodo  di  un  quarantennio  o  di  un  cinquantennio,  che  è  quello  che  sono  andato  investigando.  Quale  meraviglia  se,  per  la  maggior parte  degli  scrittori  che  hanno  avuto  voga  e  riputazione,  il  mio  giudizio  è  o  negativo  o  circondato  da  molte  restrizioni?  Ripeto:  anche  per  tale  rispetto  credo  di  essere  piuttosto  indul  gente  che  severo;  e  sono  indulgente  perchè  comprendo le  angosce  dell'arte,  e  tengo  conto  anche  delle  approssimazioni  al  segno  non  raggiunto,  e  persino  ho  qualche  simpatia  per  le  disfatte  non  inglorioso.  Chi  nei  secoli  venturi  riscriverà  la  storia  letteraria  dello  stesso  periodo  trattato  da  me,  avrà  (oh,  non  dubitate!)  la  mano  assai  più  ruvida  e  pesante  della  mia.   Per  queste  e  per  altre  cagioni  simili  a  queste,  che,  non  volendo  andare  per  le  lunghe,  lascio  di  enumerare  e  illustrare,  il  metodo  critico  da  me  professato  sembra,  e  non  è,  violento.  Ma  per  un'altra  cagione  sembra  poi  talora  sbagliato:  per  l'incompiuta  preparazione  mentale  della  maggior  parte  dei  critici  che  trattano  di  letteratura  del  giorno.  I  quali  sono  di  solito  (avverto  che  non  faccio  allusioni  e  non  penso  a  nessuno  in  particolare)  o  persone^  che  hanno  tentato  infelicemente l'arte  e  hanno  poi  smesso  (peggio  se  continuano a  farne,  perchè  in  tal  caso  sono  tratte  a  preparare  a    medesime  l'ambiente  della  compiacenza); o  uomini  di  gusto  che,  leggendo  poesie  per  proprio  diletto  e  acquistando  cosi  esperienza  e  pratica  dell'arte,  via  via  passano  dal  discorrerne oralmente  allo  scriverne  sui  giornali,  e  diventano  per  tal  modo,  senz'averci  mai  pensato,  critici  di  professione.  Ma  a  costoro,  pur  tra  molte  belle  qualità  particolari,  manca  quello  studio  e  quella  annosa  meditazione  sui  problemi  dell'arte  e  della  critica,  e  quelle  cognizioni  di  storia  della  critica  d'arte,  che  spesso  si  provano  indispensabili; e  ciò  li  mena  a  confondersi  innanzi  a  certi  casi,  pei  quali  il  gusto  naturale  e  il  semplice  buon  senso  non  sono  bastevoli.  Talvolta,  essi  non  riescono  a  intendere  esattamente  nemmeno  i  termini,  che  adopera  il  critico  addottrinato  e  meglio  informato  dell'odissea  secolare  della  sua  disciplina.   Se  ne  desidera  qualche  esempio?  E  io  ne  darò,  restringendomi  a  quelli  che  mi  vengono  forniti  dalle  dispute  intorno  al  mio  saggio  sul  Pascoli.   Nel  quale  aveva  scritto  tra  l'altro,  di  passata,  che  «  il  pensiero  poetico  e  l'importanza  di  Dante  non  è  nelle  allegorie  e  nei  concetti  morali  ».  E  un  fervente  ammiratore  di  P. mi  redarguisce:  «Le  allegorie  e  i  concetti  morali  non  son  [Lettera  aperta  di Pietrobono  a  È.   C.  sulla  poesia  di  G.  P.,  nel  Giornale  d'Italia.] tutto  Dante,  lo  sappiamo:  ma  senza  quelle  e  questi  Dante  non  è  più  lui.  Chi  rinunzia  a  render-  sene ragione,  rinunzia  semplicemente  a  capirlo.  Ora  qual  critico  mai  s'è  sognato  d'insegnare  che  il  pensiero  dei  poeti  non  importa  conoscerlo?».  E  qui,  un  argomento  irresistibile  :    Se  si  tolgono le  allegorie,  l'arte  di  Dante  si  riduce  a  frammenti;  resta  una  ruina,  sebbene  una  nobile  ruina.    Ora,  come  spiegare  in  quattro  parole  al  mio  contradittore  che  il  pensiero  artistico  non  ha  che  fare  col  pensiero  allegorico  o  extrar-  tistico,  e  che  la  sintesi,  l'elemento  unificatore,  è  data  nell'arte  di  Dante  dalla  sua  possente  fantasia  e  non  già  dalle  sue  escogitazioni  di  moralista  e  di  teologo?  Questa  distinzione  di  pensiero  artistico (intuizione)  e  di  pensiero  extrartistico  è  una  delle  più  sudate  conquiste  della  scienza  este  tica.  E  come  spiegargli,  in  quattro  parole,  che  la  critica  è  stata  impotente  a  comprendere  la  grandezza  di  Dante  fintanto  che  ha  insistito  sulle  sue  allegorie  e  sulle  sue  intenzioni,  e  ha  fatto  un  gran  passo  solo  quando  (nel  periodo  romantico) ha  guardato  Dante  non  come  un  dotto  e  un  filosofo,  ma  come  un  poeta  dell'anima  pas-  sionale, quasi  uno  Shakespeare  in  anticipazione?  e  che  perciò  il  Pascoli,  che  crede  di  poter  assi-  dere  su  più  solide  basi  la  grandezza  di  Dante  scoprendo  la  sua  ìmdvota,  il  suo  pensiero  riposto,  è,  nella  storia  della  critica,  un  ritardatario,  anzi  un  fossile?   Un  altro  esempio  ci  è  fornito  dalla  questione  che  è  stata  mossa:  se  valga  la  pena,  nella  critica, di  far  tutte  le  fatiche  che  io  faccio  per   «  classificare »  e  mettere  nel  «  casellario  »   gli  scrittori, che  bisogna  invece  soltanto  gustare  e  far  gustare.  Dapprima,  a  questa   opposizione,  sono  cascato    dalle    nuvole.   Classificare?   casellario?  Ma  se  io  non  classifico  mai!  Ma  se  sono  il  più  radicale    avversario    delle   classificazioni   e   dei  casellari  (dei  generi,  delle  arti,  della  rettorica,  e  di  quanti  altri  se  ne  conoscono  di  questa  sorte),  che  sia  mai  comparso   nel  campo   estetico!   8e  mi  rifiuto  perfino  a  raccogliere  gli  scrittori,  di  cui  tratto,  in  gruppi  di  lirici,  drammaturgi,  romanzieri, e  via  dicendo  !   Ma,  poi,  ho  capito  :  i  miei  contradittori  avevano  confuso  Vintelligere  col  classificare,  la  comprensione  col  casellario,  tra  i  quali  due  procedimenti  c'è  un  abisso,  perchè  il  secondo  è  la  morte  della  critica  e  il  primo  il  suo  ufficio  proprio.  Anche  qui,  come  spiegare  in  poche  parole  una  differenza,  che  non  si  può  giu-  stificare se  non  risalendo  alle  teorie  fondamen-  tali della  logica?  Prendiamo  il   sonetto:    «  Solo  e  pensoso  i  più  deserti  campi  ».  Se  io  dico  che  è  una    «  lirica  » ,  l'ho  classificato   in   uno  degli  schemi  delle  vecchie  istituzioni  letterarie;  se  dico  che  è  un  «  sonetto  » ,  l'ho  classificato  secondo  la  metrica.  E  quella  lirica  o  sonetto  rimane  ancora  criticamente  intatto.  È   bello  o  brutto?  e  quale  stato  d'animo  esprime?  La  classificazione,  facendosi per  caratteri  esterni,  è  impotente  a  rispon-  dere a  queste  domande.  Ma  se  si  determina  la  si-  tuazione psicologica  del  Petrarca  (e  determinarla  non  si  può  se  non  ricorrendo  a  concetti,  giacché, per  sentirla  così  com'è,  non  c'è  da  far  altro  che  leggere  il  sonetto  stesso),  e  se  si  mostra  come  quella  situazione  si  è  svolta  nelle  varie  parti  del  sonetto,  e  come  tutto  bene  si  accordi  ad  essa  e  bene  l'esprima,  non  si  classifica,  ma  si  cerca  di  comprendere  il  sonetto,  cioè  di  farne  la  critica. Ora,  bene  o  male,  questo  e  non  altro  io  mi  sono  sforzato  di  fare  per  P.  e  per  gli  altri  scrittori,  che  sono  andato  esaminando.  Il  «  classificare »  non  c'entra;  e  la  confusione  tra  i  due  procedimenti  è  di  quelle  in  cui  possono  cascare  soltanto  le  menti  non  abbastanza  disciplinate.  A  talun  altro  il  modo  della  mia  critica,  in  fondo,  non  dispiace;  ma  gli  sembra  troppo  freddo  e  ragionatore  e  polemico,  e  preferirebbe,  per  esempio,  il  calore  e  l'eloquenza  di Mazzini. E  ciò  andrebbe  bene,  se  io  fossi  Mazzini; ma, essendo  Cecco come  sono  e  fui»,  non  posso  discorrere  se  non  nel  tono,  che  è  proprio al  mio  temperamento.  Così  il  Sanctis,  educatore  e  maestro  nell'anima,  non  poteva  scrivere di  critica  al  modo  del  Carducci,  poeta  nell'anima. Voglio  dire,  che  non  bisogna  confondere  il  metodo  della  critica,  che  dev'esser  uno,  coi  temperamento  dei  critici,  che  non  può  non  esser  vario;  e  non  bisogna  (codesto  ci  mancherebbe!) mettere  tra  i  requisiti  della  critica  un  particolare  temperamento.All'osservanza  del  metodo  tutti  sono  obbligati;  ma  nessuno è tenuto a sforzarsi a un tono a lui estraneo: che anzi ciò gli è assolutamente vietato sotto pena di  cadere  nell'artifizio,  nella  rettorica  e  nella  l'aisita. Amo  grandemente  Sanctis e  ne accolto  le  idee  fondamentali;  ma  mi  sarebbe  impossibile  imitare  il  suo stile, e mi guardo pur dal  tentarlo. Mi si prenda  dunque come sono, con la mia simpatia per gli schiarimenti e  le digressioni filosofiche, con la mia tendenza alla polemica e alla controcritica, col mio tono prosastico e talvolta sarcastico, col mio dilettarmi talvolta Bioneis sermonibus et sale nigro, perchè posso bensi correggere i miei errori quando me ne accorgo, ma non posso e non debbo mutare il mio essere.Così  anche  non  so  come  si  sia  potuto  far  questione  di  bontà  di  metodo  pel  fatto  che,  nell'esaminare  P.,  ho  esaminato  altresì  le  opinioni  dei  critici  intorno  a  lui:  dico  «  anche»,  perchè  non  è  vero  che  quello  sia  stato  il  mio  punto  di  partenza:  il  punto  di  partenza  (e  l'introduzione  stessa  del  mio  scritto  ciò  mostra  chiaro)  e  l'impressione  diretta,  prodottami  dalla  lettura  dei  versi  di  lui. Vi  ha  questioni  vessate  o  pregiudicate, perchè  già  molte  volte  tentate  e  trattate;  e  lo  scrittore  (che  si  riattacca  sempre  agli  scrittori  precedenti  e  con  essi  dialoga)  non  può  non  tenere  conto  di  quanto  altri  intelletti  hanno  osservato  e pensato intorno al suo argomento,non solo  per  trarne  aiuto,  ma  anche  per  conoscere  verso  quali  punti  deve  orientare  la  sua  esposizione  critica. E  basti  di  ciò.  Mi  sembra  di  aver  difeso  il  metodo  da  me  professato  contro  gli  appunti,  in  verità  non  gravi,  che  gli  sono  stati  mossi,  e  posso  concludere  con  tanto  maggiore  sicurezza   e  franchezza,  che  quel  metodo  è  buono,  in  quanto  esso  non  è  mia  privata  invenzione  e  possesso,  ma  è  il  risultamento  della  storia  della  critica.   So  bene  che  mi  si  osserverà:  Tu  hai  difeso  il  metodo,  ma,  nel  caso  del  giudizio  circa  il  Pascoli,  non  si  tratta  di  metodo,  sibbene  di  applicazione. «  Il  padre  Zappata  predicava  bene,  ma  razzolava  male  » ,  mi  proverbia  il  Gargano  in  un  secondo  suo  articolo  (*);  senonchè,  nel  primo,  aveva  invece  rifiutato,  mi  sembra,  il  metodo  e  non  l'applicazione,  o  questa  solamente  come  effetto  di  quello.  Dunque,  procediamo  per  divi-  sione. Di  metodo  non  si  parla  più?  Il  metodo  è  buono?  Si?  Questo  mi  premeva  soprattutto.  E  la  questione  è  terminata;  e  siamo  d'accordo.   E  possiamo  ora  passare  all'  «applicazione»,  ossia  al  caso  particolare  del  mio  giudizio  su P..   Dove  mi  si  para  innanzi  una  pregiudiziale,  perchè,  a  detta  di  taluno  dei  miei  contradittori,  a  me  sarebbe  accaduta  una  piccola  disgrazia,  per  la  quale  potrei  bensì  utilmente  discettare  in  teoria,  ma  non  potrei  accostarmi  ai  casi  parti-  colari. «  Il  Croce,  grazie  alla  prolungata  rifles-  sione e  al  ripensamento  della  filosofia  hegeliana,  non  si  trova  più  nello  stato  di  fresca  ver-  ginità, di  docilità  amorosa,  che  è  necessaria  per  seguire  i  poeti  nelle  loro  fantasie.. Vera-    ci) Nel  Marzocco. Sartini,   nella  rivista    Studium,   di   Milano.] mente,  una  siffatta  verginità,  che  consisterebbe  nel  non  meditare,  non  che  io  l'abbia  perduta,  non  l'ho  mai  posseduta;  e  sono  per  questo  rispetto  in  condizioni  gravi,  quasi  direi  nelle  medesime  condizioni  di  quella  Quartina  sacerdotessa, che  esclamava  appo  Petronio:  Junonem  meam  iratam  habeam,  si  unquam  me  memine-  rim  virginem  fuisse.  Ma  conosco  e  posseggo  un'altra  «verginità»,  che  si  rinnova  ogni  qual  volta  il  mio  animo  corre  a  dissetarsi  nella  poesia:  una  verginità,  che  potrà  somigliare  alquanto  a  quella  di  Marion  de  Lorme  (come  si  vede,  non  intendo  esaltarmi  mercè  i  personaggi  coi  quali  mi  paragono):   Ton  soufflé  a  relevè  mori  àme.  ....  Près  de  toi  rieri  de  moi  n'est  reste,  et  ton  amour  m'a  fait  une  virginité!   Ma,  naturalmente,  concedo  subito  che  io  possa  avere  sbagliato  nel  giudizio  sul  Pascoli;  anzi  questa  concessione  è  già  implicita  in  quel  che  ho  detto  di  sopra  circa  le  difficoltà  della  critica  d'arte.  E  non  solo  per  ciò  che  riguarda  il  Pascoli.  Ho  esaminato  finora,  nei  miei  saggi,  l'opera  complessiva  di  parecchie  decine  di  contempora-  nei scrittori  italiani;  e,  quantunque  abbia  adoperato ogni  diligenza,  se  pensassi  di  non  essermi  mai  distratto,  di  aver  semptre  reso  esatta  giustizia a  tutti  quegli  scrittori  e  a  tutte  le  singole  loro  opere,  sarei  un  fatuo.   E,  se  avessi  sbagliato  circa  P.,  certo  me  ne  dorrebbe,  e  ne  proverei  una  qualche  contrarietà  e   mortificazione  di   amor  proprio;  ma  stia  tranquillo  il  dottor  Rabizzani,  che  ha  pubblicato testé  un  bell'articolo  su  P.,  nel  quale,  tra  l'altro,  si    pensiero  della  possibilità  di  un  mio  «postumo  pentimento»,  e  mi  ricorda  sin  da  ora,  per  incoraggiarmi,  il  nobile  atto  di  contrizione  che  lo  Chateaubriand  recitò  pel  suo  giudizio,    nientemeno,    sullo   Shakespeare :  ho  fiducia  che  troverei  in  me  la  quantità  di  coraggio necessaria,  e  saprei  consolarmi,  pensando  che,  costretto  io  a  lacerare  cinquanta  delle  non  poche  mie  pagine  di  prosa,  l'Italia  avrebbe  assodato  io  cambio  la  gloria  di  un  suo  forte  e  perfetto  poeta.  Ma  ho  poi  sbagliato?  Temo  di  no,  a  giudicare  anzitutto  dai  modi  tenuti  nelle  loro  risposte  dai  miei  avversari.  Uno  dei  quali,  Gargano   (un  critico  con  cui  in  altre  questioni  letterarie  ho  avuto  il  piacere  di  andar  d'accordo),  in  un  primo  articolo,  in  luogo  di  difendere  il  Pascoli,  assalì  il   metodo   in  genere,  che,  come   si   è    visto,    è  affatto   incolpevole;  in   un   secondo    articoletto,  cercò   di   farmi   passare  per  uno  che  sfuggisse  alla  discussione  (laddove  il  vizio  del  quale,  se  mai,  debbo  correggermi,  è  l'opposto);  in  un  terzo,  finalmente,  cavò  fuori  uno  strano  pensiero  :  che  cioè    «  sembra  avere  io  ora  scelto  come  bersaglio dei  miei  colpi  i  poeti  più  celebri  dell'Italia  di  mezzo:  il  che  suona  un  appello,  vero  e  [Nella   Nuova  rassegna  di  Firenze. Nel  Marzocco.]  proprio,  alle  brutte  passioni  del  campanilismo.  E  mi  pare  perciò  che  l'affetto  pel  suo  poeta  gli  abbia,  questa  volta,  mosso  nell'animo  sentimenti  di  stizza  verso  chi  è  di  avviso  alquanto  diverso  dal  suo:  e  la  stizza  (ecco  un  adagio  ben  trito)  non  giova  alla  causa  che  si  difende.   Vediamo,  a  ogni  modo,  le  controcritiche  ;  le  quali  si  sono  aggirate  quasi  sempre  sui  particolari delle  analisi  che  io  ho  date  di  alcune  poesie  del  Pascoli  per  illustrare  il  mio  giudizio  generale  sull'opera  di  lui.   Nella  poesia  La  voce  ho  mostrato  come  quel  «Zvani»,  che  fa  da  ritornello,  rompa  brutta-  mente la  delicatezza  dell'ispirazione.  Il  prof.  Pie-  trobono  (*)    al  mio  giudizio  questo  significato:  che  io  non  ammetta  l'uso  del  dialetto  nella  poesia  e  nella  prosa  colta;  e  mi  ricorda  il  miscuglio  dialettale omerico,  con  erudizione  alquanto  remota,  quando  poteva  semplicemente  citare  ciò  che  io  stesso  ho  scritto  più  volte  (2)  per  difendere  il  dialetto  e  il  miscuglio  dei  dialetti.  Ma  no:  quel  «  Zvani  »  mi  spiace  come  mi  spiacciono  di  fre-  quente le  onomatopee  ornitologiche  di P.,  non  perchè  dialetto,  ma  perchè  mi  sembra  un  modo  alquanto  comodo  e  semplicistico  di  risolvere  il  problema  artistico,  offrendo  la  materialità  della  cosa  invece  del  suo  spirito.  Come  mai  P.,  che  freme  e  trema  alla  voce  della  morta,  [Si  veda  la  citata  Lettera  aperta  del  rev.  prof.  Pietrobono.  Si  veda,  tra  l'altrev   a  proposito  del  Di  Giacomo,  in  Letter.  d.  nuova  Italia,  in, II  alla  voce  di  sua  madre,  può,  nel  medesimo  istante,  mettersi  freddamente  a  contraffare  quella  voce  e  rimodulatia  dilettautescamente  dentro  di  sé?  Quella  voce  dovrebbe  sentirsi  dappertutto  nella  lirica,  e  non  lasciarsi  mai  fissare nella  sua  determinatezza  estrinseca  e  nel  suo  contorno  preciso.  È  un  «  infinito  >  di  ango-  scia e  di  nostalgia,  che  non  bisogna  rendere  finito  e  tascabile.  Il  mio  contradittore  afferma  che  «quel  Zvani...  ci  sta  d'incanto,  specie  se  si  pronunzia  a  dovere;  e  così  scopre  egli  stesso  la  sollecitudine  di  salvare,  per  virtù  di  pronunzia,  l'effetto  di  quel  ritornello.  Che  cosa  dirgli?  Io  mi  provai  a  pronunziarlo  in  tutte  le  più  varie  intonazioni;  me  lo  feci  perfino  leggere  da  un  amico,  valente  lettore  di  versi:  e  la  stonatura mi  parve  e  mi  pare  sempre  gravissima.  Forse,  se  lo  sentissi  pronunziare  da  lui,  sarei  vinto,  e  qualche  lacrima  mi  sgorgherebbe;  ma  anche  in  quel  caso  mi  resterebbe  il  dubbio  di  avere  reso  omaggio  non  alla  virtù  del  poeta,  ma  a  quella  del  bravo  declamatore,  che  sa  come  si  tappino  i  buchi  o  si  scivoli  sulle  asprezze  del-  l'espressione poetica.   Si  dica  lo  stesso  del:  «  Papà,  papà,  papà  »  dell'altra  poesia  Un  ricordo.  Qui  il  Gargano  anche  osserva  che  io  mi  son  «  fatto  lecito  di  associare  ad  una  delle  più  soavi  elegie  pasco-  liane  il  ricordo  di  una  canzonetta  napoletana  volgaruccia  anzi  che  no  » .  Mi  son  fatto  lecito?  Si  posseggono  non  so  quante  parodie  di  Omero  e  di  Dante,  anzi  quasi  non  c'è    verso   di  quei  grandi  che  non  sia  stato  parodiato  e  cui  non  sia  appiccato  un  ricordo  buffo;  eppure  non  mi  accade  mai  di  ricordarmene  quando  leggo  Omero  e  Dante.  Quella  reminiscenza  di  opera  buffa  mi  è  stata  suscitata,  e  comandata,  a  quel  punto,  dal  Pascoli stesso,  per  l'imperfezione,  pel  vano  sforzo,  in  quel  punto,  della  sua  arte.  Che  poi  (come  nota  il  precedente  contradittore)  «  Un  ricordo  e  la  Cavalla  storna  seguiteranno  a  commovere  i  let-  tori anche  quando  noi  saremo  fatti  vecchi,  ecc.  »,  sarà  e  non  sarà:  ma  sono  affermazioni  con  le  quali  il  dibattito  non  fa  un  passo  innanzi.   Per  dare  un  piccolo  e  curioso  e  quasi  scher-  zoso esempio  del  modo  in  cui  il  Pascoli  tende  a  strafare,  ho  notato  il  mutamento  del  titolo  dell'ottava  Neve  in  quello  di  Orfano.  Il  Gargano  risponde:  «  Quel  bimbo  non  è  soltanto  ora  diventato orfano;  lo  era  già  prima,  quando  lo  cullava  sempre  quella  vecchia,  che  neppure  allora  era  sua  madre».  Perchè?  La  situazione  della  poesia  è  nel  contrasto  tra  lo  squallore  nivale  della  realtà  e  il  bel  giardino  della  fantasia,  la  dura  vita  reale  che  quell'essere  umano  dovrà  una  volta  affrontare  e  l'illusione  in  cui  viene  cullato.  La  vecchia  può  essere  la  nonna  o  la  balia,  e  lasciar  presupporre  vivente  o  morta  la  madre.  Tutto  ciò  non  cangia  nulla  all'essenza  poetica  dell'ottava.  Il  nuovo  titolo  lagrimoso,  che  richiama  una  sventura  al-  quanto contingente  e  individuale  del  bambino,  mi  sembra  che  impicciolisca  e  non  rafforzi.   L'altro  contradittore  mi  fa  notare  che  io  ho  sbagliato  nel  parlare,  a  proposito  della  poesia  Il  sogno  della  vergine,  della  culla  come  di  una  culla  reale,  laddove  è  una  culla  metaforica.  E  ha  ragione,  e  lo  ringrazio  di  avermi  fatto  accorto  della  svista  in  cui  sono  incorso  nello  stendere  i  miei  appunti;  come  anche  di  avermi  avvertito  (altra  svista)  che  le  strofe  di  Un  ricordo  sono  composte  di  dieci  e  non  di  nove  versi.  Correggerò. Ma  ciò  non  tocca  il  punto  sostanziale  della  mia  critica,  che  sta  nel  notare  la  soverchia  accentuazione data  alla  figurazione  metaforica  o  no  che  sia  (e  peggio  ancora  se  metaforica)  della  culla:  «Si  dondola,  dondola,  dondola»  ecc.,  e  l'eccessiva  dilatazione  in  una  lunga  poesia  di  un  motivo  (i  figli  non  nati),  del  quale  un  gran  poeta  avrebbe  fatto  appena  un  incidente  e  un  tocco,  che  in  questa  sua  rapidità  sarebbe  rimasto  indi-  menticabile. —  Così  nella  poesia:  /  due  cugini,  io  credo  che  dopo  la  strofa:   Tu,  piccola  sposa,  crescesti:  man  mano  intrecciavi  i  capelli,  man  mano  allungavi  le  vesti,     l'altra  che  segue:   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora;  ed  i  petali  snelli  cadeano:  il  flore  già  lega;   sia  uno  stento  d'immagini,  che  ottenebra  e  non  potenzia  le  immagini  della  strofa  antecedente.  