Grice e Parmisco:
la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A
Pythagorean, cited by Giamblico Favorino says that the Pythagorean Parmisco (he
spells the name Parmenisco) frees Senofane from slavery – Grice: “Which was the
inspiration for Robin Maugham’s The Servant!” --.
Grice e Parrini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicare, impiegare, interpretare
– la scuola di Castell’Azzara – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Castell’Azzara). Filosofo
italiano. Castell’Azzara, Grosetto, Toscana. Grice: “Italians are supposed to
be non mainstream and go ‘off the beaten road’ – Parrini proves they
shouldn’t!” Professore a Firenze,
membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del comitato
scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e condirettore
della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore Guerini e
associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di ricerca in
Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Fu
invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia, in vari paesi europei, in
Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a Roberta Lanfredini organizzò
un Corso di perfezionamento in Epistemologia generale e applicata che si tiene,
con cadenza biennale, a 'Firenze. Si occupò di filosofia analitica
contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari aspetti del
pensiero scientifico e epistemologico, della filosofia italiana del Novecento.
Sin dai primi lavori ha sviluppato una nuova interpretazione del positivismo
logico e dei suoi rapporti con il convenzionalismo e la filosofia kantiana la
quale, in seguito, ha trovato ampia conferma a livello internazionale. In campo
epistemologico, i suoi maggiori interessi vanno al tema del realismo, alla
problematica della conoscenza a priori, alla giustificazione epistemica e alla
metodologia della ricerca storico-filosofica. Nel volume Conoscenza e realtà
avanzò una prospettiva filosofica cui dette il nome di "filosofia
positiva" e della quale sviluppò le implicazioni circa i rapporti con
l'ermeneutica, lo statuto epistemologico della logica e la natura della verità.
Lasciò più di un centinaio di pubblicazioni. Saggi: “Linguaggio e teoria: analisi
filosofica” (Nuova Italia, Firenze); “Una filosofia senza domma: materiali per
un bilancio dell'empirismo,” – Grice: “I can’t see why Parrini is afraid of a
dogma; Strawson and I loved them – and he knows it – he totally misunderstands
us when he thinks we are into ‘reductionism’! But at least he cares to call me
Herbert, as I never myself did! Don’t Italians know abbreviations?! H. P.!” – “In difesa di
un domma” -- Mulino, Bologna, “Empirismo logico e convenzionalismo,” (Angeli,
Milano); “Conoscenza e realtà: positivismo” (Laterza, Roma-Bari); “Dimensioni
della filosofia. Filosofia in età antica – antica filosofia italica (Mndadori, Milano);
“L'empirismo logico, Carocci, Roma); “Filosofia e scienza nell'Italia del
Novecento. Figure,
correnti, battaglie” (Guerini, Milano) – Grice: “Gentile was right when he
distinguished between classical liceo and the rest! We don’t need no scientific
education, we don’t need no thought control!” – “Fare filosofia, oggi” (Carocci,
Roma). Note "lanazione", Scheda docente presso il Dipartimento di
filosofia dell'Università degli Studi di Firenze, su philos.unifi. P. in
SWIFSito web italiano per la filosofia, su lgxserver.uniba. Lo studio del riferimento in Quine, “Rivista di
filosofia” Da Quine a Katz, I, “Rivista critica di storia della filosofia” [=
Rcsf], "Vero" come espressione descrittiva, Rf, Da Quine a Katz, II,
Rcsf, Di alcuni problemi di filosofia della logica, Rf, Recensione di R. G.
Colodny, The Nature and Function of Scientific Theories. Essays in Contemporary
Science and Philosophy (Pittsburgh), Rcsf, Recensione di M. Serres, Le Système
de Leibniz et ses modale mathèmatiques, Paris, Rcsf, Recensione di N. Rescher,
Essays in Philosophical Analysis (Pittsburgh), Rcsf, 2 Recensione di Papanoutsos,
The Foundations of Knowledge (English edition with an Introduction of J. P.
Anton, New York), Rcsf, Il carattere dei
giudizi esistenziali e alcuni problemi dell'empirismo, in Atti del XXIV
Congresso Nazionale di Filosofia: Bilancio dell'empirismo contemporaneo, Roma,
Società Filosofica Italiana: Recensione di M. Bunge (ed.), Exact Philosophy.
Problems, Tools and Goals (Dordrecht), Rcsf, Sulla traduzione italiana di
"The Development of Logic" di Kneale, Rcsf, Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi
filosofica, Firenze, La Nuova Italia, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo:
contributo alla storia del positivismo logico, Rcsf, Edizione, con
Introduzione, di A. N. Whitehead e B. Russell, Introduzione ai "Principia
Mathematica", Firenze, La Nuova Italia Recensione di Popper,
Objective Knowledge. An Evolutionary Approach (Oxford), Rcsf, Recensione di J.
Danek, Les Projets de Leibniz et de Bolzano: deux sources de la logique
contemporaine (Laval, Quèbec), Rcsf, Le rivoluzioni scientifiche, nella serie
radiofonica a c. di Paolo Rossi "Storia delle idee", Rai 3, Scienza e
filosofia nell'Ottocento: la scoperta del concetto di energia, nella serie
radiofonica a c. di Paolo Rossi "La scienza e le idee", Rai Recensione di W. V. Quine, I modi del
paradosso e altri saggi (Milano), Rcsf, Filosofia e scienza nella cultura
tedesca del Novecento, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra: La
filosofia contemporanea: il Novecento, Milano, Vallardi: 2Materialismo e
dialettica in Geymonat (in collaborazione con Mugnai), Rf,– Linguistica
generativa, comportamentismo, empirismo,"Studi di grammatica
italiana", Tutte le parole per definire la realtà (a proposito del
Convegno fiorentino I livelli della realtà), "L'Unità", Fisica e
geometria dall' Ottocento ad oggi [Antologia di testi introdotti e commentati],
Torino, Loescher: Analiticità e teoria verificazionale del significato in
Calderoni, Rcsf, Una filosofia senza dogmi. Materiali per unbilancio
dell'empirismo contemporaneo, Bologna, il Mulino Introduzione a Quine,
Logica e grammatica, Milano, Il Saggiatore: Scienza, vita e valori (con lettura
di testi di A. Huxley e brani dal Quartetto per archi n. 15, op. 132 di L. van
Beethoven) per la serie radiofonica a c. di Massimo Piattelli Palmarini, Rai 3,
Lettera di risposta a M. Pera, Rovesciando si impara . "L'Espresso", – Scienza e filosofia: diamo a ciascuno il
suo, “La Stampa”. Recensione di Cohen, Feyerabend, Wartofsky (eds.), Essays in
Memory of Imre Lakatos (Dordrecht), Rscf, Recensione di Harrè Introduzione alla
logica delle scienze (Firenze), Rcsf,
Recensione di S. Lunghi, Introduzione al pensiero di K. Popper
(Firenze), Rcsf, Empirismo logico e convenzionalismo, Milano, F. Angeli
Edizione, con Introduzione, di H. Reichenbach, Relatività e conoscenza a
priori, Bari, Laterza, Popper indeterminista (Recensione di Popper, Poscritto
alla logica della scoperta scientifica, Milano), “L'Indice [dei libri del
mese]”, Edizione, con Introduzione, di Reichenbach, Da Copernico a Einstein,
Bari, Laterza: Recensione di T. Nickles,
Scientific Discovery, Logic and Rationality e Scientific Discovery. Case
Studies (Dordrecht), Rsf [= Rivista di storia della filosofia; già Rcsf],
L’ultimo Preti e i suoi corsi universitari, "Quaderni dell'Antologia
Vieusseux", Empirismo logico, kantismo e convenzionalismo,
"Paradigmi", Edizione, con Introduzione, di Schlick, Forma e
contenuto, Torino, Boringhieri, Recensione di A. J. Baker, Australian Realism.
The Systematic Philosophy Anderson (Cambridge), Rsf, L'antidoto degli elettroni
(Recensione di Hacking, Conoscere e sperimentare, Bari), "L'Indice",
Preti teorico della conoscenza, Annali del Dipartimento di Filosofia
dell'Università di Firenze, (anche in Il
pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a c. di
Minazzi, Milano, Angeli: Filosofia italiana e neopositivismo, Rf (also in
Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a c. di Rossi e Viano,
Bologna, il Mulino: Vogliamo le prove (Recensione di A. Grünbaum, I fondamenti
della psicoanalisi, Milano), "L'Indice" La psicoanalisi nella
filosofia della scienza, Rsf, A ciascuno il suo sombrero (Recensione di P.
[Paolo] Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, Bologna),
"L'Indice", Sulla teoria kantiana della conoscenza: verità, forma,
materia, in Kant, Bologna, Zanichelli, Tra empirismo e kantismo (recensione di
G. Preti, Lezioni di filosofia della scienza, Milano e Lecis, Filosofia,
scienza, valori. Il trascendentalismo critico di Preti, Napoli),
"L'Indice", Induzione, realismo e analisi filosofica, Rsf, Ancora su
filosofia e storia della filosofia, Rsf, Scienza e filosofia, Parte Quinta
della Storia della filosofiadiretta da Pra: La filosofia nella prima metà del
Novecento, II edizione, Padova, Piccin Nuova Libraria: Scienza e Filosofia
nella cultura tedesca, Empirismo logico
e filosofia della scienza: Con Carnap oltre Carnap. Realismo e strumentalismo
tra scienza e metafisica, Rf, Nota introduttiva a Evert W. Beth, Sulla
distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici,
"Iride", Recensione di Sahlin, The Philosophy of Ramsey(Cambridge),
Rsf, Il pensiero peregrinante di un monaco mancato (recensione di Lyotard,
Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Bologna), L'Indice, Ma Madonna non è Kant
(a proposito del Convegno del Centro fiorentino di Storia e Filosofia della
scienza “Kant e l'epistemologia contemporanea”,"Il Sole 24 Ore",
Origini e sviluppi dell'empirismo logico nei suoi rapporticon la filosofia
continentale. Alcuni testi inedita; Presentazione di R. Lanfredini, Husserl. La
teoria dell'intenzionalità. Atto, contenuto, oggetto, Bari, Laterza –
Reichenbach, la teoria della relatività e la problematica dell'a priori in
Dagli atomi di elettricità alle particelle atomiche. Problemi di storia e
filosofia della fisica tra Ottocento e Novecento, a c. di S. Petruccioli,
"Lezioni Galileiane", Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Conoscenza
e realtà. Saggio di filosofia positiva, Bari, Laterza, L'insegnamento medio
della filosofia in Italia. Alcune considerazioni scientifico-culturali, Rsf, Intervento/intervista
sull'insegnamento della filosofia nella Scuola media superiore, "Corriere
della Sera", Intervento/intervista sul X Congresso Internazionale
della Union of History and Philosophy of Science, F. Bordogna, Neopositivisti
rivalutati al congresso, "il Sole-24 Ore", Filosofi, vi esorto alla Bosnia,
"L'Indice", Mito e scienza in Ernst Cassirer. Considerazioni
introduttive, in Mito e scienza in Ernst Cassirer, a c. di Parrini, in “Annali
del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze”, Perchè è scorretto
(moralmente) dire che è uno di noi [Intervento sul Documento del Comitato
nazionale di bioetica sulla sperimentazione sull'embrione], "il Sole 24
Ore", Con i “continentali” il dialogo è aperto, “il Sole 24 Ore”, Filosofia
e storia della filosofia, in Filosofia analitica oggi, “Informazione
filosofica”, Le origini dell’epistemologia, in Storia della filosofia, a c.
diP. [Pietro] Rossi e C. A. Viano, L’Ottocento, Bari, Laterza: Immanenz gedanken
e conoscenza come unificazione. Filosofia scientifica e filosofia della
scienza, Rsf, Realismo, scetticismo e analisi filosofica [Risposta a P.
Leonardi], “Paradigmi”, Intervento in “Il documento dei Quaranta”: risposte e
considerazioni, “L’informazione filosofica”, Per un sapere senza assoluti su
Neurath, “il Sole 24 Ore”, La mia terza via nella ragnatela di concetti e
credenze, “Letture”, Presentazione e Curatela con Egidi di Forme di
argomentazione razionale, “Paradigmi”, Ermeneutica ed epistemologia,
“Paradigmi”, Presentazione e Curatela con Marconi e M. Di Francesco, Filosofia
analitica. Prospettive teoriche e revisioni storiografiche, Milano, Guerini, Dell'incertezza,
ovvero del "non raccapezzarsi" [su S. Veca, Dell'incertezza. Tre
meditazioni filosofiche, Milano], "Iride", Sull'insegnamento della
filosofia nella scuola media superiore riformata, Rsf, Aggiornamento delle voci
Causalità, Convenzionalismo, Teoria scientifica, Verità, Dizionario di
Filosofia, di N. Abbagnano, terza edizione aggiornata e ampliata da Fornero,
Torino, Pomba, Io difendo gli epistemologi, "Letture", Sulle vedute
epistemologiche di Enriques (e di Croce), Rsf, Una risposta laica alla fine
degli assoluti [Intervento nel dibattito sul nichilismo], "il Sole 24
Ore", La filosofia è ancora motore
di progresso [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il
Sole 24 Ore", Filosofia delle occasioni mancate [Intervento nel dibattito
sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Il conoscere tra
filosofia e scienza, in Atlante del Novecento, 3 voll., con la direzione di
Gallino, Salvadori, Vattimo, Torino, Pomba: Il declino delle certezze. Un
secolo e le sue immagini: Metafisica e filosofia analitica, in Annuario di
filosofia: Corpo e anima. Necessità della metafisica, Milano, Mondadori: Ancora
sul convegno fiorentino della SFI, Lettera alla Rst, Crisi del fondazionalismo,
giustificazione epistemica e natura della filosofia, "Iride" La
'terza via' della filosofia positiva, in AA. VV., La navicella della
metafisica. Dibattito sul nichilismo e la 'terza navigazione', Roma, Armando:
Internet non è fatto per i ‘verofobi’, "il Sole 24 Ore", Empirismo logico, tutta un'altra storia,
"il Sole 24 Ore", La verità (Discussione di Paolo Parrini e Marco
Messeri), "Palomar", Una
risposta laica alla fine degli assoluti, in Nichilismo Relativismo Verità. Un
dibattito, a c. di V. Possenti e A. Massarenti, Rubbettino, Soveria Mannelli:
Epistemologia, filosofia del linguaggio e analisi filosofica, in La filosofia
italiana in discussione, a c. di F. P. Firrao, Milano, Paravia e Bruno
Mondadori, Dimensioni scientifiche e filosofiche della conoscenza. Una
panoramica introduttiva, in "Annali del Dipartimento di Filosofia
dell’Università di Firenze": Miserie dell'epistemologia italica, in
Scienza Dossier, "il Sole 24 Ore", Sapere e interpretare. Per una
filosofia e un’oggettività senza fondamenti, Milano, Guerini, Conoscenza e
cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini, Il ‘dogma’
dell’analiticità cinquant’anni dopo. Una valutazione epistemologica, in
Conoscenza e cognizione, Dimensioni della filosofia, vol. I: Filosofia in età
antica, Milano, Mondadori Università (in collaborazione con Simonetta Parrini
Ciolli Incompreso, o quasi, dagli Americani [K. R. Popper: “Il più grande
epistemologo mai esistito?”], in Karl Popper oggi. A cento anni dalla nascita,
“Reset”, L’empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Roma,
Carocci, Popper e Carnap su marxismo e socialismo, “Nuova Civiltà delle
Macchine”, Filosofia e scienza in Enriques, “Nuncius. Annali di storia della
scienza”, Più realista dell’empirismo [Ricordo di Wesley C. Salmon], "il
Sole 24 Ore", Crisi dell’evidenza e verità: due modelli epistemologici a
confronto, in La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, a c. di
Possenti, Roma, Armando: Filosofi italiani allo specchio: Paolo Parrini,
“Bollettino della Società Filosofica Italiana”, Reason and Perception. In Defense of a
Non-Linguistic Version of Empiricism, in Logical Empiricism. Historical and Contemporary PerspectivesNota su
Valore, Due convegni su Giulio Preti a trent’anni dalla scomparsa, Rsf, Il
pensiero filosofico di Preti, ed. by P.
and L. M. Scarantino, Milano, Guerini: Presentazione by P. and Scarantino), Preti filosofo dei valori, in
Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Preti: ‘A Crossing of the Ways’, in Il
pensiero filosofico di Giulio Preti, Il pupazzo di garza: alcune riflessioni
epistemologiche, in Il pupazzo di garza, Papini e Tringali, Firenze, Tra
kantismo ed empirismo, in Scienza e conoscenza secondo Kant. Influssi, temi,
prospettive, a c. di Moretto, Padova, il Poligrafo, Recensione di Preti, Écrits
philosophiques (Paris), “Les Études philosophiques”, nPreti nella filosofia
italiana della seconda metà del Novecento, in Giulio Preti filosofo europeo, a
c. di Alberto Peruzzi, Firenze, Leo S. Olschki: L’insegnamento della filosofia
tra identità disciplinare e rapporto con gli altri saperi, in Rinnovare la
filosofia nella scuola, a c. di L. Handjaras e Firrao, Firenze, Clinamen: Su
alcuni problemi aperti in epistemologia, “Iride”, Filosofia e scienza
nell’Italia del Novecento.Figure, correnti, battaglie, Milano, Guerini A due
secoli da Kant: conoscenza, esperienza, metafisica della natura, in Itinerari
del criticismo. Due secoli di eredità kantiana, a c. di Ferrini, Napoli,
Bibliopolis: L’epistemologia di Popper e il “dilemma pascaliano” di Duhem, in
Riflessioni critiche su Popper, a c. Chiffi e Minazzi, Milano, Franco Angeli:
Verità e realtà, in La verità. Scienza, filosofia, società, a c. di Borutti e
L. Fonnesu, Bologna, il Mulino: Generalizzare non serve [titolo redazionale per
Patti chiari, amicizia lunga], “L’Indice dei libri del mese”, risposta alla
recensione di Massimo Ferrari. Quale congedo da Kant?, in Congedarsi da Kant?,
Ferrarin, Pisa, ETS, Quale congedo da Kant? Replica a una replica di Ferraris,
in epistemologica.it /images/stories/ /Note%20e%20 Discussioni/ Quale%20congedo
%20da%2 0kant. Filosofia e scienza, in Pianeta Galileo a c.
di Peruzzi, Firenze: I filosofi e la scienza: da Kant ad Einstein, in Pianeta
Galileo, Peruzzi, Firenze: La filosofia della scienza in Italia, in Pianeta
Galileo Peruzzi, Firenze: A priori materiale e forme trascendentali della
conoscenza. Alcuni interrogativi epistemologici, in A priori materiale. Uno
studio fenomenologico, a c. di R. Lanfredini, Milano, Guerini Fra nichilismo e
assolutismo. Alcune riflessioni metafilosofiche, “Iride”, L’a priori nell’epistemologia di Preti, Rsf,
Analiticità e olismo epistemologico: alternative praghesi, in Le ragioni del
conoscere e dell’agire. Scritti in onore di Rosaria Egidi, a Calcaterra,
Milano, Angeli: A proposito di offerte filosofiche, in F. D’Agostini, Mari, P.,
La priorità del male e l’offerta filosofica di Veca, “Iride” Revisione delle
Voci: Broad, Causa, Causalità, Empiriocriticismo per l’Enciclopedia filosofica,
a c. del CentroStudi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani Voci:
Circolo di Berlino, Costruttivismo, de Finetti,Empirismo logico, Fisicalismo,
Pap, Reichenbach per l’Enciclopedia filosofica, a c. del Centro Studi
Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani La filosofia della scienza in
Italia, Intervista a c. di Duccio Manetti per il Pianeta Galileo popparrini html Scienza
e filosofia oggi, Intervista a c. di Duccio Manetti, in Humana. mente, unifi. bibfil/humana. mente/ Quine e Carnap su
analiticità e ontologia: una valutazione critica, in Questioni di metafisica
contemporanea, a c. di Chiodo e Valore, Milano, Castoro. L’approccio
teorico-problematico nell’insegnamento della Filosofia, in Insegnare Filosofia.
Modelli di pensiero e pratiche didattiche, a c. di Illetterati, Torino, Pomba:
Presentazione di Luca M. Scarantino, Preti. La costruzione della filosofia come
scienza sociale, Milano, Mondatori: i070 Il convenzionalismo epistemologico al
di là dei problemi geocronometrici, “Rsf”, Bisogna conoscere il passato per
orientarsi nel futuro? Risposta a Marco Santambrogio, “Iride”, Per la verità,
ancora una volta [su Marconi, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino]
“Iride”, Mente, verità e razionalità.
Tre modelli epistemologici a confronto, in Razionalità, verità e mente, a c.
Lorenzo Ajello, Milano, Mondadori:
Spirito positivo e filosofia italiana, in Il positivismo italiano: una
questione chiusa?, a c. di Bentivegna, F. Coniglione, Magnano San Lio,
Acireale-Roma, Bonanno, Intervento alla Tavola Rotonda: Il positivismo
italiano: una questione chiusa?, in Il positivismo italiano: una questione
chiusa? La rivista “Epistemologia” tra
logica, scienza e filosofia, in La cultura filosofica italiana attraverso le
riviste: Giovanni, Milano, Angeli: Intervista in occasione del conferimento del
Premio Preti a c. di Maionchi e Manetti: interviste_p. html (Autopresentazione), in Storia della
filosofia dalle origini a oggi, Filosofi italiani contemporanei, Antiseri e
Tagliagambe, Le grandi opere del Corriere della sera, RCS libri, Milano,
Bompiani: Il pensiero di Preti e la sua difficile eredità, in Pianeta Galileo a
c. di Peruzzi, Firenze: La scienza come ragione pensante, Lectio Magistralis
tenuta in occasione del conferimento del Premio Preti in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze Verità
e razionalità in una prospettiva positiva, “Annuario filosofico”, Milano,
Mursia, Il principio di verificazione nell’empirismo logico, in Portale
Internet della Treccani, in aula/scienze umane e_sociali/ verita_ della_ scienza/
parrini. html Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma Scienza e
Filosofia, in Pianeta Galileo a c. di Peruzzi, Firenze, Relativismo e
oggettività. Il peso dell’esperienza, in Metafisica, persona, cristianesimo.
Scritti in onore di Possenti, Goisis, Ivaldo, Mura, Roma,Armando, Epistemologia [Kant e l’epistemologia], in
L’universo kantiano. Filosofia, scienze, sapere, a c. di Besoli, C. La Rocca,
R. Martinelli, Macerata, Quodlibet: L’esperienza neoilluminista nello specifico
pretiano, in Impegno per la ragione. Il caso del neoilluminismo, Tega, Bologna,
il Mulino Integrazione della Corrispondenza Pra-P. del Fondo Pra Università di
Milano: %20 Dal PraParrini. Laggiù dove tutto è possibile
(davvero), in Isole del pensiero. Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Antonio
Nunziante, a c. di Faccenda, Milano, Electa Mondadori: Metafisica, sì, ma quale
metafisica?, in Isole del pensiero. Böcklin, Chirico, Antonio Nunziante, a c.
di Faccenda, Milano, Electa Mondadori:
Il valore della verità, Milano, Guerini, Dimensioni epistemologiche del
kantismo, in Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre
tradizioni, Caro e S. Poggi, Roma, Carocci:
Scienza e filosofia: eredità del passato, prospettive per il futuro, in
Una storia delle scienze. Discussioni e ricerche, Atti del Convegno: “Orizzonti
e confini nella ricerca epistemologica” (Centro Congressi della Sapienza,
Università di Roma, Facoltà di Sociologia), Rinzivillo, Roma, La Sapienza:
Relativismo, peso dell’esperienza e valore della verità, in “Diritto e
Questioni Pubbliche” diritto equestionipubbliche.org //mono%2 0II%20-%20 Filosofia
e scienza in Italia nell’età del positivismo, Portale Treccani Croce ha accentuato il nostro ritardo
culturale?, “Il Riformista”, La pittura come scrittura filosofica. De Chirico e
la metafisica, in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, a c. di
Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Fenomenologia ed empirismo
logico, in Storia della fenomenologia, a c. di A. Cimino e V. Costa, Roma,
Carocci, Salvare i fenomeni. Considerazioni epistemologiche sul caso Galileo,
in Pianeta Galileo, A. Peruzzi, Firenze: Presentazione del Convegno
internazionale su Preti per il centenario della nascita, in Pianeta Galileo a
c. di Peruzzi, Firenze: Realismi a prescindere. A proposito di realtà ed
esperienza,“Iride”, Lezione per le “Lectiones Commandinianæ” dell’Università di
Urbino) La scrittura filosofica, in La verità in scrittura,
a c. di Bazzani, Lanfredini, Vitale, Firenze, Clinamen: Etica ed epistemologia,
in Etica, libertà, vita umana. Commenti al saggio di P Donatelli, La vita umana
in prima persona, “Politeia”, Verità e razionalità in una prospettiva positiva,
in Filosofi italiani contemporanei, a c. di Riconda e Ciancio,Torino, Mursia: Presentazione
del volume Sulla filosofia teoretica di Preti, a c. di L. M. Scarantino,
Milano, Mimesis: A priori, oggettività, giudizio: un percorso tra kantismo,
fenomenologia e neoempirismo. Omaggio a Preti, in Sulla filosofia teoretica di
Giulio Preti, a c. di Scarantino, Milano, Mimesis Il problema del realismo dal
punto di vista del rapporto soggetto/oggetto, in Realtà verità
rappresentazione, a c. di Lecis, Busacchi, Salis, Milano, Angeli: Ontologia e
epistemologia, in Architettura della conoscenza e ontologia, a c. di R.
Lanfredini, Milano, Mimesis: Kant e il
problema del realismo, in Kant, a c. di Pettoello, “Nuova Secondaria” “Esercizi Filosofici”, 1: Esercizi di
equilibrio in filosofia, in A Plea for Balance in Philosophy. Essays in Honour of P. New
Contributions and Replies, cur. Lanfredini
e Peruzzi, Pisa, ETS: Discussione sulla materia: Una prospettiva
epistemologica, “Aquinas: Rivista Internazionale di Filosofia”, Mach
scienziato-filosofo, Introduzione a Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una
psicologia della ricerca, Milano, Mimesis, Epistemologia e approccio sistemico.
Qualche spunto per ulteriori riflessioni, “Rivista di filosofia neo-scolastica,
Logical-Empiricism: an Austrian-Viennese Movement? Or an Unsolved Entanglement
among Semantics, Metaphysics and Epistemology, “Paradigmi”, Fare filosofia,
oggi, Roma, Carocci editore (v. Intervista:
letture.org/fare-filosofia-oggi-paolo-parrini/) Epistemologia e approccio
sistemico. La dinamica della conoscenza e il problema del realismo, “Rivista di
Filosofia Neo-Scolastica” Quine su analiticità e olismo. Una valutazione
critica in dialogo con Nannini, in Dalla filosofia dell’azione alla filosofia
della mente. Riflessioni in onore di Nannini, a c. di Lumer e Romano,
Roma-Messina, Corisco Né profeti né somari. Filosofia e scienza nell’Italia del
Novecento quindici anni dopo, “Filosofia italiana” Sulla filosofia degli
analitici, in Prassi, cultura, realtà. Saggi in onore di Pier Luigi Lecis, a c.
di V. Busacchi, P. Salis, S. Pinna, Milano, Mimesis: Scienza e arte, ovvero
verità e bellezza, in TBA, a c. di P. Valore, in corso di stampa
2) Empirismo logico e fenomenologia. Uno snodo fondamentale della
filosofia del Novecento, relazione su invito presentata all’International
Conference “Experientia/Experimentum”, Napoli Filosofia e storia della
filosofia: una prospettiva epistemica, relazione su invito presentata
all’incontro “Filosofia e storia della filosofia: prospettive a confronto”,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Esplicazione e rielaborazione dei
concetti, in Metodi, stili e orientamenti della filosofia, a c. di R.
Lanfredini, Carocci Editore, Roma, Paolo Parrini.
Parrini. Keywords: implicare, interpretare, antica filosofia italica, Herbert
Paul Grice, in difesa di un domma – indice to ‘filosofia eta antica’. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Parrini” – The Swimming-Pool Library. Parrini.
Grice e Pascoli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Perugia -- filosofia umbra -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Perugia). Filosofo italiano. Perugia,
Umbria. Fisio-logia. Grice: “An excellent philosopher. He philosophised on the
will, on the soul, and on a functionalist approach.” Filosofo. Lingua. Fratello di Leone P. Insegna a
Roma e Perugia. Tiene dimostrazioni anatomiche mediante dissezione di cadaveri,
come il suo collega e concorrente Andrea Vesalio. Intrattenne una vasta
corrispondenza con intellettuali di tutta Europa. Le sue opere
filosofiche e scientifiche seguono i metodi di Descartes et Malebranche. I suoi
trattati di metafisica, medicina e matematica esibiscono una filosofia coerente
e metodico che dimostra la vitalità filosofica della cultura italiana del
periodo. Saggi: “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore”;
“Nuovo metodo per introdursi ad imitazion de' geometri con ordine, chiarezza, e
brevità nelle più sottili questioni di filosofia metafisiche, logiche, morali e
fisiche” (Poletti, Andrea); “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso
esteriore, Salvioni, Giovanni Maria); “Del moto che ne i mobili si rifonde in
virtù di loro elastica possanza” (Bernabò, Rocco); “Delle febbri teorica e
pratica secondo il nuovo sistema ove tutto si spega per quanto e possible ad
imitazione de gemetri”; “Il corpo umano o breve istoria dove con nuovo metodo
si descrivono in comendio tuti gl’organi suoi ed I loro principali offij”; “De
fibra mortice et morbosa nec non de experimentis ac morbis”; “Nuovo metodo per
introdursi ad imitazione de geometri con ordine, chiarezza e brevita nelle piu
sottil qestioni di filosofia logica, morale, e fisica. Osservazione teoretiche
e pratiche inviate per lettere”; “Sofilo Molossio, pastore arcade PERUGINO e
custode delg’ARMENTI AUTOMATICI in Arcadi gli difende dallo scrutinio ne che fa
nella sua critica Papi” (Roma); “Anatome literarum sive palladis pervestigatio”
(Roma); “SOFILO SENZA MASCHERA” (Roma); “Del moto che nei corpi si diffonde PER
IMPUSLO ESTERIORE, trattato fisico matematico ad insegnare la possanza degli
elementi quatro” (Roma); “Della natura dei NOSTRI PENSIERI e della natura con
cui si ESPRIMONO. Riflessioni METAFISICHE” (Roma); “Del moto che nei mobile si
rifonde in virtu di loro elastica possanza” (Roma); “De homine sive de corpore
humano vitam habente ratione tam prospera tam afflictae valetudinis” (Roma); “Delle
risposte ad acluni consulti sulla natura di varie infermita e la maniera di ben
curarle con una notizia della epidemina insorta nel GHETTO GIUDEO di roma, e
del congatio de’ buoi ne” (Roma); “Con una breve notizia del mal contagioso dei
buoi”; “Opuscoli anonimi in difesa di Alessandro Pasocolo” – si credeno suoi
soi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Lalande, Dulac, Billy. Elogio. Bartelli, letto con Lic. de' Superiori decimo
lustro il secondo a n no già corre, da che le suoi ceneri, filosofo perugino,
sotto un'umi le sasso mute riposano in Roma, dalla Patria,ahi! pur troppo
neglette. Qui nacque, quà si educa, quì sparse per decennale tempo i lumi della
filosofia più sublime, insegnò ed esercitò qui Medicina. E celebratissimo
perfino oltre Italia; e tanta gloria egli accrebbe alla perugina Medica Scuola,
che forse questa per opera d'altrui a tanta rinoman za non 'mai pervenne :
nulladimeno sulla di lui tomba alcuna corona di patrio lauro non siposò, nè del
suo nome videsi ancor fregiato un'Elogio. Penso peraltro che Tu non debba di
ciò do lerti , ora che siedi puro ed impassibile sull' eter no seggio dei
Buoni; dacchè se vivente fosti il più fido seguace delle profonde dottrine del
forte animo di Cartesio, forse oggi di averne auta pur anco comune la sorte
oltre la tomba tu ti com . piaci Al vivere suo aprì Cartesio le luci nel bel
suolo di Francia , e sulle scoscese balze di Svezia le chiuse e sebbene
tornassero , dimandate le sue ceneri nelle Gallie, pure cento anni pas
opra il sesto decimo lustro Soprailsesto 0; sarono prima che di lui si leggesse
un encomio. Il nostro P. in Perugia nasce Roma les ue ossar accolse, nè furono
queste da'suoi concittadini manco desiderate; e solamente dopo
ottantadue anni, nella stessa sua patria, oggi al cun poco di lui si
ragiona. Piacciavi, accademici valorosi, che io ne parli almeno ad onore di
questa sua terra natale, ed'a gloria di quella medica fronda di cui venne
meritissimamente il suo crine ricinto', che quì splendeva allora più ver de e
più onorata. Nè voglio credere che siavi alcuno il quale reputi vana cosa
questo mio dire; imperocchè, Lui laudando, essendomi dato di e sporre dottrine
non'tutte convenevoli a' tempi ne quali si vive, ciò non torrà certamente che
Egli non debba essere reputato grande Filosofo e som mo Medico: essendo che se lafilosofia
e la medicina, o da meglio dire, se ogni umano sapere soggia cé par troppo a
cangiamento coll'andare dei se coli, è cosa costante che la verità e l'errore
só no di tutte le menti nostre retaggio ; sicchè tut ti i secoli e tutti gli
uomini da non pochi lati si avvicinano sempre fra loro. Col progrediredel secolo
decimo settimole scienze tutte di più chiara luce folgoreggianti,per la via
progredivano del possibile loro migliora mento :Sciolto lo spirito umano dagli
opprimen . Se questo Elogio di Alessandro Pascoli potrà servire a qualche
riparo del lungo silenzio in che ilsuo nome si stétte ; se a sprone di studiosa
gioventù possa per buona ventura tornare, se del lo estinto encomiato e di
Voi., dotti Colleghi, non tantoindegno riesca, al fine da me proposto
lietamente mi stimerò pervenuto. O ti legami del Peripato, erasi finalmente
avveduto della sua nobiltà; e la mente erasi accorta pote re da se stessa
pensare . Sembrava che la natura tutta fosse giunta a tale momento di crisi,
dalla quale aspettare si dovevano grandi cose e grandi uomini; e grandi cose e
grandi uomini difatti si ebbero. Fra questimolti, fiorirono Dracke, Copernico,
Ticone, Keplero, GALILEI, Bacone, e finalmente Cartesio, destinato dal cielo a
compiere il bramato rinnovamento negli studii moltiplici della natura. Appena
ilgrande Filosofo dell'Aja di chiarò al mondo intero non doversi alcuna cosa
ritenere per vera , quando che non venga dimo, strata per tale; appena
disse'che la umana mente deve tutto in dubbiezza riporre, finchè alla cer tezza
non sia pervenuta;'e di queste le fonda menta non che i caratteri stabilì ; lo
studio ed il filosofare degliuomini dialtropiù nobilesplendo re si rivestirono.
La geometria,la logica, lameta fisica, la fisica, e la medicina medesima in più
stabile e più onoratá sede allora si collocarono . Il secolo diCartesio
segnòmai sempre una delle e poche più luminose e memorande nella storia del
l'umano intendimento, imperocchè ogni1 dotto partecipò del beneficio influssodi
questo tempo; ed il nostro P. divenne Filosofo col divenire Cartesiano. Se non
che non solo di Filosofia ma di medicina altresì ai nobilissimi studj sentissi
da natura invitato; e cono scendo la forza del proprio genio, nol poterono. Comincia
con Cartesio dal dubitare e quindi giunse a persuadere sè stesso , tro e
6 distrarre da quelli ne i solerti padri di gesú che accorti iniziandolo nelle
regole del loro Istituto cercarono farne conquista.; nè il volere del padre il
quale all'officio del foro il destinava. Vide egli bene assai per tempo come a
corre merita mente il medico lauro, doveva alle filosofiche discipline tutto sè
dedicare. Perchè la filosofia di ogni umano sapere è fondamento primiero.
Accostumato come Cartesio a meditare più che a leggere, a pensare più che a
parlare, medita sul le opera di quell sommo e le studia intensamente, facendosi
propri i di lui principj , e tutta la filosoficacartesianatelasvolsee conobbe. Il
discorso sul metodo, le metafisiche meditazioni, le regole per la ricerca del
vero, il trattato sull’uomo di Cartesio sono a lui splendentissima face onde
dirigersi nel difficile sentiero della filosofia. Cosi lo studio di questa
precedette e quindi 'accompagna quello della medicina, non mai volendo egli
l'uno dall'altro separare. Tra noi, ai giorni nostri tristissimi , sembra
essere riserbato vedere non poca turba di gioventù male accorta gire in traccia
di medica scienza senza lo inestinguibile lume del più retto filosofare, senza
la conoscenza della natura , di sė medesimo, e perfino del proprio idioma
nativo. Vergogna s o m ima di que'paesi e di que'tempi che vogliopsi dire
illuminati! E per attribute diverse.Quin di dalla cognizione dell'Io personale
passa a quella pe ressenza perfetta che è Dio. Traicanoni della filosofia
cartesiana erayi quello di ritenere e gate si trovano le verità : donde poi le
idee in nate,dondela concatenazione diesse, la quale incominciando da dio
scende all'anima umana, quindi ai corpi, quindi ai bruti, quindi alle cose, tutte
della natura.E quifa duopo ricordare che mentre Cartesio col suo dubbio
universale prese la via delle speculazioni intellettuali a sta bilire i gradi
della verità , Bacone da Verulamio, coldubbio stesso fondamentale, prese la via
del le sensazioni, ed al fine desiderato pervenne in cammino più regolare e
meno incerto. Piega alquanto piùla sua mente al Cancelliere d'Inghilterra che
al pensatore dell'Aja. Ora chi potrebbe mai credere che dopo ise coli di Bacone
e Condillac sorgessero nuovamente, nelle dottrine delle idee, i secoli di
Cartesio e di Malebranche? Eppure oggi è cosi. Umana mente! Varsi esistenze
fuori di noi, erisultarel'uomo da un corpo e da uno spirito, sostanze
interamente fra loro per essenza e’che i sensi sieno ingannevoli guide alla
umana ra gione ; e che perciò l'anima nostra ha in se stes . sa e per se stessa
principj stabili, cui tutte le Ora tornando al nostro laudando diciamo che
parlò egli primamente della esistenza e durata d e glienti modali; poscia
diquelle sostanze che nelle loro idee inchiudono essenzialmente un qual
che modo di essere';e fondo le principali massi me della umana certezza sulla
esistenza de'corpi. Dalle essenziali proprietà degli enti corporei stu diò pur
egli l uomo sotto il duplice rapporto di sua materiale e spirituale sostanza; e
ragionando dell'anima, ne fissò la essenza sulla immateriali tá di lei, donde
le sue potenze intelletto é vo lontà . La credette immortale; e mentre Cartesio
ne tacque la dimostrazione, scrivendo in una sua lettera non essere necessario
di mostrare la immortalità dell'anima tostochè siasi provata la sua
spiritualenatura, non volle tacerla col pubblicare il discorso sulla
immortalità dell anima umana. Da troppa vanitàdinome; ed al desiderio di
piacere agli amici, motteggiando alcun poco, egli fu 'mósso a scrivere contro
Papi filosofo sabinese sostenendo a tutta possa, ma non con persuasione di
aninio, le dottrine del suo prediletto Cartesio sulla vita antomatica delle
bestie; volendosi però nascondere bizzarramente coll'intitolare il suo saggio
“Sofilo Molossio Pastore Arcade Perugino Custode degli’armenti automatici in Arcadia.”
Apparve preziosissimo a tutti questo saggio e se ne m e nò'romore in tutte le societá
dotte di Roma. Tali erano i sali attici in esso 'raccolti, i vivaci sar casmi, ileggiadri
concetti. Avvenne però che dopo sei annila suprema inquisizione con decreto
solenne condanna l'opera del Pastore Arcadico Sofilo Molossio. Ale 8
e e le sue ferme opinioni sull’animalitá delle bestie. Protestandosi in
mille modi vero seguace di PITAGORA, e vero devoto a tutto ciò che la umana
credenza prescrivesi. Fu questa la sola nube che per poco offuscasse l'ottima
fama di Pascoli nel corso della lunga etá sua, é questa fu del suo animo la
dispiacenza più viva. песа. Applicatevi dasenno a filosofare, poi che per tale via
depurate la mente umana da gl’errori che la offuscano, e sollevata dalle
passioni che la opprimono, si eleva cosi libera e tranquilla a tale grado di
serenità, dove gode veramente di se medesima Stabilito avendo lora fu che P.
accortosi dell'errore cui con dotto lo aveva una sua male accorta vanità di
spirito , ritrattò subito pubblicamente le sue opinioni; e nelSofilosenza Maschera
scuoprì il suo vero nome Erano pure a suoi tempi, quali oggi vivono, alcuni
falsi sapienti, che superbamente umili, abusando del comune adagio, id tantum
scio quod nihil scio, il più irragionevole scetticismo nelle coșe tutte
proclamavano , e di ogni credenza e di ogni filosofia si facevano dispregiatori
e nemici. Contra tale specie di stupidi pensatori si scaglia il nostro P.; e fa
conoscere come filosofare non altro è se non se rettamente pensare, essendo che
chi mal pensa conviene che male discorra, Sulle traccie di Platone, di CICERONE,
d’AQUINO, di Cartesio, ripete a tutti con se l’apprensione, al giudizio, al
discorso, al metodo; e a diligente disamina tutte prendendole, forma il suo saggio
di logica, seguendo ugualmente la prediletta sua cartesiana maniera. Espnse
quindi i precetti del ben' apprendere, del ben giudicare, del ben parlare, del
ben disporre. Prefere il metodo analitico che il pensiero è all’anima
essenziale, come alla materia è la estensione, parla delle operazioni del
nostro intelletto, le quali riduce all' per I studiare le cose, elo chiamò
metodo di risoluzione o di disciplina. Si servi del metodo sintetico per
insegnare ad altri, e lo disse metodo di composizione o di dottrina. Dopo che
la scienza del calcolo per la invenzione de' caratteri algebrici si fa più
ordinata, e di più estese applicazioni capace, lo studio delle matematiche
divenne universale ad ogni sapiente: e di quanta utilitá si renda allo sviluppo
dell'umano intelletto ed alla ricerca del vero, ognuno di leggeri il conosce .
Studio si fatto non poteva es sere dal nostro Pascoli trascurato, e sulle opere
del Gottigues, dello Scohetten, di BARTOLINO; dell'Ozanam , di FARDELLA, di
Cartesio si forma matematico. Scrive il saggio di logistica od arimmetica, nel
quale prendendo a trattarele quat tro operazioni fondamentali, non in cifre
numeri che, ma in algebriche, intitol il suo lavoro col nome di “Arimmetica
nova o speciosa,” ed applicando le stesse operazioni alla dottrina de'polinomii, la
quale perviensi a studiare le leggi del moto. A lui però non piace solamente
seguire le dottrine di questi sommi, ma cerca direnderle più facili epiù
sicure. Lascia di ragionaré del moto in astratto; e col tatto, colla vista, coi
sensi, in concreto lo esamina. Parla della natura, condizioni, proprietà, e
leggi del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza. Quindi si
lancia col pensiero, in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo del sole.
