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Tuesday, December 31, 2024

GRICE ITALO A-Z L LU

 

Grice e Luca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nell’arte d’amare – la scuola di Marostica -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Marostica). Filosofo italiano. Marostica, Vicenza, Veneto. Grice: “Luca expands on Alcibiades – I have touched the topic of Alcibiade when discussing eudaemonia, as literally having to do with the eudaemon – and the expression occurs in connection with Socrate/Alcibiade -- Grice: “One good thing about Luca is that if my philosophy revolves around ‘reason,’ his does it around ‘eros’!” -- Frequenta il Liceo Ginnasio Brocchi di Bassano del Grappa. Si laurea a Firenze, con la tesi, “Platone e il problema del linguaggio” con relatore Adorno.  È stato incentrato inizialmente sulla tematica dell’’amore’ nella tradizione greco-romana del Convitto e Fedro. Mmantenuto però una costante apertura al ‘mythos’ di Omero, nella convinzione che per quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti sociali, rimane un elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano, nell’approccio con il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità. In Labirinti dell’Eros, pur sviluppandosi la tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento non è quello di affrontare l’argomento nella sua unita longitudinale ma di esprimere, senza costrizioni di un “per-corso pre-figurato” una distinzione logico concettuale, attraverso la quale conseguire, almeno, un punto fermo nell'amatoria. Riguarda anche lo sviluppo della tradizione pitagorico-platonica, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto alla metafisica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza di dare conto "dei fenomeni" o sensibilia. Si orientata alla tarda produzione platonica e al pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche attraverso la cosmologia. Saggi: “Il Simposio, Nuova Italia, Firenze, Platone, Fedro, Nuova Italia, Firenze, Eros e Epos: il lessico d'amore nei poemi omerici, L’amatoria, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO); “Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio, Venezia, Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio, Marsilio Venezia. Roberto Luca. Luca. Keywords: l’arte d’amare, Ovidio, il convito, I dialogui dell’amore: il convito e Fedro, l’amore degl’eroi – achille e patroclo – niso ed eurialo – la filosofia dell’amore nel convito, la morte di Patroclo, la morte di Niso, la morte di Eurialo, l’eroe tragico, Achille eroe tragico, Eurialo e Niso, eroi tragici, Enea, eroe tragico, Aiace, eroe tragico, Catone di Utica, eroe tragico, la morte di Eurialo – la morte d’Eurialo – la pederastia – Eurialo piu giovane da Niso. Luigi Speranza, “Grice e Luca: amatoria conversazionale: la massima o principio dell’amore proprio conversazionale e la massima dell’amore all’altro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luca” – The Swimming-Pool Library. Luca.

 

Grice e Lucano: la ragione convrsazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The  nephew of Seneca, he achieves fame with a poem about the civil war between GIULIO (si veda) Caesar and Pompeo. He follows the Porch, as tutored by Lucio Anneo Cornuto. Farsaglia. Marco Anneo Lucano. Lucano.

 

Grice e Lucceio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A historian and a friend of CICERONE. Some of Cicerone’s letters to L. suggests that he may have followed the sect of L’ORTO. Citato da Svetonio. Amico di Giulio Cesare. Citato da Livio. Lucio Lucceio. Keywords: Livio. Lucceio.

 

Grice e Luciano: la ragione conversazionale e la gnossi -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A gnostic, a follower of Cerdo. Luciano.

 

Grice e Luciano: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Roma). Filosofo italiano. He studies at Rome with Nigrino  -- whom some suspect to be his invention – and Albino, of the Accademia. Also influenced by Demonax, whose philosophical outlook is more eclectic, although he is generally regarded as a member of the Cinargo. He is famous for his essays and dialogues, mostly satirical, many of which have survived. A number of philosophers appear in them, although not all of them may have existed. As a satirist, he is more interested in mocking pomposity and exposing hypocrisy than in advocating any positive doctrine. Loeb. Luciano.

 

Grice e Lucilio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Sessa Aurunca). Filosofo italiano. Alcuni romani insigni nutrirono interesse vivo per i problemi della filosofia. L. Ciò si può dire di un membro del circolo degli Scipioni, nato da famiglia ricca e distinta. L. ha un fratello che e senatore e, per mezzo della figlia, nonno di Pompeo. L. conosce la cultura greca (di cui si penetra) nell’Italia meridionale e a Roma, ove passa la maggior parte della vita. Forse soggiorna anche in Atene. Come cavaliere L. partecipa alla guerra contro Numanzia, agli ordini di Scipione Emiliano L'Affricano, con cui aveva già stretti rapporti.In seguito appoggia del'Affricano energicamente l'azione politica. L. fa parte, oltrechè del circolo degli Scipioni, di uno più ampio. L. e amico dell'accademico Clitomaco, che gli dedica un libro. Morì a Napoli. L. scrive XXX libri di satire -- un genere filosofico --, di cui restano frammenti.In esse satire, L. rappresenta e critica la vita romana dell’età sua, interessandosi soprattutto di questioni politiche.Dei vizi del tempo L. e giudice severo. L. si occupa molto di problemi logico-grammaticali, retorici e letterari.Si interessa anche di filosofia speculativa, alla quale deve avere dedicato una satira. Nei framm. del l. 28 la teoria dell’ORTO è confutata verisimilmente da uno dall’ACCADEMIA, anche perchè vi si trovano varie notizie sulla storia di tale scuola. La forma e il contenuto delle satire di L. rivelano l’influsso della filosofia popolare del cinismo di Bione e di Menippo. Un ampio frammento in cui L. dipinta la virtù romana, secondo alcuni proviene da Panezio, secondo altri da Cleante: però qualche storico pone L. in relazione con l'Accademia. A poetical philosopher, he writes many satirical works. Although philosophy is one of his subjects, many of his writings are concerned with social morals and standards of public life. Only fragments survive. Climotaco dedicates a ‘saggio’ on the suspension of judgment to him. Ed. Warmington Loeb, Remains of Old Latin. Gaio Lucilio. Keywords: Livio. Lucilio.

 

Grice e Lucilio: la ragione conversazionale e il portico romano --  l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A poetic philosopher. Best known as the friend of Seneca, to whom CXXIV letters are written discussing a wide range of issues from a primarily point of view of the Porch. Gaio Lucilio Minore.

 

Grice e Lucio: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Of the Cynargo and an opponent of Favorino. Lucio.

 