Il  mio  contradittore  vuole  che  il  Pascoli,  in  quella  seconda  strofa,  faccia  sorgere  accanto  alla  bam-  bina   «l'immagine  della   madre,   con   quel   suo  sentimento  di  grande  delicatezza,  ond'è  mossa  a  desiderare,  come  tutte  le  mamme,  che  la  figliuola  le  resti  sempre  piccina  »,  sentimento  che  «  fa  eco  e  si  sostituisce  al  desiderio  inespresso  e  ormai  inesprimibile  del  piccolo  morto».  Sarebbe  un  parallelismo  artifizioso  e  una  lambiccatura;  e,  a  ogni  modo,  si  veda  se  tutto  ciò  è  poi  detto  con  la  frase  oscurissima  :   Crescevi  sott'occhi  che  negano  ancora...   Il  metodo  ermeneutico  qui  adoperato  dal  mio  contradittore  mi  ricorda  quello  di  un  erudito  campano,  il  quale,  una  trentina  d'anni  fa,  inte-  stato che  Pier  della  Vigna  fosse  nato  a  Caiazzo,  avendo  trovato  colà  alcuni  frammenti  di  marmo  con  le  lettere  nus  M.,  aul,  reas  f.  r.,  coraggiosamente integrò:  «  Dominus  Magister  Petrus  de  Vinea  Magne  Imperialis  Aule  Protonotarius  Edes  Marmoreas  Fecit  Restituii  »  ;  e  pretendeva  aver  ragione  contro  il  Capasso,  che  non  gli  me-  nava buona  la  troppo  abbondante  integrazione.    Vuole  ancora  il  mio  contradittore  che  «  il  cadere  dei  petali  snelli,  della  fiorita  d'ali  che  la  rassomigliava  a  un  lucherino,  esprima  un  nuovo  dolore  per  il  morto,  che  vede  cadere  quello  che  in  lei  principalmente  amò  »  :  come  se  il  pasticcio  di  metafore,  onde  le  metaforiche  ali  diventano  petali  di  fiori,  accresca,  e  non  piuttosto  confonda,  le  belle  e  dirette  immagini  dell'intrecciare  man  mano  i  capelli  e  dell'allungare  man  mano  le  vesti.  Vuole,  inoltre,  che  «  la  pennellata  sobria e  pudica  del  '  fiore  che  lega  '  dica  come  la  fanciulla cominci  a  diventar  donna  e  annunzi  quel  c  nuovo  seno  '  che  il  bimbo  ignora  »  :  come  se,  sempre  dopo  la  prima  bellissima  strofetta,  ci  volesse  il  vieto  paragone  del  fiore  per  fare  inten-  dere il  formarsi  della  bambina  a  donna.    Ma  perchè  non  essere  schietti  e  non  confessare  la  semplice  e  prosaica  verità?  Al  Pascoli,  dopo  la  prima  strofetta  uscitagli  di  getto,  mancò  la  vena  ;  e,  non  sapendo  come  riempire  la  seconda,  che  pure  il  prefisso  schema  strofico  richiedeva,  continuò alla  peggio  nella  primitiva  redazione:   Crescevi,  come  erba  nel  prato.   I  petali  dai  ramoscelli   già  caddero,  e  il  fiore  ha  legato  (')•   Questa  strofetta,  assai  scialba  e  sciatta,  non  poteva  contentarlo;  e  procurò  di  rabberciare,  sostituendole  quella  che  abbiamo  or  ora  esaminata. Ma  il  lavoro  di  rappezzo  poetico  non  gli  riusci,  come  non  riesce  ora  il  rappezzo  critico  al  suo  difensore.   E  lascio  d'inseguire  altri  particolari,  e  mi  restringo  ad  osservare  che  il  mio  contradittore  ha  frainteso  il  mio  pensiero  circa  i  metri,  quando  ha  creduto  che  io  volessi  stabilire  che  un  soggetto  non  può  essere  trattato  se  non  in  una  determinata forma  metrica,  mettendo  in  rapporto  i  metri  in  astratto  e  i  soggetti  in  astratto.  Tutti  sanno    (!)  Con  questa  variante  la  lirica  1  due  cugini  fu  pubblicata  la  prima  volta  nel  Marzocco.]  c;he  io  ho  sostenuto  sempre  l'opposto,  e  ho  negato  ogni  valore  alla  dottrina  metrica  come  fondamento di  giudizio  estetico  (').  Io  ho  inteso  sempre  parlare  della  disarmonia  di  molte  poesie  del  Pascoli,  la  quale  dalla  disannonia  nel  metro  si  stende  a  quella  nelle  proporzioni  del  componimento e  nelle  accentuazioni  delle  immagini,  alle  materialità  inopportune,  e  via  dicendo;  e,  se  ho  parlato  di  queste  cose  come  distinte,  l'ho  fatto  per  semplice  espediente  espositivo  o  didascalico.  L'osservazione  enfatica  che  «  Dante  nella  terzina  ha  gittato  il  bronzo  di  Farinata,  l'odio  di  Ugo  lino,  la  timida  preghiera  della  Pia  e  il  volo  dell'aquila portata  da  Cesare  »,  può  fare  effetto  sui  profani,  ma  lascia  freddo  chi  come  me  ha  sempre  affermato  che  non  solo  ogni  terzina  è  diversa  da  ogni  altra  terzina,  ma  ogni  verso  da  ogni  verso,  anzi  ogni  parola  da  ogni  altra  parola,  anche  quelle  che  il  vocabolario  pone  come  iden-  tiche: l'«  amore»  di  Francesca,  nelle  terzine:  «Amor  che  a  cor  gentil»  ecc.,  (dice  benissimo  il  mio  amico  Vossler)  non  è  una  stessa  parola  tre  volte  ripetuta,  ma  sono  tre  parole  diverse.  Tanto  il  Gargano  quanto  il  Pietrobono  e  il  dottor  Rabizzani  si  meravigliano  che  io,  dopo  avere  approvato  come  belle  alcune  descrizioni  nei  poemetti  georgici  del  Pascoli,  resti  perplesso  sull'insieme  e  mi  domandi:  «Dov'è  il  mondo  interno   del  poetar».   «Ebbene,  in  questo  caso    (!)  Si  veda,  per  es.,  Problemi  di  estetica,  pp.  163-66.    (scrive,  e  più  efficacemente  degli  altri  due,  il  Rabizzani,  a  cui  do  la  parola)  il  mondo  interno  del  poeta  è  proprio  il  mondo  che  sta  fuori  di  lui  e  che  solo  per  opera  d'intuizione  vien  riprodotto. Dinanzi  alla  cosa  veduta  c'è  l'occhio  che  vede  e  modifica  inconsciamente  e  sceglie  scientemente eliminando  la  scoria  delle  impressioni  inutili  per  far  luogo  solo  a  quelle  che  possono  determinare  la  sua  visione.  Così  la  descrizione  è  obbiettiva  per  gli  elementi  che  la  costituiscono,  ma  subiettiva  per  il  modo  nel  quale  sono  costituiti. Ed  è  inutile  cercare  dietro  ad  esso  una  corrispondenza  morale  propria  del  poeta;  tanto  varrebbe  cercare  i  regni  celesti  oltre  la  zona  fisica  del  padiglione  costellato.  C'è  nella  nostra  coscienza  estetica  un  residuo  di  simbolismo  per  il  quale  la  natura  ha  diritto  di  vivere  nell'arte  solo  a  patto  che  un'allegoria  la  giustifichi  •» .  Per-  fettamente d'accordo  nel  principio  che  non  bisogni cercare  nelle  poesie  l'allegoria,  e  che,  se  un  residuo  di  allegorismo  resta  in  fondo  alla  coscienza  estetica,  occorra  liberarsene,  io  non  sono  poi  d'accordo  nel  credere  al  valore  delle  descrizioni oggettive  in  poesia.  Se  una  descrizione  non  è  soggettiva,  ossia  non  ha  afflato  lirico  (e  s'intenda pure  la  lirica  in  tutte  le  sue  gradazioni  fino  alla  ironia  e  allo  scherno),  non  ò  poesia.  E  poiché  questo  afflato  lirico  non  manca  in  molti  punti  dei  poemetti  georgici  del  Pascoli,  io  li  ho  ammirati; e  poiché  non  li  investe  tutti  (pel  solito  difetto  che  è  in  lui  di  perdersi  nei  particolari  e  nelle  sottigliezze),  ho  notato  in  quei  poemetti il  miscuglio  di  un  poeta  vero  con  un  verseggiatore e  descrittore  meramente  virtuoso.   Nel  giudizio  sui  Poemi  conviviali,  anche  il  Pietrobono  riconosce  esatta  la  caratteristica  da  me  data  dell'atteggiamento  spirituale  tutt'al-  tro  che  omerico,  anzi  sommamente  raffinato,  del  Pascoli;  e  solamente  crede  che  io  faccia  di  ciò  un  rimprovero  al  Pascoli,  il  che  non  mi  è  mai  passato  pel  capo.  Io  ho  insistito  invece  sul  modo  di  concezione  e  composizione  di  quei  poemi,  che  sembrano  mucchi  di  frammentini  delicati:  è  tutta  carne  molle,  e  manca  l'ossatura;  di  qui  la  scarsa  loro  efficacia.  Chi  ripensi,  per  esempio,  ai  Sepolcri del  Foscolo,  intenderà  ciò  di  cui  lamento  la  mancanza  nel  Pascoli.  E  quando  il  mio  contra-  dittore  si  duole  che    io    altri  abbia  osservato «  che  lungo  e  che  grande  amore  debba  esser  costato  al  Pascoli  la  ispirazione  di  quei  suoi  Poemi  conviviali,  in  cui  rinovera,  analizza  e  rivive  a  una  a  una  ordinatamente  le  età  di  Omero  e  di  Esiodo,  quella  dei  tragici  greci  nei  Poemi  di  Ate,  quella  dell'arte  plastica  in  Sileno,  i  pen-  samenti di  Platone  nei  poemi  di  Psiche,  e  ci  denuda  l'anima  dell'età  di  Alessandro,  di  Tiberio,  dei  popoli  di  Oriente  in  Gog  e  Magog,  e  finalmente canta  l'annunzio  dell'era  novella  cristiana,  nella  quale  tutte  le  altre  si  assommano  e  conluiscono a  produrre  la  civiltà  moderna  »,    sono  costretto  a  rispondere  ancora  una  volta,  che  egli  dimentica  un  principio  di  critica,  pel  quale  la  ricchezza  di  erudizione,  l'ordine  storico  sapiente,  la  giustezza  del  colore  storico,  e  via  dicendo, sono  cose  tutte  estranee  all'arte  ;  tanto  vero,  che  si  trovano  anche  in  poeti  mediocri,  i  quali,  incapaci  di  scrivere  dieci  bei  versi  d'amore,  sono  poi  resistentissimi  nel  comporre  trilogie  e  decalogie  di  drammi,  cicli  di  poemi  e  leg-  gende di  secoli,  con  relative  annotazioni  storiche dottissime.   Senonchè,  qual  è  poi  il  giudizio  complessivo  e  conclusivo  che  i  miei  contradittori  hanno  opposto  a  quello  da  me  proposto  e  dimostrato  intorno  all'opera  del  Pascoli?  Ho  innanzi  a  me  i  parecchi  articoli,  che  si  sono  pubblicati  a  proposito del  mio  studio;  e  cerco  una  conclusione  diversa  dalla  mia,  e  non  la  trovo.  Ecco  il  Rabizzani,  che  si  dava  pensiero  di  una  mia  possibile  e  probabile  conversazione:  Pur  non  accettando  le  conclusioni  a  cui  giunge  il  Croce  nella  crudità  della  formola  e  nel  rigore  dello  spinto,  dobbiamo  ammettere  il  carattere  frammentario  dell'opera  pascoliana.  Il  poeta  ha  uu  grande  mondo,  ma  non  è  ancora  riuscito  ad  esprimerlo  compiutamente.  Per  ora,  la  sua  sovranità  è  nell'abisso  della  sua  mente.  E  quand'an-  che non  riuscisse  a  farnela  uscire,  noi  gliene  daremmo  il  merito,  sebbene  l'Amiel  abbia  detto  che  le  genie  latent  rìest  qu'une  prèsomption:  tout  ce  qui  peut  étre,  doit  devenir,  et  ce  qui  ne  devieni  pas  n'ètait  rien».  Mi  pare  giudizio  assai  più  severo  del  mio;  e,  se  mai,  ho  paura  che  il  dottor  Rabizzani  dovrà  fare  una  penitenza  più  grossa  della  mia.  Ecco  la  Rivista  di  cultura  di    don    Romolo    Murri,   non    certo   avversa  a Pascoli  e,  a  ogni  modo,  assai  equanime»:  Non  dividiamo,  a  proposito  del  Pascoli,  il  giudizio  recentemente  datone  dal  Croce:  giudizio  giu-  sto nella  sostanza,  se  riguarda,  nell'insieme, l'opera  e  l'ispirazione  poetica  del  Pascoli,  ma  ingiusto  per  rapporto  a  molte  particolari poesie.  E  vogliamo  dire  questo:  che  il  Pascoli  non  ha  una  così  ricca  e  possente  ispirazione  poetica  che  non  gli  venga  mai  meno  nel  suo  molto  versificare,    un  cosi  fine  e  sicuro  gusto  da  non  dare  al  pubblico,  della  molta  opera  sua,  se  non  quello  che  è  Anito  o  perfetto;  ma,  dall'altra  parte,  quello  che  il  Croce  concede  di  strofe  e  di  brani  di  poesie,  che  sono  di  un  vero  e  grande  poeta,  noi  pensiamo  si  possa  raramente  estendere  a  poesie  intere  »  (i).  Non  dividiamo;  ma,  viceversa,  dividiamo.  Un  altro  e  temperato  critico  affaccia  un  dubbio,  ma  comincia col  concedere:  «Il  Croce  ha  messo  il  dito  sulla  piaga:  lo  smarrirsi  dell'ispirazione  universale nel  mare  dei  particolari  è,  presso  il  Pascoli,  un  caso  non  infrequente.  Ma  non  sarebbe  questo  un  segno  de'  tempi,  non  sarebbe  la  parte  caduca  dell'arte  pascoliana,  la  quale  vivrà  egualmente  ne'  secoli  ad  onta  di  tutti  i  suoi  difetti,  ombra  appena  percettibile  a  petto  ai  suoi  grandissimi  pregi?.  Perfino  il  Pietrobono  non  sa  dire  altro  circa  il  carattere  generale  della  poesia  di  P.   se  non   che   quella   è   «  una  gran  bella [Rivista  di  cultura] Pasini,  nel  Palvese,  di  Trieste.] poesia»;  lode  che,  nella  sua  indeterminatezza,  potrei  concedere  anch'io.  Perchè,  se  alla  poesia  di P.  non  avessi  riconosciuto  valore,  e  molto  valore,  non  le  avrei  fatto  (questo  è  ben  chiaro)  l'onore  di  un  lungo  esame,  e  di  questa  non  breve  discussione,  che  ora  gli  ha  tenuto  dietro.  Ancora  sulla  poesia  di  P..   Da  una  dozzina  d'anni  non  avevo  letto  quasi  più  nulla  di  P.,  saziato  dallo  studio  che  un  tempo  feci  delle  cose  sue  per  scrivervi  in-  torno un  saggio,  il  quale,  quando  fu  pubblicato,  parve,  peggio  che  severo,  ingiusto.  E  con  curiosità  ho  tolto  tra  mano  la  scelta  che  delle  poesie  di  lui  ha  testé  curata  il  Pietrobono  {Poesie  di  Giovanni  Pascoli,  con  note  di  Luigi  Pietrobono,  Bologna,  Zanichelli);  con  curiosità (prego  il  lettore  di  credermi)  assai  bene-  vola, animata  dal  desiderio  di  scoprire  nel  Pascoli, dopo  tant'anni,  aspetti  che  allora  potevo  non  avere  scorti,  e  di  giudicare,  dopo  tant'anni,  con  mente  rinfrescata,  non  solo  la  poesia  di  quel [Dalla  Critica] poeta,  ma  lo  stesso  giudizio  mio.  Il  Pascoli  non  è  più;  e  tra  il  tempo  ch'egli  ancora  viveva  e  il  presente  sono  accaduti  tanti  straordinari  avve-  nimenti, che  hanno  respinto  assai  indietro,  nel  remoto,  gli  anni  anteriori,  comprimendoli in un periodo  già  chiuso,  quasi  con  lo  stesso  cangiamento  di  prospettiva  che  la  Rivoluzione  francese  fece  per  gli  anni  anteriori  al  1  789.  Ho  levato  dunque  gli  occhi  verso  il  Pascoli  come  verso  un  autore  del  vecchio  tempo  (del  «  buon  »  vecchio  tempo  ?),  pel  quale  non  si  può  non  esser  disposti  a  simpatia;  e  perfino  l'averlo  criticato  nei  giorni  lontani  accresceva  il  sentimento  di  simpatia,  perchè  anche  questo  mi  formava  un  legame  con  lui,  anche  questo  me  lo  faceva  parte  di  una  parte  della  mia  vita  passata.  S'aggiunga  che  il  compilatore  del  volume,  il  Pietrobono,  ha  molto  amato  il  Pascoli  ed  è  colto  e  fino  ingegno, e  m'invogliava  perciò  a  rileggere  quelle  poesie  sotto  la  sua  guida  bene  informata,  esperta  ed  affettuosa;  e,  a  dir  vero,  per  questo  riguardo,  non  mi  è  toccata  alcuna  delusione,  e  credo  che,  posto  che  giovi  adornare  di  comento  le  opere  del  Pascoli,  non  si  poteva  eseguir  tale  compito  in  modo  migliore  di  quello  tenuto  dal  Pietrobono, che  non  può  esser  tacciato  se  non  forse  di  sottigliezza  e  ingegnosità  eccessive,  effetti  di  eccessivo  amore.   Ma,  pel  resto,  ahi,  ahi,  come  la  mia  buona  intenzione,  la  mia  mite  e  sentimentale  e  malinconica disposizione  d'animo,  è  stata  presto  tutta  sconvolta!  Come   mi   son  sentito  riprendere  di    Ili  - colpo  dall'antica  ripugnanza,  e  risospingere  al-  l'antica riprovazione,  fotta  più  acuta  e  più  violenta dalla  stessa  serenità  con  la  quale  mi  ero  messo  a  riconsiderare,  dalla  stessa  aspettazione  che  avevo  carezzata  di  poter  temperare  il  mio  antico  giudizio  o  integrarlo  col  riconoscimento  di  alcune  cose  belle  di  quella  poesia!  E  la  riprovazione si  è  volta  in  isdegno,  ricordando  di  aver  letto  su  pei  giornali  letterari,  che  è  ormai  venuto il  tempo  d'introdurre  il  Pascoli  nelle  scuole  italiane,  a  modello  o  incitamento  stilistico  per  la  nuova  generazione.  Oh,  no!  Noi  non  abbiamo  il  diritto  di  propagare  nella  nuova  generazione  le  malsanie  e  i  vizi  nostri;  non  abbiamo,  in  ogni  caso,  il  diritto  di  toglier  d'innanzi  ad  essa  quelli  che  la  tradizione  dei  secoli  ha  consacrati  classici,  per  surrogarvi  gl'idoli  delle  nostre  fuggevoli  esaltazioni,  dei  nostri  morbosi  sentimentalismi,  e  dei  nostri  capricci.   Ciò  che  altra  volta  ebbi  a  notare,  ciò  che  sempre  mi  era  sommamente  spiaciuto  nei  versi  del  Pascoli,  e  mi  aveva  fatto  dubitare  della  sua  virtù  poetica,  mi  s'è  ripresentato  subito  agli  occhi,  appena  aperto  il  volume,  alle  prime  pagine. È  quasi  la  caratteristica  della  sua  arte  :  il  dissidio  tra  ritmo  e  metro  :  il  ritmo  del  sentimento  che  richiede  un  certo  andamento,  che  s'intrav-  vede,  si  presente,  si  attende,  e  il  metro  che  gliene    un  altro.  Donde  anche,  introdotta  questa  prima  scissione  nell'inscindibile,  il  compiacersi  nel  par-  ticolare per    fuori  della  nota  fondamentale,  e,  per  un  altro  verso,  caricare  il  tono  per  ottenere   l'effetto  cercato  :  disarmonia  ed  affettazione.  Vedo  che  il  comentatore  insiste  su  ciò,  che  la  poesia  del  Pascoli  è  poesia  di  dissidio;  e  teorizza  che    il  dubbio  è  uno  stato  d'animo  anch'esso,  e  il  poeta  che  n'è  vittima,  e  vuol  essere  sincero,  bisogna  pure  che,  come  sente,  così  si  esprima,  e  non  rifugga  dall'apparire  nel  tempo  stesso  ot-  timista e  pessimista,  ecc.  » .  E  starebbe  benissimo,  e  non  ci  sarebbe  niente  da  ridire,  se  si  trattasse  solo  di  contrasti  psichici;  ma  i  contrasti  psichici  debbono,  in  arte,  essere  composti  in  armonia  estetica:  ciò  che  l'uomo  divide,  e  ciò  che  divide  l'uomo,  la  dea  dell'arte  congiunge.  Che  è  poi  per  l'appunto  quel  che  al  Pascoli,  per  infelicità  d'in-  gegno, non  veniva  mai  fatto.   Si  tagliò  da  una  siepe    era  un  mattino  triste  ma  dolce    il  suo  bordone,  e,  volta  '  la  fronte,  mosse  per  il  suo  cammino.   Si  sente  che  lo  scrittore  vorrebbe  esser  sem-  plice, ma  la  terzina,  invece,  si  gira  e  si  dondola,  come  compiacendosi  di    stessa.  Si  noti  quel  «volta  la  fronte»,  che  atteggia  il  personaggio  come  un  attore,  che  prende  a  rappresentare  la  sua  parte.  E  non  pago  di  aver  dato  quest'at-  teggiamento, lo  scrittore  vi  calca  sopra:   SI:  mosse.   Al  che  il  comentatore  :  «  Si  accorge  di  aver  ado-  perata una  parola  forse  superba,  e  la  ripensa  come  per  correggerla;  ma  trova  invece  che  non  la  sua  superbia,  ma  la  verità  glie  l'ha  posta  sulle labbra,  e  la  conferma  » .  Ora,  veramente,  non  si  vede  qual  superbia  ci  sia  nel  «  moversi  per  il  proprio  cammino»;  ma  ben  si  vede  che  il  Pa-  scoli ha  «  ripensata  »  la  sua  parola,  ossia,  al  so-  lito, l'ha  vezzeggiata,  compiacendovisi.   E  quella  era  la  siepe  folta  d'un  camposanto,  ed  era  il  camposanto,  quello,  dove  sua  madre  era  sepolta.   Affettazione  di  semplicità  che  s'impaccia  nelle  ampie  pieghe  del verso e  della  strofa,  e  affettazione di  sentimentalità,  in  quella  fantasia  del  bordone,  tagliato  dalla  siepe,  e  proprio  da  quella  del  camposanto,  e  proprio  del  camposanto  in  cui  giaceva  la  madre  morta. D'allora  ha  errato.  Seco  avea  soltanto  il  suo  bordone.  E  qua  tese  la  mano,  e  qua  la  porse.  E  ha  gioito  e  pianto.   Solennità  apparente,  vuoto  sostanziale,  tutte  frasi  generiche  che  paiono  dire  grandi  cose  e  dicono  nulla.  E  le  frasi  generiche  continuano  nella  terzina che  segue:   E  vidi  il  fiume,  il  mare,  il  monte,  il  piano:  tutto...   Sì,  tutto,  perchè  non  ha  visto  niente  di  particolare e  di  significante.   e  a  tutto  era  più  presso  il  cuore  di  quanto  il  piede  n'era  più  lontano.   Sentimento,  che  potrebbe  esser  vero,  ma  è  reso  in  forma  di  antitesi,  e  perciò  falsato  in  un  giochetto.  Invece  di  sentirci  riempire  l'animo  da  quel  sentimento,  ci  soffermiamo  ad  analizzare,  con  lo  scrittore,  il  giochetto.   Così  si  va  innanzi  sino  alla  fine:  peggiorando,  perchè  il  bordone  mette  poi  foglie,  germina,  ra-  dica, e,  senza  diventare  simbolo  vivente,  s' ingoffisce in  cattiva  allegoria.   Il  secondo  componimento  del  volume  è  quello  de  Le  ciaramelle.  Chi  non  sente  come  liquefarsi  l'anima  al  loro  suonoj^Jfla  appunto  chi  questo  -Tret*ter~c1:uè  preso  da  un  soave  palpito  al  riudire  le  ciaramelle,  palpita  così  perchè  non  è  lui  una  ciaramella,  ma  un'anima,  che,  ormai  diversa  e  matura,  è  riportata  alle  immagini  e  alle  com-  mozioni della  fanciullezza.  