Con tale chiarezza di principi, con tale ordine d'idee egli ne seppe parlare
che meritò l'approfazione sincera ditutti i dotti e capace. Archimede, GALILEI,
Gassendo, Rohault, Cartesio hanno già insegnata la strada per la quale
perviensi ed alle equazioni, dette compimento alle sue fatiche sulla indole dei
nostri pensieri. Pose poi mano alla fisica, od a quella scienza vastissima , la
quale avvicinando al nostro pensiero le cose materiali che ne circondano, fà
che lumana intelligenza al più alto grado di sublimi tà siconduca L'uomo di fatti penetra con la sua scorta i
più nascosi secreti della natura; e con leipasseggiandolaterra e con lei
traversando glioceani,e su cieli passeggiando con lei,fache sopra tutto il
creato sovranamente s'innalzi. La prima verità che ci insegna la fisica è che
il m o to costituisce il fondamentale fenomeno de'corpi tutti. Ond'è che tutto è
movimento in natura,o tutto a movimento èdisposto, o tutto di movimento è. Il grande
matematico e fisico cremonese BIANCHINI glie ne dette la più solenne e pubblica
testimonianza Mi si dia materia e moto, dice Cartesio, ed io imprendo tosto a
crea re un mondo, il P. con maggiore umilta così diceva “ Materia e moto sono i
due prin n.cipali strumenti, donde con sua possanza si » vale Dio, dimomento
inmomento, aprodur 9. rac racoli, e miracoli di stupor infinito. Si ode oggi nelle
nostre scuole far menzione di un etere comune, di un imponderabile unico ed
universale, motore di tutti I fenomeni iquali hannoluo go "nei movimenti
della materia e degli animali. Le scuole Alemanne apreferenzadialtre risuo nano
di questa materia unica-eterea, capace a prendere diverse forme ed aspetti,
tutto pene trando investendo agitando il creato: La vide pure questa materia
motrice universale: ciò che dicono oggi con tanto entusiasmo, e for se con
troppa persuasione dinovità, Mesmer, Wohlfart, Sprengel ed altri sulfluido
elettro-magnetico universale; ciò che con tanto calore pro e con eguale
robustezza di argomenti dimo strato dal nostro Alessandro 1 e in natura, senza
miracolo , continuati min & clamano Lennosseck, Prokaska, ed Ennemoser
sulfluido biotico universale de corpi viventi, era stato già conosciuto non
meno chiaramente dilo ro, Finalmente volle ardimentoso inalzare i suoi sguardi
ai movimenti del sole e nel vastissimo campo dell'astronomia tentando
alcun passo quale ché suo opinamento volle manifestare. Si dichiara del sistema
astronomico di Copernico e di GALILEI oppositore fermissimo. Ma qui potrebbe
dataluno dimandarsi, se il facesse egli forse per tenere dietro alle massime proclamate
dalla romana corte nella quale viveva? Nò. Chè la saggia condotta dei prudenti
interpreti delle sacre corte ha assai già moderata la forza di quegl’anatemi
scagliati un secolo innanzi sulla tomba del riformatore di Thori, e sul capo
del pensatore pisano. Potevasi allora dalle pubbliche scuole o ne communi
discorsi dei dotti liberamente difendere (come ipotesi) ilmovimento terrestre e
la stazione solare, senza tema di contraire brutte macz chie nell anima, o a
spiacevoli incontri soggiace, re Ond'èchese con tutta la forza del suo'sapere alla
copernicana sentenza si oppose, ciò fece'con intima persuasione di mente , e
non per condiscendenza di basso cortigianismo. Nei e il solo che dalla credenza
di Copernico lungine stasse. Imperocchè fra i moltiche ridi re potrebbonsi,
quel grande onore d'Italia, quel l’astronomo profondissimo della dotta Bologna,
MANFREDI, basta per valente compagno del nostro Alessandro rammemorare. Vero si
fu peròche a fronte degl'ingegnosi sforzi di tanti uomini insigni, prosegui
ilsuo cammino la terra, è fermo il sole si stette. Qui terminarono le fi losofiche
laboriose occupazioni di lui, e conqueste sole poteva rendersi della Patria e
della nazione assai benemerito : ma fu pure medico P., è inedico di altissima riputazione.
Se sono grandi i nomi dei restauratori della umana filosofia, non meno grandi
furono quelli di Silvio, di Lancisi di Baglivi, di Ramazzini, e di altri che le
medie che scienze ad alto grado di rinomanza condussero. P. vive nel tempo in cui la medicina seguiva
tuttora le insegne de'Jatro-chimici, dell'Elmonzio, e del Silvio; insegne che
stavano già per cangiarsi dal Santorio e dal Borelli,onde quelle trionfassero degl’átro-matematici
ed e meccanici. Nè si per verrá mai a spiegareun costante ed unico vessillo
sotto il quale si raccolgano in ogni tempo i cultori della medicina le che sia
proprio di lei in tutte le età che trascor. rono? Grande e funesto destino, a
molte scienze comune , alla medica comunissimo! Conosce in quali giorni vive;
quale del secolo suo fosse dominante lo spirito; e pieno di alto ingegno, nella
medica scienza si fè valente: Cartesio aveva per dodici interi anni
studiato'l'Anatomia a fine di ben conoscere l' uomo ; e il nostro P. per non
minore tempo applicò la sua m e n te allo studio profondo della struttura del
corpo umano. Annuncia sulle prime ai dotti un trattato riguardante i
cangiamenti che provengono agli organi corporei per cagione delle passioni:
pensiero veramente sublime sul quale però le speranze di ognuno restarono pur
troppo delase . Ai tempi del nostro Alessandro l'Anatomia non aveva ancora stretto
con altre naturali scienze quel sutile nesso di che oggi si onora; né quel filo
sofico linguaggio, nè quelle sottili applicazioni si trovavano in essa, siccome
in quella d'oggidi noi ammiriamo. Alle fatiche ed allementi sublimidi Scarpa ,
di Soemmering, di Mechel, di Portal, e dell'immortale Bichat dobbiamo la
eccellenza cui oggi l'anatomico studio è pervenuto . Nè Vicq d’Azir, nè
Geoffroy di Saint Ilaire', nè Blecard, nè Gall vissero in quella età; pure
potevasi quel tempo chiamare il tempo delle scoperte anatomi miche. Erano già
nati gli scrutatori sommi"dell’uman corpo Arveo, Senae, Asellio, Willis, Nuck,
Malpighi, Ruischio, Lancisi ed altri. Vive e studia con Redi. Ciò basta.
Insieme per più tempo in Firenze si occuparono indefessamente di anatomiche
dissezioni e quel dotto scrittore toscano ha caro Alessandro quanti altri mai,
al grande Cosimo presentandolo quale soggetto degnissimo di tutta la
considerazione sovrana. La fabbrica del corpo umano dal nostro encomiato
descritta non presenta, è ver, peregrine cose. Ma l'ordine, la chiarezza, la concisione
rendettero il saggio suo utile al pubblico insegnament , pel quale oggetto egli
stesso si protesa averlo unicamente composto. Quando il gran Malebranche si
avvenne nel libro dell'uomo di Cartesio, ed ipcontrò in questo filosofo un
ge vio simile al suo, prese (dice l'elegantissimo Fontenelle) il grande partito
di rompere ogni commercio con le erudite facoltà, ed in seno del cartesianismo
tutto si abbandona. Legge il saggio medesimo di Cartesio, lo medita profondamente
e scrive egli pure sull'uomo. Mentre però l'uomo di Cartesio e di Malebranche
fu l'uomo del metafisico e del filosofo, l'uomo nelle mani del P. e l'uomo
dell'anatomico e del medico. Ha somma intelligenza nell'osservare i fenomeni
dellaumana vita, sicchè lemas sime del suo Cartesio con quelle modificate del
gran Cancelliere d'Inghilterra, formarono in lui quello spirito di filosofia
induttiva, il quale alla ricerca del vero nelle cose di fatto e perciò in
medicina, è l'unica sicura via. Scrivendo dell'Uomo prese Alessandro il giusto
partito di primamente designarne le parti , quindi ad esse dare vita ed azione,
poi de'mali a cui vanno soggette tenere ragionamento, e fi nalmente l'opportuno
metodo curativo de morbi con tutta la modestia del dire proporre. In tale modo
ilnostro encomiato presentò alpubblicoun tesoro di dottrina, che per molti e
molti annida ogni medica scuola Italiana fu allo insegnamento de
giovani:offertoe prescritto, riputatolo per il prezioso e completo deposito
della medica scienza. Le opinioni di Galeno e di Silvio erano quelle che fra i
cultori d'Igea in quel tempo tut tor dominavano, Stava per sorgere la setta del
più solidismo, ed Elmonzio, Cartesio, Silvio erano ancorai tre
grandi nomi proferiti dalla bocca di tutti; cosicchè fra i conciliatori e
moderatori di questi tre Principi delle mediche scuole si e mento etereo piú
sciolti gli umori , ed il moto fer mentativo di essi prodursi. Questo elemento
lá presiedere alla circolazione sanguigna, qua tutto il fonte del calore
animale sostenere perenne. Era quest etere per Alessandro la fondamentale sor
gente delle fermentazioni non naturali, donde le febri tutte nascevano che ove
accada condensa mento di esso, le maligne; ove soluzione, le benigne; ove
infine abbia luogo latente glandolare fermento, originarsi le intermittenti opinäva.
Poi te dottrine fisiche di questo etere universale espone, la sua azione sulla
vita degli organi, finalmente l'applicazione di esso alle dottrine di Scrodéro,
di Hoffmanno, di Etmullero, di Lemery , e degli altri molti di quella età . E
forse che non potremmo noi parlare lo stesso linguaggio, sostituendo al nome di
etere cartesiano quello di elettro-magnetico? Io i l dimando Abituato il nostro
P. fin dall'infanziaa piegare la sua mente al metodo geometrico e a disporre le
sue idee con quell'ordine e successio ne, utile al buon’acquisto di tutte le
cognizioni il nostro P.. Quindi è che nelle sue opere parlasi dello
spirito di Willis, del fuoco di GIRGENTI,del l'archeo di Wan -Helmonzio, del
primo elemento di Cartesio :e si dice farsi per virtù di questo ele pose + 17 +
4 Oltre al suo trattato dell'uomo, che abbraccia l'intero studio della
medicina , sono numerosissimi i suoi Consulti, le sue Lettere, i suoi
Votiemessi in oggetti di pubblica sanità.Incau se dificili di Foro canonico e
civile, in Canoniz zazioni di santi uomini diede Pareri e Giudizj, che
guidarono le Autorità competenti a retti es en sati decreti Avendo inoltre il P.,
saputo unire a somma dottrina, urbanità di modi nel conversare , ed umiltà di
espressioni nel parlare e nello scrivere, non é a stupirsi se ai dotti d'Italia
ed oltremonte rispettabile e caro addiyenisse L'amicizia che seco lui ebbero un
Redi, un Magliabecchi, un Montemelini, un’Ottaviani, un Lesprotti, un
Zannettini, un Lambertini, un Segur, un Baglivi; da quali o dedicazioni di
opere, o non interrotte scentifiche corrispondenze, o laudi sincere egli
ottenne, siccome fecero pure un Bianchini, un Loy, un Marini, uno Sprengel, un'Aller
; ci ayvisano dovere riporre P. fra gli uomini grandi, che in filosofia ed in
mea umane, e preciso nel descrivere gli organi, chia ro nello esporre i fatti,
esatto nella diagnosi, cautissimo nella prognosi. E poi semplice quanto mai possa
dirsi nel metodo del medicare, e dichiarossi nemico di ogni farragine
farmaceutica, ripetendo sempre a se stesso e ad altri che a buon medico pochi
medicamenti bastano o 18 di pintore pochi colori. come a buon ; dicina
fiorirono fra il terminare del secolo decimo settimo e del decimo ottavo sul
cominciare, Il nostro P. legge in Roma anatomia e ,edicina dalla più fiorente
alla più tarda etá sua, grandi opori godendo e distintissime cariche sem pre
occupando. I papi Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII. lo
hanno a medico, Archiatro lo salutarono, Protomedico lo proclamarono, lo
scelsero Conclavista. Del supremo tribunale sanitario, della congregazione dei
sacri riti, fè parte onorata e principale, tanta era la dottrina che quella romana
corte in Lui venerava . Potrebbe forse da taluno di noi dimandarsi se il
Pascoliavesse meritatosigrandeecomune conside razione come Medico
pratico,quanta ne ebbe come teorico;imperocchè pur troppo è duopo riguardare la
medicina sotto ilduplice aspetto diScienza edi Arte. Difatti non rade volte
accade che amedico quanto ésser si voglia dottissimo, manchi quel tatto
pratico, quella squisitezza di medica vista, e, dicia molo pure ,
quell'inesplicabile nesso di favorevoli 19 Dopo che per due lustri dalla
patria Univer sità degli Studj, e dalle private Accademie le fisi che,e mediche
scienzeinsegnò,Padova eRoma il chiedettero a gara , generosamente patria
novella offerendogli. Il Pontefice Clemente undecimo a se chiamatolo, fece si
che a Padova, cui era già sul punto di recarsi, Roma preferisse. E così Perugia
lo perdette per sempre e E quièben forza credere che P. vivendo
dodici lustri in Corte, in Roma, tra Grandi , tra Principi sempre; cui furono
affidati in téressantissimi negocj delle Principesche Famiglie Albani, Chigi, Rospigliosi,
Sora ed altre, fosse di grande ingegno, di profonda politica, di somma
costumatezza dotato; dacchè, una di queste do ti che manchi, a sorte sì grande
non si pergie ne , o per poco di questa si gode. Difatti sappia m o come tra le
tante virtù che lo adornarono, erano prime il decoroso contegno in che egli si
tenne, l'essere del suo buon nome forte difenditore, il incontri e di
buone venture, che tanto valgono al la propizia riuscita dell'esercizio clinico,
e su cui la opinione e la fidanza di ottimo e felice medico riposa. Nel nostro
Alessandro sembra che tutto si riunisse a renderlo valente nell'arte come nella
scienza rinomatissimo. Ed in vero pel lungo corso che visse all'aura del
Campidoglio, non fuvvi personaggio distintocui non prestasse medica mano o
medica consultazione. Oltre ai pontefi ci sopraenunciati, la regina di Polonia
ed i suoi figli, gli Elettori Bavaro, Sassone, e Coloniense, la Regina
d'Inghilterra, ed ogni altro Principe e Grande, (a quali sifortemente il vivere
più ca le ) lui ebbero a tutela de' propri giorni bene ed ilparlar pensar bene
di tutti, siche tutti rispettando ed amando, seppe da tutti rispetto riscuotere
ed amore. Cosi Roma e ammiratrice di un filosofo Perugino. Ed il suo nome
onorato più spesso colà che tra noi si pronuncia forse e si ripete.
Lontano dagl'incanti del bel sesso, ne fuggi perfino, in quanto il potè, la medica
cura. Che più? Con religiositá e fortezza di animo sostenne una completa
cecitá, senza che in se stesso foss'egli meno tranquillo, nè meno fosse da
altri dimandato e compianto. Che se al possedimento disua vasta dottrina, se al
buon successo dell'arte sua, se al corredo delle nobili doti dell'animo che in
P. fece ro si bella mostra di loro, si aggiunga la felicità de' tempi nei quali
visse, dovremo anche meno stupirci che potesse egli giungere al più alto grado
di celebrità e di onoranza . Io voglio dire la felicità dei tempi; ossia quell buon
tempo ai dotti propizio, in cui dessi sono veramente stimati, e nel quale i
Principi, ei Grandi concorrono agara (siccome oggi) informar li, tosto chè i principi
e i grandi bene conoscono che le scienze e le lettere sono veramente il
sostegno de’ troni, e delle nazioni delle cittá dei paesi il primo ed il più
luminoso decoro. Ed alla estimazione de' medici credo che non poco in ogni
tempo contribuisca la buona Fidanza de'popoli, colsaldo tenersi di quel velame
che agli occhi del volgo i misteri nasconde d'Igea; velame tanto utile che sia
serbato; imperocchè la remozione di esso chi ne abbisogna e cui serve
reciprocamente danneggia. Dopo si grandi fatiche, carico di meriti e di onori,
questa misera terra abbandona e perenne ricordanza dei posteriche cirima
ve dilui? Laviva fama delle suetante virtù, ladi lui valentia nell'arte del
medicare; e più ci restano i suoi numerosi volumi , depositarii immanchevoli
del vasto sapere nelle fisiche e nelle mediche facoltá. Saremmo noi co tanto
ingiusti per dimenticare i sudori dei dotti che ci precedettero, solamente
perchè il modo loro di filosofare non è più simi le a quello de'tempi nostri? E
vorremmo noi far ci riputare così creduli e così inorgogliti nel lusin garci
che alle dottrine ed alle massime nostre del la filosofia e della medicina,
tutti coloro che ci suc cederanno coi secoli pieghino riverenti la fronte e le
venture età inalterato rispettino ciò che ad esse faremo noi pervenire? Non
siavi chi lo cre da , o la storia dell'umano sapere ne disinganni, Ond' è che
degli esimj ingegni, dei benemeriti cittadini, degl'insigni scrittori,sebbene
lunga serie di anni da essi ci divida, serbare si debbe ricor
danzavivissima,afronte decangiamentiaquali può girein control'umano filosofare e
il medico opinamento. Si, dotti Accademici, apprezziamo mai sempre le fatiche utili
de' trapassati, se nei miti noi buoni esempli, se ne rispettino i nomi ; ed il
titolo a non meritarci d'ingrati, le loro tombe di verdicorone di lauro con più
frequenza e con più giustizia si onorino. Rivolgendosi al Busto marmoreo
dell'Encomiato, che innalzavasi nella Sala dell'accademia. Tutto ciò che vien
detto di Alessandro Pascoli in questo Elogio, come filosofo e medico , è tolto
dalla let tara ed analisi fatta delle molte sue opere , in diversi tem pi
pubblicate; il catalogo delle quali trovasi registrato nella Biografia dei Scrittori
Perugini delchiarissimo Cavaliere Gio. Battista Prof. Vermiglioli all'Articolo
P. Alessandro. Noi credemmo di non trascrivere ibra ni medesimi dell'Encomiato,
a conferma de' suoi detti e delle sue opinioni , e ciò per non aumentare la
stampa inu tilmente; sapendo che agli eruditi medici sarebbe ridire le cose
stesse le quali nelle opere di P. già bene conoscono, o potranno rilevare
quando lo vogliano . Quello poi che riguarda la di lui vita privata e so ciale
lo rilevammo dalla storia di sua famiglia, dalla Biografia sopracitata; nonchè
da quella degli illustri italia ni compilata dal chiarissimo Sig. Emilio de
Tipaldo, Venezia. Finalmente da non poche pregevoli notizie ms. lasciate da
Francesco Aurelio Ginanneschi, giovane di Alessandro P., ed ultimo che stet te
venti e più anni con lui, e perciò informatissimo della sua vita. Questo
ms trovasi presso di noi. Nacque da
Domenico P., e da Ippolita Mariottini. La famiglia dei P. fu originaria di
Ravenna, siccome ne scris se Celso , fratello del nostro Alessandro , nella
storia del la sua Casa. La prima di esse fu stampata in Roma, Zanobi, dedicata
a Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI. La seconda che contiene tutta la
di lui ritrattazione e pubblicata egualmente in Roma in 8° per il Buagni, dedicata a Banchieri assessore
del S. Officio. Ambedue queste operette interessanti la vita letteraria ed i
sentimenti morali del P. le abbiamo nella Biblioteca pubblica Scaff. Quando la
Regina d'Inghilterra in Roma lo chiama a medicarla, nell'atto di presentare il
polso, gli disse. É vero, Sig. Dottore, che voi non avete piacere di medicare
le donne? Alla quale dimanda egli risponde. É verissimo, ma non le regine. Muore
in Roma. confortato da tutti gli ajuti della Religione, Gl’ultimi18 circa dei quali
in una completa cecità Fù sepolto nella Chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo
de' RR.PP, Teatini- La Iscrizione sepolcrale umile, compostasi da se medesimo,
e che trovasi tuttora sopra l'avello, è la seguente. Hic Posuit Exuvias In Die
Irae Resumendas Alexander Pascoli Perusinus Verissimo. Non mi piace medicar le
donne, ma non le regine”,eforsedeglialtri,chesap di Antonio Blado); Trattato
della mutazione dell' altra Lettera si apprende che avea aria,in4. Roma per Alessandro
Gar. Pure scritto un trattato di Rettorica danoec.Di questo opuscolopro- eprincipalmente
sulla Invenzione dusse il suo giudizio il Bonciarioia dicui ne offer copia allo
stessoBon una letterainedita. Perchèi Digesti si allegano morie di sua famiglia
originaria di Ra iniscrittoperdueifedil paragra- venoa, epoistanziataio Perugia;
eda fo per due ss congiunti. queste memorie medesime passate quin 2. Del parto dell'Orsa
. piano e non siano appassionati. Da V. Conclusione del Tribuno della
scoli, ed. Ippolita Mariottini. Termi plebe, in 4. Roma per gl’Eredi di natii giovanili
suoi studii presso ipp. suo articolo, e dal Vincioli nell'opuscolo sullo stesso
argomento. I ràstampata velan anderò. Leco- Dizionario medico,che egli di e che
io farò non saranno da sco- morando in Firenze , studiò assidua »lare, e latine
per qualche mese, ma mente all’ospedale per fare osserva volgari, e contro tutta
l'Accademia zioni anatomiche, e per potere così fiorentina, massime sopra Boccaccio,
migliorare un suo Trattato sul cangia Gennajo da Domenico Pa. egli tolse a
seguire la medicina VI.Versiin Lode delleacquedi incuineotlenne le magistrali insegne
S.Galgano. Ci vengono ricordati dal. quando contava soli anni 21. Grisaldii o quelle
lettere rammentate al Posciasirecò in Firenze a meglio apprendere la scienza
salutare alla scuo e ciario. della Poesia,in CelsoPa. IIF. Questione di Giovanni
Osma. Romapergli Eredi rino Gigliotto Magistrato. anguste ma lucrose vie del
fo. PAPA scoli fratello di Alessandro, e di Leg IV. Risoluzioni di quattrodubbj.
ne, dimorando in Roma scrisse le me di a suoi posteri, noi raccoglieremo le
3.4. Del Perseo, e del Pesco, e brevi notizie di Alessandro, e Leone. loro
natura. Roma per gli Eredidi Nacque Alessandro in Perugia nel Gigliotti, in Giovanni
Gigliotti. E'questo un' Gesuiti, che conoscendolo di bello in opuscolo con cuisicoufutano
leopi- gegno, desideravano a loro condurlo, e nionidi Plutarco, del Manuzio edel
terminate gli studii legali, perch è il Sigonio, I quali credettero che il Tri-
padre voleastrascinarlo miserameate buoo della plebe in Roma non fosse per le
ro taliana, esopra Boccaceio. Gioviin- buone speranze, nonostante che si
tenderne poche parole: Sostato tardo riducesse agli estremi. Ristabilitosi torn’a
rispondervi perchè m'ha ingomnò a prospera meale esercitare la sua brato tutto più
di un mese una com- professione, e colfavore del dotto Mae »posizioncella che ho
fatta per un stro, potè presentarsi al Gran Duca »mio patrone, la quale subito chesa-
Cosimo I. Aggiugne l'Eloy nel suo ladi Kedi, e mentre co Da una lettera inedita
di Lorenzo si sotto di lui attende alla clinica, al Bonciario sembra che egli sia
ccin- fuda mortale malattia sorpreso, ma gesse a scrivere anche sulla Lingua i-
il Redi medesimo ne concepì sempre e èverissimo, ma non le Regine. Fu
Rimpatriato nuovamente si posea anche medico straordinario dei Ponte studiare le
lingue greca e latina sot- fici Clemente XI. Innocenzio XIII. Be to il Canonico
Guidarelli, dicuiveg. Pedetto XIII. e Clemente XII. incom gasil'articolo, e le Matematiche
sot- pagnia di Leprotti, il qua to il Dottor Neri, mentre non lascia- le molto profitta
de'consigli del Pa vadi attendere anche alla Medicina scoli. Dove aessere medico
primario pratica, solto LodovicoViti; nè passò pontificio, ma per non imbarazzarsi
poi molto tempo, che ottennein pa gui la giubilazione. Veggasi la dedica
premessa alla sua opera de Hom inc . Marini Archiatri Pontificj Caraffa de
Gymn. Rom. Com, in stud. Med. Borhe. Valen. e nuovamente tra le disputazioni mediche
raccolte dall' Halleer, per le approvazioni da farsi ne'miracoli Ad altri onori
fu innalzato in Ro- operatia di ntercessione de’Servi del Si ma, imperciocchè ebbe
luogo frai gnorenella loro canonizzazione e, e si XII. Archiatri del Collegio de'
Medici dique’ prodigjdistese pure alcunedi e fra gli Arcadicon il nome di Sofiló
squisizioni. Professa la Medicina con Molossio.Varie istituzioni sanitarie lo
semplicità, e dioesiche il rinomatissi ebbero a medico in Roma, ove cura mo Cardinale
Alessandro Albani Camer la Regina di Polonia , ed il suo figliuo- lengo, lo
ebbe in tanta stima, che non sole conferire impiego a perugin , se non gli
veniva raccomandato lo , gl’eleltori di Baviera e di Colonia, llo fante
Elettorale di Sassonia e la Regina d'Inghilterra, la quale da P. che solea chiamare
il Ca nell'ultima malattia volle il P. merlengo perugino. E avuto in isti. e
narra Celso suo fratello , che nella ma anche dal celebre Haller che ne prima volta
in cui Alessandro le tocca parla nelle opera sue,edilSeguer ilpolzo, glidisse la
Regina, onève àlui dedica la sua Schedula
monito. ro P., che voi non avete pia- ria ec. PA mentodegli organi corpore i per
cacere dimedicar donne?»cuirispose: gione delle passioni . PA 171 triauna Cattedradi
FILOSOFIA, che ten- ri; non ostante però fu continuamente neperapni10., ragunando
poi sem- in grazia degli stessi Pontefici, ed i pre in casa sua una Accademia aperta
venne medico del Conclave dopo la di Letterati. Intanto e chiamato aleg- morte di
Benedetto XIII. ee quando fu gere in Padova, e mentre si dispone creato Clemente
XII. Va arecarsia quel dottissimo Studio, Inoltre aveaeserci Clemente XI. lo chiama
a leggere nell' tata in Roma anche la carica di Pro Archi-ginnasio romano. Coldreca.
to medico di quella Metropoli, e dello tosi incomio cid tosto ad insegnare, la
Stato Ecclesiastico e la Consul Notomia,
che per anni continui tasole a sempre ricercare i suoi voti vi professò;
ottenne poi alire catte- in qualunque bisogno di medica poli dre di teorica e pratica
con vistosi zia. Fu similmente varie volte occu stipendi, finchè neconse pato dalla
Congregazione de, Riti nellaCorte, rifiutò sempre questi ono PERVGINVS
VIXIT OB.V. tica Papi M e 1. Delle febbri
Teorica e Pratica dico e filosofo sabinese. Roma. secondo il nuovo sistema, ove
tuttosi per il Zanobj 8. spiega per quanto è possibile ad im Dopo il lungo
spazio di anni, mitazione de’ Geometriec. Perugia fu proibita quest'opera, el'Autore
X. Della natura dei nostri pensie; Osservazioni Teoriche e Pratiri, e della natura
concuisiespri che di Medicina inviate fonde in virtù di loro elastica possan.
Sofilo Molossio Pastore Arcade zaec. Roma presso Barnabò perugino, e custode degli
armenti automatici in Arcadia. Gli difende dal De homine sive de
corpore PA PA l pel Costantini 4. Sieguonoal- tocco da scrupolo pubblica ilN.VII.
cuni suoi discorsi in materie mediche. Anatome Literarumsive Pal. Muore
santamente in Roma di vallo con questa iscrizione nel suotu. anni edopoanni dicecità,e
mulo cheerasi composta per lui stesso. Le dolle opere che lasciò a' posteri
sono: lo scrutinio che nefa nellasua cri • II. Il Corpo umano o breve Istoria
dove con nuovo metodo si descrivono ladis pervestigatio ec. Romae In ultimo
vannoaggiun- per lo Buagni .Vedi il N. V. .M. HIC 0.POSVIT , EXVVIAS IN DIE
IRAE RESVMENDAS ALEXANDER P. typis Cajetani Zanobii8. in compendio tutti gli organi
suoi, furi prodotta per lo Salvioni in4. con cd i loro principali officj ec
Perugia pel Costantini in 4.Ven. qualche diversità nel titolo. VII. Sofilo senza
maschera. Roma te due Pistole del Baglivi a P.: De fibra motrice et morbosa, nec
non zioni di alcuni Servi di Dio.Roma de experimentis ac morbis ec. per
Giornale de Letterati Ven. E sepolto in
S. Silvestro di Monte Car Voti scritti per le Canoniza. Del moto che nei mobili
siri. Nuovo metodo per introdursi IX. Dei moto che nei corpi sidif ad
imitazione de’ geometri con ordi- fonde per impulso esteriore ne, chiarezza e
brevità nelle più, Tratta sotto fisico matematico ad insegnare la tili questioni
di Fflosofia, Logica, Mo- possanza degli clementi 4. Roma per rale, e Fisica.Ven.
per Andrea Po- 'lo Salvioni letti. in 4. vediil N.X. fig. (1) o lettere mono. Riflessioni
metafisich ecc. Ro agli eruditissimi Signori disuaprima Serve disecondapar vata
Accademiaec.Ven. per teall'opera data al N. I. Andrea Poletti 4.,ed ivi nuovamente
humano vitam habente ratione tampro- insegne; e continuando inessigiunse
spera et amafficta e valetudinis. Li- a cuoprire l'onore vole posto di Segre
bri tres. Romae in4. ex per Andr. Poletti (sò poscia a Ravenna, d'onde
alloscri. onori, che non versavansi allora con soil Barnabòcon varj discorsi. L'
tanta generosità, perchè al solo meri opera stessa fu ri-stampata in Venezia to
concedevansi. Scorsi pochi mesi di pel Poletti in 4. cuisiag. sua dimora in Firenze,
torna arive giunse una memoria di Seguerdiret de re la patria, da cuisirecò nuova.
ta a P. . mente in Roma sede degli studii lega XIV. Alcuni opuscoli anonimi in
li, verso de'quali Leonecra inclina. Difesadi Alessandro P., Sicretissimo, la quella
Metropoli diporta. dono suoi, esonoin risposta adal-si con tanta saggezza, che divenne
fa tri opuscoli del bresciano Cri- miliare del Duca d'Weda Ambasciado. stoforo Zannettini
già stato scolare del re del Re di Spagna alla Corte romu. Medesimo P.; ed in quelle
dispuna. Ma circostanze politiche, che oscu. tealtri molti opuscolisi videro. Ma
raro no la riputazione di quel poco assennato Ministro, anche ad egli fe delle sue
opere mediche si fe ce altra edizione in Venezia in due cero cambiare partitie
siavviò per volume. Oltregli una carriera diversa. Dopo di averevi Scritti che
a P. indirizzarono sitate alcune delle primarie città d'Ita, Baglivi, e Seguer glilia,
torno a rivedere la patria, e ad fu dedicata la seconda edizione delle una vastissima
suppellettile di cognizio Maschere sceniche del Ficoroni. CONVERSANDO gl’uomini
tra sè, ed avendo in conseguen [ROMA ETCRIS EMANUELE Donde è nico il] za necessità
di COMUNICARE a vicenda i pensieri, e le linguagio degl, a to Cà CO. Uomini
partico idee, che passano intimamente loro nell'ANIMO; nè potendo laze ciò
conseguire in questo mondo sensibile, se non che in virtù di qualche oggetto
atto a muovere i sensi, CONVENNERO DI COMUN CONSENSO ad unire in maniera i loro
pensieri e le loro idee, ancorche al tutto insensibili, a certi SEGNI SENSIBILI,
ed in particolare alle voci, che queste, stimolando per entro agl’orecchi gl’organi
dell'udito, destino con un a tale alte razione nell'ANIMO, di chiode, quei pensieri,
e quelle idee, che concordarono di ESPRIMERE per simili SEGNI, o voci, chiamate
comunemente termini. I termini dunque in logica non sono se non chele semplice voci
inventate dagl’uomini a piacere per esprimere con maniere sensibili le loro
idee insensibili. Di qui è, che nato è tra i popoli ogni linguaggi particolare.
Di cosi fatto linguaggio, e delle idee, che esso esprime, rispetto alle operazioni
dette dell'intelletto, cioè rispetto al raziocinio umano, nel corso del saggio
presente facciamo esatta menzione. Alessandro Pascoli. Keywords: fisiologia,
corpo, galileo, il fuco di Girgenti, Cicerone, Bianchini. Verissimo, non mi
piace medicar le donne, ma non le regine” spiegazione dell’entimema in termini
dell’intenzione dei communicatori – chi da il segno e chi lo receve – il segno
sensibili dell’idea della cosa. Equivoco se il termine e dunque la proposizione
rippresenta due idee. -- Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Pascoli: decadenza divina – l’implicatura
conversazionale – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Mauro). Filosofo italiano. San Mauro, Forli-Cesena,
Emilia-Romagna. Considerato il maggior filosofo decadente, nonostante la sua
formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, articolo
programmatico, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico,
orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero
di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può
esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea
consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai
anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo
l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli,
pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né
mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al
contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze
prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine
secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la
sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione
classicista ereditata da Carducci e le nuove tematiche decadenti. Risulta
infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più
importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e
psicologici che egli stesso ri-organizzò per tutta la vita, in modo ossessivo,
come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. Nacque
in provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei dieci
figli due dei quali morti molto piccolo di Ruggero P., amministratore
della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di Caterina
Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano affettuosamente Zvanì. Il
padre e assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a
casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse
dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i responsabili rimasero
ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia ha forti
sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente ne “La
cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro Cacciaguerra (al quale
fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano, possidente
ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto
del principe, co-adiuvando l'amministratore A. Petri, sub-entrato al padre dopo
il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, sono
L. Pagliarani detto Bigéca, fervente repubblicano, e M.
Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da lui venne
scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto,
la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre.
Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato il saggio “Omicidio
Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche negli archivi locali e che, oltre a
pubblicare documentazione inedita, formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato
ai danni dell'amministratore Pascoli. Il trauma lascia segni profondi nel
poeta. La famiglia comincia a perdere gradualmente il proprio stato economico e
successivamente a subire una serie impressionante di lutti, disgregandosi:
costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la sorella
Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco (di "crepacuore",
si disse), il fratello Luigi, colpito da
meningite, e il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il
fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo
familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato.
Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale
e pare conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per
uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in
particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul
delitto da essere minacciati di morte. Le due sorelle Ida e Maria andarono
a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al
Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove
rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto
al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera,
chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di
Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle
sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni
Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui
carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue
reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e
a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio,
sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo
desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà
sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente
umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette
lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a
Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme
ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6,
chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed
arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in
uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del
primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una
economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli
studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al
prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa
delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che
poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse
all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico
del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento
anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una
manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico
lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio
sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo
strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito,
pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due
versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La
paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia
lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la
più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché
non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli,
segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di
aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato
per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i
quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla
condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i
malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la
maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli
imputati P. e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui Pascoli era
difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche Carducci
che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in relazione ai
fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile. Medita il
suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come dirà nella
poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno. Nonostante le
simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando Umberto I venne ucciso da
un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e
compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la militanza politica, mantenendo un
socialismo umanitario che incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia
universale tra gli uomini, argomento di alcune liriche: «Pace, fratelli!
e fate che le braccia ch'ora o poi tenderete ai più vicini, non sappiano la
lotta e la minaccia.» (I due fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su
Alceo, P. intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di
Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato
la gioia di vivere e di credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della
laurea da Argenta: "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so
ancora dove: forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho
risoluto di trovar bella la vita e piacevole il mio destino". Su
richiesta delle sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il
proprio progetto di vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle
negli anni universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta
da Argenta, il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così
risponde: "Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra
lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una
lagrima!." E ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero
lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate
voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti
di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie
e consolatrici dei vostri dolori? Iniziato
alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento
massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un
simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo
"Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e
appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita nuova,
su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi
in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben tredici
volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto
Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare con il
Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza di A. Bosis,
che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove sarebbero infatti
apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel volume Poemi
conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il rapporto tra i due filosofi
e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del Grande Oriente d'Italia,
esplicitamente dichiara l'appartenenza di P. e Carducci alla massoneria, per un
certo periodo nelle logge. Il nido di Castelvecchio «La nube nel giorno
più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera» (Giovanni Pascoli,
La mia sera, Canti di Castelvecchio) Divenuto professore universitario e
costretto dalla sua professione a lavorare in più città (Bologna, Messina e
Pisa), non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una via
di fuga verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di
arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva
la sua famiglia. Infatti si trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del
Serchio nel piccolo borgo di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che
divenne la sua residenza stabile quando (impegnando anche alcune medaglie
d'oro vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté
acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Berti,
matrimonio che il poeta contempla e seguito i vivrà in seguito alcuni mesi di
grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le
continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa
come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di
Amsterdam poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella Ida con S. Berti,
matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni mesi di grande
sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le
continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa
come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di
Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella Ida con il
romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito P. vivrà in seguito
alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e dedizione
alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più volte
rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia latina
di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella Ida con
il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin
vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della
sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di
lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo mostra dedicata
agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa Pascoli nel, getta luce
sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente il suo desiderio più
volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti particolari della vita
personale, emersi dalle lettere private, furono taciuti dalla celebre
biografia scritta da M. P., poiché giudicati da lei sconvenienti o non
conosciuti. Il fidanzamento con la cugina Imelde Morri di Rimini,
all'indomani delle nozze di Ida, organizzato all'insaputa di Mariù, dimostra
infatti il suo reale intento. Di fronte alla disperazione di Mariù, che non
avrebbe mai accettato di sposarsi, né l'ingerenza di un'altra donna in casa
sua, ancora una volta rinuncerà al proposito di vita coniugale. Si può
affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi,
come contrapposizione polemica, nella sua poesia. In un certo senso, non uscì
mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico
grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno
di difenderlo da un minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e
oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di
suo padre. Sul tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben
presto divenne tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema
chiarezza il poeta Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia
ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione
infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni
caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi,
anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente
e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno,
che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai
genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di
ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le
piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia,
escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica
difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto.
Non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che
tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della
realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e
profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del
Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.» ([M. Luzi])
In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte
in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle
osterie, e con il marito di Ida, il quale
dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America
lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche
e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe
bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato
dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una
condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in
una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac,
come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il
suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e
avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di
agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto
all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano
della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di
là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte,
la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno
scosse. Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva
accettato l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva
oscura, Sotto il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di
letteratura italiana a Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che
sarebbero stati poi celebri, tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto
dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema
latino “Inno a Roma” in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo
esalta Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su
rami di corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi,
vengono visti come un'anticipazione della bandiera tricolore. Scoppiata
la guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso
a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene
infatti che la Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a
favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i
contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di
nazionalismo vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e
patriottiche. Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia
di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata
la cirrosi epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene
invece affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato. Il certificato di morte riporta come causa un
tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta
di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava
sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la
simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La
malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella
sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu
probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua
dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella
Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice
delle opere postume. L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via
dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può brevi parentesi politiche
della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore
senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del
tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo. A
margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della
filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux
Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura
dei testi scientifico-naturalistici di Michelet, Fabre e Maeterlinck. Tali testi filosofici
utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli insetti soprattutto, per
quell'attrazione per il micro-cosmo così caratteristica del romanticismo
decadente in chiave filosofica. L’sservazione era aggiornata sulle più recenti
acquisizioni filosofiche dovute al perfezionamento del microscopio e della
sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente
attraverso uno stile lirico in cui domina il senso della meraviglia e della
fantasia. E un atteggiamento positivista romanticheggiante che tende a vedere
nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con
questi interessi, vi fu anche quello per la filosofia dell'inconscio di Hartmann
che apre quella linea di interpretazione della psicologia in senso
anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in
queste letture come in quella successiva di J. Sully sulla psicologia
un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente
elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua poesia. E non solo la
sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare culto per il mondo
dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico, poi, con un più
accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di VICO (si veda)
e di Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità,
inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo
più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo
in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce
una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di
massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o
come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio,
Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi
di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento
moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di Burnett,
Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio” di
Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della
poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino,
ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per
accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera
novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso
e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia
manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una
sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo
il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé. La poesia come nido che
protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere
alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a
questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la
ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della
ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia
diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà
che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po'
forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto
a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia
irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di
invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili
cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si
unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente
nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e inibendo al poeta
ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita
come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido. Il
duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di Barga Nella
vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché
costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo
agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare
sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la città
diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della
degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale.
Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce
dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto
all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza
della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante
come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici
della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del
primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana,che
l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.
Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se
i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori,
ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Scrive al pittore De Witt.
C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e
familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è
gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile
destino». In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e
cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare e agreste si racchiude
l'idea dominanteaccanto a quella della mortedella poesia pascoliana. Dalla casa
di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio,
non usce più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur continuando in un
intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando di
succedere a Carducci sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha lasciato del mondo
una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro",
rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.
Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse
trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo
per costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben
delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni
umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario
impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la
letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di
Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza,
delle strutture metriche scelte da P. mescolanza di novenari, quinari e
quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata interpretata come un
paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica
attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano
dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti
francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti della
spontaneità espressiva. Frontespizio di un'edizione del discorso
socialista e nazionalista di P. La Grande Proletaria si è mossa, in favore
della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è
ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad
Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni,
Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici;
Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è
mossa, tenuto in occasione di una
manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio
che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che
comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il
poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla
("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di P. è tutto lì:
la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei
lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte,
senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un
delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste
poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o
sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che
quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si
distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul
canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e
fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae
(diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di P. ai Canti di
Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta, non oratore o
predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo,
non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci, un
artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri,
un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il
poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo
col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei
tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la
cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto
omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully
e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente
compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione
poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra
il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo: dei margini di purezza e
candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle
potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano.
Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e
arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di
campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai
nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con
stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma
intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto
della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione),
trasformandolo in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione
del lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso
cantati da P. Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice
della metrica poetica, ma: Possiede una sensibilità speciale, che gli
consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti
più comuni. Comunica verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette nome
atutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che
tuttavia ha portata universale). Deve saper combinare il talento della
fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce
l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è
tale solo quando riesce a parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la
perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione
irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato,
almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà
ontologica. Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori
in Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive
fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica
(il poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il
mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà
circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso
interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in
poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero
che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con
connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene
percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di
conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto
raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino,
dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione
che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo,
che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che
narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il
poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia,
così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e
il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse
inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite
della poesia del P. è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva
ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile
al P. e quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia italiana
dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo di Carducci e di Leopardi, ma
anche del suo contemporaneo Annunzio. In altre parole, e in grado di creare
finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo. La
lingua pascoliana è profondamente innovativa. Essa perde il proprio
tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi frasi,
musicali e suggestive. La poesia cosmica L'ammasso aperto delle
Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome dialettale di Chioccetta
ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio e stellato è uno dei
temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa produzione pascoliana
liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi
Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: "E la terra
sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi
quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella". Si tratta
di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo (La Vertigine). La
Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la
vera dimora dell'uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico Getto:
" È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di avvertire la
realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante nell'emozione
fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano intellettuale,
del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o addirittura
galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più un centro
di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di
fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima
del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia". La lingua pascoliana P.
disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia
italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed
immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico
con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni,
anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della
forma tradizionale comporta "il concepire per immagini isolate (il
frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di
passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la
parola circondata di silenzio. Ha rotto la frontiera tra grammaticalità e
evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra
pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra
melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e
immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera
fra determinato e indeterminato". Pascoli e il mondo degli animali In
un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità assai
ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi esclusivamente
relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al lavoro, soprattutto
agricolo, P. riconosce la loro dignità e squarcia un'originale apertura
sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale mondo di relazioni.
Come scrive Solfanelli, P. si avvede assai presto che il suo amore per la
natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali,
della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare,
da amare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con
essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un'anima per poterli
rivedere un giorno. Saggi: “Myricae” (Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso
delle scuole classiche” (Livorno, Giusti, -- antologia di scritti latini per la
scuola superiore – “Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha.
Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in
certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io.
Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno, Giusti); (antologia di autori
latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione
morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti); “Intorno alla Minerva oscura” (Napoli,
Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose per la scuola italiana (Milano-Palermo,
Sandron). (antologia di poesie e prose per la scuola), “Sotto il velame. Saggio
di un'interpretazione generale del poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior
da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori”
Milano-Palermo, Sandron, (antologia di
prose e poesie italiane per le scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una
storia della Divina Comedia” (Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di
Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi
conviviali, Bologna, Zanichelli, Odi e
Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi
poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio”
(Bologna, Zanichelli); “La canzone del Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La
canzone dell'Olifante” (Bologna, Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna,
Zanichelli); “La grande proletaria si è mossa -- iscorso tenuto a Barga per i
nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi
del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria e umanità. Raccolta di scritti
e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae, Zanichelli); (poesie
latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma incompiuto) Nell'anno
Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna, Zanichelli); “Antico
sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna, Zanichelli). “Myricae”
è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché una delle più
amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV
Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché
"non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes
arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone
"quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari,
colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il
numero delle poesie in esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto
22 poesie dedicate alle nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156
liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al
lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici,
diventano un simbolo delle tematiche del P. ed evocano riflessioni
profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così
che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La
rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo
all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In
realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da
scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle
Myricae va quindi oltre l'apparenza. Compare la poesia Novembre, mentre nelle
successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. P. ha
dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero P., mio
padre"). La poesia-pensiero del profondo attinge all'inconscio e tocca
all'universale attraverso un mondo delle referenze condiviso da tutti. Anche
autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il
Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente
si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la
sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi
di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul
letto di morte. In particolare, l'anno
1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e
l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi
è anche il carme alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca
meglio nota come Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato
la sua lingua del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in
latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in
italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte P. parlò in
latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento
che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione
latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata
erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. In quegli anni
non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un
insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse
l'edizione del Certamen con un poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in
maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti.
L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta curata da E. Pistelli
col saggio di A. Gandiglio. Esistono
delle traduzioni in lingua italiana delle sue poesie latine quali quella curata
da M. Valgimigli o le traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione
latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del
Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del
Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della
memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle
memorie, dolci e tristi, della sua infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è
solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno!
E dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è
morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non
solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza,
descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo
antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta
di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor
pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie?
Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi
che giravano la macina al buio, affamati, con la museruola?".
Contro la mortedelle lingue, degli uomini e delle epocheil poeta si appella
alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte.
"L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto
può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino. Qui
interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose.
"Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio
anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma
questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza,
ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri
della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con
l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente,
parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una
faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento:
il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è
forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata
per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini
è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del
latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo,
e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in
latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore
che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore
di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un
latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici,
senza apportare alcuna novità alla letteratura latina. Pascoli invece
reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una
sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi
parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di P. (cfr. A. Traina,
Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere
raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali:
Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano
essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che
Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro
figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo
caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano,
privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa
chiama il bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo
capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari
poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal
ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota
(Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima
attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso
la nobiltà romana “(Pomponia Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum
Apollinis”). La sua biblioteca e il suo archivio sono conservati sia
nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli frazione di Barga, sia nella
Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro la sua casa natale è sede di un museo
dedicato alla sua memoria e dichiarata Monumento nazionale. Gli vengono
dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola. Viene coniata una moneta
celebrativa da due euro con l'effige del Poeta. Il delitto Ruggero Pascoli Omicidio
Pascoli. Il complotto (Mimesis) F.
Biondolillo, La poesia, Maria P., Autografo Memorie, Alice Cencetti, una biografia critica, Le Lettere, G.
Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi?
Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude
intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e
anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non
abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso
irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli
suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto
il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto! Ma non si
potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli
commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue vittime! Così andranno sopra
lui alcune delle lagrime che spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono
tutta per loro la pietà che in parte s'è disviata in pro' di lui. Non essere
così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi. Più che posso? Ella dice
di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di
moralità da sentire veramente quell'orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe
lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene,
di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la giustizia che
quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai, quando
abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena d'altro
delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?» La storia dell'I.I.S. Raffaello. Bulferetti, L'uomo,
il maestro, il poeta, Libreria Editrice Milanese, Piero Bianconi, P., Morcelliana, Giuseppe
Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto Alfassio Grimaldi,
Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli anni giovanili del
Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il giovane. Attraverso le
ombre della giovinezza", realizzato
in occasione della mostra omonima allestita presso il Museo Casa P. di San
Mauro P. Per approfondire gli anni di
ricostruzione del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che
aggiornino la vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale
il principale desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con
le sorelle, senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita
Boschetti, Gori, U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step. Il rinvenimento è opera di G. Ruggio,
Conservatore di casa P. a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal Grande
Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa Bloomsbury, e la
notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne Il Corriere della
Sera, Filmato audio S. Ruotolo e G. Bernardo,
Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro: "Ecco i segreti che non
ho mai rivelato a nessuno", fanpage al minuto 2:28. Citazione: La loggia
P2 non è stata inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento
in cui il Gran Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i
vertici del Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e P.
Si disse: «evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica
nelle logge, almeno per evitare un fastidio»
Vi fu professore straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò
letteratura latina come Professore. Fu nominato professore di grammatica greca
e latina. Le date sulle docenze
universitarie sono prese da Perugi, "Nota biografica", in P., Opere,
tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, Rosita Boschetti, P. innamorato: la vita
sentimentale del poeta di San Mauro: catalogo, San Mauro Pascoli, Comune,. Cfr. sempre Boschetti, op. cit, pag. 28. Scrive
da Matera a Raffaele la lista delle sue spese. 65 lire al mese per mangiare, 25
per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che
necessità)». Fondazione P.: la vita, Ruggio, P. Tutto il racconto della vita
tormentata di un grande poeta Vittorino
Andreoli, I segreti di casa Pascoli, recensione qui Testo dell'"Inno a Roma" Testo di "Al corbezzolo" Fondazione P.: la vita, Maria Pascoli, Lungo la vita di P.
Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico e il decadentista. Andreoli, op.
cit Maria Pascoli, Lungo la vita (Milano,
Mondadori); Getto, poeta astrale, in "Studi per il centenario della
nascita di P.". Commissione per i testi di lingua, Bologna, Fondazione Giovanni
Pascoli Nuovi poemetti, Schiaffini, Disintegratore della forma poetica
tradizionale, in "Omaggio a P.",
G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in "Studi pascoliani",
Lega, Faenza, Maria Cristina Solfanelli, Gli animali da cortile, Chieti, Tabula
fati,. Vegliante. Alberto Fraccacreta, Le ninfe di Vegliante,
su Succedeoggi. Santo, Cammei Pascoliani: analisi, illustrazione, esegèsi dei
carmi latini e greci minori di P., Giacoletti, De lebetis materie et forma
eiusque tutela in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum,
Amstelodami: C. G. Van Der Post, Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror;
edidit H. Pistelli; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, Ioannis
Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam
addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Zanichelli); Poesie latine; Manara
Valgimigli, Milano: A. Mondadori, Giovanni Pascoli, Poemi cristiani;
introduzione e commento di Alfonso Traina; traduzione di Enzo Mandruzzato,
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, Carte pascoliane della Biblioteca
Statale di Lucca, su//pascoli.archivi.beniculturali/. Museo di Casa Pascoli, su
polomusealeemiliaromagna. beniculturali. Regio Decreto Legge, Gazzetta
Ufficiale del Regno d'Italia, Franceschi, Giovanni Pascoli: cento anni fa
moriva il massimo autore latino dell'età moderna, in Il Sole 24 ORE, Gargano,
Poeti viventi italiani: G"Vita Nuova", Gargano, Saggi di ermeneutica.
Del Simbolo (Sul "Vischio" di P.), in "Il Marzocco" Gargano,
Poesia italiana contemporanea, in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I
"Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I
"Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I
"Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", Emilio Cecchi,
La poesia, Napoli, Ricciardi, Croce, Studio critico, Bari, Laterza, G.
Debenedetti, Statura di poeta, in
Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario della nascita, Milano,
Mondadori, Walter Binni, P. e il decadentismo, in Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario
della nascita, Mondadori, Piromalli, La poesia di P. , Pisa, Nistri Lischi, Gianfranco
Contini, Il linguaggio di Pascoli, in Studi pascoliani, Faenza, Lega (poi in Id., Varianti e altra linguistica,
Torino, Einaudi, Maria Pascoli, Lungo la
vita di Giovanni Pascoli, Milano, Mondadori); Giuseppe Fatini, Il D'Annunzio e P.
e altri amici, Pisa, Nistri Lischi, Giannangeli, Le fonti spaziali del Pascoli,
in "Dimensioni", Ottaviano Giannangeli, La metrica pascoliana, in
"Dimensioni", Luigi Baldacci, "Introduzione", in G. Pascoli,
Poesie, Milano, Garzanti); Giannangeli, Pascoli e lo spazio, Bologna, Cappelli,
Maura Del Serra, Firenze, La Nuova Italia ("Strumenti", Debenedetti, P.:
la rivoluzione inconsapevole, Milano, Garzanti, 1Gianni Oliva, I nobili
spiriti. Pascoli, D'Annunzio e le riviste dell'estetismo fiorentino, Bergamo,
Minerva Italica, Fabrizio Frigerio, Un esorcismo pascoliano. Forma e funzione
dell'onomatopeia e dell'allitterazione ne "L'uccellino del freddo",
in "Bloc notes", Bellinzona, Vicario, La presenza di VIRGILIO in
Carducci e P., in Il richiamo di Virgilio nella poesia italiana, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, E. Sanguineti, Poesia e poetica/ Atti del
Convegno di studi pascoliani/ San Mauro, 1-Comune di San Mauro P./ Comitato per
le onoranze a Giovanni Pascoli, Rimini, Maggioli, Pavarini, Pascoli e il
silenzio meridiano (Dall'argine), in "Lingua e stile", Stefano
Pavarini, Pascoli tra voce e silenzio: Alba festiva, in "Filologia e
Critica", Maura Del Serra, Voce Pascoli, in Il Novecento, Milano, Vallardi, Benedetto,
Frammenti su "Digitale purpurea" nei "Primi poemetti" di
Pascoli", in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, Ruggio, Pascoli:
tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, Franco
Lanza, scritti editi ed inediti, Bologna, Boni, Marina Marcolini, Pascoli
prosatore: indagini critiche su "Pensieri e discorsi", Modena,
Mucchi, Maria Santini, Candida Soror: tutto il racconto della vita di Mariù
Pascoli la più adorata sorella del poeta della Cavalla storna, Milano,
Simonelli, Le Petit Enfant trad. dall'italiano, introd. e annotato da
Levergeois (prima edizione francese del Fanciullino in Francia), Parigi, Maule,
"L'Absolu Singulier", Mazzanti, I segreti del "nido". Le
carte di Giovanni e Maria Pascoli a Castelvecchio, in Castagnola, Archivi
letterari del '900, Firenze, Cesati, Martelli, Pascoli, tra rima e sciolto,
Firenze, Società Editrice Fiorentina, Pietro
Montorfani e Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna, Massimiliano
Boni, Massimo Rossi, Giovanni Pascoli
traduttore dei poeti latini, in "Critica Letteraria", Mario
Buonofiglio, Lampi e cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il
lampo" di Giovanni Pascoli, in "Il Segnale", ora disponibile in Academia Andrea Galgano, Di
là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido, Roma, Aracne editrice,
Colella, "Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere canore".
Pascoli, Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista Pascoliana", Vegliante,
L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto
San Giovanni, Mimésis,. Accademia
Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci
Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli
Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani -- italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. nello specchio delle sue carte. Fondazione
Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi. testi
con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli,
Poesie latine, Mondadori, Casa Pascoli. "Poemi
conviviali". CROCE, P. STUDIO
CRITICO BARI LATERZA TIPOGRAFI EDITORI L1BRAI PROPRIETÀ LETTERARIA. AVVERTENZA.
La buona
accoglienza fatta alla
ristampa in volume separato del
saggio sul Carducci
ci muove a
ristampare nella stessa
forma il saggio
che su P. Croce raccole nella sua Letteratura della
nuova Italia. Abbiamo
fatto seguire ad
esso la risposta
che Croce fa
ai suoi critici,
e due saggi nei
quali egli ritorna
sul suo vecchio
giudizio per ribadirlo
e particolareggiarlo. In
appendice è un cenno
e un saggio
delle discussioni sollevate
di recente su P., a
proposito di questi
scritti del Croce. Leggo
alcune delle più
celebrate poesie di P.,
e ne provo
una strana impressione. Mi piacciono?
mi spiacciono? SI,
no: non so.
Non mi smarrisco
per questo, e
non me la
prendo né con
la insufficienza mia
né con quella
del poeta. So
bene che il
giudizio dell'arte, benché si
fondi sulla ingenua
impressione, non si
esaurisce nelle cosiddette
prime impressioni, e che Ruggero
Bonghi fraintese quando
scambiò e criticò
Tuna per le
altre, la logica
della fan- tasia per
la illogica del
capriccio. E so
bene che artisti
assai energici disorientano,
alla prima, il
lettore: s'impegna come
una lotta tra
l'anima conquis tatrice e
un'altra che non
vuole — eppur
vuole, — lasciarsi
conquistare: lotta di
amori estetici, arieggiante
quasi quella dei
sessi che corre
attraverso tutto il
mondo animale e
che testé il
De Gourmont ci
ha descritta in un suo libro
popolare. Dunque, non mi smarrisco,
mi rimetto all'opera,
rileggo e rileggo
ancora. Ma, per
quanto rilegga, per
quanto torni a
quella lettura dopo
lunghe pause, la
strana perplessità si
rinnova. Odi et
amo: come mai?
Nescio: sed fieri
sentio et excrucior.
Non è poeta
grande colui che
ha concepito /
due cugini? I
due bambini giocano
tra loro, e
si amano: quando
si vedono, corrono,
anzi volano l'uno
verso l'altro, con
tale impeto di
gioiosità infantile abbracciandosi, che
i loro ber-
retti cascano e
i capelli biondi
mescolano i riccioli. Ma
quei giuochi, quegli
amori sono spezzati: l'uno dei
due, il maschietto,
muore: appassi come
rosa che in
boccio appassisce nell'orto.
E l'altra resta
legata a lui:
è «la piccola
sposa del piccolo
morto ». La
bambina cresce: si
cresce rapidamente in
quegli anni: si
fa giovinetta, già
quasi donna. Ma
l'altro no: si
è fermato: colà
dove l'hanno deposto,
non si cresce.
Sembra che, quando
rivede la sua
cuginetta, che si
svolge e fiorisce
col misterioso irrefrenabile
impulso della vita
e del sesso,
egli le stia
innanzi tra mera-
vigliato, smarrito e umiliato:
col capo non
giunge al seno
tuo nuovo, che
ignora. Quella l'ama
sempre: sempre le
par di udir
intorno a sé «
la fretta dei
taciti piedi». Ma
il morto non
le sorride: la
giovinetta fiorente non
è più, per
lui, la compagna
di una volta;
sente che gli
è sfuggita, che
non gli appartiene
più: piangendo l'antica
sventura, tentenna il
suo capo di
bimbo. Movimenti ed
immagini di grande
bellezza, cer- tamente. Ma,
per un altro
verso, già nel
metro adottato, la
terzina di novenari,
si avverte qual-
cosa non saprei se
di ba llato o
di ansimante, che
stona con la
calma sospirosa e
dolorosa del piccolo
idillio triste. La
struttura generale è
spiacevolmente simmetrica: divisa
in tre parti,
che paiono le
tre proposizioni di
un sillogismo. Il
principio è un
ex-abrupto, non libero
di enfasi o
di teatralità: S'amavano
i bimbi cugini;
l'immagine, che segue,
è leziosa: pareva
l'incontro di loro
l'incontro di due
lucherini. L'insistenza è
soverchia, e anche
di effetti tor-
bidi. È stupendamente detto:
Tu, piccola sposa,
crescesti; man mano
intrecciavi i capelli,
man mano allungavi
le vesti. E
il crescere veduto
realisticamente, ma soffuso
di gentilezza: non
ci vorrebbe altro.
Ma no: il
metro continua per
suo conto: Crescevi
sott'occhi che negano
ancora; ed i
petali snelli cadevano:
il fiore già
lega: fatica di
paragoni, che ottenebra
e non potenzia
l'immagine già perfettamente
determinata. E il
metro continua ancora,
come un cavallo
che, nonostante gli
abbiate fatto sentire
il morso, vi
trasporta per un
altro tratto di
via, che non
si doveva percorrere:
Ma l'altro non
crebbe. Dal mite
suo cuore, ora,
senza perchè, fioriscono
le margherite e i non
ti scordare di
me; dove quel senza perchè mi
sembra davvero senza
perchè; e la
fiorita sulla tomba
è roba vieta,
resa più vieta
ancora dalla romanticheria
di quei «
non ti scordare
di me »,
che cascano mollemente
formando la chiusa
del paragrafetto. Ahi!
lo specchio tersissimo
si è appannato:
il capolavoro è rimasto
a mezzo, come
rosa che in
boccio appassisce nell'orto.
Valentino è un
altro bambino. Solo
un occhio di
poeta può scoprire
e far valere
un'immagine tanto graziosa.
È un contadinello
tutto vestito di
nuovo, ma a
piedi scalzi: la
madre, che lo ha visto
tremar di freddo
durante il gennaio,
ha messo da
parte a soldo
a soldo un
piccolo gruzzolo; e
il gruzzolo è
bastato per comprare
il panno della
veste e non
già anche per
la spesa delle
scarpe: il grande
sforzo di quella
veste lo ha
esaurito: Costa :
che mamma già
tutto ci spese,
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è
vuoto, e cantò
più d'un mese,
per riempirlo, tutto
il pollaio. Un
solo aggettivo ben
collocato è atto
a sugge- rire una
serie d'immagini: quasi
si vede la
povera donna, che scuote
e fa «tintinnare»
il rozzo salvadanaio
di creta, per
accertarsi del tesoretto
che vi ha
accumulato con tanto
stento: é tu,
magro contadinello, restasti
a mezzo, così,
con le penne,
ma nudi i
piedi come un
uccello... La figura
si raggentilisce in
questo sorriso, fatto
d'intenerimento: il contadinello
è magro, diventa
leggiero, si associa
naturalmente all'immagine dell'uccello.
Come un uccello,
egli non prova
impaccio né sente
il ridicolo del
suo abbigliamento a mezzo:
come l'uccello venuto
dal mare, che
tra il ciliegio
salta, e non
sa ch'oltre il
beccare, il cantare,
l'amare, ci sia
qualch'altra felicità. Capolavoro?
Neppur qui. Io
ho riferito versi
e strofe singole,
trascegliendo nel piccolo
com- ponimento. Ma, se
ve l'avessi letto
intero, ve ne
avrei dato forse
un concetto assai
minore. Lascio stare
il lungo ricamo
che P. fa
sul particolare dei piedini
nudi. Piedini nudi, dice
tutto; ma P.,
invece, non senza
giuoco di parole:
solo ai piedini
provati dal rovo
porti la pelle
dei tuoi piedini. E
non si contenta:
porti le scarpe
che mamma ti
fece, che non
mutasti mai da
quel dì, che
non costarono un
picciolo... Insopportabile è,
che faccia poi
un simile ricamo
anche al pollaio,
che aveva cosi
bene e sobriamente evocato: e
le galline cantavano:
Un cocco! ecco
ecco un cocco
un cocco per
te! Il delicato
poeta si è
messo a rifare
il verso ai
polli! E si
resta con quel
grido fastidioso negli
orecchi, che pur
non fa dimenticare
del tutto il
«tintinnante salvadanaio». Non
meno originale, ossia
poetico, è il
Sogno della vergine.
Anche la donna
che non ha
avuto figli, la
vergine, è una
madre, madre in
potenza: esistono non
solo i figli
che sono nati,
ma i «
tigli non nati»,
bella immagine che P.
ha, a quanto
credo, creata lui,
e che ritorna
in molti suoi
versi. La vergine
dorme, e la
madre che è in lei
sogna in quel
sonno: il sangue,
che scorre per le sue
membra, le si
trasmuta e addolcisce
come in latte:
Stupisce le placide
vene quel flutto
soave e straniero,
quel rivolo labile,
lene, d'ignota sorgente,
che sembra che
inondi di blando
mistero le pie
sigillate sue membra. La
vaga aspirazione si
concreta in un
piccolo essere: il
sogno s'intensifica: accanto,
ella sente un
alito, un piccolo
vagito: Un figlio!
che posa sul
letto suo vergine!
e cerca assetato
le fonti del
vergine petto !
E com'è materno
quel sogno! Il
bambino non sorride,
trionfante di vita:
il bambino ha
bisogno della difesa
di sua madre,
che tanto più
lo sogna e
l'ama quanto più
le par di
doverlo difendere: egli
«piange il suo
tacito pianto >.
Tacito: è un
pianto veduto nel
sogno. Ma come,
d'altro canto, è
lungo quel componimento, la cui
sostanza poetica sta
tutta nelle poche
immagini ora ricordate!
È diviso in
cinque parti: vi
si descrive in
principio la vergine
dormente e il lume
che vacilla nell'ombra
della stanza: quasi
che tale messa
in iscena possa
pre- parare in alcun
modo la poesia,
la quale comincia
solo con l'immagine
del sangue che
si fa latte.
Il Pascoli non
se ne sta
alla espressione delle
«pie membra sigillate»:
spiega: le gracili
membra non sanno
lo schianto, non
sanno l'amplesso... e
la spiegazione ridondante, in
materia così sca-
brosa, era da evitare.
Neppure sta pago
ad escla- mare, all'improvviso sorgere
del bambino che
brancola cercando avidamente
il seno della
madre: 0 fiore
d'un intimo riso
dell'anima! che è
forse già un
comento piuttosto eloquente
che poetico; ma
coraenta il comento
e dà in argutezze
o agudezas: o
fiore non nato
da seme, e
sbocciato improvviso !
Tu fiore non
retto da stelo,
tu luce non
nata da fuoco,
tu simile a
stella del cielo,
del cielo dell'anima... Il
bambino è allontanato
dal fianco materno
e riposto fantasticamente in
una culla. E
la culla assume
una grande importanza,
tanto che le
si rifa il
verso come altra
volta al pollaio:
Si dondola dondola
dondola senza rumore
la culla nel
mezzo al silenzio
profondo; il che
è inopportuno, ma
chiaro. E a
P. non par
chiaro, e aggiunge
un paragone: cosi
come tacita al
vento, nel tacito
lume di luna,
si dondola un
cirro d'argento. E
vi ha, nel
resto del componimento,
esortazioni al bimbo
perchè sorrida un
istante; e vi
si narra il sorgere dell'alba
e lo svanire
del sogno :
narrazione per lo meno
altrettanto esuberante, quanto
prima la descrizione
della stanza e
della lampada da
notte. Il padre
del Pascoli fu
assassinato, una sera,
sulla via campestre,
mentre tornava alla
sua casa. La
mattina di quel
giorno d'inenarrabile strazio
e terrore, l'ultima
volta che i
suoi lo videro
vivo, è ricordata
in ogni minimo
particolare: con quel
perduto dolore dell'animo
che dice: potevamo non
lasciarlo andar via,
quel mattino, e
sarebbe ancora tra
noi! — E
la memoria scopre,
o l'illu- sione fa
immaginare, particolari quasi
profetici. Il padre
stava per salire
sulla carrozza, circon-
dato dai suoi, dalla
moglie, dai figliuoli
grandi e piccini,
usciti sulla strada
a salutarlo. Ma,
nel- l'appressarsi ch'egli
fece al suo
cavallo: la più
piccina a lui
toccò la mazza.
Gli prese il
bastone, come per
tirarlo indietro, e
ruppe in pianto.
Non voleva ch'egli
andasse via: non
voleva, così, irragionevolmente, come
bimba che era;
ed egli dovette
ingannarla, per acchetarla:
farle credere che
rientrava in casa,
ed uscire da
un'altra porta. Quella
manina di bimba
è indimenticabile. Si
sfiora quasi la
genia- lità propria dell'artista,
che coglie con un sol
tratto un mondo
di sentimenti. Ma
si sfiora sol-
tanto, e si perde
daccapo. Che cosa
diventa quel tocco
affettuoso e spaventato
di debole manina
presaga? E un
poco presa egli
sentì, ma poco
poco la canna,
come in un
vignuolo, come v'avesse
cominciato il nodo
un vilucchino od
una passiflora... Diventa
Io-Studio di una
presidi manojnfantile. Al
quale segue lo
studio della mano:
Sì: era presa
in una mano
molle, manina ancora
nuova, così nuova
che tutto ancora
non chiudeva a
modo. Andiamo innanzi:
i bambini attorniano
il padre, chiamando
com'è lor uso:
Egli poneva il
piede sul montante;
e in un
gruppo le tortori
tubarono, e si
senti: Papà! Papà!
Papà! Quell'episodio commovente
è accentuato in
tal modo, e
cosi materialmente, nelle
sue minuzie, che
ogni commozione sfuma.
Tanto che io
mi distraggo, e
mi par d'avere
udito altra volta
un simile vocìo
bambinesco, ma in
un'arte più alle-
gra; sì, per l'appunto,
in un'opera buffa
napoletana, emesso da un
gruppo di bambini
che at- tornia il
papà che li
ha condotti a
una fiera. Solo
che i bambini
dell'opera buffa cantano
bene, per- chè si
tratta di opera
buffa; e quelli
di P., nell'angoscioso ricordo,
stonano. E poi,
se altro non
fosse, basterebbe anche
qui, a turbare
tutta l'ispirazione, il
metro ado- prato:
un metro quasi
epico, lasse di
dieci endecasillabi con
assonanze. — Lo
stesso sbaglio fondamentale
è nell'altro episodio
della medesima tragedia
domestica: La cavalla
storna, svolto ^jiel
metro di un'antica
romanza. Eppuxe. c'è
l'ab- bozzo, o il_nòcciolo,
di una grande
poesia! La madre,
rimasta priva del
marito vilmente am-
mazzato da uno sconosciuto,
ha sempre fisso
il pensiero in
quel caso d'orrore.
Chi, e perchè,
gliel'ha ucciso? Nessuno
era presente; ma
l'ucciso aveva con sé
la sua cavalla
prediletta, una cavallina
storna, che riportò
verso casa il
corpo sanguinante del
suo padrone. Quella
cavallina è sempre là,
nella scuderia: ha
visto, sa, un
mi- racolo potrebbe farla
parlare. E la donna,
con quel pensiero
in capo e
con quegli atti
quasi da folle
che accompagnano il
dolore, va a
notte silente nella
scuderia, e si
pone accanto alla
ca- vallina, e le
parla e piange
e supplica: e
vuole aiutarla a
significare ciò che
sa. Pronuncia un
nome, il nome
che ella sospetta:
lo pronuncia solennemente:
«alzò nel gran
silenzio un dito:...
disse un nome...
». Ed ecco
s'ode subito, alto,
un nitrito di
conferma! — La
poesia si trascina
non senza fastidio
con la solita
descrizione iniziale, con
l'allocuzione verbosa della
madre, ripartita in
quattro parti e
pause. Ma l'ansia
della povera dolente
è resa con
tratti di grande
efficacia. Sotto quell'ansia,
sotto quell'implorante confidenza,
la cavallina si
umanizza, diventa una
persona di casa,
cara tra i
suoi cari, partecipe
della comune sventura:
la scarna lunga
testa era daccanto
al dolce viso
di mia madre
in pianto: quadro
d'infinita commozione. E
la donna incalza
nella sua preghiera,
presa dalla brama
furiosa di sapere,
di veder chiaro:
stava attenta la
lunga testa fiera...
Essa l'abbraccia come
si fa a
un figliuolo nel
'-momento che è
stato vinto dalla
parola affettuosa e sta
per confessarsi: mia
madre l'abbracciò sulla
criniera. La madre muore
anch'essa, e la
voce della morta P.
la risente come
di chi chiami
il suo nome,
il suo nome
nel diminutivo fami-
liare e dialettale, per
parlargli di cose
ed affetti domestici.
Non è difficile
intendere che quel
di- minutivo familiare e
dialettale non può
essere ripetuto, nell'alta
commozione lirica, cosi
come par di
sentirlo nella realtà.
Perchè ciò che
deve entrare nella
lirica è il
valore sentimentale di
quell'invocazione, il suo
accento intimo e
familiare, che la riproduzione
fonica delle sillabe
contraffa e non
rende. Il Pascoli
ha un inizio
spontaneo, commosso e
vivo: C'è una
voce nella mia
vita, che avverto
nel punto che
muore: voce stanca,
voce smarrita, col
tremito del batticuore:
voce d'una accorsa
anelante, che al
povero petto s'afferra
per dir tante
cose e poi
tante, ma piena
ha la bocca
di terra. È
questa veramente l'immagine
della madre nel
suo gesto d'abbandono
al petto fidato
del Aglio, per
isfogare ciò che
le preme sul
cuore: della madre,
così come riappare
attraverso la morte
e il cimitero,
deturpata dalla morte,
bagnata di pianto.
Ma il Pascoli
riattacca: tante tante
cose che vuole
ch'io sappia, ricordi,
sì... sì... Ma di tante
e tante parole
non sento che
un soffio... Zvani..Giovannino > ,
in dialetto romagnolo.
E codesta è
una profanazione, che
non accrescerò col
mio comento: come
l'accresce per suo
conto l'autore, che
aggiunge altre sei
parti, della me-
desima lunghezza della prima
che ho trascritta,
e tutte sei
finiscono con quel
nome, con quel
Zvani. Il soffio
della voce della
morta si è
vol- garizzato in un
ritornello! Pure, il
ritornello, così malamente
scelto, non soffoca
del tutto il
suono di quella
voce di morta:
voce stanca, voce
smarrita, col tremito
del batticuore... Ai
suoi morti è
dedicato ancora TI
giorno (\,p,i morti,
cosi pesantemente sceneggiato
e dram- matizzato, in
cui ciascuno dei
morti parla a
sua volta compiangendo
e lodando sé
stesso. Vi sono
accenti commossi: il
padre, ammazzato a
tradimento, dice: 0 figli,
figli! vi vedessi
io mai! io
vorrei dirvi, che
in quel solo
istante per un'intera
eternità v'amai. Ma,
pronunziate appena quelle
parole, par che
ne resti come
affascinato, e le
volta e rivolta
in varia forma:
In quel minuto
avanti che morissi
portai la mano
al capo sanguinante,
e tutti, o
figli miei, vi
benedissi. Io gettai
un grido in
quel minuto, e
poi, mi pianse
il cuore: come
pianse e pianse
e quel grido
e quel pianto
era per voi.
Oh le parole
mute ed infinite
che dissi! con
qual mai strappo
si franse la
vita viva delle
vostre vite... affinando, dunque,
quel grido perfino
in un bistic-
cio e, in un'allitterazione. Il
ciocco è un'altra
delle ispirazioni profonde
di P., che pur
lascia mal soddisfatti,
guar- dando alla composizione
e al complesso
della poesia. La prima
parte è stata
biasimata pei tanti
oscuri vocaboli del
contado lucchese che
l'autore vi ha
introdotti, e che
hanno resa necessaria
nelle nuove edizioni
l'aggiunta di un
glossarietto. Ma non
sarebbe poi gran
male se fossimo
costretti a studiare
qualche centinaio di
vocaboli per giuri
gere all'intendimento di
un'opera bella. Coraggio,
pigri lettori! ben
altre fatiche di
preparazioni godimenti artistici
sogliono richiedere. Senonchè
quella taccia, come
accade, ne nasconde
un'altra, che è
la vera, concernente
rejccesaiva_preoccu- pazione dell'autore
per inezie di
costumi e di
relati vj_ej^rjssioni,
inconciliabile col motivo
fonda- mentale, della, poesia,
che si svolge
nella seconda parte,
in cui l'anima
si eleva nella
contempla- zione del cielo
stellato. E anche
questa seconda parte,
che ha tratti
assai felici, offende
per le immagini
incongrue o troppo
dilatate, e per
le ripetizioni stucchevoli.
Così gli astri,
che girano pel
cielo, suggeriscono a P.
un sottile pa-
ragone con le zanzare
e coi moscerini,
che girano intorno
a una lanterna
accesa, penzolante dalla
mano di un
bambino che ha
perduto una monetina in
una landa immensa
e la va
cercando e singhiozza
nel buio. Al
supremo momento lirico
si giunge, quando
alla mente del
contemplatore si affaccia
il pensiero della
morte avvenire delle
le, cose tutte,
la fine dell'uni
verso; e nel
suo cuore sorge
una deserta angoscia
pel morire non
già dell'individuo, ma
della vita stessa:
per l'individuo che muore
senza che altri
faccia splendere accanto
a lui, riaccesa,
la fiaccola della
vita: Anima nostra!
fanciulletto mesto! nostro
buono malato fanciulletto,
che non t'addormi
s'altri non è
desto! ' felice,
se vicina al
bianco letto s'indugia
la tua madre
che conduce la
tua manina dalla
fronte al petto
: contenta almeno,
se per te
traluce l'uscio da
canto, e tu
senti il respiro
uguale della madre
tua che cuce. Il
sentimento di questa
inquietezza e di
questo quietarsi puerile
è compiutamente espresso.
Che si possa
continuare ancora, indefinitamente, nell'enumerazione o nella
gradazione ascendente e
discendente di tutti
i segni di
vita che valgono
a rasserenare un
fanciullo nella sua
paura della solitudine
e a farlo
addormentare tranquillo, nessuno dubita: ma
la lirica non
è enumerazione. P. non
sembra di questo
parere, e pro-
segue: il respiro
o il sospiro
: anche il
sospiro : o
almeno che tu
oda uno in
faccende per casa,
o almeno per
le strade a
giro ; o
veda almeno un
lume che s'accende
da lungi e
senta un suono
di campane, che
lento ascende e
che dal cielo pende. Si
fermerà a quest'ultimo
verso, del quale
evi- dentemente, cantandolo, si
è compiaciuto? Tacera
contento di quest'ultima
dolcezza che lo
sazia? Non ancora:
ha ripreso il
\&* fettazione, sono
caso assai frequente;
e rari sono
invece coloro la
cui opera complessiva
si pre- senta con
carattere di perfezione
e di sceltezza,-*/** perchè
hanno lavorato solo
nei momenti di
piena interna armonia, o
hanno esercitato tale
vigi- lanza sopra sé stessi da
tener celate o
da sopprimere le cose
loro imperfette. I più affidano
la cernita al
tempo galantuomo e
alla critica. E
la critica suggerisce
a questo propositojiue
procedimenti, che più
volte i lettori
mi hanno visto
adoperare in queste
pagine. Il primo
è di tentare
una divisione nel
tempo, e il
secondo di tentarla
(per cosi esprimermi)
nello spazio. Vi
sono, infatti, artisti
che da una
torbida e divagante produzione giovanile
giungono, nella maturità, al
possesso di sé
medesimi; o che
a una produzione
geniale fanno seguire
l'imitazione di sé
medesimi, e, volendo,
validius inflare sese,
come la rana
di Fedro, rupto
iacent corpore; e,
in tali casi,
si possono distinguere,
con limiti cronologici,
le loro varie
personalità. Ma ve ne ha
altri i quali,
durante tutta la
lor vita, alter-
nano le varie personalità,
e, per esempio,
nel periodo stesso
che cantano commosse
poesie d'amore, ne
compongono altre falsamente
eroi- che e politiche.
Essi posseggono due
strumenti, l'uno sinfono
e l'altro asinfono,
per dirlo nobilmente in
greco, o l'uno
accordato e l'altro
scordato, per dirlo umilmente
in volgare, e
suonano ora sull'uno
ora sull'altro; e,
forse, di quello
scordato, su cui
si travagliano e
sudano, si vantano assai
più che non
di quello accordato
e docile alle
loro dita. Per
costoro la divisione
si deve condurre
secondo i motivi
d'arte, gli spontanei e
gli artificiosi, che
muovono la loro
pro- duzione. Al
Pascoli si è
cercato di applicare
ora l'uno ora
l'altro procedimento; e,
per cominciare dal
primo, si è
detto, e si
è scritto anche,
che chi voglia
avere innanzi a
sé P. vero, P. poeta,
deve lasciare in
disparte la sua
produzione degli ultimi anni,
e risalire a
quella più vecchia,
ai Poemetti, alle
Myricae, quali comparvero in
pubblico nel modesto
volumino. E poiché,
si sa, le
opinioni variano, si
è anche manifestato
il parere inverso,
che P. vero non
bisogni cercarlo nelle
poesie giovanili, ma nelle
ispirazioni della piena
maturità, culminanti nei
Poemi conviviali e
negli Inni. Ed
io mi provo
a seguire l'una
e l'altra indicazione; e, dapprima,
risalgo ai Poemetti
e alle Myricae.
Rileggo la Senignja,
che è tra
i più pregiati
e pregevoli dei
poemetti: prima parte
di un «poema
georgico », come è stato
chiamato. Accostarsi a quei versi
e respirare l'aria
della campagna, aspirarne
gli effluvi, vedere
il casolare, i campi,
le opere domestiche
e rurali dei
contadini, udirne i
discorsi infiorati di
proverbi e di
sentenze, sentire dappertutto
il profumo agreste
delle cose e
delle anime; è
un'impressione immediata. Il poemetto
s'inizia con un
risveglio mattinale in una
casa di contadini:
una delle fanciulle
apre l'imposta, i
rumori della vita
ricominciano e vi
sono orecchi che
li raccolgono: la
cappellaccia manda dal
cielo il suo
garrito, la gallina
raspa sul ciglio
di un fosso,
il cane di
guardia s'alza, scuote
la brina scodinzolando, con
uno sbadiglio: si
odono per la
campagna i pennati
che squillano sul
raarrello. La fanciulla
si accosta al
davanzale, monda le
piante, coglie una
spiga d'amorino; e
poi, a quel
davanzale stesso, comincia a
ravviarsi i capelli,
come contadina, alla
grande aria, in
faccia al sole:
or luce or
ombra si sentia
sul viso; che
il sol montando
per il cielo
a scale, appariva
e spariva all'improvviso. Così
è descritta l'intera
giornata. Il fruscio
stridulo delle granate passa
e ripassa per
la casa, che
ha ormai tutte
le imposte spalancate:
si ri- governa la
cucina, dove le
stoviglie paiono rissare tra
loro nel silenzio
del mattino. Più
tardi, si apparecchia
il desinare per
gli uomini che
lavorano nei campi:
sul tagiier pulito
lo staccio balzellò
rumoreggiando. Il bianco
fiore ella ammucchiò
: col dito
aperse il mucchio,
e vi gettava
il sale e
tiepid'acqua dal paiolo
avito. Poi ch'ebbe
intriso, rimenò l'uguale
pasta e poi
la parti: staccò
dal muro il
matterello, strinse il
grembiale; e le
spianate assottigliò col
duro legno, rotondo,
a una a
una; e presto
sì le portava
al focolare oscuro.
Via via la
madre le ponea
nel testo, sopra
gli accesi tutoli;
e su quello
le rigirava con
un lento gesto
: né cessava
il rullìo del
matterello. Tutti i
gesti, tutti gli
oggetti, tutte le
colloca- zioni spaziali, sono
individuati con nitidezza
non facilmente superabile.
— E si
assiste così anche
alla cottura degli
erbaggi all'olio: Ora
la madre ne
la teglia un
muto rivolo d'olio
infuse, e di
vivace aglio uno
spicchio vi tritò
minuto. Pose la
teglia su l'ardente
brace, col facile
olio, e solo
intenta ad esso
un poco d'ora
l'esplorò sagace. L'olio
cantò con murmure
sommesso; un acre
odore vaporò per
tutto. Fumavano le
calde erbe da
presso, nel tondo,
ch'ella inebriò del
flutto stridulo, aulente;
e poi nel
canovaccio nitido e
grosso avviluppava il
tutto. E Rosa
in tanto sospendea
lo staccio, poneva
i pani sopra
un bianco lino,
stringea le cocche,
e v'infilava il
braccio. Tornò Viola
e furono in
cammino. La scena
ci sta innanzi
agli occhi come
in un quadro:
è larverà vita
campestre. Sì: ma
e l'in- tonazione, cioè il
significato estetico, cioè
l'anima, di queste
descrizioni e dell'intero
poemetto? P. non compone
egloghe più o
meno alle- goriche, come
nel medioevo e nel Rinascimento;
non vuol rinfrescare
le sensazioni erotiche
im- mergendole nella vita
della campagna; non
si accosta ai
contadini per curiosarne
le goffaggini, come
nelle nostre vecchie
poesie rusticane, dalla
Nencia del magnifico
Lorenzo giù giù
fino ai Cecchi
da Varlungo degli
epigoni e tardi
imita- tori del Seicento.
Se non m'inganno,
il suo pre-
cedente ideale è piuttosto
in quel rifacimento
dell'intonazione omerica, che
già gli studiosi
di Omero nella
Germania della fine
del secolo decimottavo
tentarono, e che
consigliò a Volfango
Goethe lo Hermann und
Dorothee. L'intonazione omerica
si sente non
solo in certi
collocamenti di epiteti
(il primo verso
dice: «Allorché Rosa
dalle bianche braccia»:
leucolena, dunque, come
Hera), e in
certe ripetizioni e
minuterie, ma in
tutto l'andamento. Il
metro non è
l'esametro, ma la
terzina, col serrarsi
deciso dell'ultimo verso
di coda, alla
fine delle brevi
riprese: / t.
A monte a
mare ella guardò
: guardato ch'ebbe,
ella disse (udiva
sui marrelli a
quando a quando
battere il pennato)
: aria a
scalelli, acqua a
pozzatelli. Domani voglio
il mio marrello
in mano: che
chi con l'acqua
semina, raccoglie poi
col paniere; e
cuoce fare in
vano più che
non fare. Incalciniamo,
o moglie. L'intonazione omerica,
trasportata alla vita
umile e alle
umili cose, ha
del gioco letterario;
come si può
notare finanche nella
meravigliosa ope- ricciuola
del Goethe. Ma
presso P. vi
si mescola altresì
qualcosa ora di
fine e squisito:
(l'aratro andava, ne
l'ombrìa, pian piano:
qualche stella vedea
l'opera lenta... una
campana si sentiva
sonare dal paese:
non più che
un'ombra pallida e
lontana); e ora
di affettato, come
nel racconto che il cac-
ciatore fa della fiaba
della cinciallegra, soldato di
guardia degli uccelli;
o nella preghiera
del- l'Angelus: Tu
che nascesti Dio
dal piccolo Ave,
da la sorrisa
paroletta alata: (disse
la voce tremolando
grave) tu che
ne l'aia bianca
e soleggiata eri
e non eri,
seme che vi
avesse sperso il
villano da la
corba alzata; ma
poi l'uomo ti
vide e ti
soppresse, t'uccise l'uomo,
o piccoletto grano;
tu facesti la
spiga e poi
la messe e poi la
vita... o in
quest'altro suono di
campane: Era nel
cielo un pallido
tinnito: Dondola dondola
dondola/ A nanna
a nanna a
nanna! — Il
giorno era finito.
Ed il fuoco
accendeva ogni capanna,
e i bimbi
sazi ricevea la
cuna, col sussurrare
de la ninna
nanna. E le
campane, A nanna
a nanna! l'una;
l'altra Dondola dondola!
tra il volo
de' pipistrelli per
la costa bruna.
A nanna il
bimbo, e dondoli
il paiuolo !
Il poemetto parrebbe
legato da un
filo sottile, una
storia d'amore: Rosa
ed Enrico il
cacciatore s'innamorano. Un
amore che prova
pudore a mostrarsi:
appena accennato nel
pensiero di Rosa,
che non può
pigliar sonno e,
quando s'addormenta, sogna: Pensava:
i licci de la tela,
il grano de
la sementa, il
cacciatore; e Rosa
lo ricercava; dove
mai? lontano. In
una reggia. E
risognò... Che cosa?
Similmente, nella seconda
parte intitolata l'Ac-
cestire, è significato l'amore
del giovinotto: E
la sua strada
seguitò pian piano,
e ripensava dentro
sé: che cosa?
ch'era gennaio... ch'accestiva
il grano, ch'era
già tardi... ch'eri
bella, o Rosa!
È un episodio
nel quadro; ma,
come si è
notato, non è
l'afflato animatore del
tutto. Cosi anche
questo poemetto ci
lascia perplessi: è
nitidissimo alla prima
specie, e tuttavia
non lo comprendiamo bene. Ora
ha dell'esercitazione letteraria,
ora della lirica
tormentata: il tono
ora ci sembra
quasi scherzoso, esagerato
di proposito nelle
mi- nuzie come a
prova di bravura,
ora grave e
so- lenne. È di
un poeta? è
di un virtuoso?
Dove finisce il
poeta? dove comincia
il virtuoso? Se
dalla Sementa risalgo
ancora più su,
alle prime Myricae,
trovo, tra l'altro,
un intero ciclo
di piccoli componimenti
di dieci versi
ciascuno: L'ultima passeggiata,
che si può
dire la prima
idea del poemetto
ora esaminato. La
figura di fanciulla,
che vi è
accennata, « la
reginella dalle bianche
braccia » , è
una sorella di
Rosa, anzi è
Rosa medesima. Sono
quadretti minuscoli: l'ara-
tura, la massaia con
le sue galline,
la via ferrata e
il telegrafo che
percorrono le campagne
recando l'impressione della
rumorosa vita lontana, le
comari che ciarlano
in capannello, l'osteria campestre sull'ora
del mezzodì, il
partir delle rondini,
l'apparecchio e cottura
del pane di
cru- schello, la ragazza
che aiuta la
madre nelle faccende
domestiche e fa
da piccola madre
ai mi- nori fratelli
e tiene le
chiavi del cassone
della biancheria odorata di
lavanda, e vede
accumu- larsi colà dentro
il corredo che fa presentire
prossime le nozze.
E sono quadretti
perfettamente intonati: non
v'ha niente di
ciò che stride
o appare incerto
nei poemetti. Arano:
Nel campo dove
roggio sul filare
qualche pampano brilla,
e dalle fratte
sembra la nebbia
mattinai fumare, arano
: a lente
grida, uno le
lente vacche spinge,
altri semina: un
ribatte le porche
con sua marra
paziente: che il
passero saputo in
cor già gode
e il tutto
spia dai rami
irti del moro
; e il
pettirosso: nelle siepi
s'ode il suo
sottil tintinno come
d'oro. Le comari
in capannello: Cigola
il lungo e
tremulo cancello e
la via sbarra:
ritte allo steccato
cianciano le comari
in capannello : parlan
d'uno, eh' è un
altro scrivo /scrivo, del
vin, che costa
un occhio, e
ce n'è stato;
del governo; di
questo mal cattivo;
del piccino; del
grande ch'è sui venti; del
maiale, che mangia
e non ingrassa
— Nero avanti
a quegli occhi
indifferenti il traino
con fragore di
tuon passa. Di
poesie come queste
sono ricche le
prime My- ricae,
e ce n'e
anche nella serie
di quelle altre
che ne continuano
la maniera, aggiunte
nelle posteriori edizioni.