Grice e Lucrezio: la ragione conversazionale e l’orto romano – l’limplicatura conversazionale dell’alma figlia di Giove – Roma == filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pompei). Filosofo italiano. Grice: “By far the most important concept in Lucrezio’s philosoophy is that of clinamen that Strawson translates as the ‘swerve.’ It was saved from extinction by an Italian – as the novel tells you!” Grice: “While Strawson reads it in Latin, I prefer the version in the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean Marchetti!” Grice: “It’s amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there is a little treatise on Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is interesting. A real continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most important Italian philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato, eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione, forse postuma, del poema di L., che egli starebbe curando. Ma in scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca, Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio, senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che non si tratta di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui, ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato  morto suicida. Tale dato non concorda tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso, secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile, nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori  nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni. Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate direttamente dall'antichità.  Ignoto risulta anche il luogo di nascita, che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del probabile) le origini campane di L.. Neppure la sua militanza politica sembra essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra affatto ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro solitamente stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il desiderio dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere di tutti la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante il fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato e appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli optimates.  Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone.  Secondo lo storico Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio: nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile parente, Marco Lucrezio Frontone)  appartenente quasi sicuramente all'antica famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro della "filosofia del giardino", diretta da  Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa dei papiri").  Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco diffuso), romano, e sapiente epicureo.  Non si sa se il poema fosse diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo.  Il destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio, che, tornato a Roma, sarebbe morto.  La notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto impazzire improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo, oltre che dei detti "filtri").  Se Lucrezio soffrì di un disagio psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia, non fu a causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù, alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche, definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea fortuna") e non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè avvenuta per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici politici.  Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei vincitori, come quella di Marc’antonio che colpirà Cicerone, e molti si toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e Orazio, estimatori di L., facevano parte della corte di Augusto, e dovevano quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore, assertore dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui venivano cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico Mecenate, in cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come ogni opera che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non trovava spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta, tralasciandone l'aspetto filosofico.  Secondo Della Valle, quindi, Lucrezio si sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe politica in ascesa, o perché condannato a morte da essa. Lucrezio, per il periodo in cui è vissuto, personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era profondamente intriso corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti, isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del potere. Le più forti correnti stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato la classe dirigente romana in quanto più conformi alla tradizione guerriera dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente anche attraverso il citato Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe approfondito la sua conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è evidente che lo conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura poetica del De rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice), che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male. Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia delirante o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di Lucrezio appare oggi più plausibilmente un tentativo di mistificazione per screditare il poeta, così come la presunta morte per suicidio sarebbe stato l'esito di un modo di pensare perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi dell'epilessia poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse sempre un invasato; elemento quest'ultimo da collegare alla credenza che gli epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni. Comunque altri scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non fosse pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio, peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus e Lucretius. Plutarco scrisse infatti di un certo Licinio LUCULLO (si veda), politico, generale e cultore dei piaceri, che morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore di interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe così aver permesso lo scambio dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico che egli volle esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera, considerata tra le più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che spinsero L. a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due. La prima è una ragione etico-filosofica, in quanto Lucrezio, affascinato dalla filosofia epicurea, desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia, incitandolo a liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda motivazione invece è di carattere storico. L. era conscio che la situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro ormai di continui scontri bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con un evidente positivismo, voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non perdere la fiducia verso un successivo miglioramento della situazione. L. si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma, riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore dello stoicismo. La prima cosa da distruggere era la convinzione provvidenzialistica stoica e più propriamente romana. Non c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe terrifero e de le acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in un colloquio con Enea. Non c'è una ragione seminale universale responsabile della vita nel cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo, identico, ciclo esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non è unico nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non c'è quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi, ed un giorno perirà nel suo tempo. La religione, considerata come Instrumentum regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del viver civile come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum natura. Tanto male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da noi. Davvero, infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere le norme della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente, poiché se gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche modo potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati... Queste tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del sole né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla, allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta, giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è la divina voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra. Proprio per questo, egli elogia Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la natura e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di Roma. Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito, come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o "elogi"):  «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi), comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni progressivamente più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai fenomeni cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la struttura del poema Περὶ φύσεως di GIRGENTI (vedasi) (anche un'opera dell’ORTO aveva il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie interne che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica. Ogni diade contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono entrambi con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come modello Esiodo e quindi anche GIRGENTI (vedasi), che aveva preso il modello esiodeo come massimo strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli potrebbero essere i poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano il poema didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il destinatario e i destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago, ovvero il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con tanto fervore da L.. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone (nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno degli epicurei che fecero istanza a CICERONE stesso di intervenire per impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto L. scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi fra loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo vede costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con l'arcaismo, ancora che proprio L., insieme a Cicerone, sia uno dei fondatori del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté, egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "atomus" per Ατομος) e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari dandogli altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi. Ed è proprio grazie all'arcaismo che L. riesce a rendere possibile tutto questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo "munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che L.non si limitò a trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della filosofia, parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio si caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis ma poi parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre passaggio del libro II del De rerum natura dice:  Perciò è sempre più necessario che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo:  «Infine, se ogni moto è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra]  Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli atomi nel loro processo creativo, scrivendo:  Così è difficile rescindere da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto si dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin dall’origine, si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e dell’anima separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente comuni spira dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli organi. Lucrezio riprende in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La religione è la causa dei mali dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che la religione offuschi la ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e, soprattutto, di poter accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la liberazione dalla paura della morte. Il poema ha come argomenti principali la lacerante antinomia fra ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio è vista da Lucrezio come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia le tenebre dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e dell'uomo, quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e cieca ignoranza, che lo stesso L. denomina spesso con il termine "superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di comportamenti umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro potenza. Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. L. riprende i temi principali della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la "parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico: le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea, materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Foscolo e Leopardi. L. nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura. Però, il progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera l'uomo dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna duramente. Lucrezio introduce nel III libro del De rerum natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata generando non poche confusioni, circa il concetto di “animus” in rapporto a quello di “anima” «Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo. L. riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità mentale. L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora che l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di elementi tipici dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in Leopardi, che dell'opera di L.era un profondo conoscitore, anche se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse L.. Questi elementi di angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il pessimismo di fondo che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a partire dalla filosofia epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due spinte contrapposte; l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi e dal loro destino di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia altro che una strategia di propaganda, per fare emergere più fortemente la funzione salvifica della ratio epicurea. S'intende, ciechi alla dottrina di Epicuro.  Sul luogo di nascita: anche se c'è chi afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e L. sono attestati, e la gens Lucretia ha delle ville cfr: Biografia di L.; o perlomeno vi avesse abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio. Alla deriva nella notte del mondo, cfr. anche la Lucrezio Caro, Tito su Enciclopedia Treccani  Sulla data di nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C.  Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia vitae  Canfora, Vita di L., Sellerio,  o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco, M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura latina" L'età arcaica e la repubblica", Scolastiche Mondadori, Modulo. Testimonianze su L. Canfora. Lucrezio, De rerum natura, L., De rerum natura, Enrico Fichera, I "templa serena" e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura, Roma, Bonanno edizioni, Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts, Monaco. Enciclopedia dell'arte antica  Cfr. Gerlo, Coccia, Il mondo classico nell'immaginario contemporaneo  Nel romanzo epistolare di Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, Nomi romani: glossario  Canfora, Cicerone, Ep. ad Quintum fratrem, II 9.  S L.  Canfora, Classici: L. e il De rerum natura  Aldo Oliviero, Il suicidio di L., su lafrontieraalta.com. Stampini, Il suicidio di L., Messina, Tipografia D'Amico, La risposta di Virgilio a L.  Guido Della Valle (Napoli), pedagogista e docente universitario, autore di Tito L Caro e l.'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, L. in Enciclopedia Italiana  L.: informazioni biografiche  ibidem  La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide, lLa natura delle cose, cit. supra81. L., La natura delle cose,  La natura delle cose. Il De rerum natura di L.  Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia Italiana  Lo stile di Lucrezio  C. Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum natura» IBari, Edipuglia, Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza Lucrezio, La natura delle cose, Biagio Conte, Milano, Rizzoli, La natura delle cose.  De rerum natura, Fusaro, L., su filosofico.net. e rerum natura, VTasso segue L. stilisticamente, non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa nel proemio della Gerusalemme liberate, La natura delle cose, cit. supra, De rerum natura, Pazzaglia, Antologia della letteratura italiana.  L., introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Ferrando auctore, De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In Carum Lucretium poetam commentarij a Pio editi, Bononiae, in ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a Lambino emendati atque restituti et commentariis illustrati, Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De rerum natura libri VI, Patavii, excudebat Josephus Cominus, De rerum natura libri sex, Revisione del testo, commento e studi introduttivi di Giussani, Torino, E. Loescher  (importante edizione critica, tuttora fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con introduzione e versione Flores, Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della natura delle cose libri sei tradotti da Marchetti, Londra, per G. Pickard. La natura, libri VI tradotti da Rapisardi, Milano, G. Brigola, Della natura, Armando Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e note di Cetrangolo, Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione di Gian Biagio Conte, Traduzione di Canali, Testo latino e commento Dionigi, Milano, Rizzoli, La natura, Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento di Giancotti, Milano, Garzanti (Per la  specifica sul De rerum natura si rimanda a tale voce) Alfieri, L., Firenze, Le Monnier, A. Bartalucci, L. e la retorica, in: Studi classici in onore di Cataudella, Catania, Edigraf, Bollack, La raison de L. Constitution d'une poetique philosophique avec un essai d'interpretation de la critique lucretienne, Parigi, Les editions de Minuit, Bonelli, I motivi profondi della poesia lucreziana, Bruxelles, Latomus, Boyancé, L. e l'epicureismo, Edizione italiana Alberto Grilli, Brescia, Paideia, Camardese, Il mondo animale nella poesia lucreziana tra topos e osservazione realistica, Bologna, Patron, Canali, L. poeta della ragione, Roma, Editori Riuniti, Canfora, Vita di L., Palermo, Sellerio, G. Della Valle, Tito L. Caro e l'epicureismo campano, Seconda edizione con due nuovi capitoli, Napoli, Accademia Pontaniana, Gerlo, Pseudo-L. in: «L'Antiquité Classique», Giancotti, L. poeta epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, Giancotti, Religio, natura, voluptas. Studi su L. con un'antologia di testi annotati e tradotti, Bologna, Patron, Giardini, Lucrezio. La vita, il poema, i testi esemplari, Milano, Accademia, Greenblatt, Il manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea, traduzione di Zuppet, Milano, Rizzoli,  H. Jones, La tradizione epicurea, Genova, ECIG, R. Papa, Veterum poetarum sermo et reliquiae quatenus Lucretiano carmine contineantur, Neapoli, A. Loffredo, Perelli, L. poeta dell'angoscia, Firenze, La Nuova Italia, Perelli, L.. Letture critiche, Milano, Mursia, Pieri, L. in Macrobio. Adattamenti al testo virgiliano, Messina, Casa Editrice D'Anna, V. Prosperi, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio dall'Umanesimo alla Controriforma, Torino, Aragno, Sasso, Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, R. ScarciaE. ParatoreG. D'Anna, Ricerche di biografia lucreziana, Roma, Ateneo, Tescari, Lucretiana, Torino, SEI,O. Tescari, L., Roma, Edizioni Roma, A. Traglia, De Lucretiano sermone ad philosophiam pertinente, Roma, Gismondi, Scritti letterari Canali, Nei pleniluni sereni. Autobiografia immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, E. Cetrangolo, L.. Tragedia, Roma, Cometa, Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio. Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio L., la mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi. Il romanzo di L., Firenze, Le Lettere, Epicureismo Esistenzialismo ateo Storia dell'ateismo L. su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tito L. Caro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito L. Caro Opere di Tito L. Caro, su Liber Liber.  openMLOL, Horizons Audiolibri di Tito L. Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura: testo con concordanze e liste di frequenza, su intratext.com. Intervista a Luca Canali su passioni e razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su conoscenza.rai. Analisi critica del pensiero di Lucrezio, su lucrezio.exactpages.com. V D M Epicureismo Filosofia Letteratura  Letteratura Categorie: Poeti romani Filosofi romani Roma L. Atomisti Epicurei Filosofi atei L. Storia dell'evoluzionismo Pre-esistenzialisti Personalità dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia.  Alma figlia di Giove, inclita madre  Del gran germe d'Enea, Venere bella,  Degli uomini piacere e degli Dei: Tu che sotto i girevoli e lucenti  Segni del cielo il mar profondo, e tutta  D’ animai d'ogni specie orni la terra, Che per se fora un vasto orror soUngo: Te Dea, fnggono i venti: al primo arrivo  Tuo svaniscon le nubi: a te germoglia  Erbe e fiori odorosi il suolo indnstre: Tu rassereni i giorni foschi, e rendi  Col dolce sguardo il mar chiaro e tranquillo,  E splender fai di maggior lume il ciclo. Qualor deposto il freddo ispido manto  L'anno ringiovanisce, « la soave  Aura feconda di Favonio spira, Tosto tra fronde e fronde i vaghi augelli. Feriti il cor da' tuoi pungenti dardi,   Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva; Liete scorron saltando i grassi paschi  Le fiere, e gonfi di nuor' acqae i fìami  Varcano a nuoto e i rapidi torrenti: Tal da' teneri tuoi rezzi lascivi  Dolcemente allettato ogni animale  Desioso ti segue ovunque il gnidi.   In somma tu per mari e monti e fiumi,  Pe'boschi ombrosi e per gli aperti campi,  Di piacevole amore i petti accendi, E cosi fai che si conservi '1 mondo.   Or se tu sol della Natura il freno  Reggi a tua voglia, e senza te non vede  Del di la luce desiata e bella,   Nè lieta e amabil fassi alcuna cosa: Te, Dea, te bramo per compagna all'opra,  In cui di scriver tento in nuovi carmi  Di Natura i segreti e le cagioni  Al gran Memmo Gemello a te si caro,  In ogni tempo, e d’ogni laude ornato. Tu dunque, o Diva, ogni mio detto aspergi  D’eterna grazia, e fa’ cessare intanto  E per mare e per terra il fiero Marte,   Tu, che sola puoi farlo: egli sovente  D’amorosa ferita il cor trafitto  Umil si posa nel divin tuo grembo.   Or mentr’ ei pasce il desioso sguardo  Di tua beltà, ch'ogni beltade avanza,   E che l’anima sua da te sol pende, Deh ! porgi a lui, vezzosa Dea, deh ! porgi  A lui soavi preghi, e fa'ch’ ei renda  Al popol suo la desiata pace. Che se la patria nostra è da nemiche  Armi abitata, io più seguir non posso con animo quieto il preso stile,  nè può di Memmo il generoso figlio aS   l^egar sé stesso alla comaa salate. Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi  Grate ed attente orecchie, e ti prepara,  Lungi da te cacciando ogni altra cura,   Alle vere ragioni, e non volere  I miei doni sprezzar pria che gl’ intenda. Io narrerotti in che maniera il cielo con moto alterno ognnr si volga c giri j  Degli Dei la natura, e delle cose  Gli alti principi, e come nasca il tutto ;  Come poi -si nutrichi, e come cresca, Ed in che finalmente ei si risolva:   £ ciò da noi nell’avvenir dirassi primo corpo, materia, o primo seme, o corpo genitale, essendo quello  Onde prima si forma ogni altro corpo: Che d'uopo é pur che’n somma eterna pace  Yivan gli Dei per lor natura, e lungi  Stian dal governo delle cose umane, Scevri d' ogni dolor, d’ogni periglio, biechi sol di lor stessi, e di lor fuori di nulla bisognosi, e che nè metto  Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira. Giacca l’ umana vita oppressa e stanca  Sotto religìon grave e severa. Che mostrando dal ciel l’altero capo  Spaventevole in vista e minacciante ne soprasta. Un iiom d’Atene il primo e, che d’ergerle incontra ebbe ardimento  Gli occhi ancor che mortali, e le s’oppose.  Questi non paventò nè eie! tonante  Nè tremoto che ’l mondo empia d’ orrore,  Nè fama degli Dei, nè fulmin torto j  Ma qual acciar su dura alpina cote quanto s’agita più tanto più splende. Tal dell’animo suo mai sempre invitto  Nelle difficoltà crebbe il desio a  Di spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri,  E r ampie porte di Natura aprirne.   Cosi vins' egli, e con l' eccelsa mente  Varcando oltre a' confin del nostro mondo, e bastante a capir spazio infinito. Quindi sicuramente egli n’ insegna  Gid che nasca o non nasca, ed in qual modo  Ciò che racchiude l' Universo in seno  Ha poter limitato, e tcrmin certo :   E la religion co’pié calcata,  L' alta vittoria sua c’ erge alle stelle. Nè creder già che scelerate ed empie sian le cose eh’ io parlo. Anzi sovente  L' altrui religion ne’ tempi^antichi  Cose produsse scelerate ed empie. Questa il fior degli eroi scelti per duci  Deir oste argiva in Aalide indusse  Di Diana a macchiar l' ara innocente  Col sangue d' Ifigenia, allor che cinto di bianca fascia il bel virgineo crine vid’ella a se davanti in mesto volto  Il padre, e alni vicini i sacerdoti  Celar 1’ aspra bipenne, e '1 popol tutto  Stillar per gli occhi in larga vena il pianto  Sol per pietà di lei, che muta e mesta  Teneva a terra le ginocchia inchine. Nè giovi punto all’innocente e casta povera verginella in tempo tale,  ch’ a nome della patria il prence avesse  All’ esercito greco un re donato; Che tolta dalle man del suo consorte  Fu condotta all’ aitar tutta tremante:   Non perchè terminato il sacrifizio,  legata fosse col soave nodo d’un illustre imeneo. Ma per cadere  Nel tempo stesso delle proprie nozze  A* piè del genitore ostia dolente per dar felice e fortunato evento  All' armata navale. Error si grave  Persuader la religion poteo. Tu stesso dall’orribili minacce de’ poeti atterrito, a i detti nostri di negar tenterai la fe dovuta. Ed oh, quanti potrei fìngerti anch'io  Sogni e chimere, a sovvertir bastanti  Del viver tuo la pace, e col timóre  Il sereno turbar della tua mente.   Ed a ragion, che se prescritto il fine vedesse l'uomo alle miserie sue. Ben resister potrebbe alle minacce  Delle religioni, e de' poeti. Ma come mai resister può, s' ei teme  Dopo la morte aspri tormenti eterni.  Perchè dell' alma è a lui l’essenza ignota:  S' ella sia nata, od a chi nasce infusa, E se morendo il corpo anch' ella muoia? Se le tenebre dense, e se le vaste  Paludi vegga del tremendo Inferno,   O s' entri ad informare altri animali  Per ^divino voler, siccome il nostro  Ennio cantò, che pria d' ogn' altro colse  In riva d'Elicona eterni allori. Onde intrecciossi una ghirlanda al crine FRA L’ITALICA GENTI illustre c chiara?  Bench' ci ne' dotti versi affermi ancora  Che sulle sponde d' Acheronte s' erge  Un tempio sacro a gl' infernali Dei,   Ove non 1' alme o i corpi nostri stanno. Ma certi simulacri in ammirande  Guise pallidi in volto, e quivi narra d’aver visto l'imagine d’Omero  Piangere amaramente, e di Natura  Raccontargli i segreti e le cagioni. Dunque non pnr de’più sublimi effetti Cercar le cause, e dichiarar conviensi  Della luna e del sole i morimenti.  Ma come possan generarsi in terra tutte le cose, e con ragion sagace principalmente investigar dell' alma, £ dell'animo uman l’occulta essenza,   E ciò che sia quel, che vegliando infermi,  £ sepolti nel sonno, in guisa n'empie d’alto terror, che di veder presente  Parne, e d’udir chi già per morte in nude ossa ò converso, e poca terra asconde e so ben io qual malagevol’ opra   Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi  L’ oscure invenzioni, e quanto spesso  Nuove parole converrammi usare, non per la povertà della mia lingua ch’alia greca non cede, e più d’ ogn’ altra piena è di proprie e di leggiadre vocij ma per la novità di quei concetti  Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro espresse.  Pur nondimcn la tua virtude ò tale,  e lo sperato mio dolce conforto  Della nostr’amistà, eh’ ognor mi sprona  A soffrir volentieri ogni fatica,  E m’induce a vegliar le notti intere,  sol per veder con quai parole io possa  Portare innanzi alla tua mente un lume,  Ond’ ella vegga ogni cagione occulta. Or si vano terror, si cieche tenebre   Schiarir bisogna, e via cacciar dall’ animo nn co’ be’ rai del sol, non già co’ lucidi dardi del giorno a saettar poc’ abili fuorché l’ombre notturne e i sogni pallidi, Ma col mirar della Natura, e intendere  D’occulte cause e la velata imagine. Tu, se di conseguir ciò brami, ascoltami. Sappi, che nulla per diyin volere  Pad dal nalla crearsi, onde il timore,  che qaind'il cor d'ogni mortale ingombra,  Vano è del tutto, e se tu vedi ognora  Formarsi molte cose in terra e ’n cielo,  nè d'esse intendi le cagioni, e pensi  Perciò che Dio le faccia, erri e deliri.   Sia dunque mio principio il dimostrarti,  Che nulla mai si può crear dal nulla.  Quindi assai meglio intenderemo il resto  £ come possa generarsi il lutto  Senz'opra degli Dei. Or se dal nnlla-  Si creasser le cose, esse di seme  Non avrian d'uopo, e si vedrian produrre  Uomini ed animai nel seti dell' acque, nel grembo della terra uccelli e pesci, e nel vano dell’aria armenti e greggi;   Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il parto  D'ogni fera selvaggia incerto fora;   Nè sempre ne darian gl'istessi frutti  Gli alberi, ma diversi ; anzi ciascuno  D' ogni specie a produrgli allo sarebbe.  Poiché come potrian da certa madre nascer le cose, ove assegnati i propri semi non fosser da ^Natura a tutte 1 Ma or perché ciascuna è da principi certi creala, indi ha il natale ed esce  Lieta a godere i dolci rai del giorno, ov'è la sua materia e -i-vorpi primi:   E quindi nascer d'ogni cosa il tutto  Non può, perchè fra loro alcune certe cose hall l'interna facoltà distinta.   Inoltre ond' è che primavera adorna sempre è d’ erlie e di fior? che di mature  Biade all' estiv' arsura ondeggia il campo? e che sol quando Febo occupa i segni  O di Libra o di Scorpio, allor la vite Suda il dolce liquor che inebria i sensi? Se non perché a'ior tempi alcuni certi  Semi in un concorrendo, atti a produrre  Son ciò che nasce, alJor che le stagioni  Opportune il richieggono, e la terra  «I Di rigor genital piena c di succo, Puote all’ aure inalzar sicuramente  Le molli erbette e l’altre cose tenere i che se pur generate esser dal nulla  Potessero, apparir dovrian repente  In contrarie stagioni e spazio incerto,   Non vi essendo alcun seme, che impedito  Dall' Union feconda esser potesse  O per ghiaccio o per sol ne' tempi avversi.  Né per crescer le cose avrian mestiere di spazio alcuno in cui si unisca il seme,  i' elle fosser del nulla atte a nutrirsi. Ma nati appena i pargoletti infanti  Diverrebbero adulti, e in un momento  Si vedrebber le piante inverso il cielo  Erger da terra le robuste braccia. Il che mai non succede. Anzi ogni cosa cresce, come conviensi, a poco a poco,   E crescendo, conserva e rende eterna  La propria specie. Or tu confessa adunque  Che della sua materia, e del suo seme  Nasce, si nutre e divien grande il tutto.   S’arroge a ciò, che non daria la terra il dovuto alimento ai lieti parti. Se non cadesse a fecondarle il seno  Dal del 1' umida pioggia, e senza cibo propagar non potrebber gli animali  La propria specie, e conservar la vita, Ond' è ben verisimile, che molte  Cose molti fra lor corpi comuni  Àbbian, come le voci han gli elementij  Anzi, che sia senza principio alcuna.   In somma ond' è che non forma Natura uomini tanto grandi e si robusti, che potesser co’ piè del mar profondo varcar l’ acque sonanti e con la mano sveller dall’imolor l’alte montagne, e viver molt’ etadi, e molti secoli? L. is known only for his long poem De rerum natura in which he sets out the doctrines of the Garden. As the only substantial systematic work of the Garden to survive from antiquity it is a work of considerable significance. Unfortunately, it is difficult to judge how accurate an account of the school’s teaching as there is little with which to compare it. However, the Garden tended towards conservatism in doctrinal matters and so it isunlikely L. strays far from orthodoxy. The first two books of the poem are mainly concerned with espounding atomism, the middle two are concerned with human nature and knowledge, and the last to analyse a number of natural phenomena.  Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica” – “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove” --. Lucrezio.