Ricordo  la  vigilia  di  "Natale,  evocata-  dal  Di  Giacomo  in  una  sua  lirica d'amore:  la  Napoli,  verso  sera,  tripudiente,  rumoreggiante,  piena  di  lumi,  guardata  dal  poeta  dal  mezzo  della  collina,  che  le  sovrasta.  Ci  sono  anche  le  zampogne:   Saglieva  'a  dinto  Napule,  nzieme,  cu  tanta  voce,  cunfusa  'int'  a  na  nebbia  na  luce  'e  tanta  lume:  sentevemo  'e  zampogne,  c''o  suono  antico  e  ddoce  jenghere  ll'aria,  e  tutti  sti  voce  accumpagnà...   Ma  il  Pascoli  si  fa  lui  ciaramella,  e  ciaramelleggia  con  esse:   Udii  tra  il  sonno  le  ciaramelle,  ho  udito  un  suono  di  ninne  nanne.  Ci  sono  in  cielo  tutte  le  stelle,  ci  sono  i  lumi  nelle  capanne.   Sono  venute  dai  monti  oscuri  le  ciaramelle  senza  dir  niente;  hanno  destata  nei  suoi  tuguri  tutta  la  buona  povera  gente...   Una  filastrocca  tutta  ripetizioni  di  concetti,  ar-  guzie, insistenze,  affanno,  piagnucolamento  :  una  bruttura.   E  sorvolo  sul  terzo  componimento  {La  voce)    quello  di  «  Zvani  »,    perchè  l'altra  volta  già  ne  mostrai  la  sconvenienza  e  sconcezza  ;  e  libo  appena  il  quarto,  in  cui  l'abbaiar  di  un  cane  a  notte  alta  è  chiuso  in  istrofe  di  questa  sponta-  neità:     nell'oscura  valle  dov'errano  sole,  da  niuno  viste,  le  lucciole,   sonava  da  fratte  lontane   velato  il  latrare  d'un  cane;   e,  in  tanto  artificio  e  scontorcimento  e  ballon-  zolamento,  il  cane  abbaia  davvero,  fa  bau-bau: Va! va!  gli  dice  la  voce  vigile,  sonando  irosa  di  tra  le  tenebre...   E,  infine,  incontrandomi  nel  quinto  componimento {Valentino)    con  le  galline  che  schia-  mazzano: «  Un  cocco!  Ecco  ecco  un  cocco  un  cocco  per  te —  mi  arresto  e  non  procedo  oltre.   Cioè,  smetto  di  percorrere  ordinatamente  il  volume  e  lo  sfoglio  qua  e  là;  e  su  qualunque  cosa  poso  l'occhio,  ritrovo  le  stesse  affettazioni.  Ecco  il  tanto  celebrato  Aquilone:  nel  quale  lo  scrittore   vorrebbe  ritrarre   un   momento   della propria  vita  di  fanciullo,  risvegliatosi  noi  suo  ricordo  alla  vista  di  una  bella  mattina,  piena  di  sole,  che  lo  riconduce  ad  altra  simile  di  quei  tempi  lontani.  Ma  la  sua  incapacità  a  fecondare  un  motivo  poetico,  si  che  produca  la  propria  for-  ma, si  dimostra  qui  chiara  dal  suo  ricorrere  (cosa  che  è  sfuggita  al  Pietrobono)  a  una  forma  bella  e  fatta,  all'Idillio  maremmano  del  Carducci.  Il  canto  del  Carducci  comincia:   Col  raggio  del  mattin  novo  eh'  inonda  roseo  la  stanza,  tu  sorridi  ancora  improvvisa  al  mio  cuore,  o  Maria  bionda!   E  P.,  sebbene  col  solito  tono  di  appa-  recchio e  d'affettazione,  comincia  allo  stesso  modo:   C'è  qualcosa  di  nuovo  oggi  nel  sole,  anzi  d'antico:  io  vivo  altrove,  e  sento  che  sono  intorno  nate  le  viole.   Son  nate  nella  selva  del  convento  dei  cappuccini...   Il  Carducci  termina:   Meglio  era  sposar  te,  bionda  Maria!   Meglio  ir  tracciando   Meglio  oprando  obliar   E  P.:   Meglio  venirci  ansante,  roseo,  molle  di  sudor,  come  dopo  una  gioconda  corsa  di  gara  per  salire  al  colle!   Meglio  venirci  con  la  testa  bionda,  che  poi  che  fredda  giacque  sul  guanciale,  ti  pettinò  co'  bei  capelli  a  onda   tua  madre...  adagio,  per  non  farti  male.    Ma  le  parole  del  Carducci  sono  schiette,  il  tono  eguale;  e  quelle  di  P.  una  sequela  di  abi-  lita da  virtuoso,  frigidissime:  versi  troppo  vibrati non  si  sa  perchè,  specie  il  terzo  di  ciascuna  terzina;  versi  che,  non  si  sa  perchè,  fanno  spicco:   tra  le  morte  foglie  che  al  ceppo  delle  quercie  agita  il  vento;   immagini  leziose,  come  l'aquilone  che  s'innalza:   s'innalza;  e  ruba  il  filo  dalla  mano,  come  un  fiore  che  fugga  su  lo  stelo  esile,  e  vada  a  rifiorir  lontano;   e  falsità  di  ritmo  e  leziosaggini,  che  impediscono alle  più  gentili  immagini  di  acquistare  la  loro  musica:   Si  respira  una  dolce  aria  che  scioglie  le  dure  zolle,  e  visita  le  chiese  di  campagna,  ch'erbose  hanno  le  soglie  (bello!):   un'aria  d'altro  luogo  e  d'altro  mese  e  d'altra  vita: un'aria  celestina  che  regga  molte  bianche  ali  sospese  {troppo   [cincischiato!). E  tutto  il  componimento  ha  un  aspetto  di  con-  gegnato, di  preparato  («Sì,  gli  aquiloni!  È  que-  sta una  mattina  Che  non  c'è  scuola),  direi,  di  ginnastico,  alienissimo  della  vera  poesia.   E  a  proposito  di  Carducci  e  del  Pascoli.  Mi  fu  raccontato,  da  chi  v'era  presente  (uno  dei  nostri  più  fini  artisti),  che  un  giorno  il  Carducci,  trat-  tenendosi in  casa  di  amici  e  trovato  sul  tavolino  un  volume  del  Pascoli,  ne  lesse  qua  e    ad  alta  voce  alcune  pagine,  e  poi,  richiudendolo  d'un  colpo  e  posandovi  su  la  mano,  ammoni  gli  astanti:    Questa,  non  è  poesia. La  stessa  sentenza  mi  sale  dai  precordi,  dopo  avere  riassaggiato le  composizioni  del  Pascoli.  Gridate  contro  di  me  quanto  vi  piace:  questa,  non  è  poesia.   E  se  non  è  poesia,  eppure  ha  avuto  tanta  voga,  ed  ha  ancora  tanti  ammiratori,  donde  la  ragione  della  sua  fortuna?  Credo  da  ciò,  che  essa  giunse  opportuna:  la  grande  poesia  italiana,  mercè  i  diversi  ma  del  pari  alti  esempì  del  Manzoni  e  del  Leopardi,  era  stata  salvata  dallo  scompiglio  romantico,  e,  mercè  quello  del  Car-  ducci, dalle  mollezze  dell'ultimo  romanticismo.  E  l'esempio  del  Carducci  operò  anche  sul  D'ANNUNZIO (si veda) (non  solo  nel  giovanile  Canto  novo,  ma  anche  qua  e    di  poi)  come  freno,  e  come  freno  operò  nel  primo  e  nel  miglior  P.  (le  prime  Myricae):  ma,  più  tardi  nel  D'Annunzio  e  più  presto  in  P.,  quel  freno  s'allentò,  e  proruppe  in  essi  la  letteratura  decadente,  che  era  in  ag-  guato dietro  le  loro  anime,  e  l'uno  e  l'altro  diventarono precursori  e  avviatori  del  futurismo.  P.,  meno  vigoroso  del  D'ANNUNZIO (si veda),  il  quale  ha  avuto  una  sua  forza  di  gioia  sensuale,  che  è  stata  la  sua  sanità  e  si  è  guastato  soprattutto  con  l'intellettualismo  dell'eroico  e  ora  del  religioso; P.,  che  e disposto  al  sentimentalismo, dove  più  gravemente  soggiacere  al  de-  cadentismo e  futurismo,  alla  spinta  analitica,  alla disarmonia,  al  disgregamento,  alle  smorfie  e  alle  sconcezze  dell'impressionismo  inconcludente.  E  poiché  la  sua  corruttela  estetica  prendeva  per  materia  la  pietà,  la  bontà,  la  tenerezza,  la  tri-  stezza, la  morte  (diversamente  dal  D'ANNUNZIO (si veda) il  quale  si  compiaceva  di  altre  cose,  che  davano  scandalo  ai  timorati),  al  Pascoli  è  stato  possibile  soddisfare  in  modo  decente  quel  ch'era  di  mal-  sano nelle  anime  timorate,  e  persino  nei  preti  :    come,  per  un  altro  verso,  il  Fogazzaro  è  stato  il  D'ANNUNZIO (si veda)  dei  cattolici,  ed  ha  scritto  per  le  famiglie  cattoliche  il  Piacere  e  il  Trionfo  dello  morte  sotto  i  titoli  di  Daniele  Cortis,  di  Ma-  lombra e  di  Piccolo  mondo  moderno.   Con  quali  aspettazioni  abbiano  accolto  il  Pascoli i  cattolici  si  può  vedere  dalla  prefazione  stessa  del  Pietrobono,  che  è  preso  da  quella  condizione di  lui  tra  la  fede  e  l'incredulità,  interpe-  trandola  quasi  presentimento  di  cielo,  quasi  persecuzione che  il  Signore  faceva  di  un'anima,  che  ancora  gli  riluttava.  E  da  essa  si  può  vedere  quanto  potere  il  sentimentalismo,  lo  spirito  di  pietà  e  di  carità,  il  desiderio  e  le  esortazioni  alla  pace,  della  quale  P.  si  era  fatto  professionale rappresentante,  abbiano  avuto  sui  cuori  te-  neri, a  segno  da  far  dimenticare  che  tutto  ciò  in  poesia  non  vai  nulla  se  non  diventa  poesia,  ed  è  addirittura  odioso  quando  procura  di  surrogare  al  mancante  valore  di  poesia  materiali  valori  di  sentimento.   Così  ora  i  decadenti,  gli  stilisti  (che  sono  poi  decadenti,  perchè  sol  essi  pensano  allo  «  stile  »  :  i  grandi,  i  classici  lo  hanno  e  non  vi  pensano),  vorrebbero  introdurre  la  poesia  e  la  prosa  di  P.  nelle  scuole,  nelle  scuole  classiche,  come  ideale  di  finezza  artistica;  e  i  cuori  teneri,  nelle  scuole  elementari,  come  educatrici  a  gentili  affetti, e  i  preti  nelle  loro,  perchè  non  vi  si  parla  di  amore  (di  quell'amore  che  è  persino  nel-  Y Adelchi  e  nei  Promessi  sposi]).  Ma  per  le  scuole  elementari  è  proprio  indispensabile  il  Pascoli?  Non  c'è  di  più  vecchio  e  di  meglio?  Non  c'è  il  poeta  che  facevano  leggere  a  noi  ragazzi, e  imparare  a  mente,  il  buon  canonico  Parzanese,  gloria  di  Ariano  di  Puglia?  Se  è  necessaria per  certi  usi  una  poesia  non  poetica,  una  poesia  pratica,  quella  del  Parzanese  fa  sempre perfettamente  al  caso  ;  e  quasi  mi  vuol  parere  che  essa  dia,  per  questa  parte,  la  realtà  di  ciò  che  P.  invano  si  sforzò  di  raggiungere.  Volete  onomatopee?   Suona,  o  campana,  suona,  o  campana,  suona  vicina,  suona  lontana.  Tu  sei  la  musica  del  poveretto,  che  nel  sentirti  piange  d'affetto;  ei  sol  comprende  la  tua  parola,  quando  sonora  per  l'aria  vola.   Dig  din,  dog  don,   T'allegra,  o  povero,  questo  è  il  tuo  suon!   Volete  riproduzioni  di  movimenti?   Dote  non  ho    panni,  e  pur  vo'  farmi  sposa.  Passati  son  tre  anni  che  la  mia  man  non  posa.  Ma  il  tempo  via  sen  va,   e  il  caro    verrà   che  tanto  il  ciel  sospira;   Filatoio,  gira,  gira. Volete  ninna-nanne?   Dormi.  La  bella  luna  prende  del  ciel  la  via;  passa,  e  sulla  tua  cuna  un  bianco  raggio  invia.  Pe'  poveri  Iddio  vuole  che  splenda  luna  e  sole.  Dormi,  fanciullo  mio,  dormi,  ti  veglia  Iddio.   Volete  figurini  di  curati?   Zitto!  Cessi  lo  strepito  e '1  baccano:  che!  non  vedete  il  nostro  buon  pievano?  8' inoltra  passo  passo  il  vecchierello:   traetevi  il  cappello.   E  di  poverelli?   Se  vedete  un  vecchierello   d'occhi  cieco  e  d'anni  stanco,   senza  scarpe    mantello,   che  alla  figlia  appoggia  il  fianco,   nel  recinto  del  castello   date  loco  al  vecchierello...   E  di  sventurati?  Chi  non  ha  lagrimato   per  la  cieca  del  Parzanese?   Non  mi  dite  che  torna  il  mattino  a  svegliare  le  cose  dormenti  ;  non  mi  dite  che  d'oro  e  rubino  sono  i  lembi  del  cielo  ridenti.  Il  mio  ciglio  il  Signor  non  aprio. Deh!  sia  fatto  il  volere  di  Dio. Ed  era  molto  gentile,  quella  cieca:   Quando  sento  il  profumo  d'un  giglio,  voi  mi  dite  ch'è  bianco  qual  neve.  Com'è  il  bianco? In  pensier  lo  somiglio  a  quel  senso  che  l'alma  riceve  quando  ascolta  sull'ala  del  vento  d'un  liuto  il  lontano   lamento. Che  cosa  mai  sono  venuto  recitando?  Vecchi  suoni  dell'  infanzia,  anche  questi  ;  ma,  al  tempo  stesso,  cosette  modeste,  adatte  al  loro  pratico  intento,  ben  intonate,  che  mi  ridanno  quel  senso  di  equilibrio,  che  gli  spasmodici  ritmi  del  Pascoli mi  avevano  tolto:  del  Pascoli  che  (per  dir  tutto  in  una  parola)  in  arte  era  un  atassico,  ossia  non  coordinava  i  suoi  movimenti.   «  Quiconque  ne  sent  pas  ce  defaut  est  sans  aucun  goùt  ;  et  quiconque  veut  le  justifier  se  rnent  à  lui  mérne.  Ceux  qui  m'ont  fait  un  crime  d'étre  trop  sevère,  m'ont  force  à  Vétre  vèritablement  et  à  n'adoucir  aucune  véritè   (Voltaire,  commento  su Corneille).   Il  «  Paulo  Ucello. P.  lesse  nel  Vasari  che  Paolo  di  Dono  dipingeva  storie  di  animali,  de'  quali  sempre  si  dilettò,  e  per  fargli  bene  vi  mise  grandissimo    (i)  Dalla  Critica.] studio,  e,  che  è  più,  tenne  sempre  per  casa  di-  pinti uccelli,  gatti,  cani,  e  d'ogni  sorta  ani-  mali strani  che  potette  avere  in .  disegno,  non  potendo  tenerne  de’vivi  per  esser  povero;  e  perchè  si  dilettò  più  degli  uccelli  che  d'altro,  fu  cognominato  Paulo  Ucello  (Vite,  ed.  Milanesi).  Lesse  e  fraintese,  perchè  il  biografo  non  volle  punto  dire  che  Paolo  amasse  gli  uccelli  e  gli  altri  animali  e,  non  potendo  farne  acquisto,  im-  pedito da  povertà,  se  li  dipingesse  per  suo  gaudio  sulle  pareti  di  casa,  ma  che  amava  dipingere  uccelli  ed  altri  animali  (compresi  leoni  e  serpenti e  ogni  sorta  di  brutte  bestie)  e  che,  non  essendo  in  grado  di  possederne  i  vivi  modelli,  aveva  adunato  in  casa  sua  quanti  disegni  potesse procurarsene.  La  notizia,  data  da Vasari,  si  riferisce  alla  comune  vita  degli  artisti,  ed  è  psicologicamente  comprensibile  e  naturale;  ma  lo stesso  non  si  può affermare  della  interpetrazione  o  fraintendimento  di P.,  perchè  (si  rifletta  un  istante)  a  quale  verità  psicologica  risponderebbe  questa  surrogazione  del  dipingere  al  possedere?  Chi  desidera  un  uccellino  reale,  desidera  qualcosa  di  pratico,  e,  non  potendo  ottenerlo, si  dorrà  o  si  rassegnerà;  ma  non trova mai  un  equivalente  o un sostituto omogeneo aquell'oggetto  nell'attività artistica, che trascende  l'uccellino  come realtà vivente e si compiace nel proprio creare. Chi ama  una donna, ama quella donna, la desidera, la brama; ma, se si mette a dipingerla,  l'abbassa  a  materia  o  modello  che  si  chiami, e,  in  quell'atto,  trascende  il  suo  amore  e ogni  altra cosa terrena,  ed  è  Innamorato, non  più  di  una  donna,  ma  di  un'idea.  Tanto  vero  che  raccoglitori  e amorevoli  curatori  di  animali  domestici  non  sono  mai  i  pittori  di  animali, ma  le  vecchie  signorine  e  i vecchi  celibatari; e  il  pittore  Dalbono,  famoso  in  Napoli  per  la  sua  mania  di  riempirsi  la  casa  di gatti, non  dipingeva  gatti,  ma  festosi  paesaggi  di  Napoli.  Ma  forse  P.  non  fraintese  per  isvista  di  lettura,  e volle  deliberatamente  fraintendere,  ossia  sul  testo  di  Vasari  ideò  quella  sua  immaginazione di  un  Paolo  Ucello,  desideroso  di  avere  uccelli  in  casa,  e  sfogantesi  nel  ritrarli,  e  tuttavia  tornante  sempre  al  suo  desiderio.  Perchè?  Perchè  quell'immaginazione  gli  parve  commovente,  leggiadra,  tenera.  Pensate  un  po'!  Un  gran  pittore,  che  passa  pel  mercato,  vede  un  fringuello  in  gabbia,  rosso  in  petto  e  nero  il  mantello,  che  gli  somigliava  un  fraticino  di  san  Marco,  vorrebbe  portarselo  a  casa,  ma  non  ha  un  grosso  per  comperarlo,  e  tira  innanzi  con  quel  mortificato  desiderio  nel  cuore,  e  va  alla  sua  opera  della  giornata,  ma  la  sbriga  il  più  presto  che  può,  per  tornare  a  casa  e  aggiungere  ai  tanti  uccelli  che  ha  già  dipinti  sulle  pareti,  ai  tanti  suoi  desideri  insoddisfatti,  là,  sopra  un  ramoscello  di  melo,  quel  «monachino  rosso».  Quanta  gente  non  si  lascia  subito  prendere  da  queste  immaginazioni  leggiadre,  tenere,  commoventi! Quanta?  Moltissima:  tutta  la  legione  dei  pascoliani,  che,  da  alcune  settimane  in  qua,  stanno  dando  prova  dei  gentili   sentimenti   che  siffatte  immaginazioni  educano  negli  animi,  e  li  dimostrano  nelle  loro  mansuete,  francescane  parole, indirizzate  a  Sorella  Critica!  Ma  quella  moltissima  gente  è  anche  di  facile  contentatura;  e,  come  si  compiace  nel  verso  che  suona  e  non  crea,  così  sdilinquisce  per  le  immagini  che  paiono  attraenti  e  sono  vuote,  vuote  di  schietto  e  profondo sentire.  Che  vi  sia  o  non  vi  sia  una  realtà  psicologica  nell'atto  attribuito  a  Paolo  di  Dono,  essa  non  cura:  si  attiene  alla  superfìcie  e  scatta  in  entusiasmi,  che  altro  non  chiedono  e  non  aspettano  che  di  scattare.   Comunque,  ideata  quella  prima  arguzia  o  acutezza  sentimentale,  P. non  si  fermò.  E  perchè  avrebbe  dovuto  fermarsi?  Con  lo  stesso  metodo,  e  con  lo  stesso  buon  successo,  poteva  foggiarne  quante  altre  voleva.  E  immaginò  che  Paolo  Uccello  fosse  terziario,  e  che  nel  suo  irrefrenabile desiderio  di  un  possesso  terreno,  fosse  anche  di  quello  -tenuissimo  di  un  uccellino,  peccasse; e  che,  dunque,  san  Francesco  gli  apparisse, là,  sulla  parete,  tra  la  sua  pittura  o  dalla  sua  pittura,  e  lo  rimproverasse  e  lo  ammonisse,  e  lo  purgasse  di  profani  desideri,  e  poi,  andando  via,  attingesse  dallo  scollo  del  suo  cappuccio  briciole  di  pane  e  le  spargesse  per  la  campa-  gna, e  gli  uccelli  volassero a quel  lieto  convito, e  Paolo,  quetato  alfine,  si  addormentasse  nel  suo  sogno.  La  poesia  s'iunalzava  così,  a  suo  credere,  a  idealità  francescana.   Tale  fu,  per  chiunque  abbia  qualche  pratica  di  poeti  e  poesia,  la  genesi  di  questo  Paulo  Ucello, lodatissimo  tra  i  componimenti  di  P.  Ed  è  chiaro  che  non fu  una  genesi  poetica,  ma  senti-  mentalistica, come  di  solito  in  quel  tempo  della  produzione  pascoliana,  quando  l'autore  si  era  dato  tutto  in  balia  a  certe  sue  impoetiche  tendenze, incoraggiato  e  traviato  da  false  lodi,  specie  da  quelle  di  amici,  che  par  si  fossero  proposto  di  addensargli  intorno  un  velo  e  fargli  perdere  il  senso  della  realtà,  e  un  po'  lo  vagheggiavano  attraverso quel  velo,  un  po'  celiavano  sulle  sue  bizzarrie.  Senonchè,  la  poesia  non  può  nascere  da  intenzioni,  per  gentili  che  siano,  perchè  tutte  le  intenzioni  sono,  in  questo  caso,  aride,  unilaterali, astratte;  ma  nasce  dalla  piena  umanità  commossa, come  suono  tra  i  suoni,  accordato  con  gli  altri  suoni,  non  mai  tutta  tenera  o  tutta  gentile  o  tutta  leggiadra.  Anche  la  poesia  dell'idealità  francescana;  della  quale  uno  dei  più  vivi  esempi  che  mi  vengano  ora  a  mente  è  un  verso  e  mezzo  di  CAMPANELLA (si veda),  in  un  suo  duro  e  nodoso sonetto,  dove,  ritratto  l'orrore  dell'umano  egoismo,  le  lotte,  le  insidie,  le  calunnie,  e,  più  di  tutto,  gl'infingimenti  interiori  per  cui  l'uomo    stesso  annichilando  si  converte  alfine  in  istìnge,  improvvisamente  esclama,  come  se  gli  si  spieghi  innanzi  un  lembo  di  paradiso:  Tu,  buon  Francesco,  i  pesci  anche  e  gli  uccelli  frati  appelli! E,  se  si  vuole  un  esempio  più  a  noi  vicino,  ricorderò il  sonetto  del  non  professionale  francescano Carducci,  quel   sonetto,  in   cui   il   poeta,  alla  vista  della  fertile  costa  che  pende  dal  Su-  basio,  considera  commosso  su]  piano  laborioso,  che  al  sol  di  luglio  risuona  di  canti  d'amore,  Santa  Maria  degli  Angeli:   Frate  Francesco,  quanto  d'aere  abbraccia  questa  cupola  bella  del  Vignola,  dove  incrociando  a  l'agonia  le  braccia  nudo  giacesti  su  la  terra  sola! Poiché  la  genesi  non  fu  poetica  ma  intenzionale, o,  come  io  dico,  intellettualistica,  il  Pascoli  non  potè  indovinare  la  forma  poetica,  la  quale  è  tutt'uno  con  l'ispirazione,  e  nell'ispirazione  è  già  delineata  e  mossa.  E  prese  a  stendere  il  suo  estratto  quintessenziale  di  tenerezze  e  dulcitudini  e  francescanerift  in  una  forma  artificiosa  ed  estrinseca,  che  è  subito  dimostrata  tale  dalla  monotonia dell'  intonazione,  dalla  semplicità  troppo  semplice,  che  in  essa  si  osserva.  Si  desiderano  prove  di  ciò?  Come  darle  a  chi  non  ha  orecchio  per  sentire  il  tono  falso?  Come  fissare  in  alcune  parole  ciò  che  è  diffuso  in  ogni  snodatura  e  spezzatura della  sintassi,  in  ogni  inflessione  della  voce?  La  critica  (l'ho  detto  tante  volte)  ha  un  limite  o  un  presupposto  che  si  chiami:  il  presupposto che  si  abbiano  occhi  per  ben  vedere  e  orecchi  per  ben  udire.  Tutt'al  più,  essa  può  aiutare  con  qualche  indicazione:   Dipingea  con  la  sua  bella  maniera  sulla  parete,  al  fiammeggiar  del  cielo.  E  il  monachino  rosso,  ecco,    era,   posato  sopra  un  ramuscel  di  melo.  Che  la  parete  verzicava  tutta  d'alberi.. 0  anche:   Oh!  non  voglio  un  podere  in  Cafaggiolo,  come  Donato:  ma  un  cantuccio  d'orto,  sì,  con  un  pero,  un  melo,  un  azzeruolo.   Ch'egli  è  pur,  credo,  il  singoiar  conforto  un  capodaglio  per  chi  l'ha  piantato!...   Ma  un  rosignolo  io  lo  vorrei  di  buono...   