Un'impressione di campagna,
mentre soffia il
vento freddo e
agita un piccolo bucato di
bimbo, messo ad
asciugare presso un
tugurio: Come tetra
la sizza, che
combatte gli alberi
brulli e fa
schioccar le rame
secche, e sottile
fischia tra le
fratte! Sur una
fratta (o forse
è un biancor
d'ale?) un corredino
ride in quel
marame: fascie, bavagli,
un piccolo guanciale.
Ad ogni soffio
del rovaio che
romba, le fascie
si disvincolano lente,
e da un
tugurio triste come
tomba giunge una
dolce nenia paziente.
Una fanciulla cuce
il suo abito
di sposa; a
un tratto leva
la testa e
ride: Erano in
fiore i lilla
e l'ulivelle; ella
cuciva l'abito di
sposa ; né
l'aria ancora apria
bocci di stelle,
né s'era chiusa
foglia di mimosa:
quand'ella rise: rise,
o rondinelle nere,
improvvisa: ma con
chi? di cosa?
rise così con
gli angioli: con
quelle nuvole d'oro,
nuvole di rosa.
In queste poesiole,
nemmeno le onomatopee
di voci d'uccelli
e di altri
suoni e rumori
offendono j3iù. Perchè, a
mio parere, hanno
avuto torto i critici quando
per quelle onomatopee
hanno aperto contro
il Pascoli uno
speciale processo: le cosiddette
onomatopee sono legittime
o illegittime secondo
i casi; e
quando P. le
adopera fuori luogo
(ed^èu-JL-dir vero, il
caso pijij[requen.te), l'error
suo è una
delle tante forme
di quella tendenza
all'insistere eccessivo, alla
minuteria, alla riproduzione
materiale, ossia di quell'affettazione e
disposizione asinfonica che è in
lui. Ma quando,
nelle prime Myricae,
scrive per la
prima volta l'ormai
famigerato scilp dei
passeri e viti
videvitt delle rondini,
io non trovo
luogo a scandalo,
perchè in quel
caso il Pascoli
mantiene un'intonazione bassa
e pacata; nota
l'impressione immediata della
cosa, e aggiunge
un'osservazione quasi riflessiva:
Scilp: i passeri
neri sullo spalto
corrono molleggiando. Il
terren sollo rade
la rondine e
vanisce in alto:
vitt, videvitt. Per
gli uni il
casolare, l'aia, il
pagliaio con l'aereo
stollo; ma per
l'altra il suo
cielo ed il
suo mare. Questa,
se gli olmi
ingiallano la frasca,
cerca i palmizi
di Gerusalemme: quelli
allor che la
foglia ultima casca,
restano ad aspettar
le prime gemme.
E non può
scandalizzare il rosignolo,
che ripete l'aristofaneo
nò xió, topoid
XiX(£; o bisogna
aver dimenticato che
la poesiola di
P., da cui
è tolto il
particolare tante volte
citato come esempio
di stravaganza, è
un apologo scherzoso
: il rosignolo
è allegoria del
poeta, le ranocchie
del grosso pubblico.
Comincia, infatti, cosi:
Dava moglie la
Rana al suo
figliuolo. Or con
la pace vostra,
o raganelle, il
suon lo chiese
ad un cantor
del brolo... In
tale apologo, in
siffatta intonazione, la
cercata reminiscenza aristofanesca
sta perfettamente a
posto e conferisce
grazia. Il risultato
medesimo si ha
ove si confrontino altri poemetti,
quelli di contenuto
filosofico e morale,
con le Myricae
di simile contenuto.
Il Libro vuol
far sentire l'ansiosa
e vana ricerca
del vero, che
l'uomo persegue: un
libro (l'im- magine deve
essere stata attinta
a un noto
luogo del Wilhelm
Meister, circa i
drammi dello Shakespeare), un libro,
aperto sul leggio
nell'altana, e le
cui pagine sono
rimescolate dal vento,
sug- gerisce la presenza
di un uomo
invisibile che frughi
e frughi e
non trovi la
parola che cerca.
" Ma l'impressione
solenne, che si
vorrebbeotte- • nere^è
impedita dalla realtà
determinata di quel
libro, sul leggìo
dfquercia, roso dal
tarlo, di quel
rumore di fogli
voltati a venti
a trenta a
cento, con mano
impaziente, « avanti
indietro, indietro avanti
»; e dalla
freddezza allegorica onde
il volume così determinato
si trasfigura, in
fine, nel «libro
del mistero »,
sfogliato «sotto le
stelle». Nei Due
fanciulli, malamente si
lega alla sce-
netta dei due fanciulli,
che litigano e
si graffiano e
che la madre
manda a letto,
ed essi nel
buio si cercano
e si rappaciano
e dormono abbrac-
ciati, l'ultima parte,
che dà l'interpetrazione allegorica
della scenetta ed
esorta gli uomini
alla concordia: il
quadretto idillico impiccolisce
l'ammonizione solenne, questa
appesantisce il quadretto.
Ma i versi
gnomici delle Myricae
sono, nella loro
tenuità, incensurabili. Li
ravviva, an- che nella
loro tristezza, un
lieve sorriso. Il
cane: Noi, mentre
il mondo va
per la sua
strada, noi ci
rodiamo, e in
cuor doppio è l'affanno, sì,
che pur vada,
e si, che
lento vada. Tal, quando
passa il grave
carro avanti del
casolare, che il
rozzon normanno stampa
il suplo con
zoccoli sonanti, sbuca
il can dalla
fratta, come il
vento; 10 precorre,
l' insegue; uggiola, abbaia.
11 carro è
dilungato lento lento,
e il cane
torna sternutando all'aia.
Parrebbe dunque che
dicano bene coloro
che soltanto in
P. delle prime
Myricae ritrovano un poeta
armonico e compiuto.
Ma si os-
servi: che cosa sono
quelle poesie? Sono
pensieri sparsi, schizzi,
bozzettini: un albo
di pittore, che
può essere di
molto pregio, ma che rappresenta,
piuttosto che l'opera
d'arte, gli elementi
di essa. Le
Myricae sembrano spesso
pochi tratti segnati
a lapis da
un pittore che
vada in giro
per la campagna
: Lungo la
strada vedi sulla
siepe ridere a
mazzi le vermiglie
bacche: nei campi
arati tornano al
presepe tarde le
vacche. Vien per
la strada un
povero che il
lento passo tra
foglie stridule trascina:
nei campi intona
una fanciulla al
vento: — Fiore
di spina!... E
lo schizzo ha la sua
attrattiva, ed anche
la sua compiutezza:
quasi una compiutezza
dell'in- compiutezza. Sono anch'io
dell'avviso che nelle
prime Myricae soltanto
il Pascoli abbia
la calma dell'artista.
Ma bisogna essere
pienamente con- sapevoli di
ciò che così
si afferma, e
che è, né
più né meno,
questo: che il
meglio dell'arte di
P. è nella
sua riduzione a
frammenti, nel suo sciogliersi
negli elementi costitutivi.
Di frammenti stupendi sono
conteste anche le
poesie che abbiamo
ricordate e criticate
come deficienti di
fusione e di
armonia: solo che
nel contesto artificioso perdono la
loro naturale virtù.
E già nelle
prime Myricae l'arte
di P., non
appena tenta maggiori
voli, scopre il
suo solito difetto.
In alcune saffiche,
ma specialmente poi
nei sonetti, egli
è ancora sotto
il freno e la disciplina
del suo grande
maestro Carducci, sicché, tolta
la costrizione di
quel modello, non
ha scritto più
sonetti. Ha continuato
invece le odicine
tra l'agreste e
l'oraziano, tra la
campagna e la
letteratura, che formarono
il ciclo Alberi
e fiori, al
quale alcune nuove
sono state aggiunte
fin nell'ultimo volume
di Odi e
inni. In qualche
altro breve componimento,
c'è un'ispirazione er.ojifa:
come nel Crepuscolo,
in cui egli
celebra il doppio
momento del giorno,
l'alba e il
tramonto, quando la bella
si snoda dalle
sue braccia «e
con man vela
le ridenti ciglia»,
o l'accoglie nelle
braccia, « e
il dolce nido
come suol pispi-
glia ». La «
reginella dalle bianche
braccia » non
è guardata con
occhio indifferente, come
la Rosa degli
anni più tardi.
C'è nei versi
a lei dedicati,
in mezzo alle
reminiscenze dell'omerica Nau-
sicaa, un calor
di sentimento, che
fa di quelle
tre poesiole alcune
delle migliori pagine
delle Myricae. Felici
i vecchi tuoi;
felici ancora i
tuoi fratelli ;
e più, quando
a te piaccia,
chi sua ti
porti nella sua
dimora, o reginella
dalle bianche braccia! Il
poeta si raffigura
non senza trepidazione
le prossime nozze:
Quella sera i
tuoi vecchi... quella
notte i tuoi
vecchi un dolor
pio soffocheranno contro
le lenzuola. Per
un momento sogna
di esser lui
lo sposo felice:
Al camino, ove
scoppia la mortella
tra la stipa,
o ch'io sogno
o veglio teco:
mangio teco radicchio
e pimpinella. Al
soffiar delle raffiche
sonanti l'aulente fieno
sul forcon m'arreco
e visito i
miei dolci ruminanti:
poi salgo e
teco o vano
sogno!... Vano sogno:
lo scolaro è
costretto a tornare
al suo latino
e al suo
calepino. Ma io
sento in questa
lirica amorosa l'eco
dell'Idillio maremmano del
Carducci, e più
ancora della poesia di
Severino Ferrari; la
quale giustamente è
stata più volte
ricordata negli ultimi
anni, a proposito
di P. A
ogni [Su Ferrari, si
veda il volume
secondo della Letteratura della nuova
Italia. Lo stato d'animo
dei due poeti
(le prime Myricae
e la prima
ampia raccolta dei
Versi di Ferrari furono pubblicate)
era, per molti
rispetti ed anche per
molte circostanze estrinseche,
simile. Gli autori
infatti si dimostrano
scolari del Carducci
nella predilezione per le
forme della poesia
trecentesca e popolare,
in certe movenze
di stile, in
quel piglio robusto
e semplice in-
sieme, che fece già
lodare la poesia
carducciana come la più « parlata
> di tutte
le nostre. Erano,
inoltre, quasi compaesani,
con le medesime
fonti materiali d'ispirazione: i
paesaggi, i costumi,
le consuetudini di
vita, cui alludono
nei loro versi,
sono gli stessi
nel poeta di
San Pietro a
Capofiume e in
modo, P. non
ha più ripreso^
codesti motivi: anzi, dalle'posteriori edizioni
delle Myricae la
lirica Crepuscolo è
stata_espunta. Ed egual-
mente ne è stato
espunto un sonetto,
in cui il poeta prendeva
atteggiamento e nome
di ribelle di
fronte a un
principe; come non
ha mai rac-
colto i versi rivoluzionari, pei
quali era noto
tra i suoi
condiscepoli di Bologna
e dei quali
conosco alcuni, che
credo inediti e
che cominciano: Soffriamo!
nei giorni che
il popolo langue
è insulto il
sorriso, la gioia
è viltà! Sol
rida chi ha
posto le mani
nel sangue, e
il fato che
accenna non teme
o non sa.
Prometeo sull'alto del
Caucaso aspetta, aspetta
un hel giorno
che presto verrà;
un giorno del
quale sii l'alba,
o Vendetta! un
giorno il cui
sole sii tu,
Libertà!... quello di
San Mauro, nel
campagnuolo dell'estremo bolo-
gnese e in quello
della confinante estrema
Romagna: en- trambi sbalzati come
insegnanti nelle più
lontane regioni d'Italia,
e portanti nel
cuore l'uno il
piccolo borgo «dove
non è che
un argine, cinque
olmi e quattro
case*, e l'altro
«sempre un villaggio,
sempre una campagna»,
il paese do-
minato dalla « azzurra
vision di San
Marino. E furono,
infine, coetanei, condiscepoli
ed amici, e
si scambiavano versi,
e l'uno ricordò
l'altro nelle proprie
poesie. Per la
comunione d'anime che
si forma tra
giovani fervidi di
disegni e di
speranze, alcuni atteggiamenti
artistici doverono passare
dall' uno all'altro; né
è detto che
il « succubo
» fosse sempre
P., quando già
nel Mago il
Ferrari celebrava l'amico
come l'ar- tista «dalla
lima d'oro», dalle
«fresche armonie, dai
baldi voli »,
e simboleggiava l'arte
di lui nel
canto di un
lieto coro di
« giovani capinere
e usignuoli ».
Accade quindi che,
alcune volte, leggendo
il Ferrari, par di leggere
P. della prima
maniera. Cosi in
certe impressioni di
campagna: «C'è un
zufolar sì tremulo
che viene Di
fondo ai fossi...
»; in certe
Ma da questo
Pascoli amoroso e
ribelle, da questo
P. preistorico, tornando
allo storico , \
dicevamo, dunque, che
nelle prime Myricae,
e soprattutto nella
serie che le
seguì, già si
vede ì com'egli
si sforzi ad
una poesia più
complessa e personale
ed intensa, e
come dia subito
in disarmonie. Il
buon piovano, che
passa pei campi
salutando e benedicendo. tutti, è
una figura che
ha tocchi esagerati.
Benedice anche il
falco, anche il
falchetto (nero in
mezzo al ciel
turchino), anche il
corvo, anche il
becchino, poverino, che
lassù nel cimitero
raspa raspa il
giorno intero. visioni
di opere agricole:
«Anco per poco
ondeggerete, o chiome
De la canapa
verde...»; in certi
interni di case
rustiche e di cucine
: « Là
splendeva co '1
giorno nei decenti
Costumi la virtù
della massaia... »;
e finanche nella
descri- zione della vita
degli uccelli, nei
pensieri dei rosignuoli
o negli amori
delle capinere: «Come
un argenteo tinn
di campanello. D'altra
parte, in P. si
risentono accenti del
Ferrari: « Cantano
a gara intorno
a lei stornelli
Le fiorenti ragazze
occhipensose; « Siedon
fanciulle ad arcolai
ronzanti...». Ma la poesia
del Ferrari, se
mostra una cerchia
di pensieri e
di sentimenti più
ristretta di quella
del Pascoli ed
è alquanto inferiore
a questa per
maturità di forma,
è poi fortemente
dominata dal sentimento
d'amore, che manca
quasi affatto nel
Pascoli: Se corso
d'acqua o ben
fiorito ramo 6
strepito di venti
o di bell'ale
chieda l'onor del
breve madrigale, non
l'ottiene però se
una gioconda forma
di donna a la romita
scena non dia
'1 senso d'amor
ond'ella è piena.L'affettazione è
già nel Morticino:
Andiamoci a mimmi,
lontano lontano... Din
don... oh ma
dimmi: ^on vedi
ch'ho in mano
il cercine novo,
le scarpe d'avvio? e
nel Rosicchiolo (la
madre morta ha
accanto un pezzo
di pane, serbato
pel figlio), tutto
rotto e ansante
di esclamazioni: Per
te l'ha serbato,
soltanto per te,
povero angiolo; ed
eccolo o pianto!
lo vedi? un
rosicchiolo secco. Moriva
sul letto di
strame; tu, bimbo,
dormivi, sicuro. Che pianto
! che fame
! Ma c'era
un rosicchiolo duro...
e in altre
molte. Già vi
sono le inopportune
ma- terialità. I versi
Scalpitio: si sente
un galoppo lontano
(è la...?) che
viene, che corre
nel piano con
tremula rapidità; non
sono da riprovare
(come è stato
fatto) per l'ardimento
metrico, ma perchè
la previsione della
Morte che sopraggiunge
è diventata in
essi qualcosa di
prosaico, quasi di
un treno che
ar- rivi; e il
verso, lodato per
bellissimo: «con tremula
rapidità», è di
una precisione sconcordante
col soggetto; come
sconcordante è il
triplice grido ultimo:
«la Morte! la
Morto! la Morte!»,
che ricorda quello
del madrigale di
Mascarille: « Au
voleur! au voleur!
au voleur! au
voleur! » . Lo
strafare appare già
per molti segni.
Alla breve poesiola:
II cuore del
cipresso, sono state
aggiunte, nella seconda
edizione, altre due
parti per rincupirla
e renderla enfatica;
con raffinati giochetti
come: «l'ombra ogni
sera prima entra
nell'ombra», e con
interrogativi a più
riprese: «E il
tuo nido? il tuo nido?...».
Finanche la ottava
quasi in tutto
bella delle prime
Myricae: Lenta la
neve fiocca fiocca
fiocca: senti: una
zana dondola pian
piano. Un bimbo
piange, il piccol
dito in bocca;
canta una vecchia,
il mento sulla
mano. La vecchia
canta: Intorno al
tuo lettino c'è
rose e gigli,
tutto un bel
giardino. Nel bel
giardino il bimbo
s'addormenta. La neve
fiocca lenta lenta
lenta; — è stata
esagerata, non potendosi
altro, nel titolo.
S'intitolava semplicemente: Neve,
e fu poi
inti- tolata: Orfano; laddove
è evidente che
nessuna ragione artistica
costringeva a privar
dei geni- tori quel
caro piccino, che
piange, « il
piccol dito in
bocca » !
Allorché, dunque, nelle
Myricae si prescinda
da ciò che
è eco o
incidente passeggero o
semplice schizzo e quadretto
minuscolo, vi si
trova in embrione
il Pascoli con
le sue virtù
e coi suoi difetti.
Le Myricae contengono
i motivi da
cui si svilupperanno
i Canti di
Castelvecchio e i
poemetti georgici e
morali; i quali
danno poi la
mano ai Poemi
conviviali e agli
Inni. III. È
da vedere perciò
se non convenga
seguire l'altra indicazione,
che ci è
stata offerta: che
cioè il Pascoli
vero sia da
cercare nella sua
poesia ultima e
degli anni maturi,
in P. « maggiore
» contrapposto al « minore
» , in quello
delle solenni composizioni
in terzine e in endecasillabi sciolti. È
da vedere se
di quei difetti,
di cui è
libero nelle prime
Myricae perchè si
appaga del piccolo,
non sia riuscito
poi a liberarsi anche e
meglio per altra
• via, lavorando
in grande, componendosi
un gran corpo.
E poiché non
diletta sfondare porte
aperte, lascio da
banda gl'Inni, che
per comune e
concorde giudizio sono la
parte più debole
della sua produzione
ultima, e vado
difilato ai Poemi
conviviali. Nei quali, a
tutta prima, sorprende
un'aria di compostezza,
una facilità ed
egualità d'intonazione, onde par
di avere innanzi
un'altra persona, o
tale che si
è sviluppata cosi
improv- visamente e magnificamente che
non lascia riconoscere l'antica. Che
cosa è mai
accaduto? Il Pascoli,
oltre che poeta,
è anche umanista:
conforme alla tradizione della
nativa Romagna (clas-
sicheggiante, più forse che
altra regione d'Italia nel
secolo decimonono), e
all'indirizzo della scuola
di Carducci. Non
è un pensatore,
e nemmeno propriamente
quello che si
dice un dotto,
perchè la sua
solida cultura letteraria
non è orientata
verso la ricerca
scientifica o storica,
ma verso il
godimento del gusto
e la riprodu-
zione della fantasia. Perciò
ha qualcosa di
antiquato rispetto al modo
moderno della filologia;
e, insieme, qualcosa
di raro e
di sorprendente. Da
scolaro, faceva meravigliare
i condiscepoli che
dicevano ch'egli attendesse a
mettere in prosa
attica l'autobiografia di
Cellini; e ancora
si narrano le
sue prodezze di
versificazione latina e
greca. Ha presentato
più volte poemetti
latini alla gara
internazionale di Amsterdam,
e più volte
ha riportato il primo
premio. Ha compilato
antologie di poesia
latina, e postovi
introduzioni critiche, nelle
quali si trovano
brani e pagine
descrittive, — gli
aedi, Achille morente,
l'agone tra Omero
ed Esiodo, Solone
vecchio che vuol
imparare un canto
di Saffo e
morire, ecc. —
che ricompaiono nei
Poemi conviviali. Ora,
in questi poemi
[Un esempio. «
L'aedo viaggia per l'
Hellade divina e per le
isole. Si aggira
spesso lungo il
molto rumoroso mare
per trovare una
nave bene arredata,
che lo tragitti:
egli paga i
nocchieri con dolci
versi, se è
accolto... Ma, se
è re- spinto, maledice... Così
a tutti si
rivolge l'aedo, che
a tutti canta,
uomini e dei:
entra come nella
casa dei re,
così nella capanna
del capraio ;
chiede con la
maestà del sacerdote
sì ai pescatori
che tornano, sì
ai vasai che
accendono la for-
nace ; e canta.
Qualche volta dorme
sotto un pino
della cam- pagna: qualche volta,
sorpreso dalla neve,
vede risplendere in
una casa'ospitale la
bella fiammata, che
orna la casa
come egli sposa la sua ispirazione
poetica alle forme
della poesia greca,
nella cui riproduzione
ha acquistato pratica
meravigliosa. Come nei
poemetti presentati alle gare
olandesi parla latino,
e in latino
dà i primi
abbozzi o le
varianti del Ciocco,
dei Due fanciulli
e di altre
sue composizioni italiane, così
nei Poemi conviviali
parla greco: greco
con parole italiane,
ma con tutte
le inflessioni, i
giri, i sottintesi
di chi si
è a lungo
nutrito di poesia
greca. Il libro
è un trionfo'
della virtù assimilatrice, un
capolavoro di aultura
umanistica. Questo linguaggio
greco, adottato da P.,
conferisce alla sua
nuova o/pera un
aspetto meno agitato
e dissonante. Ma,
quando si afferma,
com'è stato affermato,
che nel passare
dalla lettura dell'
Odissea a quella
dei Poemi conviviali
non si avverte
diversità di sorta,
bisogna rispondere di
star bene attenti
a non lasciarsi
ingannare dalle apparenze.
Sotto l'acqua limpida
e cheta si
muove la corrente
' 'jf /)
turbinosa e torbida.
P. è P.
e non'l^y»*/ Omero:
è, anzi, la
sua, quanto di
più dissimile )J^
i figli l'uomo,
le torri le
città, i cavalli
la pianura, le
navi il mare».
(Epos, p. xxi).
Si ascolti ora II cieco
di Ohio: Io
cieco vo lungo
l'alterna voce del
grigio mare; sotto
un pino io
dorino dai pomi
avari; se non
se talora m'annunziò,
per luoghi soli,
stalle di mandriani,
un subito latrato;
o, mentre erravo
tra la neve
e il vento,
la vampa da
un aperto uscio
improvvisa nella sua casa mi
svelò la donna,
che fila nel
chiaror del focolare.
si possa pensare
dalla poesia omerica:
questa così ingenuamente
umana, quella cosi
sapiente nella sua
umanità, cosi sorpresa
e stupita della
sua ingenuità che
sta a guardarla
e a riguardarla
in viso, e
ad ammirarla; e
non le par
vera! Si può
scegliere a piacere
qualsiasi dei suoi
poemi, giacché il
loro valore press 'a
poco si equi-
vale. Anticlo è nato
da due versi
e mezzo dell'Odissea.'. Anticlo, nel
cavallo di legno,
sta per rispondere
alla voce di
Elena che contraffa
quella della moglie
di lui, quando
Ulisse gli caccia
la mano nella
gola, Il P. comincia
con l'eseguire variazioni intorno
a questo motivo.
Le due prime
parti del poemetto
sono quasi ripetizioni
l'una dell'altra: un
granellino di poesia
è diluito in
molta acqua: E
con un urlo
rispondeva Anticlo, dentro
il cavallo, a
quell'aerea voce, se
a lui la
bocca non empia
col pugno Odisseo,
pronto... La voce
dilegua chiamando ancora
.per nome, finché
non s'ode più
nulla: finché all'orecchio
degli eroi non
giunse che il
loro corto anelito
nel buio; così
come, all'ora del
tramonto, mentre essi
se ne stavano
chiusi nel gran
cavallo, udirono lon-
tanare i cori delle
vergini; e poi
si fece sera,
e [ ''AvxikX,05
5è aé y'
0X05 à[igCi|>ac8ai èjiéeaaiv
fj8EXv, àXV 'Oòvaaevq
è:tl nàaxaxa xeQoi
Jite^ev VO)X8|léa)5 KQaT8QTÌ,
come è stata
argutamente chiamata. E
l'idillio di un
animo piagato; è
una pace di
conquista, non di
natura. La casetta
e la famigliuola,
che sono le
imma- gini consuete dell'idillio,
hanno accanto a sé, nella
visione del Pascoli,
un'altra casa e
un'altra famiglia in
cui egli vive
non meno che
in quelle in
cui trascorre la
vita materiale: il
cimitero, e i
fantasmi dei suoi
morti. Questi morti
sono sem- pre con
lui: tornano sempre
a quelle pareti
doraestiche da cui
furono crudelmente strappati:
toccano e riconoscono
le loro masserizie,
i loro abiti,
le tele che
tesserono e cucirono,
i figliuoli che
generarono e lasciarono
bambini, i fratelli
coi quali divisero
le prime gioie
brevi e i
primi pungenti dolori.
Immagini di morti,
che si tirano
dietro, nell'animo del
poeta, altre immagini
affini: mendichi, vecchi,
ciechi, bambini deboli
e pian- genti. È
un idillio, irrigato
di pianto: il
tesoretto domestico, sul
quale egli vive,
è formato dal
ricordo dei mali
e delle angosce
sofferte. L'ere- mita (del
poemetto cosi intitolato),
nello scendere lungo
il fiume della
morte, grida: Signore,
fa ch'io mi
ricordi! Dio, fa
che sogni! Nulla
è più soave,
Dio, che la
fine del dolor;
ma molto duole
obliarlo; che gettare
è grave il
fior che solo
odora quando è
còlto. Da questa
contemplazione, fatta fine
e abito di
vita, sorge una
forma di serenità:
l'animo, non più
interiormente dilaniato, può
volgersi al mondo
esterno, e guardare
ed osservare e
comentare, in un
modo per altro
sempre intonato alle
sofferte vicende: calmo,
sì, ma non
gaio: sereno, ma
non agile e
leggiero. E sorgono
insieme le gioie
modeste: l'attitudine a godere
delle cose piccole,
del riposo gior-
naliero, della mensa, della
passeggiata, dello studio;
a scoprire in
esse un sapore,
una virtù ascosa,
che altri, più
fortunati o più
sfortunati, non vi
scoprirebbero: come nel
fior d'acanto, che le
api regali disdegnano,
le api legnaiole
trovano il miele
e la contadinella
sugge il nettare
ignoto. A te né
le gemme né
gli ori forniscono
dolce ospite, è
vero; ma fo
che ti bastino
i fiori che
cògli nel verde
sentiero, nel muro,
sulle umide crepe
dell'ispida siepe. Non
reco al tuo desco lo
spicchio fumante di
pingue vitella; ma
fo che ti
piaccia il radicchio,
non senza la
sua selvastrella, con
l'ovo che a
te mattutina cantò
la gallina. Questa
disposizione d'animo è
stata da P., negli ultimi
tempi, innalzata a
una teoria etico-sociologica, che
egli non si
stanca di pre-
dicare in tutte le
occasioni: tanto che,
per questo rispetto,
stiamo per avere,
anche noi italiani,
il nostro Tolstoi
(purtroppo, solo Tolstoi
che filosofeggia! La natura
è una madre
dolcissima che sa
quel che fa,
che ama i
figli suoi, e
dal male ricava
per essi il
bene. La vita
è bella, o
sarebbe, se gli
uomini non la
guastassero. Ma gli
uomini avvelenano ogni
cosa con la
discordia, con l'odio,
con la guerra,
e con la
cupidigia insaziabile, che
è il movente
riposto e ultimo.
Bisogna dunque dichiarar
guerra alla guerra;
non ammettere di-
visioni fatali, esser di
nessun partito, addetti
so- lamente alla causa
dell'umanità: non ridere
delle parole carità
e filantropia, ma
accettarle meglio che
quelle di socialismo,
individualismo e simili; il
vero socialismo è il continuo
incremento della pietà
nel cuore dell'uomo.
Tutte le cose
buone sono identiche,
o s'identificano: il
patriottismo non sta
contro il socialismo,
e viceversa: il
so- cialismo dev'essere patriottico,
e il patriottismo
socialistico. Tutto è
affar di cuore,
di dolcezza, di
pietà. Anche la
scienza e la
fede non debbono
rissare: la scienza
deve tener della
fede e la
fede della scienza.
Codesta non già
transvalutazione, ma adeguazione
o depressione di
valori, è sug-
gellata dalla virtù del
contentarsi: contentarsi del
poco, perchè, se
il molto piace,
il poco solo
è ciò che
appaga. Uomini, contentatevi del
poco (assai, vuol
dire si abbastanza
e sì molto:
filosofia della lingua!),
e amatevi tra voi
nell'ambito della famiglia,
della nazione e
dell'umanità. Una filosofia, che
è già bella
e criticata, quando
si è mostrato
che nasce da
uno stato d'animo
individuale; e del resto,
P. stesso, pratica-
mente, come uomo, la
contradice quando, appena
qualcuno tocca ciò
che gli è
caro (la sua arte, o
i, suoi convincimenti
critici), corre alle
difese e alle
offese; non esita
a chiamare stolti
o « sciocchi
» i suoi
accusatori (si veda
la prefazione ai Poemi
conviviali)) e, insomma,
conserit proelia, viene
alle mani: di
che non lo
biasimerò io certamente,
perchè mi par
naturale che ognuno
protegga, come può,
le cose che
ama. Nasce da
uno stato d'animo
e ci conferma
questo stato d'animo,
che è quello
che abbiamo definito
come una varietà
del sentimento idillico.
Ora, il sentimento
idillico è costante
in tutta l'opera letteraria
del Pascoli: involuto,
e qua e
là lievemente sorridente,
nelle primissime Myri-
cae, chiaramente spiegato
nelle poesie posteriori.
Non fanno eccezione
i Poemi conviviali,
il cui contenuto
sono la natura,
la morte, la
bontà, la pietà,
l'umiltà, la poesia;
e la poesia
e la morte
più d'ogni altra
cosa: pensieri tristi
e delicati, che
risuonano sulle labbra
dei personaggi del
mito, della leggenda
e della storia
ellenica. Per bocca
dell'antico Esiodo parla
sempre il Pascoli:
E sol com'ora
anco è felice
l'uomo infelice: s'egli
dorine o guarda:
N quando guarda
e non vede
altro che stelle,
quando ascolta e
non ode altro
che un canto;
P. stesso è
effigiato in Psiche,
che solitaria nella
sua casa intende
l'orecchio al canto
di Pan: Eppur
talvolta ei soffia
dolce così nelle
palustri canne, che
tu l'ascolti, o
Psiche, con un
pianto sì, ma
ch'è dolce, perchè
fu già pianto
e perse il
triste nel passar
degli occhi la prima
volta; o nell'aedo
Femio, che parla
ad Ulisse e
dice della poesia,
quel che già
era stato detto
nelle varie allegorie
ed apologhi delle
Myricae: Un nicchio
vile, un lungo
tortile nicchio, aspro
di fuori, azzurro
di dentro, e
puro, non, Eroe,
più grande del
nostro orecchio; e
tutto ha dentro
il mare, con
le burrasche e le ritrose
calme, coi venti
acuti e il
ciangottio dell'acque. Una
conchiglia breve, perchè
l'oda il breve
orecchio, ma che
tutto l'oda; tale
è l'aedo. Pure
a te non
piacque. La medesimezza
dell'ispirazione nei Poemi
conviviali, e nelle Myricae
e Poemetti, è
stata concordemente
riconosciuta; e in
questo senso si
è bene affermato
che P. ellenico
è un elle-
no-cristiano. Diversa opinione
è stata manifestata
per gli Inni',
e si è
detto che P.
vuol tentar in
essi la corda
eroica, e fallisce.
E gli si
è dato sulla
voce, consigliandolo (per
parlare col suo
poeta) a meditare
silvestrem musam tenui
avena, ad attenersi
al deductum Carmen,
al calamos inftare
leves, se non
voglia stridenti miserum
stipula disperdere carmenì
Ma gl'inni, nel
loro complesso, contengono
nient'altro che la
predicazione del solito vangelo
pascoliano: si ricordino
quelli sull'anarchico assassino
dell'imperatrice Elisabetta, sul
negro di Saint-Pierre,
sulla uccisione di re
Umberto, sul Duca
degli Abruzzi e
la spedizione al
Polo, sulle stragi
civili. E si
deve concludere che
non vi ha
luogo a distinguere,
nell'opera del Pascoli,
filoni diversi di
pensieri, correnti diverse
di sentimento, e
ad assegnare la
parte geniale della
poesia di lui
all'una delle correnti,
e l'artificiosa all'altra.
Si deve concludere
che anche il
secondo dei due
procedimenti critici, che
abbiamo ricordati, si
chiarisce inapplicabile al
caso suo. E così
l'arte di P. par
che serbi sempre
l'aspetto di un
problema. La genialità
e l'artificio, la
spontaneità e l'affettazione, la
sincerità e la
smorfia, appaiono uniti
negli stessi componimenti,
nelle stesse strofe,
talvolta in un
singolo verso. Il
male attacca la
lirica nelle sue
radici e nelle
sue fibre più
intime, nel metro;
talché in mol-
tissime poesie del Pascoli
la mossa metrica
è come staccata
dall'ispirazione: quasi si
direbbe che, appena
sorto il germe
di vita, un
microbio vi si
sia precipitato sopra
a contaminarlo. L'impressione del lettore
è quella che
io ho notata
in principio: l'attrattiva
e la repulsione,
il rapimento e
il disgusto si
avvicendano. Abbiamo insieme
un poeta ingenuo
e uno bambinesco;
un lirico del
dolore e un
assassinato di dolore,
come avrebbe detto
Pietro Aretino; un
commoso cantore della pace e un
predicatore alquanto untuoso;
un uomo santo
e un sant'uomo,
uno spirito religioso e
un prete. Stiamo
a momenti per
gridargli entusiasmati: Quae
Ubi, quae tali
reddam prò Carmine
donaci, e donargli
la nostr'anima (unico
dono degno che
possa farsi ai
poeti); ma, nel-
l'istante seguente, lo slancio
del donatore resta
sospeso. E il
critico è messo
in imbarazzo: press'a
poco nella situazione
di Gargantua, quando
gli nacque il
figlio e gli
mori la moglie,
che non sapeva
se dovesse ridere
o piangere: *Et
ledóbufe qui troubloil
san en tende
meni esloit assavoir
l'AS mon s'il
devoit pleurer poùr
le deuil de
sa femme, ou
rire pour la
joie de son
filz. D'un coste et
d'aulire, il avoit
argumens sophistiques qui
le suffoquoient, car
il les faisoit
tres ìnen in
modo et figura,
mais il ne
les pouvoit souldre.
Et, par ce
moyen, demeuroit empestrè
cornine la souris
empeigée, ou un
milan pris au
lacet». Ma il
critico non vuole
escogitare « argumens
sophistiques»: vuol vederci
chiaro, e non
gli riesce. Non
è una consolazione
osservare che questa
incertezza si ritrova
nell'opinione generale con-
cernente il Pascoli. Coloro
che più ponderata-
mente hanno scritto della
sua opera, mostrano
sempre, in modo
espresso o tra
le linee, una
tal quale insoddisfazione: e
ora concludono che
P. non giunge
alla creazione spontanea
e ^geniale; ora
riconoscono quel che
c'è d'imperfetto nelle sue
più belle creazioni;
ora lo consi-
derano piuttosto come precursore
che come ar-
tista compiuto in sé
stesso; ora lamentano
che nel Pascoli
ci sia l'imitazione
di sé medesimo,
il pascolismo. Più
volte ho potuto
osservare che alcuni
dei maggiori estimatori
e lodatori di
lui non sanno
celare la loro
dubbiezza e cercano
come di essere
rassicurati sulla legittimità
della loro ammirazione;
o alcuni dei
più risoluti avver-
sari non si sentono,
nella manifestazione del
loro dispregio, in
completa buona coscienza.
Tanta è questa
incertezza, che si
ode lamentare non essere
stato finora P.
giudicato degnamente perchè
la critica italiana
è inferiore al
compito suo; ed
altri scusano la
critica con- siderando l'arte del
Pascoli come un'arte
dell'av- venire, che solo
in una nuova
fase spirituale potrà
essere compresa a
pieno. Sarà dunque
così? Fallimento della
critica? o rinvio
all'avvenire? Ma, prima
di ricorrere a
codeste ipotesi da
disperati (da disperati,
perchè non verificabili), bisogna
esaminare un'ipotesi più
semplice. La quale
è, che ciò
che si presenta
come problema sia
una soluzione; che
ciò che sembra
una do- manda, sia
già una risposta
; che questa
mia censura critica, che
finora sembra tutto
un prologo, sia
già una conclusione.
Il Pascoli è,
per l'appunto, quale
lo siamo venuti
osservando: uno strano
miscuglio di spon-
taneità e d'artifizio: un
grande-piccolo poeta, o,
se piace meglio,
un piccolo-grande poeta
(cosi come, in
una delle sue
poesie, la terra
a lui apparisce un
« piccoletto-grande presepe
» !). In
lui, anche dopo
le prime Myricae,
sono sorti motivi
poetici felicissimi, anzi
più ricchi forse
e più pro-
fondi dei suoi primi;
ma codesti motivi
non ven- gono padroneggiati e
ridotti a unità
artistica, e non
acquistano quell'intonazione armonica,
che è la
manifestazione dell'unità. Era
uno squisito poeta
nelle prime Myricae,
restio a scrivere
e a stampare,
tanto che si
denominava da sé
« Belacqua», e,
sfiducioso, non cercava
la fama. Ma! la
fama l'ha raggiunto,
e lo ha
eccitato a una
produzione abbondante e
artificiale. Spirito poetico qual
egli è, non
riesce mai a
diventare del tutto
un retore; ma
non riesce neppure
alla poesia compiuta,
e s'indugia in
una semi-poesia. Perciò
anche egli, ora,
non vede nessun
termine alla sua
produzione: smarrito il
senso della sin-
tesi artistica, di ogni
commozione fa una
lirica, prima che
sia diventata veramente
tale: la sua
produzione si è
resa facile e
meccanica. « Quanto
più di numero
vorrei che fossero!
(scrive nella prefazione
di Odi e
inni, che pure
son troppi e
troppi). Io sento
di non avervi
ancor detto nulla
di ciò che
avevo per i
vostri cuori. E
temo di andarmene,
volgendomi disperatamente addietro
per dirvi ciò
che non dissi,
e che è
sempre e ancora
il tutto. Bisogna
affrettarsi, ora. Gli
anni non vengono,
ora: vanno ».
Perciò, non s'acqueta
in nessuna delle
sue creazioni. Ogni
materia diventa per lui
inesauribile. Il tragico
fato del _padre
gli è fonte
perpetuajd^__pjoesia^,appunto
perchè nessuna perfetta
poesia ne è
nata. Egli sente
nell'aria il rimprovero
per quel suo
inces- sante verseggiare i
casi della propria
famiglia; e si
difende: «Io devo
(il lettore comprende)
io devo fare
quel che faccio.
Altri uomini, rimasti
impuniti o ignoti,
vollero che un
uomo non solo
innocente ma virtuoso,
sublime di lealtà
e bontà, e
la sua famiglia,
morisse. E io non voglio.
Non voglio che
siano morti. E
non si tratta
di questo: i
lettori non l'accusano
di parlar troppo
di suo padre,
ma di non
parlarne abbastanza poeticamente;
ed egli forse
insiste nel tema,
non perchè spinto
da dovere domestico,
ma perchè avverte,
sia pure confusamente,
che non è
giunto ancora a
concretare il suo
sentimento nelle immagini.
Quella tragedia familiare
gli sta dinanzi
come un grosso
blocco di marmo,
che non sa
come lavorare: ne
fa con lo
scalpello saltare qualche
scheggia, ma non
v'incide una volta
per sempre la
statua o il
gruppo. Per la
stessa ragione, infine, la
sua opera poetica
ha l'aria di
una poesia dell'avvenire: i
motivi, che vi
sono abbozzati e
non perfettamente elaborati,
paiono aspettare e
provocare l'artista, che
li ripiglierà. Come
dal suo stato
d'animo idillico P. ha
tratto una filosofia
che è la
conferma di quel
suo stato, cosi
dalla sua arte
imperfetta ha tratto
un'estetica e una
critica, che è
il riflesso teorico
di essa, e
insieme una conferma
dell'analisi che si
è tentata in
queste pagine. Il
poeta jegli dice
ed io compendio),
il poeta vero
è un fanciullo:
è l'anima che
ama il poco,
le piccole cose,
la campagna piccola,
il campicello, l'orto
con una fonte
e con un
po' di selvetta,
il cavallino, la
carrozzina, l'aiolina. E
l'ama con la
dolcezza della pietà:
perchè il poeta
non solo è
il fanciullo, ma
è anche il
poverello dell'umanità, spesso
cieco e vecchio.
Per conseguenza, in
quanto poeta, è
sempre ispiratore di
buoni e civili
costumi, d'amor patrio
e familiare e
umano: è sempre
socialista, perchè è
umano: esclude l'impoetico,
e alla fine
si trova che
l'impoetico è quello
appunto che la
morale riconosce cattivo
e l'estetica dichiara
brutto: l'esclude non
di proposito, non
ragionando, ma cosi
istintivamente, perchè ne
ha paura o
schifo. Ciò che
esce fuori di
questo amore pel
piccolo) non è
poesia. Le armi, le
aste bronzee, i
carri di guerra,
i lunghi viaggi,
le traversie, sì,
perchè sono cose
che il fanciullo
ricerca con avida
curiosità, e le
vagheggia palpitando di
gioia. Ma tale
non è l'amore,
l'eros; tale non
è tutta la
moltitudine irosa delle
altre passioni. Ciò P. chiama
non più elemento
poetico, ma drammatico;
non più poesia
pura, ma applicata;
non più di
sentimento, ma di
fantasia. Con l'introduzione dell'elemento
erotico, l'essenza poetica
diminuisce: le figure
omeriche sono più
poetiche di quelle
della tragedia ellenica:
Rolando della Chanson
è più poetico
dell'Orlando innamorato e
furioso dei romanzieri
italiani. La Comedia
dantesca, come tutti
i grandi poemi,
i grandi drammi,
i grandi romanzi,
è poesia ap-
plicata: è un gran
mare, nel quale
di tanto in
tanto si pesca
una perla, un
prodotto di poesia
pura; com'è, per
esempio, nel Purgatorio
la descrizione dell' «ora
che volge il
desio ai naviganti .
Questa estetica è
la base della
sua critica letteraria.
Di Omero mette
in mostra l'intona-
zione fanciullesca: « descriveva
i particolari l'uri
dopo l'altro, e
non ne tralasciava
uno, nemmeno, per
esempio, che le
schiappe da bruciare
erano senza foglie.
Che tutto a
lui pareva nuovo
e bello, ciò
che vi aveva
visto, e nuovo
e bello credeva
avesse a parere
agli uditori. La
parola c bello
e ' grande
' ricorreva a
ogni momento nel
suo novellare, e
sempre egli incastrava
nel discorso una
nota a cui
riconosceva la cosa.
Diceva che le
navi erano nere,
che avevano dipinta
la prora, che
galleggiavano perchè ben
bilanciate, che avevano
belli attrezzi, bei
banchi; che il
mare era di
tanti colori, che
si moveva sempre,
che era salato,
che era spumeggiante.. L'Eneide
di VIRGILIO diventa
per P. quasi
un duplicato della
Georgica: l'Eneide canta,
si, guerra e
battaglie; ma tutto il
senso della mirabile
epopea è in
quel cinguettìo mattutino
di rondini o
passeri, che sveglia Evandro
nella sua capanna,
là dove avevano
da sorgere i
palazzi imperiali di
Roma. Nelle sue
introduzioni aXY Epos e
alla Lyra, il
Pascoli evoca la
Grecia primitiva coi
suoi aedi e
mendicanti, ricchi di
meravigliose storie, fanciulli
parlanti ad altri
fanciulli, o ri-
sveglianti nell'uomo adulto
il fanciullo: evoca
il Lazio primitivo,
con la sua
vita agreste piuttosto
che guerresca. È
da notare un'altra
dottrina letteraria del
Pascoli, che si
lega alla precedente.
Egli afferma che
per la poesia
vera e propria
agli italiani manca,
o sembra mancare,
la lingua; e
che bisogna riproporsi il
problema posto e
studiato dal Manzoni:
il problema della
lingua. La lingua,
che si adopera,
è troppo generica
e grigia. «
Pensate ai fiori
e agli uccelli, che
sono de' fanciulli
la gioia più
grande e consueta:
che nome hanno?
S'ha sempre a
dire uccelli, si
di quelli che
fanno tottavì e
si di quelli
che fanno crocrol
Basta dir fiori
o fioretti, e
aggiungere, magari, vermigli
e gialli, e
non far distinzione
tra un greppo
co- perto di margherite
e un altro
gremito di crochi?». Ed
insegna ai fanciulli
il segreto per
diventar valenti in poesia:
«Chiedete sempre il
nome di ciò
che vedete e udite;
chiedetelo agli altri,
e solo quando
gli altri non
lo sappiano, chiedetelo
a voi stessi,
e, se non
c'è, ponetelo voi
il nome alla
cosa » . Anche
questa dottrina è base ai
suoi giudizi critici.