 

Grice e Lucullo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Si distingue nella guerra sociale come tribunus militum. Avendo avuto quale pro-questore sotto SILLA (si veda) nella guerra mitridatica l’incarico di recarsi dalla Grecia in Cirenaica e in Egitto e di raccogliere una flotta, L. volle avere presso di sè Antioco d’Ascalona in quel pericoloso viaggio sul mare. Pretore, propretore in Africa, e console, ottenne il governo proconsolare della Cilicia e il comando della guerra contro Mitridate e sconfisse prima questo, poi il suo alleato Tigrane re di Armenia. Negl'anni del suo comando, batiè con poche forze grossi eserciti nemici. Ma per il malcontento dei soldati le cose peggiorarono, sicchè i suoi avversari lo fanno richiamare a Roma ove soltanto gli e concesso il trionfo. L. contribuì potentemente alla diffuzione della filosofia in Roma. L. e oratore, storico -- scrive una storia della guerra sociale -- e si interessa vivamente per la filosofia, tanto che volle compagno Antioco sia da pro-questore che da pro-console e con gli studi filosofici si consola degli insuccessi politici. A rich Roman who makes a career in public and military life. A friend and pupil of Antioco, his philosophical tastes appear to have been quite eclectic. He spends his last years quietly going insane. Lucio Licinio Lucullo. Keywords: Livio.  Lucullo.

 