Un  altro  aspetto  di  questa  forma,  senza  in-  timo freno,  senza  intima  sua  legge,  e  che  ha  accattato  una  legge  dall'esterno,  da  un  proposito  della  mente,  da  uno  sforzo,  da  uno  stento  di  vellicare i  cuori  teneri  e  tenerli  in  dolce  spasimo,  è  il  frazionamento  nei  particolari,  le  lungherie,  le  materialità  inopportune.  P.,  anche  in  questo  caso,  non  ci  risparmia    le  nomenclature  di  uccelli,    le  sensazioni  fìsiche,  per  es.,  dei  becchi  che  beccano  le  miche  sparse  (E,  come  un  bruscinar  di  primavera,  Rimase  un  trito  bec-  chettio sonoro»),    il  solito  usignuolo  onomatopeico, che,  alla  dipartita  del  santo,  canta  chiedendo dov'era  ito...  ito...  ito.   E  conseguenza  di  ciò  è  la  perplessità  nel  lettore, che  non  sa  se  il  poeta  scherzi  o  dica  sul  serio,  se  sia  in  un  momento  di  festevolezza  o  non  piuttosto  di  accoramento,  se  voglia  dilettare  con  un  rifacimento  arcaico  che  susciti  un  sorriso, o  se  esprima  un  suo  serio  sentire.  Che  cosa  è  quel  san  Francesco,  che  favella  con  vocaboli  e  formole  tolte  di  peso  ai  Fioretti  e  gestisce  con  attucci  che  mal  traducono  le  pitture  trecentesche?  È  una  figurina  grottesca,  una  caricaturina,  un  follettino,  da  divertir  bimbi,  o  il  santo  del  gran   cuore,  che  deve  riempirci  di  riverenza?  No:  nella  figurazione  del  Pascoli  egli  non  mi  riempie  di  riverenza  e  di  amore,  ma  non  posso  dir  neppure  che  mi  diverta.  E  quale  impressione,  dunque,  mi  suscita?   Buona  è  codesta,  color  foglia  secca,  tale  qual  ha  la  tua  sirocchia  santa,  la  lodoletta,  che  ben  sai  che  becca   due  grani  in  terra,  e  vola  in  cielo,  e  canta. E  sminuiva,  e  già  di  lui  non  c'era,  sui  monti,  che  cinque  stelline  d'oro...   Quale  impressione?  Non  altra  che  quella,  poco  piacevole,  della  poesia  stentata  e  sbagliata.   Sbagliata,  ho  detto;  ma  sbagliata  di P.,  e  non  già  da  un  qualsiasi  arfasatto:  dal  Pascoli  che  non  solo  era  un  letterato  studiosissimo,  ma  era,  o  almeno  era  stato  una  volta,  poeta,  il  poeta  idilliaco  e  triste  delle  primissime  Myricae,  e  di  tempo  in  tempo  aveva  come  un'apertura  di  cuore  verso  la  campagna,  gli  uccelli,  le  modeste  opere  agricole  e  casalinghe,  e  un  senso  di  gioia  e  di  malinconia  schiette.  Di  questo  fondo  spirituale  di  lui,  guasto  da  sovrapposte  cattive  tendenze  e  dal  cangiamento  dello  spontaneo  nel  professio-  nale, si  scorgono  le  tracce  anche  nel  Paulo  V cello,  particolarmente  nel  modo  simpatico  in  cui  egli  ritrae  (e.  2)  la  parete  dipinta  da  Paulo,  quella  parete  che  verzicava  tutta  d'alberi,  d'erbe,  di  fiori,  di  frutta,  e  qua  vi  si  vedevano  zappe  e    falci,  e  qua  l'aratura  e    messi  biondeggianti,  e  due  bovi  messi  in  prospettiva  che  parevano  grandi  ed  erano  più  piccoli  di  un  leprotto  che  fuggiva  nel  primo  piano.  Peccato  che  anche  qui  la  lamentela  del  tono  turbi  l'effetto,  e  la  troppa  semplicità  tolga  semplicità.   E  questo  è  quanto  si  può  onestamente  dire  intorno  al  Paulo  U cello.  A  coloro  che  oggi  lo  esaltano  come  un capolavoro,  come  il capolavoro dei  capolavori  pascoliani,  una  purissima,  una  divina  poesia  francescana,  e  insolentiscono  contro  di  me  perchè  l'ho  passato  sotto  silenzio,  e  mi  tacciano  di  non  sentire  la  poesia,  di  poca  sensibilità (o  di  poca  morbosità),  mi  contento  di  rispondere: Eh,  via!  Da  qualche  accenno  che  è  nelle  noterelle  critiche  raccolte  nella  terza  parte  di  questo  volume,  i  lettori avranno  agevolmente  inferito  che  anch'esse  fecero  scandalo  e  suscitarono  un  uragano  di  proteste  e  d'invettive, maggiore  e  peggiore  di  quello  che  si  ha  quando  fu  pubblicato  il  saggio  ristampato  in  primo  luogo.  Cosa  naturalissima:  nel  dodicennio  corso  fra  le  due  date  si  era  maturato  e  svolto  a  pi^no  il  futurismo,  del  quale  P.  è,  a  mio  avviso,  da  considerare  precursore  e  promotore,  nella  nostra  letteratura;  e  la  reazione  contro  il  mio  giudizio, dopo  tanta  devastazione  e  perversione  prodotta  nel  gusto,  doveva  essere,  come  fu,  violentissima.   Una  delle  accuse  che,  in  quel  gridìo,  risonava  come  un  ritornello  contro  di  me,  concerneva  la  mia  insensibilità.  Confesso  candidamente  che  dapprima non  compresi  di  che  cosa  mai  si  volesse,  con  questa  parola,  lamentare  in  me  l'assenza.  Ma,  con  pazienza  filologica  ravvicinando  i  testi  (e  quali  testi!),  e  cercandone  l'interpetrazione,  ho  poi  non  solo  compreso, ma,  quel  ch'è  meglio,  mi  sono  trovato  affatto  d'accordo  con  gli  accusatori.  Mi  si  tacciava,  in  fondo,    di  essere  insensibile  alle  seduzioni  del  pascoliamo, del  semifuturismo  e  del  futurismo.  Insensibilissimo: sono,  per  questa  parte,  addirittura  un  pezzo  di  marmo.   Dopo  di  ciò,  non  avrei  niente  da  aggiungere,  non  parendomi  che  quella  critica  d'opposizione  abbia  apportato  lume  alcuno  allo  schiarimento  dei  problemi  artistici  da  me  trattati.  Ma,  poiché,  per  fortuna  una  rivista  letteraria,  La  ronda  di  Roma,  fu  invogliata  dalle  mie  noterelle  critiche  ad  aprire  una  discussione  o  referendum  su  P.,  che  venne  inserendo  nei  suoi  fascicoli,  mi  piace  rinviare  i  curiosi  e  gli  studiosi a  quelle  pagine,  che  contengono  molte  cose  istruttive  e,  nel  complesso,  confermano  il  mio  giudizio. Anzi,  come  saggio  di  queste  cose  istruttive,  trascriverò  qui  alcuni  brani  dell'articolo  di  uno  di  coloro  che  presero  parte  alla  discussione,  Gargiulo,  il  quale  ebbe,  tra  l'altro,  il  buon  pensiero  di  spremere il  succo  dei  principali  studi  su P.,  pubblicati dopo  il  mio,  e,  diversamente  dal  mio,  intonati  ad  ammirazione,  o  addirittura  a  commossa  tenerezza,  pel  poeta  romagnolo. È  recente,  solo  di  qualche  anno  fa,   scrive  dunque Gargiulo,  lo  scritto  che  comincia  a  pubblicare  nella  Voce  Onofri,  sotto  forma  di  commento  estetico  perpetuo  alle  poesie  di  P.  Fu  arrestato  a  mezzo  delle  Myricae.  Quando  mi  occorse  di  leggerlo,  tempo  dopo,  io  dovetti  candidamente  domandare  all'autore  come  avrebbe  fatto  a  continuarlo,  e  qual  vantaggio  si  sarebbe  ripromesso  per  la  fama  del  poeta,  nel  proseguire.  Da  quel  che  se  ne  vide,  la  negazione  risultava  pressocchè  totale;  d'altra  parte,  nel  modo,  talvolta  perfino  un  po'  ingenuo,  con  cui  rari  versi  restavano  additati   all'ammirazione,  non  si   riconosceva  punto  l'Onofri,  che  pur  aveva  dato  prova  di  possedere,  oltre  quella  sensibilità  che  conosciamo  investita  direttamente  in  saggi  di  poesia,  scaltrite  facoltà  critiche.  Discussi  alquanto  con  lui  anche  i  rari  versi  e,  se  mal  non  rammento,  urtai  infine  contro un  atteggiamento  di  resistenza  passiva,  se  non  d'indifferenza.  Ma  certo  conclusi  che  per  lo  meno  era  passato  dall' Onofri  il  quasi  entusiastico  momento  di  fiducia,  che  gli  aveva  dato  lena  per  proporsi  quel  lunghissimo  lavoro  destinato  a  discriminazione  e  volgarizzamento  delle  bellezze  pascoliane.  Di  Serra    del  quale  non  mi  esagero  il  valore  critico,  ma  riconosco  alcune  buone  per  quanto  disgre-  gate disposizioni,  richiamiamo  un  po'  il  saggio  su  P.  È  da  notare  che  Serra,  giustamente, fu  detto  un  temperamento  pascoliano;  e  forse  quel  saggio,  da  solo,  basterebbe  a  provare  le  affinità.  Ora,  in  tutta  la  parte  negativa,  che  è  ampia,  le  osservazioni  giuste  abbondano,    certo  l'amor  dell'argomento  riesce  ad  attenuarne  l'acutezza.  Si  porta  all'evidenza,  nella  parte  positiva,  la  «  man-  canza di  forma  »  di P.,  che  sarebbe  la  «  forma  propria»  di  lui:  i  versi  del  poeta  non  si  cantano,  non  si  ricordano,  non  si  citano,  se  non  forse  :  Romagna solatia,  dolce  paese,  (  che  veramente  è  un  bello  e  dolce  verso  '.  c  E  se  noi,  richiesti,  dovessimo  offrire  in  uno  o  pochi  versi  rappresentata  quasi  in  iscorcio  la  virtù  propria  di  lui,  ci  rifiuteremmo;  per quanti  ce  ne  potessero  passare  innanzi,  sappiamo  bene  che  di  nessuno  saremmo  contenti  a  pieno.  Anzi,  dicendone  e  mostrandone  ad  altri,  mi  par  che  sempre  si  senta  il  bisogno  di  soggiungere  a  ogni  tratto:  a  questo  non  badar  troppo,  non  ti  fermare  su  quel  particolare;  che  il  poeta  non  è  lì '.E  dov'è  mai?    dimandiamo  a Serra,  caduto  in  così  profondo  oblio  del  proprio cosidetto  umanesimo?  È  nelle  cose:  c  La  poesia  di  P.  consiste  in  qualche  cosa  che  è  fuori  della  letteratura,  fuori  dei  versi  presi  a  uno  a  uno;  essa  è  di  cose,  è  nel  cuore  stesso  delle  cose.  Ed  è  lo  stesso  Serra  che  in  altro  scritto,  in  difesa  della  forma,  o  della  letteratura,  ebbe  questo  scatto:  c  Le  cosel  tutto  quello  che  c'è  in  me  di  meno  ingrato  si  rivolta  dispettosamente.  Nulla  è  così  vago,  goffo,  incon-  cluderite,  retorico,  come  le  cose.  Le  cose  dunque;  ed  anche  la  persona;  cioè,  P. bisogna  vederlo:    un  poeta.  Ogni  timore,  ogni  inquietudine che  la  lettura  poteva  aver  lasciato  dietro  di  sé,  subito  cade;  in  lui  non  c'è  falsità,  maschera,  posa,  artifizio.  Tali  cose  non  esistono;  non  possono  aver  luogo  in  quest'  uomo  eh'  io  vedo.  Altri  potrà  giudicare,  pesare,  classificare. C'è  altro  ancora,  e  forse  di  peggio,  che  tralascio,  nello  scritto  del  Serra;  ma  non  mi  è  mai  accaduto  d'incontrarmi  nella  condanna  di  un  artista  concepita  in  una  forma  più  cruda  e  radicale  di  quella  che  trascrivo: Questa  è  la  sua  gran  forza  e  la  sua  gran  debolezza.  Secondo  che  l'uomo  accetti  la  poesia  di  lui  per  quello  che  è  o  per  quello  che  vuole  essere.  Poiché  se  io  accetto  la  poesia  di  lui,  col  significato  ch'essa  ebbe  per  lui  quando  la  fece,  se  mi  trasporto,  come  altri  direbbe,  nel  suo  punto  di  vista,  allora  il  valore  ne  diviene  incommensurabile: non  è  valore  di  cosa  d'arte,  ma  di  cosa  viva. Dove  si  arriva?  Eppure  P. del  Cecchi,  ha  queste  parole  nell'epilogo,  che  non  sono  meno  preoccupanti  di  quelle  ora  riferite  di  Serra:  f  Bisogna  rifondere  gli  aspetti  torbidi  e  contrastanti,  nei  quali  questa  poesia  viene,  mano  a  mano,  rivelandosi, in  un  misterioso  aspetto  solo  nel  quale  le  sue  contraddizioni,  le  sue  incertezze,  i  suoi  errori,     siano  stratti  all'ardore  del  nostro  affetto,  della  comprensione  nostra.  Osservavo,  in  una  recensione che  feci  del  libro  nella  vecchia  Cultura,  che  in  tale  giudizio  è  c  come  una  confessione  al  lettore,  la  quale  suona:  l'aspetto  misterioso,  in  questo  libro,  è  rimasto  misterioso;  il  mistero  non  è  stato  svelato.  Di  quello  studio  dicevo  in  genere  (mi  permetto  di  autocitarmi,  perchè  resto  precisamente  a  quel  punto  ora  che  l'ho  riletto:  c  È  animato  dalle  più  benevoli  e  indulgenti  intenzioni;  ma  riesce  ad  una  condanna,  quasi  tutta  esplicita,  in  minima  parte  implicita,  dell'opera pascoliana. Pare  che  Cecchi  abbia  impegnato in  questo  suo  studio  tutta  la  propria  sensibilità  inventiva,  che  è  molta,  e  i  residui  di  un'antica  simpatia pel  poeta,  che  doveva  essere  ingenua,  non  criticamente illuminata.  Pure,  il  risultato  è  quello  che  è,  vale  a  dire  negativo  '.  Non  mancai  di  rilevare  la  sproporzione  tra  la  parte  negativa  e  quella  che  voleva  essere  positiva:  c  Egli  non  si  è  neppure  accorto  che  uno  studio  costituito  in  massima  parte  da  una  violenta  negazione,  e  diretto,  nel  tempo  stesso,  ad  una  affermazione  energica,  doveva  essere  assai  più  svolto  nella  parte  affermativa,  anche  sotto  il  rispetto  che  sembra  puramente  materiale,  del  numero  delle  pagine. P.  è,  per Cecchi,  un  poeta  coperto  da  una  corazza  di  falsità?  Ha  sotto  la  corazza  una  emotività delicatissima  e  nuova?  Ebbene  bisognava  che  lo  studio  critico  riuscisse  solidamente  poggiato  ed  equilibrato  sulla  parte  affermativa.  Concentravo  naturalmente  l'attenzione  sulla  parte  del  libro  che  voleva  essere  di  sicura  affermazione,  dedicata  c  alla  definizione  della  particolarissima,  intima  ispirazione  pascoliana,  di  cui  poi  quasi  tutta  l'opera  del  poeta  sarebbe  una  deformazione.  Tale  ispirazione  centrale  si  risolveva  pel  Cecchi  in  una  disposizione  iniziaimente  sensuale,  oggettiva,  di  pura  dedizione  alle  cose,  attraversata  poi  dal  brivido  del  dolore  e  del  mistero. E  dovevo  concludere:  c  Lo  sforzo  grande,  ma  vano,  del  critico  consiste  nel  rendere  questo  brivido. Ma  ecco  che  Cecchi,  invece  di  svolgere  e  sciogliere fino  all'evidenza  l'asserito  sentimento  di  dolore  e  di  mistero,  il  quale  resta,  nei  termini  indicati,  ancora  sotto  una  forma  schematica,  dura  ed  ambigua;  invece  di  trarlo  alla  vita  piena,  immergendo  in  esso  le  opere  del  poeta;  impegna  tutta  la  sua  sensibilità  inventiva,  ed  anche  tutta  la  sua  industria  stilistica,  nel  ridurre  quel  dolore  e  quel  mistero  alle  più  fugaci  ed  inafferrabili  espressioni  :  ad  un  brivido,  un  attimo,  un  baleno,  e  via  dicendo.  Il  critico  aveva  paura  di  fermare  il  brivido;  le  poche  citazioni  restarono  anch'esse  sorde  all'invito  di  rivelarlo.  Sulla  poesia  che  ha  il  privilegio  del  più  lungo  commento,  la  digitale  purpurea,  io  avrei  ora  curiosità  di  sentire  da  capo  il  giudizio  di Cecchi.   Così  Gargiulo. Del  resto,  la  lode  ottenuta,  e  in  parte  ancora  mantenuta,  dalla  poesia  pascoliana,  e  la  difficoltà  di  far  prevalere  un  diverso  e  più  pacato giudizio,  richiamano  moltissime  altre  vicende  consimili  della  storia  letteraria.  Ci  vuol  pazienza  innanzi  alle  asserzioni  dei  poco  perspicaci  e  dei  fanatici: A  voce  più  ch'ai  ver  drizzan  li  volti,  e  così  ferinan  sua  opinione  prima  ch'arte  o  ragion  per  lor  s'ascolti. Così  fer  molti  antichi  di  Guittone,  di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio,  fin  che  l'ha  vinto  il  ver  con  più  persone   (Purg.). Ancora  sulla  poesia  del  Pascoli. Il  «Paulo  Ucello» »  LATERZA, Bari. SCRITTORI  D'ITALIA cur. NICOLINI. ELEGANTE     RACCOLTA  CHE COMPORRÀ DI    OLTRE  SEICENTO VOLUMI  DEDICATA  A  S. M.  VITTORIO   EMANUELE  III. ARETINO  P.,  Cartéggio  Il  I  libro  delle  lettere AMENTI  (degli)  S.,  Le  Porretane BALBO  C,  Sommario  della  Storia  d'Italia,  BANDELLO  M.,  Le  novelle, BARETTI  G.,  Prefazioni  e  polémiche La  scelta  delle  lettere  familiari BERCHET  G.,  Opere,  Poesie Scritti  aitici  e  letterari BLANCH  L.,  Della  scienza  militare,  BOCCACCIO  G.,  Il  Contento  alla  Divina  Commèdia  e  gli  altri   scritti  intorno  a  Dante,  BOCCALINI  T.,  Ragguagli  di  Parnaso  e  Pietra  del  paragone  politico,  CAMPANELLA  T.,  Poesie BARO  A.,  Opere COCAI  M.  (T.  Folengo),  Le  maccheronee,  Commedie CUOCO  Saggio  storico  sulla  rivoluzione  napoletana,  seguito  dal  Rapporto  al  cittadino  Carnot,  di  Lomonaco,  Platone  in  Italia DA  PONTE   Memorie,  DELLA  PORTA  Le  commedie,  DE  SANCTIS  F.,  Storia  della  lettor,  ital.,  Economisti  del  Cinque  e  Seicento, FANTONI  Poesie Fiore  di  leggende.  Cantari  antichi  ed.  e  ord.  da  E.  Levi,  FOLENGO  Opere  italiane FOSCOLO  IL,  Prose FREZZI  F.,  Il  Quadriregio,  GALIANI  F.,  Della  moneta,  (n.  73).   GIOBERTI  V.,  Del  rinnovamento  civile  d'Italia,  GOZZI  C,  Memorie  inutili,  La  Marflsa  bizzarra GUARINI  Il  Pastor  fido  e  il  compendio  della  poesia  tragicomica, GUIDICCIONI  G.  -  COPPETTA  BECCUTI  F.,  Rime IACOPONE  (fra)  da  TODI,  Le  laude  secondo  la  stampa  fiorentina (n.  LEOPARDI  G.,  Canti,  Lirici  marinisti,  LORENZO  IL  MAGNIFICO,  Opere,  MARINO  G.  B.,  Epistolario,  seguito  da  lettere  di  altri  scrittori, Poesie  varie,  METASTASIO  Opere,  Novellieri  minori  del  Cinquecento Parubosco  e  Erizzo PARINI  G.,  Prose,  Poeti  minori  del  Settecento  (Savioli,  Pompei,  Paradisi,  Cer-  reta ed  altri)  Mazza,  Rezzonico,  Bolidi,  Fiorentino,  Cassoli,  Mascheroni POLO  Il  Milione,   PRATI  Poesie  varie,  Relazioni  degli  ambasciatori  veneti  al  Senato,  Riformatori  italiani  del  Cinquecento,  Rimatori  siculo-toscani,  SANTA  CATERINA  DA  SIENA,  Libro  della  divina  dottrina,  volgarmente  detto  Dialogo  della  divina  provvidenza,  STAMPA  G.  e  FRANCO  Rime,  Trattati  d'amore  del  Cinquecento,  Trattati  sulla  donna, VICO  G.  B.,  L'autobiografia,  il  carteggio  e  le  poesie  varie,  Le  orazioni  inaugurali,  il  De  italorum  sapientia  e  le  polemiche VITTORELLI  Poesie, La  Bicicletta  Olocausto,  romanzo   »   Quartetto il  nemico, Oro  incenso  mirra   Fuochi  di  bivacco  Matrimonio La  disfatta,  romanzo  Gramigne  (Sullo  scogio)  Ombre  di  occaso, Il  Teatro OPERE  VARIE.   ABIGNENTE  F.,  La  moglie,  romanzo AMATUCCI  Dalle  rive  del  Nilo  ai  lidi  del  Mar  nostro Oriente  e  Grecia Cartagine  e  Roma Hellàs BAGOT Gl'Italiani, CRIVELLI  R.,  Boccaccino BARDI  Grammatica  inglese,  Scrittori  inglesi  BARONE  La  storia  militare  della  nostra  guerra   fino  a Caporetto BATTELLI  A.,  OCCHIALINI  A.,  CHELLA  La  radioattività. CAMPIONE  F.,  Per  i  germi  della  specie CARABELLESE  P.,  L'e9sere  e  il  problema  religioso. CECI  G.,  Saggi  di  una   bibliografia  per  la  storia  delle  arti  figurative  nell'Italia  meridionale CERVESATO  A., Contro  corrente CHIMENTI  G.,  Commercial   English   &   Correspondence  (in   ristampa).   COTUGNO  R.,  La  sorte  di  G.  B.  Vico Ricordi,  Propositi  e  Speranze DE  CUMIS  Il  Mezzogiorno  nel  problema  militare  dello  Stato DE  LEONARDIS  R.,  Occhi  sereni,  (novelle  per  giovinette)   DE  LORENZO  G.,  Geologia  e  Geografia  fisica  dell'Italia  me-  ridionale I  discorsi  di  Gotamo  Bnddho  DEPOLI  G.,  Fiume  e  la  Liburnia DE  SANCTIS  F.,  Lettere  a  Virginia DI  GIACOMO  S.,  Nella  Vita,  novelle FORTUNATO   G.,  Il  Mezzogiorno  e  lo  Stato  italiano, FUSCO  E.  M.,  Aglaia  o  il  II  libro  delle  poesie. GAETA Poesie  d'amore GENTILE  G.,  Il  carattere  storico  della  Filosofia  italiana. Sommario   di  pedagogia  come   scienza   filosofica. Pedagogia  generale. Didattica,  Teoria  generale  dello  Spirito  come  atto  puro.  JUNIUS,  Lettere  politiche  LOPEZ  D.,  Canti  baresi  LARCO  R.,  La  Russia  e  la  sua  rivoluzione. LORIS  G.,  Elementi  di  diritto  commerciale  italiano LORUSSO  B.,  La  contabilità  commerciale MARANELLI  C,  Dizionario  Geogr.  dell'Italia  redenta. MEDICI  DEL  VASCELLO. Per  l'Italia. NAPOLI  G.,  Elementi  di  musica. NAUMANN  FR.,  Mitteleuropa.  Trad.  di  G.  Luzzatto,   NENCHA  P.  A.,  Applicaz.  pratiche  di  servitù  prediali. LATERZA Bari    NICOLINI  F.,  «li  studi  sopra  Orazio  dell'abate  «aliani  5,—   OLIVERO  F.,  Saggi  di  letteratura  inglese. Studi  sul  romanticismo  inglese Sulla  lirica  di  Alfred  Tennyson Traduzioni  dalla  poesia  Anglo-Sassone. PANTALEONI  Tra  le  incognite. Note  in  margine  della  guerrPolitica:  Criteri  ed  Eventi. La a.  fine provvisoria di  un'epopea PAPAFAVA  F.,  Dieci  anni  di  vita  politica  it. PASQUALI  G.,  Socialisti  tedeschi PLAUTO  M.  A.,  L'anfitrione —  Gli  asini Commedie PRATO  G.,  Riflessi  storici  della  Economia  di  guerra. QUARTO  di  PALO  L.,  La  civiltà RACIOPPI  G.,  Storia  dei  moti  di  Basilicata  e  delle  provi  noie   contermini  6, —   RAMORINO  La Borsa;  sna  origine;  suo  funzionare RAMSAY  MUIR,  La  espansione  europea RATHENAU L'economia  nuova. RICCI  E.,  Versi  e  lettere RICCI Protezionisti  e  liberisti  italiani SABINI  G.,  Saggi  di  Diritto  Pubblico SCHURÉ  I  grandi  iniziati. Santuari  d'oriente SCORZA,  Complementi  di  geometria SOMMA  U.,  Stima  dei  terreni  a  colture  arboree TITTONI  T.,  Conflitti  politici  e  Riforme  costituzionali  TIVARONI  J.,  Compendio  di  scienza  delle  finanze.  I  monopoli  governativi  del  commercio  e  le  finanze  dello  Stato TOSO  A.,  Che  cosa  è  l'Acquedotto  Pugliese WEBER Parlamento  e  Governo  nel   nuovo  ordinamento   della  Germania. Giovanni Pascoli. Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Pascoli.