Esamina il Sabato
del villaggio di Leopardi, e
trova indeterminato e
vago il verso
«un mazzolin di
rose e di
viole»; & avrebbe
desiderato maggiore precisione
per es- sere in
grado così di
stabilire a quale
mese dell'anno si riferiva
il poeta con
la sua descrizione:
corregge altrove Leopardi,
che accenna al
canto degli usignoli,
notando che nella
valle di Recanati
si odono invece
le cingallegre; l'Elogio
degli uccelli gli
suggerisce l'esclamazione :
« mai un
nome di uccelli:
tutti uccelli, tutti
canterini! ». Ora è
evidente, per quanto
riguarda la dottrina estetica, che P.
ha equivocato, scambiando
e confondendo in uno l'ideale
fan- ciullezza, che è
propria della poesia
la quale si
libera dagl'interessi contingenti
e s'affisa rapita nelle
cose, la fanciullezza
che è imma-
gine della contemplazione pura,
— con la
realistica fanciullezza, che si
aggira in un
piccolo mondo perchè
non conosce e
non è in
grado di dominarne
uno più vasto.
E l'equivoco lo
ha menato diritto
a negare carattere
d'arte pura a quasi
tutta l'arte; a
distinguer l'arte dalla
fantasia confinandola al
sentimento, e a
mutilare il sentimento stesso
confinandolo a quel
solo sentimento che
non sia erotico
o passionale, al
sentimento idillico. La
sua dottrina sulla
lingua ha stretta
affinità con quella di
Edmondo de Amicis
e degli altri
linguai; vale a
dire, si riduce
in fóndo al-
l'eretismo delle piccole cose,
agli alberi che
impediscono la vista della
selva. Dice il
Leopardi nella Vita
solitaria: Talor m'assido
in solitaria parte
sovra un rialto,
al margine d'un
lago di taciturne
piante incoronato. E
un De Amicis
o un Pascoli
a domandare; Piante? ma
quali piante? di
quale specie e
sot- tospecie e famiglia
e varietà? Qui
c'è l'indeter- minato e
l'impreciso! — quasi
che Leopardi dovesse
essere, in quel
momento, non già
un'anima assorta nel
problema del dolore
e del fine
dell'universo, ma un dilettante
di botanica; come
prima, nel caso
degli uccelli, non
un filosofo pessimista, ma un
cacciatore, esperto a
riconoscere lo voci
e le forme degli uccelli,
a cui mirerà
con lo schioppo!
La critica di
P., infine, è
unilaterale ed esagerata.
Dove egli s'incontra
con poeti e
con situazioni poetiche
che rispondono al
suo proprio ideale
e alla sua
angusta teoria, li
sente e interpreta
bene, e vi
fa intorno osservazioni
assai fini. Ma,
trovandosi più spesso
innanzi a un'arte
diversa, è costretto
o a tacere
o a ridurla sofisticando alla
sua personale visione.
Rare sono le
eccezioni, dovute allo
spontaneo irrom- pere di
un più compiuto
senso dell'arte. Ma
è veramente l'Eneide
quella che egli
ci presenta nel
giudizio riferito di
sopra? E, per
esempio, il passionale
episodio di Didone,
cosi importante e
significante, come si
concilia con la
veduta georgica dell'essenza
del poema? E,
veramente, lo stile
di Omero quello
che P. ci
ha descritto, o non
è di un
Omero reso da
lui alquanto puerile?
Anche i saggi
di traduzione che
il Pa- scoli ci
ha dati dei
poemi omerici destano
i medesimi dubbi. Non
istituirò sottili confronti
con l'originale, convinto
come sono che
la poesia, rigorosamente
parlando, non si
traduce; o, come
è stato detto
di recente e
assai bene da
un critico d'arte
tedesco, che chi
traduce con la
pretesa di sostituire
l'originale, fa come
uno che volesse
dare a un
innamorato un'altra donna
in cambio di
quella che egli
ama: una donna
equivalente o, su
per giù, simile;
ma l'innamorato è
inna- morato proprio di
quella e non
degli equivalenti. Né contesterò
l'utilità grande che
avrà per la
cultura italiana il
possedere un Omero
messo in italiano
da un profondo
grecista e da
un espertissimo letterato,
quale P.: anzi
affretto coi miei
voti il compimento
del- l'opera. Ma, considerando
quelle traduzioni per
sé, come opere
d'arte che stiano
da sé, a
me pare che
tra l'Omero alquanto
rimbambinito di P., e
quello un po'
enfatico e accademico,
ma pur grandioso,
di Vincenzo Monti,
chi legga per
mere ragioni di
godimento artistico preferirà
sempre il secondo:
Elena dunque venire
vedevano verso la
torre, e l'uno
all'altro parlava parole
dall'ale d'uccelli :
Torto non è
che Troiani ed
Achei dalle belle
gambiere da sì
gran tempo per
tale una donna
sopportino il male. Monti
ha soppresso le ali
di
uccello e le
belle gambiere, sentendo
che il loro
valore si falsifica
nella letterale versione
italiana; ha aggiunto
qualche suo tocco:
ne è uscito
un quadro o
una statua alla
David o alla
Canova, ma, a
ogni modo, una
pagina d'arte: Come
vider venire alla
lor volta la
bellissima donna, i
vecchion gravi alla
torre seduti, con
sommessa voce tra
lor venian dicendo
: — In
vero biasmar né
i Teucri né gli Achei
si denno se
per costei si
diuturne e gravi
sopportano fatiche... Il
fanciullesco non c'è
più; ma c'era
veramente in Omero?
L'omerico neanche c'è
più; ma si
poteva rendere? e
l'ha reso poi
il Pascoli? —
Parla Achille ad
Ettore caduto: Ettore,
tu lo credevi
spogliando il mio
Patroclo morto, d'esser
salvo, e di
me ch'ero lungi,
pensier non ti
davi bimbo! ma
in parte da
lui c'era un
molto più forte
com- pagno presso
le navi cavate,
c'ero io dietro
ad esso rimasto,
che i tuoi
ginocchi snodai! I
cani e gli
uccelli da preda
strascicheranno ora te;
lui seppelliranno gli
Achei! Anche qui
mi pare che
sia più facile
gustare il Monti,
che traduce nello
stile neoclassico, non
senza qualche svolazzo
accademico: Ettore, il
giorno che spogliasti
il morto Patroclo,
in salvo ti
credesti, e nullo
terror ti prese
del lontano Achille.
Stolto! restava sulle
navi al mio
trafitto amico un
vindice, di molto
più gagliardo di
lui: io vi
restava, io, che
qui ti distesi.
Or cani e
corvi te strazieranno
turpemente, e quegli
avrà pomposa dagli
Achei la tomba.
Comunque, la critica
del Pascoli, quando
non può interpretare
in modo rispondente
al suo ideale
di vita le
opere poetiche, divaga,
come può vedersi
nei citati discorsi
introduttivi alle raccolte
dell'Epos e della
Lyra, i quali
sono i suoi
migliori lavori critici:
serie di note
sugli aedi dell'Eliade,
sulla condizione dei
poeti nella primitiva
società romana, sulle
leggende di Roma
confrontate con quelle
dell'epos ellenico, su
Enea e Odisseo,
su questioni biografiche
e cronologi- che, sulle
varie redazioni del
testo dell' Eneide,
e simili, che
non stringono dappresso
il problema critico.
Nella sua inesatta
idea dell'arte è
anche l'origine di quella
singolare opera critica,
che sono i
parecchi volumi da
lui dedicati dall'esegesi
dantesca. Il Pascoli
non sembra ancora
investito dello spirito
della critica moderna,
per la quale
il pensiero poetico
e la grandezza
di Dante non
sono riposti nelle
allegorie e nei
concetti morali. La
sua Minerva oscura
(prendo questo libro
come esempio) discute
ancora con gravità
e come di
problemi di alta
importanza, se il
sistema delle pene
e dei premi
sia il medesimo
nell'Inferno, nel Purgatorio
e nel Paradiso;
se delle tre
fiere la lonza
rappresenti l'incontinenza, il
leone la violenza,
la lupa la
frode; se il
messo del cielo
sia Enea; perchè
il conte Ugolino
stia nell'An- tenora
e non nella
Caina, e via
dicendo: questioni di
nessuno o di
assai scarso significato
non solo per
l'intelligenza artistica di
Dante, ma anche
per la conoscenza
della vita medievale
e delle intenzioni
e dei sentimenti
appartenenti alla bio-
grafìa di Dante :
inezie, che, di
giunta, sono per
lo più questioni
insolubili, per mancanza
di dati di
fatto sufficienti; onde
rendono possibile quel
raziocinare all'infinito, che
piace ai perditempo,
e quell'acume a
buon mercato, che
piace ai vanitosi.
Ed ecco il
Pascoli, per le
scoperte del genere
accennato, « raggiante
di solitario orgoglio
» . «Aver visto
nel pensiero di
Dante!... (dice nella
prefazione alla Minerva
oscura). Io, la
vera sentenza, io l'ho
veduta! Si: io
era giunto al
polo del mondo
dantesco, di quel
mondo che tutti
i sapienti indagano
come opera di
un altro Dio!
Io aveva scoperto,
in certo modo,
le leggi di
gravità di quest'altra Natura;
e quest'altra natura,
la ragione dell'universo
dantesco, stava per
svelarsi tutta!». Sembra anche
qui Edmondo de
Amicis, quando, dopo
aver veduta e
toccata a Granata
la cassetta delle
gioie d'Isabella di
Castiglia, si guardava
le mani, esclamando
come incredulo o
trasognato: «Io l'ho
toccata, con queste
mani!». Ma il
Pascoli si ricorda,
subito dopo, del
doveroso sentimento di
modestia: scaccia via con
piglio risoluto l'orgoglio,
benché, nello scacciarlo,
gli accada (disavventura
in cui incappano di
solito i modesti)
di accentuarlo più
fortemente: «Cancelliamo
quelle superbe parole!
Mi perdoni chiunque
ne sia rimasto
scandalizzato! Oh, se
la gloria è
ombra di vanità...
Via dal cuore
cosi perverso fermento!».
Il che non
impedisce che, qualche anno
dopo, egli non
sappia tenersi dal
contare la sua
scoperta e la
sua gloria ai
fanciulli delle scuole
d'Italia: « E
io vi dico,
o fanciulli, che
il tempio (la
Divina Commedia) è
ancora in piedi,
e che è
bello dentro e
fuori, e più
bello nel suo
complesso che nei
suoi particolari che sono
pur bellissimi, e
che nel tempio
e si gode
molto, per la
grande bellezza, e
s'impara molto per la
ingegnosa verità; e
che vi si
può entrare, perchè
la chiave si
è trovata. E
se vi soggiungessi
che l'ho trovata
io, mi direste
superbo? Quanti trovano,
figliuoli miei, una
chiave, in questo
mondo, e non
sono detti superbi
se dicon d'averla
trovata e la
riportano! E poi,
sapete dove l'ho
trovata? Nella serratura.
Era nella toppa,
la chiave del
gran tempio! Era
lì, e bastava
appressarsi un poco
per vederla e
gi- rarla ed entrare!
Ma nessuno s'era,
a quanto pare,
appressato assai »
(Fior da flore,
prefaz.). E, an-
cora qualche tempo dopo,
con rapida mutazione
di stile, rivolgendosi
ai critici, e
alludendo ai suoi volumi
danteschi, scritti e
da scrivere: «Essi
furono derisi e
depressi, oltraggiati e
calunniati ; ma
vivranno. Io morrò:
quelli no. Così
credo, cosi so:
la mia tomba
non sarà silenziosa.
Il genio di
nostra gente, Dante,
la additerà ai
suoi figli ».
In questi giubili,
in questi vanti,
in queste stizze,
in questa virtù
che si nasconde
ma se cupit
ante videri, abbiamo
innanzi, veramente, non
il fanciullo divino
e poetico, ma
il fanciullo realistico
e prosaico. E
neppure nelle poesie
del Pascoli c'è
solo il divino
infante. Anche colà,
come nella sua
dottrina estetica e
critica, i due
esseri, così all'apparenza
simili, così nel
profondo diversi, sono
abbracciati e stretti
in un amplesso
indissolubile. Questo amplesso
del poeta ut
puer e del
puer ut poeta
è forse il
simbolo più ade-
guato dell'arte di P. INTORNO
ALLA CRITICA DELLA
LETTERATURA CONTEMPORANEA E
ALLA POESIA DI P. Il
giudizio di CROCE (si veda) su P. suscita
— e me
le aspettavo —
vivaci opposizioni e
contro- versie. E a
proposito di esso
si è ripreso
a discutere di quel
che sia o
debba essere la
critica letteraria, e dei vantaggi
e degli inconvenienti
di questo e
di quel metodo,
e del metodo
in genere. Ecco dunque
buona occasione per
meglio chiarire le
idee non ancora
del tutto chiare
(sebbene molto meno confuse
di quanto fossero
alcuni anni addietro)
sull'ufficio della critica,
e anche per
aggiungere qualche cosa
circa la poesia
di P. Quale sia
il metodo di
critica, che si
professa in queste
pagine, può compendiarsi
in poche parole,
quasi in un
catechismo. È una
critica fondata sul concetto
dell'arte come pura
fantasia o pura
espressione, e che
per conseguenza non
esclude dalla cerchia
dell'arte nessun contenuto o
stato d'animo, sempre
che sia concretato
in un'espressione perfetta.
Fuori di tale
concetto, quella critica
non ha alcun
altro presupposto teorico,
e rifiuta come
arbitrarie le cosiddette
regole dei generi
e ogni sorta
di leggi letterarie
e artistiche. Per
giudicare d'arte non
conosce altra via
che quella d'interrogare
direttamente l'opera stessa
e risentirne la
viva impressione; e
a questo fine,
e solo a
questo fine, crede
am- messibili, anzi
indispensabili, le ricerche
che si chiamano
storiche o filologiche,
le quali hanno
valore ermeneutico e
servono a trasportarci,
come si dice,
nelle condizioni di
spirito dell'au- tore nell'atto che
formò la sua
sintesi artistica. Ottenuta
la viva impressione,
ossia il congiun-
gimento con lo spirito
dell'artista, il lavoro
ulteriore non può
esplicarsi se non
nel determinare ciò che
nell'oggetto che si
esamina è schietto
prodotto di arte,
e ciò che
vi si contiene
di non veramente
artistico, come sarebbero,
per esempio, le
violenze che l'autore
fa alla sua
visione per intenti
sovrapposti, le oscurità
e i vuoti
che lascia sussistere
per ignavia, le
gonfiature e fiorettature che
introduce per far
colpo, i segni
dei pregiudizi di
scuola, e tutta
insomma la varia
sequela delle deficienze
e viziature ar-
tistiche. Il risultato di
questo lavoro è
l'esposizione o ragguaglio critico,
che dica semplicemente (e, nel
dir ciò, ha
insieme giudicato) wie
es eigentlich gewesen,
« come sono
andate propriamente le
cose », secondo
la definizione, geniale
nella sua semplicità,
che Ranke da della
storia. Perciò critica
d'arte e storia
d'arte, a mio
vedere, s'identificano: ogni
tenta- tivo di critica
d'arte è tentativo
di scrivere una
pagina di storia
dell'arte (intendendo la
parola storia nel
suo . senso alto
e compiuto, cioè
nel suo senso
vero). La critica
distingue e caratterizza
le forme prese
dallo spirito artistico
nel corso della
realtà, che è
svolgimento e storia.
Mi ha recato
dunque meraviglia leggere
su pei giornali
che questo metodo
vuol « misurare
la fantasia e
l'estro di un
poeta col metro
di preconcetti pedanteschi
» , o che
esso applica all'arte
« i criteri
logici che sono
propri della critica
della scienza, o
che si fonda
sui caratteri estrinseci dell'opera
d'arte; — quando
vero è proprio
l'opposto, cioè che
esso è sorto
per discacciare preconcetti
pedanteschi e abitudini di
confusione tra arte
e scienza, e
per ricondurre lo
sguardo dall'estrinseco all'intrinseco. E non
so che cosa
si voglia dire
con l'accusare quel metodo
come «sistematico», giacché,
per quel ch'io
so, la mente
umana è sistema,
vale a dire
ordine; e si
potrà censurare come
imperfetto un particolare
sistema, ma non
perciò sopprimere mai
l'esigenza sistematica, la
quale conviene a
ogni modo appagare.
Non potrei neppure ammettere che
il metodo da
me professato sia
bensi buono, ma
che « accanto
ad esso ve
ne siano altri
egualmente buoni per
giudicare dell'arte, perchè
non intendo come
una funzione dello spirito
umano possa avere
altro metodo che
non sia quell'unico,
che le è
proprio; e resto
stupito quando poi
leggo, che «
di un metodo
in critica non
si dovrebbe neppur
parlare», perchè rispetto troppo
il mestiere che
qui faccio per
considerarlo come cosa
capricciosa e priva
di metodo, cioè
di giustificazione e
di valore. Ma
confesso che la
meraviglia maggiore è
nata in me
dal timore manifestato
da Gargano: che
questo metodo, risolvendosi
in un formolario,
metterà « d'ora
innanzi alla portata di
tutti l'esame di
ogni produzione letteraria,
di coloro specialmente
che, sforniti della
dote essenziale del
critico, cioè del
gusto, crederanno in
buona fede di
poter giudicare applicando
severamente i principi della
logica. Lasciando stare
l'ovvia risposta già
da altri anticipata
a Gargano (che di
qualsiasi metodo si
può abusare dagli
incapaci), io osservo
che la vecchia
critica, fondata sulle
regole e i
modelli, quella, sì,
era facilissima e
alla portata di
tutti; perchè non
ci voleva molto
a sentenziare: la
tale opera non
risponde alle regole
della tragedia, e
perciò merita condanna»;
ovvero: « il
tale personaggio si
conduce in questa
situazione precisamente come
il pius Aeneas,
e perciò merita
lode di decoroso
eroe da epopea».
Ma la critica
moderna, richiedendo insieme idee
filosofiche sul- l'arte, cultura storica,
sensibilità estetica, acume
di analisi e
forza di sintesi,
è difficile. Tanto
diffìcile che io
non l'ho vista
mai attuata se
non [Nel Marzocco
di Firenze.] a tratti
e lampi; e
non conosco se
non un sol
critico (l'ho detto
già molte volte),
che l'abbia degnamente
esercitata sopra un'intera
letteratura: il De Sanctis.
Per quel che
concerne me che,
in mancanza di
altri volenterosi, mi
sono provato ad
adoprarla per la
contemporanea letteratura
italiana, io sono
di continuo travagliato
dal dubbio (igienico
dubbio) della mia
inade- guatezza all'alto ufficio. Faccio del
mio meglio, m'invigilo,
procuro di correggermi;
ma non ho
mai la sensazione
di correre un
campo libero di
ostacoli, o di
scivolare come in
islitta sul ghiaccio.
Se altri prova
questo godimento, beato
lui! Ma come
mai l'enunciato metodo
critico, che è
il più liberale
che sia stato
mai concepito, il
più rispettoso verso
tutte le infinite
individuazioni artistiche,
il solo che
non prenda il
passo sull'arte, viene
ad assumere agli
occhi di molti
aspetto minaccioso di
forza e di
prepotenza, tanto da
spingerli alle proteste
e alle accuse
malamente formolate con
le parole di
sistematismo, logicismo, preconcettismo pedantesco, e
simili? Chi non
ignora che le
medesime accuse sono state
date ai metodi
dei più vigorosi
filosofi, e le
lodi contrarie largite
in copia ai
filosofi molli e
contradittorl e inconcludenti, chi
rammenta di quanto
odio siano stati
proseguiti Spinoza o Hegel,
e di quante
simpatie Mill o
Spencer, non dura
grande fatica a
spiegarsi il caso.
La ragione delle
accuse, non potendo
essere fondata nella
qualità di quel
metodo, deve cercarsi
nelle disposizioni degli
animi e degl'intelletti degli
accusatori: in quelle
tendenze che io
soglio riassumere con la parola
pigrizia. È l'umana
pigrizia che fa
preferire un metodo
più comodo, o
almeno rivendica il
diritto di un
metodo più comodo
e benigno accanto
all'altro troppo severo;
la pigrizia, che
rifiuta il peso
e scansa la
responsabilità del concludere,
e tenta di
eludere il problema,
girandolando intorno all'arte,
cogliendone solo qualche
lato, divagando leggiadramente o
sviandosi in questioni
estranee. L'orrore di
molti cosiddetti «
eruditi » per
la cosiddetta «critica
estetica» è l'istintiva
paura per un
esercizio troppo aspro
e periglioso. Met-
tere insieme la cronaca
dei pettegolezzi di
Recanati è, si sa,
molto più facile
che non analizzare il
Canto del pastore
errante. La pigrizia
per altro è,
nella critica della
letteratura contemporanea, rafforzata
da motivi particolari.
Quella critica, a dir vero,
considerata intrinsecamente,
non ha problema
diverso da ogni
altra forma di
critica, che concerna
le letterature più da noi
remote nel tempo;
e anch'essa, come si
è detto, consiste
nel tentativo di
scrivere una pagina
di storia letteraria.
E se vi
s'incontrano condizioni sfavorevoli,
che non si
trovano nella letteratura
più remota, presenta
altresì alcune condizioni
favorevoli, che mancano
nell'altro caso: se
nella letteratura contemporanea è assai
malagevole cogliere il
carattere e il
valore di certi
processi che sono
ancora in fieri
o si sono
appena conclusi, laddove
per l'antica si
hanno innanzi serie
di svolgimenti compiuti e
nitidamente assegnabili, d'altro
canto per la
letteratura contemporanea si ha una
agevolezza d'interpretazione
e comprensione, che
nella più antica
si ottiene di
solito con grandi
stenti e solo
in parte. Vantaggi
e svantaggi, in-
somma, su per giù
si compensano, e
gli uni e
gli altri sono
poi affatto contingenti.
Ma la cosa
non sta allo
stesso modo circa
le condizioni soggettive,
o meglio i
sentimenti e le
passioni individuali; le
quali, a dir
vero, nella letteratura contemporanea, operano
assai di frequente
una vera pressione
psicologica per impedire
la posizione esatta
e la soluzione
giusta del problema
critico. Vi hanno,
per esempio, tra
gli autori di
versi e prose
letterarie, personaggi o
ragguardevoli per situazione
sociale o rispettabili
per altre forme
della loro attività
o attraenti e
cari per la
loro bontà e
amabilità, la cui
opera artistica non
risponde in modo
degno alle altre
loro forze e
virtù. Il che
più o meno
tutti avvertono, ma
tutti o quasi
tutti, come per
tacito accordo, si
propongono di non
dire. A questo
intento si ricorre
a una sorta
di critica diplomazia,
la quale o
si perde in
vani suoni o
gira il problema
o somiglia al
linguaggio di Alete,
pieno di strani
modi, « che
sono accuse e
paion lodi ». Si
lasci balenare il
più lieve accenno
di critica seria
innanzi a codesto
tessuto di frasi
abili e sfuggenti, e
ne nascerà uno
scompiglio, come io
stesso ho potuto
sperimentare in più
occasioni pei miei
giudizi. Per esempio,
ho mostrato che
nei volumi di un
egregio uomo, scrittore
di versi, vi
ha cultura, elevatezza
di pensieri e
d'intendimenti, pratica dello
scrivere, ma difetta
quasi del tutto
la sostanza poetica,
l'intimo ritmo e
il canto. Ed
ecco una schiera
di amici a
scandalizzarsi e a
darmi sulla voce.
« Quello scrittore
è una nobile
personalità». D'accordo; ma
non è poeta.
« Quello scrittore
sta solo in
parte, intatto dal-
l'applauso volgare » . Ciò
vorrà dire che
è uomo dignitoso,
ma non che
sia poeta. «
Quello scrittore ha un
aspetto tra di
monaco e di guerriero, e
avrebbe potuto, se
fosse vissuto nel
secolo de- cimosesto, comandare una
galea in battaglia
contro i turchi
». Sarà, quantunque
sia difficile provarlo;
ma non è
poeta. « Quella
sua poesia attinge
il più alto
segno della poesia
degli acca- demici e
professori » . Il
che vorrà dire
che gli accademici
e i professori,
in quanto tali,
debbono astenersi dalla
poesia; ma non
già che quegli
sia poeta. «
Se verrà tempo
che non si
guarderà più a
un libro di
poesia da un
punto di vista
estetico secondo la
moda corrente, il
suo libro sarà
studiato come un
interessantissimo documento
psicologico». E ciò
conferma, per l'appunto,
che non è
poesia, ma semplice
documento biografico. — Sono
giudizi codesti che,
per quanto strani,
potrei tutti documentare,
coi nomi degli
autori e con
le altre relative
citazioni; ma prego
i lettori di
dispensarmene per non
allontanarci troppo dalla
questione che sola
ora c'interessa. Sembra,
in verità, che
il problema che
i più cercano
di risolvere, sia
di trovare il
modo di non fare
critica, pur dandosi
l'aria di farne.
. Innanzi a
siffatto proposito, tenace
quantunque spesso inconsapevole, di
nascondere la verità
come a un
malato si nasconde
la gravità della
sua malattia, il
critico ingenuo, che
ripeta il vecchio
e arrogante Hic
Rodhus, hic salta,
il critico che
cerchi determinare chiaramente
se una data
opera è o
non è poesia,
il critico che,
insomma, voglia adempiere
il dover suo,
desta fastidio e
impazienza come personaggio
importuno, e, non
sapendosi come combattere
i suoi giudizi,
si rifiuta addirittura
il suo «
metodo»: quel metodo che
procede o si
accinge a procedere
in guisa tanto
indiscreta. Guai a
chi si prova
ad accendere una
luce sfolgorante dove
si desidera l'ombra
o la penombra.
Ma il contrasto
del metodo da
me professato con
quello che è
consueto nelle trattazioni
della letteratura contemporanea, e
la parvenza di ri- gidità e
violenza che il
primo assume, possono
avere origine anche
da altre cagioni.
La più parte
degli scritti sulla
letteratura contemporanea sono
meramente occasionali; concernono
questa o quel- l'opera di
uno scrittore, non
il complesso della
sua attività; e
provengono da persone,
che di solito
propugnano o avversano
l' indirizzo di quello
scrittore o di
quella scuola. Non
dico che per
ciò siano privi
di buona fede
e di qualsiasi
verità; e anzi
concedo che offrano
sovente osser- vazioni delicate o
sottili e giudizi
giusti. Ma sono
di necessità unilaterali,
come unilaterale sarei
io stesso se,
per esempio, amico
ed estimatore del Pascoli,
seguendo il mio
desiderio o l'altrui
in- vito, scrivessi l'annunzio
di un nuovo
volume di questo
poeta : unilaterale
e non bugiardo
o falso, perchè
mi basterebbe spigolare
nel volume mo-
tivi e strofe e versi di
molta bellezza (dei
quali nel Pascoli
è sempre abbondanza),
per conciliare in
qualche modo i
miei sentimenti personali
con la verità:
tacendo sul resto,
ossia schivando il
vero ed intero
problema critico. Messa
a para- gone di
quegli scritti occasionali
e polemici, la
parola di chi,
come me, è
costretto, per la
qua- lità stessa del
suo assunto, a
esaminare tutta l'opera
di uno scrittore
(la peggiore e
la migliore, il
periodo di genialità
e quello di
artifizio o decadenza), e
a determinarne tutti
gli aspetti per
darne giudizio compiuto,
sembra ora troppo
severa, ora troppo indulgente.
I lettori equanimi
e bene informati
se ne sentiranno
soddisfatti ; ma
gli autori di
quelle recensioni e
annunzi (e chi
non è autore
di qualche recensione
o annunzio?), no.
Per ciascuno di
essi, a volta
a volta, il
critico è stato
ingiusto: una metà
di essi invoca
il panegirista, l'altra
metà il carnefice. Così, pei
dannunziani, io che
ho definito D'Annunzio
un «dilettante di
sensazioni», sono, a
stento, il «
migliore tra i
critici volgari di
D'Annunzio, incapace di
penetrare nel profondo idealismo della
sua arte; ma
dagli antidannunziani,
avendo io, com'era
mio dovere, riconosciuto
le bellissime cose
che D'Annunzio ha
prodotto nella sua
ristretta cerchia d'ispirazione, mi odo
invece proclamare un
bollente SI dannunziano», il
più «gran dannunziano
sotto la cappa
del sole ».
Ho parlato con
sincera simpatia dei versi
di Severino Ferrari;
ma ciò non
basta a chi
è stato amico
del Ferrari e
della sua poesia
si è fatto
una predilezione o
un sacro ricordo;
ed ecco che
di quelle mie
pagine lau- dative, ma
non ditirambiche, non
si sa dare
pace qualche cuore
tenero, che sul
Ferrari ha stam-
pato opuscoli col titolo:
Il rosignolo di
Alberino, e vede
con isdegno che
io considero il
valente Severino come
un uomo e
non come un
augello. E via
discorrendo, perchè gli
esempi si potreb-
bero accrescere. Che cosa
fare? Io non
me ne dolgo,
perchè non mi
dolgo dell'inevitabile; e
poi ci ho
fatto la pelle;
e poi ancora
ho qualche compenso,
non solo nella
mia coscienza («
coscienza » è parola
rettorica, e non
bisogna pro- nunziarla!), ma anche
nelle inaspettate e
dolcissime manifestazioni
che ho ricevute
da parte di
alcuni degli autori
da me liberamente
criticati, i quali
mi hanno ricambiato
col farmi l'amichevole confidenza delle
loro lotte e
dei loro dubbi
e dei loro
scontenti, quasi ad
illustrazione e conferma
di quanto io
aveva spregiudicatamente osservato.
Ancora un'altra cagione
che fa apparire
rigido ed eccessivo il
metodo da me
adoperato, sta nel
fatto che la
prolungata consuetudine con
la letteratura del
giorno tende ad
alterare il senso
della grande arte
e a deprimere
lo standard of faste,
il livello della
vita estetica. Di
questo pericolo io
sono consapevole, e
per mia parte
cerco premunirmene, rileggendo
di tanto in
tanto i classici
e giovandomi di
tale lettura come
di un esercizio
spirituale (di una
praepa- ratio ad
missam) pel mio
ufficio di critico.
Nondimeno, penso che i
miei saggi critici
sulla letteratura
contemporanea siano alquanto
indulgenti, e che
tali saranno giudicati
da chi li
rileggerà fra un
mezzo secolo. Ma,
se io forse
non sono abbastanza
esigente, oso dire
che i più
dei miei colleghi
in critica, sempre
tuffati nella letteratura
del giorno, hanno
addirittura fatto l'abito
a con- tentarsi di
poco. Odo frequenti
parole sulla «
divina bellezza » della
forma del Pascoli.
Chi dice questo,
quanto tempo è
che non rilegge
un'ottava di messer
Ludovico? Il D'Annunzio
ha osato ricordare
V Aiace sofocleo, a
proposito del suo
ultimo dramma. Ma
ha egli avuto
ben presente la
tragedia di Sofocle?
Quanto a me,
avendola ripresa tra
mano dopo aver
letto la prefazione
al Più che
l'amore, giunto appena
alle parole di
Odisseo: èTCotxteipw Sé
viv, ecc., balzai
dalla sedia e
mi sorpresi a
gridare dantescamente al
D'Annunzio. Fa', fa' che
le ginocchia cali!...
». E, come
il senso della
classicità, nella consuetudine con la
letteratura contemporanea si
smar risce sovente
quello della storia,
ossia della lentezza e
faticosità dello svolgimento
e della rarità
del prodotto veramente
geniale: Tu che
'1 diamante pur
generi, lenta, in
tua mole, tu
sai su l'eterno
quadrante quante ore
di secoli, e
quante vigilie e
che doglia si
vuole, o laboriosa
gestante, per dare
un cervello di
Dante, o un
cuore di Shelley,
al tuo sole!
La letteratura italiana
(che è una
grande letteratura) in sei
secoli non offre
dieci o quindici
veri poeti; e
si sarebbe preteso
che io ne
ritrovassi una cinquantina, se non addirittura
un centinaio, nel
periodo di un
quarantennio o di
un cinquantennio, che
è quello che
sono andato investigando.
Quale meraviglia se,
per la maggior parte
degli scrittori che
hanno avuto voga
e riputazione, il
mio giudizio è
o negativo o
circondato da molte
restrizioni? Ripeto: anche
per tale rispetto
credo di essere
piuttosto indul gente
che severo; e
sono indulgente perchè
comprendo le angosce dell'arte,
e tengo conto
anche delle approssimazioni al
segno non raggiunto,
e persino ho
qualche simpatia per le disfatte
non inglorioso. Chi
nei secoli venturi
riscriverà la storia
letteraria dello stesso
periodo trattato da
me, avrà (oh,
non dubitate!) la
mano assai più
ruvida e pesante
della mia. Per
queste e per
altre cagioni simili
a queste, che,
non volendo andare
per le lunghe,
lascio di enumerare
e illustrare, il
metodo critico da
me professato sembra,
e non è,
violento. Ma per
un'altra cagione sembra
poi talora sbagliato:
per l'incompiuta preparazione
mentale della maggior
parte dei critici
che trattano di
letteratura del giorno.
I quali sono
di solito (avverto
che non faccio
allusioni e non
penso a nessuno
in particolare) o
persone^ che hanno
tentato infelicemente l'arte e
hanno poi smesso
(peggio se continuano a
farne, perchè in
tal caso sono
tratte a preparare
a sé medesime
l'ambiente della compiacenza); o uomini
di gusto che,
leggendo poesie per
proprio diletto e
acquistando cosi esperienza
e pratica dell'arte,
via via passano
dal discorrerne oralmente allo
scriverne sui giornali,
e diventano per
tal modo, senz'averci
mai pensato, critici
di professione. Ma
a costoro, pur
tra molte belle
qualità particolari, manca
quello studio e
quella annosa meditazione
sui problemi dell'arte
e della critica,
e quelle cognizioni
di storia della
critica d'arte, che
spesso si provano
indispensabili; e ciò li
mena a confondersi
innanzi a certi
casi, pei quali
il gusto naturale
e il semplice
buon senso non
sono bastevoli. Talvolta,
essi non riescono
a intendere esattamente
nemmeno i termini,
che adopera il
critico addottrinato e
meglio informato dell'odissea
secolare della sua
disciplina. Se ne
desidera qualche esempio?
E io ne
darò, restringendomi a
quelli che mi
vengono forniti dalle
dispute intorno al mio saggio
sul Pascoli. Nel
quale aveva scritto
tra l'altro, di
passata, che «
il pensiero poetico
e l'importanza di
Dante non è
nelle allegorie e
nei concetti morali
». E un
fervente ammiratore di P.
mi redarguisce: «Le
allegorie e i
concetti morali non
son [Lettera aperta
di Pietrobono a È.
C. sulla poesia
di G. P.,
nel Giornale d'Italia.] tutto Dante,
lo sappiamo: ma
senza quelle e
questi Dante non
è più lui.
Chi rinunzia a
render- sene ragione, rinunzia
semplicemente a capirlo.
Ora qual critico
mai s'è sognato
d'insegnare che il
pensiero dei poeti
non importa conoscerlo?».
E qui, un
argomento irresistibile :
— Se si
tolgono le allegorie, l'arte
di Dante si
riduce a frammenti;
resta una ruina,
sebbene una nobile
ruina. — Ora,
come spiegare in
quattro parole al
mio contradittore che
il pensiero artistico
non ha che
fare col pensiero
allegorico o extrar-
tistico, e che
la sintesi, l'elemento
unificatore, è data
nell'arte di Dante
dalla sua possente
fantasia e non
già dalle sue
escogitazioni di moralista
e di teologo?
Questa distinzione di
pensiero artistico
(intuizione) e di
pensiero extrartistico è una delle
più sudate conquiste
della scienza este
tica. E come
spiegargli, in quattro
parole, che la
critica è stata
impotente a comprendere
la grandezza di
Dante fintanto che
ha insistito sulle
sue allegorie e
sulle sue intenzioni,
e ha fatto
un gran passo
solo quando (nel
periodo romantico) ha guardato
Dante non come
un dotto e
un filosofo, ma
come un poeta
dell'anima pas- sionale, quasi uno
Shakespeare in anticipazione? e che perciò
il Pascoli, che
crede di poter
assi- dere su
più solide basi
la grandezza di
Dante scoprendo la
sua ìmdvota, il
suo pensiero riposto,
è, nella storia
della critica, un
ritardatario, anzi un
fossile? Un altro
esempio ci è
fornito dalla questione
che è stata
mossa: se valga
la pena, nella
critica, di far tutte
le fatiche che
io faccio per
« classificare » e
mettere nel «
casellario » gli
scrittori, che bisogna invece
soltanto gustare e
far gustare. Dapprima,
a questa opposizione,
sono cascato dalle
nuvole. Classificare? casellario?
Ma se io
non classifico mai!
Ma se sono
il più radicale
avversario delle classificazioni e
dei casellari (dei
generi, delle arti,
della rettorica, e
di quanti altri
se ne conoscono
di questa sorte),
che sia mai
comparso nel campo
estetico! 8e mi
rifiuto perfino a
raccogliere gli scrittori,
di cui tratto,
in gruppi di
lirici, drammaturgi, romanzieri, e
via dicendo ! Ma, poi,
ho capito :
i miei contradittori
avevano confuso Vintelligere
col classificare, la
comprensione col casellario,
tra i quali
due procedimenti c'è
un abisso, perchè
il secondo è
la morte della
critica e il
primo il suo ufficio proprio.
Anche qui, come
spiegare in poche
parole una differenza,
che non si
può giu- stificare se
non risalendo alle
teorie fondamen- tali della
logica? Prendiamo il
sonetto: « Solo
e pensoso i
più deserti campi
». Se io
dico che è
una « lirica
» , l'ho classificato
in uno degli
schemi delle vecchie
istituzioni letterarie; se
dico che è
un « sonetto
» , l'ho classificato
secondo la metrica.
E quella lirica
o sonetto rimane
ancora criticamente intatto.
È bello o
brutto? e quale
stato d'animo esprime?
La classificazione, facendosi per
caratteri esterni, è
impotente a rispon-
dere a queste domande.
Ma se si
determina la si-
tuazione psicologica del Petrarca
(e determinarla non
si può se
non ricorrendo a
concetti, giacché, per sentirla
così com'è, non
c'è da far
altro che leggere
il sonetto stesso),
e se si
mostra come quella
situazione si è
svolta nelle varie
parti del sonetto,
e come tutto
bene si accordi
ad essa e
bene l'esprima, non
si classifica, ma
si cerca di
comprendere il sonetto,
cioè di farne
la critica. Ora, bene
o male, questo
e non altro
io mi sono sforzato di
fare per P.
e per gli
altri scrittori, che
sono andato esaminando.
Il « classificare » non
c'entra; e la
confusione tra i
due procedimenti è
di quelle in
cui possono cascare
soltanto le menti
non abbastanza disciplinate.
A talun altro
il modo della
mia critica, in
fondo, non dispiace;
ma gli sembra
troppo freddo e
ragionatore e polemico,
e preferirebbe, per
esempio, il calore
e l'eloquenza di Mazzini. E
ciò andrebbe bene,
se io fossi
Mazzini; ma, essendo Cecco come sono
e fui», non
posso discorrere se
non nel tono,
che è proprio al
mio temperamento. Così
il Sanctis, educatore
e maestro nell'anima,
non poteva scrivere di
critica al modo
del Carducci, poeta
nell'anima. Voglio dire, che
non bisogna confondere
il metodo della
critica, che dev'esser
uno, coi temperamento
dei critici, che
non può non
esser vario; e
non bisogna (codesto
ci mancherebbe!) mettere tra i requisiti
della critica un
particolare
temperamento.All'osservanza
del metodo tutti
sono obbligati; ma
nessuno è tenuto a sforzarsi a un tono a lui estraneo: che anzi ciò gli è
assolutamente vietato sotto pena di
cadere nell'artifizio, nella
rettorica e nella
l'aisita. Amo grandemente Sanctis e
ne accolto le idee
fondamentali; ma mi
sarebbe impossibile imitare
il suo stile, e mi guardo pur dal tentarlo. Mi si prenda dunque come sono, con la mia simpatia per gli
schiarimenti e le digressioni
filosofiche, con la mia tendenza alla polemica e alla controcritica, col mio tono
prosastico e talvolta sarcastico, col mio dilettarmi talvolta Bioneis sermonibus
et sale nigro, perchè posso bensi correggere i miei errori quando me ne accorgo,
ma non posso e non debbo mutare il mio essere.Così anche non
so come si sia potuto far questione
di bontà di metodo pel fatto che,
nell'esaminare P., ho esaminato altresì le
opinioni dei critici intorno a lui:
dico « anche», perchè non è vero
che quello sia stato il mio punto
di partenza: il punto di partenza (e
l'introduzione stessa del mio scritto ciò
mostra chiaro) e l'impressione diretta,
prodottami dalla lettura dei versi di
lui. Vi ha questioni vessate o
pregiudicate, perchè già molte volte tentate
e trattate; e lo scrittore (che si
riattacca sempre agli scrittori precedenti
e con essi dialoga) non può non
tenere conto di quanto altri intelletti
hanno osservato
e pensato intorno al suo argomento,non solo
per trarne aiuto, ma anche per
conoscere verso quali punti deve orientare
la sua esposizione critica. E basti di
ciò. Mi sembra di aver difeso il
metodo da me professato contro gli appunti,
in verità non gravi, che gli sono
stati mossi, e posso concludere con
tanto maggiore sicurezza e franchezza,
che quel metodo è buono, in quanto
esso non è mia privata invenzione e
possesso, ma è il risultamento della
storia della critica. So bene che
mi si osserverà: Tu hai difeso il
metodo, ma, nel caso del giudizio
circa il Pascoli, non si tratta di
metodo, sibbene di applicazione. « Il padre
Zappata predicava bene, ma
razzolava male » ,
mi proverbia il
Gargano in un
secondo suo articolo
(*); senonchè, nel
primo, aveva invece
rifiutato, mi sembra,
il metodo e
non l'applicazione, o
questa solamente come
effetto di quello.
Dunque, procediamo per
divi- sione. Di metodo
non si parla
più? Il metodo
è buono? Si?
Questo mi premeva
soprattutto. E la
questione è terminata;
e siamo d'accordo.
E possiamo ora
passare all' «applicazione», ossia
al caso particolare
del mio giudizio
su P.. Dove mi
si para innanzi
una pregiudiziale, perchè,
a detta di
taluno dei miei
contradittori, a me
sarebbe accaduta una
piccola disgrazia, per
la quale potrei
bensì utilmente discettare
in teoria, ma
non potrei accostarmi
ai casi parti-
colari. « Il Croce,
grazie alla prolungata
rifles- sione e al
ripensamento della filosofia
hegeliana, non si
trova più nello
stato di fresca
ver- ginità, di docilità
amorosa, che è
necessaria per seguire
i poeti nelle
loro fantasie.. Vera- ci) Nel
Marzocco. Sartini, nella rivista
Studium, di Milano.] mente, una
siffatta verginità, che
consisterebbe nel non
meditare, non che
io l'abbia perduta,
non l'ho mai
posseduta; e sono
per questo rispetto
in condizioni gravi,
quasi direi nelle
medesime condizioni di
quella Quartina sacerdotessa, che esclamava
appo Petronio: Junonem
meam iratam habeam,
si unquam me
memine- rim virginem
fuisse. Ma conosco
e posseggo un'altra
«verginità», che si
rinnova ogni qual
volta il mio
animo corre a
dissetarsi nella poesia:
una verginità, che
potrà somigliare alquanto
a quella di
Marion de Lorme
(come si vede,
non intendo esaltarmi
mercè i personaggi
coi quali mi
paragono): Ton soufflé
a relevè mori
àme. .... Près de
toi rieri de
moi n'est reste,
et ton amour
m'a fait une
virginité! Ma, naturalmente,
concedo subito che io possa
avere sbagliato nel
giudizio sul Pascoli;
anzi questa concessione
è già implicita
in quel che
ho detto di
sopra circa le
difficoltà della critica
d'arte. E non
solo per ciò che riguarda
il Pascoli. Ho
esaminato finora, nei
miei saggi, l'opera
complessiva di parecchie
decine di contempora-
nei scrittori italiani; e,
quantunque abbia adoperato ogni diligenza,
se pensassi di
non essermi mai
distratto, di aver
semptre reso esatta
giustizia a tutti quegli
scrittori e a
tutte le singole
loro opere, sarei
un fatuo. E, se avessi
sbagliato circa P.,
certo me ne
dorrebbe, e ne
proverei una qualche
contrarietà e mortificazione di
amor proprio; ma
stia tranquillo il
dottor Rabizzani, che
ha pubblicato testé un
bell'articolo su P.,
nel quale, tra
l'altro, si dà
pensiero della possibilità
di un mio
«postumo pentimento», e
mi ricorda sin da ora,
per incoraggiarmi, il
nobile atto di
contrizione che lo
Chateaubriand recitò pel
suo giudizio, nientemeno, sullo
Shakespeare : ho fiducia
che troverei in
me la quantità
di coraggio necessaria, e
saprei consolarmi, pensando
che, costretto io
a lacerare cinquanta
delle non poche
mie pagine di
prosa, l'Italia avrebbe
assodato io cambio
la gloria di
un suo forte
e perfetto poeta.