Grice e Luporini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- i corpi di Vinci – il leopardi fascista – leopardi fascisti – ultra-filosofico – la scuola di Ferrara -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming Pool Library (Ferrara). Filosofo italiano. Ferrara, Emilia Romagna. Grice: “I like Luporini; I lerarned from him how silly Austin is when talking of ‘material object’ – a contradiction in terminis for Kant who uses ‘materie’ very strictly; Luporini’s study of Leopardi is brilliant – and he has explored the genius of Vinci, which is good!” Si recò a Friburgo, dove frequenta le lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le lezioni di Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze. Dopo un in interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al Partito Comunista, per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra le altre iniziative parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge, "Istituzione della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la rivista Società.  Collabora ai periodici politico-culturali del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista. Durante il dibattito che, a seguito degli eventi, porta alla trasformazione del PCI in PDS, si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto, aderendo alla mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa difesa e per un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il marxismo di Luporini si fonda su una critica radicale allo storicismo, sul rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo, quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva l'anti-umanismo, in quanto il pensiero di Marx conserva per lui un profondo umanesimo, anche negli scritti successivi alla "rottura epistemologica" in cui le strutture, cioè i modelli interpretativi della società, non sono astratti ma in funzione degli individui concreti, umani.  Nello stesso ambito marxista, tra i suoi obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che proponevano una interpretazione di radicale discontinuità tra Marx e Hegel, cioè quelle di Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per Luporini la nozione di “contra-dizione,” la marxiana "oggettività reale", che lo pone comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse per l'elaborazione di Gramsci) e parte fondamentale di una più generale teoria dei condizionamenti umani.  Fondamentale è il concetto di formazione economico-sociale, espressione già utilizzata da Sereni, ma in senso storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire un modello per l'analisi degli specifici modi di produzione della società capitalista, nonché per la previsione scientifica delle sue varie forme. La legge generale delle formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione ai Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura economica va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un "criterio oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli altri assetti produttivi.  L'approccio storico-genetico non è un continuum evoluzionistico come nella tradizione storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè all'indagine che permette di stabilire la categoria dominante di una determinata fase storica della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’) e le radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di L. ad ogni disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de "La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia e politica: scritti dedicati a L., Firenze, La Nuova Italia, Una  completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte" (Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere principali:  “Situazione e libertà” (Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma); “Dialettica e materialismo, Roma, Riuniti,  Il soggetto e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d'Italia, I documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi leopardiani il suo saggio Leopardi progressivo.  Sulle lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in "Repubblica", E. Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione economico-sociale, Quaderni di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in Critica marxista, Per l'interpretazione della categoria formazione economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della vita morale, in  Morale e società, Riuniti, Roma); S. Lanfranchi, Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza e libertà, in Critica marxista, G. Mele, Esistenzialismo e significato della libertà, Critica Marxista, A. Zanardo, Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista, C. Rocca, Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R. Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte, Ponte, Convegni  Quarant'anni di filosofia in Italia. "Critica marxista", Il fascicolo contiene gli atti delle due giornate di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma, Feltrinelli. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli interventi al Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei Filosofi (SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura intellettuale attraverso il Novecento), su hyperpoli.  Sebbene questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di alcuni intellettuali italiani. Per affrontare il problema della transizione e tentare di isolare alcuni elementi di continuità e di rottura, il discorso svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio pubblicato da L. Leopardi progressivo, al quale, in un primo momento, si accennerà solo molto brevemente ; seguendo poi un cammino a ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini anche abbastanza lontane del dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio – da cui trae origine questo testo ; e tornando infine al libro di L., molto noto, anche fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser divenuto un ‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1.  2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. L., Leopardi progressivo. La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini, nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la natura, per un progresso generale della condizione umana. La vivacità delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione proposta da L. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è particolarmente utile la recente testimonianza di Brunetti, che sarebbe poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente  Leopardi progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella sala da pranzo soprattutto gli italianisti Bollati, Blasucci, Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una definizione politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica? Non era forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero leopardiano. Brunetti, Il « nostro » L., in L., a cura di M. M La discussione, animata e per certi versi lacerante, si protrasse per giorni, riecheggiando sotto le volte dei corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però efficace, perché fece rientrare la sensazione provocatoria del saggio e ricondurre l’elemento ideologico e il « tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni, sortendo d’altro canto l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui la critica crociana mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un caso che da quello stesso anno anche il lavoro critico di Luigi Russo si attestò in una valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio lui, il dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile provocazione intellettuale.5  4 Quanto racconta Brunetti è, per molti aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo della critica letteraria.  L., Leopardi progressivo Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni. Sebbene molto diversi, il testo di  Brunetti definisce il testo di L. un’operazione ideologica, in quanto offre una lettura non solo eminentemente politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente comunista. L. vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine, fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata. In questo senso, si segna, col saggio di L. – e col saggio altrettanto noto di Binni, La nuova poetica leopardiana – una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la proficua stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente della critica detta marxista. D’altra parte, Brunetti considera che l’opera di L, era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia, conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo « schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle accademie e nelle università dell’Italia fascista. Croce conia la voce “allotrio”per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab Per l’influenza di Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G Il ruolo di Cian negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizi. Marpicati compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccol . Ecco quanto scriveva, ad esempio, Cian, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli. Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea : S.  In realtà, durante il Ventennio solo una minoranza di critici – pur trattandosi di una minoranza quantitativamente e soprattutto qualitativamente importante – aveva seguito l’idea crociana dell’autonomia dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una lettura apertamente politica dei testi letterari. Erano relativamente pochi i critici che aderivano al principio secondo cui gli elementi che in un’opera d’arte contengono un messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri »8, ovvero estranei alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo slancio primo e poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la critica di stampo fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di grande influenza e di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come un Gentile, un Cian, ma anche un Marpicati. Essi contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano, per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica, improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i classici della letteratura italiana come precursori del fascismo. Non era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che buttarvi pietre durante tutto il Ventennio. In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti. Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti negli anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di considerare « la politicità nascosta » anche nella « grande poesia. Sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione allotrica. Il testo di L. segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel Novecento, quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione critica, e in questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato. L’intento di questo lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo problematico di un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore, vigente nel Ventennio e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di L., nonostante le fondamentali differenze, ha in comune almeno due aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione all’estetica crociana che è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della critica letteraria, non trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo è l’idea – sulla quale verterà più precisamente questo studio – di un fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una certa paternità del tema dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa Luporini, può essere attribuita a Gentile e ad un suo saggio sulle Operette morali di Leopardi. Questo, invece, è un discorso specifico, valido per la sola critica leopardiana. L’ipotesi di una continuità tra l’interpretazione che L. dà di Leopardi e la produzione critica con una comune opposizione a Croce, ma anche una comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia dall’analisi dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di L. e da quanto lui stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana, ideologica e culturale di L. in quel decennio che va dalla seconda metà degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica proprio di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e Repubblica. L., Critica e metafisica nella filosofia kantiana, Rendiconti della Reale Accademia Nazi. Il testo fa parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove L. insegnava, in occasi. Nella sua autobiografia, Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra una delle p  C. L., Qualcosa di me stesso, in L.  L. si laurea a Firenze, dopo aver studiato anche in Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata da Gentile, il quale decide di presentarla all’Accademia dei Lincei di cui era socio. Dopo aver conseguito la laurea, L. insegna al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su Leopardi, di cui dà un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione reca già segni evidenti di anticrocianesimo. Torna a Firenze ed entra a far parte del movimento liberalsocialista di Capitini e Guido Calogero, nel quale frequenta anche  Bobbio, Guttuso e Morra. Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove era disponibile un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e L., un rapporto che L. stesso ebbe a definire di grande franchezza politica, sin da quando i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di Gentile. L. non aveva approvato la decisione del movimento liberal-socialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò ritirato per aderire invece al Partito Comunista. L. si trova quindi agli esatti antipodi politici di Gentile. Eppure egli stesso racconta di come avesse tentato di convincerlo ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo intento, definendo tragica ma anche consapevole la sua fine. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo solo che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori dal fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Al Salviatino, dove abita, ha con lui un incontro che non finiva mai, perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto. Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva consapevolezza. Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone a Luporini di diventare bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini rifiuta, sancendo così la fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che, nella nostra prospettiva, è senz’altro importante e che invece è stato quasi integralmente passato sotto silenzio. In realtà, di L. si ricorda soprattutto l’attività posteriore, in particolare quella che svolse come co-fondatore – con Bandinelli – della rivista “Società”, e in seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando di « Società » e dei suoi intenti programmatici, L. dichiara che per lui, l’idea principale era d’una saldatura fra quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella rottura con il passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente, molecolarmente – e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i dirigenti comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con Vittorini, con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I contenuti li avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo, non assoluto, naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto. Per illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali antifascisti che vi frequentava. L. dichiara in quest’occasione che « da un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e che, nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo « dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano Continua poi la narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che L. descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo ; la seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo L. si sposta verso posizioni marxiste. Questi pochi elementi biografici offrono due spunti notevoli per l’analisi della produzione di L.  In primo luogo, il rapporto personale più approfondito che L. aveva con Gentile e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza dell’uno e dell’altro sulla sua prima formazione, da giovane studente e studioso di filosofia e di letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a posteriori il programma della sua rivista Società, L.  formula una precisa volontà culturale ed ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta. Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica fascista e della critica idealista.  L., Con Heidegger. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger. G. Gentile, Manzoni e Leopardi, in Opere, Firenze, Sansoni. Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e L.. Era il poeta prediletto di L.: « Leopardi è stato sempre il mio autore », dichiara L., e come tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché numerose e importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è testimoniata dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò testi sul pensiero e sulla poesia di Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto, invece, Leopardi non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso da Croce. Citiamo qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo discepolo, Gerace, e che dichiara: Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig. Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli è d’impaccio al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel terribile nemico della sua teoria estetica : l’intellettualismo e il moralismo nel mondo dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di altissimo stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in fatti, questi è Leopardi.25  26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza. Gerace allude qui senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su « La Critica » e poi nel volume Poesia e non poesia. La principale critica che Croce rivolge alla poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di momenti meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista, profondamente estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi come una prova della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma Croce, « in quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente pseudo-filosofia, filosofia a uso privato I due testi si trovano oggi nel volume di Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett. In queste pagine, Croce sta in realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un amico ed un collaboratore, Gentile, il quale aveva pubblicato, due saggi – il primo sulle Operette morali, il secondo intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi per la questione della filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi 28. Anche Gentile, come Croce, giudica severamente la qualità filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre nell’invenzione Gentile formula, tuttavia, un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed originale, della questione del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare del tutto il suo pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente e concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista, direttamente ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della ragione » settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e poco originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente radicato nell’animo leopardiano. Così scrive : Leopardi, pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore, e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, un (..Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna. Gentile dà particolare rilievo alla tesi di un’ultra-filosofia leopardiana, supponendo l’esistenza di una sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e materialistica: un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più spirituale e quindi, per Gentile, più leopardiano. La rivalutazione gentiliana delle Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del pensiero leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica, avviando un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico, ad un « capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » : da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il poeta dell’ottimismo. Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet. Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit Sanctis esalta l’effetto positivo prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una serie di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre il pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo pensiero negli anni Trenta soprattutto. Lanfranchi, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo, Leo Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro discorso, preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi testi, che consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica al pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Leopardi non ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima guerra mondiale, né tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato spettatore e attore di tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non sarebbe stato pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos oratorio, ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e delle commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un anacronismo e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia retorica è notevole. E segnatamente lo si trova quando, in occasione del centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36.  22 Vi furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un liceo livornese, che pubblicò un numero speciale con vari studi consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era proprio il testo di L., che in quel liceo appunto insegnava filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano, rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e quindi anche del suo pessimismo. L.  non esita a metterlo a confronto con i maggiori filosofi dell’Occidente :  C. L, Il pensiero di Leopardi, Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa affermazione del medioevo religioso e il pessimismo di Leopardi, c’è l’età dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua ragione. Secondo Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica L. se l’era ormai lasciata C. L., Leopardi progressivo Sarebbe opportuno comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di L. su Leopardi, scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche tracce del Leopardi esistenzialista nel Leopardi progressivo. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e permanente di Croce – di cui L. cita esplicitamente « l’infelice giudizio » su Leopardi. Per L., non solo la poesia di Leopardi è sempre vera poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera filosofia. Leopardi, dice L.,fu un pensatore progressivo ; in certo modo, dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico della filosofia né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che abbia avuto l’Italia L’interpretazione data da Gentile – che invece L. nel suo testo non cita mai – e la stagione di studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò per il Ventennio fascista lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di L. in particolare, un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare. Nell’insistere sul materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva senz’altro opporsi alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre significativa la scelta di L., che non parla di un Leopardi ottimista, ma progressivo, rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione ideologica. Vi sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci soffermeremo brevemente su tre di questi.  Timpanaro, Classicismo e illuminismo Il primo sta nell’origine contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo leopardiano, il quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la delusione della Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini – non spiega solo il pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e rapido pessimismo cosmico; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due pessimismi nascono da un unico germe, appartengono a un unico processo di pensiero »41. Esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo di L., Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del « valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia, ma sulla condizione umana in senso universale e astorico.  L., Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di continuità sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica fascista, secondo cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che lo induceva comunque a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole rilievo a quell’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi perché in essa « sembra condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo Leopardi] Timpanaro considera che non era « accettabile » il rimprovero mosso a L. Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il testo di L. e la produzione critica del Ventennio, sta infine nel presentare Leopardi quale un « anticipatore di ulteriori dottrine. In entrambi i casi, Leopardi diventa precursore politico di un’ideologia del Novecento e, in entrambi i casi, diventa precursore di un’ideologia strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era, infatti, un aspetto culturale e ideologico programmatico per il fascismo ma, d’altra parte, il progresso – e quindi la visione ottimistica del divenire umano che lo sottende – è a sua volta un perno essenziale dell’ideologia comunista.  L., Leopardi moderno, intervista a cura di Adornato, L’Espresso. Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico, che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano, si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, L. ritorna allora a studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna ideologia, senza nessuna consolazione. Siamo molto lontani dal messaggio ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze di L.. Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento della sua ‘attualità’ più pregnante :  Nella nostra epoca così confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di Leopardi. 47 Débat  Inizio pagina. Il testo Leopardi progressivo fu pubblicato per la prima volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi : Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze. Come L. scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, « questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre fatto particolare piacere. L., Avvertenze, in Id., Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti). Scrive Timpanaro a proposito del titolo scelto da L. :  un titolo che per un verso alludeva polemicamente alle magnifiche sorti e progressive derise nella ninestra (volendo indicare che Leopardi, nemico del falso progresso borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di là dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un altro accoglieva quell’accezione un po’sottile e non immune da ambiguità che questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore attraverso la formula della “democrazia progressive -- TIMPANARO, Anti-leopardiani e neo-moderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS. Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, Poesie, a cura di Rigoni, con un saggio di Galimberti, Milano, Mondadori (I Meridiani. L., “Leopardi progressive”. Brunetti, Il « nostro » professore L., in L., a cura di M. Moneti, numero speciale della rivista « Il Ponte ». L., Leopardi progressivo. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni. Sebbene molto diversi, il testo di L. e quello di Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che contribuì a rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore illustrazione e analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle pagine, ormai non più recenti, di TIMPANARO, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi. Croce conia la voce « allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco “ἀλλóτριος,” che signifca « estraneo, altrui ». Per l’influenza di Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Gentile : una biografia, Firenze, Giunti. Il ruolo di CIAN negli studi letterari nel periodo di transizione è stato recentemente studiato d’Allasia in una serie di lavori, tra cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni di un « maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique littéraire. Les hommes, les idées, les institutions, a cura di Vento e Tabet, Caen, PUC (Transalpina). MARPICATI compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin dalla prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale si consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima a Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia, poi di direttore, dell’ISTITUTO NAZIONALE DI CULTURA FASCISTA, e anche di vice segretario del Partito Nazionale Fascista. Ecco quanto scriveva, ad esempio, Cian, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno giovini, chierici sterili e sterilizzatori, officianti nella cappella all’insegna dello Spegnitoio, dovrebbero ormai decidersi. O smetterla, rassegnandosi a tacere e a sparire dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di guadagnato – oppure mettersi al passo coi tempi nuovi » (V. CIAN, Rassegna bibliografica, Giornale Storico della letteratura italiana. Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea: Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et scolaires de Alfieri, Foscolo et Leopardi dans l’Italie fasciste -- archives-ouvertes.fr/docs] ; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e profezia dell’Italia futura nel giudizio fascista, California Italian Studies », escholarship.org/uc/ismrg_cisj], In realtà, i primi sintomi di’insofferenza RUSSO li da mentre scrive un articolo sulla critica foscoliana recente, nel quale rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità di una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria, estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle posizioni crociane durante gli anni Quaranta (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, “Italia che scrive”.  L., “Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove L. insegna, in occasione del centenario della morte di Leopardi: L., Il pensiero di Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C. (Pubblicazioni del R. Liceo Ciano, 1), Nella sua autobiografia, BOBBIO cita un disegno di GUTTUSO che illustra una delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di Morra, vicino a Cortona. Vi si vedono Bobbio, L., Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »), MORRA, lo stesso GUTTUSO e CALOGERO (con un altro testo intitolato invece Liberalismo sociale, Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza. L., Qualcosa di me stesso, in Questo testo è la trascrizione dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze, al momento dell’andata fuori ruolo. Luporini, Con Heidegger. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in discussione, Atti del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma, a cura di Bianco, Milano, Angeli. Gentile, Manzoni e Leopardi, in Opere, Firenze, Sansoni, Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno, Campitelli. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza. I due testi si trovano oggi nel volume di GENTILE, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in Annali delle Università toscane, poi come proemio di un’edizione delle Operette morali curata da Gentile (Leopardi, Operette morali, con proemio e note di Gentile, Bologna, Zanichelli; il secondo, Prosa e poesia nel Leopardi, fu invece pubblicato nel « Messaggero della domenica ».  Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, una sola occorrenza del termine « pessimismo », ma nella critica leopardiana questi due hapax hanno goduto di grandissimo successo. Leopardi scrive. E un popolo di filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo -- manoscritto dello Zibaldone. Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Noce, secondo cui GENTILE « sentì se stesso come il filosofo di Leopardi, come il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspira: Noce, Gentile, Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino. PASINI, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet. Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata tesi di dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, LANFRANCHI, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo, Leopardi, in Fascisme et critique littéraire, Caen, PUC (Transalpina). L., Il pensiero di Leopardi. Secondo TIMPANARO: L’esperienza esistenzialistica [L.] se l’era ormai lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva lasciato una traccia nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo storicisticamente angusta del problema Leopardi. Timpanaro, Anti-leopardiani e neomoderati. L., Leopardi progressivo, Timpanaro, Classicismo e illuminismo, c L., Leopardi progressivo.TIMPANARO considera che non era accettabile il « rimprovero » mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo. Timpanaro, Classicismo e illuminismo. Ma certe pagine del libro di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente quell’anticipatore di ulteriori dottrine) se non rendono « accettabile » un tale giudizio, perlomeno ne spiegano l’origine.   L., Leopardi moderno, intervista a cura d’Adornato, « L’Espresso ». Cesare Luporini. Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato – l’anima di Vinci – la mente di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luporini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Luzzago: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Bresica -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Grupo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Brescia). Filosofo italiano. Brescia, Lombardia. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera, in una delle più importanti famiglie del patriziato cittadino, e educato alla pratica devota e all'apostolato. Nel convento di S. Antonio dei gesuiti si impegna in un corso di filosofia. Dibatte in pubblico 737 argomenti filosofici! Con l'aiuto di Borromeo partecipa a Milano ai corsi di teologia dei gesuiti di Brera. Si laurea a Padova. Desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, le difficoltà economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune del padre, glielo impedirono. Conservatore dei Monti di Pietà, e  protettore della Compagnia delle Dimesse di S. Orsola e di altri due istituti caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle. Ri-organizza e da nuovo impulse a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio di Trento: la Scuola della dottrina cristiana. Fonda la Congregazione di S. Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fonda la Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente cittadina con l'obiettivo di co-operare più efficacemente e concordemente al sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di Concordia. Infatti, intercede per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso in conflitto.  La sua indole caritativa emerse soprattutto quando venne a far parte del Consiglio di Brescia, dove sa armonizzare le strutture governative ed organismi canonici. Nelle opere scritte vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta, sulla carità, ispirati al modello della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio a Roma esamina le strutture di beneficenza per poi proporle a Brescia. Ha la possibilità di conoscere F. Neri. In un'epistola a Morosini, e informato che Clemente VIII, prende in considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Fu avviata presso la Congregazione dei riti la causa di beatificazione. Leone XIII, riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile.  Dizionario Biografico degli Italiani, A. Cottinelli, Vita del venerabile patrizio bresciano: dedicata ai comitati parrocchiali, Tipografia e libreria Salesiana, A. Cistellini, Il movimento cattolico a Brescia, Morcelliana. A. Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco di Sales, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. Negruzzo, L'allievo santo: Roccio precettore, in «Annali di Storia dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», S. Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo al collegio dei gesuiti: il caso di L., in Dalla virtù al precetto. L'educazione del gentiluomo,  Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ORATIONE DEL MOLTO REV. MONSIGNOR OTTAVIO ERMANNO Macftro di Thcofogia PREPO SITO DI LORENZO   Vele officio TrenteJtmOydel Sig. Alcffianiro Lus^i^AgOt  fatto nella fu a Chtefa adi /. Giugno,  M. C I r. '   Delle ragioni delli Diuina Prouidenza nella niorte '  di elfo Signoc AlefTandro . IN BRESCIA, Apprcffo Pietro Maria Marchetti. M. DCIL  Con licenza de Supenori. a H O IT A Jl O   .VH ; OT JO M .J3a   OVTMAM513.0I7ATTO 5I0;Afcolcaton,chctiuouatrouatafiaque- Al I llancllaflncflrdiT)I  lendo in picciol quadro riftringcre numerofo ftuolo di gente,  contenti di compitamente delineare alcuni perfonaggi più il-  luftri, e principali; altri fpargon in vna picciol parte di loro,  chi nel capocchi in vn braccio, chi in vna gamba, chi in va  fianco ; cosi io racchiudendo quàto ho da direnel picciol qua-> cito della querela propofta andrò còforme à quello, che fi pre-  tende cercando i miseri della Diuina prouidenza nella morte  del Signor Aleflandro in quefto tempo, in queftacti, inquefle circonflanze, confidato nella bontà de gl'ingegni voliti  aiuttati dallo Spirito del Signore, che da queiU fi faran fcala i.  trouarne altri più fublimi, e più alti . Incominciando adua-  que da più baflò grado luflusperit none/i ijuìrecogitet corde»  Vuole il Signore, cftenoi penfiamo di cuore alle cagioni dellJL  morte di quefio fuo amico, tanto giufio ; doue ricorrerò à ri-  cercarne il conto? hò pcnfatodi fpcdirmi daconfiglicri più  bafsi. Non v'ha dubio alcuno, che fe il Medico, o*l Filofofa  foflè chicfta d*vn Hmil quefito,rirponderebbe, non cfTere ma-  rauigliaalcuna ; et che vn'huomodi tante fatiche,c cosi poco»  ripofo, di tanti digiuni, e così poco cibo, di tantcpafsioni  c così poco rifioro, dicosi graue infermiti, e cosi deboli for-  2e non poteuaviuer molto fenza miracolo ;& il farmiracoliè  fuori del comune cotfo della natura, quale il Signor Iddio noa  peruertifce fe non per qualche cafo appartenente all'ordine  fopranaturaledellagratia. Quefta rifpolla diede egli fteffo à.  me poco prima, che partiffe per Milano. Signor A led'andro^  difsi iOy come (late voi l'ano in quefio iufluilò de mali tanto pe  ftilenti ftando la vita y che voi fate? Guardate, rirpofe, e mi-  racolo di Dio. era miracolo, fe viueuai Dio non hi voluta  far'il miracolo, perche non era ifpediente : adunque è morto^  Queftarifpofta pare al primofcontrofodisfarejmaa chi con-  fiderà le parole della querela, non vuota atfatco la difficoltai  poiché cosi fiando, non occorrerebbe lamentarfi di cora,che  comunemente corre nella vita, e nelJa motte di ognVno, ol-  tre cheàgiudicio mio s'appoggia a fondamento talfo; cioè*  chela diuina prouidenza nelle cofe naturali non habbia elie  iure altroiAchelalciar Correre le caufe naturali i i loroe^eai     concoWndoreco Comé eaóft prima » t lifciàndofì ^^t^rmìnw da loro, dico che lei è quella, che ha pofle in ordinanza tali  caufc per produrrai i effetti, e cofi mi refla Tempre da diman-  dare, perche a etfccro tanto] nobile com*è l'huomo giu(lo,e  qucft'huorr.o in particolare hi ordinato caufe tanto pernicio  fe,checosìtoftodouefl'erodiftriiggereìa vita di lui. Alziamo  dunque la mira à più alto berfaglio, e vediamo, fe potiam cattare la rispofta dairifteHà querela, nella feconda parte di lei.  acìe enìm malici f colle &US eft ikflus y € (i dìch\3iTzqy3c(io pa(lb  con quell'altro della Sapientia al quarto. Vlacens 'Deo fiBus  dilcdus, et vìuens inter peccatores transUrus e fi ; raptus efl ne mi'  litiamutaret intdlt^um eius, aut ne fi^io deciperet animam ìlUut .  placitaenimerac 'Deo anima illius: propterhoc properauit educere  illum de medio iniquitatum . E veramente che da facri Theologi  c annouerato fra gli effetti della Diuina predeflinatione il dare prefla morte al predeftinato,cui vede, che foprauiucndo,  (ì dannarebbe . ma quello fenfo non è neceflàrio, che conuenga a tutti; poiché puòefsere, che per altri rifpetti ancora chia-  mi a fe preftamente il Signore quelli, che altrefi foprauiuendo  fi farebbero faluati. Diciamo dunque, inherendo a quefto  paflb, che non ha il Signore lafciato arriuare il Signor Aleffan-  dro alla vecchiaia, perche non poteua farli il maggior fauore, che liberarlo prefto da quei piccioli peccati, che in fe ftef-  fo haueua; e da quei grandi, che con grauifsimo fuo tormento  vedeua in altri. Non replico le cofe già dette da altri «quanto  gli fpiaceflero i peccati veniali medelìmi : foggiungo cflere im  poffibile a huomo mortale,per fanto che fi fia,viuere fenza pec  cati veniali : econchiudo efièr flato gran fauore i quedo gran  de amico di Dio liberarlo quanto prima da fuoi peccati per  leggieri che foffero. Ma de* peccati altrui propriamente par-  la la Scrittura ne i luoghi allegati ; et io dico, che chi conofce-  ua l'infocato zelo di quell'amorofo petto contro al peccato in  aiuto de peccatori, dira che patiua grauifs imo tormento, ef-  fendo per la fua conditione artretto a conut- rfar con pecca-  tori, e che gratia gli ha fatto il Signore grande liberandolo;  potrei apportar quiui mille teftimoni, mille lentenze vdite có  le mie orecchie dalla bocca fua ; ma troppo lungo farebbe il ra-  gionamento. Di vna mi contento per adtlfo, et è che I accon-  tandogli io vn facto occorfo dioéefa graue d'iddio acciò gli A 4 prouedci?