 

Grice e Pasini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – La meta-meta-fora del cavaliere perduto – la scuola di Vicenza -- filosofia veneta – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo italiano. Vicenza, Veneto. Studia a Padova applicandosi agli studi giuridici, che ben presto trascura per interessarsi della nuova scienza è in contatto con Galilei e  soprattutto della filosofia, seguendo assiduamente le lezioni di Cremonini, impegnato nel commento mortalista della “Fisica” e del “De coelo” di Aristotele e seguace dell'aristotelismo critico e razionalistico di Pomponazzi, che mette in discussione l'immortalità dell'anima e alcuni dogmi cattolici. Uno dei incogniti, uno dei circoli più attive, vivaci libere. A tale adesione alcuni biografi settecenteschi attribuiscono le accuse di eresia nei suoi confronti. Come invece dimostra una serie di documenti dell'Archivio di Stato di Venezia, e un fatto di sangue a determinare il provvedimento giudiziario che lo condanna all'esilio. Per un futile contenzioso privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il fratello Vittelio e alcuni sicari,  nella villa Pavaran uccide Malo e ne ferì gravemente il fratello. Condannato a cinque anni di esilio a Zara, poi ridotti di circa la metà, e assolto e liberato. Reintegrato nella società vicentina, e vicario a Barbarano e a Orgiano, dove era già stato agli inizi della carriera. La sua vita dove scorrere come quella di tanti nobili di provincia, tra affari privati, responsabilità amministrative, passione letteraria e interessi culturali, sempre presente l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso dirette a podestà, capitani e dogi. Si registra un stretto legame gl’incogniti e una grande produzione letteraria. Fa parte della corrente poetica del marinismo, che ha in Marino il proprio modello. ””Rime varie, et gli increduli, ouero De' rimedii d'amore: dialogo. Dedicate al molto illustre Godi (Vicenza), esordio letterario del Pasini, miscellanea di sedici componimenti in metro vario tutti di tematica amorosa e un dialogo, “Campo Martio overo Le bellezze di Lidia, dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino, dell'illustriss. sig. Marco, componimento di versi settenari ed endecasillabi sciolti, uscito a Vicenza presso Grossi e dedicato a un membro dell'illustre famiglia Molino; “Rime” diuise in errori, honori, dolori, verita, & miscugli (Vicenza); Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo.. Dedicato a Molino, Vicenza, di carattere politico-encomiastico, racconta allegoricamente come il sogno trasporta il podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli eroi che hanno illustrato la sua famiglia; “Rime Marinistiche”, raccolta complessiva delle sue Rime, stampata a Vicenza; fanno rientrare l'autore nel filone marinista dell'epoca. “La Metafora. Il Trattato e le Rime. “Trattato de' passaggi dall'una metafora all'altra e degl'innesti dell'istesse nel quale si discorre secondo l'opinione e l'uso de'migliori, se senza commetter diffetto, si possano usare dai poeti e, oratori. Dedicato all'illustrissimo, et eccellentiss. sig. Nicola Da Ponte” (Vicenza); “Historia del cavalier perduto” romanzo erotico cavalleresco che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni feudali di provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione del romanzo barocco veneto e dei narratori incogniti, secondo una linea che intreccia avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche. -è da questo romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura de “I promessi sposi.” Vicenza nella sua toponomastica stradale, "Le Garzantine", Manzoni a Vicenza Firenze, Olschki). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia e cantòinquestaforma. Nela vagastagion, che l'Usignolo Dolenteancora dell’antico oltraggio Contragiche armonie filagna, e plora, E che di novo amor fecondo il suolo Del gran Pianeta altemperato raggio di verde giouentù gode, ès' honora, Con mano prodiga Flora D'odorosi tesori Con superbia pomposa. D'ogni intorno spargea gemmati fiori; Ma qual donna degli altri in maestosa monarchia sublimar parea la Rosa. Tributaria di lei, versando l’urna, La figliuola del Sole Alba nascente Le offri adiper le ruggiadose unnerabo; Et ella, della pura onda notturna. L’homaggio accolto in fen, lieta, eridente Di sii 2   Diricca gravidanza empieafı il grembo; Indi, il purpureo lembo Spiegando a poco a poco, Scopria l'aurato crine Del gran lume del cielo al primo foco; Le volauano intorno a far rapine Preciofe d'odor l'inrevicine. Superba citerea, ch'in Regia tinta Le imporporasse il suo bel piele foglie, Incota i detti ingiuriosa eccede. Chianti Giuno homai, tua gloria è vinta, Altro latte il mio fangne il pregio toglie, E'l tuo fio real mio fior s'humilia, ecede. Cositumida fiede Con inportuno orgoglio L'ambitioso petto Dela Regina del superno foglio, Che sdognando il suo Numeeller negletto, Lo sguardo oscura, e in torbida l'aspetto. Frome, egal carrodi vendetta ingorda Di vampe, efocbi, e di saette, e lampi . Grida lontana ancor ; Figlio vendetta, Con fretto lofaman richiama, e lega Il vago augel da le flellate piume, E con la voce anco la sferza accorda, Zosgrida, ebate, e impatiente il piega, Quevfa il mondo incanutir di brume. Delarmi ilfjero Num e Quiui a funguignalite Sai Vandalici campi Alti Duci in fiammana, e fchiereardite; Giungeellaa lui, cuiparche'l guardoaukāpe Ambo fiam vilipeli, amboschernići, numi impotenti son MARTE, e Guinone; La tua pudica Dea, la tua diletta, Quella, che del su’amor resegraditi Cillenio, e Febo, el cacciator garzone, Questa del vago Adone Cole ancor le memorie Solo a tuo scorno, e in vno Al mio latte dir infratia le gloriezn. Mirà d'orgoglio altierfasto importuno, Che di rosa anteporsi ardisce a Giuno. S'ami la madre, e lei gradir desij, A la superba l'alterigia Scorna, E la sua rosa le axuilisci o figlio Madre, non fia, ch'io le tue ingiurie oblij (risponde) al cielo pur sagli, e ritorna, Ch'io ben far olle bumiliare il ciglio: Di più fino vermiglio Distino ostro più grande, Per tinger rosa altera , Di cui la gloria foltes fa ghirlande; Stella non splende, ou'è del solla spera, E appo la neuengnicandor s'annera. Cosidetto, ella parte, egli accore Doue aßalito il vandalo feroce Col Goto afalitor pugna, e contende: Di sanguinos ifiumi ilprato corre, D'urli, e di strida una mistura atroce, Che difonde terrori al Cielo ascende; Dubbio il success opende, Al fin scompiglia, efrange il gran duce Adoino Lanemica Vandalica falange; Ma il sacro Dio, ch'adostro peregrino Aspira, affrettailsyo mortal destino. Cade il prode signor, fugge disperso Semi viva fi getta addosso al morto; El'abbraccia, e lofringe, el bacia, e’lterge Condiluuij d'angoscia, elcrin s'afferra, E Straccia, efuelle infinda le radici; I sulerose, chel buon sangue asperge, E che compagne fon de la sua terra, Sperge presagi in vn mesto, e felici. Esclama. O fiori amicia Los tuol nemico, il fuo trionfo sdegna Per sì gran danno il Goto lagrimose j j Goiodisco il german nel duolo immersa Nela fortune gloriosa insegna Tra rose inuolue il busto sanguinoso, E dono doloroso A Lutterial'invia, Cheil gran marito fcorto E sangue, e freddo ogni diletto oblia, I d'amor piena, e dota di conforto, che    Così pullulerà la Rosa ORSINA. E così germinò, così dal cielo, Per lo mondo abbellir, netrasse isemi, Nel suona tale ancor grande i ammirata: Sorge fecondo il glorioso stelo, E ne' Gallici campi, e ne'Boemi Degni rampoli ITALIANE traslata , D'api in vece, adorata Schiera d'altepirtudi Lovà suggendo, efaui Poi ne compone di Reali studi, Onde il mondo i suoi cafi in fausti, e graui Per si dolce liquor torni soaui. Defiudilaude dil Sole, acuis'aprica solo, e solo a'suoirai s'avanza e gode, E l'irrigailfuddordi nobil onda; Duro, einduftre cultor glièla fatica, Siepe l'ardire, il buon valor custode, El ' applauso de ' Cor i aura gioconda Ondeè poi, che diffonda Cosi pregiato odore E di palma, e di Lauro Ch'ın tal nel girdo e l età migliore Non neadunola Gloria in fuo tesauro Dal Borea àl'Auftro, e dal mar' Indo, alM auto. Scritte sa in Cielo alettere difato, Là de l'eternità ne’ cupi annali, Digermetal son le grandezze, e i pregi. Febo m'inspira è colassu fermato, Ch'egli fioriscafolfreggi immortali, Alte imprese, opreilluftri, èfattiegregi: Tiranni eftinti, Regi Debellati, daafflitti, Regni sommersi in lutti, Espugnatecittà, Ducisconfitti, Prouinciescosse, esercitidestrutti, Pergliopresileuar, fiano suoi fruti. Lieto verdeggi, eauuenturosogoda, Che'l ciel gliarride, eporgela fortuna Grandi Che'l core hor m i pungete, Insegna peregrina Del mio venire immaturo ancor Sarete; Cosi auuerrà, cosilo ciel destina, Il diadema adorar veggio di Piero. Fortunata Dalmatia, borche s'innesta Neltuoceppo Realfinobil pianta, attendi pure un secolo d'eroi. Vomiti incendihomai Chimera infesta, Stragede'campisiabelua Erimanta, Che fienconcettii percussorisuoi; Altri indomiti buoi sbuffinofiamme in Colco, C'hauralliubbidienti Adaratronouelnouo bifolco; Sorgan Procufti, elanguirandolenti  Ancola Famahà lingue, E fil grande, e facondo, Ei gesti degli Eroi spiega, ediftingue. Bastià l'ORSIN valor, c'habbia giocondo Teatro Italia, e spettatore il mondo. Gran di alimentià le r a dice prime. Beltesoroèvirtù;ma s'altaloda, Mase honori laforteancogli aduna, Vie più chiaro Splendorne’raggiesprime Eccolohomaisublime Gemmarsi intorno, intorno Sold'insegne d'impero, Manti, porpore, scettriilfanno adorno; Mafouratuttiin maestà primiero Sotto noui Tesei gliultimi accenti, Canzon chiudanlelabbra. La meta-meta-fora. itopedelabiturates. daglianimal: corterdel'acquecitopedeèsolce Nec tenoftra iuberfiericenfura pudican . Sentätha oppreffo Carulla DeXNptys Pelleic Cerula verrentes abiegnis equora palmisan Verrentesperremigantı, palmisperremi son metafore di poca comienienza; perche le mani non icopano come inftrumento profimo. DS Fortetfolcodál foco et  verrigins Jalmocodel la core circulari. Sedtamen, uttentes disimularerogat. Cenfura è traslation dal Magistrato Cenforio a } rigordell'atninre; oubetèmetaforaan ch'ega, che nonficonfaconla censura; perchefebene: leges autiubescentvetant, quepermitan, AMAP Hiunt. La censura pero non era legge, nè magistrato, che hau eflc auctorità di far legge. Ma a solo gaftigauachi contrauenità a'buonicollumi, adalcuneleggi et adalcunivnitalchequi? Pinnestodidue metafore invafolo predicatos poilslacione confaceuole alla vièpoi il pallaggio nelnornogar dell'altropredje viè censura. tom 1 Nel terzo de arte amandi,  Ecco Ne quevliusitinntisim per untitabii. Ne quifleprezesirefoue palmulis metaforam non producer ad extremum nec ineaintere. Sed abvnaadaliamtranfilire; hicveroraliumiprie Prorumfecurses, och Non è di giustitia chc CATULLO refiabbando pato Epiù sottodiffe. Qui formula croftramentofumprofcidir quota Aoftrumè metafora trasportata da gli vecelli allegalee, acuimancauailproprio perfignif carlofprone, equindian coallanaue perde notarlaprora, e proscindere è pur METAPHORA, che Hon ha corsispondenza con legalec, ma con quellecose, chetagliano: Ecco appresso v o trappasso da metafora a metafora. Ecco VA alero inneftopuriuinell'aggionto, e nel softantiuo. Dide currum wlitanumper ladate, che viag giava PHASELLUS illeguem videte hospittia'? Siswiffenavium celerrimus. Oprisforeivolarejouelinteo. Ognuno sà che Falelloèvna fpeciedi nauigio; nel descriver la celericà del quale nel naaigare Paurore fi vale della metafora del nuotatore e subitò palla al volo ch'è dell'uccello e quianco favn'innestoin quel volarepairwisin cuivuo) direnauigar coiremi:poichenen f volacon lepalme, maconl' aliscosiinnettal'operation! dellyccello con l'inftrumento dell'huomo, ch'è la mano sopra il qualpaflo il Muretto di fe.Aiuntvitiofumeffefernelsuscepram  tolco da'legamini ]? wimruna è nato da Tibulloze da Propertio speiò fenciamo lianch'elli. Propertio nella festa decimadlegiadel. cerzo ang niNini Sublime capulmafiflimunubar Afperala Mefiffimosa sperme, chehannodicomune, Ring oluenparcela branquillità, ch'e delmare cal P6 Sempere n im vacuos naxi fobriatorque rumares. Nox fobristonguet, inpeito. Pace Pasini. Pasini. Keywords: implicatura, il cavalier perduto, la metafora, “dall’una metafora all’altra,  galilei, cremonini, degl’incogniti, keplero, Manzoni, rapimento, anonimo, incognito, meta-meta-fora. Refs.: “Grice e Pasini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Passavanti: l’implicatura conversazionale dell’eroe – la scuola di Terni -- filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Terni). Filosofo italiano. Terni, Umbria, Italia. Partecipa alla Grande Guerra c sergente nel IV reggimento Genova cavalleria, in cui e protagonista di incredibili atti di eroismo. Partecipa  alla occupazione di Fiume tra i legionari di Annunzio. Da soldato, da caporale, da aiutante di battaglia, fulgido, costante esempio, trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta; sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo petto al proprio comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si sottrasse, attaccando, alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il suo plotone di arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica; impossibilitato ad avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui l’avevano ricoverato, e raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi, riusciva a prendere parte anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato veramente, più che di carne e di nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di acciaio e di ottima tempra. Superdecorato, volontariamente nei ranghi della nuova guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande unità, seppe dimostrare che più che le parole valgono i fatti e fu sempre dove maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate. Nella manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia del Corpo d’Armata, entra per primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i tricolori affidatigli dal Duce. Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso da mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati del III Corpo d’Armata, che in lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito di sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei combattenti dell’Italia. Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase sul posto di combattimento, quantunque non lievemente ferito. Nuovamente e più gravemente ferito, prima di esser trasportato al luogo di medicazione, volle esser condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli sulla situazione. Pirro, Arrone: E Thyrus. L’arma dell’eternita, Roma, (Camera Deputati), L’organizzazioe economica dell’industrai eletrica, Roma, Le benemerenze e la tirannide degli idrolettrici, Roma, Risveglio e viluppo agricolo, Roma, Bonifica integrale, Roma, Per una piu armonica distribuzione di pesi fra I diversi cespiti della ricchezza e I diversi lavoatori, Roma, Precursoi. L’IDEA ITALIANA, in Piemonte, Roma, La contabilita generale dello stato italiano, Roma, lineamenti chematica di contabilita di stato, Siena, Storia di Terni, dale origi al medio-evo (Roma), Interamna de Naarti, “INTERAMNA NAHARS”, La contabilita di stato o economia di stato nella storia italiana, Giappichelli, Torino, L’ECONOMIA DI STATO PRESO I ROMANI (Giappichelli, Trino), La contabilita generale dello stato esposta per tavole sinottiche, aRosrino, Attualita economiche, Roma, La contabilita dello stato”. “Nel numero e l’univeso ma il numero e un segno che po cconviene interpretare. Elia Rossi Passavanti. Passavanti. Keywords: eroe, Annunzio, Fiume,il concetto di economia di stato, l’economia di stato presso i romani, la terni pre-romana, la terni no-romana, la terni umbra, la terni osca, la lingua umbra, l’idea italiana, economia di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Passavanti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Passavanti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza --  jacopo – libro dei sogni.