Ma ho poi
sbagliato? Temo di
no, a giudicare
anzitutto dai modi
tenuti nelle loro
risposte dai miei
avversari. Uno dei
quali, Gargano (un
critico con cui
in altre questioni
letterarie ho avuto
il piacere di
andar d'accordo), in
un primo articolo,
in luogo di
difendere il Pascoli,
assalì il metodo
in genere, che,
come si è
visto, è affatto
incolpevole; in un
secondo articoletto, cercò
di farmi passare
per uno che
sfuggisse alla discussione
(laddove il vizio
del quale, se mai, debbo
correggermi, è l'opposto);
in un terzo,
finalmente, cavò fuori
uno strano pensiero
: che cioè
« sembra avere
io ora scelto
come bersaglio dei miei
colpi i poeti
più celebri dell'Italia
di mezzo: il
che suona un
appello, vero e [Nella Nuova
rassegna di Firenze. Nel
Marzocco.] proprio, alle
brutte passioni del
campanilismo. E mi
pare perciò che
l'affetto pel suo
poeta gli abbia,
questa volta, mosso
nell'animo sentimenti di stizza verso
chi è di
avviso alquanto diverso
dal suo: e la stizza
(ecco un adagio
ben trito) non
giova alla causa
che si difende.
Vediamo, a ogni
modo, le controcritiche ; le quali
si sono aggirate
quasi sempre sui
particolari delle analisi che
io ho date
di alcune poesie
del Pascoli per
illustrare il mio
giudizio generale sull'opera
di lui. Nella
poesia La voce
ho mostrato come
quel «Zvani», che
fa da ritornello,
rompa brutta- mente la
delicatezza
dell'ispirazione. Il prof.
Pie- trobono (*)
dà al mio
giudizio questo significato:
che io non
ammetta l'uso del
dialetto nella poesia
e nella prosa
colta; e mi
ricorda il miscuglio
dialettale omerico, con erudizione
alquanto remota, quando
poteva semplicemente citare
ciò che io
stesso ho scritto
più volte (2)
per difendere il
dialetto e il
miscuglio dei dialetti.
Ma no: quel
« Zvani »
mi spiace come
mi spiacciono di
fre- quente le onomatopee
ornitologiche di P., non
perchè dialetto, ma
perchè mi sembra
un modo alquanto
comodo e semplicistico
di risolvere il
problema artistico, offrendo
la materialità della
cosa invece del
suo spirito. Come
mai P., che
freme e trema
alla voce della
morta, [Si veda
la citata Lettera
aperta del rev.
prof. Pietrobono. Si
veda, tra l'altrev
a proposito del
Di Giacomo, in
Letter. d. nuova
Italia, in, II alla
voce di sua
madre, può, nel
medesimo istante, mettersi
freddamente a contraffare
quella voce e
rimodulatia
dilettautescamente dentro di
sé? Quella voce
dovrebbe sentirsi dappertutto
nella lirica, e non lasciarsi
mai fissare nella sua
determinatezza estrinseca e
nel suo contorno
preciso. È un
« infinito >
di ango- scia e
di nostalgia, che
non bisogna rendere
finito e tascabile.
Il mio contradittore
afferma che «quel
Zvani... ci sta
d'incanto, specie se si pronunzia
a dovere; e
così scopre egli
stesso la sollecitudine
di salvare, per
virtù di pronunzia,
l'effetto di quel
ritornello. Che cosa
dirgli? Io mi
provai a pronunziarlo
in tutte le più varie
intonazioni; me lo
feci perfino leggere
da un amico,
valente lettore di
versi: e la
stonatura mi parve e
mi pare sempre
gravissima. Forse, se lo sentissi
pronunziare da lui,
sarei vinto, e
qualche lacrima mi
sgorgherebbe; ma anche
in quel caso mi resterebbe
il dubbio di
avere reso omaggio
non alla virtù
del poeta, ma
a quella del
bravo declamatore, che
sa come si
tappino i buchi
o si scivoli
sulle asprezze del-
l'espressione poetica. Si dica
lo stesso del:
« Papà, papà,
papà » dell'altra
poesia Un ricordo.
Qui il Gargano
anche osserva che
io mi son
« fatto lecito
di associare ad
una delle più
soavi elegie pasco-
liane il ricordo
di una canzonetta
napoletana volgaruccia anzi
che no » .
Mi son fatto
lecito? Si posseggono
non so quante
parodie di Omero
e di Dante,
anzi quasi non
c'è verso di
quei grandi che
non sia stato
parodiato e cui
non sia appiccato
un ricordo buffo;
eppure non mi
accade mai di
ricordarmene quando leggo
Omero e Dante.
Quella reminiscenza di
opera buffa mi
è stata suscitata,
e comandata, a quel punto,
dal Pascoli stesso, per
l'imperfezione, pel vano
sforzo, in quel
punto, della sua
arte. Che poi
(come nota il
precedente contradittore) « Un ricordo
e la Cavalla
storna seguiteranno a
commovere i let-
tori anche quando noi
saremo fatti vecchi,
ecc. », sarà
e non sarà:
ma sono affermazioni
con le quali
il dibattito non
fa un passo
innanzi. Per dare
un piccolo e
curioso e quasi
scher- zoso esempio del
modo in cui
il Pascoli tende
a strafare, ho
notato il mutamento
del titolo dell'ottava
Neve in quello
di Orfano. Il
Gargano risponde: « Quel bimbo
non è soltanto
ora diventato orfano; lo
era già prima,
quando lo cullava
sempre quella vecchia,
che neppure allora
era sua madre».
Perchè? La situazione
della poesia è
nel contrasto tra
lo squallore nivale
della realtà e il bel
giardino della fantasia,
la dura vita
reale che quell'essere
umano dovrà una
volta affrontare e
l'illusione in cui
viene cullato. La
vecchia può essere
la nonna o
la balia, e
lasciar presupporre vivente
o morta la
madre. Tutto ciò
non cangia nulla
all'essenza poetica dell'ottava.
Il nuovo titolo
lagrimoso, che richiama
una sventura al-
quanto contingente e individuale
del bambino, mi
sembra che impicciolisca
e non rafforzi.
L'altro contradittore mi fa notare
che io ho
sbagliato nel parlare,
a proposito della
poesia Il sogno
della vergine, della
culla come di
una culla reale,
laddove è una
culla metaforica. E
ha ragione, e
lo ringrazio di
avermi fatto accorto
della svista in
cui sono incorso
nello stendere i
miei appunti; come
anche di avermi
avvertito (altra svista)
che le strofe
di Un ricordo
sono composte di
dieci e non
di nove versi.
Correggerò. Ma ciò non
tocca il punto
sostanziale della mia
critica, che sta
nel notare la
soverchia accentuazione data alla
figurazione metaforica o
no che sia
(e peggio ancora
se metaforica) della
culla: «Si dondola,
dondola, dondola» ecc.,
e l'eccessiva dilatazione
in una lunga
poesia di un
motivo (i figli
non nati), del
quale un gran
poeta avrebbe fatto
appena un incidente
e un tocco,
che in questa
sua rapidità sarebbe
rimasto indi- menticabile. — Così
nella poesia: /
due cugini, io
credo che dopo
la strofa: Tu,
piccola sposa, crescesti:
man mano intrecciavi
i capelli, man
mano allungavi le
vesti, — l'altra
che segue: Crescevi
sott'occhi che negano
ancora; ed i
petali snelli cadeano:
il flore già
lega; sia uno
stento d'immagini, che
ottenebra e non
potenzia le immagini
della strofa antecedente.
Il mio contradittore
vuole che il
Pascoli, in quella
seconda strofa, faccia
sorgere accanto alla
bam- bina «l'immagine
della madre, con
quel suo sentimento
di grande delicatezza,
ond'è mossa a
desiderare, come tutte
le mamme, che
la figliuola le
resti sempre piccina
», sentimento che
« fa eco
e si sostituisce
al desiderio inespresso
e ormai inesprimibile
del piccolo morto».
Sarebbe un parallelismo
artifizioso e una
lambiccatura; e, a
ogni modo, si
veda se tutto
ciò è poi
detto con la
frase oscurissima :
Crescevi sott'occhi che
negano ancora... Il
metodo ermeneutico qui
adoperato dal mio
contradittore mi ricorda
quello di un
erudito campano, il
quale, una trentina
d'anni fa, inte-
stato che Pier della
Vigna fosse nato
a Caiazzo, avendo
trovato colà alcuni
frammenti di marmo
con le lettere
nus M., aul,
reas f. r.,
coraggiosamente integrò: « Dominus
Magister Petrus de
Vinea Magne Imperialis
Aule Protonotarius Edes
Marmoreas Fecit Restituii
» ; e
pretendeva aver ragione
contro il Capasso,
che non gli
me- nava buona la
troppo abbondante integrazione.
— Vuole ancora
il mio contradittore
che « il
cadere dei petali
snelli, della fiorita
d'ali che la
rassomigliava a un
lucherino, esprima un
nuovo dolore per
il morto, che
vede cadere quello
che in lei
principalmente amò »
: come se il pasticcio
di metafore, onde
le metaforiche ali
diventano petali di
fiori, accresca, e
non piuttosto confonda,
le belle e
dirette immagini dell'intrecciare man
mano i capelli
e dell'allungare man
mano le vesti.
Vuole, inoltre, che
« la pennellata
sobria e pudica del
' fiore che
lega ' dica come
la fanciulla cominci a
diventar donna e
annunzi quel c
nuovo seno '
che il bimbo
ignora » :
come se, sempre
dopo la prima
bellissima strofetta, ci
volesse il vieto
paragone del fiore
per fare inten-
dere il formarsi della
bambina a donna.
— Ma perchè
non essere schietti
e non confessare
la semplice e
prosaica verità? Al
Pascoli, dopo la
prima strofetta uscitagli
di getto, mancò
la vena ;
e, non sapendo
come riempire la
seconda, che pure
il prefisso schema
strofico richiedeva, continuò alla
peggio nella primitiva
redazione: Crescevi, come
erba nel prato.
I petali dai
ramoscelli già caddero,
e il fiore
ha legato (')•
Questa strofetta, assai
scialba e sciatta,
non poteva contentarlo;
e procurò di
rabberciare, sostituendole quella
che abbiamo or
ora esaminata. Ma il
lavoro di rappezzo
poetico non gli
riusci, come non
riesce ora il
rappezzo critico al
suo difensore. E
lascio d'inseguire altri
particolari, e mi
restringo ad osservare
che il mio
contradittore ha frainteso
il mio pensiero
circa i metri,
quando ha creduto
che io volessi
stabilire che un
soggetto non può
essere trattato se
non in una
determinata forma metrica, mettendo
in rapporto i
metri in astratto
e i soggetti
in astratto. Tutti
sanno (!) Con
questa variante la
lirica 1 due
cugini fu pubblicata
la prima volta
nel Marzocco.] c;he
io ho sostenuto
sempre l'opposto, e
ho negato ogni
valore alla dottrina
metrica come fondamento di
giudizio estetico (').
Io ho inteso
sempre parlare della
disarmonia di molte
poesie del Pascoli,
la quale dalla
disannonia nel metro
si stende a
quella nelle proporzioni
del componimento e nelle
accentuazioni delle immagini,
alle materialità inopportune,
e via dicendo;
e, se ho
parlato di queste
cose come distinte,
l'ho fatto per
semplice espediente espositivo
o didascalico. L'osservazione enfatica
che « Dante
nella terzina ha
gittato il bronzo
di Farinata, l'odio
di Ugo lino,
la timida preghiera
della Pia e il volo
dell'aquila portata da Cesare
», può fare
effetto sui profani,
ma lascia freddo
chi come me
ha sempre affermato
che non solo
ogni terzina è
diversa da ogni
altra terzina, ma
ogni verso da
ogni verso, anzi
ogni parola da
ogni altra parola,
anche quelle che il vocabolario
pone come iden-
tiche: l'« amore» di
Francesca, nelle terzine:
«Amor che a
cor gentil» ecc.,
(dice benissimo il
mio amico Vossler)
non è una
stessa parola tre
volte ripetuta, ma
sono tre parole
diverse. Tanto il
Gargano quanto il
Pietrobono e il
dottor Rabizzani si
meravigliano che io,
dopo avere approvato
come belle alcune
descrizioni nei poemetti
georgici del Pascoli,
resti perplesso sull'insieme
e mi domandi:
«Dov'è il mondo
interno del poetar».
«Ebbene, in questo
caso (!) Si
veda, per es.,
Problemi di estetica,
pp. 163-66. (scrive,
e più efficacemente
degli altri due,
il Rabizzani, a
cui do la
parola) il mondo
interno del poeta
è proprio il
mondo che sta
fuori di lui
e che solo
per opera d'intuizione
vien riprodotto. Dinanzi alla
cosa veduta c'è
l'occhio che vede
e modifica inconsciamente e
sceglie scientemente
eliminando la scoria
delle impressioni inutili
per far luogo
solo a quelle
che possono determinare
la sua visione.
Così la descrizione
è obbiettiva per
gli elementi che
la costituiscono, ma
subiettiva per il
modo nel quale
sono costituiti. Ed è
inutile cercare dietro
ad esso una
corrispondenza morale propria
del poeta; tanto
varrebbe cercare i
regni celesti oltre
la zona fisica
del padiglione costellato.
C'è nella nostra
coscienza estetica un
residuo di simbolismo
per il quale
la natura ha
diritto di vivere
nell'arte solo a
patto che un'allegoria
la giustifichi •» .
Per- fettamente d'accordo nel
principio che non
bisogni cercare nelle poesie
l'allegoria, e che,
se un residuo
di allegorismo resta
in fondo alla
coscienza estetica, occorra
liberarsene, io non
sono poi d'accordo
nel credere al
valore delle descrizioni oggettive in
poesia. Se una
descrizione non è
soggettiva, ossia non
ha afflato lirico
(e s'intenda pure la
lirica in tutte
le sue gradazioni
fino alla ironia
e allo scherno),
non ò poesia.
E poiché questo
afflato lirico non
manca in molti
punti dei poemetti
georgici del Pascoli,
io li ho
ammirati; e poiché non
li investe tutti
(pel solito difetto
che è in
lui di perdersi
nei particolari e
nelle sottigliezze), ho
notato in quei
poemetti il miscuglio di
un poeta vero
con un verseggiatore e descrittore
meramente virtuoso. Nel
giudizio sui Poemi
conviviali, anche il
Pietrobono riconosce esatta
la caratteristica da
me data dell'atteggiamento spirituale
tutt'al- tro che
omerico, anzi sommamente
raffinato, del Pascoli;
e solamente crede
che io faccia
di ciò un
rimprovero al Pascoli,
il che non
mi è mai passato pel
capo. Io ho
insistito invece sul
modo di concezione
e composizione di
quei poemi, che
sembrano mucchi di
frammentini delicati: è
tutta carne molle,
e manca l'ossatura;
di qui la
scarsa loro efficacia.
Chi ripensi, per
esempio, ai Sepolcri del
Foscolo, intenderà ciò
di cui lamento
la mancanza nel
Pascoli. E quando
il mio contra-
dittore si duole
che né io
né altri abbia
osservato « che lungo
e che grande
amore debba esser
costato al Pascoli
la ispirazione di
quei suoi Poemi
conviviali, in cui
rinovera, analizza e
rivive a una
a una ordinatamente
le età di
Omero e di
Esiodo, quella dei
tragici greci nei
Poemi di Ate,
quella dell'arte plastica
in Sileno, i
pen- samenti di Platone
nei poemi di
Psiche, e ci
denuda l'anima dell'età
di Alessandro, di
Tiberio, dei popoli
di Oriente in
Gog e Magog,
e finalmente canta l'annunzio
dell'era novella cristiana,
nella quale tutte
le altre si
assommano e conluiscono a
produrre la civiltà
moderna », —
sono costretto a
rispondere ancora una
volta, che egli
dimentica un principio
di critica, pel
quale la ricchezza
di erudizione, l'ordine
storico sapiente, la
giustezza del colore
storico, e via
dicendo, sono cose tutte
estranee all'arte ;
tanto vero, che
si trovano anche
in poeti mediocri,
i quali, incapaci
di scrivere dieci
bei versi d'amore,
sono poi resistentissimi nel
comporre trilogie e
decalogie di drammi,
cicli di poemi
e leg- gende di
secoli, con relative
annotazioni storiche
dottissime. Senonchè, qual è poi
il giudizio complessivo
e conclusivo che
i miei contradittori
hanno opposto a
quello da me
proposto e dimostrato
intorno all'opera del
Pascoli? Ho innanzi
a me i
parecchi articoli, che
si sono pubblicati
a proposito del mio
studio; e cerco
una conclusione diversa
dalla mia, e
non la trovo.
Ecco il Rabizzani,
che si dava
pensiero di una
mia possibile e
probabile conversazione: Pur
non accettando le
conclusioni a cui
giunge il Croce
nella crudità della
formola e nel
rigore dello spinto,
dobbiamo ammettere il
carattere frammentario dell'opera
pascoliana. Il poeta
ha uu grande
mondo, ma non
è ancora riuscito
ad esprimerlo compiutamente. Per
ora, la sua
sovranità è nell'abisso
della sua mente.
E quand'an- che non
riuscisse a farnela
uscire, noi gliene
daremmo il merito,
sebbene l'Amiel abbia
detto che le
genie latent rìest
qu'une prèsomption: tout
ce qui peut
étre, doit devenir,
et ce qui
ne devieni pas
n'ètait rien». Mi
pare giudizio assai
più severo del
mio; e, se
mai, ho paura
che il dottor
Rabizzani dovrà fare
una penitenza più
grossa della mia.
Ecco la Rivista
di cultura di
don Romolo Murri,
non certo avversa
a Pascoli e, a
ogni modo, assai
equanime»: Non dividiamo,
a proposito del
Pascoli, il giudizio
recentemente datone dal
Croce: giudizio giu-
sto nella sostanza, se
riguarda, nell'insieme,
l'opera e l'ispirazione
poetica del Pascoli,
ma ingiusto per
rapporto a molte
particolari poesie. E vogliamo
dire questo: che
il Pascoli non
ha una così
ricca e possente
ispirazione poetica che
non gli venga
mai meno nel
suo molto versificare,
né un cosi
fine e sicuro
gusto da non
dare al pubblico,
della molta opera
sua, se non
quello che è
Anito o perfetto;
ma, dall'altra parte,
quello che il
Croce concede di
strofe e di
brani di poesie,
che sono di
un vero e
grande poeta, noi
pensiamo si possa
raramente estendere a
poesie intere »
(i). Non dividiamo;
ma, viceversa, dividiamo.
Un altro e
temperato critico affaccia
un dubbio, ma
comincia col concedere: «Il
Croce ha messo
il dito sulla
piaga: lo smarrirsi
dell'ispirazione universale
nel mare
dei particolari è,
presso il Pascoli,
un caso non
infrequente. Ma non
sarebbe questo un
segno de' tempi,
non sarebbe la
parte caduca dell'arte
pascoliana, la quale
vivrà egualmente ne'
secoli ad onta
di tutti i
suoi difetti, ombra
appena percettibile a
petto ai suoi
grandissimi pregi?. Perfino
il Pietrobono non
sa dire altro
circa il carattere
generale della poesia
di P. se
non che quella
è « una
gran bella [Rivista di
cultura] Pasini, nel Palvese,
di Trieste.] poesia»; lode
che, nella sua
indeterminatezza, potrei concedere
anch'io. Perchè, se
alla poesia di P.
non avessi riconosciuto
valore, e molto
valore, non le
avrei fatto (questo
è ben chiaro)
l'onore di un
lungo esame, e
di questa non
breve discussione, che
ora gli ha
tenuto dietro. Ancora
sulla poesia di
P.. Da una
dozzina d'anni non
avevo letto quasi
più nulla di
P., saziato dallo
studio che un
tempo feci delle
cose sue per
scrivervi in- torno un
saggio, il quale,
quando fu pubblicato,
parve, peggio che
severo, ingiusto. E con curiosità
ho tolto tra
mano la scelta
che delle poesie
di lui ha
testé curata il
Pietrobono {Poesie di
Giovanni Pascoli, con
note di Luigi
Pietrobono, Bologna, Zanichelli);
con curiosità (prego il
lettore di credermi)
assai bene- vola, animata
dal desiderio di
scoprire nel Pascoli, dopo
tant'anni, aspetti che
allora potevo non
avere scorti, e
di giudicare, dopo
tant'anni, con mente
rinfrescata, non solo
la poesia di
quel [Dalla Critica] poeta, ma
lo stesso giudizio
mio. Il Pascoli
non è più;
e tra il tempo ch'egli
ancora viveva e il presente
sono accaduti tanti
straordinari avve- nimenti, che
hanno respinto assai
indietro, nel remoto,
gli anni anteriori,
comprimendoli in un periodo già chiuso,
quasi con lo stesso cangiamento di
prospettiva che la Rivoluzione francese
fece per gli anni anteriori al 1
789. Ho levato dunque gli occhi verso
il Pascoli come verso un autore del
vecchio tempo (del « buon » vecchio
tempo ?), pel quale non si può
non esser disposti a simpatia; e
perfino l'averlo criticato nei giorni
lontani accresceva il sentimento di
simpatia, perchè anche questo mi formava
un legame con lui, anche questo me
lo faceva parte di una parte della
mia vita passata. S'aggiunga che il
compilatore del volume, il Pietrobono, ha
molto amato il Pascoli ed è colto
e fino ingegno, e
m'invogliava perciò a
rileggere quelle poesie
sotto la sua
guida bene informata,
esperta ed affettuosa;
e, a dir
vero, per questo
riguardo, non mi
è toccata alcuna
delusione, e credo
che, posto che
giovi adornare di
comento le opere
del Pascoli, non
si poteva eseguir
tale compito in
modo migliore di
quello tenuto dal
Pietrobono, che non può
esser tacciato se
non forse di
sottigliezza e ingegnosità
eccessive, effetti di
eccessivo amore. Ma,
pel resto, ahi,
ahi, come la mia buona
intenzione, la mia
mite e sentimentale
e malinconica disposizione d'animo,
è stata presto
tutta sconvolta! Come
mi son sentito
riprendere di Ili
- colpo dall'antica ripugnanza,
e risospingere al-
l'antica riprovazione, fotta più
acuta e più
violenta dalla stessa serenità
con la quale
mi ero messo
a riconsiderare, dalla
stessa aspettazione che
avevo carezzata di
poter temperare il
mio antico giudizio
o integrarlo col
riconoscimento di alcune
cose belle di
quella poesia! E
la riprovazione si è
volta in isdegno,
ricordando di aver
letto su pei
giornali letterari, che
è ormai venuto il
tempo d'introdurre il
Pascoli nelle scuole
italiane, a modello
o incitamento stilistico
per la nuova
generazione. Oh, no!
Noi non abbiamo
il diritto di
propagare nella nuova
generazione le malsanie
e i vizi
nostri; non abbiamo,
in ogni caso,
il diritto di
toglier d'innanzi ad
essa quelli che
la tradizione dei
secoli ha consacrati
classici, per surrogarvi
gl'idoli delle nostre
fuggevoli esaltazioni, dei
nostri morbosi sentimentalismi, e
dei nostri capricci.
Ciò che altra
volta ebbi a
notare, ciò che
sempre mi era
sommamente spiaciuto nei
versi del Pascoli,
e mi aveva
fatto dubitare della
sua virtù poetica,
mi s'è ripresentato
subito agli occhi,
appena aperto il
volume, alle prime
pagine. È quasi la
caratteristica della sua
arte : il
dissidio tra ritmo
e metro :
il ritmo del
sentimento che richiede
un certo andamento,
che s'intrav- vede,
si presente, si
attende, e il
metro che gliene
dà un altro.
Donde anche, introdotta
questa prima scissione
nell'inscindibile, il compiacersi
nel par- ticolare per
sé fuori della
nota fondamentale, e, per un
altro verso, caricare
il tono per
ottenere l'effetto cercato
: disarmonia ed
affettazione. Vedo che
il comentatore insiste
su ciò, che
la poesia del
Pascoli è poesia
di dissidio; e
teorizza che € il dubbio
è uno stato
d'animo anch'esso, e
il poeta che
n'è vittima, e
vuol essere sincero,
bisogna pure che,
come sente, così
si esprima, e
non rifugga dall'apparire
nel tempo stesso
ot- timista e pessimista,
ecc. » . E
starebbe benissimo, e
non ci sarebbe
niente da ridire,
se si trattasse
solo di contrasti
psichici; ma i
contrasti psichici debbono,
in arte, essere
composti in armonia
estetica: ciò che
l'uomo divide, e
ciò che divide
l'uomo, la dea
dell'arte congiunge. Che è poi
per l'appunto quel
che al Pascoli,
per infelicità d'in-
gegno, non veniva mai
fatto. Si tagliò
da una siepe
— era un
mattino triste ma
dolce — il
suo bordone, e,
volta ' la
fronte, mosse per il suo
cammino. Si sente
che lo scrittore
vorrebbe esser sem-
plice, ma la terzina,
invece, si gira
e si dondola,
come compiacendosi di
sé stessa. Si
noti quel «volta
la fronte», che
atteggia il personaggio
come un attore,
che prende a
rappresentare la sua
parte. E non
pago di aver
dato quest'at- teggiamento, lo scrittore
vi calca sopra:
SI: mosse. Al
che il comentatore
: « Si
accorge di aver
ado- perata una parola
forse superba, e
la ripensa come
per correggerla; ma
trova invece che
non la sua
superbia, ma la
verità glie l'ha
posta sulle labbra, e
la conferma » .
Ora, veramente, non
si vede qual
superbia ci sia
nel « moversi
per il proprio
cammino»; ma ben
si vede che
il Pa- scoli ha
« ripensata » la sua
parola, ossia, al
so- lito, l'ha vezzeggiata,
compiacendovisi. E quella
era la siepe
folta d'un camposanto,
ed era il
camposanto, quello, dove
sua madre era
sepolta. Affettazione di
semplicità che s'impaccia
nelle ampie pieghe
del verso e della strofa,
e affettazione di sentimentalità, in
quella fantasia del
bordone, tagliato dalla
siepe, e proprio
da quella del
camposanto, e proprio
del camposanto in
cui giaceva la
madre morta. D'allora ha
errato. Seco avea
soltanto il suo
bordone. E qua
tese la mano,
e qua la
porse. E ha
gioito e pianto.
Solennità apparente, vuoto
sostanziale, tutte frasi
generiche che paiono
dire grandi cose
e dicono nulla.
E le frasi
generiche continuano nella
terzina che segue: E
vidi il fiume,
il mare, il
monte, il piano:
tutto... Sì, tutto,
perchè non ha
visto niente di
particolare e di significante. e
a tutto era
più presso il
cuore di quanto
il piede n'era
più lontano. Sentimento,
che potrebbe esser
vero, ma è
reso in forma
di antitesi, e
perciò falsato in
un giochetto. Invece
di sentirci riempire
l'animo da quel
sentimento, ci soffermiamo
ad analizzare, con
lo scrittore, il
giochetto. Così si
va innanzi sino
alla fine: peggiorando,
perchè il bordone
mette poi foglie,
germina, ra- dica, e,
senza diventare simbolo
vivente, s' ingoffisce in cattiva
allegoria. Il secondo
componimento del volume
è quello de
Le ciaramelle. Chi
non sente come
liquefarsi l'anima al
loro suonoj^Jfla appunto
chi questo -Tret*ter~c1:uè preso
da un soave
palpito al riudire
le ciaramelle, palpita
così perchè non
è lui una
ciaramella, ma un'anima,
che, ormai diversa e
matura, è riportata
alle immagini e
alle com- mozioni della
fanciullezza. Ricordo la
vigilia di "Natale,
evocata- dal Di
Giacomo in una
sua lirica d'amore: la
Napoli, verso sera,
tripudiente, rumoreggiante, piena
di lumi, guardata
dal poeta dal
mezzo della collina,
che le sovrasta.
Ci sono anche
le zampogne: Saglieva
'a dinto Napule,
nzieme, cu tanta
voce, cunfusa 'int'
a na nebbia
na luce 'e
tanta lume: sentevemo
'e zampogne, c''o
suono antico e
ddoce jenghere ll'aria,
e tutti sti
voce accumpagnà... Ma
il Pascoli si
fa lui ciaramella,
e ciaramelleggia con
esse: Udii tra
il sonno le
ciaramelle, ho udito
un suono di
ninne nanne. Ci
sono in cielo
tutte le stelle,
ci sono i
lumi nelle capanne.
Sono venute dai
monti oscuri le
ciaramelle senza dir
niente; hanno destata
nei suoi tuguri
tutta la buona
povera gente... Una
filastrocca tutta ripetizioni
di concetti, ar-
guzie, insistenze, affanno, piagnucolamento : una bruttura.
E sorvolo sul
terzo componimento {La
voce) — quello
di « Zvani
», — perchè
l'altra volta già
ne mostrai la
sconvenienza e sconcezza
; e libo
appena il quarto,
in cui l'abbaiar
di un cane
a notte alta
è chiuso in
istrofe di questa
sponta- neità: là
nell'oscura valle dov'errano
sole, da niuno
viste, le lucciole,
sonava da fratte
lontane velato il
latrare d'un cane;
e, in tanto
artificio e scontorcimento e
ballon- zolamento, il
cane abbaia davvero,
fa bau-bau: Va! va! gli
dice la voce
vigile, sonando irosa
di tra le
tenebre... E, infine,
incontrandomi nel quinto
componimento {Valentino) — con
le galline che
schia- mazzano: « Un
cocco! Ecco ecco
un cocco un
cocco per te —
mi arresto e
non procedo oltre.
Cioè, smetto di
percorrere ordinatamente il
volume e lo
sfoglio qua e
là; e su
qualunque cosa poso
l'occhio, ritrovo le
stesse affettazioni. Ecco
il tanto celebrato
Aquilone: nel quale
lo scrittore vorrebbe
ritrarre un momento
della propria vita di
fanciullo, risvegliatosi noi
suo ricordo alla
vista di una
bella mattina, piena
di sole, che lo riconduce
ad altra simile
di quei tempi
lontani. Ma la
sua incapacità a
fecondare un motivo
poetico, si che
produca la propria
for- ma, si dimostra
qui chiara dal
suo ricorrere (cosa
che è sfuggita
al Pietrobono) a
una forma bella
e fatta, all'Idillio
maremmano del Carducci.
Il canto del
Carducci comincia: Col
raggio del mattin
novo eh' inonda
roseo la stanza,
tu sorridi ancora
improvvisa al mio
cuore, o Maria
bionda! E P.,
sebbene col solito
tono di appa-
recchio e d'affettazione, comincia
allo stesso modo:
C'è qualcosa di
nuovo oggi nel
sole, anzi d'antico:
io vivo altrove,
e sento che
sono intorno nate
le viole. Son
nate nella selva
del convento dei
cappuccini... Il Carducci
termina: Meglio era
sposar te, bionda
Maria! Meglio ir
tracciando Meglio oprando
obliar E P.:
Meglio venirci ansante,
roseo, molle di
sudor, come dopo
una gioconda corsa
di gara per
salire al colle!
Meglio venirci con
la testa bionda,
che poi che
fredda giacque sul
guanciale, ti pettinò
co' bei capelli
a onda tua
madre... adagio, per
non farti male.
Ma le parole
del Carducci sono
schiette, il tono
eguale; e quelle
di P. una sequela di
abi- lita da virtuoso,
frigidissime: versi troppo
vibrati non si sa
perchè, specie il
terzo di ciascuna
terzina; versi che,
non si sa
perchè, fanno spicco:
tra le morte
foglie che al
ceppo delle quercie
agita il vento;
immagini leziose, come
l'aquilone che s'innalza:
s'innalza; e ruba
il filo dalla
mano, come un
fiore che fugga
su lo stelo
esile, e vada
a rifiorir lontano;
e falsità di
ritmo e leziosaggini,
che impediscono alle più
gentili immagini di
acquistare la loro
musica: Si respira
una dolce aria
che scioglie le
dure zolle, e
visita le chiese
di campagna, ch'erbose
hanno le soglie
(bello!): un'aria d'altro
luogo e d'altro
mese e d'altra
vita: un'aria celestina che
regga molte bianche
ali sospese {troppo
[cincischiato!). E tutto il
componimento ha un
aspetto di con-
gegnato, di preparato («Sì,
gli aquiloni! È
que- sta una mattina
Che non c'è
scuola), direi, di
ginnastico, alienissimo della
vera poesia. E
a proposito di
Carducci e del
Pascoli. Mi fu
raccontato, da chi
v'era presente (uno
dei nostri più
fini artisti), che
un giorno il
Carducci, trat- tenendosi in
casa di amici
e trovato sul
tavolino un volume
del Pascoli, ne
lesse qua e
là ad alta
voce alcune pagine,
e poi, richiudendolo
d'un colpo e
posandovi su la mano, ammoni
gli astanti: —
Questa, non è
poesia. La stessa sentenza
mi sale dai
precordi, dopo avere
riassaggiato le composizioni del
Pascoli. Gridate contro
di me quanto
vi piace: questa,
non è poesia.
E se non
è poesia, eppure
ha avuto tanta
voga, ed ha
ancora tanti ammiratori,
donde la ragione
della sua fortuna?
Credo da ciò,
che essa giunse
opportuna: la grande
poesia italiana, mercè
i diversi ma
del pari alti
esempì del Manzoni
e del Leopardi,
era stata salvata
dallo scompiglio romantico,
e, mercè quello
del Car- ducci, dalle
mollezze dell'ultimo romanticismo.
E l'esempio del
Carducci operò anche
sul D'ANNUNZIO (si veda) (non solo
nel giovanile Canto
novo, ma anche
qua e là di poi)
come freno, e
come freno operò
nel primo e nel miglior
P. (le prime
Myricae): ma, più
tardi nel D'Annunzio
e più presto
in P., quel
freno s'allentò, e
proruppe in essi
la letteratura decadente,
che era in
ag- guato dietro le
loro anime, e
l'uno e l'altro
diventarono precursori e avviatori
del futurismo. P.,
meno vigoroso del
D'ANNUNZIO (si veda), il quale
ha avuto una
sua forza di
gioia sensuale, che
è stata la sua sanità
e si è
guastato soprattutto con
l'intellettualismo
dell'eroico e ora
del religioso; P., che e
disposto al sentimentalismo, dove più
gravemente soggiacere al
de- cadentismo e futurismo,
alla spinta analitica,
alla disarmonia, al disgregamento, alle
smorfie e alle
sconcezze
dell'impressionismo
inconcludente. E poiché
la sua corruttela
estetica prendeva per
materia la pietà,
la bontà, la
tenerezza, la tri-
stezza, la morte (diversamente
dal D'ANNUNZIO (si veda) il quale
si compiaceva di
altre cose, che
davano scandalo ai
timorati), al Pascoli
è stato possibile
soddisfare in modo
decente quel ch'era
di mal- sano nelle
anime timorate, e
persino nei preti
: — come,
per un altro
verso, il Fogazzaro
è stato il
D'ANNUNZIO (si veda) dei cattolici,
ed ha scritto
per le famiglie
cattoliche il Piacere
e il Trionfo
dello morte sotto
i titoli di
Daniele Cortis, di
Ma- lombra e di
Piccolo mondo moderno.
Con quali aspettazioni
abbiano accolto il
Pascoli i cattolici si
può vedere dalla
prefazione stessa del
Pietrobono, che è
preso da quella
condizione di lui tra
la fede e
l'incredulità, interpe- trandola
quasi presentimento di
cielo, quasi persecuzione che il
Signore faceva di
un'anima, che ancora
gli riluttava. E
da essa si
può vedere quanto
potere il sentimentalismo, lo
spirito di pietà
e di carità,
il desiderio e le esortazioni
alla pace, della
quale P. si
era fatto professionale rappresentante, abbiano
avuto sui cuori
te- neri, a segno
da far dimenticare
che tutto ciò
in poesia non
vai nulla se
non diventa poesia,
ed è addirittura
odioso quando procura
di surrogare al
mancante valore di
poesia materiali valori
di sentimento. Così
ora i decadenti,
gli stilisti (che
sono poi decadenti,
perchè sol essi
pensano allo «
stile » :
i grandi, i
classici lo hanno
e non vi
pensano), vorrebbero introdurre
la poesia e
la prosa di
P. nelle scuole,
nelle scuole classiche,
come ideale di
finezza artistica; e
i cuori teneri,
nelle scuole elementari,
come educatrici a gentili affetti, e
i preti nelle
loro, perchè non
vi si parla
di amore (di
quell'amore che è
persino nel- Y Adelchi
e nei Promessi
sposi]). Ma per le scuole
elementari è proprio
indispensabile il Pascoli?
Non c'è di
più vecchio e
di meglio? Non
c'è il poeta
che facevano leggere
a noi ragazzi, e
imparare a mente,
il buon canonico
Parzanese, gloria di
Ariano di Puglia?
Se è necessaria per certi
usi una poesia
non poetica, una
poesia pratica, quella
del Parzanese fa
sempre perfettamente al caso
; e quasi
mi vuol parere
che essa dia,
per questa parte,
la realtà di
ciò che P.
invano si sforzò
di raggiungere. Volete
onomatopee? Suona, o
campana, suona, o
campana, suona vicina,
suona lontana. Tu
sei la musica
del poveretto, che
nel sentirti piange
d'affetto; ei sol
comprende la tua
parola, quando sonora
per l'aria vola.
Dig din, dog
don, T'allegra, o
povero, questo è il tuo
suon! Volete riproduzioni
di movimenti? Dote
non ho né
panni, e pur
vo' farmi sposa.
Passati son tre
anni che la
mia man non
posa. Ma il
tempo via sen
va, e il
caro dì verrà
che tanto il
ciel sospira; Filatoio,
gira, gira. Volete ninna-nanne?
Dormi. La bella
luna prende del
ciel la via;
passa, e sulla
tua cuna un
bianco raggio invia.
Pe' poveri Iddio
vuole che splenda
luna e sole.
Dormi, fanciullo mio,
dormi, ti veglia
Iddio. Volete figurini
di curati? Zitto!
Cessi lo strepito
e '1 baccano: che!
non vedete il
nostro buon pievano?
8' inoltra passo passo
il vecchierello: traetevi
il cappello. E
di poverelli? Se
vedete un vecchierello
d'occhi cieco e
d'anni stanco, senza
scarpe né mantello,
che alla figlia
appoggia il fianco,
nel recinto del
castello date loco
al vecchierello... E
di sventurati? Chi
non ha lagrimato
per la cieca
del Parzanese? Non
mi dite che
torna il mattino
a svegliare le
cose dormenti ;
non mi dite
che d'oro e
rubino sono i
lembi del cielo
ridenti. Il mio
ciglio il Signor
non aprio. Deh! sia
fatto il volere
di Dio. Ed era
molto gentile, quella
cieca: Quando sento
il profumo d'un
giglio, voi mi
dite ch'è bianco
qual neve. Com'è
il bianco? In pensier
lo somiglio a
quel senso che
l'alma riceve quando
ascolta sull'ala del
vento d'un liuto
il lontano lamento. Che
cosa mai sono
venuto recitando? Vecchi
suoni dell' infanzia,
anche questi ;
ma, al tempo
stesso, cosette modeste,
adatte al loro
pratico intento, ben
intonate, che mi
ridanno quel senso
di equilibrio, che
gli spasmodici ritmi
del Pascoli mi avevano
tolto: del Pascoli
che (per dir
tutto in una
parola) in arte
era un atassico,
ossia non coordinava
i suoi movimenti.
«
Quiconque ne sent
pas ce defaut
est sans aucun
goùt ; et
quiconque veut le
justifier se rnent
à lui mérne.
Ceux qui m'ont
fait un crime
d'étre trop sevère,
m'ont force à
Vétre vèritablement et
à n'adoucir aucune
véritè (Voltaire, commento
su Corneille). Il «
Paulo Ucello. P. lesse
nel Vasari che
Paolo di Dono
dipingeva storie di
animali, de' quali
sempre si dilettò,
e per fargli
bene vi mise
grandissimo (i) Dalla
Critica.] studio, e, che
è più, tenne
sempre per casa
di- pinti uccelli, gatti,
cani, e d'ogni
sorta ani- mali strani
che potette avere
in . disegno, non
potendo tenerne de’vivi
per esser povero;
e perchè si
dilettò più degli
uccelli che d'altro,
fu cognominato Paulo
Ucello (Vite, ed.
Milanesi). Lesse e
fraintese, perchè il
biografo non volle
punto dire che
Paolo amasse gli
uccelli e gli
altri animali e,
non potendo farne
acquisto, im- pedito da
povertà, se li
dipingesse per suo
gaudio sulle pareti
di casa, ma
che amava dipingere
uccelli ed altri
animali (compresi leoni
e serpenti e ogni
sorta di brutte
bestie) e che,
non essendo in
grado di possederne
i vivi modelli,
aveva adunato in
casa sua quanti
disegni potesse
procurarsene. La notizia,
data da Vasari, si
riferisce alla comune
vita degli artisti,
ed è psicologicamente comprensibile
e naturale; ma lo stesso non
si può affermare della
interpetrazione o fraintendimento di P.,
perchè (si rifletta
un istante) a
quale verità psicologica
risponderebbe questa surrogazione
del dipingere al
possedere? Chi desidera
un uccellino reale,
desidera qualcosa di
pratico, e, non
potendo ottenerlo, si dorrà
o si rassegnerà;
ma non trova mai un
equivalente o un sostituto omogeneo
aquell'oggetto nell'attività artistica,
che trascende l'uccellino come realtà vivente e si compiace nel proprio
creare. Chi ama una donna, ama quella
donna, la desidera, la brama; ma, se si mette a dipingerla,
l'abbassa a materia o modello che si
chiami, e, in quell'atto, trascende il
suo amore e ogni altra cosa terrena, ed
è Innamorato, non più di una
donna, ma di
un'idea. Tanto vero
che raccoglitori e amorevoli
curatori di animali
domestici non sono
mai i pittori
di animali, ma le
vecchie signorine e i
vecchi celibatari; e il
pittore Dalbono, famoso
in Napoli per
la sua mania
di riempirsi la
casa di gatti, non dipingeva
gatti, ma festosi
paesaggi di Napoli.
Ma forse P.
non fraintese per
isvista di lettura,
e volle deliberatamente fraintendere,
ossia sul testo
di Vasari ideò
quella sua immaginazione di un
Paolo Ucello, desideroso
di avere uccelli
in casa, e
sfogantesi nel ritrarli,
e tuttavia tornante
sempre al suo
desiderio. Perchè? Perchè
quell'immaginazione gli parve
commovente, leggiadra, tenera.
Pensate un po'!
Un gran pittore,
che passa pel
mercato, vede un
fringuello in gabbia,
rosso in petto
e nero il mantello, che
gli somigliava un
fraticino di san
Marco, vorrebbe portarselo
a casa, ma
non ha un
grosso per comperarlo,
e tira innanzi
con quel mortificato
desiderio nel cuore,
e va alla
sua opera della
giornata, ma la
sbriga il più
presto che può,
per tornare a
casa e aggiungere
ai tanti uccelli
che ha già
dipinti sulle pareti,
ai tanti suoi
desideri insoddisfatti, là,
sopra un ramoscello
di melo, quel
«monachino rosso». Quanta
gente non si
lascia subito prendere
da queste immaginazioni
leggiadre, tenere, commoventi! Quanta? Moltissima:
tutta la legione
dei pascoliani, che,
da alcune settimane
in qua, stanno
dando prova dei
gentili sentimenti che
siffatte immaginazioni educano
negli animi, e
li dimostrano nelle
loro mansuete, francescane
parole, indirizzate a Sorella
Critica! Ma quella
moltissima gente è
anche di facile
contentatura; e, come
si compiace nel
verso che suona
e non crea,
così sdilinquisce per
le immagini che
paiono attraenti e
sono vuote, vuote
di schietto e
profondo sentire. Che vi
sia o non
vi sia una
realtà psicologica nell'atto
attribuito a Paolo
di Dono, essa
non cura: si
attiene alla superfìcie
e scatta in
entusiasmi, che altro
non chiedono e
non aspettano che
di scattare. Comunque,
ideata quella prima
arguzia o acutezza
sentimentale, P. non si
fermò. E perchè
avrebbe dovuto fermarsi?
Con lo stesso
metodo, e con
lo stesso buon
successo, poteva foggiarne
quante altre voleva.
E immaginò che
Paolo Uccello fosse
terziario, e che
nel suo irrefrenabile desiderio di
un possesso terreno,
fosse anche di
quello -tenuissimo di
un uccellino, peccasse; e
che, dunque, san
Francesco gli apparisse, là, sulla
parete, tra la
sua pittura o
dalla sua pittura,
e lo rimproverasse
e lo ammonisse,
e lo purgasse
di profani desideri,
e poi, andando
via, attingesse dallo
scollo del suo
cappuccio briciole di
pane e le
spargesse per la
campa- gna, e gli
uccelli volassero a quel lieto
convito, e Paolo, quetato
alfine, si addormentasse
nel suo sogno.