^ ; perche la narrat?ua (Tf^cndcua vn poco in fango J  in quel mentre ch*io ragionauo.fotto gli occhi mici fcoppiaua  di do'ore,& era coftretto tenerfi la mano al petto, perche gli d  fchiantaiiailcuore,emi prfgaua,ch*io finifsi quanto prima. Quindi da quefto principio raccogliete voi le altre cofe di que  fio punto, e ne trouaretc infinite: come farebbero quelle inuentioni, quei flratagemi che (ludiaua perdiuertir gli abufi ò  publici ò priuati; come farcbbejChc ne i giorni de i Santi tutelari della fua villa dodeci anni fono per ouuiare i confueti ba«  gordi intrcduceflel'oration delle 40. hore; vi conduccfTei pri-  mi Predicatori di Brcfcia, quefto cflempio fofle poi feguito  da l'altre ancora : che nelle barche doue foggiornaua perca-  gion di viaggio, diuertilTe i ragionamenti vituperofi, introdu-  doccndonealtri,ediletteuoli, et vtili, diftribuendo à tutti e li-  bretti, e imagini : come farebbe, che ogni pochi giorni hauef-  feìncafa mcfchinazzi,e vagabondi, acciò li faceficconfcfiarc;  cheraccoglieflei Valtelini per aiutarli nella fede; che fodètan  to follecito per la confcruation della fede in qucfta Citti; come poffo atteftar io di opre importanti fatte a qucfto finejchc  fcorrefTe ogn'anno qualche parte di quefta grandiocefe fotto'l  ftendardo 5L in Aituto della chrifliana dottrina,non perdonando nei fpefe,nea fatiche; non lafciando luogo peralpeftrc  che foHe: come farebbe, che commandafle a vn gentilhuoma  fuo famigliare, che capitandogli donzelle d'aiutare,ò dopò la  caduta, òauanti, che cadano ; ne fapendo doue ricouerarle, le  mandaffe tutte infallibilmente à cafa fua, ecento d'altri. Io  rhoviftotal volta riprendere con feruor grande alcuna perfo-  na, che malamente fi lafciaua tener in freno, e fpezzaua la briglia, 8i ho ammirato in quel vifo,in quegli occhi, in quella lingua mi (lion tale d'amor'edi fdegno, che ben dimoflraua adi-  rarficontra'l peccato,non controal peccatore; ne fcandaHzat^  (ìgiamaidi niuno. Hn'àtale,chcfi mifein difputa meco vna  volta à volermi perfuadere, ch'egli foffe il maggior peccatore  del mondo, etiandio fuori di quella fuppofitione che faccua Si  Frajìcefco : cioè, perche fe Dio hauefle facto a gli altri pec-  catori le gratie fatte alni, Thaucrebbero feruiro meglio di lui:  ctiamfenzaquefto voleua Alefiandrocllèrc maggior peccato-  re di tutti : n^a trouandofialle ftrette con le ragioni/aila fine mi  .tiiiTe^che luilafcmiua così>fe bene non ne fapeua render la ragionc gtonif! O animà benedetta, ò lume veramente diuina, che  fpunrando i più lucidi raggi fuoi dentro alle fineftrcdi quelle  porczc, gli faceua difcemere ogni pagIiuzza,ogni atomo^ognt  pelo d'imperfcttionc. Horsù propcrMUÌt educere iUnm de medio  in'tifuìtatum, Si egli l'ha riputato fauor grandifsimo . Più alto,  più alto . Juftus petit, et non efi qui recogitet corde . Che miftcrio, Signore, volete voi che ritrouiamo nella morte di quefto  giiifto ? forfè quello, che voi accennate colaappunto nella Sa-  pientia al quarto? Confumatustn breui expleuit tempora multai  c difopra . Sene^us enim yenerabìlis efi ncn diuturni, neq; annoti  numeto computata ; caniautem funt fenfus hominis ; et feneSu»  tis yìta immaculata . Et c quefto, che egli con feruor grande co-operando à diuini impulfi, ne arrcftando con le proprie colpe  lediuineinfpirationi,è arriuato prettamente a quel fegno di  gratia, Si i quel grado di gloria, al quale Iddio l'haueua pre-  deftinato: fiche era di meftieri troncargli il filo di queftavita  prefente; acciò non diuentaHe più fanto di quello, che Dio lo  voleua,per fegreto della giufta prouidcnza fua;qual fegretO  ancora andaremoìnueftigando più abaflb. Quefto e l'haucr  in breue corfo riempiti di meriti molti anni : Quefto è l'hauer  nella vita immaculata l'honor della vecchiaia . cfie dirò io qui  di quella follecitudine inferuorata tanto propria di lui? Pareua  che indouinaftc il fine, che parlando meco pochi giorni fono;  inftaua grandemente, che bifognaua far prefto, e non lafciar  paftìire occafione ninna, che conccrneffe il fcruitio di Dio, e  richicfto da me, per vna certa occafione, vna volta,fe in tanti  negotij, tanto varij, et impoittuni fentiua mai tedio,ò languì»  dczza ;mi replicò tre volte: mai mai mai n*hòfentito; hò fcmprefentito la mcdefima prontezza. IlSolcfpunta i raggi del  marcino con foauità grande ; ma falendo al mezzo giorno auen  ta i ftrali infocati, che accendono, che abruggiano, e di più  chiara luce rifplendono. Le virtù di Aleifandro nella fanciul-  kzza, e nella giouentùfua,quafi raggi matutini, erano piene  difoauita,edidolcezza; mancl meriggio deiretàfua, nella  fommiti di quei meriti, i quali era adell'o falito, non vedete  come ardeua di diuin'amore ? come sfauillaua parolcdouunq;  fi trouaflc tutte ferafiche,tutte diuìne ? chi lo fentì gi.imai à par  lare non ditòociofamente, che quefto auuertimento è troppo  baffo ; ma humaQamcnte ? qual ragionamento conchiufc egli fe   non n8 in Dìo?qual lettera fcrìrtc tontano,che no la fregìaflc dì pa-  role di Oio?quaI polìza madò per la Città, che nòia rpruzzaftè  di Dio? doue mai moffe i piedi/e non per Dio? che cofa operò  etiam humanamente, e naturalmente, che non la iudrizzaffe  in Dio? Dio haueua egli fempre nel cuore, Dio nella bocca Dio nei piedi, Dio nelle mani, era tutto abforto in Dio. Si  maraujgliano, che habbi lafciato moglie, doti grandi, robba  di vnigenito . quefto è nulla à quel gran cuore ; ha lafciato tue  to fé fteffojOgnifuo commodo e temporale, e fpirituale per  feruigiodi Dio,eperaiuto del profsimo. Ditelo voi, che gli  recauate à biafìmo, cheincafafua non ci fo(Iè ordine; che noa  vi fi trouan'e mai hora ne di mangiar, ne di dormire . Dirò io  quello, in che più patiua, che più gli premeua . I diletti, i gu-  fìi dello fpirito lafciauaper Dio, et per il profsimo. lafciaua  invnaparola Chrilto peramor di Chrifto. Intendete hora,  Afcoltatori, quel diffìcil parto di San Paolo . Optabam ego amt"  tema effe à LhriHo prò fratribus meis ^ Vedetene la prattica in  Ale(ìandro,huomo tanto dedico alla contemplatione^dcllecofe celeft i; che pigliaua tanto diletto nello fludio delle facre let  tere ; tutto lafciaua, di tutto fi priuaua per feruir al Signore ne  fratelli fuoi. Signor Alelìandro, gli diceuo io, a che propofi-  tohauctefpcfitanti anni nellefchole della Theologia,fe non  la vedete mai ? a guifa di colui, che prefa moglie, tofto l'abbandona, lafciandola in mano de parenti fuoi ? perche non vi  ritirate qualche volta a pigliar quel altifsimo diletto, per cui  tanti Santi, 8c amici di Dio han dato bando a tutte le cofe crea  te, fi fono ritirati ne'chioftri, e ne deferti? quei Nazianzeni,  quei Bafilij, quegli Agoftini . Haoece ragione, rifponde egli, ne patifco grandemente : ma non hò tempo; et ertbrta-  ua me ancora à iafciarquefto gufto pcrfcruitio di Dio, che  afpettate più? Ah,mi fugge il tempo . conchiudo in vna parola quanto fi può dire ; egli era in arto fcmpre dell'vna, e l'altra vita la contemplatiua, et Tattiua,nc leoperationi de Tvna impediuano gli eflcrcitij dell'altra, e come che quel felice fpiri-  to forte chiufo nella carcere di corpo terreno, ftaua però tal-  mente Tempre abforto in Dio, e con il corpo impiegato in fer-  uiggio del profsimo, come fe rvno,e l'altro in vna medefima ca  fa facelVcro diuerfa famiglia in diuifi appartamenti ; e come il  fuoco talmente s'adopra attorno alla materia di cui fi pafce» che fce poi rotto in fc^ftellb,c fmoO più giubilando auampa con  maggior fiamma, € folletti feco »ò ra pifce i n alto quella terre -  ilrità della materia; così lo fpirito di AlenandroabbaiTandofi  a bifojrni de profsimi fuoi non s'immergcua in efsi di manie-  ra, che non foUeuaflerecoognicofa a Dio. Deh fermati fole,  cU*io non poflb tacer quello, ch'io fon per dire Cade di bocca  quefio Nouembre palfatoquafi per fchcrzo ad vnfuo amico, c famigliare, ragionando con vn padre rcligiofo>chehauercb  be fotti gli cflercitij fpirituali della Compagnia di Gesù, fe il  Signor Alefandro gli haueffe fatto compagnia, tenendo per  fermo e(lèrcimpofsibile, per i molti negotij fuoi; tanto più  che la Signora fua madre era grauamente inferma » come ne  mori . Lo riferì il padre al Signor Aleflandro, non ftete egli a  bada, non fii lento a pigliar l'occafìone; fparfe parole per cafa,  che andaua a ritirarfì fuori della Citta per cagion de fludi . Si  ritirarono tutti tre il Padre, et efsi ;goder ono per quei giorni  il Paradifo. O Aquila celcfte,ò (guardo diuino, come ti di-  pinge diuinamence lo Spirito fanto in Giob a trenta none .  T{unquid éidpraceptum tuum eleuabitur à^qmla ; et in arduìs ponct  nidum fuum ? In petr'is manet, et in pr£ruptìs filicibus commoratur,  atque inacceffis rupìbus . Inde coniemplatur efcam, et de Longe ocu-  lieiusprofpiciunt. Soggiorna quell'Aquila per lo più vicino al  fole eterno, habita nella pietra, nelle rupi, nelle cauernc della maceria, nelle piaghe del Saluatore colloca il fuo nido, tro»  ijailfuoripofo;qnindi s*abbairaali'efca terrena; ma inconta-  nente al fuo nido ritorna. Chi è di voi chi fappia i trauagli  grandijchehà patiti continuamente Alcffandro? credete voi^  che gli leuailero la tranquillità, et il ripofo,che godeua ia  quel fuo nido? So che nell'occafionedi vnograuifsimo venu^  togli per vn*opera fatta per feruigio di Dio, e falute di v n'ani-  ma; di fle a me, che con tutto ciò non vorrebbe nonhauerlafac  ta.,dC rhauerebbc fatta di nuouo . So che di altre perfone^cbfit  Igli dauano trauaglio hcbbe a dir molte volte, che era loro mol-  to obligato.di onde pigliaua quedi fentimenti? da quelle riiiik  pi in CUI baucua collocato il fuo nido. O marauighofo cotv  4cerco di ben accordata cetra procedente da corde ài contrjr*'  ario (uotvo; Tvna,e l'altra vita. Nella attiua meriraua, nelljt  «làaxaiipiaciua godeua: nella atciua faticaua, nella coatetnpk. fitatiùa riporani ineHa inhtdìtcfnitxìi al baflbi nella Con-  templaciua vulaua in alto : ticHa acci ua proucdeuaad aIcri>neU  la conccmp iariua prouedcuaa fé fleiTo: nella acciuaconuerfa-  uacon gli huoiTìini, nella concemplaciua conuerfaua co gli  Ani;cli. Confiétnatus in breui expleuìt tempora multa . ha vnito  in fcftcflo cucci i ftaci, cucce le pcrfcctioni. Ma più al co anco-  ra . luflus per'it, et non eft,qm recogttec corde . che habbiam dt  penfar che habbia molTo il Signore a dar la morce adeffo a que  fio giudo amico Tuo? Thonor grande, che gli voleua fare in  cielo y Scili cerca per lo cócorfo (lupendo di caufe cali,che mo-  rendo in cempo cale, di fuo lecco, fuor del marcirio non po-  tea morir più gloriofamcncc. Non mi ftcndo ad eHaggerar quc  fto pa(ro;lofapcce voi. Ad vn puncomi riftringo. egli e alle  mani Diohoggidi adilluflrare la fancica, e la gloria di quel-  la gran colonna di Tanca Chiefa il Cardinale Borromeo. Non  era in corra il piiì (ìmile a lui nella parcicolar vircù fua, che era  il zelo della faluce delie anime, che L. Non  erachi peralcri piùconfumafferedefrotCheilBeacoCarlo, Sc  il Signor Alefl'androjà guifaproporcionalmencedi duegran  doppieri podi nella Chiefa di Dio, quali ferueudo ad alcri di*  (Iruggono fé medeHmi : c perciò non era ne anco in cerra a cui,  porcaffe maggior amore il Cardinale mcncre viueua,che a L. L'ha voluco per compagno nella gloria  in Paradifo.gli ha voluco comunicare la gloria fua anco in cer-  ra, e farlo Hmilc afe anco nella morce con quella proporcione,  che in cofe non affacco medefìme fi può ricrouare . Vaffene a  Turino il Cardmale a vificar quell Alcezza canco a lui cari  per nuoua occafione: vafTeiie a Milano Aleffandro a vificar  queU'Arciuefcouo Cardinale canco Tuo, quanco fi è vido,  nuouamence venuco da Roma. Quindi viene il Cardinale a  Varallo a vificar quel Sepolcro di Chrifto: fcieglie quel cem-  po d'andar'a Milano Aleifandro, che fi lena il facro Chio-  do per adorarlo ; e con i'afpecco del facro Chiodo gode il  Beaco Sepolcro del Cardinale, e gli offerifce i doni d'argento. S'amala al Sepolcro di Varallo il Cardinale : s'amala fo-  prajil Sepolcro del Cardinale Aleflandro. Condotco à Mila-  noil Cardinale, fubico e pronunciaco fpedico da Medici : Dal  fepolcro del Cardinale Alclfandro è commandaro ricirarfi i  l«cco, c riftelTa maccÌDa Icgucace fi fi la fcncenza della moue quat- iquìittro giorni paflsino d'nifeJ^ft^ al Cardifiale: quattro giovi  Ili intieri foli giace in letto Aleffandro. More il Cardinale in  Milano: morc Aleffandro in Milano. More il Cardinale ncllx  camera,encl letto Archiepifcopalc: more AlclTandro nelle mini deirArciuefcouo Cardinale cugino carnale di quello, fomi-  gliantifsimo nella fantita, et nclli angelici coftumi all' vno, 8C  airalcro . More il Cardinale vicino al cinquantefìmo anno dcl-  Tctà Tua: more Aleflindro vicino vn*anno al cinquantefìmo  dell'età fua . Morto il Cardinale vien apertole fuentrato : aprir  c fuentrar c ncceflario Aleflandro,che più? Carcano Anatomica di Pauia è quello, chcefTcntera il Cardinale: Carcano medcfimo è quello, che eflcntcra Alef-  fàndro. Si fanno TeHcquie del Cardinale dal Clerotutto: tut-  to'l Clero peroccafion diSinodofitrouaal funerale di AlefTaa  dro . 11 Cardinale di Cremona in Pontificale fa l'officio al Cardinale: Il Cardinale di Milano in Pontificale fa l'officio ad  Aleflandro. Il Cardinale di Cremona fatto l'officio, in publi*^  co confperto del mondo incomincia a dar fegno della fantità  del Cardinale facendogli toccar la corona : Il Cardinale di Mi"  lano morto Aleflandro fubito gli bacia la mano come à Santo »  e fa ordini, e da commifsionidclla riuerenza in che vuole, che  fi tenga. Sopra'l corpo del Cardinale fi fa l'oratione funebre  daircloqucntifsimo P. Panicarola : fopra il corpo d*Aleflàndro  fi fa l'oratione da qucllo,che nella CompagniadiGiesù fa pu-  blica profefsione di eloquenza, e dell'arte del dire. Andate  inanzi . Se Aleflandro cinque giorni e flato morto fopra terra  per il bifogno di condurlo a Brefcia : anco cinque giorni flette  lopra terra il Cardinale perdute fodisfattion al popolo, et ap»  parccchiarlecfl'equic. lamutatioiì,che fi vide nella faccia di  Aleflandro quando l' vltimo giorno fi fecero le eflequie. la vidi  90 in quel giorno anco nella faccia del Cardinale. Corfcroal  Cardinale le genti a garra per ottener'alcuna delle reliquie  fuc: Corfcro.e corronoad Aleflandro et in Milano,& in Brefcia  i popoli i garra per lo medcfimo effetto . S'incominciòaH'hcH  ra fubito à fcntir per la Citta mormorio di varie gratie impe*  irate per lainuocation del Cardinale : Molte ancora, e di graa  yileiio fi fono vdite quini octenute per la intcrccfsion di Alcf»  fandro . Refta, che come pochi anni dopò,la fua morte fi ù ri*  cordaio il SignoK d'iUuilrar cou miracoli il Cardinale; cosi     Incfncftoincoft fiborifca Alfffandrò". O beata co piiiòfcli*   ce confortio . che flarò io a dire in queda occadone ? MwtaUit  stima mea morte iufìorym^ ^ fiint nouifiìma tnea horum fimilia. Mi  bt aktem nimU bmmati funt amiti tu't, *Deus . Tr£tìofa in tonfpeffu  Domini mo- s fauSorum eius . Tanto è grande l'honore, che fa il  Signore a gli amici Tuoi, tanto illufVre la gloria, che dona lorOi  che non contento di quella del Cielo, la dilata anco per la tet-  ta, per quella valle di milerie: non contento dello fpirirOfll  coniinunica anco al corpo ; anco alle ofl*a fecche; anco alle ce-  neri ; anco à lorbaftoni; à lorveftimenti ; à lor capelli; à lor  (lringhe;i lor fcarpe; alle ombre loro, comunicandogli virtà  onnipotente . E dunque vero Signore, che Stmi% honorati funi  amiciiuiyDeus . Ma fagliamo vn fcalin più alro ancora. Lequac  tro cagioni annouerate non efcOno dalla perlona di Alcflan*  dro; fono particolari Tue. Due iChereftano Tono più diuine*  più alte ; pretendono il ben commune, che è molto \»mi petto  ad Alc!randro,& i Dio . Non vi ricorda? Cftpi. ego anAtcma effe  à Chrifio prO fratribus mets ^ E di quell'ai tro,chc in ecceflb di fpi  rituale pazzia dimandaua gratia al Signore, che man dafTe al-  rinferno lui, e libera(lè tutte quelle anime, che vi ftauano rac che con grauc bcftcmmia contro la   diuina clluìna proaidenzatepntanòimporsibile fcruire pcrfettimdti-  (eaSua Diuina MaefUfotco paterni recti, nella cara domeni-  ca, neirhabico laicale, nella conuerfacion del fecolo, fra le oc-  cafìoni de peccati, nelle procelle di quello tempeflofo mare  del mondo. O gran filofofìa»© fapientia rara, ma necelTaria,  8C importante più dì tutte . Ecco in AlelTandro laico, la vira re  ]igiora;in AleH'andro occupato la vita monadica; in AIeiTan- chi il zelo dell'anime, chi la cura delle px-  ci, chi le prigioni, chi gli hofpitali, chi le congregationi, chi  gli oratorij,e tutti infìemevn'accefo amor di Dio 5^ del prof-  fimo. Qncde rapine v'afsicuro io, da parte fua, che gli aggra-  diranno molto più, che fcalzarlo, ò fucdirlo, ò pelarlo per di-.  uocioné; 5c fe queilo hauete fatto; vi fìano quelle reliquie vrr  perpetuo mantice, che v'accenda all'imitatione de fuoi Santi  Codumi. Alessandro Luzzago. Luzzago. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luzzago” – The Swimming-Pool Library.

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