 

Grice e Passeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Lizio – la scuola di Padova -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Padova, Veneto. VGrice: “He was Zabarella’s uncle – mine worked in the railways!” -- Grice: “It’s amazing how much a little book like Aristotle’s ‘Peri psycheos’ influenced those Renaissance and pre-Renaissance Italians! Surely they were concerned about the immortality or other of the soul!” Essential Italian philosopher. Pubblica commentarii al “De Anima” e alla “Fisica” – contro GALILEI (si veda). Dimostra la perfetta convergenza fra le idee di Arstotele e Galilei sulla dottrina dell'unità dell'intelletto. “Disputatio de intellectus humani immortalitate” (Monte Regali: Torrentino); “De anima”  (Venezia, Iunctas Perchacinum); Paladini, “La scienza animastica”. At cum Latini uideantur hoc negare, nosrem ita esse comprobare possumus quoniam Aristotele cum dederit communem ANIMA. Animæ definitione subiungit et propriam cuiusque gradus dicendam fore et prior rem natura esse vegetativam sensitiva, quod in codem intelligitur, non autem in diversis quoniam in eodem animato posita sensiti, uaponitur vegetativa et posita intellectiva ni mortalibus alie ponátur, quia sicut ise habet vegetativa in sensitiva, ita et sensitiva in INTELLECTIVA, quoniam in consequenter se habentibus polito primo non ponitur se cundum ,atposito secundo ponicur primum. Itaque essentiæ gradum animæ cum se seconsequantur, posita posteriori dabitur prior et per consequens communem animæ definitionem analogam esse oportet. Secundum autem anobisposicum, ut intelligatur anima in scilicet intellectivam immortalem fore secundum quid autem mortalem, intellectum IV modis dici, certum est I depossibili II de in habitu III speculative et IV agente. Unus quisque horum modorum arguir intelletum corruptibilem, quoniam omne quod incipit, necessario definit: cum autem intellectus materialis in Sphæranon detur sed tantum in puero nuper nato, cum inces perit in Socrate, ut ita dixerim necessario delinet. Similiter intellectus agens in Socrate incipit, quo niáili copulatur, ut forma et cum agens ili copulatur, intellectus in habitu, qui genitus est desinit intellectus etiam in actu speculans, cum de non speculari transeat ad speculationem, videtur genitus cum autem amplius non speculator actu, definit este intellectus actu speculans ita ut intellectus quodammodo et propter diversos respectus quos suscipit, dicatur corruptibilis et factus secundum autem substantiam cum eadem sit substantia intellectus agentis et possibilis dicitur eternus et simpliciter immortalis, quod rationibus ab Aristotele acceptis ita esse ostendi potest. Omne enim formas omnes materiales recipiens estim materiale intellectus autem possibilis recipit omnes formas igitur est immaterialis, est autem necessarium tale recipiens esse immateriale. Quoniam quod intus est extraneum prohibet. Pomponatius [POMPONAZZI] tamenstuder destruere hanc rationem, primum enim inquit illam non concludere proptere a quod si intellectcus. Eus materialises et separatus sequeretur et suam operationem separatam fore, quia operatio ipsam essentiam consequitur: at Aristotele inquit si intelligere est sicut sentire, ecce quod comparat operationem intellectus operationi sensus, igitur videtur hæc ratio, potius intellectum mortalem probare, quam immortalem. Nulla est hæc ratio Pompo Ratij, quoniam sequeretur intellectum esse virtutem materialem, quod dictum Aristotele omnino negat. Præterea videtur committere fallaciam a secundum quid ad simpliciter, propterea quod non valet, possibilis obiective dependet, igitur omnis intellectus. At cum Alexan, velit animam intellectiva sive intellectum possibilem non esse formam, sed; præparationem quandam, qux et sirecipiat omnes formas, esse tamen mortalem, peto abillo quid per preparationem intelligat, vel intelligit puram privationem, vel privationem cum aptitudine, non primum. Quoniam privatio sola nihil recipit, igitur privationem cum aptitudine illum intelligere oportet, igitur erit forma si forma, ergo materialis, quare preparation hæc non, recipiet omnes formas. Adiungit præterea Pomponatius, intellectus unicam tan tum operationem habet, propterea quid D i j ynius Secunda ratio, qux nostram sententiam confirmat, accipiturab LIZIO In de Anima. 13.& isi in quibus proposita in 13. quesstioncan intellectus sit intelligibilis quema ad modum alia materialia intelligibilia, soluit in15. Et intelligibilis est sicut ipsa intelligi biliain his quæ sunt sine materia idem est, quod intelligit et quod intelligitur, quilo  unius virtutis unica est operatio cum itaque; intellectus sit una virtus, que media est inter: pure materiales et  omnino abstractas, una driteius operatio: esse autem mediam ex eoni titur ostendere, quoniam intelligit universale in singulari et quatenus intelligit universale, comunicat cum abstractis, quatenusin singulari comunicat cum materialibus, primum dictum sublatum fuit, non inconuenire quod una virtus diversi mode se habens, diversas exerce ar operationes, secundum dictum apud me nullum est, quoniam intelligere substantiarum quæ omnino sunt separatæ, est intelligere per essentiam, intelligere autem intellectus est universalis per speciem, si itaque; hoc intelligere non convenit substantiis omnino separatis, quomodo na erit media participatione extremorum, qux re erit ad hucex hoc fundamento intelles Aus pure materialis. Tertia ratio accipitura quodamnorabia ti, Quoniam naturalis philosophus vide turdare duo eus non est cum LATINIS interpretandus, sed intellectum esse intelligibilem, cum possibilis habuerit intellectum agentem ut formam, tunc est intelligibilis per speciem, qu x actu est scilicet per formam intellectus agentis et est intelligibilis vel uti intelligere tixet enim si intellectus  intelligeretur quem ad modum dicut LATINI, esset intellectus do terioris conditionis lapide, quoniam lapis per suam speciem intelligitur per se, intellectus vero per accidens, intelligendo lapidem per suam speciem. Quare intellectus materialis et si videatur intelligibilis sicuti alia intelligibilia materialia per speciem, non tamen eodem modo quoniam intellectus intelligibilis per suam formam sit intelligents, intelligibile autem materias lem in imè, de quibus fufius in explanatione eius loci diximus fundamenta Metaphy. primum quod detur abstractum in natura, nam si Metaphy., ignoraret abstractum, eum non determinaret, alterum fundamentum est quod naturalis supponit abstractum et  quod abstractum magnitudine sic intelligens, quod tribuit animasticus sine quo Metaphy. Non haberet, quod abstractum sitina telligens. Ad rem si intellectus esset mortalis, non daretur Metaphy. quoniam per nullam naturam posset haberi abstractum esse intelligens, intellectus enim qui mortalis est non potest habere eandem operationem, cum intelligere intelligentiarum, quare si esset mortalis, non haberetur cognitio eorum, quæ per essentiam sunt separata. Ultima ratio quæ immortalitatem animam confirmat, est quoniam felicitatem acqui ri posse conveniunt peripatetici omnes, quam habere esset impossibile, si intellectus esset mortalis. Pomponatius discurrit agens de felicitates, illam contingere hominibus, quoniam omnes libiinuicem sunt auxilio alijeni magunt   secundum intellectum pra: eticum; alijautem secundum intellectum, Speculatiuum: rectem in hoc dicit, sed, falli, tur, cum -velit hominem esse hominem per intellectum, ideo homo exercet operationes morales per formam, qua est homo et propterea inquit Averroes p moralis capit si, nem hominis ineo quod homo, qui quidem finis est cogitativa, ideo foelicitas non competit homini ut homo, fedut in coquoddam divinum reperitur.10, Ethi. cap. 9. Aliauita et finis potior isto, ideo nos   li er  nos cum homines fimus, non debemus humana curare sed peruenire ad immortale et sempiternum, per id quod in nobis divinum est. De quibus fufius in expositione com.; de anima diximus. Ianua. Marco Antonio Genua. Marco Antonio Passeri. Antonio Passeri. Passeri. Keywords: peripatetici, lizii, nous, intelletto, etimologia d’intelletto, da lego – ‘to care’, ‘to decide’. Intelleto, nous, animus vs. anima, mens, Boezio, l’intelletto, l’anima intelletiva, animistica, animastica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Passini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza

 

Grice e Pasqualini: la ragione conversazionale e l’mplicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza -- difficult to find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.

 

Grice e Pasqualotto: la ragione conversazionale del trasmettitore/ricevitore – l’implicatura conversazionale – la scuola di Vicenza -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo italiano. Vicenza, Veneto. Grice: “I like Pasqualotto; for one, he predates Oxonians in the ‘teoria dell’informazione’!” – Grice: “I never took ‘information’ as seriously as Pasqualotto does – I do compare information with money, and refer to the stupidity of ‘false’ information – “”False’ information is no information.”” – But Pasqualotto attempts to reconstruct a ‘teoria,’ a ‘teoria dell’informazione,’ i. e. complete with a model that has room for the implicaturum, i.e. any x such that by a mittente ‘sending’ a message, he may ex-plicate such-and-such and im-plicate so-and-so.””. Frequenta il Pigafetta di Vicenza, dove ha come maestro FAGGIN (si veda). Sotto la guida di FORMAGGIO (si veda), si laurea in filosofia a Padova, con una tesi sull'estetica tecnologica di BENSE. Diventa amico di Brandalise, Cacciari, Curi, e Duso, ed è maestro nel suo stesso liceo vicentino, dove conosce Volpi. Collabora attivamente ad alcune importanti riviste di filosofia come Angelus Novus, Contropiano, Il Centauro. È professore a Venezia; a 'Padova; è stato co-fondatore dell'Associazione “Maitreya” di Venezia. Contribuito alla nascita della rivista “Marco Polo, rivista di filosofia orientale” --  e comparata “Simplègadi” è stato tra i promotori del Master in Studi Interculturali a Padova, presso il quale ha insegnato Filosofia delle Culture. Direttore scientifico della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Contributo teorico Nel saggio Dall'estetica tecnologica all'estetica interculturale, P. descrive la sua avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo pensiero. In una prima fase si è formato all'estetica analitica e alla filosofia analitica del linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato formale. In una seconda fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e della Scuola di Francoforte, e in questo caso ha valutato che la conclusione alla quale essi giungevano, era la morte per utopia dell’estetica. In una terza fase si è rivolto al pensiero di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta; Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera Apollo e Dioniso come due istinti complementari, tanto da consentire di poter riuscire a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella della vita»’, e a dare importanza alla saggezza del corpo. Ma quello Nietzscheano gli sembrò solo un tentativo eroico di coniugare filosofia e vita, che alla fine si rivela solo come uno straordinario tentativo di scrittura sulla vita. Un'insoddisfazione di fondo per gli esiti del pensiero occidentale, e la ricerca continua di nuove possibilità per il pensiero, lo hanno portato ad approfondire lo studioiniziato già in anni giovanilidi tradizioni di pensiero esterne a quella occidentale. Il buddhismo, in particolare, ha costituito un terreno ampio di indagine e di confronto con diversi temi o autori della cultura europea; ma anche il pensiero taoista e l'esperienza della filosofia indiana hanno rappresentato nel corso degli anni un importante ambito di riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta fase del suo viaggio intellettuale, P. si è rivolto all’estetica orientale come meditazione, ovvero come cammino comune verso un possibile superamento della scissione tra esperienza e riflessione. In una quinta fase, P. si è avvicinato all’estetica di Garroni come uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in genere all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica andava coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni prossima a quella orientale, P. arriva a considerare l'importanza della 'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee senza pensiero, come era stato già pensato da Dogen. Nella sua sesta ed ultima fase,  guarda l’estetica con gli occhi della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale, quindi come un ampliamento dell’orizzonte particolare dell’estetica verso una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. P., infatti, è stato il primo pensatore italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come comparazione, teorizzata con rigore in FILOSOFIA come comparazione, distinguendola da un mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad ambiti geo-filosofici differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità di dialogo con filosofi italiani, come Cacciatore,  Cognetti, Leghissa, e stranieri come Fornet-Betancourt, Kimmerle, Jullien, Mall, Ohashi, Panikkar, Stenger,  Wimmer.  Duemila ha contribuito all'introduzione in Italia della filosofia di Marco Polo sull’Oriente a cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e il tu, e poi con gli altrettanto importanti Uno studio sul bene e Problemi fondamentali della filosofia, accompagnati sempre da un saggio interpretativo che è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Parallelamente ad altri autori, si è misurato dai primi anni Duemila con il tentativo di delineare temi e metodi per una filosofia interculturale che costituisce il campo di maggior impegno e interesse della sua ricerca, congiuntamente a una riflessione estetica sulle forme dell'arte dell'Asia orientale. Riassumendo gl’elementi chiave del pensiero di P., potremmo individuare due componenti fondamentali: il concetto d’rmenuetica interminabile e quello di Dialogo interculturale Il concetto d’Ermenuetica interminabile prevede come elementi: 1. il pensiero come 'comparazione originaria'; 2. il sapere come 'ambito problematico sempre aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità stabile, ma sempre problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di ricerca; 3. il concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di 'anatta') come struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale tutto ciò che è, è un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed evoluzione processuale. Il concetto di Dialogo interculturale prevede come elementi: 1. la 'meditazione' come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’mindfulnessdel senso critico del pensiero radicato nel presente; 2. l'apertura conseguente alla compresenza degli elementi precedentidell’orizzonte di una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia interculturale. P. precisa chiaramente la specifica forma di rapporto comparativo che viene attivato nell'orizzonte della filosofia interculturale, rapporto detto 'a tre variabili interdipendenti. L’orizzonte di una filosofia interculturale dovrebbe invece tendere a porsi come linea immaginaria di uno spazio illimitato pronto ad ospitare quelle specifiche pratiche interculturali che sono gli esercizi in atto di filosofia in quanto comparazione. Per evitare le conseguenze contraddittorie a cui conducono sia le prospettive multiculturali, sia le utopie universaliste, è necessario precisare la natura e la funzione della specifica forma di rapporto che si viene ad attivare nell’orizzonte della filosofia interculturale. La modalità di tale rapporto può essere definita 'a tre variabili interdipendenti': due sono costituite da pensieri o ambiti di pensieri tra loro diversi, e la terza è costituita da un soggetto (individuale o culturale) che li pone a confronto. L’essenziale di questa modalità di rapporto è che nessuna delle tre variabili sussiste autonomamente, prima, dopo o a parte rispetto alle altre due: in particolare, è importante evidenziare che il soggetto risulta sempre e necessariamente implicato nella pratica della comparazione, al punto che tale pratica lo forma e lo trasforma: il suo sguardo è ‘impuro’ fin dall’inizio, perché fin dall’inizio viene condizionato e prodotto da una serievirtualmente infinitadi osservazioni comparative. Fra i temi affrontati più di frequente dalla sua riflessione ricordiamo: 1. il tema dell’identità, in base al quale essa non è alcunché di rigido e identitario, ma poiché l’essente è nodo di relazioni, l’identità si dà come intreccio di infinite relazioni, ovvero come compresa in una sua problematica autonomia; il soggetto che, in quanto costitutivamente interessato da molteplici relazioni, nel suo ricercare il senso del realtà del mondo, non è un osservatore disincarnato e disinteressato, o imparziale, ma è compreso nel rilevamento di quel senso nella trasformazione di sé e della realtà; il corpo, in base al quale esso è la mente e, insieme, la condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso il tragitto di P. ha sicure relazioni al tema odierno della ‘cognizione incorporata’ e della Filosofia del corpo; il concetto di ‘processo’, in base al quale la realtà è un insieme di processi: ciò che è, in quanto 'nodo' potenzialmente infinito di relazioni, diviene processualmente, concezione che deriva direttamente dalle filosofie orientali, in particolare dal buddhismo; l’illuminismo in base al quale i limiti della ragione possono venir posti soltanto dalla ragione stessa, come era stato già perfettamente considerato dalla Dialettica dell'illuminismo; l tema delle pratiche filosofiche e della pratica artigianale;  il tema dei diritti umani che non è solo un tema accessorio rispetto al suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una partita più grande, che, ai temi della ‘libertà condizionata', della natura dell’individuo e del fenomeno della globalizzazione  unisce una profonda preoccupazione per i destini dell’umanità. A tal proposito pare essere abbastanza pessimista, un pessimismo attivo non passivo. Egli dice, infatti, nella premessa alla nuova edizione del Tao della filosofia, queste precise parole. È da osservare tuttavia che le tematiche della filosofia comparata, della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale non hanno avuto e continuano a non avere risonanze significative all’interno del dibattito filosofico nazionale e internazionale. Le ragioni di questa scarsa ricaduta sono molteplici e di varia natura. Forse vi sono alla base difficoltà intrinseche ai modi in cui tali tematiche sono state formulate e proposte; ma è anche da dire, a tale proposito, che finora non vi è stata alcuna proposta critica che abbia messo in luce tali ipotetiche difficoltà. È da ritenere, allora, che le ragioni di questa debolissima risonanza siano, almeno in parte ma in primo luogo, da far risalire alle rigidità delle discipline accademiche che mal sopportano non solo le contaminazioni interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici ponti che tentano di mettere in comunicazione diverse discipline, culture e civiltà. In secondo luogoma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livellosi dovrebbero tener presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che fare più da vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di fondamentalismi religiosi e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non solo l’Italia e non solo l’Europa. Ci sembra, anzi, che le tendenze che germinano da tali poltiglie psicologiche e ideologiche si stiano facendo sempre più invadenti ed arroganti. Questa riedizione del Tao della filosofia può forse costituire un frammento ancora utile a tenere aperta qualche piccola fessura di luce in un orizzonte culturale che, nonostante le aperture imposte dalla globalizzazione, si fa sempre più stretto e più cupo. Al fondo delle intenzioni di P., c’è un atteggiamento ecologico e agnostico,fino addirittura a concepire la possibilità dell’essere ‘apolide’ -, e consapevoleuna consapevolezza nel senso di mindfulnessnei confronti della natura della mente e della psicologia umane, al punto che, alla disillusione per la possibilità di integrazione nella vita psicologica occidentale delle pratiche meditative orientali, si unisce la preoccupazione e l’impegno sociale e politico, forse considerando la marginalità dell’intellettuale nelle grandi vicende della contemporaneità, ma insieme sempre anche con un’apertura di orizzonte per una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. Saggi: “Avanguardia, tecnologia ed estetica (Roma, Officina); “Teoria come utopia” (Verona, Bertani); “Storia e critica dell'ideologia, Padova, CLEUP, Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist. dell'Enciclopedia Italiana); “Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli, Guida, Saggi di critica, Padova, CLEUP, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'Oriente e d'Occidente, Parma, Pratiche, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio,  Illuminismo e illuminazione: la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma, Donzelli, Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova, Esedra, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Il Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno Mondadori, Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio); Oltre la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e occidente, Vicenza, Colla; Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia, Marsilio, Per una filosofia inter-culturale, Milano, Mimesis, Taccuino giapponese, Udine, Forum, Tra Occidente ed Oriente: interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (Pretto), Milano, Mimesis; Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio); “Dall’estetica tecnologica all’estetica interculturale, in Studi di estetica, Filosofia come comparazione in Simplègadi. Percorsi del pensiero tra Occidente e Oriente, Padova, Esedra). Cfr. Davis, Bret W.,.) Kitaro, L’io e il tu, Andolfato, Padova, Unipress, Nishida: dialettica e Buddhismo, Postfazione,  Kitaro, Uno studio sul bene, Fongaro, Torino, Boringhieri, Kitaro, Problemi fondamentali della filosofia: conferenze per la Società filosofica di Shinano, Fongaro (Venezia, Marsilio); Buddhismo e dialettica. Introduzione al pensiero di Nishida, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Tra Oriente e Occidente. Interviste sull’intercultura ed il pensiero orientale, Pretto, Milano, Mimesis,  Nietzsche o dell'ermeneutica interminabile, in, Crucialità del tempo, Napoli, Liguori, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Intercultura e globalizzazione, in, Incontri di sguardi. Saperi e pratiche dell’intercultura, Miltenburg, Padova, Unipress, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio,  Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, Dalla prospettiva della filosofia comparata all’orizzonte della filosofia interculturale, Simplègadi, East & West, Venezia, Marsilio. Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta” (Milano, Cortina,  La riforma di pensiero, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio, voce Corpo. Illuminismo e illuminazione, Roma, Donzelli); Saggezze d'Oriente e d'Occidente come forme di vita, n Id., Oltre la filosofia, Vicenza, Colla, Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di Sennet, nel suo L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli,  Diritti umani e valori in Asia, Studia Patavina, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Libertà. Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Il tao della filosofia, Milano, Luni, Premessa.  I termini 'ecologico' e 'agnostico' non sono propri dei supo testi ma depositati nel suo insegnamento 'orale', nonché derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e conseguenze della sua impostazione teorica Santangelo, recensione a Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente Revue Bibliographique de Sinologie, Ghilardi, Magno, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente. in onore, Milano-Udine, Mimesis,  Fongaro, Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il Tao della Filosofia, in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Crisma, Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso di riflessione di in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Bergonzi, Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero indiano, in Comparatismi e filosofia, Donzelli, Napoli, Liguori, Marramao, Pensare Babele. L'universale, il multiplo, la differenza, in Iride, Pagano, Un contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in Lo Sguardo: rivista di filosofia, Ghilardi, Magno, La filosofia e l'altrove: Festschrift, Milano-Udine, Mimesis, Yusa, Michiko, Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico, Daodejing,  Mandukya Upanishad, Mimesis Festival: Che cos’è la filosofia? d Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G. Pensiero buddhista e filosofie occidentali, Panikkar e la questione dei diritti umani, La compassione intelligente nella tradizione buddhista, Nirvana e Samsara, Covid-19 e Libertà. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, Anteprima di Per una filosofia interculturale, Anteprima di Taccuino. Anteprima di Alfabeto Filosofico,  Anteprima di Dieci Lezioni sul Buddhismo, Materiali su Interculturalità e Oriente, Materiali su Interculturalità e Oriente. Giangiorgio Pasqualotto. Pasqualotto. Keywords: Marco Polo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pasqualotto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Pastore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dia-lettica romana di Varrone a Peano – la scuola di Torino -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Orbassano). Filosofo italiano. Orbassano, Torino, Piemonte. Grice: “A proto-Griceian.” Grice: “Pastore divides logicians by nationality, and he has a few for Italians; he does not distinguish between Welsh Russell and English Boole, though!” Grice: “Pastore has an excellent section on the ‘alleged’ imperfections of ordinary language, to which I refer to in my reference to the common place in philosophical logic.” Grice: “Pastore lists six imperfections of ordinary language, for which he notes how confusing the allegations are.” “He ends by noting the moral of the formalist: “not everything that is explicated is implicated, and not everything that is implicated is explicated!” – Grice: “The Italian philosophers he mentions make an interesting list.” Grice: “He has an earlier paragraph on “Roman logic,” which is charming.” Laureato a Torino con GRAF ed ERCOLE (si veda), è insegnante di liceo e ottenne una cattedra a Torino. Fonda e dirigge il laboratorio di logica sperimentale a Torino. Collaboratore della Rivista di filosofia.  I suoi manoscritti sono conservati nell'accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria di Firenze. La salma del filosofo riposa nel cimitero di Bruino. Saggi: “La logica formale dedotta dalla meccanicia”; “Scienza” “Sillogismo e proporzione,” “Dell'essere e del conoscere,” “Il pensiero puro,” “Causa ed esperienza”; “Solipsismo,”  “Potenzia logica” “Logica sperimentale,”” L'acrisia di Kant” “La filosofia di Lenin”; “La volontà dell'assurdo. Storia e crisi dell'esistenzialismo” (Logicalia, Dioniso, “Introduzione alla metafisica della poesia,” Bazzani, Carte. Fondo dell'Accademia La Colombaria” (Firenze, Olschki); Castellana, “Razionalismi senza dogmi. Per una epistemologia della fisica-matematica” (Mannelli, Rubbettino); Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Selvaggi, Un filosofo triste: P. in Scienza e metodologia. Saggi di epistemologia, Roma, Gregoriana). “È notissima la storia della logica nell’antica Roma, in cui assai per tempo viene a prevalere la teoria catechistica, sviluppata negl’innumerevoli manuali di logica ad uso delle scuole, mutuanti l’insegnamento dalli saggi di VARRONE, di CICERONE, di Aulo GELIO, e di Quintiliano. Questo indirizzo comprende altresi i saggi di Vittorino, di VEGEZIO (si veda), e si spinge fine a quelle imporntantissimei di BOEZIO (si veda) e di Cassiodoro che riduceno la logica all’uso d’una TABULA LOGICA o combinazione di concetti secondo le regole della silogistica. BOEZIO, “Introductio ad categehoricos syllogismos”; “de syllogismo categorico-hypothetico,” “de divvisione”, “de definitione”, Cassiodoro (Venezia). In tutta quanta la scolastica la sillogistica di BOEZIO è ripresa ed applicata con sottilissimo svolgimento. Comincia, a vero dire, per essere incompletamente conosciuta. Si complete con LOMBARDO. Quindi fa decisamente il suo ingresso nell’occidente per opera di AQUINO, ABANO, e COLONNA – Summa theologica, cfr. BRUNO, “de specierum scrutinio”; de lampade combinatoria lulliana, de progresso et lampade venatoria legocorum. S’istende la lussureggiante vegetazione dei “terministi”, fra i quali appena è il caso dei ricordare il nostro Paolo NICCOLINI (si veda) Veneto, TARTARETO, e NIGRI. Per onore della filosofia, voglio dire che, in mezzo a tanta zavorra, i pensamenti originali sono molto più numerosi ed important di quanto non si creda comunemente. NIZOLIO, Pauli Veneti, “Logia parva”, tractatus summlarum (Venezia). Le loro relazione possibili con le varie posizioni di certi dischetti girevoli atorno un centro comune, sovrapposit l’uno all’altro, sui quali sono segnai i concetti fundamentale. Questo tentativo di BRUNO (si veda) contiene in gemre tutta la teoria della quantifiicatione del predicato e la teoria della logica sperimentale. In seguito ai mie personali ricerche compiute nella biblioteva comunate di Noto (Siracusa) la priorità della dottrina della quantificazione del predicato si deve attributire al sottilissimo casista CARAMUEL (si veda), che l’espose nella sua “Grammatica audax”. Zvsdilio, zinytofuvyio in stidyyrlid lohivsm, ztoms. FACCIOLATI, Logia protehroai, rudimenta di Logica, TIZIO, Arte di pensare. PEANO, Calcolo geometrico secondo l’ausdehnungslehre di Grassmann preceduto dale operazione della logica deduttiva (Torino), arithmetica, principia, nova method exposita, I principi di geometrica logicamente esposti (Torino, Bocca); elementi di calcolo geometrico, principi di logica matematica R d M, formule di logica matematica, sul concetto di numero, sui fondamenti della geomentria, saggio di calcolo geometrico, studi di logica matematica, NAGYj, Fondamenti del calcolo logico, Napolo, sulla rappresentazione grafica della quantità logica, Lencei, lo stato attuale ed i progressi della logica, rivista italiana di filosofia, I principi di logica esposti secondo le dottrine moderna (Torino, Leoscher), I teoremi funzionali nel calcolo logico (Rivista di matematica); La logica matematica e il calcolo logico (Rivista Italiana di Filosofia, Roma), I primi dati della logica (Roma), Sulla definizione e il compito della logica (Roma, Balbi), Alcuini teoremi intorno alle funzione logiche (Rivista di Matematica), BURALI-FORTI, Logica matematica (Milano); Sui simboli di logica matemaitca (Il Pitagora), Vacca, Vailati, Padoa, Pieri, Castellano, Ciamberlini, Giudice, Nota di Logica matematica (Rivista di Matematica), Vailati, un teorema di logica matematca (Rivista di Matematica), sul carattere della logica: il sviluppo della logica formale (Rivista di filosofia), Vacca, “Sui precursori della logica matematica” (Rivista di Matematica), Bettazzi, Chini, Boggio, Ramorni, e Nasso. Tutti i logici italiani apparengono alla scuola di PEANO (si vedùa), al qualse si deve la logica matematica o pura. In essa introduzione, Peano, esposti lucidamente gli studio, dimostra l’identità del calùcolo sulle classi, col calcolo sulle proposizioni. La sua opera contiene la teoria dei numeri interi completamente riditta in formole facendo ricorso ad un limitatissimo numero d’idee logiche Peano espresso coi simboli: e, > =  + V ~ A. – sette simboli. Di qui trae origine la sua ideo-grafia in cui ogni idea è rappresentata con un segno, e il su strumento analitico anda perfezionandosi rapidamente. Arrichitta di numerose indicazioni storiche per la collaborazioni di valenti seguazi, procede alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della matematica. L’importanza filosofica di questo movimento iniziato da Peano non e ancora stata apprezzatta convenientemente da ogni filosofo, ma i saggi di Peano cominciano solo ORA a richiamare sola di se l’attenzione dei filosofi. Il ritardo filosofico e tanto più strano quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa ideo-grafia. Peano stesso non cessa mai di far notare che la sua ideo-grafia è casata su teoremi di logica. Ma se con definizione opportune, si pote riddure le idee di logica anche si incontrano in molte parti della matematica ad un numero sempre più piccolo d’idee primitive, attualmente ancorsa si desidera una riduzione analogia di tutte le idee di logica ache si incontrano nella LOGICA PURA. Questa riduzione presenta in vero seriissime difficoltà ed e più facile il riconocere quante e quai siano le idea primitive in aritmetica e in geo-metria che in logica. Continuando le richerche mi convene supporre consosciuto tento di portare un contribute alla soluzione del problema suddetto.  Annibale Pastore. Pastore. Keywords: implicature, logica meccanica, acrisia. Meccanica rama della fisica.  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Pastore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.