La poesia s'iunalzava
così, a suo
credere, a idealità
francescana. Tale fu,
per chiunque abbia
qualche pratica di
poeti e poesia,
la genesi di
questo Paulo Ucello, lodatissimo tra
i componimenti di
P. Ed è
chiaro che non fu
una genesi poetica,
ma senti- mentalistica, come di
solito in quel
tempo della produzione
pascoliana, quando l'autore
si era dato
tutto in balia
a certe sue
impoetiche tendenze, incoraggiato e
traviato da false
lodi, specie da
quelle di amici,
che par si
fossero proposto di
addensargli intorno un
velo e fargli
perdere il senso
della realtà, e
un po' lo
vagheggiavano attraverso
quel velo, un
po' celiavano sulle
sue bizzarrie. Senonchè,
la poesia non
può nascere da
intenzioni, per gentili
che siano, perchè
tutte le intenzioni
sono, in questo
caso, aride, unilaterali, astratte; ma
nasce dalla piena
umanità commossa, come suono
tra i suoni,
accordato con gli
altri suoni, non
mai tutta tenera
o tutta gentile
o tutta leggiadra.
Anche la poesia
dell'idealità francescana; della
quale uno dei
più vivi esempi
che mi vengano
ora a mente
è un verso
e mezzo di
CAMPANELLA (si veda), in un
suo duro e
nodoso sonetto, dove, ritratto
l'orrore dell'umano egoismo,
le lotte, le
insidie, le calunnie,
e, più di
tutto, gl'infingimenti interiori
per cui l'uomo
sé stesso annichilando
si converte alfine
in istìnge, improvvisamente esclama,
come se gli
si spieghi innanzi
un lembo di
paradiso: Tu, buon
Francesco, i pesci
anche e gli
uccelli frati appelli! E,
se si vuole
un esempio più
a noi vicino,
ricorderò il sonetto del
non professionale francescano Carducci, quel
sonetto, in cui
il poeta, alla
vista della fertile
costa che pende
dal Su- basio,
considera commosso su]
piano laborioso, che
al sol di
luglio risuona di
canti d'amore, Santa
Maria degli Angeli:
Frate Francesco, quanto
d'aere abbraccia questa
cupola bella del
Vignola, dove incrociando
a l'agonia le
braccia nudo giacesti
su la terra
sola! Poiché la genesi
non fu poetica
ma intenzionale, o, come
io dico, intellettualistica, il
Pascoli non potè
indovinare la forma
poetica, la quale
è tutt'uno con
l'ispirazione, e nell'ispirazione è
già delineata e
mossa. E prese
a stendere il
suo estratto quintessenziale di
tenerezze e dulcitudini
e francescanerift in
una forma artificiosa
ed estrinseca, che
è subito dimostrata
tale dalla monotonia dell' intonazione,
dalla semplicità troppo
semplice, che in
essa si osserva.
Si desiderano prove
di ciò? Come
darle a chi
non ha orecchio
per sentire il
tono falso? Come
fissare in alcune
parole ciò che
è diffuso in
ogni snodatura e
spezzatura della sintassi, in
ogni inflessione della
voce? La critica
(l'ho detto tante
volte) ha un
limite o un
presupposto che si
chiami: il presupposto che si
abbiano occhi per
ben vedere e
orecchi per ben
udire. Tutt'al più,
essa può aiutare
con qualche indicazione:
Dipingea con la
sua bella maniera
sulla parete, al
fiammeggiar del cielo.
E il monachino
rosso, ecco, lì
era, posato sopra
un ramuscel di
melo. Che la
parete verzicava tutta
d'alberi.. 0 anche: Oh!
non voglio un
podere in Cafaggiolo,
come Donato: ma
un cantuccio d'orto,
sì, con un
pero, un melo,
un azzeruolo. Ch'egli
è pur, credo,
il singoiar conforto
un capodaglio per
chi l'ha piantato!...
Ma un rosignolo
io lo vorrei
di buono... Un
altro aspetto di
questa forma, senza
in- timo freno, senza
intima sua legge,
e che ha
accattato una legge
dall'esterno, da un
proposito della mente,
da uno sforzo,
da uno stento
di vellicare i cuori
teneri e tenerli
in dolce spasimo,
è il frazionamento
nei particolari, le
lungherie, le materialità
inopportune. P., anche
in questo caso,
non ci risparmia
né le nomenclature
di uccelli, né le sensazioni
fìsiche, per es.,
dei becchi che
beccano le miche
sparse (E, come
un bruscinar di
primavera, Rimase un
trito bec- chettio sonoro»), né
il solito usignuolo
onomatopeico, che, alla dipartita
del santo, canta
chiedendo dov'era ito... ito...
ito. E conseguenza
di ciò è
la perplessità nel
lettore, che non sa
se il poeta
scherzi o dica
sul serio, se sia in
un momento di
festevolezza o non
piuttosto di accoramento,
se voglia dilettare
con un rifacimento
arcaico che susciti
un sorriso, o se
esprima un suo
serio sentire. Che
cosa è quel
san Francesco, che
favella con vocaboli
e formole tolte
di peso ai
Fioretti e gestisce
con attucci che
mal traducono le
pitture trecentesche? È
una figurina grottesca,
una caricaturina, un
follettino, da divertir
bimbi, o il
santo del gran
cuore, che deve
riempirci di riverenza?
No: nella figurazione
del Pascoli egli
non mi riempie
di riverenza e
di amore, ma non posso
dir neppure che
mi diverta. E
quale impressione, dunque,
mi suscita? Buona
è codesta, color
foglia secca, tale
qual ha la
tua sirocchia santa,
la lodoletta, che
ben sai che
becca due grani
in terra, e
vola in cielo,
e canta. E sminuiva,
e già di
lui non c'era,
sui monti, che
cinque stelline d'oro...
Quale impressione? Non
altra che quella,
poco piacevole, della
poesia stentata e
sbagliata. Sbagliata, ho
detto; ma sbagliata
di P., e non
già da un
qualsiasi arfasatto: dal
Pascoli che non
solo era un
letterato studiosissimo, ma
era, o almeno
era stato una
volta, poeta, il
poeta idilliaco e
triste delle primissime
Myricae, e di
tempo in tempo
aveva come un'apertura
di cuore verso
la campagna, gli
uccelli, le modeste
opere agricole e
casalinghe, e un
senso di gioia
e di malinconia
schiette. Di questo
fondo spirituale di
lui, guasto da
sovrapposte cattive tendenze
e dal cangiamento
dello spontaneo nel
professio- nale, si scorgono
le tracce anche nel Paulo
V cello, particolarmente nel
modo simpatico in
cui egli ritrae
(e. 2) la
parete dipinta da
Paulo, quella parete
che verzicava tutta
d'alberi, d'erbe, di
fiori, di frutta,
e qua vi
si vedevano zappe
e là falci,
e qua l'aratura
e là messi
biondeggianti, e due
bovi messi in
prospettiva che parevano
grandi ed erano
più piccoli di
un leprotto che
fuggiva nel primo
piano. Peccato che
anche qui la
lamentela del tono
turbi l'effetto, e
la troppa semplicità
tolga semplicità. E
questo è quanto
si può onestamente
dire intorno al
Paulo U cello. A
coloro che oggi
lo esaltano come
un capolavoro, come il capolavoro dei capolavori
pascoliani, una purissima,
una divina poesia
francescana, e insolentiscono contro
di me perchè
l'ho passato sotto
silenzio, e mi
tacciano di non
sentire la poesia,
di poca sensibilità (o di
poca morbosità), mi
contento di rispondere: Eh, via!
Da qualche accenno
che è nelle
noterelle critiche raccolte
nella terza parte
di questo volume,
i lettori avranno agevolmente
inferito che anch'esse
fecero scandalo e
suscitarono un uragano
di proteste e d'invettive,
maggiore e peggiore
di quello che
si ha quando
fu pubblicato il
saggio ristampato in
primo luogo. Cosa
naturalissima: nel dodicennio
corso fra le
due date si era maturato
e svolto a
pi^no il futurismo,
del quale P.
è, a mio
avviso, da considerare
precursore e promotore,
nella nostra letteratura;
e la reazione
contro il mio
giudizio, dopo tanta devastazione
e perversione prodotta
nel gusto, doveva
essere, come fu,
violentissima. Una delle
accuse che, in
quel gridìo, risonava
come un ritornello
contro di me,
concerneva la mia
insensibilità. Confesso candidamente
che dapprima non compresi
di che cosa
mai si volesse,
con questa parola,
lamentare in me
l'assenza. Ma, con
pazienza filologica ravvicinando
i testi (e
quali testi!), e
cercandone
l'interpetrazione, ho poi
non solo compreso, ma,
quel ch'è meglio,
mi sono trovato
affatto d'accordo con
gli accusatori. Mi
si tacciava, in
fondo, di essere
insensibile alle seduzioni
del pascoliamo, del semifuturismo
e del futurismo.
Insensibilissimo: sono, per questa
parte, addirittura un
pezzo di marmo.
Dopo di ciò,
non avrei niente
da aggiungere, non
parendomi che quella
critica d'opposizione abbia
apportato lume alcuno
allo schiarimento dei
problemi artistici da
me trattati. Ma,
poiché, per fortuna
una rivista letteraria,
La ronda di
Roma, fu invogliata
dalle mie noterelle
critiche ad aprire
una discussione o
referendum su P.,
che venne inserendo
nei suoi fascicoli,
mi piace rinviare
i curiosi e
gli studiosi a quelle
pagine, che contengono
molte cose istruttive
e, nel complesso,
confermano il mio
giudizio. Anzi, come saggio
di queste cose
istruttive, trascriverò qui
alcuni brani dell'articolo
di uno di
coloro che presero
parte alla discussione,
Gargiulo, il quale
ebbe, tra l'altro,
il buon pensiero
di spremere il succo
dei principali studi
su P., pubblicati dopo il
mio, e, diversamente
dal mio, intonati
ad ammirazione, o
addirittura a commossa
tenerezza, pel poeta
romagnolo. È recente, solo
di qualche anno
fa, scrive dunque Gargiulo, lo
scritto che comincia
a pubblicare nella
Voce Onofri, sotto
forma di commento
estetico perpetuo alle
poesie di P.
Fu arrestato a
mezzo delle Myricae.
Quando mi occorse
di leggerlo, tempo
dopo, io dovetti
candidamente domandare all'autore
come avrebbe fatto
a continuarlo, e
qual vantaggio si
sarebbe ripromesso per la fama
del poeta, nel
proseguire. Da quel
che se ne vide, la
negazione risultava pressocchè
totale; d'altra parte,
nel modo, talvolta
perfino un po'
ingenuo, con cui
rari versi restavano
additati all'ammirazione, non si riconosceva
punto l'Onofri, che
pur aveva dato
prova di possedere,
oltre quella sensibilità
che conosciamo investita
direttamente in saggi
di poesia, scaltrite
facoltà critiche. Discussi
alquanto con lui
anche i rari
versi e, se
mal non rammento,
urtai infine contro un
atteggiamento di resistenza
passiva, se non
d'indifferenza. Ma certo
conclusi che per
lo meno era
passato dall' Onofri il
quasi entusiastico momento
di fiducia, che
gli aveva dato
lena per proporsi
quel lunghissimo lavoro
destinato a discriminazione e
volgarizzamento delle bellezze
pascoliane. Di Serra
— del quale
non mi esagero
il valore critico,
ma riconosco alcune
buone per quanto
disgre- gate disposizioni, richiamiamo
un po' il
saggio su P.
È da notare
che Serra, giustamente, fu detto
un temperamento pascoliano;
e forse quel
saggio, da solo,
basterebbe a provare
le affinità. Ora,
in tutta la
parte negativa, che
è ampia, le
osservazioni giuste abbondano,
né certo l'amor
dell'argomento riesce ad
attenuarne l'acutezza. Si
porta all'evidenza, nella
parte positiva, la
« man- canza di
forma » di P.,
che sarebbe la
« forma propria»
di lui: i versi del
poeta non si
cantano, non si
ricordano, non si
citano, se non
forse : Romagna solatia, dolce
paese, ( che
veramente è un
bello e dolce verso '.
c E se
noi, richiesti, dovessimo
offrire in uno o pochi
versi rappresentata quasi
in iscorcio la
virtù propria di
lui, ci rifiuteremmo;
per quanti ce ne potessero
passare innanzi, sappiamo
bene che di
nessuno saremmo contenti
a pieno. Anzi,
dicendone e mostrandone
ad altri, mi
par che sempre
si senta il
bisogno di soggiungere
a ogni tratto:
a questo non
badar troppo, non
ti fermare su
quel particolare; che
il poeta non
è lì '.E dov'è
mai? — dimandiamo
a Serra, caduto in
così profondo oblio
del proprio cosidetto umanesimo?
È nelle cose:
c La poesia
di P. consiste
in qualche cosa
che è fuori
della letteratura, fuori
dei versi presi
a uno a
uno; essa è
di cose, è
nel cuore stesso
delle cose. Ed
è lo stesso
Serra che in
altro scritto, in
difesa della forma,
o della letteratura,
ebbe questo scatto:
c Le cosel
tutto quello che
c'è in me
di meno ingrato
si rivolta dispettosamente. Nulla
è così vago,
goffo, incon- cluderite,
retorico, come le
cose. Le cose
dunque; ed anche
la persona; cioè,
P. bisogna vederlo: 'È
un poeta. Ogni
timore, ogni inquietudine che la
lettura poteva aver
lasciato dietro di sé, subito
cade; in lui
non c'è falsità,
maschera, posa, artifizio.
Tali cose non
esistono; non possono
aver luogo in
quest' uomo eh'
io vedo. Altri
potrà giudicare, pesare,
classificare. C'è altro ancora,
e forse di
peggio, che tralascio,
nello scritto del
Serra; ma non
mi è mai
accaduto d'incontrarmi nella
condanna di un
artista concepita in
una forma più
cruda e radicale
di quella che
trascrivo: Questa è la
sua gran forza
e la sua
gran debolezza. Secondo
che l'uomo accetti
la poesia di
lui per quello
che è o
per quello che
vuole essere. Poiché
se io accetto
la poesia di
lui, col significato
ch'essa ebbe per
lui quando la
fece, se mi
trasporto, come altri
direbbe, nel suo
punto di vista,
allora il valore
ne diviene incommensurabile: non è
valore di cosa
d'arte, ma di
cosa viva. Dove si
arriva? Eppure P. del
Cecchi, ha queste
parole nell'epilogo, che
non sono meno
preoccupanti di quelle
ora riferite di
Serra: f Bisogna
rifondere gli aspetti
torbidi e contrastanti,
nei quali questa
poesia viene, mano a mano,
rivelandosi, in un misterioso
aspetto solo nel
quale le sue
contraddizioni, le sue
incertezze, i suoi
errori, bì siano
stratti all'ardore del
nostro affetto, della
comprensione nostra. Osservavo,
in una recensione che feci
del libro nella
vecchia Cultura, che
in tale giudizio
è c come
una confessione al
lettore, la quale
suona: l'aspetto misterioso,
in questo libro,
è rimasto misterioso;
il mistero non è stato
svelato. Di quello
studio dicevo in
genere (mi permetto
di autocitarmi, perchè
resto precisamente a
quel punto ora
che l'ho riletto:
c È animato
dalle più benevoli
e indulgenti intenzioni;
ma riesce ad
una condanna, quasi
tutta esplicita, in
minima parte implicita,
dell'opera pascoliana. Pare
che Cecchi abbia
impegnato in questo suo
studio tutta la
propria sensibilità inventiva,
che è molta,
e i residui
di un'antica simpatia pel
poeta, che doveva
essere ingenua, non
criticamente illuminata.
Pure, il risultato
è quello che
è, vale a
dire negativo '.
Non mancai di
rilevare la sproporzione
tra la parte
negativa e quella
che voleva essere
positiva: c Egli
non si è
neppure accorto che
uno studio costituito
in massima parte
da una violenta
negazione, e diretto,
nel tempo stesso,
ad una affermazione
energica, doveva essere
assai più svolto
nella parte affermativa,
anche sotto il
rispetto che sembra
puramente materiale, del
numero delle pagine. P.
è, per Cecchi, un
poeta coperto da
una corazza di
falsità? Ha sotto
la corazza una
emotività delicatissima e nuova?
Ebbene bisognava che lo studio
critico riuscisse solidamente
poggiato ed equilibrato
sulla parte affermativa.
Concentravo naturalmente l'attenzione
sulla parte del
libro che voleva
essere di sicura
affermazione, dedicata c
alla definizione della
particolarissima, intima ispirazione
pascoliana, di cui
poi quasi tutta
l'opera del poeta
sarebbe una deformazione.
Tale ispirazione centrale
si risolveva pel
Cecchi in una
disposizione iniziaimente sensuale,
oggettiva, di pura
dedizione alle cose,
attraversata poi dal
brivido del dolore
e del mistero. E
dovevo concludere: c Lo sforzo
grande, ma vano,
del critico consiste
nel rendere questo
brivido. Ma ecco che
Cecchi, invece di
svolgere e sciogliere fino all'evidenza
l'asserito sentimento di
dolore e di
mistero, il quale
resta, nei termini
indicati, ancora sotto
una forma schematica,
dura ed ambigua;
invece di trarlo
alla vita piena,
immergendo in esso
le opere del
poeta; impegna tutta
la sua sensibilità
inventiva, ed anche
tutta la sua
industria stilistica, nel
ridurre quel dolore
e quel mistero
alle più fugaci
ed inafferrabili espressioni
: ad un
brivido, un attimo,
un baleno, e
via dicendo. Il
critico aveva paura
di fermare il
brivido; le poche
citazioni restarono anch'esse
sorde all'invito di
rivelarlo. Sulla poesia
che ha il
privilegio del più
lungo commento, la digitale purpurea,
io avrei ora
curiosità di sentire
da capo il
giudizio di Cecchi. Così
Gargiulo. Del resto, la
lode ottenuta, e
in parte ancora
mantenuta, dalla poesia
pascoliana, e la
difficoltà di far
prevalere un diverso
e più pacato giudizio, richiamano
moltissime altre vicende
consimili della storia
letteraria. Ci vuol
pazienza innanzi alle
asserzioni dei poco
perspicaci e dei
fanatici: A voce più
ch'ai ver drizzan
li volti, e
così ferinan sua
opinione prima ch'arte
o ragion per
lor s'ascolti. Così fer
molti antichi di
Guittone, di grido
in grido pur
lui dando pregio,
fin che l'ha
vinto il ver
con più persone
(Purg.). Ancora sulla poesia
del Pascoli. Il «Paulo
Ucello» » LATERZA, Bari.
SCRITTORI D'ITALIA cur. NICOLINI.
ELEGANTE RACCOLTA CHE COMPORRÀ DI OLTRE
SEICENTO VOLUMI DEDICATA A S.
M. VITTORIO EMANUELE
III. ARETINO P., Cartéggio
Il I libro
delle lettere AMENTI (degli)
S., Le Porretane BALBO C,
Sommario della Storia
d'Italia, BANDELLO M.,
Le novelle, BARETTI G.,
Prefazioni e polémiche La
scelta delle lettere
familiari BERCHET G., Opere,
Poesie Scritti aitici e letterari
BLANCH L., Della
scienza militare, BOCCACCIO
G., Il Contento
alla Divina Commèdia
e gli altri
scritti intorno a
Dante, BOCCALINI T.,
Ragguagli di Parnaso
e Pietra del
paragone politico, CAMPANELLA
T., Poesie BARO A.,
Opere COCAI M. (T.
Folengo), Le maccheronee,
Commedie CUOCO Saggio storico
sulla rivoluzione napoletana,
seguito dal Rapporto
al cittadino Carnot,
di Lomonaco, Platone
in Italia DA PONTE
Memorie, DELLA PORTA
Le commedie, DE SANCTIS F.,
Storia della lettor,
ital., Economisti del
Cinque e Seicento, FANTONI Poesie Fiore
di leggende. Cantari
antichi ed. e
ord. da E. Levi, FOLENGO
Opere italiane FOSCOLO IL,
Prose FREZZI F., Il
Quadriregio, GALIANI F.,
Della moneta, (n.
73). GIOBERTI V.,
Del rinnovamento civile
d'Italia, GOZZI C,
Memorie inutili, La
Marflsa bizzarra GUARINI Il
Pastor fido e
il compendio della
poesia tragicomica,
GUIDICCIONI G. -
COPPETTA BECCUTI F.,
Rime IACOPONE (fra) da
TODI, Le laude
secondo la stampa
fiorentina (n. LEOPARDI G.,
Canti, Lirici marinisti,
LORENZO IL MAGNIFICO,
Opere, MARINO G.
B., Epistolario, seguito
da lettere di
altri scrittori, Poesie varie,
METASTASIO Opere, Novellieri
minori del Cinquecento Parubosco e
Erizzo PARINI G., Prose,
Poeti minori del
Settecento (Savioli, Pompei,
Paradisi, Cer- reta ed
altri) Mazza, Rezzonico,
Bolidi, Fiorentino, Cassoli,
Mascheroni POLO Il Milione, PRATI
Poesie varie, Relazioni
degli ambasciatori veneti
al Senato, Riformatori
italiani del Cinquecento,
Rimatori siculo-toscani, SANTA
CATERINA DA SIENA,
Libro della divina
dottrina, volgarmente detto
Dialogo della divina
provvidenza, STAMPA G.
e FRANCO Rime,
Trattati d'amore del
Cinquecento, Trattati sulla
donna, VICO G. B.,
L'autobiografia, il carteggio
e le poesie
varie, Le orazioni
inaugurali, il De
italorum sapientia e
le polemiche VITTORELLI Poesie, La
Bicicletta Olocausto, romanzo
» Quartetto il nemico, Oro
incenso mirra Fuochi
di bivacco Matrimonio La
disfatta, romanzo Gramigne
(Sullo scogio) Ombre
di occaso, Il Teatro OPERE
VARIE. ABIGNENTE F., La moglie,
romanzo AMATUCCI Dalle rive
del Nilo ai
lidi del Mar
nostro Oriente e Grecia Cartagine e Roma
Hellàs BAGOT Gl'Italiani, CRIVELLI
R., Boccaccino BARDI Grammatica
inglese, Scrittori inglesi
BARONE La storia
militare della nostra
guerra fino a Caporetto BATTELLI A.,
OCCHIALINI A., CHELLA
La radioattività. CAMPIONE F.,
Per i germi
della specie CARABELLESE P.,
L'e9sere e il
problema religioso. CECI G.,
Saggi di una
bibliografia per la
storia delle arti
figurative nell'Italia meridionale CERVESATO A., Contro
corrente CHIMENTI G., Commercial
English & Correspondence (in
ristampa). COTUGNO R., La sorte
di G. B.
Vico Ricordi, Propositi e
Speranze DE CUMIS Il
Mezzogiorno nel problema
militare dello Stato DE
LEONARDIS R., Occhi
sereni, (novelle per
giovinette) DE LORENZO
G., Geologia e
Geografia fisica dell'Italia
me- ridionale I discorsi
di Gotamo Bnddho
DEPOLI G., Fiume
e la Liburnia DE
SANCTIS F., Lettere
a Virginia DI GIACOMO
S., Nella Vita,
novelle FORTUNATO G., Il
Mezzogiorno e lo
Stato italiano, FUSCO E.
M., Aglaia o il II
libro delle poesie. GAETA Poesie d'amore GENTILE G.,
Il carattere storico
della Filosofia italiana. Sommario di
pedagogia come scienza
filosofica. Pedagogia generale. Didattica, Teoria
generale dello Spirito
come atto puro.
JUNIUS, Lettere politiche
LOPEZ D., Canti
baresi LARCO R.,
La Russia e
la sua rivoluzione. LORIS G.,
Elementi di diritto
commerciale italiano LORUSSO B.,
La contabilità commerciale MARANELLI C,
Dizionario Geogr. dell'Italia
redenta. MEDICI DEL VASCELLO. Per
l'Italia. NAPOLI G., Elementi
di musica. NAUMANN FR.,
Mitteleuropa. Trad. di
G. Luzzatto, NENCHA
P. A., Applicaz.
pratiche di servitù
prediali. LATERZA Bari
NICOLINI F., «li
studi sopra Orazio
dell'abate «aliani 5,—
OLIVERO F., Saggi
di letteratura inglese. Studi sul
romanticismo inglese Sulla lirica
di Alfred Tennyson Traduzioni dalla
poesia Anglo-Sassone. PANTALEONI Tra
le incognite. Note in
margine della guerrPolitica: Criteri
ed Eventi. La a. fine provvisoria di un'epopea PAPAFAVA F.,
Dieci anni di
vita politica it. PASQUALI
G., Socialisti tedeschi PLAUTO M.
A., L'anfitrione — Gli
asini Commedie PRATO G., Riflessi
storici della Economia
di guerra. QUARTO di
PALO L., La
civiltà RACIOPPI G., Storia
dei moti di
Basilicata e delle
provi noie contermini 6, —
RAMORINO La Borsa; sna
origine; suo funzionare RAMSAY MUIR,
La espansione europea RATHENAU L'economia nuova. RICCI
E., Versi e
lettere RICCI Protezionisti
e liberisti italiani SABINI G.,
Saggi di Diritto
Pubblico SCHURÉ I grandi
iniziati. Santuari d'oriente SCORZA, Complementi
di geometria SOMMA U.,
Stima dei terreni
a colture arboree TITTONI T.,
Conflitti politici e
Riforme costituzionali TIVARONI
J., Compendio di
scienza delle finanze.
I monopoli governativi
del commercio e
le finanze dello
Stato TOSO A., Che
cosa è l'Acquedotto
Pugliese WEBER Parlamento e Governo
nel nuovo ordinamento
della Germania. Giovanni Pascoli.
Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. Pascoli.
Grice e Pasini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – La meta-meta-fora del
cavaliere perduto – la scuola di Vicenza -- filosofia veneta – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Vicenza).
Filosofo italiano. Vicenza, Veneto. Studia a Padova applicandosi agli studi
giuridici, che ben presto trascura per interessarsi della nuova scienza è in
contatto con Galilei e soprattutto della
filosofia, seguendo assiduamente le lezioni di Cremonini, impegnato nel
commento mortalista della “Fisica” e del “De coelo” di Aristotele e seguace
dell'aristotelismo critico e razionalistico di Pomponazzi, che mette in
discussione l'immortalità dell'anima e alcuni dogmi cattolici. Uno dei incogniti,
uno dei circoli più attive, vivaci libere. A tale adesione alcuni biografi
settecenteschi attribuiscono le accuse di eresia nei suoi confronti. Come
invece dimostra una serie di documenti dell'Archivio di Stato di Venezia, e un
fatto di sangue a determinare il provvedimento giudiziario che lo condanna all'esilio.
Per un futile contenzioso privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei
vicini), insieme con il fratello Vittelio e alcuni sicari, nella villa Pavaran uccide Malo e ne ferì
gravemente il fratello. Condannato a cinque anni di esilio a Zara, poi ridotti
di circa la metà, e assolto e liberato. Reintegrato nella società vicentina, e vicario
a Barbarano e a Orgiano, dove era già stato agli inizi della carriera. La sua
vita dove scorrere come quella di tanti nobili di provincia, tra affari
privati, responsabilità amministrative, passione letteraria e interessi
culturali, sempre presente l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e
composizioni sono spesso dirette a podestà, capitani e dogi. Si registra un
stretto legame gl’incogniti e una grande produzione letteraria. Fa parte della
corrente poetica del marinismo, che ha in Marino il proprio modello. ””Rime
varie, et gli increduli, ouero De' rimedii d'amore: dialogo. Dedicate al molto
illustre Godi (Vicenza), esordio letterario del Pasini, miscellanea di sedici
componimenti in metro vario tutti di tematica amorosa e un dialogo, “Campo
Martio overo Le bellezze di Lidia, dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino,
dell'illustriss. sig. Marco, componimento di versi settenari ed endecasillabi
sciolti, uscito a Vicenza presso Grossi e dedicato a un membro dell'illustre
famiglia Molino; “Rime” diuise in errori, honori, dolori, verita, &
miscugli (Vicenza); Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo.. Dedicato a Molino,
Vicenza, di carattere politico-encomiastico, racconta allegoricamente come il sogno
trasporta il podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli
eroi che hanno illustrato la sua famiglia; “Rime Marinistiche”, raccolta
complessiva delle sue Rime, stampata a Vicenza; fanno rientrare l'autore nel
filone marinista dell'epoca. “La Metafora. Il Trattato e le Rime. “Trattato de'
passaggi dall'una metafora all'altra e degl'innesti dell'istesse nel quale si discorre
secondo l'opinione e l'uso de'migliori, se senza commetter diffetto, si possano
usare dai poeti e, oratori. Dedicato all'illustrissimo, et eccellentiss. sig.
Nicola Da Ponte” (Vicenza); “Historia del cavalier perduto” romanzo erotico cavalleresco
che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni feudali di
provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione del romanzo
barocco veneto e dei narratori incogniti, secondo una linea che intreccia
avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche. -è da questo
romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura de “I promessi sposi.” Vicenza
nella sua toponomastica stradale, "Le Garzantine", Manzoni a Vicenza Firenze,
Olschki). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
e cantòinquestaforma. Nela vagastagion, che l'Usignolo Dolenteancora dell’antico
oltraggio Contragiche armonie filagna, e plora, E che di novo amor fecondo il suolo
Del gran Pianeta altemperato raggio di verde giouentù gode, ès' honora, Con mano
prodiga Flora D'odorosi tesori Con superbia pomposa. D'ogni intorno spargea gemmati
fiori; Ma qual donna degli altri in maestosa monarchia sublimar parea la
Rosa. Tributaria di lei, versando l’urna, La figliuola del Sole Alba nascente
Le offri adiper le ruggiadose unnerabo; Et ella, della pura onda notturna.
L’homaggio accolto in fen, lieta, eridente Di sii 2 Diricca gravidanza
empieafı il grembo; Indi, il purpureo lembo Spiegando a poco a poco, Scopria l'aurato
crine Del gran lume del cielo al primo foco; Le volauano intorno a far rapine
Preciofe d'odor l'inrevicine. Superba citerea, ch'in Regia tinta Le
imporporasse il suo bel piele foglie, Incota i detti ingiuriosa eccede. Chianti
Giuno homai, tua gloria è vinta, Altro latte il mio fangne il pregio toglie,
E'l tuo fio real mio fior s'humilia, ecede. Cositumida fiede Con inportuno orgoglio
L'ambitioso petto Dela Regina del superno foglio, Che sdognando il suo
Numeeller negletto, Lo sguardo oscura, e in torbida l'aspetto. Frome, egal carrodi
vendetta ingorda Di vampe, efocbi, e di saette, e lampi . Grida lontana ancor ;
Figlio vendetta, Con fretto lofaman richiama, e lega Il vago augel da le
flellate piume, E con la voce anco la sferza accorda, Zosgrida, ebate, e impatiente
il piega, Quevfa il mondo incanutir di brume. Delarmi ilfjero Num e Quiui a
funguignalite Sai Vandalici campi Alti Duci in fiammana, e fchiereardite;
Giungeellaa lui, cuiparche'l guardoaukāpe Ambo fiam vilipeli, amboschernići, numi
impotenti son MARTE, e Guinone; La tua pudica Dea, la tua diletta, Quella, che del
su’amor resegraditi Cillenio, e Febo, el cacciator garzone, Questa del vago Adone
Cole ancor le memorie Solo a tuo scorno, e in vno Al mio latte dir infratia le gloriezn.
Mirà d'orgoglio altierfasto importuno, Che di rosa anteporsi ardisce a Giuno.
S'ami la madre, e lei gradir desij, A la superba l'alterigia Scorna, E la sua rosa
le axuilisci o figlio Madre, non fia, ch'io le tue ingiurie oblij (risponde) al
cielo pur sagli, e ritorna, Ch'io ben far olle bumiliare il ciglio: Di più fino
vermiglio Distino ostro più grande, Per tinger rosa altera , Di cui la gloria foltes
fa ghirlande; Stella non splende, ou'è del solla spera, E appo la neuengnicandor
s'annera. Cosidetto, ella parte, egli accore Doue aßalito il vandalo feroce Col
Goto afalitor pugna, e contende: Di sanguinos ifiumi ilprato corre, D'urli, e
di strida una mistura atroce, Che difonde terrori al Cielo ascende; Dubbio il success
opende, Al fin scompiglia, efrange il gran duce Adoino Lanemica Vandalica falange;
Ma il sacro Dio, ch'adostro peregrino Aspira, affrettailsyo mortal destino.
Cade il prode signor, fugge disperso Semi viva fi getta addosso al morto;
El'abbraccia, e lofringe, el bacia, e’lterge Condiluuij d'angoscia, elcrin s'afferra,
E Straccia, efuelle infinda le radici; I sulerose, chel buon sangue asperge, E
che compagne fon de la sua terra, Sperge presagi in vn mesto, e felici.
Esclama. O fiori amicia Los tuol nemico, il fuo trionfo sdegna Per sì gran
danno il Goto lagrimose j j Goiodisco il german nel duolo immersa Nela fortune gloriosa
insegna Tra rose inuolue il busto sanguinoso, E dono doloroso A Lutterial'invia,
Cheil gran marito fcorto E sangue, e freddo ogni diletto oblia, I d'amor piena,
e dota di conforto, che Così pullulerà la Rosa ORSINA. E così germinò,
così dal cielo, Per lo mondo abbellir, netrasse isemi, Nel suona tale ancor grande
i ammirata: Sorge fecondo il glorioso stelo, E ne' Gallici campi, e ne'Boemi
Degni rampoli ITALIANE traslata , D'api in vece, adorata Schiera d'altepirtudi
Lovà suggendo, efaui Poi ne compone di Reali studi, Onde il mondo i suoi cafi in
fausti, e graui Per si dolce liquor torni soaui. Defiudilaude dil Sole, acuis'aprica
solo, e solo a'suoirai s'avanza e gode, E l'irrigailfuddordi nobil onda; Duro, einduftre
cultor glièla fatica, Siepe l'ardire, il buon valor custode, El ' applauso de '
Cor i aura gioconda Ondeè poi, che diffonda Cosi pregiato odore E di palma, e di
Lauro Ch'ın tal nel girdo e l età migliore Non neadunola Gloria in fuo tesauro
Dal Borea àl'Auftro, e dal mar' Indo, alM auto. Scritte sa in Cielo alettere
difato, Là de l'eternità ne’ cupi annali, Digermetal son le grandezze, e i pregi.
Febo m'inspira è colassu fermato, Ch'egli fioriscafolfreggi immortali, Alte imprese,
opreilluftri, èfattiegregi: Tiranni eftinti, Regi Debellati, daafflitti, Regni sommersi
in lutti, Espugnatecittà, Ducisconfitti, Prouinciescosse, esercitidestrutti,
Pergliopresileuar, fiano suoi fruti. Lieto verdeggi, eauuenturosogoda, Che'l
ciel gliarride, eporgela fortuna Grandi Che'l core hor m i pungete, Insegna
peregrina Del mio venire immaturo ancor Sarete; Cosi auuerrà, cosilo ciel
destina, Il diadema adorar veggio di Piero. Fortunata Dalmatia, borche
s'innesta Neltuoceppo Realfinobil pianta, attendi pure un secolo d'eroi. Vomiti
incendihomai Chimera infesta, Stragede'campisiabelua Erimanta, Che
fienconcettii percussorisuoi; Altri indomiti buoi sbuffinofiamme in Colco,
C'hauralliubbidienti Adaratronouelnouo bifolco; Sorgan Procufti, elanguirandolenti
Ancola Famahà lingue, E fil grande, e facondo, Ei gesti degli Eroi spiega, ediftingue.
Bastià l'ORSIN valor, c'habbia giocondo Teatro Italia, e spettatore il mondo.
Gran di alimentià le r a dice prime. Beltesoroèvirtù;ma s'altaloda, Mase honori
laforteancogli aduna, Vie più chiaro Splendorne’raggiesprime Eccolohomaisublime
Gemmarsi intorno, intorno Sold'insegne d'impero, Manti, porpore, scettriilfanno
adorno; Mafouratuttiin maestà primiero Sotto noui Tesei gliultimi accenti,
Canzon chiudanlelabbra. La meta-meta-fora.
itopedelabiturates. daglianimal: corterdel'acquecitopedeèsolce Nec
tenoftra iuberfiericenfura pudican . Sentätha oppreffo Carulla DeXNptys Pelleic
Cerula verrentes abiegnis equora palmisan Verrentesperremigantı, palmisperremi
son metafore di poca comienienza; perche le mani non icopano come inftrumento
profimo. DS Fortetfolcodál foco et verrigins Jalmocodel la core circulari.
Sedtamen, uttentes disimularerogat. Cenfura è traslation dal Magistrato
Cenforio a } rigordell'atninre; oubetèmetaforaan ch'ega, che nonficonfaconla censura;
perchefebene: leges autiubescentvetant, quepermitan, AMAP Hiunt. La censura
pero non era legge, nè magistrato, che hau eflc auctorità di far legge. Ma a solo
gaftigauachi contrauenità a'buonicollumi, adalcuneleggi et adalcunivnitalchequi?
Pinnestodidue metafore invafolo predicatos poilslacione confaceuole alla vièpoi
il pallaggio nelnornogar dell'altropredje viè censura. tom 1 Nel terzo de arte
amandi, Ecco Ne quevliusitinntisim per untitabii.
Ne quifleprezesirefoue palmulis metaforam non producer ad extremum nec ineaintere.
Sed abvnaadaliamtranfilire; hicveroraliumiprie Prorumfecurses, och Non è di giustitia
chc CATULLO refiabbando pato Epiù sottodiffe. Qui formula croftramentofumprofcidir
quota Aoftrumè metafora trasportata da gli vecelli allegalee, acuimancauailproprio
perfignif carlofprone, equindian coallanaue perde notarlaprora, e proscindere è
pur METAPHORA, che Hon ha corsispondenza con legalec, ma con quellecose, chetagliano:
Ecco appresso v o trappasso da metafora a metafora. Ecco VA alero
inneftopuriuinell'aggionto, e nel softantiuo. Dide currum wlitanumper ladate, che
viag giava PHASELLUS illeguem videte hospittia'? Siswiffenavium celerrimus.
Oprisforeivolarejouelinteo. Ognuno sà che Falelloèvna fpeciedi nauigio; nel
descriver la celericà del quale nel naaigare Paurore fi vale della metafora del
nuotatore e subitò palla al volo ch'è dell'uccello e quianco favn'innestoin quel
volarepairwisin cuivuo) direnauigar coiremi:poichenen f volacon lepalme, maconl'
aliscosiinnettal'operation! dellyccello con l'inftrumento dell'huomo, ch'è la mano
sopra il qualpaflo il Muretto di fe.Aiuntvitiofumeffefernelsuscepram
tolco da'legamini ]? wimruna è nato da Tibulloze da Propertio speiò fenciamo
lianch'elli. Propertio nella festa decimadlegiadel. cerzo ang niNini Sublime capulmafiflimunubar
Afperala Mefiffimosa sperme, chehannodicomune, Ring oluenparcela branquillità, ch'e
delmare cal P6 Sempere n im vacuos naxi fobriatorque rumares. Nox
fobristonguet, inpeito. Pace Pasini. Pasini. Keywords: implicatura, il cavalier
perduto, la metafora, “dall’una metafora all’altra, galilei, cremonini, degl’incogniti, keplero,
Manzoni, rapimento, anonimo, incognito, meta-meta-fora. Refs.: “Grice e Pasini”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Passavanti: l’implicatura
conversazionale dell’eroe – la scuola di Terni -- filosofia umbra -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Terni). Filosofo italiano. Terni, Umbria, Italia. Partecipa alla Grande Guerra c sergente nel IV
reggimento Genova cavalleria, in cui e protagonista di incredibili atti di
eroismo. Partecipa alla occupazione di Fiume tra i legionari di Annunzio. Da
soldato, da caporale, da aiutante di battaglia, fulgido, costante esempio,
trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio
della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta;
sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in essa fu sempre primo fra i
primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica
situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo petto al proprio
comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si sottrasse, attaccando,
alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il suo plotone di
arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica; impossibilitato ad
avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano,
alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito,
sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di
una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui l’avevano ricoverato, e
raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi, riusciva a prendere parte
anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato veramente, più che di carne e di
nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di acciaio e di ottima tempra. Superdecorato, volontariamente nei ranghi
della nuova guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo
meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande
unità, seppe dimostrare che più che le parole valgono i fatti e fu sempre dove
maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate.
Nella manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia del Corpo d’Armata, entra
per primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i tricolori affidatigli dal
Duce. Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso
da mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati del III Corpo d’Armata, che
in lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito
di sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano
idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei
combattenti dell’Italia. Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito
militare e di profondo sentimento del dovere, rimase sul posto di
combattimento, quantunque non lievemente ferito. Nuovamente e più gravemente
ferito, prima di esser trasportato al luogo di medicazione, volle esser
condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli sulla situazione. Pirro, Arrone:
E Thyrus. L’arma dell’eternita, Roma, (Camera Deputati), L’organizzazioe
economica dell’industrai eletrica, Roma, Le benemerenze e la tirannide degli
idrolettrici, Roma, Risveglio e viluppo agricolo, Roma, Bonifica integrale,
Roma, Per una piu armonica distribuzione di pesi fra I diversi cespiti della
ricchezza e I diversi lavoatori, Roma, Precursoi. L’IDEA ITALIANA, in Piemonte,
Roma, La contabilita generale dello stato italiano, Roma, lineamenti chematica
di contabilita di stato, Siena, Storia di Terni, dale origi al medio-evo
(Roma), Interamna de Naarti, “INTERAMNA NAHARS”, La contabilita di stato o
economia di stato nella storia italiana, Giappichelli, Torino, L’ECONOMIA DI
STATO PRESO I ROMANI (Giappichelli, Trino), La contabilita generale dello stato
esposta per tavole sinottiche, aRosrino, Attualita economiche, Roma, La
contabilita dello stato”. “Nel numero e l’univeso ma il numero e un segno che
po cconviene interpretare. Elia Rossi Passavanti. Passavanti. Keywords: eroe,
Annunzio, Fiume,il concetto di economia di stato, l’economia di stato presso i
romani, la terni pre-romana, la terni no-romana, la terni umbra, la terni osca,
la lingua umbra, l’idea italiana, economia di stato. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Passavanti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice
e Passavanti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
filosofia italiana – Luigi Speranza -- jacopo – libro dei sogni.
Grice e Passeri: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del Lizio – la scuola di Padova
-- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo
italiano. Padova, Veneto. VGrice: “He was Zabarella’s uncle – mine worked in
the railways!” -- Grice: “It’s amazing how much a little book like Aristotle’s
‘Peri psycheos’ influenced those Renaissance and pre-Renaissance Italians!