 

Grice e Patrizi.  (Cres, Italia). Nasce a Italia da sangue croata. A questo proposito circa venti anni più tardi si espresse  P. nell'Historia diece dialoghi di M. Francesco Patritio, ne' quali si ragiona di tutte le cose appartenenti all'historia, et allo scriverla, et all'osservarla e nel Della Retorica stampati a Venezia, nei quali «P. esprime il rimpianto per una lingua originaria, basata sulla conoscenza delle cose |..]. Patrizi esalta Giuseppe Porta detto il Salviati, artefice di un tentativo di ricostruire il vero "linguaggio universale delle cose" e "d'inventare tutti i suoni naturali di tutte le cose, et di lor figure, et delle lettere naturali, et delle preferenze loro, in ogni lingua, e della musica terrena e celeste e de pianeti, fonte di tutti effetti magici et astronomici"» Nace a Cres e muore a Roma. Studia mercanzia, grammatica e latino a Venezia, impara il greco a Ingolstadt. Di importantissimo impatto sui suoi lavori successivi fu la lettura della Theologia di FICINO (si veda) che lo avvicinò alle idee platoniche. Si avvicina alle teorie sul linguaggio naturale e scrisse Nova de universis philosophia, Mystica philosophia e Magia philosophica che gli valsero il controllo dell'Inquisizione. PAOLO ALBANI, BERLINGHIERO BUONARROTI, Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie, Bologna, Zanichelli. Influenza in Italia. PORTA nascea Castelnuovo Garfagnana e muore a Venezia. Pittore, matematico, astronomo e astrologo italiano, studia a Roma, dove conosce il maestro Francesco SALVIATI (del quale assunse il cognome), assieme al quale si trasferì poi a Venezia. Ivi, tra le tante opere, si occupa della decorazione del soffitto della Marciana e affresca la sala regia dei Palazzi vaticani a Roma. Nella prima parte del Codice Marciano Porta affronta il tema del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione degl’elementi vocali, definendo un'embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di una  loro riproduzione ARTIFICIALE attraverso appropriati dispositivi meccanici.Per approfondimenti  vedasi treccani.it/enciclopedia/giuseppe-porta Dizionario-Biografico, a cura di  Biffis. Le testimonianze di BORDONI (si veda) e di P., sebbene non codifichino affatto un nuovo metodo di scrittura e comunicazione, devono essere considerate importanti perché dimostrano che in Italia vi sono delle speculazioni intorno alla possibilità d'istituzione di una lingua filosofica perfetta. Francesco Patrizi. Patrizi. Keywords: deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Patrizi”. Patrizi.

 

Grice e Pattio: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano.Taranto, Puglia.  A Pythagorean, cited by Giamblico. Grice: “Cicerone says that this is best spelt ‘Pazzio’!” -- Pattio.

 

Grice e Paulino:  la ragione conversazionale e il portico romano, la ragione e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. A wealthy man. He has a career in public life before becoming a philosopher. He writes many poems and letters, some of which survive. Some see the influence of the Portico on his views concerning the ascetic life. His son is Giovio. Grice: “I like Paulino – for one, that’s my Christian name!” -- Paulino.

 

Grice e Pausania: all’isola -- la ragione conversazionale e la scuola di Girgenti – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. Girgenti, Sicilia. A friend of Empedocle di GIRGENTI (si veda) – and the dedicatee of one of his poems. P. wites an an account of his tutor’s life and death. Grice: “We English are lucky: there is only one philosopher from Ockham: Ockham. From Girgenti, however, Italians have Empedocle and Pausania!” Grice: “Strawson advised me that I should refer to Emepedocle as Girgenti and Pausania as Girgentino, just for the sake of the difference!” -- Pausania.

 

Grice e Pavia: la ragione conversazaionale e l’implicatura conversazionale --  mi chiamo Lanfranco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo italiano. Lanfranco. Lanfranco di Canterbury. Beato Lanfranco di Canterbury Lanfranco con ai piedi Berengario di Tours, che sostene che la presenza di Cristo nell'Eucaristia è puramente simbolica, tesi alla quale Lanfranco si è opposto decisamente. Tela.   Vescovo  Morte Canterbury Venerato da Chiesa cattolica Ricorrenza Manuale Lanfranco di Pavia arcivescovo della Chiesa cattolica     Incarichi ricopertiArcivescovo di Canterbury   Nato1005 circa a Pavia Consacrato vescovo29 agosto 1070 Deceduto28 maggio 1089 a Canterbury   Manuale Lanfranco di Canterbury o di Pavia (Pavia, 1005 circa – Canterbury, 28 maggio 1089) è stato un teologo, filosofo e vescovo cattolico italiano, venerato come beato dalla Chiesa cattolica[2].   Indice 1Biografia 2Opere 3Dottrina 4Genealogia episcopale e successione apostolica 5Note 6Bibliografia 7Altri progetti 8Collegamenti esterni Biografia Lanfranco nacque intorno al 1005 a Pavia, figlio di Ambaldo, magistrato appartenente all'ambiente del sacrum palatium. Secondo un suo biografo: «...fu istruito fin dalla fanciullezza nelle scuole di arti liberali e di diritto civile a Bologna[3]. Ancora molto giovane, ebbe spesso il sopravvento nei processi su avversari sperimentati per la travolgente eloquenza del suo preciso argomentare. A quell'età seppe stilare sentenze apprezzate da giuristi e giudici.»[senza fonte]  Nel 1035 si trasferisce ad Avranches, in Normandia, dove nel 1040 apre una scuola di lettere e dialettica alle dipendenze dell'abbazia di Mont-Saint-Michel, dove era abate il suo concittadino Suppone, un monaco proveniente dall'abbazia piemontese di San Benigno di Fruttuaria.  Nel 1042 decide di trasferirsi a Rouen, e, attraversando la selva di Ouche con un suo discepolo, viene assalito da briganti, che spogliano i due di ogni cosa, e Lanfranco rimane con la sola tonaca: ricordandosi di una simile sventura subita da Libertino di Agrigento (narrata nei Dialoghi di Papa Gregorio I), Lanfranco offre ai briganti la sua tonaca, pur di essere liberato con il suo compagno. I briganti, convinti di una presa in giro, lo lasciano nudo legato ad un albero insieme al compagno. In quel momento Lanfranco fa un voto: si promette a Dio se riusciranno a scamparla e, in un istante, i lacci si sciolgono.[3] Così avviene ed entra nel monastero benedettino di Bec, fondato otto anni prima sui propri possedimenti di Brionne da Erluino, un nobile che aveva deciso di dedicarsi a una vita di preghiere. I trentacinque monaci appartenenti alla comunità vivevano semplicemente in un regime di vita semi-eremitica. Oltre ai dettati della dialettica, si occupa di ampliare e modificare le strutture architettoniche del monastero, e crea nuovi alloggi per i confratelli  Nel 1045 Lanfranco diviene priore del monastero e dirige la scuola dei monaci; nel 1059 apre la scuola anche ai laici, per ottenere fondi coi quali ricostruire il monastero. La fama del suo insegnamento attira allievi dalla Francia, dalle Fiandre, dalla Germania e dall'Italia fra i quali Ivo di Chartres, Anselmo d'Aosta, Anselmo di Lucca e Anselmo da Baggio, poi papa Alessandro II. Quando Lanfranco si sposta nel 1063 a Caen, numerosi allievi lo seguono nella nuova sede, sebbene ora nella scuola del Bec insegni un illustre ex allievo di Lanfranco, il famoso Anselmo d'Aosta, con cui coltivò una profonda amicizia.  Si oppone alle teorie eucaristiche formulate da Berengario di Tours, partecipando ai sinodi di Vercelli nel 1050, di Tours del 1055 e di Roma del 1059; scrive il Libellus de sacramento corporis et sanguinis Christi contra Berengarium, che lo consacra miglior teologo del suo tempo.  Consigliere del nobile normanno Guglielmo il Bastardo, nel 1053 si oppone alle sue nozze, in contrasto col diritto canonico, con la cugina Matilde di Fiandra; in seguito alle minacce di Guglielmo di esiliarlo, nel 1059 Lanfranco, già a Roma per partecipare al sinodo di condanna di Berengario, ottiene da papa Niccolò II una dispensa per il matrimonio. In cambio Guglielmo fa costruire a Caen un monastero femminile e uno maschile, dedicato a santo Stefano, del quale Lanfranco diviene il primo abate nel 1066.  Intanto in Inghilterra Edoardo il Confessore, re dal 1043 al 1066, figlio di una normanna, non avendo eredi nomina suo successore il figlio di suo cugino Roberto, Guglielmo il Bastardo, ma alla sua morte la dieta dei nobili inglesi proclama re il sassone Aroldo, cognato di Edoardo. Nello stesso anno Guglielmo sbarca con un esercito in Inghilterra per far valere con la forza i suoi diritti al trono.  Con la vittoria nella battaglia di Hastings, Guglielmo s'impadronisce dell'Inghilterra, guadagnandosi così il nome di Guglielmo il Conquistatore, ma la rivolta contro di lui prosegue, favorita anche dai vescovi locali; avendo bisogno di una gerarchia ecclesiastica fidata, ottiene nel 1070 dal papa Alessandro II la nomina di Lanfranco ad arcivescovo di Canterbury estromettendo l'infido arcivescovo Stigand.  Ora si tratta di rendere Canterbury la sede vescovile più importante d'Inghilterra; Lanfranco viene a contrasto col vescovo Tommaso di York che non intende rinunciare alle sue prerogative. Nel concilio di Winchester del 1072 Lanfranco presenta alcuni falsi documenti, da lui attribuiti a Beda il Venerabile, per sostenere la supremazia della sede di Canterbury su tutti i vescovadi d'Inghilterra, autorità che il Concilio riconosce.  Fa costruire per sé un palazzo, la famosa cattedrale, una prioria e numerosi monasteri, in cui trasferisce monaci dalla Normandia; cerca anche di ottenere una parziale autonomia da Roma venendo anche a contrasto con papa Gregorio VII. Per ottenere consensi dal clero e dalla nobiltà inglese, permette il matrimonio dei parroci di campagna e l'investitura vescovile ad opera di principi laici; accentra il controllo sulle circoscrizioni ecclesiastiche trasferendo le sedi episcopali provinciali nelle città più importanti. Col tempo i Normanni s'impadroniscono del governo delle province, delle chiese e delle potenti abbazie.  Operando col pieno appoggio di Guglielmo, che nei periodi di assenza dall'Inghilterra gli affida la direzione della vita politica, Lanfranco ricambia la fiducia, e sventa nel 1075 la cospirazione contro re Guglielmo organizzata dai conti di Norfolk e di Hereford.  Muore nel 1089 ed è sepolto nella sua cattedrale. È stato beatificato dalla Chiesa e la sua ricorrenza cade il 28 maggio.  Opere Restano di lui scritti di scarsa importanza, tranne l'opuscolo Liber de corpore et sanguine Domini contro Berengario di Tours; il Commentario sui Salmi (perduto) e il Commentario su S. Paolo; gli Statuta sive decreta pro ordine S. Benedicti, spiegazione della Regola benedettina; Note sulle Collationes di Cassiano; il Liber de celanda confessione, dove dimostra tutto il rispetto che si deve al penitente nel porsi all'interno della sua condizione di peccatore, e le Epistolae.  Inoltre Milone Crispino gli dedico una biografia, la Vita Lanfranci.[3]  Dottrina Combatté la teoria eucaristica di Berengario di Tours, che negava la reale presenza del Cristo nell'eucaristia, poiché se si mantengono gli accidenti dell'ostia, secondo la logica aristotelica si deve mantenere anche la sostanza e dunque l'ostia non contiene realmente il sangue e il corpo di Cristo; Lanfranco, nel Liber de corpore et sanguine Domini, sostiene invece che dopo la consacrazione il pane e il vino si trasformano realmente nel corpo e nel sangue di Cristo, pur conservando le primitive apparenze. A questa conclusione non giunge però con le armi della logica ma con la fede e con l'autorità dei Padri della Chiesa alla quale è necessario che la dialettica si sottometta. Rimprovera Berengario: «...abbandonando le sacre autorità ti rifugi nella dialettica, ma se io dovessi ricevere o dare una risposta a proposito dei misteri della fede, preferirei sentirmi rispondere e rispondere io stesso, che riguardano le sante autorità piuttosto che le ragioni della dialettica».  Logico celebrato, non può condannare la dialettica, che ritiene possa aiutare a comprendere anche i misteri divini, ma che deve sottomettersi all'autorità della Scritture quando entri in conflitto con esse.  Genealogia episcopale e successione apostolica La genealogia episcopale è:  Arcivescovo Robert di Jumièges Vescovo Guglielmo il Normanno Arcivescovo Lanfranco di Canterbury La successione apostolica è:  Arcivescovo Tommaso di York (1070) Vescovo Pietro di Lichfield Vescovo Osbern FitzOsbern  Vescovo Gilla Patrick Vescovo Hugh d’Orivalle  Vescovo Arnost di Rochester, O.S.B.  Vescovo Gundulf di Rochester, O.S.B. (1077) Vescovo Osmundo di Salisbury (1078) Vescovo Robert Losinga Vescovo Donagh O’Haingly, O.S.B. (1085) Vescovo Robert of Limesy (1086) Vescovo William of Beaufeu (1086) Vescovo Maurice (vescovo di Londra) (1086) Vescovo Gosfrid di Chichester (1087) Vescovo Jean de Villule (di Tours) Lanfranco di Caterbury in Santi e Beati, su santiebeati.it. URL consultato il 14 settembre 2017. ^ Sito Santi e Beati, su santiebeati.it.  Nino Borsellino, Walter Pedullà Storia generale della letteratura italiana Vol. I Il Medioevo le origini e il Duecento Gruppo Editoriale L'Espresso (1 gennaio 2004) Bibliografia Gibson M., Lanfranco. Da Pavia al Bec ed a Canterbury, Jaca Book, Milano, 1989. De Bouard M., Guglielmo il Conquistatore, Salerno Editrice, Roma, 1989. Lanfranco di Pavia e l'Europa del secolo XI nel IX centenario della morte, 1089-1989. Atti del Convegno internazionale di studi (Pavia, Almo Collegio Borromeo, 21-24 settembre 1989), a cura di G. d'Onofrio, Herder, Roma, 1993. C. Martello, Lanfranco contro Berengario. CUECM, Catania, 2001. Nino Borsellino, Walter Pedullà Storia generale della letteratura italiana Vol. I Il Medioevo le origini e il Duecento Gruppo Editoriale L'Espresso (1 gennaio 2004) H. E. J. Cowdrey, LANFRANCO da Pavia, santo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. URL consultato il 13 agosto 2017. Modifica su Wikidata Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lanfranco di Canterbury Collegamenti esterni Lanfranco di Pavia, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Lanfranco di Pavìa, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Lanfranc, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (DE) Lanfranco di Canterbury, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata Opere di Lanfranco di Canterbury, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Lanfranco di Canterbury, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (FR) Bibliografia su Lanfranco di Canterbury, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Modifica su Wikidata (EN) Lanfranco di Canterbury, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Lanfranco di Canterbury, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Lanfranco di Canterbury, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata PredecessoreArcivescovo di CanterburySuccessoreStigand (1052-1070)1070 - 1089Anselmo d'Aosta. Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Teologi italiani Filosofi italiani dell'XI secoloVescovi cattolici italiani dell'XI secoloMorti nel 1089 Morti il 28 maggioNati a Pavia Morti a CanterburyArcivescovi di CanterburyArcivescovi britannici Beati italiani Scrittori medievali in lingua latina Teologi benedettini [altre]. Lanfranco di Pavia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pavia,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Pavia

 

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