Surely they were concerned about the immortality or other of the soul!” Essential Italian philosopher. Pubblica commentarii al “De Anima” e alla “Fisica” –
contro GALILEI (si veda). Dimostra la perfetta convergenza fra le idee di Arstotele
e Galilei sulla dottrina dell'unità dell'intelletto. “Disputatio de intellectus
humani immortalitate” (Monte Regali: Torrentino); “De anima” (Venezia, Iunctas Perchacinum); Paladini, “La
scienza animastica”. At cum Latini uideantur hoc negare, nosrem ita esse comprobare
possumus quoniam Aristotele cum dederit communem ANIMA. Animæ definitione subiungit
et propriam cuiusque gradus dicendam fore et prior rem natura esse vegetativam
sensitiva, quod in codem intelligitur, non autem in diversis quoniam in eodem
animato posita sensiti, uaponitur vegetativa et posita intellectiva ni mortalibus
alie ponátur, quia sicut ise habet vegetativa in sensitiva, ita et sensitiva in
INTELLECTIVA, quoniam in consequenter se habentibus polito primo non ponitur se
cundum ,atposito secundo ponicur primum. Itaque essentiæ gradum animæ cum se seconsequantur,
posita posteriori dabitur prior et per consequens communem animæ definitionem analogam
esse oportet. Secundum autem anobisposicum, ut intelligatur anima in scilicet intellectivam
immortalem fore secundum quid autem mortalem, intellectum IV modis dici, certum
est I depossibili II de in habitu III speculative et IV agente. Unus quisque
horum modorum arguir intelletum corruptibilem, quoniam omne quod incipit, necessario
definit: cum autem intellectus materialis in Sphæranon detur sed tantum in puero
nuper nato, cum inces perit in Socrate, ut ita dixerim necessario delinet. Similiter intellectus agens in Socrate
incipit, quo niáili copulatur, ut forma et cum agens ili copulatur, intellectus
in habitu, qui genitus est desinit intellectus etiam in actu speculans, cum de
non speculari transeat ad speculationem, videtur genitus cum autem amplius non speculator
actu, definit este intellectus actu speculans ita ut intellectus quodammodo et
propter diversos respectus quos suscipit, dicatur corruptibilis et factus secundum
autem substantiam cum eadem sit substantia intellectus agentis et possibilis
dicitur eternus et simpliciter immortalis, quod rationibus ab Aristotele acceptis
ita esse ostendi potest. Omne enim formas omnes materiales recipiens estim materiale
intellectus autem possibilis recipit omnes formas igitur est immaterialis, est autem
necessarium tale recipiens esse immateriale. Quoniam quod intus est extraneum
prohibet. Pomponatius [POMPONAZZI] tamenstuder destruere hanc rationem, primum
enim inquit illam non concludere proptere a quod si intellectcus. Eus materialises
et separatus sequeretur et suam operationem separatam fore, quia operatio ipsam
essentiam consequitur: at Aristotele inquit si intelligere est sicut sentire, ecce
quod comparat operationem intellectus operationi sensus, igitur videtur hæc
ratio, potius intellectum mortalem probare, quam immortalem. Nulla est hæc ratio
Pompo Ratij, quoniam sequeretur intellectum esse virtutem materialem, quod dictum
Aristotele omnino negat. Præterea videtur committere fallaciam a secundum quid ad
simpliciter, propterea quod non valet, possibilis obiective dependet, igitur omnis
intellectus. At cum Alexan, velit animam intellectiva sive intellectum possibilem
non esse formam, sed; præparationem quandam, qux et sirecipiat omnes formas, esse
tamen mortalem, peto abillo quid per preparationem intelligat, vel intelligit puram
privationem, vel privationem cum aptitudine, non primum. Quoniam privatio sola nihil recipit, igitur privationem
cum aptitudine illum intelligere oportet, igitur erit forma si forma, ergo materialis,
quare preparation hæc non, recipiet omnes formas. Adiungit præterea Pomponatius,
intellectus unicam tan tum operationem habet, propterea quid D i j
ynius Secunda ratio, qux nostram sententiam confirmat, accipiturab LIZIO In
de Anima. 13.& isi in quibus proposita in 13. quesstioncan intellectus sit intelligibilis
quema ad modum alia materialia intelligibilia, soluit in15. Et intelligibilis est
sicut ipsa intelligi biliain his quæ sunt sine materia idem est, quod
intelligit et quod intelligitur, quilo unius virtutis unica est operatio
cum itaque; intellectus sit una virtus, que media est inter: pure materiales et
omnino abstractas, una driteius operatio:
esse autem mediam ex eoni titur ostendere, quoniam intelligit universale in singulari
et quatenus intelligit universale, comunicat cum abstractis, quatenusin
singulari comunicat cum materialibus, primum dictum sublatum fuit, non
inconuenire quod una virtus diversi mode se habens, diversas exerce ar operationes,
secundum dictum apud me nullum est, quoniam intelligere substantiarum quæ
omnino sunt separatæ, est intelligere per essentiam, intelligere autem intellectus
est universalis per speciem, si itaque; hoc intelligere non convenit substantiis
omnino separatis, quomodo na erit media participatione extremorum, qux re erit ad
hucex hoc fundamento intelles Aus pure materialis. Tertia ratio accipitura
quodamnorabia ti, Quoniam naturalis philosophus vide turdare duo eus non est cum
LATINIS interpretandus, sed intellectum esse intelligibilem, cum possibilis habuerit
intellectum agentem ut formam, tunc est intelligibilis per speciem, qu x actu est
scilicet per formam intellectus agentis et est intelligibilis vel uti intelligere
tixet enim si intellectus intelligeretur
quem ad modum dicut LATINI, esset intellectus do terioris conditionis lapide, quoniam
lapis per suam speciem intelligitur per se, intellectus vero per accidens, intelligendo
lapidem per suam speciem. Quare intellectus materialis et si videatur intelligibilis
sicuti alia intelligibilia materialia per speciem, non tamen eodem modo quoniam
intellectus intelligibilis per suam formam sit intelligents, intelligibile autem
materias lem in imè, de quibus fufius in explanatione eius loci diximus fundamenta
Metaphy. primum quod detur abstractum in natura, nam si Metaphy., ignoraret abstractum,
eum non determinaret, alterum fundamentum est quod naturalis supponit abstractum
et quod abstractum magnitudine sic intelligens,
quod tribuit animasticus sine quo Metaphy. Non haberet, quod abstractum sitina
telligens. Ad rem si intellectus esset mortalis, non daretur Metaphy. quoniam
per nullam naturam posset haberi abstractum esse intelligens, intellectus enim
qui mortalis est non potest habere eandem operationem, cum intelligere intelligentiarum,
quare si esset mortalis, non haberetur cognitio eorum, quæ per essentiam sunt separata.
Ultima ratio quæ immortalitatem animam confirmat, est quoniam felicitatem acqui
ri posse conveniunt peripatetici omnes, quam habere esset impossibile, si intellectus
esset mortalis. Pomponatius discurrit agens de felicitates, illam contingere hominibus,
quoniam omnes libiinuicem sunt auxilio alijeni magunt secundum intellectum pra: eticum; alijautem
secundum intellectum, Speculatiuum: rectem in hoc dicit, sed, falli, tur, cum
-velit hominem esse hominem per intellectum, ideo homo exercet operationes morales
per formam, qua est homo et propterea inquit Averroes p moralis capit si, nem hominis
ineo quod homo, qui quidem finis est cogitativa, ideo foelicitas non competit homini
ut homo, fedut in coquoddam divinum reperitur.10, Ethi. cap. 9. Aliauita et
finis potior isto, ideo nos li er
nos cum homines fimus, non debemus humana curare sed peruenire ad
immortale et sempiternum, per id quod in nobis divinum est. De quibus fufius in
expositione com.; de anima diximus. Ianua. Marco Antonio Genua. Marco Antonio
Passeri. Antonio Passeri. Passeri. Keywords: peripatetici, lizii, nous,
intelletto, etimologia d’intelletto, da lego – ‘to care’, ‘to decide’.
Intelleto, nous, animus vs. anima, mens, Boezio, l’intelletto, l’anima
intelletiva, animistica, animastica. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice
e Passini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
Grice
e Pasqualini: la ragione conversazionale e l’mplicatura conversazionale –
filosofia italiana – Luigi Speranza -- difficult to find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.
Grice e Pasqualotto: la ragione
conversazionale del trasmettitore/ricevitore – l’implicatura conversazionale – la
scuola di Vicenza -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo
italiano. Vicenza, Veneto. Grice: “I like Pasqualotto; for one, he predates
Oxonians in the ‘teoria dell’informazione’!” – Grice: “I never took
‘information’ as seriously as Pasqualotto does – I do compare information with
money, and refer to the stupidity of ‘false’ information – “”False’ information
is no information.”” – But Pasqualotto attempts to reconstruct a ‘teoria,’ a
‘teoria dell’informazione,’ i. e. complete with a model that has room for the
implicaturum, i.e. any x such that by a mittente ‘sending’ a message, he may
ex-plicate such-and-such and im-plicate so-and-so.””. Frequenta il Pigafetta di Vicenza, dove ha come
maestro FAGGIN (si veda). Sotto la guida di FORMAGGIO (si veda), si laurea in
filosofia a Padova, con una tesi sull'estetica tecnologica di BENSE. Diventa
amico di Brandalise, Cacciari, Curi, e Duso, ed è maestro nel suo stesso liceo
vicentino, dove conosce Volpi. Collabora attivamente ad alcune importanti
riviste di filosofia come Angelus Novus, Contropiano, Il Centauro. È professore
a Venezia; a 'Padova; è stato co-fondatore dell'Associazione “Maitreya” di
Venezia. Contribuito alla nascita della rivista “Marco Polo, rivista di
filosofia orientale” -- e comparata
“Simplègadi” è stato tra i promotori del Master in Studi Interculturali a Padova,
presso il quale ha insegnato Filosofia delle Culture. Direttore scientifico
della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Contributo
teorico Nel saggio Dall'estetica tecnologica all'estetica interculturale, P.
descrive la sua avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo
pensiero. In una prima fase si è formato all'estetica analitica e alla
filosofia analitica del linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato
formale. In una seconda fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e
della Scuola di Francoforte, e in questo caso ha valutato che la conclusione
alla quale essi giungevano, era la morte per utopia dell’estetica. In una terza
fase si è rivolto al pensiero di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e
la fine degli anni Ottanta; Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera
Apollo e Dioniso come due istinti complementari, tanto da consentire di poter
riuscire a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella
della vita»’, e a dare importanza alla saggezza del corpo. Ma quello
Nietzscheano gli sembrò solo un tentativo eroico di coniugare filosofia e
vita, che alla fine si rivela solo come uno straordinario tentativo di scrittura
sulla vita. Un'insoddisfazione di fondo per gli esiti del pensiero occidentale,
e la ricerca continua di nuove possibilità per il pensiero, lo hanno portato ad
approfondire lo studioiniziato già in anni giovanilidi tradizioni di pensiero
esterne a quella occidentale. Il buddhismo, in particolare, ha costituito un
terreno ampio di indagine e di confronto con diversi temi o autori della
cultura europea; ma anche il pensiero taoista e l'esperienza della filosofia
indiana hanno rappresentato nel corso degli anni un importante ambito di
riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta fase del suo viaggio
intellettuale, P. si è rivolto all’estetica orientale come meditazione, ovvero
come cammino comune verso un possibile superamento della scissione tra
esperienza e riflessione. In una quinta fase, P. si è avvicinato all’estetica
di Garroni come uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in
genere all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica
andava coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni
prossima a quella orientale, P. arriva a considerare l'importanza della
'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di
pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee
senza pensiero, come era stato già pensato da Dogen. Nella sua sesta ed ultima
fase, guarda l’estetica con gli occhi
della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale, quindi come
un ampliamento dell’orizzonte particolare dell’estetica verso una riflessione
generale sui problemi cruciali dell’esistenza. P., infatti, è stato il primo
pensatore italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come
comparazione, teorizzata con rigore in FILOSOFIA come comparazione,
distinguendola da un mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad
ambiti geo-filosofici differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità
di dialogo con filosofi italiani, come Cacciatore, Cognetti, Leghissa, e stranieri come
Fornet-Betancourt, Kimmerle, Jullien, Mall, Ohashi, Panikkar, Stenger, Wimmer. Duemila ha contribuito
all'introduzione in Italia della filosofia di Marco Polo sull’Oriente a
cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e il tu, e poi con gli
altrettanto importanti Uno studio sul bene e Problemi fondamentali della
filosofia, accompagnati sempre da un saggio interpretativo che è rimasto
sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Parallelamente ad altri autori,
si è misurato dai primi anni Duemila con il tentativo di delineare temi e
metodi per una filosofia interculturale che costituisce il campo di maggior
impegno e interesse della sua ricerca, congiuntamente a una riflessione
estetica sulle forme dell'arte dell'Asia orientale. Riassumendo gl’elementi
chiave del pensiero di P., potremmo individuare due componenti fondamentali: il
concetto d’rmenuetica interminabile e quello di Dialogo interculturale Il
concetto d’Ermenuetica interminabile prevede come elementi: 1. il pensiero come
'comparazione originaria'; 2. il sapere come 'ambito problematico sempre
aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità stabile, ma sempre
problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di ricerca; 3. il
concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di 'anatta') come
struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale tutto ciò che è, è
un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed evoluzione processuale. Il
concetto di Dialogo interculturale prevede come elementi: 1. la 'meditazione'
come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’mindfulnessdel senso critico del
pensiero radicato nel presente; 2. l'apertura conseguente alla compresenza
degli elementi precedentidell’orizzonte di una riflessione generale sui
problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia
interculturale. P. precisa chiaramente la specifica forma di rapporto
comparativo che viene attivato nell'orizzonte della filosofia interculturale,
rapporto detto 'a tre variabili interdipendenti. L’orizzonte di una filosofia
interculturale dovrebbe invece tendere a porsi come linea immaginaria di uno
spazio illimitato pronto ad ospitare quelle specifiche pratiche interculturali
che sono gli esercizi in atto di filosofia in quanto comparazione. Per evitare
le conseguenze contraddittorie a cui conducono sia le prospettive
multiculturali, sia le utopie universaliste, è necessario precisare la natura e
la funzione della specifica forma di rapporto che si viene ad attivare
nell’orizzonte della filosofia interculturale. La modalità di tale rapporto può
essere definita 'a tre variabili interdipendenti': due sono costituite da
pensieri o ambiti di pensieri tra loro diversi, e la terza è costituita da un
soggetto (individuale o culturale) che li pone a confronto. L’essenziale di
questa modalità di rapporto è che nessuna delle tre variabili sussiste
autonomamente, prima, dopo o a parte rispetto alle altre due: in particolare, è
importante evidenziare che il soggetto risulta sempre e necessariamente
implicato nella pratica della comparazione, al punto che tale pratica lo forma
e lo trasforma: il suo sguardo è ‘impuro’ fin dall’inizio, perché fin
dall’inizio viene condizionato e prodotto da una serievirtualmente
infinitadi osservazioni comparative. Fra i temi affrontati più di frequente
dalla sua riflessione ricordiamo: 1. il tema dell’identità, in base al quale
essa non è alcunché di rigido e identitario, ma poiché l’essente è nodo di
relazioni, l’identità si dà come intreccio di infinite relazioni, ovvero come
compresa in una sua problematica autonomia; il soggetto che, in quanto
costitutivamente interessato da molteplici relazioni, nel suo ricercare il
senso del realtà del mondo, non è un osservatore disincarnato e disinteressato,
o imparziale, ma è compreso nel rilevamento di quel senso nella trasformazione
di sé e della realtà; il corpo, in base al quale esso è la mente e, insieme, la
condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso il tragitto di
P. ha sicure relazioni al tema odierno della ‘cognizione incorporata’ e della
Filosofia del corpo; il concetto di ‘processo’, in base al quale la realtà è un
insieme di processi: ciò che è, in quanto 'nodo' potenzialmente infinito di
relazioni, diviene processualmente, concezione che deriva direttamente dalle
filosofie orientali, in particolare dal buddhismo; l’illuminismo in base al
quale i limiti della ragione possono venir posti soltanto dalla ragione stessa,
come era stato già perfettamente considerato dalla Dialettica dell'illuminismo;
l tema delle pratiche filosofiche e della pratica artigianale; il tema dei diritti umani che non è solo un
tema accessorio rispetto al suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una
partita più grande, che, ai temi della ‘libertà condizionata', della natura
dell’individuo e del fenomeno della globalizzazione unisce una profonda preoccupazione per i
destini dell’umanità. A tal proposito pare essere abbastanza pessimista, un
pessimismo attivo non passivo. Egli dice, infatti, nella premessa alla nuova
edizione del Tao della filosofia, queste precise parole. È da osservare
tuttavia che le tematiche della filosofia comparata, della filosofia come
comparazione e della filosofia interculturale non hanno avuto e continuano a
non avere risonanze significative all’interno del dibattito filosofico
nazionale e internazionale. Le ragioni di questa scarsa ricaduta sono
molteplici e di varia natura. Forse vi sono alla base difficoltà intrinseche ai
modi in cui tali tematiche sono state formulate e proposte; ma è anche da dire,
a tale proposito, che finora non vi è stata alcuna proposta critica che abbia
messo in luce tali ipotetiche difficoltà. È da ritenere, allora, che le ragioni
di questa debolissima risonanza siano, almeno in parte ma in primo luogo, da
far risalire alle rigidità delle discipline accademiche che mal sopportano non
solo le contaminazioni interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici
ponti che tentano di mettere in comunicazione diverse discipline, culture e
civiltà. In secondo luogoma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livellosi
dovrebbero tener presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che
fare più da vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di
fondamentalismi religiosi e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non
solo l’Italia e non solo l’Europa. Ci sembra, anzi, che le tendenze che
germinano da tali poltiglie psicologiche e ideologiche si stiano facendo sempre
più invadenti ed arroganti. Questa riedizione del Tao della filosofia può forse
costituire un frammento ancora utile a tenere aperta qualche piccola fessura di
luce in un orizzonte culturale che, nonostante le aperture imposte dalla
globalizzazione, si fa sempre più stretto e più cupo. Al fondo delle intenzioni
di P., c’è un atteggiamento ecologico e agnostico,fino addirittura a concepire
la possibilità dell’essere ‘apolide’ -, e consapevoleuna consapevolezza nel
senso di mindfulnessnei confronti della natura della mente e della psicologia
umane, al punto che, alla disillusione per la possibilità di integrazione nella
vita psicologica occidentale delle pratiche meditative orientali, si unisce la
preoccupazione e l’impegno sociale e politico, forse considerando la
marginalità dell’intellettuale nelle grandi vicende della contemporaneità, ma
insieme sempre anche con un’apertura di orizzonte per una riflessione generale
sui problemi cruciali dell’esistenza. Saggi: “Avanguardia, tecnologia ed estetica
(Roma, Officina); “Teoria come utopia” (Verona, Bertani); “Storia e critica
dell'ideologia, Padova, CLEUP, Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist.
dell'Enciclopedia Italiana); “Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli,
Guida, Saggi di critica, Padova, CLEUP, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Il
Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'Oriente e d'Occidente, Parma,
Pratiche, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente,
Venezia, Marsilio, Illuminismo e
illuminazione: la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma,
Donzelli, Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova,
Esedra, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Il
Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno Mondadori, Figure
di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio); Oltre
la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e occidente, Vicenza, Colla;
Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia, Marsilio, Per una filosofia inter-culturale,
Milano, Mimesis, Taccuino giapponese, Udine, Forum, Tra Occidente ed Oriente:
interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (Pretto), Milano, Mimesis;
Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Alfabeto filosofico, Venezia,
Marsilio); “Dall’estetica tecnologica all’estetica interculturale, in Studi di
estetica, Filosofia come comparazione in Simplègadi. Percorsi del pensiero tra
Occidente e Oriente, Padova, Esedra). Cfr. Davis, Bret W.,.) Kitaro, L’io e il
tu, Andolfato, Padova, Unipress, Nishida: dialettica e Buddhismo,
Postfazione, Kitaro, Uno studio sul bene,
Fongaro, Torino, Boringhieri, Kitaro, Problemi fondamentali della filosofia:
conferenze per la Società filosofica di Shinano, Fongaro (Venezia, Marsilio); Buddhismo
e dialettica. Introduzione al pensiero di Nishida, Per una filosofia
interculturale, Milano, Mimesis, Tra Oriente e Occidente. Interviste
sull’intercultura ed il pensiero orientale, Pretto, Milano, Mimesis, Nietzsche o dell'ermeneutica interminabile, in,
Crucialità del tempo, Napoli, Liguori, Saggi su Nietzsche, Milano, Angeli, Intercultura
e globalizzazione, in, Incontri di sguardi. Saperi e pratiche
dell’intercultura, Miltenburg, Padova, Unipress, Per una filosofia interculturale,
Milano, Mimesis, Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle
culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, Dalla prospettiva della filosofia
comparata all’orizzonte della filosofia interculturale, Simplègadi, East &
West, Venezia, Marsilio. Interessante può essere, sotto questo aspetto, il
confronto con il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta” (Milano,
Cortina, La riforma di pensiero, Alfabeto
filosofico, Venezia, Marsilio, voce Corpo. Illuminismo e illuminazione, Roma,
Donzelli); Saggezze d'Oriente e d'Occidente come forme di vita, n Id., Oltre la
filosofia, Vicenza, Colla, Interessante può essere, sotto questo aspetto, il
confronto con il pensiero di Sennet, nel suo L’uomo artigiano, Milano,
Feltrinelli, Diritti umani e valori in
Asia, Studia Patavina, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Libertà.
Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Il tao della filosofia, Milano,
Luni, Premessa. I termini 'ecologico' e
'agnostico' non sono propri dei supo testi ma depositati nel suo insegnamento
'orale', nonché derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e
conseguenze della sua impostazione teorica Santangelo, recensione a Estetica
del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente Revue Bibliographique de
Sinologie, Ghilardi, Magno, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente. in onore,
Milano-Udine, Mimesis, Fongaro,
Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il Tao della Filosofia, in Simplegadi,
Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Crisma,
Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso di riflessione di in Simplegadi,
Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, Ghilardi, Magno, Mimesis, Bergonzi,
Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero
indiano, in Comparatismi e filosofia, Donzelli, Napoli, Liguori, Marramao,
Pensare Babele. L'universale, il multiplo, la differenza, in Iride, Pagano, Un
contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in Lo Sguardo: rivista
di filosofia, Ghilardi, Magno, La filosofia e l'altrove: Festschrift,
Milano-Udine, Mimesis, Yusa, Michiko, Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico,
Daodejing, Mandukya Upanishad, Mimesis
Festival: Che cos’è la filosofia? d Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G.
Pensiero buddhista e filosofie occidentali, Panikkar e la questione dei diritti
umani, La compassione intelligente nella tradizione buddhista, Nirvana e
Samsara, Covid-19 e Libertà. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, Anteprima
di Per una filosofia interculturale, Anteprima di Taccuino. Anteprima di
Alfabeto Filosofico, Anteprima di Dieci
Lezioni sul Buddhismo, Materiali su Interculturalità e Oriente, Materiali su Interculturalità
e Oriente. Giangiorgio Pasqualotto. Pasqualotto. Keywords: Marco Polo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pasqualotto” – The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Grice e Pastore: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dia-lettica
romana di Varrone a Peano – la scuola di Torino -- filosofia piemontese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Orbassano). Filosofo italiano. Orbassano, Torino, Piemonte. Grice:
“A proto-Griceian.” Grice: “Pastore divides logicians by nationality, and he
has a few for Italians; he does not distinguish between Welsh Russell and
English Boole, though!” Grice: “Pastore has an excellent section on the
‘alleged’ imperfections of ordinary language, to which I refer to in my
reference to the common place in philosophical logic.” Grice: “Pastore lists
six imperfections of ordinary language, for which he notes how confusing the
allegations are.” “He ends by noting the moral of the formalist: “not
everything that is explicated is implicated, and not everything that is
implicated is explicated!” – Grice: “The Italian philosophers he mentions make
an interesting list.” Grice: “He has an earlier paragraph on “Roman logic,”
which is charming.” Laureato
a Torino con GRAF ed ERCOLE (si veda), è insegnante di liceo e ottenne una
cattedra a Torino. Fonda e dirigge il laboratorio di logica sperimentale a Torino.
Collaboratore della Rivista di filosofia.
I suoi manoscritti sono conservati nell'accademia toscana di scienze e
lettere La Colombaria di Firenze. La salma del filosofo riposa nel cimitero di
Bruino. Saggi: “La logica formale dedotta dalla meccanicia”; “Scienza”
“Sillogismo e proporzione,” “Dell'essere e del conoscere,” “Il pensiero puro,”
“Causa ed esperienza”; “Solipsismo,” “Potenzia
logica” “Logica sperimentale,”” L'acrisia di Kant” “La filosofia di Lenin”; “La
volontà dell'assurdo. Storia e crisi dell'esistenzialismo” (Logicalia, Dioniso,
“Introduzione alla metafisica della poesia,” Bazzani, Carte. Fondo
dell'Accademia La Colombaria” (Firenze, Olschki); Castellana, “Razionalismi
senza dogmi. Per una epistemologia della fisica-matematica” (Mannelli, Rubbettino);
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Selvaggi, Un
filosofo triste: P. in Scienza e metodologia. Saggi di epistemologia, Roma,
Gregoriana). “È notissima la storia della logica nell’antica Roma, in cui assai
per tempo viene a prevalere la teoria catechistica, sviluppata negl’innumerevoli
manuali di logica ad uso delle scuole, mutuanti l’insegnamento dalli saggi di VARRONE,
di CICERONE, di Aulo GELIO, e di Quintiliano. Questo indirizzo comprende
altresi i saggi di Vittorino, di VEGEZIO (si veda), e si spinge fine a quelle
imporntantissimei di BOEZIO (si veda) e di Cassiodoro che riduceno la logica
all’uso d’una TABULA LOGICA o combinazione di concetti secondo le regole della
silogistica. BOEZIO, “Introductio ad categehoricos syllogismos”; “de syllogismo
categorico-hypothetico,” “de divvisione”, “de definitione”, Cassiodoro
(Venezia). In tutta quanta la scolastica la sillogistica di BOEZIO è ripresa ed
applicata con sottilissimo svolgimento. Comincia, a vero dire, per essere
incompletamente conosciuta. Si complete con LOMBARDO. Quindi fa decisamente il
suo ingresso nell’occidente per opera di AQUINO, ABANO, e COLONNA – Summa
theologica, cfr. BRUNO, “de specierum scrutinio”; de lampade combinatoria
lulliana, de progresso et lampade venatoria legocorum. S’istende la
lussureggiante vegetazione dei “terministi”, fra i quali appena è il caso dei
ricordare il nostro Paolo NICCOLINI (si veda) Veneto, TARTARETO, e NIGRI. Per
onore della filosofia, voglio dire che, in mezzo a tanta zavorra, i pensamenti
originali sono molto più numerosi ed important di quanto non si creda comunemente.
NIZOLIO, Pauli Veneti, “Logia parva”, tractatus summlarum (Venezia). Le loro
relazione possibili con le varie posizioni di certi dischetti girevoli atorno
un centro comune, sovrapposit l’uno all’altro, sui quali sono segnai i concetti
fundamentale. Questo tentativo di BRUNO (si veda) contiene in gemre tutta la
teoria della quantifiicatione del predicato e la teoria della logica
sperimentale. In seguito ai mie personali ricerche compiute nella biblioteva
comunate di Noto (Siracusa) la priorità della dottrina della quantificazione
del predicato si deve attributire al sottilissimo casista CARAMUEL (si veda),
che l’espose nella sua “Grammatica audax”. Zvsdilio, zinytofuvyio in stidyyrlid
lohivsm, ztoms. FACCIOLATI, Logia protehroai, rudimenta di Logica, TIZIO, Arte
di pensare. PEANO, Calcolo geometrico secondo l’ausdehnungslehre di Grassmann
preceduto dale operazione della logica deduttiva (Torino), arithmetica,
principia, nova method exposita, I principi di geometrica logicamente esposti
(Torino, Bocca); elementi di calcolo geometrico, principi di logica matematica
R d M, formule di logica matematica, sul concetto di numero, sui fondamenti della
geomentria, saggio di calcolo geometrico, studi di logica matematica, NAGYj,
Fondamenti del calcolo logico, Napolo, sulla rappresentazione grafica della
quantità logica, Lencei, lo stato attuale ed i progressi della logica, rivista
italiana di filosofia, I principi di logica esposti secondo le dottrine moderna
(Torino, Leoscher), I teoremi funzionali nel calcolo logico (Rivista di matematica);
La logica matematica e il calcolo logico (Rivista Italiana di Filosofia, Roma),
I primi dati della logica (Roma), Sulla definizione e il compito della logica
(Roma, Balbi), Alcuini teoremi intorno alle funzione logiche (Rivista di Matematica),
BURALI-FORTI, Logica matematica (Milano); Sui simboli di logica matemaitca (Il
Pitagora), Vacca, Vailati, Padoa, Pieri, Castellano, Ciamberlini, Giudice, Nota
di Logica matematica (Rivista di Matematica), Vailati, un teorema di logica
matematca (Rivista di Matematica), sul carattere della logica: il sviluppo
della logica formale (Rivista di filosofia), Vacca, “Sui precursori della
logica matematica” (Rivista di Matematica), Bettazzi, Chini, Boggio, Ramorni, e
Nasso. Tutti i logici italiani apparengono alla scuola di PEANO (si vedùa), al
qualse si deve la logica matematica o pura. In essa introduzione, Peano,
esposti lucidamente gli studio, dimostra l’identità del calùcolo sulle classi,
col calcolo sulle proposizioni. La sua opera contiene la teoria dei numeri
interi completamente riditta in formole facendo ricorso ad un limitatissimo
numero d’idee logiche Peano espresso coi simboli: e, > = + V ~ A. – sette simboli. Di qui trae origine
la sua ideo-grafia in cui ogni idea è rappresentata con un segno, e il su
strumento analitico anda perfezionandosi rapidamente. Arrichitta di numerose
indicazioni storiche per la collaborazioni di valenti seguazi, procede
alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le
proposizioni della matematica. L’importanza filosofica di questo movimento
iniziato da Peano non e ancora stata apprezzatta convenientemente da ogni
filosofo, ma i saggi di Peano cominciano solo ORA a richiamare sola di se
l’attenzione dei filosofi. Il ritardo filosofico e tanto più strano quanto più
chiara è la filiazione filosofica di questa ideo-grafia. Peano stesso non cessa
mai di far notare che la sua ideo-grafia è casata su teoremi di logica. Ma se
con definizione opportune, si pote riddure le idee di logica anche si
incontrano in molte parti della matematica ad un numero sempre più piccolo d’idee
primitive, attualmente ancorsa si desidera una riduzione analogia di tutte le
idee di logica ache si incontrano nella LOGICA PURA. Questa riduzione presenta
in vero seriissime difficoltà ed e più facile il riconocere quante e quai siano
le idea primitive in aritmetica e in geo-metria che in logica. Continuando le
richerche mi convene supporre consosciuto tento di portare un contribute alla
soluzione del problema suddetto. Annibale
Pastore. Pastore. Keywords: implicature, logica meccanica, acrisia. Meccanica
rama della fisica. Refs: Luigi Speranza,
“Grice e Pastore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Grice
e Patrizi. (Cres, Italia). Nasce
a Italia da sangue croata. A questo proposito circa venti anni più tardi si
espresse P. nell'Historia diece dialoghi
di M. Francesco Patritio, ne' quali si ragiona di tutte le cose appartenenti
all'historia, et allo scriverla, et all'osservarla e nel Della Retorica stampati
a Venezia, nei quali «P. esprime il rimpianto per una lingua originaria, basata
sulla conoscenza delle cose |..]. Patrizi esalta Giuseppe Porta detto il
Salviati, artefice di un tentativo di ricostruire il vero "linguaggio
universale delle cose" e "d'inventare tutti i suoni naturali di tutte
le cose, et di lor figure, et delle lettere naturali, et delle preferenze loro,
in ogni lingua, e della musica terrena e celeste e de pianeti, fonte di tutti
effetti magici et astronomici"» Nace a Cres e muore a Roma. Studia
mercanzia, grammatica e latino a Venezia, impara il greco a Ingolstadt. Di
importantissimo impatto sui suoi lavori successivi fu la lettura della
Theologia di FICINO (si veda) che lo avvicinò alle idee platoniche. Si avvicina
alle teorie sul linguaggio naturale e scrisse Nova de universis philosophia,
Mystica philosophia e Magia philosophica che gli valsero il controllo
dell'Inquisizione. PAOLO ALBANI, BERLINGHIERO
BUONARROTI, Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie, Bologna,
Zanichelli. Influenza in Italia. PORTA nascea Castelnuovo Garfagnana e muore a
Venezia. Pittore, matematico, astronomo e astrologo italiano, studia a Roma,
dove conosce il maestro Francesco SALVIATI (del quale assunse il cognome),
assieme al quale si trasferì poi a Venezia. Ivi, tra le tante opere, si occupa
della decorazione del soffitto della Marciana e affresca la sala regia dei
Palazzi vaticani a Roma. Nella prima parte del Codice Marciano Porta affronta
il tema del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la
formazione degl’elementi vocali, definendo un'embrionale tassonomia dei suoni e
prospettando la possibilità di una loro riproduzione ARTIFICIALE attraverso
appropriati dispositivi meccanici.Per approfondimenti vedasi treccani.it/enciclopedia/giuseppe-porta
Dizionario-Biografico, a cura di Biffis. Le testimonianze di BORDONI (si
veda) e di P., sebbene non codifichino affatto un nuovo metodo di scrittura e
comunicazione, devono essere considerate importanti perché dimostrano che in
Italia vi sono delle speculazioni intorno alla possibilità d'istituzione di una
lingua filosofica perfetta. Francesco Patrizi. Patrizi. Keywords:
deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Patrizi”. Patrizi.
Grice
e Pattio: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano.Taranto, Puglia. A Pythagorean,
cited by Giamblico. Grice: “Cicerone says that this is best spelt ‘Pazzio’!” --
Pattio.
Grice
e Paulino: la ragione conversazionale e il
portico romano, la ragione e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo
italiano. Nola, Napoli, Campania. A wealthy man. He has a career in public life
before becoming a philosopher. He writes many poems and letters, some of which
survive. Some see the influence of the Portico on his views concerning the
ascetic life. His son is Giovio. Grice: “I like Paulino – for one, that’s my
Christian name!” -- Paulino.
Grice
e Pausania: all’isola -- la ragione conversazionale e la scuola di Girgenti –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano.
Girgenti, Sicilia. A friend of Empedocle di GIRGENTI (si veda) – and the
dedicatee of one of his poems. P. wites an an account of his tutor’s life and death. Grice:
“We English are lucky: there is only one philosopher from Ockham: Ockham. From
Girgenti, however, Italians have Empedocle and Pausania!” Grice: “Strawson
advised me that I should refer to Emepedocle as Girgenti and Pausania as
Girgentino, just for the sake of the difference!” -- Pausania.
Grice e Pavia: la
ragione conversazaionale e l’implicatura conversazionale -- mi chiamo Lanfranco – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pavia). Filosofo italiano. Lanfranco. Lanfranco
di Canterbury. Beato Lanfranco di Canterbury Lanfranco con ai piedi Berengario
di Tours, che sostene che la presenza di Cristo nell'Eucaristia è puramente
simbolica, tesi alla quale Lanfranco si è opposto decisamente. Tela.
Vescovo Morte Canterbury Venerato da Chiesa cattolica Ricorrenza
Manuale Lanfranco di Pavia arcivescovo della Chiesa cattolica
Incarichi ricopertiArcivescovo di Canterbury Nato1005 circa a
Pavia Consacrato vescovo29 agosto 1070 Deceduto28 maggio 1089 a
Canterbury Manuale Lanfranco di Canterbury o di Pavia (Pavia, 1005
circa – Canterbury, 28 maggio 1089) è stato un teologo, filosofo e vescovo
cattolico italiano, venerato come beato dalla Chiesa cattolica[2].
Indice 1Biografia 2Opere 3Dottrina 4Genealogia episcopale e successione
apostolica 5Note 6Bibliografia 7Altri progetti 8Collegamenti esterni Biografia
Lanfranco nacque intorno al 1005 a Pavia, figlio di Ambaldo, magistrato
appartenente all'ambiente del sacrum palatium. Secondo un suo biografo: «...fu
istruito fin dalla fanciullezza nelle scuole di arti liberali e di diritto
civile a Bologna[3]. Ancora molto giovane, ebbe spesso il sopravvento nei
processi su avversari sperimentati per la travolgente eloquenza del suo preciso
argomentare. A quell'età seppe stilare sentenze apprezzate da giuristi e
giudici.»[senza fonte] Nel 1035 si trasferisce ad Avranches, in
Normandia, dove nel 1040 apre una scuola di lettere e dialettica alle
dipendenze dell'abbazia di Mont-Saint-Michel, dove era abate il suo concittadino
Suppone, un monaco proveniente dall'abbazia piemontese di San Benigno di
Fruttuaria. Nel 1042 decide di trasferirsi a Rouen, e, attraversando la
selva di Ouche con un suo discepolo, viene assalito da briganti, che spogliano
i due di ogni cosa, e Lanfranco rimane con la sola tonaca: ricordandosi di una
simile sventura subita da Libertino di Agrigento (narrata nei Dialoghi di Papa
Gregorio I), Lanfranco offre ai briganti la sua tonaca, pur di essere liberato
con il suo compagno. I briganti, convinti di una presa in giro, lo lasciano
nudo legato ad un albero insieme al compagno. In quel momento Lanfranco fa un
voto: si promette a Dio se riusciranno a scamparla e, in un istante, i lacci si
sciolgono.[3] Così avviene ed entra nel monastero benedettino di Bec, fondato
otto anni prima sui propri possedimenti di Brionne da Erluino, un nobile che
aveva deciso di dedicarsi a una vita di preghiere. I trentacinque monaci
appartenenti alla comunità vivevano semplicemente in un regime di vita
semi-eremitica. Oltre ai dettati della dialettica, si occupa di ampliare e
modificare le strutture architettoniche del monastero, e crea nuovi alloggi per
i confratelli Nel 1045 Lanfranco diviene priore del monastero e dirige la
scuola dei monaci; nel 1059 apre la scuola anche ai laici, per ottenere fondi
coi quali ricostruire il monastero. La fama del suo insegnamento attira allievi
dalla Francia, dalle Fiandre, dalla Germania e dall'Italia fra i quali Ivo di
Chartres, Anselmo d'Aosta, Anselmo di Lucca e Anselmo da Baggio, poi papa
Alessandro II. Quando Lanfranco si sposta nel 1063 a Caen, numerosi allievi lo
seguono nella nuova sede, sebbene ora nella scuola del Bec insegni un illustre
ex allievo di Lanfranco, il famoso Anselmo d'Aosta, con cui coltivò una
profonda amicizia. Si oppone alle teorie eucaristiche formulate da
Berengario di Tours, partecipando ai sinodi di Vercelli nel 1050, di Tours del
1055 e di Roma del 1059; scrive il Libellus de sacramento corporis et sanguinis
Christi contra Berengarium, che lo consacra miglior teologo del suo
tempo. Consigliere del nobile normanno Guglielmo il Bastardo, nel 1053 si
oppone alle sue nozze, in contrasto col diritto canonico, con la cugina Matilde
di Fiandra; in seguito alle minacce di Guglielmo di esiliarlo, nel 1059
Lanfranco, già a Roma per partecipare al sinodo di condanna di Berengario,
ottiene da papa Niccolò II una dispensa per il matrimonio. In cambio Guglielmo
fa costruire a Caen un monastero femminile e uno maschile, dedicato a santo
Stefano, del quale Lanfranco diviene il primo abate nel 1066. Intanto in
Inghilterra Edoardo il Confessore, re dal 1043 al 1066, figlio di una normanna,
non avendo eredi nomina suo successore il figlio di suo cugino Roberto,
Guglielmo il Bastardo, ma alla sua morte la dieta dei nobili inglesi proclama
re il sassone Aroldo, cognato di Edoardo. Nello stesso anno Guglielmo sbarca
con un esercito in Inghilterra per far valere con la forza i suoi diritti al
trono. Con la vittoria nella battaglia di Hastings, Guglielmo
s'impadronisce dell'Inghilterra, guadagnandosi così il nome di Guglielmo il
Conquistatore, ma la rivolta contro di lui prosegue, favorita anche dai vescovi
locali; avendo bisogno di una gerarchia ecclesiastica fidata, ottiene nel 1070
dal papa Alessandro II la nomina di Lanfranco ad arcivescovo di Canterbury
estromettendo l'infido arcivescovo Stigand. Ora si tratta di rendere
Canterbury la sede vescovile più importante d'Inghilterra; Lanfranco viene a
contrasto col vescovo Tommaso di York che non intende rinunciare alle sue
prerogative. Nel concilio di Winchester del 1072 Lanfranco presenta alcuni
falsi documenti, da lui attribuiti a Beda il Venerabile, per sostenere la
supremazia della sede di Canterbury su tutti i vescovadi d'Inghilterra,
autorità che il Concilio riconosce. Fa costruire per sé un palazzo, la
famosa cattedrale, una prioria e numerosi monasteri, in cui trasferisce monaci
dalla Normandia; cerca anche di ottenere una parziale autonomia da Roma venendo
anche a contrasto con papa Gregorio VII. Per ottenere consensi dal clero e
dalla nobiltà inglese, permette il matrimonio dei parroci di campagna e
l'investitura vescovile ad opera di principi laici; accentra il controllo sulle
circoscrizioni ecclesiastiche trasferendo le sedi episcopali provinciali nelle
città più importanti. Col tempo i Normanni s'impadroniscono del governo delle
province, delle chiese e delle potenti abbazie. Operando col pieno
appoggio di Guglielmo, che nei periodi di assenza dall'Inghilterra gli affida
la direzione della vita politica, Lanfranco ricambia la fiducia, e sventa nel
1075 la cospirazione contro re Guglielmo organizzata dai conti di Norfolk e di
Hereford. Muore nel 1089 ed è sepolto nella sua cattedrale. È stato
beatificato dalla Chiesa e la sua ricorrenza cade il 28 maggio. Opere
Restano di lui scritti di scarsa importanza, tranne l'opuscolo Liber de corpore
et sanguine Domini contro Berengario di Tours; il Commentario sui Salmi
(perduto) e il Commentario su S. Paolo; gli Statuta sive decreta pro ordine S.
Benedicti, spiegazione della Regola benedettina; Note sulle Collationes di
Cassiano; il Liber de celanda confessione, dove dimostra tutto il rispetto che
si deve al penitente nel porsi all'interno della sua condizione di peccatore, e
le Epistolae. Inoltre Milone Crispino gli dedico una biografia, la Vita
Lanfranci.[3] Dottrina Combatté la teoria eucaristica di Berengario di
Tours, che negava la reale presenza del Cristo nell'eucaristia, poiché se si
mantengono gli accidenti dell'ostia, secondo la logica aristotelica si deve
mantenere anche la sostanza e dunque l'ostia non contiene realmente il sangue e
il corpo di Cristo; Lanfranco, nel Liber de corpore et sanguine Domini,
sostiene invece che dopo la consacrazione il pane e il vino si trasformano
realmente nel corpo e nel sangue di Cristo, pur conservando le primitive
apparenze. A questa conclusione non giunge però con le armi della logica ma con
la fede e con l'autorità dei Padri della Chiesa alla quale è necessario che la
dialettica si sottometta. Rimprovera Berengario: «...abbandonando le sacre autorità
ti rifugi nella dialettica, ma se io dovessi ricevere o dare una risposta a
proposito dei misteri della fede, preferirei sentirmi rispondere e rispondere
io stesso, che riguardano le sante autorità piuttosto che le ragioni della
dialettica». Logico celebrato, non può condannare la dialettica, che
ritiene possa aiutare a comprendere anche i misteri divini, ma che deve
sottomettersi all'autorità della Scritture quando entri in conflitto con
esse. Genealogia episcopale e successione apostolica La genealogia
episcopale è: Arcivescovo Robert di Jumièges Vescovo Guglielmo il
Normanno Arcivescovo Lanfranco di Canterbury La successione apostolica è:
Arcivescovo Tommaso di York (1070) Vescovo Pietro di Lichfield Vescovo Osbern
FitzOsbern Vescovo Gilla Patrick Vescovo
Hugh d’Orivalle Vescovo Arnost di
Rochester, O.S.B. Vescovo Gundulf di
Rochester, O.S.B. (1077) Vescovo Osmundo di Salisbury (1078) Vescovo Robert
Losinga Vescovo Donagh O’Haingly, O.S.B. (1085) Vescovo Robert of Limesy (1086)
Vescovo William of Beaufeu (1086) Vescovo Maurice (vescovo di Londra) (1086)
Vescovo Gosfrid di Chichester (1087) Vescovo Jean de Villule (di Tours) Lanfranco
di Caterbury in Santi e Beati, su santiebeati.it. URL consultato il 14
settembre 2017. ^ Sito Santi e Beati, su santiebeati.it. Nino Borsellino,
Walter Pedullà Storia generale della letteratura italiana Vol. I Il Medioevo le
origini e il Duecento Gruppo Editoriale L'Espresso (1 gennaio 2004)
Bibliografia Gibson M., Lanfranco. Da Pavia al Bec ed a Canterbury, Jaca Book,
Milano, 1989. De Bouard M., Guglielmo il Conquistatore, Salerno Editrice, Roma,
1989. Lanfranco di Pavia e l'Europa del secolo XI nel IX centenario della
morte, 1089-1989. Atti del Convegno internazionale di studi (Pavia, Almo
Collegio Borromeo, 21-24 settembre 1989), a cura di G. d'Onofrio, Herder, Roma,
1993. C. Martello, Lanfranco contro Berengario. CUECM, Catania, 2001. Nino Borsellino,
Walter Pedullà Storia generale della letteratura italiana Vol. I Il Medioevo le
origini e il Duecento Gruppo Editoriale L'Espresso (1 gennaio 2004) H. E. J.
Cowdrey, LANFRANCO da Pavia, santo, in Dizionario biografico degli italiani,
vol. 63, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. URL consultato il 13
agosto 2017. Modifica su Wikidata Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
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Collegamenti esterni Lanfranco di Pavia, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Lanfranco di Pavìa, su
sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Lanfranc, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (DE) Lanfranco
di Canterbury, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata Opere
di Lanfranco di Canterbury, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata
(EN) Opere di Lanfranco di Canterbury, su Open Library, Internet Archive. Modifica
su Wikidata (FR) Bibliografia su Lanfranco di Canterbury, su Les Archives de
littérature du Moyen Âge. Modifica su Wikidata (EN) Lanfranco di Canterbury, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) David
M. Cheney, Lanfranco di Canterbury, in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata
Lanfranco di Canterbury, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica
su Wikidata PredecessoreArcivescovo di CanterburySuccessoreStigand
(1052-1070)1070 - 1089Anselmo d'Aosta. Portale Biografie Portale
Filosofia Categorie: Teologi italiani Filosofi italiani dell'XI secoloVescovi
cattolici italiani dell'XI secoloMorti nel 1089 Morti il 28 maggioNati a Pavia Morti
a CanterburyArcivescovi di CanterburyArcivescovi britannici Beati italiani Scrittori
medievali in lingua latina Teologi benedettini [altre]. Lanfranco di Pavia.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pavia,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library. Pavia
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